STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO UFFICIO STORICO
FILIPPO STEFANI
LA STORIA DELLA DOTTRINA E DEGLI ORDINAMENTI DELL'ESERCITO ITALIANO VOLUME II
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TOMO 2° LA
za GUERRA MONDIALE (1940-1943)
ROMA
1985
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PRESENTAZIONE
Il secondo tomo- det- -setonilò volume della « Storia della dottrina e degli ordinamenti italiani», del gen. Filippo Stefani, interrompe, con un'ampia e lunga parentesi che copre per intero il tomo, l'esposizione dei fatti dottrinali e ordinativi e dedica tutto lo spazio, diversamente da quanto fatto per le guerre precedenti, alla narrazione, benché sommaria, delle operazioni svoltesi nel secondo con/litto mondiale. In tale narrazione vengono distinte le operazioni condotte dall'esercito italiano autonomamente da quelle condotte in cooperazione con l'esercito germanico ed entrambe sono inquadrate 11el contesto generale di quelle sviluppatesi in altri teatri e scacchieri operativi che non interessarono direttamente le forze armate italiane. I l quadro d'insieme viene rielaborato, principalmente, ma non solo, sulla base delle varie monografie edite nel passato dall'Ufficio Storico per quanto si riferisce alle vicende belliche italiane e della vasta bibliografia italiana e straniera per quanto riguarda la seconda guerra mondiale in generale, con particolare riferimento al Liddell Hart ed alla Relazione Ufficiale britannica. Il tomo va, dunque, molto al di là del tema specifico dell'intera opera e ciò può dare luogo a perplessità ed obiezioni che del resto 110n sono mancate neppure da parte dell'Ufficio Storico. In tale sede, peraltro, è prevalsa alla fine una serie di considerazioni di ordine vario, di cui due sopra le altre sono sembrate convincenti per la pubblicazione del tomo. La prima è quella che la deviazione dal binario fissato risponde alla diversità della seconda guerra monrliale rispetto a quelle precedenti. L'ultima guerra, infatti, impegnò le fo rze armate italiane su diverse molteplicità di teatri e di scacrhieri, ciascuno con caratteristiche di situazione e di terreno proprie, distinte e diverse. La prima guerra mondiale ebbe un corso sostanzialmente uniforme nei vari teatri e scacchieri interessati, dove la dottrina di impiego e gli ordinamenti tattici dei vari eserciti furono pressoché gli stessi e le operazioni ebbero sviluppi pressoché analof~hi. A parte le diverse dimensioni, la guerra sulla fronte francot cdesca, ad esempio, non fu granché diversa da quella combattuta
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PRESENTAZIONE
sulla fronte italo-austriaca. Nella seconda guerra mondiale, invece, le operazioni sulle varie e molteplici fronti terrestri, marittime ed aeree segnarono difformità d'impostazione, di organizzazione, di condotta e di sviluppo non riducibili ad un unico denominatore dottrinale e ordinativo. La prima guerra mondiale si concluse nel quadro di dottrine e di ordinamenti molto simili a quelli con i quali era iniziata; la seconda guerra mondiale si svolse e si concluse, indipendentemente dalle bombe atomiche su Hiroscima e Nagasaki, in una costante e rapida evoluzione, senza precedenti, della strategia, della tattica, degli ordinamenti e della logistica, nonché degli armamenti e degli equipaggiamenti. Da qui l'opportunità di confrontare la rispondenza della dottrina e degli ordinamenti di partenza ai vari scacchieri e di raccogliere tutti gli ammaestramenti positivi e negativi offerti dovunque per poter fissare il punto di partenza di una dottrina e di un ordinamento, ma non solo di questi, validi per il dopoguerra. Nel terzo volume, infatti, dove il discorso rientrerà nella specificità del tema, risulterà facilitata la intelligibilità della nuova dottrina e dei nuovi ordinamenti studiati e messi in essere dallo SME dal 1945 in poi. Una seconda considerazione principale che ha fatto sembrare all'Ufficio accettabile il secondo tomo così com'è riguarda l'utilità di raccogliere in una pubblicazione unica il contenuto enenziale delle singole monografie riguardanti le varie campagne in cui l'esercito italiano fu, durante la seconda guerra mondiale, protagonista o coprotagonista. Ciò consente, infatti, di poter disporre di un testo riassuntivo, sommario ma completo, dello sforzo globale sostenuto dall'esercito nei trentanove mesi di guerra compresi tra il 1O giugno 1940 e !'8 settembre 1943. Il lavoro compiuto dal!'autore per la elaborazione del presente tomo è sembrato all'Ufficio non meno attento, approfondito, storicamente pnenetrante del precedente ed esso è altresì sembrato essere egualmente legato, sia pure da un filo meno appariscente ma non per questo meno robusto e resistente, al discorso generale sulla dottrina e sugli ordinamenti, la cui rispondenza alla realtà trova appunto conferma o smentita proprio nella guerra. IL CAPO UFFICIO STORICO
CAPITOLO XXXII
DOTTRINA E ORDINAMENTI DURANTE LA SECONDA GUERRA MONDIALE I. La violazione dei principi strategici e tattici elementari. 2. La n 1oluzione della tattica. 3. L'immobilismo ordinativo. 4. La difesa ,·mtiera.
1.
Apparentemente in questo secondo tomo il nostro discorso si di stncca dal tema principale dottrina ed ordinamenti e :,, 1 :..ufft:rma a lungo sulla narrazione, ancorché sommaria, delle campagne della seconda guerra mondiale comprese quelle nelle quali l\.::..crci to italiano non venne coinvolto direttamente. Molte le obiezioni che si possono muovere alla digressione e noi stessi ce le :..i:11110 proposte per primi; tanto più che ci siamo regolati diversamente nei riguardi della prima guerra mondiale alla quale abbiamo dl'dicnto due soli capitoli. I motivi che hanno fatto cadere le perpkssità e rimosso le remore sono molti ed a noi sono sembrati 1wr-:unsivi fino a spingerci a ricordare la trama anche delle operai ioni nel Pacifico. La guerra 1939-1945 è stata la prima della storia ud nssumere il carattere veramente totale e mondiale. Benché la I l·ndcnza verso la guerra totale moderna fosse divenuta evidente •,in Jall'inizio del secolo XX e si fosse chiaramente affermata nel ronflitto del 1914-'18, fu solo negli anni 1939-'45 che il fenomeno l,l·llico assunse gradualmente le caratteristiche di totalitarietà e di 11lobnlità mai conosciute in passato, chiamando in causa quasi tutte k risorse e le energie dell'intero globo terrestre, estendendosi in I rl· continenti ed in tre oceani, coinvolgendo milioni e milioni di 1,oldnti e le stesse popolazioni civili dei paesi belligeranti soggette 11nchc queste ultime all'immanenza della morte come i soldati sui e 11111pi di battaglia. L'impressione iniziale che si trattasse di una 1\111: rrn limitata si dimostrò ben presto illusoria e se quasi nessuno ., j t·ra reso conto all'inizio che la guerra avrebbe comportato la
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totale mobilitazione del potenziale umano e delle risorse naturali, agricole e industriali dei belligeranti, tutti dovettero ben presto persuadersi che la lotta non si sarebbe conclusa se non con l'annientamento completo di una delle due patti, specialmente dopo l'entrata nel conflitto degli Stati Uniti e del Giappone. La guerra, nonostante la lontananza dei vari teatri operativi, ebbe carattere unitario e ad essa presiedè da parte alleata una direzione politica unica che determinò la priorità delle operazioni su di uno o su di un altro teatro in una visione integrata dell'intero problema. L 'intelligibilità della guerra in un teatro operativo non può prescindere dalla successione o dalla contemporaneità delle operazio:1i negli altri teatri. Da qui la necessità d'inquadrare la guerra del Mediterraneo nelle operazioni che si svolsero altrove indipendentemente dalle varie forme assunte nei vari teatri e scacchieri e <lella prevalen:ta negli uni e negli altri del potere aero-terrestre o di quello aeronavale. La prima guerra mondiale era stata una guerra territorialmente limitata e in più era stata guerra di posizione e di trincea, combattuta prevalentemente in terra ed in mare ed in spazi ristretti. La seconda fu guerra di movimento, sviluppatasi su spazi terrestri , marittimi ed aerei ampi e profondi migliaia di chilometri e fu totale dal punto di vista degli obiettivi, dei metodi e dell'incidenza sulle popolazioni. Nella seconda il campo di applicazione dei principi strategici assunse dimensioni gigantesche e fu legato a circostanze di tempo e di spazio assai diverse da quel1e della prima guerra mondiale e diverse tra di loro. I principi elementari della strategia o della tattica non sono leggi o regole scientifiche infallibili che assicurano il successo, condizionati come sono da restrizioni e da eccezioni riguardanti le caratteristiche dell'ambiente naturale, i supporti di forze, le relazioni con i piani generali dei comandi supremi. Non tutti si applicano ad ogni situazione data, ma costituiscono pur sempre indicazioni positive circa quello che può essere probabilmente il risultato di un certo tipo di guerra, di battaglia, di combattimento. È il semplice buon senso strategico e tattico a suggerirne l'applicazione nelle varie situazioni. Vedremo più avanti come e quanto durante la seconda guerra mondiale la trasgressione di taluni principi strategici e tattici abbia nuociuto alle parti quando sarebbe stato viceversa necessario attenersi ad essi. Ed è proprio per questo - per mettere cioè in evidenza le omissioni e gli errori - che ci è sembrato necessario estendere la narrazione alle campagne che non interessarono da vicino l'Italia, ma ebbero egual-
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mente incidenza negativa sulla sorte della guerra del Tripartito. t fuori dubbio che una guerra, una battaglia, un combattimento consentono il successo a chi commette meno errori di impostazione, di organizzazione e di condotta. Gli alleati non furono certamente esenti da errori politici e tecnico-militari e, qualora non avessero nvuto l'inesauribile ricchezza di uomini, di armi, di mezzi, di materiali e di risorse di ogni spede avrebbero potuto pagare un prezzo assai più elevato per la loro impreparazione iniziale e per i loro sbagli di condotta. Le potenze del Tripartito scesero in guerra senza aver valulnto con sufficiente esattezza la potenzialità bellica degli aggrediti e commisero una successione senza fine di errori di impostazione e di condotta, il più grave e fatale dei quali fu, da parte di Hitler, l'aggressione all'Unione Sovietica senza avere la sicurezza del tergo; da parte dei giapponesi, il perseguimento di un esasperato piano espansionistico iniziale non basato su di un corrispondente potere aero-navale che comprendesse anche una sufficiente componente mercantile. L'Italia, delle tre potenze del Tripartito, fu quella che c nltÒ in guerra più impreparata, non solo sul piano dell'inadegualczza numerica e qualitativa della potenzialità bellica, ma anche su q11<"lla delle concezioni strategiche e tattiche e dell'organizzazione delle forze e del comando. La mancanza di una visione aggiornata della guerra moderna, l'assenza di una pianificazione operativa consona a garantire la sicurezza delle comunicazioni marittime ed aeree con la quarta sponda, l'incomprensione dell'interdipendenza fra terra mare cielo quasi ognuno dei tre ambienti avesse un'esistenza autonoma, la superficiale approssimazione con la quale venne trattato il problema di Malta - approssimazione della quale è testimonianza il verbale della riunione tenuta il 5 giugno 1940 dal capo di stato maggiore generale (1) - quasi non racchiudesse la chiave di volta dell'intero teatro di guerra del Mediterraneo, l'assenza nella fase iniziale della guerra di un Comando Supremo, ché tale non fu quello funzionante sotto tale nome fino al dicembre 1940 come è facile rilevare da tutti i verbali delle riunioni presiedute dal capo di stato maggiore generale fino all'll novembre 1940 (2), tutti tali fattori negativi pesarono nella prima fase della guerra prima e più della stessa inferiorità quantitativa e qualitativa dei mezzi e dei materiali. Anche con il meno che mediocre grado di preparazione con il quale l'Italia entrò in guerra, sarebbe stato possibile imprimere alle operazioni militari nel Mediterraneo un corso diverso, proprio dal giugno al dicembre 1940 - il periodo di maggiore crisi dell'impero britannico - solo che fosse stato approntato da tempo un piano strategico
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per tentare di neutralizzare il potere marittimo ed aereo inglese nel mare nostrum. Forse l'esistenza di una pianificazione strategica siffatta avrebbe potuto trattenere Mussolini dall'ordinare quella dispersione iniziale delle forze che si tradusse ovunque in gravi scacchi locali, uno dei quali poco mancò che non determinasse un vero e proprio immediato sfacelo nazionale morale e militare. La vacua offensiva delle Alpi occidentali, la strategicamente insignificante avanzata su Sidi e] Barrani, l'invio di aerei per il concorso alla battaglia d'Inghilterra e di sottomarini nell'Atlantico per il concorso alla lotta del traffico marittimo tra le due sponde dell'oceano e la campagna di Grecia furono una serie di interventi contrari ai princìpi ed al buon senso strategici, dovuti all'insipienza militare di Mussolini, ma avallati dal capo di stato maggiore generale e dagli stati maggiori di forza armata. Non si può negare che la campagna di Grecia avesse un contenuto politico e strategico-militare, ma l'averla intrapresa in quelle condizioni ed in quel momento fu un madornale errore di tecnica militare, la cui responsabilità non può essere attribuita solo a Mussolini, a Ciano, al comandante superiore delle forze armate di Albania, ma investe in pieno tutti i vertici militari del momento. Una diversa condotta della prima fase della guerra, meno dimentica dei principi elementari della strategia e meno priva di buon senso strategico, non avrebbe mutato probabilmente l'esito finale - la guerra fu soprattutto guerra di materiali e l'Italia non ne possedeva - ma avrebbe senza dubbi consentito sviluppi meno sfavorevoli ed umilianti delle operazioni e dell'intera guerra del Mediterraneo. All'impreparazione sul piano strategico ed alla mala condotta strategica delle operazioni iniziali si sommò quella sul piano tattico, dove la dottrina e gli ordinamenti in vigore nell'esercito fecero acqua da tutte le parti non appena si misurarono con la realtà sulle Alpi occidentali, in Africa settentrionale (avanzata italiana su Sidi e1 Barrani e prima controffensiva britannica) ed in Grecia. Fu necessario attendere il rientro a Roma del generale Cavallero (4) perché il Comando Supremo iniziasse a funzionare, e perché venisse elaborata una dottrina per l'impiego congiunto delle forze navali ed aeree fino ad allora del tutto inesistente - e fossero adottati provvedimenti per elevare la preparazione dei quadri e delle unità dell'esercito regolando diversamente la formazione degli ufficiali di complemento e dei comandanti di squadra. Sarebbe stato possibile, dopo le negative e tristi esperienze iniziali, fare qualcosa per cambiare, correggere, migliorare dottrina e ordinamenti? Quale fu al riguardo la politica seguita dallo stato maggiore dell'esercito? Durante la prima
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guerra moncliale il Comando Supremo aveva costantemente aggiornato, sulla base delle esperienze che era venuto via via facendo, criteri t· procedimenti d'impiego mediante ripetuti interventi espressi in memorie ed in circolari che, come abbiamo riferito nei capitoli XVIII e XIX, valsero a mantenere le unità operanti ad un alto livello di professionalità ed a migliorarne continuamente la capacità ed il rendi mento operativi. Anche nel settore degli ordinamenti e degli organici il Comando Supremo aveva a mano a mano introdotto moclifiche l ' varianti fino ad esperimentare, dopo Caporetto, una nuova formazione, rivoluzionaria per quei tempi, del battaglione di fanteria che non poté essere attuata poiché sopraggiunse la fine del conflitto. I )urante la seconda guerra mondiale, a parte gli interventi del Comando Supremo già accennati ed altri di minore rilievo, lo stato maggiore dell'esercito, pur non mancando in materia dottrinale cd ordinativa di emanare numerose circolari riguardanti argomenti specifici relativi soprattutto alla difesa costiera, contraerei e territoriale, si astenne dal modificare ufficialmente la regolamentazione tattica in vigore e dall'operare trasformazioni orclinative ed organiche di fondo ancorché ve ne fossero seri motivi e, ad esempio, la divisione binaria avesse sùbito mostrato la sua insufficienza concettuale ed organica riconosciuta e lamentata dallo stesso generale Cavallero nella campagna di Grecia. I motivi che indussero lo stato maggiore dell'esercito ad astenersi da riforme radicali ed a limitarsi ad interventi settoriali furono più di uno e non senza fondamento, sebbene qualcosa di più e di meglio sarebbe stato possibile fare almeno nel settore ordinativo. In primo luogo è da tenere presente la molteplicità dei teatri di guerra e degli scacchieri operativi nei quali l'esercito fu chiamato ad operare e conseguentemente la diversità dei criteri e dei proceclimenti di impiego relativi ai singoli ambienti. In secondo luogo occorre considerare che, fatta eccezione per le campagne delle Alpi occidentali e di Grecia nonché per le prime operazioni in Africa settentrionale, le forze terrestri si trovarono a combattere in stretto contatto con quelle tedesche, alla cui tattica era in un certo qual modo giocoforza adeguarsi il più possibile per non rendere ancor maggiore il disequilibrio operativo già di per sé notevolissimo in ragione della diversa disponibiltà ed efficacia dell'armamento, dei mezzi e dei materiali in dotazione alle une ed alle altre. In terzo luogo una nuova dottrina ed un nuovo ordinamento avrebbero conseguito risultati assai modesti, qualora non fossero stati corredati, se non dalla distribuzione di armi e di mezzi nuovi e più efficienti, quanto meno da un maggiore quantitativo di quelli già in dotazione, provvedimenti entrambi inattuabili.
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Si deve aggiungere che le forze operanti negli scacchieri operat1v1 oltre mare non dipendevano per l'impiego dallo stato maggiore del. l'esercito, ma dal Comando Supremo, mentre quelle inviate in Russia erano alle dirette dipendenze degli alti comandi tedeschi. Lo stato maggiore dell'esercito lasciò dunque liberi i comandi italiani di scacchiere e di armata di accettare, rifiutare e sostiture, modificare e adattare la dottrina ufficiale d'impiego sulla base delle proprie esigenze, mentre da parte sua non ristette di curare l'aggiornamento ed il completamento della regolamentazione, specialmente di quelle tecnico-tattica in vigore, regolandosi nello stesso modo anche in materia ordinativa ed organica, dove viceversa sarebbe stato necessario ed opportuno, almeno nei riguardi delle unità della madrepatria, introdurre riforme e cambiamenti diretti a coprire le tante aree depresse ai vari livelli delle formazioni indipendentemente dalla possibilità di fornirle di armi e mezzi nuovi, in quanto, ad esempio, meglio sarebbe stato ridurre il numero delJc grandi unità e costituire le restanti su formazioni operativamente più consistenti, piuttosto che mantenerne un numero maggiore con grado di operatività e con livelli di forza del tutto inadeguati alle esigenze di fuoco e di mobilità che la guerra veniva indicando su tutte le fronti come essenziali e prioritarie.
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Le pubblicazioni riguardanti l'impiego e la tecnica d'impiego furono dal 1940 al 1943 assai poche (5) e trattarono solo argomenti particolari, più tecnici che tattici, riferiti soprattutto ad unità e reparti di nuova specializzazione quali le formazioni paracadutisti, i guastatori di fanteria, i cacciatori di carri, i reparti lanciafiamme, i reparti chimici. Nulla mutò, invece, rispetto al passato, nei riguardi delle pubblicazioni di carattere tecnico - istruzioni tecniche sull'impiego, la manutenzione e la conservazione delle armi e dei mezzi e dei materiali (6); le tavole di tiro numeriche e grafiche (7); i cataloghi dei materiali di gruppo « C » (8); i quaderni di caricamento (9) - che continuarono a vedere la luce come nei periodi precedenti, anzi con ritmo più sostenuto anche per l'acquisizione dei mezzi di preda bellica per i quali si rendeva necessario fornire una documentazione provvisoria circa il loro funzionamento e le loro prestazioni ottimali. Particolare cura venne posta nell'elaborare e diramare «manuali» (10) per gli ufficiali richiamati dal congedo e per gli specializzati e nel
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ristampare nuove edizioni aggiornate dei regolamenti di tecnica di impiego, di tecnica addestrativa o d'impiego delle armi e dei mezzi, quali, ad esempio, i due volumi sull'addestramento della fanteria dell'edizione 1939, il regolamento per l'addestramento al tiro, quello riguardante l'aerocooperazione, quello relativo all'impiego delle artiglierie contraerei e molti altri che elenchiamo in nota. La semplice elencazione di tutte le pubblicazioni, edite nel periodo considerato dallo stato maggiore dell'esercito e dagli altri organi centrali tecnicooperativi e tecnico-amministrativi, dà la misura del lavoro accurato, costante ed intenso compiuto per ottenere dal personale e dai materiali il massimo possibile del rendimento. Non minore l'attenzione e la tempestività nell'aggiornare o nel completare la regolamentazione di carattere disciplinare e penale (11), procedurale (12), logistica (13), amministrativa (14), scolastica (15) e territoriale (16). Gli organi centrali, insomma, fecero del tutto per facilitare e favorire il lavoro tecnico ed amministrativo delle unità operative e di quelle territoriali ed è questo un aspetto da non sottovalutare perché non rimase privo di risultati ai fini di una migliore organizzazione e di un più spedito funzionamento, oltre che di un migliore rendimento, dei comandi, delle unità e dei servizi. Certo una completa ed aggiornata regolamentazione tecnica ed amministrativa dei vari settori non basta da sola, né in pace né in guerra, a conferire efficienza ed operatività all'intero complesso militare ed ai suoi vari elementi costitutivi, ma senza di essa l'organismo, che era già di per sé assai debole in quel periodo, avrebbe accusato una maggiore sofferenza ed un maggiore disorientamento intellettuale e pragmatico. Nell'esaminare sommariamente le varie campagne condotte dall'esercito italiano autonomamente o in cooperazfone con le forze tedesche avremo modo di rilevare dove, come e perché la dottrina tattica ufficiale si palesò inadeguata alla realtà della guerra e di accennare ai correttivi introdotti dai comandanti di scacchiere e di armata per limitare i danni derivanti da essa e soprattutto dagli ordinamenti ed organici sui quali poggiava, ma occorre precisare fin d'ora che per quanto si riferì alle unità carriste le pubblicazioni « Impiego delle unità corazzate » e « Impiego del raggruppamento esplorante corazzato (R.E.Co) », edite dallo stato maggiore dell'esercito nel 1941 e facenti seguito a quella« Impiego delle unità carriste » edita nel 1939, si palesarono rispondenti e valide ed i criteri ed i procedimenti in esse contenuti superarono brillantemente il loro collaudo nel quadro delle operazioni condotte dall'armata italo-tedesca in Africa Settentrionale. Sul piano tattico, nonostante l 'inferiorità qualitativa dei
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mezzi, le divisioni corazzate italiane, soprattutto l'Ariete, non furono da meno delle divisioni corazzate tedesche in fatto di criteri e di modalità d'azione ai quali si attennero fin dalla loro entrata in linea in conformità di quelli sanciti dalla citata pubblicazione. Nello scacchiere dell'Africa Settentrionale la convivenza di divisioni corazzate e mobili da una parte e di divisioni di fanteria poco meno che interamente appiedate dall'altra costrinse il comando superiore ad un compromesso dottrinale, condizionato anche da alcune divergenze con il comando dell'Afrika Korps, per il quale, ferma restando nelle sue linee essenziali la dottrina ufficiale circa l'impiego delle divisioni corazzate e mobili, le divisioni di fanteria vennero ridotte a poco più di grandi unità di arresto con capacità offensiva ancora più ridotta di quanto non fosse già di per sé quella delle divisioni binarie. Il compromesso fu dettato da due fattori principali: il terreno e la mancanza di mobilità delle divisioni di fanteria . La manovra, nella sua fase conclusiva, poteva essere compiuta solo da forze mobili anche nel caso eccezionale che la fanteria fosse autoportata fino sul campo tattico per poi muovere a piedi. La fanteria, ancorché autoportata, se non provvista di mezzi idonei a muovere celermente fuori strada ed a manovrare, cadeva preda dei mezzi corazzati e blindati avversari senza possibilità di scampo se non appiedando ed interrandosi. L'attacco, perciò, non poteva essere condotto che da forze corazzate e blindate. Da qui ]a rinunzia alla costituzione di unità di fanteria bivalenti, capaci cioè di attaccare e di difendere, e l'assegnazione a1le divisioni di fanteria, ancorché autoportate, dei compiti preminenti dell'occupazione e della difesa delle posizioni. Nell'attacco delle forze corazzate contro unità similari tutta l'azione era propria di tali unità articolate su più scaglioni, normalmente due, dei quali il primo doveva comprendere anche semoventi di vario calibro, veloci, potenti, capaci di erogare fuoco rapidissimo a tiro diretto e, nel caso che l'azione contro unità similari si fosse dovuta concludere con l'occupazione ed il mantenimento di posizioni, la fanteria autoportata avrebbe assunto tale ultimo compito per il quale era necessario che fosse dotata di un imponente armamento difensivo controcarro e fosse bene addestrata all'esecuzione rapida di lavori di fortificazione campale ed alla posa di ostacoli anticarro. Qualora l'attacco delle unità carriste fasse diretto contro fanterie organizzate su posizioni difensive, l'azione delle truppe corazzate e blindate doveva essere preceduta dalla preparazione dell'artiglieria e dell'aviazione con fuoco di controbatteria e di spianamento diretto anche a creare varchi nei campi minati ed a disorganizzare in generale la dift:sa. Gli artieri dovevano procedere al disar-
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mo delle mine ed i guastatori ad assicurare la transitabilità dei carri armati rimuovendo fortificazioni superstiti e rendendo transitabile l'eventuale fosso anticarro. Avveniva poi l 'irruzione dei carri armati, mentre l'artiglieria semovente svolgera tiri di appoggio e controcarro. Le fanterie autoportate dovevano quindi completare il successo con la presa di possesso della posizione, l'eliminazione delle resistenze residue, il rastrellamento e la sistemazione a difesa della posizione stessa. Nell'azione difensiva su posizioni organizzate la fanteria e l'artiglieria campale avevano il compito principale di opporsi alle forze corazzate nemiche e di costituire perni di manovra per i contrattacchi delle forze corazzate amiche. In entrambi le azioni - offensiva e difensiva - elemento determinante del successo era la potenza del fuoco per cui il numero ed il tipo dei carri armati, dei semoventi e delle artiglierie in genere, le gittate dei pezzi, Ja celerità di tiro, la precisione, la capacità di penetrazione del colpo singolo, la manovrabilità erano i principali elementi da valutare per condurre le operazioni e per guardare con fiducia al successo. Le artiglierie campali italiane avevano scarsa mobilità e limitata potenza e, di conseguenza, si trovavano in difficoltà di fronte alla necessità dei rapidi spostamenti e male si adattavano all'impiego contro bersagli vari e mutevoli. In più l'ampio sviluppo degli schieramenti difensivi e la corta gittata dei pezzi costringevano al disseminamento delle batterie su vasta zona ed alla loro proiezione in avanti. A proposito dell'impiego dell'artiglieria, il comando superiore delle forze armate italiane dell'Africa Settentrionale richiamava nelle sue direttive i principi tradizionali con i concetti dell'organizzazione del tiro, della manovra del fuoco e dell'appropriato schieramento degli osservatori, ma tali concezioni trovarono ostacolo nella necessità cli decentrare le artiglierie divisionali e addirittura di frazionarle per batterie, sezioni o pezzi singoli al fine di poter fronteggiare le irruzioni delle forze corazzate nemiche agendo a puntamento diretto e a distanza utile. A tale riguardo vi era una diversa valutazione da parte italiana e da parte tedesca, la quale ultima subordinava la possibilità della manovra di fuoco a quella dell'azione controcarri ritenuta preminente. Le direttive tattiche del comando superiore italiano, comunque, erano sempre a favore dell'impiego del fuoco a massa e del mantenimento dell'unità organico-tattica dei gruppi e delle batterie e dirette a conciliare le opposte esigenze mediante la costituzione di caposaldi di artiglieria sul rovescio di quelli di fanteria ed a distanza variabile da questi per poter eseguire tanto tiri isolati controcarro quanto quelli a massa, a seconda degli obiettivi da battere e dei tratti di fronte da
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rnprirc , integrando, quando possibile, lo schieramento delle artiglierie organiche divisionali, incaricate della duplice azione di fuoco, con batterie di rinforzo schierate secondo il concetto di consentire la manovra del fuoco su tutto il settore divisionale e nelle zone di saldatura con le grandi unità laterali. La riduzione della divisione di fanteria a grande unità di.arresto, oltre che una diversa configurazione tattica delle unità costitutive, comportò una diversa concezione del suo schieramento in difesa stante il tipo di nemico da fronteggiare (principalmente unità corazzate e mobili) ed il tipo di terreno su cui investire la difesa stessa (mancanza di appigli naturali). Il caposaldo, che non era una figura tattica del tutto nuova, ma che fino ad allora era stato inteso soprattutto come una semplice concentrazione di potenza su determinate posizioni essenziali nel quadro di una fascia di difesa continua, divenne l'elemento concettuale primario di un nuovo sistema difensivo che, rinunziando alla rigida continuità della linea, ricercò la capacità di arresto e di tesistenza in blocchi di forze, variamente costituiti ed articolati, disposti in profondità, finché possibile tatticamente cooperanti, ciascuno in grado di difendersi a giro di orizzonte. La difesa a caposaldi sostitul quella a fascia e la regolamentazione difensiva ufficiale divenne, nella seconda metà del 1941, nello scacchiere operativo dell'Africa Settentrionale lettera morta, mentre quella offensiva aveva già dimostrato la sua vacuità nelle precedenti campagne delle Alpi occidentali e di Grecia, come vedremo più avanti. Il sistema di difesa a caposaldi regolamentato dal comando superiore delle forze armate italiane in Libia non fu un'invenzione immediata ed originale di tale comando, ma, sebbene in parte mutuata dall'8"' armata britannica ed in parte quasi dettata dalle caratteristiche proprie della lotta in quello scacchiere, costitui pur sempre un salto concettuale di qualità di grande rilievo nell'evoluzione del pensiero militare italiano. L'ispirazione alle concezioni offensive tedesche, già evidenti nella citata pubblicazione dello stato maggiore dell'esercito sull'impiego della divisione corazzata, ed a quelle difensive inglesi circa il sistema difensivo a caposaldi non fu ciononostante una pura e semplice trasposizione di criteri e procedimenti altrui nella dottrina e nella prassi dell'esercito italiano, ma piuttosto una vera e propria rielaborazione originale di concetti e di modalità, fatta alla luce della realtà della guerra, tanto diversa da quella pensata nel 1938, ma meno distante di quanto non si possa credere di primo acchito da quella intravista nella precedente regolamentazione tattica dei primi anni trenta ed in nuce esperimentata durante la guerra civile spagnola alla quale avevano preso parte molti
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lt·i comandanti e degli ufficiali che redassero la pubblicazione sulla divisione corazzata e che ebbero il comando delle forze operanti nel1'Africa settentrionale negli anni 1941 e 1942. Le nuove formule tattiche, rapidamente assimilate dalle unità, 1 idonarono a queste fiducia e, se alla validità della teoria avesse corri!iposto la sufficienza quantitativa e qualitativa dei mezzi reali, le forze 1111lianc operanti in Africa settentrionale avrebbero potuto riorganiz.111n:i molto meglio su basi meno vulnerabili. Ciò non fu reso possibile d11 ll a indisponibilità di materiali e dalle enormi perdite di naviglio nwrcantile, ma resta il fatto del superamento delle concezioni e degli ~ll'hemi del passato; un superamento che, se nulla poté alla fine contro 111 strapotenza materiale delle forze degli alleati, dimostrò la duttilità 1· In rapidità con le quali le forze italiane operanti nello scacchiere •,i·ppero porsi alla pari con quelle dell'alleato tedesco e con quelle 1H· m iche.
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3. Al radicale mutamento dei criteri e procedimenti d'impiego si ,111 uwpagnò una non meno profonda trasformazione dell'ordinamento 1111tico delle unità operanti nello scacchiere che vennero distinte in I re blocchi di forze: uno costituito dalle divisioni corazzate, uno dalle divisioni di fanteria motorizzata, il terzo dalle restanti divisioni di f 11ntcria (17). Scartato il concetto di contrarre il numero delle divisioni per motivi morali - si sarebbero dovute sciogliere divisioni che non nvcvano certo fino ad allora demeritato e che anzi avevano arricchito 1 ·d aumentato il patrimonio delle loro ottime tradizioni ed anche per non dare all'avversario la sensazione di una riduzione di forze, il comando superiore italiano dello scacchiere, d'accordo con quello tedesco, senza neppure attendere la preventiva autorizzazione delle autorità centrali, dispose che, utilizzando l'armamento disponibile, le divisioni assumessero le formazioni A.S. 42 derivate da quelle stabili te dallo stato maggiore dell'esercito per la divisione motorizzata /1.. S., ma con adattamenti suggeriti dalle nuove concezioni d'impiego e dalla situazione reale, riunziando alla motorizzazione anche relativa prevista dalle tabelle organiche della divisione motorizzata A.S .. Nessuna delle divisioni, neppure l'Ariete e la Trieste, raggiunse poi la completezza delle nuove formazioni, né in personale né in mezzi, come vedremo più avanti, ma qui interessa soltanto esaminare i concetti informatori del nuovo ordinamento, indipendentemente dalla misura
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in cui poté essere concretamente attuato. Le divisioni conservavano tlltte indistintamente la struttura binaria originaria, ma con differenze notevoli rispetto alle precedenti tabelle organiche. La costituzione organica della divisione corazzata rimaneva nelle sue linee fondamentali quella stabilita dallo stato maggiore dell'esercito, fatta salva l'assegnazione organica in più di un battaglione semoventi. da 47 /32 e di un battaglione autoblinde per conferirle capacità di esplorazione tattica ed incremento di fuoco controcarro. Nella costituzione organica della divisione motorizzata vennero inseriti un battaglione carri M ed un battaglione autoblinde, mentre per tutto il resto essa assumeva una costituzione organica simile a quella delle divisioni di fanteria, ma con i battaglioni su 3 anziché su 4 compagnie e con in proprio un autogruppo divisionale per il trasporto delle unità non motorizzate; in pratica più che una divisione motorizzata appariva ancora come una divisione autoportata in attesa di poter avere ogni suo elemento con mezzi protetti e cingolati in proprio. Nella divisione <li fanteria la <lifft:renza maggiore rispetto alla costitlliione precedente consisteva nella diversa distribuzione delle armi controcarro e di accompagnamento, le quali mentre nella precedente formazione erano accentrate nelle quarte compagnie di ciascun battaglione e nei battaglioni controcarro e di accompagnamento divisionali, nelle nuove venivano decentrate in ciascuna compagnia di ciascun battaglione di fanteria e veniva nel complesso aumentato l'armamento controcarro della fanteria, talché nella divisione, che comprendeva 6 battaglioni ciascuno su 4 compagnie, si avevano 144 armi controcarro oltre quelle del reggimento di artiglieria; alle dipendenze del comando di reggimento restava solo la compagnia mortai da 81. Altre differenze a fattore comune di tutti e tre i tipi di divisione erano: l'inclusione del generale vice-comandante nel comando della divisione e l'abolizione dei comandanti di brigata (divisione corazzata) e dei comandanti della fanteria divisionale (divisione di fanteria motorizzata e divisione di fanteria); l'assegnazione di un gruppo da 88/55 (o da 75 o da 90/53) su 3 batterie a ciascun reggimento di artiglieria divisionale per l'impiego controcarro e contraerei; l'abolizione della compagnia motociclisti divisionale. I concetti informatori delle nuove formazioni furono, dunque, l'incremento della capacità controcarri ed il miglioramento del rapporto fanteria-artiglieria a favore di quest'ultima, mentre la costituzione della compagnia di fanteria - su 1 squadra comando, 1 plotone fucilieri, 1 plotone mitraglieri, 1 plotone controcarri da 20 o da 25, 1 plotone controcarri da 47 /.32, con 5 ufficiali, 12 sottufficiali, 111 uomini di truppa, 6 fucili mitraglia-
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tori, 3 rnitragliatrci, 3 pezzi da 20 o 25, 3 pezzi da 47 /32 e solo 3 1111locarti pesanti - risultava tale non solo da legare l'unità al solo rnmpito difensivo, ma di negarle a priori ogni possibilità di un rapido l ras ferimento e addirittura di un movimento a piedi di una qualche 110Lcvole lunghezza. Ciò concorse, congiuntamente con altre contingenze, alla perdita di tutte le divisioni di fanteria, cui non giunsero i necessari rinforzi di automezzi, durante la battaglia di el Alamein della fine ottobre e inizio novembre del 1942. Vi era perciò piena aderenza, sul piano concettuale, tra le nuove concezioni d'impiego ed il nuovo ordinamento ed i nuovi organici, ma ciò che merita di essere sottolineato non è tanto questo aspetto - in definitiva le nuove concezioni tattiche ed i nuovi ordinamenti erano peculiari del particolare scacchiere seppure condizionati dalla insufficienza dei mezzi - quanto il fatto positivo dello sforzo compiuto d al comando italiano di scacchiere per riordinare le forze disponibili in relazione alle nuove esigenze d'impiego, uno sforzo ben più grande e rivoluzionario di quelli effeuuati dallo stesso stato maggiore dell'esercito e dai comandanti delle armate italiane operanti negli altri scacchieri. L'ordinamento A.S. non ebbe solo significato locale e contingente, ma costituì successivamente, anche nel dopoguerra , un punto concettuale ben fermo ai fini della ricostituzione dell'esercito, diversamente dagli interventi dottrinali e ordinativi operati altrove dalle autorità centrali e periferiche. Ed è per il carattere peculiare di modernità e di rispondenza alla nuova fisionomia della lotta sui terreni ad elevato indice di scorrimento che ci è sembrato conveniente premettere alla narrazione delle varie campagne il breve discorso che siamo venuti facendo nel presente capitolo inteso a mettere in luce che, nonostante il sia pure in parte giustificato riserbo in materia dottrinale delle autorità centrali per tutta la durata della guerra e nonostante il mancato riordinamento generale delle forze, assai meno scusabile, che pur si sarebbe dovuto e potuto compiere, l'esercito italiano in breve tempo, soprattutto nello scacchiere del1'Africa settentrionale, ma anche sul fronte russo ed altrove, si pose sul piano concettuale quanto meno all'altezza dell'alleato e del nemico e non dette segni di arretratezza culturale e professionale, ancorché gli mancassero i mezzi per attuare le idee. Non riteniamo di fare torto agli altri comandanti di armata se omettiamo di ricordare quanto essi fecero nei riguardi delle proprie unità - in particolare in Russia, in Tunisia, in Sicila - per migliorarne l'impiego tattico e le formazioni organiche delle forze e ci limitiamo a ricordare che essi non mancarono di intervenire al
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riguardo pur nei limitatissimi e modesti confini delle loro possibilità. D'altra parte la loro attività di comando risulterà meglio evidente dalla sommaria descrizione delle campagne che diressero chi con maggiore chi con minore preoccupazione per le questioni dottrinali e ordinative, mentre non abbiamo rinvenuto documenti persuasivi e non abbiamo trovato spiegazioni sufficienti a dirimere le perplessità che nascono dall'immobilismo ordinativo del Comando Supremo e dello stato maggiore dell'esercito che continuarono per tutta la durata della guerra a riferire i loro calcoli al numero delle divisioni più che alla efficienza operativa di queste (18), nonostante la pressoché generale sfiducia nella formazione binaria. Il numero delle divisioni, eccezione fatta per quelle costiere, dell'ordinamento del 9 maggio 1940 (19) venne sì nel tempo diminuendo di alcune unità, ma ciò dipese dagli eventi bellici nei quali alcune di esse furono coinvolte non già da ripensamenti delle autorità centrali che anzi si preoccuparono di ricostituire quelle che erano andate distrutte o semidistrutte, tanto che 1'8 settembre 1943: in Albania, Erzegovina, Montenegro, Grecia ed Egeo esistevano 21 divisioni di fanteria, 1 alpina e 2 brigate (1 costiera, 1 speciale); nei territori occupati (Provenza, Corsica, Croazia e Slovenia) 13 divisioni di fanteria, 1 divisone di occupazione, 1 divisione alpina, 2 divisioni celeri, 2 brigate costiere; in Italia 14 division di fanteria di cui 1 motorizzata, 3 divisioni alpine, 1 divisione paracadutisti, 2 divisioni corazzate, 1 divisione celere, 12 divisioni costiere, 5 brigate costiere, 1 raggruppamento corazzato. Delle 50 divisioni di fanteria (di cui 1 motorizzata, 1 paracadutisti, 1 di occupazione), delle 5 divisioni alpine, delle 3 divisioni celeri, delle 2 divisioni corazzate, gran parte erano in ricostituzione od in corso di completamento ed in particolare si trovavano in una di queste due situazioni 5 divisioni di fanteria, 3 divisioni alpine, 1 divisione celere, 1 corazzata, tutte dislocate nel territorio della penisola. L'aver voluto mantenere in vita un numero così elevato di divisioni di fanteria ed alpine, peraltro prive di mobilità strategica e tattica, con una potenza di fuoco assai modesta, quasi senza appoggio aereo ravvicinato, fu, a nostro avviso, un errore d'impostazione concettuale assai grave, rivelatore del persistere, ancora nell'estate del 1943, della mentalità degli otto milioni di baionette che non fu peculiare di Mussolini, ma comune a gran parte dei vertici militari. Indipendentemente da ogni considerazione di strategia politica e militare e di tecnica operativa, la sola insufficienza quantitativa e qualitativa delle armi, dei mezzi e dei materiali sarebbe dovuta bastare ad orientare le autorità centrali alla riduzione del numero delle divisioni, concentrando su
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qrn·llc da lasciare in essere quanto vi era di disponibile per aumentarne I'd ficienza. La spiegazione dell'opposizione del Comando Supremo 1<'<k·sco alla riduzione del numero delle divisioni può avere un certo v11 lore, benché relativo, per le forze direttamente dipendenti dal Co11111 ndo Supremo italiano (Albania, Erzegovina, Montenegro, Grecia n l Egeo) e forse, ma in misura ancor meno sensibile, per quelle dii.locate nei territori occupati (Francia, Croazia, Slovenia), ma non vu lc per le grandi unità dislocate nel territorio della madrepatria, dove ancora nel settembre del 1943 venivano mantenuti in vita , rnnandi senza truppe e unità i cui resti non avevano nessun signifi, ,,1 0 operativo.
4. Chiudiamo questo breve capitolo introduttivo delle operazioni dl'll'esercito italiano durante la seconda guerra mondiale con un cenno /1/'r memoria al problema della difesa costiera, che non ebbe una 1,oluzione convincente neppure per quel tempo né sul piano dottri11,tlc né su quello ordinativo. Lo schieramento a cordone lungo i lito1·:11 i della penisola e delle isole stimati più minacciati, necessariamente proiettato sul davanti per l'indisponibilità di consistenti riserve mohil i, là dove venne investito non resse alla prova, ancorché alcune 11nità costiere si batterono con perizia e valore. Alle 19 divisioni ed nlle brigate costiere che vennero costituite per la sorveglianza e la difesa dagli sbarchi dal mare furono assegnati compiti ambiziosi e quasi velleitari, al di sopra comunque delle stesse reali esigenze e soprattutto delle ragionevoli possibilità di adempimento. Non è il senno di poi che palesa l'insufficienza tecnico-operativa della concezione ed organizzazione della difesa costiera italiana, ideata ed attuata dallo stato maggiore dell'esercito e lasciata vegetare nel tempo anche dopo che la potenza aerea e navale alleata aveva manifestato l'ampiezza della sua portata con gli sbarchi del novembre 1942 sulle coste dell'Africa settentrionale occidentale, ma piuttosto il buon senso slrategico e tattico. La sperequazione tra la lunghezza delle coste da sorvegliare e da difendere e le forze da potervi destinare non avrebbe potuto consentire che la messa in essere di un sistema di avvistamento, vigilanza, segnalazione e primo contrasto - affidato ai comandi della difesa territoriale o dei corpi d'armata in zona - rivolto soprattutto n parare le minacce dei piccoli sbarchi e dei commando, mentre contro
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sbarchi più consistenti, ma pur sempre limitati, avrebbero dovuto essere previste limitate forze settoriali autoportate e opportunamente dislocate per intervenire tempestivamente ed offensivamente nei tratti interessati del necessariamente ampio settore costiero assegnato a ciascun complesso di esse. Alla mancanza di forze autoportate, o meglio dei mezzi di trasporto, s'intese in qualche modo supplire mediante lo schieramento avanzato delle riserve che poi tali non erano sia perché orientate soprattutto ad arrestare o contenere le forze sbarcate, sia perché incapaci di svolgere un'azione ritardatrice manovrata, sia perché diluite fin dall'inizio su fronti ampissime. Le divisioni e le brigate costiere - alcune costituite addirittura nei mesi di luglio e di agosto del 1943 - erano superiori alle strette esigenze dell'avvistamento, vigilanza, segnalazione e primo contrasto, mentre erano estremamente inferiori a quelle della resistenza, del contenimento o della manovra ritardatrice anche di fronte ad uno sbarco nemico di proporzioni limitate. L'avvistamento e la segnalazione di un grande sbarco non potevano essere attribuiti che alle forze aeree, mentre per i compiti di respingerlo, ributtare a mare le forze eventualmente sbarcate e ripristinare la disponibilità della costa occorreva l'afflusso di grandi unità organiche di pronto intervento poste alle dipendenze dei corpi d'armata di manovra. Senza dubbio lo stato maggiore dell'esercito non aveva chiara una siffatta visione del problema e in più mancava delle forze e dei mezzi. Ciò non toglie che l'arrangiamento al quale ricorse contraddisse il principio dell'economia delle forze, non garanti minimamente l'integrità e la sicurezza del territorio nazionale, moltiplicò il numero dei comandi e delle unità oltre tutto sfiduciati perché consapevoli della loro pochezza di fronte all'importanza e gravosità dei compiti. Non riusciamo ad immaginare che lo stato maggiore dell'esercito abbia ritenuto operativamente credibile la soluzione adottata; d'altra parte non possiamo dire che questa fu un modo di coprire le responsabilità dando a vedere che qualcosa era stato fatto per fronteggiare le eventuali aggressioni dal mare, perché ne dovremmo dedurre una malafede che niente prova sia esistita nell'organo di comando dell'esercito. L'errore probabilmente dipese dalla maturata mentalità di sentirsi maggiormente tranquilli in una situazione di continuità della linea difensiva anche a costo di un esasperata diluizione delle forze. Resta il fatto che allora - ancor più oggi - un esercito che ha il compito di guardare e difendere 7500 km di coste, comprese quelle delle isole, mentre deve garantirsi da sorprese piccole e grandi mediante un sistema di avvistamento, sorveglianza e segnalazione che
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lt- copra per intero e continuativamente - e questo fu realizzato H I fficientemente anche allora nei riguardi degli sbarchi e delle 11m,1rcssioni di una certa consistenza, non può fare affidamento che 111, forze organiche mobili, dislocate a distanza utile per un intervento nffcnsivo tempestivo a ragion veduta. Furono la insufficienza di tali lot"'t.c, in uno con quella delle forze navali ed aeree, ed il ritardo con Il quale giunsero quelle disponibili, che consentirono l'affermarsi drllc due grandi teste di sbarco anglo-americane in Sicilia, delle quali, 11111lgrado ciò, almeno una corse il rischio di doversi reimbarcare.
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NOTE AL CAPITOLO XXXI C (1) Stato Maggiore dell'Esercito - Ufficio Storico, Verbali delle riunioni tenute dal Capo di Stato Maggiore Generale, voi. I (26 gennaio 1939 - 29 dicembre 1940). Roma, Tipografia Atena, 1982, pp. 54. (2) Ibidem, da p. 1 a p. 120. (3) Vds. cap. XXl, nota n.
(4) Ugo Cavallero, Comando Supremo - Diario 1940-43 del Capo di Stato Maggiore Generale. Cappelli editore, Rocca San Casciano, 1948, ma soprattutto documentazione originale e <..-ompleta del Comando Supremo custodita negli archivi dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (5) Addestramento dell'aviazione da osservazione per il R. Esercito. Fase. I . Addestramento all'aerocooperazione (circ. n. 27, 17-1-1940, G.M. 1940, p. 27). Mant111letto per specializzati. L'esplorazione delle truppe celeri (circ. n. 40, 24-1-1';140, G.M. 1940, p. 84). Circolare n. 700 - 1-VI-1940. Norme d'impiego per le artiglierie contraerei campali (circ. n. 604, 7-VIIl-1940, G.M. 1940, p. 1976). Circolare n. 3000 del 30-VI1Il940. Norme per i tiri di efficacia (circ. n. 822, 6-XI-1940, G.M. 1941, p. 822). Organà.zazione e impiego tattico dei reparti paracadutisti (circ. n. 840, 13-XI-1940, G.M. 1940, p. 2812). Circolare n. 5000 - allegato 3 - Addestramento al tiro individuale - Roma, 8 marzo 1940 (circ. n. 174, 5-III-1940, G.M. 1940, p. 542). Addestramento pe le esercitazioni di autocolonna (circ. n. 262, 2-IV-1941, G.M. 1941 , p. 805). Prima ristampa dell'addestramento della fanteria - Voi. II - Impiego e addestramento tattico (circ. n. 292, 9-IV-1941 , G.M. 1941, p. 915). Memoria suli'organiZZ11zione e sull'azione del genio ,n guerra. Appendice (circ. n. 436, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1331 ). Addestramento dei guastatori di fanteria. Norme provvisorie di addestramento tattico e di impiego (circ. n. 526, 2-VIl-1941, G.M. 1941, p. 1528). Prima ristampa della pubblicazione. Addestramento della fanteria. Voi. I. Istruzione formale individuale e di reparto (circ. n. 450, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1347). Quarta serie di aggiunte e varianti alla I struzio11e a cavallo e addestramento ippico per l'arma di cavalleria (circ. n. 451, 4-VI-1941, G.M. 1941 , p. 1346). Prima serie di aggiunte e varianti all'Addestramento della fanteria. Voi. I. Istruzione formale (individuale e di reparto) (circ. n. 561, 16-VII-1941, G.M. 1941, p. 1705). Regolamenti ed istruzioni relative all'arma di artiglieria (circ. n. 101, 4-II-1942, G.M. 1942, p. 254). Istruzione per la ginnastica militare (circ. n. 35, 24-VIIl-1941, G.M. 1942, p. 92). Istruzione a cavallo e addestramento ippico per l'arma di cavalleria - Prima ristampa aggiornata dell'edizione 1936 (circ. n. 9, 24-XII1941, G.M. 1942, p. 28). Prima serie di aggiunte e varianti all'istruzione sulla fortificazione campale. VoJ. I - comune a tutte le armi (circ. n. 595, 26-VIII-1942, G.M. 1942, p. 1931). Addestramento della fanteria. Vol. I. Istruzione formale - individuale e di reparto - ed. 1939 (circ. n. 868, 16-XII-1942, G.M. 1942, p. 3058). Memoria sull'appro11tammto degli ostacoli anticarro (circ. n. 306, 30-XU-1 942, G.M. 1942, p. 3149). Addestramento dei carristi. Istruzione tecnica individuale. Istruzione formale e addestramento tattico (circ. n. 250, 25-HI-1942, G.M. 1942, p. 775). Istruzione sugli aggressivi chimici e sulle nebbie artificiali (circ. n. 200, ll-IIl-1942, G.M. 1942, p. 511). Jmpiegn t'd
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,11/Jestramento dei reparti chimici (circ. n. 556, 5-VIII-1942, G.M. 1942, p. 1766). I111piego e addestramento dei cacciatori di carri. Ed. 1942 (circ. n. 62, 3-11-1943, G.M. I 'J.13, p. 153 ). Istruzione per l'addestramento e l'impiego delle unità lanciafiamme. Impiego ed addestramento tattico. Ed. 1943 (circ. n. 435, 30-VI-1943, G.M. 1943, p , 1398). Idem. Il materiale ed il suo uso. Fase. I. Lanciafiamme spalleggiato mod. 35. /!d. 1943 (circ. n . 436, 30-VI-1943, G.M. 1943, p . 1399). Idem. Fase. II. Lanciafiamme 11111/leggiato mod. 40. Ed. 1943 (circ. n. 437, 30-VI-1943, GM. 1943, p. 1399). Idem. /111.rc. III. Landafia,mne spalleggiato mod. 41. Ed. 1943 (circ. n. 438, 30-VI-1943, G.M. 1°)43, p. 1400). Prima serie di aggiunte a varianti alla Memoria sull'approntamento ,le-gli ostacoli anticarro (circ. n. 539, 18-VIII-1943, G.M. 1943, p. 1666). Addestra111,·1110 tattico degli zappatori di fanteria. Stralcio dell'A.F. Parte II. Impiego e adde1/ra111ento tattico (circ. n. 176, 10-III-1943, G.M. 1943, p. 445). Nuovi procedimenti 11rr l'azione immediata (circ. n. 313, 12-V-1943, G.M. 1943, p. 958). Norme di sicurr-ua da osservare nella esecuzione di tiri con le armi di fanteria (circ. n. 451, 7-VII1'14 }, G.M. 1943, p. 451). (6) Addestramento dell'artiglieria. Prima serie di aggiunte e varianti al Vol. V. I ,tm zione per i reparti specialisti. Parte 1"'. Servizio di osservazione (circ. n. 16, 31-11140, G .M. 1940, p. 21). Prima serie di aggiunte e varianti al Val. I. Addestramento ,/,•/ pezzo. Fase. Obice da 100/17 mod. 16. Parte 2•. Servizio del Jeuo. Ed. 1934 (, ire. n . 62, 31-1-1940, G.M. 1940, p. 151). Prima serie di aggiunte e varianti al Vol. I. /ltldcstramento del pezzo. Fase. Obice da 149/13. Parte 2"'. Servizio del pezzo. Ed. 1934 /Lire. n. 63, 31-1-1940, G.M. 1940, p. 152). Prima serie di aggiunte e varianti al Vol. I. '1ddcstramento del pezzo. Fase. Cannone da 105 /28. Parte 2"'. Servizio del pezzo. Ed. /'114 (circ. n. 82, 7-II-1940, G.M. 1940, p. 196). Val. I. Addestramento del pezzo. Fase. ( ){,ice da 149/13. Parte 4". Caricamenti. Quaderno dei materiali di una batteria di ,,/,id da 149/13 (circ. n. 124, 28-II-1940, G.M. 1940, p. 326). Prima serie di aggiunte 1· uarianti alla pubblicazione 2944. Vol. V. Istruzione per i reparti specialisti. Parte 3". Scruhio Aerologico. Ed. 1935 (circ. n. 147, 1-III-1940, G.M. 1940, p. 373). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Mortaio da 210/8 D.S. Parte 4" Caricamenti. Materiali di 11na balleria di mortai da 210/8 D.S. (circ. n. 149, 6-III-1940, p. 374). Vol. I . Addertramento del pezzo. Fase. Cannone da 152/45. Parte 1°. Istruzione sul materiale e ,11/l,: munizioni (circ. n. 171, 13-III-1940, G.M. 1940, p. 419). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 149/35. Parte l". Istruzione sul materiale e sulle munizioni (circ. n. 304, 1-V-1940, G.M. 1940, p. 807). Prima serie di aggiunte e varianti al Vol. I . Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 75/13. Parte 111• Istruzione sul materiale (circ. n. 523, 17-VIII-1940, G.M. 1940, p. 1698). Val. I . Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 149/35. Parte 2". Servizi al pezzo (circ. n. 544, 24-Vll-1940, G.M. 1940, p. 1786). Prima serie di aggiunte e varianti al Vol. I. Addestramento del pezzo. Pasc. Obice da 75/13. Parte 2 4 • Servizio del pezzo (circ. n . 545, 24-VII-1940, G.M. 1940, p. 1737). Vol. T. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 152/13. Parte 2°. Servizio del pezzo (circ. n. 603, 7-VIII-1940, G.M. 1940, p . 1975). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 65/17. Parte 2•. Servizio del pezzo (circ. n. 605, 7 VIII-1940, G.M. 1940, p. 1976). Val. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 75/27 mnd. 06 motorizzato. Parte 2°. Servizio del pezzo (circ. n. 657, 21-VIII-1940, C. M. 1940, p. 2094). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 77/28 mod. 05 /08. Parte 111• Istruzione sul materiale e sulle munizioni. Parte 2°. Servizio del pezzo (circ. n. 659, 21-VIII-1940, G.M. 1940, p. 2096). Val. I. Addestramento del pezzo. Fase. Mortaio da 210/8 D.S. Parte 2n.. Servizio del pezzo (circ. n. 660, 21-VIII-1940, G.M.
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1940, p. 2096). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 105/28. Parte 2". Servizio del pezzo (circ. n. 783, 23-X-1940, G.M. 1940, p. 2641). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 105 / 17. Parte l". Istruzione sul materiale e sulle munizioni Parte 2". Servizio del pezzo (circ. n. 841, 13-XI-1940, p. 2812). Istruzione sul cannone e.a. da 88/56 mod. 18-36. Fase. IV. Servizio del pezzo (circ. n. 842, 13-XI-1940, G.M. 1940, p. 2813). Seconda serie di aggiunte e varianti al Vol. V. Istruzione per i reparti specialisti. Parte l". Servizio di osservazione (circ. n. 875, 27-XI-1940, G.M. 1940, p. 3133). Vol. I. Addestramento del peuo. Fase. Cannone da 149/40 mod. 35. Parte l". Istruzione sul. materiale e sulle munizioni. Parte 2•·. Istruzione sul servizio del pezzo (circ. n. 12, 1-1-1941, G.M. 1941, p. 37). Voi I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 149/40 mod. 35. Parte 4°. Caricamenti. Materiali di una batteria di cannoni da 149/40 mod. 35 (circ. n. 145, 19-II-1941, G.M. 1941, p. 474). Voi. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 210/22 mod. 35. Parte l". Istruzione sul materiale e sulle munizioni. Parte 2". Servizio del peuo (circ. n. 201, 12-III-1941, G.M. 1941, p. 618). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 75/27 mod. 11 ippotrainato. Parte 2". Servizio del pezzo. Ed. 1934 (circ. n. 235, 19-III-1941, G.M. 1941, p. 684). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 105/32. Parte 1°. Istruzione sul materiale e sulle mtmizioni (circ. n. 282, 9-IV-1941 , G.M. 1941, p. 858). Voi. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 75/18 mod. 34. Parte 1°. Istruzione sul materiale e sulle munizioni. Parte 2". Servizio del pezzo (circ. n. 346, 7-V-1941, G.M. 1941, p. 1108). Seconda serie di aggiunte e varianti al Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 75/13. Parte 2"'. Servizio del pezzo. Ed. 1934 (circ. .n. 347, 7-V-1941, G.M. 1941, p. 1108). Prima serie di aggiunte e varianti al Vol. I. Addestramento del pei.zo. Fase. Cannone da 75/27 mod. 11. Parte 1°·. Istruzione sul materiale e sulle munizioni {circ. n. 348, 7-V-1941, G.M. 1941, p. 1109). Vol. I. Addestramento del peuo. Fase. Mortaio da 260/9. Parte 2•. Servizio del pezzo (circ. n. 376, 14-V-1941, G.M. 1941, p. 1178). Prima serie di aggiunte e varianti al Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 75 /27 mod. 11 motorizzato. Parte 2a. Servizio del pezzo. Ed. 1938 (circ. n. 377, 14-V-1941, G.M. 1941, p. 1178). Prima serie di aggiunte e varianti al Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 100/17 mod. 14. Parte 2". Servizio del pezzo Ed. 1939 (circ. n. 408, 21-V-1941, GM. 1941, p. 1284). Istruzione sul cannone da 75/50. Fase. II. Descrizione del materiale e delle munizioni. Servizio del pezzo (circ. n. 525, 2-VII-1941, G.M. 1941, p. 1528). Istruzione sul ca1111one e.a. da 75/50. Fase. I. Descrizione e servi:t.ip della centrale Skoda (circ. n. 602, 30-Vll1941, G.M. 1941, p. 1770). Circolare n. 9800. Obice da 100/22 (circ. n. 748, 1-X-1941, G.M. 1941, p 2294). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 149/ 12 mod. 18. Parte 1"'. Istruzione sul materiale e sulle munizioni. Parte 2a. Servizio del pezzo (circ. n. 534, 9-VII-1941, G.M. 1941, p. 1588). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Mortaio da 305/10. Parte 2". Servizio del pezzo (circ. n . 768, 8-X-1941, G.M. 1941, p. 2387). Vol. IV. Istruzione sul tiro. Parte 5°. Strumenti e mezzi tecnici per il tiro. Fase. I. Strumenti e mezzi tecnici per il tiro contro obiettivi te"estri. Allegato I. Tavoletta topografica mod. 39 (circ. n. 769, 8-X-1941, G.M. 1941, p. 2387). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Mortaio da 305/8 mod. 11-16. Parte 2". Servizio del pezzo (circ. n. 12, 31-XII-1941, G.M. 1942, p. 29). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Ca,;none da 75/27 mod. 06. Parte 1a. Istruzione sul materiale e sulle tnunizioni (circ. n. 23, 7-I-1942, G .M. 1942, p. 76). Vol. I . Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 105/28 (2 4 serie di aggiunte e varianti). Parte 2"'. Servizio del pezzo. Ed. 1934 (circ. n. 165, 4-III-1942, G.M. 1942, p. 423). Seconda serie di aggiunte e varianti al Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 100/17 mod. 16. Parte 2a. Servizio del pezzo. 0
CAP. XXXII - DOTTRINA E ORDINAMENTI
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/:d. 1934 (circ. n. 166, 4-III-1942, G.M. 1942, p. 424). Prima serie di aggiunte e l't1ria11ti al Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 100/17 mod. 16. Parte 2". Srrvizio del pe:a.o (1.. ristampa) (circ. n. 167, 4-III-1942, G.M. 1942, p. 424). Seconda irric di aggiunte e varianti al Voi. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 75 /27 1110d. 06 motoriZZJ1to. Parte 2•. Servizio del pezzo. Ed. 1940 (circ. n. 168, 4-III-1942, ( ,'.M, 1942, p. 425). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 76/40. Parte 1°. litruzione sul materiale e sulle munizioni (circ. n. 183, 4-IIl-1942, G.M. 1942, p. 477). /'rima serie di aggiunte e variatiti al Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone 1111/ragliera da 20 mod. 35. Parte 1a. Istruzione sul materiale e sulle munizioni. Parte 2°. Suvizio del pezzo. Ed. 1938 (circ. n. 185, 4-III-1942, G.M. 1942, p. 478). Istruzione 111l cannone da 88/55. Fase. V. Descrizione del materiale e munizioni. Alzo MM a t 111mocchiale. Graduatore meccanico (circ. n. 283, l -IV-1942, G.M. 1942, p. 849). /'rima serie di aggiunte e varianti all'Addestramento dell'artiglieria. Vol. I. Addestra111m to dei pezzo. Fase. Cannone da 105/28. Parte 2°. Servizio del pezzo (circ. n. 343, 181V 1942, G.M. 1942, p. 1027). Seconda serie aggiunte e varianti al Voi. I. Addestramento ,ft,f pezzo. Fase. Obice da 75/18 mod. 35 e cannone da 75/32 mod. 37 (pubblicazione 3794 ediz. 1940 e successiva 1a ristampa ediz. 1941) (circ. n. 344, 6-V-1942, G.M. 1942, p , 1028). Seconda serie di aggiunte e varianti al Voi. I. Addestramento del pezzo. Fase. C:111mone da 75/27 1110d. 06. Parte 1°. Istruzione sul materiale e sulle munizioni (pubbl. nn e<liz. 1938) (circ. n. 393, 27-V-1942, G.M. 1942, p. 1205). Voi. I. Addestramento ili'( pezzo. Fase. Obice da 75/18 semovente. Parte 1~. Istruzione sul materiale e sulle 111r111izioni. Parte 2°. Servizio del pezzo (circ. n. 525, 22-VII-1942, G.M. 1942, p. 1663}. \lo(. IV. Istruzione sul tiro. Parte Tiro contro obiettivi terrestri (testo e allegati) (circ. n. 543, 29-VH-1942, G.M. 1942, p. 1746). Voi. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 75/18 mod. 35. Cannone da 75/32 mod. 37. Parte 1°. Istruzione sttl materiale ,. sulle munizioni. Parte 2". Servizio del pezzo (circ. n. 560, 5-VIIl-1942, G.M. 1942, p . 1771): Voi. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 76/45. Parte 1°. Istruzione sul materiale e sulle munizioni (circ. n. 561, 5-VIII-1942, G.M. 1942, p. 1772). Voi. V. Istruzione per i reparti specialisti. Parte 3". Servizio aerologico. Ed. 1942 (circ. n. 620, 9-IX-1942, G.M. 1942, p. 1985). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice tla 305/17 G. mod. 17. Parte 2". Servizio del pezzo. Ed. 1942 (circ. n. 623, 9-IX-1942, G.M. 1942, p . 1987). Prima serie di aggiunte e varianti al Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. -Cannone mitragliera da 37 /54. Parie 4". Caricamenti (pubbl. 4010, ediz. 1941) (circ. n. 626, 9-IX-1942, G.M. 1942, p. 1988). Circolare 13.000. Cannone da 75/51 (circ. n. 673, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2183). Vol. I. Addestramento del pezzo. flasc. Obice da ì5/13. Parte 1° bis. Istruzione sulle munizioni (circ. n. 674, 30-IX-1942, C.M. 1942, p. 2183). Voi. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 149/28. Parte 1•. Istruzione sul materiale e sulle munzioni. Parte 2". Servizio del pezzo (circ. n. 694, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2195). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone mitragliera da 37/54 mod. 39. Parte 1°. Istruzione sul materiale e sulle munizioni. Parte. 2"'. Servizio del pezzo (circ. n. 731, 14-X-1942, G.M. 1942, p. 2424). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 65/17. Parte l". I struzione sul materiale e sulle munizioni (pubbl. 3347, ediz. 1939) (circ. n. 789, 18-XI-1942, G.M. 1942, p. 2599). Seconda serie di aggiunte e varianti al Voi. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 75/27 mod. 11. Parte l". lstrttzione sul materiale e sulle munizioni (pubbl. 3187, cdiz. 1937) (circ. n. 790, 18-XI-1942, G.M. 1942, p, 2600). Seconda serie di aggiunte e varianti al Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 75/18 mod. 34. Parte l". Istruzione sul materiale e sulle munizioni. Parte 2". Servizio del pezzo (pubbl. 3328, ediz. 1938) (circ. n. 815, 25-XI-1942, G.M. 1942, p. 2706). Circolare n. 4000. Cannone
za.
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da 105/27 P.B. {circ. n. 870, 16-XII-1942, G.M. 1942, p. 3059). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 105/15 P.B. (105 mod. 35 B francese). Parte l". Istruzione sul materiale e sulle munizioni (circ. n. 875, 16-XII-1942, G.M. 1942, p. 3061). Voi. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 149/12 mod. 14 modificato. Parte 14 • Istruzione sul materiale e sulle munizioni. Parte 2•. Servizio del pezzo (circ. n. 896, 30-XIl1942, G.M. 1942, p. 2145). Voi. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 75/27 A.V. Parte 1°. Istruzione sul materiale e sulle munizioni (circ. n. 898, 30-XII-1942, G.M. 1942, p. 3146). Voi. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 105/15. Parte 211• Servizio del pezzo (circ. n. 904, 30-XII-1942, G.M. 1942, p. 3148). Vol. V. Istruzioni per i reparti specialisti. Parte 4". Norme d'impiego dei reparti specialisti di corpo d'armata (circ. n. 95, 10-11-1943, G.M. 1943, p. 200). Prima serie di aggiunte e varianti al Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Obice da 75/18 mod. 35 e cannone da 75/32 mod. 37. Parte 1°. Istruzione sul materiale e sulle munizioni. Parte 2". Servizio del pezzo (circ. n. 273, 21-IV-1943, G.M. 1943, p. 848). Prima serie di aggiunte e varianti al Val. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 149/40 mod. 35. Parte l". Istruzione sul materiale e sulle munizioni. Parte 2a. Servizio del pezzo (circ. n. 299, 28-IV1943, G.M. 1943, p. 931). Vol. I. Addestramento del pezzo. Fase. Cannone da 75/46 mod. 40. Parte 1•. Istruzione sul materiale e sulle munizioni. Parte 2". Servizio del pezzo. Ed. 1942 (circ. n. 301, 5-V-1943, G.M. 1943, p. 932). Val. V. Istruzione per i reparti specialisti. Parte 3u_ Servizico aerologico. Allegato 10. Tabelle per la determinazione dei raggi vettori per il rilevamento del vento in quota con il pallone pilota (circ. n. 497, 4-VIIl-1943, G.M. 1943, p. 1602). Varie. Prima serie di aggiunte e varianti alla Istruzione sulla passerella da montagna (circ. n. 42, 24-1-1940, G.M. 1940, p. 85). Prima serie di aggiunte e varianti all'istruzione. Collegamenti per l'aerocooperazione (circ. n. 184, 20-III-1940, G.M. 1940, p . 438). Istruzione provvisoria sulla mitragliatrice Breda 38 per ca"i armati (circ. n. 283, 1-V-1940, G.M. 1940, p . 776). Prima serie di aggiunte e varianti alla istruzione sui mezzi di trasmissione. Parte 6•. Materiali campali di linea telegrafici, telefonici (circ. n. 318, 15-V-1940, G.M. 1940, p. 836). Prima serie di aggiunte e varianti all'Istruzione sulle stazioni fotoelettriche. Stazione carreggiata da cm. 90 (circ. n. 367, 5-VI-1940, G.M. 1940, p. 1170). Idem. Stazione carreggiata da cm. 75 (circ. n. 368, 5-Vl-1940, G.M. 1940, p. 1170). Terza serie di aggiunte e varianti alla Istruzione sul pallone osservatorio italiano (circ. n. 606, 7-VIIl-1940, G.M. 1940, p. 1977). Istruzione sui mezzi di trasmissione. Parte 2". Materiale telefonico. Fase. I. Apparato telefonico da campo leggero (circ. n. 677, 28-VIIl1940, G.M. 1940, p. 2147). Istruzione sul ponte di equipaggio n. 3 (circ. n. 679, 28VIIl-1940, G.M. 1940, p. 2148). Foglietto di tiro e schemi di calcolo (circ. n. 744, 2-X1940, G.M. 1940, p. 2471). Istruzione provvisoria sui pontili di sbarco con materiale del ponte di equipaggio n. O (circ. n. 821, 6-XI-1940, G.M. 1940, p. 2784). Prima serie di aggiunte e varianti alla istruzione ml ponte metallico n. 1 (circ. n. 823, 6-XI-1940, G.M. 1940, p. 2785). Istruzione provvisoria sul tiro contraerei con le armi di fanteria (circ. n. 839, 13-XI-1940, G.M. 1940, p. 2811). Istruzione sui mezzi di trasmissione. Parte 2'1. Materiale Telefonico. Fase. III. Apparato telefonico da p;uardafili (circ. n. 877, 27-XI-1940, G.M. 1940, p. 3134). Istruzione sul cannone contraerei da 88/56 mod. 1835. Fase. II. Centrali Zeiss ( principale ed ausiliaria). Tiro a puntamento diretto. Bozze di stampa (circ. n. 900, 28-XI-1940, G.M. 1940, p. 3242). Istruzione sull'uso degli sci (circ. n. 280, 1-VIIl-1940, G.M. 1940, p. 857). Caratteristiche esterne dei carri armati e delle autoblinde in dotazione all'esercito {circ. n . 39, 15-1-1941, G.M. 1941, p. 276). Istruzione sui mezzi di trasmissione. Parte 2a. Materiale telefonico. Fase. II. Apparato telefonico da campo normale con cassettina aggiuntiva (circ. n. 82,
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29-1-1941 , G .M . 1941, p. 352). Istruzione sulle stazioni fotoelettriche. Impiego delle çfazioni (circ. n. 127, 12-11-1941, p. 434). Istruzione sui mezzi di trasmissione. Parte 3". Mezzi di segnalazione. fase. V. Bandiera e lampo di colore mod. 40 (circ. n. 170, 5-III1941, G.M. 1941, p. 540). Prima serie di aggiunte e varianti alla Istruzione sul rastrellamento delle munizioni e degli esplosivi (pubbl. 2763, ediz. 1930, ristampa aggiornata) (circ. n . 203, 12-Ill-1941, G.M. 1941, p. 619). Istruzione sul materiale fotografico (circ. n. 241, 26-IIl-1941, G.M. 1941, p. 740). Istrnzione per casi di rinvenimento di sostanze e di apparecchi ritem,ti esplosivi (circ. n. 263, 2-IV-1941, G.M. 1941, p. 805). Norme per l'impiego, la manutenzione e la conservazione d ella maschera antigas in m o presso il R.E. (circ. n. 313, 23-IV-1941, G.M. 1941, p. 965). Istruzione sulla bombarda da 240/12. Descrizione del materiale e delle munizioni. Servizio d ella bombarda. Puntamento e tiro (circ. n. 314, 23-IV-1941, G.M. 1941, p. 965). Istruzione sulla costituzione e manutenzione degli accumulatori elettrici per autoveicoli (circ. n. 325, 30-IV-1941, G.M. 1941 , p. 993 ). Istruzione sul ponte di equipaggio 11 . 2 (circ .n. 343, 7-V-1941, G.M. 1941, p. 1106). Mezzi di trasmissione. Istmzione sui mezzi di trasmissione. Parte 4". M ateriale radiotelegrafico. Fase. XVI. Autocarica accumulatori pel servizio delle tras1nissioni r.t. (circ. n. 402, 21-V-1941, G .M. 1941 , p. 1281 ). Idem. Fase. XVII. !l uto!ficina per il servizio delle trasmissioni r.t. (circ. n. 403, 21-V-1941 , G.M. 1941 , p. 1281_). Idem. Fase. XIX. Autotipolitografia per il servizio trasmissioni (ci.re. n. 404, 2 1-V-1941, G.M. 1941, p. 1282). Istruzione sulle attrezzature e le lavorazioni pneumatiche (circ. n . 405, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1282). Idem. Materiale radiotelegrafico. Pasc. XVIII. Automisure per il servizio delle trasmissioni r.t. (circ. n. 421, 21-V-1941, G..A..f. 1941 , p. 1301). Prima serie di aggitmte e varianti alla Istruzione sui collegamenti. \lo!. II. Norme di corrispondenza (circ n 603, 30-VII-1941, G.M. 1941, p 1771). Trtruzione sui mezzi di trasmissione .Parte 4a_ Materiale radiotelegrafico. Fase. XIII. Posto R.I. 2 (circ. n. 25, 7-I-1942, G.M. 1942, p. 77). Idem. Parte 4a._ Materiale radiotelegrafico. Fase. XV. Posto radiogoniometrico auto e portatile (circ n. 36, 14-I-1942, G.M. 1942, p. 92). Idem. Parte 54 . Materiale foto/onico . Fase. I . Stazione fototelefonica da 180 mm (circ. n. 56, 21-I-1942, G.M. 1942, p. 127). Idem. Parte 5"'. Materiale fototelefonico. Fase. II. Stazione fototelefonica da 115 mm (circ. n. 120, 19-H-1942, G.M. 1942, p. 285). Idem. Parte 4"'. Materiale r.t. Fase. XXlV. Stazione R 2.3 (circ. n. 558, 5-VIII-1942, G .M . 1942, p. 1770). Istr11zione sui materiali telefonici campali ceki a Re 15 linee (circ. n. 559, 5-VIIl-1942, G.M. 1942, p. 1771). Istruzione sull'apparato tele/onico tedesco mod. 33 (circ. n. 786, 18-XI-1942, G.M. 1942, p. 2598). Istruzione sui mezzi di trasmissione. Parte 4a_ Materiali r.t. Fase. I X. Stazione RF/ IR / 30 ( precedentemente denominata MF) (circ. n. 311, 12-V-1943, G.M. 1943, p. 957). Armi e mezzi vari: Istruzione per l'uso della punzonatrice Adrema (circ. n. 540, 24-VIl-1940, G.M. 1940, p. 1784). I struzione sul cannone e.a. da 75/48 mod. 37. Fase. N . Servizio, rettifica e manutenzione dello stereotelemetro altimetrico S.O.M. di m 3 di base (circ. n. 444, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1336). Istruzione provvisoria sulla mitragliatrice Breda 37 (circ. n. 557, 16-VIl-1941 , G.M. 1941, p. 1703). Istruzione provvisoria sul mortaio da 81 mm modello 35 (circ. n. 558, 16-VIl-1941, G.M. 1941, p. 1704). Istruzio11e sugli aggressivi chimici e sulle nebbie artificiali (circ. n. 596, 23-VII-1941, G.M. ]941 , p. 1726). I struzione sulla costituzione, funzionamento ed impiego dell'autofficina 38 (circ. n . 613, 6-VIII-1941, G.M. 1941 , p. 1916). Istruzione provvisoria sulla mitra?,liatrice leggera S.l.A. (circ. n. 669, 3-IX-1941, G.M. 1941, p. 669). Appendice alla istruzione sulle attrezzature e le lavorazioni pneumeccaniche. Costituzione e funzionamento dei motori a combustionr: interna (circ. n. 726, 24-IX-1941, G.M. 1941 , P. 2221). Descrizione, manutenzione ed impiego della trattrice pesante 32. Ed. 1934
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(circ. n. 888, 10-XIl-1941, G.M . 1941, p. 2801). Istruzione sul servizio automobilistico. Voi. I . Descrizione, ma1111te11zione ed impiego dei mezzi automobilistici. Allegato VIII. Carro LJ J), LJ 35 e app(lrecchiature per dclii (circ. n. 889, 10-XIl-1941, G.M. 1941, p. 2802). Prima serie di aggiunte e varianti alla Istruzione sul materiale del ponte di equipaggio n. 1. Parte 2". Gittamento e ripiegamento dei ponti e dei porti (circ. n. 904, 24-Xll-1941, G.M. 1941, p. 2870). Prima serie di aggiunte e varianti alla Istruzione ml materiale del ponte di equipaggio n. 1. Parte 14 • Descrizione dei materiali ed operazioni elementari (ere. n. 13, 31-XIl-1941, G.M. 1942, p. 30). Istruzione per la costruzione dei ricoveri di neve, igloo. Ed. 1941 (circ. n. 98, 31-XIl-1942, G.M. 1942, p. 252). Istruzione provvisoria sulla bomba a mano tedesca ( con manico) mod. 24 (circ. n. 100, 4-11-1942, G.M. 1942, p . 253). Istruzione provvisoria sul fucile controcarro 35-0 (circ. n. 119 11-11-1942, G.M. 1942, p . 284). Istruzione sulla costituzione, funzionamento ed impiego dell'officina mobile pesante (circ. n. 136, 18-11-1942, G.M. 1942, p, 309). Istruzione sulla condotta e sulla manutenzione del carro armato SAMUA ( Jr.) . · Ed. 1941 (circ. n. 137, 18-11-1942, G.M. 1942, p. 310). Istruzione provvisoria sulle bombe a mano francesi F 1 e D37 da esercitazione (circ. n. 199, 11-111-1942, F.M. 1942, p. 511). Istruzione sulla mitragliatrice Fiat 35 (circ. n. 202, 18-111-1942, G.M. 1942, p. 512). Istruzione sulla condotta e sulla manutenzione del carro armato Renault 35. Ed. 1941 (circ. n. 221, 25-111-1942, G.M. 1942, p. 581). Prima serie di aggiunte e varianti alla Istruzione sui lavori da zappatore (circ. n. 223, 25-Ill-1942, G.M. 1942, p, 582). Memoria. Nozioni di guerra chimica (circ. n. 257, 1-IV-1942, G.M. 1942, p. 787). Prima serie di aggiunte e varianti alla Istruzione sul mascheramento (circ. n. 322, 29-IV-1942, G.M. 1942, p. 969). Istruzione provvisoria sul fucile mitragliatore mod 24/29. Ed. 1942 (circ. n. 409, 3-Vl-1942, G.M. 1942, p. 366). Istruzione provvisoria sul goniometro Jelda. Ed. 1942 (circ. o. 437, 17-Vl-1942, G.M. 1942, p. 1431). Istruzione sulla mitragliatrice Breda 37 (circ. n. 438, 17-Vl-1942, G.M. 1942, p. 1432). Istruzione provvisoria sul mortaio da 81 mod. 35. Ed. 1942 (circ. n. 439, 17-Vl-1942, G.M. 1942, p. 1432). Istruzione provvisoria sul cannone da 25 mm mod. 1934. Ed. 1942 (circ. o. 474, 1-VIl-1942, G.M. 1942, p. 1525). Addestramento alpinistico e sciistico. Ed. 1942 (circ. n. 617, 9-IX-1942, G.M. 1942, p. 1984). Istruzione provvisoria Stil fucile controcarro da 20 mm S (circ. n. 619, 9-IX-1942, G.M. 1942, p. 1985). Istruzione sulla condotta e sulla manutenzione del carro armato MZJ-40. Ed. 1942 (circ. n. 621, 9-IX-1942, G.M. 1942, p. 1986). Centrale di tiro contraerei Gamma mod. 40 (circ. n. 675, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2184). Istruzione provvisoria sull'alzo ottico mod. 42 per cannone da 47/32. Ed. 1941 (circ. n. 770, 4-Xl-1942, G ..M. 1942, p. 2565). Cartelli didattici (circ. n. 785, 18-Xl-1942, G.M. 1942, p. 2597). Istruzione provvisoria sul fucile controcarro 35 P (circ. n. 788, 18-Xl-1942, G.M. 1942, p. 2599). Prima serie di aggiunte e varianti all'Istruzione provvisoria sul mortaio da 81 mm mod. 35 (pubbl. 3089, ediz. 1937 e successive l'·, 2'-, 3"' ristampa degli anni 1939, 1941, 1942) (circ. n. 814, 25-Xl-1942, G.M. 1942, p. 2706). Istruzione sul cerchio di direzione (2" ristampa dell'ediz. 1942) (circ. n. 841, 9-XIl-1942, G.M. 1942, p. 2757). Istruzione provvisoria sul fucile mitragliatore cal. 7,9 mod. 37 (circ. n. 842, 8-XIl-1942, G.M. 1942, p. 2757). Istruzione suU'uso del telo mimetico impermeabilizzato per tenda mod. 1929 (circ, n. 869, 16-Xll-1942, G.M. 1942, p. 3058). Istruzione sommaria sui telemetri a base verticale (T.B.V.) mod. 86, mod. 86/911, mod. 86/901, mod. 86/901911 (circ. n. 899, 30-Xll-1942, G.M. 1942, p. 3146). Istmzione som,naria Stil telegoniometro passivo (circ. n. 900, 30-Xll-1942, G.M. 1942, p. 3146). Istruzione sommaria sul telemetro esterno a base orizzontale (goniostudiometro) (circ. n. 901, 30-Xll-1942, G.M. 1942, p. 3147). Istruzione sommaria Stil telegoniometro Bracciolini (circ. n. 902.
CAP. XXXII - DOTTRINA E ORDINAMENTI
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IO IV l '142, G.M. 1942, p. 3147). Istruzione sulla mitragliatrice Breda 38 per carri /;"d. 1942 (circ. n. 94, 30-VI-1942, G.M. 1943, p. 200). Istruzione provvisoria 111/ /11rile mitra?.liatore Hotschkiss cal. 6,35. Ed. 1942 (circ. n. 66, 3-II-1943, G.M. 1911} , p . 154). Dati tecnici sulle armi della fanteria. Ed. 1942 (circ. n. 67, 3-Il-1943, ( ,' M. 1943, p. 155). Prima serie di aggiunte alla Istruzione sugli aggressivi chimici e 111/lt• 11ebbie artificiali. Voi. II. Materiali tecnici e loro uso (circ. n. 101, 10-Il-1943, e; M 1943, p. 204). Tstruzione sulla mitragliatrice Fiat 36 (la ristampa dell'ediz. 1942) (1 ire. n. 166, 3-Ill-1943, G.M. 1943, p. 388). Istruzione provvisoria sulla mitragliatrice 1/ntscbkiss cal. 8. Ed. 1943 (circ. n. 177, 10-III-1943, G.M. 1943, p. 446). Istruzione wovvisoria sulle bombe a mano controcarro Breda mod. 42 dirompente, O.T.O. mod. •12 111ce11diaria (circ. n. 178, 10-III-1943, G.M. 1943, p. 446). Istruzione provvisoria 111/ fu cile mitragliatore C.S.R.G. cal. 8 (circ. n. 249, 14-IV-1943, G.M. 1943, p. 739). I rlm::t.t011e provvisoria sul moschetto automatico Beretta cal. 8,8 mod. 38 A (circ. n. 272, J I IV-1943, G.M. 1943, p. 847). Prima serie di aggiunte e varianti all'Istruzione prov11,rnria sul mortaio d'assalto Brixia mod. 35 (circ. n. 280, 28-IV-1943, G.M. 1943, Jl. 8':12). Stereotelemetro altimetro S.O.M. di m 4 di base (circ. n. 300, 5-V-1943, ( :.M 1943, p. 932). Descrizione ed impiego della centrale Aufiére mod. 35 (circ. n . 302, 5-V-1943, G.M. 1943, p. 932). Istruzione provvisoria sulla mitragliatrice Schwarzlihe mod. 12 (circ. n. 312, 12-V-1943, G.M. 1943, p. 958). Centrale di tiro contraerei 1110d 7 (circ. n. 449, 7-VII-1943, G.M. 1943, p. 1439). Istruzione provvisoria sulle bombe a mano S.R.C.M., Breda, o:r.O. mod. 35 (circ. n. 474, 21-VII-1943, G.M. 1943, p. 1554). Istruzione provvisoria sul cannone da 25 mm mod. 1934 (circ. n. 475, 21-VII1943, G.M. 1943, p. 1554). Istruzione provvisoria sul mortaio da 60 mod. 35 (circ. 11 , 476, 21-VII-1943, G.M. 1943, p. 1555). Istruzione sommaria sul telemetro a base orizzontale mod. 86 e mod. 91 (circ. n. 531, 11-VIII-1943, G.M. 1943, p. 1654). Goniometro mod. 39 G (circ. n. 550, 17-VIII-1943, G.M. 1943, p. 1692). Cannone mitra?.liera da 20 mod. 31 (circ. n. 538, 18-VIII-1943, G.M. 1943, p. 1665). ,ir1111111.
(7) Tavole di tiro: obice da 105/14, granata da 105 mod. 32 (circ. n. 97, 21-II1940, G.M. 1940, p. 274); cannone da 105/28, granata di ghisa acciaiosa con caricamento speciale per scuola di tiro, 2a carica ecc. (circ. n. 98, 21-11-1940, G.M. 1940, p. 275); obice da 152/13, granata inglese a corona tronco-conica, prima serie di aggiunte e varianti alle T.T. grafico-numeriche (circ. n. 99, 21-II-1940, G.M. 1940, p, 275); obice da 152il3, granata inglese a corona cilindrica, prima serie di aggi.unte e varianti alle T.T. grafico-numeriche (circ. n. 100, 21-II-1940, G.M. 1940, p. 276); cannone da 152/37, granata da 152/37, prima serie di aggiunte e varianti alle T .T. grafico-numeriche (circ. n. 101, 21-11-1940, G.M. 1940, p. 276); obice da 380/15 (circ. n. 102, 21-II-1940, G.M. 1940, p. 277); cannone da 65/17, cartoccio granata a palletta da 65 e cartoccio granata perforante da 65 (circ. n. 103, 21-II-1940, G.M. 1940, p. 277); cannone da 70/15, granata a palletta da 70 (circ. n. 104, 21-II-1940, G.M. 1940, p. 278); cannone da 120/25, granata di ghisa acciaiosa da 120/25 e granata da 120/25 corta (circ. n. 105, 21-Il-1940, G.M. 1940, p. 279); cannone da 77 /28 mod. 5/ 8, granata lunga (circ. n. 106, 21-11-1940, G.M. 1940, p. 279); cannone da 77 /28, granata da 77 corta (circ. n. 107, 21-11-1940, G.M. 1940, p. 280); cannone da 77/28 mod. 5/8, granata a palletta da 77 (circ. n. 108, 21-Il-1940, G.M. 1940, p. 280); cannoni da 77 /27 C.K. e A.V., carica a distanza ridotta, granata da 75 e.a. con spoletta a tempo mod. 06/17 (circ. n. 284, 10-V-1940, G.M. 1940, p. 776); cannone da 76/40 con spoletta mod. 900/ 34 (circ. n. 285, 1-V-1940, G.M. 1940, p. 777); cannone da 77/28 e.a. con spoletta mod. 06/17 (circ. n. 286, l-V-1940, G.M. 1940, p. 777); cannoni da 75/27 C.K. e A.V.,
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granata da 75 e.a. con spoletta a tempo mod. 06/ 17 (circ. n. 287, 1-V-1940, G.M . 1940, p. 778); cannone da 149/40, granata 149/35 mod. 32 (circ. n. 429, 26-VI-1940, G.M. 1940, p. 1437); cannone da 120/25, granata da 120/25 lunga (circ. n. 430, 26-VI-1940, G.M. 1940, p. 1438); cannone da 77/28 e.a., granata da 77 e.a. con spoletta a tempo mod. 06/17 carica ridotta (circ. n. 431, 26-Vl- 1940, G.M. 1940, p. 1438); cannoni da 75/27 CK. e A.V., carica ridotta, granata da 75 e.a. con sp<r letta a tempo mod. 06/17 (circ. n. 432, 26-VI-1940, G.M. 1940, p. 1439); obice da 105/14, granata da 105 e granata monoblocco da 105 (circ. n. 433, 26-VI-1940, G.M. 1940, p. 1440); obice da 105/14, granata a.cl.e. da 105 e mod. 32 (circ. n. 434, 26-VI-1940, G.M. 1940, p. 1440); mitragliatrice Fiat 35 (circ. n. 748, 2-X-1940, G.M. 1940, p. 2478); cannone da 120/25, granata a palletta da 120 (circ. n. 896, 28-Xl-1940, G.M. 1940, p. 3240); cannone da 149/35, granata a.cl.e. da 149/35 mod. 32, 4a carica (circ. n. 897, 28-Xl-1940, G.M. 1940, p. 3240); bombarda da 240/12 corta ad ali corte (circ. n. 898, 28-XI-1940, G.M. 1940, p .. 3241); mitragliatrice Breda 37 (circ. n. 838, 13-Xl-1940, G.M. 1940, p. 2811); elenco delle tavole di tiro per i materiali dell'a:-ma di artiglieria (circ. n. 899, 28-XI-1940, G.M. 1940, p. 3241}; cannone da 75/27, ter..:a serie di aggiunte e varianti (circ. n. 912, 28-XI-1940, G.M. 1940, p. 3262); cannone da 75/27 mod. 11-06-12, granata a palletta da 75, terza serie di aggiunte e varianti (circ. n. 913, 28-Xl-1940, G.M. 1940, p. 3263); cannone da 25/27 mocl. 11-06-12, granata mod. 32, terza serie di aggi.unte e varianti (circ. n. 914, 28-XI-1940, G.M. 1940, p, 3263); obice da 75/13, granata a gr. capacità, terza serie cli aggiunte e varianti (circ. n. 915, 28-XI-1940, G.M. 1940, p. 3264}; obice da 75/13, granata mod. 32 da 75/13, terza serie di aggiunte e varianti (circ. n. 916, 28-XI-1940, G.M. 1940, p. 3264); obice da 75/18, granata a palletta da 75, seconda serie di aggiunte e varianti (circ. n. 917, 28-Xl-1940, G.M. 1940, p, 3265); obice da 75, seconda serie di aggiunte e varianti (circ. n. 918, 28-Xl-1940, G.M. 1940, p. 3265); obice da 75/18, granata mod. 32 da 75/18, seconda serie di aggiunte e varianti (circ. n. 919, 28-Xl-1940, G.M. 1940, p. 3266); obice da 100/17, granata a.cl.e. mod. 32 da 100, prima serie di aggiunte e varianti (circ. n. 920, 28-XI-1940, G.M. 1940, p. 3266); obice da 75/13, granata a palletta da 75, terza serie di aggiunte e varianti (circ. n. 921, 28-Xl-1940, G.M. 1940, p. 3267); Foglio matricolare per bocche da fuoco. Cannone mitragliera da 20 mod. 35 (circ. n. 951, 18-XII-1940, G.M. 1940, p. 3309); Foglio matricolare per affusti ed installazioni. Affusto per cannone mitragliera da 20 mm mod. 35 (circ. n. 952, 18-XII-1 940, G.M. 1940, p. 3309); mortaio da 81 mod. 35 (circ. n. 967, 25-XII-1940, G.M. 1940, p. 3349); cannone da 120/~1, granata da 120/21 e granata di ghisa acciaiosa da 120/21 (circ. n. 84, 29-1-1941, G.M. 1941, p . 353); tavole numeriche per cannone da 47/32 (circ. n. 85, 29-1-1941, G.M. 1941, p. 353); mortaio da 305/8 mod. 11, mod. 16, granata a b.p. per mortaio da 305 corta (circ. n. 86, 29-I-1941, G.M. 1941 , p. 354); mortaio da 305/10, granata a b.p. per mortaio da 305 lunga (circ. n. 87, 29-l-1941, G.M. 1941, p. 354); cannone da 149/35 e cannoni da 149/35 A e S., granata a d.e. da 149/35 mod. 32 (circ. n. 88, 29-1-1941, G.M. 1941, p. 355); obice da 100/17 mod. 14 e mod. 16, granata a doppio effetto da 100, 3" carica (esempio di tavola di tiro graficonumcrica) (circ. n. 89, 29-1-1941, p. 356); cannone da 105/28, granata a d.e. mod. 32 d a 105 (esempio di tavola di tiro grafico-numerica) (circ. n. 90, 29-I-1941, G.M. 1941, p . 356); cannone da 149/35 mod. 32, terza serie di aggiunte e varianti (circ. n. 91, 29-I-1941, G.M. 1941, p. 357); cannone da 152/37, granata da 152/37, seconda serie di aggiunte e varianti (circ. n. 92, 29-I-1941, G.M. 1941, p. 357); cannone da 152/ 45, granata a p.b. da 152/45, seconda serie di aggiunte e varianti (circ. n. 93, 29-1-1941, G.M. 1941, p. 358); obice da 210/22 mod. 35, granata da 210/22 rnod. 35 (circ. n. 224,
CAP. XXXII - DOTTRINA E ORDINAMENTI
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I') lII-1941, G.M. 1941, p. 676); obice da 210/22 mod. 35, 3a carica, esempio di 111vola numerica (circ. n. 225, 19-III-1941, G.M. 1941 , p. 677); obice da 75/13, grnnata da 75, terza serie di aggiunte e varianti (circ. n. 227, 19-IIl-1941, G.M. 1941, p. 678); obice da 100/17, granata mod. 32 da 100, quarta serie di aggiunte e varianti (l·irc. n. 228, 19-III-1941, G.M. 1941, p. 679); obice da 105/14, granata da 105 e granata monoblocco (circ. n. 229, 19-III-1941, G.M. 1941, p. 680); cannone da 105/28, granata mod. 32 da 105, seconda serie di aggiunte e varianti (circ. n. 230, 19-IIl-1941 , <i.M. 1941, p. 680); cannone da 105/28, granata a d.e. mod. 32 da 105, seconda serie di nggiw1te e varianti (circ n. 231, 19-IJI-1941 , G.M. 1941, p. 681); obice da 149/13, granata mod. 32, terza serie di aggiunte e varianti (circ. n. 232, 19-III-1941, G.M. 1941, p. 682); obice da 149/12 modificato mod. 14 e mod. 18, granata da 149/ 12 corta, granata da 149/12 di ghisa acciaiosa da 149/12-35 (circ. n. 233, 19-III-1941, G.M. 1941, p. 682); obice da 149/12 modificato mod. 14 e mod. 18, granata leggera da 149/12-13 (circ. n. 234, 19-IIl-1941, G.M. 1941 , p, 683); obice da 75/13 mod. 34 e mod. 35, granata mod. 32 da 75/13, 3 ~ carica (esempio di tavola grafico-numerica) (circ. n. 438, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1333); cannone da 75/50, granata a doppio 1:ffetto (circ. n . 440, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1334); cannone da 75/50 (circ. n. 441, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1334); obice da 152/13, granata inglese da 152/13, seconda serie di aggiunte e varianti (circ. n. 442, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1335); obice da 149/28, granata nebbiogena da 149/28, granata perforante da 149/28 (circ. n. 443, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1394); cannone da 149/40, granata a d.e. da 149/40, mod. 35 (circ. n. 503, 25-VI-1941, G.M. 1941, p. 1502); obice da 420/12, granata a b.p. corta (circ. n. 504, 25-VI-1941, G.M. 1941, p. 1503); cannone da 105/32, granata da 105, mod. 32 (circ. n. 505, 25-VI-1941, G.M. 1941, p. 1503); cannone da 105/32, granata a d.e. da 105 mod. 32 con spoletta a d.e. mod. 36 (circ. n. 506, 25-VI-1941, G.M. 1941, p. 1504); obice da 105/14, granata a d.e. da 105 mod. 32, prima serie di aggiunte e varianti (circ. n. 507, 25-VI-1941, G.M. 1941, p. 1504); cannone da 76/40 e 76/45, granata da 76/40-45 munita di spoletta a tempo mod. 36 (circ. n. 508, 25-VI-1941,G.M. 1941, p. 1505); cannone da 20 prima serie di aggiunte e varianti alle T.T. ncmeriche (circ. n. 509, 25-VI-1941, G.M. 1941, p, 1505); cannone da 65/17, prima serie di aggiunte e varianti (circ. n. 510, 25-VI-1941, G.M. 1941, p. 1506); mortai da 81, mod. 35 (circ. n. 559, 16-VII-1941, G.M. 1941, p. 1704); cannone da 120/25, granata a b.p. da 120/25-40 e granata di ghisa acciaiosa da 120/25-40 (circ. n. 590, 30-VII-1941, G .•~. 1941, p. 1764); cannone <la 75/46, granata da 75/46 con spoletta meccanica a tempo da 75/46 (circ. n. 591 , 30-VII-1941, G.M. 1941, p . 1765); cannone da 76/40, granata da 76/40 con spoletta a tempo mod. 900-34 (circ. n. 592, 30-VII-1941, G.M. 1941, p. 1765); cannone da 76/40, granata da 76/40-45 con spoletta a tempo mod. 36 (circ. n. 593, 30-VII-1941, G.M. 1941, p. 1766); cannone da 76/40 e 76/45, granata da 76/45 con spoletta a tempo mod. 900/34 carica ridotta (circ. n. 594, 30-VII-1941, G.M. 1941, p. 594); cannone da 76/45, granata da 76/40-45 con spoletta a tempo mod. 36 (circ. n. 595, 30-VII1941, G.M. 1941, p. 1767); cannone da 75/46, granata da 75/46 con spoletta meccanica a tempo 75/46 (circ. n. 596, 30-VII-1941, G.M. 1941, p. 1767); cannone da 75/46, granata da 75/46 con spoletta a tempo mod. 36 (circ. n. 597, 30-VIl-1941, G.M. 1941, p. 1768); cannone da 76/40 e da 76/45, granata da 76/40-45 mod. 36 con spoletta a tempo mod. 36 (circ. n. 598, 30-VII-1941, G.M. 1941, p. 1768); cannone da 77 / 28 e.a., granata da 77 e.a. con spoletta a tempo mod. 906/17 (circ. n. 599, 30-VII-1941, G.M. 1941, p. 1769); cannone da 76/45 con granata da 76/45 con spoletta a tempo mod. 900/34 (circ. n. 600, 30-VII-1941, G.M. 1941, p. 1769);
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FILIPPO STEFANI
cannone da 77/28 e.a., granata da 77 e.a. con spoletta a tempo mod. 906/17 (circ. n. 601, 30-VII-1941, G.M. 1941, p. 1770); cannone da 76/40, granata da 76/40-45 con spoletta a tempo mod. 36 (circ. n. 744, 1-X-1941, G.M. 1941, p. 2291); cannone da 75/27 mod. 06-11-12, granata da 75 quarta serie di aggiunte e varianti (circ. n. 745, 1-X-1941, G.M. 1941, p. 2292); determinazione dell'angolo di convergenza. Allegato 2, articolo 7 all'Istruzione sul tiro. Parte 2;,, Voi. IV dell'addestramento dell'artiglieria (circ. n. 743, 1-X-1941, G.M. 1941, p. 2291); obice da 100/22, granata da 100 mod. 23 (circ. n. 746, 1-X-1941, G.M. 1941, p. 2293); obice da 100/22, granata da 100 (circ. n. 747, l-X-1941, G.M. 1941, p. 2293); obice da 100/22, granata da 100 mod. 28 (circ. n. 770, 8-X-1941, G.M. 1941, p. 2388); obice da 75/18 semovente, granata da 75/18 mod. 32, granata perforante da 75 (circ. n. 857, 26-Xl-1941, G.M. 1941, p. 2692); cannone da 90/53, granata semiperforante da 90/ 42-53 (circ. n. 869, 3-XII-1941, G.M. 1941, p. 2721); cannone da 194/32 su affusto a cingoli St. 01amoud, granata da 194 mod. 21 e granata di ghisa acciaiosa mod. 20 (circ. n. 870, 3-XIl-1941, G.M. 1941, p. 2721); cannone da 149/29 mod. 70/93, granata di ghisa acciaiosa con falsa ogiva (F.A.0.) (circ. n. 891, 10-XIl-1941, G.M. 1941, p. 2803); cannone da 105/28, ftanata da 105 e monoblocco da 105, seconda serie di aggiunte e varianti (circ. n. 121, 11-II-1942, G.M. 1942, p. 285); cannone da 105/28, granata da 105 mod. 32, terza serie di aggiunte e varianti (circ. n. 122, 11-11-1942, G.M. 1942, p. 286); cannone da 90/53, granata da 90/53 munita di raccordo e spoletta 1-0-40 (circ. n. 123, 11-II-1942, G.M. 1942, p. 286); mortaio da 81 mod. 35 (circ. n. 618, 9-IX-1942, G.M. 1942, p. 1984); cannone da 90/53, granata da 90/53 munita di spoletta meccanica a tempo (circ. n. 624, 9-IX-1942, G.M. 1942, p. 1987); cannone da 37 /54, granata da 37/54 tracciante (circ. n. 677, 30-IX-1942, G.M. 1942, p, 2184); cannone da 37/54, cartoccio granata tracciante e scoppiante con spoletta OPX (circ. n. 678, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2185); cannone da 75/27 mod. 06-11-12, granata da 75 e granata perforante da 75 (circ. n. 679, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2186); cannone da 75/32, granata a d.e. da 75/32, granata perforante da 75/32 e proietto E.P. (circ. n. 680, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2186); cannone da 75/34 mod. 97 P.B., granata da 900/915 con spoletta R.Y.G. mod; 1918 (circ. n. 681, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2187); cannone da 75/46 mod. 34, granata da 75/46 con spoletta' mod. 36 pirica (circ. n. 682, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2187); cannone da 76/45, granata da 76/40-45 (circ. n. 683, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2188); cannone da 90/53, granata da 90/53 munita di raccordo per spoletta 1-0-40 (circ. n. 684, 30-IX-1942, G.M. 1942, p, 2188); cannone da 90/53, granata perforante da 90/53 (circ. n. 685, 30-IX-1942, p. 2189); obice da 100/17, granata a d.e. da 100 mod. 36 con spoletta a d.e. mod. 36 (circ. n. 686, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2190); obice da 100/22, granata da 100 mod. 32 (circ. n. 687, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2190); obice da 100/11 P .B., granata francese mod. 25 (circ. n. 688, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2191); obice da 105/15 camp. P.B., mod. 1935 (circ. n. 689, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2191); cannone da 105/28, granata a d.e. mod. 32 da 105, terza serie di aggiunte e varianti (circ. n. 690, 30-lX-1942, G.M. 1942, p. 2192); cannone da 85/33 P .B., granata leggera e granata pesante tipo D (circ. n. 691, 30-lX-1942, G.M. 1942, p. 2193); cannone da 120/40, granata a palletta da 120 (circ. n. 692, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 293); cannone da 120/40, granata b.p. da 120/25-45 e granata di ghisa acciaiosa da 120/25-40 (circ. n. 693, 30-lX-1942, G.M. 1942, p. 2194); cannone da 155/25 P.B., granata di ghisa acciaiosa (F.A.) mod. 1915 (circ. n. 695, 30-lX-1942, G.M. 1942, p. 1195); cannone da 76/40, granata da 76/40-45 (circ. n. 696, 30-lX-1942, G.M. 1942, p. 2196); obice da 149/ 19, granata da 149/35 mod. 32 (circ. n. 697,
CAP.
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DOTTRINA E ORDINAMENTI
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30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2196); mortaio da 81 mod. 35, prima serie di aggiunte e varianti (circ. n. 787, 18-XI-1942, G.M. 1942, p. 2598); granata da 75/51 mod. 28 (circ. n. 714, 7-X-1942, G.M. 1942, p. 2283); obice da 105/14, granata da 105 mod. 32, prima serie di aggiunte e varianti (circ. n. 813, 25-XI-1942, G.M. 1942, p. 2705); cannone da 90/53, granata da 90/53 con spoletta meccanica a tempo (circ. n. 872, 16-XII-1942, G.M. 1942, p. 3060); obice da 100/22 granata da 100 mod. 31 (circ. n. 873, 16-XII-1942, G.M. 1942, p. 3060); tabelle di ragguaglio delle diverse misure angolari impiegate in artiglieria (circ. n. 903, 30-XII-1942, G.M. 1942, p. 3148); obice da 149/19, granata leggera da 149/12-13 (circ. n. 874, 16-XII-1942, G.M. 1942, p. 3061); cannone da 90/53, granata dirompente da 90/53 con spoletta 1-0-40 (impiego antisbarco) (circ. n. 876, 16-XII-1942, G.M. 1942, p, 3062); obice da 155/14 P.B., granata di ghisa acciaiosa (F.A.) mod. 1915 (circ. n. 877, 16-XII-1942, G.M. 1942, p. 3062); cannone da 65/17, granata da 65/17 E.P. (circ. n. 878, 16-XII-1942, G.M. 1942, p. 3063); elenco delle tavole di tiro per i materiali dell'arma di artiglieria, Ed. 1942 {circ. n. 68, 3-II-1943, G.M. 1943, p. 156); obice da 75/15 P.B., granata da 75 mod. 28 originale, granata a d.e. da 75 mod. 28 originale, granata a palletta mod. 28 originale (circ. n. 69, 3-II-1943, G.M. 1943, p. 156); obice da 100/23 P.B., granata da 100 mod. 32 (circ. n. 70, 3-II-1943, G.M. 1943, p. 157); cannone da 152/37, granata da 152/37 (circ. n. 71, 3-II-1943, G.M. 1943, p. 157); obice da 100/11 P.B., granata a d .c. mod. 36 (circ. n. 72, 3-II-1943, G.M. 1943, p. 158); cannone da 155/25 P.B., granata di acciaio prolungata mod. 1914 (circ. n. 73, 3-II-1943, G.M. 1943, p. 158); cannone da 155/25 P.B., granata di ghisa acciaiosa (F.A.) mod. 1915 (circ. n. 74, 3-II-1943, G.M. 1943, p. 159); cannone da 76/45, granata da 75/40-45 mod. 36 con spoletta a tempo mod. 36 (circ. n. 75, 3-II-1943, G.M. 1943, p. 159); cannone da 75/32, granata a d.e. d:i 75/32 (circ. n. 76, 3-II-1943, G.M. 1943, p . 160); obice da 100/22, granata ad.e. da 100 mod. 36 (circ. n. 77, 3-IT-1943, G.M. 1943, p. 160); cannone da 105/32, granata da 105 e monoblocco da 105 (circ. n. 78, 3-II-1943, G.M. 1943, p. 161); cannone da 90/53, granata da 90/53 con spoletta pirica mod. 36 (circ. n. 96, 10-Il-1943, G.M. 1943, p. 201); obice da 100/22, granata da 100 (circ. n. 359, 3-Vl-1943, G.M. 1943, p. 1148); cannone da 76/40, granata da 76/40 con spoletta mod. 36 (circ. o. 360, 3-VI-1943, G.M. 1943, p. 1149); obice da 149/12 modificato mod. 14 e mod. 18, granata a palletta da 149/13 (circ. n. 361, 3-VI-1943, G.M. 1943, p. 1149); obice da 75/15 P.B., granata da 75/15 mod. 32 (circ. n. 362, 3-VI-1943; G.M. 1943, p. 1150); obice da 155/14 P.B., granata di acciaio mod. 1914 (circ. n. 363, 3-VI-1943, G.M. 1943, p. 1150); grafico rapportatore per il tiro (circ. n. 364, 3-VI1943, G.M. 1943, p. 1151); obice da 75/17 P.B., granata mod. 1900-1915, francese (circ. n. 498, 4-VIII-1943, G.M. 1943, p. 1603); obice da 76/15 P.B. (russo 76,2) cartoccio granata da 76/15 e cartoccio granata di ghisa acciaiosa da 76/15 (circ. n. 499, 4-VIII-1943, G.M. 1943, p. 1603); cannone da 75/34 mod. 97 P.B., granata di acciaio mod. 1917 (circ. n. 500, 4-VIII-1943, G.M. 1943, p. 1604); cannone da 76/32 P .B., granata mod. 28 originale e granata a d.c. mod. 28 originale (circ. n. 501, 4-VIII-1943, G.M. 1943, p. 1604); tabelle dei dati per tiro contraerei a puntamento d iretto per cannone da 90/53, granata dirompente munita di spoletta meccanica a tempo (circ. n. 429, 16-VI-1943, G.M. 1943, p. 1360). (8) Aggiornamenti e completamenti dei cataloghi dei materiali del gruppo « C »:
circ. n. 427, 26-VI-1940, G.M. 1940, p. 1436; circ. n. 178, 5-III-1941, G.M. 1941, p. 544; circ. n. 186, ll-III-1942, G.M. 1942, p. 186; circ. n . 437, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 437; circ. n. 713, 17-TX-1941, G.M. 1941, p. 2200; circ. n. 187, 11-IIl-1942,
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FILIPPO STEFANI
G.M. 1942, p. 187; circ. n. 268, &.IV-1942, G.M. 1942, p. 807; circ. n. 123, ll-TI1943, G.M. 1943, p. 324; circ. n. 124, 11-II-1943, G.M. 1943, p. 325; circ. n. 125, 11-11-1943, G.M. 1943, p. 325; circ. n. 126, l 1-II-1943, G.M. 1943, p. 326; circ. n. 127, 11-Il-1943, G.M. 1943, p. 326; circ. n. 147, 11-II-1943, G.M. 1943, p. 357 (XXX categoria - I fase. relativo a teleferica mod. 11); circ. n. 148, 11-Il-1943, G.M. 1943, p. 358 CXXX categoria - II fase. relativo a teleferica mod. 1 A); circ. n. 149, 11-II-1943, G.M. 1943, p, 358 (XXX categoria - III fase. relativo a teleferica mod. 2); circ. n. 150, 24-II-1943, G.M. 1943, p. 359 (XXX categoria - IV fase. relativo a teleferica mod. 2 A); circ. n. 151, 24-II-1943, G.M. 1943, p. 359 (XXX categoria - V fase. relativo a teleferica mod. 2 L); circ. n. 152, 24-II-1943, G.M. 1943, p. 160 (XXX categoria - VI fase. relativo a materiale vario per teleferiche); circ. n. 153, 24-Il-1943, G.M. 1943, p. 360 (XXX categoria - VII fase. relativo a « teleferiche diverse e telefori»); circ. n. 154, 24-II-1943, G.M. 1943, p. 361 (XXXII categoria - II fase. relativo a « trattrice Daimler da lOOHP»); circ. n. 155, 24-II-1943, G.M. 1943, p. 361 (XXXII categoria - XI fase. relativo a « trattore leggero 37 »); circ. n. 100, 10-II1943, G.M. 1943, p. 203; circ. n. 179, 10-III-1943, G.M. 1943, p. 447 (prima serie di aggiunte e varianti al XLIV Voi., XXXII categoria). (9) Quaderni di caricamento; comando di gruppo di batterie di corpo d'armata, di divisione celere, <li divisione motorizzata e di batteria da 75/18 mod. 34 a T.M. (circ. n. 29, 17-I-1940, G.M. 1940, p. 49 ); batteria di obici da 149/13 (circ. n. 124, 28-II-1940, G.M. 1940, p. 326); batteria di mortai da 210/8 D.S. (circ. n. 149, 6-III-1940, G.M. 1940, p. 374); batteria di cannoni da 149/35 (circ. n. 172, 13-IIT1940, G.M. 1940, p, 420); parco pt:r compagnia meccanici elettricisti, seconda serie di aggiunte e varianti (circ. n. 185, 20-IU-1940, G .M . 1940, p. 439); batteria di cannoni da 105/28 (circ. n. 257, 24-IV-1940, G.M. 1940, p. 696); compagnia aerostieri per osservazione, prima serie di aggiunte e varianti (circ. n. 435, 26-IV-1940, G.M. 1940, p. 1441); quaderni delle bocche da fuoco e delle installazioni ad affusti (circ. n. 436, 26-VI-1940, G.M. 1940, p. 1441); quaderno di caricamento del ponte di equipaggio n. O (circ. n. 500, 10-VIl-1940, G.M. 1940, p. 1633); reparto specialisti di artiglieria di corpo d'armata (circ. n. 658, 21-VIIl-1940, G.M. 1940, p. 2095); batteria di cannoni da 75/46 mod. 34 (circ. n. 800, 30-X-1940, G.M. 1940, p. 2710); gruppo <li batterie di cannoni da 75/46 mod. 34, terza serie di aggiunte e varianti (circ. n. 801, 30-X-1940, G.M. 1940, p. 2711); batteria di cannoni da 149/40 mod. 35 (circ. n. 145, 19-II-1941, G.M. 1941, p. 474); sezione fotografi, squadra fotografi, squadra telefotografi (circ. n. 175, 5-III-1941, G.M. 1941, p. 542); reparto munizioni e viveri di un gruppo di tre batterie di obici da 75/18 mod. 35 a T.M. e a T.A. (circ. n. 176, 5-III-1941, G.M. 1941, p. 543); batteria di obici da 210/22 mod . 35 (circ. n. 202, 12-III-1941, G.M. 1941, p. 618); batteria di obici da 75/18 mod. 34 a T.A. (circ. n. 226, 19-IIl-1941, G.M. 1941, p. 678); batteria da posizione (circ. n. 284, 9-IV-1941, G.M. 1941, p. 859); reparto munizioni e viveri su tre sezioni per gruppo ippotrainato da 100/17 mod. 14 (circ. n. 285, 9-IV-1941, G.M. 1941, p. 859); reparto munizioni e viveri per gruppo di batterie da 75 / 18 mod. 34 R.T.A. su tre sezioni (circ. n. 126 30-IV-1941, G.M. 1941, p. 994); batteria ippotrainata, seconda serie di aggiunte e varianti (circ. n. 327, 30-IV-1941, G.M. 1941, p. 994); compagnia cannoni da 47 /32 someggiata e per un cannone da 47 /32 guardia alla frontiera (circ. n. 344, 7-V-1941, G.M. 1941, p. 1107); batteria di obici da 105/14 (circ. n. 345, 7-V-1941, G.M. 1941, p. 1107); comando di gruppo di batterie da 143/40 mod. 35 e da 210/22 mod. 35 (circ. n. 406, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1283); batteria di obici
CAP. XXXII - DOTTRINA E ORDINAMENTI
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dn 75/18 mod. 35 a T .A. e a T M. e di cannoni da 75/34 mod. 37 {circ. n. 409, } I V-l941, G.M. 1941, p. 1284); quaderno di caricamento della serie di attrezza111t11ti portatili per le varie armi (circ. n. 422, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1301); sl·1.ione cannoni mitragliere da 20 mod. 35 su affusto da posizione e sezione cannoni 111i1ragliere da 20 mod. 35 da posizione su affusto campale (circ. n. 423, 21-V-1941, c;.M. 1941, p. 1302); comando di raggruppamento di artiglieria di corpo d'armata e d'armata (circ. n. 424, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1302); comando di gruppo di hatterie e di obici da 75/18 mod. 34 a T.A. (circ. n. 439, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1333); ponte di equipaggio n. 3 (circ. n. 459, 11-VI-1941, G.M. 1941, p. 1394); batteria da 100/17 a TM. (circ. n. 484, 18-VI-1941, G.M. 1941, p. 1455); batteria di obici da 210/22 mod. 35 (circ. n. 604, 30-VIl-1941, G.M. 1941 , p. 1771); attrezza ture pneumatiche leggere, medie, pesanti (drc. n. 714, 17-IX-1941, G.M. 1941, p. 2200); batteria di obici da 100/22 ippotrainata (circ. n. 890, 3-XII-1941, G.M. 1941, p. 2802); parchi tdcgrafid e telefonici (circ. n. 902, 24-XII-1941, G.M. 1941, p. 2869 ); batteria di cannoni da 149/40 mod. 35 (circ. n. 903, 24-XII-1941 , G.M. 1941, p. 2870); comando di reggimento di artiglieria t,er D.f. a T.M. e celere (circ. n. 24, 7-I-1942, G.M. 1942, p. 76}; batteria di cannoni mitragliere da 37 /54 mod. 39 (circ. n. 99, 4-Il-1942, G.Af. 1942, p. 253); sezione fototelegrafisti autocarreggiata, c:irreggiata, someggiata (circ. n. 135, 18-Il-1942, G.M. 1942, p. 390); battetia autoportata da 75/27--06 (circ. n. 163, 4-III-1942, G.M. 1942, p . 163); comando t!i gruppo di batterie da 75/27-06, 75/27 mod. 11, 75/18 mod. 35 e 100/ 17 mod. 14 a T.M. (circ. n. 164, 4-IIl-1942, G.M. 1942, p. 423); batteria di obici da 210/22 mod. 35, seconda serie di aggiunte e varianti (circ. n. 184, 4-III-1942, G.M. 1942, p. 477); compagnia da 47 /32 someggiata e per un cannone da 47 /32 guardia alla frontiera, prima serie di aggiunte e varianti (circ. n. 201, ll-IIl-1942, G.M. 1942, p. 512); parchi telegrafici e telefonici, prima serie di aggiunte e varianti (circ. n. 222, 25-III1942, G.M. 1942, p. 381); parchi artieri, seconda serie di aggiunte e varianti (circ. n. 357, 13-V-1942, G.M. 1942, p. 1088); compagnia mortai da 81 (reggimentale, di battaglione, di divisione, motorizzata tipo A.S. 42) (circ. n. 410, 3-VI-1942, G.M. 1942, p. 1366); batteria di cannoni <la 75/27 a T.M. (circ. n. 427, 10-VI-1942, G.M. 1942, p. 1404); comando di gruppo e di una batteria semovente da 75/18 (circ. n. 473, 1-VII-1942, G.M. 1942, p. 1525); reparto munizioni e viveri di reggimento di artiglieria per D. f . a. T.M. (circ. n. 524, 22-VII-1942, G.M. 1942, p. 1663); reparto munizioni e viveri di un gruppo di due batterie di obici da 75/18 semovente (circ. n. 622, 9-IX-1942, G.M. 1942, p. 1986); batteria da 90/53 mod. 41 P. da posizione costiera (circ. n. 625, 9-IX-1942, G.M. 1942, p. 1988}; officine auto trainate per pontieri (circ. n. 662, 23-IX-1942, G.M. 1942, p. 2162); batteria di autocannoni da 90/ 53 (circ. n. 672, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2182); compagnia cannoni da 47 /32 controcarri autotrainata o autoportata (circ. n. 843, 9-XIl-1942, G.M. 1942, p. 2758); comando di gruppo di artiglieria alpina da 75/13 (circ. n. 864, 9-XII-1942, G.M. 1942, p. 3056); batteria di obici da 149/19 (circ. n. 865, 9-XII-1942, G.M. 1942, p. 3056); comando di gruppo di batterie di obici da 75/18 mod. 34 a T.A. per D.E. (circ. n. 866, 9-XII-1942, G.M. 1942, p. 3057); comando di raggruppamento di corpo d'armata e di armata (circ. n. 867, 9-XII-1942, G.M. 1942, p. 3057}; reparto munizioni e viveri per gn1ppo di batterie <la 75/18 mod. 34 a T.A. per D.f. su tre sezioni (circ. n. 871 , 16-XII-1942, G.M. 1942, p. 3059); materiale da ponte di equipaggio n. 1 e n. 1 R (circ. n. 63, 3-Il-1943, G.M. 1943, p. 153 ); officina autotrainata per falegnami-carpentieri (circ. n. 64, 3-Il-1943, G.M. 1943, p. 154); officina autotrainata per meccanici fucinatori (circ. n. 65, 3-TT-1943, G.M. 1943, p. 154); comando di
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FILIPPO STEFANI
gruppo, una batteria e un reparto mWllZl.oni e viveri per un gruppo di tre batterie e di obici da 75/18 semoventi su 6 pe-ai {circ. n. 98, 10-Il-1943, G.M. 1943, p. 202); batteria di cannoni da 75/46 mod. 34 M. (circ. n. 122, 11-II-1943, G.M. 1943, p. 324); comando di gruppo, una batteria, un reparto munizioni e viveri per un gruppo di tre batterie di cannoni da 75/34 semoventi su 6 pe-ai (circ. n. 99, 10-Il-1943, GM. 1943, p. 203); batteria di autocannoni da 90/53, prima serie di aggiunte e varianti (circ. n. 231, 7-IV-1943, G.M. 1943, p. 692); sezione cannoni mitragliere da 20 mod. 35 da posizione su affusto campale, prima serie di aggiunte e varianti (circ. n. 232, 7-IV-1943, G.M. 1943, p. 692); batteria di obici da 75/18 mod. 34 a T.A. per D.f. (circ. n. 434, 30-VI-1943, G.M. 1943, p. 1398); comando di grutJpo di batterie e.a. cam1>ali da 75/46, mod. 34 M, da 90/53 mod. 41 C e di autocannoni da 90/53 (circ. n. 492, 28-VII-1943, G.M. 1943, p. 492); batteria di cannoni mitragliere da 20 mod. 35 (circ. n. 532, 11-VIII-1943, G.M. 1943, p. 532). (10) Guida per i militari incaricati dei collegamenti con colombi viaggiatori (circ. n. 303, 8-V-1940, G.M. 1940, t>- 303). Manuale sul puntamento e sul tiro delle batterie mobili da posizione costiera ad uso degli ufficiali di complemento della specialità (circ. n. 305, 8-V-1940, G.M. 1940, p. 807). Ta vole numeriche per la determinazione della distanza col procedimento della piccola base (circ. n. 352, 29-V-1940, G.M. 1940. p. 1148). Manuale per il pilota del carro L. 35 (drc. n. 522, G.M. 1940, p. 1697). 11.fanuale per gli specializzati d'artiglieria sulle trasmissioni a filo e ottiche (circ. n. 749, 9-X-1940, G.M. 1940, p. 2479). Manuale del capocarro L. 35 (circ. n. 874, 27-Xl-1940, C .M. 1940, p. 3133). Prima serie di au.iunte e varianti a Manualetti per specializzati. L'esplorazione rJ,elle truppe celeri (circ. n. 878, 27-XI-1940, G.M. 1940, p. 3155). Seconda ristampa della pubblicazione. Individuazione, determinazione, designazione degli obiettivi (circ. n. 965, 25-XII-1940, G.M. 1940, p. 3348). Manuale ad uso dei militari specializzati (circ. n. 966, 25-XII-1940, G.M. 1940, p. 3348). Manualetto dello specializzato per le trasmissioni della fanteria (circ. n. 83, 24-1-1941, G.M. 1941, p. 352). Manuale per la guerra chimica per uso degli ufficiali medici (circ. n. 502, 25-Vl -1941, G.M. 1941, p. 1502). Manuale sul puntamento e sul tiro delle batterie mobili per la difesa costiera (circ. n. 855, 26-Xl-1941, G.M. 1941, p. 2691). Manuale ml puntamento e sul tiro delle batterie mobili per la difesa costiera. Allegato n. 8. Descrizione e impiego della tavoletta per il tiro contraerei modificata per il tiro costiero (circ. n. 856, 26-Xl-1941, G.M. 1941, p. 2692}. Individuazione, indicazione, determinazione, desiwrazione de11.li obiettivi. Terza ristampa (circ. n. 258, l-lV-1942, G.M. 1942, p. 787). Manuale sul puntamento e sul tiro delle batterie mobili per la difesa costiera. Allegato n. 9. Descrizione del congegno per tiro costiero mod. 41 (circ. n. 562, 5-V Ul -1942, G.M. 1942, p . 1772). Circolare 11. 5000, 8-Ill-1940, Addestramento al tiro individuale, seconda ristampa (circ. n. 259, 1-IV-1942, G.M. 1942, p. 787). Man11ale sugli esplosivi ad uso dei guastatori di fanteria (circ. n. 440, 17-VI-1942, G.M. 1942, p. 1433). Manuale sul puntamento e sul tiro delle batterie mobili per la difesa costiera. Allegato n. 9. Descrizione ed impiego del congegno per tiro costiero mod. 41 (circ. n. 562, 5-VIII-1942, G.M. 1942, p. 1772). Manuale sul puntamento e sul tiro delle batterie mobili per la difesa costiera. Allegato n. 10. Grafici e abbachi per il tiro costiero (circ. n. 897, 30-Xll-1942, G.M. 1942, p. 3145). Manuale pratico di tiro ad uso degli ufficiali di complemento di arti11.lieria divisionale (circ. n. 450, 7-VII-1943, G.M. 1943, p. 1439). Manuale sul puntamento e sul tiro delle batterie mobili per la difesa costiera. Allegato n. 10 {circ. n. 897, 30-XII-1942, G.M. 1942, p. 3145).
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11 ) Raccolta delle disposizioni per l'amministrazione della giustizia militare comti/1·111e111ari dei codici penali militari. Voi. I. Disposizioni, modificatrici e integratrici ,lt·i codici penali militari. 1° Libro. Introduzione. Parte 1 4 • Sezione 1 4 (circ. n. 765, 16 X 1940, G.M. 1940, p. 2556). Istruzioni relative ad atti giuridici dei militari nella rrma delle operazioni (circ. n. 400, 19-VI-1940, G.M. 1940, p. 1357). Corpi di reato, ipoteca legale, sequestro, depositi finanziari in materia penale. Raccolta aggiornata, roordinata ed annotata delle disposizioni concernenti i corpi di reato, l'ipoteca legale, ti .fequestro ed i depositi finanziari in materia penale (circ. n. 766, 16-X-1940, G.M. 1940, p. 2557}. Seconda serie di aggiunte e varianti al Regolamento di disciplina militare per · il R.E. (circ. n. 180, 5-Ill-1941, G.M. 1941, p. 545). Massimario delle sentenze del tribunale supremo militare, anni 1930-1940 (drc. n. 804, 23-X-1941, G.M. 1941, p. 2542). Codici penali militari di pace e di guerra (circ. n. 457, 11-Vl-1941, G.M. 1941, p. 1393). Il campione penale nelle cancellerie giudiziarie. Raccolta aggiornata, coordinata ed annotata delle disposizioni concernenti il recuperamento delle pene /iccuniarie e delle spese di giustizia in materia penale mediante i cancellieri (circ. n. 11, 31-XII-1941, G.M. 1942, p. 29). Raccolta delle disposizioni per l'amministratione della giustizia militare, complementari dei codici penali militari. Voi. I. Disposizioni modificatrici e interpretatrici dei codici penali militari. Zo Libro. Parte l". Set.ioni 2° e 3 4 (circ. n. 162, 19-Il-1942, G.M. 1942, p. 422). Dsposizioni di coordina111c11to transitorie e di attuazione dei codici penali militari di pace e di guerra (circ. n . 55, 27-1-1943, G.M. 1943, p . 137). (12) Codice G . Abbreviazioni di corrispondenza ad uso delle stazioni r.t. del R.E. (circ. n . 81, 7-Il-1940, G.M. 1940, p. 196). Servizio di guerra (circ. n. 281, I-V-1940, G.M. 1940, p. 774). Codice 2. Abbreviazioni di corrispondenza fra stazioni r.t. del R.E. e stazioni r.t. dipendenti da altre amministrazioni (circ. n. 477, 3-VII-1940, G.M. 1940, p. 1569). Usi e convenzioni di guerra (circ. n. 520, 17-VIl-1940, G.M. 1940, p. 1697). Istruzione sui collegamenti. Norme di corrispondenza (circ. n. 501, 10-VII1940, G,M. 1940, p. 1634). Terza serie di aggiunte e varianti alle dispo~izioni e norme relative ai servizi della rete radiotelegrafica del R.E. (circ. n. 129, 12-II-1941, G.M. 1941, p. 435). Convenzione internazionale sul trattamento dei prigionieri di guerra (circ. n. ,261, 2-IV-1941, G.M. 1941, p. 804). Prima ristampa del servii.io in guerra (circ. n. 293, 9-IV-1941, G.M. 1941, p. 915). Seconda ristampa della istrut.iòne sul servizio dei giudici di campo (circ. n. 324, 30-IV-1941, G.M. 1941, p. 993). Prima serie di aggiunte e varianti al servizio in guerra (circ. n. 407, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1283}. · Terza serie di aggiunte e varianti alla istruzione sui collegamenti. Voi. I. Mezzi ed organizzazione (circ. n. 535, 9-XIl-1941, G.M. 1941, p. 1589). Istruzioni concernenti i prigionieri di guerra nemici (circ. n. 668, 27-VIIl-1941, G.M. 1941, p. 2076). Istruzioni relative all'occupazione dei territori nemici (circ. n. 282, 31-III1942, ·G.M. 1942, p. 848). Seconda serie di aggiunte e varianti alla istruzione sui collegamenti. Voi. I. Norme di corrispondenza (circ. n. 269, 8-IV-1942, G.M. 1942, p. 808). Codice r.t. del servizio del R.E. (circ. n. 616, 9-IX-1942, G.M. 1942, p. 1883).
Bozza provvisoria delta istruzione sui collegamenti. Voi. II. Norme di corrispondenza (circ. n. 97, 10-II-1943, G.M. 1943, p. 201). ( 13) Istruzione sull'affardellamento dei bersaglieri ciclisti e motociclisti e sui trasporti delle armi e delle munizioni sulla bicicletta e sui motomezzi (circ. n. 30, 17-1-1940, G.M. 1940, p. 50). Istruzioni sull'affardellamento e sulla bardatura per i car(lbinieri reali (circ. n. 148, 6-II-1940, G.M. 1940, p. 1320). Terza serie di aggiunte
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e varianti alla istruzione sull'affardellamento della cavalleria (circ. n. 224, 10-IV-1940, G.M. 1940, p. 572). Istruzione per l'igiene dei militari del R.E. (circ. n. 258, 24-IV1940, G.M. 1940, p. 696). Norme per la costituzione dei depositi materiali esplosivi. 111 ristampa aggiornata al 30-IX-1939 (circ. n. 582, l-V-1940, G.M. 1940, p. 774). Regolamento sul servizio veterinario militare te"itoriale (circ. n. 370, 5-VI-1940, G.M. 1940, p. J171). Istruzione sull'affardellamento interno ed esterno del sacco nuovo modello per le truppe alpine (circ. n . 428, 26-VI-1940, G.M. 1940, p. 1437). Regolamento per l'esecuzione dei grandi trasporti militari in ferrovia (circ. n. 498, 10-VII1940, G.M. 1940, p . 1633;. Istruzione sul movimento e stazionamento delle truppe (circ. n. 521, 17-VII-1940, G.M. 1940, p. 1697). Norme per il buon funzionamento delle artiglierie e delle munizioni (circ. n. 678, 28-VIII-1940, G.M. 1940, p. 2147). Raccolta delle disposizioni riguardanti il servizio dell'assistenza spirituale alle forze armate dello Stato (circ. n. 697, 11-IX-1940, G.M. 1940, p. 2347). Istruzione per i servizi di commissariato militare. Libro 2". Servizio delle sussistenze militari (rin:. n. 784, 23-X-1940, G.M. 1940, p. 2641}. Istruzione sulla costituzione e sul caricamento e carreggio degli alpini (circ. n. 31, 8-I-1941, G.M. 1941, p. 112}. Istruzione per i servizi di commissariato militare. Libro l". Servizio interno per gli enti di commissariato (circ. n. 94, 29-I-1941, G.M. 1941, p. 359). Norme per la manutenzione, riparazione e correzione dei materiali r.t. (circ. n. 171, 5-III-1941, G.M. 1941, p. 541). Prima serie di aggiunte e varianti alla istruzione sul movimento e stazionamento delle truppe (circ. n. 179, 5-III-1941, G.M. 1941, p. 544). Quarta serie di aggiunte e varianti alla istruzione sull'affarellamento della cavalleria (circ. n. 283, 9-IV-1941, G.M. 1941, p. 858). Istruzione sui servizi di commissariato militare. Libro N. Servizio vestiario ed equipaggiamento (circ. n. 445, 21-V-1941, G.M. 1941, p. 1336). Istruzione sul servizio del vitto militare (circ. n. 560, 16-VI-194 l, G.M. J 941, p. 1705). Istruzione per il servizio automobilistico in guerra. Allegato n. 15 alle norme penali per l'organiuazione e funzionamento dei servizi di guerra (circ. n. 637, 13-VIII-1941, G.M. 1941, p. 2020). Variante al nomenclatore del materiale dei servizi logistici (circ. n. 901, 24-XII-1941, G.M. 1941, p. 2869). Istruzione sull'affardellamento della cavalleria (circ. n. 10, 24-XII-1941, G.M. 1942, p. 28j. Variante al nomenclatore del materiale dei servizi logistici (circ. n. 84, 28-1-1942, G.M. 1942, p. 228). Istruzione sul trasporto di feriti o malati in montagna (circ. n. 133, 18-II-1942, G.M. 1942, p. 308). Prima serie di aggiunte e varianti alla istruzione per i servizi di commissariato militare. Libro II. Servizio delle sussistenze militari (ere. n. 204, 18-IIl-1942, G.M. 1942, p. 513). Istruzione per le matricole dei quadrupedi di truppa del R.E. (circ. n. 675, 30-IX-1942, G.M. 1942, p. 2183). Prima serie di aggiunte e varianti alla istruzione sul servizio pompieristico militare (circ. n. 791, 18-XI-1942, G.M. 1942, p. 2600). Istruzione sul movimento e stazionamento delle truppe. Allegato 1 al servizio in guerra (circ. n. 812, 25-XI-1942, G.M. 1942, p. 2705). Istruzione sui lavori stradali in guerra (circ. n. 905, 30-XII-1942, G.M. 1942, p. 3149). Istruzione sull'affardellamento interno ed esterno del sacco per le truppe alpine mod. 39 (circ. n. 537, 18-VIII-1943, G.M. 1943, p. 1665). Prima serie di aggiunte e varianti alla istruzione sui piani caricatori militari scomponibili (circ. n. 7, 3-1-1940, G.M. 1940, p. 8). ( 14) Seconda serie di aggiunte e varianti al tariffario dei lavori occorrenti per la manutenzione e la riparazione di materiali del gruppo C (circ. n. 843, 13-Xl-1940, G.M. 1940, p. 2813). Tariffe dei medicinali e prodotti accessori, degli oggetti di medicatura, dei reagenti, ecc. (circ. n. 6, 3-I-1940, G.M. 1940, p. 8). Prima serie di aggiunte e varianti al prontuario per la visita, controvisita e riparazione del materiale da 149/12
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1110d. 914 (circ. n. 209, 3-IV-1940, G.M. 1940, p. 524). Prima serie di aggiunte e 111 m anti al prontuario per la visita, controvisita o riparazione del materiale da 105/28 (t·irc. n. 2 10, 3-IV-1940, G.M. 1940, p. 524). Prontuario per la visita, controvisita o n/mazione del materiale da 100/17 mod. 14. Fase. II, III, IV, V (circ. n. 337, 22-V1940, C. M. 1940, p. 1068). Istruzione per la contabilità degli enti amministrativi del IU:. (circ. n. 499, 10-VII-1940, G.M. 1940, p. 1633). Prima serie di aggiunte e varianti prontuario per la visita, controvisita o riparazione del materiale da 100/17 mod. 16. ,:asc. V (circ. n. 926, 11-XII-1940, G.M. 1940, P. 3269). Prima serie di aggiunte e uariant:. al prontuario per la visita, controvisita o riparazione del materiale da 100/1 7 1110d. 16. Fase. Il (circ. n. 927, 11-XII-1940, G.M. 1940, p. 3270). Seconda serie di af!J!.iunte c varianti al prontuario per la visita, la controvisita o riparazione del materia/e da 149/ 12 mod. 1914. Fase. II (circ. n. 929, 11-XII-1940, G .M. 1940, p. 3271). Seconda serie di aggiunte e varianti al prontuario per la visita, controvisita o ripara:.ionc del materiale da 105/28 (circ. n. 570, 3-VII-1943, G .M. 1943, p. 1728). Regolamento per le matricole del R.E. (circ. n. 715, 17-IX-1941, GM. 1941, p. 2201). Capitoli J!.C11erali d'oneri per i contratti attinenti al servizio di artiglieria ed istruzioni per la applicazione dei capitoli stessi (circ. n. 146. 11-ll-1943, G .M . 1943, p. 357). Prontuario pa la visita, controvisita o riparazione del materiale da 149/ 35. Fase. I, II, Il!, N , V (circ. n. 383, 10-VI-1943, G.M. 1943, p . 1184).
,,t
( L5) Norme di servà:io interno per la scuola di applicazio11e di fanteria (circ. n . 61, 31-X-1939, G ..M. 1940, p. 151). Idem per la R. Accademia di fanteria e di cavalleria (circ. n. 114, 31-X-1939, G.M. 1940, p. 310). Idem per la R. Accademia di artiglieria e genio (circ. n. 146, 31-X-1939, G.M. 1940, p. 373). Idem per la scuola di applicazione di artiglieria e genio (circ. n . 292, 31-X-1939, G .M. 1940, p. 790). Idem per la scuola di perfezionamento di commissariato militare (circ. n. 4, 27-XII-1939, G.M. 1940 p. 6). Corsi allievi ufficiali complemento. Norme generali per l'ammissione e per io svolgimento. Programmi di insegnamento (circ. n. 683, l-IV-1940, G.M. 1940, p. 2172). Norme di servizio interno per la R. Accademia di fanteria e cavalleria (circ. n. 925, 11-XII-1940, G.M. 1940, p. 3269). Norme di servizio interno per la R Accademia di artiglieria e genio (circ. n. 171, 5-III-1941, G .M. 1941, p. 541). Norme di servizio interno per la scuola di applicazione di cavalleria (circ. n. 173, 5-III-1941, G.M. 1941, p. 542). Norme di servizio interno per la scuola di applicazioni di artiglieria e genio (circ. n. 242, 26-Ul-1941, G .M. 1941, p. 741). Norme di servizio interno per la legione carabinieri (circ. n. 342, 7-V-1941, G.M. 1941, p. 1106). Terza serie di aggiunte e varianti alle norme per la vita delle scuole militari (circ. n. 571, 2}-Vll-1941, G.M. 1941, p. 1728). Norme di servizio intemo per la scuola di applicazione di fanteria (circ. n. 820, 6-XI-1940, G.M. 1940, p. 2783). Terza serie di aggiunte e varianti al regolamento per l'istituto superiore di guerra (circ. n. 23, 28-Xl-1940, G.M. 1940, p. 101).
(16) Seconda serie di aggiunte e varianti alle norme per il servizio di presidio (circ. n. 928, 11-XII-1940, G.M. 1940, p. 3270).
(17) Costituzione organica della divisione corazzata Ariete stabilita ai primi di gennaio 1942 per il riordinamento deJie grandi unità nella Sirtica: comando di divisione: comando, stato maggiore, quartier generale, nucleo movimento stradale; 1 battaglione autoblindo (47 autoblindo 41); 1 battaglione semoventi da 47 /32 (19 semoventi); 1 reggimento carri M 13/40 su 3 battaglioni (189 carri M); 1 reggimento bersaglieri su: comando, 2 battaglioni bersaglieri su 3 compagnie, 1 battaglione con-
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trocarri su 3 compagnie da 47 /32; 1 reggimento di artiglieria su: comando, 2 gruppi da 75/22-06 TM_ su 3 batterie, 2 gruppi semoventi da 75/18 (20 semoventi),. 1 gruppo da 105/28 su 2 batterie ed 1 sezione da 20 mm mod. 35, 1 gruppo da 90/53 su 2 batterie da 90/53 e 2 batterie da 20 mm mod. 35; 1 battaglione misto del genio su: 1 compagnia artieri, 1 compagnia collega.menti; 1 sezione sanità; 1 sezione sussistenza; 1 autogruppo misto su: comando, 1 autoreparto su 4 autosezioni leggere; 1 autogruppo misto su 2 autosezioni leggere e 2 autosezioni carburanti di autopesanti. Costituzione organica della divisione motorizzata Trieste stabilita ai primi di gennaio 1942 per il riordinamento delle grandi unità nella Sirtica: comando di divisione; comando, stato maggiore, quartier generale, nucleo movimento stradale; 1 battaglione autoblindo (47 autoblindo 41); 1 battaglione carri M 13/40 (52 carri); 2 reggimenti di fanteria . su: comando, 1 compagnia comando, 1 compagnia mortai da 81, 2 battaglioni di fanteria su 3 compagnie; 1 reggimento artiglieria su: comando; 1 gruppo da 88/55 su 3 batterie, 2 gruppi da 100/17 mod. 14 T.M. su 3 batterie, 2 gruppi da 75/17-06 T.M. su 3 batterie, 2 batterie da 20 mm mod. 35 su 8 pezzi ciascuna; l battaglione misto del genio su: comando, 1 compagnia speciale artieri (1 plotÒne artieri, 1 plotone idrici, 1 plotone arresto, 1 parco di compagnia), 1 compagnia collegamenti (2 plotoni telegrafisti, l plotone marconisti, 1 parco di compagnia, 1 sezione sanità, 1 sezione sussistenza); 1 aucogruppo divisionale su: comando, 2 autoreparti su 5 sezioni leggere ciascuno, 1 autoreparto misto su 3 autosezioni leggere, 1 autosezione pesante, 1 autosezione carburanti di autopesanti (in totale 61 autocarri pesanti, 314 autocarri leggeri, 3 autofficine pesanti). Costituzione organica della divisione di fante ria A.S. 42 stabilita ai primi di gennaio 1942 per il riordinamento delle grandi unità nella Sirtica: comando di divisone su: comando, stato maggiore, quartier generale; 2 reggimenti di fanteria su: comando, 1 compagnia comando, 1 compagnia mortai, 3 battaglioni di fanteria su 4 compagnie (la compagnia su 1 squadra comando, 1 plotone fucilieri, 1 plotone mitraglieri, 1 plotone controcarri da 20 o 25 mm, 1 plotone controcarri da 47 /32 per un totale di ·5 ufficiali, 13 sottufficiali, 111 uomini di truppa, 6 fucili mitragliatori, 3 mitragliatrici, 3 pezzi da 20 o 25 mm, 3 pezzi da 47 /32, 3 autocarri pesanti) con un totale di automezzi nel reggimento di 16 autocarri leggeri e 40 autocarri pesanti; 1 reggimento di artiglieria su: comando, 1 gruppo da 88/55 su 3 batterie, 2 gruppi da 100/17 mod. 14 T .M. su 3 batterie, 2 gruppi da 75/27-06 T.M. su 3 batterie, 2 batterie da 20 mm mod. 35 su 8 pezzi ciascuna (in totale: 12 pezzi da 88/55, 24 da 100/17, 24 da 75/27, 16 da 20 mm; 190 automezzi, escluse le autovetture ed i motomezzi); 1 battaglione misto del genio su: comando, 1 compagnia speciale artieri (1 plotone artieri, 1 plotone idrici, 1 plotone arresto, 1 parco di compagnia), 1 compagnia collegamenti (su 3 plotoni telegrafisti, 1 plotone marconisti, 1 parco di compagnia), 1 sezione di sanità, 1 sezione di sussistenza. (18) Ugo càvallero, Comando Supremo ecc., Op. cit. -e soprattutto documentazione originale e completa del diario conservata presso l'archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito. (19) RD. 24-VIIl-1939, circ. n. 803, G.M. 1939, p. 2580. Numerazione e denominazione delle divisioni. Divisioni di fanteria: 1a Superga, 2a Sforzesca, 3a Ravenna, 4a Livorno, 5a Cosseria, 6a Cuneo, 7a Lupi di Toscana, 9a Pasubio, lCJA Piave, 11a Brennero, 12a Sassari, 13" Re, 14" Isonzo, 15a Bergamo, 16a Pistoia, 17a Pavia,
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18a Messina, 19a Venezia, 2oa Friuli, 21a Granatieri di Sardegna, 22• Cacciatori delle Alpi, 23a Ferrara, 24• Pinerolo, 2.5• Bologna, 26• A.ssietta, 27• Brescia, 28a Aosta, 29& Piemonte, 3oa Sabauda, 313 Calabria, 323 Marche, 33a Acqui, 36• Forlì, 37a Modena, 38• Puglie, 44• Cremona, 48• Taro, 49a Parma, 503 Regina, .52• Torino, .53a Arezzo, 54• Napoli, .5.5a Savona, .56a Casale, .57a Lombardia, 58• Legnano, .59& Cagliari, 6()A Sabratha, 61• Sirte, 62a Marmarica, 63• Cirene. Divisioni motoriz.. zate: 101• Trieste, 102• Trento. Divisioni alpine: 1• Taurinense, 2• Tridentina, 3a Julia, 4a Cuneense, .5• Pusteria. Divisioni celeri: 1• Eugenio di Savoia, 2• Emanuele Filiberto Testa di fe"o , 3~ Principe Amedeo duca d'Aosta. Divisioni corazzat'!: 131• Centauro, 132• Ariete. R.D. 16-XI-19.39, circ. n. 154, G.M. 1940, p . .399. Istituisce: le divisioni di fanteria 41" Firenze, 47a Bari, .51• Siena; la divisione corazzata 133a Littorio. L'8 settembre 1943 erano in essere: le due divisioni corazzate Centauro e Ariete; le 3 divisioni celeri, la divisione paracadutisti N embo; le divisioni alpine Taurinense, Tridentina, Julia, Cuneense, Pusteria; la divisione di fanteria motorizzata Piave; le divisioni di fanteria Brennero, Parma, Perugia, Arezzo, Firenze, Puglie, Marche, Messina, Emilia, Ferrara, Venezia, Forlì, Piceno, Cagliari, Piemonte, Modena, Casale, Acqui, Siena, Cuneo, Regina, Rovigo, Cosseria, Ravenna, Piacenza, Granatieri di Sardegna, Sassari, Piceno, Mantova, Pasubiu, Sabauda, Calabria, Bari, Sforzesca, Torino, Legnano, Lupi di Toscana, Taro, Cremona, Friuli, Macerata, Murge, Re, Cacciatori delle Alpi, Isonzo, Lombardia, Bergamo, Zara, delle quali Perugia, Emilia Rovigo, Piceno, Piacenza, Ma11t01Ja, Macerala, Murie e Zara costituite guerra durante.
La legge n. 104 dd 22-1-1942, circ. n. 194, 22-1-1942, G.M. 1942, p. 492 fissò nella seguente misura gli organici del regio esercito: generali di corpo d'armata 44, di divisione 118 + 1 dei carabinieri, di brigata 24.5 + 11 dei carabinieri + 3 del corpo automobilistico + 3 del servizio della motorizzazione + 9 maggiori generali medici + 3 maggiori generali di commissariato. Arma dei carabinieri: colonnelli 46, tenenti colonnelli 124, maggiori 219, capitani 604, subalterni 610; arma di fanteria: 698, 1.369, 1746, 3744, 3910; arma di cavalleria: .53, 102, 141, 280, 309; arma di artiglieria: 3.53, 703, 934, 1999, 2014; arma del genio: 103, 232, 289, 628, 648; corpo automobilistico: 28, 59, 82, 261, 259; ufficiali medici: 62, 240, 309, 742, 742; ufficiali farmacisti: 4, 3, 41, 71, 71; ufficiali commissari: 33, 72, 100, 183, 146; ufficiali di sussistenza: 1, 19, 34, 121, 141; corpo di amministrazione: 29, 99, 300, 611, 673; corpo veterinario: 17, 41, 62, 110, 8.5; servi'1.io tecnico di artiglieria: 17 colonnelli, 123 ufficiali dei vari gradi; servizio tecnico del genio: 9 colonnelli, 55 ufficiali dei vari gradi; servizio della motorizzazione: 6 colonnelli, 44 ufficiali dei vari gradi. Legge 457 circ. n. 4.50, G.M. 1940, p . 150. Sostituzione della tabella graduale e numerica degli ufficiali del corpo di stato maggiore annessa al RD.L_ n. 1419 dell'll-XI-1935: colonnelli 43, tenenti colonnelli 163. L'ordinamento del corpo di stato maggiore e dello stato maggiore dell'esercito venne regolato dalla legge 14-VI-1940, n. 100, circ. n. 619, G.M. 1940, p. 2017: - « la carica di Capo di Stato Maggiore dell'esercito può essere ricoperta da un ufficiale generale del R.E. scelto tra i Marescialli d'Italia, i generali d'armata (o
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generali comandanti designati d'armata), i generali di corpo d'armata e i generali di divisione»; - « il Comando del Corpo di Stato Maggiore è retto dal Capo di Stato Maggiore del Regio Esercito, che è coadiuvato: • da un Sottocapo di Stato Maggiore del Regio Esercito (comandante in 2~ del Corpo di Stato Maggiore); da due generali capi-reparto; da un generale addetto; - da un Sottocapo di Stato Maggiore per la difesa territoriale; da un generale addetto allo Stato Maggiore per la difesa territoriale». L'ordinamento dello stato maggiore generale venne regolato dalla legge 18-X-1940, n. 1550, circ. n. 886, G.M. 1940, p. 3218 che istitul le cariche di sottocapo di stato maggiore generale e di generale addetto allo stato maggiore generale. L'art. 2 della legge recita: « Per l'esercizio delle sue attribuzioni, il Capo di Stato Maggiore Generale dispone di un proprio Stato Maggiore Generale, al quale è assegnato, con la qualifica di generale o ammiraglio addetto, un ufficiale generale di divisione o di brigata del Regio esercito o un ufficiale di grado corrispondente della Regia marina o della Regia aeronautica. Allo Stato Maggiore Generale di cui al precedente comma sono addetti ufficiali scelti &a quelli delle diverse Forze armate designati per ciascuna di tali fori:e dal rispettivo Ministro. Il Sottocapo di Stato Maggiore Generale ed il generale o ammiraglio addetto, nonché gli ufficiali addetti ai sensi del precedente comma, sono compresi fra quelli stabiliti dalle tabelle organiche previste dalla legge di ordinamento di ciascuna Form armata ».
CAPITOLO XXXIII
LE CAMPAGNE AUTONOME ITALIANE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE (Parte prima) 1. I rapporti dottrinali. 2. I rapporti ordinativi. 3. La mobilitazione negli anni 1939 e 1940. 4. La direzione politico-strategica e la direzione tecnico-militare della guerra. 5. La campagna delle Alpi occidentali. 6. Il ciclo operativo dal giugno 1940 al febbraio del 1941 nell'Africa settentrionale.
1. La dottrina tattica elaborata dallo stato maggiore dell'esercito dal 1918 al 1940 offtl, di un'eventuale guerra futura, una v1S1one centrata su tre caratteristiche fondamentali: la totalitarietà del fenomeno, il dinamismo delle operazioni, l'associazione operativa delle forze aeree con quelle di superficie. Una visione vicina a quella che sarà la realtà, ma ripresa da un'angolazione ristretta e inidonea a misurare le dimensioni e le proporzioni della nuova fenomenologia bellica. Il complesso delle Alpi obnubilò la prefigurazione e fuorviò i concetti. Le frontiere terrestri con la Francia e con la Gran Bretagna nell'Africa settentrionale e in quella orientale - dove la guerra non avrebbe avuto più le caratteristiche delle campagne coloniali del passato e la lotta si sarebbe svolta secondo schemi concettuali, organizzativi e di condotta diversi da quelli validi per i terreni della madrepatria - vennero per lungo tempo ignorate e ad esse si cominciò a pensare quasi all'ultimo momento. La legge del 1925 e quelle del 1931 sull'organizzazione della nazione in guerra, sulla disciplina di guerra e sugli esoneri avevano colto assai bene il concetto della totalitarietà della guerra, ma ebbero attuazione parziale, inorganica e spesso in contrasto con i principi ed i criteri che le avevano ispirate. Il ritorno alla concezione classica della guerra, dando preminente sviluppo alla guerra di movimento, fu il caposaldo della dottrina tattica dal 1928 al 1938, ma per la misurazione del dinamismo
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CAP. XXXUI • LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE PRIMA)
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delle operazioni si rimase fermi ai valori della velocità operativa e della mobilità tattica della prima guerra mondiale. Il ruolo delle forze aeree sul piano strategico e tattico - presenti sin dal momento della mobilitazione e della radunata ed in grado d'influire sensibilmente non solo sull'inizio, ma sull'intero sviluppo delle operazioni terrestri - chiaramente prefigurato in sede di affermazione dei princìpi, non fu altrettanto compiutamente valorizzato in sede di definizione delle modalità di azione e delle procedure di cooperazione. Dall'esatta individuazione delle caratteristiche principali dell'eventuale guerra futura non vennero tratte, in conclusione, neppure in sede concettuale e dottrinale, le conseguenze ed i corollari che sarebbero dovuti derivarne in un contesto logico e coerente. Se alla dottrina del decennio 1928-1938 erano mancate la compiutezza del pensiero e la conseguenzialità delle modalità di azione, non le erano venute meno né l'essenzialità della manovra a tutti i livelli, né l'importanza determinante della tattica d'infiltrazione. La manovra era stata intesa come utilizza:done <li <lue masse distinte una di rottura e una appunto di manovra - e la tattica d'infiltrazione come sfruttamento, a tutti i livelli, della linea di minore resistenza. La dottrina del 1938 rivoluzionò tali concetti riducendo il ruolo dei gradini inferiori al corpo d'armata a semplici pedine di coordinamento del movimento e del fuoco e sostituendo la tattica della botta dritta a quella dell'infiltrazione. Alla base della dottrina tattica venne posta una concezione fideistica: « lo spirìto trasforma una idea in convinzione ed è ancora lo spirito che di una convinzione fa una fede. E quando c'è la fede, c'è la forza animatrice per qualsiasi impresa» (1). Una concezione spiritualistica, intellettualistica e metafisica che attrae verso i campi fioriti dell'illusione e trascina fuori della realtà senza fare i conti con le forze ed i mezzi propri e dell'avversario. Si vollero mutare criteri e procedimenti in nome di un presunto progresso e di una presunta evoluzione - la nostra dottrina non muta, perché non sono mutate le condizioni nelle quali si affronterebbe oggi un conflitto, ma progredisce e si evolve (2) - ed invece si tornò indietro. Si intese ricercare una maggiore unitarietà del combattimento ed una maggiore semplicità di articolazione, ma in pratica si mortificò lo spirito d'iniziativa ed il senso di responsabilizzazione di tutti i livelli e, in particolare, di quello divisionale. I comandanti di divisione si ridurranno in guerra a non fare nulla che non sia stato loro ordinato ed a non muoversi neppure nell'ambito delle loro attribuzioni senza aver ricevuto il beneplacito preventivo del gradino gerarchico superiore, come non mancherà di rilevare
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e biasimare il maresciallo Rommel (3) in giudizi verbali e scr1tt1 espressi al maresciallo Cavallero (4) e nel libro Guerra senza odio (5). La brevità del tempo intercorso tra l'emanazione della circolare 9000 e la data dell'entrata in guerra dell'Italia non rese possibile l'assimilazione delle nuove concezioni e dei nuovi procedimenti, questi sanciti addirittura nel 1939, tanto che invariabilmente nel primo anno di guerra le divisioni di fanteria attaccheranno su due direttrici parallele come era previsto per la divisione ternaria con la conseguenza che il logoramento contemporaneo delle due deboli colonne costringerà a scavalcamenti e sostituzioni prima ancora di aver potuto portare a termine l'urto (6). Il pericolo 'della guerra proprio nell'autunno del 1938 si era fatto più incombente, per cui motivi di prudenza avrebbero dovuto trattenere lo stato maggiore dell'esercito da ogni innovazione dottrinale ed ordinativa che non si fosse palesata indispensabile dal raffronto con gli altri eserciti o dalla constatazione di errori evidenti. Una dottrina ancorché lacunosa , ma affermata nella pratica, giova all'efficienza operativa più di una dottrina migliore e quella del 1938 non lo era - improvvisata e perciò di lungo e laborioso apprendimento. La conclusione è che sul piano della dottrina, anche se questa non fosse stata modificata nel 1938, l 'esercito sarebbe sceso in campo con gravi lacune concettuali soprattutto per il mancato riconoscimento del ruolo da attribuire al binomio carro armato-aereo; le innovazioni apportate alla regolamentazione del decennio 1928-'38, per la inconsistenza de11e motivazioni, la non rispondenza agli orientamenti degli altri eserciti, la proiezione verso situazioni tattiche irreali e l'insufficienza dei tempi di maturazione, annullarono o quasi il valore di una delle componenti - Ja dottrina - che concorre alla determinazione della capacità operativa.
2. La valorizzazione dei fattori spirituali e morali , il rinnovamento delle armi della fanteria, l'impulso alla motorizzazione e ~lla meccanizzazione, la costituzione delle divisioni celeri - sebbene forma te da elementi eterogenei quanto a velocità operativa e mobilità tattica e tutti gli altri provvedimenti ordinativi ed organizzativi adottati dal 1926 in poi, fino alla costituzione nel 19 3 7 delle prime <luc brigate corazzate, erano valsi a conferire gradatamente all'esercito una fisionomia meno legata al modello del 1914 e, nelle sue linee schematiche
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d'impostaizone (ma non in quanto ad armamento ed equipaggiamento), analoga a quella degli altri maggiori eserciti europei. La caratteristica principale dell'esercito era rimasta però, senza soluzione di continuità, quella di uno strumento prevalentemente orientato a compiti difensivi su terreni montani. La tendenza costantemente prevalsa era stata più quella dell'ampliamento delle strutture che non quella del consolidamento e dell'ammodernamento delle unità esistenti. Il disequilibrio dei rapporti percentuali tra le varie armi e, nell'ambito di queste, tra le varie specialità, sebbene corretto, era rimasto sempre uno dei punti deboli dell'intera costruzione ordinativa, anche a prescindere dall'insufficienza e dalla vetustà dell'armamento e dell'equipaggiamento. In altre parole, l'ordinamento tattico fino al 1938 non aveva fatto grandi passi in avanti rispetto al passato non solo per la mancanza di mezzi, ma anche per la scarsa chiarezza di idee. Il costante prevalere della tendenza all'aumento delle unità e delle tabelle graduali e numeriche, rispetto a tutte le altre considerazioni che avrebbero dovuto spingere in direzioni diverse, aveva costituito da sempre un ostacolo all'ammodernamento dell'esercito, forse in misura maggiore della stessa indisponibilità di mezzi finanziari . Ma se già prima del 1938 l'ordinamento rivelava i segni della sua vetustà e debolezza, la riforma di quell'anno lo rese ancor di più sbilanciato e sbilenco, nonostante che ad essa si accompagnasse l'avvio dell'attuazione dei programmi di riarmo rimasti per anni sul tavolo di Mussolini. Si volle demolire il vecchio edificio per costruire il nuovo con lo stesso materiale di quello abbattuto e, in più, si scelse male il momento d'inizio dei lavori. Le conseguenze furono ancora più disastrose di quelle della riforma dottrinale. L'invenzione della divisione binaria, la moltiplicazione surrettizia di comandi e di unità e l'ampiezza dei settori soggetti alle modifiche misero a soqquadro l'intero esercito. A Mussolini, che amava i grandi numeri, il nuovo ordinamento piacque, anzi ne fu entusiasta dopo che ebbe visto all'opera, nelle esercitazioni estive in Abruzzo sulla piana del Cavaliere, la nuova divisione che il generale Pariani gli presentò come un concentrato di potenza offensiva. Mussolini al riguardo non ebbe nessuna responsabilità poiché la questione era pressoché esclusivamente di carattere tecnico; forse ebbe il torto di omettere l'approfondimento dei motivi del dissenso espresso dal capo di stato maggiore generale. La buona fede del generale Pariani e degli altri fautori della divisione binaria, malgrado l'enfatizzazione con la quale l'uno e gli altri si espressero per spegnere le critiche e malgrado i giuochi coreografici ai quali ricorsero per convincere il re, Mussolini ed i dubbiosi circa la validità
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della soluzione - in occasione della rassegna conclusiva del ciclo sperimentale, tutte le armi collettive vennero sistemate ad arte sul davanti dello schieramento delle truppe - è fuori discussione, ma ciò nulla toglie alla gravità dell'errore che ebbe pesanti conseguenze nelle operazioni del giugno 1940 sulle Alpi occidentali ed in quelle della campagna di Grecia. Il punto di maggiore debolezza della nuova divisione - nella quale il valore del rapporto fanteria-artiglieria, il grado di velocità operativa e quello della mobilità tattica erano identici a quelli della precedente divisione ternaria - era costituito dalla esiguità numerica della fanteria. A tale esiguità s'intese in 'qualche modo rimediare, nell'aprile del 1940, stabilendo l'assegnazione di una legione della milizia ad ogni divisione ordinaria e da montagna (7 ). Il rimedio aggravò il male, anziché lenirlo, perché alterò ulteriormente il già insoddisfacente rapporto arma base-artiglieria, e introdusse nell'organico un elemento, diverso per origine, reclutamento e costituzione, che non giovò all'amalgama spirituale e addestrativo della grande unità. Delle riforme ordinative del 1938 e del 1940 ebbe, invece, indubbio valore positivo la creazione dei comandi di corpo d'armata celere, autotrasportabile e corazzato, ispirata ai criteri di raggruppamento delle forze seguiti dai tedeschi ed esperimentati con successo nella campagna di Polonia, mentre la costituzione del comando dell'armata del Po ebbe solo significato psicologico, addestralivo e disciplinare, senza nessun riferimento operativo allo scacchiere metropolitano. Per l'inconsistenza del loro contenuto tecnico - eccezione fatta nei riguardi delle grandi unità speciali - e per i modi ed i tempi della loro attuazione, le riforme ordinative del 1938 e del 1940, derivate da orientamenti dottrinali altrettanto infondati ed intempestivi, furono la causa determinante, diretta o indiretta, di molti degli insuccessi tattici del primo anno di guerra.
3. La prima sorpresa dell'ordinamento del 1938 fu che per mobilitare le 77 divisioni previste non solo mancavano i materiali organici, ma non era disponibile in quantità sufficiente neppure il personale. Il 1° settembre 1939 furono completate solo 16 divisioni; il 1° novembre si ebbero: 38 divisioni complete di materiali e di armamento ma non di personale; 33 divisioni incomplete di personale, di armamento, di materiali e di mezzi; 17 divisioni ancora da costituire. Mal-
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grado ciò, lo stato maggiore dell'esercito decise di allargare ulteriormente il programma di mobilitazione ed elevò da 77 a 88 il numero delle divisioni da mobilitare preventivando, ottimisticamente, di poterne mettere in piedi 64 complete, 9 incomplete e 15 con forti deficienze organiche e di dotazioni. Il 10 giugno del 1940, al momento dell 'entrata dell'Italia in guerra, nonostante la presenza alle armi di intere classi e di consistenti aliquote di altre, si riuscì a portare al 100 % le unità della 6a armata, ad aumentare la forza effettiva della I" e della 411 armata, a rinforzare quella della 2a e dell'8• armata e delle unità della Sardegna, a reperire con fatica il personale per la difesa contraerei del territorio nazionale. A quella data, delle 73 divisioni mobilitate - 15 in meno rispetto alle previsioni del novembre solo 19 raggiungevano il 100 % del personale, 34 il 75 % e 20 soltanto il 60 % (8). La forza effettiva di 1 634 950 uomini - dei quali: I 076 940 in territorio metropolitano, 24 140 nelle isole dell'Egeo, 70 290 in Albania, 207 630 in Libia e 255 950 nell'Africa orienlale - risultò inferiore di circa 300 000 unità a quella organica delle 7 3 divisioni mobilitate, delle quali 3 della milizia. Se dalle deficienze quantitative del personale previsto dagli organici si passa a considerare quelle qualitative, il quadro diventa desolante anche per le unità organicamente a numero. Più della metà dei quadri ufficiali proveniva dalle categorie in congedo - il 1° novembre 1939 su circa 46 mila ufficiali alle armi 27 mila provenivano dal complemento - e la grandissima maggioranza di essi nulla o poco conosceva dei nuovi procedimenti, delle nuove formazioni organico-tattiche e delle nuove armi per aver prestato servizio di prima nomina od aver effettuato i brevi periodi di richiamo prima del 1938. L'impreparazione dei quadri richiamati, compresi i sottufficiali, pesò negativamente su tutte le unità mobilitate, specialmente su quelle di fanteria, che vennero così affidate a capitani, subalterni e sottufficiali che avevano essi stessi bisogno d'in1parare ciò che avrebbero dovuto insegnare e che non erano in grado, anche per questo motivo, di esercitare un'azione di comando efficace e redditi.zia neppure sul piano morale e disciplinare. L'immissione dei quadri e dei soldati richiamati nelle unità preesistenti, sufficientemente addestrate perché costituite da quadri permanenti e da soldati di leva da più tempo alle armi, ridusse a valori più bassi un livello disciplinare e addestrati vo già di per sé non molto soddisfacente. Il vuoto di 10 mila specializzati incise soprattutto sulle unità di artiglieria e del genio e sugli organi deJle trasmissioni che accusarono spaventose lacune d'impianto e di esercizio delle reti. Ampi altresì risultarono i vuoti di personale
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qualificato e specializzato negli stati maggiori delle grandi uruta. L'azzeramento, o quasi, delle riserve istruite, escluse la possibilità di conferire all'addestramento una durata breve ed un ritmo accelerato, quali sarebbero stati possibili se si fosse trattato di richiamare cognizioni note, ed obbligò a sviluppare programmi d'istruzione ispirati a criteri di gradualità e di sistematicità del tutto analoghi a quelli previsti per le reclute. I tempi che intercorsero tra il richiamo alle armi e l'invio in zona di operazioni molte volte non furono sufficienti né all'amalgama né alla preparazione tattico-tecnica delle unità e dei singoli. Lo stato maggiore dell'esercito, che nell'elaborare le varie edizioni del Regolamento d'istruzione aveva dato prova di possedere profonda conoscenza delle tecniche pedagogiche e didattiche, contraddisse se stesso dando per scontata l'efficienza di unità che, sotto il profilo addestrativo, erano semianalfabete se non addirittura analfabete. Quante e quali lezioni di tiro avevano effettuato i soldati con le nuove armi e quali e quante riprese di tiro con le vecchie? Quali e:: y_uanti esercizi ed esercitazioni di addestramento al combattimento individuale e di reparto erano stati fatti? Dai diari storici delle unità non si ricava nessuna risposta, ma negli scritti dei comandanti in guerra, a cominciare dal diario del maresciallo Cavallero, la geremiade sul mediocre, quando non addirittura nullo, grado di professionalità dei quadri e delle truppe in generale e di moltissime unità in particolare è unanime e costante fino alla noia. D'altra parte, indipendentemente dalle cause specifiche che concorsero all'insufficienza addestrativa del 1940, vi era stato l'abituale orientamento a posporre le esigenze della istruzione tecnica e tattica a quelle di altri settori, alcuni dei quali di sola esteriorità.
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Il 4 aprile 1940 il maresciallo Badoglio disse a Mussolini: « allo stato presente la nostra preparazione è al 40 % » (9). Il giudizio si riferiva all'intero apparato militare e, probabilmente, ai soli aspetti del fabbisogno dell'armamento, dei mezzi e degli equipaggiamenti riferiti alle dotazioni organiche. Quanto all'esercito non solo esistevano deficienze gravissime rispetto alle dotazioni organiche, ma queste erano di per sé costituzionalmente deboli sia per l'esiguità numerica dei materiali di prevista assegnazione sia per la scarsa affidabilità dei materiali vetusti e superati. Le dotazioni di armi di accompagnamento e controcarri di una divisione binaria erano pari ad un quarto di
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quelle di una divisione ternaria francese. Le armi delle unità di fanteria erano di fabbricazione recente e di buone prestazioni - eccezione fatta per il fucile ed il · moschetto modello '91 - ma la loro disponibilità copriva appena la metà del fabbisogno organico. L'artiglieria - compresa quella di corpo d'armata, d'armata e della riserva dell'alto comando dell'esercito - disponeva dello stesso identico materiale del 1918, sia pure migliorato nelle prestazioni, e solo verso la fine del 1940 verrà in parte dotata di pezzi da 75/18, 149/40 e 210/22. Le dotazioni reali di automotomezzi, di trattori, di munizioni per i mortai e per i pezzi di artiglieria, di mezzi e materiali delle trasmissioni, di mine, di strumenti tecnici, di attrezzature meccaniche per il genio coprivano il fabbisogno organico di una ventina di divisioni. E quale era l'efficienza reale delle divisoni corazzate che in luogo di 4 battaglioni di carri medi erano dotate di soli carri leggeri? Tutti indistintamente i capi di stato maggiore dell'esercito succedutisi dal 1929 al 1939 avevano affrontato il problema del rinnovamento delle armi e dei materiali, avevano compilato particolareggiati programmi e ne avevano sollecitato l'attuazione. I generali G azzera e Bonzani prima ed i generali Baistrocchi e Pariani dopo erano riusciti a mala pena a realizzare parzialmente la distribuzione di nuove armi alla fanteria ed a dare un minimo sviluppo alla motorizzazione ed alla meccanizzazione, ma nulla avevano ottenuto, nonostante le pressioni esercitate, per il rinnovo della linea pezzi e per l'ammodernamento ed il completamento dei mezzi e dei materiali del genio. Il generale Baistrocchi - che aveva sollecitato Mussolini con termini crudi ad adeguare la politica militare alle nuove esigenze della situazione strategica determinatasi con la conquista dell'Etiopia fu dimissionato. Il generale Pariani - che aveva fatto vive premure per l'avvio dei programmi di potenziamento e di ammodernamento pronti da anni - si sentì rispondere da Mussolini nel 1937: « abbiate pazienza; ho il mio programma. Prima devo mettere in efficienza la marina; poi provvederemo all'esercito e all'aeronautica» (10). Che Mussolini ignorasse il grado della preparazione materiale dell'esercito alla guerra è una storiella e che i capi di stato maggiore dell'esercito glielo avessero tenuto nascosto o addirittura lo avessero al riguardo ingannato è un falso storico. Il maresciallo Badoglio che inizialmente non era stato favorevole neppure alla guerra contro l'Etiopia, della quale aveva poi assunto la direzione quando la probabilità che alle sanzioni economiche seguissero delle misure militari era quasi del tutto scomparsa - il generale Pariani ed il maresciallo Graziani non mancarono ripetutamente di rappresentare a Mussolini il
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quadro assolutamente negativo della preparazione, per fargli intendere tutte le ragioni strategiche e tecnico-militari contro l'intervento e per frapporre fino all'ultimo momento tutti gli indugi possibili nella speranza di un ripensamento. La colpa che si può fare allo stato maggiore dell'esercito in fatto di materiali è il ritardo nella programmazione dei carri armati, un ritardo concettuale più che tecnico e finanziario. Nonostante che l'Italia fosse stata all'avanguardia nel settore dei carri leggeri tanto da ottenere notevoli successi di esportazione con il carro L3, ad un carro più pesante, meglio protetto e più armato lo stato maggiore dell'esercito aveva cominciato a pensare solo nella seconda metà degli anni trenta. A tale riguardo aveva interessato la Fiat e l'Ansaldo per un carro di rottura da 8 t, idoneo ad operazioni nelle zone prealpine, con un'autonomia limitata ad un centinaio di chilometri, compatibile con il materiale da ponte in dotazione alle unità del genio e che non eccedesse i limiti di peso indicati in sede di trattative per il disarmo parziale e controllato. Le ditte progettatrici, riservatamente invitate a non considerare troppo strettamente i vincoli di peso, presentarono il prototipo del nuovo carro, che pesava 11 tonnellate - M 11/39 nella seconda metà del 1938, anno in cui venne ordinata la prima commessa di 100 unità, fermata dopo la produzione dei primi 70 esemplari. Il primo esemplare del carro 16 venne prodotto nel 1939 ed il primo carro medio M 13 / 40 nella primavera del 1940. I primi 15 esemplari di quest'ultimo tipo entrarono in servizio nel luglio successivo, mentre altri 235 tra l'agosto ed il dicembre dello stesso anno. La produzione dell'autoblindo AB 40 ebbe inizio nel 1940 e del semovente L 40 da 47 /32 nel giugno del 1941 (11). Diversamente da quanto era stato fatto per le artiglierie, programmate fin dagli inizi degli anni trenta, ai carri M e P si cominciò a pensare in sede concreta rispettivamente nel 1938 e nel 1939, tre o quattro anni dopo rispetto agli eserciti della Gran Bretagna, della Francia, della Germania e dell'Unione Sovietica. Attribuire le cause del ritardo a remore politiche e finanziare (12) non ha alcun significato, perché la tempestiva definizione e messa a punto dei prototipi sarebbero state egualmente perseguibili e si sarebbero cosi offerti orientamenti all'industria per poter passare, al momento opportuno, alla produzione in serie. Fu, invece, l'industria privata a precedere lo stato maggiore, sviluppando per suo conto, con destinazione ai mercati esteri, il carro L6 e facendosi promotrice (Ansaldo) nel 1939 di un carro di peso superiore alle 20 t. Lo stato maggiore, come abbiamo rilevato, ignorò costantemente o non volle prestare orecchio alle teorie del Fuller e
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del Liddell Hart e non si arrese neppure di fronte alla realtà sovietica ed a quella tedesca. Gli insegnamenti della dottrina francese che vedeva i carri in funzione di rottura e di quella inglese che, puntando sull'autonomia e sulla velocità, li considerava elementi essenziali delle manovre a largo raggio, specialmente sui terreni di pianura e delle colonie, rimasero lettera morta. Perché vi fosse resipiscenza furono necessari, più degli insegnamenti della stessa guerra civile di Spagna, i commenti sarcastici ed i risolini ironici degli addetti militari stranieri al passaggio degli L3 durante la sfilata a passo romano lungo i fori imperiali in onore di Hitler svoltasi nel maggio del 1938.
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A monte delle carenze specifiche dell'esercito in quasi tuttl 1 settori - dottrinale, ordinativo, della mobilitazione, dell'addestramento, dei materiali - vi fu l'assenza assoluta di unitarietà di direzione nella preparazione tecnico-militare alla guerra da parte del capo di stato maggiore generale il quale non esercitò, dal 1926 al 1940, la vera e propria azione coordinatrice dell'attività delle forze armate che sarebbe stata necessaria per neutralizzare l'eccessiva tendenza all'autonomia e alle reciproche diffidenze (13) e per inquadrare la preparazione in un contesto unitario, sia pure limitato ad intendimenti difensivi. Il decreto del febbraio del 1927 aveva stabilito che il capo di stato maggiore generale - carica istituita allo scopo di assicurare il coordinamento nell'organizzazione militare dello Stato - fosse il consulente tecnico del Capo del Governo per quanto concerneva la coordinazione della sistemazione difensiva dello Stato e dei progetti per eventuali operazioni di guerra. Il decreto aveva modificato , in senso limitativo rispetto a quello del giugno del 1925, le modalità di esercizio dell'azione coordinatrice, ma non la materia di competenza. Consulente è chi esprime pareri e dà consigli, generalmente quando richiesto; ma, nel caso di una carica ufficiale, che non sia un titolo onorifico ma comporti attribuzioni specifiche, il consulente deve intervenire d'iniziativa quanto meno per fare rilevare all'organo decisionale gli aspetti tecnici delle questioni e le conseguenze che ne derivano sul piano pratico. Il maresciallo Badoglio interpretò diversamente i doveri della carica; si astenne costantemente da ogni collaborazione attiva volontaria per eliminare o ridurre la divaricazione tra la politica estera pendolare e la politica militare disarmonica di Mussolini; mantenne lo stesso atteggiamento passivo anche nei riguardi dei capi di stato
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maggiore di forza armata, lasciandoli muovere separatamente, ognuno per la sua strada, lungo direzioni divergenti; non indirizzò il piano di difesa nazionale e non armonizzò l'impiego delle singole forze armate in un quadro strategico unitario che fosse la sintesi della capacità operativa dell'intero strumento, intesa come prodotto di sforzi coincidenti oltre che nei fini anche nei luoghi e nei tempi di applicazione. L'assenza di operatività del capo di stato maggiore generale - favorita dalle lunghe permanenze fuori dalla sede naturale di lavoro per il disimpegno di altri incarichi non meno assorbenti - produsse un vuoto concettuale ed organizzativo che nocque alla preparazione militare alla guerra non meno di tutte le altre deficienze e di tutti gli altri errori già ricordati. L'inoperosità o, quanto meno, l'insufficienza di interventi del capo di stato maggiore generale, e l'inesistenza di uno stato maggiore interforze - tale non era certo l'ufficio del capo di stato maggiore generale - alimentate dalla volontà di Mussolini di fare tutto da sé svincolandosi da ogni soggezione sia pure consultiva e dall'asph-azione dei capi di stato maggiore di forza armata a difendere il più possibile la propria indipedenza, furono esiziali sia nei riguardi della preparazione alla guerra sia nei riguardi della fase iniziale di condotta delle operazioni. Durante tale fase, qualora fosse preesistita una concezione strategtica globale nel quadro delle correlazioni tra i vari scacchieri del teatro operativo del Mediterraneo, e qualora fosse stato in funzione da almeno qualche mese l'organo tecnico-operativo di condotta unitaria delle operazioni, non sarebbero andate perdute le occasioni favorevoli che si presentarono e, malgrado la pochezza dello strumento e tutto il resto, si sarebbero potuti conseguire risultati, se si vuole temporanei e locali, diversi da quelli negativi ai quali le forze armate italiane andarono incontro dovunque presero l'iniziativa. Se, ad esempio, fossero state valutate fin dal tempo di pace, sia pure come semplici ipotesi di lavoro, le conseguenze di un eventuale messa fuori combattimento della Francia e le esigenze che ne sarebbero derivate ai fini di un rapido spostamento del baricentro delle operazioni dalla pianura padana alle frontiere libiche con l'Egitto, ben diversamente organica e sollecita avrebbe potuto essere la concentrazione dcli<.: forze per neutralizzare Malta - punto chiave della guerra nel 1ca1ro 11wdi terraneo - e per realizzare uno sforzo adeguato ed effic:1n· 1·0111 ro le forze dell'impero britannico in Egitto. Il problema di M11l1 11 11011 eta mai stato valutato appieno, come, del resto , quello ddl11 I .iliiu . Analogamente era accaduto nei riguardi di BiserLa e ddli, C:01 i,k11 di(' costituivano nodi cruciali del traffico maritdmo cd a L· 1ro 1· I111111 d i
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partenza o di appoggio di eventuali operazioni francesi contro l'Italia. Alla Libia si cominciò a pensare con grande ritardo e se ne progettò la difesa mediante il ricorso alla fortificazione permanente e ad una grande massa di fanteria priva di velocità operativa, dotata di scarsa mobilità tattica, insufficientemente dotata di armi controcarri e contraerei e sostenuta da carri armati inadeguati anche quantitativamente, quasi che la lotta nel deserto si dovesse svolgere secondo gli schemi di quella metropolitana. In luogo di concentrare tutto a favore del teatro operativo mediterraneo, si spedirono unità subacquee in Atlantico e forze aeree nel nord Europa per concorrere all'offensiva tedesca contro l'Inghilterra, mentre l'area dell'impegno italiano aveva i suoi limiti geostrategici naturali a Gibilterra ed a Suez. Nel maggio del 1939 era stato convenuto tra Italia e Germania che le due potenze avrebbero avuto bisogno di un periodo di pace non inferiore ai tre anni dato che solo dal 194 3 in poi uno sforzo bellico avrebbe potuto avere le più grandi prospettive di vittoria. Neppure quattro mesi dopo Hitler invase la Polonia, forse nell'illusione che la Francia e l'Inghilterra, stante l'atteggiamento dell'Unione Sovietica, avrebbero disatteso gli impegni assunti in difesa della nazione polacca. Il 1° settembre del 1939, giorno dell'invasione della Polonia, Mussolini dichiarò che l'Italia non avrebbe preso alcuna iniziativa militare e aggiunse che sarebbe stato necessario essere tanto forti da non poter essere costretti da nessuno ad entrare in guerra. Nel dicembre dello stesso anno modificò il ragionevole atteggiamento del settembre e proclamò la non belligeranza che era una formula con caratteri palesi di una semplice attesa, con la quale si confermava l'identità ideologica con la Germania nazionalsocialista. Sotto l'assillo della situazione si cercò da ogni parte di conferire la maggiore possibile efficienza all'organismo militare; in tale fervore non sarebbe dovuta sfuggire la necessità della costituzione di un vero stato maggiore generale cui avrebbe dovuto appartenere la direzione tecnicomilitare delle operazioni secondo le direttive del Comandante Supremo. Il provvedimento, che sarebbe dovuto rientare nelle numrose misure di emergenza che furono adottate dal novembre 1939 al giugno del 1940, non venne preso, con la conseguenza che le forze armate entrarono in guerra senza che vi fosse un organo in grado di coordinarne unitariamentè l'impiego. Il Comando Supremo comincerà a funzionare validamente come tale dal maggio del 1941 , dopo il rientro del generale Cavallero dall'Albania, ma a tale data la direzione della guerra e delle operazioni sarà di fatto nelle mani dei tedeschi. La decisione della partecipazione dell'Italia alla guerra non fu
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presa da un giorno all'altro. Mussolini la maturò nei primi cinque mesi del 1940, da un lato spinto dall'esistenza del patto di alleanza con la Germania, dalla preoccupazione di un isolamento politico dell'Italia, dalla posizione geostrategica della penisola immersa in un mare dominato dalla Gran Bretagna e dalla Francia, dall'essersi troppo compromesso con l'ideologia nazionalsocialista di Hitler, dall'invidia dei successi di questi; dall'altro lato, trattenuto dal diverso avviso dei vertici militari e dalla intima consapevolezza dello stato d'impreparazione generale che invano nascondeva a sé stesso e tentava di camuffare agli altri.« Considero questa situazione (militare) non ideale ma soddisfacente » dichiarò il 9 maggio ai capi di stato maggiore, mentre sapeva benissimo che una preparazione al 40 per cento, come gliela aveva descritta il maresciallo Badoglio un mese prima, era addirittura inibente. Presa nel suo intimo la decisione di non tornare più indietro, traccheggiò sulla data che i vertici militari si adoperarono per rinviare il più possibile. Il 18 marzo - ventidue giorni prima dell'invasione tedesca della Danimarca e della Norvegia della quale non sapeva nulla e cinquantatré giorni prima dell'inizio dell'offensiva tedesca in Occidente - nell'incontro del Brennero con Hitler Mussolini si dichiarò pronto ad entrare nel conflitto a fianco della Germania, senza peraltro precisare la data d'inizio dell'evento che Hitler avrebbe avuto ogni interesse di conoscere perché non si fidava ciecamente della promessa generica e perché voleva cadenzare i suoi piani, senza le inframmettenze di alcuno, ad esclusivo vantaggio tedesco. Passarono oltre due mesi prima che Mussolini fissasse la data che comunicò ai marescialli Badoglio e Balbo il 26 maggio, confermò il 29 ai vertici militari convocati a palazzo Venezia e fece conoscere lo stesso giorno ad Hitler, significando a tutti che dal 5 giugno in poi ogni giorno sarebbe stato buono per l'entrata in guerra dell'Italia. La data fu decisa da Mussolini dopo che il rullo compressore tedesco si era messo in moto da circa due mesi, aveva schiacciato la Norvegia e la Danimarca, travolto il Belgio e l'Olanda e proseguiva la sua avanzata irresistibile contro la Francia. I vertici militari, nonostante le vittorie tedesche, tentarono invano fino all'ultimo - il 25 maggio il capo di stato maggiore dell'esercito in un suo promemoria prospettò ancora una volta la situazione che lo portava a concludere « in senso nettamente sfavorevole alla nostra entrata in guerra » (14) - di evitare la guerra o, quanto meno, di differirne ulteriormente l'inizio. Il 4 aprile il maresciallo Badoglio aveva valutato, come abbiamo ricordato, la preparazione al 40 per cento di quella che sarebbe stata necessaria; qualche giorno dopo aveva sottolineato a Mussolini
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la preoccupazione del maresciallo Graziani circa l'ipotesi di un'azione offensiva italiana sulle Alpi occidentali anche in caso di collasso francese ed aveva aggiunto che l'intervento dell'Italia in guerra non poteva essere redditizio se non quando una poderosa azione tedesca avesse realmente prostrato a tal punto le forze avversarie da giustificare ogni audacia (15); il 15 aprile in un altro promemoria non aveva più escluso a priori e in modo assoluto, come 5 giorni prima, la possibilità di un'eventuale azione sulle Alpi, ma l'aveva subordinata alla condizione che si sarebbe dovuto, al momento opportuno, richiedere allo stato maggiore germanico i mezzi tecnici di artiglierie e carri armati che a noi mancano per questa azione (16). Si trattò di un tentativo di ribaltare i termini della collaborazione richiesta dalla Germania mediante l'invio sul Reno di 30 o 20 divisioni italiane nel senso che fossero i tedeschi a spedire i loro mezzi in Italia e non gli italiani a trasferire loro divisioni in Germania. Questa, infatti, per il tramite dell'addetto militare a Roma, generale von Rintelen (16 bis), il 10 aprile aveva proposto di far partecipare all'offensiva contro la Francia 30 o 20 divisioni italiane le quali, al seguito della 7'1 armata tedesca incaricata dell'attacco alla Maginot, operando per la Tournée de Belfort e l'altopiano di Langes, avrebbero dovuto cadere sul rovescio dello schieramento ·francese stùle Alpi. Una proposta che era un ballon d'essai (17) per scoprire gli intendimenti italiani circa l'attacco all'Occidente e per sollecitare l'Italia all'impegno concreto preso da Mussolini nell'incontro del Brennero una ventina di giorni prima. Sulla proposta tedesca l'unico a fare un pensierino era stato Mussolini tanto che aveva voluto studiare l'antico progetto del generale Pallio elaborato, a suo tempo, nel quadro della Triplice Alleanza. Il maresciallo Badoglio ed il maresciallo Graziani, viceversa, non nutrirono dubbi nel respingere senza mezzi termini la richiesta, inaccettabile sotto tutti i profili, da quello politico-strategico a quello tecnico-militare (18). Come avrebbe valutato la nazione l'invio di 20 divisioni in Germania, poste fin dall'inizio alle dipendenze dell'Alto Comando tedesco? Chi mai avrebbe difeso le Alpi una volta sottratte le uniche divisioni complete? Come sarebbe stato possibile rompere la linea Maginot giudicata da tutti inespugnabile? Che la proposta tendesse solamente agli scopi accennati lo dimostrerà il fatto che un mese dopo i tedeschi, attuando i piani preparati da tempo, '.lttaccheranno la Francia mantenendo ferma l'ala sinistra del loro schieramento. D'altra parte i tedeschi conoscevano benissimo quali sarebbero state le esigenze di trasporto ed i tempi di effettuazione di un provvedimento del genere, che avrebbe costretto a rinviare alle calende greche
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l'attacco alla Francia. È stupefacente che il maresciallo Graziani, a guerra finita, abbia rimproverato al maresciallo Badoglio e ad altri di aver nascosto, nei loro scritti successivi, agli italiani quale ben diversa piega avrebbero potuto prendere gli avvenimenti bellici (19) se la proposta fosse stata accolta, dimenticando che anch'egli era stato decisamente contrario a prenderla in considerazione. Quando Hitler conobbe la data del 5 giugno chiese a Mussolini di differirla di qualche giorno adducendo pretesti di carattere tecnicoorganizzativo, ma in realtà allo scopo di diminuire agli occhi di tutti la portata dell'intervento italiano, di rendere esclusivo il merito della vittoria tedesca e di ridurre 1e rivendicazioni italiane nei riguardi della Francia. Il 30 maggio, infatti, quando Hitler ricevé la comunicazione di Mussolini circa la data del 5 giugno, era già in corso da 4 giorni l'operazione Dynamo - evacuazione delle forze inglesi da Dunkerque - e non era stata completata la ridislocazione delle forze tedesche per l'offensiva che venne poi lanciata, appunto il 5 giugno, lungo il tratto della fronte compreso tra Laon ed il mare. Tra le due potenze dell'Asse non solo non esisté fin dall'inizio nessun accordo circa una direzione politico-strategica della guerra intesa unitariamente, ma si determinò un clima di sospetto, di diffidenza e di gelosia reciproca, presente fin dall'incontro al Brennero del 18 marzo - durante il quale Hitler nulla disse a Mussolini circa l'imminente attacco alla Norvegia ed alla Danimarca - e che durerà in forma esasperata fino al 19-20 gennaio del 1941 quando, in un nuovo incontro, Mussolini sarà costretto in seguito ai disastrosi risultati delle iniziative belliche decise autonomamente a rivolgere ad Hitler un vero e proprio S.O.S .. Dopo tale incontro, l'atmosfera dei rapporti italo-tedeschi diventerà meno pesante, pur mai dissolvendosi l'ombra del reciproco sospetto e della reciproca diffidenza, ma solo perché la dipendenza italiana diverrà semplice soggezione, le lettere di Mussolini ad Hitler altro non saranno nella sostanza che disperate invocazioni di soccorso richieste di materie prime, di carburanti e lubrificanti, di forze aeree e terrestri, di mezzi per la difesa contraerei del territorio nazionale e quelle di Hitler a Mussolini saggi di indicazioni politiche e strategiche e promesse ed assicurazioni di aiuto, molte volte non potute mantenere. Prima (convegno del Brennero, proposta delle 30-20 divisioni, rinvio di qualche giorno dell'entrata dell'Italia in guerra) e durante il corso successivo della guerra i machiavellismi non furono prerogativa esclusiva dei tedeschi. Mussolini decise l'entrata in guerra con l 'intendimento della guerra parallela, cioè non con o per la Germania
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ma per noi, pur essendo consapevole che l'autarchia non gli avrebbe consentito l'autosufficienza del potenziale bellico e che senza il concorso determinante della Germania, dalla quale perciò l'Italia non avrebbe potuto non dipendere, l'apparato militare italiano non sarebbe stato in grado di vivere e muoversi. Il maresciallo Badoglio, che ben conosceva il grado di preparazione alla guerra, nella riunione del 9 aprile 1940 dei capi di stato maggiore e dei sottosegretari di Stato preposti ai dicasteri militari non esitò ad invitare i presenti a scansare e schivare - data la natura invadente e prepotente dei tedeschi (20) - ogni impegno di collaborazione militare diretta con le forze dell'alleato. Il Comando Supremo italiano alla richiesta dell'Alto Comando tedesco di sapere di quali mezzi bellici e di quali materie prime abbisognasse l'Italia rispose il 26 agosto 1940 elencando quantità e specie che i tedeschi sarebbero stati nell'impossibilità materiale di concedere, anche se ne avessero avuto la disponibilità che non avevano, non fosse altro per non arrestare tutti gli altri trasporti per non meno di un anno e mezzo {21). Della campagna di Grecia, Hitler - che qualche mese prima aveva fatto intendere a Mussolini che non sarebbe stato assolutamente conveniente smuovere le acque balcaniche, per non offrire pretesti all'Unione Sovietica, fino a quando non fosse stata condotta vittoriosamente a termine l'invasione dell'Inghilterra - venne informato quando, scendendo dal treno alla stazione di Firenze il 28 ottobre del 1940, Mussolini gli comunicò che dalle ore 6 di quel mattino le truppe italiane erano entrate in Grecia e che tutto sarebbe finito in 15 giorni. Ma alla decisione di tale campagna Mussolini era giunto perché era andato su tutte le furie dopo avere appreso che il dittatore tedesco, senza preavvisarlo, era stato il primo a smuovere le acque balcaniche inviando nella prima decade di settembre in Romania proprie forze militari per garantire, su richiesta dd nuovo governo filonazista di Jon Antonescu, la zona petrolifera: « Hitler mi mette sempre di fronte al fatto compiuto. Questa volta lo pago della stessa moneta: saprà dai giornali che ho occupato la Grecia. Così l'equilibrio verrà ristabilito» (22). Hitler, successivamente, non fece parola dei suoi piani offensivi contro l 'Unione Sovietica - operazione Barbarossa - in approntamento dal dicembre del 1940, quando incontrò Mussolini a Berghof il 19-20 gennaio del 1941, limitandosi nell'occasione solo a segnalare il pericolo del gigantesco blocco di forze della Russia. Quando cinque giorni prima dell'inizio del piano Barbarossa il ministro degli esteri Ciano chiese al ministro degli esteri von Ribbentrop, durante una gita in gondola per i canali di Venezia, quale consistenza avessero le voci
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di un prossimo attacco della Germania all'Unione Sovietica, si ebbe la seguente risposta: « caro Ciano, fino a questo momento non posso dirvi nulla, perché ogni decisione è racchiusa nel petto impenetrabile del Fiihrer. Comunque, una cosa è certa: se attaccheremo, la Russia di Stalin sarà cancellata dalla carta geografica in otto settimane» (23). Possiamo fermarci qui, senza approfondire quanto accadrà dopo la prima metà del 1941, allorquando, nonostante il funzionamento a pieno regime del Comando Supremo italiano, saranno i tedeschi da soli, come abbiamo più volte già sottolineato, a dirigere la guerra e le operazioni e provocheranno, tra l'altro, la rinunzia dei vertici italiani all'azione su Malta - impostata e organizzata particolareggiatamente dal Comando Supremo anche sotto l'aspetto dell'addestramento delle forze incaricate di effettuarla - e l'invio di altre 7 divisioni italiane in Russia in rinforzo del corpo di spedizione iniziale, il C.S.I.R. (24), sì da passare da un corpo d'armata su 3 divisioni ad un'armata (83 ) su 3 corpi d'armata per complessive 10 divisioni (25). L'impreparazione dell'apparato militare alla guerra - a prescindere dall'assoluta insufficienza delle materie prime e delle risorse energetiche e dalla debolezza degli altri apparati (economico, finanziario, industriale, della difesa civile, ecc.) - riguardò tutte le componenti dell'efficienza operativa compresa la direzione politico-strategica della guerra e la direzione tecnico-militare delle operazioni. L'idea della guerra parallela fu un'enorme abbaglio politico e strategico, del tutto avulso dalla realtà. Il deciso intendimento di Hitler a non dividere con nessuno il dominio dell'intera Europa ed a conquistare il primato assoluto di potenza e l'illusione iniziale di Mussolini di sottrarsi a tale pericolo conquistando autonomamente titoli di prestigio politico e militare avvelenarono nel primo periodo di guerra i rapporti italo-tedeschi, già di per sé difficili e delicati per motivi storici, per la naturale diffidenza dei deboli verso i forti, per l'antipatia universale di cui godeva Hitler fuori della Germania, per quella certa invadenza e prepotenza tedesche che non a torto il maresciallo Badoglio aveva subito denunciato. In tali condizioni la creazione di una direzione politico-strategica unica - nella quale l'Italia non avrebbe potuto in nessun caso rivendicare la parità - non sarebbe stata possibile; ma agire senza intese preventive e addirittura senza riguardo agli interessi reciproci risultò di grave danno per entrambe le parti. La scarsa lealtà dei rapporti sul piano politico-strategico intorbidì talvolta anche le relazioni tra i comandi italiani e tedeschi operanti nello stesso scacchiere e allorché alle lacune costituzionali degli organi si sommarono gravi difetti caratteriali dei capi, derivarono sfasamenti,
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incomprensioni, freddezze, disagi operativi. Quando prevalsero gli interessi egoistici settoriali, intere grandi unità italiane vennero abbandonate nel deserto o nella steppa senza riguardo al fatto che esse erano state impegnate nella stessa battaglia o addirittura nello stesso combattimento. Diverso il clima ai livelli minori nei quali prevalsero quasi sempre la volontà di cooperazione, lo spirto di sana emulazione, la concorde volontà di combattere e vincere insieme, il rispetto reciproco, in uno con l'ammirazione dei tedeschi per lo spirito di adattamento e di sacrificio degli italiani e con l'invidia di questi per il migliore armamento ed equipaggiamento dell'alleato. L'impreparazione concettuale ed organizzativa nel settore della direzione tecnico-militare - mancanza di un piano strategico globale che andasse al di là del piano difensivo (P.R. 12) e di un organo direttivo di comando in grado di funzionare e di coordinare le operazio ni de11e varie forze armate - più di quella negli altri settori ebbe incidenza determinante negli insuccessi delle campagne condotte autonomamente dalle forze armate italiane nel primo anno di guerra. A monte di essa furono ] 'insufficienza e la debolezza delle doti di carattere dei vertici militari o, se si vuole, la sottovalutazione che essi fecero delle loro possibilità inibitrici sulla volontà di Mussolini. Se i capi militari avessero prestato maggiore attenzione alle rivendicazioni che ogni tanto Mussolini faceva nei riguardi della Tunisia, di Nizza, della Corsica e della Dalmazia e gliele avessero tradotte in costi militari approssimati, non avrebbero cambiato l'uomo ed il corso degli eventi, ma forse lo avrebbero indotto per tempo ad una maggiore ponderatezza e cautela e certamente si sarebbero essi stessi trovati meno concettualmente impreparati di fronte alle richieste della guerra. Quando, dopo tante oscillazioni, Mussolini si decise per la guerra e manifestò il suo intendimento ai vertici militari, questi non si astennero dall'esprimere con chiarezza il loro parere decisamente contrario, basato sull'impreparazione dello strumento militare. Mussolini non ne tenne conto ed essi chinarono la testa. A quel punto quali conseguenze avrebbe prodotto la richiesta in massa di esonero dalle cariche? Come Mussolini avrebbe potuto spiegarla all'opinione pubblica? Sarebbe valsa a scongiurare la guerra o Mussolini avrebbe continuato per la sua strada scegliendo altri compagni di viaggio dei quali non manca mai la disponibilità? Pretendere che i vertifici militati - i quali furono gli unici a manifestare la loro opposizione - facessero di più era troppo? Tutti gli altri organi dello Stato, a cominciare dal re, al quale la grandissima maggioranza dei generali guardava, tacquero quando non plaudirono. Il regime di Mussolini era un regime ditta-
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toriale dove uno comandava e gli altri ubbidivano, ma diversamente da quelli di Hitler e di Stalin toglieva le poltrone più che tagliare le teste. Cosa che accadrà, circa sei mesi dopo, al maresciallo Badoglio che rassegnerà le dimissioni, considerato venuto meno il rapporto di reciproca fiducia tra il comandante supremo ed il capo di stato maggiore generale, solo perché Mussolini non intenderà difenderlo dagli attacchi rivoltigli dalla stampa del regime o forse sollecitati da lui stesso. Sull'assoluta impreparazione alla guerra nessuno dei vertici nutriva dubbi, a cominciare da Mussolini che, diversamente, non avrebbe accompagnato la decisione dell'intervento con la direttiva della stretta difensiva strategica su tutte le fronti, anzi dell'inazione. Nella riunione dei vertici militari del 29 maggio Mussolini precisò: « sul fronte terrestre non potremo fare nessuna cosa di spettacolare; ci terremo sulla difensiva. Si può prevedere qualcosa sul fronte est: Jugoslavia» (26). La direttiva per la frontiera occidentale venne tradotta dallo stato maggiore dell'esercito in termini ancora più restrittivi: in caso di ostilità non dovrà essere intrapresa alcuna azione oltre frontiera ... nessun reparto o nucleo dovrà varcare materialmente la linea di confine... le nostre truppe e artiglierie non dovranno aprire per prime il fuoco su truppe e posizioni francesi (27). Una strategia ed una tattica, quelle della guerra non guerreggiata, le quali, di per sé inconsistenti, erano ancora di meno conciliabili con gli scopi politici che Mussolini intendeva perseguire affiancando le armi italiane a quelle tedesche. Forse Mussolini fece ricorso all'idea della guerra non guerreggiata per ridurre l'ostilità dei vertici militari e rendere meno inaccettabile la dichiarazione di guerra del 10 giugno alla Francia ed all'Inghilterra; subito dopo, difatti, si lasciò prendere dall'orgasmo di agire per non apparire inerte agli occhi dell'alleato ed i vertici militari ancora una volta lo assecondarono avallando, qualche giorno dopo, il brusco passaggio all'offensiva sulle Alpi occidentali e, in seguito, l'azione per la conquista della Somalia inglese, l'offensiva in Egitto e la campagnia di Grecia. Tali operazioni- volute ed impostate da Mussolini e assecondate dai vertici militari italiani centrali e di scacchiere - si conclusero indistintamente con insuccessi. Le battaglie successive - dalla prima controffensiva in Africa Settentrionale del febbraio del 1941 alla battaglia di Sicilia del 1943 - furono impostate e condotte nel quadro della cooperazione italo-tedesca nel cui contesto prevalsero, anche nelle operazioni del teatro del Mediterraneo - e non poteva essere altrimenti - , le visioni strategiche e ]e concezioni tattiche degli alti comandi germanici.
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CAP. XXXIII - LE CAMPAGNE AUTONOME ( PARTE PRIMA)
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LA BATTAGLIA DELLE ALPI OCCIDENTALI
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La campagna delle Alpi occidentali (28) durò 15 giorni. Prima del suo inizio l'esercito aveva attuato nelle grandi linee lo schieramento previsto dal piano P.R. 12, impostato sulla difensiva strategica, ed aveva ricevuto l'ordine di non intraprendere alcuna azione oltre frontiera sia pure locale e di non aprire il fuoco sulle truppe e sulle fortificazioni francesi a meno di non dover rispondere ad iniziative del nemico . All'aviazione era stato interdetto di sorvolare comunque, anche al solo fine della ricognizione, la zona di frontiera con la Francia. Quattro giorni dopo, il 14 giugno, in seguito all'ingresso dei tedeschi a Parigi e all'incursione navale francese nel porto di Genova, il comando gruppo armate ovest (29) ordinò piccole azioni offensive allo scopo di agganciare truppe avversarie, di mantenere alto lo spirito aggressivo delle nostre, e di meglio prepararle moralmente e tecnicamente a future più vaste operazioni (30) prevedibili nel caso di improvviso collasso francese o di una situazione tale che inducesse a compiere operazioni offensive. Le due ipotesi - Francia impef!.nata gravemente nel nord con forte prnhahilità di travolgenti e definitivi successi da parte tedesca (A) e Francia in fase di collasso a prossima al collasso per il cedimento del fronte militare e interno causato da una travolgente vittoria germanica (B) - erano già allo studio dello stato maggiore dell'esercito che aveva prospettato al maresciallo Graziani, con un promemoria in data 12 giugno, quali avrebbero potuto essere le linee operative da seguire nell'uno e nell'altro caso (31). Per il caso A, era stato previsto in sede di studio: una offensiva di stile, e perciò preparata (tempo e mezzi), orientata o verso l'Isère (4.. armata) o verso l'Ubaye (l" armata) e preceduta da una vera e propria rottura, e uno schieramento difensivo nel rimanente fronte atto a trasformarsi con una certa rapidità in offensivo ed a favorire lo spostamento in avanti delle forze e dei mezzi. Per il caso B, Io stato maggiore dell'esercito - nel presupposto di dover sopraffare la sola organizzazione di frontiera e di avere la disponibilità degli sbocchi offensivi previsti dal P.R. 12 - aveva considerato la convenienza di un'avanzata generale della 1a e della 4a armata su tutte le direttrici, preceduta da battaglie di rottura contemporanee, sulle direttrici dell'Isère e della Ubaye, che meglio delle altre avrebbero consentito lo sbloccamento della fronte. Il passaggio dallo schieramento difensivo a quello offensivo venne disposto da Mussolini il 15 giugno ordinando al capo di stato maggiore generale di dare inizio alle operazioni il giorno 18. Dietro le insistenze del maresciallo Badoglio concesse qualche giorno di proroga, ma il 17 - dopo il radiodiscorso del maresciallo Pétain sulla
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necessità per la Francia di porre fine ai combattimenti - Mussolini convocò nuovamente il maresciallo e gli ordinò di disporre l'immediato inizio dell'azione offensiva. Invitato a Monaco, per dove parti la sera del 17, ad un incontro con Hitler consentì, se non decise egli stesso, che venissero temporaneamente sospese, in attesa di un chiarimento della situazione, le operazioni di carattere offensivo, ma al suo ritorno - dopo la decisione di Hitler circa la stipulazione di due armistizi distinti: uno franco-tedesco ed uno franco-italiano - chiamò nuovamente il maresciallo Badoglio e gli impard l'ordine di sferrare l'offensiva all'alba del giorno successivo per evitare che i tedeschi, che avevano già occupato Lione, fossero i primi ad arrivare al mare Mediterraneo. Il maresciallo Badoglio, che non aveva mancato di opporre le difficoltà di ordine tecnico-militare nei precedenti colloqui dei giorni 15 e 17, nel colloquio del primo pomeriggio del giorno 20 fece del suo meglio per dimostrare a Mussolini l'impossibilità materiale e tecnica di dare inizio all'offensiva all'alba del giorno 21 e, constatata l'irremovibiliLà <ldl'interlocutore, propose di limitare in un primo tempo la manovra alla sola direttrice del Piccolo San Bernardo. Mussolini rispose che non poteva subire l'onta che i tedeschi occupassero e poi consegnassero all'Italia la regione di Nizza e ordinò che si desse subito inizio all'offensiva generale su tutta la fronte. Il piano operativo dello stato maggiore dell'esercito per l'azione offensiva sulla frontiera occidentale nell'edizione definitiva del 17 giugno (32) stabiliva: un'azione sulla direttrice del Piccolo San Bernardo (operazione B, affidata alla 4a armata), un'azione principale sulla direttrice del colle della Maddalena (operazione M, affidata alla l" armata), un'azione sulla direttrice della riviera (operazione R, anche questa affidata alla l" armata); obiettivo delle azioni Me R: Marsiglia; inizio delle operazioni: al più presto possibile, ad ogni modo non oltre il 23 giugno. Scopo dell'operazione B era di agganciare ed attirare truppe avversarie; della operazione M di sboccare in valle Ubaye per poi proseguire in valle Durance e manovrare per i colli laterali della valle Ubaye; dell'operazione R di concorrere alla operazione M sboccando su Nizza. Crited generali dell'intera azione: agire per le ali delle sistemazioni permanenti nemiche, puntando al loro tergo; sfruttare il successo in profondità; osare, sia nella concezione, sia nella esecuzione. Il primo forte ostacolo all'azione offensiva italiana era costituito dal terreno e, in particolare, dall'andamento della linea del confine italo-francese la quale correva assai vicina al limite est delle Alpi occidentali lasciando alla Francia la grandissima parte della regione montuosa e, conseguentemente, ampie possibilità di
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sviluppare la difesa in profondità appoggiandola a più sistemi successivi. Per giungere al Rodano occorreva superare due e, in alcuni tratti, tre bastioni naturali operando lungo direttrici operative divergenti e riduttive delle possibilità di manovra e di concentrazione degli sforzi. L'Italia era, in sintesi, pesantemente svantaggiata rispetto alla Francia sia che dovesse attaccare sia che dovesse difendersi. Le caratteristiche morfologiche non concedevano né all'Italia né alla Francia spazio per la manovra delle unità corazzate, conservando nella fase iniziale della lotta una fisionomia analoga a quella della prima guerra mondiale, fatte salve le modificazioni introdotte dall'impiego su larga scala del mezzo aereo che però trovava limitazioni nelle condizioni metereologiche e nella rapidità dei mutamenti e, quanto all'impiego delle unità paracadutiste, nelle stesse asperità del terreno e del clima. II secondo ostacolo era costituito dal sistema fortificato francese che comprendeva opere costruite ex novo in data recente e opere riattate e ammodernate; aveva notevole sviluppo in profondità, dalle posizioni degli avamposti a quella di resistenza ed anche a tergo di questa; era in grado ovunque, sia dove le opere costituivano l'intelaiatura del sistema difensivo sia dove erano isole a se stanti, di svolgere una azione di arresto e di logoramento molto efficace e di costringere l'attaccante a montare successive azioni robuste ed onerose. Il terzo ostacolo era la Armée des Alpes che, nonostante le ripetute sottrazioni di grandi unità, contava ancora, all'inizio delle ostilità, circa 200 mila uomini addestrati, agguerriti e inseriti in un sistema difensivo valido concettualmente e sul piano dell'organizzazione. La robustezza della difesa era tale che lo stato maggiore italiano aveva riposto sempre scarsa fiducia nelle prospettive di un'azione offensiva sulle Alpi occidentali. Nel P.R. 12 erano stati inseriti, a suo tempo, riferimenti all'eventualità che in circostanze particolarmente favorevoli si potesse passare all'offensiva, ma con scarsa convinzione, essendo sempre prevalso, a ragione, l'orientamento a favore della difensiva che, stante la scarsa profondità della zona montuosa e la convergenza delle direttrici operative d'oltre Alpi sulla pianura piemontese, era di per sé un problema delicato e oneroso sotto tutti gli aspetti. Quando le circostanze particolarmente favorevoli si presentarono e l'eventualità dell'azione offensiva divenne attuale perché suggerita dall'evolversi della situazione francese, lo stato maggiore dell'esercito, di sua iniziativa, studiò una nuova operazione che non era più quella già prevista su certe direttrici dal P.R. 12, ma un'offensiva generale basata sulle ipotesi A e B da sviluppare secondo le indicazioni stabilite dal maresciallo Graziani nel citato documento del 17 giugno (33)
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e cioè mediante la rottura della fronte francese su tre direttrici, la pressione esercitata su tutta la fronte per favorire i tre sforzi e l'avanzata da tutti i valichi per convergere sulle rotabili in caso che i francesi avessero ripiegato senza opporre resistenze significative. Un documento generico e stemperato, privo di un vero e proprio disegno di manovra inteso come espressione della volontà del capo, che affidava la riuscita dell'azione, per la quale fissava obiettivi ambiziosi, a criteri dottrinali generali ed alla fortuna, chiamando in soccorso l'audacia per compensare la scarsa fiducia di riuscita. D'altra parte, il maresciallo Graziani, 23 giorni prima del suo ordine di operazioni, aveva tracciato a Mussolini un quadro sconfortante dell'efficienza dell'esercito ed aveva confrontato la divisione di fanteria italiana con quella francese per mettere in risalto la estrema debolezza costituzionale di quella italiana anche considerandovi inclusa la legione camicie nere. La serie di comunicazioni epistolari, telegrafiche e verbali, tardive e contraddittorie, gli ordini, i contrordini ed i contrordini dei contrordini, succedutisi dai primi giorni delle ostilità alla vigilia dell'inizio dell'offensiva (34), produssero, negli alti comandi operativi ed in quelli di livello inferiore, tale e tanta confusione concettuale, psicologica e organizzativa da indebolire ulteriormente le probabilità di riuscita di un'offensiva che venne sferrata malvolentieri e solo perché imposta da Mussolini. Di esito molto incerto anche se vi fosse stato il tempo indispensabile per montarla ed organizzarla razionalmente, l'offensiva falll in partenza e si tradusse in una serie di combattimenti a se stanti, sviluppati a massa in certi settori e cresciuti d'iniziativa in altri, privi di nesso e senso strategici, avari di successi tattici locali e vuoti ovunque di risultati decisivi. L'unica nota positiva fu lo slancio e l'abnegazione delle unità che combatterono senza risparmiarsi e costruirono episodi di valore e di audacia di grande rilievo militare. L'azione offensiva durò, a seconda dei settori, da 4 a 2 giorni, dal 21 al 24 giugno, ma il breve periodo fu sufficiente a mettere in mostra tutte le lacune e le debolezze dell'esercito. L'assurdo strategico e tattico - imposto da Mussolini e ambiguamente accettato dai vertici militari - del passaggio repentino e brusco dallo schieramento difensivo a quello offensivo su di un terreno poco percorribile, povero di comunicazioni - quelle esistenti erano di modesta potenzialità logistica - e privo di strade di arroccamento, determinò il caos a tutti i livelli. Mancò il tempo materiale per compiere i movimentt di uomini, di muli e di mezzi e per organizzare le basi di partenza per l'attacco e gli schieramenti delle artiglierie. Da qui il caos che il maresciallo Enrico Caviglia (35) così descrive nel suo diario:
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« Dappertutto ebbero luogo combattimenti insensati, senza un piano di attacco, senza preparazione d'artiglieria» (36). La smania di Mussolini per un successo politico-militare da perseguire subito ed a tutti i costi nella speranza e nell'aspettativa del collasso della Armée des AJ,pes - che si difese, invece, bene e ad oltranza fino all'armistizio - ebbe un impatto umiliante con la realtà. L'accondiscendenza dei vertici militari ai voleri del capo del Governo anche sul piano della tecnica operativa inferse un colpo duro all'esercito che si dimostrò insufficiente a condurre la lotta persino sul terreno che avrebbe dovuto essergli congeniale. La dottrina tattica e gli ordinamenti in vigore risultarono in sede di collaudo del tutto negativi. I combattimenti locali che precedettero l'inizio dell'azione offensiva e quelli nei quali questa si concretò ebbero successo solo quando i comandanti disattesero i regolamenti e fecero ricorso d'iniziativa alla tattica di infiltrazione che avrebbe però richiesto uno strumento militare assai ricco di armi e di equipaggiamenti e ben diversamente addestrato e intellettualmente orientato, oltre ad un'organizzazione logistica capace di alimentare anche questo tipo di operazioni (37). La sottrazione della manovra al livello divisionale avrebbe dovuto comportare l'impiego della divisione lungo un'unica direzione di attacco, ma durante la campagna del giugno 1940, quasi invariabilmente le divisioni attaccarono invece su due colonne con direttrici parallele, come era previsto per la divisione ternaria ... con la conseguenza del logoramento contemporaneo di entrambe le colonne reggimentali che portava inevitabilmente ad un esaurimento dell'attacco e costringeva i comandi superiori a disporre scavalcamenti o sostituzioni in linea fra divisioni che spesso erano di tipo diverso, con conseguenti problemi per lo schieramento delle artiglierie divisionali (38) . Il disordine ed il cattivo funzionamento degli alti comandi superarono ogni limite. Il capo di stato maggiore generale, dopo aver trasmesso allo stato maggiore dell'esercito l'ordine di Mussolini d'iniziare l'offensiva il 21, quasi scomparve dalla scena e si trasferì negli ultimi giorni nella zona delle operazioni utilizzando la ferrovia fino a Genova dove giunse, con al seguito un paio di ufficiali e sottufficiali, inatteso ospite, e da dove, dopo aver pernottato in prefettura, si mise in viaggio verso la fronte privo di collegamenti propri sia con Roma sia con il posto di comando dello stato maggiore dell'esercito nella zona delle operazioni. Dopo di che si portò nella zona delle operazioni il giorno 18 e appoggiò il suo posto di comando a quello del gruppo armate ovest, da dove lo trasferl in valle d'Aosta in posizione eccentrica e di difficile raggiungimento. Il comanJo <lei gruppo armate ovest venne meno
CAP. XXXIII - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE PRI MA)
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,11la funzione di coordinamento e d'indirizzo strategico che gli sarebbe sLata propria e si ridusse ad organo di collegamento tra lo stato maggiore e le armate, che spesso ricevettero ordini direttamente da Roma o Ja] posto comando del capo di stato maggiore dell'esercito. La fanteria fu la vittima più sacrificata della dottrina e della Lecnica d'impiego in vigore e delle insufficienze, soprattutto qualitative, dell'inquadramento delle sue unità. Essa accusò l'insufficienza quantitativa dei mortai medi ed il suo slancio negli attacchi, la sua tenacia nelle resistenze ed il suo spirito di abnegazione in tutte le circostanze valsero solo in parte a compensare l'inadeguatezza dell'addestramento individuale e d'insieme e l'assenza di una tecnica specifica per l'attacco alle opere fortificate. L'artiglieria palesò chiaramente le insufficienze organiche o quantitative sulle quali del resto il maresciallo Graziani aveva richiamato l'attenzione di Mussolini il 25 maggio, aggravate dalla indisponibilità del tempo necessario all'òrganizzazione del fuoco. Il genio si prodigò oltre ogni limite, ma il basso valore del rapporto organico rispetto alle altre armi e l'assenza della specialità guastatori - che verrà costituita solo nell'estate del 1940 - incisero negativamente sulla rapidità di ripristino delle interruzioni e sulla speditezza degli attacchi alle opere fortificate. L'intervento dell'aeronautica - tanto più necessario quanto meno realizzabile la manovra delle traiettorie e minori le possibilità di spingere in profondità il fuoco delle artiglierie - fu ostacolato dalle condizioni metereologiche, ma quando fu reso possibile si dimostrò inadeguato quantitativamente e incapace - equipaggi impreparati - di far fronte alle esigenze di appoggio in zone montane contro obiett ivi di dimensioni limitate quali erano i punti forti dell'organizzazione francese. Le deficienze dell'organizzazione logistica e dell'equipaggiamento completarono l'opera. Tutto questo fu pagato con un· numero di perdite assai pesante - 642 morti, 2631 feriti, 2151 congelati, 616 dispersi - tenuto presente il limitato numero di uomini impiegati in prima linea. Alle forze operanti sulle Alpi occidentali fu chiesto uno sforzo che difficilmente avrebbe potuto avere successo anche se vi fosse stata la disponibilità del tempo necessario per prepararlo convenientemente. L'offensiva fallì, nonostante il grande spirito combattivo di molti comandanti intermedi e della grandissima maggioranza delle unità, a causa delle incertezze e delle oscillazioni della direzione politico-strategica e delle improvvisazioni, delle contraddizioni e delle disfunzioni della direzione tecnico-militare. La mancanza di idee lucide e ferme al livello delle due direzioni aggravò le costituzionali insufficienze materiali e tecniche dell'appa-
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I .:, campagna si chiuse, in conclusione, con un pesante bilancio
in rosso sul piano politico, psicologico e militare. Fu un grave insuccesso che Mussolini ed i vertici militari erano tutto sommato andati a cercarsi.
6.
Il ciclo di operazioni svoltesi dall'entrata dell'Italia in guerra al febbraio del 1941 nell'Africa settentrionale (39) - avanzata italiana su Sidi el Barrani e prima controffensiva britannica - prese il via da motivazioni di carattere politico, non meno fondate di quelle dell'azione offensiva sulle Alpi occidentali, ma anche questa volta non confrontate preventivamente con la capacità operativa dello strumento utilizzabile. Qui la questione non fu di quantità delle forze e di disponibilità del tempo necessario alla organizzazione dell'azione, ma di specie e di qualità delle forze incaricate di sviluppare l'operazione. Della funzione politico-strategica della Libia le autorità di governo e militari si erano occupate per la prima volta durante la guerra contro l'Etiopia. Al termine di tale guerra le unità costituite in loco erano state gradualmente disciolte e quelle metropolitane che erano state inviate dall'Italia erano state rimpatriate. Successivamente, in seguito al mutamento della situazione internazionale e di quella che si era venuta creando nel bacino del Mediterraneo, furono decisi nel 1937 alcuni provvedimenti per l'incremento dell'organizzazione militare dell'Africa settentrionale (40), ai quali, nell'anno 1938, fecero seguito altre misure di potenziamento riferite prevalentemente alle esigenze difensive dello scacchiere (41). Il progetto operativo che ne derivò si basava sul concetto di fare massa, nell'ipotesi di un conflitto con la Francia e con l'Inghilterra, contro l'avversario più debole e prevedeva l'azione difensiva manovrata sulla frontiera occidentale e l'offensiva travolgente in Egitto fino all'occupazione di Alessandria. Il maresciallo Balbo, nel trasmettere il progetto allo stato maggiore dell'esercito, fece presente che per l'attuazione sarebbe stata necessaria una disponibilità di forze maggiore di quella prevista dall'insieme dei provvedimenti in corso (4 divisioni metropolitane stanziali, 2 divisioni libiche, 4 divisioni metropolitane costituenti il corpo di spedizione di rinforzo per il quale si venivano accantonando le dotazioni). L'allora capo di stato maggiore dell'esercito, generale Pariani, approvò in linea di massima il progetto, ma espresse l'opinione che il minimo necessario era di
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FILIPPO STEFANI
18 djvisioni (14 autotrasportabili, 2 libiche e 2 della milizia), delle quali 12 autotrasportabili avrebbero dovuto essere destinate all'offensiva sulla frontiera orientale e 6 (2 autotrasportabili, 2 libiche e 2 della milizia) al blocco difensivo della frontiera occidentale. Nella considerazione che le disponibilità finanziarie non consentivano, per il momento, l'approntamento di un cosl elevato numero di grandi unità, il generale Pariani aveva comunicato al maresciallo Balbo che il progetto avrebbe dovuto essere considerato studio orientativo da aggiornare costantemente in relazione alla situazione e da trasformare in piano allorquando fossero state disponibili le forze considerate. Nel gennaio del 1939 il capo di stato maggiore generale, sulla base delle direttive politico-strategiche dategli da Mussolini, convocò i sottosegretari di Stato dei dicasteri militari ed i capi di stato maggiore di forza armata e comunicò loro che per quanto riguardava la Libia, in caso di guerra, sulla frontiera tunisina era da prevedere assoluta difensiva mentre sulla frontiera con l 'Egitto la prevista offensiva, originata a suo tempo da una situazione politica diversa e da apprezzamenti personali del maresciallo Balbo, non avrebbe avuto più motivo di essere. Rilevato, inoltre, come la Francia avesse la possibilità di fare affluire grandi forze in Tunisia senza dover ricorrere alla via marittima, mentre l'Italia fosse costretta a servirsi soprattutto di tale via, dispose che venisse studiato un piano per il celere trasporto da est ad ovest delle forze della Cirenaica e che venisse accuratamente predisposto il richiamo alle armi delle truppe libiche in congedo in misura da tenere ben chiuse le porte di casa facendo affidamento solo sulle forze disponibili al momento dello scoppio delle ostilità. Il generale Pariani, in tale occasione, espresse il parere che per garantire l'inviolabilità delle due frontiere sarebbero occorse 8 divisioni metropolitane e 2 libiche e comunicò che si stava completando il trasporto dei materiali di mobilitazione delle 4 divisioni metropolitane e di circa 3 divisioni libiche: Il trasporto sarebbe stato ultimato nel maggio, ma sarebbe rimasto da risolvere il problema del trasporto del personale delle 4 divisioni al quale, però, si sarebbe potuto provvedere con l'ausilio di una decina di aeroplani da trasporto (disponibili entro luglio) e di circa 100 apparecchi civili. La sistemazione difensiva permanente (campo trincerato di Tripoli, settori di copertura di Nalut e di Zuara) sarebbe stata ultimata per i quattro quinti entro il mese di maggio. Subito dopo, nel mese di febbraio, Mussolini incaricò il maresciallo Badoglio di accertarsi in sito del grado della preparazione militare della Libia. Recatosi in Libia, una prima volta in febbraio ed una seconda volta in giugno, il maresciallo Bado-
CAP. XXXlll - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE PRIMA)
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glio riferì che, tali e tante essendo Je lacune da colmare rispetto ai programmi stabiliti, una situazione appena soddisfacente si sarebbe potuta raggiungere solo verso la fine del 1940 (42). I progetti ed i piani operativi, daJ progetto del maresciaJlo Balbo alle direttive per la difesa di entrambe le frontiere del maresciaJlo Badoglio, vennero tutti ispirati alle stesse concezioni dottrina1i ed agli st~ssi ordinamenti tattici ritenuti validi per le operazioni nella madrepatria, con la differenza che le divisioni avrebbero dovuto essere del tipo autotrasportabile anziché del tipo ordinario. Il marescia1lo BaJbo aveva richiesto per l'attuazione del suo progetto 9 divisioni autotrasportabili, 3 divisioni ternarie ed 1 divisione di camicie nere con mezzi di trasporto ridotti. Il generale Pariani aveva espresso il parere che per l'attuazione del progetto del maresciaJlo Ba1bo sarebbero state necessarie 18 divisioni di cui 14 autotrasportabili. Il maresciaJlo Badoglio, in sede di relazione della visita effettuata nel mese di febbraio, dopo aver messo in evidenza le principali e più urgenti necessità da soddisfare - tra le quali il completamento degli automezzi organici - aveva rappresentato che per garantire la difesa della Tripolitania sarebbe stato necessario fare ricorso a1la manovra di truppe mobili, intendendo come truppe mobili unità coloniali autocarrate dotate di notevole autonomia, con il concorso di importanti forze aeree, di unità aviotrasportate ed eventualmente di nuclei di paracadutisti (43). Egli aveva specificato che, stante l'ampiezza della fronte del confine con la Tunisia (200 Km da Na1ut a Zuara) e le caratteristiche del terreno, le opere fortificate dei caposaldi d'ala di Na1ut e di Zuara erano facilmente aggirabili e non rappresentavano a1tro che nuclei di arresto lungo le linee di penetrazione più percorribili e brevi. Per evitare gli aggiramenti, ed a1 tempo stesso per consentire l'esplorazione, la sicurezza e le azioni a largo raggio, sarebbe stata utile l'assegnazione di unità libiche ai corpi d'armata metropolitani in modo da lasciare integre le divisioni in considerazione dello scarso numero (6) di battaglioni che le costituivano. Aveva infine aggiunto che per i compiti di copertura, data l'ampiezza della frontiera, riteneva più adatte unità libiche autocarrate, in luogo dei previsti squadroni di cavalleria libica. Dopo l'ispezione del giugno, era tornato sulla questione dei trasporti rilevando la preesistente mancanza di molti mezzi organici e mettendo in evidenza che le unità della Libia, con le dotazioni di automezzi di cui disponevano, non avrebbero avuto la possibilità di operare oltre il terreno adiacente alle strade, mentre la vastità dello scacchiere avrebbe imposto una completa e reale motorizzazione delle unità di fanteria e di artiglieria,
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in modo che esse potessero effettuare rapide ed efficaci azioni di manovra. Nella deficitaria situazione esistente avrebbe potuto effettuarsi di volta in volta solo il trasporto delle unità manovrando gli insufficienti automezzi (44). Qui vien fatto di chiedersi come il maresciallo Badoglio abbia potuto rimproverare, nell'agosto del 1940, al maresciallo Graziani di non avere richiesto in tempo gli automezzi per l'offensiva su Sidi el Barrani - il che oltre tutto non era vero quando egli stesso un anno prima aveva constatato le gravi deficienze organiche esistenti ed aveva sostenuto la tesi che senza la mobilità delle forze nessuna manovra sarebbe stata possibile. La concezione del maresciallo Badoglio circa la guerra in Libia contro un nemico armato ed equipaggiato modernamente era ancora lontana dal prefigurare la dottrina tedesca o inglese, ma aveva l'indubbio merito di individuare nell'autonomia della mobilità strategica e tattica delle unità la chiave della soluzione del problema della difesa di quel territorio dove, sosteneva a ragione, occorrevano divisioni motorizzate e non autotrasportabili. Queste ultime, d'altra parte, non erano grandi unità mobili; erano state definite con il nominativo di autotrasportabili per l'eliminazione del traino animale nei 3 gruppi di artiglieria e nelle alquote dei servizi; avevano bisogno di mezzi di rinforzo che dovevano essere assegnati dall'unità di ordine superiore, e questa, da parte sua, nell'ipotesi migliore poteva autotrasportare una sola divisione alla volta. Nella guerra in Africa settentrionale - sui gebel, nella Gefara, nella Sirte, nella Marmarica, nel Fezzan - ciò che avrebbe contato non sarebbero state la conquista e neppure, entro certi limiti, il mantenimento delle posizioni, ma la ricerca del nemico, per punzecchiarlo, rendendolo ovunque insicuro, ingannarlo e alla fine batterlo in uno scontro manovrato. I mezzi necessari ad una tale tattica sarebbero state le autoblinde, i carri armati e le forze motorizzate. Il maresciallo Badoglio aveva compreso perfettamente la necessità di queste ultime, ma non aveva afferrato l'essenzialità delle autoblinde e, soprattutto, dei carri armati; diversamente è incomprensibile come non avesse disposto fin dal tempo di pace il trasferimento in Libia di una delle 3 divisioni corazzate disponibili e come non avesse provveduto a trasferirvene un'altra appena concluso l'armistizio con la Francia. Alla data del 10 giugno 1940 le forze operanti in Libia, poste alle dipendenze del Governatore e comandante superiore, maresciallo Italo Balbo (44 bis), erano ripartite in 3 scacchieri: libico-tunisino, affidato alla 5a armata su 3 corpi d'armata (X, XX, XXIII) con un totale di 8 divisioni, oltre le truppe dei settori di copertura valutabili
CAP. XXX LU - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE PRJMA )
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a circa una divisione; libico-egiziano, affidato alla 10a armata su 2 corpi d'armata (XXI e XXII) con un totale di 6 divisioni oltre le unità di copertura valutabili a circa una divisione; sahariano, affidato al comando forze sud, su di un comando raggruppamento libico e un comando truppe Sahara libico (45). Le 4 divisioni metropolitane stanziali disponevano ciascuna di un battaglione carri armati L3 con un totale di 339 carri (inclusi 8 carri Spa 25/c e 7 autoblinde). Nel periodo intercorso fra la dichiarazione di guerra e l'armistizio con la Francia nessuna operazione di rilievo si svolse alla frontiera libico-tunisina, mentre l'attività nemica terrestre ed aerea si manifestò vivace e continua fin dai primi giorni alla frontiera libico-egiziana. Qui, dove le forze italiane avevano assunto, come del resto sulla frontiera con la Tunisia, atteggiamento difensivo sulla base della direttiva confermata il 1O giugno dal capo di stato maggiore genera1e al comandante superiore dell'Africa settentriona1e, fu subito evidente che cosa significassero l'insufficienza di automezzi, l 'assenza di autoblinde, la indisponibilità di carri armati moderni e potenti e la penuria di armi controcarro moderne e del relativo munizionamento (46). L'evidenza della inferiorità di mezzi non trattenne Mussolini dal volere dare il via ad una qualche azione offensiva in Egitto, ed il maresciallo Badoglio se ne fece portavoce nei riguardi del maresciallo Balbo, orientando quest'ultimo, il 28 giugno, a montare per il 15 luglio tale azione dopo avere concentrato tutti gli automezzi possibili sulla fronte orientale traendoli dalla 5a armata che doveva servire in tutto come deposito di rifornimento alla 1oa armata. Lo stesso giorno della ricezione della lettera che fissava il nuovo orientamento, il maresciallo Balbo cadeva nel cielo di Tobruch con il suo apparecchio che, giunto inatteso pochi minuti dopo una incursione aerea nemica, venne colpito dalla contraerei e precipitò al suolo in fiamme. Su proposta del capo di stato maggiore generale venne destinato a succedergli il maresciallo Graziani, che conservò la carica di capo di stato maggiore dell'esercito. Giunto in Libia il 1° luglio e presa visione delle direttive che erano state impartite al suo predecessore, il maresciallo Graziani prospettò il giorno 3 al Comando Supremo il suo punto di vista sulla situazione operativa e le disposizioni che in conseguenza avrebbe subito preso, rappresentando la inderogabile necessità di poter disporre dei mezzi già richiesti dal maresciallo Balbo: un migliaio di autocarri, il maggior numero possibile di autobotti, taniche ed altri mezzi di trasporto dell'acqua, i massimi quantitativi di carburanti ed una sessantina di aerei per ripianare le perdite già subite, nonché un nuovo stormo da caccia, 6 aerei da trasporto e un gruppo
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da ricognizione su 2 squadriglie per il costituendo nuovo corpo di armata CXXIII). Lo stesso giorno il maresciallo Badoglio confermò Ja data d'inizio dell'offensiva per il 15 luglio per essere sincroni con l'azione tedesca d'invasione dell'Inghilterra. Il maresciallo Graziani comunicò che il giorno 15 avrebbe attaccato le forze nemiche lungo la direttrice costiera con obiettivo Sollum e che successivamente si sarebbe regolato a seconda degli atteggiamenti del nemico, perché i mezzi disponibili non gli avrebbero consentito a priori di spingersi in profondità. Il maresciallo Badoglio rispose che l'azione limitata alla conquista di Sollum non sarebbe stata redditizia, che la data d'inizio delle operazioni avrebbe potuto essere rinviata fino a quando fossero giunti i mezzi necessari per una manovra a vasto raggio, e che l'invio in corso dei materiali richiesti sarebbe stato completato in modo da mettere in condizione le forze di sferrare l'attacco, con obiettivi strategici, fra il 3 ed il 4 agosto, preceduto peraltro dall'occupazione di SoIJum per la creazione di una base logistica; occupazione che non avrebbe dovuto essere ritardata oltre il 22 luglio per evitare che le forze aeree inglesi, dislocate in Egitto, potessero essere inviate al sud, con gravi ripercussioni sui risultati dell'offensiva che, a partire dai primi di agosto, il duca d'Aosta avrebbe sferrato contro la Somalia inglese ( 4 7). Il maresciallo Graziani replicò sottolineando quali erano gli scopi che si era ripromesso con l'occupazione di Sollum fino all'uadi Halfaya - togliere at avversario base da cui partono sue giornaliere assillanti offese et per contro portare nostre forze in territorio nemico; allontanare pressione da linea nostra frontiera rigettandola at Sidi el Barrani cioè at 100 Km circa, et riacquistando libertà movimento lungo pista reticolato su Giarabub dove intendo costituire base per occupazione Siwa che potrà in secondo tempo essere punto partenza per minaccia at tergo Sidi Barrani et stessa Marsa Matruh; avere base partenza da Sollum anziché T obruch quando si tratterà sferrare azione at fondo con tutti vantaggi inerenti; rialzare morale truppe ed popolazione già depresso da scacchi subiti nei primi giorni campagna (48) e chiese che gli si lasciasse il tempo necessario per preparare l'azione e la libertà d'iniziativa per la manovra a più ampio raggio operativo. Il maresciallo Badoglio confermò al maresciallo Graziani la facoltà di agire nel modo e nel tempo scelti e lo informò che era in partenza un grosso convoglio di navi con carichi di mezzi e di rifornimenti avviato, per motivi di prudenza, su Tripoli anziché su Bengasi. Qualche giorno dopo il maresciallo Graziani inviò al maresciallo Badoglio una memoria (49) sui principali provvedimenti attuati dal giorno in cui aveva assunto il comando della Libia, dando il quadro della situa-
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zione d'insieme che Mussolini ed il maresciallo Badoglio interpretarono come favorevole ad un prossimo inizio dell'offensiva. Accortosi dell'interpretazione errata che il Comando Supremo aveva dato alla sua memoria, il maresciallo Graziani fece seguito con altra lettera, in data 29 luglio, nella quale espose i motivi per i quali, con rammarico, si vedeva costretto a rimandare ad ottobre l'inizio di qualsiasi operazione: massimo del calore annua1e, scarsità delle risorse idriche, impossibilità di manovra nel campo strategico ed assai limitata in quello tattico per la insufficienza di mobilità. Chiamato a Roma, il maresciallo Graziani, in una riunione a Palazzo Venezia, presenti Mussolini, il maresciallo Badoglio ed il generale Soddu, illustrò nei particolari i motivi della richiesta di rinvio (50) che vennero in parte contestati dal maresciallo Badoglio. A conclusione della discussione venne comunque deciso di effettuare, senza precisare quando, un'offensiva da Giarabub verso nord per eliminare i posti inglesi di confine ed un'altra offensiva a nord del ciglione di Sollum con obiettivo eventuale Sidi d Barrani. Rientrato in Libia, il maresciallo Graziani convocò a Cirene, suo posto di comando, i comandanti d'armata e di corpo d'armata, il comandante dell'aeronautica della Libia, l'intendente ed altri e li invitò a riunirsi, sotto la direzione del genera1e Italo Gariboldi (51) vice coman<lante superiore e comandante della 5" armata - per vagliare le possibilità di azioni offensive a largo raggio che i convenuti, dopo avere esaminato il problema, dichiararono unanimamente non esistere per il momento. Il maresciallo Graziani, nel trasmettere al Comando Supremo i) verbale della riunione, precisò che la dislocazione frattanto assunta dal nemico e la persistente insufficienza di mezzi, anche a voler prescindere dalla stagione e dalla estrema scarsità di acqua, gli rendevano impossibile ogni azione a largo raggio per cui chiedeva: o di ricevere direttive per azioni adeguate allo stato di fatto, o di fare effettuare un sopra1luogo da parte delle autorità superiori che tale stato di fatto giudicassero in sito. Concludeva di essere pronto da parte sua a mettere a disposizione la sua persona. La lettera s'incrociò con un telegramma con il quale Mussolini, mentre comunicava che era in via di ultimazione la preparazione tedesca per l'invasione della Gran Bretagna, ordinava che il giorno in cui il primo plotone di soldati germanici avesse toccato il territorio inglese simultaneamente le forze italiane della Cirenaica avrebbero dovuto muovere all'attacco dell'Egitto: « Ancora una volta vi ripeto che non vi fisso obiettivi territoriali, non si tratta di puntare su Alessandria e nemmeno su Sollum. Vi chiedo soltanto di attaccare le forze inglesi che avete di fronte . Mi assumo la piena responsabilità personale di questa
CAP. XXXIII - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE PRIMA)
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111i11 decisione. Voi avevate in animo di attaccare il 15 luglio appena 11i11nti i carri armati (70 carri M 11/39). È stato allora molto sag1\io - anche dal punto di vista del clima - di rinviare a miglior ll·111po. Nell'intervallo, compiendo uno sforzo che nessuno meglio di voi è in grado di valutare, vi abbiamo mandato tutto quanto ci è i. 1:110 possibile. Voi avete una indubbia superiorità di effettivi e di 111 ·zzi e di morale. Cinque navi di linea sono pronte. Possiamo fare 1111 ulLeriore concentramento di aeroplani . Dopo dodici mesi di attesa 1· di preparazione è tempo di attaccare ... Battuto il nemico, l'ampiezza 111uggiore aut minore della sua disfatta ci darà la norma per l'ulteriore :1:r.ionc ... » (52). Il maresciallo Graziani rispose subito che gli ordini :.. nrebbero stati eseguiti, impartl le direttive per l'offensiva che avrebbe dovulo essere pronta dal 27 agosto (nonostante le obiezioni mosse dal comandante della 10 armata che era quella che avrebbe dovuto w nJurla), chiese nel contempo al Comando Supremo l'invio dei mezzi :1èrci mancanti per stabilire la superiorità aerea locale che in quel mo111cnto apparteneva al nemico. Ma quando Mussolini verso la fine di 11gosto decise che l'offensiva contro gli inglesi avesse luogo anche se i tedeschi - com'era oramai chiaro - non fossero stati ancora pronti per lo sbarco su1le isole britanniche, ed il maresciallo Badoglio invitò il maresciallo Graziani a tenersi in misura d'iniziarla fra 1'8 ed il 10 scLtembre, questi, dopo aver riunito nuovamente i comandanti di grande unità e riesaminato i possibili sviluppi dell'operazione, informò iI Comando Supremo che aveva bisogno di altri 600 automezzi prima e.li muoversi al fine di motorizzare le 2 divisioni libiche. Queste, secondo il piano operativo, avrebbero dovuto manovrare sulla destra del dispositivo offensivo per avvolgere da sud le forze nemiche impeg11a le frontalmente a nord dalle divisioni metropolitane. Il maresciallo Badoglio contestò la richiesta che, osservò, avrebbe dovuto essere inoltrata in tempi antecedenti e chiese al maresciallo Graziani di comunicargli la data nella quale sarebbe stato pronto in modo da convincere Mussolini al rinvio. L'osservazione punse sul vivo il maresciallo Graziani che si affrettò a rispondere che egli fin dal 2 luglio aveva richiesto, confermando quanto era stato segnalato ancora prima dal maresciallo Balbo, l'assegnazione di 1000 automezzi, che fino ad alJora ne erano giunti solo 400 e che dal punto di vista strettamente operativo occorreva attendere, prima di dare inizio all'offensiva, l'arrivo degli altri 600 e cioè la fine di settembre o la prima decade di ottobre. La proposta non venne accolta da Mussolini che ordinò l'operazione per il 9 settembre (5 3). Nel mese di luglio egli era stato indotto a solJecitare l'offensiva 11
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in Egitto dall'illusione di una vittoriosa conclusione della guerra a breve scadenza, per cui un'azione immediata contro gli inglesi gli era parsa indispensabile prima di sedere al tavolo della pace. Nel mese di agosto, quando l'invasione tedesca dell'Inghilterra era da tutti ritenuta imminente, si era dato carico, non senza motivo, di una contemporanea offensiva italiana contro gli inglesi sulla sola frontiera terrestre sulla quale essa sarebbe stata possibile per acquisire in tempo un qualche pegno territoriale che consentisse di far valere gli interessi italiani nel Mediterraneo. Nel mese di settembre il timore di un accordo anglo-tedesco, suscitato dal rinvio dell'occupazione tedesca delle isole britanniche, lo indusse a mettere Hitler davanti al fatto compiuto per l'eventualità che questi intendesse escludere l'Italia dall'accordo o riservarle, com'era accaduto nel caso della Francia, una posizione di scarsa rilevanza e di mediocre profitto. Ma, indipendentemente dalla fondatezza delle motivazioni politiche, proprio la chiusura in rosso del bilancio delle operazioni sulle Alpi occidentali avrebbe dovuto farlo desistere da nuove imprese militari che non aprissero sul piano tecnico sufficienti prospettive di successo. Occorre aggiungere che il comportamento dei vertici militari non fu tale da fargli intendere che non esistevano prospettive strategiche e tattiche se non previa messa a punto delle forze. Nessuna obiezione venne avanzata dal marescialJo Badoglio che, anzi, contestando le affermazioni del maresciallo Graziani, lasciò implicitamente intendere che l'operazione sarebbe stata fattibile e che sarebbe stata remunerativa solo se spinta al di là dell'occupazione di Sollum. Le eccezioni, le difficoltà e le richieste di rinvio avanzate dal maresciallo Graziani, sebbene fondate e valide, non ebbero efficacia persuasiva perché ogni volta, meno che nella riunione del 5 agosto, furono contraddette dalle dichiarazioni di pronta esecuzione degli ordini. Mussolini dalla condotta dei due marescialli trasse il convincimento di una diatriba personale più che di un dissenso fondato sui motivi tecnici e alla fine, stanco delle tergiversazioni e dei temporeggiamenti del maresciallo Graziani e confortato dalla adesione, quanto meno tacita, del maresciallo Badoglio, non volle più sentire ragioni e dette l'ordine che il 9 settembre si passasse all'azione, nonostante il parere ora decisamente contrario del maresciallo Graziani che, il 2 settembre, spediva a Roma un generale addetto al suo comando per illustrare un nuovo promemoria, nel quale tornava a rappresentare che la situazione dei mezzi non gli avrebbe consentito di puntare inizialmente su Sidi el Barrani, che l'azione avrebbe dovuto perciò essere limitata all'occupazione della linea Sollum - Halfaya - Gabr bu Fares Bir Chreigat e
CAP. XXXIII - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE PIUMA)
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rhe sarebbe stato invece conveniente attendere l'arrivo dei mezzi per iniziare una manovra di più ampio respiro e profondità senza interru~ione di sviluppo. Il piano formulato dal comando superiore il 22-25 agosto aveva previsto come obiettivo di primo tempo il ciglione di Sollum fino all'altezza di Sanani el Augerin e come obiettivo di secondo tempo, in caso di favorevole sviluppo, la località di Sidi el Barrani che era solo un punto di riferimento, segnato sulla carta topografica, indicativo della penetrazione massima raggiungibile nel primo balzo, ma privo di significato strategico e tattico. Tale piano iniziale aveva suddiviso le forze di attacco in due gruppi di manovra: il primo, a sinistra, costituito dalle divisioni Cirene e Marmarica, avrebbe dovuto far cadere il ciglione di Sollum fra il mare e Neèb el Terras gravitando con le forze sulla destra; il secondo, a destra, costituito dalla r e 2° divisione libica, scaglionato in profondità, avrebbe dovuto puntare su Sanani el Augerin. Le direttrici di attacco sarebbero state per il gruppo di sinistra: Capuzzu-Sullum e Ghirba-Gabr bu Fares-Sanani cl Areighib; per il gruppo di destra: Bir esc Sceferzen-Bir el ChreigatSaoani el Augerin. Il piano del 3 settembre per l'azione da compiere alla fine di settembre o nella prima decade di ottobre, quando cioè fossero giunti gli altri 600 automezzi, prevedeva una manovra più ampia di duplice avvolgimento: a sinistra, lungo la litoranea, con le divisioni metropolitane; a destra, per la pista Deir el Hamra - Bir el Rabia - Bir Enbu, con le divisioni libiche autocarrate ed il raggruppamento Maletti. In seguito all'ordine di iniziare le operazioni il 9 settembre, considerato che senza la disponibilità degli automezzi, senza la superiorità aerea e senza aerei da trasporto non gli sarebbe stato possibile attuare né il primo né il secondo piano, il maresciallo Graziani decise di invertire la manovra e di far massa di tutti i mezzi disponibili sulla sinistra per un'azione diretta su Bug Bug e Sidi el Barraoi lungo la sola linea di operazione costiera. La scelta di una unica direttrice: sorprese il nemico che, avendo intuito o avendo avuto sentore del piano precedente, aveva fatto gravitare la massa dei mezzi corazzati a sud, lungo la direttrice Deir el Hamra - Bit Enbu; facilitò la concentrazione dei mezzi aerei di appoggio; semplificò il funzionamento dei servizi, specialmente di quelle idrico che sarebbe stato alimentato dalla base avanzata di Bardia-Capuzzo; concesse però al nemico maggiore libertà di scelta nelle reazioni. Venne disposto che l'operazione si sviluppasse in due tempi: nel primo tempo avrebbero avuto luogo i movimenti per assumere lo schieramento; nel secondo il gruppo de1le divisioni libiche in prima schiera, rinforzate
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da artiglierie e da un battaglione carri L3, muovendo dalla base di partenza tra Capuzzo e Ghirba, avrebbe puntato rapidamente su Sollum e Halfaya per dilagare nella piana proiettandosi su Bug Bug e Sidi el Barrani. Tale gruppo sarebbe stato seguito dal XXIII corpo d'armata (Cirene e Marmarica, rinforzate ciascuna da un battaglione carri L3). In riserva due elementi celeri: a sinistra la divisione camicie nere 23 marzo (autocarrata) e il 1° raggruppamento carristi, a disposizione della 10.. armata; a destra il raggruppamento Maletti (autocarrato), formato prevalentemente con reparti libici e rinforzato da una compagnia carri M 11/39 e da un gruppo contraerei da 75/27 C.K., alle dipendenze del comando superiore, con il compito di proteggere il fianco destro della 10.,. armata da minacce provenienti da Bir esc Sceferzen e Bit el Chreigat, e di tenersi pronto a lanciarsi in avanti ed a sfruttare ogni occasione favorevole. L'aviazione, alle dirette dipendenze del comando superiore, avrebbe dovuto agire a massa ed in stretta aderenza con le forze terrestri. Il XXII corpo d'armata (divisione Catanzaro e divisione 23 gennaio) avrebbe provveduto alla sicurezza delle retrovie (54). L'avanzata oltre confine ebbe inizio all'alba del 13 e si concluse il 17 oltre Sidi el Barrani. Il movimento fu lento e laborioso, talora disordinato, a causa delle difficoltà del terreno, del calore, del vento, degli ostacoli messi in sito dal nemico (mine, interruzioni, distruzioni), degli intasamenti delle piste determinati dal grande traffico, dagli incroci delle colonne, dagli scavalcamenti delle unità appiedate da parte di quelle autocarrate, dalla scarsa idoneità degli automezzi ad uscire fuori delle piste senza correre il pericolo di rimanere insabbiati. Il pdiHO giorno: la 1° libica riuscì solo nel tardo pomeriggio ad affacciarsi al ciglione di Sollum alta dove venne accolta dal fuoco di una batteria mobile nemica; la 2° libica raggiunse il passo Halfaya, le divisioni Cirene e Marmarica serrarono sotto senza incontrare reazione e si portarono rispettivamente a q. 199 di Anza el Zullula ed al quadrivio nord di Gabr bu Fares; il raggruppamento Maletti si portò a Neznet Ghirba e la 23 marzo raggiunse la zona di Gabr Asceram. Il giorno 14: la 1° libica, ripreso il movimento, fu disturbata solo da qualche reazione di fuoco di batterie e autoblinde, ed alla sera raggiunse la zona di Bir Thidan; la 2°, respinto con il concorso del 1° raggruppamento carri armati un attacco di formazioni corazzate, raggiunse anch'essa sulla destra, e indietro rispetto alla l" libica, la zona di Bir Thidan; la colonna Ma/etti si portò ad Halfaya, la Cirene a nord ovest di Bir Siuyat, la Marmarica a Gabr Abu Amud, la 23 marzo nella zona di Musaid. Parve chiara la preotdi-
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intenzione del nemico di non dare battaglia e di ripiegare verso ll giorno 15, sulla base degli ordini impartiti dal maresciallo ( ;rnziani che aveva giudicato la sera del 14 favorevole l'occasione pt.·1 piombare su Sidi el Barrani, le divisioni libiche vennero scavalrn t t· Lra le 1O,30 e le 11,3 O dalla divisione 2 3 marzo, articolata su J hlocchi. La divisione avanzò, disturbata dall'artiglieria e da mezzi 1111.:ccanizzati nemici e ostacolata soprattutto dalle cattive condizioni l k·I Lerreno e dal vento, fino a 25 Km da Sidi el Barrani. La notte Mii 16 il maresciallo Graziani ordinò di riprendere all'alba il movi111t·nlo per sopravvanzare il nemico su Sidi el Barrani. La mattina del 16 il movimento fu ripreso con il seguente dispositivo: una colonna .1 sin istra a cavaliere della litoranea nord; una a destra a cavaliere della litoranea sud; il 1° raggruppamento carri armati, rinforzato dai r :irri armati della colonna Ma/etti, con la colonna di destra; il resto ild raf!,gruppamento M a/etti (1 battaglione, 1 batteria da 20 mm , I compagnia da 47 /32), in secondo scaglione, dietro la colonna di :s inistra; la colonna celere, costituita dal comandante del XXIII corpo d'armata con motociclisti, cannoni da 47 /32, cannoni da 65/17 , pronta a sfruttare ogni occasione, a ridosso della colonna di sinistra. La colonna di sinistra venne impegnata dal tiro dell'artiglieria che 111.: rilardò il movimento e la costrinse ad appiedare. La colonna di J estra giunse all'abitato di Sidi el Barrani. Il nemico ripiegò in fretta le artiglierie. La colonna di sinistra proseguì speditamente sull'obiettivo che raggiunse senza incontrare ulteriori difficoltà. Il cerchio si strinse sull'obiettivo ed il movimento si svolse quasi indisturbato. Verso le 15 la colonna di destra, con cui era il comandante del corpo di armata, raggiunse la litoranea a 4-5 Km ad est di Sidi el Barrani e, quasi alla stessa ora, la colonna di sinistra, con il comandante della 23 marzo, entrò da occidente in Sidi el Barrani. Il giorno 17 ed il giorno 18 nuove colonne celeri vennero spinte verso oriente a 20-30 Km da Sidi el Barrani, ma non incontrarono reazione e non trovarono traccia del nemico, fatta eccezione di qualche autoblindo in osservazione che si sottrasse rapidamente al combattimneto. Le perdite italiane del ciclo operativo ammontarono a 120 morti e 410 feriti, di cui un terzo libici. Il maresciallo Graziani valutò l'operazione perfettamente riuscita (55) e ne enfatizzò i risultati. In effetti le unità dell'esercito, della milizia e libiche - sottoposte a fatiche fisiche, disagi, privazioni sovrumane - si erano comportate al di là di ogni elogio e dal punto di vista logistico erano stati compiuti miracoli, ma l'operazione in sé aveva fallito lo scopo principale che avrebbe dovuto essere la distrnzione delle forze nemiche contrapposte. Il maresciallo Gra11.11:1
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ziani attribuì alle condizioni delle piste ed all'imperversare del ghibli il ritardo di un giorno nell'occupazione di Sidi el Barrani da parte delle forze autocarrate - ritardo che avrebbe consentito al nemico di far ripiegare dalla zona di Bir Chreigat-Deir el Hamra la massa corazzata già in procinto di essere tagliata dalla base - ma se anche la località fosse stata occupata il 15 anziché il 16 e l'avanzata fosse stata più celere e spregiudicata, i frutti dell'operazione sarebbero stati presso a poco gli stessi e la predisposta linea di condotta del nemico avrebbe egualmente consentito al blocco delle forze britanniche di ritirarsi e di riunirsi al resto dello schieramento sulle posizioni di Marsa Matruh . La negatività delle premesse - scarsa fiducia nel successo, improvvisazione dell'avanzata, obbligata ristrettezza della manovra, inidoneità e penuria dei mezzi, insufficienza concettuale nel1'impiego dei carri armati - non avrebbe in nessun caso consentito il raggiungimento di risultati meno sterili. Il poco che l'avanzata raggiunse fu merito del profondo senso del dovere e del superbo slancio delle unità che seppero ancora una volta vincere se stesse nel sopportare e superare condi:doni di vita e di lotta al di là dell'immaginabile. Il beneficio che dall'avanzata derivò al morale della nazione - frastorrn1ta dalla propaganda ufficiale che esaltò l'impresa oltre ogni limite come una grande vittoria militare - fu di breve durata e sparì ben presto quando, qualche mese dopo, la 10a armata si paleserà del tutto impari alla lotta e la Cirenaica intera cadrà nelle mani degli inglesi. L'azione era stata concepita e vista da Mussolini e dal capo di stato maggiore generale, in perfetta intesa, come simultanea ad uno sbarco tedesco in Gran Bretagna che non ebbe luogo ed era stata ordinata in previsione di un armistizio anglo-tedesco che non vi fu. Nel primo caso l'azione, sebbene molto rischiosa, sarebbe stata politicamente e militarmente necessaria; nel secondo caso invece avrebbe dovuto essere rinviata, per motivi di prudenza, all'ultimo momento, a quando cioè le voci ed i passi per un armistizio anglo-tedesco avessero assunto una consistenza maggiore di quella dell'offerta unilaterale di compromesso fatta da Hitler all'Inghilterra, tanto più che alla fine di agosto l'illusione di un'accettazione inglese era quasi svanita. Le oscillazioni del Comando Supremo tra il muoversi subito ed il rinviare l'inizio del movimento su richiesta del comando superiore del!'Africa settentrionale, e le ambiguità di quest'ultimo nel dichiararsi pronto a muovere e nel proporre simultaneamente posticipazioni, dimostrano come tutti covassero forti dubbi sulla riuscita dell'impresa alla quale il maresciallo Graziani aderì alla fine molto malvolentieri.
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L'adozione di un piano operativo ridotto rispetto a quello ideato in precedenza fu un ripiego obbligato che diminul consapevolmente le ambizioni tattiche, ma accrebbe le probabilità del successo locale e limitato. Anche se fossero stati disponibili i 600 automezzi mancanti e conseguentemente fosse stata realizzabile la manovra a più ampio raggio, la velocità operativa e la mobilità tattica si sarebbero mantenute su valori modesti e, comunque, inferiori a quelli dei quali godevano le forze inglesi. La conquista del ciglione di Sollum sarebbe stata in ogni caso compito di forze appiedate, ma per l'azione sul davanti sarebbero state necessarie unità corazzate e meccanizzate capaci di muoversi e combattere fuori delle piste e appoggiate, o quanto meno coperte, da consistenti e addestrate unità aeree. Il maresciallo Graziani aveva a disposizione 70 carri M 11/39 e circa 300 L3 che egli aveva ordinato il 29 agosto su: 1 comando, 2 raggruppamenti carristi ciascuno su 1 battaglione carri M e 3 battaglioni carri L, 1 battaglione misto e 1 battaglione carri leggeri. Il 1° raggruppamento era stato destinato ad operare con il XXIII corpo d'armata, il 2° con il gruppo divisioni libiche, il battaglione misto (una compagnia carri M ed una compagnia carri L) con la colonna Maletti, il battaglione carri leggeri (meno una compagnia) con il XXI corpo d'armata. Si trattava di un'entità notevole che, sebbene costituita in gran parte da mezzi (L3) meno potenti, manovrieri e protetti di quelli inglesi e in parte da mezzi (M 11) scarsamente idonei ad operare sul particolare terreno, avrebbe potuto rendere assai più e meglio se impiegata con i criteri di massa e di spinta in avanti anziché di frazionamento e di tenuta in riserva, tanto più che le forze contro lè quali si presumeva di dover operare comprendevano una divisione corazzata (56). Le colonne autocarrate che scavalcarono le unità libiche per puntare verso est erano state costituite prevalentemente con unità della divisione 23 marzo, dotate di alto spirito combattivo, ma meno addestrate e da minore tempo in Libia delle unità della Marmarica e della Cirene che furono lasciate in sosta nelle zone raggiunte, a tergo della 1a e della 2" libica. La scarsa capacità manovriera e l'impreparazione tattica di tali colonne, improvvisate ed entrate in combattimento non come unità autoportate ma come truppe caricate alla meglio sugli autocarri, prive della mentalità e della tecnica dei reparti motorizzati, incisero negativamente, più del terreno e del ghibli, sul loro rendimento. La scarsità di mezzi controcarri (47 /32 e 20 mm) e l'insufficienza di prestazioni di quelli adattati (65 / 17) non consentirono di conferire alle colonne la capacità controcarro necessaria a battere con pronta entrata in azione e con volume di fuoco adeguato le formazioni
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di autoblinde e di carri armati nemici. L'artiglieria, fornita di trattori all'ultimo momento, con trattoristi improvvisati, si trovò per la prima volta ad affrontare e risolvere il problema di appoggiare e proteggere con entrata in azione immediata unità autoportate ed agenti su terreno di difficile osservazione. L'azione dell'aviazione, efficace nel suo insieme, non sempre poté dare con rendimento l'appoggio immediato alle colonne operanti, sia per i vincoli dell'apparecchio in dotazione alle squadriglie di osservazione, sia per il modesto grado generale di addestramento alla cooperazione aeroterrestre. Le divisioni di fanteria, non chiamate a svolgere operazioni di rottura, ma solo attacchi locali contro forze operanti con i procedimenti della zona di sicurezza, non ebbero modo di palesare le deficienze dimostrate sulle Alpi occidentali, ma risentirono soprattutto della loro scarsa capacità di fuoco controcarro. Ultimo elemento di carattere negativo fu lo scarso modo d'intendersi esistente fin da prima dell'inizio dell'avanzata tra il comandante superiore ed il comandante della 10" armata. L'avanzata su Sidi el Barrani non fu né brillante né remunerativa. Essa non impedì al nemico di effottuare un'abile manovra di ripiegamento durante la quale il contrasto dell'avanzata venne affidato prevalentemente all'artiglieria, appoggiata ad un'organizzazione predisposta e servita per l'osservazione e per la direzione del tiro dalle autoblinde, funzionanti come osservatori mobili avanzati. L'artiglieria e l'aviazione nemiche, più delle stesse unità carri, imposero all'avanzata tempi di arresto, cambi di formazione, deviazioni dalle direzioni preventivate e soste forzate che ne abbassarono il già mediocre grado di rapidità. In conclusione, l'occupazione di Sidi el Barrani non solo non perseguì l'unico scopo che l'avrebbe giustificata - distruzione delle 3 divisioni e delle altre unità minori nemiche operanti tra il confine lihico ed il meridiano di Marsa Matruh - ma determinò una situazione strategica, tattica e soprattutto logistica più delicata e difficile di quella esistente in corrispondenza della frontiera libico-egiziana da dove, eccezione fatta per la conquista del ciglione di Sollum, non sarebbe stato né opportuno né conveniente né prudente muoversi. La conquista dell'Egitto non sarebbe stata possibile se non la volta che si fosscro create le premesse tattiche (disponibi1ità sufficiente di carri armati , di automezzi, di velivoli) e logistiche {ingente e continua disponibilità di rifornimenti e sufficiente potenzialità degli assi. di alirncnlnzione), e solo se la si fosse potuta compiere a sbalzi , più che possi bilt: ravvièinati nel tempo, di significato strategico {Ma rs:i Matruh, Alessandria, canale di Suez) come, del resto, il marescinllo Graziani avcvn prospettato.
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Le necessità di riordinare il dispositivo, di garantire i rifornimenti in una zona priva di ogni risorsa compresa quella idrica, di :111 rczzare a tal fine gli assi di scorrimento del traffico da Sollum a SiJi el Barrani (trasformazione della pista in strada a fondo artificiale), cli costituire depositi di acqua e di carbolubrificanti nonché magazzini pcr l'accantonamento delle scorte, di razionalizzare i trasporti, per i quali permaneva la situazione deficitaria dei mezzi, e di prolungare l'acquedotto di Bardia resero irrinunciabile la sosta. Non fu possibile dcLerminarne la durata - che sarebbe dipesa anche daJl'andamento della guerra sul mare - ma nessuno s'illuse che potesse essere breve. 11 1 9 settembre il maresciallo Graziani venne convocato a Roma per un diretto orientamento sulla situazione politica e per un esame collegiale dell'ulteriore sviluppo delle operazioni. La riunione ebbe luogo il 29 settembre. Mussolini si disse convinto che la ripresa dell'avanz,1ta da Sidi el Barrani a Marsa Matruh sarebbe stata possibile dalla metà di ottobre, il maresciallo Badoglio non prima di novembre ed iI maresciallo Graziani si riservò di esprimersi al riguardo dopo aver esaminato a fondo in loco il problema. Il 5 ottobre, more solito, Mussolini ordinò che la ripresa s'iniziasse entro il 10-15 di ottobre perché « è mia convinzione che i mezzi di cui dispone attualmente Graziani sono sufficienti allo scopo e nel tempo fissato » (57). Altra convinzione di Mussolini era che « gli inglesi non difenderanno Marsa Matruh se non nella misura strettamente necessaria per ritardare la nostra marcia e disimpegnare le loro formazioni » e poiché « solo con la presa di Marsa Matruh il successo da tattico diventerà strategico e potrà avere conseguenze ancora più importanti dal punto di vista politico era necessario andare a Marsa Matruh dove giunti « vedremo gua1e dei due pilastri della difesa mediterranea inglese debba essere abbattuto: se l'egiziano o il greco ». Il maresciallo Badoglio nel trasmettere nella sua interezza la nota di Mussolini informò il maresciallo Graziani che Mussolini, ritenendo i mezzi disponibili sufficienti, aveva declinato l'offerta di aiuto germanico per la seconda fase dell'avanzata, aiuto che, aggiungeva, avrebbe potuto essere richiesto in autocarri, carri armati, stukas quando sarebbe stato deciso di attaccare le forze inglesi che secondo il pensiero del duce ci attenderanno al completo o quasi nel Delta (58). Il maresciallo Graziani il 15 ottobre, con lettera circostanziata diretta al maresciallo Badoglio (59), comunicò di ritenere impossibile l'immediato inizio della nuova offensiva, che giudicava necessario rinviare di almeno due mesi poiché: l'occupazione di Marsa Matruh sarebbe stata contrastata dagli inglesi con adeguate forze appoggiate al campo trincerato; non si poteva
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basare un piano sulla presunzione di una fuga del nemico; i mezzi necessari (4 gruppi da 149/13, automezzi, carri rimorchio) erano solo in parte sbarcati e non sarebbero giunti a pie' d'opera prima della fine del mese; l'operazione avrebbe richiesto l'impiego di 2 divisioni libiche (fanteria a piedi per la scarsezza di automezzi, artiglieria e servizi autocarrati, salmerie di 300 muli per divisione), 2 divisioni metropolitane e 1 raggruppamento misto autocarrato, 1 raggruppamento di artiglierie (2 gruppi da 149/13, 3 da 100/17 e 2 da 105/ 28), 1 raggruppamento di 70 carri M 11 e 6 carri M 13; la soluzione del problema logistico avrebbe richiesto la preventiva sistemazione del fondo stradale Sollum-Sidi el Barrani, il preventivo prolungamento dell'acquedotto di Bardia fino a Sidi el Barrani, la preventiva organizzazione dei treni di rifornimenti con caterpillars; sarebbero occorsi 1234 automezzi (o 1924 qualora si fosse voluto conferire l'autonomia di trasporto anche alle divisioni libiche), che avrebbero dovuto giungere prima della ripresa offensiva dall'Italia. La risposta del maresciallo Graziani non piacque a Mussolini che gli rimproverò la lunga sosta - che ha giovato di più, anzi esclusivamente, al nemico (60) e gli chiese, date le incertezze manifestate, se si sentisse di continuare a tenere il comando o se, ritenendosi ingiustamente confinato ed accantonato, non preferisse lasciarlo. Il maresciallo Graziani rispose esprimendo sorpresa e rammarico, confermò l'impossibilità d'iniziare la nuova operazione prima della metà di dicembre e chiese l'esonero dalla carica qualora la sua valutazione dei bisogni e dei tempi fosse stata ritenuta eccessiva. Mussolini, che aveva frattanto dato il via alla campagna contro la Grecia e si sentiva sicuro di potervi conseguire il successo sperato, riconfermò la sua fiducia al maresciallo Graziani e lo invitò ad ultimare con calma i preparativi per la conquista di Marsa Matruh, obiettivo che rimane d'importanza eccezionale per i motivi che è inutile ripetere (61) (base per il bombardamento aereo con scorta di Alessandria, posizione difensiva più solida di quella di Sidi el Barrani, piattaforma di lancio per l'ulteriore avanzata verso il canale). La nuova linea di condotta strategica della guerra venne, il 7 novembre, fissata dal capo di stato maggiore generale con le seguenti direttive: in Albania azione offensiva aero-terrestre a fondo con il concorso delle forze aeree metropolitane per l'integrale occupazione della Grecia; in Africa settentrionale azioni aero-terrestri limitate alla conquista di Marsa Matruh, da dove poi svolgere attive azioni aeree sul porto di Alessandria; nell'Egeo azioni difensive aeroterrestri e marittime per il mantenimento del possedimento ed offensive aero-marittime contro le flotte inglese e greca; nell'impero azione
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·ro-terrestre intesa essenzialmente a durare. Lo spostamento della uzione principale dal fronte egiziano a quello greco-albanese comportò di per sé una limitazione delle forze e dei materiali di rifornimento dello scacchiere africano perché la maggior parte delle disponibilità venne indirizzata verso il nuovo scacchiere, a favore del quale venne impiegata la maggior parte dei mezzi navali di trasporto. Un nuovo :tppello venne lanciato dal maresciallo Graziani al maresciallo Badoglio, il 14 novembre, per l'invio degli automezzi, dei caterpillars, delle parti di ricambio, delle autofficine e dei tubi per l'acquedotto oltre Sidi el Barrani (62). Lo schieramento adottato dalle grandi unità dopo l'occupazione di Sidi el Barrani e l'attività tattica e lavorativa effettuate dall'ultima decade di settembre in poi furono prevalentemente e costantemente ispirati alla ripresa dell'azione offensiva. Anche il nuovo raggruppamento delle forze disposto dal maresciallo Graziani il 25 novembre venne orientato in vista delle future operazioni. La 10" armata venne schierata su 3 settori: I Sidi cl Barrani, affidato al comando gruppo divisioni libiche (la. e 2" libica, questa rinforzata da un battaglione carri L, 4a divisione camicie nere 3 gennaio); II Bug Bug, affidato al XXI corpo d'armata (raggruppamento libico Maletti, comprendente un battaglione carri M 11 ; divisione Cirene; divisione Catanzaro); III Sollum, affidato al XXIII corpo d'armata (l" divisione camicie nere 23 marzo; za divisione camicie nere 28 ottobre; divisione Marmarica comprendente un battaglione carri L). Forze varie furono poste a difesa delle piazzeforti di Tobruch e Bardia e dei presidi di Giarabub, El Gam u1 Grein, Scegga, Sceferzen. Il Sahara libico venne articolato in 2 settori - Cufra e Gialo - presidiati da forze libiche, sahariane e nazionali. Alle dipendenze dirette del comando superiore furono posti il XXII corpo d'armata (divisione Sirte e 2 battaglioni paracadutisti), 2 raggruppamenti (10° e 20°) artiglieria di corpo d'armata, la brigata corazzata speciale ( 1 battaglione carri M 11, 1 battaglione carri M 13 su 37 carri, 2 battaglioni carri L , 1 battaglione bersaglieri motociclisti, 2 gruppi di artiglieria dei quali uno da 75/27 e uno da 100/17). Complessivamente: 70-75 battaglioni di fanteria, 60-65 gruppi di artiglieria, 2 battaglioni carri medi, 6 battaglioni carri leggeri, 18 compagnie da 47 /32 controcarri, 30 batterie contraerei, con un totale di 4 500 ufficiali, 100 000 sottufficiali e truppa, 1 100 pezzi di artiglieria, 2 700 automezzi, 220 carri L e una sessantina di carri M. Nel settore di Sidi el Barrani le forze furono sistemate in grossi caposaldi, separati fra loro da grandi distanze (da 12 a 27 Km), non apprestati per la difesa su 360 gradi, non protetti da fossi anticarro
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e da reticolati e solo in parte da mine, investiti su posizioni prive di robustezza naturale e di appigli tattici favorevoli all'impiego dei mezzi corazzati, scarsamente rafforzati con lavori campali, non in grado di cooperare e di appoggiarsi reciprocamente. Nel settore Bug Bug le divisioni Cirene e Catanzaro riuscirono a realizzare un dispositivo più compatto mediante la creazione di grossi caposaldi capaci di resistere ad oltranza e di darsi reciproco appoggio quanto meno con il fuoco d'artiglieria. La divisione Catanzaro assunse alle sue dipendenze anche le forze schierate a diretta protezione del centro logistico di Bug Bug alle quali si aggiunsero, il 9 ed il 10 dicembre, due battaglioni carri L. Discutibile sotto l'aspetto dell'idoneità alla ripresa offensiva - al quale era stato orientato - il dispositivo non presentava nessuna consistenza difensiva tanto che i comandanti inglesi lo giudicarono come invito ad un facile e sicuro successo. Non solo le posizioni italiane erano intrinsecamente deboli e non erano state rafforzate sufficientemente con ostacoli artificiali e con lavori campali, ma i 2 blocchi di forze - Sidi el Barrani e Bug Bug - , distanti l'uno dall'altro una quarantina di chilometri, non erano in misura di sostenersi a vicenda e, di più, anche al loro interno le possibilità di reciproco appoggio tra le unità costitutive o non esistevano affatto o erano molto aleatorie per l'insufficienza o per l'assenza di forze mobili e corazzate in grado di manovrare negli ampi intervalli. La minaccia potenziale dell'intervento della brigata corazzata speciale - dislocata 40 Km ad ovest di Bardia, nella zona tra Marsa Luch e la litoranea, vale a dire a 120-130 Km da Sidi el Barrani - si presentava al nemico molto remota. Le uniche forze corazzate che la difesa poteva opporre all'attacco nella fase iniziale dei combattimenti erano il battaglione carri M 11 del raggruppamento Ma/etti e il battaglione carri L della 2" libica. Gli inglesi non sciuparono l'occasione ed il generale Wavell (63) prese l'iniziativa di un colpo improvviso e violento per stordire per qualche tempo gli invasori e cioè un'azione che gli consentisse di trasferire parte dei suoi uomini più a sud, per ricacciare indietro altre forze italiane che minacciavano di invadere il Sudan (64). Quando la notte del 7 dicembre gli inglesi partirono da Marsa Matruh con i loro carri Matilda - una sorpresa tecnica - per iniziare la marcia nel deserto non intendevano andare al di là di un'incursione su vasta scala. La mattina del giorno 9, la 40. divisione indiana, rinforzata da 3 reggimenti carri (1 « L » , 1 « M », 1 « P ») attaccò il raggruppamento Maletti che dopo 4 ore venne sommerso; un'aliquota della 7"' divisione corazzata venne a contatto della divisione Catanzaro e raggiunse la litoranea tra Bug Bug e Sidi el Barrani; un'altra aliquota
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della stessa divisione si mosse più a sud in direzione di Bir el ChreigatGabr bu Fares - ridotta Capuzzo. In 3 giorni la 1a e la 2 libica e la 3 gennaio, nonché le restanti forze del settore Sidi el Barrani, vennero completamente soverchiate (l'ultimo caposaldo della 2& libica cessò la resistenza il 12, mentre tutte le altre forze erano state messe fuori combattimento tra il 9 e 1'11). La sera del 10 il comando della I O" armata ordinò il ripiegamento verso Sollum delle forze del setlOre di Bug Bug. Della divisione Catanzaro e del gruppo di formazione già schierato a difesa del centro logistico omonimo, ripetutamente attaccati dal 9 all'll dall'aria e da terra, solo una parte riusd a porLarsi sulle nuove posizioni. La divisione Cirene, martellata da bombardamenti e mitragliamenti aerei, riuscì a respingere con il fuoco un attacco nemico di mezzi meccanizzati ed a raggiungere la nuova dislocazione il giorno 12 dopo aver percorso 60 Km in 36 ore. Con l'assedio alla piazzaforte di Bardia, realizzato da11a 7a divisione corazzata inglese il 16 dicembre, si concluse la prima fase della controffensiva inglese coslretta a sostare non per lo sforzo effettuato o per il logoramento subìto, ma solo perché il generale Wavell persistette nella precedente decisione di richiamare in Egitto la 4a divisione indiana e di attendere per la ripresa dell'azione l'arrivo dalla Palestina della 6" divisione australiana. La pausa durò dal 16 dicembre al 3 gennaio, giorno in cui la 6a divisione australiana e la r divisione corazzata inglese attaccarono Bardia che cadde il 5. Scomparvero definitivamente dai ranghi della 10" armata italiana la Marmarica, la Cirene, la 28 ottobre, la 23 marzo e gli ultimi resti della Catanzaro , tutte, ad eccezione della Marmarica, già provate e prive di molti mezzi prima di essere schierate nella piazzaforte. In totale la 10" armata perse a Bardia circa 45 mila uomini, 430 bocche da fuoco di vario calibro, 12 carri M 13 e 25 carri L ad opera di un complesso di forze attaccanti costituito da 20 mila uomini , 122 cannoni, 26 carri armati pesanti e un numero vario di carri armati leggeri e di mezzi meccanizzati inquadrati nella 7" divisione corazzata, nella 6a divisione australiana (su 3 brigate), nella XVI brigata di fanteria britannica, nel VII battaglione carri, nel I battaglione fucilieri reali <lei No,-thumberland, in due reggimenti di artiglieria di corpo d'armata ed in altre unità minori. Come fu possibile agli inglesi ottenere in un periodo così breve un successo tanto strepitoso? Abbiamo accennato a come il dispositivo italiano fosse invitante. In una zona desertica e predesertica è quasi sempre impossibile organizzare un sistema difensivo continuo e le posizioni sono quasi tutte esposte al pericolo di aggiramento più o meno a largo raggio. Su di 8
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un terreno siffatto i campi trincerati e i caposaldi hanno significato tattico solo se costituiscono zone di appoggio di forze mobili e corazzate destinate ad operare nei grandi intervalli. Se queste non esistono o non sono adeguate, il sistema difensivo non può reggere ed i suoi elementi costitutivi cadono prima o dopo uno alla volta. I caposaldi di Sidi el Barrani, inoltre, non erano a 360 gradi ed erano poco rafforzati sia perché il terreno non si prestava ad una sistemazione consistente, sia perché le forze che li presidiavano venivano impiegate in puntate offensive o nella scorta ai rifornimenti, sia perché il materiale di rafforzamento era scarso e giungeva in tempi lunghi, sia perché l'orientamento generale era quello offensivo. Le grandi unità libiche e della milizia erano, inoltre, le meno idonee alla difensiva, essendo costituite da personale più portato, per forma mentis e per struttura costituzionale, all'attacco che non alla resistenza. La dislocazione ad est del ciglione di Sollum della brigata corazzata speciale avrebbe giovato, se non ad altro, a conferire maggiore credibilità al dispositivo agli occhi degli inglesi ed a diminuire il senso d'isolamento dei presidi dei grandi caposaldi. Altro importante elemento che favorì l'offensiva britannica fu la sorpresa. Sia il Comando Supremo sia il comando superiore dell'Africa settentrionale disposero di molte informazioni circa i rinforzi ricevuti dal corpo di spedizione inglese durante i mesi di ottobre e di novembre e circa la dislocazione delle forze nemiche. Le notizie che il Servizio Informazioni Militare (S.I .M.) fornì il 30 novcm· bre circa il notevole aumento degli effettivi britannici in Egitto, la sempre maggiore disponibilità di mezzi meccanizzati, la costituzione di nuove unità corazzate e le informazioni raccolte dalla 10n armata circa la presenza di 324 mezzi meccanizzati ad ovest di Marsa Matruh, i movimenti di truppe, la presenza in zona di nuovi battaglioni, l'aumento delle unità di artiglieria, ecc. avrebbero dovuto indurre a ritenere probabile un'offensiva nemica a breve scadenza. Nella valutazione del grado di attuabilità delle varie ipotesi sugli intendimenti operativi del generale Wilson (64 bis), il comando della 10a armata, il 2 dicembre, pur non escludendo la possibilità che il nemico volesse tentare un'azione a raggio limitato contro qualche nostro presidio, riteneva tuttallora maggiormente probabile che il nemico si preparasse ad ostacolare l'imminente offensiva italiana, o si attestasse in forze sulla fronte per mascherare un suo periodo di crisi dovuto alla partenza di forze per la Grecia, o effettuasse un normale cambio di reparti rinforzando lo schieramento per alleggerire il servizio di osservazione dei reparti in linea (65). Il comando superiore fece effettuare ricognizioni aeree e terrestri per sondare il nemico e alla viglia dell'offen-
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siva, 1'8 dicembre, due colonne tattiche si spinsero a sud est per costringere il nemico a svelarsi, ma non incontrarono nessuna reazione nemmeno dopo avere effettuato concentramenti di tiro su posizioni che si ritenevano occupate dai britannici. L'azione inglese, pertanto, colse di sorpresa, o quasi, il comando superiore e quello della 10._ armata, tanto che solo la notte sul 9, dopo un bombardamento navale nemico sulla zona di Sidi el Barrani, il maresciallo Graziani ebbe la sensazione ddl'attacco nemico e ordinò al comando dell'armata la massima vigilanza ed a quello della 5a squadra aerea di predisporre per l'alba l'intervento a massa dell'aviazione. L'offensiva, ipotizzata come poco probabile e tutt'alpiù con obietivo limitato, come <lel resto era nelle intenzioni iniziali degli inglesi, provocò un brusco e brutto risveglio ad una realtà alla quale comandi e reparti avevano poco o nulla pensato. Il raggruppamento Maletti che, già a q. 64 (13 Km ad ovest di Sidi d Barrani), era stato ridislocato il 24 ottobre ad Alam el Tummar per svolgere azioni manovrate celeri, venne colto di sorpresa dall'attacco condotto alle sue spalle dalla 4a divisione indiana, e quando tardivamente contrattaccò d'impeto con il battaglione carri M 11 i mezzi corazzati nemici, venne travolto da questi che irruppero nelle posizioni del caposaldo da nord e da ovest. Altri due elementi interdipendenti che agevolarono la rapidità del successo britannico furono l'incerta, improvvisata e passiva direzione delle operazioni da parte italiana e la demoralizzazione diffusa nei comandi e nelle unità, prodotta dagli ordini di resistenza ad oltranza cui facevano seguito quelli tardivi di ripiegamento, divenuto frattanto aleatorio, e dagli ordini di contrattacchi inattuabili per mancanza di mezzi idonei. Il giorno 1O il maresciallo Graziani ordinò: ai superstiti del raggruppamento Maletti e dalla 2° libica di portarsi in rinforzo della 3 gennaio e di resistere ad oltranza in Sidi el Barrani; alla Catanzaro di saldarsi con il caposaldo di Bug Bug per contenere la spinta nemica lungo la rotabile; alla Cirene di rimanere per intanto in posto; al XXIII corpo di armata di sistemarsi a difesa del ciglione di Sollum, dall'Halfaya a Capuzzo e Sidi Omar; alla brigata corazzata di portarsi a Bardia per costituirvi difesa mobile; alla Sirte ed al 25° raggruppamento artiglieria da 149/13 di portarsi a Tobruch; ad una divisione della Tripolitana la Sabratha - di trasferirsi in Cirenaica. Il mattino del 12, temendo che l'intera fronte avanzata potesse venire travolta e convinto che il nemico fosse in grado di aggirare per l'alto le posizioni dell'Halfaya e d'investire le piazze di Bardia e di Tobruch, ordinò alla 5 armata di mettere subito in efficienza il campo trincerato di Tripoli ed al comando genio di preparare le interruzioni sulla strada per Bengasi. 11
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Chiese poi al Comando Supremo l'autorizzazione di portarsi a Tripoli anziché sacrificare mia inutile persona sul posto e di mantenere almeno alta su quel Castello la bandiera d'Italia, attendendo che Madrepatria mi metta in condizioni di continuare ad operare (66). Al quarto giorno della battaglia egli si sentiva già irreversibilmente vinto. Lo stesso giorno, in seguito ad alcune infiltrazioni di mezzi nemic tra Halfaya e Musaid, attribuì il comando del quadrilatero Capuzzo-Sollum-bivio Halfaya-Halfaya al XXIII corpo d'armata, con la consegna di resistere fino all'estremo e ordinò alla brigata corazzata a Sidi Azeiz la difesa del fianco destro di Bardia. Nei giorni 17 e 18 rappresentò al Comando Supremo: che Bardia e Tobruch avrebbero potuto adempiere un'azione ritardatrice che sarebbe stata più remunerativa se tutte le forze anziché divise tra le due piazze fossero state raccolte a Tobruch; che dopo la caduta delle due piazze il nemico avrebbe potuto attaccare il ciglione di Derna sul quale egli stava schierando la divisione Sabrata in afflusso dalla Tripolitania e tutte le for7,e e i mezzi ancora disponibili in Cirenaica, o aggirando il gebel avrebbe potuto puntare direttamente su Bengasi-Soluch ed Agedabia; che per prevenire l'aggiramento erano in corso provvedimenti vari ; che gli ultimi avvenimenti avevano dimostrato che nel particolare ambiente nord-africano, una divisione corazzata valeva più di una intera armata (67). Il Comando Supremo non approvò la proposta di raccogliere le truppe di Bardia a Tobruch e ordinò di difendere ad oltranza entrambe le piazze. L'esperienza di Sidi el Barrani avrebbe dovuto indurre il Comando Supremo ad accogliere la proposta del maresciallo Graziani di raccogliere le forze di Bardia a Tobruch, ma, al solito, considerazioni di carattere politico intervennero in questo caso, come in circostanze precedenti e successive, per tentare di difendere tutto, che significa non difendere nulla. Tobruch, cinta d'assedio il 7 gennaio, attaccata il 21, cadde il 23. In parallelo con la serie degli insuccessi, il morale delle forze italiane divenne sempre più basso, la sfiducia in prospettive migliori più convinta, l'accettazione della lotta più rassegnala cd il rendimento delle unità minore. La preoccupazione iniziale si fccc inquietudine, agitazione, ansia; la speranza delle unità nei soccorsi dall'alto e del comando superiore nei rinforzi dalla Madrepatria - che pure non mancarono, sebbene insufficienti - urtò contro la tragicità delle situazioni; la lotta dell'uomo contro il mezzo meccanico parve sempre più impari e destinata all'insuccesso; la sorpresa del rcpcnLino rovesciamento della situazione indeboll gli animi. Ciò che Hccadde allora alle forze italiane quasi si ripeterà nella primavera-estate del
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1942 alle forze inglesi che andranno incontro ad un rovescio analogo da Ain el Gazala ad El Alamein. Attribuire l'uno o l'altro alla scarsa volontà e capacità combattiva del soldato è un apprezzamento falso l·cl ingiusto. Ciò che concorse in misura determinante alla demoralizzazione dei comandi e delle unità furono, oltre le cause ricordate, la superiorità aerea degli inglesi (700 velivoli di prima linea e 400 di seconda linea contro 327 apparecchi italiani, dei quali molti superati), la superiorità numerica e qualitativa dei mezzi corazzati (all'inizio 226 carri medi e pesanti contro 60 carri medi italiani), e meccanizzati (280 <mtoblinde e carri leggeri contro 220 carri leggeri italiani), la quasi invulnerabilità dei Matilda, la novità delle concezioni tattiche e delle Lccniche d'impiego, la maggiore idoneità dei mezzi e degli equipaggiamenti all'impiego nel deserto e la ricchezza dell'organizzazione logis1ica. La tattica dell'approccio indiretto - ricerca del punto più debole L" attacco alle spalle e la tecnica d'impiego del binomio carrif:-tnterie motorizzate furono, congiuntamente ai Matilda, la chiave di risoluzione dei problemi tattici ravvicinati. Gli attacchi vennero preceduti da avvicinamenti abilmente occultati, da massicci bombardamenti aerei e, quando possibili, navali, da breve ed intensa preparazione della artiglieria; furono sviluppati mediante irruzioni a massa dei carri armati pesanti, ben protetti e molto mobili, seguiti dalle (anterie motorizzate - i carri si spostavano molto rapidamente durante l'attacco in modo da mettere in difficoltà la difesa controcarri e la manovra del fuoco delle artiglierie della difesa - ; furono preceduti, o si svolsero contemporaneamente, dal lancio in profondità di colonne corazzate tendenti a bloccare gli eventuali ripiegamenti delle unità investite, a minacciare quando anche non ad investire i blocchi di forze arretrate, a paralizzare così tutte le iniziative di reazione della difesa. In realtà gli inglesi applicarono gli ammaestramenti delle campagne tedesche di Polonia e di Francia durante le quali, dal canto loro, le armate tedesche si erano ispirate agli insegnamenti inascoltati precedentemente in patria dei grandi teorici inglesi. L'esercito italiano in fatto di dottrina d'impiego dei corazzati era appena agli inizi - la circolare 18000 vedrà la luce nei primi mesi del 1941 - e soprattutto mancava, in particolare ai livelli elevati, della forma mentis e dell'animus specifici delle grandi e minori unità corazzate. Il maresciallo Graziani sembrò scoprire solo allora, di fronte allè azioni della 7" divisione corazzata inglese, che una divisione corazzata valeva nel particolare ambiente più di un'intera armata. Giudizio che confermò al termine della battaglia scrivendo che la flotta del deserto italiana, costituita da mezzi corazzati scarsissimi, antiquati e scadenti, priva dell'indispen-
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sabile naviglio silurante ed esplorante (autoblinde veloci) aveva dovuto sostenere la lotta di una flotta ben più numerosa, moderna, potente, mobilissima e agguerrita (68). Vero; ma occorre aggiungere che di quella flotta numericamente e qualitativamente inferiore fu fatto un malaccorto impiego: improvvisato, frazionato, a spizzico, tardivo, affatto aderente perciò a criteri di massa, di sorpresa, di manovra e di calcolata audacia. Caduta Bardia il 5 gennaio, il 7 venne cinta d'assedio Tobruch che, attaccata il 21, venne espugnata il 23. Alla difesa di Tobruch il comando superiore aveva destinato 22 mila uomini circa, 42 mitragliere contraerei da 20 mm, 117 pezzi controcarro (10 da 77, 1 da 76/40, 11 da 75, 13 da 65, 43 da 47, 39 da 37), 220 pezzi di artiglieria per la fronte a terra e 50 bocche da fuoco della marina, 7 carri armati M 11 efficienti e 3 semiefficienti, un battaglione carri L con 32 carri inefficienti. A Tobruch accadde quanto si era verificato a Sidi el Barrani ed a Bardia: superiorità numerica schiacciante della fanteria e dell'artiglieria italiane, superiorità quantitativa e qualitativa schiacciante di carri armati e di mezzi di trasporto delle forze attaccanti. Dopo la perdita dell'ultima (Sirte) delle 9 divisioni iniziali della 10"' armata, il comando superiore, con la divisione Sabratha e altre unità minori chiamate dalla Tripolitania o giunte dalla madrepatria e con le unità superstiti ed i loro resti, articolò le forze in 2 complessi: uno, il maggiore, alle dipendenze della 10... armata (costituito da un raggruppamento motorizzato, dalla brigata corazzata e dalla riserva di armata per la difesa delle posizioni Derna-Berta-Mechili) ed uno in riserva del comando superiore (costituito da 2 battaglioni mitraglieri, 1 gruppo da 75/27 ed 1 battaglione carri M 13 meno una compagnia). La posizione chiave del nuovo schieramento era Mechili, perché il suo possesso avrebbe dato modo al nemico sia di aprirsi la via su Bengasi, sia di penetrare da sud nel gebel sul quale il maresciallo Graziani intendeva sviluppare la nuova manovra di arresto. A Mechili il raggruppamento motorizzato, la brigata corazzata ed il presidio della località (69) ottennero il 24 gennaio un successo tattico notevole contrattaccando con le forze del raggruppamento motorizzato e con la brigata corazzata elementi blindo-corazzati nemici schierati a cavaliere della carovaniera Berta-Mechili e forze nemiche in movimento ripieganti dalla località. In seguito a notizie che davano per certo l'ammassamento attorno a Mechili di consistenti forze della 7a divisione corazzata nemica, il comando superiore, che fino ad allora non aveva aderito alla richiesta del comando della 1oa armata di far ripiegare la brigata corazzata, dispose l'arretramento di tale unità fino a un punto dove
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potesse trovarsi all'alba, fermandosi quindi in modo da poter intervenire offensivamente e informò di tale arretramento il Comando Supremo (70), rammaricandosi di non aver potuto in 50 giorni svolgere alcun atto controffensivo per mancanza di mezzi idonei e di aver dovuto subire passivamente l'iniziativa nemica, e dichiarando di essere un capitano che comanda la sua nave in procinto di affondare, perché presenta falle da ogni parte, et che cerca farla galleggiare fino all'ultimo momento (71). Il 26 gennaio il comando della 10" armata, in seguito ad infiltrazioni nemiche nel diluito schieramento fra i settori Derna e Berta, ordinò l'arretramento di tutte le forze di Mechili fino alla zona di Bir Semander-Got el Gill. Il 27 gennaio il maresciallo G raziani emanò, confermando le direttive precedenti, ordini perché, nel caso il nemico insistesse contro la fronte Dema - Berta - Chaulan, si resistesse ad oltranza sulle posizioni occupate gettando nella mischia 111tte le forze disponibili, comprese le riserve dell'armata e del comando superiore; nel caso, invece, che il nemico sviluppasse in forze il movimento da Mechili su Bengasi, mentre la brigata corazzata avrebbe dovuto ritardarne la marcia, il resto delle forze avrebbe dovuto sganciarsi, su ordine del comando superiore, dalle posizioni occupate e manovrare per contrastare la penetrazione nemica, appoggiandosi alle tre posizioni gebeliche successive già riconosciute. L'accentuarsi nei giorni successivi della minaccia nemica lungo la strada Mechili-Bengasi indusse il maresciallo Graziani - sentito il parere unanime dei comandanti della 10" armata (generale Tellera), del XX corpo d'armata (generale Cona), del settore Derna (generale Bergonzoli) - ad ordinare il 29 gennaio l'abbandono di Dema ed il 31 il ripiegamento generale dal gebel (71). Nella notte sul 31 Mussolini chiese al maresciallo Graziani come avrebbe inteso impiegare in futuro le forze della Tripolitania e la divisione leggera tedesca che avrebbe cominciato ad affluire ai primi di febbraio. Il maresciallo Graziani, il 1° febbraio, rispose che era suo intendimento: rinforzare la difesa della Sirte con le forze della 10" armata in ripiegamento; ricostituire a Tripoli la 5a armata a difesa del campo trincerato; trattenere in potenza la Ariete, la Trento e la divisione leggera tedesca; provvedere alla difesa del sud della Tripolitania; affidare le operazioni nella Libia orientale al comando della 1oa armata, e trasferire a Sirte la sede del comando superiore. Lo stato maggiore generale, dal canto suo, lo stesso giorno dava della situazione operativa una visione secondo la quale: era dubbio che il maresciallo Graziani potesse sfuggire all'aggiramento inglese; sembrava improbabile che gli inglesi potessero decidere di proseguire l'offensiva in Tripolitania e che se lo avessero fatto questa
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non avrebbe potuto avere inizio prima della fine di febbraio e non sarebbe durata, anche se non contrastata a fondo, meno di 2 o 3 mesi; era perciò conveniente effettuare la resistenza sulle posizioni di Sirte - Sucna - Zelia dove era opportuno inviare subito, appena giunta, l'unità cacciatori di carri tedesca ed elementi della divisione Ariete. Frattanto dall'l al 4 febbraio il ripiegamento avvenne abbastanza regolarmente e quasi indisturbato, ma non tutti i movimenti previsti poterono essere effettuati per la deficienza di automezzi. I ritardi provocati dalla scarsa disponibilità di automezzi e di carburanti favorirono l'avanzata del nemico, giunto nella giornata del 5 a 35-30 Km da Agedabia. Gli inglesi impegnarono in combattimento nelle giornate dal 5 al 7 febbraio, nel sud bengasino, l'avanguardia ed il grosso del XX corpo d'armata e successivamente la retroguardia, e riuscirono a sopraffare la gran parte delle residue forze della 1oa armata, arrestandosi alla fine sulle soglie della Sirtica un po' perché esauriti dai combattimenti sostenuti in due mesi e un po' per la sottrazione di fon:e che il loro comando aveva dovuto effettuare a favore dello scacchiere balcanico. Le perdite italiane accertate durante l'intero ciclo operativo (9 dicembre - 7 febbraio) furono di circa 4 mila morti e 7 mila feriti, mentre quelle inglesi, secondo quanto riferito dal generale Wavell, di 500 morti e 1373 feriti. In realtà le perdite italiane in morti e feriti furono molto superiori e non poterono essere accertate con esattezza perché le particolari circostanze non consentirono di conoscere i dati riguardanti la 4° libica, la Catanzaro, le tre divisioni camicie nere (73). Dopo la caduta di Tobruch, o meglio ancora prima, stante la certezza che il maresciallo Graziani aveva della scarsa durata della resistenza della piazza, ai comandi italiani si pose 1'alternativa della manovra di arresto stù ridotto gebelico Derna-Berta-Mechili o della manovra in ritirata verso la Sirte. Fu scelta la prima soluzione, ma, nonostante il successo tattico del giorno 24, nei giorni seguenti le notizie sull'afflusso delle forze inglesi indussero il maresciallo Graziani a passare alla manovra in ritirata. Anche ammesso che il mutamento di disegno fosse la decisione migliore, l'intendimento al quale fu ispirata la manovra in ritirata - salvare tutte le forze raccolte sul gebel Achdar - produsse la distruzione anche delle forze corazzate e motorizzate (74) che si sarebbero potute con ampie probabilità salvare, se non tutte, almeno in gran parte. Il passaggio alla manovra in ritirata fu determinato dal fondato timore che il nemico si trovava nella possibilità di chiudere da un momento all'altro la via della ritirata per la corda Mechili-Msus-via Balbia, tra Ghemines e Agedabia. Non
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è perciò comprensibile come sia stato ritenuto possibile pensare di
salvare tutto e non il solo salvabile, di prevenire l'aggiramento e di raggiungere in tempo Agedabia per l'arco Berta-Barce-Bengasi-Ghemines-Agedabia. Il rovescio con il quale si concluse il ciclo operativo iniziato con l'avanzata italiana su Sidi el Barrani il 13 settembre trasse le sue origini remote da quanto non era stato fatto a favore dell'organizzazione militare della Libia prima dell'entrata dell'Italia in guerra; nondimeno assunse le dimensioni e le proporzioni che ebbe per la serie di errori e di vuoti che abbiamo -messo in evidenza. In primo luogo fu l'azione offensiva su Sidi el Barrani - voluta da Mussolini, accettata dal maresciallo Badoglio, subìta dal maresciallo Graziani - la quale falli lo scopo. Vi fu poi la lunga sosta nella zona di Sidi el Barrani da dove sarebbe stato necessario, invece, ripiegare r,cr schierarsi a difesa sulla zona Sollum-Halfaya, una volta constatato che non si era riusciti a logorare il nemico e si era venuti a sapere che questo veniva rinforzandosi ulteriormente. Il dispositivo assunto dopo l'avanzata su Sidi el Barrani, discutibile ai fini de11a ripresa offensiva, era inaccettabile dal punto di vista difensivo sia nel senso della fronte che in quello della profondità. Dall'inizio alla fine della controffensiva britannica, la preoccupazione di difendete tutto e di :,alvare lutto, quand'anche era evidente che · si sarebbe finito con il non difendere nulla e con · il perdere anche il salvabile, impacciò la manovra, generò incertezze e finì con il trasformare gli insuccessi in un unico grave disastro. Errori concettuali di impostazione strategica fermentati nel vuoto di orienLamenti dottrinali, circa la guerra nel deserto e circa la funzione e l'impiego delle unità corazzate e motorizzate nel particolare ambiente, e resi fatali dallo squilibrio organico e tecnico rimasto quasi inalterato nella struttura delle forze contrapposte per tutta la durata del ciclo, ne costellarono l'intero sviluppo. Ad essi si aggiunsero errori di condotta e di direzione delle operazioni da parte del maresciallo Graziani, che perse anzi tempo ogni fiducia in se stesso e nelle sue unità e quasi si lasciò prendere dal panico. È fuori discussione che l'impreparazione generale alla guerra e quella specifica della Libia - le cui lacune maggiori furono la mancanza di mobilità e l'insufficienza dell'armamento e del munizionamento controcarro delle divisioni di fanteria, l'inadeguatezza qualitativa dei carri armati, quella quantitativa e qualitativa de!1e autoblinde e degli automezzi, l'inferiorità aerea, il mancato sostegno delle forze navali alle operazioni terrestri, la scarsa potenzialità dell'apparato logistico - siano state le cause prime del disastro; nondimeno una diversa direzione e condotta delle operazioni avrebbero potuto <limi-
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nuirne quanto meno gli effetti morali. Vi furono combattimenti, episodi ed atti nei quali le unità italiane dettero prova di qualità militari eccelse, ma la conclusione del ciclo operativo suscitò nell'opinione pubblica italiana un'impressione penosa e dolorosa, incisivamente acuita da quanto contemporaneamente stava accadendo sulle fronti dell'Albania e dell'Africa orientale e nel mare Mediterraneo. Sul piano strettamente tecnico-militare il ciclo operativo mise in rilievo l'urgenza di una dottrina della guerra nel deserto fino ad allora mai elaborata e di una ristrutturazione ordinativa ed organica la quale, anziché essere centrata sul binomio fanteria-artiglieria, fosse imperniata sul trinomio carri armati-fanteria e artiglieria motorizzate-aerei (75). Alla dottrina si provvide quasi subito con la diramazione della più volte citata circolare 18000; all'ordinamento furono apportate le modificazioni consentite dalla disponibilità dei mezzi e poiché questa rimarrà per tutta la durata della guerra esigua, anzi decrescerà gradatamente, la gran parte delle divisioni di fanteria che verranno successivamente impiegate in Africa settentrionale ed in Russia continueranno a rimanere appiedate e andranno perciò irrimediabilmente perdute. Alle divisioni di fanteria operanti nell'Africa settentrionale verrà successivamente conferita la fisionomia di grandi unità idonee prevalentemente alla difesa, ma le armi delle quali saranno dotate, sia pure in larga misura, non avranno capacità di perforazione tale da mettere fuori combattimento i nuovi carri armati dei quali verranno dotati, dal 1942 in poi, gli eserciti nemici (76) ed il grado di mobilità tattica non subirà variazioni sensibili. Le divisioni dj fanteria, in sintesi, continueranno in Africa settentrionale ad essere sacrificate per tutta la campagna ed il loro valore e la loro abnegazione non riusciranno a sopperire allo squilibrio organico e tecnico delle loro armi, dei loro mezzi e dei loro equipaggiamenti bellici.
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NOTE AL CAPITOLO XXXIII (1) Alfredo Pariani, Le forze armate dell'Italia fascista. La Rassegna italiana, lloma, 1939, p. 123. (2) Ministero della guerra. Comando del corpo di stato maggiore. Ufficio addeMrnmento. Circolare 90000. La dottrina tattica nelle realizzazioni dell'anno XVI, Roma, 1938, p. 7.
(3) Rommel Erwin (1891-1944), feldmaresciallo tedesco. Da capitano, durante la prima guerra mondiale, condusse un'azione sul monte Matajur che aprì a tedeschi ed oustro-ungarici le porte di Caporetto. Il 15 febbraio del 1941, con il grado di generale, assunse il comando dell'Afrika Korps, quando già aveva conquistato grande fama per In fulminea avanzata verso la Manica della divisione fantasma, azione della quale fu artefice, più di Rommel, il generale Guderian. L'opera di Rommel va collocata sopratrutto nel quadro delle opera:lioni italo-tedesche nell'Africa settentrionale dal febbraio del 1941 in poi, dove egli dette la misura delle sue alte doti di comandante tattico: capacità di ideazione e di manovra, coraggio, interventi personali nei momenti cruciali della lotta, fermezza, decisione, attitudine a rivoluzionare positviamente, battaglia durante, i piani prestabiliti, abilità nell'inventare stratagemmi per disorientare l'avversario. La sua n:lione non fu sempre positiva; spinse le for7,e italo-tedesche fino ad el Alamein convincendo Hitler a trascurare l'operazione di Malta per ottenere l'autorizzazione ad avanzare verso Suez supervalutando le proprie forze e sottovalutando le possibilità del nemico. Non fu presente nell'ottobre del 1942 all'inizio della battaglia di El Alamein; vi giunse a scontro iniziato; tardò, per obbedienza ad Hitler, ad ordinare il ripiegamento; ammise che se avesse disobbedito ad Hitler « forse la nostra armata avrebbe potuto salvarsi». Per i suoi legami, alquanto ambigui, con la cospirazione venne posto da Hitler nell'alternativa di un processo infamante od il suicidio. Rommel scelse il suicidio. (4) Erwin Rommel, Guerra senza odio. Garzanti, Milano, 1952, passim. (5) Ugo C-ivallero, Comando Supremo. Cappelli, Rocca San Casciano, 1948, p. 162. (6) Stato Maggiore dell'esercito. Ufficio storico. Le operazioni del giugno 1940 sulle Alpi occidentali. Tipografia regionale, Roma, 1981, p. 205. (7) Ministero della guerra. Gabinetto. Circ. 109230/18-1-72 del 18-III-1940 relativa all'ammissione di reparti della milizia nelle unità dell'esercito. La legione assegnata alla divisione binaria ordinaria e da montagna fu costituita su: 1 comando, 2 battaglioni, 1 reparto mitraglieri, 1 reparto di complementi. (8) I dati sono tratti dalla pubblicazione, più volte citata, edita dal Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico. L'esercito italiano tra la 1 4 e la 2 4 guerra mondiale. Tipografia regionale, Roma, 1954. (9) Emilio Faldella, L'Italia nella 2• guerra mondiale. Cappelli Editore, Rocca S. Casciano, p. 117.
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102 (10) Ibidem, p. 87.
( 11) Benedetto Pafi, Cesare Zalessi, Goffredo Fiore, Corazzati italiani 1939-'45. D'Anna Editore, Roma, 1968. Carro armato L 6/40: tipo leggero d'assalto, armato con 1 cannone da 20 mm e 1 mitragliatrice da 8 mm, peso: 6 7 8 tonnellate. Da lui derivarono: il carro lanciafiamme, il carro portamunizioni, il semovente con pezw da 47 /32, il prototipo della cingoletta armata. Fu dato in dotazione ai reparti di cavalleria delle divisioni celeri, ai bersaglieri e ad alcuni battaglioni carri; partecipò a gran parte delle operazioni della seconda guerra mondiale, soprattutto in Africa settentrionale. Un certo numero di L 6 prese parte alla campagna di Russia e nel 1943 ai combattimenti di Roma subito dopo l'armistizio. Adatto a compiti di esplorazione e di supporto della fanteria; non idoneo al combattimento contro i mezzi corazzati avversari. Carro armato M 11/39: tipo medio di rottura, :1rmato con 1 cannone da 37 /40 e 2 mitragliatrici da 8 mm; peso 11 tonnellate. Dall'M 11/39 derivò l'M 13/40. Ne vennero realizzati 70 esemplari che furono dati in dotazione al 1 e lI battaglione del 32° reggimento fanteria carrista e con queste due unità, passate alle dipendenze del 4° reggimento, partecipò all'offensiva su Sidi el Barrani nell'autunno del 1940. In tale circostanza rivelò alcune deficiell7.c negli organi meccanici e soprattutto nei rih'llardi della sistemazione in .casamatta dd cannone che costringeva a mettere in linea con il bersaglio tulle il carro ogni qualvolta occorreva fare fuoco. Ne fu perciò sospesa la produzione. Carro armato M 13/40: tipo medio da combattimento; armato con 1 cannone da 47/32 e 4 mitragliatrici da 8 mm; pt!SO 14 ton nellate. Veicoli derivati: carro armato M 14/41, semovente M 40 da 75/18 e carro comando per semoventi M 40. Nato da una rielaborazione dell'M 11, nel 1940 ne vennero costruiti 250 esemplari in tutto. Successivamente ne vennero ordinati 1902 esemplari, ma di questi solo 799 vennero costruiti come M 13, mentre i rimanenti per le varianti apportate presero la denominazione di M 14. Venne impiegato in guerra per la prima volta nel dicembre del 1940 nella zona di Sollum-Halfaya; successivamente, nel 1941, nei Balcani. Nel febbraio del 1941, in dotazione al 3° reggimento, partecipò alle operazioni in Africa settentrionale e dal novembre dello stesso anno equipaggiò i battaglioni del 132° reggimento Ariete prendendo parte a tutti gli scontri in terra africana fino ad cl Alamein. Anche il 133° reggimento Littorio venne dotato di ami M 13 cd a partire dal luglio del 1942 li impiegò fino a dopo el Alamein durante la ritirata. Carro armato M 14/41: tipo medio da combattimento armato con 1 cannone da 47 /32 e 1 mitragliatrice Breda 38 da 8 mm, peso 14,5 t~nnellate. Veicoli derivati: carro armato M 15/42, semovente M 41 con obice da 75/18, carro comando per semoventi M 41, semovente M 41 M con cannone da 90/53. Fu dato in dotazione al XV battaglione del 31° reggimento Centauro ed al XVI battaglione del 3ZO reggimento in Sardegna nel 1942; nel luglio dello stesso anno venne impiegato dal 133° reggimento Uttorio ad el Alamein e durante il ripiegamento dell'autunno. Successivamente venne impiegato dal 31° reggimento Centauro nella difesa del Mareth in Tunisia nel marzo 1943. Carro armato M 15/42: tipo medio da combattimento· armato con 1 cannone da 47 /32 e 4 mitragliatrici Breda 38 da 8 mm, peso 15,5 'tonnellate. Veicoli derivati: semovente M 42 con obice da 75/18, semovente M 42 M con cannone da 75/34, semovente M 42 L con cannone da 105/23, carro comando per semovente M 42. Rielaborazione del carro M 14 inviata verso la metà del 1942; prove valutative
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effettuate nell'inverno-primavera dell'anno successivo. Ne furono prodotti 82 cscmpluri che vennero dati in dotazione ai lancieri Vittorio Emanuele della divisione corazzata Ariete II. Il 10 settembre vennero abbandonati nei pressi di Tivoli e vennero catturati dai tedeschi che li dettero in dotazione ai loro reparti. Carro armato P 40: tipo pesante da combattimento; armato con 1 cannone da 75/34 e 1 mitragliatrice da 8 mm; peso: 26 tonnellate. Progettato nel 1940, il protot ipo fu approntato all'inizio del 1942. La sua produzione in serie ebbe inizio nella c~tate dd 1943 con un ordinativo di 1200 esemplari, dei quali alla data dell'8 settembre 1943 erano completati solo 21. Gli esemplari costruiti non arrivarono ad unità i1:1li:me, ma vennero rilevati dai tedeschi che li impiegarono nella zona di Anzio. Autoblindata 40, 41, 43: tipo veicolo blindato da esplorazione; armato con 3 mi tragliatrici da 8 mm (AB 40), 1 cannone da 20 mm e 3 mitragliatrici da 8 (AB 41), 1 cannone da 37/40 e 2 mitragliatrici da 8 mm (AB 43); peso: 6,480 tonnellate (AB 40), 7,470 t (AB 49 e AB 43). Il prototipo venne presentato nel giugno 1939 e la produzione in serie ebbe inizio nel 1940. In dotazione ai battaglioni bersaglieri, ai raggruppamenti esploranti delle divisioni corazzate ed ai gruppi di cavalleria hlindata delle divisioni motodzzate, furono impiegate su tutte le fronti, compresa q uella russa. Camionetta 43 sahariana: tipo veicolo blindato da esplorazione; armato con una mitragliera d a 13, 2 mm o da 20 mm e con 1 mitragliatrice da 8 mm; peso: 4 t circa. Il prototipo apparve nel 1941. Venne impiegata dai raggruppamenti celeri in Africa settentrionale con compiti di esplorazione e in colpi di mano. Semovente L 40 da 47 / 32: tipo cannone autopropulso su cingoli; armato con 1 cannone da 47/32 ; peso: 6,7 t. La prima p roduzione fu fatta nella primavera del 1941. Ne furono ordinati 1960 esemplari, ma la produzione fu sospesa nel 1943. fu assegnato ai reggimenti di fanteria ed ai bersaglieri delle divisioni motorizzate e corazzate; prese parte ad operazioni su tutte le fronti, dall'Africa settentrionale alla Russia (19 esemplari in linea con l'Armir) ed alla Tunisia; combatté in Corsica contro i m=i della 90& tedesca. Semovente M 40, M 41, M 42 da 75/ 18: tipo obice autopropulso su cingoli; armato con 1 obice da 75 mm e 1 mirragliatrice da 8 mm; peso: 14,4 t. Il p rimo esemplare fu approntato il 10 febbraio 1941. Nel corso del 1941 ne vennero costruiti 60 eseinplari. Al termine del 1941 l'ordine iniziale di 400 esemplari fu portato a 780 t!a ultimare entro l'autunno 1942. A causa del ritardo nella messa a punto del pezzo da 75/ 34 in allestimento, alla fine Jel 1942 forono ordinati alrri 315 esemplari da 75/18 da montare sugli scafi M 15/42 previsti inizialmente solo per i 75/34. Con l'armistizio venne sospesa la fabbricazione dei semoventi da 75/ 18. Complessivamente ne furono costruiti oltre 200 esemplari. I semoventi da 75/18 furono impiegati in guerra per la prima volta il 21 gennaio 1942 in Africa settentrionale da gruppi di artiglieria dell'Ariete. Semoventi da 75/18 parteciparono a tutte le operazioni successive in Africa settentrionale fino allo sgombero della Tunisia. Altri ne vennero impiegati in Sicilia ed alla difesa di Roma. Semovente M 41/1 da 75/32: tipo cannone autopropulso su cingoli; armato da 1 cannone da 75 e l mitragliatrice da 8 mm; peso: 14 t. Ne furono realizzate alcune decine di esemplari utilizzate dai tedeschi dopo 1'8 settembre 1943. La stessa sorte ebbero i 90 esemplari del semovente M 42 M da 75/34 impiegato dai reparti tedeschi dopo 1'8 settembre. Semovente M 41 M da 90/53: tipo cannone autopropulso su cingoli; armato con 1 cannone da 90; peso: 17 t. Il primo esemplare venne sottoposto a collaudo ed a
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prove di tiro il 15 marzo 1942. Ne furono ordinati 90 esemplari, ma la produzione venne arrestata dopo i primi 30 esemplari a causa del peso dell'installazione risultato superiore ai massimi previsti. . I 30 esemplari furono concentrati nel 10" raggruppamento semoventi da 90/53 di nuova costituzione e i gruppi di tale raggruppamento vennero suddivisi tra le varie unità dislocate nel territorio metropolitano. Due gruppi furono impiegati in guerra in Sicilia alle dipendenze del raggruppamento celere tedesco Schreiher e vennero completamente distrutti: due pezzi retrocessero combattendo fino a Messina dove vennero distrutti essendo impossibile traghettarli sul continente. (12) Ibidem, p. 52. (13) Giovanni Messe, La mia armata in Tunisia. Rlzzoli, Milano, 1946.
(14) Le operazioni del giugno 1940 sulle Alpi occidentali. Op. cit., p. 49. (15) Archivio dell'ufficio storico dello stato maggiore de!J'esercito. Racc. 147. Prot. 5288 del 6-IV-1940. (16) Ibidem. Prot. 5318 del 15-IV-1940. (16 bis) Enno von Rintelen (1891-1971), generale di corpo d'armata tedesco. Ufficiale di fanteria dal 1910, partecipò alla 1a guerra mondiale e prestò successivamente servizio nella Reichswheer. Addetto militare a Roma dall'l ottobre 1936 al 31 agosto 1943, e contemporaneamente addetto militare a Tirana dal novembre '37 allo aprile del '39. Maggior generale nel 1939, tenente generale nel 1941, generale di corpo d'armata (fanteria) dal 1942. Durante la seconda guerra mondiale fu anche ufficiale di collegamento presso il Comando Supremo italiano. (17) Le operazioni del giugno 1940 sulle Alpi occidentali. Op. cit., p. 43. (18) Ibidem, p. 45 e Archivio ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito. Prot. 5318 del 15-IV-1940. (19) Rodolfo Graziani, Ho difeso la patria. Garzanti, Milano, 1948. (20) Archivio ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito. Racc. 232. Verbale della riunione del 9-IV-1940. (21) Hitler e Mussolini. Lettere e documenti, a cura di Zincane. Rizwli, Milano, 1946, pp. 12-13. Il fabbisogno per 12 mesi di guerra, oltre alle disponibilità allora in atto, venne ragguagliato ad un minimo di: 6 milioni di t di carbone per il gas e la siderurgia, 2 milioni di t di acciaio, , 7 milioni di t di olii minerali, 1 milione di t di legno, 150 000 t di rame, 220 000 t di nitrato di sodio, 70 000 t di sali potassici, 25 000 t di colofonia, 22 000 t di gomma, 18 000 t di tolvolo, 6 000 t di essenza di trementina, 10 000 t di piombo, 7 000 t di stagno, 5 000 t di nichelio, 600 t di molibdeno, 600 t di tungsteno, 20 t di zirconio, 400 t di titanio. In più venne richiesto l'immediato invio di 150 batterie da 90 mm e relativo munizionamento. La lista dei macchinari indispensabili per accelerare la produzione bellica era già stata inviata al generale Keitel. La lettera concludeva: « Io non vi avrei mandato questa lista, o avrebbe contenuto un minor numero di voci e cifre molto minori, se avessi avuto il tempo d'accordo previsto per accumulare scorte e accelerare il ritmo dell'autarchia. Senza la certezza di questi rifornimenti, ho il dovere di dirvi che i sacrifici ai quali io chiamerei il popolo italiano, sicuro di essere obbedito, potrebbero essere vani e
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111111promettere con la mia anche la vostra causa. Se voi credete che ci sia ancora una q11nlsiasi possibilità di soluzione sul terreno politico, io sono pronto a darvi, come 11hre volte, la mia piena solidarietà, e a prendere iniziative che potreste ritenere ulili allo scopo•. (22) Galeazzo Ciano, Diario (1939-1943). Ri.zzoli, Milano, 1946, p. 250. (23) William L. Shirer, Storia del terzo Reich. Einaudi, Torino, 1963, p. 473. (24) Per le operazioni delle unità italiane al fronte russo si vedano le pubblica1.ioni edite dal Ministero della difesa, Stato Maggiore dell'esercito, Ufficio storico: - Le opera:r.ioni delle unità italiane al fronte russo (1941-1943). Tipografia Rer,ionale, Roma, 1977. - I servi:r.i logisticì delle unità italiane al fronte russo (1941 -1943). Stilgrafica, Jloma, 1975. - L'Italia nella relazione ufficiale sovietica sulla seconda guerra mondiale. Tipografia Regionale, Roma, 1978. (25) Ibidem.
(26) Le operazioni del giugno 1940 sulle Alpi occidentali. Op. cit., p. 49.
(27) Archivio ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito. (Il documento è riportato integralmente come allegato n. 1 nella pubblicazione Le operazioni del giugno 1940 sulle Alpi occidentali, p. 229). (28) Per la successione degli avvenimenti della campagna sulle Alpi occidentali ci siamo attenuti alla citata pubblicazione dell'ufficio storico compilata da Vinccnw Gallinari e titolata appunto Le operazioni del giugno 1940 sulle Alpi occidentali.
(29) Ordine di battaglia al 10 giugno 1940 del gruppo armate ovest. Comandante: generale Umberto di Savoia. Capo di stato maggiore: generale Emilio Battisti. LXI gruppo aviazione R.E. 1° armata Comandante: generale Pietro Pintor. Capo di stato maggiore: generale Fernando Gelicel. Truppe di armata: - 4° reggimento artiglieria contraerei; - 2° raggruppamento artiglieria d'armata; - 4° raggruppamento artiglieria d'armata; - 7° raggruppamento artiglieria d'armata; - 8° raggruppamento artiglieria d'armata; - I battaglione radiotelegrafisti; - I battaglione telegrafisti; - II battaglione teleferisti; - II battaglione minatori; - V battaglione minatori; - LXIX gruppo aviazione R.E. (unità dei servizi). Riserva di armata: - divisione fanteria Pistoia;
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- divisione di fanteria Lupi di Toscana; - divisione di fanteria Cacciatori delle Alpi; - divisione alpina Pusteria; - raggruppamento celere di armata {1 ° bersaglieri, 3° fanteria carrista, reggimento Cavalleggeri Monfe"ato ). II corpo d'armata (generale Francesco Pettini): - truppe di corpo d'armata: III settore GAF, 2° raggruppamento artiglieria di corpo d'armata, 2° raggruppamento genio (comando), 7°, 14° e 22<' raggruppamento GAF, battaglioni alpini Val Stura e Val M.aira, VI e CII battaglioni mitraglieri, CIX e CXIV battaglioni mitraglieri di posizione, V battaglione artieri, 2"' compagnia carrista, 84~ compagnia telegrafisti, 101.. compagnia radio, 152a compagnia lavoratori, 1"' compagnia chimica, 72• sezione fotoelettridsti, 6"' colombaia mobile, unità dei servizi; - divisione di fanteria da montagna Forlì; - divisione di fanteria da montagna Acqui; - divisione di fanteria da montagna Livorno; - divisione alpina Cuneense. I II corpo d'armata (generale Mario Arisio): - truppe di corpo d'armata: II settore GAF, 3° raggruppamento artiglieria di corpo d'armata, 16° raggruppamento artiglieria GAF, 3° raggruppamento genio (comando), battaglione alpini Val Venusta, III e CIII battaglioni mitraglieri, CXII battaglione mitraglieri da posizione, III e IV battaglioni camicie nere, X battaglione artieri, 72.. e 7n compagnia telegrafisti, 97" compagnia radio, g, colombaia mobile, unità dei servizi; - divisione di fanteria da montagna Ravenna; - divisione di fanteria Cuneo; - 1° raggruppamento alpini su 3 battaglioni e 2 gruppi di artiglieria. XV corpo d'armata (generale Gastone Gambara): - truppe di corpo d'armata: I e V settore GAF, 15° raggruppamento artiglieria di corpo d'armata, 11° e 24° raggruppamenti artiglieria GAF, XV battaglione mitraglieri, CVIII e CXI battaglioni mitraglieri da posizione, XXXIII .e XXXIV battaglioni camicie nere, XI battaglione artieri, 71"' e 76.. compagnia telegrafisti, 100,. compagnia radio; - divisione di fanteria Cosseria; - divisione di fanteria da montagna Modena; - divisione di fanteria Cremona; - raggruppamento alpini su 4 battaglioni alpini, 2 gruppi artiglieria alpina e 1 battaglione camicie nere. 4• armata Comandante: generale Alfredo Guzzoni. Capo di stato maggiore: generale Mario Soldarelli. Truppe di armata: - 1° reggimento artiglieria contraerei; - 1°, 6°, 9° raggruppamenti artiglieria di armata; - comando 5° raggruppamento genio; - I e III battaglioni minatori; - V gruppo aviazione R.E.; - 2"' compagnia telegrafisti; - 139-- compagnia radio;
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- unità dei servizi. Riserva di armata: - divisione di fanteria Legnano; - divisione di fanteria Brennero; - divisione alpina Tridentina; - raggruppamento celere d'armata (4° bersaglieri, 1° fanteria carrista e Nizza cavalleria). I corpo d'armata: - truppe di corpo d'armata: VIII e IX settore GAF, 3° gruppo alpini su 3 battuglioni, 1° raggruppamento artiglieria <li corpo d'armata, 19<' e 23° raggruppamenti 11riiglieria GAF, battaglioni alpini Susa e Val Cenischia, I e Cl battaglioni mitranlicri, CXIII battaglione mitraglieri da posizione, XI battaglione camicie nere, IX l>allagl ione artieri, 7ga e 83~ compagnia telegrafisti, 96" compagnia radio, 3• colombaia mobile, unità <lei servizi; - divisione di fanteria da montagna Superga; - divisione di fanteria da montagna Cagliari; - divisione di fanteria Pinerolo. IV corpo d'armata (generale Camillo Mercalli): - truppe di corpo d'armata: VII settore GAf, 4° raggruppamento artiglieria <li corpo d'annata, 8° raggruppamento artiglieria GAF, IV battaglione mitraglieri, CIV battaglione mitraglieri da posizione, I battaglione artieri, 73a e 92a compagnia telegrafisti, 98" compagnia radio, 11a colombaia mobile, unità <lei servizi; - divisione di fanteria da montagna Assietta; - divisione di fanteria da montagna Sforzesca. Corpo d'armata alpino (generale Luigi Negri): - truppe di corpo d'armata: X settore GAF, 120 raggruppamento artiglieria GAF, battaglione alpini Duca degli Abruzzi, CIII e CX battaglioni mitraglieri da posizione, XII battaglione camicie nere, reparto arditi alpini, reparto autonomo Monte Bianco, unità dei servizi. - divisione alpina T aurinense; - raggruppamento alpino Levanna; - 3° reggimento alpini. (30) Le operazioni del giugno 1940 sulle Alpi occidentali. Op. cit. Documento n. 3, p. 233. {31) Ibidem. Documento n. 2, p. 230. (32) Ibidem. Documento n. 5, p. 238. (33) Vedi nota precedente. (34) Ordine di assumere contegno assolutamente difensivo, sia in terra che in aria: ibidem, p. 230. Ordine di operare piccoli colpi di mano, diversi da quelli di maggiore importanza previsti dal P.R. 12: ibidem, p. 95. Ordine del generale Roatta al generale Negro, capo del I reparto dello S.M.E. ed al colonnello de Castiglioni capo dell'ufficio operazioni di cominciare a studiare per un'offensiva sulle Alpi: ibidem, p. 97. « Promemoria circa l'offensiva generale alla fronte occidentale» elaborato dal capo ufficio operazioni dello S.M.E.: ibidem, pp. 97-99 e pp. 230-232. Riunione a Roma dei capi di stato maggiore del gruppo armate ovest, della l ", 4" e 6'- armata presieduta dal generale Roatta il 16-VI-1940: ibidem, pp. 101-104. Direttive dello
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SM.E. in data 16 giugno indirizzate al comando gruppo armate ovest, al comando 6" armata e per conoscenza al comando 7a armata, a fitma del maresciallo Graziani, per le operazioni offensive: ibidem, p. 111 e pp. 235-237. Le direttive sono centrate su un'azione « B » (ditetrice del Piccolo San Bernardo} ed un'azione « M » (colle della Maddalena} da montare entro 10 giorni a cominciare dal 16 giugno. La prima azione viene affidata al comando della 6.. armata; la seconda al comando della l" armata. Fonogramma del maresciallo Graziani che modifica le precedenti direttive e ordina che i preparativi per l'azione offensiva siano limitati all'assunzione di uno schieramento offensivo in corrispondenza delle direttrici di sbocco, all'avvicinamento alle basi di partenza di talune divisioni cd ai movimenti verso ovest delle grandi unità della 6" armata: ibidem, p. 113. Direttive dello S.M.E., indirizzate al comando gruppo armate ovest, ai comandi 6" e 7a. armata e, per conoscenza, allo stato maggiore generale ed a Supcraereo, a firma del maresciallo Graziani, circa le operazioni o/fensive: ibidem, pp.113-114 e pp. 238-240. Le nuove direttive modificano quelle del giorno precedente stabilendo che: le azioni da compiere sono due, una sulla direttrice Piccolo San Bernardo (operazione « M »} e una sulla direttrice della Riviera (operazione « R » }; l'obiettivo generale delle operazioni « M » e « R » è Marsiglia, l'inizio delle opera7Joni deve aver luogo al più presto possibile su ordine dello SM.E. e, ad ogni modo, non oltre il 23 corrente. Nella manovra debbono essere tenuti presenti i criteri generali di agire per le ali delle sistemazioni permanenti nemiche, puntando al loro tergo, di sfruttare decisamente il successo in profondità, di osare sia nella concezione sia nell'esecuzione. Il contenuto delle nuove direttive viene anticipato da una telefonata in chiaro del sottocapo di stato maggiore dell'esercito al capo di stato maggiore del gruppo armate ovest. Alle 15,30 del 17 il sottocapo di stato maggiore dell'esercito invia un fonogramma al comando gmppo armate ovest ordinando che occorre mantenere pressione su tutta la fronte ed evitare che nemico arretri a nostra insaputa e per essere pronti ad incalzare la sua retroguardia: ibidem, p. 116. Alle 18,18 Superesercito trasmette al comando groppo armate ovest un nuovo fonogramma con il quale comunica che le ostilità con la Francia sono sospese e che la preparazione delle note operazioni gruppo ovest continua collo stesso ritmo: ibidem, p. 117. Nelle prime ore del giorno 19 il maresciallo Graziani telefona al capo di stato maggiore del comando groppo armate ovest dimostrandosi preoccupato per il lento sviluppo dei movimenti delle grandi unità da impiegare nell'operazione « M » e ricordandogli che dall'incontro Mussolini-Hitler a Monaco potrebbe venire un ultimatum alla Francia che potrebbe portare ad un'immediata ripresa delle operazioni. La sera del 19, al ritorno da Monaco della delegazione italiana, il maresciallo Badoglio riceve nuove direttive da Mussolini che egli riassume nel seguente fonogramma: Dopo ritorno da Monaco le direttive del duce sono le seguenti: Esercito: riprendere attività e continuare la preparazione in corso. Marina: nulla di mutato, Aeronautica: continuare azioni su Tolone, Marsiglia e altre basi francesi: ibidem, p. 126. Alle ore 21 del 19 giugno il generale Roatta trasmette personalmente al comando groppo armate ovest un fonogramma del maresciallo Graziani che ordina di riprendere immediatamente piccole azioni offensive e di rincalzare con la massima decisione e col massimo ardire i francesi: ibidem, p. 127. Il giorno 20, all'alba, il maresciallo Graziani telefona al capo di stato maggiore del gruppo armate ovest precisando che cosa debba intendersi per piccole operazioni di rettifica ed a scopo mantenimento contatto e manifestando la sua preoccupazione per i nuovi ritardi connessi all'operazione « M » considerata la più importante. Alla telefonata del maresciallo Graziani fa seguito quella del generale Roatta sempre sull'argomento dei trasporti e movimenti: ibidem, p. 128. Alle 15 del
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111w no 20 Mussolini chiama d'urgenza il maresciallo Badoglio e gli ordina di sferrare l'111111cco sulla fronte alpina occidentale all'alba del giorno successrvo. Alle 17,45 il
11mrcsciallo Graziani preannuncia il nuovo ordine al comando gruppo armate ovest d,~ponendo che per questa notte alle 3 dovete attaccare su tutta La fronte dal San Ber1111rdo al 1nare: ibidem, p. 134. Alle 19, un fonogramma di Superesercito conferma la H·lcfonata del maresciallo Graziani e ordina che la 1a e la 4a. armata alle ore 3 dell'indomani attacchino a fondo su tutta la loro fronte. Scopo: penetrare il più profond,1111ente possibile nel te"itorio francese: ibidem, p. 135. Alle 21 ,35 un nuovo fono11rumma di Superesercito limita l'azione a fondo in primo tempo all'ala destra della ,J• armata che deve eseguire l'azione « B ». Le azioni « M,. e « R » vengono rinviate: 1h1dcm, pp. 136-147. (35) Vds. voi. I , cap. XIX, nota n. 26. (36) Enrico Caviglia, Diario. Casini, Roma, 1952, p. 284. (37) L e operazioni de/ giugno 1940 sulle Alpi occidentali. Op. cit., p . 202. (38) Ibidem, p . 205. (39) .Ministero della difesa. Stato maggiore esercito. Ufficio storico. In Africa 1dlc11trionale. L 1 preparazione al con flitto. L',wa11:r.att1 su Sidi el Rarratti (nttnhre 1935 - ,ettembre 1940) . Tipografia Regionale, Roma, 1955 e La prima offensiva britannica i11 A frica settentrionale ( ottobre 1940-febbraio 1941). Tipografia Regionale. Tomo I.
Narrazione e allegati. Tomo II. Schiz~i, Roma, 1955. (40) In Africa settentrinnale. La preparazione al conflitto ecc. Op. cit., p. 43 e scp.uenti.
(41) Ibidem, p. 45.
(42) Ibidem, p. 52. (43) Ibidem, p. 55.
(44) Ibidem, p. 57. (44 bis) Italo Balbo (1896-1940), uomo politico del fascismo e maresciallo dell'aria. Ufficiale degli alpini nella prima guerra mondiale, fu poi organizzatore del fascismo nel ferrarese. Partecipò alla « marcia su Roma » della quale fu uno dei quadrumviri. Fu poi sottosegretario e quindi ministro dell'aeronautica, carica questa ultima che tenne dal 1929 al 1933. Fu tra i più tenaci assertori dei collegamenti aerei tra i continenti, e guidò personalmente quattro crociere aeree: nel 1928 nel Mediterraneo occidentale, nel 1929 in quello orientale, nel 1930 e nel 1933 nello Atlantico. Nel 1934 fu nominato governatore della Libia in sostituzione del maresciallo Badoglio. Allo scoppio della 2a guerra mondiale, sebbene affatto convinto dell'opportunità e delle possibilità dell'fntervento italiano, conservò il comando delle fot7..e Armate in Libia e stabill il suo posto di comando in Cirenaica. Poco dopo l'apertura delle ostilità, il 28 giugno del 1940, nel cielo di Tobruch l'apparecchio su cui viaggiava venne colpito per errore dalla contraerea italiana e venne abbattuto. (45) Ordine di battaglia al 10 giugno 1940 del Comando Superiore Africa settentrionale.
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Comandante superiore: maresciallo dell'aria Italo Balbo. Capo di stato maggiore: generale Giuseppe Tellera. Intendente: generale Alberto D'Aponte. 5• armata • scacchiere libico-tunisino (comandante: generale Italo Gariboldi) X corpo d'armata (generale Alberto Barbieri): - divisione di fanteria Sabratha; - divisione di fanteria Bologna; - divisione di fanteria Savona. XX corpo d'armata (generale Ferdinando Cona): - divisione di fanteria Pavia; - divisione di fanteria Brescia; - divisione di fanteria Sirte. XXIII corpo d'armata (generale Annibale Bergonzoli): - P divisione camicie nere; - 2& divisione camicie nere. 10"' armata - scacchiere libico-egiziano (comandante: generale Mario Berti) XXI corpo d'armata (generale Lorenzo Dalmazzo): - divisione di fanteria Marmarica; - divisione di fanteria Cirene; - 1a divisione libica; - 2" divisione libica. XXII wrpo d'armata (generale Enrico Pitassi Mannella): - divisione di fanteria Catanzaro; - 4a divisione camicie nere. Scacchiere sahariano: - comando fronte sud: I comando raggruppamento libico (2 battaglioni libici , 1 compagnia mitraglieri da posizione, 1 batteria cammellata da 65/17, 2 sezioni mitragliere da 20); - comando truppe Sahara libico (1 battaglione sahariano, 1 compagnia automitragliatrici, 4 compagnie meharisti, 10 compagnie mitraglieri da posizione). La forza effettiva in Lihia alla data del 1° giugno 1940 era di: 7 956 ufficiali, 8 873 sottufficiali, 122 940 uomini di truppa nazionali, 27 422 soldati coloniali o libici, 7 161 quadrupedi, 174 449 fucili e moschetti, 3 796 fucili mitragliatori, 4 632 mitragliatrici, 1 609 pezzi, 539 mortai dei quali 83 da 81 e 456 àa 45, 339 carri armati leggeri, 28 452 pistole, 8 536 automezzi vari, 2 524 motocicli, 568 biciclette. · La forza presente il 10 giugno 1940 era: - frontiera occidentale: 122 064 nazionali, 5 807 libici, totale 127 871 compreso il regio corpo truppe libiche e truppe libiche non indivisionate; - frontiera oriel)tale: 70 971 pazionali, 16 656 libici, totale 87 627 comprese le truppe libiche non indivisionate; - Sahara libico: 6 032 libici; - in totale, compresi la marina, l'aeronautica, i carabinieri, la polizia Africa italiana e la guardia di finanza: 221530 uomini. 4rtiglierie esistenti in Libia alla data <lell'l-Vl-1940: - contraerei: 12 cannoni da 76/40 C.A., 8 cannoni da 76/45 C.A., 27 cannoni <la 75/27 C.K., in totale 47; - piccolo calibro: 209 qa 20 mm, 127 da 47/32, 146 cannoni da 65/17, 215 da 75/27-906, 48 da 75/27-911, 236 da 75/27, 336 da 77 /28, 172 obici da 100/ 17, in totale 1 489;
CAP. XXXIII - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE PRIMA)
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- medio calibro: 97 cannoni da 105/28, 48 da 120/25, 37 obici da 149/13, '10 cnnnoni da 149/35, 3 mortai da 210/8, in totale 275.
(46) In Africa settentrionale. La preparazione al confliuo, ecc. Op. cit., p. 115. (47) Ibidem, p. 100. (48) Ibidem, allegato n. 27, p. 208. (49) Ibidem, allegato n. 31, p. 209. (50) Ibidem, p. 103. (51) Italo Cariboldi (1879-1970), generale designato d'armata. Sottotenente di f11n1cria nel 1898. Frequentò la scuola di guerra dal 1909 al 1912. Partecipò alla uunpagna in Libia con il 400 fanteria. Partecipò alla prima guerra mondiale prima , on il comando della 4a. armata e successivamente con il Comando Supremo. Dal dicembre 1918 al febbraio 1920 fu capo di stato maggiore della 45", poi della 79\ t· infine della 77a. divisione fanteria. Nel 1920 fu nominato capo della commissione wnfini orientali e successivamente capo della delegazione italiana nella commissione di definizione dei confini italo-iugoslavi. Comandò il 26° reggimento fanteria, fu poi 11 usferito alla scuola di guerra come direttore del corso applicativo per ufficiali superiori e fu insegnante titolare presso la stessa scuola. Promosso generale di brigata pt·r meriti eccezionali, prima ebbe il comando della V brigata di fanteria e poi dell'Accademia di fanteria e cavalleria e della scuola di applicazione di fanteria. Partecipò .,Ila guerra d'Etiopia comandando la Sabauda 1" e dal 1° luglio 1936 fu nominalo c.,µo di stato maggiore del governo generale dell'Africa orientale italiana. Promosso 111.:nerale di corpo d'armata per meriti eccezionali, fu nominato comandante del corpo d'armata di Trieste. Nel settembre 1939 fu promosso generale designato d'armata, ed a~sunse il comando della 5a armata in Libia. Dall'll febbraio 1941 tenne il comando ~upcriore delle FF.AA. nell'Africa settentrionale e fu reggente dèl governo della l.ihia. Nel mal7.0 del 1941 fu nominato governatore generale e comandante superiore delle FF.AA. dell'Africa settentrionale, cariche che lasciò il 25 luglio 1941. Assunse poi il comando dell'8" armata e con tale incarico partecipò ·a lla campagna di Russia.
(52) I n Africa settentrionale. La preparazione del conflitto, ecc. Op. cit. , p. 105. (53) Ibidem, allegato n. 44, p. 236. (54) Ibidem, allegato n. 45, p. 236 e allegato n. 46, p. 238. (55) Ibidem, allegati 54 e 55, p. 247 e p. 248. (56) Ai primi di settembre le for-ze nemiche erano valutate da parte italiana: a) lungo la fascia confinaria e nella zona di Sollum: 7"- divisione coraZ?.ata britannica, 1 o 2 battaglioni sudanesi motorizzati, « Carnei Corps », e reparti imprecisati a Siwa; b) in· zona Sidi e! Barrani, Bit Charnsa: 6" divisione britannica; c) tra $idi el Barrani e Marsa Matruh: 4" divisione indiana; d) in zona Marsa Matruh-Delta: 1-2 divisioni anglo-indiane, 1 divisione neozelandese, 2 divisioni australiane, for7~ pari ad una divisione britannica; e) in zona Suez e mar Rosso: a presidio del canale 2-3 battaglioni e reparti vari e in zona Zuseir 1 brigata indiana. (57) La prima controffensiva britannica in Africa settentrionale. Op. cit., p. 30.
Ll2
FILIPPO STEFANI
(58) Ibidem, p. 31. (59) Ibidem, p. 32. (60) Ibidem, p. 44. (61) Ibidem, p. 44. (62) Ibidem, p. 48. (63) Wavell sir Archibald Percival (1883-1950), maresciallo britannico. Comandante in capo delle forze britanniche nel Medio Oriente nel 1939, diresse nel dicembre del 1940 · gennaio 1941 l'offensiva contro le truppe italiane in Libia. Sorpreso dal contrattacco delle forze italo-tedesche del generale Rommel, fu esonerato dal comando dopo il fallimento dei suoi tentativi di liberare Tobruch dall'assedio delle truppe dell'Asse. Fu poi comandante in capo delle forze britanniche in India e alleate nell'Asia sud-orientale. Fu viceré dell'India dal 1943 al 1947. (64) B. H. Liddell Hart, Storia militare dcUa seconda guerra mondiale. Mondadori , Milano, 1970, p. 156. (64 bis) Wilson Henry Maitland (1881-1954), maresciallo britannico. Durante la 2a guerra mondiale tenne il mm11ndo delle forL.e inglesi in Egitto nel 1940-'41, e poi del corpo di spedizione in Grecia nella primavera del 1941. Comandante in capo delle forze nel Medio Oriente, alla fine del 1943 succedette ad Eisenhower nel comando delle forze alleate nel Mediterraneo. Lasciò questo incarico alla fine del 1944 per assumere la responsabilità della missione militare britannica presso gli stati maggiori congiunti di Washington, carica che tenne fino al 1947. (65) La prima controffensiva britannica in Africa settentrionale. Op. cit., p. 64. (66) Ibidem, p. 118. (67) Ibidem, allegato n. 3, p. 315. (68) Ibidem, p. 309. (69) Ibidem, p. 216. (70) Ibidem, allegato n. 16, p. 342. (71) Ibidem, allegato n. 16, p. 342. (72) Ibidem, allegato n. 20, p. 353 .
.,
(73) Ibidem, allegato n. 72, p. 373. (74) Nella prima decade del gennaio 1941, dopo la caduta di Bardia, erano disponibili ed efficienti: il III battaglione carri M 13 (24 carri), il V battaglione carri M 13 (37 carri), il LV battaglione carri L (28 carri), il XXI battaglione carri L (33 carri), il I battaglione carri M 11 (ridotto a 5 carri, mentre 35 carri erano a Tobruch per riparazioni o revisioni). II 23 gennaio nel settore Berta-Mecbili, la brigata corazzata in riserva della lQa armata disponeva cli 57 carri M 13, 25 carri L, 6 autoblindo, mentre la riserva del comando superiore, alla stessa data, nella zona di Ghemines disponeva del VI batta-
CAP.
xxxm -
LE CAMPAGNE AUTONOME (PAR.TE PRIMA)
113
11lione carri M 13 (meno una compagnia), giunto a Tripoli il 17 gennaio, e del XXI h.111aglione carri L appena ricostituito. La sera del 4 febbraio le forze italiane erano - grosso modo - ripartite in 2 hlocchi: uno in copertura e uno in ripiegamento. In copertura: il raggruppamento l'11squali al villaggio D'Annunzio e ad ovest di Barce le unità a difesa dell'uadi Bacur; lii hrigata corazzata in movimento da Barce ed el Abiara ed a presidio dello sbarra111t·nto di Regima; il raggruppamento Bignami (1 compagnia carri M 13) dislocato a St·deidma. Il 5 febbraio, a protezione del fianco sinistro e, poi, del tergo dell'armata <"lltrò in funzione il raggruppamento Bergonzoli, denominato poi « Retroguardia ·Libia Orientale: R.L.0. ». Erano in ripiegamento a scaglioni: comando ed elementi della divisione « Sabratha », 1()<> reggimento bersaglieri, truppe e servizi della base di lkngasi, personale del comando superiore e dell'intendenza, personale della marina e ddl'neronautica, reparti vari (LV e XVIII battaglioni mitraglieri, battaglione di formazione 115° fanteria, battaglione complementi Cirene, XVII battaglione libico, pcr~onale vario sgombrato da Bengasi). All'inizio della battaglia del 5 febbraio le forze italiane erano articolate su: e, gruppi mobili di copertura (raggruppamento Pasquali di circa mille uomini, con I compagnia mitraglieri, mezzo battaglione p-.tracadutisti, 4 mitragliere da 20, 1 gruppo nn iglieria da 75/27 su 9 pezzi, 3 cannoni da 47 /32; raggruppamento Libia orientale ,li circa 200 uomini, con 2 plotoni bersaglieri motociclisti, 1 autoblindo, 8 pezzi <la 20 mm; brigata corazzata di circa 2500 uomini con Hl e V battaglioni carri M 13 per un totale di 30 carri, VI battaglione carri M 13 per un totale di 45 carri, IZo reggimento artiglieria Savona su 2 gruppi, l batteria da 105/28, l batteria da 15/CK, LXI battaglioni carri L per un totale di 12 carri, nucleo del LX battaglione motociclisti, 4 autoblindo; raggruppamento artiglieria Piana di circa 1800 uomini, con l gruppo da 105/28 su 3 batterie, 1 gruppo da 75/27 su 3 batterie, 1 gruppo misto Ji 1 batteria da 75/27 e 3 sezioni mitragliere da 20; gruppo Ferrara di circa 700 uomini con 1 batteria da 75/27, 4 mitragliere da 20, 4 cannoni da 47 /32; raggruppamento Crucilla di circa 600 uomini con 10 mitragliere da 20, 4 cannoni da 47 /32, 6 nuclei mitraglieri cal. 8; raggruppamento Bignami di circa 1600 uomini col XXI (,,maglione carri M 13 su 36 carri, 1 battaglione mitraglieri, 1 gruppo da 75/27 su 3 batterie)); tre gruppi autotrasportati (raggruppamento Moech, raggruppamento Colpa11i, nucleo motorizzato Allegri e 100 bersaglieri); gruppi appiedati in attesa o in mancanza di automezzi per complessivi 8 mila uomini circa. Io totale erano ancora efficienti 113 carri M 13: un complesso di forze tutt'altro che trascurabile. L'elemento organicamente più completo ed omogeneo era il VI battaglione carri M 13 (45 carri), che era però di nuova costituzione e non addestrato. L'improvvisazione, determinata da necessità contingenti, aveva costretto a riunire per il resto reparti che non si conoscevano tra loro, non conoscevano il comandante, né erano da lui conosciuti. Nella battaglia non meno improvvisata nel sud bengasino le forze britanniche, che raggiunsero la rotabile a nord di Quatina alle 12,40 del giorno 5, ebbero buon gioco nei giorni 6 e 7 ad attaccare l'avanguardia, il grosso e la retroguardia in tempi successivi. Se il ripiegamento fosse stato ordinato in tempo e non regolato sul movimento delle troppe appiedate, gran parte dei carri e delle truppe motocarrate avrebbero avuto modo di sottrarsi all'accerchiamento. (75) Le successive operazioni nello scacchiere dell'Africa settentrionale sono documentate nelle seguenti pubblicazioni edite dal Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio Storico:
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FILJPPO STEFANI
- La prima controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale (15 / ebbraio 18 novembre 1941). Tipografia Regionale, Roma, 1974. - Seconda offensiva britannica in Africa settentrionale e npzegamento italotedesco nella Sirtica orientale (18 novembre 1941-17 gennaio 1942). Tipografia Regionale, Roma, 1949. - Seconda controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale da El Agheila a El Alamein (gennaio-settembre 1942). Tipografia Regionale, Roma, 1951. - Terza offensiva britannica in Africa settentrionale. La battaglia di El Alamein e il ripiegamento in Tunisia (6 settembre 1942- 4 febbraio 1943). Tipografia Regionale, Roma, 1961. - Operazioni italo-tedesche in Tunisia (11 novembre 1942-13 maggio 1943). lA 111 armata italiana in Tunisia. Tipografia Regionale, Roma, 1950. (76) Il 2 gennaio 1942 - veds. allegato n. 1 p. 287 della pubblicazione Seconda controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale ecc. - il Comando Superiore Forze Armate Africa settentrionale provvide alla riorganizzazione delle divisioni secondo i seguenti criteri: costituzione il massimo possibile immediata dei nuovi reparti organici (es.: ogni reggimento di fanteria su 2 battaglioni, ogni battaglione su 2 compagnie, ecc.); gradualità della trasformazione organica in relazione alla disponibilità degli uomini e delle armi (es.: terza compagnia dei battaglioni I e II, quarta compagnia dei battaglioni I e II, prima compagnia del III battaglione, comando e 2a compagnia del III battaglione e cosl via). La divisione di fanteria ordinaria A.S. 42 venne costituita su: 1 comando, 2 reggimenti di fanteria, 1 reggimento di artiglieria, 1 battaglione misto del genio, 1 sezione sanità, 1 sezione sussiste::=. La divisione di fanteria motorizzata venne costituita su: 1 comando, 1 battaglione autoblindo, 1 battaglione carri, 2 reggimenti di fanteria, 1 reggimento di artiglieria, 1 battaglione misto del genio, 1 sezione sanità, 1 sezione sussistenza, 1 autogruppo divisionale. La divisione corazzata venne costituita su: 1 comando, 1 battaglione carri L 6, 1 reggimento carri M (su 3 battaglioni), 1 reggimento bersaglieri, 1 reggimento artiglieria, 1 battaglione genio, 1 sezione sanità, 1 sezione sussistenza, 1 autogruppo misto. La divisione di fanteria A.S. 42 costituita su 2 reggimenti di fanteria (ciascuno su 1 compagnia comando, 1 compagnia mortai 81, 2 battaglioni su 2 compagnie) e 1 reggimento di artiglieria (su: 3 gruppi di 2 batterie e 2 batterie da 20), comprese: 212 ufficiali, 274 sottufficiali, 2887 soldati, 331 automobilisti, 23 autovetture, 60 autocarri leggeri, 55 autocarri pesanti, 23 autocarri dovunque, 24 trattori T.L. 37, 11 autocarri L 39, 1 autofurgoncino, 113 moto monoposto, 9 moto biposto, 10 motocarrelli, 8 cassoni, 50 fucili mitragliatori, 34 mitragliatrici, 24 fuciloni controcarri, 24 cannoni da 47, 18 mortai da 81, 10 cannoni da 20, 24 pezzi di artiglieria. Il totale della divisione su 2 reggimenti di fanteria (ciascuno invece di 3 battaglioni di 4 compagnie) e 1 reggimento di artiglieria (su 5 gruppi di 3 batterie ciascuna) comprese: 352 ufficiali, 619 sottufficiali, 5398 soldati, 567 automobilisti, 34 autovetture, 82 autocarri leggeri, 127 autocarri pesanti, 28 autocarri dovunque, 72 trattori T.L. 37, 15 autocarri L 39, 1 autofurgoncino, 136 moto monoposto, 11 moto biposto, 10 motocarrelli, 24 cassoni, 146 fucili mitragliatori, 92 mitragliatrici, 72 fuciloni controcarri, 72 cannoni da 47 /32, 18 mortai da 81, 16 cannoni da 20, 60 pezzi artiglieria. Rispetto alla divisione binaria autotrasportabile di fanteria tipo A.S. del 1940: 101 ufficiali in meno, 25 sottufficiali in più, 4515 soldati in meno, 116 fucili mitragliatori in meno, 140
CAP. XXXUI - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE PRIMA)
1,111 ragl iatrici
115
in meno, 111 mortai da 45 in meno, 6 mortai da 81 in più, stesso nudi cannoni da 20, 8 pezzi da 65/17 in meno, 64 pezzi da 47 /32 in più, 24 pezzi dì nrtiglieria in più, 46 carri L in meno, 160 automezzi in meno, 102 motome-ai in 11..-110 , 36 trattori T.L. 37 in più, 180 biciclette in meno. Le caratteristiche principali della nuova divisione furono: la preminente idoneità all'azione difensiva controcarri, l't,quilibrato rapporto fanteria-artiglieria, l'aumento considerevolissimo dell'armamento w ntrocarri, il nessun incremento di mobilità dei battaglioni di fanteria, la discesa dnl livello reggimento a quelli di battaglione e di compagnia dell'armamento controcnrri , l'eliminazione di ogni possibilità di manovra (soppressione del battaglione , arri L) al livello divisionale (le divisioni binarie del 1940 non comprendevano la legione camicie nere). Le nuove formazioni organiche furono assunte gradatamente da lle divisioni BoloJl.na, Brescia, Pavia, Sabratha e Trento. La divisione di fanteria motorizzata A.S. 42 comprese: 309 ufficiali, 416 sottufficiali, 4007 soldati, 1198 automobilisti, 38 autovetture, 393 autocarri leggeri, 160 autocarri pesanti, 28 autocarri dovunque, 72 trattori T.L. 37, 15 autocarri L 39, 5 autofurgoncini, 223 moto monoposto, 11 moto biposto, 10 motocarrelli, 3 autofficine, 21 cassoni, 74 fucili mitragliatori, 56 mitragliatrici, 36 fuciloni controcarro, 36 cannoni (011trocarro da 47 / 32, 18 mortai da 81, 18 cannoni da 20, 60 pezzi di artiglieria, 45 carri armati, 30 autoblindo. La divisione che assunse subito tale formazione, inizialmente su 2 reggimenti di fanteria di 2 battaglioni su 2 compagnie, 1 reggimento di artiglieria su 3 gruppi di 2 batterie e su 2 batterie da 20, fu 1a Trieste, che poi venne portata a pieni organici {2 reggimenti di fanteria su 3 battaglioni di 3 compagnie e o:imento di artiglieria su 5 gruppi di 3 batterie). Rispetto alla divisione ordi1 reg., naria, 1a motorizzata aveva una minore capacità difensiva, ma maggiore capacità di manovra ed era autonoma per il movimento su me-LZi di trasporto meccanici. 11wm
CAPITOLO XXXIV
LE CAMPAGNE AUTONOME ITALIANE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE (Parte secondà) 1. I precedenti della campagna di Grecia. 2. L'offensiva italiana e la controffensiva greca. 3. La battaglia greca per Berai e la contromanovra italiana su Klisura. L'incontro Hitler-Mussolini del 19-20 gennaio. 4. La battaglia greéa per Tepeleni. 5. Le controffensive italiane del marzo e aprile. 6. Considerazioni sulla campagna di Grecia. 7. La .v..uerra in Africa orientale e la conquista inglese dell'Eritrea · e della Somalia. 8. Le altre operazioni in Africa orientale. 9. Considerazioni sulla guerra in Africa Orientale. ·
1.
Un'altra campagna condotta dall'esercito italiano senza l'apporto diretto dell'alleato tedesco fu quella di Grecia (1). Di un'azione offensiva contro la Grecia s'era cominciato a parlare fin dal periodo immediatamente successivo all'occupazione dell'Albania. Il generale Alfredo Guzzoni (2), comandante delle truppe di Albania, era stato jncaricato d'imbastire un progetto che egli elaborò, sotto forma di studio .e trasmise allo s,t ato maggiore dell'esercito nel luglio del 1939. Quando, nell'agosto successivo, dopo l'incontro di Salisburgo con Hitler , Mussolini impartì al maresciallo Badoglio le direttive per il caso di guerra - nel cui quadro vennero previste anche un'azione offensiva contro la Grecia ed una contro la Jugoslavia - il progetto Guzzoni venne esaminato in un'apposita riunione presieduta dal capo di stato maggiore dell'esercito, generale Pariani, e prese corpo di direttiva per un'eventuale operazione offensiva tendente a recidere la Grecia dal resto dei Balcani con il taglio Albania-Salonicco e ad occupare Corfù e possibilmente le isole ionie. Il piano poggiava sul concetto di un'azione offensiva a massa nello scacchiere macedone con largo concorso di forze aeree ed un'azione concomitante diretta in Epiro a migliorare le condizioni della difesa, schierando alla
I IX
FILIPPO STEFANI
Armamento principale delle Divisioni di fanteria dei vari Eserciti Armamento di fanteria Divisioni
---
Fucili mltragl.
Mitra-
- -----
Jugosl-ava
gllatrlci
1038
I
I
Cn .
Mortai
264
24
112
18
146
24 18
accomp.
da 75
I
da 100
e 105
-
36 camp. 112 camp. 12 rnon.
-
36 camp. 24 camp.
-
24 carnp. 12 camp. 16 camp. 8 camp.
-
Romena
336
Bulgara - quaternaria - ternaria
345 264
Turca
336
87
Greca
336
Italiana
216
1-:1 I I
Artigl ieria
I
I
-
18
12
112
12
6
16 mon.
48
108 da 45 24 da 81
8
24 camp. 12 camp.
da 36 a 40
8 mon.
Note: -
i dati relativi agli eserciti balcanici sono tratti dallo studio dello S. M. Greco; i dati concernenti la divisione italiana non tengono conto della fegione camicie nere (del tutto eventuale} e delle armi automatiche di reparto per fa difesa vicina.
CAP. XXXlV - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE SECONDA)
119
frontiera jugoslava truppe di copertura. Era considerato presupposto essenziale l'approntamento in zona di radunata (Albania), fin dallo inizio delle operazioni, di forze sufficienti per consentire la tempestiva alimentazione dello sforzo dallo sbocco oltre frontiera al raggiungimento dell'obiettivo di Salonicco: forze non inferiori a 18 divisioni (3). Il progetto Guzzoni-Pariani, stante l'indisponibilità di mezzi per un'operazione cosl impegnativa, fu messo in un cassetto e ne fu accantonato ogni sviluppo programmatico. Non migliore sorte avevano avuto in precedenza le proposte del capo di stato maggiore generale, avanzate in sede di relazione sull'ispezione da lui compiuta in Albania dal 19 al 26 giugno del 1939 (4), relazione in cui erano state messe bene in evidenza la funzione strategica del territorio appena unito alla Corona italiana e sottolineata l'urgenza dell'organizzazione militare (operativa, logistica, della difesa contraerei e costiera) da mettere in piedi da parte dell'esercito, della marina e dell'aereonautica affinché il rendimento di questa formidabile posizione strategica che è l'Albania nel quadro dell'Impero fosse quale la Patria lo attende. Le relazione del maresciallo Badoglio aveva messo in chiaro l'urgente necessità di provvedere ad organizzare militarmente i nuovi territori occupati attrezzandoli, prima di ogni altra cosa, di porti adeguati e di vie di comunicazioni soddisfacenti. Quando qualche mese dopo - precisamente il 16 agosto - nella imminenza della azione tedesca di forza per risolvere il problema di Danzica, Mussolini impartì al maresciallo Badoglio le direttive di carattere operativo alle quali l'Italia avrebbe dovuto ispirare il suo contegno, il capo di stato maggiore generale sottolineò come fosse indispensabile, nella situazione in cui si trovava la preparazione del Paese alla guerra, di astenersi da ogni atto che potesse significare adesione all'iniziativa tedesca e di tenersi pronti solamente ad assicurare l'inviolabilità delle frontiere. In particolare soggiunse che si sarebbero studiate eventuali operazioni offensive contro la Grecia e contro la Jugoslavia, ma esse sarebbero state mandate ad effetto solo qualora la situazione generale lo avesse permesso e cioè in circostanze particolarmente favorevoli. Mussolini comprese che sarebbe stato fuori luogo continuare a parlare in quella situazione di azioni offensive nei Balcani e, il 17 settembre, disse chiaramente al generale Guzzoni che della progettata azione contro la Grecia non si sarebbe fatto nulla. Anzi, una delle divisioni - Lupi di Toscana - dislocate in Albania venne fatta rientrare in Italia e il comando superiore delle truppe in Albania dal dicembre del 1939 rimase costituito dal XXVI corpo d'armata su 3 divisioni di fanteria (Ferrara, Venezia, Arezzo), 1 divisione
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FILIPPO STEFANI
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CAP. XXXlV - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE SECONDA)
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alpi na (Julia), 1 divisione corazzata (Centauro), da supporti vari e dalia direzione superiore dei servizi d'Albania, con una forza complessiva di 60 mila uomini. Di conseguenza, nella tarda primavera del I 940, almeno per quanto concerneva gli apprestamenti militari, la situazione era di poco modificata rispetto al settembre del 1939 (5). 11 discorso sulla Grecia venne riaperto il 23 maggio del 1940 dal ministro degli esteri, Galeazzo Ciano, che durante una sua visita a Tirana convocò, alla presenza del luogotenente generale d'Albania, f rancesco Jacomoni, il generale Carlo Geloso (6) - che aveve sostiI uito nel comando il generale Guzzoni e gli prospettò, per il caso di guerra, la necessità di occupare la Grecia per evitare che i franco-inglesi se ne servissero come base aereo-navale offensiva contro l'Italia. Il generale Geloso fece subito rilevare al ministro degli Esteri che un'operazione del genere non rientrava nell'ambito delle direttive difensive da lui ricevute - non per niente Mussolini gli aveva espressamente detto, al momento dell'assunzione della carica, che la Grecia non si trovava sulla sua strada - e, su richiesta del ministro, espresse il parere personale che in un'eventualità del genere la direttrice più redditizia sarebbe stata quella di Salonicco, chiarendo che il problema avrebbe dovuto essere esaminato a fondo dagli stati maggiori centrali e che l'operazione avrebbe richiesto, come ordine prudenziale di grandezza, non meno di 10 divisioni da dislocare preventivamente a pie' d'opera per concludere l'azione con la necessaria rapidità. Il discorso del generale Geloso non piacque al conte Ciano, che, rientrato a Roma, lo fece sostituire il 5 giugno con il generale Sebastiano Visconti Frasca (7). Il ministro degli esteri italiano covava da tempo, d'intesa con il luogotenente generale Jacomoni, l'idea dell'operazione contro la Grecia ed alimentava l'antica fiamma antiellenica di Mussolini gonfiando notizie e fatti e non perdendo occasione per mettere in luce l'atteggiamento infido dei greci e per enfatizzare i presunti sentimenti irredentisti dell'Epiro come pure le aspirazini annessionistiche dell'Albania nei riguardi della Ciamuria e del Kossovo. Dopo l'entrata dell'Italia in guerra le relazioni italo-greche, tornate da poco normali, prima si allentarono e successivamente si guastarono. Da parte greca divennero sempre più evidenti, fin dal contegno ufficiale di neutralità, le simpatie verso lo schieramento franco-inglese; da parte italiana si fece del. tutto - cercando pretesti, attuando provocazioni, creando o gonfiando incidenti - per far capire alla Grecia l'insoddisfazione del governo italiano per il comportamento del governo ellenico che, in verità, rimase fino all'ultimo ispirato ad una grande prudenza e
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accondiscendenza. Dopo la conclusione della campagna sulle Alpi occidentali, stanti le difficoltà ed i ritardi opposti dal maresciallo Graziani all'inizio delle operazioni offensive in Egitto, Mussolini tornò al pensiero dell'azione contro la Grecia, nonostante il maresciallo Badoglio gli avesse fatto notare a suo tempo che premessa di tale azione avrebbe dovuto in ogni caso essere la sicurezza in una Bulgaria e Ungheria benevole. L'll agosto Mussolini convocò a Roma il luogotenente generale dell'Albania ed il generale Visconti Prasca che vennero informati dal ministro Ciano dell'intendimento di Mussolini di occupare per ragioni politiche la Ciamuria. Mussolini stesso fissò il giorno dopo ai due le direttive per tale operazione, specificando che se la Grecia avesse ceduto la Ciamuria e Corfù senza resistenza, benché obtorto collo, l'Italia non avrebbe avanzato altre pretese, mentre se si fosse opposta con la forza si sarebbe dovuto condurre da parte italiana un'azione di guerra a fondo. Sia il luogotenente sia il comandante delle truppe si dissero favorevoli all'impresa che sarebbe stata possibile e facile purché - aggiunse il generale Visconti Frasca - si fosse fatta subito, si fossero potenziate le forze in loco mediante l'invio di alcuni battaglioni, si fossero effettuati i preparativi ed il rischieramento de1Ie unità entro il limite massimo di 15 giorni. Il generale Visconti Prasca, dopo gli incontri con Ciano e Mussolini, chiese allo stato maggiore dell'esercito l'invio in Albania di 2 divisioni di fanteria, 4 gruppi di artiglieria someggiata, 3 battaglioni alpini Valle, 3 battaglioni di camicie nere, 1O mila fucili per armare battaglioni di volontari albanesi da impiegare in copertura. Si recò poi dal generale Ubaldo Soddu, sottosegretario di Stato alla Guerra, e dal maresciallo Badoglio per informarli a posteriori dei colloqui avuti con il ministro Ciano e con Mussolini. Lo stato maggiore dell'esercito promise, forse genericamente, che sarebbero state inviate le forze richieste, mentre il maresciallo Badoglio - fino ad allora completamente all'oscuro di queste intenzioni aggressive contro la Grecia (8) - dopo il consueto rapporto con Mussolini, il giorno 14 ordinò allo stato maggiore dell'esercito di mandare in Albania un reggimento di cavalleria e di predisporre l'afflusso di 3 divisioni da effettuare a momento opportuno. Tre giorni dopo, il 17, in seguito ad una nota giunta al ministero degli Esteri da parte dell'ambasciatore italiano a Berlino, Mussolini mutò parere. Nella nota era scritto che il ministro degli Esteri tedesco aveva avuto un lungo colloquio con l'ambasciatore italiano e lo aveva informato, tra l'altro, che per allora non era opportuno pensare ad azioni nei Balcani in quanto da un'azione
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dell'Asse la Russia avrebbe potuto trarre pretesti per un suo intervento modificando cosl lo status quo che noi abbiamo sommo interesse a mantenere. Von Ribbentrop aveva fatto presente a proposito di un'eventuale azione contro la Jugoslavia - aggiungeva l'ambasciatore - che: in questo momento dovrebbero essere sospesi anche studi di carattere puramente tecnico su questioni che non mirino direttamente alla disfatta dell'Inghilterra perché essi rappresenterebbero per gli stati maggiori una distrazione; per quanto riguardava l'atteggiamento italiano nei confronti della Grecia, il ministro si rendeva pedettamente conto della situazione per cui non aveva nulla da dire circa i provvedimenti di ordine precauzionale; con la caduta dell'Inghilterra tutti gli altri problemi verranno automaticamente risolti. Perciò sia la questione greca sia quella jugoslava - concludeva la nota - erano viste da Ribbentrop in funzione della lotta definitiva iniziata contro l'Inghilterra. Da qui l'improvvisa cessazione dell'orchestrata campagna antiellenica della stampa italiana ed albanese e la direttiva di Mussolini del 22 agosto: « Tn relazione cogli sviluppi della situazione politico-militare europea e mondiale, sono state esaminate in questi ultimi tempi le eventualità operative sugli scacchieri jugoslavo, greco, egiziano. Nell'imminenza dell'attacco contro le forze inglesi in Egitto - che coinciderà con l'attacco terrestre germanico contro la Gran Bretagna - il settore libico diventa il principale sul quale bisogna convergere attenzione e sforzi; è il settore sul quale bisogna fare massa in terra, in mare, in aria. Gli altri due scacchieri - il greco e lo jugoslavo - a meno che non siano jugoslavi, o greci, o inglesi a prendere l'iniziativa - diventano scacchieri di osservazione e di vigilanza, necessaria vigilanza data la politica seguita da quei due Stati e lo stato d'animo dei popoli. Si può quindi rallentare il ritmo predisposto per gli schieramenti su quei due scacchieri, ultimando quello sul fronte est per il 20 ottobre invece che per il 20 settembre e quello sul fronte greco alla fine di settembre invece che alla fine di agosto » (10). Nel frattempo il generale Visconti Prasca, appena rientrato a Tirana, aveva dato inizio ai movimenti necessari per il rischieramento delle forze, i quali non sfuggirono alle autorità greche. Queste, a loro volta, il 23 agosto dettero l'avvio ad un metodico piano di mobilitazione che riuscirono a sviluppare gradualmente e ordinatamente. Il 22 agosto lo stato maggiore dell'esercito comunicò al generale Visconti Prasca che: lo schieramento alla frontiera greca avrebbe dovuto eventualmente essere effettuato non per il 1° settembre, ma per il 1° ottobre; il trasporto delle 3 divisioni sarebbe rimasto predi-
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sposto, ma non sarebbe stato attuato sino a nuovo ordine; sarebbero state inviate in tempo utile le direttive operative; infine, se ritenuto necessario, si sarebbe potuto modificare lo schieramento delle forze in vista dell'operazione contro la Grecia senza però mettere in sofferenza la copertura della frontiera con la Jugoslavia. Qualche giorno dopo, il 26, il generale Roatta scrisse al maresciallo Badoglio confermando che lo schieramento parziale « E » (Jugoslavia) sarebbe stato assunto dal 20 settembre e completato entro il 20 ottobre, assicurando che erano state compilate le direttive per la emergenza « G », formulando la proposta di prevedere, in tempi successivi, l'occupazione di Corfù e delle isole ionie, in concomitanza o non con l'avanzata in Epiro, suggerendo un nuovo ordinamento del comando superiore dell'Albania (armata su 2 corpi d'armata) e rappresentando che se i due schieramenti (offensivo verso la Grecia e difensivo verso la Jugoslavia) avessero dovuto essere pronti per il 1° ottobre, l'invio delle unità programmate avrebbe dovuto avere inizio fin dai primi giorni di settembre (11). Ricevuta l'approvazione del maresciallo Badoglio, il generale Roatta scrisse nuovamente al generale Visconti Prasca precisando che lo schieramento eventuale alla frontiera greca avrebbe dovuto essere predisposto per il 20 ottobre anziché per il 1°, sottolineando che i rinforzi in ·arrivo significavano non l'ordine di assumere lo schieramento offensivo per il 20 ottobre bensì la possibilità di assumerlo quando e qualora previsto, informando che presto avrebbe ricevuto le direttive che avrebbero considerato tutte le ipotesi possibili - misure di sicurezza nei riguardi della Jugoslavia e offensiva contro la Grecia per occupare l'Epiro settentrionale e, eventualmente, Corfù e le isole ionie, ovvero misure di sicurezza contro la Grecia ed offensive contro la Jugoslavia (ipotesi « E »), o difensive su entrambe le fronti - , invitando a rimaneggiare la dislocazione delle truppe in modo da fare fronte a tutte le eventualità (12). Scrive il generale Montanari - e noi siamo d'accordo con lui - : « La lettera lasciò interdetto il generale Visconti Prasca. Non solo lo spostamento continuo della data allontanava il termine che lui invece riteneva ancora imminente, ma la ripetuta avvertenza dell'eventualità dell'ordine esecutivo nonché il preavviso di una pianificazione relativa a tutte le ipotesi (il che escludeva un orientamento ben definito in politica estera) scombussolavano ciò che egli riteneva invece consolidato: il colpo di mano in grande in Ciamuria il più presto possibile. Allorché esiste confusione di linguaggio fra un comando superiore ed un comando dipendente è buona norma di principio attribuire
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In responsabilità maggiore dell'equivoco al comando superiore» (13).
1l 4 settembre lo stato maggiore dell'esercito emanò le promesse direttive operative per l'emergenza « G » ed il comando superiore Albania venne invitato a dare corso alla pianificazione operativa - limitando le predisposizioni conseguenti ad un'imbastitura uni(orme dello schieramento per ragioni di sicurezza ( 14) - e ad emanare le direttive di competenza, dandone conoscenza allo stato maggiore dell'esercito entro il 25 settembre. Quando lo stato maggiore dell'esercito ricevé il piano del generale Visconti Frasca, ordinò di soprassedere alla sua diramazione alle unità interessate (15), precisando che mentre si ultimavano i trasporti dei rinforzi si sarebbero dovuti continuare a tenere aggiornati gli studi sulle operazioni allestite, rinviandone per il momento l'attuazione: « le truppe della Albania devono quindi essere dislocate in modo che possano rapidamente schierarsi allo stesso tempo in buone condizioni logistiche tenendo conto delle esigenze della stagione » secondo quanto aveva prescritto il capo di stato maggiore generale (16). Le oscillazioni di MussÒlini, i sospiri di sollievo del capo di stato maggiore generale e dello stato maggiore dell'esercito dopo le direttive politico-strategiche del 22 agosto, interpretate dagli organi centrali come sospensione sine die dell'operazione e dal comando superiore dell'Albania come semplice rinvio, l'ambiguità della corrispondenza fra i vari organi di comando crearono un malinteso generale: il capo di stato maggiore generale e lo stato maggiore dell'esercito continuarono a predisporre l'esigenza « G », quasi per dovere di ufficio, con la convinzione che non sarebbe stata mai attuata anche perché mancavano le premesse politiche considerate irrinunziabili; il comando superiore dell'Albania rimase invece convinto, malgrado tutto, della immanenza e dell'imminenza dell'azione. La richiesta del 5 ottobre, del generale Visconti Frasca allo stato maggiore dell'esercito, per conoscere su quanti giorni avrebbe potuto presumibilmente contare fra l'eventuale preavviso e la data che sarebbe stata fissata per la attuazione del previsto schieramento operativo (17) , rimase tuttavia senza risposta. Dopo il colpo di Stato del generale Antonescu in Romania (4 ottobre) e l'invio da parte di Hitler di forze militari in tale regione per la difesa dei pozzi petroliferi, Mussolini, come abbiamo accennato, decise la guerra alla Grecia e ne informò, forse il giorno 12, il generale Soddu che ne informò a sua volta il generale Roatta. Il maresciallo Badoglio ne venne stranamente messo al corrente solamente il mattino del 13, perché sembra che il generale Soddu,
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sottosegretario di Stato alla guerra ed al tempo stesso sottocapo di stato maggiore generale, mentre si era preoccupato di avvertire subito il sottocapo di stato maggiore dell'esercito - il capo, maresciallo Graziani, era in Africa settentrionale - non aveva avuto modo, o non aveva ritenuto opportuno, di riferire la decisione al suo superiore diretto. Il mattino del 13, comunque, Mussolini convocò il maresciallo Badoglio ed il generale Roatta, comunicò loro che aveva deciso di agire contro la Grecia e chiese quante forze sarebbero state necessarie e quanto tempo sarebbe occorso per portarle a pie' d'opera. Entrambi risposero che sarebbero stati necessari « sino dal primo inizio della campagna, l'impiego contemporaneo di 20 divisioni» ed « un lasso di tempo di 3 mesi » dall'ordine esecutivo, in quanto le operazioni studiate fino ad allora prevedevano soltanto l'occupazione dell'Epiro e dell'isola di Corfù, e aggiunsero che sarebbe stato necessario compiere nuovi studi sullo argomento (18). Mussolini ordinò d'impartire le disposizioni del caso e di preparare il progetto operativo completo riservandosi la decisione se dare, in un primo tempo, corso alle sole azioni sull'Epiro e su Corfù per poi, perfezionata la preparazione e fatte affluire nuove forze, sviluppare l'attacco a fondo oppure fare un'operazione unica abbinando i due tempi. Il 13 ottobre il maresciallo Badoglio dette le disposizioni per l'attuazione delle misure per l'emergenza « G » ed il giorno 14 il generale Roatta fece altrettanto nei riguardi del comandante superiore delle truppe d'Albania, precisando che tutto avrebbe dovuto essere pronto per poter iniziare in Albania la prevista azione (esigenza « G ») alle ore zero del giorno 26 (19). Per il giorno 15 Mussolini indisse una riunione - alla quale parteciparono il ministro Ciano, il maresciallo Badoglio, il luogotenente Jacomoni, i generali Soddu, Roatta, Visconti Prasca - ed annunziò di aver preso la sua decisione: « offensiva in Epiro; osservazione e pressione su Salonicco e, in un secondo tempo, marcia su Atene» (20). Alla rinunione non vennero invitati i sottosegretari di Stato e capi di stato maggiore della marina e dell'aeronautica. Nessuno dei partecipanti all'improvvisato aeropago mosse obiezioni, ma tutti - chi parlò e chi tacque - accettarono le decisioni mussoliniane. Le eccezioni, anzi l'ostilità, vennero fuori il giorno dopo durante la riunione indetta dal capo di stato maggiore generale alla quale parteciparono i 3 capi di stato maggiore di forza armata. Il generale Roatta si espresse contro l'intera operazione - azione di primo tempo inclusa - stante l'insufficienza dell'organizzazione di comando e di quella logistica. Il capo di stato maggiore della
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marina, ammiraglio Domenico Cavagnari, qualificò come utopistico lo sbarco di 3 divisioni in una notte a Prevesa e precisò che per portare ad Arta le 3 divisioni sarebbe stato bene calcolare 3 mesi, insistendo nel pericolo che l'operazione contro la Grecia avrebbe potuto rappresentare per Taranto con riflessi negativi in fatto di strategia navale. Il capo di stato maggiore dell'aeronautica, generale Francesco Pricolo, dichiarò che per la data fissata non avrebbe poluto assicurare neanche il materiale schieramento delle unità sui campi di aviazione interessati, e che sarebbe occorso il differimento dell'offensiva di almeno una settimana. Il capo di stato maggiore generale promise di promuovere una nuova riunione collegiale presso Mussolini per il riesame del problema (21). Assente Mussolini da Roma, il maresciallo Badoglio andò dal ministro degli Esteri e gli riferì sulla possibilità di occupare solo l'Epiro, sulla necessità di dover sostare due mesi per fare affluire le forze necessarie per proseguire l'azione e gli rappresentò le opportunità che nel frattempo si sarebbero offerte alla Grecia ed all'Inghilterra di agfre sulle basi italiane. La sosta forzata del maresciallo Graziani a Sidi el Barrani - ~·ggiunse il maresciallo Badoglio - avrebbe consentito agli inglesi di disimpegnare un'aliquota della loro aviazione dall'Egitto. « L'eccellenza Ciano si è dimostrato preoccupato e mi ha assicurato che parlerà al Duce » fece scrivere il maresciallo nel diario storico del Comando Supremo, mentre il ministro Ciano annotò nel suo diario: « ascolto e non discuto. Affermo che sotto l'aspetto politico il momento è buono. La Grecia è isolata. La Turchia non si muoverà, la Jugoslavia nemmeno. I bulgari, se entreranno, saranno con noi. Militarmente non ho elementi di giudizio. Bisogna che Badoglio, quanto ha detto a me, lo dica senza riserve a Mussolini» (22). Sembra che il maresciallo Badoglio in privato avesse addirittura minacciato davanti ad altri le sue dimissioni qualora Mussolini non avesse tenuto conto dell'unanime parere contrario all'impresa espresso dai capi di stato maggiore. Ma al rientro di Mussolini a Roma, il maresciallo si lasciò convincere dal generale Soddu ad annullare la riunione dei capi di stato maggiore presso Mussolini; andò da solo da Mussolini; non diede le dimissioni; si fece confermare che l'azione in Epiro ed a Corfù doveva essere iniziata subito con le sole truppe in posto e con la riserva di sviluppare quella in profondità con le forze che nel frattempo sarebbero affluite sbarcando nel golfo di Arta; si accontentò del rinvio di 2 giorni - 28 anziché 26 ottobre - dell'inizio delle operazioni. Dopo tale colloquio gli ordini per la guerra si susseguirono senza più obie-
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zioni. Nel diramare il piano definitivo dell'operazione, il generale Roatta precisò che sarebbero stati avviati subito a Durazzo ed a Valona in ordine di precedenza reparti e materiali dell'aeronautica, reparti contraerei e gruppi di artiglieria alpina, 1 battaglione carri M 13, la divisione motorizzata Trieste ed 1 divisione da montagna, specificando che gli invii sarebbero stati ultimati entro la fine del mese ad eccezione di quello della divisione da montagna per il quale non era possibile fare previsioni. Aggiunse che nel frattempo sarebbero state approntate 1 o 2 divisioni da montagna, 1 o 2 divisioni alpine, 1 divisione di formazione (23). Il 24 il maresciallo Badoglio riepilogò in una riunione plenaria il piano di operazioni definitivo e decise che: l'occupazione di Corfù venisse effettuata solo se fosse stato possibile sbarcare in due punti e sempre che le condizioni del mare lo avessero consentito; l'occupazione di Cefalonia, progettata d'intesa tra gli stati maggiori dell'esercito e della marina, dovesse avere luogo in momento successivo; l'occupazione delle altre isole venisse rinviata sine die. Il mattino del giorno 28 le operazioni ebbero inizio sulla fronte aeroterrestre, mentre l'operazione Corfù dovette essere rinviata perché il capo di stato maggiore della marina dichiarò che le condizioni atmosferiche e del mare non la consentivano. L'atmosfera politica e militare nella quale si susseguirono tali vicende - alle quali si sommarono altre non meno allucinanti per le quali rimandiamo il lettore alla pubblicazione dell'ufficio storico sarebbe assolutamente irreale se non vi fossero a fotografarla i resoconti stenografici delle riunioni e gli originali delle comunicazioni, delle richieste, degli ordini e i diari storici. A parte le memorie, i diari ed i volumi dei singoli interessati - propensi, ciascuno, a tirare l'acqua al proprio mulino - la documentazione ufficiale è tale da togliere ogni dubbio alle scene irreali e kafkiane nelle quali i vari personaggi si mossero. Mussolini non fece che pendolare tra il sl ed il no dal settembre del 1939 al 12 ottobre del 1940, inducendo gli altri a credere che anche la decisione del 12 ottobre avrebbe potuto essere reversibile, mentre questa volta erano i motivi personali d'indignazione contro Hitler che gliela avrebbero fatta mantenere ferma al di là di ogni giustificata obiezione. Dichiarare la guerra alla Grecia per ripagare Hitler della stessa moneta e dichiararla senza averne valutato, confrontando le forze, le possibilità di successo, in un momento particolarmente sfavorevole - contemporaneo impegno in Africa settentrionale, avvenuta smobilitazione parziale nel luglio ed ampia smobilitazione in corso proprio nel mese di ottobre
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(600 mila uomini su 1 milione e centomila soldati alle armi), approssi marsi della stagione invernale (piogge, neve, gelo, fango) in zona montana aspra e povera di vie di comunicazione agibili - e malgrado la venuta meno delle premesse dell'impresa (l'aggancio del grosso dell'esercito ellenico alla frontiera bulgara e la sorpresa) fu, come dichiarò il ministro degli Esteri tedesco, una vera follia. Il Re Boris di Bulgaria il 18 ottobre aveva risposto a Mussolini di non essere nelle condizioni d'intraprendere un'azione annata contro In Grecia, ma solo di poter continuare a trattenere « une pattie considérable des forces des ses voisines ». La sorpresa era venuta ~, mancare fin dall'agosto quando aveva avuto inizio la mobilitazione dell'esercito greco, che perciò si mostrava deciso a difendere l'integrità del proprio territorio. Non possiamo dire con esattezza quanto influirono sulla decisione di Mussolini il ministro Ciano, il luogotenente J acomoni, il generale Soddu ed il generale Visconti Prasca - tutti favorevoli all'impresa - con l'insistere sull'irredentismo t:pirota e con il garantirgli l'avvenuto prezzolamento di taluni ambienti politici e militari greci, ma possiamo fondatamente supporre che il loro intervento sia stato senza dubbio deleterio e sia valso a rimuovere dalla mente del dittatore ogni incertezza e dubbio qualora ve ne fossero stati. Mussolini non pensò a che cosa sarebbe avvenuto se tutte le premesse politiche fossero venute meno, ma non vi pensò neppure il maresciallo Badoglio, che, conosciuta la risposta del re di Bulgaria, non ebbe nessun ripensamento e lasciò che le cose continuassero a marciare nel verso intrapreso. Superata l'atmosfera irreale del 13, 14, 15 ottobre, quando era ancora pensabile la reversibilità della decisione, il maresciallo Badoglio, dopo la riunione con i capi di stato maggiore di forza armata, avrebbe avuto il dovere di richiamare Mussolini alla realtà e, facendosi forte del concorde parere dei capi di stato maggiore, prospettare l'assurdità dell'impresa sotto il profilo tecnico-operativo per tutte le ragioni che egli, meglio e più di ogni altro, conosceva per essersene personalmente reso conto durante l'ispezione effettuata nel giugno del 1939. Di fronte ad un atteggiamento compatto dei vertici militari Mussolini si sarebbe venuto a trovare in una situazione di grossa difficoltà. Qualora egli fosse rimasto fermo nel suo intendimento e nel suo disegno di manovra, compresi modalità e tempi, H maresciallo Badoglio avrebbe potuto dare corpo alle dimissioni ventilate in altra sede; qualora Mussolini si fosse convinto della fondatezza delle obiezioni dei 4 capi di stato maggiore oppure qualora fosse stato persuaso che, malgrado tutto, un attacco cosi precipitoso e scarsamente consistente
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avrebbe potuto avere una qualche probabilità di successo soltanto ove fossero state valide le premesse e le garanzie politiche, il maresciallo Badoglio avrebbe dovuto chiedere esplicitamente quali fossero tali premesse e garanzie - due delle quali, le più importanti, non c'erano già più - e rappresentare che in assenza di esse si sarebbe andati certamente incontro ad un grave insuccesso. Al velleitarismo e dilettantismo di Mussolini fecero quindi buona compagnia la superficialità politico-strategica, l'insufficienza del senso di responsabilità personale operativa e tecnica e l'acquiescenza del capo di stato maggiore generale. Qualcosa di analogo si può dire anche nei riguardi degli altri vertici militari che accettarono la pericolosa avventura, della quale si fecero corresponsabili, nella piena consapevolezza dell'inconsistenza delle fondamenta tecnico operative sulle quali poggiava.
2. Le esigenze « E » (Jugoslavia) e « G » (Grecia) erano due ipotesi escludentisi a vicenda. La prima era stata sempre considerata prioritaria dallo stato maggiore che vi aveva dedicato particolare attenzione anche in ragione dell'entità delle forze che avrebbe impegnato. Per la seconda, che era stata considerata subordinata a presupposti politici apparsi sempre difficilmente realizzabili - Bulgaria favorevole o molto benevola, Ungheria benevola, Turchia neutrale - esistevano, come abbiamo detto, due progetti: il primo, del 1939, Guzzoni-Pariani per il quale era stato previsto l'impiego di 20 divisioni, il secondo elaborato dal generale Carlo Geloso nel luglio del 1940 e corretto dallo stato maggiore del1'esercito (10 o 11 divisioni). Premessa politica irrinunciabile del progetto Geloso era che la Grecia, sia pure suo malgrado, fosse consenziente alla invasione italiana o che, non consenziente, fosse impossibilitata a difendere l'Epiro con più di 3 divisioni, dovendo mantenere le altre vincolate alla frontiera macedone per l'atteggiamento minaccioso o addirittura nemico della Bulgaria. Diversamente dal progetto GuzzoniPariani, che prevedeva come scopo principale di recidere la Grecia dal resto dei Balcani e di occupare Corfù e le isole ionie, il progetto Geloso si basava su di un'azione limitata ad impedire alla flotta inglese l'utilizzazione delle basi di Corfù e della costa epirota. Nel settembre del 1940 lo stato maggiore aveva compilato il piano per l'emergenza « G », derivato dal progetto Geloso, che prevedeva la occupazione dell'Epiro settentrionale fino alla linea del fiume Arachtos
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(A rta) mediante l'impiego complessivo di 9 divisioni: 2 a difesa de] scuore Korça, 4 nell'offensiva su Arta, 1 per l'occupazione di Corfù, I per la copertura della frontiera albano-jugoslava, 1 in riserva genern lc. Il piano definitivo del 20 ottobre 1940 (24) previde che le operazioni contro la Grecia avvenissero in 2 tempi: occupazione J cll'Epiro e dell'isola di Corfù e minaccia verso Salonicco, marcia su Atene. L'azione sull'Epiro e lo sbarco a Corfù avrebbero dovuto essere contemporanei; l'occupazione dell'Epiro avrebbe dovuto essere estesa fino ad includere le posizioni dominanti da sud e da est il gallo di Arta; sulla frontiera del korciano si sarebbe assunto un Htteggiamento esclusivamente difensivo; l'avanzata dall'Epiro su Atene avrebbe dovuto svilupparsi lungo le direttrici Arta-Lamia-AtalantiTanagra e Agrinion-Messolounghion-Atene con inizio non appena .e.iunti a pie' d'opera i rinforzi sufficienti. Il maresciallo Badoglio approvò il piano dello stato maggiore dell'esercito - 6 divisioni in Epiro (Julia, Ferrara, Siena, Centauro, raggruppamento del litorale, PiemonLe), 1 divisione nel korciano (Parma), 2 verso la Jugoslavia (Venezia ed Arezzo) - ed essendo a conoscenza del rifiuto della Bulgaria a compromettersi manifestò l'opportunità di far sapere al comando superiore d'Albania di tenere sempre una divisione indietro, pronta a sostenere la divisione da lanciare verso la direttrice di Salonicco, e disimpegnarne un'altra dalla frontiera jugoslava, sostituendola con bande locali, e farla affluire a sud per avere in questo modo una riserva di 2 divisioni. Il disegno di manovra del generale Visconti Prasca stabili la avanzata della massa delle forze lungo l'asse Kalibaki-Gianina-Arta ed il blocco, con le restanti forze, del passo di Metsovo e dello sbocco sud dell'Epiro. Nel settore Epiro dovevano agire: il neocorpo d'armata della Ciamuria che avrebbe dovuto avanzare a difesa del nodo di Kalibaki e sviluppare due azioni per favorire il movimento, una avvolgente per la destra ed un'altra sussidiaria per la sinistra, completando e sfruttando il successo al nodo di Kalibaki in direzione di Gianina ed Arta; la divisione Julia con azione sul Pindo avrebbe dovuto raggiungere Metsovo ed occuparlo a difesa, coprendo, movimento durante, il fianco sinistro del corpo d'armata della Ciamuria mediante la progressiva occupazione dei passi del Pindo; un raggruppamento di formazione, operante lungo il litorale, avrebbe dovuto sboccare oltre il confine fra Konispoli ed il mare, superare il Kalamas e puntare su Prevesa, Luros ed Arta. Nel settore macedone doveva agire il XXVI corpo d'armata con i compiti di: assicurare le posizioni di confine mediante una difesa prevalente-
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OFFENSIVA INIZIALE ITALIANA {28 ottobre - 13 novembre 1940)
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111e11Lc attiva e dinamica; occupare e possibilmente mantenere i tratti cli sbocco offensivo; ingannare l'avversario simulando una azione off cnsiva contemporanea all'inizio delle operazioni in Epiro; difendcn: ad oltranza le posizioni di Mali e Thaete-Morova-Grammos preponderando sulle rotabili. La divisione Piemonte veniva assegnata nl XXVI corpo con vincolo di costituire riserva. Lungo la frontiera jugoslavo-albanese, delle 2 divisioni ivi schierate a difesa una doveva t rnsferirsi nel korciano (25). Il difetto maggiore di tale disegno di manovra, per altri versi indovinato, era che al generale Visconti Prasca mancavano le forze e l'organizzazione logistica necessarie per nttuarlo (26), oltre che l'organizzazione di comando per dirigerlo (27). Dopo 13 giorni dall'inizio, l'offensiva italiana - nonostante la tenacia, l'impegno e lo slancio delle unità - venne definitivamente arrestata senza che fossero stati raggiunti gli obiettivi. I ~reci, attaccando dai primi giorni il velo difensivo creato dal XXVI corpo d'armata italiano sulla fronte macedone, riuscirono ben presto a minacciare il fianco sinistro del corpo d'armata della Ciamuria. Di fronte a tale pericolo, il maresciallo Badoglio indirizzò al generale Visconti Prasca un messaggio perché facesse di tutto per tenersi fortemente ancorato nel settore korciano impiegando a tale scopo oltre le divisioni Parma e Piemonte (liberata dal vincolo), già in sito, anche la Venezia (in arrivo dalla frontiera con la Jugoslavia), la Bari (già destinata all'occupazione di Corfù ed allora in corso di sbarco in Albania) e la divisione Arezzo (in marcia per trasferirsj anch'essa dalla frontiera jugoslava a quella macedone). Il 9 novembre la situazione era la seguente: il corpo d'armata della Ciamuria, esaurita ogni capacità offensiva, era fermo davanti alle difese di Kalibaki ed era riuscito a costituire una sola testa di ponte sul basso corso del Kalamas; la Julia, a 50 Km in linea d'aria dal confine albanogreco, era semiaccerchiata e si batteva ancora sul Pindo con alle spalle il vuoto; il raggruppamento del litorale aveva raggiunto Igoumenitz - e là era fermo perché arrestato dal nemico - ; il XXVI corpo d'armata, attaccato il 1° novembre dalla IV brigata di fanteria e dalla 9" divisione greche, era stato costretto a ripiegare da molte posizioni iniziali ed era intento a dare vita ad un'organizzazione difensiva arretrata, ad occidente del Bilishti. Non appena fu chiaro il fallimento dell'offensiva, Mussolini nominò comandante superiore delle forze armate dell'Albania il generale Ubaldo Soddu - che si era offerto per assumere tale carica - in sostituzione del generale Visconti Prasca, preparò una nota per lo stato maggiore generale contenente le direttive per una
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CAP. XXXIV - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE SECONDA)
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nuova organizzazione di comando dello scacchiere e convocò per il I O novembre una riunione alla quale parteciparono il maresciallo Badoglio, l'ammiraglio Cavagnari ed i generali Pricolo e Roatta (28). Con la nota: dette ordine per la costituzione di un gruppo di armate comprendente la 9a armata alla quale veniva assegnato il settore dal Pindo al mare; fissò alla 9" armata un compito difensivo per lutto l'inverno, salvo il caso non prevedibile di un'azione concomitante della Bulgaria ed alla 11a armata il compito della ripresa offensiva in quanto il clima anche invernale lo permette; stabili che la 9a armata comprendesse le divisioni Piemonte, Arezzo, Parma e una divisione alpina di riserva sul fronte di Korça, e che l'Un armata comprendesse la Ferrara, la Centauro, la Siena, il raggruppamento del liLOrale e altre 4 divisioni più 2 di riserva. Questo approntamento di uomini e mezzi dev'essere fatto bruciando le tappe, onde impedire che la Gran Bretagna dia alla Grecia un aiuto efficiente, e soprattutto per ragioni di prestigio. Tutte le divisioni devono essere in Albania pronte all'impiego non più tardi del 5 dicembre. La nota prevedeva, inoltre, che in Puglia venissero dislocate altre 3 divisioni di riserva. Per l'azione militare aerea la nota stabiliva che due squadre aeree rinforzate - una in Albania ed una in Puglia - continuassero a bombardare la Grecia ed a proteggere l'Albania per mostrare alle popolazioni greche che il concorso dell'aviazione inglese è insufficiente o nullo e per disorganizzare la vita civile della Grecia, seminando il panico dovunque. Nella riunione del giorno 1O Mussolini fece il punto sulla situazione creatasi in Albania; riversò la colpa dell'accaduto sul luogotenente generale Jacomoni e sul generale Visconti Frasca che si erano dimostrati eccessivamente ottimisti; dispose che da allora in poi la divisione di fanteria di linea fosse di 3 reggimenti di 3 battaglion ciascuno « è mia convinzione profonda che, se la Julia avesse avuto un reggimento nel mezzo del suo schieramento, non avrebbe fatto quell'avanzata lineare che l'ha condotta a quel ripiegamento»; minimizzò l'insuccesso « veramente un insuccesso non c'è stato, perché i greci hanno avanzato di 5 Km verso il korciano ed hanno respinto la Julia, mentre noi abbiamo avanzato di 20-30 Km a cavallo del Kalamas »; commentò la nota preparata il giorno avanti; per prevenire le obiezioni circa la possibilità dell'avvio di altre 7 divisioni entro il 5 dicembre, richiamò l'esperienza dell'Africa orientale quando era stato possibile trasportare oltremare gli effettivi di 12 divisioni in 2 mesi, mentre si sarebbe trattato di portare in Albania in 25 giorni gli effettivi di 6 divisioni avendo a favore le brevità del tragitto, l'esperienza di trasporto acquisita
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nel passato, il concorso della flotta aerea per il trasporto del personale di completamento delle divisioni esistenti in Albania, dei carabinieri, delle guardie di finanza e dei rifornimenti urgenti (indumenti, munizioni, viveri). Questa volta il maresciallo Badoglio non ebbe peli sulla lingua e dette ai suoi interventi tono fermo e polemico. In primo luogo addossò esplicitamente a Mussolini la responsabilità dell'accaduto: « il 14 ottobre ci avete riuniti qui - me e Roatta - ed avete esposto il problema di quante truppe erano necessarie per attaccare la Grecia. Roatta ... dichiarò che occorrevano venti divisioni e tre mesi di tempo per metterle a pie' d'opera ... Voi avete approvato il nostro punto di vista e disposto che si iniziassero senz'altro i provvedimenti relativi... Ma poi il giorno dopo avete cambiato idea... prendeste la decisione di attaccare il 26 ottobre, data che - come è noto - venne portata poi al 28 ottobre. Abbiamo cercato di fare nel miglior modo tutto ciò che si poteva fare in quel lasso di tempo ... Non sono quindi responsabili di quanto accade né lo Stato Maggiore Generale né quello dell'Esercito ». In secondo luogo, dopo aver sottolineato di essere stato l'oppositore fierissimo della divisione su due reggimenti, fece notare che per attuare il provvedimento, oltre trasportare le 6 divisioni, avrebbero dovuto essere trasportati altri otto reggimenti di fanteria e otto gruppi di artiglieria e che, mentre nel 193} era stato possibile mandare molta roba in Africa utilizzando il naviglio disponibile, ora tali possibilità erano assai minori sia perché il naviglio era di meno sia perché il porto di Durazzo era infelicissimo. Chiese perciò di fare una riunione con la marina e l'esercito per « prendere minutamente in esame: truppe e mezzi da trasportare, disponibilità di piroscafi, possibilità di scarico, tanto a Valona che a Durazzo ... e poi venire a proporre ... l'esatto termine che ci occorre per attaccare la Grecia ». La riunione si concluse con l'intesa che non appena fosse stato compiuto uno studio coscienzioso - entro 2 o 3 giorni - dell'intero problema dei trasporti il capo di stato maggiore generale avrebbe riferito a Mussolini. Del nemico, durante la riunione, si parlò poco e in termini di ipotesi fragili o addirittura infondate. Mussolini, accennando alla situazione politica, dichiarò: « la Jugoslavia non si muove ... ; la Bulgaria è una spina nel fianco dei greci; la Russia non si muove e si avvicina a Berlino... ; la situazione dell'Inghilterra non è brillante ... resisterà ancora e ci darà del filo da torcere ... comunque deve soprattutto pensare a difendere la metropoli e l'Egitto ... ». Nei riguardi dei greci disse che erano in una fase di delusione e che la loro iniziativa era esaurita o stava esaurendosi e che, in ogni caso, non rappre-
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sentavano più un pericolo da tenere in considerazione esagerato. U maresciallo Badoglio fece osservare che i greci nel frattempo si sarebbero rafforzati con lavori per i quali hanno dimostrato una certa abilità e che occorreva tenere presente che le posizioni da attaccare erano naturalmente robuste e rafforzate ad arte. Il generale Roatta sollevò il problema del personale da richiamare - 100 mila uomini per far fronte al programma totale e mantenere le divisioni con una forza decente, proponendo che non fosse tratto dalla gente che abbiamo già mandato a casa da qualche giorno, proposta che Mussolini accolse. Dopo qualche giorno da quella riunione, i greci presero l'iniziativa delle operazioni e sferrarono la loro controffensiva cogliendo le forze italiane di sorpresa e in fase di ristrutturazione dell'articolazione di comando (29). La controffensiva ebbe buon gioco e le tappe iniziali salienti furono: l'aggiramento e la quasi distruzione della Julia, l'occupazione della conca di Erseke, l'erosione della fronte korciana e di quella epirota. La vastità dell'intera fronte, la discontinuità degli schieramenti italiani e la loro scarsa consistenza, la delusione profonda subita dai comandi e dalle truppe per il fallimento dell'offensiva, la mancanza di predisposizioni difensive alle spalle, i tamponamenti delle falle e i logoranti contrattacchi locali condotti da battaglioni di reggimenti vari frammischiati, le perdite di personale di armi e di materiali, la tenacia e la saldezza della azione nemica, lenta ma quasi continua, costrinsero le due armate italiane al ripiegamento. La 9" armata dové ripiegare inizialmente dal confine del fiume Devoli alle alture del Kamia; 1'11 a dalla linea raggiunta oltre confine (alta Vojussa - Kalibaki - fiume Kalamas Gomenica) dapprima al confine politico greco-albanese, poi sul fiume Pavia, quindi su linee successive naturali, infine sulle posizioni di Ciafa-Dardhes-Klisura-Tepeleni-Porto Palermo. Il 4 dicembre la 9" armata era ferma sulla dorsale del Kamia e del Kosnica-Bofnjes e 1'11,. continuava a ripiegare, fortemente premuta. Ai primi giorni di dicembre lo sviluppo dei combattimenti continuava ad essere sconfortante. Pogradec caduta, la saldatura fra le armate pericolante, continui cedimenti sui vari tratti della fronte a stento tamponati, clima oramai invernale, continuità della pressione nemica sulle alte valli dello Skumbi e del Devoli, nel settore dell'Osum ed a Premeti. A Roma era frattanto in corso la crisi dei rapporti tra Mussolini ed il maresciallo Badoglio. Mussolini si sentl perso, credé che non vi fosse più nulla da fare, interpretò come necessità di richiesta di armistizio un'ambigua frase detta dal generale Soddu per telefono al gene-
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SINTESI OPERATIVA (Periodo 14 nov. - 28 dic. 1940: Controffensiva Greca)
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raie Guzzoni - necessità di un intervento diplomatico per risolvere l'affare greco (30) - e disse al ministro Ciano che, nonostante fosse assurdo e grottesco, sarebbe stato necessario chiedere la tregua tramite Hitler (31). I rapporti tra Mussolini ed il marescia1lo Badoglio erano venuti deteriorandosi dopo la riunione del 1O novembre e si erano guastati dopo l'incontro del maresciallo con il maresciallo Keitel (31 bis) avvenuto ad Innsbruck il 14 ed il 15 novembre (32), durante il quale, sebbene non risulti da documenti ufficiali, sembra che il maresciallo Badoglio avesse declinato ogni responsabilità di quanto accaduto in Grecia ed in Albania addossandola interamente a Mussolini ed ai capi politici. Mussolini, che aveva cominciato a diffidare del maresciallo, messo a conoscenza da confidenze tedesche dei giudizi che il maresciallo avrebbe espresso ad Innsbruck, andò sulle furie, qualificò Badoglio di nemico del regime e di traditore (33) e decise di sostituirlo. Frattanto il 23 novembre era apparso su Il Regime Fascista un articolo di Farinacci che rivolgeva accuse di imprevidenza e di intempestività allo stato maggiore generale nella campagna di Grecia. Il maresciallo Badoglio preparò una lettera di protesta nella quale, ribadita la nessuna responsabilità del Comando Supremo negli avvenimenti di Grecia, proponeva o la ritrattazione da parte del giornale o le sue dimissioni dalla carica. Il 25 andò a rapporto da Mussolini e gli consegnò il testo della smentita che avrebbe voluto fosse pubblicata su Il Regime Fascista. Mussolini cercò di minimizzare la frase incriminata di Farinacci e si lamentò che fuori si parlasse dell'opposizione fatta dal maresciallo alla guerra contro la Grecia. Il mattino seguente il maresciallo Badoglio rassegnò le dimissioni (34), atto da considerare irrevocabile; Mussolini gli rappresentò le difficoltà della sostituzione ed il maresciallo gli suggerì di lasciare vacante la carica, di nominate un nuovo sottocapo al posto del generale Soddu, facendogli il nome del generale Pietro Pintor, di concedergli 7 giorni di licenza per dare tempo di prendere con calma le decisioni e gli prospettò la convenienza di nominare il sottosegretario alla Guerra, carica vacante dopo l'invio del generale Soddu in Albania, destinandovi il generale Guzzoni o il generale Monti. Mussolini concesse la licenza, il 29 novembre nominò il generale Guzzoni sottocapo di stato maggiore generale e sottosegretario di Stato alla guerra, il 30 convocò a palazzo Venezia il generale Cavallero e gli comunicò che aveva in animo di conferirgli la carica del maresciallo Badoglio, riservandosi di emanare il decreto al rientro dalla licenza del maresciallo Badoglio. Il 7 dicembre Mussolini ricevette il maresciallo Badoglio che, sembra,
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avesse nel frattempo manifestata la sua disponibilità a ntlrare le dimissioni, e lo mise in libertà, dopo un colloquio penoso per entrambi (35). Dopo avervi recitato la parte di protagonista per tanti anni, interpretandola ora con impegno ora passivamente, talvolta bene talaltra male, il maresciallo Badoglio uscì rumorosamente dalla scena militare, ma non da quella del Paese, nella quale rientrerà in veste di capo del governo il 25 luglio del 194 3. Quando il 4 dicembre il generale Guzzoni ricevé la telefonata del generale Soddu circa l'impossibilità di continuare le operazioni e la necessità di un intervento diplomatico, si recò da Mussolini per dirgli che, a suo parere, la crisi, grave che fosse, avrebbe potuto essere superata e che il punto di vista del generale Soddu era del tutto inaccettabile. Mussolini disse di ordinare al generale Soddu di contendere il terreno al nemico sino all'estremo, mandò a chiamare il generale Cavallero - che condivise il parere del generale Guzzoni - e lo invitò a partire immediatamente per l'Albania al fine di rendersi conto in loco della situazione e di riferirgli al rientro la sua valutazione. Nelle prime ore del pomeriggio del 4 il generale Cavallero giunse a Tirana, si incontrò con il generale Soddu, si fece illustrare la situazione, si recò ad Elbasan presso la 9a armata, la sera si affrettò a telefonare a Mussolini ed al ministro Ciano per ragguagliarli sulla situazione di fatto e cercare di tranquillizzarli. II giorno dopo visitò minutamente il porto di Durazzo, prese contatto con il nuovo intendente superiore, generale Antonio Scuero (36), telefonò nuovamente a Mussolini per assicurarlo circa le predisposizioni adottate dal generale Soddu per l'eventuale difesa di Valona e dell'Albania settentrionale. II 6 dicembre si recò nel settore dell'll a armata, a Tepeleni, per conferire con il generale Geloso e con il comandante del XXV corpo d'armata. Il giorno 7 rientrò ~ Roma e indisse subito due riunioni: una per il giorno 8 con Jo stato maggiore dell'esercito e ]'altra per il giorno 9 con i sottosegretari di Stato per le 3 forze armate, rappresentanti dello stato maggiore dell'esercito e con il capo di stato maggiore della milizia. Nelle due riunioni vennero concordati, tra l'altro, gli invii di aiuti immediati per mezzo di aerei, l'afflusso prioritario di 2 divisioni - l'Acqui e la Cuneense - da far sbarcare una a Valona e una a Durazzo entro 15 giorni, l'approntamento rapido di altre 4 divisioni - Cuneo, Legnano, Brennero, Lupi di Toscana - la raccolta di maone, la precettazione di portuali ed altri provvedimenti di carattere logistico estremamente urgenti. Prima che le misure adottate sortissero i loro effetti sarebbe naturalmente occorso tempo e intanto sarebbe stato assolutamente neces-
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sario resistere sulle posizioni raggiunte, senza più cedere terreno, ponendo fine alla manovra di ripiegamento e impostando una decisa manovra di arresto che salvaguardasse il mantenimento degli obiettivi strategici essenziali: Elbasan, Berat e Valona. Ma i greci, superiori numericamente, in grado di avvicendare in linea i reparti più provati, ordinati in salde compagini organiche, dotati di eccellenti artiglierie impiegate con perizia, meglio abituati al clima, sostenuti da una migliore organizzazione logistica e galvanizzati dai successi ottenuti, continuavano ad avanzare ordinatamente costringendo le unità italiane a nuovi ripiegamenti su posizioni sempre più addossate agli obiettivi strategici. A metà dicembre, nonostante l'arrivo dei complementi e ddle divisioni Cuneense e Acqui - peraltro ancora incomplete e dei primi espedienti escogitati per migliorare le condizioni morali e materiali delle unità, la situazione operativa si fece estremamente pericolosa e delicata. Lo stesso generale Cavallero, che per 14 giorni aveva seguito da vicino le vicende delle varie unità che continuavano a combattere e che, malgrado i continui arretramenti, riuscivano ancora, sebbene a stento, a mantenere la fronte, non si sentiva affatto sicuro di riuscire a costruire il muro necessario ad arrestare l'ondata greca. Non incline al pessimismo, anzi sempre fiducioso, pronto a minimizzare i fatti dolorosi e incresciosi agli occhi degli altri e, in particolare, di Mussolini, avvertiva in sé una profonda inquietudine che riusciva a malapena a nascondere, ma facendo forza a se stesso non volle perdere la speranza di riuscire nell'intento. Il nemico non desisteva, continuava ad attaccare in valle Tomorizza , nelle valli Osum e Vojussa verso Berat, nella valle del Dhrinos e sul Kurvelesh verso Valona. Elbasan era minacicata dalla direttrice dello Skumbi; la sua caduta avrebbe significato la separazione dell'Albania meridionale da quella settentrionale e l'occupazione da parte del nemico dei distretti più infidi; la caduta di Berat, raggiungibile lungo la direttrice del Vojussa, avrebbe significato l'occupazione nemica dei pozzi petroliferi di Devoli e la separazione della 9a dall'll a armata ; l'avanzata nemica lungo la direttrice del litorale avrebbe potuto raggiungere Valona, uno dei due polmoni del gruppo d'armate italiano, ed avrebbe potuto significare la Gran Bretagna sull'Adriatico. Il 19 dicembre il generale Soddu, nel prospettare telefonicamente la situazione a Mussolini, la dipinse ancora una volta con tinte foschissime: « le due armate prive di contatto tattico; la 9a armata costretta ad abbandonare la testata della valle Tomorizza ed a flettere la sua destra; 1'11 ", già in serie angustie per Klisura, posta all'improvviso di fronte al ripiegamento della Modena sul
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Kurvelesh e soprattutto al cedimento della Siena con il conseguente abbandono di Porto Palermo» (37). Mussolini ne rimase fortemente impressionato ed allarmato tanto da decidere, per la seconda volta, di rimettere tutto nelle mani di Hitler inviando subito il ministro Ciano in Germania e sospendendo la partenza del generale Cavallero per l'Albania in attesa della risposta di Hitler. Il generale Cavallero si oppose ai due intendimenti, chiese ed ottenne di partire, volò a Tirana, si recò dal comandante dell'll" armata, discusse la situazione con i generali Soddu e Geloso, ispezionò il porto e l'aeroporto di Valona e, infine, telefonò a Mussolini di soprassedere al viaggio del ministro Ciano in attesa dell'esito di alcuni contrattacchi locali che sarebbero stati effettuati nei giorni successivi. Dopo una riunione con il comandante superiore ed i comandanti di armata a Rrogozhine fissò per iscritto le risultanze dei colloqui ed inviò il documento anche a Mussolini: « il periodo di crisi... è superato con l'arrivo delle nuove unità inviate dall'Italia ... il Duce ordina perciò che si passi senza indugio all'offensiva, con precedenza al fronte ddl'll" armata, dove si sta svolgendo la battaglia per Valona; ... una sola norma di combattimento esiste: l'attacco; ... le infiltrazioni si combattono contrattaccando e in ogni caso tenendo fermo sul posto; ... nessun comandante sarà giustificato se avrà retroceduto dinanzi ad una infiltrazione ... » (38). Le parole del generale Cavallero - si trattava sostanzialmente di sole parole ed il generale lo sapeva produssero effetto soprattutto a Roma dove venne sospesa la partenza del ministro Ciano, ma la situazione sulla fronte rimase qual'era, anzi alla fine del mese, il giorno 30 - proprio il giorno in cui Mussolini sostituì lo sfiduciato generale Soddu con il generale Cavallero che, conservando la carica di capo di stato maggiore generale, assunse anche quella di comandante superiore delle forze d'Albania - essa si fece ancor più pesante. Il XXVI corpo continuava ad indietreggiare, il XXV era in estreme difficoltà sul Kurvelesh, il corpo d'armata speciale (39) costituito per un'azione offensiva sul litorale non era in grado di prendere slancio, l'VIII corpo perdeva il Qarista e Fratarit. Il muro non reggeva , gli mancava la solidità necessaria e continuava a subire crolli settoriali, difficili da rabberciare con la creazione di raccordi retrostanti, in seguito all'avvenuto addossamento al margine settentrionale della fascia montana che costituiva l'estremo sottile diaframma di separazione dalle zone strategiche. Gli attacchi ed i contrattacchi o non potevano essere sferrati perché nuove mosse dal nemico obbligavano ad un diverso impiego delle forze, o venivano prevenuti dal nemico e cadevano su formazioni in movimento
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offensivo, o fallivano perché urtavano contro schieramenti saldi e tenaci, o erano troppo precipitosi e insufficientemente organizzati, o affidati ad unità non ambientate, affrettatamente costituite, non addestrate e addirittura appena giunte dall'Italia. In altre parole, le esigenze prioritarie restavano l'irrobustimento del muto e il tamponamento delle falle per allontanate l'eventualità di un nuovo ripiegamento generale, mentre occorreva frattanto reimpossessarsi dell'ini:tiativa persa il 10 novembre. Per l'eventualità di un ulteriore ripiegamento generale il generale Cavallero predispose una nuova riparLi:tione delle forze tra i settori di Valona e dello Skumbini, l'organizzazione e la protezione dell'eventuale nuova ritirata, una nuova organizzazione di comando, uno schieramento difensivo a blocchi dei quali uno nel ridotto di Valona e un altro a protezione dell'Albania settentrionale. Per dare respiro a Valona, nel quadro di un'azione immediata che scansasse il pericolo del ripiegamento, confermò l'attuazione, appena possibile, di una nuova manovra già predisposta lungo il litorale che valesse, oltre che a liberare la costa dalla minaccia nemica, anche a sollevare il morale delle unità stanche e sfiduciate. In sintesi ordinò: la resistenza ad oltranza sulle posizioni di KalazeGuri Prer-testata Tomorizza-Cerevode-Klisura-Devrit-Mali Thait-Q. Drass-Himara; per il caso estremo: il ripiegamento settoriale sugli sbarramenti di Quqes, confluenza Devoli-Tomorizza, Shkroponi, Q. Qicokut, Tepeleni, Gusmara, Brataj, passo Logora; il concentramento delle divisioni in arrivo, in ordine di precedenza, a Valona, Berat, Elbasan; l'impiego di tali nuove unità in azione controffensiva partente dalla posizione di resistenza se questa avesse retto o dal tergo qualora si fosse stati costretti a ripiegare in precedenza sugli sbarramenti di Brataj e Qicokut. Circa l'azione controffensiva generale, da sviluppare in secondo tempo, dopo che ne fossero state poste le premesse - successo della battaglia difensiva in corso, completamento degli arrivi delle nuove grandi unità e dei complementi di quelle in sito, riassetto dello schieramento, riordinamento delle unità più provate, completamento delle dotazioni e delle scorte - il generale Cavallero ideò di svilupparla in due tempi: conquista del Korciano affidata alla 9" armata con obiettivo la conca di Korça e controllo del nodo di Bilishti; sfruttamento del successo affidato ad una nuova armata lungo la direttrice Korça-Erseke-ponte Perati-Kalibaki mediante una manovra d'impegno frontale da parte dell'll a armata ed una di avvolgimento dell'ala nemica da parte della nuova armata. Una manovra brillante, ma le cui premesse per essere valide avrebbero richiesto un periodo di tempo non inferiore ai 3-4 mesi (40).
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3.
Il I gennaio il generale Cavallero ordinò l'attuazione della prevista operazione offensiva a breve raggio sulla fronte dì Valona (41); il 2 dispose la costituzione di un nuovo corpo d'armata con il compito di contromanovrare nei riguardi delle provenienze nemiche dalle valli Tomorizza-Osum-Vojussa (42); il 9 dette il via alla ripresa dell'iniziativa nei settori di Valona e di Berat ( 4 3). Erano ordini che perseguivano fini ed obiettivi operativi limitati ma sostanziali e che, al tempo stesso, placavano le impazienze, le sollecitazioni e le pressioni che Mussolini esercitava perché il vento cambiasse direzione. L'azione sul litorale non poté avere luogo perché 1'8 gennaio i greci sferrarono l'offensiva per la conquista di Berat. Cadde Mali Topajanit; si tentò di riconquistarlo mediante un contrattacco della Lupi di T oscana, ma questo non sortì l'esito sperato. Cadde Klisura; le divisioni Julia e Bari giunsero frattanto al limite di rottura. Si resero necessari nuovi arretramenti nelle valli Tomorizza, Osum e Deshnizza che portarono la linea di contatto ad assumere un andamento sghembo formato da 3 salienti nemici (vertici al Tomori, al Mali Trepelit ed al Mali Trebeshines) che presentavano 3 fianchi estesi sulla sinistra delle unità italiane dei settori O sum, Deshnizza e Dhrinos-Zagorias. Il Comando Superiore valutò tale situazione fra le più delicate dallo inizio delle ostilità e ipotizzò un attacco generale da parte greca. I greci limitarono, invece, per il momento, i loro sforzi allo sfondamento su Mali Qarista. Mussolini da Roma sollecitò: « bisogna contrattaccare, rompere questo incantesimo che da 90 giorni ci fa perdere terreno di posizione in posizione. Così ci troveremo al mare · e non ci saranno più posizioni! I greci raggiungeranno lo Skumbi al quale tendono» (44). Mussolini continuava evidentemente a non rendersi conto della tenacia offensiva e della bravura dei greci, della inanità dei contrattacchi affidati a forze moralmente e tecnicamente impreparate, dell'insufficienza materiale, nonostante il miglioramento della situazione generale, dell'intero apparato militare. Il generale Cavallero, dopo la perdita di Klisura , orientò l'impiego delle forze disponibili al contrattacco nel settore di Berat, dispose che il previsto contrattacco d a Tepeleni in direzione di Klisura venisse attuato non appena pronto e le condizioni climatiche lo consentissero, lasciò in piedi le predisposizioni relative all'offensiva da Valona da eseguire al momento opportuno. L'offensiva greca venne contenuta e la contromanovra contro Klisura, durata 5 giorni d 'intensi e sanguinosi combattimenti, pur non raggiungendo l'obiettivo voluto, anzi concluden-
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dosi con un ripiegamento dalle posizioni della zona del monte Groppa, valse ad alleggerire la pressione nemica su Berat e costitul il primo ano reattivo che non lasciò indifferente il nemico. Verso la fine di gennaio i greci, infatti, rinuziarono per il momento a Berat e concen1r:trono le loro forze per un nuovo sforzo offensivo, questa volta in direzione di Tepe1eni, per tagliare il minaccioso saliente italiano a sbarramento delle valli Vojussa, Zagorias e Dhrinos, saliente che avrebbe potuto costituire un'ottima base di partenza per una nuova contromanovra italiana. Questa avrebbe potuto annullare tutti i vanIr,gp;i territoriali fino a<l allora conseguiti e compromettere pesanteinente l'intero schieramento greco. Da qui la convenienza per i greci di sospendere l'offensiva tra l'Osum ed il Vojussa su Berat, contenuta dagli italiani, e di passare ad eliminare il saliente tentando contemporaneamente la conquista di Tepeleni per aggiramento. Mentre era in corso di prepara:done la contromanovra su Klisura, Mussolini ed Hitler ebbero un nuovo incontro, il 19 e 20 gennaio, a Berchtt:sgaJen. Esso avvenne dopo che Mussolini, il giorno 14, si era incontrato a Foggia con i generali Cavallero, Vercellino e Ranza per essere messo bene al corrente della situazione in Albania, che avrebbe dovuto essere l'oggetto principale dei colloqui tra i due dittatori. Dell'incontro con Hitler Mussolini era preoccupatissimo; egli si sarebbe presentato con un bilancio spaventosamente negativo: in Africa settentrionale gli inglesi continuavano a mietere successi da 40 giorni; in Albania i greci da 70 giorni costringevano gli italiani a ripiegare; in Africa orientale dagli inizi del mese le truppe dell'impero britannico attaccavano da nord e da sud gli schieramenti italiani · obbligandoli a resistenze eroiche, ma senza speranza; 1'11 ed il 12 novembre una portaerei britannica aveva immobilizzato le navi da guerra alla fonda nel porto di Taranto ed il 27 novembre, nello scontro navale al largo del capo Teulada, la squadra italiana al comando delJ'ammiraglio Inigo Campioni - 2 corazzate, 6 incrociatori pesanti, 14 cacciatorpediniere - non era riuscita, anche a causa del tardivo intervento degli aerei italiani, ad impedire il transito da Gibilterra ad Alessandria di un convoglio inglese scortato da 1 incrociatore corazzato, 1 portaerei, 3 incrociatori e 8 cacciatorpediniere (navi alle quali si aggiunsero poi, provenienti da Alessandria, 1 corazzata, 3 incrociatori e vari caccia). Quale fosse l'animo di Mussolini alla vigilia di quell'incontro, lo descrisse il ministro Ciano nel suo diario, nel quale riportò, tra l'altro, le seguenti frasi testuali di Mussolini: « Non mi basterà il sangue che ho nelle vene per arrossire davanti ad Hit1er »; « Se qualcuno, il 15 ottobre, avesse previsto quanto
SINTESI OPERAT ( Gennaio-Febbra·IO ~V 41)A -
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dopo è in realtà accaduto, l'avrei fatto fucilare» (45). L'incontro si risolse principalmente in un lungo monologo di Hitler tendente :1d esaltare la potenza e l'efficienza del suo strumento bellico e ad illustrare il prossimo intervento tedesco nei Balcani. Il maresciallo Keitel offrì al generale Guzzoni un corpo d'armata di 30 mila uomini (2 divisioni da montagna) per l'Albania e forze corazzate per la Libia. Per l'Albania Guzzoni fece presente che al massimo il concorso 1cdesco avrebbe potuto essere di una divisione da montagna alleggerita, mentre per la Libia accettò quanto il maresciallo Badoglio aveva rifiutato nell'incontro di Innsbruck del 14-15 novembre 1940 e cioè l'invio di quello che sarà poi denominato Afrika Korps, il cui comand ante, generale Rommel, sbarcherà a Tripoli il 12 febbraio successivo. L'incontro, che sul piano formale fu corretto e cordiale e che si mantenne al livello di due potenze di pari dignità, nella sostanza significò l 'implicito riconoscimento dell'impotenza militare dell'Italia, l'implicita abdicazione nelle mani della Germania della direzione politico-strategica della guerra anche nel teatro operativo del Mediterraneo e l'aperto appello di soccorso nelle operazioni aereo-terrestri in Libia. Sia Hitler sia Mussolini, nonostante le reciproche simulazioni, ebbero fermo il convincimento che da allora in poi non sarebbero state più possibili per l'Italia, neppure sul solo piano tecnicomilitare , mosse autonome non approvate preventivamente dalle Germania sin nei particolari d'impostazione e di condotta. La decisione della Germania d'intervenire nei Balcani, favorita dall'entrata della Bulgaria nel Patto Tripartito avvenuta il 3 gennaio, se da un lato fu di sollievo per Mussolini, dall'altro acuì la sua sofferenza morale in vista della figura che l'Italia avrebbe fatto davanti agli alleati, ai nemici ed a tutto il mondo per non essete stata capace di battere da sola una piccola nazione come la Grecia. Da quel momento il pensiero di porre fine alla lunga battaglia di logoramento in Albania e di passare ad ogni costo alla controffensiva prima dell'intervento tedesco nello scacchiere divenne imperativo ~ategorico, per cui il dialogo Mussolini-Cavallero divenne sempre più concitato e nervoso. Non che il generale Cavallero la pensasse diversamente - chi più di lui avrebbe avuto interesse a conquistare da solo il successo? - ma l'esigenza di fare presto per fare da soli andava armonizzata con quella di fare bene e questa, a sua volta, era subordinata all'arresto definitivo del nemico non ancora conseguito, al riordinamento delle grandi unità in loco ed all'arrivo delle altre, promesse ma non ancora giunte, alla messa a punto del supporto logistico ancora carente e disordinato. Da parte loro i
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greci, che nello stesso periodo stavano contrattando l 'intervento di forze inglesi in loro ausilio, non vollero alleggerire la fronte per trasferire forze sulla frontiera orientale ormai chiaramente minacciata dai tedeschi e dagli stessi bulgari nella speranza che l 'Inghilterra, la Jugoslavia e la Turchia dessero loro una mano meno sfuggente.
4. L'azione di contenimento e di arresto dell'affensiva greca per Berat aveva fortemente impegnato e logorato nell'ultima decade di gennaio l'lla armata. L'azione era stata condotta mediante il frequente ricorso a contrattacchi che resero ancora più pesante il bilancio delle perdite e più difficile il riordinamento delle unità al quale il generale Cavallero aveva dato l 'avvio in vista della grande controffensiva ideata per il marzo-aprile. Erano andate perdute, riconquistate e riperdute molte posizioni tra le quali, d'importanza vitale, la q. 1308 del Mali Trebeshines . Il IV e l'VIII corpo d'armata si erano battuti tenacemente, nonostante i cedimenti di alcune unità ed il fallimento di molti contrattacchi. L'azione su Klisura - sviluppata dal Groppa e dal Brezhanit da parte del XXV corpo d'armata allo scopo di alleggerire la pressione nemica su Berat interrompendo la linea di comunicazione valle Vojussa - valle Deshnizza si era scontrata con reazioni immediate e violente e non aveva raggiunto gli obiettivi assegnati. Anche i greci, però, non erano riusciti, come abbiamo già ricordato, a sfondare irrimediabilmente la fronte e non avevano conquistato Berat, obiettivo al quale rinunziarono senza per questo abbandonare l'iniziativa, che trasferirono dalla zona fra Osum e Vojussa a quella del Trebeshines e Arze con lo scopo di impossessarsi dello Shendeli, di aprirsi la strada della valle Luf tinja e di cadere alle spalle della difesa di Tepeleni. « Il 13 febbraio ebbe inizio la battaglia per la conquista di Tepeleni, che in due fasi separate da momentanea stasi si protrasse fino a metà marzo confondendosi con l'inizio della controffensiva italiana in val Deshnizza » (46). La prima fase, asprissima e sanguinosissima da entrambe le parti, fu imperniata dai greci sulle posizioni del Golico e dello Shendeli e fu caratterizzata dall'alternarsi di atti tattici e di episodi simili per la loro durezza a quelli delle battaglie della prima guerra mondiale. I greci non riuscirono ad aggi-
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da nord T epeleni e neppure a sfondare verso sud salendo sullo Sl1cndcli. Conseguirono indubbi successi tattici, ma non raggiunsero l'obiettivo strategico. Il loro tentativo di scendere dal Trebeshines 1111 Mezgoranit fu sventato dalla difesa, la loro azione in val Zagorias w nnc arrestata, la temporanea occupazione della q. 1192 sul costone t Iil: dal Golico scende su Pesclani non dette risultati ed a poco valsero, sul piano dell'intera manovra, l'investimento del fianco 11l'il:ntale della montagna ed i numerosi tentativi di infiltrazione. « I .'attacco a fondo condotto su ristretto tratto d'investimento era l'lnto arrestato grazie all'accanita resistenza del XXV corpo ed al :.. aggio impiego delle artiglierie del XXV e dell'VIII corpo che avevano :,n iamente ostacolato ogni movimento della regione delle Arze e quindi lo sviluppo della manovra. Il dominio sempre esercitato in valle Mezgoranit aveva impedito l'alimentazione dell'attacco allo Shendeli da Klisura; la stretta cooperazione infine dell'VIII e del I V corpo aveva tenuto avvinto l'avversario sotto la minaccia di una contromossa nei riguardi del fianco destro delle unità operanti nel Trebeshines » (47). La seconda fase si sviluppò tra la fine di rebbraio e la metà di marzo ed ebbe un corso non meno dramma' ico e cruento, in particolare nel settore del XXV corpo d'armata italiano in corrispondenza dei settori delle divisioni ]ulia e Ferrara. I greci, dopo vari sforzi locali limitati, attaccarono in forze il Golico e conquistarono la q. 1615, fecero cadere la q. 14 3 7 dello sperone orientale dello Shendeli e la q. 739 in val Vojussa, misero in grande crisi il settore più delicato della posizione di resistenza italiana, ma le quote vennero riconquistate. Il nemico non concesse tregua: reiterò i tentativi di rottura e, pur di procedere ad ogni costo in qualunque punto, riprese i suoi sforzi sul Beshishit, sullo Shendeli-Beshishit e sul Golico, rinnovò l'attacco concentrandolo sull'alto per scardinare i pilastri della stretta di Dragati ; si ributtò contro il Besbishit e la quota 1615 del Golico; mutò successivamente direzione puntando lungo il solo versante destro della valle Vojussa, a mezza costa e verso il basso, per isolare le difese dell'alto. Riuscì a far cadere la spalla sinistra dello sbarramento di fondo valle e tentò d'insinuarsi su Dragati, ma alla fine dovette arrestarsi perché aveva oramai esaurita del tutto la sua capacità offensiva. La difesa italiana, fattasi reattiva fin dal gennaio, era ora tragica; la disperata battaglia difensiva condotta dal dicembre in poi diventava più consistente e solida, non cedeva più ist.mtaneamente ed inopinatamente anche davanti a semplici infiltrazioni e teneva duro nonostante la povertà dei mezzi, le condizioni climatiche al 111 Il'
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limite della sopportabilità umana, l'impraticabilità delle vie di comunicazione, le continue interruzioni di queste causate dalle piene improvvise dei corsi d'acqua e dalle offese terrestri ed aeree del nemico. Non che mancassero tuttallora cedimenti e colpi falliti - dovuti quasi sempre, sia nella battaglia per Berat che in quella per Tepeleni, all'impiego prematuro di unità appena giunte dalla Italia e di unità non riordinate, con forza effettiva irrisoria, duramente provate dalla lunga permanenza in linea, decimate dal fuoco e dal gelo - ma la macchina tattico-logistica italiana aveva cominciato a funzionare e la capacità difensiva ad assumere valori di assoluto rispetto. Il vento non aveva ancora cambiato direzione come avrebbero voluto Mussolini, il generale Cavallero e i comandanti di settore, ma il muto si era fatto più solido ed elastico e il pericolo che franasse meno immanente. La difesa sulla fronte di entrambe le armate era stata impostata sulla volontà decisa di resistere ad oltranza sulle posizioni presidiate e di reagire localmente e settorialmente con i contrassalti ed i contrattacchi. Sebbene questi spesso si fossero conclusi in perdita, erano nel loro insieme valsi e logorare anche l'attaccante, a renderne più cauta e lenta la iniziativa, ad affievolirne le speranze di un successo strategico più volte tentato, mai saputo o potuto conseguire. Molte reazioni di movimento erano state pagate a prezzo altissimo, ma nonostante le inflessioni, i cedimenti ed i colpi falliti, la fronte aveva conservato la sua continuità e finalmente contro di essa s'infranse definjtivamente, nel marzo, l'ultimo poderoso colpo dei greci. La lotta, nel pericolo costante di un rovescio definitivo, si concluse con il successo; Valona, Tepeleni, Betat - i tre obiettivi strategici per il cui raggiungimento i greci si erano battuti con bravura e valore dal 10 dicembre - rimasero in mano italiana. Artefici della vittoria difensiva furono le qualità e le virtù dei capi e dei gregari - la grande maggioranza - che seppero superare nella lunga notte da tregenda, l'avvilimento morale e l'abbrutimento fisico nei quali erano stati gettati dall'insania politica e strategica di chi aveva deciso la guerra contro la Grecia e di chi se ne era fatto mallevadore. I cedimenti, gli sbandamenti, gli episodi di vero e proprio panico - originati quasi sempre dall'insufficienza organica, dall'impreparazione addestrativa, dalla intempestività d'impiego, dal disordine e frammischiamento ordinativi ed organici - dei quali erano state protagoniste grandi e minori unità, erano dunque state minacciose nuvole di tempesta che avevano oscurato a lungo il cielo, ma non avevano prodotto l 'uragano devastatore che e ra stato lecito presagire.
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Pochi eserciti al mondo avrebbero saputo superare le stesse prove morali e fisiche in contingenze eguali o simili. Artefice della vittoria difensiva fu altresì il generale Cavallero - bene coadiuvato dal suo stato maggiore locale, dai comandanti di armata e, in particolare, dal generale Geloso, dall'intendente e dalla gran parte dei comandanti del1e grandi unità - che seppe vincere sé stesso, eliminando l'iniziale diffidenza che lo circondava, guadagnandosi rapidamente la stima di tutti, trasfondendo negli altri la fiducia e la speranza anche nei momenti in cui tutto sembrava perduto, operando in ogni settore, Ja quello del morale a quello della logistica, da quello dell'elaborazione dei disegni di manovra a quello della condotta delle operazioni, destreggiandosi tra i rimbrotti, le impazienze, gli ordini di Mussolini e la realtà delle situazioni, con grande intelligenza, sensibilità, lucidità professionale, fermezza, coraggio morale e fisico, abilità diplomatica. Gli si possono rimproverare alcuni momenti d'incertezza nella condotta delle azioni controffensive dell'ultimo periodo della campagna e alcuni cedimenti alle volontà di Mussolini - più gravi saranno quelli ai quali si lascerà andare dopo la campagna di Grecia - ma è difficile immaginare che un altro al suo posto avrebbe potuto fare di più e meglio. Il rovesciamento della situazione iniziale determinatosi a marzo in seguito alla maggiore disponibilità di forze (48) ed alla migliore organizzazione logistica (49) fu il risultato di previsioni strategiche e di concezioni tattiche illuminate, oltre che di lavoro incessante, insistente ed intelligente per ottenere dagli organi centrali, dei quali era il capo ma sui quali non poteva di fatto esercitare un'azione di comando diretta, quanto egli aveva giudicato fin quasi dal primo momento indispensabile al successo difensivo ed alla ripresa offensiva. Nei riguardi di quest'ultima peccò per difetto prevedendo tempi troppo ristretti e accondiscendendo ad ordini per la cui esecuzione le premesse non erano maturate; ma non va dimenticato che vi fu costretto dalla necessità di riprendere l'iniziativa prima dell'intervento tedesco (il 2 marzo le truppe tedesche erano entrate in Bulgaria) e all'improvviso ed inaspettato mutamento politico in Jugoslavia.
5. La controffensiva italiana in val Deshnizza, impostata inizialmente quale operazione di concorso all'arresto dell'offensiva greca su T epeleni ed ampliata successivamente alla ricerca di un risultato
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strategico, ebbe inizio il 9 marzo e interessò in misura diversa l'VIII, il IV ed il XXV corpo d'armata. Le varie direttive - che il generale Cavallero aveva emanato fin dal mese di febbraio per un'azione offensiva prima nella regione delle Arze (50), poi a cavaliere della rotabile della valle Deshnizza con obiettivo la zona di Suka da cui sviluppare ulteriormente in caso favorevole la penetrazione su Klisura o sul Qarista e Fratarit (51) - vennero completandosi per approssimazioni successive (52). Il concetto operativo rimase così fissato: rompere la fronte nemica a cavallo di val Desnizza con primo obiettivo Suka, secondo obiettivo Klisura; proteggere i fianchi al blocco operante in tale direzione con contemporanee azioni, ad oriente nella regione dei Mali e ad occidente dallo Shendeli verso la dorsale del Trebeshines; recidere in pari tempo le comunicazioni delle truppe nemiche operanti sull'alto (53). L'azione rimase affidata al IV corpo d'armata (Cacciatori delle lllpi, Pusteria), allo VIII corpo d'armata (Pinerolo, Cagliari, Puglie, Bari) ed al XXV (Sforzesca, Julia, raggruppamenlo camicie nere Galbiati, gruppo alpino Pizzi, 2° bersaglieri rinforzato). La riserva della 11" armata venne costituita su 2 divisioni (Siena e Legnano), mentre la divisione Centauro rimase in riserva del comando superiore. L'll" armata venne altresì rinforzata con 6 gruppi di artiglieria pesante campale e pesante appena sbarcati. In previsione dell'azione, il 2 marzo giunse a Tirana Mussolini che dal giorno 2 al giorno 8 visitò i 4 corpi d'armata dell'll"' armata (IV, VIII, XXV e corpo d'armata speciale), le divisioni in riserva e il dispositivo logistico. Durante la visita venne edotto della concezione e dell'organizzazione dell'operazione e delle singole manovre in cui avrebbe dovuto articolarsi; parlò con tutti i comandanti di grande unità interessati; approvò tutto quanto era stato concretato e senza troppo badare alle difficoltà ed alle deficienze che gli vennero a mano a mano rappresentate; concesse la dilazione dell'inizio al giorno 9, sentenziando: « Questa azfone ha grande importanza. Non deve essere iniziata se tutto non è a pie' d'opera. Bisogna sistemare uomini, mezzi e servizi in modo che l'azione, una volta iniziata, non abbia incertezze e proceda con ritmo energico e decisivo » (54). « Si ... mostrò molto, forse troppo, soddisfatto e ... manifestò, come era nel suo carattere impulsivo, grande fiducia in un esito grandioso» (55). La mattina del 9 si portò all'osservatorio del monte Komarit da dove, anche nei giorni successivi, seguì l'azione. Dopo alcuni promettenti successi iniziali ottenuti nell'eliminazione delle avanstrutture della difesa, le colonne di attacco vennero prima o poi quasi tutte arrestate
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L'OFFENSIVA ITALIANA DEL MARZO 1941
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in corrispondenza della posizione di resistenza nemica. L'indomani l'azione venne ripresa - il IV corpo attaccò sullo Spadarit e Bregu Gliulei; l'VIII la q. 1260 del Trebeshines; il XXV la q. 1308 continuando la pressione contro Chiaf Mezgoranit - ma, eccezion fatta per la divisione Pinerolo che migliorò la penetrazione verso Chiaf e Lusit, le altre grandi unità non ottennero progressi di sorta. Il maLtino dell' ll l'attacco venne ripreso dalla sola Puglie; nel pomeriggio tutte le divisioni in prima schiera rinnovarono i loro sforzi, ma la situazione rimase immutata. La battaglia assunse tutte le caratteristiche delle operazioni di logoramento della prima guerra mondiale. I nuovi tentativi dei giorni 12 e 13 diretti a sfondare in Lratti diversi da quelli dei giorni precedenti, nonostante il nutrito fuoco di appoggio dell'artiglieria e dell'aviazione, fallirono di fronte alJa tenace resistenza opposta da un nemico molto attivo anche nelle reazioni di movimento. Lo stesso Mussolini, deluso ed amareggiato, dopo 5 giorni di durissimi combattimenti senza successo, ordinò la sospensione Jell 'azionc perché venissero riesaminati gli intendimenti d i manovra, rivisto il dispositivo, riordinate le unità, dato impulso all'attività di miglioramento difensivo delle posizioni conquistate e Jegli sbocchi per la ripresa degli attacchi. Il generale Cavallero avrebbe voluto spostare l'asse di sviluppo dalla valle Deshnizza al li torale, secondo il vecchio progetto rimasto sempre in piedi, ma mai potuto attuare. Mussolini scartò la proposta e ordinò di proseguire gli sforzi intrapresi nella considerazione che « l'unica zona, sulla fronte dell' l la armata, dove il nostro successo può avere un nome è quella di Klisura. Se raggiungiamo questo obiettivo, si avrà il crollo del morale greco. Gli obiettivi sono, dunque: tenere Tepeleni a qualunque costo; raggiungere a qualunque costo Klisura. L'operazione sul fronte di Valona sarebbe oggi costosa, tanto più che il nemico vi ha accresciuta la sua difesa, ed imporrebbe uno sforzo superiore a quello previsto in passato; perciò possiamo dispensarci dal considerarla e mantenerci quindi sulla difesa. Abbiamo fatto il muro che il generale Cavallero è riuscito a costituire; abbiamo scelto una direzione, convinti che il giorno che si sapesse che abbiamo conquistato KJisura l'esercito greco mollerà. Credo che ormai i greci abbiano rinunciato ai due settori estremi di Korça e <li Valona. Occorre impegnarli sul binomio Klisura-Tepeleni. La situazione di Tepeleni è precaria. Però Tepeleni si difende anche agendo su Klisura . Quindi: insistere sull'azione Klisura-Tepeleni e concentrare tutto sui corpi d'armata IV, VIII e XXV ... Quanto alle forze disponibili sul fronte dell'VIII corpo d 'armata, restano dunque in linea:
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Bari, Cagliari, Pinerolo. Sono a portata: Siena, Puglie e Piemonte. Sono in arrivo, come riserve del comando superiore: Casale e Firenze ... » (56). Il giorno 19 il generale Cavallero emanò le nuove diretti ve per la ripresa della controffensiva dopo una breve sosta che doveva servire per completare il riordino delle unità, schierare le nuove artiglierie in arrivo dall'Italia, completare l'afflusso delle due nuove divisioni. La nuova azione mantenne lo scopo della precedente: puntare decisamente sull'obiettivo di Klisura e dare il più largo respiro al settore di T epeleni tendendo in primo tempo a recidere il saliente dello Shendeli (51). Circa le modalità d'azione il generale Cavallero non mutò sostanzialmente nulla rispetto alle precedenti ad eccezione della previsione di un'azione a fondo per la linea dei Mali da condurre con forze in posto, con la Cuneense , appositamente assegnata, e con il rinforzo della divisione Casale del XXV corpo d'armata. Il giorno 20 Mussolini tenne un nuovo rapporto ai comandanti interessati alla ripresa della controffensiva, comunicò loro l'adesione della Jugoslavia al patto Tripartito, lamentò che dall'azione dei giorni 9-13 non si fosse raccolto neppure un solo successo tattico, invitò i presenti ad esaminare il qualcosa che non era andato (« otto reggimenti che non riescono ad incidere il dispositivo avversario pongono un problema le cui determinanti possono consistere nel fuoco d'artiglieria, nella deficienza di addesLramento, in particolari tecnici da rivedere, in difficoltà di terreno, difficoltà provenienti dal fuoco di Trebescines prima non previste ») e precisò che l'attacco avrebbe dovuto essere ripreso prima che sia sparato un solo colpo di cannone da parte tedesca (58). Il giorno 26, dopo avere avuto notizia che molto probabilmente il 1° aprile i tedeschi avrebbero dato inizio alla operazione Marita, il generale Cavallero fissò per il 31 marzo la data d'inizio della ripresa controffensiva impostata su due spallate risolutive contro lo Spadarit e sui Mali e su un'azione offensiva verso Korça dal settore di Pogradec. Questa ultima azione, affidata alla 9" armata, avrebbe dovuto aver luogo fra una decina di giorni ed il suo obiettivo avrebbe dovuto essere Bilishti. Il giorno dopo la notizia del colpo di Stato in Jugoslavia - fuga del reggente ed arresto dei ministri firmatari del patto Tripartito - fece mutare i piani tedeschi ed italiani. Gli avvenimenti presero un corso diverso da quello ipotizzato; l 'offensiva non poté più avere luogo sia per la sottrazione delle forze che dovettero essere destinate alla frontiera albanese-jugoslava, sia per la precedenza da dare alle operazioni contro la Jugoslavia ri spetto a quelle contro la Grecia.
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In attesa di un chiarimento della situazione politica in Jugoslavia, il generale Cavallero adottò subito alcuni provvedimenti di carattere precauzionale dei quali dette immediata comunicazione a Mussolini che li approvò. Senza interrompere del tutto i preparativi dell'offensiva e senza diminuire la vigilanza del settore Tepeleni: fece ripristinare e completare d'urgenza i caposaldi di Librazhd, Zyozhde e Strebilova; trasferì a Tirana il comando del XIV corpo d'armata appena costituito per affidargli la difesa antijugoslava dal mare fino alla linea dei caposaldi suddetti prendendo alle dipendenze la Centauro, la Firenze, il reggimento di cavalleria Milano ed il raggruppamento della milizia forestale Agostini; affidò alla 9" armata il controllo del tratto di frontiera in corrispondenza del lago Ohrida e ordinò all'll" armata di predisporre l'autotrasporto della Puglie. In merito all'azione offensiva, dispose che la 9" armata si tenesse pronta ad effettuarla, qualora i tedeschi avessero deciso di muoversi, in una direzione che fosse favorevole al suo sviluppo, e ordinò che 1'11" armata sospendesse l'azione in approntamento e si tenesse pronta ad attaccare nel settore di Berat a difesa di Tepeleni solo se i greci - com'egli pensava - avessero sferrato un nuovo urto per la conquista di TepelenL Frattanto Hitler fece conoscere a Mussolini i suoi intendimenti che consistevano: nell'occupazione di Salonicco e nell'eliminazione di ogni contatto terrestre fra Jugoslavia e Grecia; in un'azione offensiva concentrica su Belgrado per annientare la Jugoslavia; neJJa successiva offensiva contro la Grecia fino al Peloponneso. L'Italia, da parte sua, avrebbe dovuto, secondo gli intendimenti tedeschi: sferrare un'offensiva dalla fronte giulia con obiettivo Spalato ed un'altra a raggio più modesto dall'Albania verso Skoplje per alleggerire l'analogo sforzo tedesco dalla Bulgaria; operare per mare per distruggere la flotta jugoslava; riprendere l'offensiva contro la Grecia soltanto dal momento in cui essa, in seguito all'annientamento della Jugoslavia, avrebbe dato la certezza di poter giungere al Peloponneso in contemporaneità con la 12" armata tedesca del generale List. La linea di separazione fra forze italiane e tedesche sarebbe stata segnata dalla catena del Pindo. Il comando supremo italiano aderì al piano tedesco, pur sottolineando che l'operazione dalla fronte giulia avrebbe avuto bisogno di qualche tempo per l'effettuazione della radunata delle forze occorrenti e che l'operazione dall'Albania su Skoplje sarebbe stata assai problematica sicché sarebbe stato meglio che fossero i tedeschi a giungere a Skoplje per puntare subito dopo su Dibra. In conclusione le forze italiane in Albania avrebbero assunto nei riguardi della Jugoslavia
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un atteggiamento prevalentemente difensivo. Al capo della missione tedesca giunto in Albania per esporre particolareggiatamente il piano tedesco e per conoscere quello italiano il generale Cavallero rispose che per la difesa della frontiera albanese-jugoslava non esistevano preoccupazioni di sorta, che non gli era possibile fare di più per la persistente pericolosità della situazione nel settore di Tepeleni, località che egli intendeva salvaguardare a qualunque costo , e che, per questi motivi , non poteva sottrarre altre forze, anzi non era più in condizioni di sviluppare un'azione importante da Berat per alleggerire la pressione su Tepeleni (59). Alla base dell'azione difensiva nel settore del XVII corpo d'armata il pensiero del generale Cavallero fu di tenere la zona di Scutari, resistere nel Kossovo e nella regione di Pishkopije (linea del Drin) , sbarrare gli accessi dal Dibrano ai bacini de11o Skumbi e dell'Arzen (60) . Il 6 aprile la Germania dette inizio all'invasione dei Balcani; la Jugoslavia venne sopraffatta in 13 giorni . La Grecia, che tanto aveva sperato dal 26 marzo sul concorso jugoslavo, si sentì isolata e abbandonata dagli stessi inglesi, il cui corpo di spedizione, dopo l'entrata dei tedeschi nella Macedonia orientale ed in Tracia, venne a trovarsi seriamente minacciato e fu costretto ben presto a ripiegare fino alle Termopili. Sulla fronte del XVII corpo d'armata italiano - fronte settentrionale - il tentativo offensivo jugoslavo, per la tenace resistenza italiana, falll senza ottenere un qualsiasi risultato. Le forze italiane, il giorno 15, iniziarono ad avanzare su due colonne verso le bocche di Cattaro e Ragusa senza incontrare rilevanti resistenze, solo attardate dalle interruzioni dei ponti. Il 17 , nella tarda mattinata, vennero occupate Cattaro e Cetinje e nel primo pomeriggio Ragusa. Sulla fronte del XIV corpo - fronte orientale - le unità italiane, inizialmente schierate a difesa della inviolabilità del Drin per guardare le vie su Tirana, il giorno 9 avanzarono, su 2 colonne, verso la conca di Dibra e di Struga, mentre contemporaneamente provvidero a rimaneggiare lo schieramento difensivo nd tre settori della 9" armata. I tedeschi sollecitarono gli italiani perché andassero loro incontro verso la zona di Skoplje e Mussolini, invasato da eurofia, telefonò al generale Cavallero che le divisioni tedesche erano giunte a Prilep ed a 3 chilometri da Salonicco e che andava accolta la loro proposta di un'azione italiana verso Kicevo in modo che forze jugoslave non potessero sfuggire verso la regione dei laghi. Con una telefonata successiva comunicò: « Salonicco è presa; le divisioni greche si sono arrese; gli ungheresi sono arrivati a Maribor: sotto! » (61). Il generale Cavallero rispose che si stava attaccando
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nel Dibrano, ma non v'erano né gli elementi né la velocità per agire in profondità, che si doveva tenere una fronte di 600 chilometri, che si stava delineando l'attacco nemico su Scutari e che intendeva salvaguardare Scutari e Tepeleni. Le due colonne che si erano mosse verso la conca di Dibra e di Struga procedettero molto lentamente anche per le pessime condizioni climatiche e metereologiche, oltreché per la carenza di collegamenti e per le deficienze derivanti dalla affrettata organizzazione. Il brusco trapasso dallo schieramento difensivo a quello offensivo e il mancato collegamento tattico fra i vari comandi influirono molto negativamente sul risultato dell'operazione che si concluse poi, il 10 aprile, con l'entrata degli alpini a Dibra e con l'arresto dei bersaglieri a Rezan, impossibilitati a proseguire dall'intransibilità degli itinerari sommersi per un lungo tratto fra i laghi, tanto che erano già stati scartati da una divisione corazzata tedesca che si era mossa per altra via. Nonostante la perdita di ogni speranza di poter contenere le forze tedesche, i greci mantennero fermo il proposito di impedire a qualunque costo un successo italiano - quasi tutto contro l'Italia, quasi nulla contro la Germania - e dal 3 all'8 aprile attaccarono la fronte della 9" armata italiana. Questa, sebbene costretta alla difensiva a causa delle esigenze determinatesi per la guerra contro la Jugoslavia, aveva continuato a curare la preparazione logistica per il disegno offensivo diretto alla conquista del nodo di Bilishti concordato tra il comando superiore e quello dell'armata prima del rivolgimento politico in Jugoslavia. Il disegno offensivo non poté essere attuato proprio per effetto di tale rivolgimento. La notte del 3· i greci attaccarono con estrema violenza il settore della Venezia ed il 4 la sinistra della Tridentina e la Taro, nel tratto Guri i TopitKollak, mirando alla rottura della fronte dell'armata. L'offensiva greca, durata fino al giorno 7, nonostante alcuni successi locali - conquista della q. 2120 di Guri i Topit e di alcune posizioni nella zona di Kollak non raggiunse risultati tattici decisivi e alla fine si spense di fronte alla decisa resistenza della 9" armata italiana che il 9 mattina passò alla controffensiva lanciando una colonna verso Gostivar ed una verso Struga e mantenendosi con il grosso delle forze pronta a spostare l'azione su Pogradec per determinare la rottura della fronte greca e riconquistare il korciano non appena si delineasse il crollo dell'avversario nel Dibrano. L'avanzata della 9a armata, alla quale i greci si opposero tenacemente e valorosamente, fu lenta e cruenta, ritardata costantemente dalla resistenza delle retroguardie del nemico che aveva già deciso il ripiegamento
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del grosso, dalle difficoltà opposte del terreno (guadi dei torrenti stretti e difficili, dislivelli sensibili, calanchi, sentlen tortuosi e fangosi) e dalle numerosissime interruzioni stradali. L'avanzata oltre che lenta fu anche disordinata, perché troppo rapido era stato ancora una volta il passaggio dalla difensiva all'offensiva. L'lla armata, sulla cui fronte i greci avevano rinunziato a sviluppare la progettata azione tendente a Valona ed a Berat, iniziò il suo movimento in avanti il giorno 13 lungo la direttrice Tepeleni-Argirocastrobivio di Kalibaki-Gianina-Missolungi per raggiungere l'allineamento Konispoli-Kakavia-Perati ed occupare l'Epiro e l'Acaernania. In particolare, l'll" armata avrebbe dovuto avanzare con i corpi d'armata speciale, XXV e VIII fino alla linea Konispoli-Kakavia-Perati e occupare l'Epiro e l'Acaernania con il XXV corpo, mentre il XVII sarebbe rimasto a disposizione del comando superiore. Il disegno di manovra del generale Cavallero - manovra aggirante su KorçaP. Perati-bivio Kalibaki con il III ed il XXVI corpo d'armata da parte della 91\ armata che avrebbe lasciato il XIV ed il IV corpo a presidio delle frontiere albanesi; manovra frontale dell'Ha armata (62) - tendeva, tenendo conto della direzione sulla quale già operava una aliquota della massa tedesca (Florina-Bilishti) e di quello che era in quel momento l'andamento della fronte e de1le vie di comunicazione, a raggiungere celermente Bilishti, puntare quindi in direzione di Erseke-bivio di Kalibaki e proseguire da qui su Gianina e Missolungi. Tutto ciò - era scritto nelle direttive n. 28 - sempre che non intervenga un collasso: in questo ultimo caso l'imperativo è rompere ovunque e avanzare tagliando in ogni direzione la ritirata al nemico. Priva sul piano concettuale di lucidità strategica, organizzata frettolosamente sottovalutando la resistenza nemica e le difficoltà del terreno, affidata a grandi unità appiedate prive di velocità penetrativa, l'ultima offensiva o controffensiva italiana si risolse , nella fronte di entrambe le armate, in un lento movimento in avanti cadenzato dalla capacità di resistenza del nemico più che dal vigore degli attaccanti. Esso non ebbe la fisionomia di una vera e propria manovra strategica, ma si tradusse in una serie di combattimenti sistematici, quasi a sé stanti, insufficientemente coordinati e guidati. Qualcosa di analogo a quanto era accaduto nel giugno del 1940 sulle Alpi occidentali. Le due armate raggiunsero il vecchio confine, ma la loro progressione non ebbe le caratteristiche di manovrabilità, audacia, rapidità che la situazione politico-strategica del momento avrebbe richiesto e non ripagò sufficientemente, sul piano psicologico e morale, gli immensi sacrifici di ogni genere che la 9 11
CAP. XXXIV - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE SECONDA)
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e l' 11a armata, nonché tutte le altre forze militari e militarizzate dell'Albania, avevano sopportato per circa 5 mesi in una costante atmosfera di tregenda. Solo il 22 aprile le unità avanzate dell'll a armata - che aveva dovuto superare dovunque l'accanita resistenza delle valide e valorose retroguardie greche il cui schieramento dal Tomori al mare cominciò a cedere solamente il 17 aprile - riuscirono ad aver ragione della difesa greca di Ponte Perati e ad occupare Arinista nella valle Dhrinos entrando in territorio ellenico e prendendo contatto con unità tedesche che,. con il pretesto dell'avvemuto armistizio, obbligarono i reparti italiani a fermarsi. La resa della Grecia fu ascritta a merito della 12" armata tedesca e ciò concorse ad accrescere l'amarezza dei combattenti italiani che sentivano di meritare una vittoria tutta loro in virtù della lunga resistenza sostenuta in contingenze operative e logistiche e in condizioni ambientali e climatiche diff · mente tollerabili da altri eserciti, contro un nemico capace e valor o, superiore numericamente, meglio armato e soprattutto meglio equip giato. Eppure lo sforzo delle unità terrestri ed aeree italiane era st to determinante ai fini della rapidità dell'azione tedesca e della onclusione vittoriosa della campagna. Esso era costato al solo esercito: 13 755 morti rispetto ai 13 408 morti greci, 50 487 feriti rispetto ai 42 485 greci, 25 067 dispersi (per la maggior parte caduti sul campo) rispetto ai 4 253 greci, 12 368 congelati. Il logoramento italiano, nonostante l'impegno prevalentemente difensivo, era stato superiore a quello dei greci che avevano pressoché costantemente attaccato. Un prezzo elevatissimo per un'impresa che non era stata né compresa né sentita dall'intera nazione.
6. Sul piano strategico la campagna di Grecia aveva la sua ragione di essete_ A meno che la Grecia non fosse passata sua spante dalla parte dell'Asse, la sua occupazione da parte di quest'ultimo sarebbe stata prima o poi irrinunciabile. Ciò sarebbe dipeso anche dall'atteggiamento della Jugoslavia, della Bulgaria e della Turchia, ma il dilemma che si sarebbe posto ai tedeschi, una volta accantonata l'invasione della Gran Bretagna - attaccare cioè l'impero britannico con un'azione a tenaglia Medio Oriente-Africa o mettere prima fuori causa l'Unione Sovietica - quale che fosse stata la scelta, avrebbe implicato la rimozione della minaccia potenziale costituita
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dalla penisola ellenica da un momento all'altro trasformabile in una grande base aero-navale britannica. Per evitare tale eventualità e per impedire che gli inglesi rimettessero piede sul continente europeo, dal quale si erano allontanati da Dunkerque, la Grecia non poteva essere trascurata. La salvaguardia delle rotte orientali e l'assoluta disponibilità dell'Egeo o la sicurezza del fianco destro dello schieramento offensivo contro l'Unione Sovietica non erano questioni strategicamente opinabili. L'Italia, da parte sua, che aveva i suoi grandi interessi nell'Egeo ed in Albania e che avvertiva da vicino la grande pericolosità dell'eventuale disponibilità delle coste dirimpettaie e delle isole ionie da parte degli inglesi, aveva motivi strategici diretti per neutralizzare la minaccia, ai quali si sommavano motivi politici che la inducevano ad impedire, o quanto meno a ridurre il più possibile, l'influenza tedesca nei Balcani. La campagna di Grecia, pertanto, non sarebbe stata sotto il profilo politico e strategico una mossa sbagliata, qualora fossero esistite le premesse e le prospettive necessarie per ingaggiarla e condurla a buon fine. Essa, difatti, si concluse con: il possesso da parte dell'Asse della importante via marittima Costanza-Bosforo-Corinto-Italia; la completa eliminazione della flotta inglese dall'Egeo; il reimbarco del corpo di spedizione inglese del generale Wilson; l'acquisizione da parte dell'Asse di una grande base aerea per gli attacchi contro l'Egitto fino al canale di Suez; l'indebolimento del prestigio dell'Inghilterra costretta ad una seconda, seppur ridotta, Dunkerque; la disponibilità di Creta che fornì all'Asse una perfetta copertura della penisola balcanica permettendogli di minacciare la situazione degli inglesi nel Mediterraneo orientale. L'errore fu che Mussolini decise la guerra alla Grecia senza avere in mano nessuna delle carte politiche sulle quali si era illuso, o l'avevano illuso, di poter contare, e senza disporre dello strumento militare in grado di tradurre in pratica il disegno politico-strategico del momento sottovalutando in misura assurda la capacità operativa delle forze armate greche e mandando allo sbaraglio 150 mila soldati - dei quali 100 mila, con 400 pezzi di artiglieria vetusti e superati, destinati al combattimento - contro un Paese che, già in allarme per tutta la serie di movimenti compiuti verso la sua frontiera e per gli incauti tentativi di promuovere rivolte nei suoi territori, era in grado di opporre, sin dall'inizio delle ostilità, una massa di 14 divisioni di fanteria e una di cavalleria decise a difendere l'indipendenza e l'integrità della loro Patria e, perciò, più salde e agguerrite di quelle italiane. L'errore fu che la guerra venne dichiarata mentre era in corso la smobilitazione di 600 mila uomini, la quale rese indi-
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sponibili grandi unità di pronto impiego, determinò una rilassatezza psicologica generale e scompaginò l'intero esercito. La sospensione di provvedimenti dati per scontati turbò l'opinione pubblica nazionale e il richiamo alle armi di personale diverso da quello appena congedato diminuì il livello dell'efficienza operativa in quanto incise negativamente sull'inquadramento delle unità e sul loro grado di addestramento. L'errore fu - non meno grave degli altri, anzi più spropositato - l'assoluta messa in non cale del problema logistico e, in particolare, dell'organizzazione portuale, aeroportuale e stradale del tutto inadeguata ed inidonea a sostenere il peso dell'alimentazione tattica e logistica delle operazioni. In campo logistico l'imprevidenza, la disorganizzazione e la superficialità iniziali raggiunsero punte fino ad allora sconosciute. Si dette inizio alla campagna senza avern~ predeterminato l'onere logistico ed i tempi occorrenti per ]'approntamento, l'avvio ed il regolare funzionamento della catena logistica, per l'accantonamento in loco delle dotazioni e delle scorte, per la linea dei rifornimenti dalla madrepatria ai porti ed agli aeroporti dell'Albania e da questi agli organi dell'intendenza e quindi alle unità in linea. Anziché precedere l'inizio delle operazioni, come era accaduto nella campagna contro l'Etiopia , l'organizzazione logistica di campagna ebbe un suo primo avvio embrionale dopo più di un mese di combattimenti, quando cioè il generale Cavallero, di ritorno dal suo primo viaggio in Albania, convocò il giorno 9 dicembre i sottosegretari di Stato delle 3 forze armate ed il capo ufficio ordinamento e mobilitazione dello stato maggiore dell'esercito per adottare i primi provvedimenti d'urgenza ed impostare il lavoro di pianificazione logistica, al quale fino ad allora non si era provveduto neppure sulla carta. A parte l'impreparazione generale alla guerra e l'allucinante decisione della campagna di Grecia presa senza nessuna seria verifica della situazione politica e militare del momento, i fattori negativi specifici che incisero in misura determinante sull'infelice andamento delle operazioni furono principalmente due: la smobilitazione dei 600 mila uomini e l'inefficienza iniziale dell'apparato logistico ; quest'ultimo affidato alla modesta organizzazione territoriale preesistente - un'organizzazione di routine - appena sufficiente, con grande buona volontà, ad alimentare le forze iniziali. Se non fosse stata in corso la smobilitazione dei 600 mila, vi sarebbe stata fin dall'inizio la disponibilità di grandi e minori unità di pronto impiego, sufficientemente inquadrate e addestrate, anziché di divisioni e reparti di livello inferiore completati all 'u1timo momento con quadri e truppa
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richiamati improvvisamente dal congedo, con preparazione - se si può usare il termine - morale, psicologica e professionale carente sotto tutti gli aspetti. È vero che se anche vi fosse stata tale disponibilità non sarebbe stato possibile utilizzarla nella misura necessaria ed in tempi ristretti stante la mediocre potenzialità dei porti e degli aeroporti, ma si sarebbe quanto meno evitato di mandare in guerra reparti privi di capi, senza amalgama morale e operativa, ignari del modo d'impiegare le armi - soldati che non avevano mai lanciato una bomba a mano, avevano sparato una o due volte con il fucile, non avevano mai impiegato mortai - e del modo di muoversi in combattimento. Se si fosse provveduto in anticipo all'organizzazione logistica e non si fosse dovuti partire da una situazione iniziale di assoluta inconsistenza, che pesò nei primi mesi come un macigno inibitore di ogni previsione, predisposizione ed attuazione, ]e operazioni non avrebbero avuto lo svolgimento traballante ed ansimante che le caratterizzò fin quasi alla fine, in un continuo succedersi di momenti nei quali mancavano le forze e di altri nei quali difettavano i mezzi di vita fisica, di sopravvivenza operativa e di capacità difensiva od offensiva. Se dai 15 o 20 giorni occorrenti all'inizio della campagna per lo sbarco di una divisione completa di unità e servizi, si fosse potuti scendere ai 5 ed anche meno, come divenne possibile e normale nel mese di marzo, si sarebbe evitato il divario di tempo tra le assegnazioni di unità, di mezzi e di materiali ed il loro arrivo in Albania, divario che fu uno degli aspetti più penosi della campagna. L'urgenza delle richieste, determinata dall'assenza di un volano locale e addirittura dalla mancanza dell'indispensabile, ed i ritardi nel loro soddisfacimento, dovuti principalmente alle difficoltà obiettive insuperabili dei trasporti, degli sbarchi e della potenzialità logistica delle vie di comunicazioni - talvolta azzerata dalla neve, dal fango e dalle piene dei corsi d'acqua anche per le unità a piedi - accrebbe spesso l'esigenza dell'immediatezza dell'impiego. A questa concorse, il più delle volte, la quasi inarrestabile iniziativa nemica che creava situazioni disperate da fronteggiare con il primo ripiego sottomano. Da qui gli sfasci organici, i frammischiamenti caotici, le immissoni precipitose in linea di reparti non addestrati in patria, non ambientati in loco e, in più, spesso privi dei mezzi organici, ancora in viaggio od in sosta nei porti di imbarco o di sbarco. La prematura o l'intempestiva entrata in azione di reparti impreparati al combattimento e lo sconvolgimento obbligato dei vincoli organici furono la causa di ripetute delusioni ed amarezze e l'origine di molti episodi, anche se non di tutti, di
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CAP. XXXIV - LE CAMPAGNE AUTONOME (PAR.TE SECONDA)
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sbandamento collettivo, dai quali derivarono, come anelli di una catena, ricorsi ad ulteriori ripieghi ancora più affrettati e meno remunerativi. Ciò che appare inoltre stupefacente è che lo stato maggiore dell'esercito nulla fece, nei 4 mesi intercorsi dalla fine della campagna sulle Alpi occidentali all'inizio di quella di Grecia, per correggere e modificare gli indirizzi dottrinali, gli ordinamenti ed i procedimenti di tecnica d'impiego dimostratisi alla prova del fuoco privi di consistenza, infruttuosi e addirittura nocivi. Nessuna delle azioni offensive o controffensive in grande stile sviluppate durante la campagna consegui risultati apprezzabili. Anche quando vennero impiegate grandi unità con un sufficiente grado di efficienza complessiva, tali azioni non andarono al di là di qualche risultato tattico locale e furono utili solo perché costrinsero il nemico a stornare forze da un settore all'altro e ad alleggerire la pressione sulle aree vitali più delicate. La più chiara e decisa manifestazione e riprova della scarsa, quasi nulla, capacità offensiva dell'esercito italiano, anche sui terreni sui quali il binomio fanteria-artigliera manteneva integro il suo primato, fu la controffensiva in val Deshnizza, a proposito della quale Mussolini così si espresse: « L'azione del 9 corrente è stata per me una sorpresa ... Il piano era infatti ben studiato; il fuoco d'artiglieria bene organiz:,;ato; gli apprestamenti logistici a punto. Come è avvenuto che le divisioni abbiano avuto un così scarso potere penetrativo? ... Che cosa è avvenuto? Escludo un cedimento di natura morale. Ho visto una grande quantità di truppe in movimento, ho visto divisioni che andavano in linea ottime. Quindi c'è stato qualcosa che voi tecnici dovete precisare » (63). Ma oltre le deficienze tecniche e addestrative, gravi che fossero, perdurava un'impostazione dottrinale e ordinativa velleitaria e inconcludente. La tattica offensiva dei greci non aveva nulla di eccezionale e si accostava, in particolare nei riguardi dell'organizzazione e dell'impiego del fuoco, a quella francese. I greci agivano di regola per l'alto, tendevano a rompere in corrispondenza delle linee di saldatura delle unità avversarie - limiti di settore dei corpi d'armata, divisioni, reggimenti e anche battaglioni - ricorrevano alla tattica d'infiltrazione, evitavano gli attacchi frontali cercando di far cadere le posizioni per manovra puntando al tergo di esse per vie talora lunghe ed eccentriche che facevano prima riconoscere da robuste pattuglie. Gli attacchi erano preparati ed appoggiati con intensi concentramenti di fuoco in cui trovavano largo ed efficace impiego i mortai medi usati con caratteristiche di vera e propria artiglieria (cioè a massa, a
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CAP. XXXIV - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE SECONDA)
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distanza anche oltre i 3 Km, con osservatori distinti dalle postazioni delle armi). Raramente i greci attaccavano su fronti ampie, ma tendevano invece alla successiva conquista di obiettivi locali il possesso dei quali produceva prima o poi lo scardinamento della difesa. Essi iniziavano l'azione soltanto dopo accurata preparazione tatticologistica cercando di sfruttare al massimo il fattore sorpresa; addensavano molte forze in corrispondenza dello sforzo principale o di notte o fuori dal raggio dell'osservazione nemica; la loro avanzata era metodica, compassata e lenta; procedevano in formazioni dense e perciò vulnerabili, ma mettevano a frutto l'organicità dei loro reparti mediante l'effettuazione di piccole manovre tattiche articolate affidate ai rincalzi cd alle riserve; perseguivano obiettivi ravvicinati che consentivano penetrazioni modeste che subito consolidavano e dalle quali riprendevano, anche dopo più giòrni, l'avanzata. Non si può certamente dire che la tattica dei greci fosse brillante e di rapida soluzione dei problemi, ma aveva alla base i concetti di manovra e di sorpresa che non aveva invece la tattica delle unità italiane. Le fanterie italiane riuscivano solo ad avvicinarsi alle posizioni greche senza quasi intaccarle. L'urto spesso, la penetrazione sempre, restavano nelle intenzioni, perché il nemico riusciva ad arrestare le teste delle colonne di attacco, concentrandovi il fuoco, prima che giungessero a distanza d'urto. L'avanzata, scarsamente articolata perché destinata ad investire uniformemente, a cavallo di un'unica direzione, un tratto della fronte, veniva agevolmente neutralizzata. Arrestate le teste delle colonne procedenti in parallelo, tutto si fermava e si impietriva; le unità avanzate si immobilizzavano allo scoperto e non erano più capaci né di proseguire né di tornare indietro. I secondi scaglioni e le riserve quando raramente esistevano - chiamati in avanti finivano anch'essi con l'arrestarsi alla stessa altezza o poco più avanti degli scaglioni avanzati, quasi rassegnati, come ad una fatalità, al tiro dei mortai e delle artiglierie del nemico. Le unità, prive di articolazioni manovriere, procedevano a gregge e non riuscivano ad esprimere per intero il volume di fuoco automatico di cui disponevano per non arrecarsi reciproci danni, mentre il fuoco dei loro mortai da 45 non poteva essere erogato per motivi di gittata o risultava di scarsissima efficacia sulle postazioni campali coperte. Il procedere a gregge privava il movimento della scioltezza e della flessibilità necessarie all'impiego delle armi automatiche ed allo sfruttamento tattico del terreno sia ai fini offensivi che di protezione. Il plotone fucilieri - elemento fondamentale del combattimento - costituito da 2 squadre, ciascuna su
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2 fucili mitragliatori, non aveva un numero di fucilieri adeguato a sfruttare il volume di fuoco che il plotone stesso poteva erogare e, dopo le prime perdite, esauriva ogni capacità offensiva poiché i 4 fucili mitragliatori finivano con l'impacciarne, anziché favorirne, la mobilità tattica e la celerità di movimento, tanto che alla fine si rese necessario, guerra durante, sottrarre al plotone uno dei 4 fucili mitragliatori. Lo squilibrato rapporto reggimento di fanteriagruppo di artiglieria venne corretto dal generale Cavallero mediante l'introduzione del binomio battaglione di fanteria-gruppo di artiglieria con decentramento sempre che possibile dell'unità di artiglieria destinata all'appoggio (64). Oltre che alla dottrina tattica vera e propria, fu alle carenze della tecnica e delle procedure d'impiego, nonché alla deficienza di addestramento, che risalì il mancato funzionamento dei meccanismi essenziali dell'attacco: cooperazione fanteria-artiglieria, coordinamento del fuoco e del movimento, organizzazione del fuoco della fanteria, cooperazione forze terrestri-forze aeree. I criteri e le moda1ità d'attacco, che il generale Cavallero senLl il bisogno <li ribadire dopo il fallimento dell'offensiva in val Deshnizza, conservano anche oggi la loro validità: « durante la preparazione d'artiglieria i reparti devono serrare sotto al minimo di distanza di sicurezza consentita dal calibro delle bocche da fuoco e dall'andamento del terreno ... ; lo scatto delle fanterie deve essere simultaneo all'allungamento del tiro ... ; l'esito dell'attacco dipende essenzialmente dalla capacità dei fanti a sfruttare tempestivamente gli effetti del fuoco di artiglieria ... ; avanzata delle fanterie e tiro di appoggio delle artiglierie devono essere armonizzati e preparati con accordi dettagliati e precisi. Gli artiglieri non devono attendere sempre le richieste di fuoco dej fanti per intervenire in loro appoggio. Occorre supplire, ovunque è possibile, con l'iniziativa, mediante un'accurata organizzazione dell'osservazione e dei collegamenti ed il sicuro funzionamento delle pattuglie O.C. .. ; anche con le armi di accompagnamento si devono predisporre basi di fuoco successive e se ne deve organizzare l'azione in rapporto al procedere dell'attacco; il mezzo fondamentale per diminuire le perdite e giungere sugli obiettivi è costituito dalla celerità dell'azione» (65). Ma se tutto ciò non era avvenuto nelle offensive precedenti ed in quella alla quale si riferiva il generale Cavallero, molto, anzi moltissimo, era dipeso e continuava a dipendere, oltre che dalla mancanza di addestramento, anche dalla insufficienza della mentalità di cooperazione e delle dotazioni organiche di mezzi di collegamento - a taluni livelli addirittura assenti tra le sorgenti erogatrici e le unità utilizzatrici del fuoco.
CAP. XXXIV - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE SECONDA)
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Nell'azione difensiva, specialmente nelle prime fasi della campagna, l'impiego di unità logore ed esaurite moralmente, fisicamente cd organicamente non consentì che un'applicazione sommaria dei criteri e delle modalità stabiliti dalla regolamentazione. La ricerca della continuità della linea di resistenza prevalse, anche quando la disponibilità delle forze non fu più irrisoria come durante la controffensiva greca del dicembre, su quella della profondità della posizione, mentre alla reattività fu giocoforza provvedere o con unità molto al di sotto del minimo organico, o con reparti di formazione racimolati alla meglio, o con unità inaddestrate appena giunte dalla madrepatria. Le caratteristiche del terreno accentuarono la tendenza, insita nella dottrina in vigore, alla proiezione in avanti dei vari clementi difensivi con conseguenti vuoti alle spalle. Rotta la linea <li resistenza, spesso costituita da un velo sottile di fuoco delle armi m1tomatiche, l'attacco trovava la strada aperta per proseguire in profondità e se le penetrazioni furono spesso modeste, ciò dipese più dalla scarsa capacità delle unità greche a completare e sfruttare i successi che non dalla robustezza dei tamponamenti operati dalla difesa. Le reazioni di movimento furono orientate prevalentemente più alla riconquista delle posizioni perdute, cosl come prescriveva la dottrina in vigore, che non alla distruzione delle forze penetrate. Lo schema difensivo generale indicato dalla dottrina - zona di sicurezza con una o più posizioni di arresto per rendere più lenta e più cruenta l'avanzata del nemico; posizione di resistenza organizzata a nuclei cooperanti con gravitazione sul davanti per una profondità di un chilometro circa; rincalzi e riserve orientati a salvaguardare l'integrità della posizione - quando e dove poté essere attuato, si dimostrò sufficientemente rispondente alla realtà del combattimento. Non così lo schema strutturale della posizione di resistenza che si rivelò debole e fragile. La rete di nuclei di armi da fuoco automatiche cooperanti principalmente nel senso della fronte era soggetta a facili lacerazioni da parte di un attaccante che utilizzasse la tattica d'infiltrazione, favorita, nel particolare terreno, dai vuoti necessariamente esistenti tra un insieme di nuclei e quelli contermini. Le infiltrazioni dell'attacco determinavano senso d'isolamento e d'impotenza e orientamento ad abbandonare posizioni ancora non attaccate, difendibili a lungo anche se superate. Il passaggio dalla posizione di resistenza a centri di fuoco, intesa nel senso di occupazione continua dalla regolamentazione in vigore, a quella organizzata a caposaldi, atti a resistere anche se oltrepassati da infiltrazioni nemiche, ebbe inizio fin dalla metà di novembre, almeno nell'ambito di taluni dei
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corpi d'armata operanti. La nuova struttura deUa pos1z1one di resistenza a robusti caposaldi cooperanti, in grado di resistere anche se attaccati sul fianco o sul tergo, esaltò le possibilità di resistenza e di tenuta delle posizioni e dette ben presto i suoi frutti. La resistenza divenne più solida e duratura e la difesa, nel suo insieme, guadagnò in elasticità ed in reattività di fuoco. Fu necessario però molto tempo perché l'orientamento a non preoccuparsi dei vuoti fra caposaldo e caposaldo, purché tali vuoti fossero effettivamente controllati e, all'occasione, battuti, si generalizzasse. Se non si fosse pervenuti ad una tale concezione a ben poco sarebbero servite la minore ampiezza delle fronti e la maggiore disponibilità di forze ai fini della creazione del muro contro il quale alla fine s'infransero gli ultimi sforzi nemici. Assai più copiosi sarebbero stati i frutti della nuova organizzazione se le divisioni fossero state ternarie anziché binarie, in grado cioè di costituire un sistema di caposaldi su più ordini cooperanti anche nel senso della profondità. Le divisioni binarie, anche nell'azione difensiva, si logoravano e si esaurivano troppo presto; non avevano la possibilità di sostituire i reggimenti in linea e mancavano altresl spesso dei secondi scaglioni e perfino delle riserve che consentissero di dare profondità alla difesa e offrissero sufficienti garanzie di fronte al cedimento dei caposaldi avanzati. « In Albania, dove la divisione di fanteria in quanto tale poteva considerarsi adeguata - a prescindere dall'equipaggiamento e dall'armamento delle nostre unità - all'ambiente naturale ed il nemico disponeva anch'esso di fanteria a piedi, la binaria fallì e, senza molta esagerazione, coinvolse nel fallimento piani e dispositivi» (66). Giudizio del generale Montanari che condividiamo pienamente e che, prima di noi, avevano espresso con l'autorità che derivava loro dalla esperienza diretta e personale la gran parte dei generali che presero parte alla campagna a cominciare dal generale Visconti Frasca, il generale Soddu - che era stato uno dei fautori della binaria - e il generale Cavallero. Ciò che lascia stupiti e perplessi è che di fronte al coro di invocazioni per il ritorno alla ternaria - di cui si fece corifero lo stesso Mussolini - tutti siano rimasti sordi e nessuno abbia fatto nulla per sciogliere un certo numero di binarie e rendere conseguentemente ternarie le restanti divisioni, nella considerazione che sarebbe stato impossibile costituire ex novo altri 70 reggimenti di fanteria ed altri 70 gruppi di artiglieria. Il generale Cavallero, che avrebbe avuto la possibilità di farlo, lasciò le cose come le aveva trovate al momento dell'assunzione della carica e nel computare il fabbisogno delle divisioni per l'anno 1942 continuerà a
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basare il calcolo sulla divisione binaria, a proposito della quale g1a in Albania si era invece espresso in termini del tutto negativi: « divisione binaria non va. Essa (la ternaria) s'impone, altrimenti mancano i mezzi per il combattimento» (67). Le conseguenze negative della campagna di Grecia furono enormi sul piano politico e psicologico. Il Paese ne uscì moralmente prostrato ed il suo prestigio nel mondo fortemente scosso. L'Italia da sola· non aveva saputo aver ragione della Grecia. A tutti parve chiaro che la campagna si sarebbe potuta concludere con un disastro militare: l'espulsione dell'Italia dai Balcani. I motivi per i quali ciò non accadde furono essenzialmente di ordine morale. A forze numericamente superiori, meglio armate, equipaggiate ed ordinate, utilizzanti una tecnica d'impiègo di elevato rendimento, più addestrate , più abituate al particolare e aspro ambiente naturale e meteorologico, non meno coraggiose e tenaci, le unità italiane opposero, nella gran maggioranza, una forza d'animo, una volontà di resistenza ed una capacità di adattamento alJe circostanze e alle difficoltà ra.ramente eguagliabili , mai superate. Non c'è esercito che nella sua storia non sia andato incontro a sbandamenti e cedimenti; l'importante è ritrovare la fede negli istanti supremi. Il merito maggiore di ciò fu senza dubbio del generale Cavallero che non solo seppe conservare la fiducia in sé stesso, e la serenità e la calma nei momenti più drammatici, ma seppe trasfonderle negli altri. Gli errori, le lacune, le incertezze e le debolezze che si possono rilevare nella sua azione di comandante superiore delle forze armate d'Albania sono soverchiati dalle grandi qualità e doti di capo che egli profuse nel campo morale ed in quello tecnico-professionale durante il corso della campagna. Ecco il perché, qualora la si osservi nella sua luce reale, la campagna di Grecia fu, e resta, ad onta di tutto, una pagina tanto gloriosa della storia dell'esercito che la combatté, quanto ignominiosa per coloro che la promossero, la decisero e l'accettarono senza averne valutato seriamente le prospettive sotto il profilo tecnico-militare. Considerata esclusivamente nel quadro della strategia dell'Asse, la campagna di Grecia non fu un errore e non fu essa a determinare il rinvio dell'inizio dell'operazione Barbarossa (guerra all'Unione Sovietica). Fu il timore di uno sbarco inglese in Grecia, e non lo sbarco quale poi fu, a spingere Hitler a garantire il fianco destro delle armate che dovevano marciare verso est mediante la preventiva occupazione, a titolo precauzionale, della costa della Tracia meridionale tra Salonicco e Alessandropoli. Ciò che provocò il rinvio dell'inizio dell'operazione Barbarossa fu l'inaspettato colpo di Stato
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che ebbe luogo in Jugoslavia il 27 marzo quando venne rovesciato il governo che aveva aderito al Tripartito. Hitler, irritatissimo per il voltafaccia, decise il giorno stesso di scatenare una grande offensiva contro la Jugoslavia. Ciò lo obbligò, stante l'impegno di forze terrestri ed aeree ben maggiori di quelle che sarebbero state necessarie alla sola campagna contro la Grecia, a prendere «l'irrevocabile e fatale decisione di accantonare per il momento il proposito d'iniziare l'offensiva contro la Russia» (68). Un inizio che se fosse stato rinviato ulteriormente - visto che per allora l'Unione Sovietica costituiva solo una minaccia potenziale - avrebbe consentito all'Asse, sfruttando il successo della conquista della Grecia e di Creta, di occupare Cipro, l'Egitto, il canale di Suez e probabilmente il Medio Oriente, dando alla guerra un corso diverso, giacché uno degli errori strategici più madornali di Hitler fu certamente quello di attaccare l'Unione Sovietica prima di avere sconfitto l'Inghilterra.
7. Nel primo anno di guerra l 'Italia perse i suoi possedimenti dell'Africa orientale, ad eccezione della regione di Gondar che resisterà fino al 27 novembre del 1941. Se poco era stato fatto per la preparazione alla campagna di Libia, minore era stata la cura concreta rivolta alla valorizzazione ed alla difesa dell'Eritrea, della Somalia e dell'Etiopia. Nel caso di guerra contro l'Inghilterra, l'impero etiopico avrebbe costituito per l'Italia un atout strategico potenziale di straordinario valore. L'Africa orientale italiana avrebbe consentito, infatti, di minacciare le più importanti e vitali comunicazioni dell'impero britannico che, qualora interrotte, avrebbero potuto compormettere gravemente 1a sua unità politico-economico-militare e spezzarlo in tronconi separati, inibendogli la libertà di manovra delle risorse e dei mezzi sia per terra che per mare. L'occupazione italiana dei centri di Atbara e di Khartum avrebbe rotto la continuità territoriale dell'asse longitudinale inglese Cairo-Città del Cap0 ed avrebbe, al tempo stesso, consentito la possibilità all'Italia di effettuare il collegamento territoriale con la Libia mediante una manovra strategica contro l'Egitto con forze muoventesi in concomitanza dall'Eritrea e dalla Cirenaica. Non minore il ruolo che l'A.O.I. avrebbe potuto svolgere sul piano strategico come grande base aereo-navale per insidiare le rotte Oceano indiano-mar Rosso-canale di Suez e per le operazioni in Africa e nel Medio Oriente. Fuori di tale quadro,
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l'A .O.I. avrebbe rappresentato per l'Italia, in caso di guerra che 110n fosse di breve durata, un gravame militare insostenibile e la sua sorte sarebbe stata segnata a priori senza possibilità concreta di schivarla, come a ragione aveva predetto a Mussolini il generale Baistrocchi. Di tale eventualità Mussolini era stato avvertito, dunque, per tempo e quando, il 5 gennaio del 1941, il generale Guzzoni gli espose la critica situazione dell' A.O.I. non gli comunicò una novità inaspettata, ma gli confermò l'imminenza di un evento dato già per scontato. L'esterrefatta espressione con la quale Mussolini accolse la 11otizia non poteva significare sorpresa, ma dolore e rimorso per la perdita di un impero che egli stesso aveva voluto che l'Italia conquistasse. Nelle sue frequenti intelligenti e fulminee intuizioni egli aveva forse intravisto, sebbene non in tutta la sua ampiezza, la funzione strategica dell'impero ed aveva altresì compreso che in caso di guerra la madrepatria nulla avrebbe potuto dare all'impero per n I i sarebbe stato indispensabile garantirgli fin dal tempo di pace h1 piena autosufficienza civile e militare. In tali termini aveva invitato, nel febbraio del 19 37, il maresciallo Graziani - allora viceré di Etiopia - ad elevare a 100 mila uomini, dei quali 50 mila metropolitani, le forze della difesa dall'esterno; a costituire centurie di lavoratori e legioni della milizia per la difesa interna e quali forze di riserva da mantenere costantemente addestrate e prontamente mobilitabili; a reclutare, inquadrare e addestrare i primi 100 mila uomini dell'armata nera per raggiungere i 300 mila per l'epoca (1940-'41) nella quale il riarmo avrebbe dovuto essere completato (69). Quando le direttive vennero tradotte in progetti ed in programmi , prima dal maresciallo Graziani e successivamente dal duca d'Aosta, e trasmesse al ministero dell'Africa italiana, e da questo al ministero della Guerra, Mussolini dovette fermarsi di fronte all'onere finanziario che la loro attuazione avrebbe comportato, tanto più che nel frattempo tale onere era sensibilmente aumentato a causa del mantenimento alle armi, ancora nel 1937, di 255 mila uomini ( 13 5 mila nazionali e 120 mila coloniali) per la repressione delle ribellioni divampate in alcuni territori. Per la difesa dalle minacce esterne il maresciallo Graziani aveva richiesto, tra l'altro, 3 brigate corazzate (una per la frontiera dell'Eritrea, una per quella Amara-Beni Sciangai-Sudan, una per quella del Chenia), 24 batterie controcarro, 3 gruppi di artiglieria contraerei, 6 battaglioni carri armati ed autoblinde, 5 autogruppi. La richiesta del maresciallo Graziani rispondeva ad una visione realistica di quella che sarebbe
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stata la fisionomia di una guerra da combattere contro un esercito modernamente armato ed equipaggiato su di un territorio in cui lo spazio, la logistica, la meccanizzazione e la motorizzazione prevalevano sulla strategia e sulla tattica. Il duca d'Aosta - che ebbe più chiara dei suoi predecessori la funzione strategica dell'impero fece pervenire nel giugno del 1939 al ministero dell'Africa italiana un programma completo (predisposizioni di mobilitazione e disposizioni preliminari; progetto per l'autosufficienza; predisposizioni operative e piani operativi) per la preparazione e la condotta della guerra. Per quanto riguardava l'autosufficienza , il programma prevedeva una spesa complessiva di 4.830 .000.000 di lire e, poiché questa non era sostenibile, venne stabilito di limitare l'autosufficienza a quanto sarebbe stato possibile attuare con i fondi stanziati dal bilancio, senza ulteriori assegnazioni straordinarie. Il viceré, nel settembre, inviò un nuovo programma ridotto di autosufficienza basato sul fabbisogno militare di un anno per una spesa complessiva di 1.453.000.000 lire. Di tale cifra, discussa in una riunione tenuta a Roma - presenti Mussolini, il ministro dell'Africa italiana, il sottosegretario di Stato alla Guerra, il viceré d'Etiopia - il 6 aprile del 1940 (7 mesi dopo da quando il viceré aveva inviato il programma ridotto) vennero assegnati, con decreto interministeriale del 18 dello stesso mese, solo 900 milioni (70). In tale riunione venne altresì deciso l'invio di nuclei di personale di inquadramento, di personale specializzato e di armi, di cui giunsero in Africa orientale prima del 10 giugno del 1940: una compagnia speciale di carri M 11 (24 carri e relativo personale) , una compagnia speciale carri L (24 carri e relativo personale), 3 gruppi da 105/ 28 (32 cannoni e relativo personale), 2 gruppi da 75/46 (16 cannoni e relativo personale), 4 batterie da 20 mm (24 pezzi e nuclei di personale), 4 compagnie di mortai da 81 (solo materiale), 300 ufficiali e una modesta aliquota di personale specializzato. Nulla di quanto era stato previsto per l'armata nera fu inviato. La guerra si dové, dunque, fare con quel che c'era già, che era, in realtà, assai poco e, in più, malmesso (71). Nel settembre del 1939 il comando del corpo di stato maggiore trasmise al comando superiore delle forze armate dell'A.O.I. le direttive per la difesa e per le operazioni offensive, approvate dal capo di stato maggiore generale. Le prime fissavano il compito di tutelare all'interno e difendere all'esterno l'integrità politica e territoriale dell'impero, anche nella situazione di completo isolamento dalla madrepatria (72). Le operazioni offensive, subordinate alla situazione del momento
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cd agli ordini espliciti che in ogni caso sarebbero stati emanati da] capo di stato maggiore generale, avrebbero dovuto mirare in un primo tempo all'occupazione di Gibuti nella Somalia francese e della Somalia inglese, e in un secondo tempo, eventualmente, alla penetrazione nel Sudan per raggiungere la linea Porto Sudan-Atbara. I1 14 maggio, il maresciallo Badoglio, esaminati detti piani di copertura e di radunata e il piano per la difesa costiera elaborati dal comando superiore e dai comandi di scacchiere - scriveva « di massima, nulla ho da obiettare; solo confermo quanto già comunicato con foglio n. 5057 del 27 dicembre 1939 e cioè che tutti i piani relativi ad azioni offensive partenti dall'Impero debbono avere carattere di studio e di orientamento, perché il compito delle truppe dell'A.O.I. è, nell'attuale situazione, essenzialmente difensivo; operazioni offensive potranno essere attuate solo in casi specialissimi» (73). Il 9 giugno il viceré ribadi il compito difensivo: garantire il possesso dell1Impero e operare d'iniziativa solo quando si fosse sicuri di ottenere successi reali e non effimeri. Il viceré obbedì agli ordini del rigido criterio difensivo su tutte le fronti stabilito dalle autorità centrali al momento dell'entrata dell'Italia in guerra, ma come sarebbe stato possibile salvaguardare l'integrità dell'intero territorio, specialmente nel caso di una guerra di lunga durata, nelle condizioni politiche e militari nelle quali versava l'A.O.I.? O la guerra sarebbe stata di breve durata e, in questo caso, meglio sarebbe valso osare subito una qualche iniziativa offensiva, o sarebbe stata di lunga durata e, in tale ipotesi, anziché volere difendere tutto, disseminando le scarse e male equipaggiate forze su di un territorio vasto sei volte quello italiano - isolato, non suscettibile di alimentazione tattica e logistica, politicamente infido, con limitata autosufficenza specie dei mezzi necessari alla manovra - sarebbe risultato assai più opportuno e conveniente rinunziare alla difesa di alcune regioni e fare massa a favore di quelle politicamente, strategicamente e militarmente essenziali. Nessuno può giurare sulla certezza del successo di una immediata offensiva congiunta dall'Eritrea e dalla Cirenaica contro il Sudan e l'Egitto, ma nessuno può ragionevolmente sostenere che dal suo eventuale fallimento sarebbero derivati malanni peggiori di quelli delle perdite della Cirenaica e dell'Eritrea (marzo), · verificatesi rispettivamente nei mesi di febbraio e di marzo del 1941. « Nei primi mesi del 1940, prima dell'entrata in guerra dell'Italia, i britannici potevano contare soltanto su circa 9000 soldati inglesi e indigeni in Sudan e 8500 soldati inglesi in Kenia. In questo vasto .teatro di guerra, un teatro doppio, gli italiani furono tanto lenti nel
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prendere l'iniziativa quasi quanto lo etano stati nel nord Africa. Una delle principali ragioni di questa lentezza era costituita dalla loro consapevolezza che ben difficilmente il blocco navale inglese avrebbe lasciato filtrare ulteriori rifornimenti di carburante e di munizioni. Ma è evidente che si trattava di una ragione assai discutibile: proprio in quanto esisteva questo pericolo, per gli italiani sarebbe stato tanto più importante sfruttare la loro grande superiorità prima che le forze inglesi in Africa ricevessero adeguati rinforzi» (74). Non ci sembra che si tratti del senno di poi, ma di una valutazione che si sarebbe potuta fare fin d'allora, anzi anni prima dell'entrata in guerra, se non fosse prevalsa la mentalità della guerra sulle Alpi, vale a dire della esclusiva preminenza della guerra continentale rispetto a quella oltremare, e se pur nella inadeguatezza ed insufficienza gravissime dei mezzi, e proprio per tale motivo, si fossero rispettati i principi della massa, della sorpresa e dell'immediatezza delle azioni, la cui validità i tedeschi avevano confermato dal 1° settembre 1939 al giugno del 1940. La scelta strategica italiana, viziata dalla supervalutazione delle possibilità iniziali del nemico, non fu saggia e realistica; si concretò in un atteggiamento di rassegnazione quasi mussulmana ad un destino che parve ineluttabile e che invece, per altra strada, avrebbe potuto essere diverso; fu priva di audacia offensiva, ma anche di ponderatezza difensiva. La rinunzia alla iniziativa offensiva poteva essere giustificata dall'impreparazione generale alla guerra dell'intero apparato militare nazionale e dalla situazione particolare dello scacchiere nel quale il grado di inefficienza operativa era in proporzione meno elevato che altrove; non così la decisione di difendere tutto, che fu una decisione vuota di logica strategica, infondata sul piano logistico e irrealizzabile su quello tattico. La conclusione fu che gli inglesi passarono all'offensiva e, nonostante la coraggiosa e spesso tenacissima resistenza italiana, riuscirono in breve tempo ad avere ragione della spezzettata difesa italiana, imperniata quasi ovunque, nell'ultima fase dei combattimenti, su ridotti settoriali isolati, ciascuno a sé stante, aventi l'unico scopo di salvaguardare l'onore militare ed il prestigio della Bandiera nazionale. La campagna dell'Africa orientale passò all'incirca attraverso 3 fasi: la prima, di breve durata, fu caratterizzata da alcuni successi tattici locali italiani (luglio-novembre 1940); la seconda (gennaio-maggio 1941) dalla conquista inglese dell'Eritrea, dalla marcia convergente su Addis-Abeba e dalla capitolazione dell'Amba-Alagi; la terza (maggio-novembre 1941) dall'eliminazione da parte inglese
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SITUAZIONE DELLE FORZE CONTRAPPOSTE ALL'INIZIO DELLE OSTILITA' SECONDO LE STIME DEI COMANDI ITALIANI
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degli ultimi bastioni della resistenza italiana asserragliata nelle cinte fortificate di Gondar e di Azozò. Nella prima fase - oltre le incursioni ed i colpi di mano di frontiera, che fruttarono l'occupazione di Gallabat, Kumuk e Ghezan nel Sudan anglo-egiziano, del fortino di Todignac nella regione del lago Rodolfo, di Moyale e del saliente di Mandera al confine con la colonia inglese del Kenia - vennero sviluppate con successo un'azione offensiva di carattere locale su Cassala ed un'altra, a raggio più ampio, per la conquista dell'intera Somalia britannica. Se l'operazione su Cassala poteva rientrare nelle direttive del Comando Supremo - nondimeno non furono pochi i dubbi e le difficoltà sollevati da Roma che finirono con il ritardare l'inizio dell'azione - quella della occupazione del Somaliland contravveniva a tali direttive, ma nell'intendimento del viceré avrebbe dovuto servire a richiamare l'attenzione del Comando Supremo sulla funzione strategica dell'A.O.I. nel quadro della concezione che egli stesso aveva delineato fin dal 1938. L'azione su Cassala venne affidata al comando dello scacchiere nord che vi impiegò un complesso di forze - 4800 coloniali, 1500 cavalieri, 2 gruppi di artiglieria someggiata, 12 carri medi e 12 carri leggeri - articolato su 3 colonne e una riserva, che avanzò per circa 30 chilometri oltre frontiera senza incontrare resistenza. Giunte all'altezza dell'allineamento M. di Cassala-Catmia-M. Macràm le colonne laterali caddero sui fianchi delle difese dirette di Cassala - 1 compagnia sudanese, 1 sezione cannoni controcarri, 6 carri armati leggeri, 35 autocarri attrezzati e armati di mitragliatrici (300-350 uomini in tutto) - e costituirono una testa di ponte sul fiume Gase appoggiata con l'ala sinistra a M. Cassala e con l'ala destra a M. Macràm. Il nemico non fece intervenire i numerosi nuclei per una forza complessiva di circa 3 mila uomini dislocati in varie località distanti una sessantina di chilometri da Cassala e non sostenne la difesa della località con l'impiego dell'aviazione. La conquista del Somaliland fu un'impresa molto più ardua soprattutto sotto l'aspetto logistico stanti l'aridità e la desolazione del territorio, la povertà delle piste camionabili, l'impercorribilità del terreno fuori delle piste da parte degli autocarri, le distanze (dai 90 ai 270 Km) da coprire. Il corpo d'invasione fu costituito con 26 battaglioni (23 coloniali e 3 nazionali) e con 21 batterie di vario calibro (10 nazionali e 11 coloniali), per una forza complessiva di 4800 nazionali e 30000 coloniali e fu articolato su: una colonna di sinistra con obiettivo Zeila, una colonna di centro con obiettivo finale Berbera, una colonna di destra con primo obiettivo Aduelna, una riserva. L'aviazione a disposi-
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zione fu costituita da 27 velivoli da bombardamento, 23 da caccia, 7 da ricognizione. Le operazioni ebbero inizio il 3 agosto e si conclusero il 19. Le perdite subite furono assai più elevate di quelle inflitte, sia perch~ le resistenze incontrate furono dure oltre iJ previsto, specialmente nei combattimenti dell'Argan, sia perché i] nemico si avvalse di posizioni protette e riuscì a ripiegare di notte ed a reimbarcare il grosso senza essere ostacolato ed incalzato (75). Le forze nemiche che si opposero all'offensiva italiana e che vennero sopraffatte furono pari a circa 11 mila uomini secondo i dati in possesso del comando superiore italiano, mentre secondo i dati delle pubblicazioni inglesi non superarono le 3 miJa unità (76). Durante e dopo la conquista del Somaliland - che fu il primo e l'ultimo atto offensivo veramente importante dello scacchiere e che si concluse con un successo notevole attraverso sforzi tattici e innanzi tutto logistici davvero brillanti - . vi fu intenso scambio di corrispondenza tra il maresciallo Badoglio ed il viceré per concordare la linea di sviluppo dell'attività operativa futura ed esaminare; k possibilità di una operazione offensiva di valore strategico verso il Sudan tendente al canale di Suez, possibilmente concomitante con quella del maresciallo Graziani su Sidi el Barrani. Nei riguardi di tale operazione il viceré inviò al maresciallo Badoglio il 22 agosto un telegramma con il quale rappresentò che condizione assolutamente indispensabile sarebbe stata l'invio entro il 15 settembre di 100 aeroplani, 10 mi1a gomme e 10 mila tonnellate di carburanti; telegramma al quale il maresciallo Badoglio rispose: « Se mi fosse possibile vi manderei il doppio di quanto richiedete. Sto tentando tutte le vie ma finora senza successo. Perciò state fermo finché non possa rimpolvarvi » (77). Diversamente dal maresciallo Badoglio, che vedeva in Khartum od in Porto Sudan l'obiettivo della azione offensiva di concorso, sia pure indiretto e lontano, a quella Graziani, il comando superiore dell'A.O.I. rappresentò la maggiore convenienza della conquista di Atbara, grande nodo stradale sul quale convergevano le comunicazioni provenienti dall'Egitto, dal mar Rosso e dall'alto Scioa e sintetizzò il disegno di manovra secondo le seguenti Jinee d'impostazione: azioni dimostrative diversive mediante puntate in direzione di Roseires e di Ghedaref; conquista di Kashm el Girba a garanzia della base di partenza; puntata contemporanea da Karora su Porto Sudan ed azione a fondo su Atbara (78). Fece, inoltre, presente di avere la disponibilità delle forze necessarie senza depauperare gli altri scacchieri, ma che qualora non fossero giunti gli aeroplani, le gomme ed i carburanti, stante l'incertezza circa la
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durata della guerra che avrebbe potuto essere lunga, l'azione non avrebbe potuto aver luogo al fine di ridurre al minimo il consumo delle energie sì da conservarle il più a lungo possibile. Il 7 settembre il maresciallo Badoglio comunicò al viceré di concordare sull'orientamento prospettato e di condividere il criterio che l'azione avrebbe potuto essere eseguita solo se fossero state esaudite le necessità logistiche, mentre in caso diverso non si sarebbe potuto assumere che un « atteggiamento che non voglio dire passivo, ma che definisco di attesa»; preannunziò l'arrivo per la metà del mese di un piroscafo giapponese con il carico di 2500 t di benzina avio, 200 t di olio, 6000 coperture e camere d'aria, 500 t di zucchero, 100 t di riso, Il piroscafo giunse, ma le coperture che scaricò non risultarono adatte agli automezzi italiani (79). Venne perciò scartato ogni progetto offensivo, anche a raggio limitato, sia per il mancato arrivo dei rifornimenti nella quantità e qualità necessari, sia per il progressivo peggioramento della situazione determinato dall'aumento delle forze nemiche nd Kenia e nd Suc.lau (80), sia per l'accentuarsi delle rivolte interne, abilmente orchestrate dagli inglesi, specie nell'Amara e nel Goggiam. Una prima interruzione del periodo di attesa durato dalla fine di agosto ai primi di novembre - durante il quale la limitata attività operativa lungo la linea di contatto si era risolta sempre a favore delle forze italiane - si ebbe il 6 novembre, quando forze inglesi avanzarono dal Sudan e attaccarono Gallabat e Metemma senza successo. Perché gli inglesi potessero sferrare la loro offensiva in forze contro l'Eritrea fu necessario l'arrivo dall'Egitto della 4" divisione indiana che aveva combattuto a Sidi el Barrani. L'avanzata della 4a e della 5a divisione indiana ebbe inizio nella terza settimana di gennaio, e poiché il viceré aveva orclinato che le forze italiane si ritirassero prima ancora che gli inglesi iniziassero la loro avanzata, il primo duro scontro ebbe luogo a Cherù e ad Aicotà dove l'accanita resistenza italiana infranse tutti i ripetuti attacchi nemici sferrati rispettivamente dalla 4° e dalla 5" divisione indiana. Il ripiegamento dalla linea Cassala-Tassenei-Om Ager a quella Barca-CherùM. Adal-Aicotà-fiume Gase avvenne orclinatamente e regolarmente e, iniziato la notte sul 17, fu ultimato il giorno 20 senza che la azione nemica fosse riuscita a scompaginarlo. Le cose, invece, andarono meno bene nel successivo ripiegamento da Cherù e da Aicotà ad Agordat e Barentù, ordinato dal comando dello scacchiere nord che giudicò pericoloso sostare ulteriormente sulle posizioni di Cherù e di Aicotà per la loro distanza dai perni di manovra di Barentù e di Agordat e per l'esistenza della vasta zona intermedia di terreno
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piatto che facilitava l'impiego manovrato dei mezzi corazzati e meccanizzati nemici. Questi, difatti, infiltratisi un po' dovunque, attaccarono non senza successo alcune delle unità ripieganti e, in particolare, le retroguardie, infliggendo loro perdite sensibili. Le truppe inglesi agirono pressoché esclusivamente con carri armati, autoblinde, camionette ed automezzi e dettero prova di grande intraprendenza manovriera, mentre i reparti metropolitani e coloniali italiani, pur difendendosi con tenacia e bravura, non potettero contrapporre che una velocità di spostamento di 5 Km/h a quella avversaria di ben 30 Km/h. Mentre alla fine del secondo giorno di ripiegamento essi avevano due tappe di vantaggio sul nemico, alla fine del terzo erano sopravanzati (81). Il 28 gennaio gli inglesi attaccarono le posizioni di Agordat e di Barentù che cedettero rispettivamente l'l ed il 2 febbraio, e costrinsero le forze superstiti a ripiegare su Cheren. Qui si combatté la più lunga e più dura battaglia di tutta la campagna dell'Africa orientale, I primi tentativi delle forze inglesi di aprirsi un varco, iniziati nelle prime ore del 3 febbraio, si risolsero in un fallimento, né migliori risultati ottennero i ripetuti sforzi dei giorni seguenti. Le forze italiane dettero prova di eccezionale spirito combattivo ed il loro comandante di grande abilità tattica (82). Dopo più di una settimana d'insistenza gli inglesi dovettero sospendere l'attacco che venne ripreso solo verso la metà di marzo dopo l'afflusso in zona della 5"' divisione indiana. Ancora una volta la lotta si protrasse a lungo e le forze italiane riuscirono ripetutamente con i loro contrattacchi a ricacciare indietro il nemico. Il 27 marzo però uno squadrone di carri armati del 4° carristi inglese riusci a forzare il blocco e ad aprire una breccia nella fronte italiana. Dopo 55 giorni la battaglia di Cheren, che era costata ad entrambe le parti perdite elevatissime, ebbe termine. Il comandante dello scacchiere nord, prevedendo oramai prossima l'irruzione di masse di mezzi corazzati e meccanizzati nemici, ordinò la sera del 27 marzo la cessazione di ogni resistenza, il ripiegamento delle artiglierie al margine meridionale dell'altopiano e la ritirata delle fanterie superstiti verso la zona a sud di Teclesan, dove in duri combattimenti venne opposta l'ultima resistenza al nemico avanzante, al quale il 1° aprile fu ceduta Asmara. L'8 aprile, dopo una nuova resistenza opposta da parte dei superstiti di Cheren, da reparti della guardia di finanza, da 2 battaglioni di formazione della marina e da 1 battaglione camicie nere, cadde Massaua. Nel frattempo le residue forze italiane, agli ordini del viceré, si ritirarono a sud, verso le regioni interne dell'Etiopia, con il proposito di tentare un'ulteriore resistenza nel ridotto Dessié-Alagi.
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8.
Le vicende operative che si svolsero negli altri scacchieri durante e dopo l'attacco inglese all'Eritrea furono impostate, da parte italiana, su schemi analoghi a quello della manovra difensiva condotta in Eritrea. Le possibilità dell'offensiva nemica di vasta portata, chiaramente manifeste dalla fine del mese di novembre, erano state intraviste e valutate dal comando superiore delle FF.AA. dell'A.O.I. che ne aveva informato il comando supremo, procedendo nel contempo a rinfor...:are subito lo scacchiere nord, il più minacciato, medi.ante l'invio di forze sottratte dalla riserva generale. Il 24 dicembre il viceré, sulla base del criterio secondo il quale poiché salvare tutto l'Impero è impossibile, salviamo almeno le parti fondamentali di esso, aveva diramato una direttiva, notificata al Comando Supremo, con la quale aveva fissato la linea operativa da seguire nell'ipotesi più sfavorevole - non la più probabile, ma non impossibile - di un'offensiva nemica che non si riuscisse ad arrestare sul confine e progredisse verso l'interno dei vari scacchieri. Le probabili intenzioni dell'avversario erano state ipotizzate: in un attacco a fondo da nord diretto o lungo la direttrice Gallabat-Gondar con primo obiettivo Gondar o contro l'Eritrea con primo obiettivo Agordat; in un'azione articolata da sud, precedente que11a da nord o sviluppata dopo la riuscita di quest'ultima, tendente, mediante uno sforzo sussidiario El-Uach-Bardera e forse Lugh Ferrandi, a creare un fianco difensivo e ad interrompere la trada Mogadiscio-Neghelli; in uno sforzo successivo da sud e da ovest su Chisimaio diretto ad eliminare la possibilità di una controffensiva italiana sul fianco destro dell'attacco portato sulla fronte Mandera-lago Rodolfo. Erano stati altresì ipotizzati sulla fronte sud uno sbarco Somaliland-Gibuti, nel caso di sviluppo vittorioso dei due attacchi precedenti, con obiettivo Barar, ed una azione in Migiurtina a scopo impegnativo. Nonostante il rapporto numerico delle forze fosse a favore di quelle italiane, la direttiva aveva sottolineato che tale dato aveva un valore assai relativo perché: una aliquota sensibile delle forze italiane era impegnata a tenere a freno la rivolta interna; il nemico, avendo l'iniziativa, poteva fare massa ovunque avesse voluto; il nemico era soverchiante in carri armati, autoblinde, artiglieria autoportata, armi contraerei, automezzi e velivoli, mentre le forze italiane erano deboli per la mancanza quasi assoluta di armi controcarri e contraerei, per la grande deficienza di carburante e gomme, per l'inferiorità quantitativa e qualitativa di apparecchi. La quasi totalità delle forze era costituita infatti
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da truppe indigene ottime per l'attacco, meno buone per la difesa, irruenti, non tenaci, facili allo sgomento se le cose si mettono male. Considerando che, nell'eventualità di uno sfondamento della fronte, sarebbero insorte contro le forze italiane non solo le forze etiopiche ribelli, ma anche le popolazioni ancora incerte, rendendo impercorribili le retrovie, la direttiva aveva sottolineato l'inopportunità e la non convenienza di una fronte unica semicircolare progressivamente restringentisi sulla capitale e la necessità, viceversa, di formare in ciascuna delle più importanti regioni dell'Impero un ridotto nel quale pgni scacchiere dovrà resistere ad oltranza con i propri mezzi. La direttiva aveva, inoltre, aggiunto: È sottointeso che a questi ridotti bisogna venire solo quando ogni difesa più ampia e più continua fosse materialmente impossibile (83). Per la condotta della difesa il comandante superiore aveva prescritto che in caso di attacco nemico le forze di ciascuno scacchiere si sarebbero dovute impegnare a fondo, non irrigidendosi nella difesa passiva di posizioni che avrebbero sempre potuto essere accerchiate o sfondate, ma tenendo testa a queste con poche forze per contrattaccare i fianchi dei dispositivi nemici. Parte eminente della tattica difensiva avrebbero dovuto essere il largo uso delle interruzioni stradali e l'impiego su vasta scala dei pezzi da 65 in funzione controcarri. Le truppe di terra, in sostanza, sarebbero state costrette a frazionarsi nei singoli ridotti ed a svolgere resistenze isolate, mentre l'aviazione, fermo restando il decentramento dei mezzi, sarebbe stata impiegata accentrata in base agli ordini che sarebbero stati impartiti di volta in volta al comandante dell'aviazione dell'A.0.1., senza che ciò impedisse di fare massa a favore dell'uno o dell'altro scacchiere. Nei ridotti ove la resistenza ed i contrattacchi non fossero valsi ad arrestare l'avanzata nemica, si sarebbero dovute raccogliere tutte le forze utili e tutta la popolazione nazionale ed in essi, fin dalla data di esecuzione della direttiva, avrebbero dovuto essere trasferite le risorse necessarie per vivere e combattere. L'attacco inglese contro la Somalia ebbe inizio, dopo un'intensa attività esploratrice e di assaggio svolta nei giorni precedenti, il 21 gennaio, quando il nemico passò il confine nell'Oltre Giuba. Si trattò anche qui di un'offensiva che era stata prevista e della quale si sapeva anche con quali forze probabilmente sarebbe stata condotta. Di fronte all'alternativa o di rifiutare la battaglia e sgombrare tutta la Somalia o di affrontare la lotta sulle posizioni di confine che meglio si sarebbero prestate alla difesa, il comandante superiore decise per la seconda soluzione, resistere cioè sul Giuba. Il settore, analogamente
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DIRETIIVE DEL COMANDO SUPERIORE FF .AA. DELL'A.O.I. IN DATA 24 DICEM BRE 1940
PER LA COSTITUZIONE DI RIDOTTI NEI VARI SCACCHIERI
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a quanto fatto per quello nord, venne rinforzato con una brigata di riserva generale ed ebbe il compito di non irrigidirsi sulla difesa del confine, ma di cedere terreno fino al Giuba difendendo ad oltranza Chisimaio con le truppe in sito e contrattaccando con altre il fianco sinistro della eventuale penetrazione avversaria. Le azioni iniziali del nemico vennero contrastate e contenute ovunque, ma il 4 febbraio l'attacco di una forte colonna nemica al presidio di Beles Gogani ebbe successo e sbloccò la strada da Matanarsisa e Beles Gogani su Afmadù, il cui presidio, dopo un'accanita resistenza durata dal 6 al 9 febbraio, ripiegò la sera del 9 su Gelib dove frattanto la difesa aveva assunto un assetto discreto. Il 10 giunse in volo a Mogadiscio il viceré che, dopo aver visitato lo schieramento delle truppe e i lavori difensivi della piazza di Chisimaio, venne nella determinazione di fare arretrare le forze dietro il Giuba e di far contrastare ad oltranza, dietro l'ostacolo, l'avanzata nemica. Chisimaio dové essere sgomberata e la difesa venne centrata sull'occupazione dei punti di più facile passaggio del Giuba; Giumbo, Margherita, Gelib, Bardera, Lugh Ferrandi e Dolo. Lo schieramento difensivo del Basso Giuba - fronte della 102" divisione - venne diviso in 3 sottosettori contigui (sottosettore Giumbo ampio 40 Km; sottosettore Margherita ampio 44 Km ; sottosettore Gelib ampio 130 Km), mentre quello del Medio Giuba - fronte della 101,. divisione - rimase suddiviso in 2 sottosettori (sottosettore Bardera e sottosettore Lugh-Dolo). Il giorno 13 una colonna di truppe nemiche appiedate e di autoblinde attaccò la testa di ponte di Mansur che dovette ripiegare dietro l'Ueb Jerò; il giorno 14 le forze britanniche costrinsero il presidio di Stato a ripiegare su Margherita e investirono contemporaneamente Gobuen e Chisimaio che, nella stessa giornata, venne occupata. Dal 15 al 22 febbraio le forze italiane del settore del Basso Giuba sostennero aspri combattimenti per impedire al nemico il passaggio del fiume nelle zone di Giumbo, Modun, Gelib, Torda ed altre, ma alla fine vennero sopraffatte, anche per lo sbandamento di taluni reparti coloniali; vennero alla fine fatte ripiegare su di una linea arretrata a sbarramento degli accessi ad ovest e a nord di Mogadiscio. Il crollo della linea difensiva del Basso Giuba mise in condizioni critiche la 1016 divisione che, frazionata lungo una fronte estesissima, avrebbe potuto essere ben presto aggirata e sopraffatta dalle colonne celeri nemiche padrone ormai di tutta la rete stradale. L'idea di impegnare una battaglia per Mogadiscio, stante la situazione determinatasi, venne scartata. Le forze superstiti disponibili in posto erano ridotte alle poche impiegate fra Modun e Vittorio d'Africa ed ai reparti, di dubbia efficienza, già
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destinati a sbarrare i ponti dell'Uebi Scebeli ad Afgoi e Balad. La sera del 22 il comando dello scacchiere ordinò alla 101"' divisione di ripiegare direttamente a marce forzate nella zona di Callafo per organizzarvi una nuova fronte difensiva contro le provenienze da ovest e da sud, in cooperazione con le truppe provenienti da Vittorio d'Africa che avrebbero preso posizione nella zona di Scillave. La battaglia per la difesa della Somalia era persa. Il 26 gli inglesi occuparono Mogadiscio. La notte sul 25 la 101 a divisione ebbe l'ordine di ripiegare su Neghelli nel Galla e Sidama, anziché su Callafo, e i superstiti del Basso Giuba di avviarsi nell'Harar. Nella nuova situazione le forze rimaste nel Somaliland vennero fatte ripiegare a protezione della ferrovia di Gibuti. Il 16 marzo il nemico sbarcò a Berbera. La sua avanzatta da Giggica su Harar venne contrastata, ma la situazione generale ed il prorogarsi delle defezioni fra i reparti coloniali indussero il comando superiore a ordinare che le forze dello scacchiere si raccogliessero in un primo tempo sul fiume Auasc e successivamente ripiegassero nel Galla e Sidama, lasciando aperta al nemico la strada per Addis Abeba, in quanto la capitale non poteva essere difesa per non compromettere l'incolumità dei numerosi civili nazionali raccolti nella città. Il viceré dette notizia della sua decisione agli inglesi e li invitò a non bombardare la città indifesa e ad affrettare la loro marcia per giungervi al più presto possibile. La città venne occupata dagli inglesi il 6 aprile (83 bis). Il viceré avrebbe potuto ritirarsi sull'acrocoro etiopico, ma egli scelse volontariamente la soluzione più onerosa, consapevole dell'inevitabile sacrificio. Gli inglesi, infatti, per avere libera la via di Massaua e da questa rifornire le proprie forze nel sud non avrebbero potuto fare a meno di occupare l'Amba Alagi. La scelta del duca d'Aosta fu, perciò, coerente con la visione strategica che egli aveva sempre avuto della guerra nell'A.0.1. Nella particolare situazione, obbligare il nemico ad attac~are il baluardo difensivo significava distogliere forze che avrebbero diversamente potuto essere inviate nell'Africa settentrionale dove era in corso la prima controffensiva italo-tedesca. L'offensiva britannica in A.O.I., iniziatasi quasi contemporaneamente contro l'Eritrea e la Somalia e condotta in Eritrea dalla 4" e 5"' divisione indiana ed in Somalia dalla 11" e 1211 divisione africana, ebbe come risultato immediato di liberare gli inglesi dalla ipoteca italiana sulla via del mar Rosso e di eliminare la minaccia dal Sudan sull'Egitto. Venute meno le due principali funzioni strategiche dello scacchiere, la determinazione italiana di continuare la lotta il più a lungo possibile ebbe il duplice intento di mantenere
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vincolate forze nemiche altrimenti trasferibili altrove e di salvaguardare il prestigio e l'onore delle armi italiane che gli inglesi vilipendevano ironizzando sulla superiorità numerica. I settori difensivi rimasti in piedi e le forze residue deJl'Eritrea e della Somalia che riuscirono a raccogliersi neJle varie isole difensive, nonostante fosse venuta meno l'unitarietà dello scacchiere e malgrado le diserzioni in mazza di molte unità coloniali, non cessarono di battersi fino all'ultimo per senza nessuna speranza di successo, ma nella meditata consapevolezza del dovere da compiere. Dopo la perdita dell'Eritrea, della Somalia, dell'Harar - determinata quest'ultima dalle defezioni delle unità coloniali - e dello Scioa, le forze residue dei vari settori difensivi sopraffatti si raccolsero nei ridotti di Dessié-Amba Alagi e di Gondar, mentre nel Galla e Sidama le truppe abbandonarono la fascia di frontiera e si ritirarono sull'altopiano. Molte colonne della Eritrea, della Somalia e dell'Harar durante il ripiegamento o si sbandarono, o disertarono, o vennero sopravanzate e sopraffatte dal nemico che le inseguiva con mezzi meccanizzati e motorizzati. Il 1 7 aprile una brigata sud-africana su 4 battaglioni, artiglieria di medio e piccolo calibro, truppe suppletive e disertori coloniali italiani, proveniente da Addis Abeba, con la sua avanguardia investì le posizioni di Dessié tenute da 3 battaglioni camicie nere, 1 battaglione nazionale presidiario, 3 battaglioni coloniali, 1 gruppo squadroni cavalleria, una banda, 5 gruppi di artiglieria e 2 batterie della marina. I combattimenti - cosiddetta battaglia di Comboleià durarono 1O giorni, si svolsero in 3 fasi successive, si conclusero con lo sfondamento della fronte italiana e con la caduta dei presidi della zona che, nonostante opponessero tenace resistenza, vennero tutti soverchiati dalle forze nemiche e dalle bande scioane. Caduta Dessié, i britannici cercarano d'investire subito anche da sud il ridotto dell'Amba Alagi dove si era portato da Mai Ceu il viceré. Il ridotto era stato organizzato su 3 settori: Falagà (difeso da una brigata coloniale), Toselli (difeso da 3 battaglioni nazionali, 4 battaglioni coloniali, elementi vari), Togorà (difeso da un gruppo bande della P.A.I. rinforzato da una compagnia mitraglieri del reggimento Granatieri di Savoia). Qui i combattimenti dureranno dal 1° al 17 maggio, nonostante che già dalla sera dell'8 maggio le posizioni italiane fossero strette da ogni lato, attaccate da nord e da ovest, investite da est, chiuse a sud. Il 17 il viceré decise di trattare la resa nella convinzione della inutilità di protrarre ulteriormente la resistenza solo per qualche giorno se non per qualche ora di fronte ad un attacco concentrico degli inglesi e dei ribelli sostenuto dai micidiali
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bombardamenti aerei e di artiglieria che da 20 giorni continuavano a scaricare migliaia e migliaia di bombe sulle posizioni italiane. Concluse le trattative, il 19 maggio reparti inglesi e scozzesi resero gli onori militari ai pochi valorosi superstiti della Amba. « Il duca d'Aosta, bella figura di soldato, che sulla pietraia del ridotto aveva vissuto come il più umile dei suoi fanti, chiuderà la sua ancor giovane esistenza, dedita alla Patria, in prigionia a Nairobi, 10 mesi più tardi (3 marzo 1942) » (84). Anche in Dancalia e nella Migiurtina le forze italiane dovettero dichiararsi vinte dopo aver protratto la resistenza oltre ogni limite possibile: Assab venne ceduta al nemico 1'11 giugno, ma il piccolo presidio schieratosi fuori dell'abitato continuò a combattere finché non fu tutto circondato. La resa di Assab e le notizie provenienti da1l'altopiano circa i maltrattamenti ai congiunti dei coloniali influirono negativamente sui reparti della Dancalia e provocarono l'aumento delle defezioni. Il 5 luglio il comandante delle forze - 1300 uomini dislocati in parte nel Gamarri e in parte nella zona di M. Ghifo - attaccato da forze motorizzate britanniche, fu costretto a chiedere la resa del settore centrale e la ottenne il 6 con l'onore delle armi. Anche il presidio posto a difesa della interruzione di Manda, che combatté fino a quando non ebbe più acqua, viveri e carburanti, il 10 mattina dovette chiedere la resa che ottenne con l'onore delle armi. I nuclei della Migiurtina, rimasti isolati, furono eliminati in maggio dalle autocolonne britanniche provenienti dal riconquistato Somaliland e da forze giunte via mare al capo Guardafui. Nel settore difensivo del Galla e Sidama - che durante la offensiva britannica contro l'Eritrea e la Somalia era stato impegnato solo con azioni locali - le operazioni offensive inglesi in grande stile ebbero inizio ai primi di maggio e si conclusero il 4 luglio. Ritirate le truppe sul ciglio dell'altopiano, il generale Gazzera, comandante dello scacchiere, aveva deciso fin dal gennaio di combattere il nemico il più a lungo possibile in campo aperto centellinando il terreno da cedere e conducendo una difesa manovrata appoggiata sui fiumi maggiori e sulla foresta. Difesa possibile con il sostegno delle popolazioni fedeli e con il ricorso alla guerriglia. Dopo l'entrata degli inglesi in Addis Abeba e l'arrivo nella regione del Galla e Sidama di circa 30 mila uomini provenienti dallo Scioa occidentale e dal settore Auasc, il generale Gazzera, che aveva assunto dopo la caduta dell'Amba Alagi anche la carica di comandante superiore, dovette modificare il suo piano iniziale che non teneva conto delle provenienza da Addis Abeba e decise di ripartire il suo territorio
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in 3 grandi zone: zona Didessa-Dahus affidata alla 23a ed alla 26a divisione coloniale costituenti un gruppo di divisioni sotto unico comando; zona centrale, alla diretta dipendenza del comando scacchiere, affidata alla 22a divisione coloniale ed a truppe varie dislocate sulla nuova fronte nord-est; zona sinistra Omo affidata alla 21" divisione coloniale schierata sul territorio di Alghe-Fincioa, alla 24a schierata sul territorio di Uadarà, alla 25a (costituita con le truppe in ripiegamento dal territorio di Harar) schierata sul territorio dei laghi ed alla ricostituita 101" coloniale dislocata a Gardulla-BacoSoddu. Cercò di dare a ciascuna zona autonomia di vita e di lotta in modo che, cadendone una, le altre potessero ancora difendersi. Ai primi di maggio parve chiaro che il nemico avrebbe utilizzato tutte e tre le principali direttrici di attacco e coè quella da Neghelli e JaveUo verso Dalle, dallo Scioa verso Abaltì e Sciasciamamea e dal Sudan verso Scioa Ghimira. Più minacciose, per quantità e qualità, parvero le forze gravitanti in corrispondenza della sinistra Omo contro la quale, infatti , gli inglesi sferrarono l'attacco che, dopo la lunga e sanguinosa battaglia di Uadarà - definita dagli inglesi forse la più dura azione dell'intera guerra dell'A.O.I. - consenti alle forze corazzate britanniche l'occupazione di Soddu (22 maggio). Nella zona di sinistra Omo la difesa, sia sulla fronte settentrionale (25" divisione) sia su quella meridionale (24\ 21a e 101" divisione), fu ispirata a criteri di grande elasticità e reattività. Vennero effettuate puntate offensive, numerosi contrattacchi di arresto della progressione nemica, manovre intersettoriali di forze, ripiegamenti e nuovi schieramenti a difesa diretta di posizioni importanti od a sbarramento di passaggi obbligati, resistenze accanite e tenaci per il mantenimento di posti scoglio nella zona di sicurezza e della inteappunto nella battaglia di grità della posizione di resistenza Uadarà - nella quale, dal 24 aprile al 3 maggio, vennero arrestati ben undici attacchi nemici e vennero effettuati contenimenti prolungati, diretti ad impedire al nemico di sorprendere in crisi di movimento unità ripieganti. Tutto questo venne fatto in condizioni di estrema difficoltà in ragione soprattutto della indisturbata intensità dell'azione aerea nemica, degli attacchi continui portati dai ribelli e dalle forze irregolari sul tergo degli schieramenti, quando non anche su11a fronte, e del progressivo accrescersi delle defezioni. Nella zona centrale, sulla fronte nord est, la difesa dovette fronteggiare durante l'intero mese di maggio l'azione delle formazioni di ribelli scioani, guidate da ufficiali britannici, che invano tentarono di scardinare lo schieramento di Albatì e di scavalcare l'altopiano dei Botor: un
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contrattacco di un battaglione coloniale le ricacciò oltre il Bottego in direzione di Volchitte; una colonna operativa costituita ad hoc costrinse il grosso delle formazioni ribelli a ripiegare oltre il fiume; un altro contrattacco nel settore Limmù Ennaria, a nord di Albatì, incalzò e disperse, a metà maggio, un'altra grossa formazione presso Alga e presso Coma. La fronte nord-est dové, però, cedere all'attacco che i britannici sferrarono nella notte del 3 giugno, dopo aver ammassato mezzi corazzati e camionette sulla sponda del fiume, in corrispondenza del settore Dacano che venne completamente accerchiato, determinandosi così una situazione di serio pericolo per la stessa città di Gimma. Il comando superiore decise l'arretramento dell'intera fronte Dacano-Albatì-Saca-Ghibié Ennaria. Vennero prese immediate misure di difesa vicina per la protezione della popolazione civile di Gimma, fu trattata la resa della città, furono trasferite nella zona Didessa-Dabus per prolungare la resistenza nel resto del territori le forze superstiti. Il 21 giugno le truppe inglesi presero possesso di Gimma. Sulla fronte occidentale della zona centrale, frattanto, il 6 maggio la difesa era stata arretrata a Cianna e l'abbandono della zona di Gurafarda e di Tamangiagi aveva provocato l'afflusso dei ribelli nel territorio di Moecia e Masango. Quando, il 9 maggio, venne ordinato al presidio di Gheccia di ripiegare verso nord su Attelé, posizione dominante e più idonea a sostenere un attacco dei ribelli, la quasi totalità dei coloniali aveva defezionato e i pochi nazionali si erano diretti nel settore della 2r divisione operante nella zona Didessa-Dabus. Il 19 maggio la 223 divisione era stata, a sua volta, arretrata sulla posizione di Cianna e Aberà. Il 6 giugno essa ricevette l'ordine di trasferirsi, via Dembirà-ponte Cerricò, a Dembi e la sera del 19, dopo aver superato difficoltà di ogni genere, riuscì ad accamparsi a Cerricò. Il 20 giugno, in conseguenza della nuova situazione generale, le fu ordinato di raggiungere Gore, tuttallora presidiata da forze italiane, anziché Dembi. Fu nella zona Didessa-Dabus, dove dal 6 giugno si era trasferito il comandante superiore e comandante dello scacchiere sud, che le operazioni della regione Galla e Sidama si conclusero 1'8 luglio. Anche nella zona Didessa-Dabus le operazioni si svolsero, specialmente sulla fronte orientale (26a divisione), in modo simile a quello della zona centrale. L'azione delle formazioni ribelli impegnò dai primi di maggio le truppe dipendenti dalla 26" divisione e verso la fine del mese la situazione si fece particolarmente grave sul Ghibié ove tutte le strade a sud ed a ovest delle posizioni italiane erano infestate dai ribelli provenienti in gran parte da Aratù e da Bacò. Il 24 maggio
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una grossa formazione di ribelli attaccò Anno e si diresse su Billò e sul rovescio delle forze schierate sul Ghibié attaccate contemporaneamente sulla fronte da altre formazioni. Il combattimento si protrasse per l'intera giornata e per i due giorni seguenti ed alla fine le posizioni di Ghibié rimasero saldamente in mano italiana, mentre quelle di Billò, pur non essendo andate perse, risultarono molto indebolite dalle perdite subite. Il 3 giugno la linea venne arretrata su Diré e quindi su Lechenti. Prima che avesse inizio il movimento, interi plotoni coloniali abbandonarono le posizioni e passarono al nemico portando seco le armi; le diserzioni continuarono nella notte. Alla sera del giorno 8 le truppe, che tra mille peripezie avevano lasciato Lechenti, sostavano sul rovescio della posizione di Orde Mulé. Qui, nei giorni 14 e 15, attaccate dalle formazioni ribelli, si batterono fino all'esaurimento delle munizioni, ma non furono in grado di ripiegare ulteriormente. Nell'ultima decade di giugno la situazione della zona operativa Didessa-Dabus si fece grave e insostenibile sia sulla fronte orientale che su quella occidentale. Il mattino del 24 il comandante superiore la rappresentò al Comando Supremo in questi termini: « forze ridotte complessivamente a 2500 nazionali e 5000 coloniali; Belletà presiediata da elementi nazionali e coloniali raccogliticci provenienti da altri settori, non ancora seriamente attaccata; a Dembi 500 nazionali e 100 coloniali a contatto con ribelli che si vanno addensando nella zona; reparti e servizi della 23" divisione e residui della 26a in marcia, con automezzi e a piedi, lungo le strade che convergono su Jubdo da nord e da est; ribelli, penetrati a Bedelle, minacciano il movimento da Bube, dal fiume Gabà e da Mattù; poche truppe di settore, sopraffatte alle sorgenti del Baro, tengono ancora fra Baro e Bure e cercano di concentrarsi a Gore per unirsi alla 22" divisione in marcia da ponte Cerricò. Tutte le truppe dovrebbero tendere, per Jubdo, a Dembidollo per alimentarvi la nostra ultima resistenza. Dembidollo, pure reggendo alla pressione da Gambela, è minacciata sul fianco destro da provenienze Mogi, Lagamera e Cobaca. Azzardata appare la speranza che le truppe della zona a nord di Jubdo arrivino in tempo: forti pioggie rendono i movimenti lenti e faticosi; aerei nemici seguono le colonne bombardandole e mitragliandole e aggravando le difficoltà del loro vettovagliamento che deve spesso affidarsi a risorse locali» (85). Dal 24 al 26 i ribelli lanciarono nuovi attacchi a Dembidollo; tra il 28 giugno ed il 2 luglio caddero i presidi isolati di Bedelle, Dembi, Belletà, Gore, Jubdo. Il 3, dopo aver respinto sul Burta ripetuti attacchi di forze congolesi appoggiate da artiglierie, il comandante
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superiore accettò la proposta fatta dal nemico di cessazione delle ostilità. « La marcia che ci ha condotto da Gimma al Caffa e dal Dabus a Dembidollo, sta giungendo al suo fatale epilogo precipitato dalla sorpresa di ieri a Jubdo » dove forze provenienti dal Didessa e dal Dabus erano state il giorno avanti accerchiate congiuntamente a quelle che presidiavano la località. « Resistenza che da giorni anzi da settimane dava adito a ragionevoli speranze è giunta limite umano estremo ... » (86). La lotta si protrasse ancora sanguinosa fin verso le ore 10 del giorno 6. Unica ancora in piedi restò la difesa dell'Amara che era stata, nel frattempo, organizzata con lo scopo di durare il più a lungo possibile. L'organizzazione iniziale, attuata sulla base delle direttive del comando superiore di fine dicembre 1940, era stata modificata a fine marzo in seguito alle vicende belliche sviluppatesi nel contiguo scacchiere nord ed allo sgombero del Goggiam, i cui presidi per la gran parte erano stati fatti ripiegare nell'Amara. Con le truppe in posto e con quelle dei presidi periferici che erano riusciti a ripiegare,
il sistema difensivo dell'Amara poteva contare, nell'aprile, su circa 17 mila nazionali e 23 mila coloniali. Tale sistema era stato dal generale Guglielmo Nasi (87), comandante dello scacchiere, imperniato sui due ridotti staccati con funzione ritardatrice, e precisamente uno a Volchefit-Debarech a sbarramento delle provenienze dal Tacazzé e uno a Debra Tabor a sbarramento della strada Dessieé-Gondar. La piazza di Gondar-Azozò costituiva il ridotto centrale e disponeva di 2 caposaldi interni - appunto Gondar e Azozò - e di 4 caposaldi esterni destinati a sbarrare le rotabili (caposaldo Blagir Celgà a sbarramento delle provenienze dall'Ermacciò e dal Tenchiel; caposaldo Tucul-Dingià a sbarramento delle provenienze dall'Uolcait e da Om Ager; caposaldo Ualag a sbarramento delle provenienze dal Tacazzé, caposaldo Culquaber-Fercaber a sbarramento delle provenienze da Debra Tabor). Il 16 maggio formazioni sudanesi e ribelli, appoggiate da artiglieria e dall'aviazione, attaccarono il caposaldo di Celgà, ma vennero respinte e contrattaccate dalla riserva generale dello scacchiere; furono rigettate nei burroni del bassopiano. Dopo tale azione il nemico non tentò più di forzare lo schieramento in corrispondenza di Celgà. Il ridotto di Debra Tabor venne attaccato dopo la caduta di Dessié e quindi assediato a largo raggio fino al 15 maggio quando venne nuovamente invano attaccato da formazioni ribelli guidate da ufficiali inglesi. Il 27 giugno l'avversario rinnovò l'attacco con il concorso dell'aviazione, ma venne respinto e contrattaccato. Il 1° luglio, mentre mezzi meccanizzati britannici
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e formazioni scioane serravano più dappresso il ridotto, si accentuò la crisi morale per l'atteggiamento quasi generale delle truppe coloniali orientate alla resa ed alla diserzione. Di fronte a tale situazione il comandante del caposaldo, autorizzato dal comando superiore, prese in considerazione la proposta di resa avanzata dal comando britannico. Debra Tabor si arrese il 6 luglio, aprendo la strada da sud-est e da est verso il ridotto centrale. Il ridotto di Uolchefit-Debarech ispirò la condotta della difesa prevalentemente al criterio delle puntate offensive esterne e dei contrattacchi. Ardite puntate dettero al presidio largo respiro e gli consentirono di procacciarsi i viveri. Nei giorni 28 e 29 maggio le forze del ridotto riconquistarono il villaggio di Debarech andato perduto in seguito ad un attacco di ribelli, il 17 giugno sbaragliarono e volsero in fuga circa 1500 armati che difendevano una posizione nella zona di Debivar, il 13 luglio svilupparono una puntata offensiva contro altre formazioni ribelli che riportavano gravi perdite, il 14, con azione di sorpresa, decimarono il reparto britannico che presidiava passo Ciank. Tali azioni, e<l altre compiute da forze esterne al ridotto, valsero a galvanizzare il morale delle truppe, ma nel tempo nulla poté arrestare il logoramento fisico determinato dalle pioggie torrenziali, dall'altitudine che esponeva gli uomini ai rigori stagionali, dalle sofferenze, dalle privazioni, dalla denutrizione. Tuttavia gli uomini del ridotto « tennero testa per quasi sei mesi agli attaccanti, li batterono, resistettero all'influenza di una propaganda che invitava alla diserzione promettendo, specie agli elementi di colore, lauti compensi pecuniari, abbondante alimentazione, cessazione della lotta e dei sacrifici e rientro alle proprie case» (88). Il 18 settembre, una formazione mista di reparti coloniali e nazionali attaccò ancora una volta e disperse le forze nemiche del passo Ciank e il 25, quando oramai la fame aveva quasi piegato qualsiasi proposito di ulteriore resistenza, una colonna mista di 1100 coloniali e 250 nazionali con un'ultima sortita andò a cercare per attaccarlo il nemico che preferì sottrarsi al combattimento. Il 27 il presidio si arrese ed il 28 i britannici resero gli onori alla Bandiera italiana che venne ammainata. Gli sforzi nemici si concentrarono allora contro Culqualber e quindi via via contro gli altri caposaldi. La notte sul 12 settembre il nemico tentò di penetrare nel caposaldo di Culqualber e fu respinto; il mattino del 13, dopo che l'azione dell'artiglieria aveva battuto il caposaldo per tutta la notte, il nemico rinnovò l'attacco, ma contrattacato fu costretto ancora una volta a ripiegare lasciando sul terreno morti ed armi. L'indomani tornò all'attacco, ma il presidio del caposaldo resisté. Il mattino del 21
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nuove truppe con larga partecipazione di aerei, artiglierie e bombarde tornarono all'attacco e, dopo essersi dovute violentemente impegnare, alle ore 15 riuscirono a sopraffare il caposaldo. Lo stesso giorno cadde altresi, dopo aver a lungo resistito, anche il caposaldo di Fercaber. Il 23 il nemico dette inizio all'investimento diretto della città di Gondar da tutti i lati fuorché da nord ove rimanevano ancora attivi i caposaldi di Ualag e di Cheocher. La battaglia per il possesso di Gondar durò 4 giorni (24-28 settembre). Scrisse il generale Nasi: « Con truppe mal nutrite, male equipaggiate e quasi scalze, con reparti indigeni non sempre regolarmente pagati, con poche armi automatiche in gran parte guaste, con pseudo carri armati di ... brevetto locale, con artiglierie vetuste e logore e munizioni vecchie e scarse (dei proietti ne scoppia uno su tre), senza armi controcarro, con pochi mezzi di trasporto, con carburante alchimiato, senza aerei, con pane nero grumoso e fermentato, con magazzini semivuoti, senza tabacco, senza notizie dei familiari, isolati e circondati dal nemico e dalla incessante insidia ribelle, la difesa attorno all'ultimo tricolore fu fino all'ultimo pervasa dalla più profonda dedizione al dovere» (89). Un epitaffio valido anche per i combattenti degli altri scacchieri difensivi dell'A .O .I.
9. Abbiamo volutamente dedicato alla guerra in Africa orientale spazio più ampio di quanto non ne sarebbe stato strettamente necessario nel quadro dell'economia generale della presente pubblicazione. Si è che le operazioni, sebbene caratterizzate da un denominatore comune, presentano singolarità proprie a seconda dei vari scacchieri. Esse non diventano evidenti qualora si sorvoli sulle motivazioni che le determinarono e sui fatti d'arme episodici che le caratterizzarono. Occore dire che con le forze ed i mezzi disponibili al momento della dichiarazione di guerra - a meno di non tentare subito, lo stesso giorno, un'azione offensiva a fondo dal Sudan verso l'Egitto, le cui probabilità di riuscita sarebbero state incerte, ma non nulle, stanti le forze ed i mezzi dei quali disponeva in quel momento l'Inghilterra sia nell'Africa settentrionale sia nel Kenia - le operazioni militari si svolsero sulla rima obbligata della tutela all'interno e della difesa dall'esterno della integrità politica e territoriale dello impero. In ossequio a tale compito tassativo una diversa impostazione e condotta delle operazioni - ammesso che fossero state
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possibili - non avrebbero conseguito un risultato finale diverso. Le forze ed i mezzi disponibili non erano adeguati al compito, indipendentemente dalla durata lunga o breve della guerra. Qualora, per ipotesi, l'Inghilterra fosse stata pronta ad attaccare l'Eritrea e la Somalia 1'11 giugno del 1940, l'integrità politica e territoriale dell'A.0.1. sarebbe subito volata via come accadrà nel gennaio-febbraio del 1941. Ma proprio perché l'Inghilterra non era preparata sarebbe stato conveniente coglierla nel momento di crisi. Il problema delle gomme, dei carburanti e degli aerei - la cui mancata soluzione dettò la rinunzia a<l ogni iniziativa offensiva - si sarebbe certamente aggravato con la conseguenza di una minore durata dell'azione difensiva; l'aggrapparsi però alla speranza di riuscita dell'azione offensiva, giocando il tutto per il tutto, sarebbe stato sì arrischiato, ma più prudente della rassegnazione ad un'azione difensiva consapevolmente condannata in partenza all'insuccesso. La questione è certamente opinabile, perché ogni scelta strategica dipende anche dal temperamento e dalla forma mentis di chi la fa, ma è difficile contestare che l'insuccesso di un'offensiva produce quasi sempre conseguenze morali e materiali meno gravi del fallimento di una lunga e logorante azione difensiva. A monte di ciò sta la constatazione che nessun altro scacchiere operativo fu sorpreso dalla dichiarazione di guerra così impreparato come quello dell'Africa orientale dove, subito dopo la campagna contro l'Etiopia, si erano poste molte cure nell'assetto politico-amministrativo del territorio e scarsa o mediocre attenzione alle esigenze della organizzazione militare, specialmente nei riguardi della difesa esterna. L'ordinamento iniziale era stato basato su una forza bilanciata di 6 7 mila uomini; poi, dal 1° luglio 193 7, gli uomini furono portati a 100 mila dei quali 50 mila metropolitani. L'armata nera di 300 mila mobilitati, che Mussolini nel 1937 aveva ordinato di mettere in piedi per il 1940-'41, anche se fosse stata approntata per intero - il 1O giugno 1940 aveva raggiunto solo i due terzi della cifra stabilita - non avrebbe migliorato l'efficienza militare complessiva che non era solo problema di quantità. Lo stato maggiore italiano ebbe chiaro fin dal 1937 quale avrebbe potuto e dovuto essere il ruolo dell'A.0.1. in caso di guerra contro la Francia e l'Inghilterra, ma gli fece difetto, anche sul solo piano concettuale, la previsione di quante e quali forze sarebbero state necessarie a tale ruolo. Non meno carente fu la valutazione di ciò che sarebbe stato indispensabile ai soli fini del mantenimento dell'integrità politica e territoriale di quelle terre, tanto vaste (1 859 557 Km 2 ) quanto difformi (brulli altopiani , grandi foreste,
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immense pianure, aridi bassopiani). Date l'estensione e la varietà morfologica del territorio, nonché Ja Junghezza dei suoi confini terrestri con il Sudan e con il Kenia, per la difesa dall'esterno sarebbero occorse forze terrestri mobili e forze aeree di esplorazione e da combattimento numerose e in grado d'intervenire a massa. Fin dal 1936, invece, non si fece distinzione tra difesa dell'esterno e quella all'interno e si decise di creare un'organizzazione bivalente imperniata su di un sistema misto di forze metropolitane e di forze coloniali prive di mobilità strategica e di adeguato supporto aereo . Le truppe metropolitane - meno della metà di quelle coloniali - furono costituite da volontari, quasi tutti di età superiore ai 30 anni, rimasti in Africa dopo la campagna contro l'Etiopia nella speranza di trovarvi un'occupazione stabile e lucrosa, e da richiamati per mobilitazione, anch'essi di età tra i 30 ed i 40 anni, tratti dal personale addetto all'amministrazione civile o da quello sceso in Africa per dedicarsi alle piccole industrie, al commercio, alla agricoltura. Le truppe coloniali - reparti di formazione e complementi tratti dalle popolazioni locali - ad eccezione di quelle eritree e somale, furono reclutate da regioni che appena da 3 anni erano sotto la sudditanza italiana e dove ancora vivi erano i fermenti d'insofferenza e di ribellione ed affatto sentito l'attaccamento ad una Bandiera che non era la loro. Molti coloniali servirono con fedeltà e si sacrificarono fino all'ultimo accanto ai soldati nazionali, combattendo più a lungo di quanto le tragiche condizioni nelle quali vennero a trovarsi potessero far immaginare, ma molti abbandonarono la lotta, defezionarono e disertarono, mentre alcuni di costoro si unirono addirittura alle bande dei ribelli per il timore delle rappresaglie o per acquistare benemerenze agli occhi del vincitore. Altri punti specifici di estrema debolezza del personale chiamato a difendere l'impero furono: l'eterogeneità dei quadri inferiori per età, qualità fisiche e morali, preparazione professionale, conoscenze delle unità metropolitane abituate ad agire nelle operazioni di grande polizia e ad essere impiegate nei lavori stradali, ma con scarsa cognizione dei criteri e procedimenti propri di una guerra impostata sui mezzi corazzati, sulla motorizzazione delle unità, sull'artiglieria e sugli aerei; l'ancora più basso livello di addestramento delle unità coloniali che a mala pena conoscevano l'impiego del fucile e dell'arma bianca ed erano del tutto ignare delle modalità della cooperazione fanteria-artiglieria e di quella armi terrestri-aviazione, senza dire che non avevano mai visto un carro armato; l'insufficienza del personale specializzato nell'impiego dei
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mezzi tecnki. Forze male reclutate, insufficientemente inquadrate, affatto o quasi addestrate - a prescindere da tutto il resto avrebbero dovuto difendere un territorio immenso, infestato dalla guerriglia, contro un nemico meno numeroso, ma molto mobile, bene organizzato nei comandi e nei servizi, con elevato grado di professionalità, efficiente tatticamente e logisticamente, potente e superiore in artiglieria, carri armati ed aerei. Alle forze militari dell' A .O .I. fu richiesto un miracolo che nessuno avrebbe potuto umanamente compiere. Lo stato maggiore non poteva non sapere fin da prima dell'entrata in guerra che tali forze sarebbero state condannate in ogni caso a soccombere e che per ridurre la negatività della difesa sarebbe stato più necessario dedicare le scarse, quasi irrisorie, disponibilità finanziarie - si pensi ai 900 milioni assegnati 58 giorni prima della dichiarazione di guerra - alla mobilità delle forze terrestri ed al potenziamento di quelle aeree piuttosto che all'aumento numerico delle unità coloniali. Ciò si sarebbe dovuto fare fin dal 1937, da quando cioè Mussolini aveva scritto al maresciallo Graziani di voler aumentare da 67 mila a 100 mila le for1.e terrestri di presidio e gli aveva ordinato di cominciare a reclutare, inquadrare ed addestrare i primi 100 mila uomini dell'armata nera quale premessa ai 300 mila del 1940-'41. Nessuno, invece, ebbe nulJa da obiettare alla concezione anacronistica di Mussolini; il capo di stato maggiore generale ed il capo di stato maggiore dell'esercito continuarono a marciare sulla strada sbagliata del numero, che può essere inutile, se non addirittura dannosa, quando la si percorre non badando in parallelo anche alle concezioni d'impiego, all'ordinamento, alla mobilità, all'armamento, all'addestramento, all'organizzazione di comando e di controllo e, prima ancora, a quella logistica. Mussolini accantonò i primi progetti per l'autosufficienza dell'A.O.I. presentati nel maggio del 1939 dal viceré ed anche quello ridotto del settembre dello stesso anno; si decise a fare qualcosa solo il 6 aprile del 1940, quando, nella riunione con il ministro dell'Africa italiana, il sottosegretario di Stato alla Guerra, ed il viceré - assenti il capo di stato maggiore generale ed i capi di stato maggiore di forza armata gli venne nuovamente esposta l'impreparazione dell'A.O.I. alla guerra, l'inconsistenza militare dell'impero per una guerra contro l'Inghilterra e l'inadeguatezza dell'armamento e dei mezzi terrestri ed aerei. Non risulta che nella riunione gli sia stato esplicitamente detto che l'impero sarebbe andato sicuramente perduto, ma l'illustrazione che gli fu fatta delle deficienze militari e
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dei fabbisogni di mezzi e di materiali per rimediarvi in qualche modo avrebbe dovuto bastare a fargli capire la conseguenza africana del giuoco d'azzardo al quale stava decidendo di partecipare. Premesse della perdita dell'impero furono, dunque, non solo la situazione politica interna e la situazione logistica, ma anche la errata impostazione concettuale dell'intero apparato militare difensivo, modellato sullo schema tradizionale delle guerre coloniali. Quando nel gennaio del 1941 l'apparato fu messo alla prova - nonostante la tenuta morale che mai venne meno alle unità nazionali, gli accorgimenti adottati per accrescerne la capacità di resistenza (restringimento della fronte, mutamenti dell'articolazione delle forze, creazione dei ridotti, aggressività e reattività spinte nella condotta della difesa, impiego razionale delle forze e dei mezzi disponibili per durare il più a lungo possibile) - non poté reggere all'urto della macchina bellica inglese costruita, organizzata e funzionante secondo moduli nuovi e moderni del tutto diversi e non confrontabili con quelli italiani. « Caratteristica dell'ordinamento delle unità britanniche era la completa autonomia nella quale ciascuna entro ambiti proporzionalmente diversi, poteva operare. Ciascuna divisione comprendeva 3 brigate, unità di artiglieria, genio e servizi. Di ogni brigata facevano parte normalmente 4 o 5 battaglioni, da 2 a 4 batterie di artiglieria di calibro 88 o superiore (12-24 pezzi) , compagnie mortai e mitragliatrici pesanti, reparti controcarro e contraerei, unità del genio, dei servizi ed automobilistiche. Alla brigata erano assegnate inoltre, in modo continuativo, 1 o 2 squadriglie autoblinde ed un numero variabile di carri armati; con essa, alla diretta dipendenza del generale comandante, operavano di norma sempre le stesse unità aeree di assalto, in intima ed ininterrotta cooperazione, resa possibile dal consuetudinario addestramento in comune e da multipli e sicuri mezzi di collegamento. A sua volta ogni battaglione, formato da 3 compagnie armi automatiche leggere, da una compagnia armi automatiche pesanti e mortai e da una compagnia comando, aveva in proprio tanti nuclei di camionette quante erano le compagnie, di guisa che ciascuna, pel trasporto degli uomini e dei materiali, disponeva sempre degli stessi automezzi e conducenti e per di più di un cosi largo numero di stazioni radio autotrasportate da poterne assegnare di volta in volta fino a due ad ogni unità staccata. Tutti i servizi erano autotrasportati. Nel complesso, quindi, un corpo di spedizione perfettamente attrezzato per il movimento a largo raggio anche in terreni privi di qualsiasi risorsa logistica» (90). In una situazione siffatta, che rende improponibile ogni confronto tra le opposte
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forze per la mancanza di termini omogenei di paragone, ciò che acquista risalto è quanto fecero i deboli contro i forti, non il perché i meno vinsero i più. Bene riunite dal punto di vista organizzativo e dell'esecuzione, le azioni offensive iniziali a raggio limitato nel Sudan; ma, rimaste fine a sé stesse, raggiunsero in pratica solo effetti informativi e morali. L'azione su Cassala, sviluppata secondo lo schema classico della piccolo manovra di accerchiamento, non servi né a chiudere la principale porta di accesso all'Eritrea - la località venne abbandonata senza colpo ferire il 18 gennaio - né a costituire, come avrebbe potuto, base di partenza per un'ulteriore operazione a largo raggio. L'occupazione di Gallabat, di Kurmuk, Gheran, del fortino di Todignac migliorò le posizioni di confine e assicurò il possesso di nodi stradali importanti, ma non risultò successivamente di nessuna utilità, anzi in seguito ai tentativi inglesi di riconquista delle posizioni perdute vennero consumate inutilmente molte energie. Anche le azioni lungo la frontiera del Kenia - conquista di Moyale, Terkali, Tagaba Danisa, Cocaia e della stessa Debel - con le quali venne eliminato il saliente inglese di Mandera e realizzata una riduzione di 300 Km della fronte, si risolsero, sul piano tattico, in un nulla di fatto ed ebbero solo uno scopo di molestia del nemico, scopo che avrebbe potuto essere conseguito con semplici puntate offensive sui posti di copertura senza doversi concludere con l'occupazione stabile delle località, alcune delle quali oltre tutto vennero riconquistate qualche giorno dopo dal nemico. Scarse e talvolta controproducenti - azioni nella zona di Roscires - furono le piccole incursioni oltre confine per eseguire colpi di mano caduti nel vuoto. La conquista del Somaliland fu una bella operazione di guerra nel senso che venne concepita, organizzata e condotta brillantemente sul piano tattico e logistico, ma i vantaggi che ne sarebbero dovuti derivare - impedire sbarchi di forze nemiche destinate alla conquista di Barar; recidere il contatto tra forze inglesi e francesi; ridurre la fronte terrestre da 1150 a 720 Km di frontiera marittima con possibilità di recupero di notevoli forze per altri impieghi - furono effimeri, perché il territorio del Somaliland, facilmente isolabile, dovette essere abbandonato all'inizio della controffensiva inglese quando fu deciso di resistere sul Giuba. Vero è che in quel momento la guerra sembrava volgere verso una fine vittoriosa per l'Asse - il maresciallo Badoglio telegrafò al viceré « Su, da bravi Bisogna portare al tavolo della pace anche un pegno coloniale» (91) - ma nel quadro dell'economia della guerra la conquista del Somaliland
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fu una operazione assai discutibile, non necessaria e neppure conveniente se non da un punto di vista politico contingente. È difficile dire se una diversa impostazione e condotta della difesa - orientata ad una minore dispersione delle forze mediante l'abbandono delle regioni (ad esempio la Somalia) non difendibili con i mezzi a disposizione e un'ulteriore contrazione degli schieramenti sarebbero state meglio rispondenti al compito di durare il più a lungo possibile. Non bisogna dimenticare che le scelte del comandante superiore furono, a ragione, influenzate da considerazioni di carattere politico non eludibili. La scelta strategica dell'azione difensiva a grandi regioni ebbe motivazioni politiche e anche militari. La mancanza di mobilità delle forze non avrebbe consentito di impostare l'azione difensiva su di una grande manovra di logoramento unitaria tendente ad esaurire la capacità offensiva avversaria nella area molto profonda disponibile. Una manovra del genere sarebbe stata però possibile con forze meccanizzate e motorizzate, con un supporto logistico predisposto di lunga mano, in una situazione politica interna non infestata dalla guerriglia e dai fenomeni del ribellismo e delle diserzioni e non appesantita dalla presenza delle famiglie nazionali e dei campi famiglia coloniali. La manovra di logoramento è propria della disponibilità dei grandi spazi e dell'inferiorità delle forze, ma è attuabile quando i primi non siano soggetti a vincoli di ordine politico e sociale e l'insufficienza delle forze sia da intendere in termini numerici e non qualitativi. Nel caso particolare, inoltre, non solo la massa delle forze era appiedata, ma i pochi autocarri disponibili, oltre che essere legati alle scarse strade e piste, non erano attrezzati per superare le difficoltà causate dalle grandi piogge. La scelta tattica della difesa a ridotti, anziché di quella imperniata su di una posizione di resistenza continua, fu suggerita dalla vastità del territorio da difendere e dalla mancanza di mobilità delle forze, fattori che non consentivano manovre intersettoriali delle riserve. Per gli stessi motivi il comandante superiore rinunziò alla riserva generale che inizialmente aveva costituita - 2 brigate nell'Hararino; 4 battaglioni della divisione Cacciatori d'Africa e 9 battaglioni, dei quali 3 di camicie nere, della divisione Granatieri di Savoia, in Addis Abeba - per manovrare, e che successivamente decentrò, invece, per aliquote, allo scacchire Eritrea ed alle forze che operarono nel territorio dell'Harar. La difesa a ridotti fu però ispirata a criteri di elasticità e di reattività, la cui applicazione peraltro venne limitata dalla mancanza di mobilità che incise negativamente sulla riuscita dei ripiegamenti e sulla portata delle puntate offensive, dovute affi-
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dare a truppe appiedate che nelle estenuanti marce perdevano gran parte della loro capacità combattiva. Dopo il decentramento agli scacchieri della riserva generale, unico mezzo d'intervento del comandante superiore rimase l'aviazione che, però, in brevissimo tempo, si esaurì. La organizzazione a ridotti consentì al nemico di agire a massa mediante sforzi successivi dfretti, ciascuno, ad eliminare un ridotto alla volta e, d'altra parte, tolse alla difesa ogni carattere di unitarietà . La decisione di tentare di salvare almeno le parti più importanti dell'impero, una volta constatato che non si poteva salvarlo tutto, non sortì l'effetto voluto e risultò più logorante per ]a difesa che per l'attacco. Ma quando venne presa, il 24 dicembre 1940, era l'unica possibile, dovendosi scartare ogni altra forma di manovra che implicasse grandi trasferimenti di forze, di mezzi e di provviste logistiche. I fattori determinanti dei successi inglesi nell' A.O.I. furono la mobilità delle forze e la superiorità aerea oltre che una certa disponibilità di carri armati. Questi ultimi vennero impiegati in stretta cooperazione con le fanterie, non come massa a sé stante e risolutiva. Le autoblinde giuocarono un ruolo più importante degli stessi carri armati. La mancata ampia previsione delle caratteristiche del conflitto e l'eccessivo attaccamento a schemi superati, validi tutto al più per le operazioni di polizia, da parte dei vertici militari, nonché la scarsa attenzione e cura poste da Mussolini e dalle autorità politiche centrali ai problemi della preparazione e dell'organizzazione militari dell'impero furono la causa prima dell'inconsistenza dell'assetto conferito ali' A.O.I. sul piano strategico, tattico e logistico. Un diverso impiego delle più che inadeguate disponibilità finanziarie avrebbe potuto tuttavia lenire il male congenito, non certamente guarirlo, e offrire spazio, al momento dell'entrata in guerra, all'unica operazione che avrebbe potuto conseguire un risultato d'importanza strategica. A parte l'assurdo di forze appiedate in un territorio così vasto e vario la cui integrità si volle difendere per intero - la stessa erronea impostazione alla quale s'ispirò anche, come già rilevato, l'organizzazione militate della Libia - l'ordinamento stabilito per esse fu quanto di meno razionale si potesse fare nei riguardi della difesa esterna, che si volle affidare prevalentemente alle forze coloniali. L'ordinamento delle forze metropolitane venne adeguato a quello delle forze coloniali, diversamente di quanto si fece in Libia dove i battaglioni coloniali vennero riuniti in divisioni. Questo ultimo provvedimento non sarebbe stato né necessario né opportuno, né conveniente nell'A.O.I., ma ordinare la metà delle forze nazionali in battaglioni autonomi, non raggruppati in reggimenti e divisioni, se da un lato era rispon-
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dente alle esigenze delle operazioni di polizia, dall'altro era controproducente ai fini della compattezza morale e organica delle compagini e della capacità operativa necessarie al combattimento, dove non basta porre a capo di più battaglioni autonomi un generale per fare di quelli una grande unità di guerra. Il frazionamento organico delle unità nazionali - 2 divisioni binarie del tipo ordinario, 16 battaglioni nazionali autonomi, 2 compagnie carri armati, 1 squadrone carri veloci, 1 squadriglia autoblinde, 10 gruppi di artiglieria autonomi - , a prescindere dalla loro formazione con personale volontario e richiamato di età superiore ai 30 anni, incise negativamente sul rendimento operativo. Le stesse 2 divisioni (12 battaglioni di fanteria e 3 battaglioni di camicie nere) non vennero impiegate unitariamente, ma costituirono un serbatoio dal quale attingere, per aliquote, i rinforzi da inviare nei vari scacchieri al momento del bisogno. I reggimenti delle 2 divisioni costituiti da unità eterogenee - granatieri, bersaglieri, alpini, camicie nere - vennero impiegati, infatti, rompendone la unitarietà organica in settori di combattimento o di presidio diversi. Sarebbe fuori luogo attribuire la causa principale degli insuccessi delle unità stanziali in A.O. al pessimo ordinamento delle forze - gli insuccessi in campo tattico dipesero soprattutto dalla mancanza di mobilità e dalla assoluta insufficienza dell'armamento controcarri e contraerei e del sostegno aereo - ma ciò non toglie che ad esso debbano farsi risalire la mancanza di unitarietà e di coordinazione di molti combattimenti, nonché il moltiplicarsi delle difficoltà di stretta cooperazione tra unità eterogenee di uno stesso complesso di forze affatto addestrate ad agire insieme e, in più, diverse per mentalità, temperamento, procedimenti tattici, linguaggio. I risultati che, malgrado l'ordinamento, furono conseguiti sul piano tattico si possono considerare miracolosi e possono essere guardati anche oggi con senso di giusto orgoglio. Ma se le forze dello spirito poterono prevalere temporaneamente su quelle delle armi, degli equipaggi armati, dei mezzi e delle risorse materiali in molti combattimenti, esse non furono naturalmente sufficienti a compensare il disequilibrio interno delle formazioni combattenti e tanto meno lo squilibrio qualitativo, e in un secondo tempo anche quantitativo, rispetto all'avversario. La vana difesa dell'impero costò all'esercito, in via largamente approssimata - i dati riguardanti i coloniali degli scacchieri nord, Giuba, est non furono rilevati - 5 211 morti (426 ufficiali, 4 785 sottoufficiali e truppa) e 6 947 feriti (703 ufficiali, 6 244 sottufficiali e truppa) nazionali, 11 753 morti e 18 152 feriti coloniali. La campagna
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per la sua conquista era stata pagata dall'esercito molto meno: 2 988 morti e 7 815 feriti nazionali. Forse perché data per scontata, e forse perché la tragedia morale e materiale delle lontane operazioni in A.O. ebbe meno risalto nei bollettini di guerra, nella stampa, nella radio, la perdita dell'impero ebbe, all'interno della nazione, riflessi politici e psicologici negativi meno gravi di quelli della campagna di Grecia. La caduta dell'Amba Alagi (18 maggio) - che segnò la perdita definitiva dell'impero anche se si continuerà a combattere per altri 6 mesi - avvenne dopo la controffensiva di Rommel mediante la quale era stata riconquistata la Cirenaica (24 marzo-12 aprile), e dopo la fine vittoriosa della campagna dei Balcani (21-23 aprile) e fu quasi contemporanea all'occupazione di Creta (20-28 maggio), avvenimenti che risollevarono il morale della nazione che, oramai convinta della propria impreparazione, riponeva tutte le sue speranze nella invincibilità delle forze armate tedesche. Queste, difatti, intervenute in Africa settentrionale e nei Balcani, avevano ottenuto e stavano raccogliendo dovunque rapidi successi. L'unico insuccesso tedesco era stato fìno ad allora la battaglia aerea contro l'Inghilterra e l'unica rinunzia strategica era stata l'occupazione delle isole britanniche, ma l'inizio nel febbraio della grande offensiva sottomarina condotta con attacchi di gruppo o branchi di lupi nell'Atlantico cominciava a dare i suoi frutti - nell'aprile del 1941 furono affondate 560 000 tonnellate e nel maggio altre 658 000 - e le speranze di battere l'Inghilterra mediante l'assedio dal mare non sembravano in quella primavera senza fondamento.
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NOTE AL CAPITOW XXXIV ( l) Stato maggiore dell'esercito. Ufficio Storico. La campagna di Grecia. 3 volumi: Tomo I, testo; Tomo II, documenti; Tomo III, schizzi e fotografie. [Monografia compilata dal generale di brigata (aus.) Mario Montanari]. FUSA, Roma, 1980.
(2) Alfredo Guzzoni (1877-1965}, generale <l'armata. Sottotenente di fanteria nell'ottobre 1896. Nel 1907 frequentò i corsi della scuola di guerra, al termine dei quali prestò servizio nello stato maggiore. Durante la prima guerra mondiale prestò servizio di stato maggiore presso l'intendenza della 4~ armata; fu poi capo di stato maggiore prima della 7" e poi dell'Ila divisione di fanteria. Promosso colonnello, fu capo di stato maggiore prima del XXVII e poi del III corpo d'armata. Alla fine della guerra fu nominato capo ufficio operazioni del Comando Supremo, e successivamente capo di stato maggiore della commissione militare interalleata di controllo. Rientrato in patria, fu assegnato al Ministero della Guerra, prima come capo della segreteria militare e poi come capo di gabinetto. Comandò il 58" reggimento fanteria, poi la III brigata alpina, infine l'accademia di fanteria e cavalleria e la scuola di applicazione di fanteria. Promosso generale di divisione, comandò la divisione territoriale di Roma. Partecipò alJa guerra contro l'Etiopia e fu incaricato delle funzioni di governatore dell'Eritrea dal 1° giugno 1936. Promosso generale di corpo d'armata per meriti eccezionali, comandò il corpo d'armata di Udine. Comandante superiore delle truppe d'Albania, successivamente comandante designato della 4a armata. II 30 novembre 1940 fu nominato sottosegretario di stato per la guerra e sottocapo di stato maggiore generale. Promosso generale d'annata nel marzo 1943, nel giugno successivo venne nominato comandante delle forze armate della Sicilia. (3) La campagna di Grecia. Op. cit., tomo I, p. 109. (4) Ibidem, tomo II, documento n. 1, p, 7. (5) Ibidem, tomo I, p. 33. (6) Carlo Geloso (1879-1957}, generale d'armata. Tenente di artiglieria nel 1903, terminò il corso della scuola di guerra nel 1910. Dal luglio alJ'agosto 1912 prestò servizio presso l'intendenza mobilitata della Libia. Partecipò alla prima guerra mondiale adempiendo incarichi vari, tra cui quello di capo <li stato maggiore prima della 65"' e poi della 34" divisione. Nel 1925 prestò servizio presso la segreteria generale della Commissione Suprema di Difesa. Da colonnello, nel 1928 comandò il 6° reggimento artiglieria pesante campale e dal 1931 fu capo di stato maggiore del corpo d'armata di Roma. Da generale di brigata comandò l'artiglieria del corpo d 'armata di Milano e fu poi capo di stato maggiore del comando designato d'armata di Napoli, e successivamente di quello di Bologna. Fu poi in Africa orientale, dove consegui la promo7.ione a generale di divisione, e dove fu incaricato delle funzioni di governatore e di comandante delle truppe del Galla e Sidama. Nel luglio 1939 fu promosso generale di corpo d'armata, ed assunse il comando del corpo d'armata di Bari, quindi di quello di Trieste, e infine, fu nominato comandante superiore delle truppe d'Albania. Nella seconda metà del 1940 tenne il comando della 3"' armata; poi, ritornato
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in Albania, guidò 1'11 & armata durante la guerra contro la Grecia. Passò a disposizione del Comando Supremo e del Ministero della Guerra; fu catturato dai tedeschi in Roma il 23 settembre 1943, e fu internato in Germania, da dove rimpatri:'> nell'ottobre 1945. (7) Sebastiano Visconti-Prasco (1883-1961), generale di corpo d'armata. Sottotenente di fanteria nel 1904; partecipò alla guerra di Libia e alla prima guerra mondiale; frequentò i corsi della scuola di guerra. Da colonnello comandò il 36° fanteria e, trasferito al corpo di stato maggiore, prestò servizio presso il comando designato d'armata di Bologna, e successivamente presso l'ufficio del capo di stato maggiore generale. Promosso generale di brigata per metiti eccezionali, dopo essere stato il comandante del contingente delle truppe italiane nelJa Saar, comandò la brigata di fanteria Cosseria II. Fu addetto militare a Parigi, poi assunse le funzioni di comandante del XXVI corpo d'armata in Albania. Cessò dal servizio petmanente il 10 dicembre 1940. (8) La campagna di Grecia. Op. cit., tomo I , p. 49. (9) Ibidem, tomo I, p. 44. (10) Ibidem, tomo I, p. 45. (11) Ibidem, tomo II, documento n. 17, p. 67. (12) Ibidem, tomo 11, documento n. 23, p. 74. (13) Ibidem, tomo I, p. 55. (14) Ibidem, tomo II, documento n. 26, p. 85. (15) Ibidem, tomo I, p. 61. (16) Ibidem, tomo II, documento n. 35, p. 112. (17) Ibidem, tomo II, documento n. 36, p. 115. (18) Ibidem, tomo I, p. 73. (19) Ibi.d em, tomo II, documento n. 50, p. 157. (20) Ibidem, tomo Il, documento n. 52, p. 159. (21) Ibidem, tomo I, p. 83. (22} Galeazzo Ciano, Diario, Op. cit., p. 315. (23) La campagna di Grecia. Op. cit., tomo II, documento n. 70, p. 219. (24) Ibidem, tomo II, documento n. 74, p. 227. (25} Ibidem, tomo II, documento n. 78, p. 236 e documento n. 79, p. 246. (26} Ordine di battaglia delle truppe d'Albania al 28 ottobre 1940. Comando Superiore truppe Albania. Comandante: generale Sebastiano Visconti Prasca. Direzione Supetiore dei Servizi.
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Corpo d'armata Ciam1'ria (comandante: gen. div. i.g.s. Carlo Rossi): - divisione fanteria Siena; -
divisione fanteria Ferrara;
-
divisione corazzata Centattro;
-
divisione alpina ]14lia;
- raggruppamento del litorale (3° reggimento granatieri, 6° reggimento lancieri di Aosta e 7° reggimento lancieri di Milano). XXVI corpo d'armata (comandante : gen. div. i.g.s. Gabriele Nasci): - divisione fanteria Parma; -
divisione fanteria Piemonte (riserva superiore del comando superiore).
Le forze a disposizione del Comando Superiore comprendevano complessivamente: - 8 divisioni (Ferrara, Siena, Centauro nel settore Epiro, Julia nel settore Pindo; Parma e Piemonte nel settore macedone; Venezia ed Arezzo sulla frontiera con la Jugoslavia ); - elementi di rinforzo: 3° reggimento di Albania, 6° reggimento lancieri di Aosta, 7° reggimento lancieri di Milano, una legione milizia fascista albanese, reparti della guardia alla frontiera e da posizione, reparti del genio (comando 26° raggruppamento genio, un battaglione artieri su 3 compagnie, un battaglione marconisti speciale su 3 compagnie, un battaglione teleferisti su 2 compagnie, un battaglione minatori su 3 compagnie, un battaglione pontieri su 3 compagnie, una compagnia idrici, una compagnia antincendi, 4 passerelle n. 1 senza mezzi di trasporto, 5 colombaie, <li cui 3 mobili e 2 fisse, un plotone meccanici elettricisti, 2 compagnie telegrafisti ), unitd territoriali mohili (un reggimento su 6 battaglioni), unità presidi:rrie (su 2 battaglioni per complessive 15 compagnie), unità lavoratori (12 compagnie); - servizi di armata: sanità (una sezione disinfezione, una sezione bonifica gassati, una ambulanza odontoiatrica da campo in ragione di 4 per ogni divisione di fanteria e di 2 per la divisone corazzata, un magazzino speciale di sanità), commissariato (una sezione sussistenza, 3 sezioni panettieri con forni Weiss, una sezione panettieri con forni carr. cod. 1897, 2 sezioni panettieri senza forni mobili, un magazzino speciale viveri ed avena, un magazzino speciale foraggi, paglia e legna, un magazzino speciale vestiario ed equipaggiamento), artiglieria (un magazzino speciale), genio (un magazzino speciale), chimico (un magazzino speciale), veterinario (un'infermeria quadrupedi, un magazzino speciale veterinaria e mascakia), trasporti (un reparto carreggio ridotto e un autoraggruppamento di armata). Totale delle forze destinate all'offensiva: -
nel compartimento Epiro: -
28 battaglioni di fanteria; 1 battaglione motorizzato; 4 battaglioni carri L; 6 gruppi squadroni; 13 gruppi artiglieria divisionale; 5 gruppi artiglieria di corpo d 'armata; 5 batterie da posizione; 3 batterie da accompagnamento oltre a quelle reggimentali; formazioni volontarie albanesi;
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-
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nel compartimento macedone: -
-
7 battaglioni di fanteria; 1 battaglione mitraglieri; 1 compagnia carri L; 1 compagnia motorizzata; 3 gruppi di artiglieria divisionale; 1 gruppo artiglieria di corpo d'armata; 2 batterie da posizione; formazioni volontarie albanesi.
La forza complessiva ammontava a circa 140 mila uomini; le unità erano al 100 % degli organici di guerra per il personale, almeno nei riguardi della truppa, al 75 % per i quadrupedi e gli automezzi. L'artiglieria di corpo d'armata era scarsissima per combattere su uno scacchiere assai vasto (mille chilometri di frontiera) e contro un nemico nelle cui divisioni esisteva il calibro 105 e che aveva fortificazioni di carattere permanente e semipermanente sulla frontiera. Le forze italiane erano superiori in carri armati (1600 carri L contro nessun carro nemico) ed in aviazione (120 caccia e 100 bombardieri).
L'artiglieria comprendeva in totale: 36 pezzi da 100/17 M16, 20 da 100/17 M14, 24 da 75/18, 140 da 75/13, 56 da 75/27, 61 da 65/17 per un totale di 337 pezzi (artiglieria divisionale); -
- 36 pezzi da 105/28 e 36 da 149/13 per un totale di 72 pezzi (artiglieria di corpo d'armata); - 24 pezzi da 149/35, 16 da 149/12, 8 da 105/28, 84 da 75/27-06, 3 da 65/17 per un totale di 135 pezzi (unità da posizione); - 12 pezzi da 75/27 A.V., 36 da 76/40, 62 da 20 mod. 35 (artiglieria contraerei); -
32 pezzi da 47/32 (artiglieria controcarri).
La divisione italiana disponeva di: 216 fucili mitragliatori, 48 mitragliatrici, 108 mortai da 45, 24 da 81, 8 cannoni di accompagnamento, 24 pezzi da 75 e 12 da 100 (artiglieria da campagna); quella greca: 336 fucili mitragliatori, 112 mitragliatrici, 12 mortai medi, 6 cannoni di accompagnamento, 16 pe7.7.i da 75 e 8 da 105 (artiglieria da montagna). (27) Scrive il gen. Montanari ne La campagna di Grecia, p. 126: « Prima dell'inizio della campagna il Comando Superiore truppe Albania coincideva con il Comando XXVI corpo d'armata, retto dal gen. Visconti Prasca, ai cui ordini erano tutte le truppe dell'esercito (non delle altre forze armate) dislocate in Albania. Allorché si profilò l'emergenza "G ", lo SM. dell'esercito propose la costituzione di un Comando d'armata con il gen. Geloso, alle cui dipendenze mettere il comando del XXVI e.A. con il gen. Visconti Prasca ed un secondo comando di e.A. con altro generale di pari rango. Mussolini non accolse la proposta e dispose che in Albania non fossero inviati generali più elevati in grado o più anziani del Visconti Prasca. Lo Stato Maggiore allora abbozzò, come possibile soluzione, uno schema secondo il quale dal Comando Superiore, retto dal generale Visconti Prasca, sarebbero dipesi il nuovo (per sdoppiamento) comando XXVI e.A., da assegnare ad altro generale, e più settori divisionali, articolazione indubbiamente troppo artificiosa che non appare valida. D'altro canto, alla fine di settembre, il gen. Visconti Prasca si rivolse al gen. Soddu in via
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privata facendo chiaramente capire di non gradire e di non ritenere necessario l'arrivo di un altro generale con relativo stato maggiore per costituire il Comando XXVI corpo, staccandolo dal Comando Superiore, e che invece la struttura in atto andava benissimo. Come si è visto l'argomento rimase in sospeso, anche per effetto dell'altalena di sì e di no sulla guerra fino al 14 ottobre, quando lo S.M. dell'Esercito indicò un altro possibile raggruppamento delle forze: corpo d'armata nord, con Arcuo e Venezia alla frontiera jugoslava, divisione Parma nel settore di Korca, divisione Julia nel settore del Pindo; corpo d'armata sud con Siena, Ferrara e Centauro; raggruppamento del litorale; divisione Piemonte in riserva. Diciamo subito che anche questa soluzione appare molto discutibile: sei redini tattiche più l'Intendenza ed i Comandi d'arma, oltre a reparti minori sono eccessive ... Infine, con il predetto f. 4100 del 20 ot.tobre lo Stato Maggiore dispose la costituzione di due Comandi di corpo d'armata e designò i generali {di divisione con l'incarico del grado superiore) ad essi destinati, lasciando la definizione del quadro di battaglia al Comandante Superiore, ma suggerendo di impegnare entrambi i Comandi sul fronte greco, anziché uno sul fronte jugoslavo e l'altro su quello epirota ... Cosicché, una settimana prima della dichiarazione di guerra, arrivarono in Albania i generali Gabriele Nasci e Carlo Rossi. Il primo trovò un comando (XXVI corpo) d imezzato a profitto del Comando Superiore; il secondo trovò meno ancora e dovette provvedere personalmente racimolando personale fra le sue divisioni ». 0
(28) La campagna di Grecia. Op_ cit., tomo II, documenti n. 97, 98 e 99, p . .307. (29) Ordinamento deUe truppe in Albania il 16 novembre del 1940. Comando Superiore Forze Armate Albania: - comandante: generale Ubaldo Soddu; - capo di stato maggiore f.f.: colonnello Giovanni Bartiromo; - comandante artiglieria; - comandante genio; - intendente superiore; - comando aeronautica; - comando militare marittimo; - comandante superiore dei reali carabinieri; - comandante della guardia di finanza. 9:. armata: comandante: generale Mario VercelUno. III corpo d'armata (generale Mario Arisio): -
divisione Venezia; divisione Arezzo; supporti vari e servizi.
XXVI corpo d'armata (generale Gabriele Nasci): -
divisione Parma; divisione Piemonte; supporti vari e servizi.
11"- armata: comandante: generale Carlo Geloso. VIII corpo d'armata (generale Emilio Bancale): - divisione Bari; - divisione Julia; - supporti vari e servizi.
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XXV corpo d'armata (generale Carlo Rossi): - divisione Fe"ara; - divisione Centauro; - divisione Siena; - supporti vari e servizi. Intendenza: non ancora cosùtuita.
(30) La campagna di Grecia. Tomo I, P. 343. Il 4 dicembre, dopo un giro d'ispezione effettuato il 3, il generale Soddu invi(l a Roma una relazione che non lasciava prevedere la possibilità, nonché di una ripresa, neanche di un equilibrio. Vds. Ibidem, tomo II, documento n. 176, p. 530. (31) Galeazw Ciano. Op. cit., p. 330, (31 bis) Keitel Wilhelm (1882-1946), maresciallo tedesco. Ufficiale di artigliel"ia e di Stato maggiore con un brillante passato di combattente nella prima guerra mondiale e di organizzatore. Fu capo di stato maggiore della W!ehrmacht dal 1938 al 1945. Dopo l'allontanamento del maresciaUo Wemer von Blomberg e del generale Werner von Fritsch divenne il principale collaboratore militare di Hitler, a] quale fu fedele ed ossequiente fino alla fine. Nel 1940 firmò l'armistizio con la rrancia e nel 1945 la resa incondizionata della Germania. Era stato nominato maresciallo nell'aprile del 1942 ed aveva ricoperto anche la carica di ministro della difesa. Il 13 maggio ùel 1945 venne arrestato dagli inglesi e nel processo di Norimberga venne condannato a morte. La sentenza fu eseguita il 15 ottohre 1946. (32) La campagna di Grecia. Op. cit. , tomo II, do<..-umento n. 167, p. 485. {33} Galeazzo Ciano. Op. cit., p. 326. (34} La campagna di Grecia. Op. cit., tomo I , p. 335. (35} Ibidem, tomo I, p. 334.
(36) Antonio Scuero (1885-1960}, generale di corpo <l'armata. Sottotenente degli alpini nel 1907. Con il grado di tenente prestò servizio dal 1911 al 1913 presso il regio corpo truppe della Somalia. Frequentò i corsi della scuola di guerra. Partecipò alla prima guerra mondiale con i gradi di capitano e di maggiore, comandando unità del suo grado e svolgendo servizio di stato maggiore presso comandi di grandi unità alpine e di divisione di fanteria. Dopo la guerra fu inviato in Eritrea dove esplicò funzioni di stato maggiore e comandò un battaglione indigeni in Cirenaica. Tornato in Italia verso la fine del 1924 comandò un battaglione alpini ed esplicò funzioni di stato maggiore presso )a divisione militare <li Ravenna. Tornato in Libia fu capo dell'ufficio servizi del comando regio corpo truppe coloniali della Cirenaica. Rimpatriato, fu nominato capo di stato maggiore della divisione militare di Novara, poi comandò il 12° reggimento fanteria, quindi fu capo di stato maggiore del corpo d'armata di Bologna. Prese parte alla guerra italo etiopica come capo di stato maggiore del corpo d'armata eritreo. Promosso generale di brigata, fu prima vice-comandante della divisione Monviso e poi intendente della 4• armata. Nel maggio del 1940 assunse il comando della divisione Cagliari, che guidò in prima schiera nella battaglia delle Alpi occidentali. Nel novembre del 1940 fu nominato intendente superiore del comando superiore for:zc armate Albania . Dal 24 maggio 1941 al 13 febbraio 1943 coprì la carica di sottosegretario di stato alla guerra.
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(37) La campagna di Grecia. Op. cit., tomo J, p. 443. (38) Ibidem, p. 444. (39) Il corpo d'armata speciale (generale Messe) venne costltulto il 21 dicembre su: comando, divisione fanteria Acqui, divisione fanteria Siena, divisione alpina speciale, unità e servizi vari. ( 40) La campagna di Grecia. Op. cit., tomo II, documento n. 234, p. 656, documento n. 235, p. 660. (41) Ibidem, documento n. 232, p. 653. (42) Il IV corpo d'armata (generale Mercalli) venne costituito su: comando, divisione Pusteria, divisione Lupi di Toscana, divisione Siena, I gruppo di cavalleria. Gli fu affdata la responsabilità del settore Osum. ( 43) La campagna di Grecia. Op. cit., tomo II, documento n. 240, p. 674. (44) Ibidem, documento n. 244, p. 685. (45) Galemizo Ciano. Op. cit., vol. Il, p. 14 e p. 17. (46) La campagna di Grecia. Op. cit., tomo I, p. 582. (47) Idem, p. 597. (48) Ai primi di aprile si era raggiunta in Albania una forza di oltre 500 mih uomini con 75 mila quadrupedi e 20 mila automezzi. Le divisioni già in loco o in corso di arrivo erano 29: 23 di fanteria (Acqui, Arezzo, Bari, Brennero, Cacciatori delle Alpi, Ca?,liari, Casale, Cuneo, Ferrara, Firenze, Forll, Legnano, Lupi di Toscana, Messina, Modena, Parma, Piemonte, Pinerolo, Puglie, Sforzesca, Siena, Taro, Ven,ezia), 5 alpine (Cuneense, Julia, Pusteria, Taurinense, Tridentina), 1 coraz1.ata (Centauro). Vi erano inoltre numerose unità non indivisionate (1 reggimento granatieri, 3 reggimenti bersaglieri, 3 reggimenti di cavalleria, 2 gruppi alpini valle, 4 battaglioni alpini e 4 gruppi di artiglieria alpina) e molte unità di camicie nere, nonché unità di artiglieria, del genio e dei servizi. (49) Dal dicembre al marzo il tonnellaggio mensile sbarcato fu più che triplicatL si p:issò dalle 1500 t giornaliere alle 5000 e più. Nei mesi di gennaio e febbraio giunsero in Albania 8 divisioni; 2 ne arrivarono in marzo e altre 2 in aprile. Dopo il l O febbraio, data dalla quale il flusso dei complementi assunse ritmo regolare, giunsero inoltre e furono avviati alle unità in riordinamento: 93 battaglioni di complementi (fanteria e camicie nere), 3 gruppi di squadroni, 37 batterie complementi di artiglieria, 4330 quadrupedi. Si costruirono cx novo 130 km di strade, se ne migliorarono 436 km, se ne assoggettarono a manutenzione circa 2 mila. Gli operai impiegati nei lavori stradali salirono da 3765 del novembre a 21.680 nei primi giorni di aprile. Il numero degli autocarri impiegati per il complesso dei trasporti salì dai 7500 del dicembre ai 52.000 dell'aprile e durante tale periodo furono autotrasportati 468 mila uomini, 44 mila quadrupedi, 876 mila tonnellate di materiale. Vds. per lo sforzo logistico complessivo: La campa?,m1 di Grecia. Op. cit., tomo I , capitolo XIV , pp. 831-899.
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, (50) La campagna di Grecia. Op. cit., torno II, documento n. 275, p. 776. (51) Ibidem, documento n. 285, p. 796. (52) Ibidem, documento n. 287, p. 803. (5.3) Ibidem, documento n. 291, p. 814. (54) Ibidem, tomo I, p. 647. (55) Ibidem, tomo I , p. 645. (56) Ibidem, tomo I, p. 671 e tomo II, documento n. 297, p. 836. (57) Ibidem, tomo II, documento n. 298, p. 843. (58) Ibidem, tomo I, pp. 677-<,80. (59) Ibidem, tomo I, p. 729. · (60) Ibidem, p. 731 e tomo II, documento n. 311, p . 902; documento n. 312, p. 906; documento n. 313, p. 908; documento n. 315, p. 913. (61) Ibidem, tomo I , p. 752. (62) Ibidem, tomo II, documento n. 322, p. 928. (63) Ibidem, tomo II, documento n . 299, p. 846: (64) Ibidem, tomo II, documento n. 300, p. 850. (65) Ibidem, tomo II, documento n. 301, pp. 852 e sgg.
(66) Ibidem, tomo I, p. 911. · (67) Ibidem, tomo I, p. 92.3 .
.'
(68.) B. H. Liddell Hart, Soria militare della seconda gue"a mondiale. Mondadon, Milano, 1971, p. 183. ·· (69) Stato Maggiore Esercito. Ufficio storico, La guerra in Africa Orientale (giugno 1940- novembre 1941). Roma, 1952, p. 16. ,, (70) Ibidem, p. 18.
(71) La forza presente in Africa orientale alla data del 1° giugno 1940 era la seguente: - Comando Superiore: ufficiali: 420 del R.E., 29 della M.V.SN.; sottufficiali 727 e ,49, truppa nazionale 4824 e 65, sottufficiali e truppa coloniale 1468; · · ....-, Governo dell'Eritrea: ufficiali 802 e 116, sottufficiali 956 e 184, truppa nazionale 6350 e .3111, sottufficiali e truppa coloniale 30342; - Governo dell'Amara: ufficiali 925 e 285, sottufficiali 786 e 539, truppa nazionale 539.3 e 12667, sottufficiali e truppa coloniali 39684; - Governo dell'Etiopia: ufficiali 1140 e 246, sottufficiali 1176 e 377, truppa nazionale 11.336 e 4250, sottufficiali e truppa coloniali .35056;
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- Governo Galla e Sidama: ufficiali 700 e 74, sottufficiali 583 e 138, truppa nazionale 3503 e 1931, sottufficiali e truppa coloniali 23886; - Governo dell'Harrar: ufficiali 686 e 73, sottufficiali 563 nale 3944 e 1735, sottufficiali e truppa coloniali 31001;
e
112, truppa nazio-
- Governo della Somalia: ufficiali 458 e 35, sottufficiali 437 e 40, truppa nazionale 1704 e 586, sottufficiali e truppa coloniali 20458. Totale generale: ufficiali: 5989; sottufficiali: 6667; truppa nazionale: 61399; sottufficiali e truppa coloniali: 255950. Erano, inoltre, presenti: - Carabinieri reali: 76 ufficiali, 811 sottufficiali, 2085 truppa nazionale, 6086 coloniali;
- R. Guardia di finanza: 41 ufficiali, 174 sottufficiali, 799 truppa nazionale, 831 coloniali; - R. Marina: 356 ufficiali, 1143 sottufficiali, 5721 truppa nazionale, 2994 coloniali;
- R. Aeronautica: 499 ufficiali , 791 sottufficiali, 2872 truppa nazionale, 3566 coloniali; - Polizia Africa italiana: 90 ufficiali, 349 sottufficiali, 1341 truppa nazionale, 4601 coloniali. Totale generale: ufficiali: 7051; sottufficiali: 9925; truppa nazionale: 74216; coloniali: 274028. La situw.ionc approssimativa reparti, automezzi, armi e munizioni, consistenza carburanti, lubrificanti e derrate alla data del 15 luglio 1940 era: - armi portatili e relativo munizionamento: mitragliatrici 3 313 e 82 206 600 colpi; fucili mitragliatori 5 313 e 40 299 000 colpi; fucili e moschetti 672 800 e 158 700 000 colpi; pistole 33 500 e 1 813 000 colpi; bombe a mano 1813 000; - artiglierie: obici da 149/13 n. 4 e n. 27 600 colpi; cannoni da 120/45 n . 4 e n. 900; cannoni da 120/25 n. 26 e n. 38 400; cannoni da 105/28 n. 59 e n. 147 000; cannoni da 104/32 n. 4 e n. 8400; obici da 100/17 n. 14 e n. 100000; cannoni da 77 /28 n. 216 e n. 508 500; cannoni da 75/46 n. 16 e n. 39 000; cannoni da 75/27 CK.AV. n. 24 e n. 58000; cannoni da 75/13 n. 32 e n. 420000; cannoni da 75/A n. 8 e n. O; cannoni da 70/15 n. 92 e n. 390 000; cannoni da 65/ 17 n. 312 e n. 560 000; cannoni da 37/40 n. 31 e n. 67 250; cannoni da 20 mm n. 24 e n. 844 000; mortai da 81 n. 71 e n. 84 000; mortai da 45 n. 57 e n. 130 000; - automezzi: autocarri n. 6 286; autovetture n. 590; automezzi speciali n. 988; motocidi n. 397; - carri armati: M 11: 24; L: 39; autoblinde e autocarri attrezzati con scudi: 126; - carburanti e lubrificanti (1 .luglio 1940): benzina t 91 500, gasolio t 27 000, petrolio t 2 800, lubrificanti t 4 700, nafta pesante t 5 200, olio Diesel t 2 430; - derrate: pasta fino al settembre 1940, farina fino al novembre 1940, riso fino al novembre 1940, formaggi fino al gennaio 1941, olio di oliva fino al mano 1941, olio di semi fino al settembre 1940, the fino al marzo 1941, 7.1.ICchero fino al marzo 1941.
Ordine di battaglia al 10 giugno 1940: - Comandante: S.A.R. Amedeo di Savoia, duca d'Aosta, viceré d'Etiopia; - Capo di Stato maggiore: gen. Claudio Trezzani; - Scacchiere nord: Eritrea (meno Dancalia e Amara): gen. Luigi Frusci;
CAP. XXXIV • LE CAMPAGNE ANTONOME (PARTE SECONDA)
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- Scacchiere sud: Galla e Sidama e parte della Somalia sino a Dolo: gen. Pietro Gazzera; - Scacchiere est: Harar, Scioa, Dancalia, Dessié e Uorra Glù, Ogaden, Madugh, Nogal e Migiustina: gen. Guglielmo Nasi con un vice comandante (gen. Sisto Bertoldi); - Settore Giuba: aliquote della Somalia: gen. Gustavo Pesenti. Gli scacchieri non corrispondevano ai 6 governi, ma erano solo 4. Il dosamento iniziale delle forze nei vari scacchieri non era uniforme; il raggruppamento organico delle forze era in: battaglioni, brigate ed occorrendo divisioni coloniali (su 2 o più brigate \ e comandi di scacchiere; la ripartizione delle forze per l'impiego era la seguente : truppe a disposizione dei comandi degli scacchieri e riserva generale nelle mani del Comandante Superiore delle forze armate dell'A.O.I. Le unità erano così inquadrate: divisione nazionale Savoia; divisione nazionale Africa; battaglioni nazionali 16; compagnie carri armati 2; compagnia carri veloci 1; squadroni autoblindo 1; gruppi di artiglieria nazionale 10; brigate coloniali 29; battaglioni coloniali autonomi 17; gruppi di artiglieria coloniali 2; gruppi squadroni di cavalleria coloniali 8; gruppi bande 22. I reparti coloniali erano armati con fucili Mannlicher, mitragliatrici Breda e Schwarzlose; i cannoni del gruppo da 75/46 non avevano gittata superiore ai 7 km; le armi controcarri e contraerei erano pochissime; non esistevano mine di sbarramento, equipaggi da ponte e parchi attrezzi; il materiale radio in dotazione era deficente per numero e qualità. Il problema degli apprestamenti difensivi delle frontiere, sebbene affrontato subito dopo la campagna contro l'Etiopia, aveva formato oggetto di studio, ma per motivi <li ordine vario - preminente quello delle difficoltà finanziarie - nessuna organizzazione difensiva vera e propria, neppure nei tratti più sensibili della frontiera, era stata realizzata. Durante il periodo della non belligeranza furono, tuttavia, attuati alcuni lavori difensivi con mezzi di circostanza e limitati, ma di non grande entità. Tutti i lavori compiuti, compresi quelli riguardanti i fortini, avevano scarsa consistenza e non potevano essere considerati vera e propria organizzazione difensiva. Alla data del 10 giugno le forze di linea dell'aeronautica comprendévano 325 velivoli riuniti in 8 gruppi e 5 squadriglie ed erano cosl costituite: - linea: 14 squadriglie Ca. 133 con 6 apparecchi ciascuna, 7 squadriglie S 81 con 6 apparecchi ciascuna, 2 squadriglie di 79 con 6 apparecchi ciascuna, 1 squadriglia Ro. 37 con 9 apparecchi, 2 squadriglie Cr. 32 con 9 apparecchi ciascuna, 2 squadriglie Cr. 42 con 9 apparecchi ciascuna; totale: 183 velivoli; - apparecchi efficienti in magazzino: 35 Ca. 133, 1 S 81, 4 S 79, 2 Ro. 37, 5 Cr. 32, 14 Cr. 42; totale: 61 velivoli; - apparecchi in riparazione: 48 Ca. 139, 16 S 81, 2 S 79, 2 Ro. 37, 11 Cr. 32, 2 Cr. 42; totale: 81 velivoli. (72) La gue"a in Africa orientale. Op. cit., p. 24.
(73) Ibidem, p. 26. (74) B.H. Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 170.
(75) Le perdite italiane furono: ufficiali morti 16, feriti 46; sottufficiali morti 6, feriti 1, dispersi 1, truppa nazionale morti 17, feriti 64; truppa coloniale morti 426, feriti 1409, dispersi 33. A queste si devono aggiungere le perdite dell'aeronautica;
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FILIPPO STEFANI
4 velivoli abbattuti, 13 morti, 3 feriti, 7 dispersi. Le perdite inglesi furono indicate dal generale Wavell nella sua relazione in: 8 ufficiali inglesi uccisi, 4 feriti, 2 dispersi, 22 indiani e africani morti, 80 feriti, 99 dispersi. Rimasero in mano italiana: 26 inglesi di cui 11 ufficiali, 38 uomini di colore, 5 cannoni, 5 lanciabombe, 30 mitragliere controcarri, 71 mitragliatrici, 5 3% fucili, alcuni milioni di proietti e proiettili, 3 carri armati leggeri, 128 automezzi efficienti o riparabili, 75 mila quintali di derrate, 50 mila
quintali circa di materiali del genio (dati di cui alla citata pubblicazione La gue"a in Africa orientale, p. 65 e 66). (76) A detta di Llddell Hart {vds. Op. cit., p. 171) la locale guarnigione inglese consisteva soltanto in 4 battaglioni africani e indiani e 1 battaglione britannico, mentre il 2° reggimento scozzese Black W atch sarebbe stato in corso di arrivo. Dalla relazione del generale Wavell risulta che lo schieramento delle forze inglesi nel Somaliland era il 1° agosto 1940 il seguente: - truppe di copertura: zona di Dobo, 1 compagnia del Somaliland Ca,nel Corps meno 1 banda; zona di Hargheisa, 1 compagnia motorizzata del Somaliland Camel Corps meno 1 banda, 1 compagnia del reggimento Nord Rhodesia K.A.R. ; wna di Burao, 1 compagnia e 1 banda del Somaliland Camel Corps; - posizioni del tug Argan: reggimento Nord Rhodesia meno 1 compagnia, 1 compagnia mitragliatori, 1 compagnia del Somaliland Camel Corps e la I batteria leggera East-africana, ZO K.ing's African Rifles, III battaglione del 15° reggimento del Punjab e, dal 7 agosto, II battaglione del Black Watch; altre posizioni: I battaglione del ZO reggimento del Punjab. (77) La guerra in Africa orientale. Op_ cit., p. 68. (78) Ibidem, p. 72. (79) Ibidem, p. 75. (80) Nell'autunno le forze in Kenia erano salite a circa 75 000 uomini: 27 000 sud-africani, 33 000 provenienti dall'Africa orientale, 9 000 provenienti dall'Africa occidentale e circa 6 000 inglesi. Erano state costituite 3 divisioni; la 1"' sud-africana, e la 11'· e 12a africana. In Sudan si trovava ora un totale di 28 000 soldati comprendente la 5" divisione indiana, mentre la 4a sarebbe sopraggiunta dopo aver preso parte alla fase iniziale della brillante controffensiva sferrata contro gli italiani nel nord Africa. Queste forze erano affiancate da uno squadrone di carri armati distaccati dal 4° ;carristi, nonché dalla Sudan Defence Force (Liddell Hart, Op cit., p. 174). (81) La guerra in Africa orientale. Op. cit., p. 113. (82) Liddell Hart. Op. cit., p. 176. (83) La guerra in Africa orientale. Op. cit., pp. 88-99. (83 bis) Le truppe inglesi erano agli ordini del generale Sir Alan Gordon Cunningham, comandante le truppe imperiali nel Kenia, che aveva guidato l'offensiva dal S4d contro !'A.O.I. Il generale fu poi Alto Commissario per la Palestina. e la Transgiordania fino al 1948. , Fratello di sir Alan Gordon era l'ammiraglio sir Andrew Biowne (1883-1963) che appoggiò tutte le operazioni contro le forze dell'Asse in Nordafrica, in Sicilia e a Salerno, e che - 1'11 settembre '43 - ricevé a Malta la resa della flotta italiana. Dal 1943 al 1946 fu capo di stato maggore della Marina imperiale.
CAP. XXXIV - LE CAMPAGNE AUTONOME (PARTE SECONDA)
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(84) Ibidem, p. 226. (85) Ibidem, p. 282. (86) Ibidem, p. 284. (87) Guglielmo Nasi (1879-1971 }, generale d'armata. Tenente di artiglieria nd 1900. Frequentò la scuola di guerra dal 1908 al 1911 . Partecipò alla guerra di Libia. Durante la prima guerra mondiale fu capo di stato maggiore della 14" divisione. Fu poi capo di stato maggiore del comando delle truppe della Tripolitania. Promosso colonnello per meriti eccezionali, fu prima addetto militare a Parigi e poi comandante del 3° reggimento artiglieria da campagna. Promosso generale di brigata per meriti eccezionali, prestò servizio presso il ministero delle colonie, e il 1° maggio 1934 fu nominato comandante del regio corpo truppe coloniali della Cirenaica, poi comandante del regio corpo truppe coloniali della Libia. Dalla Tripolitania partì nel febbraio del 1936 per la Somalia, al comando della divisione di fanteria Ubia. Nel 1937 fu nominato governatore dell'Harrar. Durante la seconda guerra mondiale si distinse nella conquista del Somaliland inglese e nelle successive operazioni culminate nell'epica difesa di Gondar, di Volchefit, di Qulquaber. (88} LA gue"a in Africa orientale. Op. cit., p. 308. (89) Ibidem, p . 329. (90) Ibidem, p. 30. (91) Ibidem, p. 47.
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CAPITOLO
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LE OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (Parte Prima) 1. La collaborazione operativa italo-tedesca. 2. La ristrutturazion~ del Comando Supremo italiano. 3. La utilizzazione dei porti della Tunisia. 4. La questione di Malta. 5. La prima controffensiva italotedesca in Africa settentrionale. 6. La seconda controffensiva italotedesca in Africa settentrionale da el Agheila a el Alamein.
1. Le campagne ed i cicli operativi fin qui esaminati ebbero esclusiva impronta italiana. L'impostazione, l'organizzazione e la condotta delle operazioni furono opera di capi italiani. Dottrina, ordinamenti, armi, mezzi di combattimento ed equipaggiamenti furono di marca italiana. Le forze armate italiane agirono da sole. Ai fini del tema che veniamo svolgendo essi hanno importanza maggiore di quelli successivi ed è per questo che ci è sembrato necessario ricordarne i principali sviluppi. Diverso ci sembra debba essere il metodo da seguire per le campagne ed i cicli operativi che vennero dopo, in quanto non solo la direzione politico-strategica della guerra, ma anche quella delle operazioni nei vari teatri e scacchieri operativi, ivi compreso il teatro del Mediterraneo, furono di fatto nelle mani di Hitler e dell'Alto Comando Tedesco (Ober Kommando der Wehrmacht: O.K.W.). Ciò dipese, oltre che dall'assoluta dipendenza dell'Italia dalla Germania per i rifornimenti delle materie prime e delle fonti energetiche (carbone e carburanti), dall'arrivo in tutta fretta di unità terrestri ed aeree germaniche nel teatro del Mediterraneo chiamate a rimediare, in qualche modo, ad una situazione operativa che era sul punto di precipitare. Sebbene largamente inferiori di numero a quelle italiane, tali forze assunsero fin dall'inizio, in ragione della loro maggiore e migliore capacità operativa, il ruolo di protagoniste della lotta, condizionando il potere decisionale del Comando Supremo italiano e dei comandi superiori dipen-
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FILIPPO STEFANJ
denti e restringendo entro limiti angusti la sfera delle iniziative e degli interventi autonomi italiani anche sul piano della grande tattica oltreché, naturalmente, su quello della strategia. Partito dall'idea della gue"a parallela e da quella di ottenere dai tedeschi solo aiuti di mezzi e di materiali, Mussolini dové ben presto ricredersi e, novello Enrico IV, correre a Canossa, non per chiedere venia dei rifiuti iniziali, ma per implorare che gli aiuti venissero concessi nella maggiore misura possibile. Dopo la vittoriosa conclusione della campagna di Francia, Hitler si era illuso che l'Inghilterra avrebbe accettato le sue proposte di pace. Risultate queste del tutto vane, 1'8 agosto del 1940 aveva dato inizio, mentre contemporaneamente preparava il piano di invasione - Operazione Seelowe alla battaglia aerea d'Inghilterra, che faceva seguito a quella sferrata un mese avanti contro i convogli britannici nella Manica. Quando ai primi di settembre Hitler ricevé la richiesta italiana di una sollecita cessione di mezzi e di materiali per lo scacchiere dell'Africa settentrionale, rispose che la Germania avrebbe potuto concorrere direttamente alle operazioni in Egitto con proprie forze terrestri, oltre che con la cessione di materiali. Avrebbero potuto essere impiegate, ad esempio, anche a breve scadenza - pronte per l'imbarco ai porti italiani entro 6 settimane dalla decisione - un paio di divisioni corazzate tedesche. Mussolini declinò l'offerta, ordinò al maresciallo Graziani di sferrare al più presto possibile l'offensiva per Marsa Matruh con i mezzi disponibili e si riservò di chiedere aiuti germanici in autocarri, ca"i armati, Stukas per il momento nel quale si sarebbe dovuto marciare da Marsa Matruh al Delta. L'insuccesso della battaglia aerea d'Inghilterra e la rinunzia all'invasione delle isole britannicehe - questa determinata dalla generica concezione dello scarso utile che si sarebbe potuto trarre sul piano politico dall'annientamento di una nazione con la quale si preferiva venire ad un 'intesa e dalla convinzione che mancassero le garanzie convinsero sufficienti per una sicura riuscita dell'operazione Hitler che in ogni caso sarebbe stato necessario ed urgente eliminare prima di tutto il pericolo rappresentato dall'Unione Sovietica. Concluso il Patto Tripartito in base al quale gli Stati firmatari (Germania, Giappone, Italia) si erano impegnati a prestarsi reciproco aiuto con ogni mezzo qualora uno di essi fosse stato attaccato « da una potenza non belligerante» (evidentemente l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti), Hitler dette l'avvio alla elaborazione dei piani per le campagne di guerra nei Balcani (operazione Marita) e contro l'Unione Sovietica (operazione Barbarossa), da iniziare nella primavera del 1941. Ap-
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CAP. XXXV - OPERAZI ONI ITALO-TEDESCHE (PARTE PRLMA)
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punto in seguito al fallimento della battaglia aerea d'Inghilterra ed alla rinunzia - si parlò di rinvio al 1941 - all'invasione dell'isola, Hitler propose a Mussolini l'invio in Italia di unità aeree tedesche per cooperare con l'aeronautica militare italiana nel teatro operativo del Mediterraneo, unico attivo in quel periodo. Questa volta Mussolini, stanti la situazione di stasi in Egitto e lo sfavorevole andamento della campagna di Grecia, accettò senza riserve l'offerta e dispose che venissero presi subito accordi tra le due aeronautiche per la collaborazione nell'attacco al traffico marittimo nel Mediterraneo, alla base navale di Alessandria ed alle basi aeree e navali di Malta, nonché per il minamento del canale di Suez e dei porti adiacenti. Il 6 dicembre si incontrarono a Roma il sottosegretario di Stato dell'aereonautica tedesco e quello italiano, che era anche capo di stato maggiore della forza armata, e convennero sull'afflusso in Italia di un intero corpo aereo (X Corpo Aereo tedesco: X C.A.T.); il 27 dello stesso mese giunse in Italia il comandante della grande unità aerea tedesca per prendere intese particolareggiate circa i compiti, le dipendenze e la funzionalità operativa; nel mese di gennaio la forza aerea tedesca giunse in Sicilia ed ai primi di febbraio fece la sua prima entrata in azione (1) . Al rifiuto del settembre circa il concorso di forze terrestri tedesche - ribadito dal maresciallo Badoglio al maresciallo Keitel nei colloqui di · Innsbruck del 14-15 novembre durante i quali il capo di stato maggiore generale italiano si era limitato a chiedere un concorso di Stukas una volta sistemata Marsa Mutruh (2) - fece seguito il 19 dicembre, vale a dire 10 giorni dopo l 'inizio della prima offensiva britannica in Africa settentrionale, Ja richiesta del generale Cavallero, nuovo capo di stato maggiore generale, all'addetto militare tedesco a Roma e capo della missione militare presso il Comando Supremo italiano, generale von Rintelen, dell'invio urgente di una divisione corazzata tedesca in Africa settentrionale per sventare l'imminente pericolo della minaccia inglese alla Tripolitania. Il 28 dicembre partirono per la Germania il sottosegretario di Stato alle Fabbricazioni di guerra, generale Carlo Favagrossa (3), ed il capo reparto operazioni del Comando Supremo per trattare in concreto la questione del concorso di forze terrestri tedesche in Africa settentrionale; il 20 gennaio nell'incontro di Berchtesgaden con Hitler, Mussolini chiese e ottenne l'invio in Libia di una divisione leggera dotata anche di uno speciale reparto cacciacarri (Pan:zerpiger); il 15 febbraio i primi reparti della 5" divisione leggera tedesca sbarcarono a Tripoli. Hitler, anche quando nel settembre del 1940 aveva offerto le
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2 divisioni corazzate per le operazioni in Egitto, non aveva certo inteso spostare il baricentro della guerra nel Mediterraneo che, secondo le sue vedute, non aveva un'importanza decisiva. Neppure dopo la conquista di Creta, quando la situazione strategico-militare generale diverrà invitante e propizia a dirigere lo sforzo bellico principale contro l'impero britannico, egli muterà i suoi piani e, senza prestare orecchio ad alcuni dei suoi generali molto esitanti a muoversi verso est, darà il via, il 22 giugno 1941, a1l'operazione Barbarossa, senza troppo curarsi del fianco meridionale del suo schieramento, per il quale avrebbero dovuto essere sufficienti, secondo il suo avviso, le forze italo-tedesche che vi erano impegnate. D'altra parte, nei suoi intendimenti, la campagna contro l'Unione Sovietica si sarebbe conclusa vittoriosamente in tempi brevi, per cui vi sarebbero stati successivamente tempo e modo per colpire a morte l'Inghilterra, qualora avesse persistito nel rifiutare la pace. La concezione che il Mediterraneo non costituisse pedana di lancio per grandi operazioni offensive, ma solo un fianco da tutelare ai fini della libertà di condotta della guerra sul continente europeo, era condiviso dallo stato maggiore tedesco che era stato, ed era tuttallora, restio alle imprese oltremare. Quando Hitler, tutto preso oramai dall'operazione Barbarossa, si trovò di fronte alle richieste di aiuto da parte di Mussolini, mentre fu prodigo nei riguardi delle forze aeree, facilmente recuperabili, ed arrivò ad offrire per lo stesso motivo 2 divisioni da montagna per l'Albania, fu molto cauto circa l'impiego di forze terrestri tedesche in Libia dove, oltretutto, 2 giorni dopo il convegno di Berchtesgaden, le forze italiane cedevano a Tobruch. L'Alto Comando tedesco, il 2 febbraio, richiese delucidazioni al Comando Supremo italiano circa le direttive impartite al maresci allo Graziani per l'ulteriore resistenza in Libia, il tempo della presumibile durata di tale resistenza, i modi di potenziamento dell'aeronautica italiana in Libia, e volle conoscere se l'invio della divisione corazzata italiana Ariete, della divisione motorizzata italiana Trento e della 5" divisione leggera tedesca era o no giudicato sufficiente per la difesa della Tripolitania. Il generale Guzzoni, sottocapo di stato maggiore generale, rispose che era già stato predisposto il ripiegamento delle forze dalla zona Derna-Cirene-Mechili ed il loro trasferimento su di una linea difensiva a sbarramento della Sirtica; non era possibile prevedere la durata dell'ulteriore resistenza in Cirenaica che comunque non avrebbe potuto essere molto lunga; l'avanzata nemica attraverso il deserto verso la Tripolitania sarebbe stata ritardata con mezzi adeguati su successive Jinee difensive; la difesa
CAP. XXXV - OPERAZIONI ITAL0-TEDESC1ffi (PARTE PRTMA)
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della Tripolitania sarebbe stata attuata coprendo la frontiera occidentale ed il sud tripolino dalle eventuali incursioni di forze dissidenti francesi e schierando il grosso delle forze in modo da costringere il nemico a combattere con il deserto libico alle spalle; era in corso ]'invio di 60 apparecchi da caccia italiani e delle unità delle divisioni Ariete e Trento i cui reggimenti di artiglieria avevano già raggiunto la Tripolitania. Alla richiesta dell'Alto Comando tedesco circa la eventualità di fronteggiare con forze navali di superficie possibili tentativi di occupazione di basi navali da parte della flotta inglese, il Comando Supremo italiano rispose che ciò non sarebbe stato possibile stante la preponderanza della flotta inglese stessa. Le delucidazioni e le spiegazioni del Comando Supremo italiano e, soprattutto, il pericolo che la perdita della Tripolitania avrebbe potuto avere conseguenze disastrose per la tenuta dell'Italia - come accadrà due anni e mezzo dopo, quando la perdita della Tunisia e lo sbarco anglo-americano in Sicilia indurranno l'Italia a dichiararsi vinta suggerirono all'Alto Comando tedesco d'inviare in Africa settentrionale, oltre la divisione leggera già stabilita (4), anche la 15a divisione corazzata. Prima dell'arrivo del X corpo aereo tedesco in Sicilia e dello Afrika Korps in Libia, la collaborazione tra forze operanti italiane e tedesche era stata realizzata nella battaglia aerea d'Inghilterra, alla quale avevano partecipato, su offerta di Mussolini, alcune unità italiane, e nella battaglia offensiva contro il traffico marittimo in Atlantico, dove erano presenti tuttallora una trentina di sommergibili italiani (5). L'intervento di forze italiane nelle due distinte battaglie aveva comportato la risoluzione di problemi logistici ed amministrativi, più che d'impiego, in quanto dati il tipo delle forze e l'autonomia delle azioni era stato sufficiente ripartire le aree d'intervento, assegnare gli obiettivi, assicurare il coordinamento ed i reciproci collegamenti tra gli organi di comando e di controllo delle unità italiane e di quelle tedesche. Ora, invece, la collaborazione italotedesca si poneva su di un piano diverso, più ampio e delicato, che coinvolgeva 1a cooperazione tattica diretta ed implicava complesse questioni di coordinamento, di comando, di omogeneità dei procedimenti operativi, di articolazioni tattiche e di procedure tattiche e logistiche di ardua soluzione. Di per sé oggettivamente difficile per le diversità di mentalità, di lingua, di modalità di azione, l'intesa operativa italo-tedesca si presentò fin dall'inizio come obiettivo pressoché irraggiungibile. Le unità tedesche giunsero in Italia ed in Libia con un animus diverso da quello che avrebbe potuto essere nel settem-
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bre del 1940. Rifiutate a suo tempo come ospiti non graditi, ora venivano disperatamente invocate, sebbene obtorto colto, come estremo rimedio di salvezza. Le forze armate italiane erano state incapaci di risolvere da sole i problemi di casa loro, per cui da allora in avanti si sarebbero dovute porre nelle mani di quelle tedesche che, meglio organizzate, armate, equipaggiate, avrebbero assunto un ruolo determinante nelle battaglie. Esaltati dalle fulminee vittorie fino ad allora riportate ovunque - ad eccezione che nella battaglia aerea d'Inghilterra - , capi e gregari tedeschi scesero nel teatro operativo del Mediterraneo decisi a far sentire la loro superiorità e ostentando scarsa considerazione verso i comandi ed i reparti italiani. A ciò si aggiunsero, come fattori incrementali della loro scarsa inclinazione a collaborare se non in posizione di preminenza: la diffidenza nutrita nei loro riguardi dallo stesso Mussolini e da molti capi politici e militari italiani, memori questi ultimi dell'ammonimento del maresciallo Badoglio circa l'invadenza e la prepotenza dei tedeschi; il sentimento di frustrazione che pervase le unità italiane nel confronto tra la loro scarsa potenzialità operativa e quella delle corrispondenti unità tedesche; 1a impreparazione spirituale e tecnica alla cooperazione interforze esistente sul piano nazionale, impreparazione che rese ancora più difficoltoso l'impiego congiunto di unità terrestri, navali ed aeree italiane e tedesche e la cooperazione delle unità aeree tedesche con quelle terrestri e navali italiane; la scarsa funzionalità iniziale del Comando Supremo italiano, privo dell'autorità legale per esercitare una vera e propria azione di comando sugli stati maggìori delle 3 forze armate, abituati ad agire ciascuno per proprio conto, e privo altresl del proprio capo responsabile impegnato a condurre lontano da Roma la campagna di Grecia. Il tempo, le battaglie, i combattimenti, le esperienze comuni ed il funzionamento del Comando Supremo italiano nella pienezza della sua conseguita autorità legale e della sua efficace organizzazione rimossero molte delle difficoltà iniziali, attenuarono le asperità e gli attriti, resero i rapporti reciproci meno diffidenti e più aperti e leali, suscitarono sentimenti di vicendevole comprensione, stima ed ammirazione per la bravura e la dedizione dell'una e dell'altra parte, ma non valsero ad eliminare del tutto lo stato di malessere e disagio psicologico derivante dalla preminenza tedesca e dalla soggezione italiana. Molto dipese anche dalla personalità dei capi, ma anche quando questi improntarono i loro rapporti su basi di leale cordialità e sincera stima - esempio tipico il maresciallo Cavallero ed il maresciallo Kesselring (6) non si sentirono mai completamente sicuri di muoversi su di un
CAP. XXXV - OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE ( PARTE PRIMA )
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terreno solido, perché ogni tanto si aprirono profonde fratture, specialmente nello scacchiere dell'Africa settentrionale, che qualora non fossero state colmate dalla pazienza e dallo spirito di sopportazione dei capi italiani avrebbero potuto compromettere ogni possibilità di ulteriore convivenza. Ciò non vuol dire che le due parti non fossero animate dalla stessa volontà di vittoria e tanto meno che si sabotassero a vicenda, ma che spesso continuarono a prevalere preconcetti e pregiudizi e talvolta si registrarono furtive furbizie, quando non anche palesi soperchierie e crudeli abbandoni da parte tedesca, che non giovarono alla causa comune.
2. Rientrato definitivamente a Roma dall'Albania il 18 maggio del 1941, il generale Cavallero prese ad esercitare concretamente le funzioni proprie di capo Ji sLato maggiore generale, dovute di fatto trascurare da quando gli era stato conferito il comando superiore delle forze armate in Albania. I principali problemi che volle subito affrontare furono: la revisione della legge istitutiva della carica di capo di stato maggiore generale e la ristrutturazione funzionale ed organica del Comando Supremo; l'instaurazione di rapporti diretti e continui sul piano della parità, almeno formale, con l'Alto Comando tedesco, mettendo fine alla episodicità ed alla discontinuità che fino ad allora li avevano caratterizzati; l'unitarietà di impostazione e di direzione da conferire alle operazioni nell'intera area del Mediterraneo, dove la riuscita delle manovre strategiche e tattiche aereoterrestri in Africa settentrionale era subordinata a quella della neutralizzazione delle basi navali ed aeree e del traffico marittimo della Inghilterra. Quando il 22 giugno la Germania dichiarò guerra alla Unione Sovietica e l'Italia fece altrettanto, egli dové affrontare anche il problema dell'invio, offerto da Mussolini a Hitler, di un contingente di forze terrestri ed aeree italiane nel nuovo teatro operativo. L'impreparazione concettuale ed organizzativa era stata tale che non si era pensato a definire con esattezza le attribuizoni specifiche del capo di stato maggiore generale neppure per il tempo di guerra, né a prefigurare un adeguato schema di organizzazione e di funzionamento dell'organo centrale di comando per tradurre sul piano tecnico le direttive politiche, strategiche e tattiche del Comandante Supremo. Alla vigilia dell'entrata in guerra il re aveva delegato il comando di tutte le forze armate a Mussolini, che l'aveva esercitato per circa un
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anno senza in nulla o quasi modificare la linea di dipendenza gerarchica degli stati maggiori di forza armata del tempo di pace, e senza provvedersi di un organo proprio che non fosse di sola consulenza ma avesse la veste giuridica e la capacità funzionale di conferire alla guerra nel suo insieme ed alle singole operazioni nei vari scacchieri unitarietà di intenti e di sviluppo: coordinazione degli sforzi ed equilibrio dei rapporti tra le varie forze armate, il tutto nel quadro globale della guerra, che non consisteva più in battaglie ed in combatti.menti a due dimensioni, ma che si era estesa alla terza dimensione, assurta ad elemento di fondamentale importanza sotto l'aspetto strategico e tattico. Quanto poco Mussolini ed il maresciallo Badoglio avessero inteso e sentito tali esigenze - il primo per l'impreparazione ai problemi militari e per la presunzione che aveva di sé stesso, il secondo per non allargare la sfera delle sue responsabilità in una guerra che non aveva patrocinato, ma alla quale non si era fermamente opposto e di cui anzi aveva condiviso le linee di sviluppo e quanto poco Mussolini avesse avvertito, anche dopo le dimissioni del maresciallo Badoglio, che senza un organo propulsore e coordinatore dell'intera attività bellica sul piano nazionale e su quello dei rapporti con l'alleato tedesco non sarebbe stato possibile l'impiego razionale e remunerativo delle risorse e delle forze militari, lo prova il fatto che, per circa un anno, il Comando Supremo non fu una realtà operante. Non per nulla il generale Cavallero il giorno successivo al suo rientro dall'Albania, consapevole che se avesse voluto prendere efficacemente in mano il timone della guerra, sia pure sulla base delle rotte stabilite da Mussolini, avrebbe dovuto assumersi responsabilità molto più ampie di quelle del suo predecessore, fino ad allora inibitegli dall'esercizio del comando delle forze armate d'Albania, si presentò a Mussolini con il testo già pronto di un decreto legge apportante modifiche sostanziali alle disposizioni relative alla carica di capo di stato maggiore generale ed abrogativo di tutte le leggi preesistenti (legge 8 VI 1925 n. 866, legge 24 XII 1928 n. 3088 che aveva convertito il R.D.L. 6 XI 1927 n. 68, legge 13 VII 1939 n. 1178 e legge 18 X., 1940 n. 1550), con l'ultima delle quali erano state istituite la carica di sottocapo di stato maggiore generale, affidata al generale Guzzoni congiuntamente alla carica di sottosegretario di Stato alla guerra, e la carica di generale addetto al Comando Supremo. Mussolini approvò tutto subito senza obiezioni, anche se dentro di sé dové comprendere il significato di muto rimprovero contenuto nella proposta del generale Cavallero. Questi, a sua volta, nei giorni successivi volle conoscere il parere dei capi di stato mag-
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giore delle 3 forze armate, i quali si espressero concordemente a favore - anzi qualcuno propose di allargare ancora di più la sfera di competenza del capo di stato maggiore generale - e si dichiararono entusiasti che finalmente venisse rimossa la vischiosità del sistema fino ad allora in vigore, vi fosse un capo militare unico dal quale ricevere le direttive operative ed al quale rispondere della esecuzione, si realizzassero la stretta collaborazione tra le varie forze armate fino ad allora mancata al livello centrale. Un mese dopo il decreto divenne operante (7) ed alla fine dell'anno venne convertito in legge (8) con qualche modificazione che non ne alterò la sostanza. Il capo di stato maggiore generale venne così preposto alla direzione e al coordinamento della organizzazione e della preparazione militare dello Stato nel territorio nazionale e nelle terre d'oltremare. Egli doveva esercitare la vigilanza ed il controllo su tutte le attività spiegate dalle singole forze armate nella preparazione alla guerra assicurandone il coordinamento. Da lui dipendevano direttamente i capi di stato maggiore delle singole forze armate nell'ambito dei poteri e delle attribuzioni conferitegli dal decreto. A lui competeva, sentiti i capi di stato maggiore delle 3 forze armate, fissare le linee generali del piano complessivo di guerra colla specificazione dei compitì spettanti a ciascuna forza armata e comunicare ai capi di stato maggiore delle singole forze armate le conseguenti direttive perché continuassero su di esse la rispettiva preparazione. Il capo di stato maggiore generale faceva parte della Commissione suprema di difesa - anzi ne aveva il coordinamento - e di tutte le commissioni straordinarie che dovevano trattare argomenti comunque attinenti le questioni d'interesse militare; interveniva nell'impiego dei generali ed ammiragli destinati al comando di grandi unità o ad incarichi corrispondenti a partire dal comando di corpo d'armata o di squadra; proponeva la ripartizione fra le diverse forze armate delle somme da stanziare in bilancio per le esigenze della difesa. Egli era responsabile verso il Duce dal quale dipendeva e del quale era il consulente su tutte le questioni militari. Veniva informato: dal ministero degli Esteri sulla situazione politica per quanto potesse interessare l'esercizio delle sue attribuzioni; dal sottosegretario di Stato alle fabbricazioni di guerra circa la situazione delle risorse, la disponibilità e l'impiego delle materie prime e delle fonti energetiche, la produzione industriale di guerra; dai servizi informazioni delle singole forze armate circa gli sviluppi della situazione militare nei paesi nemici e neutrali. Il decreto soppresse la carica di sottocapo di stato maggiore generale; all'organizzazione del lavoro di stato maggiore,
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nonché al funzionamento del Comando Supremo, rimase preposto il generale addetto. Le principali caratteristiche funzionali ed organiche che derivarono dalla ristrutturazione del Comando Supremo furono: l'accentramento del potere decisionale nella persona del capo di stato maggiore generale senza deleghe di carattere generale; la sburocratizzazione, spinta il più possibile, dei rapporti all'interno del Comando mediante i contatti diretti tra il capo di stato maggiore generale ed i capi degli uffici o gli ufficiali addetti agli uffici stessi; la leggerezza organica delle varie branche ottenuta mediante l'impiego di un numero di persone ridotto, ma altamente qualificate e competenti; il clima di armonia esistente tra i vari uffici e nell'ambito di questi tra il personale interforze; il ritmo continuo ed intenso, quasi massacrante, del lavoro svolto, nondimeno con ordine e profitto, senza traumi e senza interruzioni, con piena e pronta aderenza ai mutamenti frequenti dell'attività operativa condizionata da mille difficoltà di origine remota e contingente. Finalmente, con un anno di ritardo, le for~e armate italiane vennero poste sotto un unico comando tecnico-militare e questo fu messo in grado d'intervenire efficacemente e tempestivamente nella direzione e condotta dello sforzo bellico nazionale, ben s'intende nel quadro delle direttive di Mussolini e del preminente potere decisionale tedesco. Ebbero fine il disordine, le sovrapposizioni e lo scollamento esistenti nelle relazioni tra gli organi centrali militari e tra questi e le altre amministrazioni dello Stato o private, interessate comunque agli aspetti produttivi dello sforzo bellico; furono ridotte ed alle fine, non senza qualche sforzo, eliminate le tendenze alle gelose quanto dannose autonomie degli stati maggiori delle singole forze armate; venne regolata la linea dei rapporti tra comandi italiani e tedeschi, fatta passare sotto il filtro del C6Ìnando Supremo italiano nei quasi quotidiani incontri del generale Cavallero con il generale von Rintelen, poi anche con il maresciallo Kesselring, e nelle riunioni, prima saltuarie poi quotidiane, sui trasporti, presiedute dal capo di stato maggiore generale, alle quali partecipavano il capo di stato maggiore della marina, quello dell'aeronautica, il maresciallo Kesselring, il generale von Rintelen, l'ammiraglio tedesco Weichold comandante della marina tedesca nel Mediterraneo ed altri ufficiali italiani e tedeschi delle 3 forze armate, nonché il colonnello, poi generale, Di Raimondo capo dell'ufficio italiano trasporti militari. A confermare la positività della riforma delle attribuzioni del capo di stato maggiore generale e della ristrutturazione del Comando Supremo è il cosiddetto Diario 1940-'43 del generale Cavallero (9), dal quale si trae il quadro panoramico e parti-
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colareggiato degli interventi propulsori e coordinatori effettuati in tutti i settori dal capo di stato maggiore generale in campo nazionale ed in quello italo-tedesco, e della poderosa attività svolta, sotto la personale direzione del generale stesso, dal Comando Supremo. Nello stesso colloquio del 19 maggio il generale Cavallero discusse con Mussolini la sistemazione del ministero della Guerra e la sostituzione del sottosegretario di Stato, secondo il concetto che il ministero dovesse occuparsi solo delle questioni disciplinari, amministrative e logistiche restituendo allo stato maggiore dell'esercito la sua piena competenza in tutti gli altri settori, competenza che gli era stata di fatto sottratta dal Gabinetto del ministro che era diventato uno stato maggiore clandestino. Anche su questo argomento Mussolini concordò; rimosse dall'incarico di sottosegretario il generale Guzzoni - al quale il generale Cavallero aveva espresso il giorno avanti la sua disapprovazione per l'azione svolta verso la metà di gennaio tendente a persuadere Mussolini a non inviare le 4 divisioni di riserva promesse per l'Albania il 13 gennaio a Foggia allo stesso generale Cavallero, e per avere indotto Mussolini ad emanare direttive circa la difesa di Scutari dietro i fiumi in contrasto con le vedute del comandante superiore delle forze d'Albania - e nominò al suo posto il generale Antonio Scuero che aveva ricoperto la carica di intendente generale in Albania (10). Al nuovo sottosegretario di Stato alla Guerra il generale Cavallero espresse subito molto chiaramente i suoi concetti circa la necessità di rimaneggiare il ministero ed il suo funzionamento: « In questo momento non si può rifare né Ministero, né Esercito, ma bisogna modificare quello che si può. Gabinetto: non deve più esistere uno stato maggiore clandestino. Il Duce ha accettato la mia proposta di demolirlo. Se ti riesce devi combinarti un Gabinetto senza ufficiali di stato maggiore. L'esercito non vuole eminenze grigie, quindi Sorice va via» (11). Precisò: « Tu devi avere la forza d'animo di creare un ministero che non invada il campo dello stato maggiore. Ciò non vuol dire separazione, ma maggiore collaborazione. Tu hai comandato la divisione ed hai esperienza nel campo Intendenza. Bisogna restituire l'autorità ai direttori generali; il Gabinetto è un organo accessorio composto di civili e di qualche ufficiale. Lo stato maggiore deve avere tutte le sue competenze e nessuno deve invadere il suo campo. Bisogna dare all'esercito la sensazione che lo stato maggiore è sulla giusta via. Ho proposto come capo Gabinetto un civile, ma il Duce trattandosi di tempo di guerra vuole un militare. Hai proposte? Magliano sta bene. Ora il tuo compito è di disciplina e di amministrazione. Devi essere infor-
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mato di tutto. Non si deve più verificare il caso del generale Rossi (12) che ha dovuto telefonare a noi per avere qualche notizia» (13). Ma della prevaricazione del ministero e, in particolare, del Gabinetto non poca era stata la responsabilità dello stesso Mussolini, che aveva lasciato lo stato maggiore senza capo per avere investito il maresciallo Graziani del comando superiore delle forze armate italiane in Africa settentrionale e si era deciso a nominare il nuovo capo di stato maggiore, generale Mario Roatta (14), solo il 24 marzo, lasciando la carica vacante di fatto per oltre 8 mesi.
3.
Dell'impostazione da dare da allora in avanti alla guerra nel teatro operativo del Mediterraneo il generale Cavallero ebbe una visione chiara e aderente ai postulati dei conflitti tridimensionali. Egli avrebbe voluto: battere le forze navali inglesi operanti nel mare, poter utilizzare il porto di Bisetta per i rifornimenti delle forze terrestri ed aeree operanti in Africa settentrionale, occupare l'isola di Malta prima <li procedere in territorio egiziano. Egli non riuscì a conseguire nessuno dei tre obiettivi a causa delle difficoltà oggettive incontrate nell'esecuzione dei piani di operazione e, soprattutto, a causa della incomprensione di Hitler e dell'Alto Comando tedesco nei riguardi del teatro operativo del Mediterraneo, a favore del quale i tedeschi giudicavano opportuno e conveniente intervenire soltanto, e se necessario anche con la forza, sulla Francia perché consentisse l'utilizzazione di Bisetta per l'alimentazione delle forze italotedesche in Libia, ed a danno del quale rinunziarono all'impresa, oramai pronta nell'estate del 1942, dell'occupazione di Malta, nella illusione che alla risoluzione del problema del Mediterraneo si sarebbe potuto giungete medi ante l'avanzata via terra su Alessandria e sul canale. Il 24 maggio del 1941 , il generale Cavallero illustrò al capo di stato maggiore della marina i punti più importanti del piano di operazione contro la marina inglese e la necessità di attuarlo prima dell'intervento della marina francese, rappresentandogli altresl l'esigenza della immediata istituzione di un nucleo di ufficiali della marina e dell'aeronautica che studiassero il problema e l'approntamento dei mezzi. Il giorno dopo, in una riunione con i capi di stato maggiore della marina e dell'aeronautica, precisò il concetto base consistente nell'attirare le forze nemiche creando loro un obiettivo che le inte-
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ressi (convoglio) da una parte e dall'altra del canale di Sicilia e quindi attaccarle con azione aereo-navale a massa; dichiarò la piena disponibilità delle basi greche per l'operazione; fissò l'epoca approssimativa di attuazione per il mese di agosto; dette il via allo studio preliminare da patte di un gruppo di lavoro costituito di 3 o 4 persone, di cui una del Comando Supremo. Il gruppo di lavoro doveva vedere se si fossero potute considerare tutte e due le masse nemiche o una sola, quale avrebbe dovuto essere la preparazione per realizzare le condizioni che rendessero possibile la determinazione del momento e successivamente dell'intervento, stabilire altresì il da farsi, procedendo all'esame delle ipotesi e dei mezzi. Il gruppo iniziò subito il lavoro e presentò le conclusioni dopo sette giorni. Il 12 giugno il generale Cavallero esaminò la bozza del progetto e stabilì che l'azione fosse pronta per l'agosto, ma che si desse sotto alla sua preparazione per fare, in caso di necessità, qualche cosa anche prima di quella data. L'azione a massa contro la marina inglese non si poté effettuare né prima, né durante, né dopo il mese di agosto: i siluri in allestimento (40) sarebbero stati pronti tra dicembre e gennaio, mentre di quelli disponibili (28) presso la marina, 12 dovettero essere ceduti il 21 agosto all'aeronautica, rimastane quasi sprovvista in seguito agli interventi contro il convoglio inglese del 7 maggio - convoglio Tiger, il primo del 1941 - e nell'operazione contro il secondo convoglio inglese Substance del 22 luglio diretto anche questo a rifornire Malta, questa volta di forze terrestri ed aeree oltre che di mezzi, viveri, materiali; le scorte carburanti il 19 agosto si erano ridotte al minimo per cui, a meno di dover intervenire contro un altro grosso convoglio nemico - che poi venne effettuato dagli inglesi il 26 settembre - , era necessario impiegare la disponibilità per le esigenze dei trasporti e della protezione dei convogli. Il trasferimento in giugno del X C.A.T. dalla Sicilia a Creta concesse un largo respiro agli inglesi, i quali riuscirono ad organizzare e condurre in porto, come abbiamo appena accennato, 3 convogli che, per una serie di motivi vari, furono contrastati solo dall'azione degli aerosiluranti e riuscirono, senza molti danni, a raggiungere le loro mete. All'utilizzazione dei porti della Tunisia, come unica via di uscita per aumentare il volume dei trasporti diretti alla sponda nordafricana, prima ancora del generale Cavallero aveva pensato il generale Guzzoni, che il 29 aprile del 1941 aveva rappresentato tale necessità al generale von Rintelen, ma questi, qualche giorno dopo, aveva dichiarato che la Germania non poteva accedere alla richiesta
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perc:hé troppo gravi sarebbero state le complicazioni che ne sarebbero derivate da un rifiuto francese (15). Il generale Guzzoni aveva ribadito che l'accesso a Tunisi era assolutamente necessario per la alimentazione del vitale scacchiere nord-africano e che occorreva assicurarlo subito. Neppure la conquista di Creta e l'auspicata riconquista di Tobruch avrebbero migliorato la situazione dei trasporti, poiché per la limitata disponibilità del naviglio da carico, solo la decisa riduzione del termine viaggio-piroscafo avrebbe potuto apportare un reale incremento del flusso dei rifornimenti. Egli aveva testualmente aggiunto: « Vi sarebbe una diversa soluzione, che interessa il comando tedesco, quella cioè di attaccare il Delta da est, dopo aver attraversato la Turchia e occupato Cipro, ma anche ammettendo sufficienti 1O divisioni per le operazioni del Delta, occorrerebbe pur sempre trasportare in Libia 5-6 divisioni, calcolando che 3-4 divisioni dovrebbero essere lasciate indietro, lungo la costa. E siccome il trasporto di queste 5-6 divisioni non potrebbe essere effettuato per il settemhte, anche in questa ipotesi occorrerebbe qualche elemento nuovo, che facilitasse la soluzione del problema dei trasporti» (16). Il generale von Rintelen aveva allora accennato alla possibilità di occupare Malta con mezzi italiani e tedeschi ed il generale Guzzoni gli aveva risposto di ritenere l'operazione molto difficile, ma che se, comunque, si escludeva la possibilità di trattare con la Francia per avere Tunisi, bisognava tentare Malta. Diversamente bisognava rinunciare a marciare sul Delta da Ovest (17). Il generale Cavallero il 26 maggio riprese il discorso sui porti della Tunisia con il generale von Rintelen, al quale Jo stesso Mussolini espose la assoluta necessità di avere il passaggio per la Tunisia pregandolo di interessare al riguardo il maresciallo Keitel. Tre giorni dopo il generale von Rintelen riferl a Mussolini: « La concessione di passaggio per Biserta è solo ai tedeschi e solo per rifornimenti di carattere non bellico. Per ora per noi non si può fare né conviene farlo con la forza» (18). Mussolini insisté sulla necessità del passaggio su Bisetta ed invocò l'uguale trattamento dei tedeschi. Nel primo incontro che il generale Cavallero ebbe con il maresciallo Keitel al Brennero, il 2 giugno, tornò ad insistere sull'argomento e ne ebbe una risposta meno negativa o che quanto meno lasciava sperare che la questione avrebbe potuto avere in futuro un qualche sbocco (19). Il 19 luglio il generale Rommel, in un rapporto diretto personalmente al Fiihrer, scrisse tra l'altro: « Ritengo il problema di Malta tale da dover essere risolto subito, come è stato per Creta. In ogni caso è necessario, per i rifornimenti attraverso il canale di Sicilia,
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che i convogli siano assolutamente indisturbati. La marina italiana ha intensificato in questi ultimi mesi il sistema delle scorte ma occorre aumentare il potenziale aereo. Sono d'avviso che ... l'azione per Tunisi e Biserta è condizione indispensabile per l'esito dell'avanzata dell'Afrika Korps verso la valle del Nilo ... Mi permetto perciò di suggerire all'OKW di prendere in considerazione per la prossima offensiva (che, ripeto, non potrà farsi prima dell'autunno) una doppia manovra, verso est e verso ovest, con l'occupazione di Tunisi e di Bisetta nonché, se opportuno, dell'Algeria. Gli arabi sono ancora passibili di essere influenzati verso l'Asse, sia in Algeria che in Egitto ... » (20). Hitler gli rispose il 22 luglio che i piani contro l'Egitto erano oramai studiati, ma che rimaneva perplesso per Tunisi, mentre per l'occupazione di Malta il problema sarebbe stato studiato dal Comando Supremo italiano congiuntamente con il maresciallo Kesselring, comandante superiore del sud, e con il generale Student, comandante del corpo dei paracadutisti. Hitler, in conclusione, non voleva correre il rischio di compromettere i suoi rapporti con la Francia il cui governo, dopo la campagna di Siria, era divenuto ancora più cauto e rifiutava ogni trattativa sull'utilizzazione di Bisetta per timore della Gran Bretagna e delle sue stesse forze militari del nord Africa, profondamente permeate di spirito gaullista. Quando in dicembre la situazione delle forze italo-tedesche in Libia si fece critica, il generale Cavallero tornò a chiedere al generale von Rintelen se non sarebbe stato possibile, almeno allora, ottenere il passaggio per Bisetta anche in misura limitata, ma il generale von Rintelen rispose che tale passatgio nel senso vero e proprio non era possibile e che forse si sarebbe potuto portar roba a mezzo delle navi che vanno a ritirare i fosfati: di quanto in quanto si potrà mandare una nave in più (21). Il generale Cavallero decise allora di sottoporre a Mussolini una lettera per Hitler nella quale si rappresentasse che la necessità di aprire al traffico la rotta di Tunisi e Biserta era divenuta una necessità, non solo insopprimibile, ma di assoluta urgenza (22). Il 14 dicembre nuova insistenza del generale Cavallero con il generale von Rintelen; il 24 dicembre giunse l'autorizzazione tedesca a mandare da Marsiglia, via Tunisi, tutto quello che vogliamo, meno le armi (23). Era poco, o quasi nulla, e, inoltre, quel poco arrivava con grande ritardo. Il 27 dicembre il generale Cavallero ribadì al generale von Rintelen che la questione tunisina andava risolta presto a qualunque costo: « Col piede in Tunisia l'Egitto è nostro perché, a un certo momento, col concorso degli alleati, avremo quel fronte alleggerito e, con 4 divisioni, potremo andare dove si
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vuole a condizione di avere rifornimenti. Vale quindi la pena di fare qualche grosso sacrificio. Il Duce la pensa così. Se si fa quanto ho detto, riprendiamo anche l'impero, il che è però di importanza modesta, perché tanto è cosa che viene da sé con il trattato di pace. Col possesso della Tunisia la guerra del Mediterranoe è vinta» (24). Il 29 dicembre Mussolini scrisse ad Hitler la lettera propostagli dal generale Cavallero, ma la risposta che ne ebbe il 1° gennaio fu non meno evasiva delle precedenti (25). Nel comportamento tedesco circa la questione della concessione del passaggio attraverso la Tunisia dell'alimentazione delle forze italo-tedesche in Libia, ebbe senza dubbio la sua parte l'esigenza di non guastare i rapporti con la Francia, ma anche la scarsa considerazione e importanza sempre attribuite da Hitler e dall'OKW al teatro del Mediterraneo ed il timore che l'Italia, una volta messo piede in Tunisia, vi si affermasse a pieno titolo di sovranità. Non si tratta di illazioni arbitrarie, ma di deduzioni facili da trarsi, ad esempio dalla risposta che il ministro degli Esteri tedesco, von Ribbentrop, diede al generale Rommel che gli sollecitava, nel febbraio del 1941 prima di partire per l'Italia, una soluzione per l'utilizzazione di Tunisi e di Biserta: un'azione in tal senso sarebbe stata prematura, avrebbe creato difficoltà con i francesi ed « avrebbe fatto il giuoco dell'Italia che teneva a mettere un'ipoteca su Tunisi e forse su tutto il nord Africa. Portare gli italiani a Tunisi significava alienarsi tutti i francesi di buona volontà e pregiudicare la politica estera tedesca in Occidente» (26). Nello stesso colloquio van Ribbentrop dichiarò di non ritenere importante il possesso di Malta perché, a giudizio dell'OKW, sarebbe bastato neutralizzarla con l'aviazione.
4.
A proposito della mancata occupazione di Malta occorre però distinguere le responsabilità nella primissima fase della guerra, che ricaddero esclusivamente sullo stato maggiore generale italiano, da quelle nella fase successiva che risalirono alla Germania ed alla forzata acquiescenza di Mussolini e del capo di stato maggiore generale italiano a Hitler ed all'OKW. Il valore di Malta, nel quadro di una guerra dell'Italia contro la Francia e l'Inghilterra, era stato giustamente apprezzato fin dal dicembre del 1938 dallo stato maggiore della marina italiana, il quale aveva affermato la necessità di « prevedere l'occupazione di Malta come indispensabile premessa a qualsiasi
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LA SITUAZIONE STRATEGICA MEDITERRANEA
Ddl Giugno .,!l'Ottobre 1940
Dall'Ottobre 1940 al Febbrdio 1941
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vie di t raffico ~ raggio d 'azione degli aerei inglesi
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nostra operazione in grande stile in Africa settentrionale... Solo la occupazione di detta base, che non doveva essere considerata impossibile, avrebbe risolto totalmente il problema ... » (27). L'indicazione non era stata raccolta dal capo di stato maggiore generale che non ne aveva disposto, nonostante la dichiarata indispensabilità, l'ulteriore approfondimento da parte degli altri stati maggiori e non ne aveva tratto gli elementi necessari per l'allestimento dei mezzi e l'addestramento del personale. Se preparata di lunga mano l'occupazione di Malta avrebbe potuto essere tentata nella primissima ora della guerra, od anche subito dopo l'armistizio con la Francia, con elevata probabilità di riuscita, stante la modestia del presidio della isola affidato a forze leggere britanniche. Alla vigilia dell'entrata in guerra, nel maggio del 1940, il maresciallo Badoglio ripropose la questione allo stato maggiore della marina il cui capo, ad una precisa domanda sulle difficoltà dell'operazione, rispose: « La costa si presta poco ed è fortemente difesa» (28) ed accompagnò il piano di azione, presentato il 18 giugno, con le seguenti considerazioni: « Date le eccezionali difficoltà di impresa e le forze che dovrebbero esservi dedicate, essa sarebbe giustificata soltanto se Malta rappresentasse un obiettivo decisivo. Ma avendo da tempo l'Inghilterra rinunciato a servirsene come base principale di operazioni, la minaccia che da Malta può essere esercitata contro le nostre comunicazioni e contro le nostre basi navali è di secondaria importanza. È sufficiente che con bombardamenti aerei, con agguati di sommergibili e (quando occorra) con crociere notturne di siluranti, continui ad essere impossibile la permanenza a La Valletta di importanti forze navali, ad essere insidiato il movimento di quelle che ci sono, ad essere impedito il rifornimento dell'isola. Malta cadrà nel1e nostre mani come conseguenza della vittoria finale, ottenuta concentrando tutte le energie negli scacchieri contenenti obiettivi risolutivi » (29). Quello che lascia allibiti, più che il rigetto dell'operazione, peraltro giudicata indispensabile 18 mesi prima, sono le motivazioni con le quali lo stato maggiore della marina intese giustificar1o e la supina accettazione da parte del capo di stato maggiore generale del punto di vista della marina. Sostenere che l'operazione, per il mancato allestimento dei mezzi nella quantità necessaria ed il mancato addestramento del personale, oltre che per la deficiente normativa e pratica della cooperazione interforze, sarebbe stata assai più difficile che nel passato e molto meno sicura, anzi, se si vuole, finanche aleatoria, avrebbe potuto non convincere ed offrire motivi di contestazione; ma valutare Malta come obiettivo non decisivo fu
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atto di cecità concettuale e d'insipienza strategica, se non di malafede. Ciò non vuol dire che non dovessero esistere perplessità ed incertezze in quella situazione d'improvvisazione dell'impresa. L'intrinseca potenzialità difensiva dell'isola e la superiorità navale anglo-francese nel Mediterraneo il 10 giugno del 1940 non erano fattori da sottovalutare, ma le forze britanniche di presidio erano piuttosto modeste, la flotta inglese stazionava in quel momento ad Alessandria e quella francese ad Orano. Vero è che la flotta italiana disponeva il 10 giugno di 2 sole navi da battaglia - Giulio Cesare e Cavour - in quanto la Littorio e la Vittorio Veneto stavano compiendo i primi tiri nelle acque di Taranto e la Duilio e la Doria non erano ancora entrate in squadra, mentre la Roma e l'Impero non erano neppure scese in mare; ma il congiungimento delle flotti inglese e francese non avrebbe potuto compiersi in un lampo. L'esercito non disponeva né di unità specializzate per operazioni di sbarco né di unità paracadutiste, e l'aeronautica della Sicilia non era dotata, né quantitativamente né qualitativamente, di apparecchi per un'impresa che avrebbe richiesto un impegno aereo assai rilevante, ma il tentativo di un colpo di mano aereo-navale, sebbene rischioso, data l'importanza assoluta della posta, avrebbe potuto essere realizzato ed il suo eventuale fallimento non sarebbe stato più costoso, in perdite di uomini e di naviglio, delle battaglie di Punta Stilo del successivo 9 luglio e di Capo Spada de] 19 dello stesso mese, e del bombardamento delle navi all'ancora e delle istallazioni portuali di Taranto dell'll novembre, in seguito al quale la Cavour restò inutilizzabile per tutta a guerra e la Littorio e la Duilio dovettero restare in riparazione per circa 2 mesi. Dopo l'armistizio con la Franzia e, in particolare, dopo l'annientamento della squadra francese ad Orano, compiuto dalla forza « H » britannica il 3 luglio, e prima dell'arrivo dei primi convogli inglesi a Malta nella seconda decade di luglio, il colpo di mano avrebbe avuto ancora maggiori probabilità di successo. Non tentarlo, o il 10 giugno o subito dopo l'armistizio con la Francia, fu il più grave errore strategico dell'Italia, del quale i vertici militari ebbero responsabilità dirette ed immediate assai maggiori di quelle dello stesso Mussolini, che non aveva una preparazione strategica e tecnico-militare tale da valutare in modo pieno l'importanza e, soprattutto, la fattibilità della operazione. Nei mesi seguenti le condizioni per il facile colpo di mano, possibile all'inizio delle ostilità, vennero gradatamente meno e poi svanirono del tutto, mentre parve sempre più determinante la funzione dell'isola definita, dall'ammiraglio inglese Cunningham, la chiave di volta
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LA SITUAZIONE STRATEGICA MEDITERRANEA
Dal Febbraio a ll'Aprile 1941
DalrAprile al Dicembre 1941
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della vittoria nel Mediterraneo (30). Di tale ruolo nessuno poté più dubitare. Gli inglesi, che avevano inizialmente sottovalutato anch'essi l'importanza dell'isola perché esposta al martellamento delle forze aeree della vicina Sicilia, ne potenziarono, con inizio dal settembre del 1940, la guarnigione, le attrezzature e le scorte e ne fecero ben presto un vero baluardo di difficile espugnazione ed una potente base per l'azione aerea e navale, soprattutto sottomarina, contro il traffico marittimo dell'Asse. L'occupazione dell'isola diventò una impresa complessa, irta di difficoltà in continuo aumento. Il sottocapo di stato maggiore generale, il 5 maggio del 1941, pochi giorni prima del rientro a Roma del generale Cavallero, ripropose la necessità di tentare l'occupazione dell'isola, a meno di non rinunciare a qualsiasi idea di ulteriore azione offensiva in Africa Settentrionale, e lo stato maggiore della marina, il 18 maggio, il giorno del rientro del generale Cavallero, indirizzò al Comando Supremo un promemoria in cui si affermava: « La presa di Malta rappresenterebbe un miglioramento decisivo della situazione e le perdite che essa ci costerebbe in un giorno ci salverebbero da quelle ulteriori cui andremmo incontro nei trasporti per la Libia e che, in base alla dura esperienza fatta, potrebbero a lungo andare diventare preoccupanti per l'impossibilità di rapida sostituzione del naviglio perduto. Nessuno più della Marina è perciò interessato all'impresa di togliere Malta agli inglesi » (31). Di fronte alle difficoltà che ora l'impresa presentava, tanto che si era fatta inattuabile senza il concorso delle forze e dei mezzi tedeschi, e nella speranza di un accordo con la Francia, per il tramite della Germania, per l'utilizzazione dei porti tunisini, il generale Cavallero temporeggiò prima di dare il via alla ripresa degli studi per la conquista dell'isola. Ma dopo il 5 agosto, quando le trattative per l'utilizzazione della rotta di Biserta si arenarono, senza cessare di continuare ad insistere perché venissero riprese e condotte in porto, egli venne nella determinazione concreta di dare il via all'aggiornamento degli studi sull'operazione Malta - esigenza C3 - ed all'approntamento del personale e dei mezzi, considerando sfa il caso dell'azione di forza sia quello del colpo di mano. Dal 14 ottobre del 1941 (32) l'operazione C3 venne assumendo gradatamente carattere più preciso e contorni più chiari mediante gli studi approfonditi ai quali parteciparono gli stati maggiori italiani, i rappresentanti dell'Alto Comando tedesco e, successivamente, esperti ufficiali giapponesi. Il generale Cavallero riusci a sventare il tentativo del maresciallo Kesselring, che avrebbe voluto prendere la direzione dell'operazione, ed a far strappare da Musso-
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lini, nell'incontro che questi ebbe con Hitler in Frèch Oberhalm nel castello di Klessheim ed in Berchtesgaden il 29 ed il 30 aprile 1942, il consenso dell'Alto Comando tedesco all'operazione. Mussolini ed il generale Cavallero andarono all'incontro con la salda decisione che la conquista di Malta doveva occupare il primo posto, nel particolare momento, quale più importante esigenza in funzione della successiva condotta della guerra (33) e, dopo un approfondito esame della situazione da parte dei consiglieri militari italiani e tedeschi, concordarono con Hitler e con il maresciallo Keitel che: per prima cosa le forze italo-tedesche in Africa riprendessero l'offensiva alla fine di maggio, conquistassero Tobruch il più presto possibile, si arrestassero poi alla frontiera egiziana; succèssivamente, a metà giugno o al più tardi nel periodo di plenilunio di luglio, si passasse alla operazione C3, alias conquista di Malta. L'assenso che Hitler non poté negare a tale piano, tanto più che aveva già inviato in Italia forze e mezzi destinati alla C3 - o operazione Hercules come era stata denominata dai tedeschi - impegnandosi cosl alla sua effettuazione, in realtà era pieno di riserve mentali. Hitler, fin dal primo momento in cui l'azione gli era stata prospettata, aveva sempre mantenuto una posizione negativa, stante il suo costante orientamento a perseguire scopi ed obiettivi continentali con la conseguente attribuzione di minore importanza al teatro del Mediterraneo, specialmente dopo l'esperienza di Creta dove la Germania aveva perduto 6580 uomini e 151 Ju-52 . Dopo aver modificato, sebbene con intima riluttanza, il suo atteggiamento nell'incontro con Mussolini, ebbe quasi subito un nuovo ripensamento ed in lui prevalse il timore, dal quale si era lasciato prendere quando aveva deciso di rinunziare allo sbarco sull'Inghilterra, che le forze disponibili, e in particolare quelle navali, non fossero sufficienti. Egli si chiesè, inoltre, che cosa sarebbe accaduto in Italia in caso di insuccesso e se l'alleata non avrebbe voluto staccarsi dalla lotta una volta che avesse constatato l'impossibilità di poterla continuare in Africa. Inoltre, in Italia operava il II Corpo aereo tedesco (II C.A.T. della 2" Luftflotte) che doveva essere ritirato al più presto per intervenire sulla fronte meridionale russa, dove alla fine di giugno avrebbe avuto inizio l'offensiva in direzione del Volga e del Caucaso. D'altro canto, egli pensava che si potesse rinunziare a Malta senza eccessive preoccupazioni qualora Rommel - fatto in cui Hitler confidava fermamente avesse conquistato Tobruch, sicché i rifornimenti gli sarèbbero potuti affluire in tale porto, assai prossimo alla fronte, sotto la copertura assicurata dall'isola di Creta. In seguito alla conquista di Tobruch
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ed all'annientamento (affondate 15 navi su 17) da parte delle forze aereo-navali italo-tedesche di 2 convogli britannici- 12-16 giugno in rotta verso Malta, Hitler decise, contro le intese di Berchtesgaden, di sopprimere l'operazione Hercules precisando di mantenerla teoricamente preparata per l'avvenire e di far proseguire le forze italotedesche oltre la frontiera egiziana. Dopo la conquista di Tobruch in particolare respinse, davanti al suo seguito militare, nuovamente ed irrevocabilmente la prospettiva di un'azione contro Malta. Il generale Cavallero, che conosceva molto bene gli intendimenti del generale Rommel, il quale fin dall'inizio della seconda controffensiva italo-tedesca in Africa aveva avuto in animo di spingersi in territorio egiziano nonostante il diverso avviso del maresciallo Kesselring, si premurò il 20 giugno del 1942 di sottoporre a Mussolini una lettera per Hitler nella quale era, tra l'altro, scritto: « Al centro del nostro quadro strategico sta il problema di Malta, a riguardo del quale abbiamo preso a suo tempo le nostre decisioni. Desidero dirvi subito che la preparazione per l'azione di Malta è molto progredita. Questa azione di Malta si impone più che mai, gli effetti veramente cospicui dell'azione aerea a massa svolta dall'aviazione dell'Asse, e principalmente dalla 2a Luftflotte nell'aprile, hanno prolungato la loro efficacia durante il maggio. Ma ormai, in giugno, Malta, rifornita costantemente da apparecchi, ha recuperato le sue capacità offensive belliche, cosicché oggi la nostra navigazione per la Libia è resa nuovamente molto difficile ... La recente battaglia mediterranea ha impedito a due grossi convogli inglesi di raggiungere Malta. Ma l'uscita delle nostre forze navali ha imposto un consumo di circa 15 mila tonnellate e ci ha privato delle ultime disponibilità. Ora le nostre navi da guerra hanno i depositi di nafta vuoti, e non è possibile rifornirli; una seconda uscita delle nostre forze navali non è ora possibile e perciò, ad un nuovo tentativo di rifornire Malta, noi non opporremmo che una limitata azione di sommergibili e la azione non sempre possibile, specie per le condizioni atmosferiche, degli aerosiluranti... Mi limiterò a confermarvi che, per l'operazione su Malta, è previsto un consumo di 40 mila tonnellate e che queste dovrebbero giungere almeno una settimana prima della fine di luglio ... Una riserva di 30 mila tonnellate è anche richiesta dalla nostra marina per fronteggiare i bisogni navali, soprattutto la prevedibile necessità di far uscire le forze navali di fronte a tentativi avversari, come quello che proprio oggi è in corso... Desidero però aggiungere, Fiihrer, che questa operazione su Malta sarà il mezzo migliore per risolvere il problema nella nafta, per quanto concerne il Medi-
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terraneo; giacché, presa Malta, tutti i consumi diminuiranno automaticamente ... Mi è anche doveroso aggiungere che l'agosto è l'epoca ultima dell'anno che permette di eseguire l'operazione su Malta: dopo di che sarebbe giocoforza attendere l'estate del 1943, con le conseguenze che Voi, Fiihrer, perfettamente conoscete. L'operazione di Malta, oltre che risolvere il problema dei traffici in Mediterraneo, ci restituirebbe la piena disponibilità delle nostre forze aeree, che sono oggi vincolate al settore mediterraneo e cosi rimarranno fino a che Malta resti in possesso del nemico. Lo svincolo delle forze aeree, sommato con gli altri vantaggi della presa di Malta, significherebbe per noi il riacquisto della libertà di manovra, fattore di primordiale importanza per la vittoria ... Sono fiducioso, Fiihrer, che nonostante le gravi difficoltà delle quali mi rendo giustamente conto, il vostro personale intervento condurrà a felice soluzione questo problema, che ha importanza assolutamente vitale per la nostra situazione in Mediterraneo e per i suoi futuri svolgimenti» (34). La risposta non :;i fece atten<lere. Il 24 giugno Hitler, esaltato dalla caduta di Tobruch, scrisse a Mussolini « Il destino ci ha offerto una possibilità che in nessun modo si presenterà una seconda volta sullo stesso teatro di guerra. Il più rapido e totalitario sfruttamento <li essa costituisce a mio avviso la principale prospettiva militare. Fino ad ora ho sempre fatto tanto a lungo e completamente inseguire ogni nemico battuto quanto è stato consentito dalle nostre possibilità... Se ora i resti di questa armata britannica non venissero inseguiti fino all'ultimo respiro di ogni uomo succederebbe la stessa cosa che ha fatto sfuggire il nemico agli inglesi quando giunti a poca distanza da Tripoli si sono improvvisamente fermati per avviare forze in Grecia ... Se adesso Je nostre forze non proseguono fino all'estremo limite possibile nel cuore stesso dell'Egitto si verificherà innanzi tutto un nuovo flusso di bombardieri americani che, con aeroplani da lunga distanza, possono facilmente raggiungere l'Italia ... Questa volta l'Egitto può, sotto certe condizioni, essere strappato all'Inghilterra. Ma le conseguenze di un colpo simile saranno di importanza mondiale ... Quindi se io, Duce, in questa ora storica che non si ripeterà posso darVi un consiglio che viene dal cuore più premuroso, esso è questo: ordinate il proseguimento delle operazioni fino al completo annientamento delle truppe britanniche, fino a che il Vostro Comando ed il maresciallo Rommel crederanno di poterlo fare ... La Dea della fortuna nelle battaglie passa accanto ai condottieri soltanto una volta... Se ora noi tralasciamo di inseguire gli inglesi fino all'annientamento il risultato sarà che più tardi avremo
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una quantità di preoccupazioni. Accogliete, Duce, questa preghiera soltanto come il consiglio di un amico ... » (35). Mussolini accettò il consiglio. L'operazione, che era stata giudicata indispensabile ed alla cui preparazione erano stati dedicati 14 mesi di intenso lavoro concettuale, organizzativo, addestrativo e d'impegno produttivo per l'allestimento dei mezzi, venne definitivamente cancellata. Le forze predisposte per l'esigenza C3 vennero immesse nello scacchiere egiziano ed il generale Cavallero il 7 luglio fece mettere in disparte il piano d'attacco di Malta e ordinò che si preparasse un'azione contro la Tunisia - esigenza C4 - nel timore che, dopo l'azione d'inseguimento rimasta bloccata ad El Alamein, i britannici potessero sbarcare nell'Africa settentrionale francese e di qui muovere contro la Tripolitania. Hitler, in conclusione, toccando le corde della retorica (ora storica, dea della fortuna, possibilità offerte dal destino, ecc.), del sentimento (consiglio di un amico) e della paura (bombardieri americani che possono facilmente raggiungere l'Italia), senza mai nòminare Malta, convinse Mussolini - padroneggiato anch'egli dallo entusiasmo dell'ora e già più propenso ad ascoltare il neomaresciallo Rommel, che non aveva mai accettato dentro di sé la pausa che avrebbe dovuto porre alle operazioni successive per attendere la conquista di Malta, che non i neomarescialli in pectore Cavallero e Bastico (36) - della validità <lel progetto di separare l'Egitto dalla Inghilterra mediante l'offensiva a fondo fino al canale di Suez e di provocare la caduta di tutta la costruzione orientale dell'impero inglese mediante la conquista, in corso in quei giorni, di Sebastopoli e dell'intera Crimea (la Crimea e Sebastopoli caddero in mano tedesca tra il 7 giugno ed il 4 luglio), il cui possesso avrebbe aperto la strada del Caucaso. A parte le suggestioni retoriche, sentimentali ed emotive del telescritto, la manovra a tenaglia dall'Egitto e dal Caucaso sul Medio Oriente, qualora vi fossero state le forze necessarie per portarla ad esito sicuro, sarebbe stata di per sé un'argomentazione convincente per rinunziare all'impresa di Malta, come d'altronde lo sarebbe stato lo stesso richiamo al principio strategico e tattico del rapido e totalitario sfruttamento del successo e dell'inseguimento fino all'ultimo respiro del nemico battuto. Ma il disegno di tale manovra era il frutto di un'esaltazione fantasiosa di Hitler, non il risultato di una razionale, approfondita e previdente elaborazione di un piano operativo da parte di uno stato maggiore direttivo comune, vale a dire italo-tedesco, che avesse esaminato bene le reali possibilità delle forze nemiche e proprie ed avesse valutato altrettanto bene le probalità di successo ed i tempi di sviluppo della
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manovra stessa. Quale era la garanzia di riuscita od almeno la probabilità? E, più particolarmente, se le forze italo-tedesche non avessero in breve tempo raggiunto almeno il Cairo ed Alessandria, quali sarebbero state le possibilità potenziali di rinforzarle e di rifornirle perdurando il possesso inglese di Malta? Forse Malta avrebbe cessato di esercitare il ruolo proibitivo svolto ogni qualvolta erano stati allentati i bombardamenti di neutralizzazione, ora che il II C.A.T. tedesco sarebbe stato trasferito in Oriente? Davvero Tobruch, base ausiliaria con capacità di scarico di 200 t giornaliere - che fu poi elevata con un poderoso sforzo risanativo del porto e potenziatore delle banchine a 1250 t - , avrebbe potuto svolgere la funzione di polmone logistico delle forze italo-tedesche operanti in Egitto? Mussolini avrebbe potuto rifiutare il consiglio molto interessato dell'amico ed insistere sulla priorità della questione di Malta e per l'applicazione degli accordi di Berchtesgaden? Avrebbe certamente potuto farlo; ma, a prescindere dal fatto che Hitler aveva sfondato una porta aperta, è poco credibile che i tedeschi avrebbero mutato le loro vedute e le loro decisioni, giacché sopratutto di decisioni si trattava, lontana com'era da loro la concezione di un'alternativa tra una sosta operativa di oltre un mese, necessaria a mettere a punto l'esigenza C3 ed a far giungere in Italia le 40 mila tonnellate di prodotti petroliferi occorrenti, e la possibilità di sfruttare a fondo lo strabiliante successo tattico riportato sulla ga armata britannica. Il generale Cavallero avrebbe, in ogni caso, dovuto insistere presso Mussolini perché non desse retta né all'Alto Comando tedesco né al maresciallo Rommel e sostenere la validità della posizione italiana di base, anziché affrettarsi il 26 giugno a diramare le direttive del Comando Supremo per raggiungere la stretta di el Alamein, diventando così corresponsabile di una decisione che non aveva fino ad allora condivisa, essendo rimasto sempre profondamente e sinceramente convinto, dopo le precedenti esperienze, che in Africa settentrionale il successo non andava ricercato nel guadagno di spazio senza obiettivi definitivi fintantoché la questione dei rifornimenti non fosse stata risolta. Mussolini si renderà conto dell'errore compiuto e lo confesserà, il 20 ottobre, prima dell'inizio della terza controf· fensiva britannica, al maresciallo Cavallero: « Sapete, tutto considerato, sono venuto nella conclusione che invece di avanzare su Marsa Matruh era meglio fare l'operazione su Malta». Questi, pronto, gli risponderà: « Duce, comprendo che voi vi sentite davanti ad un caso di coscienza, ma permettetemi di allegerire (sic!) la vostra preoccupazione. L'operazione su Malta era preparata per l'agosto; l'oppor-
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tunità di marciare in Egitto è nata dopo la presa di Tobruch avvenuta in giugno». E Mussolini interrompendolo: « Si, ho preso questa decisione anche in seguito alle notizie del Fiihrer circa il disfacimento dell'8" armata britannica» (37). La verità è che la decisione era stata presa da Hitler, che Mussolini era rimasto convinto della sua validità, che il maresciallo Cavallero avrebbe dovuto contestarla sul piano strategico-militare e che non lo fece perché, incline all'ottimismo, partecipò all'euforia generale del momento dimostrandosi nella circostanza un capo poco coerente ed avveduto. Forse si rese conto che non sarebbe mai riuscito a tirare dalla sua né lo stesso Mussolini né, tanto meno, Hitler ed il suo seguito, dai quali sarebbe dipesa, in definitiva, la fattibilità dell'operazione Hercules; per questa il concorso delle forze tedesche sarebbe stato infatti conditio sine qua non, come sarebbe stato altresl indispensabile l'invio delle 40 mila più altre 30 mila t di nafta che solo i tedeschi avrebbero potuto reperire ed assegnare. È, infine, da tenere presente che la riuscita dell'operazione non poteva in quel momento essere data per sicuramente scontata: gli inglesi, nel mese di sosta delle operazioni, avrebbero avuto modo e tempo di raffor;,;are la guarnigione dell'isola già forte di 30 mila uomini e centinaia di cannoni. Verso la metà di agosto essi riusciranno infatti a portare a Malta la 1oa flottiglia sommergibili e ad elevare a 250 gli aerei presenti nell'isola, tra i quali anche bombardieri pesanti. Molto maggiori le probabilità di riuscita dell'operazione se fosse stato possibile tentarla subito dopo la caduta di Tobruch. L'Italia e la Germania avevano perso le occasioni più propizie per occupare Malta: la prima nell'estate del 1940, la seconda nella primavera del 1941. L'Italia non era stata pronta a tentare il colpo di mano appena entrata in guerra o subito dopo l'armistizio con la Francia; la Germania non aveva sfruttato la conquista di Creta nel modo che gli inglesi si aspettavano: Cipro, la Siria, Suez e Malta. Il progetto d'impadronirsi del canale di Suez sarebbe forse stato irrealizzabile, a meno che anche le unità corazzate di Rommel in Africa fossero state rafforzate in modo adeguato, ma la conquista di Malta sarebbe stata un'impresa alquanto più facile (38). Quando Hitler, un anno dopo, sembrò lasciarsi convincere ad intraprenderla - per poi subito dopo cambiare idea e rinunciarvi definitivamente sarebbe stata effettuabile con successo quasi sicuro solo subito dopo la caduta di Tobruch; in agosto sarebbe stato meno facile e l'esito favorevole meno certo, ma il tentarla sarebbe stato l'unico modo per acquistare un atout decisivo specialmente in quel momento in cui,
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con l'arrivo delle forze, oltre che dei mezzi, degli Stati Uniti nel teatro del Mediterraneo, la guerra diventava soprattutto una guerra di materiali, nella quale una nazione industrialmente e militarmente debole come l'Italia non avrebbe potuto continuare a perdere migliaia di tonnellate di naviglio (39) e di mezzi vari nel profondo del mare senza esaurirsi del tutto in breve tempo.
5. Il possesso inglese di Alessandria e di Gibilterra, le porte del Mediterraneo, non sarebbe bastato da solo a garantirne agli inglesi il dominio qualora fosse stato disgiunto da quello di Malta. Perno di manovra dell'azione aereo-navale britannica contro il traffico marittimo italiano nel Mediterraneo, Malta, sottovalutata all'inizio sul piano strategico dagli stessi inglesi, fu la regolatrice del flusso dei trasporti tra l'Italia e la Libia e viceversa e, conseguentemente, dell'andamento delle operazioni aereo-terrestri italo-tedesche nello scacchiere nord-africano. L'Inghilterra poté utilizzare per l'alimentazione delle forze in Egitto e nel Medio Oriente anche la via più lunga ma più sicura del periplo dell'Africa; l'Italia non ebbe altra strada che il Mediterraneo, dove la piccola isola, situata a cavallo fra il bacino occidentale e quello orientale, a metà cammino tra Gibilterra e Suez, a 100 Km dalla Sicilia ed a 300 circa dalla costa tripolina, costituì il punto nodale di osservazione e d'intercettazione delle comunicazioni ovest-est, nord-sud e viceversa. Mentre la sua conquista da parte italiana avrebbe risolto il problema dei trasporti, il suo mantenimento in mano inglese significò la sconfitta italotedesca nel teatro operativo del Mediterraneo. Meno influente qualora l 'Asse avesse potuto utilizzare i porti tunisini, essa invece esercitò per tutta la durata della guerra il ruolo attivo e passivo, ora più ora meno contrastato, di divoratrice del potenziale bellico italiano. Le avanzate ed i ripiegamenti italo-tedeschi nell'Africa settentrionale dipesero in grandissima parte rispettivamente dal maggiore o minore grado di neutralizzazione dell'isola realizzato dalle forze aero-navali dell'Asse. Senza il riferimento alla situazione del momento di Malta, le operazioni italo-tedesche nell'Africa settentrionale non trovano la loro spiegazione e giustificazione. Le sorti della guerra aero-terrestre, prima che della vittoria dell'8" armata britannica ad el Alamein, furono decise dal dominio che gli inglesi esercitarono per lunghi periodi, e in particolare alla vigilia e durante quella battaglia, nel
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mare e nel cielo del Mediterraneo grazie soprattutto a Malta. La prima controffensiva italo-tedesca per la riconquista della Cirenaica, sferrata da Rommel il 31 marzo 1941, ebbe la sua premessa, senza la quale non sarebbe stata possibile, nella neutralizzazione di Malta ad opera della marina italiana, delle forze aeree italiane dislocate in Sicilia e, in particolare, di quelle tedesche del X C.A.T., che dal 15 gennaio avevano dato inizio ad una serie di violenti attacchi contro i campi di aviazione dell'isola e contro il porto di La Valletta, attenuando così la minaccia al traffico marittimo italiano - che, quasi indisturbato dal giugno al novembre del 1940, era entrato in crisi in dicembre con la perdita di 6992 tonnellate di materiali spediti in Libia - e consentendo il trasporto dello Afrika Korps e di quanto necessario alla ristrutturazione ed alla ricostituzione della 5a armata italiana. Nel trimestre gennaio-marzo 1941 giunsero in Libia 51 955 uomini su 53 023 partiti e 221 020 tonnellate di materiali su 232 662 spedite. Ciò fu sufficiente al generale Rommel per mettere in moto, contro il volere del Comando Supremo italiano e del comando superiore italiano in Africa settentrionale, dal quale egli dipendeva, la travolgente azione che nel giro di due settimane si concluse con la riconquista dell'intera Cirenaica, ad eccezione della piazzaforte di Tobruch che rimase in mano agli inglesi. Bengasi venne riconquistata il 4 aprile, Derna 1'8, Bardia il 12. La prima controffensiva italo-tedesca nell'Africa settentrionale (40) passò attraverso 3 fasi, oltre quella preliminare della preparazione: sbalzo di sorpresa fino a Bengasi, avanzata da Agedabia e Bengasi su Mechili-Derna, investimento di Tobruch e raggiungimento del confine egiziano. La fase preliminare, dal 6 febbraio al 31 marzo, riguardò più che la preparazione della controffensiva, alla quale il Comando Supremo italiano e l'Alto Comando tedesco avevano concordato di non dare inizio prima della fine di maggio, il riordinamento dei comandi e delle unità ancora esistenti in Libia dopo la sconfitta del maresciallo Graziani, il potenziamento di tali comandi e unità mediante l'afflusso di forze e di mezzi dall'Italia, l'inserimento dei comandi e delle unità tedeschi nel nuovo quadro di battaglia dello scacchiere, i combattimenti svoltisi dal 18 febbraio al 1° marzo nell'oasi di Cufra e quelli del 16 febbraio-2 marzo nell'oasi di Giarabub, l'occupazione di el Agheila (24 marzo) . L'occupazione di el Agheila ebbe lo scopo di rimuovere la causa delle continue molestie che gli inglesi davano alle colonne di rifornimento delle forze italo-tedesche dislocate nell'oasi di Marada e di impos-
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sessarsi del vicino campo di aviazione, nonché di saggiare la reazione avversaria e porre le premesse per la futura controffensiva. Le prime direttive emanate dal Comando Supremo italiano ebbero come oggetto la difesa della Tripolitania (41), e sulla base di esse il comando superiore dell'Africa settentrionale italiana (Superasi) riordinò e rischierò le proprie forze, che il 20 febbraio risultarono articolate su di 1 corpo d'armata (X), il campo trincerato di Tripoli, il comando del Sahara libico ed il presidio di Giarabub (42). Il 3 marzo il sottocapo di stato maggiore generale e sottosegretario alla Guerra riunì i 3 capi di stato maggiore di forza armata e prospettò loro il programma di potenziamento della Libia - che il giorno stesso comunicò al generale von Rintelen - secondo il quale per la riconquista della Cirenaica, prevista per il settembre, e per la successiva offensiva verso l'Egitto, connessa ad un'eventuale pressione tedesca sul Medio Oriente attraverso la Siria e la Palestina, sarebbe stato necessario prevedere: il completamento delle divisioni di fanteria Pavia, Bologna, Brescia, SatJnna reintegrandole degli elementi già sottratti per il rinforzo delle unità della disciolta 10" armata; la ricostituzione della divisione Sabratha; il completamento ed il potenziamento con battaglioni carri M13 della divisione corazzata Ariete, giunta in Libia dal 24 gennaio al 26 febbraio con soli carri L; l'invio de1Ia divisione motorizzata Trento , di reparti e di aliquote di servizi di armata e di corpo d'armata nonché di altre 2 divisioni organiche. La Libia, prima della controffensiva, avrebbe dowto disporre di 12 divisioni, di cui 3 corazzate (1 italiana e 2 tedesche). Tra 1'8 ed il 18 marzo il Comando Supremo dispose il concentramento del maggior numero dei mezzi contraerei esistenti in Libia a favore della difesa di Tripoli e l'urgente invio dall'Italia di altri gruppi e batterie contraerei e di stazioni fotoelettriche. Il piano di affluenza del Comando Supremo fissò per la fine di aprile l'arrivo completo della 158 divisione corazzata tedesca e della motorizzata Trento, per la fine di maggio quello della motorizzata Trieste e della Torino, per la fine di giugno l'invio degli automezzi per le 3 divisioni già in sito e per la fine di luglio il completamento logistico di tutte le forze. L'll marzo il Comando Supremo rappresentò al Superasi l'opportunità d'indirizzare spiritualmente e materialmente l'attività verso l'azione controffensiva per la riconquista della Cirenaica, azione che il Superasi, il 15 marzo, fece presente non avrebbe potuto avere inizio, calcolati approssimativamente i tempi di affluenza delle forze e dei mezzi programmati, prima del mese di agosto e cioè, in pratica, stante il caldo della stagione, non
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prima della metà di settembre. Ciò non escludeva, a parere del Superasi, la possibilità di accogliere la proposta avanzata dal generale Rommel di un'offensiva parziale ai primi di maggio non appena disponibili la 15a divisione corazzata tedesca e la Trento, purché l'operazione rimanesse limitata al raggiungimento di Agedabia che non avrebbe dovuto essere superata per non esporsi alla minaccia avversaria lungo le piste della fascia predesertica a sud del gebel (4 3). Il comandante superiore rimase però fermo nella convinzione che sarebbe stato più conveniente iniziare la controffensiva quando fossero stati disponibili sul posto tutti i mezzi necessari per condurla a fondo. Il 18 marzo il generale Guzzoni, in una nuova riunione dei capi di stato maggiore di forza armata, fece presente che fino a quando non fossero arrivate al completo la 5& leggera e la 15e. corazzata tedesche e non fosse stata completata l'Ariete non sarebbe stato il caso di pensare alla controffensiva e che, perciò, sarebbe stato necessario gettare un po' d'acqua sui bollori del generale Rommel che ardeva spingersi avanti. Questi, però, il 20 marzo, inviava all'OKW, e per conoscenza al Superasi che ne informava il Comando Supremo, una relazione (44) nella quale, considerando che il grosso delle forze britanniche del Mediterraneo orientale sarebbero state impegnate per almeno 2 mesi in Africa orientale e che, per la minaccia che si andava delineando contro la Siria, rimaneva disponibile per la controffensiva il solo mese di maggio, rappresentava la necessità che ogni preparazione fosse conclusa per la fine di aprile (45). Nella relazione era, inoltre, scritto « Lo scopo di una operazione di attacco può essere solo il cuore dell'Egitto (AlessandriaCairo-canale di Suez). La limitazione alla riconquista della Cirneaica significa solo riconquista di terreno ... L'intera operazione deve essere divisa in due tempi: battere l'armata inglese in Cirenaica e irrompere sul Cairo». Seguivano la valutazione delle forze nemiche ed il disegno della manovra: « impadronirsi preliminarmente della zona avanzata di sicurezza inglese, fra Agheila e Agedabia; tendere ino]tre a impadronirsi, possibilmente di sorpresa, degli avamposti inglesi di Marsa Brega e portarsi ad occupare la stretta di es Segira; qualora il nemico avesse già ripiegato, fare un balzo al punto più vicino, rappresentato dalla posizione base di Agedabia. Con questo si aprirà la fase decisiva di tutta l'operazione, la battaglia per il possesso di Agedabia. Obiettivo della battaglia: l'annientamento del corpo corazzato inglese ». Qualora il nemico avesse accettato lo scontro, il generale Rommel prevedeva di contenere frontalmente l'attacco e reagire con la manovra dei carri armati. Una volta vinta la batta-
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glia di Agedabia, si imponeva l'aggiramento del mass1cc10 gebelico, attraverso il deserto, per raggiungere la costa alle spalle degli inglesi e impegnare questi in una battaglia decisiva per impedire loro di sottrarsi con una ritirata per il sud o lungo il mare. La relazione si chiudeva indicando le forze italiane e tedesche occorrenti per la prosecuzione dell'operazione dopo l'annientamento delle forze britanniche della Cirenaica. L'orientamento circa l'inizio della controffensiva venne confermato per il 23 marzo in un colloquio fra il generale Guzzoni, il generale Rommel, di ritorno da un viaggio a Berlino, e il generale von Rintelen. Il disegno di manovra ed il piano operativo del generale Rommel si ispiravano ad una concezione strategica razionale, ampia, audace, brillante: distruggere l'armata nemica della Cirenaica, poi quella del Delta; scindere la manovra in 2 fasi intervallate il meno possibile; iniziare la prima fase al più presto per approfittare degli impegni inglesi in Grecia ed in Africa orientale e degli avvenimenti nell'Iraq e nella Siria da dove l'Inghilterra non avrebbe potuto distogliere forze; sorprendere nelJa prima fase lo schieramento nemico scaglionato tra el Agheila e Marsa Matruh. A maggio vi sarebbero state le forze ed i mezzi per la prima fase; quelli per la seconda fase erano stati richiesti, ma non garantiti; anzi, Hitler, il maresciallo von Brauchitsch (46) ed il generale Halder (47) avevano fatto chiaramente intendere al generale Rommel, durante la visita del 19 marzo al quartier generale del Fiihrer, che non avevano nessuna intenzione di sferrare un colpo decisivo contro i britannici in Africa, che non doveva perciò attendersi per un certo tempo, dopo l'arrivo della 15"' corazzata, ulteriori rinforzi, e che dopo la fine di maggio avrebbe dovuto limitarsi ad attaccare e distruggere il nemico nella zona di Agedabia ed a prendere eventualmente Bengasi (48). Hitler non intendeva ampliare l'impegno tedesco nel Mediterraneo; egli guardava soprattutto ad oriente. Scrive Liddell Hart: « In ottobre, di ritorno da un viaggio esplorativo in Cirenaica, il generale van Thoma aveva riferito che un contingente di 4 divisioni corazzate sarebbe stato necessario, ma anche sufficiente, per portare a termine l'invasione dell'Egitto, ma Mussolini si era dimostrato tanto restio ad accettare un aiuto tedesco di questa entità quanto Hitler a darlo. La piccola forza di Rommel (2 divisioni) era stata inviata in Africa solo in seguito alJa disfatta subita dagli italiani, e con il limitato obiettivo di difendere Tripoli. Anche quando Rommel ebbe fatto vedere dove poteva arrivare con così pochi carri armati, Hitler e Halder rimasero poco disposti a mettergli a dispo-
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s121one quei rinforzi relativamente ridotti che con ogni probabilità avrebbero deciso l'esito dell'intera campagna d'Africa. Con questo loro atteggiamento rinunciatario i capi tedeschi si lasciarono sfuggire l'occasione di conquistare l'Egitto e di cacciare dal Mediterraneo gli inglesi in un momento in cui essi erano ancora molto deboli, creando anzi le premesse per una situazione che a lungo termine li avrebbe costretti ad assoggettarsi a un impegno e a sacrifici ben maggiori » ( 49). Occorre però ricordare che Hitler nel settembre-ottobre del 1940 aveva offerto a Mussolini 2 divisioni corazzate - che avrebbero potuto quasi certamente raggiungere la Libia entro l'anno, considerato che dal giugno al dicembre 1940 su 28 299 partiti e su 304 647 tonnellate di materiali spediti ne giunsero rispettivamente 28 249 e 297 475 - e che in quel periodo non aveva ancora emanato le ordinanze per le operazioni Marita (13 dicembre) e Barbarossa (18 dicembre). Inizialmente, perciò, non furono tanto i capi tedeschi, ma soprattutto Mussolini ed il maresciallo Badoglio a determinare il corso degli eventi successivi nell'Africa settentrionale. Quando nel marzo del 1941 il generale Rommel chiese i rinforzi ad Hitler, questi - abituato da sempre, in quel momento più di sempre, a ragionare in termini continentali - rifiutò pregiudizialmente la visione strategica del generale Rommel, della quale non afferrò la importanza determinante ai fini dell'ulteriore sviluppo del conflitto anche nei riguardi del teatro operativo orientale. Forse fu anche questo - far comprendere a Hitler l'importanza dell'occupazione dell'Egitto sul piano strategico globale - uno dei tanti motivi, meditati o improvvisi, che spinsero il generale Rommel, convinto che la momentanea debolezza britannica nel Medio Oriente andasse sfruttata in Africa con ogni energia per assicurarsi definitivamente l'iniziativa, a disobbedire agli ordini del generale Garibaldi, ordini che erano quelli del Comando Supremo italiano e dell'Alto Comando tedesco, trasformando la limitata spinta in avanti, autorizzata dal generale Garibaldi per spostare da Agheila alla stretta ad ovest di Marsa el Brega la linea del contatto, nell'offensiva contro l'intero schieramento inglese in Cirenaica. Alla prudenza dei comandi supremi italiano e tedesco e del Superasi, il generale Rommel oppose l'audacia ma anche l'indiscipina e l'insubordinazione. Il fatto non restò senza conseguenze. Le relazioni tra il comandante superiore italiano in Africa settentrionale ed il generale Rommel s'instaurarono da quel momento sulla base di un rapporto rovesciato: non il comandante tedesco alle piene dipendenze operative di quello italiano, secondo gli accordi, ma il Superasi e con questo il Comando Supremo italiano
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a rimorchio delle iniziative operative del generale Rommel. Questi, con tutta chiarezza, al generale Gariboldi che il 3 aprile lo redarguì perché era andato molto oltre l'autorizzazione accordatagli, rispose che avrebbe continuato a fare quello che nella situazione esistente avrebbe ritenuto giusto (50). L'inversione di fatto dei rapporti di dipendenza tra il comando superiore italiano ed il generale Rommel continerà a caratterizzare tutti i successivi cicli operativi e, in definitiva, non verrà meno sostanzialmente neppure quando, nell'agosto del 1942, il comando dell'armata italo-tedesca verrà posto, per il tramite di una delegazione creata appositamente in Africa settentrionale, Delease, alle dirette dipendenze del Comando Supremo anziché del comando superiore dell'Africa settentrionale. Le relazioni resteranno quasi sempre tese e si faranno ancora più difficili dopo l'arrivo in Italia del maresciallo Kesselring, comandante delle forze tedesche dell'Italia del sud. Il generale Rommel dette inizio alle operazioni con la 5a divisione leggera tedesca, la divisione corazzata Ariete e la divisione di fanteria Brescia, rinforzata da un battagUone della divisione Bologna, costituenti, nel loro insieme, il Corpo Tedesco Africa (C.T.A.) inquadrato nelle forze dipendenti dal comando superiore dell'Africa settentrionale e dislocato inizialmente nella zona avanzata di Agheila. Egli colse di sorpresa il nemico (51) che non si aspettava l'inizio immediato della controffensiva e che era all'oscuro delle sopraggiunte forze tedesche in Libia, impresse alle operazioni un ritmo irruento e rapidissimo, colse tempestivamente i segni di cedimento morale della controparte - peraltro depauperata delle forze inviate in Grecia, ivi comprese quelle aeree, e non sorretta da un'azione di comando prontamente reattiva - elettrizzò le truppe con le sue innegabili elevatissime qualità e doti di comando e con la sua costante presenza nei punti focali dell'azione, dette prova di grande valore tattico e tecnico, aumentò il senso d'inferiorità provocato nel nemico dalle migliori prestazioni dell'armamento tedesco in carri armati e cannoni controcarri, chiese alle sue unità più di quanto fossero abituate a dare e lo ottenne. Nella guerra moderna non era mai stata intrapresa fino ad allora un'offensiva così impreparata (52) scrisse successivamente, ed era verissimo. Il successo tattico della controffensiva fu enorme ed ebbe una ripercussione psicologica e morale di grande rilievo, molto positiva sulle forze dell'Asse e altrettanto negativa su quelle inglesi, ma non produsse il risultato strategico che il generale Rommel aveva previsto di dover conseguire nella prima fase di attuazione del suo disegno di manovra: battere l'armata inglese
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in Cirenaica. Questa invece riuscì a salvare buona parte delle sue forze ed a mantenere il saldo possesso di Tobruch, che resisté agli attacchi speditivi italo-tedeschi dei giorni 11-13 aprile e, successivamente, a quelli in forze del 14-17 aprile e del 30 aprile-2 maggio. L'armata italo-tedesca non aveva le forze sufficienti per conquistare Tobruch, nonostante che fossero arrivati dall'Italia i primi contingenti della 15a divisione corazzata tedesca, ma quelle appena bastevoli a far fallire i contrattacchi inglesi. Ebbe così inizio l'assedio di Tobruch da parte italo-tedesca, durato fino al mese di novembre del 1941. L'attacco alla piazzaforte, che dall'aprile al novembre aveva tenuto impegnata nell'assedio gran parte delle fanterie italotedesche, deciso di comune accordo dai comadi italiani e tedeschi per l'ultima decade di novembre, venne preceduto il 18 novembre dall'inizio della seconda controffensiva britannica. I precedenti tentativi del generale Wavell, compiuti il 15-18 maggio ed il 15-17 giugno per portare aiuto alla guarnigione inglese assediata - rispettivamente con l'operazione Brevity e con la più amiziosa Battleaxe erano falliti in corrispondenza delle posizioni di Halfaya-SollumCapuzzo di fronte alla reazione italo-tedesca che, in particolare nella battaglia difensiva di Sollum del 15-17 giugno, per il razionale schieramento delle forze, la rispondente sistemazione difensiva dei singoli caposaldi, il perfetto funzionamento del servizio informazioni, il saggio impiego delle batterie di cannoni contraerei da 88 mm in funzione controcarri, l'impiego congiunto in stretta combinazione dei carri armati e dei cannoni controcarri, la disponibilità ed il tempestivo entrare in azione di un'adeguata massa di manovra moto-corazzata, inflisse alle forze britanniche uno smacco cocente per essere state sopraffatte dalla superiorità dei procedimenti manovrieri del difensore. « Battleaxe dimostrò, dopo che Tobruch e Brevity l 'avevano lasciato presagire, quanto efficace potesse essere la difensiva, anche in terreno aperto come il deserto nord-africano, se condotta con abilità e basata sulla conoscenza delle proprietà degli strumenti moderni» (53).
6. Nei mesi di aprile, maggio, giugno, nonostante la diminuita pressione aerea su Malta per l'impegno di un'aliquota del X C.A.T. e di un maggior numero di forze aeree italiane in Libia a sostegno della prima controffensiva italo-tedesca, e per il successivo trasferi-
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mento dell'intero corpo aereo tedesco dalla Sicilia a Creta, giunsero in Libia 42 750 uomini su 46 386 inviati dall'Italia e 275 879 tonnellate di materiali su 297 295 spedite. Ma nel secondo semestre dell'anno, le perdite, mantenutesi nel primo semestre pari a circa il 4 % per il personale ed al 6 % per il materiale (in particolare, al1'8 % per il carburante), si quadruplicarono e salirono rispettivamente al 16 % per il personale ed al 26 % per il materiale (36 % per il carburante). Fino ai primi di maggio nessun convoglio britannico aveva più attraversato il Mediterraneo. Il 7 maggio, per sollecitare l'invio di carri armati alle forze del generale Wavell precipitosamente ritiratesi dalla Cirenaica, gli inglesi tentarono con successo il convoglio Tiger, che portò in Egitto i carri armati necessari, in vista dell'offensiva Brevity, a ricostituire 2 brigate corazzate. In luglio, approfittando dell'allontanamento del X C.A.T., il comando britannico organizzò e condusse a termine una vera azione di forza mediante un convoglio potentemente scortato per potenziare Malta con 2 battaglioni di fanteria, 1 reggimento artiglieria contraerei pesanti e 118 leggeri. Un terzo convoglio di trasporti, ultimo del 1941, sotto potente scorta raggiunse Malta nell'ultima decade di settembre. Il contrasto dei 3 convogli inglesi venne di fatto esercitato prevalentemente dalle forze aeree - le forze navali per una serie di contrattempi intervennero solo contro il convoglio del 22 luglio - e si dimostrò insufficiente tanto, ad esempio, che nell'azione contro il terzo convoglio riuscì ad affondare un solo piroscafo su 9 ed a colpire la nave ammiraglia Nelson che tuttavia riusd a raggiungere la meta insieme al convoglio stesso. La lotta ad oltranza contro il traffico marittimo italo-tedesco nel Mediterraneo assunse cosl un accanimento ed un'efficacia tali da compromettere seriamente le possibilità dei rifornimenti indispensabili per far vivere e combattere le forze della Libia. Gli inglesi, convinti che il successo o il fallimento delle operazioni in Egitto e, complessivamente, nel Medio Oriente, sarebbe dipeso da un lato dall'efficacia delle loro misure intese ad impedire, o quanto meno a rallentare, il potenziamento delle forze dell'Asse e dall'altro lato dall'intensificazione dei propri rifornimenti, accesero nel mare e nel cielo del Mediterraneo una battaglia aero-navale ad oltranza che furono sul punto di vincere negli ultimi 3 mesi del 1941, quando finalmente l'Alto Comando tedesco, proprio mentre l 'azione nemica contro i convogli italiani era più violenta, decise, dopo continue sollecitazioni del Comando Supremo italiano, di inviare in Italia il II C.A.T. con sede a Taormina: 2 stormi da borbardamento, 2 da caccia, 1 di Stukas, 1 gruppo da caccia notturna, 1
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gruppo da ricognizione, 1 gruppo da trasporto, 1 squadriglia da soccorso e 1 divisione di artiglieria contraerei. A Roma venne insediato il comando della 2° flotta aerea - comandante in capo delle forze tedesche del sud (Oberbefehlshgaber Sud) - con giurisdizione sul II C.A.T. in Sicilia, sul X C.A.T. in Grecia e sulle aliquote dello stesso X C.A.T. distaccate in Africa settentrionale. Il provvedimento giunse in ritardo: il nemico aveva già rinforzato Malta e reso più onerosa la sua neutralizzazione e, soprattutto, aveva già potenziato per le sicure rotte di Suez il suo dispositivo in Egitto, mentre il dispositivo italo-tedesco in Libia non aveva potuto ricevere attraverso le insidiate vie del Mediterraneo quanto gli sarebbe occorso per prevenire in tempo la seconda controffensiva. Nel secondo semestre del 1941 l'Italia scontò l 'errore del primo anno di guerra, di quando cioè non aveva utilizzato a pieno il naviglio disponibile - 1 947 307 t.s.l. il 10 giugno 1940, 1 981 168 t.s.l. il 1° gennaio 1941 ridottesi a 1 658 819 t.s.l. il 31 dicembre 1941 e la capacità di scarico dei porti di Tripoli (4500 t giornaliere), dì Bengasi (1000 t) , di Derna (500 t), di Tobruch (700 t) e di Bardia (600 t) - il primo rimasto sempre in mano italiana - e non aveva sfruttato la situazione, di assoluta sicurezza fino al dicembre del 1940 e di relativa sicurezza fino al 30 giugno del 1941, esistente nel Mediterraneo nei riguardi del traffico marittimo con la Libia. Nulla avrebbe impedito di trasferire in Libia nel secondo semestre del 1940 le divisioni Ariete, Trento e Trieste. I materiali spediti nel secondo semestre del 1940 furono di 304 467 t , delle quali giunserò 297 475 t, pari ad una media di circa 50 000 t mensili. Nel primo trimestre del 1941 la media salì a circa 77 000 t (232 662 spedite e 221 020 giunte) e nel secondo a circa 90 000 t (297 295 spedite e 275 879 giunte). Anche a voler considerare gli impegni per l'alimentazione della campagna di Grecia e la indisponibilità dal gennaio del 1941 dei porti di Bengasi, Derna, Tobruch e Bardia, il margine delle capacità di trasporto e di scarico inutilizzate rimase molto elevato, nonostante che lo stesso problema dei carburanti, che nel secondo semestre del 1941 diventerà assillante e tragico, non fosse allora altrettanto tormentoso e continuo. Difettarono la visione strategica del problema operativo dell'Africa settentrionale, la previdenza logistica e l'azione direttiva e di coordinamento del Comando Supremo. Quando il generale Cavallero poté dedicarsi alla soluzione del problema dei problemi, che era appunto quello dei trasporti, fu troppo tardi. L'allontanamento del X C.A.T. dalla Sicilia aveva modificato la situazione aereo-navale del Mediterraneo e tutti i
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provvedimenti adottati dal Comando Supremo - scelta di nuove rotte, aumento della difesa aerea attiva e passiva dei convogli, aumento delle scorte aeree e navali, armamento con mitragliere delle navi mercantili, studio dei singoli convogli e delle singole spedizioni compiuto ogni giorno congiuntamente con i capi di stato maggiore della marina e dell'aeronautica e con ufficiali tedeschi, invio del personale con aeroplani, utilizzazione delle navi da guerra di superficie e dei sottomarini per il trasporto di carburante e di munizioni, ritiro dei 26 sommergibili italiani dall'Atlantico e loro trasferimento nel Mediterraneo - valsero a ridurre l'insicurezza del traffico, ma non a riportare i valori potenziali del volume e, soprattutto, il reddito ad indici accettabili, mentre la percentuale delle perdite di materiale e di naviglio salì, come abbiamo già rilevato, a cifre insostenibili. Da qui i rinvii dell'espugnazione di Tobruch che, dopo il fallimento degli attacchi del 14-17 aprile e del 30 aprile- 2 maggio, il Comando Supremo italiano e l'Alto Comando tedesco considerarono la premessa indispcnsahilc per la ripresa delle operazioni offensive verso l'Egitto (54). Frattanto l'inizio della campagna di Russia modificò la situazione politico-strategica generale. Hitler e l'Alto Comando tedesco divennero ancora meno sensibili che nel passato nei riguardi del teatro operativo Mediterraneo dove, tra l'altro, l'atteggiamento del governo di Vichy e l'intensificarsi della propagando degaullista imposero nuovi provvedimenti cautelativi sia alla frontiera tunisina sia nel Sahara libico. Il 26 maggio il generale Cavallero esaminò con il generale Roatta la situazione della Libia e, in particolare, i problemi dell'espugnazione di Tobruch, dell'eventualità di sbarchi inglesi sulle coste settentrionali dell'Africa, della ripresa delle operazioni offensive verso l'Egitto e la questione del riordino dei comandi e delle forze. Il 10 giugno il capo di stato maggiore generale pregò il capo di stato maggiore dell'esercito di recarsi in Libia per lo studio in posto dei vari problemi e, in particolare, delle possibilità di sganciare da Tobruch le unità mobili per aveve alla mano qualcosa in caso di attacco inglese alle spalle. Sulla base della relazione presentatagli dal generale Roatta e di quella inviatagli il 2 agosto dal generale Bastico - che il 19 luglio aveva sostituito nella carica di governatore e di comandante superiore delle forze armate in Africa settentrionale il generale Gariboldi - il generale Cavallero discusse nuovamente l'intera situazione dello scacchiere con il generale Rommel, che si era recato a Roma il 6 agosto. A questi rappresentò che vi era poco da aspettarsi per l'avvenire circa il miglioramento dei
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trasporti, che le informazioni davano per certo un attacco inglese in autunno, che conseguentemente era necessario occuparsi della organizzazione di una posizione arretrata che egli vedeva in corrispondenza della linea Martuba-Mechili. Il generale Rommel disse che avrebbe voluto che tale posizione fosse scelta in corrispondenza di Ain Gazala, in quanto più avanzata e meglio prestantesi alla manovra dei carri. Stante il contrasto di vedute, Mussolini incaricò il generale Cavallero di recarsi sul posto per ivi esaminare la situazione. Il 7 agosto il generale Cavallero partì in volo per Barce e il giorno 8, a Cirene (55), concordò il nuovo quadro di battaglia delle forze (56), il ritiro dalla Tripolitania di tutto quanto possibile a beneficio della fronte drenaica, l'organizzazione della posizione di Ain el Gazala, l'espugnazione di Tobruch non appena completata l'affluenza dei mezzi richiesti (soprattutto artiglierie e munizioni) e di almeno altre 2 divisioni (una corazzata ed una normale). Questo era il presupposto indispensabile per la futura ripresa offensiva verso l'Egitto. Decise inoltre lo scioglimento del comando della 5" armata, la trasformazione del XX corpo d'armata in comando territoriale della Tripolitania recuperando personale e mezzi a favore della Cirenaica, e la conservazione del comando unitario delle fronti Tobruch-Sollum alle dipendenze del generale Rommel. Questi, che non aveva potuto partecipate alla riunione perché trattenuto in Germania, il 9 agosto alla presenza del generale Bastico e del generale von Rintelen si dichiarò perfettamente d'accordo con quanto era stato convenuto e che, in sostanza, era quanto egli aveva richiesto: scelta della posizione arretrata in corrispondenza di Ain el Gazala e comando diretto di tutte le truppe italiane e tedesche schierate in Marmarica ad est del meridiano di Ain el Gazala. I tedeschi, che avevano sempre mirato ad assumere assoluta preminenza nella condotta delle operazioni, vennero cosl in parte accontentati, ma il 23 novembre il generale Rommel chiederà direttamente a Mussolini, e l'otterrà, il comando di tutte le truppe della Marmarica, compreso il corpo di armata di manovra fino ad allora alle dipendenze del comandante superiore, generale Bastico (57). La seconda offensiva britannica, denominata Crusader - che il Comando Supremo italiano, diversamente dall'Alto Comando tedesco, aveva previsto fin dal 25 giugno come quasi certa per l 'autunno - ebbe inizio il 18 novembre, mentre erano in corso da parte italo-tedesca i movimenti per la realizzazione del dispositivo che le divisioni Bologna, Pavia, Afrika e la lY corazzata tedesca avrebbero dovuto assumere per l'oramai imminente espugnazione di
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Tobruch, la cui preparazione poteva ritenersi quasi ultimata (58). In vista di tale offensiva le forze inglesi in Africa - dopo la conclusione favorevole delle operazioni nell'Iraq ed in Siria; il lento progresso delle operazioni tedesche in Russia, la realizzata continuità territoriale dall'Egitto, per la Palestina e la Siria, fino alla Turchia, avvenimenti questi ultimi che avevano reso disponibili le forze del comando in capo del Medio Oriente tenuto dal genèrale Auchinleck (58 bis) - erano state molto potenziate tanto sul piano numerico quanto su quello dell'armamento e dell'equipaggiamento (59). I 4 reparti di carristi furono portati a 14, in modo da dotare la forza d'assalto di 4 brigate corazzate complete (composta ciascuna di 3 unità); mentre alla guarnigione di Tobruch fu inviata via mare una brigata (comprendente 2 unità e 1 squadrone carri) perché potesse facilmente spezzare l'assedio e ricongiungersi con le forze di attacco (Per la massima parte le brigate furono equipaggiate con i nuovi carri medi Crusader o con i nuovi carri leggeri americani Stuart, i più veloci tra quelli allora esistenti; 4 unità avevano invece in dotazione carri « I » Matilda o Valentine). « In Egitto furono inoltre inviate altre 3 divisioni di fanteria motorizzata, portando cosl il totale a 4, mentre a Tobruch fu spedita via mare una divisione fresca (la 70a inglese) per dare il cambio alla 9a australiana che aveva sopportato tutto il peso dell'assedfo ... Anche nell'aria gli inglesi godevano ora di un grosso margine di vantaggio; contro un totale di 120 aerei tedeschi e 200 italiani, essi avevano un totale di quasi 700 aerei immediatamente disponibili per appoggiare l'offensiva. Ancora maggiore era la superiorità inglese in termini di carri armati. Quando l'offensiva ebbe inizio, gli inglesi avevano più di 710 carri muniti di cannone (200 dei quali da fanteria), mentre il nemico aveva solo 174 carri tedeschi muniti di cannone e 146 italiani (questi ultimi di tipo antiquato e quindi di scarso valore) (60). Pertanto gli inglesi potevano contare su di una superiorità di oltre 2 a 1 per quanto riguardava il nemico nel suo complesso, e di oltre 4 a 1 sui tedeschi, le cui divisioni corazzate con i loro 2 reggimenti di carri ciascuna, erano considerate dal comandante in capo inglese la spina dorsale dell'esercito nemico. Rommel inoltre non aveva carri di riserva ... mentre gli inglesi ne avevano circa 500 di riserva o in arrivo ... Per neutralizzare la sua grave posizione di svantaggio ... Rommel poteva contare su un'importante risorsa: entro l'autunno due terzi dei suoi normali cannoni anticarro erano del nuovo tipo da 50 mm prolungato, la cui potenza di penetrazione era superiore di circa il 70 % a quella del suo vecchio cannone da 37 mm e del
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OPERAZIONI IN AFRICA SETTENTRIONALE (NOVEMBRE-DICEMBRE 1941)
1" FASE
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2"FASE
- - - Direttrici t ruppe italiane britanniche
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25 % a quella del cannone inglese da 40 mm (61) ». Tenuto conto della costituzione con organici ridotti delle 2 divisioni corazzate tedesche rispetto alle formazioni di quelle operanti in Europa e di quella della di visione Afrika (62), nonché della reale efficienza delle forze italiane (63), la prevalenza delle forze mobili britanniche bene armate ed equipaggiate è fuori di ogni dubbio; ma il computo circa il numero dei carri armati italiani e tedeschi esistenti all'inizio della battaglia va meglio precisato nel senso che i carri armati tedeschi erano 248 e quelli italiani 308 (146 M e 162 L), mentre, secondo la relazione britannica, quelli inglesi erano 665 escluse 400-440 autoblinde, ferma restando la riserva di 500 carri di cui scrive Liddell Hart. La controffensiva inglese si basò su di L111 disegno di manovra che prevedeva l'impegno da parte del XIII corpo britannico delle unità italo-tedesche che presidiavano le posizioni di frontiera, l'aggiramento del fianco di tali posizioni da parte del XXX corpo britannico per intercettare e distruggere le forze corazzate italo-tedesche e la simultanea sortita della guarnigione assediata di Tobruch per ricongiungersi con il XXX corpo. « Ciò significava che, anziché in stretta collaborazione, i due corpi e le rispettive forze corazzate avrebbero operato in settori molto lontani. La parte più possente delle forze corazzate inglesi, la brigata dei Matilda e dei V alentine, non avrebbe partecipato alla battaglia tra le forze corazzate, limitandosi a operare in piccoli gruppi alla testa della fanteria. Quando poi l'avanzata si sviluppò, questa separazione degenerò ben presto in vera e propria dispersione, con un conseguente indebolimento dello sforzo inglese in tutti i settori » ( 64). Da parte italo-tedesca le operazioni si articolarono in due fasi: la battaglia tra le opposte forze mobili durata dal 18 novembre al 7 dicembre ed il ripiegamento degli italo-tedeschi su Ain el Gazala (9-10 dicembre), sulla linea Mechili-Tmimi-Derna (16-17 dicembre), su Agedabia (18-25 dicembre) e, infine, sulle posizioni di Marsa el Brega-Marada (1-10 gennaio 1942). La relazione dell'ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito italiano (65) schematizza la battaglia in 9 momenti: « vano tentativo delle truppe corazzate tedesche di respingere le unità britanniche operanti sul rovescio di Tobruch tra Bir el Gobi e Sidi Omar (20-21-22 novembre); reazione delle forze mobili italo-tedesche, che riuscirono ad accerchiare forze britanniche a sud di Sidi Rezegh e ad infliggere loro notevoli perdite (23 novembre); arretramento delle forze britanniche riuscite a sfuggire alla manovra accerchiante, mentre i neo-zelandesi, passando da Capuzzo sul rovescio
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dello schieramento italo-tedesco di frontiera, affluirono, per la Balbia, verso Tobruch (24 novembre); riordinamento delle forze britanniche, lè quali ripresero l'attacco e si congiunsero con quelle assediate nella piazzaforte, nello stesso tempo in cui Rommel, ritenendo gli inglesi battuti ed in ritirata, spostò le proprie unità mobili verso ]a linea di Sollum, nell'intento di effettuare una nuova manovra accerchiante (24-25-26 novembre); ritorno di Rommel verso Tobruch, allorché gli giunse la notizia che gli Inglesi avevano spezzato la linea di assedio alla piazzaforte (27-28 novembre); tentativo delle unità mobili italo-tedesche, tornate dal fronte di Sollum, di accerchiarè le forze britanniche operanti nel1a zona di Belhamed-el Daba-Sidi Rezegh, le quali nuovamente arretrarono (29-30 novembre- I O dicembre); spostamento di una parte deUe forze mobili italo-tedesche verso ]a linea di Sollum, nella supposizione di Rommel che la massa britannica fosse riunita nella zona di Sidi Azeiz - reticolato (2, 3, 4 dicembre), e successiva minaccia britannica di aggirare da sud l'intero schieramento italiano ad ovest ed a sud di Tobruch (4 dicembre); virtuale sbloccamento della piazzaforte determinato da Rommel con un nuovo schieramento delle forze italo-tedesche, per il delinearsi della minaccia britannica verso nord-ovest (5 dicembre), e contemporaneo tentativo deUe forze mobili italo-tedesche di parare la minaccia britannica con una manovra nella zona di Bit el Gobi (5-6 dicembre); infine, decisione di Rommel di ripiegare sulle posizioni di Ain el Gazala (7 dicembre) e inizio del ripiegamento ». La relazione italiana (66) trae dalla battaglia un giudizio sostanzialmente negativo sul modo di come essa fu condotta dal generale Rommel, quasi che una conduzione diversa avesse potuto conferire alla battaglia stessa un esito meno negativo. Non si può mettere in dubbio che il preconcetto del generale Rommel nel valutare alla metà di novembre, in contrapposizione alle vedute ed a1le informazioni di tutti i comandi itaUani, ancora lontana la possibilità della offensiva britannica e nello scambiare per una semplice ricognizione in forze quello che era l'inizio della grande battaglia della Marmarica - lasciandosi così sorprendere nel tempo e nella direzione dall'attacco nemico - sia stato pregiudizievole, come anche che lo sia stata l'errata valutazione di considerare battute nell'azione accerchiante del 23 novembre le forze britanniche, e conseguentemente considerare possibile un'altra manovra avvolgente nella zona di Sceferzen (a sud di Sidi Omar) per tagliare al nemico la ritirata. Non sembra tuttavia che le manovre ideate dal generale tedèsco, ivi compresa quella - dalla relazione e da altri testi tanto criticata -
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del contrattacco da portare alle spalle degli inglesi nei giorni 24, 25 e 26 novembre, iniziatasi in modo promettente e dissoltasi per il sovrapporsi di una serie di circostanze sfavorevoli (interruzione delle comunicazioni radio, carenza di carburanti), preoccupati appelli dalle retrovie per un ritorno indietro stante la duplice minaccia sulle retrovie stesse esercitata dall'avanzata del XXX corpo inglese, ritardi della 15" e della 21" corazzata per soste di rifornimento di carburanti), non siano state aderenti, assai più di quelle inglesi, al concetto fondamentale della lotta tra forze corazzate: conseguire l'obiettivo di distruggere la forza corazzata nemica ricorrendo a metodi indiretti, inducendola, per esempio, a ingaggiare battaglia per difendere o recuperare qualche punto di importanza chiave (67). Altrettanto poco fondata la critica rivolta alla troppa fiducia riposta dal generale Rommel nei mezzi tedeschi - che nei continui rapidi movimenti avrebbero subito una forte riduzione della loro potenza - ancorché sia vero che le ingenti perdite subite in termini di carri armati nel corso dell'unico attacco frontale contro la posizione difensiva di Sidi Rezegh neutralizzarono il margine di vantaggio che nei giorni precedenti gli italo-tedeschi erano riusciti ad assicurarsi con le loro rapide manovre. Nessun'altra linea di condotta avrebbe offerto al generale Rommel una probabilità altrettanto elevata di conseguire un risultato strategico decisivo se non affrontando una alla volta le 3 brigate corazzate che gli inglesi gli mandarono incontro in processione. Il XXX corpo inglese subì perdite molto più ingenti di quelle italotedesche: dei 500 carri con i quali aveva cominciato l'offensiva gliene restavano, il 24 novembre, solamente 70 ancora in condizioni di combattere. Furono le cospicue riserve dalle quali poté attingere per rimpiazzare i carri perduti che consentirono al XXX corpo, stordito per le batoste subite nei giorni precedenti, di riprendersi e di evitare di cadere dall'orlo nel vortice. Alla fine , nonostante la esiguità delle forze rimastegli e nonostante che il suo contrattacco strategico avesse mancato il suo principale obiettivo, il generale Rommel riuscl a ritrovare l'equilibrio necessario per fare dietrofront e mettersi in marcia verso ovest con i suoi ultimi 60 carri armati, un terzo dei quali leggeri. Più che la fiducia nei suoi mezzi, fu la certezza della validità della nuova tattica, consistente nel far prece" dere i carri da numerosi controcarri ben mascherati e mimetizzati, spingendone altri in avanti lungo i fianchi delle formazioni avversarie, a consentirgli di osare fino ai limiti del possibile. Abbiamo vinto la battaglia, ma la partita è perduta, perché non si può alimen~ tare la lotta! annotò il generale .Cavallero (68). Dove, invece, la
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relazione italiana non appare contestabile è là quando mette in risalto come e quanto abbia inciso negativamente sulla battaglia la scarsa e, in taluni momenti, nulla collaborazione tra il comando superiore italiano ed il comando del Panzer Gruppe Afrika, dovuta alla ostentata indipendenza, talvolta all'indisciplina, al senso di orgogliosa superiorità del comandante tedesco ed alla sfiducia che questi aveva nelle forze italiane terrestri ed aeree, le quali, in effetti, offrivano il lato debole nella reale deficienza dei materiali, nell'inferiorità qualitativa dei mezzi e nella imperfetta selezione dei quadri e dei complementi. Condizioni queste, che, insieme alla prevalente influenza politica subita ed esercitata dall'autorità centrale, avevano fatto relegare sostanzialmente in secondo piano la preminenza del comando superiore, con profondo discapito del suo prestigio, provocando naturali tentativi ed inevitabili reazioni per mantenere la preminenza stessa in un campo che non fosse solo formale (69). Il carattere del generale Rommel fu certamente in questa, come lo era stato nella controffensiva <lei 1941, un elemento molto negativo. Le sue valutazioni spesso affrettate e locali, il suo sistema di comando al quale i comandi italiani non erano abituati, l'impulsività e l'irruenza della sua indole, l'ostinazione nei preconcetti, l'insofferenza per i consigli e per gli ordini, l'incomprensione della diversità di mentalità, di struttura organica, di prestazioni di mezzi e di possibilità tattiche, esistente tra grandi unità italiane e tedesche, furono sempre di indubbio intralcio allo sviluppo più ordinato delle operazioni e provocarono spesso equivoci, confusioni, disorientamenti e qualche volta movimenti intempestivi, o non realizzabili nei tempi calcolati, e disordinati. Nella battaglia della Marmarica, quando pretese ed ottenne che il corpo d'armata di manovra (C.A.M.) passasse alle sue dirette dipendenze, rivolgendosi direttamente a Mussolini, senza nessun riguardo per il generale Bastico e per il generale Gastone Gambara, comandante del C.A.M. e capo di stato maggiore del Superasi, commise una gravissima scorrettezza ed un vero e proprio atto di slealtà e villania, e soprattutto non pensò quanto sarebbe stato pernicioso inasprire ulteriormente i già tesi rapporti con i due comandi italiani, dal primo dei quali egli dipendeva a tutti gli effetti. Privò il comando superiore italiano dell'unico mezzo d'intervento nella battaglia; dopo averlo tenuto all'oscuro più giorni circa i suoi intendimenti e l'andamento della lotta, nonostante le sollecitazioni contrarie rivoltegli, giunse ad accusare il generale Bastico di non avere esercitato nessuna influenza personale nella condotta della battaglia (70). Ciò non toglie che anche nella battaglia della Marmarica egli si dimostrò un capo
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volitivo, energico, ardito, di resistenza fisica a tutta prova, di elevato ascendente sulle truppe, cli grande valore tattico e tecnico, di impareggiabile capacità tattica creativa, assoluto padrone nell'impiego delle unità corazzate, maestro insuperabile della guerra nel deserto. La manovra in ritirata delle unità italo-tedesche verso ovest - alla quale il generale Rommel si decise quando, nel colloquio del 5 dicembre con un ufficiale del Comando Supremo espressamente inviato dal generale Cavallero, apprese che non vi sarebbe stata alcuna possibilità di fare affluire in tempo i carburanti, le munizioni ed i mezzi corazzati richiesti - acuì il contrasto e le tensioni tra i due comandi tanto che fu necessario l'intervento diretto del generale Cavallero, partito in aereo da Roma e giunto a Cirene, sede del Superasi, il 16 dicembre, per concordare, non senza gravi contrasti tra lo stesso generale Cavallero ed i generali Bastico e Gambara, la linea cli condotta da seguire per difendere ad ogni costo la Tripolitania. Le sorti della battaglia della Marmarica erana state decise innanzi tutto dalla superiorità inglese in mezzi corazzati e in aerei; l'esigenza d'interporre spazio tra le forze italo-tedesche e quelle avversarie per arginare l'avanzata britannica sull'altopiano e svolgere azioni avvolgenti a piccolo e grande raggio - quest'ultima possibile per il sud gebelico su Agedabia - non fu messa in discussione. Il generale Rommel manifestò inizialmente l'intenzione di ripiegare fino in Tripolitania; il comando superiore italiano, preoccupato della sorte riservata alle unità italiane prive di mezzi cli trasporto ed impossibilitate a seguire la velocità di quelle tedesche, pensò non fosse opportuno abbandonare la Cirenaica e, pur presidiando con notevoli forze la posizione di Agedabia, tentò d'imporre, come linea per la battaglia di arresto, quella di Ain el Gazala, senza peraltro interrompere le predisposizioni per occupare la linea arretrata di Derna. Dopo un colloquio tempestoso Bastico-Rommel (71), avvenuto 1'8 dicembre, venne stabilito che il generale Rommel avrebbe preso alle proprie dipendenze tutte le truppe della Cirenaica, comprese quelle adibite alla difesa del territorio (X corpo d'armata) fino alla linea (inclusa) el Agheila-Marada. Il primo sbalzo della ritirata sarebbe dovuto avvenire sulla posizione cli Ain el Gazala, e per gli sbalzi successivi il generale Rommel si sarebbe riservato di decidere secondo la situazione del momento, fermo restando l'invio immediato ad Agedabia di reparti celeri italiani e tedeschi e di rinforzi da far giungere per via aerea dall'Italia. La ritirata sulle posizioni di Ain el Gazala si svolse in condizioni difficili, ma fuori della pressione nemica. 1112 dicembre il Superasi, male interpretando un dispaccio
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del Comando Supremo, precisò al generale Rommel che la Cirenaica doveva essere strenuamente difesa sulla linea di Ain el Gazala. Occorreva quindi sradicare dalla mente di tutti l'idea di ulteriori ripiegamenti, ciò senza peraltro interrompere la già iniziata organizzazione della linea di Derna e l'arretramento dei servizi pesanti (72). Il generale Rommel il 13 dicembre, pur affermando di voler tenere duro ad Ain el Gazala, fece presente che non intendeva farsi distruggere in tale località per perdere insieme la Cirenaica e la Tripolitania, e che egli aveva già fatto presente tale sua decisione al Fiihrer. Il 14 il generale Bastico s'incontrò con il generale Rommel nella sede del comando di quest'ultimo (73) e, pur confermando il suo parere contrario all'arretramento, di fronte al fermo proposito del generale Rommel di rompere il contatto, per portarsi sulla linea di Derna, concluse col non opporsi a tale concetto ed invitò il generale Rommel a considerare molto seriamente le reali possibilità delle truppe non mobili, perché vi si adattassero le modalità del ripiegamento così da portare indietro il massimo delle forze. Dal sopralluogo in Cirenaica del generale Cavallero e del maresciallo Kesselring - 15-19 dicembre - si giunse alla conclusione: che lo scopo principale da perseguire era la difesa della Tripolitania; che la Cirenaica andava abbandonata il più lentamente possibile, per guadagnare tempo ed assicurare lo sgombero di tutti i materiali; che occorreva accogliere, con disciplina, il desiderio dell'O.K.W. di affidare al generale Rommel il comando delle truppe italo-tedesche della fronte est dello scacchiere africano, essendo molto difficile fare divers2mente. Gli interventi del generale Cavallero per cercare di difendere il più a lungo possibile la Cirenaica e di rallentare il ritmo della ritirata ebbero scarso effetto perché il generale Rommel, fermo nel proposito iniziale di ripiegare in Tripolitania, non senza aderenza alla situazione specialmente dopo il logoramento subito dalle forze nella battaglia di arresto di Ain el Gazala, vinse le riluttanze del Superasi ed accelerò i tempi del movimento retrogrado che, anziché sulle posizioni di Agedabia, si arrestò su quelle di Marsa el BregaMarada (10 gennaio 1942). L'arrivo a Tripoli del primo importante convoglio di rifornimenti e rinforzi nella giornata del 5 gennaio 1942 - il 13 dicembre era andato perduto un intero convoglio (Gilzi, Del Greco, incrociatori Giussano e Barbiano) con il carico, tra l'altro, di 2 compagnie carri tedesche e di un battaglione carri italiano, per cui dall'inizio della battaglia della Marmarica le forze italiane ricevettero in tutto solo 30 carri armati di rinforzo - coincise con l'avvenuto ripiegamento da Agedabia a Marsa el Brega-Marada
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e con la possibilità di consolidare la difesa su di una linea di posizioni conveniente per la presenza di acqua, le caratteristiche del terreno, lo sviluppo economico, il che allontanò il proposito ventilato inizialmente dal generale Rommel di retrocedere fino alla linea Sirte-Hon. Gli inglesi nella battaglia della Matmarica non seppero sfruttare il vantaggio iniziale conquistato sul piano strategico con la manovra aggirante, disarticolarono le loro azioni, svilupparòno la loro avanzata a rilento sebbene protetta da un vero e proprio ombrello aereo, allargarono eccessivamente le loro fronti di avanzata slegando le forze, spesso si lanciarono all'attacco con ardire ed audacia (Bir el Gobi) ma persero un gran numero di carri, non seppero concentrare le loro 3 brigate corazzate, inglesi e sudafricani, a Sidi Rezegh, non riuscirono a giungere in tempo per tagliare la direttrice di ritirata dell'armata italo-tedesca, tardarono a rendersi conto del ripiegamento delle forze del generale Rommel, faUirono negli attacchi alle posizioni di Ain el Gazala, dettero l'impressione durante la ritirata italo-tedesca di quasi preferire che il nemico se ne andasse piuttosto che di volerlo incalzare, assaltarono frontalmente Agedabia spingendo una brigata corazzata CXXII) per el Haseiat con l'intento di compiere una manovra aggirante. La brigata perse 65 dei 95 carri iniziali. La sostituzione il 26 novembre del generale Cunningham con il generale Ritchie al comando dell'8a armata, sebbene avvenuta battaglia durante, non ebbe incidenza sul corso degli avvenimenti perché la battaglia continuò indipendentemente dai rischi che gli inglesi corsero. La decisione di continuare la battaglia, presa dal generale Auchinleck, comandante delle forze britanniche del Medio Oriente, e dal nuovo comandante dell'8" armata, fu molto indovinata; una sospensione di essa avrebbe potuto significare la vittoria del generale Rommel, che, invece, fu costretto a ritirarsi. Le forze britanniche combatterono con valore, ripeterono per due volte le gesta della carica di Balaclava, coronarono con successo la liberazione di Tobruch, logorarono notevolmente le forze italotedesche, ma subirono perdite di mezzi assai gravi (74). La battaglia della Marmarica e la ritirata italo-tedesca nella Sirtica, in uno con la perdita da parte italo-tedesca di Bardia (2 gennaio), di Sollum e del passo di Halfaya (17 gennaio) - la divisione Savona, rimasta circondata, dopo aver resistito per 2 interi mesi, cedette alla fine per mancanza di rifornimenti furono, nonostante gli errori e le manchevolezze, le confusioni ed i momenti di vero caos da una e dall'altra parte, pagine di storia militare delle
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quali le opposte forze possono andare giustamente fiere. Ai successi tattici dell'una e dell'altra parte non seguì il successo strategico, ma ciò dipese più dai capi che non dai gregari. Sotto il profilo strategico il match fu nullo; sotto il profilo tattico il generale Rommel, sebbene uscito dalla lotta territorialmente battuto, non si lasciò mai paralizzare spiritualmente e tecnicamente dalla superiorità in carri armati ed in aerei del nemico alla quale oppose una migliore abilità manovriera ed una maggiore inventiva tattica. Se fosse stato meno superbo ed arrogante, più ricettivo alle informazioni ed ai suggerimenti che gli vennero dai comandi italiani, meno attaccato ai suoi pregiudizi e preconcetti, più incline alla collaborazione ed alla comprensione, avrebbe evitato la sorpresa dalla quale fu colto nella prima fase della battaglia della Marmarica ed avrebbe imposrato diversamente la manovra difensiva. Ebbe, invece, ragione nella seconda fase, quando valutato il logoramento già subito e reso edotto dell'impossibilità di ricevere rinforzi, volle, contro il parere dei comandi italiani, affrettare i tempi dei movimenti retrogradi per salvare il salvabile senza sacrificare a priori le forze appiedate. Egli, in definitiva, riusd a salvaguardare la Tripolitania, come da ordine assoluto di Mussolini e del generale Cavallero, il quale ultimo, con grande senso di realismo, il 16 dicembre nella riunione di Cirene con i generali Bastico e Gambara e nei giorni successivi espresse in modo deciso ed energico il suo pensiero: « Non ordino di evacuare la Cirenaica, vi affermo solo che la Tripolitania deve essere difesa» (75), aggiungendo rivolto ai generali Bastico e Gambara: « Recriminazioni sul passato non vanno fatte in questo momento e spero non saranno mai fatte. Se anche qualcuno che collabora con noi ha commesso degli errori o ha reso difficile questa collaborazione, dobbiamo porre in disparte ogni acredine. Da questo momento intendo che tutti, con sacrificio anche della propria persona, diano tutto perché il movimento deciso riesca nel modo migliore» (76). Ed il movimento, nonostante le grandi perdite di materiali e di mezzi, riuscì nel modo migliore secondo le tappe fissate dal generale Rommel.
7.
La relazione italiana (77) divide il ciclo operativo che va dal 21 gennaio al 5 settembre 1942 in 3 fasi: la, controffensiva italotedesca, riconquista della Cirenaica e schieramento delle forze italo-
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tedesche sulla linea Gars el Amhar-Tmerad-Segnali (21 gennaio30 aprile); 2", riordinamento delle forze italo-tedesche, ripresa della controffensiva, battaglia di Ain el Gazala, caduta di Tobruch e di Marsa Matruh (1° maggio-29 giugno); 3", raggiungimento della stretta di el Alamein ed alterni tentativi italo-tedeschi e britannici per superarla (1° luglio-5 settembre). Anche le operazioni aero-terrestri di tale ciclo, come dei precedenti, furono direttamente influenzate dalla situazione nel Mediterraneo in fatto di trasporti italo-tedeschi. La battaglia della Marmarica, durata dal 18 novembre al 17 gennaio, avrebbe potuto perseguire un risultato meno sfavorevole solo se i piroscafi Filzi e Del Greco, con i loro preziosi carichi, avessero raggiunto la sponda libica. Non ebbe torto il generale Cavallero ad annotare, successivamente, il 20 dicembre: << comincia a splendere il sole. La nostra fede e la nostra volontà cominciano a dare risultati. Tutto il convoglio è attivato e tutte le navi sono rientrate» (78), il che era da un pezzo che non si verificava (nel novembre su 46 trasporti ne erano stati affondati 22). L'intervento del II C.A.T. della 2" Luftflotte, l'immissione nel Mediterraneo di 26 U-Boote tedeschi (novembre-dicembre), la ripresa dell'attività della marina da guerra italiana, il potenziamento delle scorte navali ed aeree ai convogli ed il miglioramento del livello della cooperazione aereo-navale ristabilirono gradatamente l'equilibrio nel Mediterraneo centrale e determinarono alla fine il predominio delle forze aereo-navali dell'Asse anche in ragione delle perdite inflitte ai mezzi navali da guerra britannici - affondamento della portaerei Ark Royal, della nave da battaglia Barham, dell'incrociatore Galatea; messa fuori combattimento delle navi da battaglia Queen Elizabeth e Valiant nel porto di Alessandria ad opera dei mezzi d'assalto della marina italiana; perdita dell'incrociatore Neptune e di un cacciatorpediniere e grave danneggiamento degli incrociatori Aurora e Penelope incappati in uno sbarramento di mine - ed in ragione dell'impossibilità da parte dell'ammiragliato inglese di rimpiazzare le perdite e di rinforzare la flotta di Alessandria e le forze « H » (Gibilterra) e « K » (Malta) poiché il teatro di guerra in Estremo Oriente aveva richiesto l'impiego di tutte le forze disponibili. Il periodo del predominio italo-tedesco nel Mediterraneo durò dal gennaio al luglio; poi le vie di rifornimento dello scacchiere africano dall'Italia meridionale alla Libia e dalla Grecia alla Cirenaica cominciarono nuovamente ad essere sempre più insidiate ed esposte ai continui attacchi da Alessandria e particolarmente da Malta, dove gli inglesi avevano inviato di nuovo la 10" flottiglia di sommergi-
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bili. Essi erano riusciti a portare il numero degli aerei dell'isola a 250, tra i quali anche bombardieri pesanti. Nelle ultime settimane di agosto gli inglesi scaricarono nell'Africa nord-orientale 500 mila tonnellate di materiali; nello stesso periodo le forze italo-tedesche riuscirono a scaricare in Libia soltanto 13 mila tonnellate. La sorte della battaglia di ottobre ad el Alamein veniva così segnata con l'anticipo di 2 mesi rispetto allo svolgimento; con essa quella della guerra dell'Asse nel teatro operativo del Mediterraneo, dove, peraltro, la precedente rinunzia all'assalto di Malta da parte dell'Asse aveva già posto la premessa certa della vittoria anglo-americana. La battaglia della Marmarica e la manovra in ritirata delle forze italo-tedesche fino alle posizioni di Marsa el Brega-Marada si erano, in sostanza, concluse con il fallimento del piano britannico d'infrangere e di distruggere le forze italo-tedesche operanti nella Africa settentrionale. Entrambe le parti si erano logorate e avrebbero dovuto da quel momento badare al loro riordinamento e rafforzamento, per i quali sarebbe stato necessario un non breve periodo di tempo. Durante la battaglia della Marmarica la situazione politicostrategica generale si era profondamente modificata in seguito all'attacco di sorpresa da parte dei giapponesi - il 7 dicembre 1941 contro la flotta degli Stati Uniti a Pearl Harbour, alla dichiarazione di guerra degli Stati Uniti al Giappone (8 dicembre) e della Germania e dell'Italia agli Stati Uniti (11 dicembre). La bufera scatenatasi in Estremo Oriente pose subito gravi problemi anche alla Gran Bretagna per la difesa dei suoi possedimenti asiatici (Hong Kong, Singapore, Giava, la Birmania, ecc.). Da qui i numerosi spostamenti di truppe, ordinati dal comando britannico anche da e per il Medio Oriente, i quali interessarono la 10" armata (Irak, Iran), l'8a (Egitto, Cirenaica), la 9a (Siria e Palestina) e le forze di Cipro, del Sudan, di Aden, tutte poste alle dipendenze del generale Auchinlek, comandante del teatro operativo del Medio Oriente. Nonostante che la situazione in Estremo Oriente venisse facendosi sempre più pericolosa - il 27 dicembre era capitolata Hong Kong; in febbraio gli inglesi perderanno Singapore - l'Inghilterra continuò a concentrare il suo interesse prioritario sullo scacchiere nord-africano anche a costo di perdere le posizioni asiatiche, che si riprometteva di riconquistare in un secondo tempo. Nondimeno il riassetto delle unità logorate e l'acclimatamento delle nuove imposero all'8a armata una pause nelle operazioni prima della ripresa della marcia verso la Tripolitania (79). Dal canto loro, le forze italo-tedesche dovevano anch'esse riordinarsi e rafforzarsi, rinsanguandosi di personale, armi,
INIZIO CONTROFFENSIVA ITALO-TEDESCA 21 GENNAIO 1942. LEGENDA Forze iteliene
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materiale e assumendo formazioni più rispondenti alle esigenze messe in rilievo dalle passate esperienze (80). Ciò che più pesò a favore di un certo riequilibrio delle forze fu la sottrazione da parte inglese dal teatro del Mediterraneo, per l'invio in quello del Pacifico, di notevoli aliquote di unità aeree. Ciò infatti consenti l'arrivo di rinforzi, specie in mezzi corazzati, all'armata italo-tedesca, mentre gli inglesi non furono in grado di procedere con pari rapidità a rimpiazzare le perdite subite dalle forze terrestri ed ebbero bisogno di tempo per riacquistare la superiorità aerea numerica che avevano sfoggiato nel corso della battaglia della Marmarica. In conseguenza, nella seconda decade di gennaio, pur lungi dall'aver recuperato la efficienza del novembre, le forze italo-tedesche erano state sensibilmente incrementate: il corpo d'armata di manovra italiano disponeva di 89 carri M efficienti, il corpo tedesco Afrika di 23 autoblinde, di 111 carri Mark III e Mark IV efficienti, e di altri 28 carri in arrivo. Erano affluiti inoltre molti gruppi di artiglieria di vario calibro, tra i quali 2 !,>tUppi corazzati da 75/18; era stato costituito un raggruppamento d'artiglieria di armata (1 gruppo da 149/40, 1 gruppo da 152/37 e 2 gruppi da 149/28); personale e mezzi del XX corpo dislocato in Tripolitania erano stati inviati nella Sirte per dare una certa efficienza alle divisioni di fanteria del X e del XXI corpo d'armata schierate a difesa delle posizioni di el Agheila-Marada (81). Nonostante tale miglioramento, l'armata italo-tedesca risultava inferiore in fatto di artiglierie - dove la prevalenza britannica era assoluta - e di mezzi corazzati: gli inglesi disponevano di circa 300 carri (fra i quali anche carri americani da 28 t Pilot M 3) e di 200 autoblindo. Il generale Rommel giudicò sufficiente la nuova consistenza delle forze mobili italo-tedesche (82) per dare subito inizio ad un'operazione controffensiva - prima che i britannici potessero rinforzare il dispositivo e, in particolare, prima che trasferissero dalla Cirenaica orientale a quella occidentale le forze che erano state impegnate nell'espugnazione di Bardia, Sollum, Hafaya - che, nella sua mente, quasi certamente avrebbe dovuto mirare fin dal primo momento alla riconquista di gran parte della Cirenaica. La presentò, invece, ai comandi italiani come avente carattere locale, limitata cioè a disorganizzare lo schieramento nemico antistante e ad alleggerirne la pressione. Il generale Bastico concordò con il generale Rommel sulla opportunità e convenienza di una azione siffatta, ma entrambi ribadirono la necessità di evitare operazioni a largo raggio, specie perché le grandi unità erano ancora in corso di riorganizzazione, e di mantenere ancora per qualche tempo
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atteggiamento generale difensivo avvalendosi delle posizioni di Marsa el Brega-el Agheila-Marada, le più idonee ed economiche per la difesa della Tripolitania. Il 21 gennaio il generale Rommel partl all'attacco (83) e da quel giorno ebbe inizio la gara, se così la si può chiamare, tra l'audacia, quasi sconsiderata, del generale tedesco tendente ad andare sempre più avanti e la prudenza, forse eccessiva, del Comando Supremo italiano, diretta a frenare lo slancio ed a dare priorità alla difesa nel timore che un'avanzata profonda potesse ripetere l'esigenza di una nuova ritirata con le conseguenze di una nuova crisi di forze e di mezzi e di un nuovo sfascio delle divisioni di fanteria appiedate. La gara fu caratterizzata da ripetute scorrettezze del generale tedesco, che naturalmente la vinse perché i fatti dettero ragione alle sue iniziative autonome che il Comando Supremo italiano fu costretto ad omologare a posteriori, anche quando esse erano state adottate al di fuori e contro gli ordini che esso stesso aveva precedentemente impartito (84). La monografia italiana (85) dà della prima fase del ciclo operativo - la quale per una serie d'impreviste vicende, iniziatesi come una ricognizione in forze, finì con l'assumere gli aspetti di una vera e propria controffensiva - il seguente schema di svolgimento: « tentativo di avvolgere le forze britanniche a nord dell'Uadi Faregh ed arretramento verso est di Agedabia delle forze nemiche riuscite .t sottrarsi alla manovra avvolgente (21 gennaio); spostamento delle forze motocorazzate italo-tedesche verso la zona a nord est di Agedabia, nella supposizione che la massa htitannica ripiegasse in direzione Soluch-Msus, ed accerchiamento del grosso britannico dislocato ad est di Agedabia (22-23 gennaio); successivi spostamenti delle forze italo-tedesche, ad eccezione delle divisioni del X e del XXI corpo d'armata, il cui impiego non fu autorizzato dal Comando Supremo italiano (23 gennaio); combattimento ad est di Agedabia e nuovo arretramento britannico in direzione di Msus e di Mechili (24-25 gennaio); nuove direttive del Comando Supremo italiano e contemporanea decisione presa da Rommel per la rioccupazione di Bengasi (27-29 gennaio); disorientamento nel comando inglese e rioccupazione del territorio compreso tra Bengasi ed il golfo di Bomba attuato da Rommel con forze inferiori ad una divisione (30 gennaio-4 febbraio); spostamento in avanti delle divisioni di fanteria italiane dalla linea el Agheila-Marada (ad eccezione della divisione Bologna) e consolidamento della linea Tmimi-Mechili (9-12 febbraio); spostamento della posizione di resistenza dalla linea TmimiMechili su quella di Gars el Amhar-Tmerad-Segnali nord, attuato da
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Rommel senza preventivo consenso del Comando Superiore (7 aprile) ». In pochi giorni, dunque, l'armata italo-tedesca penetrò in profondità per più di 400 Km e gli inglesi persero 3 77 tra carri armati, autoblinde e automezzi corazzati, 192 pezzi di artiglieria, 1220 autocarri, 50 aerei ed oltre 3300 prigionieri solo dal 21 gennaio al 3 febbraio (86). Il ritmo travolgente che il generale Rommel poté imprimere alle operazioni lo si dovette in gran parte alla sconclusionata e trepidante condotta delle operazioni da parte inglese - i 3 reggimenti corazzati furono gettati in battaglia isolatamente; gli inglesi non seppero approfittare della pausa determinata dall'intervento del Comando Supremo italiano per frenare l'avanzata; il comando inglese ordinò precipitosamente l'evacuazione di Bengasi; il generale Ritchie (186 bis) ed il generale Godwin Austen comandante del XIII corpo d'armata non seppero intendersi sulla manovra da compiere - ma non meno alla sua capacità manovriera, al perfezionamento della tattica cannoni controcarro-carri armati che già in passato aveva dato brillanti risultati (87) ed alla grande abilità delle forze mobili italiane e tedesche che furono da sole le vere protagoniste dell'operazione; di queste, in particolare, i reparti esploranti ed i vari raggruppamenti costituiti di volta in volta in relazione al compito ed alla situazione con il concetto di iniziare energicamente uno sforzo e rapidamente svilupparlo e concluderlo. La seconda fase del ciclo operativo - alla cui preparazione il generale Rommel aveva dato inizio fin dal marzo dopo che ne aveva esposto il 18 a Mussolini ed al generale Cavallero le grandi linee di sviluppo (88) - in base alle direttive emanate dal Comando Supremo il 5 maggio (89) avrebbe dovuto avere come obiettivo di battere le forze mobili avversarie, schierate ad occidente di Tobruch. Esse precisavano: « La presa di Tobruch è condizione categorica per lo spostamento in avanti del nostro schieramento; verificandosi tale condizione, lo schieramento sarà portato sulla linea Sollum-HalfayaSidi Omar, linea che la massa corazzata non dovrà oltrepassare. Qualora l'occupazione di Tobruch non riuscisse, lo schieramento da assumere dopo la battaglia non dovrà oltrepassare la linea di Ain e1 Gazala ». L'operazione avrebbe dovuto avere inizio verso la fine di maggio, dopo che fossero giunti in Cirenaica i mezzi ed i rinforzi richiesti, per la cui affluenza tempestiva il Comando Supremo si sarebbe dovuto adoperare con ogni mezzo; l'offensiva non avrebbe dovuto protrarsi oltre il 20 giugno perché per tale data sarebbero state ritirate le unità aeree e navali in rinforzo ed anche una parte delle forze aeree allora presenti in Cirenaica, tutte queste unità
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essendo per la data suddetta destinate ad altro impiego. Una ripresa delle operazioni doveva essere prevista per l'autunno. Circa le forze ed i mezzi per l'operazione le direttive specificavano che sarebbero state: le unità a disposizione del comando armata corazzata (90), le .forze aeree italiane e germaniche dislocate in Cirenaica, rinforzate co.me sarà comunicato a parte (91), alcuni mezzi navali leggeri che saranno in seguito precisati essendo esclusa la partecipazione di forze navali di superficie (92). Il generale Rommel formulò il disegno di manovra che prevedeva, a grandi linee, un attacco avvolgente della massa delle unità motorizzate dalla zona a sud ed immediatamente a nord di Segnali nord, dalle due parti di Bir Hacheim in direzione di Acroma. Altri elementi delle unità motorizzate dovevano puntare in direzione Balhamed-el Adem, per impedire sia un ripiegamento del nemico dalla zona ovest di Tobruch, sia l'accorrere di rinforzi dalla zona di Bardia. Le divisioni di fanteria non motorizzate della armata dovevano, frattanto, essere impiegate per l'attacco frontale verso est tra Segnali nord e la costa. Il generale Rommel intendeva, cioè, battere le forze motocorazzate nemiche innanzi a Tobruch; conseguentemente e senza interruzioni occupare Tobruch, con un colpo di mano, e procedere verso Bardia e Sollum (93). Vi fu, dunque, una volta tanto, piena armonia tra direttive del Comando Supremo italiano e disegno di manovra del comandante dell'armata italo-corazzata. Il generale Rommel dichiarò esplicitamente che la operazione avrebbe dovuto essere condotta soltanto dopo la presa di Malta a meno che questa non venisse protratta oltre il 1() giugno, perché in tal caso poteva essere necessario che l'armata muovesse aU'attacco senza attendere l'occupazione di Malta (94). Il generale Cavallero, dopo aver esaminato il piano operativo del generale Rommel con i generali Bastico e Curio Barbasetti di Prun - che ai primi di maggio aveva assunto le funzioni di capo di stato maggiore del Superasi in sostituzione del generale Gambara (95) - emanò da Barce le direttive ricordate (96) che non subordinavano le operazioni alla presa di Malta, ma ponevano però il limite tassativo (20 giugno) entro il quale avrebbero dovuto essere concluse. Frattanto, dai primi di maggio, vennero attuate una serie di predisposizioni per mettere a punto l'operazione, tra le quali, di particolare rilievo, il riordinamento delle artiglierie secondo l'organico stabilito dalle formazioni A.S.42; i reggimenti divisionali vennero costituiti su 5 gruppi ciascuno (ogni gruppo su 3 batterie), dei quali 2 gruppi di obici da 100/17, 2 gruppi di cannoni da 75/27, 1 gruppo misto contraerei e controcarri da 88/55 e mitragliere da 20 mod. 35 (2
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batterie); il reggimento di artiglieria della divisione corazzata Ariete venne costituito su 2 gruppi da 75/27, 1 gruppo di cannoni da 105/28, 2 gruppi semoventi da 75/18, 1 gruppo misto su 4 batterie con cannoni da 90/53 e da 20 mm. Quando il generale Rommel diramò il piano particolareggiato per l'attacco (97), il generale Barbasetti formulò alcuni apprezzamenti negativi che il generale Bastico fece subito conoscere al Comando Supremo. Gli apprezzamenti erano i seguenti: « l'accerchiamento potrà riuscire, e nel tempo previsto (per le ore 12 del giorno X-1), se le truppe schierate sulla linea di Ain d Gazala non si sottrarranno all'azione e se i corpi motorizzati italo-tedeschi non saranno arrestati e ritardati dalla 711. divisione corazzata inglese che si trova schierata ad est della zona « A » (base di partenza); l'annientamento della caccia avversaria, data la quantità di velivoli avversari schierati in zona avanzata e arretrata, potrà essere ottenuta solo in parte; la protezione del fianco esterno e del tergo contro le forze avversarie che possono affluire da est, tra 01i la l" divisione corazzata inglese, affidata alla sola 90 Afrika sembra insufficiente; il passaggio dalla battaglia d'annientamento all'attacco speditivo contro Tobruch (previsto entro il giorno X+ 4 ), senza soluzione di continuità, presenta delle difficoltà logistiche forse insuperabili» (98). In sostanza il Superasi non approvava il piano e sperava che il generale Rommel lo modificasse e lo perfezionasse; ma questi, il 16 maggio, lo comunicò, in un rapporto tenuto ad el Cherima, ai comandanti subordinati, lasciandolo immutato nelle sue linee generali. In particolare, per quanto riguardava il X (divisioni Brescia e Pavia) ed il XXI (divisioni Trento, Sabratha, XV brigata) corpi d'armata, essi avrebbero dovuto compiere tra le ore 14 e l'imbrunire del giorno X un percorso dai 15 (a nord) ai 20 Km (a sud} per portarsi contro la linea inglese di Ain el Gazala, senza possibilità di anticipare l'ora d'inizio del movimento per evitare che questo, concludendosi nelle ore diurne, rivelasse il proprio carattere di finta mossa, mentre era necessario che il nemico lo interpretasse come effettiva minaccia frontale al suo schieramento e che fosse indotto a prendere, nella stessa giornata o nella notte, le misure di reazione sulle quali Rommel faceva assegnamento per la manovra di avvolgimento da sud condotta dal XX corpo d'armata italiano (divisioni Ariente e Trieste), dal C.T.A. ( 15" e 21 a divisioni tedesche) e dalla 90a divisione leggera tedesca incaricata della protezione del fianco esterno (destra) del dispositivo dell'armata. Lo sforzo iniziale richiesto alle divisioni di fanteria italiane era notevole, tenuto conto delle condizioni di temperatura della sta6
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gione e delle ore prescelte per il movimento, ma si sarebbe esaurito quasi completamente nel primo giorno e solo grazie ad esso .sarebbe stato possibile conseguire l'annientamento fulmineo delle forze mobili avversarie (99) . I 2 corpi d'armata italiani in un secondo tempo avrebbero impegnato le difese di alcuni settori della piazzaforte di Tobruch per favorire l'attacco risolutivo delle unità motocorazzate su altri settori. Il piano operativo di Rommel s'ispirava, ancora una volta, più all'audacia che non alla prudenza e non si può contestare il rischio derivante dalla mancanza di un'adeguata riserva e dalla debolezza della protezione del fianco destro dell'ala marciante affidata alla 90" leggera che non aveva i mezzi sufficienti per adempiere il compito; ma il generale Rommel riponeva in quel momento grande fiducia in se stesso e nelle sue grandi unità, le quali, a loro volta, credevano fermamente nella sua superiore capacità tattica e tecnica, della quale aveva offerto conferma proprio nelle ultime operazioni del novembre-dicembre. La manovra in ritirata non aveva scalfito, malgrado la demoralizzazione che ogni operazione del genere è solita produrre, la convinzione dei quadri e delle truppe operanti circa 1a grande abilità manovriera del loro comandante. Ancora una volta il generale Rommel volle muovere all'attacco violando le regole del gioco - non disponeva delJa superiorità materiale delle forze e sebbene non tutto andasse com'egli aveva immaginato e prefigurato e come avrebbe voluto, anzi malgrado che la situazione si facesse ad un certo momento assai precaria per lui ed i problemi operativi diventassero molto spinosi, egli usd dalle tre fasi in cui la battaglia si articolò - Ain el Gazala, Bir Hacheim, Tobruch - vittorioso e la sua idea funzionò anche se molto dipese dalla modesta capacità professionale del suo antagonista, generale Ritchie. Questi credé e persisté nel credere che l'attacco principale sarebbe stato quello diretto contro il settore centrale della fronte, gettò nella battaglia le sue forze corazzate in modo frammentario, si ostinò a sferrare tutta una serie di disarticolati e dispendiosi attacchi frontali contro la bene organizzata fronte difensiva messa rapidamente in atto dalle divisioni di fanteria italiane sulle posizioni di Ain el Gazala, non riuscì ad evitare le successive amputazioni che il generale Rommel àpportò allo schieramento della 8" armata, si lasciò sorprendere a Tobruch e non poté arrestare l'inseguimento tedesco a Marsa Matruh, come sarebbe stato suo intendimento, perché il 25 giugno venne esonerato dal generale Auchinleck che assunse direttamente il comando dell'8" armata. A partire da febbraio Churchill non si era stancato di ripetere
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che era necessario riprendere quanto prima l'iniziativa, facendo rilevare che gli inglesi avevano 635 mila uomini inoperosi nel teatro del Medio Oriente mentre i russi si stavano battendo al limite delle loro forze e, più vicino, la stessa Malta correva grosi pericoli, sottoposta com'era agli incessanti attacchi aerei di Kesselring. Ma Auchinleck, consapevole dei difetti tecnici e tattici delle forze inglesi, sosteneva che era meglio aspettare finché le forze di Ritchie avessero raggiunto sul piano quantitativo una superiorità tale da neutralizzare con ampio margine di sicurezza la superiorità di cui Rommel godeva sul piano qualitativo. Alla fine, passando sopra a tutte le argomentazioni di Auchinlek, Churchill decise di impartirgli a chiare lettere l'ordine di attaccare, invitandolo a obbedire o dimettersi. Ma il 26 maggio fu Rommel a passare all'attacco, prevenendo ancora una volta gli inglesi, la cui offensiva avrebbe dovuto iniziare alla metà di giugno (100). Al fine di renderla più confacente alla ripresa della azione controffensiva, gli inglesi ispirarono la sistemazione delle posizioni di Ain el Gazala - in un primo tempo realizzata per compiti Jifensivi (fortificazioni, campi minati, ricoveri, ecc.) - alla creazione di un buon trampolino di lancio di tipo offensivo, rinunziando a conferirle la profondità propria di una posizione di resistenza. I punti fortificati, eccetto che nel settore costiero, erano molto distanti per potersi appoggiare reciprocamente con il fuoco. La posizione di Bir Hacheim, limite sud dello schieramento inglese, presidiata dalla la brigata della Francia libera agli ordini del generale Koenig, distava più di 25 Km da quella di Sidi Muftah. Su quale fosse lo schieramento delle forze britanniche il 26 maggio esistevano contrasti di valutazione tra il Superasi ed il comando della armata corazzata Afrika. Secondo il servizio informazioni italiano la presunta situazione delle forze terrestri nemkhe sarebbe stata: comando dell'8a armata a Bir el Hamja; comando del XIII corpo d'armata ad Acroma con: 1a divisione sud-africana rinforzata da 2 battaglioni carri per fanteria (XXXVIII e XLII) in zona di Ain e1 Gazala, 50a divisione inglese rinforzata dal XLIV battaglione carri per fanteria a sud della 1a sud-africana fino a Trigh Capuzzo con la CL brigata a Sidi Muftah, 2a divisione sud-africana rinforzata dall'VIII battaglione carri per fanteria e dal VI gruppo esplorante sud-africano nella piazza di Tobruch; comando XXX corpo d'armata ad el Adem con: r divisione corazzata (IV brigata), 1a divisione Francia libera, III brigata motorizzata indiana in zona Bir HacheimBir el Gobi-Bir d Hamat; gruppo sostegno della 7a divisione corazzata rinforzato da 2 gruppi esploranti (IV sud-africano e King's
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Dragoon's Guards) e da elementi corazzati e di artiglieria nella zona Blat-Bir Hacheim-Cheima-Gueret el Habib; l" divisione corazzata (II e XXII brigata) con il gruppo esplorante The Royal nella zona compresa tra il Trigh el Abd e il Trigh Capuzzo delimitata ad est dalla pista el Adem-Bir el Gobi e ad ovest dalla pista Bir el Tamar-Bir Hacheim; gruppo di sostegno della 1n divisione corazzata (CCI Guards) e gruppo esplorante 12° Lancers nella zona ad occidente di el Adem; 5a divisione indiana su 2 brigate nella zona di Tobruch. Il comando dell'A.C.A. (Armata Corazzata Africa) riteneva invece la 7"- corazzata schierata da Bir Tangeder a el Adem e perciò non in grado di riunire in tempo le forze per far fronte ad un attacco improvviso, la 1" corazzata a riposo nella zona Gambut-Bardia e la 5a indiana non in grado di schierarsi in breve tempo con il grosso delle forze. Il generale Rommel volle basarsi sulle informazioni del suo comando, anziché su quelle del Superasi sostanzialmente molto più aderenti alla realtà, e andò incontro a dover sostenere, fin dai primi giorni dell'attacco, combattimenti imprevisti contro unità nemiche ritenute
dislocate in zone più arretrate. Questa fu una delle cause - ecco perché ci è parso opportuno scendere nei particolari - dello scombussolamento del piano di attacco, piano per la cui riuscita è sempre indispensabile conoscere bene ciò che sta succedendo al di là della collina (Wellington). Rispetto alla prima fase del ciclo operativo, nonostante i rinforzi affluiti, ambedue le parti, sebbene più forti, conservavano dunque immutato il numero delle divisioni: 3 tedesche (delle quali 2 corazzate) e 6 italiane (1 corazzata) contro 6 inglesi (2 corazzate). Ragionando in termini di divisioni, come di solito fanno statisti e generali, Rommel attaccò con 9 contro 6 ed è appunto ad un'aritmetica di questo genere che si è poi fatto ricorso per dare ragione della disfatta inglese (101). In realtà il rapporto iniziale fu assai diverso: 4 delle 5 divisioni di fanteria italiane non erano motorizzate; l'8a armata inglese era tutta motorizzata e in aggiunta alle 6 divisioni disponeva di 2 gruppi di brigate motorizzate indipendenti e di 2 brigate di carri armati d'armata e, inoltre, delle 2 divisioni corazzate, la prima aveva due brigate anziché una. In termini numerici, le formazioni corazzate dell'8 armata avevano 850 carri armati, mentre altri 420 erano tenuti in riserva. Le forze italo-tedesche ammontavano a 50 battaglioni di fanteria di cui 31 italiani (20 appiedati) contro i 55 inglesi, 535 carri armati di cui 240 italiani (102). Aggiunge Liddell Hart « ma dei carri armati italo-tedeschi 230 erano antiquati carri italiani su cui (Rommel) poteva fare poco affidamento e 50 dei 330 (?) carri medi tedeschi erano di tipo leggero; in 8
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sostanza solo i 280 (?) carri medi tedeschi muniti di cannone avrebbero realmente contato sul campo di battaglia. Infine, tutte le riserve di cui i tedeschi disponevano erano rappresentate da circa 30 carri in riparazione e da un nuovo lotto di circa 20 carri appena sbarcato a Tripoli. Ragionando in termini più realistici, sul piano dei mezzi corazzati gli inglesi potevano contare su una superiorità numerica di 3 a 1 nello scontro di apertura e di più di 4 a 1 qualora questo scontro si fosse tramutato in una battaglia di logoramento» (103). Tra i dati riportati dal Liddell Hart e quelli della relazione italiana esiste, nei riguardi dei carri armati e degli aerei, un divario: il primo fa ammontare il numero dei carri armati inglesi a 850 e quello degli aerei in prima linea a 600 (380 caccia, 160 bombardieri, 60 ricognitori) cd il numero dei carri armati italotedeschi a 560 e quello degli aerei a 530 (350 caccia, 140 bombardieri, 40 ricognitori); la relazione italiana, invece, fa ammontare il numero dei carri armati britannici a 650 più 300 autoblinde e quello degli aerei ad un migliaio contro rispettivamente 535 carri più 148 autoblinde e circa 700 aerei italo-tedeschi. Sta di fatto che il numero dei carri armati e delle autoblinde inglesi fu inizialmente, in tutti i casi, superiore numericamente a quello dei carri armati e delle autoblinde italo-tedesche, mentre, sempre ini.7.ialmente, tra la British Desert Air Force e l'aeronautica italo-tedesca la prevalenza della prima fu più contenuta di quella esistita nei precedenti cicli operativi. Per quanto riguarda l'artiglieria gli inglesi godettero di una superiorità numerica di 3 a 2, ma questo vantaggio fu in parte annullato in quanto tutti i loro cannoni furono distribuiti tra le diverse divisioni, mentre invece Rommel costituì una riserva mobile di 56 cannoni di medio calibro che pose alle sue dirette dipendenze (104). Circa le prestazioni dei carri armati, quelli italo-tedeschi erano più vulnerabili dei Matilda e dei V alentine e non solo i cannoni da 47 /32 italiani, ma anche queJli da 50 mm tedeschi, avevano una capacità di penetrazione e, quelli tedeschi, anche una velocità iniziale leggermente inferiori a quelle del cannone da 2 libbre installato sui carri armati di fabbricazione inglese. Durante la battaglia entrarono in scena da parte tedesca il Mark III (]) speciale - ma solo 19 carri furono disponibili all'inizio, mentre altri 19 erano ancora a Tripoli - e da parte inglese il Grant (nel numero di 400) il quale era munito di un cannone da 75 con una capacità di penetrazione più elevata di quella del cannone da 50 mm a canna lunga del Mark III (]) speciale ed era anche meglio protetto (57 mm di corazza contro 50 mm). Appare dunque del tutto ingiustificata la tesi, così
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spesso ripetuta, secondo cui nella battaglia di Gazala gli inglesi impiegarono carri armati inferiori a quelli tedeschi. Al contrario gli inglesi godevano di una netta superiorità sul piano qualitativo non meno che su quello quantitativo (105). In fatto di aerei, invece, i 120 caccia tedeschi Me 109 erano qualitativamente superiori agli Hurricanes e ai Kittyhawks inglesi. In termini di cannoni controcarro gli inglesi disponevano del pezzo da 6 libbre (57 mm) la cui capacità di pene:;:azione era superiore del 30 % a quella del cannone controcarro da 50 mm tedesco. Il cannone tedesco da 88 mm restava ancora il 1'iù formidabile giustiziere di carri, ma Rommel ne aveva solo 48, e inoltre il loro alto e voluminoso affusto li rendeva assai più vulnerabili di tutti i cannoni controcarro di tipo normale impiegati da ambedue le parti (106). Fu, dunque, in situazione di inferiorità, che il generale Rommel ingaggiò con la sua A.C.A. la battaglia di Ain el Gazala. L'analisi dei fattori tecnici non fornisce dunque alcuna adeguata spiegazione della disfatta subita dall'8" armata a Gazala. In realtà, tutti gli elementi di cui siamo a conoscenza dimostrano chiaramente che essa fu soprattutto dovuta alla superiore capacità operativa dei tedeschi in generale, e alla loro combinazione tattica di carri armati e cannoni controcarro in particolare (107). Dal 26 al 29 maggio, nonostante l'incompleta realizzazione del piano a causa dell'errata valutazione dello schieramento e delle forze nemici e a causa dei numerosi contrattacchi, tutti contenuti e respinti, l'A.C.A. distrusse 310 mezzi corazzati, 53 cannoni, 200 automezzi e fece 2000 prigionieri, subendo perdite inferiori della metà di quelle britanniche. Nei giorni seguenti la battaglia si fece aggrovigliata, le truppe mobili italo-tedesche non riuscirono a raggiungere il mare per chiudere l'accerchiamento e dovettero schierarsi a difesa in una posizione assai scomoda, alle spalle della linea di Ain el Gazala tenuta dal nemico e protetta da estesi e profondi campi minati. Il generale Ritchie, credendo di avere logorato sufficientemente le forze mobili italo-tedesche, si decise a contrattaccare e sviluppò una serie di azioni durante la giornata del 30 maggio contro le unità del XX corpo italiano raccolte tra Trigh Capuzzo e Trigh el Abd. Tali azioni lasciarono presumere che fossero il preludio di una più ampia e più potente controffensiva che il comando dell'A.C.A. decise di attendere in posto, nonostante la crisi dei rifornimenti risolta poi ad opera del X corpo italiano che, aprendo varchi nei campi minati a cavallo del Trigh Capuzzo, riuscì a prendere contatto con il C.T.A. Il 5 giugno gli inglesi attaccarono in forze le posizioni dell'A.C.A. sulle quali continuarono a scaraventare migliaia di bombe dagli aerei,
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ma la loro azione fu frammentaria e giunse quando le forze italotedesche avevano avuto tutto il tempo di rafforzarsi. La battaglia prese la fisionomia di una lotta di logoramento che il Comando Supremo italiano intendeva evitare per non raggiungere i limiti ai quali il nemico avrebbe avuto convenienza a protrarla. Il generale Cavallero il 2 giugno inviò al generale Bastico un telegramma di ammonimento (108) nel quale, mentre approvava lo schieramento arretrato che assicurava la via per i rifornimenti, e indicava la convenienza di attaccare di fianco e da tergo la posizione di Ain el Gazala per sfruttare poi la probabile situazione favorevole, lasciava al Superasi, d'accordo con il generale Rommel, la valutazione della situazione e delle possibilità di manovra. Il 5 giugno il Superasi rispose che, sentito il parere di Rommel, l'azione contro le posizioni di Ain el Gazala sarebbe stata iniziata subito dopo la caduta di Bir Hacheim (109). L'attacco nemico del 5 giugno venne respinto da un contrattacco in forze della 21" e 15" corazzate tedesche e dell'Ariete. Il contrattacco fruttò, nonostante che la massa delle forze mobili nemiche, sebbene circondata, fosse riuscita a sottrarsi alla distruzione, il bottino di circa 4000 prigionieri, 86 carri armati distrutti, 110 pezzi di artiglieria, diversi pezzi controcarri e contraerei, e 200 autocarri catturati. Anche le puntate offensive nemiche dei giorni successivi, sebbene realizzassero alcune infiltrazioni, non ottennero .risultati concreti. Il Comando Supremo italiano, in seguito alle perdite ed al logoramento dei mezzi che la lotta veniva accentuando, autorizzò il prolungamento delle operazioni di alcuni giorni oltre il 20 giugno (4-5 giorni) richiesto dal generale Bastico, ma insisté perché le operazioni in corso si limitassero all'eliminazione di Bir Hacheim ed alla conquista delle posizioni di Ain el Gazala, dopo di che si sarebbe dovuto provvedere a ricostituire uno schieramento raccolto, fronte ad est, dotato di capacità controffensiva ed in una situazione logistica tale da consentire il proseguimento della lotta anche per più settimane (110). Bir Hacheim, che aveva assunto frattanto la figura di obiettivo politico oltre che militare, cadde dopo 8 giorni di lotta (1'11 giugno) e dopo che lo stesso generale Rommel era stato costretto a recarsi di persona nella zona per assumere il comando diretto delle forze di attacco contro la 1" brigata della Francia Libera che oppose una resistenza accanita fino al corpo a corpo. La caduta di Bir Hacheim concluse la fase 30 maggio-11 giugno caratterizzata dall'atteggiamento difensivo-controffensivo italotedesco e segnò l'inizio della manovra di avvolgimento - 11-16 giugno - a tergo delle forze nemiche di Ain el Gazala, diretta ad
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indurre gli inglesi o ad accettare battaglia od a modificare lo schieramento. Dopo aver cercato invano di aprirsi con la massa delle forze corazzate la via di comunicazione di el Adem, il nemico fu costretto ad accettare la battaglia, pur tenendosi aperta la linea di ripiegamento per Acroma. Alla battaglia, iniziatasi il mattino del 13 giugno e conclusasi il 16 giugno, parteciparono tutte le forze mobili italo-tedesche ed anche le unità del X e del XXI corpo d'armata. Il giorno 11 giugno, all'inizio della battaglia, entrambe le parti disponevano, in seguito ai rinforzi ricevuti da tergo, di circa 400 carri armati; I'A.C.A. aveva ricevuto 40 carri sfusi e 2 battaglioni carri della divisione Littorio, fatti venire dalla Tripolitania. La sera del 13 giugno i carri armati inglesi erano ridotti ad appena un centinaio e per la prima volta dall'inizio della lotta in Africa settentrionale gli italo-tedeschi furono per breve tempo superiori in carri sul piano quantitativo. Il 14 giugno l'A.C.A. si rimise in marcia verso nord, puntando lungo la direttrice di Acroma verso la costa, ma l'avanzata fu rallentata da un campo minato, attraverso il quale fu aperto un varco solo nel tardo pomeriggio, e dalla stanchezza degli uomini che, nonostante le esortazioni del generale Rommel, non riuscirono a<l andare avanti. Le truppe mobili ripresero il cammino verso il mare la mattina del 15 e dettero cosi modo a gran parte delle forze inglesi di ritirarsi verso est. Raggiunta la costa, le forze mobili italotedesche girarono attorno al perimetro di Tobruch, conquistarono i campi di aviazione di Gambut, ad est di Tobruch, e organizzarono con sbalorditiva rapidità l'attacco contro Tobruch che il 20 giugno investirono, dopo violentissimi bombardamenti di artiglieria e di Stukas, co~ le fanterie nel settore sud-orientale. Attraverso una breccia aper'l:a nelle difese del perimetro, le forze mobili italo-tedesche penetrarono nel perimetro difensivo, piegarono la resistenza dei difen· sori in preda alla sorpresa ed alla confusione, entrarono di slancio nell'abitato e costrinsero alla resa la guarnigione (30 mila uomini) che, salvo alcuni piccoli contingenti che riuscirono a mettersi in salvo, si dette prigioniera, compreso il generale Klopper comandante della piazzaforte. La resa di Tobruck coronò con la vittoria l'aspra battaglia di Ain el Gazala cominciata il 26 maggio e finita il 21 giugno, le cui caratteristiche fondamentali, per la parte italote<lesca, erano state: l'estrema rapidità di manovra, sempre aderente alla mutevolezza delle situazioni contingenti, l'iniziativa delle operazioni, mai perduta per effetto appunto di questa rapidità, la sempre più stretta collaborazione tra forze aeree e forze terrestri, e tra forze terrestri italiane e forze terrestri tedesche ( 111).
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Le direttive del Comando Supremo italiano avevano fin qui trovato applicazione completa; ora si sarebbe trattato di raggiungere sollecitamente la linea Sollum-Halfaya e quivi arrestarsi, in modo da dare inizio alla conquista di Malta. Il Comando Supremo italiano ed il Superasi nei giorni 21 e 22 giugno ed il maresciallo Kesselring, giunto il 22 in volo dalla Sicilia in Libia, confermarono l'opportunità di sospendere l'avanzata e sollecitarono la restituzione delle unità aeree per l'attacco contro Malta, ma il neomaresciallo Rommel, per ottenere il permesso di continuare l'inseguimento in territorio egiziano, si rivolse direttamente a Mussolini ed a Hitler. Hitler aveva deciso già un mese prima che, qualora il generale Rommel fosse riuscito a conquistare Tobruch, l'attacco contro Malta sarebbe stato revocato; Mussolini abbracciò l'idea di Hitler mutando il parere originario che il 21 giugno aveva sostenuto con grande calore proprio nei riguardi di Hitler; il Comando Supremo il giorno 24 dette il nulla osta condizionato per l'inseguimento del nemico in Egitto. L'unico che non si lasciò allrarre <lalla visione <lella conquista dell'Egitto fu il maresciallo Kesselring che nella riunione di Derna del 25 giugno - con i generali Bastico, Marchesi (comandante della aeronautica italiana in Libia), Barbasetti e l'ammiraglio Weichold (comandante della marina tedesca del Mediterraneo) - presieduta dal generale Cavallero, giunto in Libia lo stesso giorno, espresse con grande franchezza il suo punto di vista circa la gravità della situazione nel Mediterraneo e l'impossibilità per l'aviazione italo-tedesca di appoggiare l'avanzata del maresciallo Rommel fino ad Alessandria ed al Cairo. La quasi totalità delle forze aeree dislocate in Africa e in Sicilia avrebbe dovuto essere impiegata da subito per fronteggiare le esigenze del traffico marittimo senza la cui libertà non sarebbe stato possibile alimentare un'ulteriore avanzata dell'A.C.A. « Da due settimane » - disse il maresciallo Kesselring - « ritenevo necessario che in Libia si giungesse alla distruzione delle forze nemiche. Ancora a Tobruch ho pregato Rommel di anticipare le ulteriori azioni per evitare che il nemico si sottraesse. Il nemico, invece, si ritira; anche oggi si vedono duemila mezzi in ritirata. Se anche l'avversario fa alcune resistenze, il fatto è che avanziamo con facilità e come comandanti non dobbiamo lasciarci trascinare da questo oppio. Il nemico ritirandosi migliora la situazione, mentre noi non abbiamo mezzi per portare avanti le basi. Ho chiesto a Rommel 200 automezzi ma non ne ho avuto risposta. Ho dovuto lasciare ferme aliquote delle mie forze, per portare innanzi soltanto forze leggere ed impiegare i reparti della Grecia. Nonostante ciò
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ritengo che sia possibile raggiungere la linea di el Alamein, che toglie al nemico tutti i campi. Si potranno spingere oltre la linea soltanto elementi leggeri ... Il nemico può formare una massa (aerea) decisiva contro di noi. Io lo aspetto e lo temo ... A raggiungere altri obiettivi non è soltanto questione di benzina e di bombe ma anche di apparecchi. Ritengo di aver rappresentato la situazione in modo del tutto obiettivo e non penso che si possa andare oltre el Alamein. Di tale giudizio mi sento responsabile di fronte alla storia. Già ho detto a Rommel, e lo ripeterò, che i nostri cacciatori non sono più in grado di fermare gli attacchi nemici a bassa quota. Concludendo, devo assolutamente diffidare di un'avanzata a fondo. Se mi verrà l'ordine, obbedirò, ma non so quale possa essere l'epilogo della campagna in tal caso ... Comunque l'operazione Hercules cade per 2/3 » (112). Dei punti di vista del maresciallo Kesselring nessuno tenne conto. Il generale Cavallero il 26 giugno emanò la direttiva per l'occupazione, in un primo tempo, della stretta tra il golfo degli Arabi e la depressione di Qattara - base di partenza per ogni azione ulteriore - dopo l'eliminazione dei campi fortificati di Marsa Matruh-Bajush, e per l'occupazione, appena possibile, delle oasi di Giarabub e di Siwa. Il 27 giugno una nuova direttiva del Comando Supremo fissò le linee di azione per il proseguimento delle operazioni oltre la linea del golfo degli Arabi-depressione di el Qattara stabilendo come obiettivo il canale di Suez e prevedendo: l'occupazione del Cairo anche fronte a sud (aeroporti compresi), il blocco delle provenienze da Alessandria in modo da garantirsi da tale direzione fino a quando non fosse possibile occupare la piazza, il presidio dei punti principali della costa per assicurarsi le spalle da possibili ~r...:J dal mare, l'uguale rappresentanza di forze italiane e germaniche nell'avanzata verso il canale (113). Il 29 giugno giunse a Derna Mussolini che proseguì subito per Berta, sede del suo posto di comando, e che approvò le direttive del generale Cavallero per il proseguimento delle operazioni oltre le posizioni di el Alamein, conferì al generale Cavallero il grado di maresciallo d'Italia, visitò nei giorni successivi unità ed installazioni e rimase in attesa di poter entrare a cavallo nella città del Cairo . . Frattanto dal 22 giugno era cominciato l'inseguimento del nemico con un'aliquota di forze ridottissima che: attaccò il 23 giugno le posizioni di Sollum-Sidi Omar dalle quali il nemico riuscì a sganciarsi prima di essere accerchiato pur dovendo abbandonare materiali di ogni genere (tra l'altro un vasto deposito di carburanti); occupò Sidi el Barrani il 25 giugno; il 27 giugno accerchiò Marsa
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Matruh, da dove forti aliquote di truppe indiane riuscirono a sottrarsi alla cattura, e il 29 la occupò con il 7" reggimento betsaglieri del XXI corpo che entrò per primo nella piazzaforte espugnata ove furono complessivamente catturati circa 6 mila uomini, molte artiglierie e depositi di viveri e di carburanti; il 30 giugno giunse sulle posizioni antistanti alla linea di el Alamein. Qui l'avanzata italo-tedesca dovette arrestarsi per l'esiguità delle forze che erano state lanciate all'inseguimento. L'attacco sferrato il 1° luglio dal maresciallo Rommel falll soprattutto per l'intervento a massa dell'aviazione inglese che, padrona incontrastata del cielo, inflisse gravi perdite agli inseguitori e ne smorzò le ultime risorse di slancio. Il maresciallo Rommel fece proseguire l'attacco nella giornata del 2, ma oramai aveva meno di 40 carri armati e le sue truppe erano esauste. Egli compl un ulteriore sforzo il 3 luglio, con soli 26 carri armati, ma la sua azione, dopo aver proceduto per una quindicina di chilometri, fu definitivamente fermata da forze corazzate inglesi e da fanterie neozelandesi. Il giorno dopo, il 4 luglio, Rommel scrisse con tristezza: « Purtroppo le cose non stanno andando come vorremmo. La resistenza è troppo grande e le nostre forze quasi esaurite ». Il nemico aveva non solo parato i suoi colpi, ma anche replicato con energia. I suoi uomini erano troppo stanchi e troppo pochi per riuscire a compiere ulteriori tentativi ed egli si vide costretto a interrompere per il momento l'attacco in modo da concedere loro un po' di respiro, anche se ciò significava dar tempo ad Auchinleck di far affluire rinforzi in prima linea (114). Dal 10 al 27 luglio l'A.C.A. sostenne, infatti, una dura battaglia difensiva. Un attacco inglese il 10-12 luglio creò una situazione di grave crisi per le forze dell'Asse nel settore nord alla quale si fece fronte con un contrattacco in forze e con azioni locali, il 13 ed il 14, per rettificare la linea. Il 15-17 luglio un nuovo attacco inglese su Ruweisat venne contenuto a stento mediante un contrattacco sul fianco. Sulla fronte italo-tedesca riuscivano a giungere solo 300 t di rifornimenti al giorno, mentre gli inglesi facevano affluire liberamente rinforzi e rifornimenti e ]a loro aviazione acquistava sempre più il dominio del cielo. Il 22 luglio il generale Auchinleck lanciò un nuovo attacco ed il 27 un altro ancora nel settore nord, a Saryet el Miteiriya. L'armata italo-tedesca (A .I.T.) resisté e distrusse 146 carri inglesi nel primo e 70 nel secondo attacco britannico provocando così la stabilizzazione della fronte per l'intero mese di agosto. Alla fine di tale mese ed agli inizi del successivo - 30 agosto-5 settembre - falli il secondo ed ultimo tentativo delle forze italo-tedesche per avvolgere le forze britanniche ad el Alamein e, in pratica,
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ebbe fine la terza ed ultima fase della seconda controffensiva italotedesca in Africa settentrionale. Le decisioni cruciali della terza fase della seconda controffensiva italo-tedesca - 1° luglio-5 settembre 1942 - furono quelle riguardanti l'inseguimento dell'8" armata britannica in Egitto ed il mantenimento a qualunque costo delle posizioni di el Alamein - depressione di el Qattara, la prima ancor più cruciale della seconda in quanto comportò la rinunzia all'operazione su Malta. Entrambe furono adottate da Hitler e dall'Alto Comando tedesco: la prima su richiesta, la seconda contro il parere del maresciallo Rommel. Mussolini ed il Comando Supremo italiano accettarono rapidamente, sull'onda dell'ottimismo generale del momento, la prima, nonostante il parere inizialmente del tutto contrario e successivamente condizionante del maresciallo Kesselring; imposero la seconda sulla base di una difensiva concepita in una forma assai rigida consona ai terreni di ostacolo - come nella campagna di Grecia - inadatta ai terreni di facilitazione del movimento e ricchi di spazio di manovra. La corsa in avanti nel caso particolare non sarebbe stata di per sé un errore solo se si fosse stati sicuri che avrebbe potuto sostituire l'azione su Malta. La norma abituale del maresciallo Rommel di non concedere respiro al nemico in rotta, del tutto rispondente ai canoni strategici e tattici della dottrina militare non solo tedesca, soffre come tutte le regole generali di eccezioni. Per l'inseguimento e lo sfruttamento del successo sono necessarie forze fresche ed efficienti, tenute precedentemente in riserva, lanciate al momento opportuno in avanti, nella pienezza della loro capacità operativa, per tagliare al nemico le vie di comunicazione, rinserrarlo e distruggerlo. Il maresciallo Rommel quando chiese a Hitler ed a Mussolini l'autorizzazione all'inseguimento non tenne nessun conto dell'usura subita nella battaglia di Ain el Gazala e delle grandi distanze percorse nel deserto e, pur ricorrendo ad ogni virtuosismo ordinativo e logistico possibile, non riuscì a spingere in avanti che unità ridotte, di effettivi e di mezzi, a livelli assai inferiori al minimo tattico. Il XX corpo d'armata mosse: con l'Ariete che aveva in tutto solo 10 carri armati, 15 pezzi di artiglieria, 600 bersaglieri; la Trieste che aveva 4 carri armati, 24 pezzi di artiglieria, 1500 uomini di fanteria; la Littorio che aveva 30 carri armati, 11 pezzi di artiglieria, 1000 bersaglieri. Il X corpo d'armata marciò con la Brescia su 2 battaglioni (uno della Brescia e uno della Pavia), 1 reggimento bersaglieri e 7 gruppi di artiglieria (complessivamente 2000 uomini e 90 pezzi di artiglieria). Il XXI corpo d'armata, che prese il nome di gruppo d'inseguimento
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Navarrini - dal nome del generale comandante - avanzò con 1 battagJione granatieri controcarri, 2 battaglioni bersaglieri, 4 battaglioni di fanteria della Trento e 8 gruppi di artiglieria (complessivamente 3000 uomini e 100 pezzi). Anche le forze tedesche - 15• e 21,. divisioni corazzate, 90" leggera, III, XXXIII e DLXXX gruppo esplorante - , benché dotate di più abbondanti mezzi di trasporto, si lanciarono all'inseguimento con 90 carri armati efficienti in tutto. Nonostante gli sforzi compiti per portare avanti uomini e materiali, nell'attacco del 1-3 luglio contro le posizioni di el Alamein l'A.C.A. poté schierare: il X corpo con la Brescia su 2 battaglioni {12 autocarri per battaglione) appoggiati da 3 gruppi di artiglieria (2 da 100/17 e 1 da 75/27), con la Pavia sul solo reggimento di artiglieria di 3 gruppi (2 da 100/ 17 e 1 da 75 / 27) e con il 9° reggimento bersaglieri su 2 battaglioni appoggiati da 1 gruppo di artiglieria da 1O5 / 28; il XXI corpo con la Trento su 4 battaglioni appoggiati da 3 gruppi di artiglieria più il 7° bersaglieri su 3 battaglioni con 4 gruppi di artiglieria fra cui uno da 105/28; il XX corpo con la divisione Trieste su 5 battaglioni, 5 gruppi di artiglieria e 30 carri armati, la Littorio su 2 battaglioni bersaglieri, 1 batteria da 100, 12 carri L6 e 20 carri M; il C.T.A. (Corpo Tedesco d'Africa) con tutte e tre le divisioni senza però alcun lineamento organico e con soli 56 carri armati e 20 autoblinde. Gli inglesi difesero la stretta con 30 battaglioni, 40 bocche da fuoco e 130-150 carri armati in 1• schiera, mentre avevano dislocato in 2" schiera il X corpo d'armata (10" divisione indiana, forze della Francia Libera, 9" divisione australiana fatta affluire dal Medio Oriente) ed avevano in Egitto la 7"' e la 12" divisioni inglesi, la V brigata sudafricana (in ricostituzione) e la 10" corazzata (contratta su una sola brigata). Infine, erano segnalate in afflusso aliquote della 9n armata che disponeva ancora della 70" e della 8" divisioni inglesi incomplete e risultava che notevoli forze, fra cui una divisione americana di circa 10 mila uomini, stavano organizzando la difesa del canale. In conclusione, l'A.C.A. si schierò di fronte ad el Alamein con una forza inferiore al 30 % dei suoi organici e con percentuale ancora minore di armi, carri, automezzi. Vero è che la precipitosa ritirata inglese dalla frontiera cirenaico-egiziana prima ancora che gli italo-tedeschi vi fossero arrivati giustificò e rafforzò la decisione del maresciallo Rommel di procedere con la massima audacia e di assicurarsi il saldo possesso della stretta di el Alamein in attesa dei rinforzi richiesti e prima che il generale Auchinleck ne ricevesse altri, ma è altrettanto vero che quando il generale Auchinleck decise di abbandonare la frontiera libico-egiziana, la sua armata, sebbene assai demoralizzata, non era
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stata annientata, perché contava ancora su 3 divisioni di fanteria motorizzate quasi intatte e su di un numero di carri armati in condizioni di combattimento tre volte superiore a quello dell'A.C.A. Ma se l'audacia del maresciallo Rommel, sia nell'inseguimento sia nell'attacco dell'l-3 luglio alle posizioni di el Alamein - dove peraltro si lasciò sorprendere dalla difesa schierata sulla posizione di Deir el Shein che egli non credeva presidiata - può trovare una qualche giustificazione tattica, l'inseguimento in Egitto e l'annullamento dell'operazione su Malta furono un altro grave errore strategico di Hitler che Mussolini ed il maresciallo Cavallero non avrebbero mai dovuto avallare. A metà luglio, dopo gli attacchi britannici per assicurarsi il possesso delle alture di Ruweisat nel settore centrale della posizione del golto degli Arabi - depressione di Qattara ed i riusciti contrattacchi di arresto italo-tedeschi, il maresciallo Rommel - valutate le vaste proporzioni assunte dai preparativi britannici nell'ambito delle forze terrestri ed aeree (115) ed il ritmo sempre più lento dei rifornimenti dall'Italia e dalla Germania dovuto al fatto che Malta slava riprendendo in pieno la sua capacità offensiva ed il blocco britannico precludeva sempre più il traffico attraverso il Mediterraneo - in un colloquio avuto a el Dabà con il maresciallo Cavallero, presenti il maresciallo Kesselring ed i generali Bastico e Barbasctti, prospettò la opportunità di ripiegare dalla posizione di el AJ,amein non potendo garantire di attendere nemmeno una settimana per l'arrivo dei rinforzi promessi ed aggiunse che se il nemico avesse sfondato, non vi sarebbe ~tata altra soluzione che il combattimento temporeggiante per ritil rarsi lentamente (116). Alla determinazione del maresciallo Rommel di voler ripiegare sulle posizioni Sollum-Halfaya, il maresciallo Kesselring oppose la crisi che ne sarebbe derivata nei riguardi dei campi avanzati dell'aviazione dell'Asse ed il maresciallo Cavallero oppose la sua decisa contrarietà, ritenendo la decisione del tutto ingiustificata per il fatto che i rinforzi erano già in viaggio e sarebbero arrivati in misura tale da consentire alle forze italo-tedesche di resistere sulle posizioni raggiunte. Mussolini, che si trovava ancora in Cirenaica, messo al corrente della situazione dal maresciallo Cavallero, emanò il 19 luglio alcune sue personali considerazioni operative nelle quali, tra l'altro, era stabilito che la conditio sine qua non per preparare la battaglia del Delta era quella di conservare a qualunque costo le attuali basi di partenza, dovendosi scartare a priori ogni altra ipotesi (117). Nelle direttive erano anche indicati i provvedimenti da prendere per rafforzare lo schieramento in atto e, tra l'altro, si raccomandava di far affluire gradatamente in linea le divi-
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sioni presenti in Libia e non ancora impegnate (divisioni Bologna e Giovani fascisti) e quelle in arrivo o predisposte (divisioni Paracadutisti Folgore, Pistoia e Brennero) (118). Il nuovo attacco sferrato dagli inglesi all'alba del 22 luglio su tutta la fronte, con pressione prevalente nei settori centrale e settentrionale, confermò l'efficienza della preparazione be1Jica britannica. Il maresciallo Rommel, che aveva previsto l'azione inglese, riuscì ad avere ragione del nemico, mantenendo saldamente quasi tutte le posizioni e riconquistando que1Je passate momentaneamente al nemico, catturando 1400 prigionieri e distruggendo 146 carri armati (dei quali la gran parte del tipo Mark 2/S con pezzo da 75 mm). Le unità italo-tedesche, prodigandosi in eroismi, vincendo sé stesse, comportandosi abilmente e coraggiosamente - nella tenuta delle posizioni si distinsero particolarmente due battaglioni della Trento (III/61 e III/62), il 28° fanteria ed il 26° artiglieria della Pavia, il 19° fanteria ed il 1° artiglieria celere della Brescia, il 132° artiglieria dell'Ariete - resistettero anche ad attacchi di un considerevole numero di carri armati; sarebbe però bastato il cedimento anche di una piccola aliquota della difesa per far precipitare la situazione, che rimaneva tuttavia tesa e sarebbe divenuta particolarmente critica qualora il generale Auchinleck, che guidava personalmente l'azione con l'intendimento di sfondare al centro, avesse persistito nell'attacco, data la mancanza da parte italotedesca di riserve motocorazzate (il nemico disponeva ancora di 2 brigate corazzate) (119). Il maresciallo Rommel, consapevole della situazione, convinto che la lotta veniva sempre più trasformandosi in lotta di materiali, preoccupato più che nel passato del ritardo nell'afflusso dei rinforzi italiani e tedeschi fu indotto ad esaminare se non fosse il caso di emanare l'ordine di ritirata qualora il suo rivale avesse persistito nell'attacco con la sua dovizia di mezzi. Il maresciallo Bastico ricordò subito al maresciallo Rommel l'ordine preciso del Comando Supremo di resistere ad ogni costo sulle attuali posizioni (120), informò il Comando Supremo dell'intenzione del comandante tedesco ed il Comando Supremo confermò le direttive precedenti, aggiungendo: « comunque è ovvio che, in caso di avvenimenti impreveduti di vasta portata, comandi in sito devono prendere loro decisioni» (121). Di fronte a1Ja opposizione del Comando Supremo e del Superasi, il marescia1Jo Rommel finì con il concordare con la decisione di resistere in posto, ma non mancò di prospettare che, nel caso il nemico fosse riuscito a sfondare su di un determinato tratto della fronte, continuare a resistere in posto avrebbe significato costringere il troncone di difesa superstite (nord) a capitolare
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entro 24 ore, mentre quello sud, cencando scampo nel deserto, avrebbe in breve seguito la stessa sorte per mancanza di rifornimenti. Ciò avrebbe portato, oltre alla capitolazione dell'armata, anche alla perdita dell'Africa settentrionale. Sottrarsi, invece, tempestivamente al contatto con il nemico e affrontare un ordinato ripiegamento per avvicinarsi alle basi di rifornimento, con l'intento di salvare la massa dell'armata e quindi l'Africa settentrionale, sarebbe stata l'unica soluzione da adottarsi, qualora la sfortunata evenienza si fosse verificata. Egli, comunque, solo in caso estremo sarebbe ricorso alla manovra in ritirata (122). Non vi ricorse, difatti, il 27 luglio di fronte ad un nuovo attacco britannico questa volta notturno, diretto a sfondare in direzione di Saryet el Miteiriya nel settore settentrionale. Alla sera dello stesso giorno il nemico dovette desistere dopo aver perduto un centinaio di carri armati ed una trentina di camionette armate ad opera dei contrattacchi e del fuoco di artiglieria dell'armata italo-tedesca, appena rinforzata con gruppi di artiglieria inviati in linea dal Superasi. Così si concludeva la battaglia difensiva di el Alamein. Il nemico non era riuscito a sfondare per la pronta ed eroica reazione delle truppe italo-tedesche, specie delle fanterie e delle artiglierie divisionali. Combattendo insieme, e insieme aggrappati a sistemazioni difensive appena abbozzate, in un terreno privo d'appigli, fanti ed artiglieri avevano scritto col sangue pagine di gloria, infrangendo i ripetuti attacchi nemici e arginando le ondate di carri (123). Ma il maresciallo Rommel, dopo il fallito attacco britannico del 27 luglio, non mutò il suo intimo convincimento che, sia pure in caso estremo, non si sarebbe dovuto rinunziare al ripiegamento al quale, difatti, farà ricorso il 2 novembre. Il 17 luglio il maresciallo Rommel scrisse ai familiari: « Al momento le cose stanno andando decisamente male per me, sul piano militare almeno. Il nemico sfrutta la sua superiorità, specialmente in termini di fanteria, per distruggere una dopo l'altra le formazioni italiane, e le formazioni tedesche sono di gran lunga troppo deboli per resistere da sole. Ci sarebbe da piangere» (124). Da queste parole appare chiaro quanto egli fosse cambiato dopo il fallimento delle operazioni dell'l-3 luglio.
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NOTE AL CAPITOW XXXV (1) Ministero della Difesa. Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio Storico, Seconda controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale. Da el Agheila a el Alamein ( gennaio-settembre 1942). Tipografia Regionale, Roma, 1951, p. 41.
(2) Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio Storico, La campafl.na di Grecia. Tomo II. Documenti. FUSA, Roma, 1980, documento n. 167, p. 496. (3) Vds. cap. XXIV, P. 137. ( 4) La 5a divisione leggera tedesca aveva la seguente formazione: comando divisione (gen. Streich); 1 gruppo esplorante (2 compagnie autoblindo, 1 compagnia motociclisti, 1 compagnia armi pesanti); 2 gruppi «caccia-carri», ciascuno su 3 compagnie di 9-12 pezzi controcarri (da 50 o da 37 mm): in totale 30 pezzi mod. 3, con il carrello per il trasporto in terreno sabbioso; 2 battaglioni mitraglieri motorizzati, con efficaci armi controcarro, 1 compagnia pionieri per battaglione, tutti su aulOlllezzÌ blindati; 1 gruppo misto contraerei (pezzi da 88 e da 37 mm); 15 colonne di rifornimento. (5) A Bordeaux fu costttmra la base dei sommergibili italiani operanti nello Atlantico e nel canale della Manica. I primi vi giunsero nell'agosto del 1940. Durante il 1940 si dislocarono a Bordeaux 27 unità italiane; nel 1941 ve ne giunsero altre 4 provenienti da Massaua; nel 1942 ancora una. Ne andarono persi 16 e 10 furono fatti rimpatriare nel 1941; nel trasferimento nel Mediterraneo, via Gibilterra, non si ebbero perdite. (6) Kesselring Alberi (1885-1960). Entrato nell'esercito bavarese nel 1906, fu poi ammesso nella Reichswehr, e si specializzò nell'arma aerea. Nel 1940 divenne capo di stato maggiore dell'aeronautica: il vero capo della Luftwaffe. Nel 1941 venne nominato capo delle forze tedesche nell'Italia del sud. Nel 1943 assunse il comando delle forze tedesche in Italia che lasciò al generale Heinrich Vietinghoff nel mat1,0 del 1945 ed assunse, in sostituzione del maresciallo von Rundstedt, il comando della fronte occidentale. Fatto prigioniero dagli americani, venne processato a Venezia dalla corte marziale inglese che lo condannò a morte, pena poi commutata nell'ergastolo. Dopo sette anni di carcere fu amnistiato. (7) Regio Decreto Legge n. 661 del 27-Vl-1941 (circolare 576, G.M. 1941, p. 1738) Modificazioni alle vigenti disposizioni relative alla carica di Capo di Stato Maggiore Generale e alle sue attribuzioni. (8) Legge n. 1507 del 5-Xll-1941 (circolare n . 89, G.M. 1942, p. 237) Conversione in legge del R.D.L. n. 661 del 27-VI-1941. (9) Ugo Cavallero, Comando Supremo Diario 1940-43. Arti Grafiche F. Cappelli, Rocca S. Casciano, 1948. (10) Vds. nota n. 36 del capitolo XXXIII. (11) Comando Supremo. Op. cit., p. 102.
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(12) Francesco Rossi ( 1885-1976), generale cli corpo <l'armata. Sottotenente di artiglieria nel 1906. Prese parte alla guerra 1915-'18 con i gradi di capitano e di maggiore, prestando servizio nel 200 reggimento artiglieria e al comando della 17• <livisionc cli fanteria. Frequentò i corsi della scuola di guerra e prestò, dal 1921 al 1925, servizio presso lo stato maggiore dell'esercito e il gabinetto del ministro della guerra. Da colonnello comandò il 9° artiglieria pesante campale. Nel 1935 fu capo di stato maggiore del corpo d'armata di Pavia. Da generale di brigata fu comandante dell'artiglieria del corpo d'armata di Milano, poi intendente della l'· armata, e successivamente capo reparto dello stato maggiore dell'esercito. Nel mano <ld 1937 venne nominato sottocapo di stato maggiore dell'esercito, e nel gennaio del 1942 sottocapo di stato maggiore intendente dell'esercito. Promosso generale <li corpo d'armata nell'ottobre del 1942 fu nominato sottocapo di stato maggiore generale nel febbraio del 1943. (13) Comando Supremo. Op. cit., p. 103.
(14) Vds. nota n. 45, cap. XXV. ( 15) Ministero della Difesa. Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio Storico, La prima controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale (15 febbraio - 18 novembre 1941 ). Tipografia Regionale, Rom~ . 1974, p. 271. (16) Ibidem. (17) Ibidem, p. 272.
(18) Comando Supremo. Op. cit., p. 105. (19) Ibidem, p. 107. (20) La prima controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale. Op. cit., p. 273. (21) Comando Supremo. Op. cit., p. 158.
(22) Ibidem, p. 176. (23) Ibidem, p. 175. (24) Ibidem. (25) Ibidem, p. 188. (26) La prima controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale. Op. cit., p. 271.
(27) Ibidem, p. 291. (28) Ibidem, p. 292. (29) Ibidem. (30) Ibidem, p. 290. (31) Ibidem, p. 294. (32) Comando Supremo. Op. cit., p . 146. (33) Ibidem, p. 251.
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(34) Seconda controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale. Op. cit., gato n. 42 bis, p. 375 e Comando Supremo, Op. cit., p. 274.
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(35) Ibidem, allegato n. 43, p. 377 e ibidem, p. 277. (36) Ettore Bastico (1876-1972), maresciallo d'Italia. Sottotenente dei bersaglieri nel 1896. Frequentò la scuola di guerra e col grado di capitano prese parte alla campagna italo-turca. Dal_1902 al 1905 aveva frequentato la scuola di guerra ed aveva prestato servizio presso il comando del corpo di stato maggiore e presso i comandi dell'VIII corpo d'armata di Firenze e della divisione militare di Cuneo. Durante la prima guerra mondiale assolse importanti incarichi di comando e di funzioni di stato maggiore presso la 5Qa e la 28" divisione di fanteria. Dal 1919 al 1923 fu insegnante presso la Regia Accademia di Livorno, e scrisse, come sviluppo delle sue lezioni, la poderosa opera Evoluzione dell'arte della guerra. Comandante del 9<' bersaglieri dal 1923 al 1927, fu poi nominato direttore della Rivista Militare e comandante della Scuola Centrale di Educazione Fisica. Da generale di brigata e da generale di divisione comandò la XIV brigata di fanteria, la l" divisione celere e la divisione militare di Bologna. Delineatosi il conflitto italo-etiopico, costitul la 1• divisione CC.NN. 23 marzo e con essa partl per l'Eritrea dove, promosso generale di corpo d'armata, costituì il III corpo d'armata speciale A.O. Nel 1936 comandò il corpo d'armata di Alessandria, che lasciò per diventare, il 15 aprile 1937, comandante del C.T.V. in Spagna. Dal 22 ottobre 1937 venne promosso generale designato d'armata e dal 26 agosto 1938 generale d'armata per merito di guerra. Assunse il comando della 2" armata e poi quello dell'armata del Po. Nel 1939 fu nominato senatore; il 10 dicembre 1940 venne nominato governatore delle isole italiane dell'Egeo, e il 10 luglio 1941 governatore generale della Libia e comandante superiore delle FF.AA. <ldl'Africa settentrionale. Il 12 agosto 1942 venne nominato maresciallo d'Italia_ (37) Comando Supremo. Op. cit., p. 346. (38) B. H_ Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Mondadori, Verona, 1971, p. 192. (39) Dal gennaio 1941 al giugno 1942 l'Italia perse 432 513 t di naviglio mercantile. (40) Veds. precedente nota n. 15. (41) La prima controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale. Op. cit., allegato n. 1, p. 301. (42) Il Superasi, in data 20 febbraio, inviò al Ministero della Guerra il seguente specchio: A) Formazione grandi unità: 1. Comando Superiore forze armate AS.: generale designato d'armata Italo Garibaldi: -
comando superiore dei carabinieri reali, comando superiore artiglieria, comando superiore genio, intendenza A.S., autoraggruppamento del Comando Superiore;
2. X corpo d'armata: generale di corpo d'armata Alberto Barbieri:
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- divisione di fanteria Bologna (gen. Pietro Maggiani), - divisione di fanteria Pavia (gen. Pietro Zaglio), - divisione corazzata Ariete (gen. Ettore Baldassare}; 3. Campo trincerato di Tripoli: generale div. Carlo Spatocco: - divisione di fanteria Brescia (gen. Giuseppe Cremascoli), - divisione di fanteria Savona (gen. Mario Marghinorti), - distaccamento divisione fanteria Sabratha (gen. Guido Della Bona), - guardia alla frontiera (gen. Dino Parri), - piazzaforte di Tripoli (gen. Edoardo Zuarra), - truppe libiche; 4. Comando Sahara libico. 5. Presidio di Giarabub. B) Unità disciolte: - comando 5" armata; - territorio sud cirenaico; - territorio sud tripolino. C) Unità da considerare disciolte: - comando 1~ armata; - comando XX corpo d'armata; - comando XXI corpo d'armata; - comando XXII corpo d'armata; - comando XXIII corpo d 'armata; - gruppo divisioni libiche; - divisione fanteria Sirte; - divisione fanteria Circne; - divisione fanteria Catanzaro; - divisione fanteria Marmarica; - divisione camicie nere 23 marzo; - divisione camicie nere 28 ottobre; - divisione camicie nere J gennaio; - divisione fanteria Sabratha; - brigata corazzata speciale; - comando artiglieria di manovra; - raggruppamento Maletti. La situazione della forza dislocata in Llbia alla data del 20-II-1941 era: 5 900 ufficiali, 7 083 sottufficiali, 100175 truppa nazionale, 15 871 truppa libica (totale 123 075), 4 658 quadrupedi (cavalli, muli e asini), 2 806 cammelli, 139 582 fucili e moschetti, 5 449 mitraglatrici, 1 037 cannoni (119 controcarri, 196 contraerei, 722 altri tipi), 600 mortai d'assalto, 209 carri assalto, carri medi e autoblindo, 3 986 automezzi efficenti, 1 284 automezzi inefficienti, 1 290 motomezzi effcicnti, 424 motomezzi inefficienti. (43) La prima controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale. Op. cit., p. 41. (44) Ibidem, allegato n. 9, p. 313.
(45) La relazione del comando del Corpo tedesco Afrika indicava anche le forze tedesche e italiane occorrenti per la prosecuzione dell'operazione dopo l'annientamento delle forze britanniche della Grenaica:
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- per il C.T.A.: 3 gruppi esploranti (pionieri, batterie semoventi, caccia-carri plotoni su Volkswagen, cicogne), 3 gruppi di artiglieria pesante motorizzata con t comando di reggimento, 1 gruppo nebbiogeni , 3 battaglioni pionieri lanciafiamme:: dotati di fuciloni controcarro e montati su Volkswagen in sostituzione di carri lanciafiamme, 3 plotoni autonomi su Volkswagen (fuciloni controcarro, mitragliatrici, pistole mitragliatrici, aereo di collegamento), l reggimento paracadutisti, l comando per il quartier generale della Libia; - per il potenziamento della 5~ divisione leggera: l comando reggimento di artiglieria, 1 gruppo di artiglieria leggera motorizzata, 1 gruppo artiglieria pesante motorizzata, 1 battaglione su Volkswagen (al posto del battaglione motociclisti), l battaglione pionieri corazzato; - per la parte italiana: artiglieria di corpo d'armata: 2 reggimenti motorizzati (possibilmente calibro 150 a sostegno del X corpo d 'armata italiano e del C.T.A.), artiglieria contraerei: 1 gruppo motorizzato per divisione, su 3 batterie pesanti e 2 leggere (in totale 6 gruppi); reparti anticarro, motori:Gzati: 2 reggimenti (ciascuno su 3 gruppi), possibilmente di grosso calibro; truppe del genio: 10 battaglioni (almeno in parte motorizzati) e 5 battaglioni lavoratori stradali (motorizzati) per i lavori connessi con l'avanzata delle truppe celeri; squadre idriche con impianti di sonde (motorizzate) nel numero di 1 squadra per divisione; - per l'aviazione: per la ricogni7.ione ed il collegamento, 1 squadriglia da ricognizione lontana per il X corpo, l squadriglia da ricognizione e 1 squadriglia da collegamento per l'« Ariete»; per il combattimento aereo, 1 gruppo Ju 87 (Stuka), 3 gruppi caccia-bombardieri, 2 gruppi bombardieri; per i rifornimenti, 3 gruppi da trasporto, su 30 apparecchi ciascuno e adeguata organizzazione a terra. (46) Brauchitsh Walter (1881-1948), maresciallo del III Reich. Nella prima guerra mondiale fece parte del comando della 16'• armata e partecipò alla battaglia di Verdun. Nel 1930 fu a capo del reparto per l'educazione dell'esercito e nel 1932 fu a capo di tutte le forze terrestri. Nel 1938 divenne capo di stato maggiore dell'esercito e trasformò la Wehrmacht in una formidabile macchina da guerra. Nel 1941 sostenne contro il parere di Hitler la necessità di ritirare le forze operanti contro Mosca su linee più sicure. Fu esonerato dall'incarico. {47) Franz Halder (1884-1963), generale tedesco. Fu capo dell'Ufficio operazioni nel 1936, e dal 1938 fu nominato da Hitler capo di stato maggiore dell'esercito. Fu il supervisore dei piani di attacco alla Polonia, alla Francia e alla Russia, ma i suoi rapporti con Hitler andarono via via peggiorando per le continue interferenze di carattere tecnico-militare che quest'ultimo frapponeva ai disegni di manovra. Fu esonerato dalla carica nel settembre del 1942. Arrestato dopo il complotto del 1944, sebbene non vi fosse coinvolto, fu tenuto in prigione fino al maggo 1945. Dopo la fine della guerra si dedicò a ricerche storico militari e fu consulente del governo della Germania Federale. Scrisse Hitler als Feldherr. (48) La prima controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale. Op. cit., p. 41. (49) Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., P. 241. (50) L'ordine di battaglia delle forze armate in Africa settentrionale al 1° aprile 1941 era il seguente: Comando Superiore Forze Armate A.S. (Superasi):
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- comandante: gen. designato d'armata Gariboldi Italo; - capo di stato maggiore: gen. di brigata Miele Alighiero; - direttore servizi del porto di Tripoli: gen. di divisione Giordano Edoardo; - generale a disposizione: gen. di brigata Chiricleison Domenico; - comando superiore carabinieri reali (8 sezioni motorizzate); - comando superiore artiglieria (gen. di brigata Benelli Cesare): 5° raggruppamento artiglieria di armata (4 gruppi da 149/35), 2° reggimento contraerei autocampale (2 gruppi da 88/56, 1 gruppo da 75/48 Skoda, 1 gruppo da 75/48 da posizio ne, 1 gruppo autocampale da 75/ 27 C .K.), 2" reggimento artiglieria edere (2 gruppi da 75/27, 1 gruppo da 100/17), 16° reggimento artiglieria (3 gruppi da 105/28), l gruppo cvntraerci da 20 mm della M .V.SN. (5 hattcrie); - comando superiore genio (gen. di divisione G rosso Luigi): l " raggruppamento speciale genio (1 battaglione artieri minatori su 5 compagnie, 1 battaglione guastatori su 2 compagnie, 1 battaglione idrici su 4 compagnie, 1 battaglione speciale su 3 compagnie e 1 sezione cioematografisti, 1 battaglione artieri su 2 compagnie), 2° raggruppamento speciale genio (5 battaglioni collegamenti di cui: 2 su 3 compagnie e l colombaia mobile, 2 su 3 compagnie, 1 su 3 compagnie, 1 reparto o fficine mobili; 1 colombaia mobile, 1 compagnia collegamenti P .F.T.); l raggruppamento compagnie lavoratori {l battaglione su 4 compagnie lavoratori e una compagnia fotoelettrìcisti, 1 battaglione su 5 compagnie, l bauaglione su 2 compagnie lavoratori , 1 autonoma, 1 compagnia deposito); io raggruppamento compagnie lavoratori (4 battaglioni lavoratori dei quali 2 su 4 e 2 su 5 compagnie lavoratori); 1 autogruppo speciale genio (3 compagnie e 1 reparto servizi); - intendenza A.S. (gen . di brigala Romano Giuseppe): stato maggiore, quartier generale, dirdione di sanità, direzione di commissariato, direzione genio, direzione trasporti, direzione di artiglieria, direzione automobilistica, direzione amministrazione, direzione delle tappe, direzione postale, ufficio legnami, direzione ippica e veterinaria, servizio presidi ( I reggimento e 2 battaglioni T.M.); - autoraggruppamento del comando superiore ( l autogruppo su 3 autoreparti pesanti, 1 autogruppo su 2 autoreparti pesanti, 1 autoreparto carterpillar su 1 officina, 1 commissariato movimento stradale, 1 reparto autonomo carristi); - divisio ne corazzata Ariete (gen. di d ivisione Baldassarre Ettore): stato maggiore, qu>1.rtier gem:rale (reparto comando, 2 sezioni motoriZ7.ate carabinieri reali, 1 drappelJo automobilistico, 1 nucleo movimento stradale, 1 ufficio postale), 8° reggimento bersaglieri (1 battaglione motociclisti, 2 battaglioni autoportati, 3 compagnie cannoni da 47 /32 aulocarrate), 32'' reggimento fanteria carrista (3 battaglioni carri L e 2 battaglioni carri M 13/40 di cui uno con solo personale), 1320 reggimento artiglieria per divisione corazzata {2 grup1>i da 75/27-06 su 3 batterie, 3 batterie da 20 mm), 1 compagnia mista genio per divisione corazzata, 1 sezione sanità, 3 ospedali da campo, 1 nucleo clùrurgico, 1 sezione sussistenza, 1 squadra panettieri con forni Weiss, 2 auto reparti misti per d ivisione corazzata, rinforzi (10 pezzi da 37 /54 e 1 gruppo da 105/28 su 3 batterie, 1 battaglione della divisione «Bologna»); - divisione motoriZ:Gata Trento: stato maggiore, quartier generale (reparto comando, 2 sezioni motorizzate carabinieri reali , 2 uffici postali, 1 drappello automobilistico, 1 nucleo movimento stradale), 61° e 62° reggimenti fanteria motorizzati, 7° reggimento bersaglieri per divisione motorizzata, 1 battaglione mitraglieri motorizzato, 3 <.'Ompagnie cannoni da 47 /32 autocarrate, 46° reggimen to artiglieria d.f. (2 gruppi cannoni da 75/27-11 T.M ., 1 gruppo obici da 100/17-14 T.M., 2 ballerie eia
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20 mm), 1 battaglione misto genio per d.f. (1 compagnia artieri con parro, 1 compagnia telegrafisti con sezione fotoelettrica autocan:ata, 1 sezione marconisti, 1 sezione fotoeletricisti autocarrata), 1 sezione sanità, 1 sezione sussistenza, 1 autoreparto misto (1 romando con autofficina, 1 nucleo soccorso stradale, 3 autosezioni leggere, 1 autosezione autocarrctte, 1 sezione carburanti di autopesanti, 1 sezione carburanti di motocicli), clementi non di assegnazione organica (3 ospedali da campo, 1 nucleo chirurgico, 1 squadra panettieri con forni rotabili mod. Weiss); - X corpo d'armata (gen. di corpo d'armata Barbieri Alberto): stato maggiore, comando artiglieria, comando genio, direzione sanità, direzione commissariato, quartier generale, autodrappello, 2 sezioni motorizzate carabinieri reali, 2 battaglioni carri L, l raggruppamento artiglieria (2 gruppi da 105/28 su 3 batterie e 1 gruppo da 100/17 su 3 batterie), 1 battaglione collegamenti, 1 compagnia trasmettitori, 1 autofficina collegamenti, 1 battaglione speciale artieri, 12 ospedali da campo, 1 ambulanza radiologica, 1 ambulanza odontoiatrica, 2 nuclei chirurgici, 1 sezione disinfezione, 1 sezione sussistenza, 1 sezione panettieri su 2 squadre. elementi di rinforzo (2 battaglioni libici, 16° raggruppamento artiglieria su 3 gruppi da 105/28 ciascuno su 3 batterie, 16° fanteria su 2 battaglioni e 1 compagnia mortai da 81, 1 gruppo da 100/ 17 su 3 batterie, 2 gruppi da 75/48 Skoda su 2 batterie, l rompagnia marconisti). Il X corpo d'armata raggruppava: - divisione fanteria Pavia (gen. di brigata Zaglio Pietro): stato maggiore, quartier generale, sezione mista carabinieri reali e ufficio postale con nucleo carabinieri, 27° reggimento fanteria (3 battaglioni, l compagnia mortai da 81, l batteria da 65/17), 28° reggimento fanteria (idem come 27°), 3 compagnie cannoni da 47/32, 3° reggimento artiRlit:ria celere (2 gruppi da 75/27-11 su 2 batterie, 3 batterie da 20 mm), 1 battaglione complementi, 1 battaglione genio, 1 sezione sanità, 1 sezione sussistenza, l autosezione mista, elementi di rinforw (1 battaglione carri L, 1 gruppo da 105/28 su 3 batterie, 1 gruppo da 75/48 Skoda su 2 batterie, 2" reggimento artiglieria celere su 2 gruppi da 75/27-11 su 2 batterie, 1 gruppo da 100/17 su 3 batterie, 2 batterie da 20 mm), elementi difesa costiera (2 batterie da 75/27 da posizione, 1 compagnia mitraglieri da posizione); - divisione fanteria Bologna (geo. divisione Marghinotti Mario): stato maggiore, quartier generale, 39" reggimento fanteria (3 battaglioni, 1 compagnia mortai da 81, l batteria da 65/17), 400 reggimento fanteria (idem come 39"), 3 compagnie cannoni da 47 /32, 205° reggimento artiglieria (2 gruppi da 75/27-06, 1 gruppo da 75/27-11, 3 batterie da 20 mm ), I battaglione complementi, 1 battaglione genio, 1 sezione sanità, l sezione sussistenza, 1 autcsezionc mista, elementi di rinforzo (1 battaglione carri L); - divisione fanteria Brescia (gen. di divisione Zambon Bartolo): stato maggiore, quartier generale, 19" reggimento fanteria (3 battaglioni, 1 compagnia mortai da 81, 1 batteria da 65/17), 200 reggimento fanteria (idem come 19"), 3 compagnie cannoni da 47 /32, 1° reggimento artiglieria celere (2 gruppi da 75/27-11 su 2 batterie, 3 batterie da 20 mm), 1 battaglione complementi, 1 sezione sanità, 1 sezione sussistenza, 1 autosezione mista, elementi di rinforzo (1 gruppo da 105/28 su 3 batterie, 1 compagnia da 47/32); - XX corpo d'armata (gen. di divisione Spatocco Carlo): stato maggiore, comando artglieria, comando genio, direzione sanità, direzione commissariato, quartier generale (reparto comando, sezione motorizzata carabinieri reali, ufficio postale), 1 battaglione speciale artieri su 2 compagnie, 1 battaglione collegamenti, 13 ospedali da campo, 3 nuclei chirurgici, 1 sezione bonifiai gassati, 1 ambu1,rn7.'l odontoiatrica, 1 sezione
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disinfezione, 1 compagnia chimica, 1 sezione panettieri con forni Weiss, 1 sezione sussistenza. Il XX corpo d'armata raggruppava: · divisione di fanteria Savona (gen. di divisione Maggani Piero): stato maggiore, quartier generale, 15° reggimento di fanteria (3 battaglioni, 1 compagnia mortai da 81, 1 batteria da 65/17), 16° reggimento fanteria (idem come 15° meno la compagnia mortai), 12" reggimento artiglieria (1 gruppo da 100/17 su 2 batterie, 1 gruppo con 2 batterie da 105/28 e 1 batteria da 75/27-06, 3 batterie da 20 mm), 1 compagnia cannoni da 47 /32, 1 battaglione complementi, 1 battaglione genio, 2 compagnie collegamenti, 1 sezione sanità, 1 sezione sussistenza, 1 autosezione mista; · settore di copertura di Nalut (XXIX): 1 000 uomini circa di fanteria, 2900 raggruppamento artiglieria (3 gruppi da 77 /28 su 2 batterie), 1 reparto misto del genio, 4 compagnie mitraglieri da posizione libiche, 1 squadrone « spahis »; · settore di copertura della Chibla; 1 compagnia cannoni da 75/32, 1 batteria da 77/28, 1 compagnia libica, 3 compagnie mitraglieri da posizione libica, 1 banda irregolare della Oiibla, 1 banda irregolare Gialo; · settore di copertura di Zuara (XXVIII): 3 500 uomini circa di fanteria, 38° raggruppamento artiglieria (1 gruppo da 75/27 su 3 batterie, 1 gruppo da 75/27 su 2 batterie da 75/27 e 1 batteria da 77/28, 1 gruppo da 75/27 su 2 batterie, 1 gruppo da 149/12 su 2 batterie, 1 gruppo da 75/27 su 2 batterie, 4 compagnie mitraglieri da posizione libiche, 1 comando raggruppamenlo cavallt:ria libica - 1 gruppo squadroni Spahis su 4 squadroni, 1 gruppo squadroni Savari su 4 squadroni, 1 gruppo squadroni Spahis su 3 squadroni - , 3 compagnie automitragliatrici, difesa costiera - sottosettore Zuara con 1 battaglione costiero e 1 gruppo da 27 /28 su 2 batterie e sottosettore costiero Zavia su 1 battaglione di fanteria, 1 compagnia presidiarla, 1 squadrone cavalleria libica, 1 gruppo da 77/28 su 2 batterie); · settore Homs (generale divisione Della Bona Guido): distaccamento divisione Sabratha (stato maggiore, quartier generale, reggimento di fanteria di formazione Sabratha su: 2 battaglioni, 2 compagnie mortai da 81, 2 batterie da 65/17, 3 battaglioni mitraglieri, 2 compagnie cannoni da 47 /32, elementi 100 reggimento bersaglieri, 1 raggruppamento artiglieria su: 1 gruppo da posizione da 100/17 su 2 batterie, 2 batterie da 75/27, 1 gruppo da 100/17, 1 battaglione genio, 1 ospedale da campo, 1 sezione sussistenza, 1 autosezione mista), presidio di Beni Ulid (1 battaglione libico e 1 sezione carabinieri reali motorizzata), difesa costiera (sottosettore costiero Homs con 1 gruppo su 2 batterie da 75/27 e 1 batteria da 77/28, 1 compagnia camicie nere; sottosettore costiero di Zliten con 1 gn1ppo artiglieria costiera su 1 batteria da 75/27 e 1 da 77/28, 1 compagnia mitraglieri da posizione libica, 1 compagnia rnitraglieri complementi, sottosettore costiero Misurata con 1 battaglione complementi, 1 compagnia presidiaria, 1 gruppo di artiglieria su 3 batterie da 77/28 e 1 batteria da 75/27-06); • cinta fortificata di Tripoli: settore costiero ovest {XXXIII settore G.a.F. di Zanzur): 1300 uomini circa di fanteria, 3300 raggruppamento di artiglieria (1 gruppo su 2 batterie da 149/ 12, 1 da 210/8, 1 da 77/28, 1 gruppo su 3 batterie da 149/35, 2 gruppi su 2 batterie da 77 /28), 1 nucleo misto genio, elementi di rinforw (1 battaglione complementi); settore centrale (XXXIV settore G.a.F. di Suani ben Adem): 1100 uomini circa di fanteria, .340° raggrupi:;amento artiglieria {l gruppo da 149/12 su 3 batterie, 2 gruppi da 77 /28 uno su 2 e uno su 3 batterie, 1 gruppo da 105/28 su 2 batterie), elementi di rinforzo (1 battaglione di fanteria, 1 battaglione di complementi); settore di Castel Benito CXXXV settore G.a.F.): 1 000 uomini circa di fanteria, 3500 raggruppamento artiglieria (1 gruppo su 2 batterie da 120/25 e 1 bat-
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teria da 100/17, 1 gruppo da 77/28 su 2 batterie, l gruppo da 149/35 su 2 batterie, 1 gruppo da 120/25 su 2 batterie), elementi di rinforw (1 battaglone di fanteria); settore Tarhuna: 2 battaglioni di fanteria, 1 battaglione di complementi, 1 gruppo squadroni mitraglieri, 1 gruppo artiglieria di formazione (2 batterie da 120/25, 1 da 149/35, 1 sezione da 100/17); settore costiero est: 1 battaglione di fanteria, J gruppo squadroni mitraglieri, 3° raggruppamento artiglieria di armata (2 gruppi su 3 batterie da 149/35, 1 gruppo su 2 batterie da 77/28 e 1 batteria da 149/12, 1 gruppo su 2 batterie da 77/28); - piazzaforte di Tripoli (generale di divisione Quarra Sito Edoardo): difesa contraerei: 300 raggruppamento artiglieria costiera contraerei (1 gruppo su 3 batterie da 76/40 costiere e contraerei e 1 batteria da 77 /28 e.a., 1 gruppo da posizione su 3 batterie da 77/28 e.a. e 1 batteria da 76/ 40 e.a.a e cost., 1 gruppo e.a. da posizione su 2 batterie da 76/40 e.a. e 2 batterie da 75/45 e.a. della. M.V.S.N., 1 gruppo artiglieria Milmart su 3 batterie da 102/35 e.a. e cost., 2 gruppi e.a. su 3 batterie da 88/56 e.a. ciascuno), difesa costiera: 1 battaglione di fanteria, 1 battaglione complementi, 1 battaglione di camicie nere, 1 battaglione costiero di camicie nere, 2 battaglioni di camicie nere A.S., 2 compagnie mitraglieri da posizione libiche, 2 batterie da 190/39, 2 gruppi da 149/35 ciascuno su 3 batterie; - comando Sahara libico (colonnello Piatti dal Pozzo Umberto): settore J-lon: 1 battaglione libico, 1 compagnia cannoni da 47 /32, 2 compagnie mitraglieri da posizione libiche, 2 compagnie sahariane, 1 batteria da 77/28, 1 reparto autonomo da 20 mm, 1 gruppo irregolare « Giofra », 1 compagnia mista del genio, 2 apparecchi Ghibli, 7 apparecchi Cr. 42, l apparecchio Ca 133, 1 compagnia mitraglieri da posizione libica a Brak, 1 batteria da 77 /28 a Brak, 6 apparecchi S. 81 a Brak, 2 app-arecchi Ghibli a Brak; settore Ubari-Serdeles-Ghat: 3 compagnie mitraglieri da posizione libiche, 2 compagnie meharisti, 1 gruppo carrellato tuaregh; settore MurzukSebha: 2 compagnie sahariane, 2 batterie da 77/28, 1 compagnia meharisti, 3 apparecchi Ghibli; settore Zella-Tagrifet: 1 compagnia sahariana, 1 compagnia libica, 1 plotone mitraglieri, 1 batteria da 75/27. La situazione della forza dislocata in Libia (esclusi i tedeschi) alla data del 1° aprile 1941 era la seguente: 6 916 ufficiali, 8 263 sottufficiali, 117 084 nazionali truppa, 15 652 libici truppa (complessivamente 140 999 uomini), 4 840 quadrupedi (cavalli, muli e asini), 2 738 cammelli, 142 528 fucili e moschetti, 6 112 fucili mitragliatori e mitragliatrici, 1 431 pezzi (403 controcarri, 337 cuntraeei, 691 altri tipi), 765 mortai, 309 carri di assalto, carri medi, autoblindo. Le forze italo-tedesche (esclusi i distaccamenti del Sahara) che dettero inizio alla controffensiva ammontavano complessivamente a 3 divisioni di fanteria e 2 divisioni corazzate, suddivise in 2 nuclei: 5" divisione leggera tedesca, Ariete e Brescia nella zona avanzata di el Aghei la; Pavia e Bologna, in posizione arretrata nella zona di Sirte. La loro consistenza complessiva era di 37 000 uomini, 46 carri M, 209 carri L, 498 pezzi di artiglieria del X corpo d'armata italiano; 9 300 uomini, 30 carri armati, 2 compagnie autoblindo, 111 pezzi controcarri, 2 000 automezzi della .5" divisione leggera tedesca. (51) In base alle notizie allora in possesso Jel Comando Superiore italiano in Libia, alla data del 28 febbraio, la situazione delle forze nemiche era la seguente: - tra cl Agheila e Marada: gruppo di sostegno e 1 reggimento blindato; - a sud di Agheila; reparti ANZAC (Australia-New Zealand Army Corps ) e 4a divisione corazzata;
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- nel sud bengasino: 7.. divisione corazzata e brigata Francia libera (1 battaglione); - tra Bengasi e Dcrna: 2° corpo ANZAC (2 divisioni); - a Tobruch: reparti imprecisati; - a Bard.ia e Marsa Matruh: 6.. divisione inglese, divisione neozelandese, divisione polacca; - nella zona del Delta: una divisione corazzata inglese, 1., divisione motorizzata inglese London, una divisione inglese, una divisione ANZAC, una divisione indiana, una divisione neo1.clandese, elementi di nazioni varie; - nella zona del Canale: divisione anglo-indiana e reparti imprecisati; - in Palestina: 8" divisione inglese, 7a divisione australiana. Nella sua relazione del settembre 1941 il generale Wavell, comandante in capo delle forze britanniche del Medio Oriente, cosl precisò la dislocazione delle truppe alle proprie dipendenze al termine della prima offensiva britannica in A.S.: - in Cirenaica: 7a divisione corazzata e 6• divisione australiana; - in Egitto: 2a divisione corazzata, 1.. divisione neo-zelandese, 6' divisione inglese (in corso di formazione ), lk brigata polacca; - in Palestina: 7" divisione australiana e 9' divisione australiana; - in Africa orientale italiana: 4a e 5"' divisione indiana, l' divisione sud-africana, 1 l'· e 12.. divisione africana. Circa la 7"' divisione corazzata il generale Wavcll faceva presente che, dopo 8 mesi di attività operativa, era me1..-canicamente incapace di muovere ulteriormente e doveva pertanto essere momentaneamente considerata non disponibile come unità combattente; la 2.. divisione corazzata, giunta dal Regno Unito il 1° gennaio 1941, si componeva di 2 reggimenti carri pesanti Cruiser, 2 reggimenti di carri leggeri e 1 gruppo di sostegno; delle 3 divisioni australiane, la 6.. era completamente equipaggiata e non aveva sofferto gravi perdite, la 7.. era ancora in corso di organizzazione, la 9" era deficiente di materiali; la divisione neozelandese era bene addestrata ed equipaggiata; la 6., inglese mancava di artiglierie e delle armi di accompagnamento; la brigata polacca non era aJ completo di materiali La controffensiva del generale Rommel fu facilitata dal fatto che il generale Wavcll dové spedire in Grecia, per schierarlo tra Florina e Salonicco, un corpo di spedizione, poo,10 agli ordini del generale sir Henry Maitland Wilson, di 57 mila uomini so1tratti all'8• armata operante in A.S. (52) Erwin Rommel, Guerra senza odio. Garzanti, Milano, 1952, p. 27. (53) Liddell Hart. Op. cit., p, 249. (54) Il comando del C.T.A. elaborò più piani per l'attacco a Tobruch. Veds. La prima controffensiva italo-tedesca in Africa sellentrionale. Op. cit., allegato n. 16, p. 358; alleg.'lto n . 17, allegato n. 18, p. 363 ; allegato n. 19, p. 363. Il Superasi elaborò, d'intesa con il generale Rommel, il progetto definitivo dell'attacco a Tobruch il 26 ottobre 1941 (allegato n. 27, p. 388) che inviò al Comando Supremo. Al progetto del 26 ottobre fece seguito una relazione dell'll novembre (allegato n. 28, p. 384) sullo stato della preparazione dell'azione su Tobruch redatta dal Superasi e inviata anch'essa al Comando Supremo italiano il quale, il 15 novembre (allegato n. 29, p. 387), confermò che la presa di Tobruch era il solo mezzo per migliorare la situazione tattico-strategica dello scacchiere e per mettersi , se tempestivamentr Mtu!lta,
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« nella possibilità di affrontare in buone condizioni un attacco nemico in forze». Si legge nel documento del Comando Supremo: « Ciò premesso, la possibilità di attuare l'azione su Tobruch al più presto, cosl da non essere prevenuti dall'attacco nemico, e in modo da conservare la necessaria capacità di reazione ove questo si produca subito dopo la caduta della piazza (da ottenersi con uno sforzo violento e rapido che il generale Rommel assicura di poter fare), deve essere ricercata con ogni mezzo, prima di pensare ad un lungo rinvio. Perciò: completamento della preparazione con i mezzi esistenti e con quelli in corso di affluenza, decisione circa il momento di eseguire l'attacco, subordinatamente ai dati della situazione generale, demandata a codesto Comando che ne ha la piena responsabilità (d'intesa con il generale Rommel)».
(55) Ministero della Difesa. Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio Storico, Seconda offensiva britannica in Africa settentrionale e ripiegamento italo-tedesco nella Sirtica orientale ( 18 novembre 1941 - 17 gennaio 1942). Tipografia Regionale, Roma, 1949,
p. 21. (56) Quadro riassuntivo di tutte le forze italo-tedesche operanti in Marmarica dopo gli accordi di Cirene dell'8 agosto 1941.
Supercomando A.S.: - comandante: generale d'armata Bastico Ettore; - capo di stato maggiore: generale di corpo d'annata Gastone Gambara; - sottocapo di stato maggiore: gen. di brigata Bruno Malaguti; - stato maggiore; - comando superiore artiglieria; - comando superiore genio; - comando superiore carabinieri; - ispettorato generale della Polizia Africa italiana; - ispettorato collegamenti; - sezione speciale fotografica; - direzione superiore di amministrazione; - corpo d'armata mobile (CA.M.): gen. Gastone Gambara coadiuvato dal gen. di brigata Alberto Mannerini: - divisione corazzata Ariete, - divisione motorizzata Trieste, - raggruppamento esplorante del corpo d'armata di manovra; - Panzer Groppe Afrika: gen. Erwin Rommel: - corpo tedesco Afrika (C.T.A.): gen. Crucwell; 15a. divisione corazzata tedesca; - 21.. divisione corazzata tedesca (già 5a divisione leggera); · divisione Savona; - divisione tedesca per compiti particolari (Z.B.V.); - XXI corpo d'armata: gen. Enea Navarrini: - divisione Bologna; - divisione Pavia; - divisione Brescia; - aliquote divisione Sabratha. Per assicurare il funzionamento dei comandi italiani e tedeschi furono costttum 2 stati maggiori italiani di collegamento: 1 presso il Panzer Gruppe Afrika per le relazioni con il Superasi e con le grandi unità della fronte di Tobruch; 1 presso il
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C.T.A. per le relazioni con le unità italiane sulla fronte di Sollum. Presso il Superasi rimase un ufficiale superiore tedesco per il collegamento con il P.G.A. Il coordinamento dell'aviazione tedesca e dei reparti avanzati dell'aeronautica italiana fu devoluto al comando tedesco F/iegerfuhrer Afrika. Nel settembre del 1941 la situazione delle forze aeree italo-tedesche in Cirenaica era la seguente: - da parte italiana: 43 bombardieri, 110 caccia, 11 da ricognizione strategica, 4 da ricognizione marittima, 11 da osservazione aerea, 4 aerosiluranti; - da parte tedesca: un centinaio di apparecchi in tutto. Le forze aeree italiane in Libia continuavano a costituire la 5" aerosquadra. (57) Seconda offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., allegato n. 17, P. 209; allegato n. 18, p. 209.
(58) Ibidem, p. 27. (58 bis) Auchinlcck, sir Claude John Eyre (1884-1981), maresciallo britannico. Partecipò alla 1" guerra mondiale. Durante la 2" guerra mondiale guidò la spedizione britannica in Norvegia; fu poi comandante delle forze britanniche in India e quindi di quelle del Medio Oriente nel!' Africa Settentrionale. Sotto i suoi ordini le truppe britanniche nel novembre '41 riconquistarono la Cirenaica, ma poi nel maggio del 1942 furono sconfitte da quelle dell'Asse. Nell'agosto del 1942 fu sostituito dal generale Alexander. Nel 1943 riprese il comando delle truppe britanniche in India e lo mantenne fino al 1947. (59) Situazione descrittiva dell'8" armata britannica all'inizio <lella battaglia della Marmarica secondo un documento fornito dalla sezione storica dell'esercito britannico: S& armata: luogotenente sir Alan Cunningham: truppe d'armata, comprendemi quelle della 7..ona avanzata nella piazzaforte di Tobruch; il gruppo Oasi, il Long lvinge Desert Group e, nella zona delle retrovie, la piaZ?.aforte di Matruh e la 2& divisione sud-africana; XIII corpo; XXX corpo. La piazzaforte di Tobruch era presidiata dalla 70" divisione su 3 brigate di fanteria, dalla XXXII brigata carri d'armata, da 1 battaglione gruppo brigata polaccocarpatica, da 5 reggimenti artiglieria da campagna, da l reggimento controcarri, da 1 batteria di medio calibro, da 1 brigata contraerei (1 reggimento e.a. leggero, 1 pesante, 2 batterie di. difesa costiera), da 6 compagnie del genio. Il gruppo delle Oasi comprendeva: la XXIX brigata indiana, distaccamenti di unità sud-africane di carri armati e di carri da ricognizione, l reggimento artiglieria da campagna sud-africano, 1 batteria britannica (comprendente artiglierie controcarri, contraerei, leggere e pesanti), distaccamenti del genio britannici e indiani, 2 battaglioni di fin ti carri. Il Long Range Desert Group comprendeva uno squadrone di truppe motorizzato. La pia=forte di Matruh era presidiata dalla II brigata di fanteria sud-africana (della l" divisione), da 1 reggimento di artiglieria da campagna sud-africana, da artiglierie contraerei leggere e pesanti britanniche e sud-africane, da 1 batteria da costa britannica, da 1 compagnia del genio sud-africana, da servizi trasmissione britannici e :md-africani. La ~ divisione sud-africana comprendeva: comando di divisione, 3 brigate di fanteria (ciascuna su 3 battaglioni), truppe divisionali, 2 reggimenti artiglieria da campagna, 1 reggimento contraerei leggero, 1 battaglione da ricognizione, 4 compagnie del genio, reparti trasmissioni, 1 battaglione mitraglieri.
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Il XIII corpo (luogotenente generale A.R. Godwin Austin) era costituito da: - truppe di corpo d'armata (1 squadrone di carri, 4 batterie e.a. leggere, 1 reggimento e.a. pesante, 3 compagnie e 2 sezioni del genio, truppe addette alle trasmissioni); - 4.. divisione indiana: 1 comando di divisione. truppe divisionali, 3 brigate di fanteria indiana. Le rruppe divisionali comprendevano: 3 reggimenti carri armati, 1 reggimento finti carri, 3 reggimenti di artiglieria da campagna con 56 cannoni da 25 libbre e cioè da 87,6, 1 reggimento controcarri, l reggimento contraerei leggero, l reggimento <li medio calibro, 4 compagnie del genio, truppe per le trasmissioni. Ciascuna brigata di fanteria era costituita da: comando di brigata, 1 battaglione fanteria britannico e 2 battaglioni fanteria indiani, 1 compagnia controcarri, 1 compagnia mitraglieri. Una delle brigate aveva uno squadrone di carri di fanteria deUa I brigata, 1 sezione da ricognizione, 1 squadrone di carrier, 1 reggimento artiglieria da campagna su 16 cannoni da 87,6, 1 distaccamento e.a. leggero, e l'equivalente di 2 reggimenti di carri da fanteria ; - divisione neozelandese: comando di divisione, truppe divisionali, 3 brigate di fanteria neozelandese (ciascuna su 3 battaglioni), truppe divisionali (3 reggimenti artiglieria da campagna, l reggimento controcarri, 1 reggimento e.a. leggero, 3 compagnie del genio, reparti trasmissioni , 1 battaglione mitraglieri, l battaglione fanteria
Maori). Il XXX corpo (luogotenente generale C.W .M. Nurries) era costituito da: - truppe di corpo d'armata (distaccamenti di artiglieria contraerei, del genio, delle trasmissoni, 1 squadriglia della R.AF.); - 73 divisione coranata: romancio di divisione, truppe divisionali, 3 brigate corazzate, 1 gruppo sostegno, brigata Gerards. Le truppe divisionali comprendevano: 3 reggimenti carri armati (meno uno squadrone), distaccamenti di artiglieria contraerei, 2 squadroni del genio (meno distaccamenti) e truppe addette alle trasmissioni. La IV brigata corazzata comprendeva: comando, 3 reggimenti di carri leggeri americani (165 carri), 1 reggimento artiglieria a cavallo meccanizzato (24 cannoni da 87,6), 1 reggimento controcarri, 1 batteria contraerei leggera, 1 distaccamento del genio, 1 reggimento di fanteria motorizzato. La VII brigata comprendeva: comando (con una batteria di accompagnamento di 4 carri incrociatori), 3 reggimenti di carri incrociatori (163 carri), 2 bauerie di artiglieria a cavallo meccanizzare (16 cannoni da 87,6), distaccamenti controcarri, contraerei leggeri, 1 distaccamento del genio, truppe addette alle trasmissioni, l compagnia di fanteria motorizzata. La XXII brigata corazzata comprendeva: comando di brigata, 1 batteria <li artiglieria a cavallo meccanizzata (8 cannoni da 87,6), distaccamenti controcarri e contraerei leggeri, 3 reggimenti carri incrociatori (145 incrociatori e 13 carri di accompagnamento), 1 distaccamento del genio, 1 compagnia fanteria motorizzata. Il 7° gruppo sostegno comprendeva: comando, 3 batterie artiglieria da campagna (36 cannoni da 87,6 ), 1 batteria contraerei leggera , 1 distaccamento del genio, 2 battaglioni di fanteria motorizzata (meno le 2 compagnie distaccate presso la Vll e la XXII brigata corazzata ). La XXII brigata Guards comprendeva: comando, l squadrone carri armati , 2 batterie di artiglieria da campagna (24 cannoni da 87,6), 3 batterie di artiglieria controcarro (12 cannoni da 18 libbre e cioè da 76 mm e 36 cannoni da 2 libbre e cioè da 40 mm), 1 distaccamento di artiglieria contraerei, 1 squadrone del genio, trasmissioni, 2 battaglioni di fanteria autoportati. La XII brigata contraerei era costituita da: comando, l reggimento contraerei pesante (meno distaccamenti) e da 3 batterie contraerei (meno distaccamenti); - P divisione sud-africana: comando, truppe divisionali, 2 brigate di fanteria
CAP. XXXV - OPERAZTONI ITALO-TEDESCHE (PARTE PRIMA)
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sud-africana (ciascuna su 3 battaglioni e 1 compagnia mitraglieri). Le truppe divisionali comprendevano: 2 reggimenti di artiglieria da campagna (48 cannoni da 87,6), 1 reggimento contraerei leggero (36 cannoni), 1 batteria britannica di artiglieria di medio calibro, 3 compagnie del genio, reparti trasmissioni, 1 battaglione da ricognizione, 1 battaglione rnitraglieri (meno 2 compagnie distaccate presso le due brigate di fanteria sud-africana). (60) Mev.i corazzati tedeschi impiegati in A.S.: - Panzer Kw II Sd. Kfz 121 D.E.: peso 10,0 t, corazza frontale 30 mm, laterale 15 mm; armamento: 1 cannone da 20/55, 1 mitragliatrice da 7,92; velocità max. strada/ fuori: 55/19; autonomia max. strada/fuori: 200/130 Km; equipaggio: 3 uomini. - Panzer Kw III Sd Kfz 141 F.G.: peso 20,3 t, corazza frontale 30 mm, laterale 30 mm; armamento: 1 cannone da 50/42 e 2 mitragliatrici da 7,92; velocità max. strada/fuori: 40/18; autonomia max. strada/fuori: 175/97 Km; equipaggio: 5 uomini. - Panzer Kw IV Sd Kfz 16 l A: peso 17 ,3 t, cor327,a frontale 20 mm, laterale 14 mm; armamento: 1 cannone da 75/24 e 2 mitragliatrici da 7,92; velocità max. strada/fuori: 30/17; autonomia max. strada/fuori: 150/100; equipaggio: 5 uomini. - Pan7.cr Kw IV Sd Kfz D: peso 21 t, corazza frontale 20 mm, laterale 14; armamento: l cannone da 75/24 e 2 mitragliatrici da 7,92; velocità max. strada/ fuori: 30/17; autonomia max. strada/fuori: 200/130 Km; equipaggio: 5 uomini. - Autoblindo I e Pz Spw Sd Kfz 222: peso 4,8 t, corazza frontale 14 mm, laterale 8 mm; armamento: 1 cannone da 20/55 e 1 mitragliatrice da 7,92; velocità max. strada: 80 Km; autonomia max. strada/fuori: 320/200; equipaggio: 3 uomini. Altri tipi: Sd Kfz 221: peso 4 t, 2 uomini senza cannone; Sd Kfz 223: peso 4,4 t, 3 uomini senza cannone; Sd Kfz 260/61: peso 4,3 t, 4 uomini senza cannone. - Autoblindo S Pz Spw Sd Kfz 231 (6 ruote): peso 5 t, corazza frontale 14,5 mm, laterale 8 mm; armamento: 1 cannone da 20/5_5 e 1 mitragliatrice da 7,92 coassiale; velocità max. 60 Km; autonomia max. strada/fuori: 250/150; equipaggio: 4 uomini. - Autoblindo SPz Spw Sd Kfz 231 (8 ruote): peso 8,2 t, corazza frontale 14,5 mm, laterale 8 mm; armamento: l cannone da 20/55 e 1 mitragliatrice da 7,92 coassiale; velocità max. strada/fuori: 85/31 Km; autonomia max. strada/fuori: 300/ 170 Km; equipaggio: 8 uomini. Mezzi corazzati impiegati in A.S. dagli inglesi: - Light Tank MK/II e III: peso 4,5 t, corazza frontale 10 mm e laterale 4; armamento: 1 mitragliatrice Wickers da 12,7 o da 7,7; velocità max. 48 Km/h; autonomia max. 209,2 Km; equipaggio: 2 uomini (vennero impiegati nella I controffensiva in numero limitato). - Cruiser Tank MK/II e II/A: peso 14,376 t, corazza frontale 14 e laterale 6; armamento: 1 cannone da 40/50 e 1 mitragliatrice Bcsa da 7,92; velocità max.: 48 Km; autonomia max.: 160 Km; equipaggio: 5 uomini (fu, con il Cruiser Tank .MK/IV « Crusader », il carro base delle divisioni corazzate). - Cruiser Tank MK/IV Crusader: peso 20 t, corazza frontale 51 mm e laterale 7; armamento: 1 cannone da 40/50 e 2 mitragliatrici Bcsa da 7,92; velocità max.: 44,250 Km; autonomia max.: 260 Km; equipaggo: 5 uomini. - Light Tank Stuart MK/5 (di costruzione americana): peso 14,969 t, corazza frontale 67 mm e laterale 12 mm; armamento: 1 pe-ao da 37/53 e 2 mitragliatrici
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Browning da 7,62; velocità max.: 57 Km; autonomia max.: 160 Km; equipaggio: 4 uomini (fu anch'esso il carro base delle divisioni corazzate). - Infantry Tank MK/II Matilda: peso 26,925 t,corazzatura frontale 78 mm e laterale 16 mm; armamento: 1 cannone da 40 e 1 mitraglatrice Besa da 7,92; velocità max.: 24 Km; autonomia ma,'{.: 257,4 Km; equipaggio: 4 uomini. (Carro quasi invulnerabile finché non furono impiegati pezzi da 88 mm in funzione controcarri). - Infantry Tank MK/III Valentine: peso 17,690 t, corazzatura frontale 65 mm e laterale 8 mm; armamento: 1 cannone da 40/50 e 1 mitragliatrice Besa da 7 ;)2; velocità max.: 24 Km; autonomia max.: 145 Km; equipaggio: 4 uomini. - Sherman Tank/I (M. 4 statunitense): peso 31 t; corazzatura frontale 75 mm e laterale 38; armamento: 1 pezzo da 75/31, 1 mitragliatrice contraerei da 12,7, 1 mitragliatrice da 7,7; velocità: 46,6 Km; autonomia: 241 Km; equipaggio: 5 uomini. (Fu impiegato la prima volta nell'autunno del 1942 nella battaglia di cl Alarnein). - Infantry Tank/III Churcill: peso 39.625 t, corazza frontale 102 mm e laterale 162 mm; armamento: 1 pezzo da 57 /52 e 2 mitragliatrici Besa da 7,92; velocità max.: 25 Km; autonomia max.: 145 Km; equipaggio: 5 uomini. - Armourcd car (autoblindo) Humbert MK/1-II-III: peso 6,5 t, corazza frontale 20 mm; armamento: 1 cannone da 37 e 1 mitragliatrice da 7,7; velocità max.: 74 Km; autonomia max.: 402 Km; equipaggio: 3 uomini. - Armoured car (autoblindo} Daimler MK/I e II: peso 7,5 t, corazza frontale 40 mm; armamento: 1 pezzo da 40/52 e 1 mitragliatrice Bcsa da 7,92; velocità max.: 72 Km; autonomia max.: 330 Km; equipaggio: 3 uomini. (Fu impiegata solo nella fase finale della guerra in A.S.). - Armoured car (autoblindo) A.E.C. MK/I: peso 11 t, corazza frontale 60 mm; arma.mento: 1 pezzo da 40/52 e 1 mitragliatrice Besa da 7,92; velocità max.: 64 Km; autonomia max.: 400 Km; equipaggio: 3 uomini. (Fu impiegata solo nella fase finale della guerra in A.S.). - Scout car Dingo: peso 2,8 t, corazza frontale 3 mm; armamento: 1 mitragliatrice 7,7; velocità max.: 84 Km; autonomia: 300 Km; equipaggio: 2 uomini. - Marmont Herrington (inglese e sud-africana): peso 6 t, corazza frontale 12 mm; armamento: 1 cannone da 40 e 2 mitragliatrici da 7,62; velocità max.: 80 Km; autonomia max.: 321 Km; equipaggio: 3 uomini. (Vi era anche la versione ferroviaria). Mezzi coraz:tati impiegati in A.S. dagli italiani: - Carro leggero L/35: peso 3,5 t, corazza frontale 14 mm e laterale 8,5 mm; armamento: 2 mitraglatrici Fiat 14/35 oppure Breda da 8 mm in casamatta; velocità max.: 42 Xm; autonomia max.: 150 Km; equipaggio: 2 uomini. - Carro leggero L 6/40: peso 6,8 t, corazza frontale 40 mm, laterale 15; armamento: 1 cannone da 20 mm in torretta, 1 mitragliatrice da 8 mm coassale; velocità max.: 42 Km; autonomia max.: 200 Km; equipaggio: 2 uomini. - Carro medio M 11/39: peso 11 t, corazza frontale 30 mm, laterale 14,5; armamento: 1 pezzo da 37 /40 in casamatta, 2 mitragliatrici da 8 mm in torretta; velocità max.: 32 Km; autonomia max.: 210 Km; equipaggio: 3 uomini. (Fu sostituito dal carro M 13/40 dopo la l" controffensiva inglese). - Carro medio M 13/40: peso 14 t, corazza frontale 42 mm, laterale 25 mm; armamento: 1 pezzo da 47 /32 in torretta, 1 mitragliatrice Breda da 8 mm coassiale, 2 mitragliatrici da 8 mm in casamatta; velocità max.: 31,800 Km; autonomia max.: 210 Km; equipaggio: 4 uomini.
CAl'. XXXV - OPERAZIONI ITAL~TEDESCHE (PAB.TE PRIMA)
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- Carro medio M 14/41: peso 14 t, corazza frontale 42 mm, laterale 25 mm; stesso armamento dell'M 13/40; velocità max.: 32 Km; autonomia max.: 200 Km; equipaggio: 4 uomini. - Semovente L/40 da 47 /32: peso 6,8 t, corazza frontale 30 mm, latetale 15 mm; armamento: 1 pezzo da 47/32, 1 mitragliatrice Breda da 8; velocità max.: 42 Km ; autonomia max.: 200 Km; equipaggio: 3 uomini. - Semovente L/40 da 75/18: peso 13,100 t, corazza frontale 50 mm, laterale 25 mm; armamento: 1 cannone da 75/18 in casamatta su supporto a sfera, 1 mitragliatrice Breda da 8 mm; velocità max.: 35 Km; autonomia max.: 200 Km; equipaggio: 3 uomini. (Sia il semovente L/40 da 47 /32, sia il semovente L/40 da 75/18 furono impropriamente definiti artiglierie semoventi. Per il sistema di installazione del pezzo e le limitate possibilità di brandeggio poterono meglio considerarsi carri d'assalto oppure cacciatori di ca"i). - Autoblindo AB/40: peso 6,480 t, corazza frontale 18 mm, laterale 10 mm; armamento: 1 mitragliatrice 20/65 in torretta, 1 mitragliatrice da 8 mm coassiale, 1 mitragliatrice da 8 mm in casamatta; velocità max.: 75 Km; autonomia max.: 400 Km; equipaggio: 4 uomini. - Autoblindo AB/41: stesse caratteristiche della AB/40, con potenza <li 88 1IP anziché 80 HP. Dei carri L/35 e L 6/40 furono approntate versioni varie: lanciafiamme, gitta· ponte, recupero, radio (deJl'L 6/40 versioni lanciafiamme, porta munizioni, semovente). L'autoblindo AB/40 fu caratterizzata dal doppio sistema di guida (uno anteriore ed uno posteriore) altemabili per il cambiamento di direzione. Tale caratteristica si rilevò inutile nei terreni libico-egiziani. (61) Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 254. (62) La costituzione delle unità tedesche il 1° novembre 1941 era la seguente: - Formazione tedesca per compiti speciali Z.B.V. (nel novembre prese il nominativo di divisione tedesca Afrika): - comando di divisone e stato maggiore; - compagnia collegamenti motorizzata; - sezione cartografica motorizzata; 1 battaglione fanteria tedesco (comando e 4 compagnie); - 1 battaglione fanteria tedesco (in ricostituzione); - 155° reggimento fanteria motoriz:lato tedesco (comando e 3 battaglioni); - io reggimento artiglieria celere italiano (comando, 1 gruppo obici da 100/17 su 3 batterie, 1 gruppo cannoni da 75/27-06 su 2 batterie, 1 gruppo cannoni da 75/27-06 su 2 batterie, 2 batterie da 20 mm, 1 reparto munizioni e viveri). - 15a divisione corazzata tedesca: - comando (stato maggiore, sezione cartografica, 1 plotone motociclisti); - 8° reggimento corazzato (comando: 1 plotone collegamenti, 1 plotone carri L, 1 fanfara reggimentale; 1 battaglione carri armati: comando e plotone comando; 2 compagnie carri L, 1 compagnia carri M, autocolonna parti di ricambio; 1 battaglione carri armati; idem, ma con 3 anziché 2 compagnie carri L; compagnia officina); - 155° reggimento fanteria motorizzato (compagnia comando, 2 battaglioni fanteria motorizzata, ciascuno su: comando, 4 compagnie arresto e 1 compagnia accompagnamento motorizzato, 1 compagnia pezzi per fanteria su 1 plotone pezzi da 150 mm e 2 plotoni pezzi da 75 mm);
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- 20()<> reggimento motociclisti e mitraglieri motorizzato (comando, 1 battaglione motociclisti su: comando, 1 compagnia arresto motorizzata, 3 compagnie motociclisti, 1 compagnia motomitraglieri; 1 battaglione mitraglieri motorizzato su: comando, 1 compagnia accompagnamento e controcarri, 3 compagnie mitraglieri motorizzate); - 33° reparto esplorante (comando; 1 squadrone autoblindo; 1 compagnia motociclisti; 1 compagnia di arresto; 1 colonna leggera di rifornimento); - 33" reggimento artiglieria motorizzato (comando; 1 gruppo obici da 155 su: comando, 3 batterie; 1 gruppo obici da 105 su: comando, 3 batterie; 1 gruppo obici da 155 su: comando e 3 batterie; 1 sezione topocartografica; 1 sezione di osservazione); - 33° reparto controcarri motorizzato (comando, 3 compagnie controcarri da 50 mm); - 33° battaglione artieri motorizzato (comando, 3 compagnie artieri, 1 autosezione leggera); - 78° battaglione coJlegamenti motori7.7.ato (comando; compagnia marconisti; compagnia telefonisti, autosezione leggera); - 33° battaglione complementi (comando, 3 compagnie); - servizi divisionali (1 compagnia sussistenza; 1 compagnia macellai; 1 t.-ompagnia panettieri; 1 autoreparto divisionale su: 9 autocolonne leggere, 2 carburanti, 2 pesanti, 3 compagnie officina motorizzate; l autocolonna parti di ricambio; 1 compagnia idrici; 1 autocolonna filtri; 1 ospedale da campo; 2 compagnie di sanità; 2 sezioni autoambulanze; 1 reparto di polizia; 1 ufficio postale). - 21" divisione corazzata tedesca: - comando (stato maggore, 2 sezioni cartografiche, 1 plotone motociclisti); - 5<' reggimento corazzato (comando, compagnia romando, 2 battaglioni carri, ciascuno su: comando, 1 compagnia carri M, 3 compagnie carri L, 1 autocolonna parti di ricambio, 1 compagnia officina); - l" reggimento fanteria motorizzato (1 battaglione su: 1 compagnia arresto motorizzata, 3 compagnie fucilieri motorizzate, 1 compagnia accompagnamento e controcarri; 1 battaglione: stessa formazione con in più 1 compagnia pezzi per fanteria; 1 battaglione su: 2 compagnie mitraglieri motorizzate, 1 compagnia armi accompagnamento e controcarri);
- 3° reparto esplorante (comando, compagnia autoblindo, compagnia d'arresto, compagnie motociclisti, colonne leggere); - 155° reggimento artiglieria motorizzato (comando, 2 gruppi obici da 105 ciascuno su: comando e 3 batterie; 1 gruppo misto su: comando, 1 batteria cannoni da 100, 2 batterie obici da 105, 1 autocolonna pesante); - 39" reparto controcarri motori7.7.ato (comando, 2 compagnie controcarri da 50 mm); - battaglione artieri motorizzato (comando e 3 compagnie}; - battaglione collegamenti motorizzato (comando, 1 compagnia marconisti, 1 compagnia telegrafisti, 1 autocolonna leggera); - battaglione complementi (comando, 4 compagnie); - servizi divisionali (compagnia di sussistenza, compagnia macellai, compagnia panettieri, 1 autoreparto divisionale su: 4 autocolonne leggere, 2 colonne carburanti, 5 autocolonne pesanti, 1 compagnia officina fissa, 2 compagnie officine motorizzate, 1 colonna parti di ricambio, 1 compagnia idrica, 1 autocolonna filtri, 1 compagnia
CAP. XXXV - OPERAZIONI ITALO.TEDESCHE (PARTE PRIMA)
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sanità motorizzata, 1 ospedale da campo, 2 sezioni autoambulanze, reparto polizia, ufficio postale).
( 63) La costituzione delle unità italiane il 1° novembre 1941 era la seguente: Raggruppamento esplorante del corpo d 'armata di manovra (R.E.C.A.M.): - comando ( 1 compagnia mitraglieri autocarrateo); - battaglione della P.A.I. (btg. R. Gessi) (comando e plotone comando, 1 compagnia autoblindo, 2 compagnie motomitragliatori); - LII battaglioni carri M 13/14 (in formazione); - raggruppamento batterie volanti 65/17 (1 gruppo 65/17 su 3 batterie; 1 gruppo 65/17 su 3 banerie ed 1 batteria da 20/35; reparto munizioni e viveri); - batteria da 88/56 (mancante); 1 compagnia del genio (mancante); - 1 autoreparto misto; elementi di rinforw ( 1 battaglione carri L 3 ). -
Divisione corazzata Ariete: - comando [ stato maggore, quartier generale: reparto comando, squadra topo. cartografica, sezione motori7-7~1ta carabinieri reali, drappello automobilistico, ufficio postale; reparto comando tattico; plotone misto (mancante)] ; - comando brigata [ compagnia comando: plo tom: l.umando, plotone motociclisti, plotone marconisti (mancante), plotone carri-centro radio (mancante)]; -
- 1.320 reggimento fanteria carristi [compagnia comando su 3 plotoni carri riserva (mancanti), officina mobile pesante (mancante); .3 battaglioni carri M 13/40, ciascuno su: comando e plotone comando e 3 compagnie carri; 1 batteria contraerei da 20/35; compagnia riparazioni e recuperi (mancante); 1 officina mobile pesante (mancante)] ; · - 8" reggimento bersaglieri [comando e plotone comando; 1 compagnia mo tociclisti; 1 plotone autoblindo (mancante); 2 battaglioni autoportati, ciascuno su: 2 compagnie e 1 compagnia pezzi accompagnamento e controcarro; 1 battaglione armi accompagnamento e contraerei su : comando e plotone comando (mancante), 1 compagnia da "20/35 (mancante), 1 compagnia mortai da 81, 1 compagnia mitraglieri);
- battaglione controcarri divisionale [comando (mancante); 2 compagnie cannoni da 47/.32];
- 1.320 reggimento artiglieria [comando; 2 gruppi da 75/18 su 3 batterie, dei quali 1 mancante; reparto M.V. per i 2 gruppi da 75/18 (mancante); 1 gruppo cannoni da 105/28 su: 2 batterie, 1 sezione da 20, l reparto M.V. (mancante); 1 gruppo misto su: 2 batterie da 90/53, 2 batterie da 20/35 e 1 reparto M.V. (mancante); 2 batterie motocarrate A.S. su 3 pezzi R.M. ; 1 officina mobile pesante (mancante); 1 reparto soccorso stradale (mancante)];
- XXXII ~attaglione misto genio: 1 plotone artieri (mancante). Della compagnia collegamenti esistevano solo 2 plotoni marconisti, mentre mancava il plotone telegrafisti; - elementi dei servizi [1 sezione sanità, 2 ospedali da campo, 1 nucleo chirurgico, 1 ambulanza odontoiatrica, 1 autoambulanza radiologica (mancante), 1 se-.done sussistenza, 1 squadra panettieri forni Weiss, 1 officina carreggiata per materiali collegamenti (mancante), 1 officina mobile pesante (mancante), 1 reparto soccorso stradale su 4 nuclei, dei quali 2 mancanti, 1 compagnia movimento stradale {mancante), 1 autogruppo misto su 4 autoscz.ivni pesanri, 1 autogruppo misto su: 1 autosezione pesante,
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3 sezioni carburanti (mancante), 1 autogruppo misto su: 2 sezioni autobotti, 1 sezione autoambulanze, 1 autosezione mista]; - elementi di rinforzo (2 gruppi da 75/27-06 su 3 batterie; 1 reparto M.V. da 75/27-06 su 2 sezioni; 32° reggimento fanteria carrista con 2 battaglioni carri L su 2 compagnie ciascuno). Divisione motorizzata coloniale (tipo A.S.) Trieste: - comando di divisione (comando; quartier generale: reparto comando, 2 sezioni motorizzate carabinieri reali; nucleo movimento stradale, autodrappello, ufficio postale; comando fanteria divisionale); - 65° reggimento fanteria (comando e compagnia comando; 2 battaglioni ciascuno su: 3 compagnie, 1 compagnia armi accompagnamento e controcarri; 1 battaglione armi accompagnamento e controcarri su: 1 compagnia da 20/35, 1 compagnia da 47 /32, 1 compagnia mortai da 81; 1 compagnia mitraglieri, autoreparto reggimentale); - 66° reggimento fanteria (comando e compagnia comando; 3 battaglioni ciascuno su 3 compagnie ed 1 compagnia armi accompagnamento e controcarri). Il III battaglione non ancora trasformato in battaglione armi accompagnamento e controcarri; - 9" reggimento bersaglieri (comando e compagnia comando); 1 battaglione motociclisti e 2 battaglioni autoportati, ciascuno su: 2 compagnie e 1 compagnia armi accompagnamento e controcarri; 1 autoreparto reggimentale); - DVIII battaglione divisionale armi accompagnamento e controcarri (distaccato in Tripolitania) su: l plotone comando, 1 batteria da 20/35, 1 da 47 /32, 1 mortai da 81, 1 mitraglieri; -
- 21° reggimento artiglieria [comando e reparto comando; l gruppo da 100/17 su 3 batterie; 1 gruppo da 75/27 su 3 batterie; 1 gruppo da 105/28 su 3 batterie in rinforzo alla «Trento»; reparto munizioni e viveri (mancante)]; - XXI gruppo misto contraerei autocarrato [2 compagnie da 75 CK delle quali 1 mancante; 1 batteria da 20/35; reparto M.V. (mancante); 1 batteria da 47/32]; - LII battaglione misto genio (1 compagnia artieri; l compagnia marconisti; 1 compagnia fotoelettricisti); - elementi dei servizi (1 sezione sanità: 3 ospedali da campo; 1 nucleo chirurgico; I sezione sussistenza, 1 squadra panettieri; 1 autoreparto misto su: 3 autosezioni leggere, 1 autosezione pesante, 1 auto~ione mista, 1 nucleo soccorso stradale, 2 sezioni carburanti per autopesanti, 1 sezione carburanti per motocicli, 1 officina mobile pesante. - Divisione di fanteria Brescia - tipo di divisione con caratteristiche metropolitane - : - comando di divisone (stato maggiore, quartier generale: reparto comando, 1 sezione mista carabinieri reali, l autodrappello, 1 officina postale; comando fanter:a divisionale con 1 compagnia motociclisti (quadro)]; - 19" reggimento fanteria (comando e compagnia comando; 3 battaglioni ciascunc su 3 compagnie fucilieri e I compagnia armi accompagnamento; 1 compagnia mortai da 81; l batteria da 65/17); - 200 reggimento fanteria: come 19"; - XXVIII battaglione mitraglieri divisionali: mancante; - 1° reggimento artiglieria celere [comando e reparto comando; 1 gruppo da 100/17 su 2 batterie (mancante); 1 gruppo da 100/17 su 3 batterie; 1 gruppo da 75/27-11 su 2 batterie delle quali 1 con il solo personale; l gruppo da 75/27-11
CAP. XXXV • OPERAZIONI ITAL<>-TEDESCHE (PARTE PRIMA)
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su 2 batterie delle quali 1 con il solo personale; 1 reparto munizioni e viveri meno l sezione da 100/17; 1 batteria da 20/35; 1 compagnia cannoni da 47/32]; · XXVII battaglione misto genio; · servizi (1 sezione sanità, ospedali da campo; 1 sezione sussistema; l squadra panettieri; 1 autosezione mista;
· XXVII battaglione complementi; • elementi di rinfor.ro (2 compagnie da 47 /32; 1 compagnia carri L 3; 2 batterie da 20/35; 3 plotoni mitragliatrici; 1 reparto autonomo 47 /32 su 2 pezzi; 6 plotoni pezzi da 37/ 45). (64) Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit. , p. 256. (65) Seconda offensiva britannica ecc. Op. cit., p. 86. (66) Ibidem, p. 87.
(67) Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cil., p. 257. (68) Comando Supremo. Op. cit., p. 160.
(69) 'Seconda offensiva britannica ecc. Op. cit., p. 92. (70) Ibidem, allegato n. lì, p. 209. (71) Ibidem, allegato n. 24, p. 214. (72) Ibidem, p. 104.
(73) Ibidem, allegato n. 27, p. 229. (74) Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 268. (75) Comando Supremo. Op. cit., p. 169. (76) Seconda offensiva britannica ecc. Op. cit., allegato n. 28, p. 233; allegato n. 2.9, p. 236 e Comando Supremo. Op. cit., PP. 164-173.
(77) Ministero della Difesa. Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio storico, Seconda controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale da el Agheila a et Alamein. Gennaiosettembre 1942. Tipografia Regionale, Roma, 1951.
(78) Comando S11premo. Op. cit., p. 174. (79) Seconda comroffensiv a italo-tedesca ,·cc. Op. cit., p. 14. (80) Ibidem, p. 15. (81) Il 2 gennaio 1942 il Comando Superiore Forze Armate Africa Settentrionale emanò nuove direttive per la riorganizzazione delle divisioni (veds. allegato n. 1, p. 287, della pubblicazione Seconda controffensiva italo-tedesca ecc. Op. cit. Le divisioni Brescia, Bologna, Pavia, Trento, Sabratha assunsero gradatamente una nuova formazione comprendente: comando, 2 reggimenti di fanteria, 1 reggimento d'artiglieria, 1 battaglione misto del genio, 1 sezione sanità, 1 sezione sussistenza. - Comando di divisione : 25 ufficiali, 16 sottufficiali, l l4 truppa, 66 automo-
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hilisti, 10 autovetture, 5 autocarri leggeri, 1 autofurgoncino, 50 moto monoposto, 2 fucili mitragliatori, 2 mitragliatrici da 20. - 2 reggimenti <li fanteria, ciascuno su: 1 compagnia comando, l' compagnia mortai da 81, inizialmente 2 battaglioni ciascuno su 2 compagnie (fu previsto di portare al più presto i 2 reggimenti su 3 battaglioni ciascuno e questi su 4 compagnie). I 2 reggimenti su 2 battaglioni di 2 compagnie constavano di: 94 ufficiali, ·162 sottufficiali, 1 518 truppa, 72 automobilisti, 2 autovetture, 26 autocarri leggeri, 32 autocarri pesanti, 38 moto monoposto, 48 ,fucili mitragliatori, 24 mitragliatrici, i4 fuciloni controcarri, 24 cannoni da 41, 18 mortai da 81. Le mitragliatrici , i cai;inoni controcarri ed i fuciloni controcarri scesero al livello di compagnia fucilieri. - 1 reggimento di artiglieria su: 3 gruppi di 2 batterie e 2 batterie da 20 {fu previsto di portare appena possibile il reggimento su 5 gruppi di 3 batterie). Il reggimento di artiglieria su 3 gruppi di 2 batterie e 2 batterie da 20 constava di: 67 ufficiali, 70 sottufficiali, 794 truppa, 163 automobilisti, 10 autovetture, 20 controcarri leggeri, 18 autocarri pesanti, 18 autocarri dovunque, 24 trattori T.L. 37, 11 autocarri L 39, 25 moto monoposto, 7 moto ·biposto, 2 moto carrelli, 8 cannoni, 8 mitragliatrici, 8 cannoni da 20, 24 pezzi d'a~tiglieria. - 1 battaglione misto ~enio: 14 ufficiali, 2l sottufficiali, 295 truppa, 28 automobilisti, l autovettura, 7 autocarri leggeri. 5 autòca'rri pesanti. 5 autocarri dovunque, 2 moto biposto, 8 motocarrelli. - J sezione sanità: 9 ufficiali, 4 sottufficiali, 132 truppa, l automobiljsta, l autocarro leggero. · - 1 sezione sussistenza: 3 ufficiali, 1 sottufficiale, 34 truppa, 1 automo.bpista, 1 autocarro leggero. Totale della divisione: 212 ufficiali, 274 sottufficiali, 2 88? truppa; 3,31 automobilisti, 23 autovetture, 50 autocarri leggeri, 55 autocarri pesanti, 23 autocarri dovunque, 24 trattori T.L. 37, 11 autocarri L. 39, 1 autofurgoncino, 113 moto ·monoposto, 9 moto biposto, 10 motocarrelli, 8 cassoni, 50 fucili mitragliatori, 34 mitrag/.iatrici, 24 fuciloni controcarri, 24 cannoni d a 47, 18 mortai da 81, 10 cannoni dà 20, 24 pezzi artiglieria. , - Il totale della divisione con i reggimenti di fanteria su J battaglioni di 4 compagnie ed il reggimento di artiglieria su 5 gruppi di 3 batterie avrebbe dovuto s~lire a: 352 ufficiali, 619 sottufficiali, 5 39& truppa, 567 automobilisti, 34 auto:vetture, 82 autocarri leggeri, 127 autocarri pesanti, 28 autocarri ·dovunque, 72 trattori T.L. 37, 15 autocarri L. 39, l autofurgoncino, 136 moto monoposto, 11 moto biposto, 10 motocarrelli, 24 cassoni, 146 fucili mitragliatori, 92 mitragliatrici, 72 fuciloni controcarri, 72 cannoni da 47, 18 mortai da 81, 16 cannoni da 20, 60 pezzi di artiglieria. Tale consistenza non sarà mai raggiunta. La divisione motorizzata Trieste assunse gradatamente una nuova formazione: comando, l battaglione autoblindo, 1 battaglione carri, 2 reggimenti di fanteria, l reggimento artiglieria, 1 battaglione misto genio, 1 sezione sanità, 1 sezione sussisten/.a, 1 autogruppo divisionale. - Comando di divisione: 26 ùfficiali , 12 sottufficiali, · 107 truppa, 67 automobilisti, 10 autovetture, 8 autocarri leggeri, 1 autofurgoncino, 110 moto monoposto, 2 fucili mitraglatori, 2 mitragliatrici, 2 cannoni da 20. - 2 reggimenti di fanteria ciascuno su: compagnia :comando, 2 battaglioni di 2 compagnie ciascuno, 1 compagnia mortai da 81 ·(fu previsto di portare i battaglioni su 3 compagnie). I 2 reggimenti su 2 batrnglioni di ?. cnmpagnie constavano di:
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94 ufficiali, 162 souufficiali, 1 518 truppa, 72 automobilisti, 2 autovetture, 26 autocarri leggeri, 32 autocarri pesanti, 38 moto monoposto, 48 fucili mitragliatori, 24 mitragliatrici, 24 fuciloni controcarri, 24 cannoni da 47, 18 mortai da 81. - 1 reggimento di artiglieria su: 3 gruppi di 2 batterie e 2 batterie da 20 (fu previsto di portare il reggimento su 5 gruppi di 3 batterie). Il reggimento di artiglieria su 3 gruppi di 2 batterie e 2 batterie da 20 constava di: 67 ufficiali, 70 sottufficiali, 794 truppa, 163 automobilisti, 10 autovetture, 20 autocarri leggeri, 18 autocarri pesanti, 18 autocarri dovunque, 24 uattori T.L. 37, 11 autocarri L. 39, 25 moto monoposto, 7 moto biposto, 2 motocarrelli , 8 cassoni, 8 tnitragliatrici, 16 cannoni, 24 pezzi di artiglieria . .,.... 1 battaglione misto genio: 14 ufficiali, 21 sottufficiali, 295 truppa, 28 automobilisti, 1 autovettura, 7 autocarri leggeri, 5 autocarri pesanti, 5 autocarri dovunque, 2 moto biposto, 8 motocarrelli. - 1 sezione sanità: 9 ufficiali, 4 sottufficiali, 132 truppa, 1 automobilista, 1 autocarro leggero. - 1 sezione sussistenza 3 u!ficiali, 1 sottufficiale, 34 truppa, 1 automobilista, 1 autocarro leggero. - 1 autogruppo divisionale: 24 ufficiali, 23 sottufficiali, 618 automobilisti, 4 autovetturè, 266 autocarri leggeri, 69 autocarri pesanti, 4 autofurgoncini, 31 m'oto biposto, 3 autofficine, 6 mitragliatrici. - Totale della divisione: 237 ufficiali, 303 sottufficiali, 2 940 truppa, 950 automobilisti, 27 autovetture, 329 autocarri leggeri, 124 autocarri pesanti, 23 autocarri dovunque, 24 trattori T.L. 37, 11 autocarri L. 39, 5 autofurgoncini, 204 moto monoposto 9 ,moto biposto, 10 motocarrelli , 3 autofficine, 8 cassoni, 50 fucili mitragliatori, 40 m.itrwiatrici, 24 fuciloni controcarri, 24 cannoni da 47, 18 mortai da 81, 18 cannoni da 20, 24 pezzi di artiglieria. Esclusi il battaglione autoblindo ed il battaglione carri. - Il totale della divisione con i reggimenti di fanterìa su 2 battaglioni di 3 rompagnie ed il reggimento di artiglieria su 5 gruppi di 3 banerie avrebbe dovuto essere di: 309 ufficiali, 416 sottufficiali, 4 007 truppa, 1198 automobilisti, 38 autovetture; 0393 autocarri leggeri, 160 autocarri pesanti, 28 autocarri dovunque, 72 trattori T.L. 37, 15 autocarri T.L. .39, 5 autofurgoncini, 223 moto monoposto, 11 moto biposto, 10 motocarrelli, 3 autofficine, 24 cassoni, 74 fucili mitragliatori, 56 mitragliatrici, 36 fuciloni controcarri, 36 cannoni da 47, 18 mortai da 81, 18 cannoni da 20, 60 pezzi artiglieria. Esclusi il battaglione autoblindo ed il battaglione carri. La divisione Ariete fu ordinata su: comando, 1 battaglione autoblindo, 1 batta· glione carri L 6, 1 reggimento carri M su 3 battaglioni, 1 reggimento bersaglieri, 1 reggimento artiglieria su 4 gruppi di 2 batterie, 1 battaglione genio, 1 sezione sanità, 1 sezione sussistenza, 1 autogruppo misto. L'8 gennaio il Comando Superiore stabili un nuovo assetto territoriale della Tripolitania (Seconda controffensiva italo-tedesca ecc. Op. cit., allegato n. 2, p. 292): 1) Panzer gruppe A/rika: zona Agheila-Nofilia (X corpo, XXI corpo, C.A.M., C.T.A.: operanti ad ovest del limite del settore sirtico); 2) comando settore sirtico: Misurata (sottosettore Sirte e sottosettore Misurata); 3) comando della difesa della Tripolitania (settore di Castel Verde; comando piazza Tripoli; settore di Zuara; sottosettore di Nalut; settore Garian; sottosettore Gadames); . 4) comando Sahara libico (sottosettore Ghihla).
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(82) Il gruppo corazzato tedesco gennaio 1942 era costituito da:
Panzer Gruppe Afrika -
alla data del 20
Truppe d'armata: - raggruppamento Marks (l batteria da 88 su 3 pezzi; il gruppo Pardi su 3 batterie da 20 mm; 605° reparto cacciatori carri su 1 plotone collegamenti, 1 batteria semovente da 76, 2 di 6 pezzi, 2 compagnie cacciatori di carri ciascuna su 7 pezzi da 47 e 3 fucili mitragliatori; 104° reggimento fucilieri motorizzato su: l/155° di 4 compagnie e 4 pezzi da 76,2, Il/ 153° su 1 compagnia pesante, 4 compagnie, 10 pezzi da 76,2, 1 compagnia pesante con pezzi da 75; II/104° su l compagnia pesante e 4 compagnie); - comando artiglieria 104° (di rinforw al C.T.A.) su: 40So gruppo· (1 batteria mortai da 210 e 2 pezzi, 1 batteria da 105 tedeschi su 7 pezzi, 1 batteria da 105 italiani ); gruppo nord su: 523° gruppo (2 batterie da 100, 1 batteria comando); 11° gruppo osservazione (batteria rilevamento vampe e batteria fonotelemetrica); 221° reggimento artiglieria su: 326° batteria osservazione, II/155° (1 batteria da 170, 2 batterie da 105 motorizzate su 7 pezzi in totale); - gruppo contraerei H echt (135° reggimento artiglieria motorizzato) su: 114° gruppo ( 1 batteria da 20 di 12 pezzi, 1 batteria da 50 di 8 pezzi, 3 batterie da 88 di 9 pezzi in totale e di una sezione da 20 per ciascuna batteria); 1/33° (2 batterie da 88 di 7 pezzi in totale e di una sezione da 20 per ciascuna batteria); - genio: battaglione 90()<> su 2 compagnie; - aviazione 2/H/14° squadriglia da osservazione; - collegamenti: 6 stazioni radio fisse è 1 compagnia collegamenti. Corpo tedesco in Africa: - truppe d'armata di rinfor.lo: 475° battaglione collegamenti inisto; 580" reparto misto da esplorazione; 1 batteria da 20 su mezzi cingolati; 1 compagnia controcarro; 1 compagnia autoblindo; 1 compagnia motorizzata da esplorazione; 606° battaglione anticarro e contraereo; 3 compagnie da 50 su mezzi cingolati; - 15" divisione corazzata: - comando (stato maggiore, compagnia comando su plotone comando, motociclisti, sezione gendarmeria, sezione cartografica); - go reggimento carri armati su: compagnia comando (plotone comando, pbtone collegamenti, plotone carri « L »), 1 autofficina, 2 battaglioni carri (ciascuno su: 1 compagnia comando con 1 plotone carri L, 3 compagnie carri L, 1 compagnia carri M); - 15" brigata fucilieri su: 200" reggimento fucilieri motorizzato (plotone collegamenti, plotone motociclisti); XV battaglione motociclisti (1 compagnia pesante motorizzata, 1 compagnia mitraglieri, 3 compagnie motociclisti); II battaglione mitraglieri motorizzato (1 compagnia pesante, 3 compagnie mitraglieri, 1 batteria d'accompagnamento da 75); - 115<> reggimento fucilieri su: compagnia comando (1 plotone collegamenti, 1 plotone pionieri, 1 plotone motociclisti, 1 plotone controcarri), 2 battaglioni fucilieri, ciascuno su 4 compagnie e 1 compagnia pesante; - 33° reggimento artiglieria motoriZ7..ato su: batteria comando, 2 gruppi da 105 su 3 batterie, 1 gruppo misto (1 batteria da 105, 2 batterie da 150); - reparto esplorante su: p lotone collegamenti, 2 compagnie autoblindo, 1 compagnia pesante motorizzata (1 p lotone pionieri e 2 plotoni controcarri), 1 compagnia motociclisti;
CAP. XXXV - OPERAZIONI ITALO-TEDESCllE (PARTE PRIMA)
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- 33" reparto controcarri su 3 compagnie; - XXXIII battaglione genio pionieri su 3 compagnie; - battaglione collegamenti: 1 compagnia collegamenti e 1 compagnia r.t.; - XXXIII battaglione complementi su 3 compagnie; · servizi: compagnia sussistenza, compagnia macellai, 33° autogruppo, compagnia idrica, colonna pezzi di ricambio, 7 autoreparti leggeri, 4 autoreparti pesanti, 3 autoreparti carburanti e lubrificanti, 3 autofficine; -
21a divisione corazzata: . comando: come 1a 15a; - 5° reggimento carri armati: compagnia comando (1 plotone collegamenti, 2 plotoni carri L); compagnia recuperi; 2 battaglioni carri ciascuno su 3 compagnie carri L, 1 compagnia carri M, l compagnia comando (con un plotone carri L); - VIII battaglione mitraglieri motorizzato su: compagnia comando (1 plotone collegamento, 2 plotoni motociclisti), 1 compagnia mitraglieri, 1 compagnia controcarri, 3 compagnie mitraglieri; - 155° reggimento artiglieria motorizzato su: 2 gruppi da 100 su 3 batterie, 1 gruppo misto (1 batteria da 105, 2 batterie da 150); - 3" reparto esplorante su: 2 compagnie autoblindo, 1 compagnia pesante motorizzata {l plotone pionieri, 2 plotoni controcarri), 1 compagnia motociclisti; - .39" reparto conuocarri: 3 compagnie; - CC battaglione pionieri: 3 compagnie; - CC battaglione collegamenti: 1 compagnia collegamenti, 1 compagnia r.t.; - CC battaglione complementi: 3 compagnie: - servizi: compagnia sussisten~. compagnia macellai, compagnia panettieri, 200° autogruppo, compagnia idrica, colonna pezzi di ricambio, 7 autoreparti leggeri, 4 autoreparti pesanti; 1 autoreparto carburanti e lubrificanti, 3 autofficine;
-
9oa divisione leggera Afrika: <ornando: stato maggiore, compagnia comando (1 plotone comando, 1 plotone motociclisti, sezione gendarmeria, sezione cartografica); - 2So re.ggimento (ex Daumi/ler): 3 plotoni da 20, 2 compagnie pionieri, 1 compagnia su 2 plotoni da 47 (6 pe-ai), 1 compagnia controcarri; - gruppo Burchardt: 3 compagnie (ogni compagnia: JR fucili mitragliatori, 2 mitragliatrici, 3 mortai da 45, 1 mortaio da 81), 1 compagnia mitraglieri (R mitragliatrici, 4 mortai da 81, 4 fuciloni controcarri), 1 compagnia controcarri (8 pe7..zi da 37, 3 da 47), 1 batteria da 75, 1 plotone pionieri, 1 autofficina; - 1 batteria da 20 ( 6 pezzi); - 368" gruppo contraerei e controcarri: 1° reparto (4 fucili mitragliatori), 2" reparto (11 fucili mitragliatori), 3° reparto (4 fucili mitragliatori, 7 pezzi da 20); - 361° reggimento fanteria: 2 battaglioni su: compagnia comando (1 mortaio da 81, 1 pezzo da 37, 1 plotone controcarri, 2 mitragliatrici, 4 fuciloni controcarri leggeri e 2 pesanti, 1 pezzo da 37); 1 compagnia (14 fucili mitragliatori , 2 mitragliatrici, 3 fuciloni controcarri leggeri e 1 pesante, 1 pezzo da 37), 1 compagnia (14 fucili mitragliatori, 2 mitragliatrici, 3 fuciloni controcarri leggeri ), 1 compagnia (6 pezzi da 37, 2 pezzi da 47, 4 mortai da 81); 1 battaglione su: 1 compagnia (9 fucili mitragliatori, 2 mitragliatrici, 3 fuciloni conttocarri leggeri e 1 pesante, 3 pezzi da 37, 2 mortai da 81), 1 compagnia (9 fucili mitragliatori, 2 mitragliatrici, 3 fuciloni controcarri leggeri e 1 pesante, 3 pezzi da 37, 2 mortai da
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81), 1 compagnia (9 fucili mitragliatori e mitragliatrici, 3 fuciloni controcarri leggeri e 1 pesante, 8 pezzi da 37, 1 mortaio da 81, 1 pezzo da 47), 1 compagnia (4 fucili mitragliatori, 2 mitragliatrici, 1 fucilone controcarri leggero e 1 pesante, 3 pezzi da 47, 1 mortaio da 81);
- 155° reggimento fuciloni motorizzato (con il raggruppamento Marks). Ordine di battaglia del C.AM. alla data del 20 febbraio 1942: - comando (gen. di corpo d'armata Zingales Francesco): stato maggiore ; comando carabinieri reali; comando artiglieria; quartier generale su: reparto comando, sezioni carabinieri, 1 ufficio postale, 1 autodrappello, reparto comando tattico su: 1 compagnia bersaglieri motorizzata, 1 batteria da 20/35, 1 plotone telegrafisti; - grandi unità: Sabratha, Trieste, Ariete; - truppe e servizi di corpo d'armata: elementi in organico: nessuno; elementi di rinforzo (raggruppamento « Giovani fascisti») su : comando e 2 battaglioni; 8° raggruppamento d'armata su: comando, 1 gruppo da 149/40 di 3 batterie, 1 gruppo da 152/37 di 2 batterie, 1 gruppo da 88/56 di 2 batterie, II gruppo 24° reggimento artiglieria di corpo d'armata di 2 batterie, 1 gruppo da 88/56 di 2 batterie, 1 gruppo da 75/50 di 3 batterie, 1 batteria da 76/30, l battaglione guastatori, 1 nucleo chirurgico. Ordine di battaglia della motorizzata Trieste: - comando (geo. di brigata .Azzi Arnoldo): stato maggiore, quartier generale su: reparto comando, sezione carabinieri, nucleo movimento stradale, autodrappello, ufficio postale; - truppe: 65° reggimento fanteria (comando, 2 battaglioni, compagnia mortai da 81); 66° reggimento fanteria (idem come 65°); 90 reggimento bersaglieri (comando, 2 battaglioni); 21 ° reggimento artiglieria (comando, 1 gruppo da 100/17 di 3 batterie, 1 gruppo da 75/27-06 di 3 batterie, 1 gruppo da 75/27-06 di 2 batterie, 1 batteria da 47/32); LII battaglione genio; servizi (1 sezione sanità, 1 sezione sussistenza, 1 autoreparto misto); - elementi di rinforzo: 1 gruppo del 24° reggimento artiglieria di corpo d 'armata (2 batterie; 1 batteria da 75/50); 1 nucleo chirurgico. Ordine di battaglia dell'Ariete: - comando (gen. di divisione De Stefanis): stato maggiore, quartier generale su: reparto comando, sezione carabinieri, autodrappello, ufficio postale; - truppe: 132° reggimento carristi (comando, 2 battaglioni su 3 compagnie); 8° reggimento bersaglieri (comando, 2 battaglioni, 1 compagnia mortai da 81); 132° reggimento artiglieria (comando, 2 gruppi da 75/27-06 su 2 batterie ciascuno, 2 gruppi da 75/18 semoventi di 2 batterie ciascuno); servizi: 1 sezione sussistenza, 1 autogruppo misto su 2 autoreparti; - elen1enti di rinforzo: 1 gruppo da 149/40 su 3 batterie; 1 batteria da 88/56, 1 compagnia mista genio; 1 sezione sanità. Ordine di battaglia della Sabratha: - comando (generale di brigata Mario Soldarelli): stato maggiore, quartier generale su: sezione carabinieri, ufficio postale; - truppe: 85° reggimento fanteria (comando, 2 battaglioni; compagnia mortai da 81); 86° reggimento fanteria (idem come 85°); raggruppamento artiglieria {comando, 2 gruppi da 75/27-06 dei quali 1 su 3 e 1 su 2 batterie); LX battaglione misto genio; servizio (reparto di sanità, 1 sezione sussistenza, 1 autosezione mista);
CAP. XXXV - OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE PRIMA)
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- elementi cli rinforzo: battaglione RM. San Marco; raggruppamento Giovani Fascisti; I batteria da 65/17; 1 batteria da 88/56; 2 batterie da 75/50; 1 batteria da 76/30; XXXII battaglione guastatori. (83) Il concetto operativo iniziale era di effettuare una manovra avvolgente contro le forze nemiche schierate a nor<l dell'uadi Faregh: sulla destra (sud) il C.T.A. (21a e 15.. corazzata) doveva puntare per Maaten Gefara su Bir Bilal, fronteggiando le provenienze da est per parare un eventuale contrattacco nemico; sulla sinistra (nord) il C.AM. (Ariete e Trieste) doveva puntare anch'esso su Bir Bilal procedendo a cavaliere Jella Balbia; il raggruppamento Marks doveva puntare egualmente su Bir Bilal se.g uendo la stessa direttrice del C.AM. L'azione prevista ebbe inizio alle ore 8,30 del 21 gennaio. (84) Seconda controffensiva italo-tedesca ecc. Op. cit., allegato n. 6, p. 302.
(85) Ibidem, p . 75. (86) Ibidem, p. 78. Il presunto schieramento delle fom: britanniche al 20 gennaio indicava la presenza in Cirenaica di: 5 divisioni cli fanteria motorizzate, 1 divisione corazzata, 1 reggimento corazzato, 3 reggimenti autoblindo. A tale schieramento si opponevano 10 divisioni italo-tedesche. Di queste però soltanto 5 (C.AM. e C.T.A.) furono impiegate nella controffensiva perché le altre (Sabratha, Trento, Pavia, Drescia, Bologna) __:..'._ divisioni per modo di dire anche se fossero state già riordinate e ristrutturate - non erano in situazione cli operatività. L'avanzata, rotto lo schieramento nemico, portò il C.A.M. neJla zona di Bengasi ed il C.T.A. in quella cli Msus. (86 bis) Ritchie Neil Methuen (1897), generale britannico. Nel novembre del 1941 assunse il comando dell'8a armata. Riusci a liberare Tobruch e a conquistare la Cirenaica, ma nel maggio-giugno successivo le sue forze vennero travolte dall'offensiva italo-tedesca. Egli venne esonerato e sostituito dal generale Montgomery. Nel 1944-'45 comandò un corpo d'arm:tta in Francia; nel 1947-'49 comandò le truppe inglesi in Estremo Oriente. (87) Ibidem, p. 81. (88) Comando Supremo. Op. cit., p . 234.
(89) Seconda controffensiva italo-tedesca ecc. Op. cit., allegato n. 36, p. 352. (90) Ibidem, p. 89. Le forze erano:
- X e XXI corpo d'armata che dovevano determinare nell'avversario la sensazione di un attacco frontale congiuntamente all'impiego di reparti da restituire subito dopo alle grandi unità di appartenenza, alla costituzione di un « centro di gravità » di artiglieria pesante in corrispondenza del X corpo, all'azione dell'aviazione concentrata inizialmente sul rovescio della posizione di Ain el Gazala, al ripiegamento dell'ala destra dello schieramento del X e XXI corpo d 'armata; - XX corpo d'armata e C.T.A. e 9Qa divisione. (91) Ibidem, p. 93. I rinforzi aerei che il Comando Supremo concesse furono: l gruppo e mezzo di Stukas, l gruppo di caccia, 1 gruppo di Me 109, 1 reparto contraerei, 1 reparto paracadutisti dell'aeronautica tedesca, 1 stormo Macchi 202, 1 stormo C.R. 42, 1 stormo (1 gruppo Cr. 42 e 1 gruppo Stukas).
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FILIPPO STEFANI
I rinforzi italiani erano messi a disposizione della 5~ squadra aerea, dalla quale dipendeva il comando del settore aeronautico est con sede a Derna, comprendente: 3 stormi C.T. (Ma. 202), 1 stormo C.T. (Cr. 42), 1 stormo d'assalto (Cr. 42), 1 stormo da bombardamento (Caut 2), 1 stormo aerosiluranti (S. 79), 1 gruppo osservazioni aerea Ca. 311), 1 squadriglia idrosiluranti (Cz. 501 ), 1 squadriglia ghibli. (92) Ibidem, p. 94. Le forze navali messe a disposizione dell'A.C.A. erano: - unità tedesche: 9 sommergibili, 8 mas di 80 t, 8 vedette, 9 semoventi galleggianti, 6 piroscafi veloci di piccolo tonnellaggio (per uno sbarco nel golfo di Bomba da effettuare con il battaglione « S. Marco» ed altre unità del genio). Il comando dell'armata rinunziò a tale operazione; - unità italiane: 1 gruppo antisommergibile, 1 sonunergibili, flottiglie di dragamine, 13 torpediniere. (93) Ibidem, allegato n. 37, p. 353. (94) Ibidem, allegato n. 35, p. 349. (95) Gastone Gambara (1890-1962), generale di corpo d'armata. Sottotenente degli alpini nel 1913, capitano nel 1916 e maggiore per merito cli guerra nel 1918. Durante la prima guerra mondiale fu al comando di reparti alpini e reparti di assalto. Fu trasferito nel corpo di stato maggiore nel gennaio 1927. Nel 1933 fu nominato capo di S.M. della divisione Forralta. Partecipò alla guerra italo etiopica quale capo di S.M. della I divisione CC.NN. 23 marzo. Colonnello nel 1937, fu nell'aprile di quell'anno in Spagna quale capo di S.M. del C.T.V. Un anno dopo fu promosso generale di brigata per merito di guerra e assunse il comando del C.T.V. Promosso generale di divisione nel 1939, fu nominato ambasciatore d'Italia presso il governo spagnolo. Dal giugno '40 al febbraio '41 fu destinato al XV corpo d'armata con funzioni di comandante, e passò quindi all'VIII corpo d'armata in Albania con le stesse funzioni. Subito dopo assunse la carica di capo di S.M. del comando FF.AA. Africa Settentrionale. Poco dopo assunse il comando del corpo d'armata cli manovra, conservando la carica di capo di SM. Nel giugno 1941 fu promosso per merito di guerra (operazioni in Albania) generale di corpo d'armata. Comandò successivamente il XIX e l'XI corpo d'armata. Dopo 1'8 settembre 1943, aderl alla Repubblica Sociale Italiana, e fu capo di stato maggiore dell'esercito della Repubblica Sociale. Cancellato dai ruoli con la perdita del grado il 20 giugno del 1945, fu poi riammesso nei ruoli. (96) Seconda controffensiva ecc. Op. cit., allegato n. 36, p. 352. (97) Ibidem, allegato n. 37, p. 353. (98) Ibidem, p. 91. (99) Il presunto ordine cli battaglia delle forze britanniche nel Medio Oriente, aggiornato dal Superasi al 5 febbraio del 1942, era il seguente: Comandante: gen. C.I.E. Auchinleck. Forze della Marmarica e del deserto occidentale: -
8"' armata: generale N.M. Ritchie: . truppe d'armata: motorizzate (4° reggimentho autoblindo sud africano, 6° reggimento autoblindo sud-africano, gruppo esplorazione desertica a grandi distanze
CAP. XXXV - OPERAZIONI I1'AL0-'1'EDESCHE (PARTE PR.lMA)
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Long Range Desert Geoup, 1 gruppo artiglieria e.a. leggera, un reggimento controcarri, un reggimento artiglieria da campagna, un reggimento artiglieria media); -
XIII corpo d'armata (gen. A.R. Go<lwin Austin): - truppe esploranti di corpo d'armata (un reggimento autoblindo Hussars, un reggimento autoblindo The Royal Dragons, un reggimento autoblindo King's Dragons Guards); - artiglierie di corpo d'armata (un reggimento controcarri; un reggimento artiglieria motorizzato); - forze cora7.7.ate (XXXII brigata cora1.zata dell'esercito, 3 brigate carri per fanteria su circa 60 carri, 1a divisione corazzata su 2 brigate corazzate, un gruppo sostegno, resti reggimento artiglieria motorizzata); - grandi unità di fanteria: 3 brigate autonome (CC. Guards Brigade, CL lnfantry Briga.le, brigata di fanteria polacca); 4~ divisione di fanteria indiana (un battaglione meccanizzato, 3 brigate di fanteria, artiglierie per oltre 5 reggimenti, genio e servizi); 16 divisione di fanteria sud-africana (un battaglione carri leggeri, 3 brigate fanteria sud-africana, 5 reggimenti di artiglieria, genio, servizi); 7Qa divisione di fanteria inglese (un battaglione di fanteria, un battaglione mitraglieri, 3 brigate di fanteria, 5 reggimenti di artiglieria, una brigata e.a.); -
XXX corpo d 'armata (gen. C.W. Nonie): - truppe di corpo d 'armata: un battaglione cavalleria motori7.zato nco-zelandese, una brigata corazzata dell'esercito per circa 60 carri; - 2~ divisione sud-africana (un battaglione fanteria motorizzata, un battaglione carri esploratori, 3 brigate di fanteria, 6 reggimenti di artiglieria, genio, servizi); - truppe delle oasi: Giarabub (elementi za divisione sud-africana); Siwa (elementi 5a divisione indiana); Cufra (un battaglione· misto, un plotone degaullista, un plotone di polizia, uno squadrone autoblindo, un gruppo artiglieria motorizzato, 2 compagnie contraerei, 150 camionette); Tazerbo (60 sudanesi, 10 camionette, 8 militari); Bir Harase (45 militari, 8 camionette); - campo trincerato di Marsa Matruh: 50" divisione di fanteria, CLI brigata di fanteria, XII brigata contraerei, 7a divisione corazzata (2 brigate, 1 gruppo sostegno); - campo trincerato cli Mahaten Baggush: za divisione nco-7.clandese (2 battaglioni fanteria motorizzati, 1 battaglione mitraglieri, 3 brigate di fanteria neo-zelandese, 3 reggimenti di artiglieria, genio, servizi); - unità di cui è ignota la dislocazione: 5a. divisione indiana su 3 brigate, XLVI brigata di fanteria indiana, un battaglione di fanteria 2nd Cheshire regiment, 69" reggimento artigleria (XCIV e.a., XXII media e pesante, 6 gruppi contraerei, CXLIV campale). Forze britanniche nel Delta: 12a divisione di fanteria, unità varie, unità in ricostituzione, unità giunte dall'Eritrea. Forze britanniche della Siria, Palestina, Cipro, Iraq e Iran: Siria e Palestina: 9" armata su: - truppe d'armata (4 battaglioni carri, una divisione di cavalleria, un reggimento autoblindo, 2 brigate ippomontatc, un reggimento di artiglieria, genio, servizi); - X corpo d'armata (6"- divisione di fanteria, 10" divisione corazzata); - un corpo australiano: 6"', 7" e 9" divisione australiana. -
-
Cipro: forze pari ad una divisione. Iran e Iraq (7'- armata): forze dell'esercito egiziano.
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FILIPPO STEFANI
Il 22 maggio il Comando Armata Corazzata Afrika valutava le forze · nemiche (stralcio del documento allegato all'ordine d'annata per l'attacco}: -
Schieramento:
- 8"' armata: comandante gen. Ritchie; quartier generale: Marsa Matruh; comando tattico avanzato: nord-ovest di Gambut; XIII corpo d'armata (gen. Gott): comando tattico: Bir Bcllefaa con 1a divisione di fanteria sud-africana (3 brigate), 2"' divisione di fanteria sud-africana (presidio della piazza di Tobruch), 5()a divisione di fanteria (3 brigate); XXX corpo d'armata (gen. Nonic}: comando tattico: presso Azual Mnefa con P divisione corazzata (7 battaglioni carri e una brigata motorizzata), 7"' divisione corazzata (3 battaglioni carri, una brigata motorizzata, una brigata Liberi francesi), 53 divisione indiana di fanteria (2 brigate); unità nelle retrovie dell'armata: truppe di presidio (Sidi Barrani, Marsa Matruh, Geravla, Sidi Hanciah) con deboli for-.re; reparti speciali dell'esercito e dell'aviazione a Giarabub; - truppe britanniche in Egitto alle dipendenze del comando dei X corpo d'armata al Cairo. Sono conosciute: truppe di presidio (7" divisione inglese di fanteria, 12" divisione inglese di fanteria, clementi 2"' divisione africana, XXXVIII e LXXVII brigate indiane di fanteria , truppe egiziane e sudanesi); truppe di passaggio: per essere trasportate altrove: 4& divisione indiana di fanteria in ricostituzione; l" brigata cor!IZ'Lata, VII brigata corazzata, VIII brigata coraZ?.ata, 27Q « Lancers », II brigata leggera di Liberi francesi, V brigata sud-africana, III brigata di fanteria indiana. Delle grandi unità in Palestina-Siria sono pronte ad entrare in campagna: 2" divisione neozelandese, brigata polacca, XXXII brigata corazzata d'armata. Sono da aggiungere: 8" divisione inglese (truppa di presidio di scarso valore tattico); elementi della 11" <livisione africana (truppa <li presidio composta di reparti indigeni); greci e ccki della forza di circa 2 divisioni ( di scarso valore tattico).
Le forze esploranti, aumentate notevolmente, sono alle dipendenze della VII brigata motorizzata della 7a divisione corazzata. Esse sono attualmente: 2 battaglioni della VII brigata motorizzata, 2 gruppi esploranti (K.D.G. e IV gruppo autoblindo sud-africano), un reggimento artiglieria leggera (4° R.N.A.), un gruppo artiglieria medio calibro, un battaglione carri (V.R.T.R.), unità controcarri e contraerei. Da queste unità sono stati costituiti numerosi gruppi tattici « Columra » che in generale sono costituiti da 1-2 compagnie fucilieri, una o più batterie, carri e autoblindo, sezioni controcarri e contraerei. Il grosso dell'8" armata è dislocato nella zona Bir Hacheim-el Adem-Tobruch-Ain el Gazala. Il XXX corpo con le 2 divisioni corazzate è tenuto pronto per un impiego mobile nella zona sud dello schieramento. Il XXX corpo ha alle sue dipendenze la massa delle divisioni di fanteria solo in parte mobili. Queste divisioni sono schierate a difesa nella zona Bir Bellefaa-Tobruch-Ain el Gazala-Mteifel el Chebir. Considerazioni. Delle divisioni britanniche operanti in Marmarica, le 3 divisioni di fanteria (5 3 inglese, 1"· e 23 sud-africana) sono sistemate a difesa. Le 2 divisioni corazzate (l" e 7") sono scaglionate per esteso dalla zona a sud di Bir Tengeder fino a Bardia. La 73 corazzata oltre alla sicurezza del fianco sud ha probabilmente il compito di svolgere azioni di disturbo nella fascia di sicurezza con forti reparti esploranti. Questa divìsione deve pertanto essere considerata piuttosto attualmente come una grande unità di esplorazione e sicurezza. La 1" corazzata ha la massa delle forze dislocate in riposo nella zona di retrovia Gambut-Bardia. Pronta all'impiego e presente nella zona di combattimento si trova probabilmente una brigata corazzata.
CAP. XXXV - OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE PRIMA)
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La .5a divisione indiana di fanteria può essere considerata riserva di armata; essa non ha una grande capaciti\ operativa. Un grande attacco i cui protagonisti dovrcbhero essere le divisioni corazzate richiede per prima cosa un concentramento ed un allestimento di queste uni tà. Indizi di questo per ora non ci sono. Possono tuttavia avvenire attacchi di disturbo in forza e puntate esploranti per le quali non è necessaria una riunione d ei grossi. Dallo schieramento delle divisioni di fanteria in difensiva, dall'impiego dcli.a 7~ corazzata per esplorazione e sicurezza, dal fatto che la massa della 1a corazzata è stata portata indietro e dalla mancanza di poderose riserve, si può desumere che il Comando britannico non ha intenzione di effettuare presto un grande attacco. P er difendersi da un attacco italo-tedesco si presentano al Comandò britannico le seguenti possibilità: a) cercare con la condotta stessa delle operazioni di rallentare l'avanzata italotedesca ed infine arrestarla completamente. Per effettuare ciò è necessario un forre spiegamento d elle forze in profondità. Una simile disposizione richiede - specie in considerazione del necessario spostamento dei rifornimenti - molto tempo. Per ora non è possibile riconoscere l'applicazione di questi propositi. Dopo o poco prima dell'inizio dell'attacco, un simile schieramento potrebbe essere JX>ssibilc solo a prezzo di perdere la massa dei rifornimenti ; b) difesa ad oltranza ripiegando sulla piazza di Tocruch. All 'uopo le divisioni di fanteria, sotto li! protezione delle fortificazioni Olmpali e delle mine occuperebbero le posizioni di una volta. Solo in caso estremo esse uscirebbero da Tobruch con l'ala destra per sistemarsi di nuovo a difesa sulla linea Bit cl Gohi-Tobruch Le divi~ioni corazzate si atterrebbero aUa difesa mobile. All'uoJX) le for~ corazzate dovrebbero essere tenute pronte per il contrattacco all'incirca nella zona nord -est di Bir Hacheim. Segnale di attacco: 4uando l'avvers~ rio ha o ltrepassato gli sbarramenti di mine o li ha aggirati. Le uni tà cora7.7.ate possono anche, lasciando fronte al nemico unità d i fantcr~. esploranti e comrocarri, dislocarsi ad est, e sud-est - all'incirca nella zona intorno a Bir el Gobi - per attaccare di lì il nemico sul fianco. L'ultima decisione richiede da parte del comando molta buona disposizione ad assumersi la responsabilità di cambiare le decisioni a secondo della situazione. Dalle esperienze fatte finora il nemico non è incline a simili decisioni . Pertanro saremo più vicini al giusto prevedendo che egli darà preferenza all'altra possibilità. tenere pronte per il contrattacco le forze cora7.zate dietro la linea Ri r Hacheim-Bir cl Hamac (veds. Secondo controffensiva ecc. Op. cit., allegato n. 37., p. 361 e seguenti). (100) Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit.. p. 3ì5. ( 101 ) Ibidem, p. 375.
(102) Seconda controffensiva italo-tedesca ecc. Op. cit., p. 152. ( 103) Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 376.
(104) Ibidem, p. 376.
(10.5) lbidcm, p . 377. ( 106) Ibidem, p. 376. ( 107 ) Ibidem, p. 378.
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(108) Seconda controffensiva italo-tedesca ecc. Op cit., a1legato n. 39, p. 372. (109) Ibidem, allegato n. 41, p. 373.
(110) Ibidem, allegato n. 42, p . 375. (111) Ibidem, p. 136. (112) Comando Supremo. Op. cit., p. 279
(113) Seconda controffensiva italo-tedesca ecc. Op. cit., allegato n. 46, p. 382. (114) Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 396. (115) Nel settore settentrionale era affluita la 9a divisione australiana costituita da un gruppo esplorante, 3 brigate, ciascuna su 2 battaglioni, una brigata controcarri, 3 reggimenti artiglieria, un gruppo contraerei, un battaglione genio, un battaglione collegamenti e servizi. Inoltre, era stato segnalato un battaglone (VIII) carri del Koyal 'J'ank Regiment. Nel settore centrale era giunta la X brigata motorizzata indiana e in quello meridionale il 4° reggimento autoblindo sud-africano ricostituito con materiale cli fabbricazione americana. Infine, risultava che la XXXIII brigata corazzata inglese ed il 124° Royal Tank Regiment, presenti nella zona del Canale, avevano ceduto carri e personale per la ricostituzione della l " e 7.. divisione oora=ta. Erano affluiti in linea carri armati americani tipo Generale Grant e Generale Lee cli 30 L circa. Nell'ambito delle for-.re aeree i rifornimenti dal Medio Oriente e dagli Stati Uniti erano stati ininterrotti fin dai primi di luglio. In un solo giorno, il 17 luglio, gli inglesi impiegarono a massa 500 aerei di cui 300 caccia. ( 116) Seconda controffensiva italo-tedesca ecc. Op. cit., p. 186. Comando Supremo. Op. cit., p. 291. (117) Seconda controffensiva italo-tedesca ecc. Op. cit. , allegato n. 50, p_ 388. (118) Il generale Rommel attuò, una volta deciso l'atteggiamento difensivo, uno schieramento a caposaldi con il criterio di sbarrare le principali strade o piste. Il dispositivo difensivo italo-tedesco fu attuato su 2 schiere: - in 1• schiera le grandi unità di fanteria non mobili a presidio della linea di resistenza rappresentata dal margine anteriore della fascia perimetrale dei caposaldi; - in Z.. schiera, le grandi unità corazzate dislocate in posizione arretrata (ad una distanza media dalla 1a schiera di circa 8 Km, ridotto successivamente a 5-;- 3 Km in seguito all'arretramento della 1a linea) allo scopo di poter piombare sul fianco e sul tergo nemico qualora questo, aggirati i caposaldi, avesse tentato di spingersi avanti. Lo schieramento difensivo fu organizzato a caposaldi di battaglione, con campi minati e reticolati: questi caposaldi furono articolati nel loro interno io 3 elementi avanzati e 1 arretrato (compagnie) i quali però non ebbero i mezzi sufficienti per assicurare l'autodifesa, né la reazione negli spazi interposti, né la resistenza ad oltranza. Inoltre ogni caposaldo fu protetto da un reticolato a concertina, sul rovescio del quale si trovavano i campi minati e i reticolati. In definitiva si ebbe per ogni caposaldo: larghe-.aa frontale di un caposaldo di compagnia n11 'incirc:i 700-800 m, profondità del
CAP. XXXV - OPERAZIONI I'rALO-TEDESCl-ffi (PARTE PIUMA)
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caposaldo stesso 300 m, intervalli fra caposalcli di compagnia 400 7 500 m, larghezza complessiva di un settore di battaglione fino a .3500 m. Tutte le artiglierie furono schierate in condizioni di poter intervenire con il fuoco davanti alle unità di l " schiera. In alcuni settori il gruppo fu schierato nello interno dei caposaldi cli battaglione; in altri settori fu costituito un allineamento di caposaldi di artiglieria sul rovescio dei caposaldi avanzati di fanteria ed a distanze variabili da questi secondo il terreno, con il cri terio di poter eseguire sia tiri isolati sia a massa, a seconda degli obiettivi da battere e dei tratti di fronte da proteggere. Tale allineamento rese difficile la manovra del fuoco a causa dell'ampiezza della fronte, delle gittate delle artiglierie, delle difficoltà dei collegamenti e dell'osservazione. I rifornimenti dall'Italia e dalla Germania assunsero dal mese di luglio un ritmo assai lento. Su un fabbisogno complessivo di 3 mila t giornaliere per le necessità della Libia si riusd a trasportare in luglio solo 700 t al giorno. Il 18 luglio giunsero in linea 2 gruppi da 75/27 ed 1 gruppo da 100/ 17 del 205° reggimento artiglieria della Bologna. Affluì poi dalla Tripolitania la Bologna in sostituzione della Sabratha della quale fu stabilito lo scioglimento in conseguenza delle perdite subite. Venne poi attuato l'arrivo a scaglioni dall'Italia della Folgore (paracadutisti) per aviotrasporto, nonché del personale per il completamento della Brescia e della Pavia. Anche da parte tedesca giunsero i primi complementi per il C.TA ., nonché la 1f'4" divisione <li fanteria su 3 reggimenti di fanteria, ma incompleta di artiglierie, una brigata paracadutisti e una briiata contraerei. Per la vigilanza della Cirenaica venne dall'Italia la divisione motorizzata Pistoia che fu posta alle dipendenze del Superasi. (119) Seconda controffensiva italo-tedesca. Op. cit. , p. 394. (120) Ibidem, allegato n. 54, p. 394.
(121) Ibidem, allegato n. 55, p. 3% e allegato n. 56, p_ 398. (122) Ibidem, p. 193. (123) Ibidem, p. 195.
(124) Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 400.
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CAPITOLO
XXXVI
LE OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (Parte seconda) 1. La battaglia di AJ.am el Halfa. 2. Dal 5 settembre al 23 ottobre. 3. La battaglia di el Alamein. 4. Prima fase della ritirata. 5. Seconda
fase della ritirata. 6. Considerazioni conclusive.
1. Il secondo ed ultimo tentativo delle forze italo-tedesche di avvolgere lo schieramento delle forze britanniche ad el Alamein fu, come accennato nel capitolo precedente, quello compiuto nei giorni 30 agosto-5 settembre. L'operazione era stata prospettata dal maresciallo Rommel al generale Barbasetti in un colloquio che i due avevano avuto il 10 agosto presso il comando dell'A.J.T., durante il quale il maresciallo tedesco, dopo avere espresso un giudizio soddisfacente della situazione per il superamento della crisi di luglio, aveva trattato varie questioni per il potenziamento della Libia e dell'A.J.T.: ricostituzione della Pavia e della Brescia, affluenza della Pistoia; disponibilità e previsione circa i carri armati, i semoventi e le autoblinde; disponibilità di reparti ed equipaggi da ponte per le operazioni in Egitto; possibilità d'impiego di altri gruppi di artiglieria da posizione e di pezzi da 105/28; impiego dei paracadutisti mediante lancio da aerei; presidio di Siwa; sicurezza della linea Marsa Matruh-Qattara; possibilità di sbarchi nemici nella zona Bardia-Marsa Matruh; disponibilità di reparti aerei e forze aeree per Siwa; trasporti: traffico ferroviario e marittimo; potenziamento del tronco ferroviario Marsa Matruh-Sidi Abel el Rahman per il trasporto munizioni dell'A.J.T. Egli aveva altresì manifestato l'intendimento operativo di passare all'offensiva prima che il nemico ricevesse i convogli in viaggio e completasse lo schieramento dei campi minati. L'offensiva avrebbe dovuto essere improntata alla sorpresa ed alla celerità (finti mascheramenti; rinunzia a una vera e propria preparazione di artiglieria e di aviazione; attacco improvviso su tutta la
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-p;,ana e1
El ALAMEIN - La 2 ' 6a1tagùa(././alam el-llalf'a)
- - -: Linea di par!enz.a dell' H.1.T. L-f6END4 •••••••• Linea di contatto al termine della battaglia ---+ Pror,os,ti di manovra ir. pr'ofondità irrealizzati'
CAP. XXXVI - OPERI\ZlONI I TALO-TEDl:'.SCHE (PARTE SFCONDA)
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fronte: a nord da parte della Trento e della 1646 tedesca, al centro da parte cli unità della Brescia e di paracadutisti appiedati germanici, a sud da parte di unità paracadutiste italiane) ed avrebbe dovuto essere compiuta da forze rilevanti al fine cli agganciare la massa nemica e attirare la reazione delle unità corazzate avversarie. La massa corazzata italo-tedesca avrebbe, nel frattempo, assunto gradualmente uno schieramento da ovest ad est, fronte a nord, per eseguire poi una conversione a sinistra fino a tagliare la strada litoranea e a rinchiudere in una grande sacca la massa nemica. Si sarebbe ripetuta Ja manovra eseguita nel maggio contro la posizione di Ain el Gazala, con la differenza che questa volta le forze italo-tedesche non si sarebbero lasciati:: sulla destra una forte occupazione nemica come era stata quella di Bir Hacheim. La battaglia sarebbe stata condotta con lo scopo di annientare le forze nemiche per poi procedere decisamente verso est e tagliare Ja strada tra Alessandria e Il Cairo (1). Il maresciallo Cavallero il 17 agosto aveva emanato le direttive per l'operazione precisando: come base di partenza, le posizioni tra il golfo degli Arabi e Ja depressione cli el Qattara, che avrebbero dovuto rimanere presidiate per ogni evenienza; come compito, l'annientamento delle forze ad ovest del Delta; come obiettivo, nell'ordine Alessandria, regione del Cairo, canale cli Suez; come data cli inizio, il più presto possibile, ma necessariamente subordinata alla condizione che il programma in corso per il trasporto dei rifornimenti, specie cli carburanti, non avesse a subire arresti o falcidie notevoli. Il maresciallo Cavallero si era riservato cli far conoscere se la data proposta dal maresciallo Rommel - tra i 24 ed il 28 agosto, a luna piena, in modo da iniziare e proseguire le operazioni cli notte - sarebbe stata o no approvata da Mussolini (2). Ma il 22 agosto il maresciallo Rommel aveva fatto sapere al Comando Supremo, per il tramite del generale von Rintelen, che l'esecuzione del piano sarebbe stata possibile soltanto se: entro il 25 agosto fossero arrivati a Tobrueh i convogli previsti per circa 2000 t di carburante, 500 t cli munizioni, ecc.; entro il 27 fossero giunti, sempre a Tobruch, altri 2000 metri cubi di carburante, ecc.; fossero altresì giunti entro il 27 agosto, gli automezzi necessari per motorizzare 6 battaglioni e 5 batterie del XX corpo e per rifornire la Folgore; entro il 30 agosto si fosse stati sicuri cli aver potuto trasportare altre 3600 t cli carburante e 2000 t cli munizioni. In caso diverso, l'impresa, fondata sull'utilizzazione delle fasi lunari favorevoli, avrebbe dovuto essere differita e rielaborata su cli un nuovo piano. Le previsioni lasciavano intendere, secondo il maresciallo Rommel , che il
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nemico, nel mese di settembre, sarebbe passato all'offensiva con forze assai superiori (3). Il maresciaJlo Cavallero aveva risposto con due telegrammi che parte del materiale era già giunto a Tobruch e che il resto sarebbe stato avviato tra il 28 agosto ed il 4 settembre (4). Il 28 agosto il maresciallo Rommel espose ai comandanti interessati gli intendimenti e le indicazioni per l'operazione, precisando la ripartizione delle forze in 3 colonne: gruppo Bismark, costituito dalla 21,. corazzata e 164" (per la quale erano attesi gli automezzi), con obiettivo Alessandria; C.T.A., costituito dalla 15" corazzata, dalla 90" e da gruppi esploranti (3 tedeschi, 1 italiano), con obiettivo i ponti sul Nilo in corrispondenza del Cairo (è verosimile che i gruppi esploranti vengono spostati verso est e sud-est già nel corso della battaglia di el Alamein così da poter piombare sui ponti in poche ore); XX corpo, costituito da Ariete, Littorio e Trieste, con obiettivo l'eliminazione delle difese nemiche dell'uadi Natrun e successivamente l'occupazione dei ponti sul Medio Delta (5). Il 30 agosto il maresciallo Rommel emanò l'ordine del giorno a1le truppe per l'inizio dell'offensiva (6), dove era detto che l'armata rinforzata da nuove divisioni sarebbe passata da quel giorno ali'annientamento definitivo del nemico. Era convinto di quanto scrisse? Non aveva 8 giorni avanti chiesto di essere sostituito per malattia (7)? Quali erano stati i rinforzi ricevuti? L'attività svolta dal Comando Supremo per potenziare la Libia e rafforzare le posizioni di el Alamein dai primi di luglio alla fine di agosto era stata imponente. Era stata fissata la cifra di 100 000 tonnellate di materiali da spedire mensilmente in Libia (8) e considerate, in aumento di questa cifra, altre 20 000 tonnellate di materiale che avrebbe dovuto essere scaricato dalle maggiori unità navali e caricato sulle minori unità di cabotaggio; erano state prese u1tte le predisposizioni ed attuate tutte le previdenze per portare la capacità mensile di scarico del porto di Tripoli a 200 000 tonnellate, di quello di Bengasi a 45 000, di quello di Tobruch a 30 000, di quello di Marsa Matruh a 12 000 e di quelli di Rass Hilal-Bardia-Sollum a 13 000; era stato provveduto ad un minimo di difesa costiera del litorale della Libia (1800 Km di sviluppo) sia pure con una forza di sole 45 batterie e 50 compagnie con effettivi assai ridotti; era stato potenziato il Sahara libico per dare sicurezza alle retrovie ed alla linea di rifornimento; erano stati riorganizzati i trasporti e razionalizzati gli invii di personale e di materiale; si era rimessa in funzione la ferrovia egiziana, facente capo a Marsa Matruh, che era stata prolungata dagli inglesi fino a Sidi Rezegh (circa 30 Km
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da Tobruch); il 27 luglio erano disponibili 12 locomotori italiani e l'attività della ferrovia andava aumentando fino a consentire alla fine di luglio un traffico giornaliero di circa 300 t fra Sidi Rezegh e ·el Dab 'a; si lavorava al nuovo tronco ferroviario fra Sidi RezeghT obruch e si prevedeva che entro la prima metà di settembre sarebbe stato ultimato il tratto Sidi Rezegh-bivio el Adem. Ma, mentre il Comando Supremo compiva ogni sforzo per dare sicurezza al traffico marittimo e per ridurre il consumo dei carburanti per il trasporto dai porti di sbarco ai luoghi di accantonamento o d'impiego, cresceva la sistematica lotta del nemico contro il traffico marittimo e contro quello terrestre in Libia. Il 12 luglio un attacco di cacciatorpediniere inglesi a Marsa Matruh affondò lo Starla e danneggiò il Book; i 25 luglio venne silurato il Pisani e vennero perduti 3000 metri cubi di carburanti ed un gruppo di semoventi; il 4 agosto calò a picco il Monviso con 2860 t di materiali vari, 4000 t di carburante italiano e 200 t di carburante tedesco , 6 motocarrelli, 120 automezzi, 7 autoblinde tedesche, 11 carri armati italiani; il 7 agosto fu attaccato e affondato il Wachtfels; il 17 agosto fu silurato il Lerici; il 21 agosto fu la volta del Pozariga con 7000 t di benzina; il 28 agosto venne affondato il piroscafo Istria con carburante per le unità tedesche e molta benzina avio. Nei giorni 11, 12, 13 e 14 agosto la forza navale inglese su 3 gruppi - un gruppo: 1 portaerei, 4-6 incrociatori, 12 cacciatorpediniere; un gruppo: 3 navi da battaglia, 20 tra incrociatori e cacciatorpediniere, 3 portaerei e 20 piroscafi; un gruppo: 6 cacciatorpediniere - di scorta a un convoglio diretto a Malta, aveva subito gravi danni, ma aveva determinato un'interruzione dei rifornimenti italo-tedeschi ed un'acuta crisi nella disponibilità di carburanti , in particolare di nafta per la marina. Il 20 agosto la situazione dei carburanti era divenuta tanto critica da indurre il generale von Rintelen a proporre di rinunciare alla progettata offensiva in quanto le forze tedesche terrestri ed aree in Africa avevano disponibili complessivamente solo 8000 t di carburante contro un fabbisogno preventivato di 30000 t. Lo stesso maresciallo Kesselring, fautore dell'offensiva , era del parere che iniziare l'operazione con sole 8000 t sarebbe stato troppo rischioso. Chi era rimasto fermo nell'idea di non rinunciare all'offensiva era solo il maresciallo Cavallero che, nei giorni tra il 20 ed il 24 agosto (9), aveva disposto, d 'intesa con il maresciallo Kesselring, l'effettuazione di 5 convogli: cisterna Ponzariga e piroscafi Istria per Bengasi; cisterna Passio e piroscafi Dielpi e Creta per Tobruch; motonavi Unione e Manara per Bengasi; cisterna S. Giorgio , eventualmente cisterna Sant'Andrea e
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piroscafi Camperio e Tergesta, per Tobruch; piroscafi Rahr e Amsterdam per Tripoli o Bengasi. Dal 24 agosto al 1° settembre sarebbero dovute giungere in Libia 6751 t di carburanti, 1022 t di munizioni e 580 automezzi. Ma, alla sera del 28 agosto, la situazione dei carburanti per le truppe italiane, compresi i quantitativi ancora sotto carico, era di 778 t di benzina (pari ai consumi normali, non a quelli operativi quasi doppi, di 6 giornate) e di 2765 t di gasolio (autosufficienza di 17 giorni di consumi normali), mentre le truppe tedesche avevano benzina per 8 giorni di consumi normali. Erano, inoltre, in corso altri movimenti disposti dal maresciallo Cavallero, che in quei giorni esplicava tutte le modalità ed i ripieghi possibili per rifornire le truppe dell'Africa settentrionale: entro il 3 settembre sarebbero state inviate altre 5000 t di carburante per le truppe germaniche e nei giorni 2 e 5 settembre rispettivamente altre 7500 e 1200 t di munizioni. Le previsioni non trovarono riscontro nella realtà, perché il 2 settembre le navi cisterna Passio ed Abruzzi, cariche di carburante, furono attaccate e colpite dall'aviazione nemica: la Passio venne affondata e l'Abruzzi perdé gran parte del suo carico. Malgrado ciò, il 2 settembre esisteva come scorta presso le grandi unità operanti un'au tonomia di 500 Km, senza considerare i quantitativi esistenti presso i centri logistici dell'Intendenza. Un totale non elevato pe r un lungo periodo di operazioni , ma non insufficiente per proseguire la battaglia fino a raggiungere almeno gli obiettivi della costa (10). Non minore era stata la sollecitudine del Comando Supremo per cercare di eliminare tutti gli inconvenienti riscontrati nell'organizzazione di comando durante le operazioni che avevano condotto le forze italo tedesche ad el Alamein: esautoramento del Superasi da parte del maresciallo Rommel con richieste in contrasto con il parere del maresciallo Bastico rivolte direttamente, o per il tramite del generale van Rintelen, all'Alto Comando tedesco; interferenze del maresciallo Kcsselring, spesso in contrasto con lo stesso maresciallo Rommel, e suoi interventi diretti senza neppure preavvisare il Comando Supremo italiano (11); pesantezza del Superasi e, in particolare, dei compiti del maresciallo Bastico, contemporaneamente governatore generale della Libia, chiamato ad intervenire in t utte le necessità di carattere generale, politiche e militari, nonché in tutte le questioni territoriali e operative, nel quadro di una struttura burocratica che faceva risalire al comando superiore un'infinità di problemi anche modesti che avrebbero potuto essere definiti con maggiore profitto e tempestività ai livelli gerarchici inferiori qualora
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la mentalità del tempo di guerra avesse prevalso sulla routine organizzativa, inceppata e lenta, del tempo di pace; scavalcamenti del Superasi da parte del Supermarina e del Superaereo che spesso avevano impartito ordini diretti al comando marina della Libia (ammiraglio Lombardi) ed al comando della 5" squadra aerea (generale Marchesi) e che avevano gestito in proprio le questioni riguardanti l'avviamento e i rifornimenti dalla madrepatria; continue infiltrazioni e invadenze, con procedura di vero esproprio, da parte dei comandi tedeschi, che si erano sostituiti a quelli italiani attraverso una penetrazione incessante, autoritaria e subdola (12). Il maresciallo Cavallero pensò di poter migliorare l'organizzazione di comando, snellirla, renderla più funzionale passando dalle dipendenze del Superasi a quelle del Comando Supremo l 'armata italo-tedesca operante in Egitto e istituendo un organismo in loco che si dedicasse esclusivamente a compiti operativi e organizzativi, fosse il tramite autovole tra il generale Rommel ed il Comando Supremo italiano e rappresentasse al tempo stesso il grande organo alimentatore dell'armata e della Libia, in modo da imbrigliare in una certa misura lo spirito d'indipendenza e di insofferenza del maresciallo tedesco che, posto alle dirette dipendenze di Mussolini, avrebbe dovuto maggiormente rispettare l'obbligo della subordinazione. Mussolini, per la verità, non fu molto entusiasta della soluzione, ma la dovette accettare perché il maresciallo Cavallero, diversamente dal solito, lo mise davanti al fatto compiuto (13). In data 16 agosto il Comando Superiore delle forze armate dell'Africa settentrionale, Superasi, mutò la propria denominazione in Comando Superiore delle forze armate della Libia, Superlibia, con giurisdizione su tutto il territorio omonimo; l'armata italo-tedesca, A.l.T., passò alle dirette dipendenze del Comando Supremo per le questioni operative; venne costituita una Delegazione del Comando Supremo in A .S., Delease, retta dal generale di corpo d'armata Curio Barbasetti di Prun, alla quale il comando dell'A.J.T. avrebbe dovuto fare capo per tutte le questioni non operative (alimentazione dell'armata; coordinamento del funzionamento dei rifornimenti, dei porti e dei trasporti; giurisdizione territoriale sulle retrovie dell'armata). La Delease avrebbe dovuto esercitare, inoltre, funzioni di comando per la parte disciplinare ed amministrativa sulle truppe italiane assegnate a11' A.T.T., sulla 5n squadra aerea, su Marilibia e sull'Intendenza A.S. , la qu ale ultima avrebbe dovuto esercitare la sua giurisdizione su di una profondità di territorio di circa 2250 Km, articolata su 3 sottointendenze (Tripoli, Bengasi, Marsa Matruh) (14). Il provvedimento non sortì l'effetto
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desiderato: il maresciallo Rommel assunse di fatto maggiore autonomia e libertà d'azione; il maresciallo Bastico, non avendo una propria intendenza, vide le sue necessità, per forza di cose, posposte a quelle dell'A.C.I.T. (Armata Corazzata Italo Tedesca). La Delease continuò a dare la priorità alle necessità dell'A.C.1. T. finendo con l'inviare e l'accantonare davanti anche mezzi e materiali che sarebbero stati necessari per la difesa della Tripolitania. Lo stato maggiore italiano di collegamento con il comando tedesco, retto dal generale Giuseppe Mancinelli, finì per essere il tramite tra il maresciallo Rommel e la Delease e non tra il maresciallo ed il Comando Supremo. Nei mesi di luglio e di agosto l'A.C.I.T. ricevette in rinforzo la divisione paracadutisti Folgore, la divisione motorizzata Pistoia (che venne però assegnata al Superlibia), la 164" divisione di fanteria tedesca (senza automezzi), una brigata paracadutisti tedesca appiedata (su 4 battaglioni) e alcuni reparti di artiglieria, del genio e dei servizi, nonché un numero elevato di complementi sfusi e di militari isolati per ripianare le perdite delle precedenti battaglie. Anche gli inglesi, da parte loro, ricevettero rinforzi attinti dalla 9" e dalla 10a armata del Medio Oriente, nonché i primi battaglioni statunitensi (3 battaglioni carri e 3 battaglioni motorizzati). Il comando delle forze del Medio Oriente venne assunto dal generale Alexander (14 bis), che si era distinto a Dunkerque ed in Birmania, in sostituzione del generale Auchinleck; quello dell'8" armata dal generale Montgomery (14 ter), dopo che il generae Gott, nominato in precedenza in sostituzione del generale Ritchie, eta rimasto ucciso mentre si recava in aereo ad occupare il suo posto di comando; quello del XIII corpo dal generale Lumsden, già comandante della 1" divisione corazzata. L'8n armata fu, inoltre, messa in condizioni di costituire (oltre ai già preesistenti XIII e XXX corpi d'armata) un nuovo corpo d'armata (X) destinato a creare una massa di riserva e di manovra, in modo da consentire così agli altri due corpi d'armata di dedicarsi, senza vincoli, ai soli compiti di prima linea. La situazione britannica venne sempre più consolidandosi, ma alla fine di agosto, a differenza di quanto era accaduto in passato e sarebbe accaduto in futuro, tra le due parti - eccezion fatta per l'aviazione - esisteva un sostanziale equilibrio di forze, del quale l'A.C.I.T. aveva tutta la convenienza ad approfittare sia per la recente vittoria riportata nel Mediterraneo in seguito alla quasi completa distruzione - si salvarono solo 4 piroscafi ed 1 petroliera sui 18 entrati nel bacino - dell'imponente convoglio scortato da numerose unità navali da guerra (3 navi da battaglia, 4 portaerei, numerosi incrociatori e cacciatorpediniere),
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attaccato dai mezzi subacquei, dalle motosiluranti, dai mas e dagli aerei italo-tedeschi (15), sia per sorprendere lo schieramento nemico rinforzato dall'arrivo dei grossi convogli angloamericani che solcavano in quel periodo l'oceano (i convogli in partenza dai porti britannici impiegavano circa 2 mesi per giungere in Egitto per il periplo dell'Africa e quelli che provenivano dai porti atlantici degli Stati Uniti circa 2 mesi e mezzo). A fine agosto lo schieramento delle unità contrapposte comprendeva le seguenti forze: I'A.C.I.T., 67 battaglioni di fanteria (39 italiani), 515 carri armati di cui 281 italiani (243 M e 38 L), 119 autoblinde di cui 72 italiane, 335 aerei da bombardamento e assalto di cui 165 italiani, 365 aerei da caccia di cui 215 italiani, 77 ricognitori di cui 57 italiani, 1'8" armata britannica, 66 battaglioni di fanteria, 576 cannoni (esclusi contraerei e controcarri), 450 carri armati, 150 autoblinde, 500 aerei da bombardamento, 600 aerei da caccia, 100 aerei da ricognizione. In fatto di cannoni controcarri e contraerei esisteva una rilevante superiorità britannica (16). Numericamente, eccezione fatta per l'avia?:ione, la situazione delle forze contrapposte non era più sfavorevole per la A.C.I.T. di quella iniziale della bataglia di Ain el Gazala del maggiogiugno. Diverse, invece, erano le condizioni di spirito del maresciallo Rommel. Era rimasto sulle posizioni di el Alamein con scarsa convinzione; aveva superato la crisi di luglio, ma continuava a vivere con il patema d'animo dello sfondamento della fronte da parte inglese; aveva ideato il piano per la ripresa offensiva, ma qualche giorno dopo aveva chiesto di essere sostituito per malattia e stanchezza; il 26 agosto, alla vigilia della ripresa, in un nuovo colloquio - indicativo dello scarso entusiasmo con il quale si accingeva all'azione esprimeva il convincimento che non era possibile muoversi perché mancava la sicurezza della presenza in Cirenaica del carburante e delle munizioni necessari per raggiungere gli obiettivi territoriali che egli stesso aveva fissato e faceva presente che si sarebbe dovuto o rinunziare all'attacco accontentandosi di assicurare le condizioni indispensabili per mantenere il possesso delle posizioni di el Alamein, di Siwa e della costa o, nella migliore delle ipotesi, limitarsi ad un attacco diretto solo a dare un colpo all'organizzazione difensiva avversaria (17). Di fronte agli ordini dell'Alto Comando tedesco - riferitigli probabilmente dal maresciallo Kesselring in un concitato colloquio del 27 agosto (18) - e del Comando Supremo italiano, entrambi decisi all'azione, nonostante la modesta disponibilità di carburante e di munizioni e le enormi difficoltà da superare per un attacco in
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grande stile, il maresciallo Rommel, pur convinto nel suo intimo dell'errore di attaccare in quelle condizioni, emanava nel pomeriggio del 30 agosto l'ordine d'inizio dell'offensiva (19). Perché lo fece? Qualora non l'avesse fatto, Hitler lo avrebbe sostituito con il maresciallo Kesselring con in sottordine il generale Nehring, comandante il C.T.A., come si apprende d al diario del maresciallo Cavallero (20). Sarebbe stata, la sua, una decisione dettata dall'orgoglio di non cedere il comando al suo antagonista, con il quale si era più volte scontrato e al quale aveva rimproverato talvolta la fiacchezza dell'appoggio aereo alle operazioni terrestri? Egli fu davvero convinto di commettere un errore? E, soprattutto, la battaglia di Alam el Halfa iniziatasi il 30 agosto e conclusasi il 5 settembre, fu di per sé stessa un errore od il suo fallimento dipese da deficienze organizzative e da incertezze di condotta? Le forze .italo-tedesche iniziarono il movimento per raggiungere le basi di partenza alle ore 22 del 30 agosto; nella notte sul 31 vennero effettuate le puntate offensive dimostrative nd settore
settentrionale ed azioni di artiglieria, in concomitanza con l'inizio dell'attacco, nei settori centrale e meridionale. Il XX corpo d'armata (Ariete, Littorio, Trieste), il C.T.A. {15 e 21" corazzate tedesche) , la 90" leggera tedesca, il raggruppamento esplorante {3°, 33°, 580° reparti esploranti tedeschi e 1° reparto esplorante italiano), 8 battaglioni di fanteria motorizzati del X corpo (Brescia, Folgore e paracadutisti tedeschi), varcando la linea Deir el Qattara-el Taya, iniziarono alle ore 22 il loro movimento che venne subito ostacolato, più che dalla reazione nemica, dagli estesi imprevisti in tale misura - campi minati e raggiunsero con ritardo, alla sera del 31 anziché al mattino come programmato d al piano di attacco, la base di partenza per l'attacco fronte a nord; verso sera le colonne si attestarono rispettivamente: il C.T.A. all'altezza di Manaqir el Taiyasa, la 90a ad est di Deep Well, il XX nella zona di Deir el Munassib, il raggruppamento esplorante in zona Tomb. La sorpresa e la celerità, fondamenti concettuali del piano, erano già venute meno : la prima a causa dell'ininterrotto controllo, diurno e notturno, dell'aviazione nemica; la seconda a causa dell'estensione e della densità dei campi minati inglesi {campi minati profondi, fitti, rafforzati da bretelle con andamento irregolare, controllati e battuti da artiglierie e armi automatiche). Alle 3 della notte sul 31 agosto, ora in cui le colonne affiancate avrebbero dovuto raggiungere la base di partenza per l'attacco (da 40 a 50 Km dalle posizioni iniziali), non erano stati percorsi che 8 Km circa ed alle 5 del 31 agosto, ora fissata 11
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per lo scatto, le colonne erano sempre imbrigliate nei campi minati, in attesa del deflusso lento e fatkosissimo dell'ingente massa di automezzi, sempre soggetta all'azione martellante dell'aviazione nemica, che non aveva concesso un attimo di tregua (21) e che aveva mietuto vittime illustri, quali il generale von Bismark (deceduto) comandante della 21a corazzata, il generale Nehting (ferito) comandante del C.T.A., e il generale Niccolini (ferito) comandante delle artiglierie italiane (22). Alle ore 7,30 del 1° settembre, il C.T.A. era schierato a nord di Managir el Taiyasa; il XX era giunto con la Littorio nella zona di Deir el Munassib (Ariete: punto trigonometrico di q. 92; Trieste: zona sud di Raqabet el Retem); la 90" era all'altezza di Deir Umm Aisba, mentre il raggruppamento esplorante puntava verso el Fatmeniva. Su tali posizioni si accesero combattimenti di limitata entità; ma eccezionali furono per l'intera giornata le azioni aeree nemiche che costituirono una vera sorpresa per la A.C.I.T., in quanto il maresciallo Kesselring aveva assici1rato il maresciallo Ronunel, così come questi affermò, che sarebbe stato in grado di proteggere con i suoi aerei lo schieramento terrestre almeno nelle ore diurne. I] maresciallo Rommel, preoccupato degli effetti materiali e morali prodotti dall'aviazione nemica, dell'eventualità di una azione convergente sul suo fianco destro delle due masse corazzate avversarie - schierate molto abilmente dal generale Montgomery: una (10a corazzata e unità della 44" divisione inglese) a nord est di Alam el Haifa, l'altra (7" corazzata con 10° e 11° reggimento Ussari) a sud-est dell'estrema ala destra italo-tedesca, verso Alam el Far - nonché della situazione carburanti, ordinò al dispositivo, la sera del 1° settembre, di assumere temporaneo schieramento difensivo che venne mantenuto per tutta la giornata del 2 settembre e che fu oggetto, durante la notte, di nuovi violenti e prolungati attacchi dell'aviazione nemica, con altre perdite di uomini e di materiali e, durante il giorno, di puntate di mezzi motocorazzati nemici e di fanterie (respinte e fallite). Alla sera del 2, il maresciallo Rommel comunicò al Comando Supremo italiano, per il tramite dello stato maggiore di collegamento, di voler sospendere l'offensiva (23) per il mancato arrivo dei quantitativi di carburante richiesti, la mancata sorpresa sul nemico, i continui, intensi, attacchi aerei nemici. Ma , sulla notte del 3, non prese una decisione definitiva e ordinò all'A.C.J.T. di restare anche per il giorno 3 sulle posizioni raggiunte, forse perché il maresciallo Kesselring era intervenuto per far proseguire l'azione, della quale questi continuava a ravvisare possibilità di successo almeno limitato. La sera del 3 settembre il maresciallo
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Rommel, perdurando immutata la situazione, ordinò il ripiegamento fino all'altezza dei campi minati già allestiti dagli inglesi davanti alle posizioni di partenza delle unità italo-tedesche. Il movimento retrogrado si svolse regolarmente, nonostante l'incessante bombardamento aereo nemico, i tentativi della r corazzata inglese per chiudere i varchi dei campi minati alle spalle delle forze in ripiegamento, gli attacchi in forza diretti contro la Brescia (rimasta a presidio del settore centrale) per separare dal mare lo schieramento meridionale italo-tedesco, lo sforzo di sfondamento da parte della VI brigata della 2" neozelandese e di due brigate della 44a inglese, appoggiate da un battaglione carri, in zona di Deir Alinda. Il ripiegamento delle forze italo-tedesche venne ultimato il 5 settembre e queste assunsero uno schieramento difensivo davanti ai campi minati britannici ad ovest della linea Qaret el Himeimat-Deir el Munassib-Alam Nayil. Dal 30 agosto al 5 settembre il nemico, oltre ad un numero imprecisato di morti e feriti, perse 400 prigionieri, 120 carri armati ed autoblinde, 160 automezzi, 30 cannoni; l'AC.I.T. perse - ad opera soprattutto dell'aviazione nemica - 530 morti, 1350 feriti, 570 dispersi, 400 fra carri ed automezzi, 50 cannoni. La battaglia di Alam el Haifa non fu di per sé stessa un errore: o approfittare della situazione di relativo equilibrio esistente, destinata ben presto a modificarsi a favore esclusivo dei britannici, per infliggere quanto meno un colpo severo alla organizzazione difensiva inglese, perseguendo magari obiettivi meno ambiziosi di quelli indicati dal Comando Supremo italiano e fatti propri dal maresciallo Rommel; o ripiegare il dispositivo defensivo dell'A.C.I.T. dalle posizioni di el Alamein a quelle di Sollum-Halfaya. La situazione di relativo equilibrio delle forze contrapposte non induceva a scartare a priori la prima ipotesi, malgrado la penuria dei carburanti e delle munizioni. Le perplessità maggiori, semmai, avrebbero dovuto derivare dalla superiorità aerea avversaria che era tale da farsi sentire pesantemente di notte oltre che di giorno (1200 aerei britannici contro 777 italo-tedeschi, mentre nella battaglia di Ain el Gazala in rapporto delle contrapposte forze aeree era stato di 1000 velivoli britannici contro 700 italo-tedeschi). Si trattava di una superiorità grave e pericolosa, ma non impeditiva, purché si fosse riusciti da parte italo-tedesca a realizzare la sorpresa e la celerità di movimento, oltreché l'efficace contrasto aereo. La sorpresa non poteva essere ricercata nella fronte di attacco. I settori settentrionale e centrale dello schieramento inglese erano infatti muniti di fortificazioni robuste per la cui espugnazione sarebbe stato necessario ingaggi are
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una lunga battaglia di logoramento, peraltro inibita dalla povertà delle forze e dei mezzi; essa andava perciò ricercata nella scelta del momento e nella rapidità del movimento. L'unica parte della fronte in cui una rapida penetrazione avrebbe avuto qualche probabilità di successo era il tratto meridionale di 25 Km compreso tra le posizioni tenute dai neozelandesi sul costone di Alam Nayil e la depressione di el Qattara. Ciò era noto tanto al maresciallo Rommel che al generale Montgomery, che aveva fatto proprio il piano difensivo elaborato in luglio dal generale Auchinleck. Non esistevano alternative al tipo di manovra classica alla quale il maresciallo Rommel aveva fatto ricorso nella riconquista della Cirenaica, nella battaglia di Ain el Gazala, nella presa di Tobruch e di Marsa Matruh e nella battaglia di el Alamein dei primi di luglio. Stanti la difficoltà di realizzare la sorpresa nella direttrice di avanzata, e la maggiore facilità degli inglesi, ammaestrati dalle esperienze passate, a sottrarsi tempestivamente alla manovra accerchiante, sarebbe stato indispensabile, più che nel passato, riconoscere accuratamente la zona del movimento e non lasciarsi sorprendere dalla profondità e dalla densità dei campi minati nemici che, se note in partenza, avrebbero potuto indurre o a rinunziare all'impresa o ad utilizzare procedimenti tattici diversi. Si può comprendere come il Comando Supremo italiano, d'accordo con l'Alto Comando tedesco, rimanesse fermo nell'idea dell'offensiva, dopo che aveva smontato l'operazione C3, intensificato l'affusso dei rinforzi e constatato che il tempo lavorava a favore degli inglesi grazie ai grandi convogli anglo-americani che affluivano o si dirigevano con ritmo accelerato in Egitto; non si può giustificare, invece, come il maresciallo Rommel, sia pure costretto all'azione da Hitler per il tramite del maresciallo Kesselring, abbia trascurato di accertare preventivamente l'entità del maggiore ostacolo, di cui pure conosceva l'esistenza, che si sarebbe frapposto all'avanzata delle sue forze motocorazzate. Per la verità non risulta da nessun documento che egli considerasse l'offensiva un errore, come afferma la relazione dell'ufficio storico, mentre appare evidente, dal come la organizzò e condusse, che egli commise molti errori, il più grave dei quali fu senza dubbio quello di far sostare le unità attaccanti il 2 e 3 settembre sulle posizioni raggiunte che, nel loro insieme, per lo schema difensivo a semicerchio adottato dagli inglesi, finirono per costituire una libera zona di mattanza per le forze aeree nemiche. Queste furono in grado di operare con tanta maggiore libertà ed efficacia in quanto avevano la certezza che tutto quello che si muoveva in quella zona era nemico e perciò bersaglio
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da colpire come rilevò il Liddell Hart (24). Se fin dal 1° settembre il maresciallo Rommel si fosse convinto - a causa dell'azione della aviazione nemica, del difetto di carburanti, dell'integrità delle masse corazzate avversarie schierate in modo minaccioso nei confronti del dispositivo assunto nel settore meridionale dall'ala marciante della A.C.I.T. - dell'impossibilità di continuare l'offensiva, avrebbe dovuto ordinare per la sera stessa il ripiegamento sulle basi di partenza anziché la sospensione dell'attacco. Egli, invece, dopo essersi consultato con il generale Bayerlein, capo di stato maggiore del C.T.A., cedendo alla sua naturale inclinazione (25), decise di portare avanti l'offensiva anche se con criteri diversi e verso obiettivi più limitati, facendo convergere il suo dispositivo verso nord e dirigendolo verso la q. 132 dominante il costone di Alam el Halfa. Qui l'attacco venne investito dal fuoco dell'artiglieria e da quello dei carri armati della XXXII brigata corazzata inglese, oltre che da quello aereo. Se la sosta prolungata fu un errore gravissimo, altrettanto lo fu, almeno alla luce di quanto oggi è noto, l'ordine di ripiegamento del 3 settembre, impartito proprio quando l'estrema destra dell'A.C.I.T. era giunta a 20 Km dal mare (anche se non aveva ancora conquistato il costone di Alam el Halfa dove la battaglia tra corazzati sarebbe stata, peraltro, durissima). Il primo errore del Comando Supremo italiano fu di non insistere per la sostituzione del maresciallo Rommel, dopo che questi aveva esternato il desiderio di essere rimpatriato per malattia - tanto più che Hitler aveva deciso di sostituirlo con il maresciallo Kesselring (26) - e di aver persistito nell'affidargli la direzione di una offensiva che egli non considerava un errore, ma che non si sentiva di poter condurre, come aveva in più occasioni lasciato intendere. Il secondo errore, forse ancora più grave, fu, quando parve chiaro che la crisi dei traffici marittimi italo-tedeschi si sarebbe sempre più acuita mentre l'afflusso dei rinforzi britannici sarebbe stato sempre più imponente e rapido, il mancato ripiegamento, dopo il fallimento dell'offensiva del 30 agosto - 5 settembre, sulle posizioni di Sollum-Halfaya, mediante il quale si sarebbero interposti circa 500 Km di deserto tra le linee italo-tedesche e quelle britanniche, costringendo il nemico a spostare il suo grandioso dispositivo offensivo tattico-logistico, il che avrebbe richiesto tempo ed avrebbe consentito all'A.C.1.T. di consolidarsi sulle posizioni di Sollum-Halfaya di per sé stesse assai più forti . Il Comando Supremo italiano rimase invece fermo nell'idea che l'offensiva non era che rimandata nel tempo e che, per giunta, sarebbe stata condotta dallo stesso mare-
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sciallo Rommel (pur essendo tuttavia noto che egli aveva ormai perduto ogni fiducia nel successo); esso non considerò che era invece proprio l'elemento tempo il fattore preminente che lavorava a favore del nemico e riduceva giornalmente le nostre già aleatorie possibilità (27). Non ci sembrano fondati né l'apprezzamento del Liddell Hart secondo il quale il maresciallo Rommel avrebbe deciso, dopo la consultazione con il generale Bayerlein, di riprendere l'attacco cedendo alla sua naturale inclinazione, né quello della pubblicazione dell'ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito circa la perdita di fiducia nel successo da parte del maresciallo Rommel. Questi, dopo che vide arrestata la sua impetuosa avanzata ad el Alamein ai primi di luglio, comprese che la sua grande abilità tattica e tecnica ed il suo grande coraggio morale e fisico non gli sarebbero stati più sufficienti a prevalere sulle illimitate risorse nemiche, anche perché gli inglesi, che oramai lo conoscevano, avrebbero saputo meglio parare le sue tipiche manovre di avvolgimento. Egli, il generale dell'offensiva e della controffensiva, si convinse così che tale forma di lotta da allora in avanti sarebbe stata possibile solo in condizioni di superiorità schiacciante di forze aereo-terrestri e di mezzi e che senza di essa la forma di lotta più forte per lui sarebbe stata da quel momento la difensiva manovrata. Da qui l'intendimento costante, da luglio in poi, di riportare l'armata sulle posizioni di Sollum-Halfaya. Obbedì per la prima volta, ma senza convinzione, al Comando Supremo italiano che gli impose di conservare a qualunque costo le posizioni di el Alamein dopo gli attacchi britannici del 10-12, del 15-16-17 e del 22 luglio, perché sapeva benissimo che anche Hitler non avrebbe accolto la proposta di ripiegamento. Obbedì per la seconda volta, con ancora minore convinzione, nell'ingaggiare, com'egli stesso la definì a posteriori, una battaglia senza speranza, perché Hitler gliela aveva imposta, mentre egli aveva perduto, più che la fiducia nel successo, la credibilità del successo dell'azione offensiva contro un nemico che, sebbene quasi pari di forze in prima linea, era stracarico di mezzi nelle retrovie, dove gli continuavano a giungere incessantemente ulteriori rinforzi. Egli era stato colto, dopo i primi giorni di luglio, da un ripensamento concettuale: tentare di battere il nemico mediante la difensiva manovrata. Obbedirà per la terza volta, molto a malincuore, quando il 3 novembre sarà costretto a sospendere per ordine di Hitler e di Mussolini il ripiegamento già intrapreso dalle posizioni di el Alamein verso Fuka e perderà cosl anche la battaglia difensiva. L'obbedienza non gli portò mai fortuna: si suiciderà per obbedire. Ma, tornando alla battaglia di Alam e1 Haifa, egli commise, come abbiamo visto,
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errori di condotta assai gravi e inescusabili, con conseguenze negative che avrebbero potuto essere fatali se il generale Montgomery, che vinse la prima battaglia difensiva contro di lui, non si fosse contentato di vederlo ritirarsi e gli avesse invece tagliato, dopo essere riuscito ad imbottigliarlo, la strada del ritorno. Il generale Montgomery non lo fece perché non valutò ancora sufficiente il grado di preparazione morale e tecnica della sua armata - e operò saggiamente ma il maresciallo Rommel gli aveva offerto l'occasione di poterlo fare. La battaglia fu condotta dal maresciallo Rommel all'insegna dell'incertezza e dell'insicurezza. La delusione dei primi di luglio aveva lasciato nel suo animo una profonda amarezza; egli aveva perso non solo l'abituale baldanza, ma anche la vivacità tattica che aveva dimostrato di possedere in somma misura nelle precedenti battaglie. Aveva fatto particolare affidamento, com'egli stesso disse nel resoconto dell'operazione, sulla lentezza della reazione del comando inglese, dato che l'esperienza ci aveva dimostrato che gli occorreva sempre un certo tempo per giungere a una decisione e tradurla poi in atto (28); e, a dire la verità, il generale Montgomery non si comportò come un fulmine di guerra, agl con metodicità e ponderazione e non senza ritardi. Del resto altrettanto farà nella battaglia di el Alamein, quando il suo atteggiamento sarà costantemente meno deciso di quanto la superiorità di forze e di mezzi, il vantaggio dell'iniziativa e le premesse organizzative gli consentiranno. Il maresciallo Rommel giustificò il fallimento dell'offensiva a causa della situazione catastrofica dei rifornimenti, delle fermate obbligatorie per la rimozione dei campi minati e per il rifornimento di carburanti, nonché a causa del1'assicurazione ricevuta dai comandanti delle aviazioni tedesca e ita~ liana di non dover temere l'aviazione nemica che sarebbe stata neutralizzata, mentre di fatto l'efficienza di questa non era stata giustamente valutata (29). Sebbene vi sia del vero nelle sue affermazioni, la sconfitta dipese soprattutto dal fatto che chi diresse la battaglia era un capo spiritualmente e fisicamente stanco. Come in tutte le battaglie, così in quella di Alam el Halfa, il risultato dipese in buona parte dall'azione di comando e questa fu incerta e fallosa. Che il maresciallo Rommel successivamente riconoscesse anche tale dato di fatto sarebbe stato pretendere troppo da lui. 2.
Alam el Haifa fu l'ultima offensiva delle forze italo-tedesche nell'Africa settentrionale; al pari della penultima - la battaglia dei
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primi di luglio ad cl Alamein - si concluse con un insuccesso. Entrambe ebbero un'importanza cruciale ai fini delle operazioni dello scacchiere, la prima innanzi tutto sul piano strategico, la seconda particolarmente su quello psicologico. La prima, qualora vittoriosa, avrebbe con molta probabilità segnato la fine del dominio inglese in Egitto e nel Medio Oriente; la seconda, solo che avesse conseguito un risultato favorevole limitato e locale, avrebbe messo a terra il morale dell'8a armata britannica e dell'intero impero inglese. Le vittorie difensive dei primi di luglio e dei primi di settembre consentirono all'Inghilterra la ripresa dell'iniziativa, la riorganizzazione ed il raf· forzamento dell'8a armata, l'afflusso in tempo in Egitto di forze e di mezzi dal Medio Oriente, dalla madrepatria e dagli Stati Uniti, lo scatenamento della terza offensiva in Africa settentrionale che, congiuntamente con l'operazione Torch - sbarco anglo-americano nel nord Africa francese dell'8 novembre 1942 - , segnerà la perdita della guerra dell'Asse nel teatro operativo del Mediterraneo. L'importanza delle due vittorie difensive supera, in un certo senso, quella della vittoria della battaglia offensiva di el Alamein che in quelle, in particolare nella prima, ebbe le sue premesse indispensabili. La battaglia di el Alamein fu una delle più grandi battaglie della seconda guerra mondiale; chi la combatté se ne rese conto fin dal momento dell'inizio (ore 20,40 del 23 ottobre); vi prevalsero la quantità e la specie dei mezzi e dei materiali; ma fu lotta di uomini che dettero prova, dall'una e dall'altra parte, di grande abilità e valore; la parte soccombente ebbe meriti maggiori perché, pur nella consapevolezza della sua grande inferiorità materiale, non si risparmiò fino all'ultimo e avrebbe potuto dare ancora di più se l'insipienza strategica dei capi politici - alla quale il maresciallo Rommel non oppose la saggezza di mantenere la decisione adottata, della quale avrebbe dovuto assumersi la responsabilità che solo a lui competeva - non la avesse costretta ad un dietro front tecnicamente inimmaginabile e praticamente suicida. Il maresciallo Rommel, la cui armata era già in ripiegamento alla ricezione dell'ordine di Mussolini e di Hitler di mantenere le posizioni iniziali, avrebbe dovuto rappresentare ai due l'inattuabilità tecnica dell'operazione e preferire il rischio della corte marziale a quello della perdita certa di gran parte dell'armata, che avrebbe potuto addirittura essere distrutta per intero qualora il generale Montgomery avesse operato con maggiore audacia e fulmineità. Ciò non vuol dire che la battaglia di el Alamein avrebbe avuto un esito diverso, ma che il ripiegamento e le connesse resistenze - per le quali la disponibilità delle fanterie che andarono perse in seguito
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al dietro front sarebbe stata quanto mai necessaria - avrebbero assunto un corso molto differente. L'esito finale della battaglia, invece, era già segnato fin dall'inizio, perché le posizioni di el Alamein erano tatticamente deboli e logisticamente onerosissime, la gara contro il tempo per la riorganizzazione ed il rafforzamento delle grandi unità era già stata vinta dagli anglo-americani, e il possesso di Malta aveva consentito al nemico di colare a picco, dal 2 settembre al 23 ottobre, 25 navi mercantili con la perdita del 20 per cento in settembre e del 44,3 % in ottobre dei materiali imbarcati (30). Gli sforzi del Comando Supremo italiano nelle sette settimane che intercorsero tra la fine della battaglia di Alam el Halfa e l'inizio di quella di el Alamein furono ancora una volta immani e riguardarono tutti i settori, da quello prioritario e vitale dei rifornimenti a quello del potenziamento delle forze italiane, da quello delle ulteriori modificazioni dell'organizzazione di comando a quello della difesa del Sahara libico (insidiato dalle forze della Francia libera, dai commandos e dal Long Range Desert Group inglesi), di Tobruch, delle retrovie e delle coste (minacciati da azioni di sbarco, aeree e di commandos). Il problema dei rifornimenti era prima di tutto il problema di Malta. Significative a tale riguardo le annotazioni del diario del maresciallo Cavallero del 5 settembre: « Malta deve assolutamente essere rimessa sotto pressione. Da molto tempo ho insistito e scritto su questo argomento. Se si neutralizza Malta vinceremo tutte le battaglie in Africa. Se non la neutralizziamo le perderemo tutte! L'aeronautica è problema di vita e di morte ed uno dei suoi problemi è quello di far fronte al problema di Malta che minaccia di compromettere le operazioni in Egitto, tagliandoci le comunicazioni. Presiedo a questo riguardo una riunione durante la quale il problema viene esaminato a fondo» (31); 7 settembre: « alla necessità di tenere Malta sotto pressione Kesselring mi risponde che non può con i 2 gruppi da caccia; i suoi equipaggi sono stanchi; non è facile percorrere più volte al giorno un largo braccio di mare con un monomotore ed il continuo rischio quindi di cadere in mare. Si crea fra gli uomini un nervosismo che si definisce il male di Malta» (32); 13 settembre: « Parto con Kesselring·per la Rocca delle Caminate. Vasto esame della situazione che si conclude con l'assicurazione per ciò che occorre per porre Malta sotto pressione» (33); 30 settembre « Importanza di Malta: chi dice Mediterraneo, Egitto compreso, dice Malta! » (34); 4 ottobre: « L'azione su Malta potrà essere iniziata il ·1 O. Kesselring non pensa di ottenere una completa neutralizzazione di tutti gli aerei che sono nell'isola» (35); 10 ottobre« oggi si è iniziata l'azione aerea su Malta» (36);
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20 ottobre: « Allora come ora: nafta e neutralizzazione di Malta>> (37); 21 ottobre: « E tutto questo (trasporto di altre 2 divisioni in Africa settentrionale) vuol dire ancora una volta: Malta e nafta » (38); 22 ottobre: « (Kesselring) aggiunge che il Fuhrer ha rilevato che le perdite su Malta sono state più forti di quelle previste e quindi che l'azione così non può essere continuata. Pensa quindi di attrezzare con piloti di Stukas e da caccia almeno una cinquantina di Fabos per attaccare gli aeroporti. Ha chiesto altri 3 gruppi da caccia e conta di aumentare le scorte dirette dei convogli ed il numero dei cacciatori notturni. Non s'impedirà ugualmente la partenza degli aerei da Malta ma molto si otterrà dalla protezione diretta dei convogli» (39); 23 ottobre: « Gli (a Mussolini) ho ricordato ancora che se non si risolve il problema di _Malta mettiamo l'armata corazzata in pericolo mortale. A seconda di come si risolve il problema di Malta si può vincere o perdere clamorosamente la guerra. Il mio delenda Carthago ha una sola parola: Malta» (40); « Mi telefona il Duce che mi accenna al suo odierno colloquio con Goering (40 bis) sui due argomenti che sono al centro di ogni pensiero: nafta e Malta» (41). Le misure del Comando Supremo per risolvere nel migliore dei modi, ben s'intende nel quadro della grave insufficienza dei mezzi, il problema di ·Malta e della diminuzione delle perdite di naviglio - che il maresciallo Kesselring attribuiva alla -mancanza di una direzione unica che comprendesse marina ed aviazione, all'insufficienza di protezione da parte della caccia, àll'inadeguatezza · dell'attrezzatura di ricerca delle navi, alla mancanza di disturbi ai radiolocalizzatori avversari, alla mancanza di difesa aerea notturna attiva degli attacchi aerei su Malta e Gibilterra, all'inadeguata protezione dei porti, all'errato comportamento degli equipaggi, ecc. (42) - furono, tra le altre, una più esatta e chiara codificazione deI1a materia dei trasporti marittimi, l'aumento delle scorte navali ed aeree ai convogli, la messa in atto di collegamenti più efficienti e rapidi tra gli organi addetti ai trasporti e quelli incaricati di disporre le scorte aeree, l'istituzione di appositi organismi in materia di rifornimenti come il comitato per le scorte, il comitato misto navale e aeronautico, il commissariato generale militare straordinario per combustibili liquidi (43). Tutte le misure adottate ebbero un'efficacia modesta perché, dopo 7 giorni dall'inizio, nonostante l'insistenza angosciosa del maresciallo Cavallero e del capo di stato maggiore dell'aeronatuica, l'azione su Malta venne sospesa dai tedeschi e gli appelli per l'invio di nafta alla marina italiana, sostenuti dallo stesso ammiraglio Weichold, comandante in capo della marina germanica in Italia ed ufficiale di collegamento con il
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Comando Supremo italiano ( 44), ebbero scarsa eco presso l'Alto Comando tedesco che si limitò a disporre la cessione di poche tonnellate di carburante alla marina italiana. La necessità di un sostanziale potenziamento delle forze armate per adeguarle alle esigenze in corso ed a quelle del futuro fu esaminata in 2 riunioni tenute a palazzo Venezia il 27 settembre ed il 1° ottobre, presiedute da Mussolini (4 5). In esse furono prese in considerazione le condizioni specifiche di ciascuna forza armata con riferimento ai settori fondamentali della produzione di guerra, dei combustibili, del1'energia elettrica ed alle loro esigenze particolari, nonché a quelle dei 4 scacchieri operativi in atto (egiziano, russo, balcanico, occidentale). Mussolini sottolineò l'importanza maggiore di quello africano e, su proposta del maresciallo Cavallero, che rappresentò l'urgente necessità di provvedere alla difesa del fronte occidentale libico, venne deciso di trasferirvi almeno altre 2 divisioni - la corazzata Centauro e la motorizzata Piave - in aggiunta alla divisione La Spezia, il cui invio era già stato disposto con destinazione Misurata e con orientamento operativo verso il Sahara libico. Nei riguardi dello scacchiere africano furono inoltre decise una serie di disposizioni per l'approntamento in territorio nazionale di 5000 complementi al mese per l'alimentazione delle unità e gli avvicendamenti del personale da più tempo in Libia, per il frammischiamento di reparti italiani e tedeschi in modo da consentire ai primi di avvantaggiarsi del migliore armamento controcarri dei secondi, per l'integrazione dei carri M 13 con una più forte aliquota di semoventi, per la conversione dei carri L6 in trattori porta munizioni, per l'aumento del cinquanta per cento della produzione dei carri M in modo da arrivare ad un gettito di 140 carri al mese ai primi del gennaio 1943, per l'invio di 300 mila mine anticarro, di cercamine, di almeno 10 mila aero rifornitori, di alcuni radiolocalizzatori per Bengasi e del maggior numero possibile di autoblinde per completare gli organici dell'Ariete e della Littorio. Nei riguardi del potenziamento generale dell'apparato bellico nazionale, nelle due riunioni i capi preposti ai vari settori rappresentarono particolareggiatamente i fabbisogni di materie prime e di energia necessari per fronteggiare l'avvenuto graduale esaurimento delle scorte, l'impoverimento sempre maggiore delle fonti di produzione, l'estensione della lotta nel tempo e nello spazio e la sostituzione dei mezzi superati ancora in distribuzione. Ne venne fuori un quadro che avrebbe dovuto indurre Mussolini, più che a recriminare sul poco impulso dato dal 1925 all'autarchia e sull'errore della mancata costruzione delle navi portaerei da lui stesso commesso, a meditare su come fosse labile
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la speranza di poter sostenere ulteriormente lo sforzo bellico in corso anche se non si fossero presentati altri imprevisti. Il sottosegretario alle fabbricazioni di guerra fece presente che sarebbero state necessarie 100 mila tonnellate di carbone al mese in più, che sarebbe occorso utilizzare nell'industria personale femmioiJe ed anche quello minorile e che esistevano gravi deficienze, oltre che di carbone, anche di alluminio, di rame e di manganese. Il capo di stato maggiore dell'esercito informò che per porre in efficienza 30 divisioni (Mussolini ne avrebbe volute 34) l'esercito avrebbe dovuto avere un aumento mensile di 27 mila tonnellate di prodotti siderurgici e di 1005 tonnellate di rame. Il capo di stato maggiore della marina presentò uno specchio in cui erano elencate le materie prime necessarie, venendo alla conclusione che il loro quantitativo avrebbe dovuto essere raddoppiato rispetto a quello fino ad allora mensilmente assegnato. Il capo di stato maggiore dell'aeronautica chiese l'aumento di un sesto delle materie prime assegnate per portare la produzione di velivoli da 250 a 300 mensili. Circa la produzione dei carri ed il potenziamento della difesa contraerei venne previsto che la prima, salita al numero di 120 unità mensili nel gennaio 1943 e di 150 in marzo, e la seconda avrebbero potuto essere incrementate solo a condizione che fossero assicurati in proporzione materie prime, combustibili e maestranze. E cosi via per la marina mercantile, della quale erano andate perdute dall'entrata in guerra 850-900 mila tonnellate, per i MAS da 60-80 t, per i nuovi aerei con siluro speciale, per i bombardieri a tuffo, per i velivoli da trasporto normali e per paracadutisti, per il perfezionamento dei caccia, settore nel quale si era passati dal Macchi 200 al 202 e da questo al 205. Giustamente il maresciallo Cavallero fece presente che per l'esercito occorreva limitarsi alle divisioni esistenti, senza aumentarne il numero, perché già queste non avevano formazioni adeguate alle esigenze belliche e il solo problema delle munizioni era di per sé sconcertante, in quanto il fabbisogno di materie ferrose per le sole munizioni era di 18 mila t, mentre di tali materie erano disponibili solo 100 mila t in tutto, di cui solo 4200 potevano essere destinate alle munizioni (45). Ma, a prescindere dai programmi per il 1943, ciò che era pressante, in vista di un attacco inglese in forze in Egitto, era il problema dell'Africa settentrionale, per il quale, ad esempio, contro il fabbisogno mensile di 120 mila t di carburante per le forze italiane e tedesche, ne riuscirono ad arrivare nel mese di settembre solo 31 mila. L'organizzazione di comando attuata il 16 agosto venne modificata.il 19 settembre e successivamente il 7 ottobre: l'intera Cirenaica
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venne posta alle dipendenze della Delease; i comandi di difesa della Tripolitania e della Cirenaica vennero modificati rispettivamente in Comando militare della Tripolitania e in Comando militare della Cirenaica, assumendo il rango di comandi di corpo d'armata; il comando militare del Sahara libico assunse il rango di comando di divisione; il comando Marina Tripoli venne posto a tutti gli effetti alle dirette dipendenze del Superlibia ferma restando la dipendenza dal Supermarina per quanto riguardava il traffico tra Tripoli e la Cirenaica; il settore ovest della 5a squadra aerea passò alle dipendenze operative e disciplinari del Superlibia, ferme restando le dipendenze dirette da Superaereo per gli interventi nel Mediterraneo (47). Anche se dettate dalla situazione operativa determinatasi in quel periodo - fallimento dell'offensiva di Alam el Halfa, azione britannica contro Tobruch del 13-14 settembre, incursioni nemiche contro Bengasi e Barce del 14 settembre, attacco nemico a Gialo del 21 settembre - le nuove direttive circa l'organizzazione di comando non valsero a migliorare granché l'organizzazione stessa, inficiata a priori dall'esistenza di tre organi operativi distinti: l'armata corazzata italo-tedesca (A .C.I .T., tale fu dal 16 settembre la denominazione ufficiale cui corrispondeva, in tedesco, quella di Deutsch-italientsche Panzerarmee); la Delease, cui erano devolute attribuzioni di difesa costiera ed aerea nelle retrovie cirenaiche (fino al confine libico-egiziano la difesa costiera ed aerea competeva all'A.C.J.T.); il Superlibia, al quale faceva direttamente capo il comando del Sahara. Continuò a mancare l'esistenza di un organo operativo unico cui facessero capo le varie articolazioni operative e logistiche esistenti, in quanto il Comando Supremo, al quale tali articolazioni risalivano direttamente, non era di per sé, stante la lontananza, nella possibilità di svolgere con tempestività il coordinamento delle varie operazioni tattiche e logistiche da sviluppare nei vari settori con visione unitaria, sì da evitare che valutazioni particolaristiche si traducessero in dispersioni di forze e di mezzi. Il comando dell'A.C.I.T . continuò a godere in pratica di grande autonomia anche se il Comando Supremo si era riservato la possibilità di ogni forma d'intervento che, peraltro, non poteva essere intonata ad una esatta e diretta conoscenza immediata della situazione operativa; la Delease non aveva nessuna veste in materia strategica e tattica nei riguardi del comando dell'A.C.I.T. che si avvaleva prevalentemente di comunicazioni dirette, o per il tramite dello stato maggiore di collegamento, con il Comando Supremo. L'esistenza dell'Alt o Comando Sud tedesco (0.B.S. - Oberbefehl Sud), retto dal maresciallo Kesselring, le cui relazioni con il Comando Supremo italiano e con il co-
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mando dell'A.C.I.T. non erano bene definite, non costituiva un elemento di chiarificazione dei rapporti nella coesistenza di forze armate di due nazioni diverse, e le interferenze dell'O.B.S. nei confronti dell'A.C.1.T., ora in nome di Hitler e dell'O.K.W., ora di Mussolini e del Comando Supremo italiano, spinte fino a forzare la mano al maresciallo Rommel, spesso complicarono, stanti i rapporti tra i due marescialli tedeschi, anziché semplificare la direzione delle operazioni. Il meno che si può dire è che l'organizzazione di comando, alla vigilia della terza offensiva britannica in Africa settentrionale, era sghemba ed intrecciata, anziché lineare e semplice. Ciò che invece va sottolineato è che, nonostante la delicatezza delle strutture di comando, il maresciallo Cavallero ed il maresciallo Kesselring, pur nelle inevitabili diversità di vedute e nei conseguenti inevitabili attriti, fecero il possibile e l'impossibile nei mesi di settembre e di ottobre per dare il massimo dell'efficienza all'apparato operativo dell'Asse in Africa settentrionale in vista di una grande offensiva britannica che il maresciallo Rommel aveva data per certa fin da dopo il fallimento della battaglia di Alam e1 Halfa e che il Comando Supremo italiano ritenne prima possibile (3 settembre), poi probabile (23 settembre) e infine prossima (10 ottobre). Il 23 settembre il maresciallo Rommel si a11ontanò dall'Egitto per un periodo di riposo e di cure e, passando per l'Italia, s'incontrò a Roma con i marescialli Cavallero e Kesselring, ai quali confermò la previsione dell'attacco inglese, indicò come nelle grandi linee avrebbe inteso arrestarlo, prospettò le principali necessità dell'A.C.I.T. (120 mila tonnellate di carburanti al mese; avvicendamento di 30 mila uomini, di cui 12 mila ammalati da rimpatriare subito; convenienza di un'azione tendente all'occupazione di Cufra partendo da el Agheila; 3 mila operai per la ferrovia dell'Egitto) (48). Il giorno dopo si recò, congiuntamente al maresciallo Cavallero, alla Rocca delle Caminate per incontrarsi con Mussolini con il quale si mostrò, a detta del maresciallo Cavallero, timido e impacciato ed al quale espresse il parere di non credere ad un'offensiva nemica, aggiungendo però di essere in grado di svolgere una difesa manovrata con contrattacchi ad obiettivi limitati e addirittura di poter prevedere una ripresa offensiva dell'A.C.I.T. se gli fossero state inviate altre 2 divisioni (una italiana e una tedesca) e assicurate 30 giornate di carburanti di riserva (49). A che cosa attribuire la discordanza tra i pareri espressi al maresciallo Cavallero e quelli a Mussolini? Il maresciallo Cavallero non ne chiese spiegazione al maresciallo Rommel che probabilmente intese dire la verità al tecnico e cullare l'illusione del politico. Sta di fatto che il generale Stumme
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che sostituiva il maresciallo Rommel al comando dell'A.C.I.T. ed al quale il maresciallo tedesco aveva comunicato che nel caso di una grande offensiva britannica sarebbe tornato ad assumere direttamente il comando, confermò in una relazione inviata il 3 ottobre al maresciallo Cavallero di credere prossima una grande azione offensiva inglese e di non poterla prevenire mediante una nostra azione di attacco stante la situazione strategica aerea e navale del Mediterraneo che non consentiva l'arrivo delle forze e dei mezzi necessari per farlo. Il generale Stumme raccomandò la difesa delle coste e di Bengasi da parte delle truppe della Delease, rappresentò che per garantire la difesa della fronte era necessaria la disponibilità di grandi riserve di munizioni, carburanti e vettovaglie, assicurò che l'A.C.I.T. stava prendendo tutte le contromisure necessarie per essere in grado di respingere con successo tale grande offensiva inglese mediante lo scaglionamento in profondità della difesa che sarebbe stato ultimato entro il 20 ottobre (50). Nel colloquio tra il maresciallo Cavallero ed i marescialli Kesselring e Rommel del 23 settembre venne anche discusso, in particolare, un progetto di dislocazione di forze navali nell'Egeo per neutralizzare il focolaio di pericolo rappresentato da Alessandria; progetto per il quale sarebbe stata necessaria la presenza nello spazio dell'Egeo di un certo quantitativo di nafta in modo da assicurare alle nostre forze navali la possibilità di rifornimento in sito. Il maresciallo Cavallero si rivolse con lettera personale al maresciallo Keitel per ottenerne 20 mila tonnellate, sottolineando che la sua segnalazione non andava considerata come una formale richiesta ma soltanto come un contributo alla migliore soluzione del problema intorno al quale ci affatichiamo con tutti i nostri sforzi (51). Il maresciallo Keitel rispose che la marina germanica avrebbe ceduto all'Italia nei prossimi mesi invernali, in compenso dei rifornimenti diminuiti dalla Romania, una quantità di nafta di oltre 40000 tonnellate, ivi comprese 20000 tonnellate da servire per l'Egeo, quale riserva operativa, in relazione ad un previsto schieramento di forze navali italiane in quel settore (52). Nessuno, in conclusione, rimase con le mani in mano dal 5 settembre al 23 ottobre: né il Comando Supremo, né l'O.B.S., né il comando dell'A.C.I.T., né il Superlibia. Quest'ultimo curò il potenziamento della Tripolitania e del Sahara libico rappresentando quanto necessario per costituire riserve mobili settoriali, integrare la difesa costiera, rafforzare i presidi interni ed emanando apposite direttive per le operazioni nel Sahara e per l'approntamento logistico dei campi di aviazione del Fezzan (53). Il maresciallo Cavallero annotò il 19 ottobre: « Ricevo il generale von Rintelen. Lo informo sulla nostra
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situazione e dell'invio di due nostre divisioni in Tripolitania. La situazione in Egitto è buona. Il generale Stumme, in caso di attacco nemico è pronto a contrattaccare verso Alessandria e siamo contenti della sua attività. Il fianco Siwa-Giarabub è guardato dall'armata corazzata. Il giorno che il nemico attaccherà vi saranno tentativi di sbarco e offese da sud. Sarà un attacco generale forse accompagnato da attacco su Rodi. Abbiamo predisposto uno schieramento di forze navali in Egeo per agire sui convogli nemici da Alessandria su Malta» (54). Tre giorni avanti, in una riunione tenutasi presso il Comando Supremo, il maresciallo Kesselring, riferendosi alla situazione generale in Africa e nel Mediterraneo, aveva informato i presenti (55) dei suoi contatti con il maresciallo Goering per sostenere maggiormente l'Italia in mezzi e materie prime, aveva espresso l'intendimento di potenziare Creta, aveva chiesto di conoscere quali fossero gli intendimenti italiani per un'azione su Cufra, alla quale peraltro in precedenza era stato contrario, diversamente dal maresciallo Rommel che l'aveva proposta fin dal 23 settembre. Il maresciallo Cavallero gli aveva risposto che tale azione avrebbe potuto essere evitata perché contro le provenienze da Cufra si sarebbe potuta ottenere una certa garanzia con le forze in affluenza in Libia, in quanto la costituzione di una massa di manovra al centro della Libia con le divisioni La Spezia, già in parte in loco, Centauro e Piave di prossimo invio avrebbe permesso di agire verso sud-est e, all'occorrenza, anche verso la Tunisia. « Questa massa » - aveva concluso il maresciallo Cavallero « costituirebbe un vero premio di assicurazione per tutta la Libia». Nel quadro dei comuni intendimenti italo-tedeschi di provvedere alla difesa del teatro operativo del Mediterraneo, il Comando Supremo, il giorno 20, confermò per iscritto al generale von Rintelen (56) di: aver proceduto ad una nuova delimitazione di responsabilità operativa fra Delease e Superlibia, rispettivamente alla Cirenaica e alla Tripolitania; aver dato inizio all'invio di unità motorizzate per rinforzare la Tripolitania; avere intensificato le predisposizioni difensive nel Sahara libico; avere in corso il completamento delle operazioni per un eventuale sbarco in Tunisia - esigenza C4 - ; stare dando rapido corso al potenziamento dell'Egeo; avere intenzione di attuare al più presto la programmata modifica allo schieramento delle forze navali, subordinatamente alla risoluzione del problema della nafta. Problema che si riaffacciò in tutta la sua drammatica portata nella successiva riunione del 22 ottobre (57) in Taormina. Dal verbale di tale riunione, svoltasi il giorno avanti l'inizio della terza offensiva britannica, risultanto evidenti, tra l'altro, oltre la precarietà della si-
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tuazione della nafta, anche quella della situazione generale dell'Asse nel Mediterraneo, sulla quale convenivano tanto il maresciallo Cavallero quanto il maresciallo Kesselring sia pur con visioni diverse sui possibili intendimenti del nemico. Mussolini riteneva che l'attacco nemico a breve scadenza sarebbe stato vasto, intenso, simultaneo sulla fronte egiziana con provenienze anche da Cufra e dal Sahara, mentre pensava che la frontiera tunisina sarebbe entrata in giuoco in periodo più lontano. Il maresciallo Kesselring sostenne nella riunione che la situazione in Egitto non era preoccupante, ma che avrebbe potuto diventarlo più in là, in quanto se l'attacco avesse avuto luogo sarebbe stato più per ragioni politiche che militari, mentre non si poteva pensare ad un colpo di mano su Creta e Rodi perché non vi erano raggruppamenti di navi che offrissero indizi probanti circa tale eventualità. Il maresciallo Cavallero chiosò, da parte sua: « Sono d'accordo che non ci sono indizi importanti d'attacco. Ma la direttiva del Duce di considerare l'attacco non lontano tiene conto del fatto che, per il potenziamento dell'F.geo si può fare relativamente presto, per realizzare quello inteso a fronteggiare Je provenienze da Cufra o dal Sahara libico si richiede tempo. Perciò dobbiamo mantenere questa ipotesi alla base dei nostri provvedimenti ». Pur nella concordanza degli rifornimento dell'A.C.I.T., rinforzo di obiettivi da perseguire Creta e dell'Egeo, costituzione di una grande riserva in Cirenaica, trasferimento di una aliquota delle unità navali da guerra a levante i capi militari partecipanti alla riunione ragionavano in termini di tempo assai lunghi, quando non addirittura irreali, e lo stesso maresciallo Cavallero, che da un mese circa aveva sostenuto l'imminenza dell'offensiva inglese, dava l'impressione, nel riferire la visione operativa di Mussolini, la più aderente alla realtà del giorno dopo, di accettarne l'impostazione, ma non il tempo di scadenza. Nessuno parve essere a conoscenza di quanto era accaduto dopo il 5 settembre al di là dell'altura di Alam el Halfa, e di quanto fosse preoccupante la superiorità numerica e qualitativa, maggiore di quella goduta in precedenti occasioni, realizzata dagli inglesi durante la lunga pausa. L'inizio dell'offensiva britannica, sebbene prevista, attesa e temuta, finì. con il cogliere di sorpresa il Comando Supremo italiano e l'O.B.S. e, ciò che fu ancora molto più grave, senza che tali comandi operativi avessero elaborato un piano razionale ed organico di condotta della difesa, che andasse al di là della linea generica tracciata dal maresciallo Rommell: attacco nemico forse al centro che avrebbe corazzato contro un campo di mine e che, qualora avesse sfondato, sarebbe stato aggredito da nord e da sud dalla reazione delle grandi unità coraz-
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zate in 2a schiera (Littorio e 15" tedesca schierate a nord; Ariete e 21 a tedesca schierate a sud) e dalla riserva di armata (90• leggera tedesca e Trieste) (58). Quando il nemico scopri le sue carte - por tata e violenza dell'azione e direzione principale non al centro, ma a nord - il comando dell'A.C.J.T. non fu subito pronto a reagire e si dimostrò inizialmente incerto e perplesso tanto che il generale Stumme - morto poi per attacco cardiaco a poche ore dall'inizio dell'offensiva e sostituito, a battaglia iniziata, dal generale von Thoma - non seppe individuare con sufficiente tempestività il settore dell'attacco principale, che egli si aspettava al centro. Che gli inglesi ottenessero la sorpresa in campo tattico lo si rileva anche dal fatto che all'inizio dell'offensiva erano assenti per licenza sia il maresciallo Rommel sia il generale Bayerlein, comandante del C.T.A. o Deutsch Afrika Korps. 0
3. La vittoria inglese di el Alamein non trasse grande profitto dalla sorpresa tattica, che non pesò molto sull'andamento delle operazioni successive anche se vi ebbe la sua parte. La monomania del maresciallo Rommel e del generale Stumme circa l'attacco al centro ed il complesso piano d'inganno - finte installazioni e operazioni diversive - messo in attuazione dal generale Montgomery per dare ad intendere che l'attacco principale sarebbe stato sferrato a sud non furono senza conseguenze nei primi giorni di lotta, ma il primo fattore del successo inglese fu l'inesauribilità delle scorte di carri armati, di munizioni e di carburanti. Fu questa che consentì all'8"' armata di migliorare progressivamente e i;esorabilmente il valore del rapporto rispetto alle forze de1l'A.C.J.T. già di per sé eccezionalmente elevato fin dall'inizio. Gli inglesi poterono contare su una considerevole superiorità in truppe e carri armati e su una superiorità aerea con un rapporto di tre a uno; inoltre i tedeschi erano disperatamente a corto di carburanti (59), ma anche - occorre aggiungere - di munizioni, talché « a un certo momento i tedeschi si trovarono così a corto di munizioni di artiglieria da poter fare ben poco per rispondere al fuoco dell'artiglieria inglese» (60). Una tale deficienza non fu, naturalmente, assoluta ché, in realtà, essa non giunse mai, se non in casi ed in situazioni del tutto eccezionali, a non consentire ai pezzi di far calcolo sulle loro dotazioni; ma molto spesso essa agì sotto forma di preoccupazione per gli eventuali eccessivi consumi, sino al
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punto che, proprio per la battaglia di e1 Alamein, il generale Stumme diede ordini all'artiglieria di non reagire alla preparazione avversaria, per necessità di economia di munizioni in vista dello sviluppo della battaglia (61). Il colpo più grave per l'A.C.I.T. fu però, senza dubbio, la perdita delle navi cariche di carburanti, sicché la Panzerarmee si trovò a disporre di soli J pieni di carburante, invece dei 30 che erano considerati la riserva minima indispensabile. Questa gravissima carenza di carburante ebbe conseguenze quasi paralizzanti per la capacità di contro-manovra dei tedeschi, costringendoli a distribuire in modo frammentario le loro forze mobili, impedendone la tempestiva concentrazione nei punti di attacco e immobilizzandole addirittura a mano a mano che la lotta proseguiva (62). La situazione, abitualmente grave, divenne disastrosa per l'affondamento della cisterna Proserpina con 4869 t di carburante avvenuto il 26 ottobre davanti a Tobruch, il cui arrivo avrebbe portato un miglioramento in quanto fra Bengasi e il fronte c'era ancora carburante per i viaggi di rifornimento di 2 o 3 giorni . Con queste scorte dovevano muoversi anche le unità corazzate (63). Il rapporto di forze all'inizio della battaglia, qualora riferito al numero delle divisioni, potrebbe indurre a credere ad un equilibrio, se non addirittura ad una superiorità., dell'A.C.I.T., la quale disponeva di 12 divisioni, di cui 4 corazzate, contro le 10, di cui 3 corazzate, dell'8"' armata britannica (64), ma il valore di tali cifre non ha alcun significato concreto stante, come nel passato, la differenza della composizione organica delle divisioni e dei battaglioni nonché del numero e della qualità degli armamenti e degli equipaggiamenti (65). Il confronto tra il numero di battaglioni, dei carri e dei pezzi di artiglieria rende, invece, evidente la grande superiorità dell'8a armata in tutti i settori. Questa dispose, infatti, all'inizio della battaglia di: 220 mila uomini contro 100 mila uomini dell'A.C.I.T. (54 mila italiani, 50 mila tedeschi), 85 battaglioni di fanteria contro 71 (44 italiani, 27 tedeschi), 8 battaglioni mitraglieri contro 1 (tedesco), 908 pezzi di artiglieria contro 475 (275 italiani, 200 tedeschi), 1451 pezzi controcarri (3 da 18 libbre, 770 da 6 libbre, 600 da 2 libbre, 7 da 50 mm, 71 da 75 mm) contro 744 (300 leggeri italiani, 372 leggeri tedeschi, 72 pesanti tedeschi), 764 (« Bofors » da 40) pezzi contraerei leggeri e 48 (da 3,7 pollici) pezzi contraerei pesanti contro 1350 (750 italiani, quasi tutti mitragliere da 20, 600 tedeschi), 1229 carri armati contro 489 (278 italiani, 211 tedeschi), 500 autoblinde contro poche decine. Liddell Hart sostiene che « solo i 21 O carri medi tedeschi dotati di cannone avrebbero davvero contato in uno scontro diretto fra forze
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corazzate; in realtà, dunque, gli inglesi partivano con una superiorità di 6 a 1 in termini di carri armati in condizioni di combattimento, potendo inoltre contare su di una capacità di gran lunga maggiore di quella di Rommel di rimpiazzare le eventuali perdite » (66). Senza voler tenere conto della pur valida argomentazjone del Liddell Hart, la superiorità britannica iniziale fu di 2,5 a 1 per i carri armati, di 2 a 1 per i pezzi controcarri, di 2 a 1 per i pezzi di artiglieria da campagna, mentre la superiorità contraerei italo-tedesca di 1,6 a 1 era solo apparente se si tiene conto che la massa dei pezzi contraerei erano rappresentati dalle mitragliere da 20 mm. In materia di aviazione le forze dell'Asse non raggiungevano un'efficianza pari ad un terzo di quella britannica per dichiarazione dello stesso maresciallo Montgomery: « Potevamo contare ... su una considerevole superiorità in truppe e carri armati e su una superiorità aerea con un rapporto di 3 a 1 » (67). A fine ottobre il rapporto espresso in numero di velivoli era di 1200 inglesi contro meno di 500 italo-tedeschi. Dopo la battaglia di Alam el Halfa l'A.C.I.T. aveva progressivamente e gradatamente migliorato e rafforzato il sistema fortificatorio difensivo, messo in atto fino al 30 agosto, che era costituito da una profonda fascia sinusoidale di apprestamenti campali e di campi minati estendentesi dal mare fino alla depressione di el Qattara. « Questi ultimi erano disposti, dal mare alla zona poco a sud di Bah el Qattara, su due ordini continui, paralleli all'andamento della fronte, a distanza variabile fra loro dai 2 ai 4 Km e collegati da campi disposti in senso trasversale, che nel loro insieme determinavano una serie di scompartimenti, o sacche minate ... Da Bah el Qattara si staccava un'altra zona di campi minati che si sviluppava con orientamento verso sud-est sino a Deir el Munassib e, di qui, con andamento nord-sud sino all'altezza di Qaret el Himeimat. Questa fascia minata era stata sottratta agli inglesi nella battaglia di Alam el Halfa; era un intricato labirinto di linee minate ... Altre zone minate erano state create nei punti di maggiore sensibilità tattica o di più agevole percorribilità ... Infine, altre due fasce minate, su due ordini paralJeli , erano state disposte in zona arretrata, in corrispondenza del centro del sistema: una, in senso equatoriale a forma di « S » coricata, aveva la funzione di copertura dei rovesci del fianco destro del settore settentrionale; l'altra, nel senso dei meridiani, aveva la funzione di contenimento di attacchi nemici sferrati al centro della fronte e di concorso alla copertura suddetta ... i due estesi campi minati - creati nella supposizione di un attacco nemico a sud con avvolgimento mediante conversione in direzione della costa - collocati nelle immediate retrovie dell'armata italo-
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tedesca esercitarono nel corso della battaglia una funzione di ostacolo e di frazionamento delle nostre stesse forze, impedendo la manovra delle truppe corazzate da sud a nord e ritardando l'afflusso dei rifornimenti al centro dello schieramento ... Nell'interno delle sacche minate erano stati collocati proietti di artiglieria e bombe da aerei, per lo più di preda bellica, la cui esplosione era comandata a distanza mediante accensione elettrica. Erano questi i cosiddetti giardini del diavolo. I posti avanzati disponevano di carri addestrati a dare l'allarme all'avvicinarsi del nemico» (68). L'organizzazione della difesa rispondeva all'intendimento di logorare il nemico con il fuoco, oltre che con l'ostacolo, durante l'attraversamento della fascia minata, arrestarlo con il fuoco e con il movin1ento il più a lungo possibile davanti alla Jjnea di resistenza, intervenire con il contrattacco dovunque si manifestasse una falla o un cedimento. Tenuto conto della scarsità delle forze in relazione all'estensione della fronte, la duplice reazione di fuoco e di movimneto impose la necessità di avere tutte le forze disponibili proiettate in avanti (69). Dall'avanli all'imlieLro la posizione difensiva comprendeva: una linea di avamposti coincidente, grosso modo, con il margine anteriore del primo ordine di campi minati; una zona di sicurezza che abbracciava tutta la fascia dei campi minati nella quale erano state realizzate le sacche; una linea di resistenza corrispondente al margine posteriore delle sacche minate ed alle bretelle di allacciamento allo sbocco ovest di ciascun corridoio; una posizione di resistenza che aveva una profondità di 2-3 Km; una zona di schieramento delle artiglierie di medio calibro che coincideva all'incirca con quella delle unità corazzate e sulla quale erano schierate le artiglierie di corpo d'armata e d'armata. Le artiglierie delle divisioni di 1" schiera e forti aliquote delle artiglierie delle divisioni corazzate italiane e tedesche di za schiera erano schierate nella posizione di resistenza in modo che le une e le altre fossero in grado di battere l'intera fascia dei campi minati e, all'occorrenza, potessero intervenire con loro aliquote in funzione controcarri. Sulla linea degli avamposti insistevano caposaldi di compagnia avanzati, schierati sul rovescio del primo ordine di campi minati, con i compiti propri degli elementi in zona di sicurezza e con il compito particolare di rompere con il fuoco le colonne di attacco nemiche cercando di incanalarle, ove possibile, verso posizioni prestabilite. I battaglioni di 1° scaglione erano schierati lungo la linea di resistenza ed erano articolati in caposaldi unitari o in caposaldi minori di compagnia. I caposaldi di compagnia erano formati da un complesso di centri di fuoco (una squadra rinforzata e 1 pezzo controcarri), con possibilità di azione
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a giro di orizzonte e protetti tutt'intorno da una fascia minata e da reticolati. I caposaldi di battaglione erano costituiti, perciò, quando non unitari, da un complesso di caposaldi di compagnia e di artiglierie anche queste organizzate a caposaldo ed avevano una fronte ed una profondità rispettivamente di 3 e di 2 chilometri. I battaglioni di 2° scaglione - in verità assai pochi - erano organizzati anch'essi a caposaldo. La sera del 23 l'A.C.I.T. era cosl schierata : in prima schiera, a nord, il XXI corpo d 'armata (tra il mare e la depressione di el Mireir) con il 7° bersaglieri, la 164· tedesca, la Trento , la Bologna, 2 battaglioni della brigata paracadustiti Ramcke; a sud, il X corpo d'armata (fra la depressione di el Mireir e Qaret el Himemait) con la Brescia, la Folgore, la Pavia e 2 battaglioni della brigata Ramcke; in seconda schiera, da nord a sud: la Littorio, la 15• tedesca, l'Ariete e la 21 • tedesca; in riserva di armata: la 90"' germanica e la Trieste, entrambe nel settore nord. Le grandi unità di 2"' schiera e di riserva erano inquadrate nel XX corpo e nel D.A.K. Inoltre, più ad occidente: il 580° reparto esplorante tedesco era incaricato della sorveglianza del settore costiero; il 288° reggimento corazzato tedesco (o raggruppamento speciale tedesco o raggruppamento Menton ) presidiava il settore Marsa Matruh - Sidi el Barrani; aliquote Jella Pistoia, alle dipendenze della Delease, si stavano concentrando nella zona di Bardia; la divisione Giovani Fascisti presidiava, con il rinforzo di alcune unità tedesche, l'oasi di Siwa; la divisione La Spezia stava per ultimare il suo trasferimento, per aviotrasporto, dalla madrepatria alla Tripolitania. Il sistema fortificatorio difensivo e lo schieramento dell'A.C.I.T. erano, nel complesso, lacunosi sia sul piano concettuale sia su quello della realizzazione. Il sistema fortificatorio risentiva della deficiente disponibilità di materiali di rafforzamento; era stato impostato in base alla supposizione che il nemico avrebbe ripetuto la manovra divenuta abituale nello scacchiere; in seguito ad una rettifica apportatavi dal generale Stumme per assicurare la continuità della linea - i battaglioni italiani e tedeschi che presidiavano gli intervalli delle sacche minate nel settore nord erano stati fatti arretrare all'ultimo momento lungo il margine posteriore della fascia minata - era privo di dominio sulla zona antistante e sull'ostacolo costituito dai campi minati. La profondità di molte sacche minate raggiungeva i 4 Km, per cui dal margine posteriore di esse non si poteva intervenire, tranne che con l'artiglieria, per impedire o ritardare il lavoro di sminamento (70) che l'avversario avesse effettuato nella fascia marginale anteriore; gli elementi nemici erano perciò in grado di neutralizzare gli osservatori, di sminare e di portarsi a <li-
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stanza di assalto della posizione di resistenza, come in effetti avvenne durante la battaglia nel settore nord, senza essere troppo ostacolati dai campi minati che non fossero battuti dal fuoco delle armi automatiche e controcarri. Lo schieramento risentiva della insufficienza delle forze in relazione all'estensione della fronte. Tale scarsità, intesa come numero di reparti e come numero di effettivi in ciascun reparto, portava al disseminamento lungo l'intera fronte, che assorbiva pertanto ogni disponibilità di personale e di armamento lasciando assai poco per il 2° scaglione, che raggiungeva appena 1/8 della forza complessiva. Tale disponibilità, inoltre, non consentiva di poter assegnare a ciascun compito reattivo unità distinte e specifiche (riserve settoriali e riserva generale) sicché entrambe le funzioni dovettero essere affidate alle grandi unità corazzate, il cui schieramento, determinato da tale duplice necessità, risultava a cordone e perciò inidoneo ad una difesa manovrata. L'impiego « a spjzzico » di aliquote consistenti delle grandi unità corazzate per i contrattacchi settoriali ed il loro conseguente schieramento su di una fronte di oltre 1 O Km per ognuna di esse riducevano od annullavano, o quanto meno rendevano scarse ed aleatorie, le possibilità del loro intervento a massa. La precostituzione degli speciali gruppi di combattimento misti italo-tedeschi, detti Raum, composti in genere di un battaglione carri e di un battaglione di fanteria motorizzata e dislocati in un determinato spazio e in località nell'immediato rovescio della linea di resistenza per garantirne l'integrità mediante il contrattacco locale là dove la minaccia si profilasse grave e pericolosa, era un ripiego che, se da un lato soddisfaceva la reattività della difesa statica dei vari settori de1le divisioni di prima schiera, dall'altro andava a grave scapito della manovra difensiva presa nel suo insieme. Sul terreno di impiego delle unità corazzate non c'è difesa non manovrata che possa avere successo, intendendo per difesa manovrata la reattività ai vari livelli e, soprattutto, la disponibilità di una robusta riserva corazzata da impiegare a massa. Il sistema difensivo statico dell'A.C.I.T. sulle posizioni di el Alamein - che avevano i fianchi appoggiati al mare ed alla depressione di el Qattara - si basava sulla fortificazione campale e sull'ostacolo e sommava al binomio mitragliatrice - reticolato della prima guerra mondiale il binomio arma controcarro - ostacolo anticarro (campo minato e fosso anticarro). Era perciò un sistema molto bene congegnato sotto il profilo concettuale e aderente alla esigenza di neutralizzare il nuovo protagonista dell'attacco, il carro armato. Malgrado l'insufficienza del materiale di rafforzamento, lo scarso sviluppo dei fossi anticarro e la non indovinata costruzione
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delle due fasce minate, disposte in zona arretrata in corrispondenza del centro del sistema, quest'ultimo, dal punto di vista fortificatorio, era abbastanza solido qualora vi fossero state le forze sufficienti per presidiarlo e soprattutto per proteggere, con il fuoco delle armi automatiche e dei pezzi controcarro, gli estesi e profondi campi minati, tanto più che gli inglesi erano particolarmente attrezzati e addestrati all'apertura dei varchi. La ricerca della continuità della linea a scapito della protezione con il fuoco delle sacche minate si risolse a danno dell'efficacia delle sacche stesse. Ma i punti deboli dell'organizzazione erano, come abbiamo già detto, l'insufficienza della fanteria e, conseguentemente, la scarsa profondità della difesa statica - un solo ordine di caposaldi quasi ovunque - e l'abbinamento dei compiti di contrattacco settoriale e di contrattacco generale in una stessa grande unità corazzata, il cui logorio per gli impegni locali non avrebbe non potuto scemare moralmente e materialmente la sua capacità combattiva nella successiva azione a massa e compromettere altresl la sua tempestività d'intervento. Scattato, sulla base degli ordini del Comando Supremo italiano, presi d'intesa con l'Alto Comando tedesco, l'arretramento a priori della difesa sul ciglione Sollum-Halfaya o l'arretramento a ragion veduta delle unità meno mobili sulle posizioni di Fuka e di Marsa Matruh da effettuare solo quando si fosse pronunziata imminente l'offensiva britannica, opponendo a questa la manovra in ritirata delle forze mobili, e adottata la decisione di non abbandonare la posizione di el Alamein - soluzione meno conveniente delle altre - fu grave omissione del comando dell'A.C.I.T. il non predisporre, sia pure nel quadro della resistenza ad oltranza, la rottura del contatto ed il ripiegamento nel caso, non imprevedibile stante il rapporto di potenza, di grave esaurimento della capacità difensiva. Sebbene il maresciallo Rommel avesse sempre avuto in mente di non farsi annientare sulle posizioni di e1 Alamein, non adottò nessuna misura organizzativa preventiva per sfuggire a tale annientamento; se questo non fu completo, lo si dovette soprattutto al modo di condurre l'azione offensiva da parte del generale Montgomery. Del generale Montgomery occorre sottolineare prima di tutto la tenace resistenza opposta all'impazienza di Churchill per l'inizio dell'azione offensiva, e l'approfondito studio della tattica utilizzata dal maresciallo Rommel nelle precedenti battaglie. Churchill da parte sua aveva buoni motivi per sollecitare l'offensiva, il cui esito vittorioso avrebbe facilitato l'operazione T orch prevista per i primi giorni di novembre ed avrebbe indurito la riluttanza del generalissimo Franco ad accettare l'ingresso delle forze dell'Asse in Spagna e nel Ma-
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rocco spagnolo, ma il generale Montgomery, con il quale era d'accordo anche il generale Alexander, aveva tutte le ragioni per non attaccare prima di essere pronto. « Dovevamo avere approvvigionamenti sufficienti non solo a sconfiggere Rommel ad el Alamein ma anche ad inseguirlo verso ovest fino a quando non avremmo potuto utilizzare i porti di Tobruch e di Bengasi, e passai di conseguenza due interi mesi a preparare l'armata e il suo morale; istituii un sistema di comando nuovo ed efficiente che mi consentiva di concentrarmi interamente sul problema-base, cioè la sconfitta del mio avversario, dato che i dettagli del lavoro organizzativo venivano sbrigati dal mio capo di stato maggiore» (71). Lo studio della tattica del maresciallo Rommel aveva indotto in un primo tempo il generale Montgomery a concepire un'offensiva manovrata ed audace sferrata simultaneamente contro la sinistra e la destra dello schieramento dell'A.C.I.T. per lanciare poi in avanti la massa delle forze corazzate in modo da interrompere le vie di rifornimento, ma all'inizio di ottobre egli si convinse che, a causa dell'addestramenlo im.:umpleto dell'armata, questa idea era troppo ambiziosa e decise di adottare un piano più limitato. Questo nuovo piano, operazione Lightfoot, prevedeva che l'attacco principale fosse concentrato a nord, nei pressi della costa, nell'arco di 6 Km compreso tra i costoni di Tell d-Elsa e di Miteiriya, mentre a sud il XIII corpo si sarebbe limitato a effettuare un attacco di diversione senza per altro insistere troppo a meno che le difese nemiche non fossero crollate (72) . La rinunzia al piano originale, ispirato all'audacia e alla manovra consentite dalla superiorità di forze e di mezzi, fu ed è tuttora oggetto di molte critiche, compresa quella del Llddell Hart (73 ), basate sul fatto che il piano attuato corse per qualche tempo iJ rischio di un completo fallimento. Quale che fosse stato il piano particolareggiato, il primo risultato da perseguire sarebbe stato in ogni caso l'apertura di una o più brecce nel dispositivo difensivo dell'A.C.I.T. e conseguentemente non si sarebbe potuta evitare una battaglia di rottura e di logoramento. L'applicazione di due sforzi potenti, uno a nord ed uno a sud, con l'intendimento di sfruttare tempestivamente a fondo quello che riuscisse per primo, avrebbe aperto possibilità molto più ampie alla manovra strategica in profondità ed il maggiore costo deJla fase di rottura sarebbe stato abbondantemente remunerato dalla pressoché assoluta certezza dell'annientamento globale dell'A.C.I.T. avvolta da nord o da sud, secondo i casi, o accerchiata da nord e da sud nel caso dell'apertura simultanea delle due brecce. Nella soluzione scelta dal generale Montgomery un solo sforzo principale ed uno dimostrativo - il dilemma era se
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applicare lo sforzo principale nel settore più debole o nel settore che avrebbe consentito di puntare direttamente alla direttrice più importante, indipendentemente dalla maggiore o minore consistenza della difesa. L'attacco al settore meno robusto - X corpo d'armata italiano - sarebbe stato meno lungo e meno logorante, ma avrebbe scoperto il fianco destro del dispositivo attaccante ed avrebbe consentito al comando dell'A.C.I.T. quel combattimento d'incontro tra forze corazzate che il maresciallo Rommel aveva sempre ricercato in precedenti occasioni invogliando l'avversario ad attaccarlo ed opponendogli saldi schieramenti di pezzi controcarro. L'attacco principale nel settore nord - che fu quello realizzato dal generale Montgomery e preventivamente approvato dal generale Alexander - sebbene meno economico e rapido, aveva il vantaggio della sorpresa, in quanto si distaccava dalla tradizionale tattica del deserto, si avvaleva della prote,:ione del mare sul fianco dèstro, sbloccava la principale strada di alimentazione sia della difesa sia dell'attacco stesso, lasciava allo sbaraglio nel deserto le unità italo-tedesche del settore sud e poteva indurre il comando dell'A.C.I.T. ad impegnare le forze corazzate in contrattacchi logoranti che avrebbero urtato contro le unità corazzate e controcarri dell'811 armata saldamente attestate su posizioni difensive proprio secondo la tattica del maresciallo Rommel. La scelta del generale Montgomery presentava peraltro due punti di estrema debolezza: la ristrettezza del settore d'investimento che avrebbe facilitato la contromanovra della difesa e la possibilità per la difesa di passare alla manovra in ritirata sottraendo il grosso delle forze all'annientamento di una battaglia in campo aperto, dove la superiorità inglese avrebbe avuto senza dubbio partita vinta. La contromanovra della difesa, pur mancando di tempestività per il troppo tardivo abbandono da parte del comando A.C.I.T. del preconcetto dell'attacco principale al centro, poco mancò che non determinasse il fallimento dello sforzo principale inglese, mentre il mancato ricorso alla manovra in ritirata al momento opportuno da parte dell'A.C.J.T. non dipese dalla volontà del generale Montgomery o dall'irruenza e rapidità di penetrazione delle forze attaccanti, ma una prima volta dalla incertezza di condotta del maresciallo Rommel ed una seconda volta dalla cecità strategica di Mussolini e di Hitler, male consigliati nell'occasione dai rispettivi stati maggiori. Il generale Montgomery misurò successivamente tutta la pericolosità del suo piano e sostenne che aveva progettato « di attaccare non dal mio fianco sinistro o dal mio fianco destro, ma un poco più a dritta del centro», in modo che « dopo aver rotto lo schieramento avversario, avrei potuto dirigere le mie forze sulla dritta o
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sulla sinistra a seconda delle circostanze» (74), ma in verità la direttrice di attacco principale non fu al centro, ma proprio a nord ed egli, che l'aveva scelta fin dai primi giorni di settembre, vi si mantenne fedele anche quando modificò le modalità dell'azione (75), tanto che il Liddell Hart scrisse poi: « anziché una battaglia di manovra si sviluppò così un processo di logoramento, di lenta e faticosissima avanzata frontale e per qualche tempo sembrò che il tentativo inglese fosse sull'orlo del fallimento . Ma la disparità di forze tra le due parti era tale che anche un rapporto d'attrito molto disparato non poteva che lavorare per Montgomery, il quale anche in questa circostanza portò avanti il suo piano con quella ferrea determinazione che gli era caratteristica in tutto quello che faceva. Entro i limiti da lui stesso prefissati per il suo piano, Montgomery dimostrò inoltre tutta la sua consumata abilità nel cambiare la direzione degli attacchi e nello sviluppare sul piano tattico un'azione di leva destinata a squilibrare l'avversario » (76). Il riconoscimento della consumata abilità del generale Montgomery - sulla quale non si può non concordare - non vale a modificare il giudizio negativo sul piano di attacco espresso dallo stesso Liddell Hart. Che il piano prevedesse l'attacco a nord e non poco più a dritta del centro è lo stesso generale Alexander a confermarlo, a meno che le sue affermazioni non derivino da una elaborazione a posteriori: « ... la fronte nemica poteva essere paragonata ad una porta, imperniata all'estremità settentrionale. Spingere il lato cedevole (ossia quello sud) poteva farla girare all'indietro per un certo tratto prima di poter provocare un qualsiasi danno serio, ma un colpo fortunato alla cerniera avrebbe scardinato l'intera fronte spalancando la porta» (77). Il generale Montgomery, che dal canto suo rivendicò a se stesso la concezione del piano, ne giustificò l'adozione in ragione della ricerca del nuovo: « Considerai che, se il mio attacco principale si fosse sviluppato nel settore meridionale, dopo il forzamento delle linee ci sarebbe stata soltanto una direttrice da seguire, quella verso nord» (78). La conclusione è che il piano non conseguì lo scopo della distruzione dell'A.C.I.T. ed i capi responsabili della sua ideazione sentirono poi la necessità cli giustificarsi di averlo adottato. Alla quanto meno opinabile impostazione del piano si sommarono sviste e lacune nella condotta delle operazioni con la conseguenza che 1'8a armata britannica - che ebbe a suo vantaggio tutte le condizioni possibili (superiorità assoluta di armamento e di mezzi, iniziativa, libertà di scelta del luogo e del tempo di applicazione dello sforzo, supporto logistico efficiente e ricco, situazione politico-strategica, strategico-militare, psicologica e morale favorevolissime) - riusci
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sl a logorare l'armata italo-tedesca infliggendole gravi perdite, ma queste avrebbero potuto essere assai più limitate qualora la condotta della difesa non fosse stata vincolata da interventi politici e qualora il maresciallo Rommel avesse superato, come sempre aveva fatto, gli scrupoli della subordinazione a capi lontani e ignari dell'andamento reale delle operazioni e avesse colto le occasioni favorevoli che, malgrado le pecche e le lacune dell'organizzazione predisposta, gli si presentarono e che egli consapevolmente si lasciò sfuggire. Sui procedimenti tattici seguiti dall'8a armata britannica avremo modo di intrattenerci più avanti, in sede di panoramica dell'evoluzione, guerra durante, della dottrina e degli ordinamenti italiani e stranieri; per ora ci sembra sufficiente ricordare che essi furono simili a quelli delle battaglie di rottura della prima guerra mondiale e, in particolare, a quelli del forzamento di un ostacolo fluviale: apertura dei passaggi nell'ostacolo minato, costituzione di teste di ponte al di là dell'ostacolo, sbocco in terreno libero della massa delle forze. La metodicità propria di tali procedimenti venne esasperata dalla direttiva del generale Montgomery di non correre rischi e dalla sua indole prudente e riflessiva che gli fece scindere l'azione offensiva in 3 fasi distinte: praticare una breccia nelle posizioni nemiche, far passare il X corpo d'armata, costituito da forti nuclei corazzati e da truppe mobili, attraverso quella breccia in territorio nemico; sviluppare successivamente una serie di operazioni, atte a distruggere le forze di Rommel» (79). Il generale Montgomery dette ad ogni fase il nome indicativo dello scopo da raggiungere: rottura, demolizione, eruzione. La novità rispetto alla dottrina italiana e tedesca del momento consisteva nel respingere, o contenere, le forze corazzate contrapposte mentre era in corso la demolizione delle forze di fanteria che presidiavano il sistema fortificato difensivo: « Queste divisioni non corazzate sarebbero state distrutte per mezzo di un processo di sgretolamento in quanto il nemico sarebbe stato attaccato dai fianchi e dal retro e tagliato fuori dalle sue fonti di rifornimento... Mi guardavo bene dal pensare che le forze corazzate nemiche sarebbero rimaste inattive, mentre era in corso la distruzione graduale di tutte le fone non corazzate; esse sarebbero state lanciate in massicci contrattacchi. Ciò avrebbe secondato i nostri piani, poiché il miglior modo di distruggere le forze corazzate nemiche era quello di costringerle ad attaccare le nostre forze corazzate, saldamente attestate in posizioni difensive. Il mio scopo era quello di tenere le mie forze corazzate oltre l'area in cui avrebbero avuto luogo le operazioni di sgretolamento. Avrei quindi sfruttato a nostro vantaggio i campi minati nemici, usandoli
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per impedire alle forze corazzate avversarie di interferire con le nostre operazioni; ciò si sarebbe potuto ottenere chiudendo gli accessi attraverso i campi minati con i nostri carri, e saremmo quindi stati in grado di insistere nel nostro piano, con ritmo incessante. Il successo di tutta l'operazione sarebbe dipeso, in massima parte, dalla possibilità che il XXX corpo riuscisse nella battaglia di rottura, aprendo i corridoi attraverso i quali sarebbero passate le divisioni corazzate del X corpo d'armata» (80). Il non fare un passo avanti se non predisposto, organizzato e di sicuro successo, il rinunziare a priori alla iniziativa della manovra delle forze corazzate, il preferire lo sgretolamento delle posizioni al superamento di esse abbandonando le forze di presidio al certo destino della resa per fame e per sete, l'adottare tali criteri benché sussistessero tutte le condizioni ideali per agire alla maniera del maresciallo Rommel della prima e della seconda controffensiva italo-tedesca, non sembrano concezioni tattiche facilmente accettabili e tanto meno raccomandabili. La loro scarsa validità venne confermata del resto dall'andamento della battaglia, che non si concluse con una vittoria totale e definitiva del generale Montgomery, e dal fatto che tali concezioni non avrebbero potuto precludere all'armata italo-tedesca di far cadere nel nulla l'avanzata inglese cosl metodicamente concepita, organizzata e condotta. Nel settembre le forze britanniche erano state molto attive contro le retrovie italo-germaniche. Abbiamo già ricordato lo sbarco a Tobruch, risoltosi in un completo fallimento; l'incursione contro Bengasi, anche questa risoltasi in nulla; quella contro Barce, l'unica riuscita, che portò alla distruzione di 16 aerei al suolo ed al danneggiamento di altri 4; l'attacco all'oasi di Gialo dalla quale gli inglesi vennero ricacciati qualche giorno dopo da una colonna di formazione italiana. Ma la vera e propria premessa alla battaglia di el Alamein furono i bombardamenti sistematici che gli inglesi iniziarono il 9 ottobre, con più di 500 bombardieri provenienti da Malta e dall'Egitto, sulle basi di rifornimento, sui posti e sugli aeroporti dell'Italia meridionale e della Cirenaica. Fu dopo 15 giorni di tali incessanti bombardamenti che ebbe inizio la grande offensiva britannica, aperta dal fuoco di circa 1000 pezzi di artiglieria che scaraventarono migliaia di proietti, prima per 15 minuti sulle artiglierie italo-tedesche, poi sulle posizioni avanzate e sullo schieramento delle fanterie, mentre simultaneamente le divisioni di prima schiera del XXX e XIII corpo d'armata mossero all'attacco. Questo non procedé, né nel settore del XXX corpo né in quello del XIII, secondo la tabella dei tempi programmati perché incontrò campi minati più densi e più profondi del previsto - in
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effetti, scrisse il generale Alexander, l'intera zona era un vasto campo minato (81) - e resistenze condotte fino all'ultimo uomo ed all'ultima cartuccia. La prima fase, rottura, che avrebbe dovuto concludersi in corrispondenza dello sforzo principale il mattino del 24, durò 24 ore in più, in quanto solo il mattino del 25 le unità di testa della 1oa corazzata inglese e della 2" divisione di fanteria neozelandese riuscirono a sboccare sui rovesci della linea di resistenza tenuta dalla Trento e dalla 164a tedesca, formando un'ampia sacca tra q. 28Kidney-el Wishka fronteggiata da unità di fanteria della Trento, della 164a tedesca e della 15" corazzata tedesca, mentre gruppi corazzati misti italo-tedeschi (Littorio e 153 tedesca) si schieravano su posizioni arretrate pronti ad intervenire. A sud le unità del XIII corpo d'armata inglese il mattino del 25 non erano riuscite ad aprire nessuna breccia ed erano state costrette ad arrestarsi davanti alla linea di resistenza per la tenace resistenza della Folgore e di unità deUa Pavia e per l'intervento di una formazione mobile italo-tedesca (Ariete e 21" corazzata tedesca). Al centro, in corrispondenza dei settori della Bologna, della aliquota della brigata Ramcke e della Brescia, lo schieramento difensivo era ancora pressocché intatto. La seconda fase, demolizione, durante la quale il pomeriggio del giorno 26 il maresciallo Rommel rientrato in Africa riassunse il comando dell'A.C.I.T ., durò fino al 30 ottobre e fu la più densa di avvenimenti dall'una e dall'altra parte. Gli inglesi nel settore nord, a mezzogiorno del 25, tentarono un'ulteriore spallata di rottura dell'ampia sacca determinata nel dispositivo difensivo, ma furono costretti a ripiegare senza riuscire ad approfondire la breccia ;nella notte tra il 25 ed il 26 spostarono il centro di gravitazione verso il mare e riuscirono ad estendere il loro saliente per circa 2 Km verso nord e ad occupare la q. 28 ad opera della 9" australiana; il 26 decisero, in seguito alle perdite subite, per dare respiro alle unità in linea e per rimaneggiare il dispositivo, di rallentare ulteriormente il ritmo delle operazioni. Nel settore sud, nel pomeriggio del 25 sferrarono un attacco contro un caposaldo della Folgore e uno della Pavia e vennero respinti; nella notte sul 26 compirono un ultimo tentativo di rottura in corrispondenza del settore Folgore, muovendo all'attacco su 3 colonne (unità della 50a e della brigata Francia libera), tentativo che venne ancora una volta stroncato tanto che il nemico rinunziò definitivamente ad ogni ulteriore prova di forza contro il settore dell'intero X corpo d'armata italiano. Il generale Alexander, al riguardo, scrisse: « si trovò che il nemico era in forze e ben appostato, per tanto non si insistette nell'attacco» (82). Per rafforzare ed arrotondare la fronte il generale Mont-
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gomery il pomeriggio del giorno 26 attaccò con la 2" neozelandese e la 1a sud-africana il contrafforte di Saryet el Miteiriya e riusd ad ampliare di un chilometro la testa di ponte e a rafforzare con la 51" inglese le posizioni avanzate, mentre con una brigata de11a 1a corazzata occupò nottetempo l'altura di K.idney che, scrisse il generale Alexander, nelle nostre mani doveva essere la chiave di quello che era il nostro fronte difensivo (83). Con l'occupazione di K.idney, in corrispondenza del corridoio settentrionale praticato nel sistema difensivo e con l'ampliamento del corridoio meridionale sull'altura di Miteiriya, I'8a armata britannica raggiunse, con ritardo rispetto al programma pianificato, ma in aderenza al piano di azione, il suo obiettivo, consolidò, rettificò e arrotondò le sue posizioni. Fu allora che il generale Montgomery sospese temporaneamente le operazioni decidendo di far assumere atteggiamento difensivo o di attesa al XIII corpo d'armata, di ritirare in riserva la 2" neozelandese avvicendandola con la l" sud-africana, sostituita poi a sua volta dalla 4" indiana, di schierare successivamente al posto di una brigata della divisione australiana la 51a inglese (meno una brigata), di costituire la riserva con la 2" neozelandese - rinforzata con due brigate con la 1" corazzata, e con la 7"- corazzata, ritirata dal settore meridionale e rinforzata da un gruppo di brigata di fanteria autocarrata e <la aliquote di artiglieria sottratte alla 44a schierata nel settore meridionale. Utilizzate le giornate del 26 e del 27 per effettuare tali spostamenti, la notte sul 28 il generale Montgomery, in previsione dell'azione a fondo nel settore costiero, sferrò un poderoso attacco con la 9a australiana per tentare di sfondare il blocco di carri armati del1'A.C.l.T. in corrispondenza del corridoio nord. L'azione continuò il mattino del 29, ma sortì un successo solo parziale in quanto creò un corto saliente fino a circa un chilometro dalla strada costiera, ma non sopraffece la resistenza della difesa, tanto che il comando britannico dovette rinunziare a sviluppare l'attacco in profondità con la 2" neozelandese. Anche nella fase di demolizione, come già in quella di rottura (84), l'offensiva britannica venne contrastata - a sud addirittura arrestata - dalla resistenza tanto tenace quanto valida delle fanterie italo-tedesche che non cedettero senza prima aver combattuto fino ai limiti di ogni possibilità nessuna posizione, e dalle reazioni manovrate delle forze corazzate che inflissero, ma anche subirono, ingenti perdite al nemico. Tali contrattacchi (85), la gran parte con esito positivo, fecero il giuoco del nemico, che se li aspettava ed anzi in un certo senso li provocava nel quadro del suo disegno iniziale. Al suo rientro il maresciallo Rommel, resosi subito conto dello spro-
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porzionato rapporto di forze, della grave situazione del carburante (86), del fatto che lo schieramento dell'A.C.I.T. era stato attuato in base ad un'ipotesi operativa - attacco al centro - non più attuale, e di quanto veniva facendo il nemico, non perse occasione di contrattaccare ovunque possibile e intese concentrare le forze corazzate e la riserva mobile nel settore nord in relazione alla situazione che si veniva delineando e che lasciava intravvedere l'orientamento del generale Montgomery a continuare ad esercitare il suo sforzo principale in tale settore. Decise inoltre di conferire al dispositivo da contrapporre a tale sforzo un nuovo assetto ordinativo tattico schierando il D.A.K. a sinistra ed il XX corpo d'armata italiano a destra. In un primo tempo, la sera del 26, fece affluire nella zona di Sidi Abd el Rahman il raggruppamento Kasta (dall'estremità meridionale dello schieramento), il 580° reparto esplorante (da Marsa Matruh), un reggimento della 90a (dalla zona di el Dab'a), un battaglione carri ed un gruppo semovente dell'Ariete (dal settore sud). Il giorno successivo, il 27, dispose lo spostamento della 21 corazzata tedesca dal settore meridionale alla zona a sud-ovest di el Wishka e della 90a leggera dal settore costiero alla zona a sud-est di Sidi Abd el Rahman. In seguito a tali spostamenti ed alla ripartizione dell'intero schieramento in 2 settori - nord e sud - alla sera del 28 ottobre l'A .C.I.T. venne a trovarsi così schierata: settore nord, 4 divisioni di fanteria (Trieste e 90a germanica quasi efficienti; Trento e 164 germanica molto provate e ridotte), 3 divisioni corazzate (21 a germanica in buone condizioni, Littorio e 15a germanica scosse dalle gravi perdite); settore sud, 4 divisioni di fanteria (Bologna, Brescia, Folgore, Pavia), la brigata paracadutisti Ramcke, una divisione corazzata (Ariete, comprese le unità già trasferite inizialmente a nord e fatte rientrare il 28). Tale nuovo schieramento si contrapponeva a quello dell'8a armata britannica costituito: nel settore nord, da 5 divisioni di fanteria e da una brigata (delle quali la 9a australiana, la 1a sud-africana, la 51" Highland, la 4 indiana in prima schiera, e la 2" neozelandese ed una brigata greca in seconda schiera) e da 3 divisioni corazzate (delle quali la 103, meno una brigata motorizzata, in prima schiera, e la 1a, la ed una brigata della 10" in seconda schiera); nel settore sud, da 2 divisioni di fanteria (50a e 44a meno una brigata ciascuna) e da una brigata francese. « Si può dunque calcolare, con buon grado di approssimazione, che il nemico avesse concentrato nel settore settentrionale, ampio non più di 20 Km in linea d'aria, oltre i due terzi delle proprie forze, ivi compresa la totalità dei reparti corazzati, destinando al settore, sud, ampio circa 40 Km, il rimanente terzo, scarso. Per 11
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contro, le forze italo-tedesche risultavano dislocate per tre quinti nel settore nord e per due quinti in quello sud» (87). Il generale Montgomery veniva così a disporre di una potente e valida riserva (1 • corazzata, 7a corazzata rinforzata, una brigata corazzata della 108, 2a divisione di fanteria neozelandese rinforzata da due brigate), mentre il maresciallo Rommel, avendo dovuto impiegare in linea anche la 90- leggera e la 21 corazzata tedesca e stante il grado di efficienza dei resti della Littorio e della 15" corazzata, poteva mantenere in riserva la sola Trieste nel settore nord e l'Ariete nel settore sud. Il mantenimento dell'Ariete a sud rivela come il comando dell'A.C.J.T. continuasse ancora a temere una manovra avvolgente nemica da tale direzione quando oramai era evidente che la carta decisiva sarebbe stata giocata dal generale Montgomery esclusivamente nel settore nord. La terza fase, eruzione, ebbe inizio il 31 ottobre e termine il 4 novembre. La mattina del 29 ottobre il comandante dell'8a armata britannica decise di sferrare l'attacco finale nel punto di congiunzione tra le forze tedesche (a nord) e quelle italiani:: (a sud), appoggiandosi decisamente contro il fronte italiano (88). L'attacco finale prese il nome convenzionale di Supercharge {89) ed ebbe inizio alle ore 23 del 30 ottobre ad opera della 9a australiana che, partendo dal saliente creato da essa stessa due notti prima, puntò in direzione nord travolgendo un gruppo da 77 /28 da posizione italiano, i cui uomini opposero una valorosa resistenza, caddero sul campo o riuscirono ad aprirsi la via, combattendo, fino al vicino settore (90). La mattina del 31 la divisione australiana raggiunse la strada costiera e, malgrado la resistenza di un reggimento della 90a leggera e il contrattacco del reparto esplorante della 21" corazzata tedesca, si aprì la strada fino al mare, mentre altre unità chiusero in una sacca tre battaglioni italotedeschi (due del 125° reggimento tedesco e uno del 7° bersaglieri). Il contrattacco del successivo giorno 31, condotto da unità della 9011. e della 21"' tedesche, ridusse la zona d'irruzione, ricacciò il nemico dalla zona a nord della rotabile, raggiunse alla fine della giornata la linea Bir Sultan Omar-Hat, riprese il 1° novembre, con il concorso di un raggruppamento di truppe d'assalto, la q. 124 di Tell Alam el Shaqig, liberando i 2 battaglioni tedeschi rimasti accerchiati per 24 ore. Il contrattacco, guidato personalmente dal generale von Thoma, consentl il raccordo della linea, in corrispondenza della zona d'irruzione nemica, dalla q. 24 al rimanente schieramento lungo la ferrovia fino a Hat e a Bir Sultan Omar. Anche questa volta non fu possibile spazzare l'intera area di fronte alla tenace resisteneza nemica (91). L'azione della 9• australiana riuscì dunque solo in parte ed il generale
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Montgomery decise di rinviare l'ulteriore sviluppo della Supercharge alla notte del 1° novembre, occupando la giornata del .31, perché I'A.C.I.T. non potesse avvantaggiarsi dell'intervallo di tempo, ad estendere la penetrazione in profondità di altri 2 Km, portandola perciò complessivamente a 6 Km, e sostenendola con la concentrazione di fuoco di .360 pezzi di artiglieria. L'azione a fondo inglese ebbe inizio alle ore 1 del 2 novembre con una preparazione di artiglieria e di aviazione durata .3 ore . Accompagnata da incursioni in profondità dei bombardieri, spintisi sino al meridiano della stazione di Ghazal, da incursioni di 100 commandos sbarcati a Ral el Dab'a (ma costretti a reimbarcarsi in tutta fretta), da infiltrazioni di autoblindo e di carri armati nelle zone di Alam Abu Busat (4 Km ad ovest di Tell el Aqqaqir) e di Deir el Marra, essa riuscì a sfondare ai due lati di q. 28 ed a sud-ovest dell'altura, intaccando profondamente la posizione di resistenza, come pure riuscì a sfondare più a sud in corrispondenza di q . .3.3. L'8" armata si aprì un nuovo corridoio nel quale avanzò, sebbene ostacolata daUe forze e dal fuoco delle unità italotedesche, la IX brigata corazzata (seguita dal 4° reggimento autoblindo sud-africano); quest'ultima fece una conversione a sud-ovest in direzione di Teli el Aqqaqir nella cui zona si impegnò in combattimento insieme con la 1" corazzata che intanto eta riuscita a sfociare e la 10a corazzata, dal saliente. Dietro a tali forze seguivano la mentre la IX, la II e l'VIII brigate corazzate compivano una conversione all'esterno per fronteggiare i contrattacchi italo-tedeschi, nei quali s'impegnarono la 2P corazzata tedesca, i reparti della 15" corazzata tedesca non impiegati in prima linea, le sparute forze della Littorio e della Trieste, i cui carri venivano abbattuti uno dopo l'altro dai britannici. I cannoni anticarro italiani da 47 mm, esattamente come i nostri da 50 mm, non avevano alcuna efficacia contro i carri armati inglesi (92), contro alcuni dei quali non erano più efficaci neppure i cannoni da 88 mm tedeschi. L'avvio del nuovo attacco nelle prime ore del 2 non fu però incoraggiante per il generale Montgomery perché la resistenza si rivelò più accanita di quanto si fosse previsto. Quando spuntò il giorno la brigata corazzata di punta si trovò davanti alle bocche da fuoco del robusto schieramento di cannoni anticarro sulla pista di Rahman, anziché al di là di esso come prendeva il piano. Proprio mentre si trovava in quella scomoda posizione fu contrattaccata da quanto rimaneva delle forze corazzate di Rommel, e durante un'intera giornata di scontri perse tre quarti dei suoi carri armati. I superstiti tennero duro con grande coraggio, consentendo alle altre brigate di lanciarsi in avanti attraverso la breccia,
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ma anche queste furono a loro volta fermate appena al di là della pista di Rahman. Quando scese l'oscurità a porre fine alla battaglia, gli inglesi avevano perso ancora quasi 200 carri armati in combattimento o per guasti meccanici. Per quanto fosca potesse apparire la situazione, soprattutto da lontano, dopo questo ennesimo insuccesso, in realtà le nubi stavano per diradarsi. Quella sera, infatti, le risorse di Rommel erano finalmente esaurite. È quasi incredibile come i difensori avevano potuto resistere così a lungo. Il nucleo centrale delle forze di Rommel era costituito dalle 2 divisioni dell' Afrika Korps, ma già all'inizio della battaglia gli effettivi delle due unità erano ridotti a soli 9000 uomini, numero che dopo i sanguinosi combattimenti di quella giornata (2 novembre) era sceso a poco più di 2000. Peggio ancora l'Afrika Korps disponeva ormai di una trentina di carri armati efficienti, mentre gli inglesi ne avevano ancora più di 600: la superiorità inglese ammontava ora a 20 a 1 (93). Così commentò Liddell Hart la fine dei combattimenti di Tell el Aqqaqir - una vera ballaglia udla battaglia - e così il maresciallo Rommel: « Dopo dieci giorni di combattimenti l'Armata era esaurita al punto di non essere più in grado di opporsi efficacemente al prossimo tentativo di sfondamento. Un'ordinata ritirata delle truppe non motorizzate non appariva più possibile a causa della grande scarsità di automezzi. Le unità veloci erano anch'esse fortemente impegnate nella lotta (in prima schiera) e non potevamo attenderci che riuscissero a sganciarsi al completo. In tale situazione dovevamo perlomeno prevedere un progressivo annientamento dell'armata. In questo senso avevo informato appunto quel giorno (2 novembre) il Quartier generale del Fuhrer » (94). Nel pomeriggio del 2 novembre il maresciallo Rommel determinò di sottrarsi al combattimento e di portare le sue forze sul meridiano di Fuka, prevedendo: l'arretramento sulla linea di primo sbalzo di tutte le unità di fanteria non motorizzate, ad eccezione del X corpo che si sarebbe arrestato al margine posteriore degli ex campi minati inglesi conquistati nella battaglia di Alam el Haifa; l'arretramento della 90a leggera su posizioni ad immediata protezione del nodo stradale di Sidi Abd el Rahman e l'organizzazione a difesa della rotabile costiera; la contemporanea azione di contenimento e di arresto da parte delle unità motocorazzate in corrispondenza della sacca di Tel1 el Aqqaqir e più a sud, ed il loro successivo arretramento sulle posizioni di Fuka; il trasferimento dell'Ariete per le ore 6 del giorno 3 nel settore nord in zona Deir el Muna per partecipare alla battaglia decisiva; un nuovo raggruppamento delle forze, affidando al comandante del X corpo d'armata la responsabilità di tutto il set-
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tore sud e facendo tornare alle dipendenze del XX corpo d'armata l'Ariete, la Littorio e la Trieste. La decisione della resistenza ad oltranza sulle posizioni di e1 Alamein fu un errore strategico. Pronto, com'era, a capire gli attimi favorevoli per lanciarsi in avanti, Rommel era altrettanto rapido nel valutare la pericolosità di alcune situazioni che gli consigliavano di sottrarsi al contatto del nemico. Ed il 17 luglio, nei pressi di el Dab'a, egli prospettava al maresciallo Cavallero « l'opportunità di ripiegare dalla posizione di el Alamein non potendo garantire di attendere nemmeno una settimana per l'arrivo dei rinforzi promessi» (95). Anche il maresciallo Bastico era stato della stessa idea, che trovava la sua giustificazione nel fatto che le forze italo-tedesche avevano esaurito fra il 10 ed il 27 luglio la loro capacità operativa. Non sarebbe stato perciò possibile ripristinarla stanti il peso dei rinforzi e dei rifornimenti necessari anche in relazione alla distanza della linea dai porti di arrivo dei materiali e la situazione del Mediterraneo e stante altresl l'inesauribilità delle risorse che gli Stati Uniti avrebbero messo a disposizione delle forze britanniche. Errore strategico ancora più grave - del quale fu corresponsabile anche il maresciallo Rommel - fu il restare fermi su tale decisione dopo il fallimento della battaglia di Alam el Haifa sul cui esito negativo non poco aveva inciso l'insufficienza dei carburanti e dei rifornimenti in genere. Ma, pur nel quadro della resistenza ad oltranza, una diversa condotta della battaglia difensiva dell'A.C.I.T. avrebbe potuto conseguire se non un risultato vittorioso, almeno un danno meno pesante. Il maresciallo Rommel scrisse che « nelle condizioni in cui affrontammo la battaglia, la vittoria era impossibile» e precisò che « tutti i nostri sforzi, come dimostrarono i fatti, a nulla giovarono contro l'enorme superiorità britannica, non perché avessimo preso misure sbagliate» ... (96). La superiorità assoluta dei britannici in ogni campo - nel campo terrestre, per la quantità e la qualità dell'armamento e dei mezzi e per l'inesauribilità delle fonti di alimentazione; nel campo aereo, per il predominio schiacciante; nel campo navale, per il dominio del mare che valse ad ostacolare tutti i rifornimenti italo-tedeschi fin quasi a paralizzarli - è fuori discussione. La mancata conquista di Malta e la potenza industriale degli Stati Uniti furono le vere determinanti della vittoria angloamericana nel Mediterraneo. È però fuori discussione altresl - diversamente dalle affermazioni del maresciallo Rommel - che l'impostazione e lo svolgimento della battaglia difensiva dell'A.C.I.T. andarono soggetti ad errori, lacune, intralci e ritardi di ordine vario che si sarebbero potuti evitare. Alcune delle misure
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prese prima e durante la battaglia furono sicuramente sbagliate. In sede d'impostazione la difesa statica non fu sufficientemente integrata né da un concetto di manovra, ché tale non era il preconcetto del1'attacco inglese al centro, né dalle predisposizioni per il passaggio, nell'eventualità che stante il rapporto di forze avrebbe dovuto essere considerata probabile, dalla resistenza ad oltranza delle posizioni all'abbandono di queste per manovrare in ritirata. L'adozione dello schieramento avanzato, tanto delle artiglierie delle divisioni di prima schiera quanto delle stesse grandi unità corazzate di seconda schiera, fu determinata dal tipo delle bocche da fuoco disponibili - il cui braccio di azione non era tale da colpire il vivo del dispositivo avversario da posizioni meno avanzate - e dal timore, per le unità corazzate, che l'aviazione nemica avesse potuto paralizzarne il movimento nel caso fossero partite da lontano per i loro contrattacchi; ma, dopo l'inizio dell'offensiva inglese, sarebbe stato molto più conveniente arretrare le artiglierie più esposte, tanto più che, per tema di restare senza munizioni che scarseggiavano, fu ordinato alle artiglierie stesse di non battere ulteriormente le posizioni di attesa e le basi di partenza del nemico, ma di limitare il fuoco agli obiettivi certi avanzati. Il provvedimento avrebbe impedito che le fluttuazioni della linea di resistenza, anche quando modeste, coinvolgessero aliquote consistenti delle artiglierie o esercitassero ripercussioni negative su di esse ai fini dell'erogazione del fuoco, come purtroppo accadde. Lo schieramento avanzato delle grandi unità corazzate, il loro dosaggio uniforme tra il settore nord e quello sud e il loro disseminamento su fronti molto ampie inficiarono di per sé le possibilità di effettuare contrattacchi in forze per la materiale mancanza di spazio e di tempo sufficienti ad imbastire e sviluppare contromanovre, anche se elementari. Tali difetti di impostazione - propri delle concezioni tattiche difensive del maresciallo Rommel che li ripeterà anche nella difesa del V allo Atlantico (97) - pur conferendo maggiore possibilità di resistenza alle posizioni avanzate, comportarono l'impiego frazionato, che era quello che il nemico si era prefisso, delle unità corazzate, che vennero cosi impiegate in continui e deboli contrattacchi locali e subirono gravi logoramenti. Dalla sera del 23 al pomeriggio del 26 si succedettero al comando dell'A.C.1.T. ben 3 generali: Stumme, von Thoma, Rommel. Il fatto non fu senza conseguenze. Le reazioni alla fase iniziale dell'offensiva inglese furono incerte e disorganiche. Quando il maresciallo Rommel riassunse il comando, la breccia aperta a nord dagli inglesi era saldamente consolidata da truppe fresche che premevano sui mar-
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gini nord e sud della breccia stessa; gli inglesi avevano già dato inizio a quella che chiamarono la fase della demolizione. Resosi conto della incongruenza di conservare lo schieramento iniziale delle grandi unità corazzate e della necessità di riprendere queste alla mano per poter contromanovrare, il maresciallo Rommel concentrò nel settore nord, dove erano già la 15" corazzata tedesca e la Littorio, la 21 a corazzata tedesca, la 90"' leggera e la Trieste, ma lasciò nel settore sud l'Ariete, alla quale restituì i reparti già inviati nel settore nord, facendola serrare ancora più a ridosso della posizione di resistenza, evidentemente perché continuava a prevedere, o quanto meno a temere, uno sforzo a fondo del nemico in corrispondenza del settore sud appena affidato al XX corpo d'armata italiano. L'esclusione dell'Ariete dalla concentrazione delle grandi unità corazzate e mobili realizzata nel settore nord fu un provvedimento molto discutibile, perché oramai non potevano sussistere dubbi sulla direzione dello sforzo principale del nemico e sulla rinunzia di questo ad ogni azione a fondo nel settore sud, dal quale aveva ritirato anche la 7" corazzala. Non si può neppure condividere la tesi della relazione dell'ufficio storico (98) secondo la quale il mancato trasferimento a nord dell'Ariete sia dipeso dalla volontà del maresciallo Rommel di costiturisi un'estrema riserva da impiegare nel momento cruciale della battaglia o in altri casi di imprevedibili necessità, perché a tali fini sarebbe stato quanto meno necessario arretrare e raccogliere la grande unità, anziché spingerla più avanti e su di una fronte d'intervento più ampia. La verità è, come del resto rileva la stessa relazione, che il maresciaUo Rommel continuò a considerare, durante tutto il corso della battaglia, la possibilità che i britannici intraprendessero un'azione anche sull'ala destra dello schieramento difensivo, per effettuare un avvolgimento totale (99) che egli, al posto del generale Montgomery, avrebbe certamente tentato. Il concentramento delle forze nel settore nord consentì al maresciallo Rommel di sferrare ripetuti contrattacchi per cercare di recidere i salienti più pericolosi, di eliminare le infiltrazioni e di contenere la spinta offensiva e, in particolare, lo mise in condizione di effettuare il grande contrattacco del pomeriggio del giorno 27 con il quale avrebbe voluto riequilibrare la situazione, ripristinare l'efficienza della posizione difensiva e indurre gli inglesi a desistere dal continuare nell'azione offensiva. Il fallimento di tale contrattacco - determinato dalla violenza del fuoco di artiglieria, dell'aviazione, dei carri armati e dei pezzi controcarro nemici, questi ultimi agenti da postazioni fisse - mandò deluse le sue ultime speranze di riuscire a respingere definitivamente ] 'avversario e gli sug-
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gerì l'idea di abbandonare la resistenza ad oltranza sulle posizioni di el Alamein e di passare alla manovra in ritirata. Le perdite sublte, sensibilmente forti, la scarsa disponibilità residua di mezzi corazzati (148 tedeschi e 187 italiani compresi quelli dell'Ariete, ancora schierata nel settore meridionale) e la ridottissima consistenza dei quantitativi di munizioni e carburanti non davano luogo a previsioni fondate di ulteriore successo della resistenza ad oltranza. La ritirata, d'altra parte, racchiudeva gravi rischi, il maggiore dei quali era la probabile perdita della fanteria italiana le cui forti unità costituivano per me, in aperto deserto, una palla al piede, poiché non disponevano di automezzi (100). Ma se si fosse voluto tentare di salvare almeno in parte la fanteria, l'unica strada possibile - alla luce dei comuni criteri tattici e logistici e della situazione contingente - sarebbe stata quella della ritirata da attuare di sorpresa ed in un momento sfavorevole per il nemico. Comunque, l'unico momento nel quale sarebbe stato possibile tentare, sia pure con qualche rischio, l'esecuzione di tale:: operazione, si presentò proprio nei giorni 27 e 28 ottobre, in quanto il nemico era in fase critica di riordinamento e di nuovo raggruppamento delle proprie forze e non sarebbe stato, perciò, in grado di effettuare un tempestivo intervento e di esercitare una organica e ragionevole azione di inseguimento alla quale, peraltro, sarebbe stato ancora possibile contrapporre le divisioni motocorazzate che, in riserva lungo la costa, erano in condizioni di prontamente schierarsi a ridosso delle nostre unità di fanteria per agevolarne lo sganciamento e per proteggere il ripiegamento (101). Il maresciallo Rommel pur rimanendo fermo nel proposito che in nessun caso (l'armata) doveva aspettare sul fronte di el Alamein il proprio annientamento (102) - non si assunse la responsabilità della decisione e perdette, così, l'occasione propizfa. Se avesse seguito l'intuito tattico che non gli era mai mancato, e che anche la sera del 27 non gli sfuggì, e non avesse fatto prevalere il timore della responsabilità da assumersi di fronte ad Hitler e a Mussolini, ma avesse senza esitazione optato per la ritirata, le conseguenze favorevoli che ne sarebbero derivate sarebbero state notevoli sotto molteplici aspetti. Egli si limitò invece, da parte sua, a rappresentare le necessità di un contatto diretto con il maresciallo Cavallero, il quale non ritenne di potersi allontanare da Roma in quel momento. « Informo il generale von Rintelen di non poter aderire all'invito di recarmi in Libia presso il comando Rommel. In questo momento la mia presenza è indispensabile qui per spingere i trasporti» (103). Il maresciallo Cavallero incaricò il generale Barbasetti di Prun di recarsi in sua vece dal maresciallo Rommel.
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Nel colloquio, che ebbe luogo il 29 ottobre, il comandante dell'A.C.I.T., secondo quanto riferl lo stesso giorno il generale Barbasetti di Prun al maresciallo Cavallero ( 104), illustrata la situazione del momento sulla fronte (divisioni non più in grado di resistere agli attacchi poderosi degli inglesi, truppe in linea che avevano sublto perdite gravissime, riserva già impegnata per cui solo con arte di giocoliere si riesce a chiudere i buchi, consistenza dei rifornimenti che consentivano solo due o tre giorni di vita) e quella generale della Libia, retrovie comprese, dove esistevano forze con effettivi irrisori, rappresentava che oramai non era più possibile neppure sottrarsi alla pressione nemica ricorrendo alla manovra, per cui non restava altra soluzione che di dar battaglia fino all'estremo sul fronte di El A/,amein, alleggerendo frattanto la gravità della situazione con l'arrivo di forti quantitativi di munizioni perché se ne consumano in quantità superiori agli arrivi, di benzina perché oggi la limitatissima disponibilità costringe a tenere i carri fermi o a limitare i movimenti per non restare poi fermi, di personale perché la truppa è esaurita. Nelle sue:: linee fondamentali la situazione generale dell'Africa settentrionale prima dell'inizio dell'offensiva dell'8a armata britannica era nota anche a Roma ed aveva formato oggetto di un'apposita riunione tenuta il giorno 27 tra Mussolini, il maresciallo Cavallero ed i marescialli Goering e Kesselring, i quali però ne avevano dato un giudizio meno pessimistico, tanto che il maresciallo Kesselring l'aveva giudicata buona fino al giorno del suo rientro dalla Libia (28 ottobre) ed il maresciallo Goering aveva testualmente aggiunto che non vi erano ragioni per pensare che l'armata corazzata non tenga, a condizione che arrivino tempestivamente i rifornimenti. Dalla riunione erano conseguiti provvedimenti di urgenza (105) i cui effetti positivi erano, peraltro, aleatori, e non immediati, in quanto legati alla situazione dei trasporti nel Mediterraneo e degli scarichi nei porti e negli aeroporti della Cirenaica, che erano alla mercé dell'aviazione britannica. Lascia perplessi il fatto che il maresciallo Rommel, convinto com'era tuttallora di evitare l'annientamento dell'A.C.I.T., abbia escluso al generale Barbasetti persino la possibilità della manovra in ritirata, alla quale egli aveva pensato subito dopo il fallimento del contrattacco del giorno 27. Eppure proprio il giorno del colloquio, il 29, egli era riuscito con abile contromossa, spostando sul fianco dell'attacco nemico la notte del 28 la 90a leggera, a far fallire l'azione del generale Montgomery verso nord in direzione della costa, partita dal grande cuneo creato nei giorni precedenti. Nella riunione dei vertici del 27 ottobre il maresciallo Kesselring espresse dubbi sull'atteggiamento del
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maresciallo Rommel che egli giudicò indeciso; il maresciallo Goering intervenne sostenendo che « sembra infatti talvolta che il maresciallo Rommel subisca le impressioni del momento e cambi troppo facilmente le sue opinioni, ma in realtà non è così». Era nel vero il maresciallo Kesselring. II maresciallo Rommel nella battaglia di el Alamein si lasciò dominare dall'incertezza e dalla indecisione ed egli stesso confessò il suo stato d'animo in una lettera scritta alla moglie il giorno del colloquio con il generale Barbasetti di Prun: « Ormai ho ben poche speranze. Di notte me ne sto sdraiato con gli occhi aperti incapace di dormire per il peso che mi grava sulle spalle. Di giorno, poi, sono mortalmente stanco. Che cosa accadrebbe se qui la situazione dovesse precipitare? Questo è il pensiero che mi tormenta giorno e notte. Non riesco a vedere alcuna via d'uscita da quanto sta accadendo» (106). La via d'uscita la imboccò con grande ritardo nel pomeriggio del 2 novembre, dopo l'esito della battaglia di Teli el Aqqaqir, quando decise di portare in due fasi le forze residue sul meridiano di Fuka (107) e le cose gli sarebbero andate meno male di quanto non si aspettasse e di quanto i suoi stessi ordini per il ripiegamento, impostato sul sacrificio a priori delle fanterie del settore centrale e di quello meridionale, non lasciassero fondatamente prevedere, qualora non avesse ubbidito all'ordine insensato di Hitler e di Mussolini (108) di arrestare un'operazione che, per le favorevoli imprevedibili condizioni di vantaggio gratuitamente offerte dal nemico, stava avendo concrete possibilità di riuscita. Sospendere un ripiegamento già in pieno svolgimento, senza poter rischierarsi sulle posizioni fortificate abbandonate e dovendosi sistemare a difesa su posizioni improvvisate al momento, fu un errore più grave di quello del rinvio dell'unica decisione savia da prendere subito dopo il contrattacco del 27, un errore non giustificabile in nome dei vincoli di subordinazione e di disciplina nei riguardi del comandante supremo tedesco e di quello italiano, perché, in un caso del genere, la disobbedienza, non determinata da paura fisica e morale o da considerazioni personali opportunistiche, ma dalla evidenza della situazione tecnico-militare modificabile solo in peggio, diventa un dovere morale per chi ha la responsabilità delle operazioni di un intero scacchiere operativo (109). L'ordine di resistere ad oltranza impartito il 3 novembre da Mussolini e da Hitler compromise, infatti, in modo irreparabile la salvezza di quanto a quella data era ancora efficiente e valido operativamente. Erano state appena emanate le disposizioni esecutive per la seconda fase del ripiegamento (110), quando giunsero al comando dell'A.C.I.T. il messaggio
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del Comando Supremo che notificava la decisione di Mussolini di mantenere a qualunque costo l'attuale fronte e subito dopo quello di Hitler diretto personalmente al maresciallo Rommel, nel quale, tra l'altro, era scritto « ... non può esservi altro pensiero che continuare a resistere, non cedere di un solo passo e gettare sulla battaglia ogni arma, ogni combattente di cui si possa ancora disporre ... Alle vostre truppe, però, non potete indicare altra via se non quella che conduce alla vittoria o a11a morte ». Il maresciallo Rommel sospese il ripiegamento già intrapreso verso le posizioni di Fuka e dispose che le unità ritornassero in linea e si schierassero nella zona raggiunta nel primo sbalzo e già abbandonata, che si portassero su tali posizioni anche le unità mobili avanzate ancora a contatto con il nemico, e che si organizzasse la resistenza ad oltranza su tali posizioni - coincidenti all'incirca con il meridiano 850 - e su quelle ancora occupate (tergo dei campi minati inglesi) nel settore meridionale. Egli, inoltre, indirizzò un messaggio ad Hitler nel quale rappresentò la situazione che si eta determinata nel settore nord (breccia di 1 O Km di ampiezza e di 15 di profondità), segnalò che l'ulteriore resistenza ad oltranza avrebbe conseguito la progressiva distruzione dell'armata e chiese l'autorizzazione di passare alla guerra di movimento al fine di contrastare l'avanzata al nemico e infliggergli ulteriori danni, e per evitare a noi la perdita del teatro di guerra africano ( 111). L'ordine di arresto della manovra in ritirata e della prosecuzione della resistenza ad oltranza sulle posizioni del meridiano 850 fu fatale e più ancora lo sarebbe stato, se cosl si può dire, qualora il generale Montgomery avesse percepito in tempo l'inizio del ripiegamento nella notte sul 3 e si fosse mosso con minore lentezza. Sino al mattino del 4 l'8a armata britannica non esercitò nessuna azione di rilievo per ostacolare pesantemente il movimento retrogrado che, conseguentemente, avrebbe potuto proseguire senza gravi difficoltà nella notte sul 4 fino alle posizioni di Fuka. L'arresto sulle posizioni del meridiano 850 fu « tutto tempo perduto per noi poiché avremmo potuto approfittarne per raggiungere Fuka con tutte le nostre unità subendo verosimilmente soltanto perdite modeste. Non avrei mai osato sperare che il Comandante britannico ci lasciasse una simile occasione. Ora essa passava senza che noi ne approfittassimo » (112). Il tentativo di riprendere la resistenza ad oltranza si rivelò del tutto vano. Il mattino del 4 l'A.C.I.T. si venne a trovare schierata su di una vasta fronte semicircolare, il cui ramo settentrionale si prolungava verso est con la 90a e quello meridionale si allacciava al XX corpo. Più a sud era schierata la Trento e, oltre la bretella occidentale dei campi minati
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arretrati, la fronte proseguiva con la brigata Ramcke ed il X corpo d'armata. Alle 7 del 4 il nemico investl le nuove posizioni dal mare alla depressione di Deir Abu el Hiqeif lungo tre direttrici di attacco, da nord a sud la prima da q. 22 a Sidi Abd el Rahman, la seconda dalla zona di Tell el Aqqaqir ad Alam Abu Busat, la terza dalla zona di Alam Burt Sabai el Gharbi a Bir el Abd. Lungo la prima agì la 9" australiana il cui attacco si abbatté sulla 90a leggera che sostenne l'urto strenuamente e con grande vigoria e valore; lungo la seconda agirono la 1a e la 108 corazzate che investirono il D.A.K. il; cui schieramento, nelle prime ore del pomeriggio, venne intaccato in più punti; lungo la terza direttrice agì la 2" neozelandese (rinforzata dalla IV brigata corazzata leggera della 7") che, delineandosi verso mezzogiorno il successo dell'attacco sulla fronte del XX corpo d'armata italiano, si lanciò in profondità verso ovest con il compito di assicurarsi il possesso del costone di Fuka. La 2" neozelandese « penetrò rapidamente nel vuoto creatosi nello schieramento del XXI corpo d'armata, travolse le residue forze della divisione Trento rimasta del tutto isolata, raggiunse ed incalzò la divisione Bologna già avviata verso posizioni arretrate, ne sopravanzò le ali e provocò l'annientamento dei singoli reparti che attaccò separatamente in piena crisi di spostamento, completò infine la separazione del X corpo d'armata dalle rimanenti unità dell'A.C.I.T. » (113). Fu la fine delle fanterie italiane appiedate. La sera del 4 anche il XX corpo d'armata italiano risultò completamente annientato. L'Ariete, che il mattino del 4 era schierata nella zona a sud di Deir e1 Muna, cercò di ristabilire la continuità della fronte - andata perduta in seguito alla distruzione del reparto di combattimento del D.A.K., elemento di giunzione tra 15" e 21e. - e riuscì a prendere il contatto ma, per effetto delle infiltrazioni che si verificarono lungo il limite di settore fra XX e XXI corpo, rimase isolata e staccata dal rimanente schieramento difensivo a sud. Premuta di fronte, superata sulle ali e aggirata da carri armati pesanti, ridotta senza munizioni, non fu più in grado di svincolarsi dalla morsa nemica. La Trieste concorse al combattimento dell'Ariete e riusd con grandi difficoltà a far ripiegare solo il 66° fanteria. La Littorio prese alla fine parte al combattimento con un proprio battaglione di formazione (una ventina di carri ancora efficienti). Si concluse così la disperata lotta dei piccoli e scadenti carri armati italiani del XX corpo con circa 100 carri armati pesanti britannici che avevano aggirato sul fianco destro scoperto gli italiani che combatterono con straordinario valore. Uno dopo l'altro i carri armati esplodevano o si incendiavano mentre il violentissimo fuoco dell'artiglieria nemica
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ricopriva le pos1z1oni della fanteria e dell'artiglieria italiane. Verso le 15,30 partì l'ultimo messaggio radio dell'Ariete: « carri armati nemici fatta irruzione a sud dell'Ariete, con ciò Ariete accerchiata. Trovasi 5 chilometri nord-ovest Bir el Abel. Carri Ariete combattono». La sera il XX corpo italiano, dopo valorosa lotta, era annientato ... « Con l'Ariete perdemmo i nostri più anziani camerati italiani, ai quali, bisogna riconoscerlo, avevamo sempre chiesto più di quello che erano in grado di fare con il loro cattivo armamento» (114). Alle ore 15,30, per tentare di evitare che il D.A.K. e la 90a leggera venissero tagliati fuori dalle azioni avvolgenti nemiche e per recuperare il poco rimasto, il maresciallo Rommel emanò l'ordine di ritirata generale sulle posizioni di Fuka, informando con una relazione sui fatti il Comando Supremo italiano (115) sul quale, non meno che sull'Alto Comando tedesco, ricadeva la responsabilità della tragica giornata del 4 novembre. Se questa non si concluse con l'annientamento totale dell'A.C.I.T. fu solo perché il generale Montgomery non seppe approfittare dell'occasione d'oro che gli si presentò per tagliare definitivamente fuori tutte le forze combattenti italiane e tedesche che aveva di fronte. Non appena Rommel ebbe impartito l'ordine di ritirata, le truppe tedesche si mossero con estrema rapidità, stipate nei pochi mezzi di trasporto motorizzati ancora disponibili, mentre l'aggiramento inglese risentì dei soliti vecchi difetti: cautela, esitazione, lentezza e limitatezza di manovra (116). La limitatezza della manovra, in particolare, fu uno dei difetti maggiori della tattica del generale Montgomery. Nella Supercharge, ad esempio, egli decise di spostare l'asse dell'attacco di 4-5 Km più a nord rispetto alla Lighfoot pensando di creare disorientamenti nella difesa e di conseguire la sorpresa tattica, ma il troppo modesto scarto della sua direzione di attacco non consegui il risultato che egli si era ripromesso perché le unità mobili tedesche, già gravitanti verso la costa, furono subito in grado di contrattaccare il fianco settentrionale delle colonne della Supercharge. Fu altresì per limitatezza della manovra che il giorno 4, come abbiamo già detto, il generale Montgomery non conseguì la distruzione completa dell'A.C.I.T. Non vi è battaglia nella quale i capi non commettano qualche errore e non pecchino di qualche omissione. In quella di el Alamein sia il maresciallo Rommel sia il generale Montgomery non furono esenti da sbagli; questi furono però sotto il profilo tecnico più numerosi e gravi da parte del generale Montgomery che, per le più ampie e vaste possibilità concessegli dalla superiorità in tutti i settori di cui costantemente dispose per l'intera durata della battaglia e per le ulteriori possibilità offertegli dagli errori
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commessi dal maresciallo Rommel, non seppe impostare e condurre un'azione offensiva brillantemente manovrata e spinta decisamente in profondità e non seppe sfruttare rapidamente il successo della giornata del 4. Corse il rischio di non riuscire a conseguire il successo prima dell'operazione Torch, e addirittura di non conseguirlo affatto. Rimasto troppo ligio agli schemi ed alle esperienze della prima guerra mondiale, non dimostrò di avere assimilato in pieno la mentalitd corazzata nel quadro della grande tattica, mentre dette prova di avere fatto tesoro delle modalità d'azione e dei procedimenti operativi del suo antagonista. Questi, a sua volta, non fu pari al passato e non si rivelò nell'impostazione, organizzazione e condotta della manovra di arresto altrettanto perspicace, accorto, pronto e manovriero come era stato nell'azione offensiva ed in tutte le precedenti azioni tattiche, grandi e piccole, in terreno libero. Ciò dipese, secondo noi, lo ripetiamo, più che dalla stanchezza e dal non buono stato di salute, da un certo intorpidimento spirituale, che, senza fiaccarne la volontà di battersi, lo rendeva consapevole della vanità di quella lotta e forse gli faceva presentire l'inesorabilità della sconfitta finale dell'Asse. Malgrado ciò non cedette né moralmente né fisicamente, e si aggrappò ad un'ultima speranza: la Tunisia. Pensò che se egli fosse riuscito a trasferirsi il più economicamente possibile e senza ulteriori perdite in quel nuovo campo di battaglia, morfologicamente assai diverso dal deserto libico-egiziano, avrebbe potuto ancora far valere la superiorità delle sue concezioni tattiche, questa volta mediante la manovra combinata di unità non motorizzate, che nel nuovo terreno avrebbero trovato un grande incremento di capacità operativa, e di unità mobili. Di queste, stanti le maggiori difficoltà di sostituzione e di reintegrazione, cercò di portare in salvo almeno gli scheletri che gli erano rimasti. Non ebbe dubbi sulla portata strategica della battaglia di el Alamein - la perdita dell'Africa e del bacino del Mediterraneo e valutò che, se fosse stato necessario guadagnare tempo per prepararsi a resistere all'assalto al continente europeo, il guadagno sarebbe stato più ampio e remunerativo su di un terreno che meglio si prestasse alla difesa ancorata anziché tentare di realizzarlo mediante una manovra di logoramento tendente ad esaurire l'azione offensiva nemica pur nel grande e profondo spazio disponibile. Da qui l'impostazione che, contrariamente agli intendimenti del Comando Supremo italiano, egli darà al ripiegamento dell'A.C.I.T . da el Alamein al Mareth. Che la battaglia di el Alamein fosse l'ultimo atto, o il preludio dell'ultimo atto per usare l'espressione della relazione dell'ufficio sto-
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rico della guerra dell'Asse in Africa settentrionale, lo compresero o lo presentirono tutti i soldati dell'A.C.I.T. Quando 1'8 novembre apprenderanno l'inizio dell'operazione Torch il presentimento diventerà certezza. L'accanimento, l'ardore e la resistenza morale e fisica dei combattenti italiani e tedeschi nella battaglia, malgrado la schiacciante superiorità materiale dell'8a armata britannica - i cui soldati combatterono anche essi con ostinazione, abilità, metodo e valore e le scarse speranze di vittoria, costituiscono di per sé un titolo di grande onore e merito per l'Italia e la Germania sul piano dei valori spirituali e storici delle due nazioni. L'A.C.I.T., battuta ma non annientata, non solo non ebbe nulla da rimproverarsi in quella battaglia, ma a buon diritto poté vantarsi di avere superato i limiti della fattibilità militare nel tenere fronte per dodici giorni ad un avversario così potentemente armato ed equipaggiato sulla terra ed in ciclo ed armato da altrettanta volontà di vittoria, nella quale peraltro gli era molto più facile credere e sperare.
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La ritirata dell'A.C.1.T., o meglio di quanto restava di questa, da el Alamein al Mareth fu caratterizzata, più che dai combattimenti tra le forze inglesi avanzanti e quelle italo-tedesche in ripiegamento, dal contrasto di vedute strategiche e di valutazioni tattiche tra Roma e Berlino e, soprattutto, tra il Comando Supremo italiano ed il maresciallo Rommel. Ciò dipese dal diverso interesse - vitale e decisivo per l'Italia, non altrettanto per la Germania, sebbene anche per questa importantissimo e da salvaguardare - che le due potenze dell'Asse annettevano allo scacchiere dell'Africa settentrionale. Non che l'O.K.W. continuasse a sottovalutare come per il passato il teatro operativo del Mediterraneo, ma ovviamente era molto più preoccupato per quello che stava accadendo in Russia dove le armate sovietiche, dopo avere attraversato il Dnepr, stavano investendo, nella prima settimana di novembre, Kiev e a sud, dilagando attraverso la steppa di Nogaisk, si stavano spingendo fino al basso corso del fiume per bloccare le vie d'uscita dalla Crimea. Camminare all'indietro è naturalmente più difficile che non muoversi in avanti; quando si è costretti a ripiegare, è indispensabile avere chiaro lo scopo del perché lo si fa e stabilire bene, con lungimiranza, fino a dove e per quanto tempo s'intende indietreggiare. L'A.C.I.T. non aveva alternative: doveva rompere il contatto con il nemico e portarsi indietro. Di tale
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soluzione obbligata si convinsero, sebbene con grande ritardo, sia il Comando Supremo italiano ( 117) sia l'Alto Comando tedesco: il primo concesse al maresciallo Rommel libertà di manovra per portare at passo et passo armata sulla posizione di Fuka ed ordinò al generale Batbasetti di Prun di continuare l'organizzazione della posizione di Halfaya con i reparti della divisione Pistoia presenti in Marmarica od affluenti e con tutti i mezzi che fosse ancora possibile trarre dalla Cirenaica, ed al maresciallo Bastico di organizzare la posizione di el Agheila essenzialmente con la divisione La Spezia tenendo altresì presenti le necessità dei presidi di Agedabia e di Gialo. A parte il fatto che le posizioni di Fuka, in seguito a come erano andate le cose il giorno 4 novembre, potevano avete il valore di semplice linea di attestamento, come pure quelle successive di Marsa Matruh e di Sidi el Barrani - sulle quali infatti le forze in ripiegamento effettueranno soste di brevissima durata per riordinarsi e riposarsi, senza alcun intendimento tattico - ; il problema, prima che di scelta delle posizioni sulle quali arrestarsi e temporeggiare, era di conoscere lo scopo al quale si mirava in quella estrema povertà di forze e di mezzi nella quale l'A.C.I.T., la Cirenaica, la Tripolitania ed il Sahara libico si trovavano. Il Comando Supremo conosceva molto bene, anche se non nei particolari, il grado di tale povertà, come risulta dalle annotazioni del maresciallo Cavallero (118), ma anziché prendere una decisione definitiva sul da farsi, dispose la difesa ad oltranza della Cirenaica sulle posizioni di Sollum-Halfaya (119), nell'illusione o nella speranza che l'accaduto non fosse tanto grave quanto il maresciallo Rommel asseriva, e in contrasto con questi orientato sin dall'inizio del ripiegamento (anche se per un momento lasciò credere di condividete il pensiero delle autorità italiane) ad arretrare sino ad el Agheila. In un secondo tempo, dopo la decisione dell'invio di forze italo-tedesche in Tunisia, in una riunione tenuta il 13 novembre nel campo di aviazione K3 di Bengasi - alla quale intervennero i marescialli Cavallero e Bastico, i generali Barbasetti di Prun e Bernasconi (Aeronautica), l'ammiraglio Giartosio - venne convenuto di difendere la sola Tripolitania, opponendo un primo arresto all'avanzata nemica sulle posizioni di Marsa el Brega-Agheila-Marada, da coprire sul davanti con uno schieramento di sicurezza nella zona di Agedabia (120). La decisione fu presa senza ascoltare il parere del maresciallo Rommel che non fu possibile rintracciare - o che, forse, evitò deliberatamente l'incontro - tanto che il maresciallo Cavallero rientrò il giorno 15 a Roma senza avere avuto la possibilità di abboccarsi con lui. Il maresciallo Cavallero non ebbe dubbi: il maresciallo
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Rommel si era eclissato perché non aveva nessuna intenzione d'impegnarsi a fondo sulle posizioni di el Agheila. Egli, appena rientrato a Roma, invitò il maresciallo Kesselring a far pervenire al maresciallo Rommel l'ordine dall'O.K.W. di tenere assolutamente le posizioni di el Agheila perché il nemico avanzava lentamente e perciò c'era tutto il tempo di organizzare le posizioni: Mezzi ve ne sono. Esistono già 87 carri in Tripolitania, altri 25 sono in viaggio, oltre ad una trentina di carri tedeschi (121). Telegrafò poi al maresciallo Rommel l'ordine di Mussolini di difendere la Tripolitania sulla linea Marsa Brega-el Agheila-Marada e inviò copia dell'ordine al maresciallo Bastico (122). Rispose al generale von Rintelen, che gli aveva prospettato il quesito se fosse proprio necessario tenere la Libia o non convenisse ritirarsi a Gabès, se ci ritiriamo a Gabès anche la Tunisia è perduta. Quindi occorre dire a Rommel che su el Agheila si deve fermare definitivamente (123). Ma il maresciallo Rommel non si dette per vinto: prospettò la convenienza di fermarsi a Buerat piuttosto che ad el Agheila; inviò a Roma il generale De Stefanis, comandante del XX corpo di armata italiano, per esporre i motivi per i quali non intendeva arrestarsi ad el Agheila - esiguità delle forze di fronte a quelle dell'8n armata e presenza del deserto sirtico alle spalle - e voleva invece tenete tale linea solo con le truppe motorizzate, tirando subito indietro le truppe a piedi. Nel tentativo di superare l'ostacolo del Comando Supremo italiano, di trovare ragione presso Hitler - il quale però concordava in pieno sulla tenuta ad oltranza di el Agheila e di provocare comunque provvedimenti più adeguati e solleciti per l'A.C.I.T., decise alla fine di partire il 28 novembre per l'Europa facendo una semplice segnalazione del suo allontanamento al maresciallo Bastico alle cui dipendenze era stato nuovamente posto dal 16 novembre. Da tale data, infatti, il Comando Supremo, per conferire unitarietà alla difesa della Libia e per garantire meglio l'ubbidienza ai suoi ordini da parte del maresciallo Rommel, aveva sciolto la Delease e ridato il comando di tutte le forze e degli enti militari (A.C.I.T., 5a squadra aerea, Marilibia, Intendenza A.S., ufficio di collegamento con il comando tedesco) al Superlibia (123). Rommel parlò con Hitler e cercò di fargli comprendere la necessità di prendere in considerazione lo sgombero a lunga scadenza del teatro di guerra africano, visto che, secondo tutte le esperienze, non era più da attendersi un mutamento della situazione dei trasporti e lo avvertì che se l'armata avesse dovuto rimanere nel nord-Africa sarebbe andata distrutta (125). Hitler si eccitò a dismisura, disse di non essere disposto ad ascoltare altri ragionamenti di quel genere, finì con il dare
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in escandescenze e ribadl che era indispensabile, dal punto di vista politico e strategico, mantenere il controllo di una grande testa di ponte in Africa e che quindi non vi sarebbe stata alcuna ritirata dalla linea di Marsa el Brega-Agheila-Marada. Chi aveva ragione, il Comando Supremo italiano, l'Alto Comando tedesco, il Superlibia, il maresciallo Kesselring (126) oppure il maresciallo Rommel che, in cuor suo, aveva già deciso che la ritirata non si sarebbe fermata né ad el Agheila, né a Buerat e neppure a Tripoli, ma solo a Gabés dove si sarebbe sentito più al sicuro dagli aggiramenti ed avrebbe potuto anche contrattaccate, con i rinforzi che avrebbe avuto più a portata di mano? I1 maresciallo Rommel, dopo il 4 novembre, prima ancora dello sbarco anglo-americano nel Marocco, giudicò perduto lo scacchiere africano e la valutazione era e risultò poi esatta. Restavano disponibili un grande spazio, ma poche forze, e queste non erano reintegrabili per un'azione, neppure difensiva, di lunga durata. Utilizzare lo spazio per guadagnare tempo? Per ottenere tale risultato egli stimò essenziale di non farsi agganciare dal nemico su nessuna posizione, perché qualora le scarse e deboli forze disponibili fossero state sopraffatte, come era prevedibile che accadesse in caso di resistenze prolungate, sarebbe venuta meno anche la funzione di guadagnare tempo. L'arrivo di forze italiane e tedesche in Tunisia non gli fece mutare parere, anzi gli fece concepire un disegno di manovra più ardito e lo indusse ad affrettare i tempi della ritirata per due motivi essenziali: l'A.C.I.T. era inevitabilmente destinata ad essere sempre meno alimentata tanto in conseguenza delle esigenze di rifornimento del nuovo scacchiere occidentale quanto per effetto della maggiore insicurezza delle rotte marittime, più insidiate e intercettate dalla aumentata superiorità numerica e qualitativa delle navi e degli aerei angloamericani (127); la difesa ad oltranza sulle posizioni del Mareth avrebbe avuto chances assai maggiori che non sulle varie posizioni della Libia. Il raggiungimento della Tunisia diventava perciò urgente sia nel caso che s'intendesse alla fine evacuare lo scacchiere del nord Africa, com'egli avrebbe fatto se fosse dipeso da lui, sia nel caso che si dovesse guadagnare ulteriore tempo a favore del rafforzamento delle difese europee e si volesse perciò mantenere una robusta testa di ponte in Africa. Le sue tesi scaturivano da argomentazioni strategiche logiche e realistiche, mentre quelle degli oppositori si rifacevano principalmente a considerazioni di carattere politico e psicologico, sebbene non fossero altresì estranee motivazioni di ordine operativo, come la necessità di avere il tempo di sgomberare sulla
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Tunisia la massima quantità possibile di mezzi, di materiali, di risorse di ogni genere comunque recuperabili e di distruggere tutto ciò che si fosse dovuto lasciare in mano del nemico (particolarmente porti ed aeroporti, ferrovie, installazioni logistiche). L'abbandono della Tripolitania sarebbe stato senza dubbio, come sosteneva il Comando Supremo italiano che era riuscito a convincere anche l'Alto Comando tedesco, un fatto politico, oltreché assai doloroso per l'Italia, anche estremamente demoralizzante per i combattenti e le popolazioni dei paesi del Tripartito, del cui declino strategico-militare la sconfitta di el Alamein, lo sbarco delle truppe anglo-americane in Algeria ed in Marocco, le battaglie navali presso Guadalcanal e l'inizio della controffensiva sovietica presso Stalingrado rendevano manifesta l'irreversibilità . Indipendentemente dalla remora politica e psicologica, la gran parte delle autorità militari italiane e tedesche vedeva nel bastione africano l'avamposto della fortezza europea, che avrebbe potuto consentire la disponibilità di tempo sufficiente a provvedere alla organizzazione difensiva del territorio europeo ed avrebbe altresì consentito il ritardo della perdita totale e definitiva del bacino del Mediterraneo, la cui padronanza assoluta da parte anglo-americana apriva a questa la strada per operazioni di sbarco, oltreché di attacchi aerei, contro la Francia meridionale, le isole maggiori italiane, le penisole italiana e balcanica. Da qui la decisione di Hitler di portare forze tedesche a Tunisi per organizzarvi una prima testa di ponte - i primi lanci di paracadutisti tedeschi ebbero luogo 1' 11 novembre e di occupare il resto del1a Francia di Vichy. Di tale decisione, il
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giorno 10, Hitler dette comunicazione diretta al ministro degli esteri italiano, Ciano, - partito per Monaco la mattina del 9 novembre affermando che non s'illudeva circa il desiderio dei francesi di battersi a fianco dell'Asse, che rinunziava al piano di collaborazione di ampia portata con la Francia da lui stesso elaborato il giorno avanti e che occorreva perciò procedere alla completa occupazione della Francia, ad uno sbarco in Corsica, alla creazione di una testa di ponte in Tunisia. Gli ordini per la presa di possesso della Francia non occupata furono impartiti da Hitler alle 20 ,30 del 1 O novembre ed eseguiti l'indomani mattina senza altro incidente che una futile protesta del maresciallo Pétain, capo della Francia di Vichy. La stessa sera de! 10 il maresciallo Cavallero comunicò al capo di stato maggiore della marina italiana, amm. Riccardi, l'ordine per l'occupazione della Corsica e, per il tramite del capo di stato maggiore dell'esercito, gen. Ambrosia, al comandante della 4a armata schierata sulla frontiera occidentale l'ordine di passare il confine francese, di raggiungere il Rodano e di proseguire fino alla linea di demarcazione che i tedeschi imposero passasse ad est di Tolone ed escludesse Marsiglia nonostante che qui risiedessero molti italiani (128). La creazione della testa di ponte in Tunisia fu , dunque, una decisione di Hitler comunicata, per il tramite di Ciano, a Mussolini che non esitò a condividerla . Il maresciallo Rommel in un burrascoso colloquio con il generale Barhasetti, il 9 novembre presso la ridotta Capuzzo (129), fece intendere che non avrebbe resistito sulla linea di frontiera dove pertanto
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non avrebbero più dovuto affluire altre unità non motorizzate; queste, invece, avrebbero dovuto essere sgomberate od inviate su Marsa e1 Brega dove avrebbero dovuto concentrarsi anche le artiglierie mobili e le truppe di Tobruch. Subito dopo l'occupazione italo-tedesca della Tunisia, nella riunione del 24 novembre presso il comando aeronautico tedesco dell'aeroporto di Ara dei Fileni, alla quale parteciparono i marescialli Cavallero, Bastico, Kesselring ed altri generali italiani e tedeschi (130), il maresciallo Rommel, pur dicendosi pronto ad obbedire agli ordini di Mussolini, si dichiarò contrario alla resistenza ad oltranza su el Agheila, propose il ripiegamento su Buerat prima dell'attacco nemico e, in definitiva, lasciò velatamente trasparire il suo disegno reale: evacuare la Tripolitania, ripiegare celermente in Tunisia sulla linea degli Chotts, tentare alla fine una Dunkerque tunisina per passare in Europa a continuare la lotta. Questa concezione, della quale l'ultima parte fu quasi sottintesa, trovò l'opposizione congiunta dei marescialli Cavallero e Kesselring che volevano invece difendere la Tripolitania il più a lungo ed il più avanti possibile per evitare, se non altro, che essa divenisse la principale base aerea nemica e che il possesso del porto di Tripoli concedesse troppo rapidamente all'8a armata britannica illimitate possibilità di alimentazione della lotta nel Mediterraneo. In conclusione, l'intera ritirata, da el AJamein al Mareth, fu influenzata, ora più ora meno palesemente, dall'insanabile divergenza tra il pensiero strategico del maresciallo Rommel e gli intendimenti operativi degli altri capi militari del1'Asse. Qualora non si tenga presente tale dato di base, diventano incomprensibili molte pretestuose argomentazioni di carattere tattico avanzate a sostegno delle maggiori o minori condizioni di favore fatte alla difesa dall'una o dall'altra posizione e soprattutto le modalità di azione della ritirata, che finl per essere poco intonata alla volontà del maresciallo Rommel, ma assai meno a quelle dei marescialli Cavallero e Kesselring. La prima fase della ritirata, dalle posizioni del meridiano 850 a quelle di el Agheila, durò 20 giorni (dal 4 al 24 novembre) e si tradusse in un movimento retrogrado a tappe ispirato innanzi tutto al criterio di evitare ogni ulteriore logoramento facendo cadere nel vuoto i tentativi di aggancio e, ancora più, quelli di aggiramento da parte delle forze inseguitrici. Ebbe inizio nel pomeriggio del giorno 4 con meta Fuka, dove l'A.C.I.T. avrebbe dovuto schierarsi per il mattino del giorno 5 con la 90a leggera e la brigata R.amcke nella zona di Abu Haggag, il D.A.K. nel settore compreso tra q. 136 e q. 13 7, il XXI corpo poco ad ovest di q. 141 di Sanyet el Tayaza,
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il XX in zona di q. 163 ed il X tra Deir Sha'la e la depressione di el Qattara. Mancarono all'appuntamento l'intero X corpo d'armata e la brigata Ramcke in ripiegamento in piena zona desertica e vi giunsero con aliquote ridotte la 164" tedesca e la Bologna, la quale ultima, già in pieno ripiegamento, lo aveva dovuto interrompere in seguito al contrordine del 3 novembre ed era stata cosl intercettata, circondata e costretta alla resa. Si trattava nel complesso di unità già molto provate e ridotte a ben scarsa consistenza, fra le quali una discreta efficienza presentavano solo i resti della 90" divisione leggera tedesca (131), che aveva sostenuto brevi e duri combattimenti alle ore 6 del mattino del 5 con le forze britanniche, riuscite a riprendere il contatto, a circa 10 Km a sud-ovest di el Dab'a e nei pressi della stazione ferroviaria di Galal. Furono anzi proprio tali combattimenti a produrre un tempo di arresto all'avversario ed il rallentamento del suo inseguimento, sì che la più parte delle unità di previsto schieramento a cavallo della strada costiera ad ovest di Fuka riusci a disporre del tempo necessario per giungere ed attestarsi sulle sue posizioni (132). In un primo momento il maresciallo Rommel pensò di poter contrastare efficacemente dalle posizioni di Fuka - -:on uno schieramento più raccolto, in seguito al mancato arrivo di alcune unità, di quello previsto inizialmente - l'avanzata nemica almeno sino al pomeriggio del 6 novembre, ma delineatosi nel tardo pomeriggio il pericolo di aggiramento da sud da parte di una colonna corazzata nemica, ordinò l'immediato ripiegamento delle forze sino alla zona a sud-ovest di Marsa Matruh. Il tentativo di attendere il X corpo d'armata italiano fu cosl reso vano e questo venne abbandonato a se stesso nel deserto. L'ordine di ripiegamento non giunse - per mancato collegamento - al XXI corpo d'armata che al mattino del 6 venne a trovarsi ancora con i residui reparti della Bologna sulle posizioni di Fuka. Questi, attaccati, si batterono energicamente e non tutti vennero travolti, in quanto una parte riuscì a ripiegare a scaglioni sotto la protezione di un'unica batteria che ripiegò anch'essa pezzo per pezzo. Malgrado tutte le difficoltà - la 2P corazzata tedesca, dovutasi arrestare per mancanza di benzina e attaccata da forze britanniche, ripiegò con la sola aliquota in grado di proseguire dopo avere distrutto i propri carri per non lasciarli efficienti al nemico, mentre la pioggia torrenziale aveva trasformato il deserto in un pantano rendendo intransitabili anche le piste - le residue forze dell'A.C.I.T., sempre più esigue, raggiunsero la zona di Marsa Matruh, dove il pomeriggio del 6 novembre risultarono schierate con la 90a da Gerawla ad un chilometro a sud dell'incrocio della ferrovia con la pista di
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Siwa, il raggruppamento Menton da questa ultima località fino al Km 22 della pista di Siwa, il XXI corpo a Marsa Matruh, il XX corpo ed il D.A.K. dietro l'ala destra e il centro del raggruppamento Menton, il 580° reparto esplorante a protezione del fianco sud. Il profilarsi di un attacco nemico da est e da sud contro lo schieramento del1'A.C.I.T. sulle posizioni di Marsa Matruh indusse il maresciallo Rommel, alle ore 12 del 7 novembre, ad ordinare l'immediato ripiegamento del XX corpo d'armata a Bug Bug, del XXI corpo e della 1648 tedesca nella zona Halfaya-Capuzzo, e quello del D.A.K., della 90\ del raggruppamento Menton e del 580° reparto esplorante per l'indomani 8. Il ripiegamento di queste unità fu, invece, effettuato nella notte sull'8 dopo che la 90a nel pomeriggio del 7 era riuscita a contenere un attacco della fanteria nemica ed a sganciarsi brillantemente. Dal pomeriggio del 7 al mattino del 1O, protette da deboli retroguardie (90° leggera, 3° reparto esplorante), le superstiti unità dell'A.C.I.T. ripiegarono verso le posizioni di confine dove alle ore 19 <ld gioi-no 10 si trovarono concentrate nel triangolo Sidi Azeiz-Halfaya-Sidi Omar (comando XXI corpo d'armata e Pistoia ad Halfaya e zona a sud-ovest di Halfaya; 90a leggera a Sollum; 3° e 580° reparto esplorante a nord-est di Sidi Omar; D.A.K. a Capuzzo; 288° raggruppamento speciale Menton a nord di Capuzzo; XX corpo a sudovest di Sidi Azeiz). La minaccia di aggiramento dell'ala destra delle posizioni della linea Sollum-Halfaya, delineatasi la sera del giorno 9 e divenuta concreta durante il giorno 10, venne sventata mediante un nuovo ripiegamento sulla linea T obruch-el Adem. Da tale linea la A.C.I.T. ripiegò sulla linea B. Temrad-Ain el Gazala (dal mattino dell'll al mattino del 13), quindi nelle zone di Marada (14 novembre) e di Barce-el Abiar (15 novembre) e successivamente, dopo una sosta di 3 giorni (15, 16 e 17 novembre), nella zona Beda Littoria-Barce-elAbiar e in quella fra Sidi Ahmed e Agedabia (18 novembre). In questa ultima località ripiegarono anche le truppe del settore Siwa - Giarabub e da qui, nei giorni dal 19 al 24 novembre, tutte le forze si portarono sulle posizioni di el Agheila. Questi movimenti si svolsero quasi regolarmente e senza grandi interferenze del nemico. Fino alle posizioni del confine libico-cirenaico la ritirata, pur inquadrata in un piano tattico e logistico concettualmente valido, non ebbe modo e possibilità, data la situazione operativa, di svolgersi in base a criteri ed a predisposizioni organizzativi accuratamente studiati ed attuati, ma fu quasi lasciata all'iniziativa dei singoli comandi subordinati. Ciò provocò inevitabilmente inconvenienti gravi, quali, ad esempio, l'intasamento di migliaia di mezzi sull'unica strada
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disponibile soggetta agli incessanti attacchi dell'aviazione nemica, la interruzione dei collegamenti tra i reparti operativi, il dissolvimento dei vincoli organici, i frammischiamenti di personale e mezzi e, in sostanza, una grande confusione. Dalle posizioni di Sollum-Halfaya a quelle di Marsa el Brega-el Agheila-Marada Ja ritirata procedé ordinatamente, sebbene a distanze molto serrate, ed i combattimenti temporeggianti delle retroguardie, in uno con la tempestività degli ordini di ripiegamento impartiti ai grossi e di sganciamento alle retroguardie stesse, consentirono, senza ulteriori gravi perdite, di portare in salvo sia le residue forze dell'A.C.I.T., sia le forze fresche che erano state schierate sulla linea del confine, sia quelle del settore Siwa-Giarabub (divisione Giovani fascisti) che, tempestivamente e opportunamente dirottate movimento durante, raggiunsel'O Age<labia dopo una marcia epica, tra il 16 ed il 18 novembre. Di questa prima fase della ritirata furono addebitati al maresciallo Rommel soprattutto: l'abbandono del X corpo d'armata, la mancata resistenza sulle posi:doui del confine libico-egiziano, la rapida cessione dell'intero spazio cirenaico al nemico. In altre parole, una condotta diversa dell'operazione avrebbe consentito il recupero di maggiori forze dell'A.C.I.T. ed il maggiore logoramento dell'8a armata britannica? Abbiamo accennato al fatto che la prima fase della ritirata si svolse senza un vero concetto di manovra e che il maresciallo Rommel si regolò, fermo l'intendimento costante di portare in salvo il maggior numero possibile delle sue forze, in base allo sviluppo degli avvenimenti, che si svolsero con ritmo rapido ed incalzante, ma non travolgente quale avrebbe potuto essere se il generale Montgomery, anziché muoversi come nella marcia al nemico, avesse operato secondo i criteri dell'inseguimento e dello sfruttamento del successo. Non appena percepì l'avvenuta rottura del contatto con lo schieramento del settore nord, il pomeriggio del 4 novembre, il generale Montgomery spinse in avanti il X corpo d'armata corazzato rinforzandolo con la 2" neozelandese, e gli assegnò il compito di estendere in profondità la penetrazione puntando con la 16 e la 10" corazzate su el Dab'a e con la 7" corazzata su Fuka con movimento aggirante da sud. Attraversato il varco le 3 divisioni corazzate inglesi si diressero verso nord in direzione della strada costiera, puntando su Gazala, solo 15 Km al di qua del fronte tedesco ormai spezzato. L'eccessiva ristrettezza di questa conversione diede ai resti dell'Afrika Korps la possibilità di bloccarla, con un rapido e breve passo di fianco. Dopo essere avanzate per pochi chilometri le unità britanniche furono fermate da questo sottile schieramento e tenute in scacco fino al
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pomeriggio, quando la Panzerarmee cominciò a ritirarsi... Poi quando scese l'oscurità ... esse preferirono fermarsi per trascorrere la notte. Questo indugio fu tanto più grave in quanto nonostante tutto le 3 divisioni corazzate inglesi si trovavano ben a ovest, e quindi alle spalle, del grosso di quanto restava della Panzerarmee. Il giorno dopo, 5 novembre, le mosse per tagliare la strada al nemico in ritirata furono ancora troppo ristrette e lente. La 1& e la r corazzata furono dapprima dirette su Daba, solo 15 Km a ovest di Gazala, e le avanguardie vi giunsero soltanto verso mezzogiorno, per scoprire che il nemico era già passato, dileguandosi ad ovest. La 1O" puntò su Galal, 25 Km più a ovest, e qui riusd a intercettare la coda del nemico, catturando una quarantina di carri armati ... Nessuno sforzo fu compiuto durante la giornata per dare la caccia alle principali colonne nemiche, e quando giunse la sera le forze corazzate inglesi si fermarono come di consueto per trascorrere la notte; in tutto avevano coperto meno di 20 Km, e circa 1O Km li separavano ancora dal loro nuovo obieuivo, la scarpata di Fuka. La divisione neozelandese e l'unità corazzata a essa annessa avevano ricevuto l'ordine di raggiungere Fuka fin dal momento dello sfondamento iniziale, ma dapprima la loro marcia era stata ritardata ... dal fatto di dover seguire le divisioni corazzate attraverso il varco e in seguito avevano perso altro tempo per rastrellare le unità italiane incontrate sul loro cammino ... Verso mezzogiorno del 5 arrivarono infine nei pressi del loro obiettivo, ma poi si arrestarono di fronte ad un sospetto campo minato ... Era quasi sera quando i neozelandesi ripresero la marcia. Nel frattempo ... la 7a divisione corazzata aveva ricevuto l'ordine di riportarsi nel deserto per puntare su Baqqush, 25 Km oltre Fuka, ma anche essa perse del tempo prezioso, dapprima incrociando la retroguardia dei neozelandesi... dopo di che si fermò in vista della notte. La mattina seguente queste 3 divisioni confluirono infine su Fuka e Baqqush, ma il nemico in ritirata era già scivolato via verso ovest... La speranza di intercettare le colonne di Rommel dipendeva ora quasi esclusivamente dalla 1" divisione corazzata, che dopo averle mancate di poco a Daba aveva avuto l'ordine di compiere un più lungo giro attraverso il deserto per riportarsi sulla strada costiera ad ovest di Marsa Matruh. Ma la sua marcia fu per due volte arrestata dalla mancanza di carburante ... Nel pomeriggio del 6 novembre sulla fascia costiera cominciò a cadere la pioggia, che poi durante la notte si fece addirittura torrenziale. Naturalmente essa frenò tutte le mosse degli inseguitori, e consentì a Rommel di mettersi in salvo. In seguito, è stato proprio al pretesto della pioggia che si è fatto soprattutto
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ricorso per giustificare il fallimento del tentativo inglese di tagliare la strada ai tedeschi in ritirata. In realtà ... è facile rendersi conto che gli inglesi si erano lasciati sfuggire le occasioni più favorevoli ben prima che sopraggiungesse la pioggia: con le loro manovre troppo ristrette, l'eccessiva cautela, l'incapacità di tenere nel debito conto il fattore-tempo, la riluttanza a procedere nell'oscurità e la tendenza a concentrare troppo l'attenzione sulla battaglia e a trascurare quindi ciò che sarebbe stato indispensabile fare per sfruttarla in modo decisivo. Se l'inseguimento fosse stato condotto più in profondità attraverso il deserto, in modo da raggiungere un punto di blocco più distante (la scarpata di Sollum, ad esempio), esso non avrebbe corso il rischio di essere frenato dalla resistenza del nemico o dalle condizioni atmosferiche... Durante la notte del 7 Rommel si ritirò da Marsa Matruh a Sidi Barrani, dove fece un'altra breve sosta ... Il 9, sebbene circa un migliaio dei suoi veicoli dovessero ancora passare attraverso la strozzatura (Sollum e Halfaya), Rommel decise di ordinare alle sue retroguardie di ritirarsi fino al confine. Nel frattempo Montgomery aveva organizzato una speciale colonna di inseguimento, formata dalla r divisione coraz,mta e dalla divisione neozelandese, e fermate le altre 2 divisioni corazzate, per non correre il rischio di restare a corto di carburante e di offrire cosl a Rommel l'occasione per una delle sue micidiali repliche contro le forze immobilizzate. Questa più lunga operazione di inseguimento cominciò 1'8 novembre, ma i neozelandesi non raggiunsero la frontiera che l' 11; avanzando attraverso il deserto, le due brigate della 7a divisione corazzata riuscirono invece ad attraversare la strada costiera nel pomeriggio del 10, ma si lasciarono poi sfuggire la coda del nemico quando l' ll passò attraverso Capuzzo » (133). Abbiamo voluto deliberatamente trascrivere quasi per intero il lungo brano del Liddell Hart a testimonianza di quanto e come l'avanzata inglese abbia favorito la ritirata dell'A.C.J.T., di come la ritirata stessa dalle posizioni del meridiano 850 a quelle del confine libico-egiziano sia stata ad un tempo razionale, tempestiva, rapida e fortunosa, e infine di come non vi sarebbe stata nessuna concreta probabilità di successo in una resistenza prolungata sulle posizioni di Sollum-Halfaya se si tiene conto delle forze dell'A.C.I.T. ivi ripiegate (134) e di quelle ivi fatte affluire da tergo (135). La perdita dell'intero X corpo d'armata, nella situazione operativa determinatasi nel tardo pomeriggio del giorno 5 in corrispondenza dell'allineamento di Fuka, allorquando saggiamente il maresciallo Rommel decise di anticipare di 24 ore il ripiegamento su Marsa Matruh, divenne un evento inevitabile, in quanto sarebbe stato un errort:
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fatale attendere l'arrivo del X corpo prima di muoversi dalla posizione. Sarebbero andate perdute anche le altre unità. Ciò che, invece, si può rimproverare al maresciallo Rommel nei riguardi del X corpo d'armata italiano è l'impiego che ne fece fin dal primo ripiegamento del giorno 2, quando gli assegnò il compito di costituire il fianco difensivo meridionale dell'intero dispositivo a protezione dalle provenienze da sud e ordinò il ritiro dalla linea prima delle truppe non motorizzate dei settori settentrionale e centrale e poi di quelle del settore meridionale. Da tale ordine - che lo sviluppo degli avvenimenti dimostrò sbagliato - ebbe origine la tragedia del X corpo consumatasi nella distesa di sabbia ad ovest dell'allineamento passo del Carro-Alam Gaballa nei giorni 5 e 6 novembre (136). L'allontanamento dai settori settentrionale e centrale delle fanterie appiedate (164a germanica, Trento, Bologna) ebbe come conseguenza il mantenimento della linea di contatto mediante l'impiego delle unità mobili , le quali non poterono coprire l'intera fronte determinando così vuoti e, in particolare, una vera e propria breccia sul fianco sinisLro del X corpo, breccia nella quale il nemico s'infiltrò e si lanciò, dividendo l'intero schieramento difensivo in due tronconi, dei quali quello meridionale - tenuto appunto dal X corpo - venne a trovarsi completamente isolato. Il procedimento inverso - prima il ripiegamento delle fanterie del settore meridionale, poi di quelle degli altri settori - non avrebbe interrotto la continuità della linea, avrebbe potuto essere effettuato con la modalità dell'accartocciamento dell'ala esposta ed aggirabile ed avrebbe trovato anche un agevole e prezioso punto d'appoggio nello sbarramento minato trasversale già da tempo realizzato proprio per evitare o arginare manovre di avvolgimento da sud (137). Vi fu, dunque, da parte del maresciallo Rommel un errore iniziale d 'impostazione concettuale, le cui conseguenze furono però rese più gravi e funeste dagli ordini impartiti da Roma e da Berlino, il 3 novembre, di resistere ad oltranza dopo che già era stato iniziato il ripiegamento sul meridiano di Fuka. Senza tale ordine l'intero X corpo e, più a nord, la Bologna sarebbero stati del tutto in grado di raggiungere le posizioni di Fuka senza essere agganciati dal nemico. Non si può, certo, con analoga sicurezza affermare che anche l'ulteriore ripiegamento di queste unità, oltre Fuka, sino al ciglione Sollum-Halfaya, si sarebbe potuto compiere senza danni e prima che il nemico avesse ripreso il contatto. Si può, comunque, con buon grado di attendibilità, quale è fornito dalla constatazione già sottolineata che l'avanzata britannica procedette inizialmente assai guardinga e prudente, affermare che, se non tutte, gran parte delle unità
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avrebbero potuto porsi in salvo anche oltre Fuka (138) . Qualora il X corpo e le divisioni di fanteria del XXI fossero giunti sulle posizioni di Sollum-Halfaya, la ritirata dell'A.C.I.T. dalla Cirenaica sarebbe stata necessariamente meno rapida e, forse, il maresciallo Rommel avrebbe venduto a prezzo di logoramento, anziché di solo ritardo, i 1000 Km che separano Sollum da el Agheila. Sebbene anche in tale caso non sia ipotizzabile una diversa concezione strategica della ritirata da parte del maresciallo Rommel, non si è lontani dal vero nell'immaginare una condotta meno passiva della ritirata stessa. Inoltre non è da sottovalutare che anche le accuse mossegli circa l'abbandono del X corpo e gli interventi di Hitler e di Mussolini (139), che gli ordinarono di ritirarsi in tempo e di salvaguardare il recupero delle unità non mobili, possono aver contribuito ad accrescere l'intendimento di privilegiare la salvaguardia delle unità rispetto al logoramento che sarebbe stato possibile realizzare ai danni del nemico ed al guadagno di tempo che si sarebbe potuto perseguire a favore degli sgomberi e delle distruzioni, nonché del rafforzamento di el Agheila che, d'altra parte, egli considerava in partenza nella sua mente come posizione intermedia e non definitiva. Può darsi, come sostiene la relazione dell'ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito, che una prima battuta d'arresto - che negli intendimenti del Comando Supremo doveva essere forte e prolungata - si sarebbe potuta e dovuta sviluppare sulle posizioni di Sollum-Hlafaya (140), ma la A.C.I.T. , pur inglobando la Pistoia ed anche la Giovani fascisti, conservava una capacità difensiva materiale ridottissima e le sue unità, che dal 2 al 9 novembre avevano percorso 500 Km in un costante e progressivo decrescere dei loro effettivi e dei loro mezzi, avevano il morale a terra, specialmente dopo la notizia dello sbarco angloamericano sulle coste del nord Africa francese . Nessuno può dire se la Giovani fascisti (141), che aveva ricevuto in un primo tempo e con grande ritardo (6 novembre, cioè quando l'A.C.I.T., era già a Marsa Matruh) l'ordine di trasferirsi da Siwa a Sidi Omar e che, movimento durante, era stata dirottata verso la zona di Gialo-Agheila, avrebbe potuto raggiungere la zona di Halfaya indisturbata e prima del nemico. Si può comunque rimproverare al maresciallo Rommel di essersi ricordato molto tardi dello sgombero di Siwa e di Giarabub, in quanto se l'ordine fosse stato impartito il giorno 4, cioè quando non potevano sussistere più dubbi sulla ritirata generale, la Giovani fascisti sarebbe certamente giunta sulle posizioni di confine dove si sarebbe potuta schierare in tempo. Ma anche se ciò fosse avvenuto ed il maresciallo Rommel ave.-;se optato per un'azione ritardatrice sulla linea
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Sollum-Halfaya utilizzando i notevoli punti di appoggio che questa offriva alla difesa statica sarebbero ugualmente mancate le forze mobili e corazzate per la contromanovra e soprattutto per consentire, al momento opportuno, la rottura del contatto senza gravi perdite. Le forze di combattimento dell'A.C.I.T., escluse le divisioni Pistoia e Giovani fascisti, consistevano oramai in non più di 5000 soldati combattenti tedeschi e 2500 italiani, 11 carri armati tedeschi e 10 italiani, 65 cannoni da campagna tedeschi e pochi cannoni italiani. Forze davvero sparute come si legge nel verbale della ricordata riunione del 13 novembre (142). La rinunzia del maresciallo Rommel ad impiegare sul confine le uniche due divisioni di fanteria disponibili - le quali avevano un livello di efficienza ridotto ed una situazione di armi e di mezzi molto al di sotto di quella organica (8 battaglioni di fanteria e 7 gruppi di artiglieria in tutto, compreso il IV battaglione libico ed il IX battaglione A.S.42 di Giarabub) - non fu, a noi sembra, un errore. Gli inglesi poterono occupare di sorpresa, nella notte sull' 11 novembre, il passo di Halfaya perché la Pistoia aveva ricevuto l'ordine di abbandonare la posizione sin dal pomeriggio del giorno 10 e alcuni suoi elementi furono raggiunti in crisi di caricamento, ma l'ordine dello sbalzo da Sollum-Halfaya a Tobruchel Adem, impartito dal maresciallo Rommel appunto nel tardo pomeriggio del 10, era stato determinato dal proseguire della sia pur lenta, ma metodica e regolare, avanzata della 2• neozelandese a nord, preceduta dalla IV brigata corazzata leggera in avanguardia, e della 7a corazzata a sud e, conseguentemente, dal profilarsi della minaccia di avvolgimento del fianco destro dello schieramento difensivo. Può darsi che il maresciallo Rommel abbia sopravvalutato tale minaccia - tesi sostenuta anche dalla relazione dell'ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito - ma egli calcolò nella giusta misura le conseguenze irreparabili dell'eventuale aggancio e lo stesso fece fino alla stretta di Ain el Gazala regolando il movimento retrogrado sulla celerità di progressione degli elementi avanzati nemici. Da Ain el Gazala ad el Agheila il ritmo impresso alla ritirata fu cadenzato dalla scarsezza del carburante e dal ritardo dei rifornimenti. La deficienza di carburante e la povertà di munizioni limitò ogni possibilità di affrontare combattimenti e ciò rese ancora più guardingo il comando dell'A.C.I.T., ma per fortuna il maresciallo Montgomery rimase deciso a non correre alcun rischio e rinunziò a prevenire ad Agedabia il grosso dell'A.C.I.T. agendo in forze lungo l'itinerario interno che segna la corda dell'arco bengasino. Rommel non avrebbe potuto esimersi da una vera e propria azione ritardatrice che, invece, poté
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evitare - e fece bene, a nostro giudizio, ad evitare - grazie alla condotta dell'avanzata nemica. Chi sbagliò di più fu il generale Montgomery che, per il timore degli improvvisi e rapidi ritorni controffensivi del suo antagonista, rinunziò deliberatamente a sfruttare tutte le occasioni favorevoli all'annientamento totale dell'A.C.I.T., e si concesse pause d'inseguimento lunghe oltre la necessità di consentire l'afflusso dei rifornimenti da tergo. La celerità della ritirata ridusse la possibilità di recupero e di sgombero verso ovest di mezzi e materiali e il numero e la portata delle distruzioni effettuabili, ma non mancò il tempo per sgomberare le truppe italo-tedesche da Tobruch, per distruggere gli impianti portuali della piazzaforte e per inutilizzare i materiali e le attrezzature che non fu possibile sgomberare. Anche gli impianti portuali e le installazioni di carico e scarico di Bengasi furono distrutti o inutilizzati e gran parte delle attrezzature logistiche vennero sgomberate, ma qui tali operazioni vennero affrettate ed intralciate dall'avvistamento, nella mattina del 18, di un convoglio britannico di 15 navi in navigazione a nord-est di Derna che si suppose fosse diretto a Bengasi, mentre era destinato a Malta ove giunse lo stesso giorno e il suo arrivo segnò la fine dell'assedio dell'isola (143). In conclusione, per la riconquista della Cirenaica (da Sollum ad el Agheila) l'8a armata britannica impiegò, senza quasi combattere, 14 giorni (dal 10 al 24), uno in più di quanti non ne aveva impiegati il maresciallo Rommel per la stessa operazione, ma pa ovest verso est, nella prima controffensiva italo-tedesca della fine marzo-primi aprile del 1941.
5.
La seconda fase della ritirata - da Agheila alla Tunisia - durò 72 giorni (25 novembre 1942 - 4 febbraio 1943) ed ebbe una fisionomia diversa dalla prima, sebbene caratterizzata anch'essa dall'ondivago oscillare tra la resistenza ad oltranza voluta dal Comando Supremo italiano e la resistenza solo allo stato potenziale ricercata dal maresciallo Rommel, vale a dire una resistenza che solo in forma indiretta svolgeva un'azione ritardatrice in quanto aveva una ben delineata durata nel tempo dovendosi esplicare solo per costringere il nemico a montare l'attacco e con l'intendimento di sottrarsi ad esso mediante l'impiego di elementi mobili dislocati in zona di sicurezza ed incaricati di effettuare azioni di disturbo e capaci di contribuire a determinare il prolungamento delle operazioni preparatrici e preliminari
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dell'attacco da parte del nemico (144). Essa fu intonata ad un concetto di manovra chiaro e preciso nella mente del maresciallo Rommel che riusd molto abilmente a mandarlo ad effetto, nonostante i diversi orientamenti dei comandi italiani costretti alla fine a piegarsi, di volta in volta, alla volontà del comandante dell'A.C.I.T. o per l'efficacia suasiva delle argomentazioni logiche con le quali questi sosteneva le sue tesi o per la forza del fatto compiuto di fronte al quale li faceva all'improvviso trovare. Nella seconda fase operarono grandi unità organiche che si attennero ai criteri della difesa manovrata, ricorrendo al procedimento dell'azione ritardatrice affidata alle retroguardie e dello schieramento dei grossi su posizioni abbastanza organizzate, che per i comandi italiani avrebbero dovuto consentire l'effettiva esecuzione della resistenza prolungata, mentre per il maresciallo Rommel era sufficiente che creassero nel nemico la convinzione che vi sarebbe stato esercitato tale tipo di resistenza. Gli atti principali della seconda fase furono: Io schieramento sulle posizioni di Marsa el Brega - el Agheila (dal 25 novembre al 7 dicembre), il graduale ripiegamento sulle posizioni di Buerat completato il 31 dicembre, il ripiegamento sulle posizioni di Tarhuna-Cussabat-Homs (2 gennaio - 14 gennaio), il movimento dell'intera armata verso ed oltre la piazza di Tripoli (15-19 gennaio), il ripiegamento in Tunisia (20 gennaio-4 febbraio) . La vasta e multiforme attività, impostata e sviluppata dal Comando Supremo e dal Superlibia per la difesa della Tripolitania e del Sahara libico fin da quando il maresciallo Rommel aveva deciso di non difendere la Cirenaica, dette ancora una volta risultati che in quelle tragiche circostanze non sarebbe stato ragionevole sperare. Tali e tanti furono ancora una volta le predisposizioni, i provvedimenti e le misure adottati che, in pochi giorni, la situazione operativa della Libia mutò volto, non già nel senso del raggiungimento di un maggiore equilibrio del rapporto di forze rispetto all'8" armata britannica, ma di un minore disequilibrio di quello determinatosi dopo il 4 novembre. Fino al 17 novembre - segnalò il maresciallo Rommel al Comando Supremo italiano (145) - l'A.C.I.T. aveva perso per intero il X ed il XXI corpo d'armata (di quest'ultimo rimanevano solamente un battaglione e mezzo e due gruppi di artiglieria); del XX corpo d'armata restava solamente uno scarso reggimento rinforzato senza carri armati; la forza combattiva del D.A.K. era quella di un reggimento rinforzato e della 90" leggera di un battaglione e mezzo rinforzato; dei 9 battaglioni e delle 6 batterie della 164" tedesca restavano 2 battaglioni e 2 batterie; della brigata Ramcke esisteva la metà del personale ma senza nessun'arma pesante; la 1~ divisione
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Flak aveva perduto 50 cannoni pesanti e 60 leggeri ed era stata ricostituita su 24 cannoni pesanti e 40 leggeri; delle 17 batterie germaniche d'armata ne rimanevano 8; la disponibilità delle munizioni oscillava dalle 0,3 alle 0,5 unfoc; le consistenze del carburante erano del tutto esaurite; le perdite di automezzi erano state elevatissime; le riserve di viveri erano pari a 6 giornate; per il trasporto delle munizioni disponibili a Tripoli (una unfoc) e delle scorte di viveri ivi giacenti (6 giornate) fino alla linea di el Agheila erano necessari almeno 6 giorni. Il nemico, sempre secondo quanto scriveva nella sua relazione il comandante dell'A.C.I.T., sarebbe stato in grado di attaccare la nuova posizione fra 2-3 settimane con 2 divisioni corazzate e 4 motorizzate, per cui la posizione di Marsa el Brega - che è minata solo scarsamente e che manca di una protezione naturale dei fianchi - poteva essere difesa contro un attacco in forze solo se: « arrivano al più presto le armi anticarro, i carri armati ed i cannoni con abbondante munizionamento richiesti con dispaccio del 16 novembre; vengono migliorate subito radicalmente le situazioni munizioni e carburanti. Questo è possibile però solamente mediante l'impiego immediato e senza risparmio , in ampia misura, di navi ed apparecchi; viene sensibilmente rinforzata la nostra aviazione». Malgrado le grosse perdite subìte ( 146), ma grazie alle provvidenze operative e logistiche adottate (147), l'A.C.I.T. poté schierare dalla metà di novembre sulle posizioni di el Agheila 3 divisioni di fanteria italiane (Giovani fascisti, Pistoia, La Spezia) , 1 divisione corazzata italiana (Centauro) , 1 debole divisione tedesca ed i resti delle grandi unità ripiegate, gradatamente riordinate e ristrutturate (148). Inizialmente, in particolare, la nuova organizzazione difensiva, escluse le forze dell'A.C.I.T., venne a disporre di 4 battaglioni della Pistoia, di 4 battaglioni della Giovani fascisti , di 6 battaglioni della divisione La Spezia, di 2 battaglioni carri della Centauro, del 5° reggimento bersaglieri della Centauro e di circa 15 gruppi di artiglieria dei vari calibri. Nel quadro della riorganizzazione delle grandi unità e dei reparti vennero considerati sciolti il comando del X corpo d'armata e le divisioni Pavia, Brescia, Folgore, Bologna, Trento, Ariete, Littorio; vennero poste alle dipendenze del comando XXI corpo le divisioni La Spezia, Pistoia (A.S.42), Trieste la quale cessò di essere motorizzata ed assunse la formazione A.S.42 , e alle dipendenze del comando del XX corpo le divisioni corazzata Centauro e Giovani fascisti (alla Centauro furono ceduti tutti i carri M, le autoblindo ed i semoventi da 75/18 già appartenenti all'Ariete ed alla Littorio); passarono a far parte organica della Pistoia il I battaglione Piceno
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ed il battaglione Biancheri e, della Giovani fascisti, il battaglione Lonza del 7° bersaglieri ed il LVII battaglione bersaglieri i quali costituirono il secondo reggimento della divisione; vennero assegnati alla divisione La Spezia il CCCXXXI gruppo di artiglieria da 77 /28, il CCCXXXII gruppo da 75/27, il CCCXLIII gruppo da 105/28 e 3 batterie da 75 / 46 già schierate nella zona di el Agheila con compito contraerei e controcarri; venne disposto l'afflusso in linea, a mano a mano che fossero stati ricostituiti e completati, di un battaglione mortai da 81 su 3 compagnie, 3 battaglioni A.S.42 (di cui 1 di granatieri), 1 battaglione carabinieri reali, 2 gruppi da 75/27 su 2 batterie ciascuno, un gruppo da 100/17 su 3 batterie, 2 gruppi da 105/28 su 3 batterie ciascuno, un gruppo da 87, 6 gruppi con materiale di preda bellica su 2 batterie; le divisioni di fanteria vennero costituite, di massima, su 2 reggimenti di 3 battaglioni ciascuno (inizialmente 2) e su un reggimento di artiglieria, inizialmente di almeno 3 gruppi; per le divisioni corazzate venne previsto di tendere gradualmente a far loro raggiungere la formazione organica preV1sta dall'ordinamento in vigore. Dal 4 novembre alla fine del mese il Comando Supremo fece partire per Tripoli 12 piroscafi per complessive 39 mila tonnellate di materiali (comprensive di 640 automezzi e 95 mezzi corazzati), dei quali giunsero a destinazione 9 piroscafi per complessive 32 mila tonnellate di materiale, 600 automezzi e 85 mezzi corazzati; il giorno 30 avviò altri 5 piroscafi (Chisone e Veloce con automezzi e carburanti, Palmaiola, Ett·uria e Audace con carburanti); personale ed armi furono avviati anche con sommergibili e per via aerea (149). In breve, nulla fu tralasciato, nonostante la contemporaneità dell'alimentazione della lotta del nuovo scacchiere tunisino, per jJ potenziamento dello scacchiere libico , ma la insufficiente neutralizzazione di Malta, la scarsa disponibilità di nafta, la sempre maggiore diminuzione di naviglio mercantile che, per velocità e per picchi di carico, si prestasse allo scopo - l'Italia aveva già dato tutto quello _che aveva - e di naviglio da guerra per le scorte non consentirono di fare di più; ciò che fu fatto bastò ad un'alimentazione appena sufficiente alla sopravvivenza e all'adempimento parziale del compito, che era quello d'imporre all'8a armata britannica un movimento in avanti il più lento possibile e di mantenere le varie posizioni il più a lungo possibile. La diversità della valutazione dell'intero problema dello scacchiere africano, e conseguentemente dello scopo da perseguire mediante la ritirata, tra il Comando Supremo italiano ed il comandante dell'A.C.I.T. è molto bene documentata dalla ripetutamente citata
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monografia dell'ufficio storico. Su ciascuna delle posizioni il Comando Supremo italiano, rinunziando di volta in volta al proposito iniziale della resistenza ad oltranza, avrebbe voluto quanto meno resistere il più a lungo possibile. Ciò non accadde su nessuna delle varie posizioni, perché il maresciallo Rommel cercò di guadagnare tempo in funzione di quello impiegato dal nemico per percorrere e non per conquistare Io spazio, e accelerò in tutti i modi gli sbalzi all'indietro senza attendere che il nemico per ogni sbalzo riprendesse il contatto, affluisse in forze, dopo essersi incolonnato e dopo aver ripreso l'avanzata, e si schierasse per l'attacco. Sulle posizioni di Marsa el Brega-el Agheila-Marada il Comando Supremo italiano, d'intesa con l'Alto Comando tedesco, aveva deciso inizialmente la resistenza ad oltranza (150), dopo aver valutato la questione con i capi di stato maggiore delle tre forze armate e con il sottosegretario di Stato alla guerra (151). Vi furono invece solo brevi combattimenti, tra le unità inglesi incaricate delle operazioni preliminari e le retroguardie mobili italo-tedesche, perché il Comando Supremo, che era pervenuto in un prin10 tempo ad una soluzione di compromesso rispetto all'intendimento del maresciallo Rommel, aveva finito poi con l'ordinare di durare finché giudicato possibile, ricorrendo cosl ad un'espressione vaga ed ambigua, la cui interprelazione era rimessa al libero discernimento del maresciallo Rommel (152); il 2 dicembre, infine, aveva autorizzato espressamente il ripiegamento lasciando libero il maresciallo Rommel di poterlo iniziare anche subito. Il repentino mutare di parere del Comando Supremo - forse risultato dell'incontro avvenuto il 1° dicembre tra il maresciallo Cavallero, i marescialli Goering, Kesselring Rommel ed altri generali e ammiragli italiani e tedeschi (153) comunque lo si voglia e lo si possa giustificare, costituì l'implicito riconoscimento della validità delle tesi del maresciallo Rommel, alle quali sarebbe diventato difficile opporre da quel momento argomentazioni nuove circa la durata della resistenza sulle posizioni successive, specialmente su quelle di Buerat, meno robuste e meno idonee di quelle di Marsa el Brega. Infatti, mentre era in pieno svolgimento la manovra di sganciamento dalle posizioni della linea Marsa el Brega-el Agheila-Marada e mentre con ogni sforzo si andava organizzando la nuova linea Buerat-Gheddaia, già cominciava a delinearsi un nuovo orientamento di Rommel - che il generale Mancinelli subito portava a conoscenza di Superlibia (e del Comando Supremo) circa la convenienza di trasferire tutte le forze dell'A.C.I.T. in Tunisia per riunirle alle altre forze ivi affluite e muovere, con esse, alla conquista dell'Africa settentrionale francese (154). Il maresciallo
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Bastico rappresentò subito, il 15 dicembre, al Comando Supremo l'eventualità che le stesse ragioni che avevano fatto ritenere impossibile al maresciallo Rommel la resistenza sulle predisposte posizioni di Marsa Brega-Agheila lo avrebbero indotto, a maggior ragione, a non resistere sulle non predisposte posizioni di Buerat-Gheddaia; per l'eventualità di una tale decisione, chiese chiare direttive per poter, a seconda dei casi, o iniziare fin d'ora, con le necessarie cautele, lo sgombero logistico e di qualche reparto sulle zone tunisine che mi saranno indicate, o apprestarmi a tutto sacrificare, per difendere fino all'ultimo col maggiore onore possibile la Tripolitania (155). Due giorni più tardi, il 17 dicembre, il maresciallo Bastico s'incontrò a Buerat con il maresciallo Rommel che gli confermò l'intendimento definitivo di abbandonare la Tripolitania (156). Il Comando Supremo informato dal maresciallo Bastico delle intenzioni del comandante dell'A.C.I. T. e delle ragioni addotte a sostegno di tali intendimenti senza speranza di successo la eventuale resistenza ad oltranza sulle posizioni di Buerat; certezza dell'esito disastroso di tale resistenza; ritardo dell'avanzata nemica ottenibile meglio su linee successive mediante l'opportuna condotta delle operazioni; buone possibilità di resistenza della linea Homs-Cussabat-Tarhuna-Garian e adozione di tale soluzione come unica prospettiva di speranza per la ripresa, insieme con le truppe della Tunisia, dell'offensiva verso ovest o verso est in un primo tempo confermò l'ordine di resistere ad oltranza e con la massima decisione, ma successivamente (il 21 dicembre) chiarì che sarebbe stato necessario resistere il più a lungo possibile e, infine, dispose di guadagnare tempo in attesa che un miglioramento della situazione in Tunisia avesse permesso l'invio in Tripolitania delle forze, delle armi e dei mezzi necessari, senza i quali esso, in seguito a più approfondite e realistiche valutazioni dello squilibrio del rapporto di potenza non sanabile a causa delle insormontabili difficoltà dei rifornimenti, si era convinto che la difesa ad oltranza sulle posizioni di Buerat avrebbe portato, appunto come il maresciallo Rommel prevedeva, all'inevitabile perdita totale delle truppe a piedi, in grande prevalenza italiane {157). Accadde dunque per ]e posizioni di Buerat quanto si era verificato per quelle di el Agheila. A Buerat, il 2 gennaio 1943, la consistenza delle forze contrapposte era quantitativamente così calcolata: A.C.I.T. (fra prima e seconda schiera): 45 battaglioni di fanteria dei quali 33 italiani e 12 tedeschi, 110 carri armati dei quali metà italiani e metà tedeschi, 140 autoblindo, 162 batterie di vario calibro delle quali 122 italiane e 40 tedesche (comprese le contraerei); 8a armata britannica (solo in prima schiera): 36 battaglioni
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di fanteria, 350 carri armati, 100 autoblindo, 220 batterie di artiglieria. L'8" armata britannica aveva però la possibilità di attingere alla seconda schiera scaglionata nella Sirtica ed in Cirenaica, mentre l'A.C.I.T. era priva di ogni possibilità d'incremento al di fuori del poco che le avrebbe potuto ancora essere inviato dall'Italia a Tripoli od in Tunisia, dove peraltro la massa del personale e dei mezzi in arrivo dall'Italia era assorbita dalle necessità locali. La manovra di ripiegamento dell'A.C.I.T. dalle posizioni di Buerat-Gheddaia alla Tunisia ebbe inizio il 2 gennaio ed ebbe il 4 febbraio termine sulle posizioni del Mareth, dove si raccolsero sia l'A.C.I.T. sia le forze del Sahara libico e le unità della Tripolitania. L'operazione comprese: in un primo tempo (2-14 gennaio) , lo sgombero indisturbato, se non dall'aviazione nemica, delle truppe non mobili dalle posizioni di Buerat e l'occupazione, da parte loro, di quelle Tarhuna-Homs; in un secondo tempo, il ritiro dalle posizioni di Buerat delle unità mobili, i combattimenti sviluppati da queste per contrastare l'avanzata britannica, lo sgombero della posi:.done di Tarhuna-Homs, il graduale movimento retrogrado delle unità sul perimetro della piazza di Tripoli o nella zona ad ovest di Zavia, lo sviluppo della ritirata delle truppe del Sahara libico e dei presidi della Tripolitania sull'arco gebelico Garian-Nalut; in un terzo tempo, il movimento dell'intera A.C.I.T. verso la Tunisia e precisamente lo spostamento delle truppe mobili sulla linea Tarbuna-Homs, i successivi movimenti verso il Maretb nonché l'attività operativa e logistica del Comando Supremo e del Superlibia per frenare l'impazienza del maresciallo Rommel, per imbastire la difesa del Mareth, per sgomberare in Tunisia il massimo delle attrezzature logistiche e delle dotazioni esistenti in Tripolitania.
6. Lo spazio disponibile da el Agheila al Mareth ed il lento procedere dell'8" armata britannica avrebbero senza dubbio consentito al1' A.C.I.T. un guadagno di tempo maggiore di quello concretamente realizzato, non solo se la fretta del maresciallo Rommel di raggiungere la Tunisia fosse stata minore, ma anche se il Comando Supremo italiano avesse avuto chiaro fin dall'inizio quale avrebbe dovuto essere lo scopo reale da conseguire mediante la ritirata. Tale scopo, stante il non modificabile, se non in misura assai ridotta, rapporto di potenza tra le opposte forze, non poteva essere che quello prefissosi dal maresciallo Rommel. Scartata come irreale l'ipotesi di una nuova
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battaglia d'arresto - che tutto al più avrebbe potuto avere un valore simbolico, privo però di un risultato vantaggioso sotto il profilo tecnico-militare - il Comando Supremo italiano avrebbe dovuto fare proprio, almeno fin dalla metà di novembre, l'intendimento del maresciallo Rommel di ritirare l'A.C.I.T. in Tunisia. Non solo l'A.C.I.T., o i suoi resti, ma tutte le forze del Sahara e della Tripolitania e, soprattutto, le attrezzature e le risorse logistiche comunque trasferibili. Se tale decisione fosse stata presa per tempo e la si fosse resa nota senza riserve al Superlibia ed al comando dell'A.C.I.T. i rapporti tra comandi italiani e comandi tedeschi si sarebbero sviluppati in un clima di chiarezza e di armonia che avrebbe favorito intese efficaci e vincolanti. Si sarebbero evitati i gravi ed incresciosi episodi tra il maresciallo Bastico ed il maresciallo Rommel e le ripetute pessime figure del Comando Supremo che un giorno esprimeva un proprio orientamento e ne ordinava l'attuazione ed il giorno dopo lo modificava, benché con riluttanza, ed accettava quello contrario del maresciallo Rommel. Si sarebbero dati al Superlibia il modo ed il tempo per meglio organizzare la difesa delle posizioni successive e, in particolare, di quelle idonee a garantire le retrovie da incursioni provenienti dal fronte tunisino, e per meglio predisporre il ritiro delle forze dal Sahara libico. Si sarebbe soprattutto dato maggiore respiro alla soluzione - dovuta escogitare solo dopo che il Comando Supremo fece conoscere al Superlibia la decisione definitiva dell'abbandono della Tripolitania - dei gravosi problemi riguardanti il sicuro possesso della via di comunicazione che collegava l'A.C.I.T. alle zone di Gabès e di Sfax; il grado di efficienza da conferire alle posizioni difensive che l'A.C.I.T. avrebbe dovuto occupare in Tunisia; lo sgombero in Tunisia del maggior numero possibile di mezzi, materiali e personale della Tripolitania; le predisposizioni per la incolumità e sopravvivenza della popolazione civile (50000 persone); la distruzione degli impianti portuali di Tripoli e di tutto ciò che potesse essere utile al nemico e si dovesse lasciare in sito. Nessuno di tali problemi venne trascurato dal Superlibia che, nonostante le enormi difficoltà ed i molteplici ostacoli incontrati, riusci a dare loro soluzioni razionali, i cui risultati, sebbene notevoli (158), sarebbero stati però assai più soddisfacenti se la decisione della ritirata in Tunisia fosse stata conosciuta con l'anticipo consentito e fosse stata concordata sul piano concettuale e su quello organizzativo fin dalla metà di novembre tra il maresciallo Bastico ed il maresciallo Rommel. Attribuire solo a questi la modestia del tempo guadagnato dalle posizioni di el Agheila a quelle del Mareth è infondato ed arbitrario. D'altra parte, eccezione
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fatta per le posizioni di Tarhuna-Homs - il cui abbandono fu giudicato prematuro dal Comando Supremo italiano tanto che Mussolini ne mosse rilievo al maresciallo Rommel - le forze non mobili furono ritirate dalle linee di Agheila e di Buerat appena entro i termini di tempo necessari a farle schierare sulle successive posizioni principali e intermedie senza interferenze delle forze mobili terrestri nemiche, mentre quelle mobili furono ritirate giusto in tempo per far cadere nel vuoto gli attacchi in forze del nemico. Ad el Agheila le forze mobili italo-tedesche vennero ritirate dopo la caduta, il giorno 12 dkembre, del caposaldo Dante tenuto dai testi della brigata R.amcke, dopo la riconquista ad opera della 15" corazzata del caposaldo di Bir es Suera e dopo l'arginamento prima e l'arresto poi, da parte del gruppo di combattimneto del XX corpo d'armata italiano, il 14 dicembre, delle forze corazzate britanniche che avevano tentato una azione avvolgente da sud nella zona di Maaten Giofer. Il gruppo del XX corpo italiano perse 14 carri armati e 90 uomini e riusd a distruggere od immobilizzare 24 carri nemici. Gli inglesi si erano concessi una pausa di due settimane per portare in prima linea i rinforzi e i rifornimenti necessari per un attacco contro la posizione di Marsa el Brega ed avrebbero sferrato l'attacco frontale, inviando nel frattempo ingenti forze per compiere la manovra aggirante al fine di bloccare la direttrice di ritirata, il 14 dicembre. Il maresciallo Rommel, eclissandosi durante la notte del 12, rese vano il piano del generale Montgomery per annientare il nemico nelle sue difese. Da el Agheila le forze mobili italo-tedesche, nei giorni 15, 16 e 17 dicembre, ripiegarono sulla posizione di raccolta già predisposta a en Nofilia; contrastarono l'avanzata delle due colonne britanniche inseguitrici - a nord, la r corazzata inglese che aveva scavalcato il 14 la 5P nella zona costiera, a sud la za. neozelandese che, partita da el Hascisat aveva seguito un itinerario meridionale e convergeva su Bit el Merduma - ; tentarono di costituire uno sbarramento difensivo che venne infranto e superato dai mezzi corazzati britannici alla sera del 15; si aprirono di forza la via di ritirata su en Nofilia, rendendo vano lo sforzo della IV brigata della r corazzata inglese che giunse nei pressi della località solo alla sera del 16 dicembre. Da en Nofilia esse ripiegarono su Sirte e conclusero così, con i combattimenti del giorno 17, la serie di operazioni che si erano rese necessarie per lo sganciamento da el Agheila. L'A.C.I.T. indietreggiò nei giorni successivi fino a Buerat, 400 chilometri ad ovest di Marsa el Brega e 800 chilometri ad ovest di Bengasi (nuova base avanzata dell'8.. armata) . L'8• armata, dunque, riusd ad imporre il ripiegamento alle
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forze mobili, ma non a tagliare loro la ritirata ed a chiuderle in un accerchiamento. Passò un mese prima che il generale Montgomery ricevesse i rinforzi e i rifornimenti per riprendere la marcia. A Buerat l'8a armata britannica iniziò l'attacco alle prime luci dell'alba del 15 gennaio con due colonne, gravitando contro l'ala meridionale dello schieramento italo-tedesco, ma una prima forte aliquota - pari circa ad un terzo di ognuna delle divisioni Pistoia, La Spezia e Giovani fascisti - si era già spostata dal 2 gennaio sulle posizioni di TarhunaHoms, dove dal 14 gennaio fu raggiunta dall'altra aliquota. La 15" corazzata ed il gruppo Centauro opposero valida ed efficace resistenza e costrinsero i britannici a sospendere l'attacco ed a rimaneggiare il dispositivo. L'azione venne ripresa dagli inglesi nel pomeriggio, ma ancora una volta trovò ostacolo nella pronta ed efficace reazione della 15a corazzata tedesca la quale fu costretta alla fine a ripiegare su1lo uadi Zcmec mentre il nemico pervenne alla conquista di el Faschia. Davanti all'imponente schieramento nemico pronto all'azione a fondo - da nord a sud: 5P divisione inglese, l" corazzata su 2 brigate corazzate ed una motorizzata, 76 corazzata su 2 brigate corazzate ed una motorizzata, 10a corazzata su una brigata corazzata e una brigata motorizzata, 2.. neoelandesc su 2 brigate, 1" brigata Francia libera e brigata greca; in affluenza: 50n inglese e 4" indiana - alle ore 20 del giorno 15 il maresciallo Rommel ordinò il ripiegamento generale dell'A.C.I.T. sulle posizioni di Tarhuna-Homs lasciando a fronteggiare l'avversario il raggruppamento dei reparti esploranti (3°, 33° e 580°), il D.A.K., il gruppo Centauro e la 90" leggera. Nelle prime ore del 16 si accesero aspri combattimenti nella zona a sud di Sedada dove il gruppo Centauro subì pesanti perdite e venne a trovarsi in gravi difficoltà per mancanza di carburante. Durante la notte sul 17, malgrado tutto, le unità mobili dell'A.C.I.T. riuscirono a ripiegare sulla linea intermedia Beni Ulid-Tauorga. Nel pomeriggio del 17 un gruppo corazzato nemico attaccò la 90" tedesca nella zona di Tauorga e la costrinse a ripiegare e verso sera il nemico raggiunse Beni Ulid con la colonna meridionale, si avvicinò a Bir Dufan con la XXII brigata corazzata ed arrivò nella zona del villaggio Crispi con la 5!3 inglese. Il comandante dell'A.C.I.T., tenuto conto dell'estensione della fronte in relazione alla scarsezza delle forze disponibili, ritenne di non essere in grado di resistere sulla linea Tarhuna-Homs più di uno o due giorni e, considerata la preoccupante situazione della benzina e delle munizioni, temette di non riuscire a far ripiegare parte delle sue truppe su Tripoli. Questo timore si aggravò in seguito all'occupazione nemica di Beni Ulid che favoriva la possibilità di un'azione avvolgente
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del fianco sud-occidentale dello schieramento, capace di compromettere la ritirata anche delle truppe operanti nel settore costiero (159). Si trattò di una valutazione e di un ordine - ripiegamento delle divisioni Giovani fascisti, Trieste e La Spezia disposto il 18 gennaio, appena completato l'attestamento dell'intera A.C.I.T. sulla linea Tarhuna-Homs - sbagliati. Lo stesso maresciallo Rommel lo ammise e lo riconobbe a posteriori, quando scrisse che le possibilità difensive della linea « erano straordinariamente buone perché i britannici in attacco da sud e da sud-est dovevano attraversare un terreno sabbioso e inadatto, e senza dubbio, se noi avessimo avuto un rifornimento migliore, saremmo stati in grado di respingere per lungo tempo gli attacchi nemici » (160). Fu un errore tanto più grave in quanto l'avanzata inglese si arenò, a causa delle interruzioni stradali e della impercorribiltià del terreno, anche lungo la direttrice costiera. Dopo l 'occupazione di Bir Dufan e di Misurata marina, « nel complesso, alla sera del 18 gennaio, la situazione, pur se piena di minacce, non destava preoccupazioni immediate: sembrava anzi offrire ]a possibilità di guadagnare qualche giorno di tempo, prezioso per lo sgombero dei depositi e dei servizi della Tripolitania » (161). Il maresciallo Cavallero, accorso in Tripolitania il giorno 20 (quando peraltro non sarebbe stato più possibile fermare e riportare avanti tutte le fanterie in movimento o già giunte sulle posizioni della cinta orientale di Tripoli) giudicò 1a minaccia di aggiramento più potenziale che imminente (162), ma in realtà il raggiungimento di Tripoli per gli inglesi si poneva in termini di asso]uta urgenza perché, diversamente, se fossero stati superati i 10 giorni imposti loro dalla situazione logistica, il generale Montgomery, com'egli stesso scrisse successivamente (163), si sarebbe trovato costretto « ad arrestare l'avanzata e probabilmente a ripiegare su Buerat e anche più in là, per mantenere in efficienza i rifornimenti dell'armata ». Tale necessità spinse il comandante dell'8 8 armata britannica ad accelerare il ritmo delle operazioni e ad ordinare di combattere così di notte come di giorno, allo scopo di irrompere attraverso la posizione Tarhuna-Homs e di raggiungere Tripoli. Un ulteriore guadagno di tempo da parte italiana e tedesca sarebbe stato certamente realizzabile ed avrebbe giovato agli sgomberi, ma, a parte il fatto che non avrebbe potuto essere, diversamente da come affermò successivamente il maresciallo Rommel, molto lungo, non avrebbe potuto modificare granché l'andamento della ritirata verso la Tunisia, ritirata che fu laboriosa e piena di difficoltà organizzative, ma assai poco pressata, eccezione fatta per l'aviazione, dall'avversario che si limitò ad affidare alla ?8 corazzata rinforzata dalla IV brigata corazzata leggt:ra
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il compito di mantenere il contatto con le retroguardie dell'A.C.I.T. e di esercitare pressione sino a Zuara, in prossimità della frontiera tunisina; una pressione assai cauta e lenta, che non provocò disturbi né interferenze di sorta (164). Non si può stabilire nessun rapporto di causa ed effetto tra il prematuro ripiegamento dell'A.C.I.T. dalla linea Tarhuna-Homs e la mancata difesa di Tripoli. Difendere Tripoli sarebbe stato un errore strategico. Fece bene Mussolini che, messo dal maresciallo Cavallero di fronte al dilemma di effettuare la difesa ad oltranza nella zona a sud-est della città correndo l'alea del totale annientamento dell'A.C. I.T. oppure di portare la massa delle forze suUe posizioni del Mareth, ne dispose lo sgombero. Assicurato saldamente il mantenimento dei due perni dello schieramento assunto fronte a sud nella zona litoranica compresa fra Zavia, Agelat e Zuara, costituiti dalle posizioni di Sorman-Zavia nella regione costiera e dal nodo rotabile di e1 Uotia al limite occidentale della Gefara, l'A.C.I.T . poté riprendere il 24 gennaio il movimento verso la Tunisia. Homs e Tarhuna vennero occupate dal nemico la sera del 19 gennaio e
Tripoli nelle prime ore del 23, dopo che nella notte le forze della cintura fortificata avevano ripiegato, su ordine. verso ovest congiungendosi alle forze dcll'A.C.I.T. Il 3 febbraio ebbe termine l'evacuazione della Tripolitania e il 5 cessò di esistere il Comando Superiore delle forze armate della Libia, al quale si dové tutta la previdente e saggia attività operativa e logistica per il salvataggio di tutte le truppe comunque esistenti in Tripolitania, nonché delle unità aeree e navali, e come pure di ogni altro ente territoriale e logistico (165). Con l'occupazione di Tripoli, avvenuta 3 mesi esatti dopo l'inizio della battaglia di el Alamein (23 ottobre 1942 - 23 gennaio 1943), e dell'intera Tripolitania, avvenuta 3 mesi esatti dopo lo sfondamento dj Tel1 e1 Aqqaqir (4 novembre 1942 - 4 febbraio 1943), l'8a armata britannica coronò vittoriosamente il difficile, faticoso e cruento ciclo operativo sviluppato, per circa 2500 Km, con abilità, tenacia, metodo e valore, ma falll il risultato decisivo del completo annientamento dell'A.C.J.T.. Ancora una volta il maresciallo Rommel, retrocedendo prima dalla linea Tarhuna-Homs sulla frontiera tunisina, a circa 150 Km a ovest di Tripoli, e poi sul1a linea del Mareth, altri 130 Km più indietro, riuscì ad eclissarsi in tempo ed a salvare tutte le forze ancora presenti ed i materiali trasportabili. La vittoria dell'8a armata britannica, nonostante la mancata distruzione dell'A.C.I.T., ebbe però conseguenze strategiche decisive nella economia generale della guerra. Quante e quali siano le critiche che si possano muovere al generale Montgomery circa la condotta non brillante dell a battaglia e della
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avanzata, resta il fatto che senza la sua vittoria l'andamento e lo sviluppo della campagna nell'Africa settentrionale e nel bacino del Mediterraneo, anzi dell'intera guerra, sarebbero stati diversi ed è dato supporre con quali conseguenze. Per vincere la guerra dell'era industriale era indispensabile grande ricchezza di mezzi e di materiali - gli anglo-americani erano ricchissimi - ma il fallimento di un'impresa decisiva, come appunto era quella dell'8a armata, avrebbe potuto provocare una débacle morale con effetti incontrollabili ed a catena non solo sul piano tattico, ma anche su quello strategico. Il salvataggio dcll'A.C.I.T., voluto ed ottenuto dal maresciallo Rommel ad ogni costo, compreso quello di lasciare prematuramente in mano inglese la disponibilità del porto di Tripoli, essenziale per i rifornimenti dell'8a armata fino ad allora legati ai porti cirenaici, risultò poi, alla prova dei fatti, quasi fine a se stesso. L'A.C.I.T. verrà, infatti, sacrificata per intero in Tunisia in una resistenza ad oltranza tanto abile ed eroica sotto il profilo tattico e morale, quanto assurda, sterile, dannosa dal punto di vista strategico. Per l'Italia la perdita della Libia fu un colpo tragico: l'intero Paese - combattenti e non, soldati e civili, uomini e donne - si rese subito esatto conto di aver perso definitivamente la guerra. Malgrado ciò, l'esercito e le altre fort:e armate continueranno a lottare fino all'estremo in Tunisia ed in Sicilia nella speranza di una pace onorevole che non verrà a causa della miope concezione anglo-americana della resa senza condizioni, alla quale si sommerà l'insipienza politica, diplomatica e strategica dei governanti che il 25 luglio sostituiranno Mussolini ed i gerarchi fascisti nel governo del Paese. La perdita di Tripoli, in particolare, per il valore emblematico della città, costernò l'intera comunità nazionale. Mussolini, che ne avrebbe dovuto e potuto trarre la conseguenza del farsi in disparte riconoscendo il fallimento della sua politica militare e della alleanza con Hitler, si ostinò il 2 dicembre, in un discorso alla Camera dei fasci e delle corporazioni, a costruire ancora ottimistici castelli in aria e, alla fine di gennaio, nel momento della perdita della Tripolitania, cercò di accollare la responsabilità dell'accaduto ai soli capi militari, esonerando il maresciallo Cavallero dalla carica di Capo di Stato Maggiore Generale, nella quale lo sostitul con il generale Ambrosio (166) - in quel momento capo di stato maggiore dell'esercito - e richiamando in Italia il maresciallo Bastico e privandolo del comando di grandi unità. L'Alto Comando tedesco, da parte sua, notificò al maresciallo Rommel che, in considerazione delle sue cattive condizioni di salute, sarebbe stato sostituito nel gravoso incarico non appena avesse conso-
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lidato la posizione difensiva del Mareth, lasciandolo però libero di scegliere la data del passaggio delle consegne al comandante della 1• armata italiana, generale Giovanni Messe (167). La 1• armata, inglobandone la gran parte delle forze, avrebbe sostituito nella campagna di Tunisia la vecchia e gloriosa armata corazzata italo-tedesca battuta, ma non vinta, dall'8a armata britannica nella battaglia di el Alamein. « Rommel - scrisse Liddell Hart (168) - era un uomo malato e le fatiche e la tensione degli ultimi tre mesi non avevano certo contribuito a migliorare le sue condizioni di salute. Eppure in febbraio seppe dimostrare quale riserva di energie avesse ancora dentro di sé». Alla metà di febbraio, infatti, egli concepirà ed organizzerà in Tunisia una grande manovra per linee interne che, se non fosse stata tarpata dalle interferenze del Comando Supremo italiano e avesse ricevuto l'appoggio completo e pieno del generale tedesco von Arnim, comandante del gruppo di armate, avrebbe potuto conseguire un successo strategico di grande rilievo. Il maresciallo Rommel riuscirà, invece, a conseguire solo alcuni risultati tattici - cattura di 4000 prigionieri a prezzo di 1000 perdite, distruzione o messa fuori combattimento di 200 carri armati nemici con perdite proporzionalmente ancora inferiori - ma mancherà l'obiettivo strategico di indurre gli anglo-americani a ritirarsi dalla Tunisia. Un simile risultato sarebbe stato addirittura probabile se all'operazione avesse potuto prendere parte l'intera 10a divisione corazzata e se fin dall'inizio Rommel avesse potuto dirigerla a sua discrezione e cioè contro Tebessa (169). Ciò determinerà che l'uscita di scena del maresciallo Rommel dallo scacchiere africano avverrà in un momento in cui il suo prestigio e la fiducia nelle sue qualità di comandante saranno tornati, dopo il declino del periodo della ritirata, al primitivo fulgore. Silenziosa e triste, avvolta nella tenebra della sconfitta, l'uscita di scena dei marescialli Cavallero e Bastico, i quali, sebbene non immuni da errori lacune debolezze, avevano impegnato tutte le loro energie spirituali, intellettuali e professionali - notevolissime anche se non eccelse - per vincere la battaglia di Africa. Ma entrambi in misura assai maggiore e con responsabilità assai più grande il maresciallo Cavallero - nonostante la decisa volontà di vittoria che li aveva sempre animati, avevano contribuito a determinare la sconfitta mediante l'accettazione della rinunzia all'operazione su Malta e l'adesione all'idea di Hitler, di Mussolini e del maresciallo Rommel di proseguire l'avanzata in Egitto dopo la conquista di Tobruch. Il maresciallo Cavallero, inoltre, era stato corresponsabile del rifiuto opposto ai propositi del maresciallo Rommel di ripiegare nel luglio
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del 1942 le forze dalle posizioni di el Alamein a quelle di SollumHalfaya, dell'ordine impartito al maresciallo Rommel il 3 novembre di non sottrarsi all'offensiva nemica e di accettare in loco una battaglia senza speranza, dell'equivoco e dell'incertezza nella condotta della ritirata che si sarebbe potuta tradurre in un disastro, qualora il maresciallo Rommel avesse ubbidito ai vari ordini del Comando Supremo italiano di resistere ad oltranza prima sulle posizioni di frontiera, poi su quelle di el Agheila e infine su quelle di Buerat e che, invece, aveva sortito risultati apprezzabili dal punto di vista della tecnica militare proprio perché il maresciallo Rommel l'aveva condotta nel quadro costante di un disegno chiaro, deciso e concreto in opposizione a quello confuso, oscillante e ottimisticamente fantasioso di Hitler e di Mussolini, che il maresciallo Cavallero aveva fatto proprio per assecondare Mussolini. E quella della cortigianeria fu l'ombra densa e fosca che in questa occasione, come in altre, offuscò la personalità intelligente, colta, preparata e capace del maresciallo Cavallero nel quale il maresciallo Kesselring vide: « il soldato eccezionale, il capo militare ideale per una guerra tridimensionale, che assommava alla virtù militare il senso squisito della diplomazia e l'uomo di alta cultura: l'uomo che se fosse stato tempestivamente utilizzato avrebbe potuto armonizzare il potenziamento delle forze armate italiane nella loro totalità con l'economia di guerra ed i mezzi di trasporto » (170). Un giudizio che ci sentiamo di condividere in pieno.
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NOTE AL CAPITOLO XXXVI (1) Ministero della Difesa. Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio Storico, Seconda controffensiva italo-tedesca in Africa settentrionale. Da El Agheila a El Alawein (gennaio-settembre 1942). Tipografia Regionale, Roma, 1951 , allegato n. 61, p. 405.
(2) Ibidem, allegato n. 62, p. 409 e allegato n. 63, p. 410. (3) Ibidem, allegato n. 64, p . 411.
(4) Ibidem, allegato n. 65, p . 412. (5) Ibidem, allegato n. 66, p. 414. (6) Ibidem, allegato n. 67, p. 415.
(7) Ugo Cavallero, Comando Supremo - Diario 1940-43 del Capo di S.M. Arti Grafiche F. Cappelli, Rocca S. Casciano, 1948, p. 315. (8) Ibidem, p. 296. (9) Ibidem, p. 314 e p. 316. (10) Seconda controffensiva italo-tedesca ecc. Op. cit., p. 250. (11) Comando Supremo. Op. cit., p. 311.
(12) Seconda controffensiva italo-tedesca ecc. Op. cit., p, 220. (13) Ibidem, p. 221; allegato n. 58, p. 400; allegato n. 59, p. 402; allegato n. 60, p. 403. (14) Ibidem, p. 222. (14 bis) Montgomery, sir Bernard Law (1887-1976), marescallo britannico. Nel 1908 fu nominato sottotenente e nel giugno del 1914, con il grado di capitano, partl con il corpo di spedizione in Francia, dove partecipò alla prima guerra mondiale. Nel 1920 fu destinato in Egitto e nel 1937, con il grado di generale, in Palestina e Transgiordania. Nel 1940 comandò la 3a divisione durante la campagna di Francia. Dall'agosto del 1942 fu al comando delJ'8a armata, che vinse la battaglia di el Alamein, conquistò la Libia, combatté successivamente in Tunisia, in Sicilia, in Calabria e risall la penisola fino al Sangro. Lasciò il comando dell'8a armata perché richiamato in Gran Bretagna per l'organizzazione del secondo fronte in Europa. Nel giugno '44 gli fu affidato il comando delle truppe terrestri per lo sbarco in Normandia, poi nell'agosto del '44 il comando di un gruppo di armate. Promosso maresciallo ebbe il comando delle truppe alleate sulla fronte settentrionale fino alla resa della Germania. Fu poi comandante delle truppe britanniche d'occupazione in Germania, capo di stato maggiore imperiale britannico ((194648), presidente del comitato dei comandanti in capo dell'Europa occidentale (1948-51) e quindi vice-comandante delle forze Nato in Europa (1951-58).
CAP. XXXVI - OPEltAZTONI ITALO-'I'EDESCIIE (PARTE SECONDA)
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(14 ter) Alexander conte Harold Rupert Leo/rie George (1891-1969), maresciallo britannico. Ufficiale delle guardie irlandesi nel 1911, combatté nella l " guerra mondiale ed ebbe il battesimo del fuoco ad Ypres. Nel 1920 comandò una « divisione bianca» composta in pane di ex soldati tedeschi , in Lettonia, contro i bolscevichi. Fu poi a lungo in India dove raggiunse il grado di comandante di brigata. Nel maggio del 1940 comandò in Francia il I corpo d'armata inglese. Fu poi comandante delle forze britanniche in Birmania, quindi nel Medio Oriente e in Africa Settentrionale dove sostitui il generale Auchinleck. Vice-comandante delle truppe alleate in AS., ricevette nel settembre del 1943, insieme al generale Eisenhower, la resa dell'Italia. Fu a capo dell'operazione Husky. Diresse poi, come comandante del XV gruppo d'armate, la campagna d'Italia fino al novembre del 1944, quando succedette al generale Maitland Wilsoi:i come comandante alleato nel Me<literraneo. Il 29 aprile 1945 ricevé la resa delle ~ruppe tedesche in Italia. Fu poi ministro della difesa nel governo Churchill (1954:1954). (15) Comando Supremo. Op. cit., p. 308 e seguenti. Seconda contro/ fensiva italotedesca ecc. Op. cit., p. 216. (16) Seconda controffensiva italo-tedesca ccc. Op. cit., p . 235. (17) Ibidem, p. 231. (18) Ibidem, p. 233. (19) Ibidem, allegato n. 66, p. 414. (20) Comando Supremo. Op. cit., p. 318.
(21) Seconda controlfe11siva italo-tedesca ccc. Op. cit., p. 249. (22) Ibidem, p. 240. (23) Ibidem, allegato n. 70, p. 489.
(24) B.H. Liddcll Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Mondadori, Verona, 1971, p . 414. (25) Ibidem, p . 410. (26~ Seconda controffensiva italo-tedesca ecc. Op. cit., p . 230.
(27) Ibidem, p. 251.
(28) Storia militare della seconda guerra mondiale.
Op. cit., p . 409.
(29) Stato Maggiore Esercito. Ufficio Storico, Terza offensiva britannica in Africa settentrionale. La battaglia di El Alamein e iJ ripiegamento in Tunisia ( 6 settembre 1942-4 febbraio 1943). Tipografia Regionale, Roma, 1961, allegato n. 1, p. 379. (30) La marina mercantile perse, dal 2 settembre al 23 ottobre, 2 cisterne (Picci
Fassio e Nautilius), 5 motonavi (Apuania, Francesco Barbaro, Lupa, Cyprus, Lero), 17 piroscafi (Padenna, Davide Bianchi, Albachiara, Carbonia, Rostro, Leonardo Palomba, Fiume, Dandolo, Alga, Arno, Enrichetta, Loreto, Beppe, Titanio, Amsterda-n, Arco A:au"o, Bengasi I), 3 rimorchiatori (Stefano, Roma, Pronta). Di questi: 17 vennero affondati da sommergibili, 7 da aerei, 1 per urto contro mine, 1 per naufragio, 1 per cause non precisate.
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Nel secondo semestre del 1942 il naviglio da guerra perdé 42 navi di superficie per un dislocamento complessivo di 25 469 t e 15 sommergibili per un dislocamento complessivo di 11 411 t (Stato Maggiore della Marina. Ufficio Storico, La marina italiana nella seconda gue"a mondiale. Dati statistici p. 199, tavola LXXVIII). I materiali avviati in A.S. nel mese di settembre furono 96 903 t, mentre quelli giunti a destinazione furono 77 526 t; nel mese di ottobre furono 83 695 t quelli spediti e quelli giunti a destinazione furono 46 698 t. Nel mese di ottobre non solo le percentuali delle perdite furono superiori a quelle di settembre, ma anche i quantitativi di materiali inviati dall'Italia furono inferiori. Inoltre: « Le perdite maggiori investirono proprio il settore più delicato e sensibile ai fini operativi: quello dei combustibili liquidi». Nel mese di settembre si registrò una perdita del 22,74 %, (su 40 000 t spedite, ne !,,iunsero a destinazione 31 061 ); nel mese <li ottobre, la percentuale di perdite toccò la cifra del 51,86 % (partite 25 771 t, giunte in A.S. sole 12 308). Vcds. Terza offensiva britannica in Africa settentrionale. Op. cit., p. 29. (31) Comando Supremo. Op. cit., p. 325. (32) Ibidem, p. 326. (33) Ibidem, p. 328.
(34) Ibidem, p. 336. (35) Ibidem, p. 338. (36) Ibidem, p. 343. (37) Ibidem, p. 347. (38) Ibidem, p. 348. (39) Ibidem, p. 349. (40) Ibidem, p. 350. (40 bis) Goering Hermann (1893-1946), uomo politico nazista e maresciallo del Reich. Ufficiale di aviazione nella prima guerra mondiale, nel 1922 aderl al nazionalsocialismo. Fu il capo delle S.A. e successivamente ricoprì un'infinità di cariche: ministro senza portafoglio, commissario dell'aviazione, ministro delle foreste e della caccia, capo del governo prussiano, sovrintendente al piano economico quadriennale per la preparazione alla guerra, comandante supremo della Luftwaf/e. Promosso da capitano a generale nel 1933, fu nominato feldmaresciallo nel 1938 e maresciallo del Reich nel 1940. Nel 1939 era stato designato da Hitler come suo successore. Dopo la sconfitta nella battaglia aerea d'Inghilterra, e dopo la constatazione dell'insufficienza della difesa conuaerea, perse gradatamente il favore del dittatore che, negli ultimi giorni del terzo Reich, lo privò di ogni carica e lo fece arrestare per aver tentato di assumere il potere. Condannato a morte dal tribunale di Norimberga, riuscl ad avvelenarsi alla viglia dell'esecuzione. (41) Comando Supremo. Op. cit., p. 352. (42) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., allegato n. 5, p. 390.
CAP. XXXVl - OPERAZIONI ITALO-TF.IJESCHE (PARTE SECONDA)
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(43) Ibidem, p. 23 e Comando Supremo. Op. cit., p. 324, p. 327, p. 329. (44) Ibidem, allegato n. 10, p. 397, allegato n. 11 , p. 398. (45 ) Ibidem, allegato n . 12, p. 400. (46) Comando Supremo. Op. cit., p. 324. (47) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., allegato n. 2, p. 383. (48) Comando Supremo. Op. cit., p . 334. (49) Ibidem, p. 335. {50) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., allegato n. 4, p . 387. (51) Ibidem, allegato n. 9, p. 396. (52) Ibidem, allegato n. 19, p. 419.
(53) Ibidem, allegato n. 13, P. 403 , allegato n. 16, p. 409, allegato n . 17, p . 413, allegato n. 18, p. 415, allegato n. 14, p. 405. (54) Comando Supremo. Op. cit., p. 345. {55) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op_ cit., allegato n. 19, p. 419. (56) Ibidem, allegato n. 22, p. 424. (57) Ibidem, p. 68.
(58) Comando Supremo. Op. cit., p . 334. (59) Feldmaresciallo Montgomery, Storia delle guerre. Rizzali , Milano, 1970, p . 544. {60) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 419.
(61) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 100. (62) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 419. (63) Erwin Rommel, Guerra senza odio. Gar.tanti, Milano, 1959, p. 265. (64) La sera del 23 ottobre l'ordine cli battaglia sommario dell'A.C.I.T. era il
seguente: Truppe italiane:
-
X corpo d'armata (gen. Frattini Enrico fino al 26; successivamente gen. Nebbia
Edoardo): - comando, stato maggiore, quartier generale, comandi artiglieria e genio; truppe e servizi di corpo d'armata: 9" reggimento bersaglieri (comando, 2 battaglioni autoportati), un gruppo da 105/28 e uno da 149/28, un battaglione guastatori e uno artieri (su comando e 2 compagnie), un battaglione collegamenti (su comanilo, 1
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compagnia telegrafisti e 1 marconisti), una compagnia d'arresto, servi;;;i (1 nucleo sussistenza, 2 ospedali da campo, 1 ambulanza odontoiatrica); - divisione di fanteria Brescia: comando (stato maggiore, quartier generale su reparto comando, 1 sezione carabinieri reali, 1 squadra pilotaggio per zone desertiche, 1 ufficio postale con nucleo carabinieri); truppe: 19° reggimento fanteria (comando, 1 compagnia mortai da 81, 2 battaglioni A.S. 42), 20° fanteria (comando, 1 compagnia mortai da 81, 3 battaglioni A.S. 42), un reggimento artiglieria celere (comando, 1 gruppo da 100/17 mo<l. 14, 2 gruppi da 75/27 mo<l . 06, 1 gruppo da · 188/55 e.a., 2 batterie da 20), un battaglione misto genio (comando, l compagnia artieri e 1 collegamento), servizi (1 sezione sanità e 1 sezione sussistenia); - divisione di fanteria Folgore: comando (stato maggiore, quartier generale con la stessa composizione di quello della « Brescia»); truppe: 186° reggimento fanteria (comando, compagnia cannoni da 47 / 32 su 10 pezzi, 3 battaglioni, 1 compagnia servizi); 187° fanteria (stessa composizione del 186°), 185° reggimento artiglieria (comando, 2 gruppi da 47 /32, 1 batteria servizi), un battaglione guastatori; una compagnia mortai da 81, una compagnia artieri e una q>mpagnia collegamenti, servizi (1 sezione sanità, 1 reparto trasporti, 1 sezione sussistenza); - divisione fanteria Pavia: comando (stato maggiore, quartier generale come quello della Brescia); truppe: 27° reggimento fanteria (comando, compagnia mortai da 81, 2 ·battaglioni A.S. 42), 28° reggimento fanteria (idem come 27°), 26° reggimento artiglieria (comando, 1 gruppo da 75/27, 2 gruppi da 75/27 rnod. 06, 2 batterie da 20), un battaglione misto genio (comando, 1 compagnia artieri e · 1· collegamenti), servizi (1 sezione sanità e 1. sussistem;a). XX corpo d'armata (gen. De Stefanis Giuseppe): - comando: stato maggiore, quartier generale, comandi artiglieria e genio; truppe e servizi di corpo d'armata: un battaglione misto genio su comando, 2 compagnie artieri e 1 telegrafisti; 2 ospedali da campo; 1 nucleo chirurgico; 1 sus,sistenza; truppe in rinforzo (1 compagnia bersaglieri motorizzata, 1 batteria da 20 del 132" artiglieria corazzato); • divisione corazzata Ariete: comando (stato maggiore, quartier generale su reparto comando, 1 sezione motorizzata carabinieri reali, 1 auto<lrappello, 2 squadre pilotaggio per zone desertiche, 1 ufficio postale con 1 nucleo carabinieri); truppe: gruppo carri Nizxa cavalleria, 132" reggimento fanteria carrista (comando, 3 battaglioni carri M, 1 compagnia contraerei da 20, 1 reparto riparazioni e recuperi, 1 officina mobile pesante), 8° reggimento bersaglieri (comando, 2 battaglioni autoportati, 1 battaglione controcarri); 132" reggimento artiglieria (comando, 2 gruppi da 75/27, 2 gn1ppi da 105/28, 1 gruppo da 88/55, 1 gruppo da 90/53 e 20/35, 2 gruppi da 75/18 semoventi, 1 officina mobile pesante, 1 reparto soccorso stradale), un battaglione misto genio (comando, 1 compagnia speciale artieri e 1 compagnia collegamenti), servizi (1 sezione sanità e 1 sussistenza, 1 autogruppo misto); - divisione corazzata Littorio: comando (stato maggiore, quartier generale come quello dell'Ariete); truppe: gruppo carri Lancieri di Novara, 133° fanteria carrista (comando, 3 battaglioni carri M, 1 compagnia e.a. da 20, 1 officina mobile pesante), 12° reggimento bersaglieri (comando, 2 battaglioni autoportati , 1 battaglione controcarri); 3° reggimento artiglieria celere (comando, 1 gruppo bis da 100/17, 1 gruppo da 75/27, 1 gruppo da 88/55, 2 batterie da 20, 2 gruppi da 75/18 semoventi, 1 officina mobile pesante), una compagnia mista genio; servizi (1 sezione sanità e 1 · sus, sistenza); -
CAP. XXXVI - OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE ( P ARTE SECONDA )
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- divisione motorizzata Trieste: comando (stato maggiore; quartier generale su reparto comando, 1 sezione motorizzata carabinieri reali, 2 squadre di pilotaggio per zone desertiche, 1 nucleo movimento stradale, 1 autodrappello divisionale, 1 ufficio postale con 1 nucleo carabinieri), truppe: 65° reggimento fanteria (comando, 2 battaglioni, 1 autoreparto reggimentale), 66° reggimento fanteria (idem come 65°); 21° reggimento artiglieria (2 gruppi da 100/ 17, 1 gruppo da 75/27, 2 batterie da 20 e.a.); un battaglione bersaglieri; un battaglione carri M 13; un battaglione misto genio, servizi ( 1 sezione sanità e 1 autoreparto misto su 3 autosezioni leggere, 1 pesante, 1 mista, 2 carburanti autoportate, 1 nucleo soccorso stradale). - XXI corpo d'armata (gen. Gloria Alessandro fino a mezzogiorno del 26 e successivamente gen. Navarrini Enea): - comando: stato maggiore, quartier generale, comandi artiglieria e genio; truppe e servizi di corpo d 'armata: 7° reggimento bersaglieri (comando, 2 battaglioni, 1 autoreparto), 8<> reggimento artiglieria di armata (comando, 1 gruppo da 149/40, 1 gruppo da 152/37, 1 gruppo da 149/28), un battaglione artieri, un battaglione collegamenti, 2 ospedali da campo, 1 nucleo sussistenza, 1 nucleo chirurgico, 1 ambulanza odontoiatrica; - divisione fanteria Trento: comando (stato maggiore; quanier generale su reparto comando, 1 sezione carabinieri reaJi, 1 squadra pilotaggio per ZOile desertiche, 1 ufficio postale con 1 nucleo eambinieri reali); truppe: 61 ° reggimento fanteria (comando , 1 compagnia mortai da 81, 3 battaglioni A.S. 42 ), 6Zo reggimento fanteria (come 61°), 46° reggimento artiglieria (comando, 2 gruppi da 100/ 17 mod. 14, 2 gruppi da 75/27 mod. 06, 2 batterie da 20 e.a.), un battaglione misto genio (1 compagnia artieri e 1 compagnia collegamenti); in rinforzo: un battaglione granatieri e.e., un gruppo da 77/ 28; servizi (1 sezione sanità e 1 sussistenza); - divisione di fanteria Bologna: comando (stato maggiore, quartier generale come divisione Trento); truppe: 39° reggimento fanteria (comando, 1 compagnia mortai da 81, 2 battaglioni A.S. 42), 400 reggimento fanteria ( idem come 39°), 205 reggimento artiglieria (comando, 2 gruppi da 100/ 17 mcxl 14, 2 gruppi da 75/ 27 mod. 06, 2 batterie da 20 e.a.), Wl battaglione misto gen io (comando, 1 compagnia artieri , 1 compagnia collegamenti), servizi (1 sezione sanità e 1 sezione sussistenza). Truppe tedesche: -
truppe d'armaw:
· raggruppamento tattico Kasta : 104" comando ,irtiglieria (un raggruppamento di calibri diversi), 288° reggimento corazzato granatieri (detto anche raggruppamento speciale o Menton); 5800 reparto esplorante, 19" divisione Flak (e.a.); - corpo tedesco Afrika (D.A.K. ): 15a divisione corazzata (comando, 8° reggimento carri armati, 115° reggimento fucilieri, 33° reggimento artiglieria motorizzato, 33° reparto esplorante, elementi vari controcarri, pionieri, collegamenti , servizi); 21" divisione corazzata (comando, 5° reggimento carri armati, 104° reggin1ento fucilieri, un battaglione motorizzato, 3° reparto esplorante, elementi vari controcarri, piomen, collegamenti, servizi ); · 9oa- divisione leggera : comando, 361°, 2000 e 155° reggimenti fucilieri, 228° reggimento - ex Daumillcr - (reparti pionieri, mitraglieri e controcarri); gruppo Burchardt (reparti pionieri, mitraglieri e controcarri); elementi vari (collegamenti e servizi); - 164a divisione di fanteria: comando, 125", 382" e 433° reggimenti fanteria, 220° reggi.mento artiglieria, elementi vari (controcarri. pio nieri, collegamPnti, servi7.i);
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- brigata paracadutisti Ramcke: 4 battaglioni. La sera del 23 l'ordine di battaglia (dati sommari) del1'8" armata britannica era il seguente: - truppe d'armata: I brigata carri per l'apertura dei varchi nei campi minati (2 battaglioni del Royal Tank Regiment), I brigata corazzata (3 battaglioni Ussari in ricostituzione), II brigata contraerei (1 reggimento artiglieria e.a. leggero, 2 batterie di artiglieria e.a. pesanti), XII brigata contraerei (3 reggimenti di artigleria e.a. leggere e 2 reggimenti e.a. pesanti), XXI brigata di fanteria iniliana su 3 battaglioni per la protezione del quartier generale, unità minori, elementi dei servizi ; -
X corpo d'armata: organi di comando, elementi del genio e dei servizi : - l" divisione corazzata britannica: II brigata corazzata (3 battaglioni carri e 1 battaglione motorizzato), VII brigata motorizzata (3 battaglioni motorizzati), reggimento autoblindo Royal ùzncers, un battaglione mitraglieri, artiglieria divisionale (3 reggimenti di artiglieria da campagna, 1 reggimento di artiglieria semovente, l reggimento artiglieria e.e., l reggimento artiglieria e.a.), genio divisionale (reparti vari); in rinfor-.w: Hammerforce composta di 1 reggimento di autoblindo sudafricano, l reggimento di artiglieria da campagna, 1 reggimento di artiglieria e.e., 1 reg,,oimento di artiglieria c.a.l.; - IO" divisione corazzata britannica: VIII brigata corazzata (3 battaglioni carri e 1 di fonteria), XXIV brigata corazzata (3 battaglioni carri e l di fanteria), CXXXIII reggimento di fomeria motorizzata, organicamente della 44" divisione fanteria (3 battaglioni di fanteria), reggimento autoblindo The Royal Dragoons, artiglieria divisionale (4 reggimenti da campagna, l reggimento e.e., 1 reggimento e.a.I.), genio divisionale ( reparti vari del genio);
- Xlll corpo d'armata: organi di comando e truppe di corpo d'armata (reparti autoblindo e reggimenti di carri armati finti): - 7a. divisione corazzata britannica: IV brigata corazzata leggera (2 battaglioni carri e l battaglione di fanteria); XXH brigata corazzata (3 battaglioni carri e 1 battaglione <li fanteria), 3 reggimenti autoblindo, artiglieria divisionale (3 reggimenti da campagna, 1 e.e., 1 e.a.I.), genio divisionale (reparti vari), elementi dei servizi; in rinforzo: un reggimento ricognitori divisionale; un gruppo di brigata di fanteria liberi francesi (3 battaglioni di fanteria, 2 reggimenti di artigHeria, reparti e.e . e e.a., I colonna volante); - 5Qa divisione di fanteria britannica: LXIX brigata di fanteria (3 battaglioni), CLI brigata di fanteria (3 battaglioni), 1 gruppo di brigata di fanteria greca (3 battaglioni , 1 reggimento di artiglieria, clementi vari), un battaglione mitraglieri, artiglieria divisionale (4 reggimenti artiglieria da campagna, 1 reggimento e.a. e l reggimento c.a.l.), genio divisionale (reparti vari); in rinforzo: II gruppo di brigata liberi francesi (2 battaglioni di marcia e 2 compagnie controcarri); - 44a. divisione di fanteria britannica: CXXXI brigata di fanteria (3 battaglioni), CXXXII brigata di fanteria (3 battaglioni), CXXXIII brigata di fanteria autoportata (assegnata alla 10" divisione corazzata), un battaglione mitraglieri, artiglieria divisionale (4 reggimenti da campagna, 1 e.e., 1 e.a.I.), genio (reparti vari), elementi dei servizi; - XXX corpo d'armata: organi di comando, truppe di corpo d 'armata, reparti autoblindo sudafricani, 3 reggimenti di artiglieria di medio calibro, XXIII brigata corazz..1ta su 4 battaglioni carri (di cui 3 assegnati: l alla 1~ divisione sudafricana, l aJJa 9°' australiana, l alla 51>- Highland), un reggimento di artiglieria semovente, un reggimento di artiglieria e.a.I.;
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- 4-:1 divisione di fanteria indiana: V brigata di fanteria indiana (riserva di corpo d'armata) su 3 battaglioni, VII brigata di fanteria indiana (3 battaglioni), CLXI brigata di fanteria indiana (3 battaglioni), un battaglione mitraglieri, artiglieria divisionale (3 reggimenti da campagna, l e.e., 1 e.a.I.), genio divisionale (reparti vari), elementi dei servizi; - 5P divisione di fanteria Highland; CLII brigata di fanteria (3 battaglioni), CLIII brigata di fanteria (3 battaglioni), CLIV brigata cli fanteria (3 battaglioni), un reggimento da ricognizione, un battaglione mitraglieri, artiglieria divisionale (3 reggimenti da campagna, - e.e., 1 e.a.I.), genio divisionale (reparti vari), elementi dei servizi; in rinforw: un battaglione carri della XXIII brigata carri; - 9~ divisione di fanteria australiana: XX, XXIV e XXVI brigata di fanteria australiana (ciascuna su 3 battaglioni), un reggimento di cavalleria australiana, un battaglione mitraglieri, artiglieria divisionale (3 reggimenti da campagna, 1 e.a., 1 e.a.I.), genio divisionale (reparti vari), elementi dei servzi; in rinfor.w: un battaglione carri della XXIII brigata corazz.'\ta; - .e' divisione di fanteria neozelandese: V brigata di fanteria neozelandese (3 battaglioni), VI brigata di fanteria neozelandese (3 battaglioni), IX brigata corazzata britannica (3 battaglioni carri e 1 battaglone <li fanteria), un reggimento di cavalleria sui carri armati neozelandesi, un battaglione mitraglieri, artiglieria divisionale (3 reggimenti <la campae na, 1 <.:.c., 1 e.a.I.), genio divisionale (reparti vari), clcmcmi dei servizi; - P divisione di fanteria sudafricana: I, II e III brigata di fanteria sudafricana (ciascuna su 3 battaglioni ), un reggimento autoblindo sudafricano, un battaglione mitraglieri, artiglieria divisionale (3 reggimenti da campagna, 1 e.e., 1 e.a.I.), genio divisionale (reparti vari), clementi dei servizi; in rinforzo: un battaglione carri della XXIII brigata corazzata, un gruppo riserva divisionale (sciolto il 31 ouobre).
(65) Le divisioni di fanteria italiane A.S. 42 erano di massima costituite da 6 battaglioni e 4 gruppi; la 164" tedesca da 9 battaglioni e I reggimento di artiglieria; le divisioni di fanteria britanniche, <li massima, da 9 battaglioni, l battaglione mitra, glieri, 3 reggimenti di artigliera da campagna motorizzati,, ciascuno su 3 batterie (eccezionalmente su 2) di 8 pe7.zi da 25 libbre, 1 reggimento controcarri (24 pezzi), 1 reggimento contraerei (24 pe72 i), 1 reggimento contraerei leggero (24 pe-.i:zi). La Folgore aveva solo 2 gruppi <la 47; la Brescia aveva 5 battaglioni; la Pavia 4 battaglioni e 3 gruppi; la 'l'rieste 5 battaglioni, 3 gruppi, 1 battaglione carri M 13. La forza organica dei battaglioni di fanteria si aggirava sugli 800 uomini per i battaglioni della 8" armata, 450 per quelli dell'A.C.I.T. Dopo la battaglia di Alam el Haifa: - le forze britanniche erano state aumentate delle seguenti unità: VII e XXI brigata di fanteria indiana; LXIX e CLl brigata di fanteria Highland; II, IX, XXIV brigata corazzata; una brigata greca; una brigata Francia libera; Il e XII brigate contraerei (erano diminuite della IX brigata di fanteria indiana); - le for.le italo-tedesche erano state solo reintegrate con mezzi sfusi e con battaglioni complementi a parziale ripianamento delle perdite. Gli elementi della Pistoia non presero parte alla battaglia. Due battaglioni L'Omplementi (Piceno e Lupi di Toscana) parteciparono ad essa solo nella fase terminale. I carri armati inglesi - 1 348 secondo la relazione italiana, I 440 secondo Liddell JIart, 1 029 più 200 in riserva secondo la Relazione Ufficiale Britannica - erano dei seguenti tipi:
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- Sherman (285) - americano: 1 cannone da 75 in torretta, 2 mitragliatrici da 7,62, corazzatura 75 mm, peso 30 t , velocità 40 Km/h, equipaggio 5 uomini, autonomia 230 Km; - Grant (246) - americano: 1 cannone da 75 in casamatta, l mitragliatrice da 7,62, corazzatura 75 mm, peso 29 t, velocità 40 Km/h, equipaggio 4 uomini, autonomia 300 Km; - Crusader ( 421) - inglese: l cannone da 37 o da 57, 1 mitragliatrice da 7,7, 1 lanciabombe da 5 cm, corazzatura 42 mm, peso 19 t, velocità 40 Km/h, autonomia 300 Km; - Stuart (167) - americano: 1 cannone <la 37. t mitragliatrice da 7,62, corazzatura 45 mm, peso 13 t, velocità 50 Km/ h, equipaggo 4 uomini, autonomia 300 Km; - Valentine (223) - inglese: 1 cannone da 37 o <la 57, 1 mitragliatrice da 7,7, corazzatura 60-65 mm, peso 27 t, velocità 25 Km/h, equipaggo 4 uomini, autonomia 300 Km; - Matilda (6) - inglese: 1 cannone <la 37, 1 mitragliatrice da 7,7, coràzzatura 75 mm, peso 26,5 t, velocità 25 Km/ h, equipaggio 4 uomini, autonomia 250 Km; I carri dell'A.C.I.T. erano 497 - secondo Liddel Hart 540 - dei quali 239 carri M e 20 carri L italiani, 30 Mark II, 170 Mark III e solo 38 Mark IV tedeschi. Solo il Mark IV tedesco aveva I cannone da 75 ed una corazzatura da 60 mm (peso 25 t, velocità 35 Km/h, equipaggio 5 uomini) in misura cioè di competere mn sufficiente efficacia contro gli Sherman ed i Grant (armamento e<l alta capacità di perforazione e corazzatura ad alta protezione) Quando la battaglia ebbe inizio, 1'8-' armata disponeva di un totale di t 440 carri armati muniti di cannone, 1 230 dei quali in condizioni di combattimento, mentre nel caso che la battaglia si fosse prolungata avrebbe potuto attingere dalla scorta costituita da un altro migliaio di carri armati che per il momento si trovavano al sicuro nei depositi delle basi o erano in riparazione. Rommel aveva solo 260 carri armati tedeschi (dei quali 20 erano in riparazione e 30 erano leggeri Panzer II) e 280 carri italiani (tutti di tipo antiquato) (Veds. Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 416). Un notevole squilibrio a favore dell'S-- armata esisteva anche nell'armamento controcarri. Il pezzo italiano da 47/32 non poteva in alcun modo reggere il confronto con il 57 inglese per le sue gravi deficienze (mancanza di scudo, impossibilità di traino, modesta gittata, piccolezza del calibro insufficiente ad ottenere la perforazione del 66 % dei carri nemici. Ottimo 1'88/55 destinato però ad assolvere, sempre, le funzioni di pezzo contraerei. Il numero degli 88 di Rommel era stato portato a 86 e, sebbene questi fossero stati rinfou,ati dall'arrivo di 68 p=i da 76 catturati ai russi, i suoi cannoni anticarro di tipo standard da 50 mm non erano abbastanza potenti da perforare, se non da distan:i:a ravvicinata, la coraZ7.a degli Sherman e dei Grant o dei Va/entine. Questo ostacolo era tanto più grave in quanto i nuovi carri armati americani avevano in dot37jone proietti esplosivi che consentivano loro di mettere fuori combattimento i cannoni anticarro avversari da una distanza considerevole (Veds. Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 417). (66) Storia militare della seconda guera mondiale. Op. cit., p. 416. (67) Storia delle guerre. Op. cit., p. 544. (68) T erza offensiva britannica in Africa Sl'ttentrionale ecc. Op. cit., p . 85 e p. 86.
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(69) Ibidem, p . 90. (70) Ibidem, p. llO, dove si legge: « L'apertura dei varchi veniva praticata a mezzo di carri " Scorpione " e con l'impiego di apposite squadre costituite da un gruppo di sminatoci e da un gruppo di appoggio. Sotto la protezione di quest'ultimo, fornito di armi automatiche, il gruppo sminatori provvedeva alla localizzazione delle mine mediante specifici rivelatori ed alla loro successiva rimozione previo disinnescamento. I corridoi aperti venivano poi delimitati con fettucce; i loro imbocchi con tabelle e con segnali luminosi non visibili dalla parte avversaria i.. (71) Storia della guerra. Op. cit., p. 543. (72) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op_ cit., p. 420. (73) Ibidem. (74) Montgomery B.L., Memorie. Mondadori, Verona, 1959, p. 142. (75) Tena oflensiva britannica in Africa sellentriona/e ecc. Op. cit., p. 103. (76) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 421. (77) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 103. (Alexander fl, D'El AJamein à Tunis et à la Sici/e. Oiarles Lavauzelle, Paris, 1949, p . 31).
(78 ) Montgomery, Memorie. Op. cit., p. 142. (79) Ibidem, P- 138. (80) Ibidem, p . 143. Il generale Alexander oosl descrisse l'attuazione del disegno operativo: « L'attacco doveva essere effettuato dal XXX corpo d'armata impiegando, da nord a sud, la 9"- divisione australiana, la 51a Higbland, la 2" neozelandese, la l" sudafricana. Le prime due dovevano dirigersi verso ovest su una linea presso a poro parallela alla catena Tell el 'Elsa e al di sotto di essa per praticare il corridoio settentrionale e le ultime due dovevano attaccare in direzione sud-0vest per assicurar,i il possesso della catena di Miteiriya e aprire un corridoio meridionale attraverso le difese. La 4~ divisione indiana, anch'essa sotto il comando del XXX corpo, doveva effettuare un'incursione diversiva lungo la catena del Ruweisat. Quando il XXX corpo d'armata avesse praticato questi due corridoi attraverso l'intera profondità delle difese nemiche, il X corpo d'armata con - da nord a sud - la l'· e la 10" divisione corazzata doveva passare attraverso i corridoi e prendere posizione su un terreno di propria scelta all'estremità opposta dei corridoi stessi. Era abbastanza probabile che il nemico avrebbe contrattaccato immediatamente con i suoi mezzi corazzati al fine di chiudere la breccia. L'avesse o non l'avesse fatto, la fanteria del XXX corpo d'armata avrebbe proceduto immediatamente alla distruzione metodica della fanteria dapprima tra i due corridoi e poi su ciascuno dei suoi fianchi, operando in direzione nord della catena di Tell el 'Elsa e in direzione sud della catena di Mitelriya. Il X corpo d'armata avrebbe impedito ai mezzi corazzati nemici di interferire con queste operazioni. Questa fase della battaglia avrebbe quasi certamente provocato una forte reazione da parte delle forze corazzate nemiche che difficilmente avrebbero potuto starsene ferme ad osservare la distruzione della propria fanteria. Ciò sarebbe stato a nostro vantaggio, ['Oiché avremmo costretto il nemico ad atLaa:arci sul terreno che avevamo prescelto.
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Simultaneamente all'attacco principale, il XIII corpo d'armata, con 1a 7.. divisione corazzata, la 44a divisione e la 50'- divisione al suo comando, doveva attaC9-Ie od settore sud. Bisognava fare due attacchi, uno attorno al fianco meridionale con la I brigata francese diretta contro Qaret d Himeimat, e l'altro a nord di Himeimat con la 44" divisione appoggiata dalla 7a. divisione corazzata. L'intenzione era, se ~ssibile, di fare una breccia in quelle posizioni nemiche, attraverso le quali noi avrenuno potuto sfruttare il successo; se l'operazione di Himeimat andava bene la IV brigata corazzata leggera avrebbe doppiato il fianco meridionale e sarebbe stata lanciata in una puntata contro el Dab'a, per distruggere i magazzini di rifornimento che colà si trovavano ed impadronirsi dei campi di atterraggio. Ma il valore principale che io mi aspettavo dall'operazione del XIII corpo d'armata era di distrarre l'attenzione nemica dall'attacco vitale del nord, e, in particolare, di mantenere di fronte ad esso le due divisioni corazzate che già si trovavano su quel fianco. Allo scopo di assicurarci che il processo di contenimento e di frizione agisse in nostro favore piuttosto che in favore del nemico, venne deciso che la 7a. divisione corazzata dovesse essere mantenuta possibilmente intatta e non dovesse andare incontro a perdite che l'avrebbero resa inefficienté. La IV brigata corazzata leggera non doveva essere lanciata contro cl Dab'a senza un ordine specifico» (Alexander H., D'El Alamein à Tunis et à la Sicile. Op. cit., p. 44). (81) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 110. (Alexander, Op. cit., p, 50). (82) Ibidem, p. 122. (Ibidem, p. 54). (83) Ibidem, p. 126. (Ibidem, p. 55). (84) Nella fase inglese di rottura, i contrattacchi italo-tedeschi di maggiore rilievo furono quello del III/61° Trento (24 ottobre); quello del gruppo d'intervento (15a corazzata, IV battaglione carri e DLVI gruppo semovente della Littorio) nella zona di Teli d'Elsa (24 ottobre); quello, non potuto eseguire, del 11/61° fanteria per la riconquista delle posizioni perdute dal II/62° (24 ottobre); quello dei reparti della 21.. corazzata appoggiati dal V gruppo artiglieria semovente dell'Ariete al quale presero parte anche i resti del raggruppamento Ruspoli (24 ottobre); quello del V /186° Folgore e del II/27° Pavia nella zona di Nagh Rala (24 ottobre}; quello fallito del II / 28° Pavia appoggiato da 12 carri armati tedeschi (24 ottobre}.
(85) Nella fase inglese di demolizione, i contrattacchi italo-tedeschi di maggiore rilievo furono: quello dei battaglioni carri II/8° tedesco, LI tedesco e IV Littorio (25 ottobre); XI bersaglieri con il concorso di carri della 15a e della Littorio, sulla posizione di Ridney (26 ottobre); quello del XII battaglione carri e del DLIV gruppo artiglieria semovente della Littorio in direzione della q. 34 (27 ottobre); quello del IV battaglione carri della Littorio con l'appoggio di una batteria semoventi poco a sud del costone di Ridney (27 novembre); quello dell'XI/7° bersaglieri appoggiato da aliquote di mezzi corazzati della Littorio e della 15"' tedesca su q. 28 (7 ottobre); quello, molto consistente, peraltro fallito, condotto da un robusto raggruppamento di reparti della Littorio, dell'Ariete, della 9()<" leggera, dclla 15a. corazzata e della 21.. corazzata contro le ali del saliente nemico (27 ottobre); quello a sud di el Wishka di forze di fanteria e corazzate italo-tedesche (italiane: XII battaglione carri e DLIV eruppo semnvt>nte cfolla Littnrin) elci 28 ottohre.
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(86) Il 26 ottobre venne affondata la nave cisterna Proserpina con 4 869 l di carburante. La situazione dei rifornimenti si avvicinava a una catastrofe. La nave cisterna Proserpina, il cui arrivo avrebbe portato un miglioramento, era stata bombardata ed affondata davanti a Tobruch. Fra Dengasi e il fronte c'era ancora carburante per i viaggi di rifornimento di 2 o 3 giorni. Con queste scorte dovevano muoversi anche le unità motorizzate (Guerra senza odio. Op. cit., p. 265). Il maresciallo Cavallero annotò nel suo diario (Comando Supremo. Op. dt., p. 354, p . 355, p. 356, p. 358, p. 361, p. 362, p. 364, p. 366): - 26 ottobre: Abbiamo perso il Proserpina ... Adesso il problema è vedere quello che si fa per rimediare! Avevo predisposto personalmente la partenza del Luisian.1... È diretto a Tobruch, ma non è detto che vada colà: lo manderemo forse a Bengasi con. minore pericolo. Il dilemma è: è meglio che vada a fondo oppure che il carburante arrivi un po' indietro? Intanto i tedeschi portano per aereo 150 t al giorno di carburante dall'Egeo. A sera l'ammiraglio Riccardi mi informa che il Tergestea è affondato alle 18,50. Portava viveri e 300 r di munizioni: ordino d'inviare munizioni per via aerea.
- 27 ottobre: Mi reco a conferire con il Duce. Illustro la situazione sullo scacchiere ·mediterraneo. Da Lecce e <la Tatoi si porta carburante per via aerea. Urge rifornire hcnzina per l'Armata corazzata. Gli prospetto l'assillo e le difficoltà. Il Dm.-e ne conviene e mi dice che questo problema gli rode il fegato da mattina a sera ... La situazione delle truppe sta diventando grave per deficienza di carburante. La Panzer Armee ha ancora due giornate e me7.zo di carburante; tutte le speranza erano fondate sul Proserpina. Altro punto critico è quello delle munizioni ... Anche senza fare spostamenti continui il cons11mo dell'Armata corazzata durante la battaglia sale a 750 t al giorno di carburante. Chiedo a Riccardi <li fare almeno arrivare il Luisiana ad ogni costo. Mi risponde che non c'è nulla da fare. 11 Luisiana è già stato avvistato e attaccato da aerei nemici per ora senza esito. Sono disposto a consumare 10 mila tonnellate di nafta pur di fare arrivare qualche cosa fra quattro giorni se non è possibile in tre... -
28 ottohrc: Nessun naufrago del Tergestea è stato salvato...
- 29 ottobre: Abbiamo perduto anche il Luisiana. Tdefono a Riccar<li ordinandogli di orientarsi sul Giordani e d'inviarlo in Africa con la forza della disperazione ... Prego infine di assicurare la particolare protezione, con tutti i m=i e tutti gli sforzi, per il Portofino che è lento e deve arrivare ad ogni costo... La situazione si salva qui ... La perdita del Luisiana non rende ancora la situazione del tutto disperata, ma bisogna che arrivino il Portofino e poi il Giordani. Potremo ancora perdere il Portofino, ma se non arrivasse il Giordani la cosa sarebbe veramente molto grave... Il Barletta è già in moto. I 10 sommergibili di linea sono pronti sin da ieri sera per caricare munizioni. Il Giordani potrà partire a1 posto di una motonave nel convoglio del giorno 3. Lo Sportivo è in moto. Il Capo d'Orso parte domani. Il Martini ed il Leva sulla rotta di Tripoli procedono regolarmente, 150 aerei tedeschi, con alianti di carico, sono già in movimento. Se lo stato del mare lo consente, utilizzeremo anche le motozattere per il trasporto di carburante... - 30 ottobre: L'ho informato dei provvedimenti presi e dell'invio di 500 t di carburante a1 giorno a mczz.o di aerei... Informo il Duce dell'avvenuto arrivo del Barletta a Tobruch. Seguiranno il Brione e il Lara. Sono piccole navi che fanno da incrociator i usiliari e sono molto veloci ...
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- 31 ottobre: Mi è stato comunicato che stamane da Lecce e da T atoi sono partite 71 t di carburante cd 8 t di munizioni germaniche... - 1 novembre: Due piroscafi, l'Ostia e il Tripolino, che fanno cabotaggio lungo la costa libica sono affondati... Il Portofino è in ritardo di 24 ore per causa della avaria alla nave compagna Anna Maria Gualdi... - 2 novembre: Perdita dello Zara... Per il trasporto dei carburanti telefono allo ammiraglio Riccardi, chiedendo quali disposizioni ha preso in previsione della deprecata ipotesi che il Portofino non giunga a destinazione. Raccomando di serrare sotto Giordani e Ankara... Passando ad accennare al convoglio affermo che il Portofino ed il Giuliano debbono arrivare ad ogni costo. Se Ro=el tiene e questi arrivano è la vittoria ... - 3 novembre: ... Il Monviso è arrivato a Suda e dovrebbe proseguire con il Barletta che però non è ancora carico. Etiopia e Assab sono arrivate a Tobruch con molta benzina. Il Giuseppina è già in navigazione. - 4 novembre: Il Capo d'Orso è arrivato a Bengasi. Porta 685 t di benzina, 744 t di munizioni, e poi viveri e altri materiali. Il Portofino nella notte è stato attaccato ripetutamente da 8 aerosiluranti e 5 bengalieri. Ma da questo momento il Portofino viaggia sotto una scorta continua di 50 aerei e si calcola che verso le 11,30 arriverà a Bengasi. .. Occorre fare attenzione ai sommergibili. Arriveranno cosl altre 1000 t di carburante ... (87) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 134. (88) Ibidem, p. 140 e Memorie. Op. cit., p. 158.
(89) Ibidem, allegato n. 29, p. 446. Il generale Alexander precisa nel suo libro D'El Alamein à T unis et à la Sidle (Op. cit., p. 58): « L'operazione Supercharge doveva essere un'operazione molto simile a quella del 23 ottobre. Avanzando in direzione ovest su un fronte di 3 600 m, le brigate di fanteria CLI e CLII (5~ e 51& divisione), appoggiate dalla XXIII brigata corazzata, dovevano praticare un viale attraverso le nuove posizioni del nemico, spazzando i campi minati man mano che passavano. Nello stesso tempo il XXVIII battaglione Maori e la CXXXIII brigata di fanteria (44.. divisione) dovevano occupare alcune importanti località nemiche sui fianchi dell'avanzata. La IX brigata corazzata seguendo da presso la fanteria doveva allora avanzare di oltre 1 800 metri al di là del suo obiettivo e penetrare attraverso una forte cortina di cannoni che sapevamo essere in posizione lungo la pista di Rahman, ad occidente della quale doveva formare poi una testa di ponte ». (90) Guerra senza odio. Op. cit., p. 274. (91) D'El Alamein à Tunis et à la Sicile. Op. cit., p. 58.
(92) Guerra senza odio. Op. cit., p. 279. (93) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 425.
(94) Gue"a senza odio. Op. cit., p. 280. (95) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 176. (96) GtJerra senza ndin. Op. cit., ~ 257.
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(97) Terui offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 185.
(98) Ibidem, p. 188. (99} Ibidem. (100} Guerra senza odio. Op. cit., p. 274. (101) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 188. (102} Guerra senza odio. Op. cit., p. 271. (103} Comando Supremo. Op. cit., p. 357.
(104) Tena offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cir., allegato n. 27, p. 443. (105} Ibidem, allegato n. 28, p. 495.
(106} Storia della seconda guerra mondiale. Op. cit., p, 423. (107} In esecuzione degli ordini impartiti dal maresciallo Rommel per il ripiegamento:
n~I settore meridionale: l'Ariete raggiunse nella notte sul 3 la zona poco a sud di Pass for cars dove tornò alle dipendenze <ld XX corpo d'annata e da dove prosegul :verso nord-est schierandosi, nel tardo pomeriggio del 3, fra Alam Burt Sabai el Gharbi e Dcir e1 Beida; il X corpo d'armata ruppe indisturbato il contatto dalle ore 23,30 del giorno 2, si spostò a piedi, utiliu,ando gli automezzi disponibili per il uasporto delle armi, delle munizioni e delle scorte di viveri e d'acqua, e raggiunse il mattino del 3 il margine posteriore della seconda fascia di campi minati schierandosi con la Pavia fra Qaret el Khadim e la depressione di el Qattara, la Folgore fra Qaret el Khadim e q. 112 nord, la Brescia fra la q. 112 e la zona di Bab el Qattara; la brigata paracadutisti compì anch'essa il ripiegamento sen7A'l essere disturbata dal nemico e si schierò la mattina del 3 nella zona di Bah el Qattara; nel settore centrale: il XXI corpo d'armata nella notte sul 3 ruppe il contatto con il nemico senza forte pressione, compì la marcia a piedi e trainando a braccia le armi conuocarri, la mattina del 3 raggiunse posizioni a tergo della linea Bir el Abd - margine ovest di Deir el Beida che era quella fissata dal comando dell'A.C.I.T. e si schierò con la Trento a nord e la Bologna a sud, fronte a nord-est, risultando con l'ala destra quasi in corrispondenza del varco lasciato fra le due bretelle di campi minati. Il movimento venne protetto da 2 compagnie nel settore della Trento e da un battaglione nel settore della Bologna anziché dal XX corpo d'armata che avrebbe dovuto fornire anche gli automezzi per il trasporto delle armi e delle dotazioni, automezzi che non furono disponibili ; nel settore settentrionale: il XX corpo d'annata ricevé l'ordine di schierare le tre divisioni nella zona di Deir el Murra-Bir el Tbd. La Trieste - ad eccezione del 66° reggimento fanteria che, non riuscendo a rompere il contatto con il nemico, poté effettuare il movimento solo a sera, sotto la protezione dell'Ariete - nel pomeriggio si schierò in zona Alam Burt Sabai; la Littorio (resti} si trasferl nello stesso pomeriggio nella zona ad ovest di Dcir el Murra; l'Ariete rimase nella zona di Alam Burri Sabai-Alam e! Bilusiyal a protezione del ripiegamento del 66° fanteria. L'Ariete ragJtiunse la wna a sud di Deir cl Mnrr~ solo il mattino del 4 novembre, anziché del 3.
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Il D.A.K., più a nor<l, rimase schierato a semicerchio <lavanti alla sacca nemica tra Bir Gibril Khamis e Teli el Aqqaqir, mentre reparti di fanteria, in prevalenz.'\ della 164"-, si raccolsero su posizioni arretate. Nella zona costiera venne arretrata tutti l'ala sinistra dello schieramento: la 9Qa occupò le posizioni fra q. 16 di Tel1 el Salahbi e Gibril Khamis; il 125° della 164a, ritirata dalle posizioni avanzate che aveva mantenuto per 11 giorni, si schierò poco a nord di Sidi Abd el Rahman; analogamente, il X battaglione bersaglieri, ritirato dalla prima linea, si schierò a cavallo del costone di q. 27 , poco a nord del Km 150 sulla ferrovia; sulla strada costiera si schierarono il 1/39", il 3° reparto esplorante tedesco a el Dab'a, il battaglione Lupi di Toscana a cl Dab'a passando alle dipendenze della 90a. Nel complesso nella prima fase del ripiegamento, l'A.C.I.T. poté compiere il primo sbalzo retrogrado abbastanza regolarmente: l'avi~iom: nemica concentrò la sua azione lungo la strada costiera; . nel settore su<l, gli inglesi solo nel tardo pomeriggio del 3 esplicarono una notevole attività di fuoco ed avanzarono senza peraltro ristabilire il contatto con le unità del X corpo d'armata italiano. (Veds. Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc, Op. ciL., pp. 150-156).
(108) Ibidem, p. 157, p. 158, p. 159. (109 ) Storia della seconda guerra mondiale. Op. cit., p_ 425. (110) Terza olfensiàa britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 157. L'o1·dine testualmente prescriveva: « Il nemico al momento non incalza. Si deve subito cominciare il ripiegamento dei reparti, compresi i battaglioni presso il Km 158 della strada e presso El Dab'a, scavalcandoli verso la zona a sud e sud-ovest di Fuka. La sistemazione di una nuova posizione difensiva ... Brigata lvimcke e X corpo d'armata rimangono per ora nella vecchia posizione». Testo dei messaggi del Comando Supremo italiano:
- Colacit: « Prcgovi comunicare Rommel che Duce r1t1ene necessario mantenere a qualunque costo attuale fronte poiché secondo avviso Comando Supremo territorio egiziano non offre posizioni idonee se non per sosta et temporanea resistenza per riordinamento for.-:e. Per estrema precauzione Delease habet avuto già da vari giorni o rdine imbastire con pochi reparti et artiglierie disponibili posizioni Sollum-Halfaya. Ciò beninteso senza sottrarre alcun elemento a quelli che sono destinati ad Acit. Rifornimenti vengono spinti con ogni mezzo , via aerea et via mare. Cavallero ». - Delease: « Comando Supremo ritiene in<lispensabile che Atmata corazzata tenga a qualunque costo attuali posizioni. :È del parere che nella deprecata ipotesi di un ripiegamento, territorio egiziano non offra possibilità di sosta se non per riordinamento e temporanea resistenza e che la sola linea di difesa utiJizzabile, nonostante suoi difetti, sia, come più volte già indicato, quella di Sollum-Halfaya che avete avuto ordine di imbastire. Qualora in estrema ipotesi Rommel si trovasse costretto ad arretrare, manovra tra fronte attuale e confine cirenaico non potrà essere regolata che da comando armata corazzata. Ciò per vostro orientamento. Maresciallo Kcssclting parte stamane ore 10 e conferirà in giornata con Rommel sulla base dei concetti sopra esposti e che pienamente condivide. Aggiungo che rifornimenti vengono spinti con massima alacrità. Quanto' g,__ predisposizioni che riteneste indispensabili da parte di Delease tenete presente necessità d i evitare di dare ad alcuno sensazioni deprimenti. Cavallero ». ( 111 ) Terza offemiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 159.
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(112) Guerra senZJJ odio. Op. cit., p. 285. (113) Terza oHensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 165. (114) Guerra senza odio. Op. cit., p. 288. (115) Tena offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 166. Relazione giornaliera del 4-XI-1942. Al Comando Supremo. Radiomessaggio n . 10 840 ore 20. - « Nelle ore antimeridiane la divisione corazzata Ariete, il corpo tedesco d'Africa e la 90" divisione leggera d'Africa, hanno respinto parecchi attacchi di fanteria e di robuste forze corazzate. Viceversa, nel primo meriggio, dopo rinnovate azioni con numerosi carri armati pesanti, sostenute da fortissimo fuoco d'artiglieria, il nemico è riuscito a sfondare il fronte del corpo tedesco d'Africa in tre punti. La eliminazione di questi sfondamenti, a causa della mancanza della riserva, non è stata possibile. Contemporaneamente la divisione corazzata Ariete è stata ripetutamente attaccata, sia sul fronte, sia sul fianco da circa 100 carri armati. Forti contingenti della divisione, o sono stati distrutti o, dopo valorosa resistenza, sono caduti in mano avversaria. Non è dato sapere, sino a questo momento, dove si trovino i resti della divisione cor82Zllta Uttorio e della divisione motorizzata Trieste. Già in precedenza il XXI corpo d'armata era stato sfondato da robusta forza corazzata e, con alcuni suoi reparti, aveva ripiegato verso ovest. S11ccessivamente la ricognizione aerea ha informato che il X corpo d'armata, fortemente: premuto dal nemico, del pari ripiegava verso ovest. A causa del ripiegamento del X e del XXI corpo d'armata, della distruzione della divisione coraz?,ata Ariete, nonché degli sfondamenti presso il corpo tedesco d'Africa, l'attuale fronte non può più essere tenuto. Perciò, anche al fine di evitare che il corpo tedesco d'Africa e la 90" divisione leggera d'Afrka restassero tagliati fuori , si è dovuto impartire l'ordine di ripiegare sulle posizioni di Fuka. Per il momento non è dato giudicare se SL r1uscira a cosntmre ed a mantenere colà un nuovo fronte ... » (Segue la notzia della cattura del generale Thoma). (116) Storia militare della seconda gue"a mondiale. Op. cit., p. 426.
(117 ) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 199, p. 200 e p . 202. (Ordini del comando Supremo rispettivamente del 4 e del 5 novembre). ( 118) Comando Supremo. Op. cit., p. 367: « Faccio presente [al generale von Rintelen] che il ripiegamento di Rommel può avvenire solo entro un certo limite e che un forte arretramento non significa più difendersi fino all'estremo e porta alla perdita delle divisioni a piedi. Se Rommel ripiega l'armata è persa» (4 novembre); p. 367: « Telegrafo al gen. Barbasetti disposizioni per la difesa della Cirenaica » (5 novembre); p . 368: « È necessario rinforzare l'imbastitura Sollum-Halfaya ed approntare mezzi alla frontiera tunisina. Sposteremo la Piave in Sicilia per poterla portare oltre mare o per organizzare una difesa manovrata in caso di tentativo di sbarco nell'isola. È mio intendimento orientare La Spezia verso la frontiera tunisina e portare su quella linea almeno una parte della Piave... Concludo che ora bisogna pensare a sostenere l'armata che si ritira dall'Egitto. Farò affluire oltre alle artiglierie della Brennero un centinaio di pezzi da 47 in modo che la linea Sollum-Halfaya diventi una fortezza» ... « Giunge Kesselring e mi conferma che ieri è stata una giornata molto difficile. 'L'armata ' egli dice 'deve essere sostenuta giorno e notte ed il nemico deve incontrare il più terribile contrasto nella sua avanzata. L'unico pezzo efficace contro il nuovo carro inglese Pilote è 1'88 a breve distanza. Occorre aumentAtli
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e dotarli di mezzi di rapido movimento. Un reggimento di fanteria che era a Creta sarà subito aviotrasportato'... » (5 novembre); p. 370: « La situazione in Africa si è aggravata. Ho fatto un telegramma a Barbasetti circa la divisione Giovani fasdsti... la situazione aeronautica è piuttosto nera. Da prime notizie gli (al generale .Gand.in) risulta che disponevano sul fronte di appena 15 Macchi 202. Più indietro di 25 cli cui però solo 2 Macchi 202. Le forze tedesche sarebbero cli poco superiori .... « Rommel a Marsa Matruk potrà fare una sparuta resistenza che non potrà durare più cli una giornata e poi si ritirerà accelerando il movimento perché il nemico incalza con l'aviazione e con le camionette. Domenica secondo i miei calcoli sarà·. a SollumHalfaya dove dovrà guardarsi specialmente sulla destra perché il nemico non attacca più sul fronte ma aggira prima con le camionette e poi con i mezzi pesanti. L'armata ha fatto 150 Km in un giorno ed una notte e quindi le fanterie sono da considerarsi completamente perdute. Rommel, dopo aver perduto la maggior parte delle ·sue forze, si ritira con unità molto decimate. In queste condizioni non potrà opporre nessuna seria resistenza. Do ordini per la difesa della Cirenaica »... « Per un eventuale nostro sbarco in Tunisia occorre prima vedere l'atteggiamento francese. Se non si difendono o sono almeno sicuramente neutrali la cosa è possibile, altrimenti non conviene» ... « Egli [Mussolini] si rende conto della gravità della situazione in Africa·. E -accorato ma obiettivo. Manifesta la possibilità di un attacco nemico nell'Africa settentrionale francese e conclude che se i francesi facessero causa comune con . gli· inglesi noi potremmo tentare la C. 2 (occupazione della Corsica). Noi potremmo batterci sulla Corsica e tener d'occhio la Francia meridionale e forse occuparla» ... « AI termine della riunione, quando tutti gli altri hanno preso congedo, il Duce mi fa alcune considerazioni sulla Libia, dice che ci è costata centinaia di migliaia di uomini , preziosi materiali, artiglierie, perdite di tonnellaggio» ... (6 novembre); p. 374: « Ho fatto fare un nuovo telegramma al maresc. Rommel per chiarire meglio la funzione di Sollum-Halfaya dove ha deciso di ritirarsi, e l'impiego della Giovani fascisti... " Ho un telegramma di Gandin. Ha parlato con Rommel per circa un'ora e mezzo a Marsa Matruh. ·Rommel conferma la gravità delle perdite e dice che le forze italiane sono in gran parte perdute. E stata perduta anche ·notevole parte delle forze germaniche. Evidentemente Rommel esagera per giustificare la sua ritirata". Conta da Marsa Matruh, dove sono giunte ieri sera forze corazzate di circa 30 carri, di portarsi a Sollum-Halfaya, ove affluirà anche la Giovani fascisti. Impossibile prevedere la durata della resistenza su tale linea, tutto ora dipende dall'attività del nemico » ... « Il Duce mi incarica di avvertire il maresciallo Bastico che in caso di situazione dura, la Tripolitania deve difendere la bandiera. Anche l'insuccesso può essere glorioso» (7 novembre); p. 376: « La proposta di uno sbarco da parte nostra in Tunisia viene da me respinta data la mancanza di piroscafi e di carri. Esso poi non è più attuabile perché l'amm. Darlan ha chiesto aiuto alla Germania ed il Fuhrer ha aderito» ... « Mio incontro con Kesselring; ·Affermo che noi dobbiamo al più .presto poter sfruttare il porto di Tunisi per portare colà nostre forze. Ero pronto a fare lo sbarco in Corsica ma i francesi si dìfendono in Africa e quindi non è opportuno. Poiché l'Alto Comando germanico al mio dilemma se con la Francia o contro la Francia ha deciso per la prima soluzione, ho disposto che wì-1:0nvoglio sia pronto al più presto per la Tunisia» ... « Il nostro intervento in Tunisia è l'unico modo per salvare ancora la Tripolitania »... « Notizie pervenute dal Cairo comunicano che sei divisioni di fanteria italiane, che erano state accerchiate dalla ga. armata nel deserto, sono state fatte prigioniere con tutto il loro equipaggiamento. Esse sono: Trento, Trieste, Pavia, Bologna, Brescia e Folgore. Novecento cannoni sono stati distrutti o catturati, di cui trecento pezzi di artiglieria da campagna
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e cannoni di medio calibro, cinquecento cannoni anticarro ed il resto cannoni antiaerei da 88 ... • (8 novembre); p. 382: « Passo poi a ronsidetare la situazione generale in Libia e affermo che a noi conviene oramai abbandonare la Cirenaica per avere le forze più raccolte. Non si può manovrare tra Sollum e la frontieta tunisina perché la distanza è troppa. Ci conviene restringerci; tanto più che si apre la via di Tunisi • (10 novembre). (119) Tena offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 215.
(120) Ibidem, allegato n. 32, p. 455. (121) Comando Supremo. Op. cit., p. 388. (122) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 240. (123) Comando Supremo. Op. cit., p. 389. (124) Tena offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 239. (125) Guerra senza odio. Op. cit., p 932. (126) Comando Supremo. Op. cit., p. 394, 395 e 396: « Presiedo un'altra riunione per l'esame della situazione in Libia. Affermo che Rommel ha avuto ordine di resistere su el Agheila e che l'Alto Comando tedesco è pienamente concorde. Malgrado questo
Rommel ritiene necessario il ripiegamento ed ha fatto presente di avere appena i m=i per temporeggiare e fare defluire le fanterie. Si è concordato di resistere su el Agheila che rappresenta il collo di bottiglia e presenta quindi le maggiori l,>OSliibilità per essere difesa. Kcsselring rileva che i carri nemici non rappresentano ancora una forza so;,crchiante e quindi la nostra armata corazzata potrebbe ancora impegnare il combattimento e contrattaccare, sia pure con obiettivi limitati. Rommel dovrebbe poter agire in questo senso. L'avrebbe certamente fatto un anno fa. Se fosse sul posto gli darebbe un tale consiglio e gli ricorderebbe che or è un anno ha battuto con soli quaranta carri una brigata e mezza nemica. Rispondo che concordo pienamente ma tuttavia Rommel insiste per ritirarsi. Faccia attenzione alla fanteria quando sarà il momento perché non subisca la stessa sorte delle altre volte. Sull'argomento Kesselring torna animatamente. Afferma che se potesse parlare con Rommel gli direbbe: " Per 1 200 Km avete condotto una ritirata tenendo indietro il nemico e le vostre truppe possono ancora fare una difensiva decisa; vi siete ritirato per 1 200 Km cd il nemico vi ha seguito; sta per entrare in un punto morto. Dai nostri calcoli risulta che in Russia l'attacco si esaurisce dopo 300 Km. È da ammettere che in Africa si esaurisce dopo 1 000 Km perché a questa distanza la forza si trasforma in debolezza. Se il nemico segue con poche forze le può rifornire, ma non può pensare a rifornire quattro divisioni corazzate e quattro motorizzate a quella distanza. La massa delle forze nemiche risulta essere ancora al di là di Sollum e pertanto dobbiamo combattere solo contro gli elementi di avanguardia che Rommel deve poter distruggere uno alla volta. Rommel, voi non sapete come lavoriamo alle vostre spalle; l'aviazione attacca strade e retrovie e indebolisce il nemico; le strade sono interrotte ed obbligano il nemico a sostare; gli aeroporti di Barce, Derna e Marada non sono di inverno sfruttabili. Voi non siete cosi debole come credete; avete almeno il doppio di quello che dite; avete già 50-60 carri senza contare quello che vi arriva. La Flak è in linea con 11 batterie pesanti e 5 leggere. Anche la questione della benzina ha superato 1n crisi.
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La situazione generale è che se abbandonate la posmonc di el Agheila per .quella di Bucrat può darsi che non possiate tenere neanche su questa. Il contraccolpo si avrebbe anche in Tunisia. Se abbandoniamo la Tripolitania, ci chiudiamo in un assedio difficile da sostenere, con gravi difficoltà anche per i rifornimenti ... :i:. vero che la decisione della battaglia sarà a Tunisi ma la vostra ritirata su Buerat sarebbe giustificata solo se aveste tanti rifornimenti da poter passare al contrattacco appena giunto colà ". Concordo pienamente» (22 novembre). (127) Il 4 dicembre si verificò la prima incursone aerea della 9• USAAF su Napoli. (128) Comando Supremo. Op. cit., p. 384 (incontro di Monaco tra Hitler, Ciano e Lava!), p. 383 (ordine all'ammiraglio Riccardi per l'operazione C. 2), p. 384 (ordine al generale Ambrosio per l'occupazione della Francia), p. 387 (questione della linea di demarcazione italo-tedesca nella Francia meridionale). (129) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., allegato n. 31, p. 451. (130) Ibidem, p. 275 (verbale della riunione). (131) Ibidem, p. 207. (132) Ibidem, p. 206.
(133) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 426, p. 427 e p. 428. (134) Le forze residne del XX corpo d'armata erano: Ariete (comando, 2 compagnie bersaglieri motorizzate, 2 p=i di artiglieria); Littorio (mmando, 2 compagnie bersaglieri motorizzate, 2 pezzi da 100/ 17); Trieste (comando, 66° reggimento su 2 battaglioni di 2 compagnie ciascuno). In tutto: 12 carri armati efficienti (altri carri furono avviati con autotraini e mezzi di ripiego alle officine arretrate). I resti del XXI corpo: elementi della Bologna, della 164" divisione tedesca, della Pavia (comando del 28° e circa 300 uomini) nonché uomini isolari; combattenti e addetti ai servizi logistici e amministrativi delle unità del X, del XXI e anche del XX corpo fur::>no avviati direttamente a tergo delle posizioni di cl Agheila. Il comando del XXI corpo si fermò, invece, ad Halfaya per assumere il comando del settore. (135) La divisione Pistoia comprendeva, oltre gli organi di comando cd i scrv1z1 propri di ogni divisione: 2 reggimenti di fanteria (35° e 36° reggimento fanteria), ciascuno su 3 battaglioni (2 normali e l controcarri), l reggimento di artiglieria su 3 gruppi (1 <la 75/27, l da 100/17, 1 da 105/28) ciascuno su 2 batterie e l battaglione genio. La divisione Giovani fascisti comprendeva 2 battaglioni di fanteria, il IV battaglione libico, il IX battaglione A.S. di Giarabub e 4 gruppi di artiglieria.
Il Comando Supremo dispose (Terza o/fensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 202) inoltre che sulla linea Sollum-Halfaya il Superlibia facesse affluire tutto ciò che fosse possibile trarre dalla Cirenaica, impegnandosi da parre sua a fare affluirvi « molte armi da 47, da 20 et un certo numero cannoni <la 65/17 » e comunicando che vi avrebbero dovuto giungere « alcuni reggimenti germanici». ( 136) Terza offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 213.
CAP. XXXVI • UPERAZIONT ITALO-TEDESCHE ( PARTE SECONDA)
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(137) Ibidem, p. 361. (138) Ibidem. (139) Ibidem, p. 229. (140) Ibidem, p. 363. (141) Ai primi di luglio del 1942 quando l'A.C.I.T. si trovava già schierata sulle posizioni di d Alamein la divisione corazzata Giovani fascisti era dislocata in zona Soluch-Chemines a sud di Bengasi. Durante il mese fu trasferita verso il confine lil:ico-egiziano, dove si dislocò, in due gruppi di forze, a Capuzzo cd a Siwa. Il 1° settembre fu tutta raccolta a Siwa, ad eccezione di 1 gruppo di artiglieria distaccato a Giarabuh. TI 17 settembre ebbe in rinforzo il 3° reparto esplorante della 21a corazzata tedesca. I-1 grande unità continuò impropriamente a conservare la denominazione di divisione corazzata, anche se non ne ebbe mai né la consistenza né le caratteristiche di armamento. La sua formazione, infatti, prevedeva, quali elementi essenziali: 1 reggimento di fanteria carrista su 3 battaglioni; 1 reggimento di fanteria autoportata su 3 battaglioni ; 1 reggimento cli artiglieria su 6 gruppi dei quali 2 semoventi. La divisione, anche in seguito al riordinamento del 1° dicembre, rimase sempre priv~ del reggimen10 di fanteria carrista e dei 2 gmppi semoventi. La sua fanteria autoportata. invece, fu poi ordinata su 6 anziché su 3 battaglioni (2 reggimenti). (142) Veds. precedente nota n. 120. (143) T erza offensiva britannica i11 Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 247. La frase è del generale Alcxander: D'El Alamt:in cl Tunis et à la Sicile, p. 70. (144) Ibidem, p. 355. (145) Ihidcm, da p. 254 a p. 256. (146) Ibidem, p. 260. Dall'inizio della battaglia sino allo sgombero della Cirenaica le perdite italiane (escluse Marina ed Aeronautica) erano state: personale (morti, feriti, dispersi) 29 301 uomini ; armi individuali 37 000; armi automatiche 3 300; armi controcarro e contraerei (mitragliere da 20 e da 25, pezzi da 37 e da 47 ) l 700; morrai da 45 e mortai da 81, 110; pezzi di artiglieria 380; carri M, 460; carri L, 50 ; autoblindo 40; automezzi 7 300 (dei quali 5 250 delle unità e 2 050 dell'Intendenza e di questi ultimi circa la metà giacenti presso i parchi perché ineffkienti ); materiali sanitari 430 r; derrate 1 700 t; vestiario cd equipaggiamento l 600 t ; munizioni 11100 r; materiali del genio 5 200 t; materiali chimici 250 t; materiali automobilistici (esclusi gli autome-ai) 670 t; carburanti e lubrificanti 680 t. (147) Ibidem, p. 259. Si riusd a sgomberare: tutti gli enli a carattere territoriale; i tribunali e i detenuti; alcune migliaia di prigionieri di f,'Uerra; circa due terzi delle hattcrie contraerei da posizione; i centri d'istruzione fanteria, carristi e artiglieria ; 16 ospedali da campo completi e 5 incompleti su 26 e quasi tutte le rimanenti formazioni sanitarie; tutti i feriti e i malati ( meno 150 intrasportabili lasciati a Marsa Matruh); circa la metà dei materiali sanitari; quasi tutte le unità e gran parte dei materiali sanitari ; quasi tutte le unità e gran parte del personale dei servizi di commissariato, postale e delle tappe; gran parte delle armi giacenti nei magazzini e dei materiali di collegamento non impiantati; i 3 parchi automobilistici con il personale
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ed aliquote dei macchinari e delle parti di ricambio; la quasi totaltà delle unità dei servizi di trasporto. Ibidem, p. 243. A romplemento ed a rettifica delle disposizioni impartite dal Superlibia il 9 novembre (Ibidem, p. 220), la Delease il 15 novembre impartl nuove disposizioni per la istituzione di: 3 centri di riordinamento (uno per il X, uno per il XX ed uno per il XXI corpo d'armata); 2 campi di concentramento per gli elementi isolati da avviare successivamente ai centri di riordinamento ed ai centri di istruzione; 1 zona raccolta per le unità del genio; centri di istruzione per fanteria, carristi, artiglieria, autoblindisti e servizi vari, 1 centro di raccolta e di riparazione per gli automezzi. Tutti questi enti, rompresi i parchi automobilistici (Zo, 21° e 5°), vennero dislocati nella Sirte ed in Tripolitania. (148) Ibidem , allegati n . 35 e n. 36, p . 462 e p. 466. La formazione e la rostituzione (di massima) delle divisioni italiane esistenti in Tripolitania alla data del 1° dicembre 1942 fu la seguente: - divisione di fanteria Pistoia: 2 reggimenti di fanteria (35° e 36° su ·3 battaglioni ciascuno), 3° reggimento di artiglieria (su 1 gruppo da 100/17 di 1 batteria, 1 gruppo da 100/17 di 3 batterie, 2 gruppi da 75/27 su 3 batterie ciascuno), un battaglione genio in affluenza, una sezione sussistenza. La divisione fu, inoltre, rinforzata con 1 gruppo da 75/27 di 3 batterie, 1 gruppo da 105/28 di 2 batterie, 2 batterie da 65/17; - divisione di fanteria La Spezia: 2 reggimenti Ji fanteria (125° su 1 compabma guastatori, 3 battaglioni, 2 sezioni da 20; 126° su 1 compagnia guastatori, 3 battaglioni, 2 sezioni da 20), 80° reggimento di artiglieria (su 2 gruppi da 65/17 di 3 batterie ciascuno, 1 gruppo da 65/17 di 4 batterie, 1 gruppo da 105/28 di 3 batterie), un battaglione misto genio e una compagnia artieri, 1 sezione di sanità e 1 sezione di sussistenza. La divisione venne inoltre rinforzata con un battaglione camicie · nere su 4 compagnie, 8 batterie di vario calibro; - divisione corazzata Giovani fascisti: un reggimento Giovani fascisti su 2 battaglioni ed 1 battaglione controcarri; 8" reggimento bersaglieri su 3 · battaglioni (LVII, Lonza, X del 7°); 136° reggimento di artiglieria (su: 1 batteria da 20, 3 gruppi da 65/17 su 3 batterie ciascuno, 1 gruppo d a 100/17 su 2 batterie), un battaglione genio misto, una se-..:ione sanità. In rinforzo: un battaglione autonomo, 2 compagnie della guardia alla frontiera, 3 batterie di vario calibro; - divisione fanteria T rieste (A.S. 42): 2 reggimenti di fanteria (65° su 3 battaglioni e 1 compagnia mortai da 81; 66° su 2 battaglioni, 1 battaglione controcarri, 1 rompagnia mortai da 81}, 21° reggimento di artiglieria (su 1 gruppo da 100/ 17 di 3 batterie, 1 gruppo da 75/27 di 3 batterie, 1 gruppo da 75/50 Skoda}, un battaglione genio, una sezione di sanità, una sezione di sussistenza; - divisione corazzata Centauro ( parte in Tripolitania, parte in Tunisia e parte in Italia ): in Tripolitania : comando divisione ed aliquota del quartier generale; 5° bersaglieri (comando, 1 battaglione autoportato e 1 battaglione armi di accompagnamento e contraerei), 31° reggimento carristi (1 battaglione carri M 41 su 2 compagnie, 1 battaglione carri M 41 su 1 compagnia ed 1 compagnia di formazione di 13 carri ed 1 semovente da 75/18, 1 compagnia da 20, 1 reparto riparazioni e recuperi con officina mobile pesante), 1 gruppo autoblindo, 1 reggimento artiglieria per divisione corazzata (su 1 gruppo misto da 90/53 e da 20}; in Tunisia: 1 compagnia di formazione del 5" bersaglieri e elementi del XIV e XVII battaglione carri M/41 (1 compagnia per ciascun battaglione); in Italia: tutto il resto della divisione (quartier gene-
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rale, reparto romando tattico, 5° bersaglieri su 1 compagnia motociclisti e 1 batta. glione autoportato, 31° carristi su 1 battaglione carri M 41 inviato in uirsica e personale di 2 compagnie del XVII battaglione, 131° reggimento artiglieria (su 2 gruppi da 75/27, 1 gruppo da 105/28, 2 gruppi semoventi da 75/18); un battaglione controatti divisionale, un battaglione misto genio, servizi.
(149) Ibidem, da p. 290 a p. 291. (150) Ibidem, p. 240. (151) Ibidem, allegato n. 37, p. 469. (152) Ibidem, p. 269. Il generale Mancinelli - ufficiale di collegamento tra il Comando Supremo ed il Superlibia con il comando dell'A.C.IT. - il 20 novembre comunicò con un suo telegramma al Comando Supremo ed al Superlibia l'orientamento del maresciallo Rommel a non resistere sulla linea Marsa Brega con il deserto sinico alle spalle ma a portarsi oltre il deserto all'alte72.a di Buerat cl Hsun, lasciando a Marsa Brega pocbe unità motorizzate per costringere il nemico a schierare le proprie forze (Ibidem, p. 267). Il giorno dopo, il maresciallo Cavallero presentò a Mussolini un promemoria nel quale, riepilogate le nuove proposto del maresciallo Rommel cd il parere <ld generale Mancinelli - csistcn7.a di fou.c suIUcieuti a resistere « a un primo urto, non ad un attacco sistematico in fone », per montare il quale sarebbe occorso al nemico, a parere dello stesso generale Mancinelli, almeno un mese, per cui per una decisione sul da farsi sarebbe stato necessario esaminare quanto si potrà avviare dal territorio in detto mese per la ricostituzione dell'A.C.I.T. - proponeva di: « durare, finché sfa giudicato possibile, nell'attuale posizione Marsa Brega-Marada, e riorganizzare nell'immediato suo tergo le for"e motocorazzate dell'A.C.I.T.; ricostituire intanto più indietro, anche a Buerat cl Hsun, gli elementi ripiegati che, avendo maggior bisogno di riassetto, non possono immediatamente rendere per la difesa della linea di Marsa Brega; quando sarà giudicato necessario, spostare gradualmente da Marsa Brega a Buerat e Hsun le fanterie, sostituendole a Marsa Brega con forze mobili; ripiegare nello stesso tempo e gradualmente le unità del Sahara libico; dare al più presto inizio alla messa in efficienza della linea francese degli Shotts, che dovrebbe costituire garanzia per ogni eventualità» (Ibidem, p. 269). Il maresciallo Bastico espresse il 21 settembre il proprio parere sul contenuto del telegramma del generale Mancinelli, sottolineando l'idoneità della linea Marsa Brega-el Agheila-Marada per la difesa della Tripolitania, ma mettendo in evidenza che la sua possibilità di resistenza sarebbe dipesa dalla potenza dell'attacco nemico, dalle possibilità di « ulteriore rafforzamento della linea stessa » con artiglierie e carri armati. Egli concluse che « comunque resistenza su linea Buerat sarebbe in ogni modo infinitamente inferiore » ... Infine, il maresciallo Kesselring si espresse sull'argomento con il maresciallo Cavallero nei termini di cui alla precedente nota n. 126. Il giorno 22 novembre il maresciallo Bastico, per cercare di risolvere il dissidio concettuale tra il Comando Supremo ed il Supcrlibia da una parte ed il maresciallo Rommel dall'altra s'incontrò con quest'ultimo presso il comando del XXI corpo d'armata ad cl Agheila (Ibidem, p. 273). Al termine del colloquio il maresciallo Bastico comunicò al Comando Supremo che gli argomenti addotti dal maresciallo Rommel per non resistere ad oltranza sulle posizioni di Marsa Brega erano indubbiamente solidi, ma che per venire ad una conclusione sarebbe stato necessario conoscere reali possibilità et tempi afflusso rinforzi avia:rione, /ruppe, mezzi et carburanti, aggiungendo che fino ad allora era giunto
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assai poco e sarebbe stato altresì necessario conoscere la situazione che si veniva determinando in Tunisia e l'entità delle forze che vi erano già e che vi sarebbero successivamente affluite. Il maresciallo Bastico concluse testualmente il suo cifrato: « Perché se Tunisia non viene tenuta solidamente et non ci arrivano rinfor-.d, tanto varrebbe battersi fino all'ultimo ad Agheila, invece che a Buerat. Anche maresciallo Rommel ha manifestato necessità di essere at conoscenza quanto avviene Tunisia. Infine maresciallo Rommel mi ha pregato vivamente di dirvi che egli desidera conferù:e qui con V.E. al più presto dato che nell'attuale situazione est urgente prendere decisioni specie se queste concordassero con suo punto di vista». Il maresciallo Cavallero volò in Libia cd il 24 novembre tenne una riunione - presenti il marescia'llo Bastico, il maresciallo Kesselring, il maresciallo Rommel , il generale Bernasconi (comandante aeronautica della Libia ), il generale De Stefanis (comandante XX corpo d'armata), il generale Giglioli (capo di stato maggiore del Superlibia), il generale Mancinelli (capo dello stato maggiore italiano di collegamento presso l'A.C.I.T.), il generale von Rintelen, il generale dell'aeronautica tedesca Schiedemann, il colonnello Westphal (capo di stato maggiore dell'A.C.I.T.) - in una tenda del comando aeronautico tedesco dell'aeroporto di Ara dei Fileni (Ibidem, p. 275J. Dalla riunione - durante la quale il maresciallo Rommel fece tutta la storia della battaglia di e1 Alamein e della successiva riiliata fino ad el Agheila e illustrò la situazione del momento di questa ultima posizione e le prospettive dell'immediato futuro risultò che il maresciallo Rommel riteneva che non sarebbe stato possibile rimanere sulle posizioni di eI Aghcila perché mancavano m= i, munizioni e carburanti e che portarsi a Buerat avrebbe significato « prolungare la vita dell'A.C.I.T. ». Il maresciallo Bastico, da parte sua, rappresentò le condizioni indispensabili per l'eventuale ripiegamento su Buerat: cessione da parte dei tedeschi di 500 autome-ai per portare indietro La Spezia e le artiglierie; disponibilità di una forte aviazione per la protezione dello eventuale ripiegamento; sicurezza delle spalle in Tunisia. « Se queste cù:costanze non dovessero verificarsi, sarebbe una illusione parlare di un ripiegamento su Buerat. Necessità quindi di difendersi ad oltranza sulla linea Agheila-Marada ». Il maresciallo Cavallero si riservò di far conoscere le decisioni di Mussolini. Il 25 il Comando Supremo trasmise al Superlibia il seguente ordine (Ibidem, p. 281}: « Duce dispone: 1° prolungare quanto più possibile arresto su linea Marsa Brega tenendo presente che periodo piogge sarà verosimilmente at nostro favore; 2° al più presto attaccare decisamente avanguardie nemico per riprendere iniziativa et imporre ad esso deciso arresto; 3° at questo fine stretta collaborazione con arma aerea... ; 4° ripiegamento su linea Buerat può essere considerato nel solo caso che un attacco nemico in forze decisamente prevalenti si delineasse; 5° tale movimento deve essere previsto in ogni particolare et organizzato in precedem:a_ Ciò per misura prudenziale et riservatamente ... ; 7° eventuale scelta <lel momento per ripiegare <leve essere fatta di concerto con maresciallo Rom.mcl et governatore Libia et movimento deve essere autorizzato da questo llltimo. Per parte nostra vorrete chiedere autorizzazione Duce salvo assoluta urgenza nel qual caso potrete decidere direttamen te». Il maresciallo Bastico portò subito a conoscenza del maresciallo Rommel gli ordini di Mussolini (ibidem, p. 282) e dette comunicazione al Comando Supremo di averlo fatto (ibidem, p. 283 ). Pochi giorni dopo - il I O dicembre - il Comando Supremo mutò parere, forse dopo l'incontro a Roma del maresciallo Rommel reduce dal viaggio in Germania, e impartl al Superlibia le disposizioni per il graduale ripiegamento sulle posizioni di
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Buerat (ibidem, p. 294): « Comunico seguente ordine del Duce: 1° Vi autorizzo iniziate graduale ripiegamento AC.I.T. su nuove posizioni prestabilite previa sollecita affluenza mezzi trasporto necessari. 2" Unità mobili devono restare in sito pii1 a lungo possibile non soltanto per coprire movimento fanterie ma anche per agire offensivamente contro elementi avanzanti del nemico ... ; 3° ... ; 4° ... ; 5° ... ; 6° ... ; 7° Provvedete anche in tempo per graduale spostamento aviazione. Rommel informato. Fine dell'oEdine. Aggiungo per notizia che con maresciallo Goering qui presente si stanno prendendo intese per rifornire in primo tempo con armi et munizioni armata coraz7.ata et per organizzazione trasporti. Attendete comunque arrivo Rommel che sarà costì domani due corrente ... ». Nella mattinata del 3 il maresciallo Bastico s'incontrò con il maresciallo Rommel sul campo di aviazione di T amet per concordare i particolari del ripiegamento in base alle modalità fissate dal C.Omando Supremo. Di tali modalità il maresciallo Bastico il giorno stesso informò il C.Omando Supremo (ibidem, p. 295). (153) Comando Supremo. Op. cit., p. 404. (154) Terza o/fensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 307.
(155) Ibidem, pp. 307-308. (156) Ibidem, allegato n. 45, p. 484. (157) Ibidem, p. 310: quadro della situazione prospettata al C.Omando Supremo dal maresciallo Bastico al 21 dicembre; allegato n. 46, p. 487: direttive del Comando Supremo in data 27 dicembre per le operazioni: resistere il più a lungo possibile sulle posizioni di Buerat; manovra di ripiegamento da svolgersi gradualmente e per ll!Illpi successivi (linee di Buerat, di Homs, di Tripoli, di Zuara, ecc.) e basata « sull'azione controffensiva delle unità mobili e corazzate»; p. 312: comunicazione del maresciallo Bastico in data 31 dicembre al C.Omando Supremo circa l'intendimento del maresciallo Rommel di ini:dare subito il ripiegamento dalla linea di Buerat con le stesse modalità seguite da Agheila a Buerat e circa il suo intendimento contrario a quello del maresciallo Rommel rivolto a resistere il più a lungo possibile sulle posizioni di Buerat per !,'Uadagnare tempo maggiore e salvaguardare il prestigio militare « che continui ripiegamenti senza combattere comprometterebbero agli occhi nostre stesse truppe»; allegato n. 47, p . 489: direttive del C.Omando Supremo del I gennaio 1943 al Superlibia circa: la esclusione di una battaglia difensiva con tutte le for.a: 5ulle posizioni di Buerat; la effettuazione dello sganciamento delle fanterie fuori della pressione avversaria a cominciare dalle truppe meno mobili; sviluppo di azioni controffensive da parte delle unità mobili contro gli elementi avanzali del nemico allo ~copo di guadagnare 6 settimane di tempo (3 da Buerat ad II0ms-Tarhw1a; 3 da Iloms al campo trincerato di Tripoli); allegato n. 48, p. 490: direttive per le opera.doni impartite da Superlibia all'A.C.I.T. in data 2 gennaio per il guadagno delle 6 settimane di tempo da parte delle unità mobili e corazzate.
(158) Ibidem, p. 348: « Possono essere eloquenti ed indicative alcune cifre, riferite al periodo 16 novembre 1942 - 3 febbraio J943 e, quindi, comprensive anche dei recuperi effettuati all'atto dello sgombero della Cirenaica: servizio sanitario: ospedali sgomberati 22, perduti 1, materiali sgomberati 370 t, perduti 680 t; servizio di commissariato: materiali sgomberati 650 t escluse le derrate, perduti 400 t compresi gli indumenti ed il vestiario distribuiti alle popolazioni civili; servizio di arti-
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gleria: munizioni sgomberate 2 000 t oltre le dotazioni regolamentari e supplementari dei reparti, perdute 9 000 t; servizio del genio: materiali sgomberati 270 t rostiruiti per la quasi totalità da mezzi di trasmissione, perduti 16 000 t in genere materiali da costruzione e di rafforzamento; servizio automobilistico: materiali automobilistici vari e parti di ricambio sgomberati 850 t, perduti 280 t; copertoni e camere d'aria sgomberati o. 11 500, perduti n. 2100; automezzi e motomezzi in riparazione presso i parchi sgomberati n. 1 000, perduti n. 2 000. Altre perdite: personale 2 000 uomini, armi automatiche n. 70, armi accompagnamento n. 20, pezzi di artiglieria n. 16, carri armati n. 31. (159) Ibidem, p. 331. (160) Guerra senza odio. Op. cit., p. 354. (161) Terw offensiva britannica in Africa settentrionale ecc. Op. cit., p. 332. (162) Ibidem, p. 334. (163) Ibidem, p. 331. (164) Ibidem, p. 340. (165) Ibidem, allegato n. 50, p. 4~4.
(166) Vittorio Ambrosio (1879-1958), generale d'armata. Sottotenente di cavalleria od 1898, frequentò la scuola di guerra negli anni 1904-1907. Partecipò alla guerra di Libia e alla prima guerra mondiale con incarichi di comando e di stato maggiore. Fu capo di stato maggiore della 26" divisione di fanteria, della divisione di Milano, e comandò successivamente il reggimento Savoia cavalleria. Nel 1932 romandò la 2,. divisione celere e successivamente fu ispettore delle truppe celeri. Da generale di corpo d'armata comandò il corpo d'armata di Palermo e, successivamente, gli venne conferita la carica di comandante designato della 2" armata, comando che resse fino al 9 febbraio 1942, quando venne nominato capo di stato maggiore dell'esercito. Il I febbraio del 1943 fu nominato capo di stato maggiore generale, carica che lasciò il 18 novembre 1943. Da quest'ultima data al 31 luglio 1945 fu ispettore generale ddl'esercito. (167) Giovanni Messe (1883-1968), maresciallo d'Italia. Iniziò la sua carriera militare nel 1902 come soldato volontario nel 45° reggimento fanteria e nel 1903 parti volontario con il grado di sergente con il 5° fanteria per l'Estremo Oriente. Con il grado di maresciallo entrò nella scuola militare e nel 1910 fu nominato sottotenente di fanteria; con tale grado, e successivamente come tenente e capitano, partecipò alla campagna libica. Durante la prima guerra mondiale comandò un battaglione del 57° fanteria e successivamente il IX reparto d'assalto, Nel 1920, con il grado di tenente colonnello per merito di guerra, fu alla testa di un reparto d'assalto che combatté in Albania. Da colonnello comandò il 9° reggimento bersaglieri e fu poi destinato al ministero della guerra per incarichi speciali. Dal 1935, prima da colonnello e poi da generale di brigata, comandò la III brigata celere. Nel febbraio del 1936 partecipò alla guerra etiopica quale vice-comandante della divisione di fanteria Cosseria e, finita la campagna, rientrò in Italia assumendo l'incarico di vice-ispettore delle truppe celeri. Promosso generale di divisione, nell'aprile del 1938 assunse il comando della 3a divisione celere. Nell'aprile del 1939 fu vice-comandante del corpo di occupazione in
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Albania, dove, dopo un breve periodo di comando del corpo d'armata celere, ritornò nel novembre 1940, costituendovi il corpo d'armata speciale che rimase ai suoi ordini per tutta la durata della campagna contro la Grecia. Il 13 luglio 1941, promosso generale di corpo d'annata per merito di guerra, assunse il comando del C.S.I .R., che tenne sino al luglio del 1942. Rimase al fronte russo al comando del XXXV corpo d'armata sino al I novembre 1942. Rimpatriato, fu promosso generale d'armata per merito di guerra. Il 31 gennaio del 1943 venne inviato in Tunisia al comando della 1a. armata italiana e qui venne promosso sul campo, per merito di guerra, maresciallo d'Italia. Fatto prigioniero dagli inglesi, nel novembre del 1943 rimpatriò a sua domanda, e il 18 novembre 1943 fu nominato capo di stato maggiore generale, carica che lasciò nel maggio del 1945. Nel 195.3 fu eletto senatore della Repubblica.
(168) Storia militare della seconda gue"a mondiale. Op. cit., p. 565. (169) Ibidem, p. 572. (170) Comando Supremo. Op. cit., p. 448.
CAPITOLO XXXVII
LE OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE TERZA)
l. La funzione strategica della Tunisia. 2 . La prima fase della campagna di Tunisia. 3. La seconda fase della campagna di Tunisia. 4. La terza ed ultima fase della campagna di Tunisia sulla fronte della l" armata italiana. 5. La terza ed ultima fase della campagna di Tunisia sulla fronte del XXX corpo d'armata italiano. 6. La fine della campagna tunisina. 7. Considerazioni conclusive.
1. Hitler non aveva voluto mai calcare la mano sulla Francia vinta. Fin dall'ottobre del 1940 aveva stretto con il maresciallo Pétain un accordo transizionale per impedire la formazione di un qualsiasi altro governo nelle colonie del Nordafrica francese. Egli aveva sempre sperato d'indurre la Francia ad una collaborazione politico-militare con l'Asse ed in vista di tale obiettivo si era sempre astenuto dal premere decisamente sulla Francia di Vichy per ottenere la piena disponibilità dei porti, degli aeroporti e delle vie di comunicazione tunisini necessari all'alimentazione tattica e logistica delle forze italotedesche in Libia ed in Egitto. Egli dirà ·al ministro degli Esteri italiano ed al Capo di Stato Maggiore Generale italiano nel dicembre del 1942 di non essersi mai fidato della Francia e di aver sempre saputo che il maresciallo Pétain si era dato costantemente da fare per guadagnare tempo, per riarmare a poco a poco il proprio paese e per seminare diffidenza ed inimicizia tra la Germania e l'Italia. Che egli non si fosse mai fidato della Francia può essere senza dubbio vero, come pure sono chiari i motivi per i quali, malgrado ciò, egli non avesse voluto ricorrere alla maniera forte: garantire il tergo delle forze operanti contro l'Unione Sovietica, evitare la secessione delle colonie francesi del Nordafrica dal governo di Vichy, frenare le rivendicazioni territoriali italiane temute ed avversate più di ogni altra cosa dalla Francia e in definitiva poco gradite alla stessa Germania.
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Senza perdere di vista l'esigenza di mantenere truppe in Francia per opporsi ad un possibile sbarco inglese ed a tutto ciò che sarebbe potuto accadere nella Francia non occupata - a tale fine rinforzò dall'aprile del 1942 prima con 3 e poi con altre 10 divisioni il corpo tedesco di occupazione - Hitler, anche per la scarsa importanza che aveva sempre attribuito al teatro del Mediterraneo, non aveva molto insistito presso Pétain e Laval, nonostante le ripetute richieste e sollecitazioni italiane, per ottenere in Tunisia concessioni che andassero al di là di quelle esaudite e per ottenere che venissero estese all'Italia in modo da risolvere radicalmente il problema dei rifornimenti per la Libia. Furono necessari lo sbarco anglo-americano in Algeria e nel Marocco e la defezione dei generali francesi perché egli si sfilasse dalla mano il guanto vellutato e decidesse repentinamente l'occupazione del resto della Francia, lo sbarco in Corsica e la costituzione di una prima testa di ponte in Tunisia. II mettere piede a Biserta ed a Tunisi l'anno avanti avrebbe probabilmente significato la liberazione dell'Africa settentrionale dalla presenza inglese, mentre nella situazione del novembre del 1942 l'operazione non era più l'unico modo per salvare ancora la Tripolitania (1), come ancora credeva il maresciallo Cavallero, ma solo il mezzo per recuperare a favore della madrepatria tutte le forze ed i mezzi che fosse stato possibile far ripiegare dalla Libia. Subito dopo l'avvenuto sbarco anglo-americano, e quando ancora non si era certi di come avrebbero reagito il governo di Vichy ed i generali francesi del Nordafrica, il maresciallo Cavallero annotò: « È necessario evitare che la Corsica sia occupata dai degaullisti. Data la povertà dei nostri mezzi un nostro sbarco sarebbe impossibile in presenza del nemico e quindi occorre farlo subito. Se la Corsica fosse in mano del nemico l'offesa per l'Italia sarebbe gravissima. La proposta di uno sbarco da parte nostra in Tunisia viene da me respinta data la mancanza di piroscafi e di carri. Esso poi non è attuabile perché l'ammiraglio Darlan (2) ha chiesto aiuto alla Germania ed il Fiihrer ha aderito ed invia due ufficiali presso la nostra delegazione di Tunisi e di Algeri. Il Duce si è dichiarato pronto a fare anche un'alleanza con la Francia. Il programma germanico è di collaborare con la Francia se questa si difende, occupare la Corsica se questa fa causa comune col nemico. La flotta francese è pronta ad uscire da Tolone in un'ora. Non oso sperare, ma se questa collaborazione avvenisse abbiamo vinto la guerra... La situazione della Libia è affannosa ma possiamo risolverla ancora in tale modo» (3). Speranze e miraggi che durarono meno di quaranta ore!
CAP. XXXVII - OPERAZTONI ITALO-TEDESCHE (PARTE TERZA)
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Lo sbarco anglo-americano colse di sorpresa Hitler e l'Alto Comando tedesco. La sera del 7 novembre il Capo di Stato Maggiore della Wehrmacht, nel chiarire ad Hitler la situazione del Mediterraneo occidentale, sosteneva che ci si doveva anzitutto attendere uno sbarco nei porti della Cirenaica con lo scopo di annientare l'armata del maresciallo Rommel e che si poteva tutt'al più prevedere contemporaneamente, sebbene non come obiettivo fondamentale, la conquista di Creta per sottrarre all'Asse l'importante caposaldo del Mediterraneo orientale, tagliare fuori l'armata corazzata italo-tedesca dai suoi collegamenti e contribuire al suo annientamento in maniera indiretta. Gli anglo-americani avrebbero realizzato cosl anche il rinforzo ed il rifornimento dell'isola di Malta. Come meno verosimile, il capo dell'ufficio comando e operazioni - Wehrmachfuhrungsstab - segnalò uno sbarco in Tripolitania ovvero in Sicilia, mentre dichiarò fuori causa uno sbarco nel territorio francese del Nordafrica. Neppure un'ora dopo tale valutazione, un nuovo controllo sui grandi convogli anglo-americani rese evidente che nun era affatto prevedibile per la notte seguente la continuazione delle loro rotte oltre il canale di Sicilia, in quanto non appariva possibile che gli anglo-americani di giorno realizzassero un'azione attraverso tale settore di mare a motivo dell'impiego delle forze aeree, e che era anche da escludere, per considerazioni consimili, un attacco alle grandi isole italiane, per cui non restava che una sola probabilità: lo sbarco nel Nordafrica francese. Un'ipotesi che Hitler e l'Alto Comando tedesco avevano respinta per giorni e giorni, fino all'ultimo momento, e che invece Mussolini, contro le formali, più volte espresse, contrarie valutazioni tedesche aveva sempre sostenuto come la più probabile. Hitler si trovava in viaggio dalla Prussia orientale a Monaco per tenere in quest'ultima città, secondo la tradizione, un discorso alla vecchia guardia del partito. Intorno alle due di notte lo raggiunsero in treno le notizie che gli anglo-americani avevano cominciato a sbarcare nei porti del Nordafrica francese. Anche se già da alcune ore preparato a tale eventualità, la certezza del fatto compiuto non scemò l'effetto della sorpresa e si trovò all'improvviso, nel luogo e momento meno adatti, davanti all'iniziativa strategica del nemico che comportava l'assunzione di gravissime decisioni riguardanti il calcolo dei vantaggi e degli svantaggi politici e strategici del mantenimento o dell'abbandono del Nordafrica e le possibilità e modalità di reagire all'iniziativa assai minacciosa degli anglo-americani. Hitler e l'Alto Comando tedesco pensarono inizialmente di fare assegnamento sul governo di Vichy per trovare qualche aiuto e avanzarono offerte ed assicurazioni per
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rafforzare la decisione di resistenza francese. Venne subito indetta a Monaco per il giorno successivo, 9 novembre, una riunione dei ministri degli Esteri italiano e francese alla quale parteciparono, per la parte italiana, anche un generale in rappresentanza dal Capo di Stato Maggiore generale e, per la parte tedesca, oltre Hitler e Ribbentrop, tutti i massimi esponenti militari a cominciare dal maresciallo del Reich Goering. Di fronte alle tergiversazioni di Lavai circa la disponibilità della Francia a consentire lo sbarco delle truppe dell'Asse in Tunisia, Hitler tagliò corto in modo brusco. Certo di poter ancora dominare la situazione, decise la completa occupazione del territorio metropolitano francese, l 'immediata costituzione di una testa di ponte in Tunisia e lo sbarco in Corsica con l'idea che le tre operazioni potessero costituire le nuove basi per la futura strategia dell'Asse nel Mediterraneo occidentale. Tutto venne deciso in un clima di apprensione e di concitazione, nella sola certezza che non sarebbe stato possibile, stanti gli avvenimenti che nel frattempo venivano maturando in Africa, attenersi all'ipotesi di una grande resistenza da parte delle forze francesi del Nordafrica. Il maresciallo Goering ammise che lo sbarco anglo-americano era il primo colpo duro inferto dall'inizio della guerra all'Asse ed alle osservazioni del ministro Ciano circa i pericoli dei bombardamenti aerei che d'allora in avanti avrebbero corso le città italiane rispose di essere pronto ad inviare in Italia batterie contraerei da 88 con personale germanico (4). Poche ore dopo prendevano terra a Tunisi i primi paracadutisti tedeschi e giungevano sugli aeroporti tunisini i primi 30 aerei Macchi 202 italiani. Le decisioni di Hitler, alle quali subito aderì Mussolini, ebbero nel loro insieme motivazioni politiche e psicologiche, in quanto vollero dare l'impressione, a dispetto della gravità del colpo subito, seguito di misura a quello di el Alamein, della capacità reattiva dell'Asse e della solidità ed integrità della sua forza. La costituzione della testa di ponte in Tunisia, al pari dell'occupazione del resto della Francia e della Corsica, fu in un certo senso una decisione obbligata; l'errore fu di assegnare all'operazione in Tunisia scopi tanto ambiziosi quanto irrealizzabili. Al tentativo della costituzione della testa di ponte in Tunisia non si sarebbe dovuto rinunziare solo nella previsione del recupero, per trasferirla sul continente europeo, dell'armata del maresciallo Rommel. Dopo lo sbarco anglo-americano, l'intera posizione italo-tedesca in Nordafrica si sarebbe fatta in breve tempo insostenibile e per convincersi di ciò sarebbe bastato uno sguardo al quale non avessero fatto velo la supervalutazione hitleriana delle possibilità tedesche, l'illusione di essersi messi al sicuro dalle difficoltà di tra-
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sporto in quanto il viaggio per Biserta e Tunisi altro non sarebbe stato che un ba/,zo di pantera secondo la stessa opinione di Goering, l'ottimismo sulla disponibilità dei mezzi navali da trasporto che sarebbero stati recuperati nei porti meridionali francesi. Nessuno, né a Monaco né successivamente a Roma, volle prendere atto che mancavano le premesse - prima di tutte quella della superiorità o parità aerea - per la costruttiva continuazione della lotta nel Mediterraneo e che l'evoluzione degli eventi in tale teatro sarebbe stata ineluttabilmente negativa. Anche a voler concedere, in linea puramente teorica, che sul momento si potesse ipotizzare la costituzione di una testa di sbarco dalla quale muovere poi alla controffensiva per ricacciare da porto a porto le forze anglo-americane - così come fecero intendere Hitler ed i vertici militari tedeschi nella riunione del 9 novembre - non è in nessun modo comprensibile come la stessa prospettiva potesse essere ancora considerata accettabile circa un mese dopo quando gli anglo-americani avevano consolidato l'occupazione dell'Algeria e del Marocco, l'A.C.I.T. era in procinto di abbandonare la posizione di Buerat, l'inferiorità italo-tedesca sul mare e nel cielo veniva raggiungendo valori insostenibili e la falcidia del naviglio mercantile dell'Asse assumeva dimensioni drammatiche (5). Nelle riunioni del 18, 19 e mattino del 20 dicembre - scambio di vedute di lavoro, le definl Hitler - alle quali, per la parte italiana, parteciparono il ministro Ciano ed il maresciallo Cavallero (Mussolini non poté intervenire per il riacutizzarsi del suo male che gli impedl di affrontare il viaggio), Hitler, nel tracciare un quadro generale della situazione politicostrategica del momento (6), quasi avulso dalle possibilità concrete dell'Asse, sostenne, a proposito del teatro del Mediterraneo, che: la perdita della Cirenaica poteva considerarsi compensata dall'occupazione di Tunisi e di Biserta; qualora gli inglesi non fossero riusciti a mobilitare nuovo tonnellaggio per alimentare il Mediterraneo, sarebbero stati costretti a passare per le rotte del sud ed alla lunga avrebbero finito per non poter tenere le posizioni; i sommergibili tedeschi, che fino ad allora avevano affondato 25 milioni di tonnellate di naviglio nemico alle quali andavano aggiunti altri 5 milioni di tonnellate andati persi per i danni delle mine e delle avarie, avrebbero reso intransitabili tutte le rotte del Mediterraneo; il consolidamento dello spazio conquistato in Tunisia, essenziale per lo sviluppo successivo degli sforzi, avrebbe dovuto essere inteso come necessità irrinunciabile ai fini della vittoria finale. Aggiunse: « Si è avuto in tal modo [mediante la testa di sbarco in Tunisia] la possibilità di avere
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il possesso del punto dell'Africa più vicino all'Italia: Tunisi. Le guerre puniche hanno avuto luogo per la posizione tunisina, il cui possesso ha dato all'Italia il dominio del Mediterraneo. Dall'attuale situazione derivano parecchi compiti di primissima importanza: anche qui il problema dominante è quello dei trasporti. Se questo sarà risolto, daremo al Nordafrica le nostre migliori divisioni e in questo caso Algeri sarà perduta e noi arriveremo a Melilla. Ciò costringerà la Spagna a mutare il proprio atteggiamento» (7). Nessun dubbio che il problema dei problemi fosse quello dei trasporti - questione di vita o di morte, come lo qualificò il maresciallo Cavallero nelle riunioni dichiarando che pertanto l'Italia non avrebbe potuto da sola sostenere l'azione nel Mediterraneo ed avrebbe avuto quanto meno immediato bisogno dell'appoggio di una forte massa aerea che tenesse il triangolo Tunisi-Sicilia-Sardegna - e che se esso non fosse stato risolto non vi sarebbe stato nulla da fare, come riconobbe lo stesso Hitler, ma i sommergibili da soli non bastavano. Il maresciallo Goering propose - Hitler concordò - di esaminare in sede tecnica ristretta la questione del potenziamento aereo del teatro mediterraneo, ma proprio in quei giorni le armate aeree tedesche dovevano fronteggiare la situazione del teatro russo fattasi precaria in particolare nel settore della 3a armata romena e dell'8a armata italiana. Hitler si disse certo di poterla dominare, ma, una quarantina di giorni dopo, le ultime unità della 6a armata tedesca del generale von Paulus (8) - alla quale Hitler aveva vietato dal 24 novembre lo sganciamento da Stalingrado - dovranno arrendersi alle forze sovietiche dei generali Rokossovskij (9), Vatutin (10) e Eremenko (11), la cui vittoria su quella fronte segnerà il passaggio dell'iniziativa dalle mani tedesche a quelle sovietiche. Prigioniero dell'idea fissa che la strategia consistesse sempre e dovunque nell'andare avanti, sempre più avanti, e comunque mai, in nessun caso, nelrandare indietro, Hitler volle continuare a perseguire in Tunisia obiettivi impossibili e in ciò fu favorito dalla diminuita influenza sulle sue decisioni da parte dell'Alto Comando tedesco (12) e dall'aumentata soggezione al suo volere di Mussolini e del Comando Supremo italiano. Per la verità il ministro Ciano ed il maresciallo Cavallero, su mandato di Mussolini, prospettarono durante l'incontro la convenienza che in un modo o nell'altro si chiudesse il capitolo della guerra contro l'Unione Sovietica che non aveva più uno scopo d'essere (13) al fine di rendere disponibile un maggior numero di forze terrestri ed aeree per l'Occidente ed il Mediterraneo, ma subito si arresero alle argomentazioni del Fiihrer: « se oggi, per mezzo di un armistizio, la Russia avesse tempo sei mesi
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per riorganizzarsi, noi avremmo, dopo questo periodo, di fronte un nemico contro il quale dovremmo nuovamente difenderci. Trovare una linea che assicuri tanto a noi quanto ai russi i necessari viveri, materie prime, petroli, è cosa impossibile. D'altra parte anche l'Italia e le altre Nazioni europee dipendono dalla possibilità di attingere a quelle fonti ... Che cosa accadrebbe poi se non avessimo la Russia come avversario? Ben poco potremmo fare di più per Rommel, perché il problema è essenzialmente di trasporti: né la Germania potrebbe mai alleggerire la fronte orientale, perché, sul rispetto di un trattato da parte dei russi, non si può assolutamente contare. Avevano concluso un accordo tipo Brest Litowsk, ma poi hanno preso il pretesto di essere aggrediti, e tutto è crollato». Se neppure in tale caso sarebbe stato possibile inviare molto di più in Africa, non sarebbe stato tanto più sensato rinunziare ad ogni progetto di controffensiva ed all'idea di attaccare alle spalle, passando attraverso la Spagna, gli anglo-americani nel Nordafrica e addivenire alla decisione, l'unica strategicamente possibile, di temporeggiare in Tunisia o per recuperare il più possibile dell'armata del maresciallo Rommel o per guadagnare il massimo del tempo a favore del rafforzamento delle difese del continente europeo e in particolare dell'Italia? La resistenza ad oltranza in Tunisia non ebbe neppure il valore emblematico che avrebbe assunto in Tripolitania; fu un non senso strategico; indeboll, anziché favorire, la difesa dell'Italia contro la quale sarebbe stato facile prevedere - i giapponesi lo davano per certo - che si sarebbe rivolto il successivo attacco anglo-americano, del quale del resto i bombardamenti della Sicilia, della Sardegna e di Napoli erano dai primi di dicembre il chiaro preludio. Alla fine di febbraio Rommel e Arnim segnalarono che, qualora il Comando Supremo avesse deciso di protrarre la resistenza in Tunisia, per mantenere la capacità di combattimento delle forze dell'Asse sarebbero state necessarie almeno 140 mila tonnellate di rifornimenti al mese. Perfettamente consapevoli delle difficoltà connesse al trasporto via mare, le autorità italiane abbassarono questa cifra a 120 mila tonnellate, calcolando che fino ad un terzo del totale sarebbe stato probabilmente affondato dagli alleati. In realtà, solo 29 mila tonnellate raggiunsero le forze dell'Asse durante il mese di marzo, un quarto delle quali per via aerea (in questo stesso mese i soli americani sbarcarono nei porti nordafricani circa 400 mila tonnellate di rifornimenti). In aprile i rifornimenti dell'Asse scesero a 23 mila tonnellate. Queste cifre non solo dimostrano quanto paralizzante fosse il blocco che le forze aero-navali alleate (e soprattutto inglesi) erano
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arrivate ad esercitare - grazie anche alla capacità dei loro servizi segreti di prevedere i movimenti del naviglio mercantile italo-tedesco - sulle rotte di rifornimento trans-mediterranee, ma valgono anche a spiegare, assai più di quanto non facciano i resoconti dei vari comandi alleati, l'improvviso crollo della resistenza delle forze del!'Asse (14). La possibilità di utilizzare le rotte tunisine - più brevi, meno vulnerabili, meglio difendibili - giunse troppo in ritardo, quando cioè il tonnellaggio disponibile e le prestazioni di quello superstite o da poco acquisito consentivano trasporti assai limitati e le forze aeree e navali di scorta si erano ridotte a poca cosa. Nel mese di novembre - in una ventina di giorni - benché indenni da perdite lungo le nuove rotte, le navi dell'Asse riuscirono solo a trasportare quanto gli anglo-americani potevano scaricare nel Nordafrica in una sola giornata. « Hitler vinse in velocità Eisenhower (15) nell'occupazione della Tunisia, ma la sua fu una dubbia vittoria. Per le sue insistenze quasi duecentocinquantamila soldati tedeschi e italiani affluirono in quel paese per tenervi una testa di ponte. Se il Fiihrer qualche mese prima avesse mandato soltanto un quinto di que1le truppe e di quei carri armati a Rommel, probabilmente la volpe del deserto in quel momento si sarebbe trovata al di là del Nilo, ]o sbarco anglo-americano nell'Africa non avrebbe avuto luogo e il Mediterraneo sarebbe stato irrimediabilmente perduto per gli Alleati, e cosl sarebbe stato salvaguardato il punto vulnerabile del corpo del1'Asse. Ma al punto in cui erano le cose ogni soldato e ogni carro armato o cannone mandato in tutta fretta in Tunisia durante quell'inverno insieme ai resti dell'Afrika Korps sarebbero andati perduti alla fine della primavera, mentre truppe tedesche in numero ancora maggiore di quante ne erano perite a Stalingrado finirono nei campi di prigionia» (16). La perdita di Tripoli e dell'intera Libia e il disastro di Stalingrado - il più grande esempio nella storia militare di inutile e deliberato sperpero di vite umane - non trattennero l'Alto Comando tedesco ed il Comando Supremo italiano dal dilapidare ulteriormente e sconsideratamente l'impoverito patrimonio di energie militari oramai assai carente delle due principali armi offensive, vale a dire di aerei e di carri armati. « Uno dei più grandi paradossi dell'intera guerra consisté nel fatto che Hitler e lo stato maggiore tedesco - fin dall'inizio timorosi di imbarcarsi in spedizioni in paesi d'oltremare che rientrassero nel raggio di azione della potenza marittima inglese - dopo essersi sempre astenuti dall'inviare a Rommel forze sufficienti a consentirgli di sfruttare fino in fondo le sue grandi vittorie parziali, proprio nell'ultimo round finirono con l'inviare in
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Africa una tale quantità di truppe da precludersi ogni possibilità di difendere l'Europa» (17). Della mancanza di tutte le premesse indispensabili alla valorizzazione della naturale funzione geo-strategica della Tunisia, meglio e più di ogni altro, si rese conto il maresciallo Rommel. Questi valutò che nella specifica situazione determinatasi dopo el Alamein l'occupazione della Tunisia apriva un'unica prospettiva - la realizzazione di una testa di ponte, più che di sbarco - tanto più valida quanto più rapidamente egli fosse riuscito, in contrasto con gli intendimenti e gli ordini dell'Alto Comando tedesco, del Comando Supremo italiano e del maresciallo Kesselring, a portare l'A.C.I.T. dai confini dell'Egitto alla Tunisia e da qui reimbarcare le forze residue tra le quali vi erano unità di grande esperienza e valore nel combattimento. Tale suo disegno strategico, che verrà poi condiviso sia dal generale Arnim che dal generale Messe, fu interpretato come la rinunzia di un capo stanco, malato e deluso. Ai primi di marzo, quando oramai avrebbe dovuto essere chiaro a tutti che l'Asse non avrebbe potuto più reggere in Africa e che, pertanto, il meglio da farsi sarebbe stato tentare il salvataggio delle forze, il maresciallo Rommel inviò al maresciallo Kesselring una relazione nella quale - scartata ogni ragionevole speranza, stante la soverchia superiorità numerica e di armamento degli angloamericani (18), di poter assestare ad uno dei complessi di forze nemiche un colpo decisivo prima che essi si congiungessero e fossero in grado di sviluppare una manovra combinata unitaria - mise in rilievo l'indifendibilità di una fronte di quasi 650 Km contro forze assai superiori e l'esigenza di ridurre tale fronte ad un arco di soli 150 Km intorno a Tunisi e Biserta, aggiungendo che anche tale fronte ridotta non sarebbe stata difendibile qualora il flusso dei rifornimenti non fosse salito a 140 mila tonnellate mensili e chiedendo quali fossero in tale quadro gli intendimenti ed i piani a lungo termine dei comandi superiori. « Come tutta risposta, dopo numerosi e urgenti solleciti, Rommel si vide recapitare un breve messaggio con cui lo si informava che il Fiihrer non condivideva il suo modo di valutate la situazione. Al messaggio era allegato uno specchietto illustrante il numero delle formazioni schierate dalle due parti, indipendentemente dal numero degli effettivi e dalla consistenza degli equipaggiamenti: la stessa artificiosa fase di raffronto che i comandanti alleati usarono, allora e in seguito, nel rendere conto dei loro successi » (19). Dopo l'insuccesso di Médenine - 6 marzo - nel quale perse 40 carri armati e 645 uomini, il maresciallo Rommel, prove alla mano, tentò di far capire che restare in Africa sarebbe equivalso per le forze italo-
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tedesche ad un vero suicidio (20). Lasciato definitivamente il comando delle forze italo-tedesche in Africa e rientrato in volo in Europa, ripeté la sua valutazione prima a Mussolini, che sembrò convincersene, e successivamente a Hitler che la giudicò ispirata ad un infondato pessimismo ed invitò il maresciallo a riposarsi per riacquistare la salute in tempo per assumere il comando delle operazioni contro Casablanca. Tenendo conto che Casablanca era lontanissima, addirittura sulla costa atlantica, è evidente che Hitler pensava ancora di poter estromettere completamente gli Alleati dall'Africa: il che dimostra in quale stato di perenne allucinazione egli oramai vivesse (21). Sia l'Alto Comando tedesco, dove non pochi generali si rallegravano del distacco di Hitler dal maresciallo Rommel, sia Mussolini ed il generale Ambrosio benché tutti, gli uni e gli altri, convinti dell'esattezza tecnico-militare della valutazione del maresciallo Rommel - si rassegnarono alla volontà del Fiihrer e la Tunisia divenne la cittadella della capitolazione (22) delle forze dell'Asse. Dalla contrapposizione tra la farneticante concezione hitleriana e la realtà concreta della situazione derivò una direzione strategica della campagna caratterizzata, dall'inizio alla fine, dall'assenza di una ferma determinazione sugli scopi da perseguire e dall'oscillazione tra il tenere a qualsiasi costo la Tunisia e l'accontentarsi praticamente di guadagnare tempo. « Così è che disponendo, per necessità di cose, di una corrente limitatissima di trasporti, questa non venne sfruttata per elevare qualitativamente la nostra efficienza: non un pezzo moderno, non un semovente degli ultimi tipi furono inviati in Africa, probabilmente sotto l'influsso di gravi e invero giustificate - preoccupazioni circa il probabile affondamento di questi preziosi carichi, circa l'estrema miseria della nostra difesa in madrepatria o forse anche in rapporto a rivolgimenti interni che fin d'allora si stavano profilando all'orizzonte romano. La condotta oscillante del Comando Supremo italiano trova poi ragione d'essere anche nella contraddizione palese tra le rosee previsioni, in tema di trasporti, del maresciallo Kesselring e la inesorabile realtà espressa dalle liste degli affondamenti. Sta di fatto che in ogni riunione il maresciallo Kesselring portava il balsamo di un sorridente quanto ingiustificato ottimismo: le forze aeree ai suoi ordini avrebbero garantito il passaggio. Si diceva ironicamente che egli propinasse la cocaina al Comando Supremo; ma l'azione della droga era fugace e la delusione dell'insuccesso era ogni volta più amara» (23). Non ci sembra che le ragioni addotte dal maresciallo Messe per cercare di spiegare in qualche modo l'incerta condotta del Comando Supremo italiano possano assumere valore di giustificazione e neppure di scu-
L'OPERAZIONE TORCH
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sante. La verità è che in Tunisia si volle combattere una battaglia perduta in partenza, senza nessuno scopo politico, strategico e tecnicomilitare reale e remunerativo. Il guadagnare tempo ha valore sul piano strategico e tattico qualora serva a recuperare - non a distruggere forze e ad irrobustire le difese successive. Fine a se stesso non ha significato. D'altra parte la resistenza ad oltranza non ebbe neppure il significato politico e psicologico che avrebbe assunto in Tripolitania e non poté essere protratta più a lungo per l'esaurimento totale delle munizioni e degli altri mezzi. Essa fu tanto eroica da parte delle truppe, quanto assurda, vana e generatrice di conseguenze dannose sotto ogni altro aspetto. I rivolgimenti interni che fin d'allora si stavano profilando alt'orizzonte romano meno di ogni altra ragione possono essere addotti a giustificazione de] sacrificio dell'intera 1° armata e dell'intero XXX corpo d'armata italiani.
2.
La flotta anglo-americana che 1'8 novembre 1942 si presentò davanti alle coste del Nordafrica francese, da Agadir ad Algeri, comprendeva 850 navi, di cui 350 da guerra, e trasportava 3 distinti corpi di spedizione destinati a sbarcare rispettivamente ad Algeri, ad Orano e in Marocco (24). Gli sbarchi incontrarono da parte francese (esercito e marina) resistenza molto debole ad Algeri, più viva e prolungata ad Orano, dura e accanita in Marocco, specialmente a Casablanca. L'armistizio firmato ad Algeri il mattino del 10 novembre tra l'ammiraglio Darlan ed il generale statunitense Clark (25) - comandante delle truppe sbarcate e rappresentante del generale Eisenhower - riguardò ]'Algeria ed il Marocco, ma non coinvolse automaticamente l'armata francese della Tunisia, che non si oppose allo sbarco di un reggimento di paracadutisti tedesco, del 10° reggimento bersaglieri, di 3 battaglioni di fanteria e di un gruppo semovente italiani, aerotrasportati o giunti con convogli marittimi veloci che attraversarono di notte il canale di Sicilia. Le forze francesi lasciarono i porti e si concentrarono presso la frontiera con l'Algeria, mantenendo il possesso della chiave di accesso alla pianura di Tunisi: Medjez-el-Bab. Le truppe francesi si assunsero il compito di rallentare l'avanzata delle forze dell'Asse e di proteggere la radunata delle sopraggiungenti truppe anglo-americane. Di queste ultime il contingente destinato all'ocpipazione della Tunisia era piuttosto modesto perché la necessità di dare copertura al Marocco, in previsione di un possibile auacco dell'Asse
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da nord attraverso la Spagna, aveva indotto gli anglo-americani a fissare il centro di gravità dell'intera operazione nell'Atlantico. Il primo scontro tra le opposte forze ebbe luogo a Tabarka il 17 novembre (26), dopo che i francesi avevano rifiutato di accogliere le richieste del generale tedesco Nehring, che inizialmente aveva il comando della intera testa di sbarco, di ripiegare ad ovest del meridiano di tale località. La prima fase della campagna, il cui termine possiamo fissare nel momento in cui l'A.C.I.T. raggiunse il Mareth, fu caratterizzata dalla messa in atto, da parte italo-tedesca, dell'organizzazione operativa del nuovo scacchiere e, da parte franco-anglo-americana, dal tentativo fallito di occupare di sorpresa Bisetta e Tunisi. Il lavoro organizzativo italo-tedesco soffri della mancanza di una direzione unitaria. I comanid tedeschi dettero subito, qui a ragione, priorità di importanza e precedenza assoluta alla fronte nord e, in particolare, alla ricerca di spazio in avanti per il mantenimento delle posizioni chiave della testa di sbarco, mentre il Comando Supremo italiano si preoccupò soprattutto di garantire il collegamento tra le forze italo-tedesche operanti in Libia e quelle della testa di sbarco e di rafforzare la posizione difensiva Mareth el Hamma, utilizzando la preesistente sistemazione difensiva francese, peraltro poco robusta naturalmente e basata su elementi fortificatori modesti, in parte superati, di profondità scarsa, di efficienza ridotta e degradati dagli agenti atmosferici e dalle acque di superficie. Un sistema fortificatorio al quale certamente non si addiceva il pomposo appellativo di Maginot del deserto che gli era stato attribuito. L'organizzazione della testa di sbarco avviata in un clima di improvvisazione, di incertezza sui fini da perseguire, di disputa circa le responsabilità di comando, di sfavorevole andamento delle operazioni sulla fronte libica e su quella russa, risultò, da parte italiana, inceppata e lenta, priva di una programmazione definita e concreta che sola avrebbe potuto conferire all'organizzazione l'intensità ed il ritmo richiesti dalla situazione. Non si può non rilevare che l'Alto Comando tedesco ed il maresciallo Kesselring, che ne era la longa manus in Italia, agirono con maggiore convinzione e determinazione. Già il 16 novembre le truppe tedesche per la Tunisia scendevano in Italia al ritmo di 10 treni al giorno ed il 9 dicembre l'Alto Comando tedesco procedeva alla soppressione del XC corpo d'armata germanico del generale Nehring - che fino dal 10 novembre aveva assunto il comando di tutte le forze italo-tedesche affluenti in Tunisia - ed alla costituzione della 5a. armata corazzata tedesca affidata al generale Jiirgen von Arnim (27).
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Le difficoltà improvvise di fronte alle quali venne a trovarsi il Comando Supremo italiano, in seguito allo sbarco angloamericano sulle coste dell'Africa settentrionale francese ed alla defezione dei generali francesi, furono moltissime, gravi e plurivalenti (28), superiori a quelle dell'Alto Comando tedesco, ma il fattore che in primo luogo condizionò la condotta del Comando Supremo italiano - al quale nondimeno non si possono non rimproverare errori, omissioni, ritardi, lentezze - fu il modo diverso da quello dell'Alto Comando tedesco di valutare la correlazione tra lo scacchiere libico e quello tunisino. Il maresciallo Cavallero - pur riconoscendo che se fosse andata perduta la Libia sarebbe stato possibile ancora agire, mentre se fosse andata perduta anche la Tunisia non sarebbe stato « possibile fare altro» (29) - era del parere che, qualora l'A.C.I.T. si fosse ritirata a Gabés, sarebbe andata perduta anche la Tunisia, in quanto il ridursi alla linea degli Chotts, avrebbe significato chiudersi in una prigione ed in un ridotto battutissimo, in una vera e propria cittadella della r.apitolazione (30). Egli uniformò la sua azione di comando a tale visione e conferì priorità e urgenza alla difesa ed al mantenimento della Tripolitania che avrebbe voluto conservare ad ogni costo, o quanto meno abbandonare il più tardi possibile. Nei riguardi della Tunisia si preoccupò essenzialmente di mantenere aperta la via di comunicazione con la Libia e di irrobustire la linea del Mareth sulla quale sarebbe stato giocoforza schierare l'A.C.I.T. nel caso fosse stata costretta a ripiegare dalla Tripolitania. Fu solo quando ques'ultima eventualità parve ineluttabile e si fece imminente nei primi giorni del gennaio 1943, che il maresciallo Cavallero, oramai orientatosi all'abbandono della Tripolitania (31), si dedicò per intero al problema della Tunisia che, se non aveva fino ad allora trascurato (32), non aveva certo tenuto in primo piano. Una maggiore attenzione ed una maggiore cura dedicate fin dall'inizio alla Tunisia avrebbero consentito una migliore utilizzazione del periodo di tempo - primi venti giorni dalla costituzione della testa di sbarco - nel quale non vi furono perdite di naviglio, l'afflusso di forze italiane maggiori da trarre da quelle dislocate in Sicilia, in quel momento non minacciata, che avrebbero potuto essere subito dopo rimpiazzate da altre disponibili nella penisola, la conquista di una fronte della testa di sbarco più economica e più robusta, portata possibilmente fino al confine tunisino-algerino, per dare il maggiore respiro possibile a Tunisi ed a Bisetta. Un afflusso più massivo e ordinato di forze italiane avrebbe consentito un atteggiamento iniziale più deciso nei confronti delle truppe francesi che, sgomberata la Tunisia orientale e raccoltesi sulla dorsale tunisina,
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assunsero la funzione di copertura avanzata delle unità anglo-americane accorrenti dai porti algeriru. Una più approfondita valutazione delle priorità delle esigenze avrebbe indotto a concentrare lo sforzo iniziale sulla Tunisia settentrionale rimandando ad un secondo tempo, anziché attuarla simultaneamente, la costituzione del settore difensivo Gabés-Sfax, da dove il pericolo che il nemico potesse tagliare l'A.C.I.T. dalle forze italo-tedesche in Tunisia era inizialmente più potenziale che reale. Si sarebbero così evitate la dispersione e l'usura delle forze e la messa in atto di tanti piccoli settori difensivi Tunisi, Bisetta, Gabés, Sfax (33) - tutti deboli, vulnerabili, quasi a sé stanti che, per dover difendere tutto, non sarebbero stati in grado, se attaccati in forze, di difendere nulla, in quanto non era solo l'ala sinistra (Gabés) ad essere debole, come affermava il maresciallo Kesselring (34), ma l'intera testa di sbarco costituita, per la parte italiana, da forze radunate in fretta, indipendentemente dai vincoli ordinativi e dai precedenti orientamenti di impiego, fatte affluire differendone nel tempo l'arrivo secondo le disponibilità dei trasporti e per blocchi di unità minori (battaglioni e gruppi) e, conseguentemente, impiegate a spizzico alle dipendenze dei comandi settoriali tedeschi che non ne conoscevano le peculiarità d'impiego. Si sarebbe, infine, evitato, od almeno ridotto nelle conseguenze, il prevalere assoluto degli intendimenti operativi e della catena di comando tedesca, alla quale fu facile imporsi sia perché arrivata prima sia per l'entità delle forze fatte affluire fin dall'inizio. La documentazione sulla campagna di Tunisia (35) costituisce di per sé la più convincente testimonianza, mediante la cronologia degli avvenimenti, delle lacune e dei ritardi del Comando Supremo italiano. Il maresciallo Cavallero si recò per la prima volta in Tunisia il 7 gennaio, mentre il maresciallo Kesselring durante i mesi di novembre e dicembre vi si era recato più volte ed aveva di continuo indirizzato e sostenuto l'attività del generale Nehring prima e del generale van Arnim dopo. Il generale di brigata Giovanni Imperiali, destinato ad assumere il comando del settore Gabés-Sfax, giunse in Tunisia il 19 novembre ed il generale di brigata Arturo Benigni, comandante della fanteria divisionale della divisione Superga, destinato ad assumere in luogo il comando di tutte le truppe dell'esercito che lo avevano preceduto, atterrò sul campo di el Alouina, presso Tunisi, nel pomeriggio del giorno 16 novembre. Il generale di brigata Antonio Gandin del Comando Supremo ed il generale di divisione Dante Lorenzelli, comandante della divisione Superga e pro tempore del corpo italiano, giunsero in Tunisia il 19 novembre. Il generale di corpo d'armata
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Vitorio Sogno (35 bis), comandante del XXX corpo d'armata, dal quale dipendeva la divisione Superga, raggiunse Tunisi, unitamente al Capo di Stato Maggiore ed ai comandanti di artiglieria e del genio, sul mezzogiorno del giorno 26 dicembre e solo dal mattino successivo poté prendere i primi contatti diretti con i vari comandanti e capi servizio già in posto, compresi il comandante militare marittimo di Bisetta ed il comandante dell'aeronautica italiana in Tunisia. Solo il 29 dicembre il generale di divisione Giuseppe De Stefanis ricevé l'ordine dal Comando Supremo di recarsi a Gabés per ispezionare i lavori in corso e provvedere al rafforzamento delle posizioni difensive. Il problema dell'ordinamento di comando delle forze della Tunisia venne affrontato concretamente solo nei giorni 20-23 gennaio; il generale d'armata Giovanni Messe, destinato a sostituire il maresciallo Rommel nel comando dell'A.C.I.T. che si sarebbe trasformato in comando della 1a armata italiana, giunse dall'Italia, via Tunisi, a Sfax il 31 gennaio ed assunse il comando delle truppe già appartenenti all'A.C.I.T. il 20 febbraio , giorno da cui ebbe inizio la vita operativa della l " armata (36) , mentre quella del XXX corpo d'armata, le cui unità avevano partecipato variamente ordinate ai vari combattimenti svoltisi dal novembre in poi, si era iniziala il 12 gennaio, quando il co.-po d'armata aveva assunto la responsabilità della fronte (350 Km circa in linea d'aria) nei settori centrale e meridionale della Tunisia (37). Dalla fine di novembre alla fine di gennaio le forze italiane affluite dall'Italia salirono da 8 mila a 26 mila uomini; quelle tedesche da 20 mila a 74 mila. Accusare la parte tedesca d'invadenza e di sopraffazione non ha nel caso della campagna di Tunisia alcun fondamento: l'Alto Comando tedesco fece ciò che il Comando Supremo italiano non fu in grado o non volle fare, e si attribu1 anche per motivi politici - i francesi preferivano, in particolare in Tunisia, i tedeschi agli italiani - l'intera responsabilità della fase iniziale delle operazioni, pagando, peraltro, un tributo di forze quasi triplo di quello italiano. Non senza ragione Hitler - che una vo1ta tanto veniva mantenendo le promesse fatte e che questa volta le avrebbe mantenute fino alla fine qualora l'andamento delle operazioni sulla fronte orientale non fosse divenuto, specialmente nella zona di Stalingrado, estremamente drammatico - il 29 novembre telegrafò a Mussolini lamentando la lentezza dei rifornimenti e la scarsità dei trasporti in Africa (38), mentre non è convincente la giustificazione che del fatto dette nel suo diario il maresciallo Cavallero, in quanto dal 10 novembre al 2 dicembre nessun piroscafo dell'Asse andò perduto nel Mediterraneo e Malta non aveva ancora ripreso la sua azione offensiva. Il
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telegramma del 29 era stato preceduto da un messaggio, recapitato a Mussolini il 26, con il quale Hitler aveva rivolto la preghiera di mettere a disposizione della parte germanica alcune navi da guerra leggere per effettuare convogli anche in proprio e con propria scorta, lasciando intendere di non essere soddisfatto di come stavano andando le cose (39). Che nel mese di novembre si sarebbe potuto fare di più e meglio è ammesso anche dalle relazioni compilate al termine delle operazioni dai comandanti della 1a armata e del XXX corpo d'armata, ma dalla prima metà di dicembre ebbe inizio una vera e propria ecatombe di piroscafi - Cerere, Sestriére, Monginevro, Caucaso, V aldirose, Puccini, Monteverde, Oreste, Castelverde, Honestus, S. Antioco, ecc. - che rese estremamente grave la crisi dei mezzi di trasporto e di scorta e irrecuperabile il tempo perduto. I ritardi e le insufficienze nella valutazione del problema tunisino da parte del Comando Supremo italiano spinsero il maresciallo Kesselring ad assumete iniziative autonome ed a scavalcare gli organi centrali italiani suscitando la reazione del maresciallo Cavallero (40) che intendeva salvaguardare il prestigio formale delle autorità italiane. Ma la difesa della preminenza degli interessi italiani, non solo dal punto di vista formale, ma altresì da quello politico e tecnico militare, avrebbe richiesto una maggiore entità dello sforzo che si veniva compiendo da parte italiana e soprattutto l'invio o la costituzione in Tunisia fin dal primo momento di un comando elevato che avesse goduto della necessaria libertà e responsabilità d'azione sulle unità italiane in afflusso e ne avesse salvaguardato l'inscindibilità tattica. I generali Imperiali, Benigni e Lorenzelli furono fatti partire senza istruzioni sulla condotta che avrebbero dovuto tenere, talché il tenente generale Nehring, appoggiandosi al proprio grado superiore ed alla fumdone attribuitagli di comandante del XC corpo d'armata, poté esercitare l'assoluta direzione operativa impiegando le truppe italiane frazionate alle dipendenze dei due comandanti germanici di settore. Al generale Lorenzelli, che in vista dell'unica disposizione ricevuta aveva assunto appena arrivato il comando di tutte le truppe italiane, il generale Nehring circoscrisse la giurisdizione operativa ad un settore dove non si era dislocato, inizialmente, che poco più di un solo battaglione italiano (41). Prima che partisse per la Tunisia, il generale Sogno il 20 dicembre venne chiamato da Mussolini . Questi, dopo ovvie considerazioni generiche, sulla Tunisia, sull'entità di quella colonia italiana e sulle necessità dell'Italia, in rapporto al suo sviluppo ed alla sua sicurezza, soggiunse, testualmente: « ... non starò a sottolineare l'alta importanza politica
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della missione che Vi è affidata ... ». Quindi, rivolgendosi al generale di divisione Magli, addetto al Comando Supremo e che assisteva al colloquio (il maresciallo Cavallero era ancora fuori sede), chiese quante truppe erano già in Tunisia, al che il Magli rispose enumerando, molto sommariamente, le truppe già sul luogo (gran parte della divisione Superga e alcune altre unità), ciò che non parve del tutto soddisfare il Capo del Governo che diede l'impressione, al comandante del corpo d 'armata, che egli avrebbe desiderato uno sforzo superiore e consentl, di rimando, al comandante del corpo d'armata stesso di rammentare che del corpo d'armata faceva patte anche la divisione Livorno, che avrebbe dovuto seguire la Superga come aveva suggerito il generale Ambrosio (nel precedente colloquio che il generale Sogno aveva avuto appunto con il Capo di Stato Maggiore dell'esercito). Il Capo del Governo annuì ... » (42). Quando, due giorni dopo, il generale Sogno fu ricevuto dal maresciallo Cavallero, questi, alle varie considerazioni sottopostegli non rispose con un concreto apprezzamento; all'esigenza prioriatria prospettatagli dal generale Sogno di fortificare e presidiare la testa di sbarco per ogni evenienza e « soprattutto per svincolare la manovra delle truppe operanti dalla preoccupazione della sicurezza e dei rifornimenti » obiettò « vagamente e senza direttamente interloquire sull'argomento prospettato che, ormai, con le possibilità consentite all'aviazione, operante a massa, il vecchio concetto delle circoscritte teste di sbarco doveva, in certo qual modo, considerarsi superato»; soggiunse che gli premevano molto le comunicazioni fra Libia e Tunisia dovendosi fare a tale scopo ogni sforzo; circa l'invio della divisione Livorno, rispose che « la questione sarebbe stata tenuta presente, lasciando, quindi, intendere che, pur inviando il comandante di corpo d'armata, non era ancora ferma l 'intenzione di trasferire in Tunisia un corpo d'armata» (difatti, la Livorno non fu inviata e rimase in Sicilia); alla richiesta di una maggiore influenza del comandante del corpo d'armata nella direzione delle operazioni per tutelare gli interessi italiani, obiettò che, purtroppo, ormai i tedeschi ci avevano colà preceduti (43). Il lavoro che il comando del XXX corpo d 'armata - che passò alle dipendenze della 5a armata fino alla fine della campagna - dovette svolgere per ridurre i danni provocati dalle incertezze e dalle omissioni iniziali del Comando Supremo fu difficile, delicato e lungo. Le forze italiane, appena sbarcate, erano state sino ad allora impiegate spesso prima dell'indispensabile riordinamento, e ancorché ridotte per le perdite subite dall'offes::i aerea e navale avversaria, sotto l'as-
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sillo delle esigenze operative quali si manifestavano ed erano giudicate dal comando germanico, senza rispettare i vincoli organici come era già avvenuto ad opera del comando italiano nella campagna di Grecia. In Tunisia oltre che lo spezzettamento delle unità si verificò altresì il frammischiamento di esse con le truppe tedesche, voluto peraltro dal comando germanico (44). Ne derivarono serie difficoltà ai fini dell'impiego e del rendimento. Malgrado ciò sia le unità della Superga sia le altre si batterono assai bene ed in tutti i combattimenti ai quali parteciparono non sfigurarono, nonostante l'inferiorità numerica e qualitativa del loro armamento, di fronte a quelle tedesche. I combattimenti da parte italo-tedesca fino al 18 gennaio si concretarono essenzialmente in frequenti puntate offensive parziali intese a sondare le forze avversarie od a sloggiarle da singole località che, occupate, si sarebbero prestate a migliorare le condizioni della difesa della testa di sbarco e la stessa avanzata delle forze fino alla regione collinosa. Il 19 novembre unità paracadutiste tedesche attaccarono due volte il ponte di Medjez-el Bab, ma vennero respinte. Il 20 novembre le forze dell'Asse arrestarono nella zona di Matcur a 30 Km a sud-est di Bisetta forze anglo-americane che, con una marcia attraverso le montagne, avevano occupato Medjez-el-Bab (26 novembre) e Djodeida a soli 30 Km da Tunisi. La località di Djodeida venne subito riconquistata con un violento contrattacco. Fallita l'azione per occupare Biserta e Tunisi di sorpresa, il nemico tentò nel mese di dicembre l'azione di forza sul Djebel Alrmera, ma dovette desistere davanti alle difese dell'Asse. Sempre nel mese di dicembre, truppe francesi, che tenevano la dorsale tunisina delle alture che strapiombavano sul1a linea di Kairouan, tentarono d'impadronirsi di Djebel Fkirine, ma non riuscirono a raggiungere il versante est della dorsale. Il 18 gennaio le forze dell'Asse riuscirono ad aprirsi uno sbocco verso il Kef sopraffacendo le forze francesi che lo difendevano, ma vennero poi arrestate dai carri armati americani. Il 23 gennaio, in una nuova azione sul colle del Faid, unità carri tedesche travolsero la resistenza francese e si assicurarono il controllo di un ampio varco attraverso il quale il 14 febbraio successivo si sviluppò l'offensiva di fondo tendente a costringere il nemico a ritirarsi dalla Tunisia. In sintesi, il concetto operativo che guidò il comando germanico nella prima fase della campagna fu quello della difensiva generale, vivacizzata da combattimenti offensivi locali per migliorare le posizioni e per cercare sbocchi favorevoli ad un'azione in grande stile da sferrare non appena fossero state radunate le forze necessarie (4.5 ).
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NOTA ( ) : la data del 5 febbraio è quella ufficia/e sancita dal Comando Supremo. Operativamente, l'ordinamento sancito entrerà in vigore solo Il 20 febbraio. 0
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3. La seconda fase della campagna di Tunisia fu caratterizzata dall'iniziativa offensiva delle forze dell'Asse che tentarono di ripetere la manovra napoleonica della prima campagna d'Italia del 1796: respingere la minore delle due masse di forze nemiche per guadagnare il tempo necessario a battere successivamente quella principale, nella fattispecie 1'8" armata britannica. La manovra falli e l'unico risultato importante che conseguì fu di evitare che il nemico tagliasse le comunicazioni tra la 1a armata italiana e la 5a armata tedesca. Una delle cause principali del fallimento fu la mancanza di unicità di comando. Il maresciallo Cavallero, nel determinare l 'ordinamento delle forze del!'Asse in Tunisia, aveva disposto il giorno 25 gennaio e ribadito il 31 dello stesso mese che queste venissero raggruppate in due armate - 5a. armata corazzata tedesca a nord, al comando del generale von Arnim e l" armata italiana (già A.C.I.T.) a sud al comando fino a nuovo ordine del maresciallo Rommel (successivamente del generale Messe), con limite di contatto tra le due armate il 34° parallelo entrambe direttamente dipendenti dal Comando Supremo (46). La dipendenza delle due armate direttamente dal Comando Supremo, voluta dal maresciallo Cavallero per cercare di limitare la libertà di iniziativa lasciata fino a quel momento al generale von Arnim e, in pratica, al maresciallo Kesselring, vale a dire all'Alto Comando tedesco, si palesò subito un provvedimento inattuabile perché sarebbe stato impossibile da Roma risolvere tempestivamente e razionalmente i problemi operativi delle due armate. Neppure il limite di settore tra le due armate risultò indovinato, in quanto la zona compresa tra il 34° ed il 35° parallelo era strettamente legata sotto tutti gli aspetti all'A.C.I.T. (o 1" armata) e quindi da affidare a questa. Entrambi gli inconvenienti vennero in seguito eliminati dal generale Ambrosio, nuovo capo di stato maggiore generale, e precisamente: il 12 febbraio venne spostato il limite di settore tra le due armate lungo una nuova linea (47) e il 23 febbraio venne costituito il comando del gruppo armate che venne affidato al maresciallo Rommel (48). La nomina del maresciallo Rommel giunse troppo tardi; la mattina del 23 egli aveva ordinato l'inizio della ritirata considerando fallito il raggiungimento dell'obiettivo che si era prefisso con la sua manovra. La nomina giunse troppo tardi anche per annullare il previsto attacco a nord per il quale il generale von Arnim aveva tenuto presso di sé
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riserve che avrebbero potuto essere impiegate con assai maggiore frutto nell'operazione ideata e guidata dal maresciallo Rommel. La manovra del maresciallo Rommel, della quale abbiamo fatto cenno nel precedente capitolo, ebbe inizio il 14 febbraio. Le forze che egli poté sottrarre dalla linea del Mareth gli consentirono di costituire un raggruppamento equivalente a meno di una divisione. Le altre forze necessarie alla manovra, compresa la 21 a divisione corazzata trasferita in precedenza in Tunisia, rimasero alle dipendenze del generale van Arnim. Obiettivo immediato generale della manovra era il II corpo d'armata americano che comprendeva anche forze francesi. Lo schieramento di tale corpo d'armata era imperniato a cavaliere de1le tre direttrici che scavalcano le montagne e conducono al mare, e precisamente sui passi montani di Gafsa, Faide Foundouk. Del passo di Faid alla fine di gennaio si era impossessata la 21 6 corazzata che, con un contingente della 10" corazzata, si lanciò nuovamente all'attacco il 14 febbraio concentrando il suo sforzo proprio in corrispondenza di tale passo, mentre i franco-americani si aspt:ttavano l'attacco nella zona di Fondouk. L'attacco ebbe successo e, sebbene un'aliquota delle forze americane riuscisse a mettersi in salvo ed a sfuggire all'accerchiamento delle due branche della tenaglia tedesca una costituita dalla 21 a e una dal contingente della 106 - le perdite americane furono pesanti (40 carri armati distrutti) e aumentarono successivamente dopo il fallimento del contrattacco che venne subito intrappolato dalle forze tedesche che con abili mosse aggiranti spazzarono via, l'uno dopo l'altro, in totale due interi battaglioni di carri armati medi. Il male fu che il generale tedesco Ziegler, al quale era stato affidato il comando del grosso raggruppamento di forze costituito dalla 2P e dal contingente della 10\ non seppe completare il successo. Nonostante che il maresciallo Rommel gli avesse raccomandato di proseguire l'avanzata durante la notte, egli ritenne di dover attendere l'autorizzazione del suo comandante, generale von Arnim, e si mosse verso Sbeitla solo il giorno 17. II ritardo consentì agli americani di radunare nuove forze che trattennero i tedeschi per il tempo necessario ad arretrare l'ala meridionale dello schieramento sulla linea delle catene montuose della dorsale occidentale. Sebbene l'entrata dei tedeschi a Sbeitla f asse stata ritardata, il bottino totale dei tedeschi salì a più di 100 carri armati ed a quasi 3000 prigionieri (49). Il raggruppamento di forze tratto dall'A.C.I.T. , agli ordini diretti del maresciallo Rommel, venne lanciato il 14 febbraio contro il fianco meridionale dello schieramento nemico ed il giorno 15 entrò
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LA BATTAGLIA DI KASSERINE
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a Gafsa. Dopo aver piegato a nord-ovest, il 17 avanzò di altri 80 Km e superò Feriana conquistando i campi americani di Thelepte. In questo modo si era quasi allineato con la 21a corazzata, trovandosi però 55 Km a ovest di essa, e quindi più vicino alle linee di comunicazione degli alleati (50). Avuta notizia che i franco-americani avrebbero dato alle fiamme i depositi di Tebessa - 65 Km più avanti al di là della catena montuosa e resosi conto della grave confusione nella quale si erano venuti a trovare i comandi americani, il maresciallo Rommel avrebbe voluto sfruttare fino in fondo l'occasione favorevole e con un'azione combinata di tutte le forze corazzate disponibili - le sue e quelle del generale Ziegler - costringere il nemico a ritirare il grosso delle sue forze in Algeria: una prospettiva che stava già facendosi strada nelle ansiose menti dei comandanti alleati (51). Ma il generale von Arnim, che aveva già richiamato indietro il contingente della 10" corazzata, si mostrò riluttante ad accettare l'idea del maresciallo Rommel. Questi si rivolse a Roma per ottenere l'autorizzazione a proseguire l'offensiva. Roma autorizzò, ma lasciò intendere che l'operazione, guidata personalmente nel suo complesso dal maresciallo Rommel, dovesse essere sviluppata in direzione nord, verso Tha]a e verso el Kef, anziché in direzione nord-ovest, verso Tebessa. Secondo Rommel questo cambiamento fu un pazzesco e incredibile esempio di miopia: esso infatti significava che l'attacco combinato si sarebbe sviluppato di gran lunga troppo vicino al fronte, e che ci avrebbe portati addosso alle ingenti riserve del nemico (52). Se il maresciallo Rommel fosse stato autorizzato ad attuare il suo progetto, il nemico sarebbe stato colto in contropiede perché i rinforzi erano stati inviati in gran fretta a Thala ed a Sbiba, mentre la zona di T ebessa era rimasta presidiata con deboli forze . Il maresciallo Rommel attaccò il mattino del giorno 19, ma l'occasione favorevole era già sfumata a causa del ritardo dell'inizio dell'azione e di quello della 10" corazzata che dové fare un nuovo dietro front e non giunse in tempo per partecipare alla fase iniziale. Il raggruppamento tratto dall'A.C.I.T. ebbe il compito di avanzare su el Kef attraverso Thala e la 21 a corazzata di raggiungere el Kef seguendo la strada passante per Sbiba. L'avanzata del raggruppamento venne inizialmente arrestata sulla strada del valico di Kasserine dalla resistenza nemica che rese vani tutti gli attacchi e quella della 21a corazzata venne bloccata da un campo minato dietro il quale erano schierati 11 battaglioni di fanteria sostenuti da carri armati e da cannoni di numero assai superiore a quello dei cannoni e dei carri (solo 40) della 21a corazzata. Il maresciallo Rommel decise di con-
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centrare tutte le sue forze per tentare di forzare il passo di Kasserine, impiegando all'uopo anche la 1()4 corazzata che stava finalmente giungendo anche se incompleta (1 battaglione carri, 2 battaglioni di fanteria, 1 battaglione motociclisti) perché il generale von Arnim aveva trattenuto presso di sé metà della divisione, compreso il battaglione carri armati Tigre. L'attacco concentrato sul passo Kasserine ebbe inizio il pomeriggio del giorno 20 e fu condotto da 5 battaglioni di fanteria (tra i quali il V bersaglieri) ed ebbe successo. Il valico venne conquistato. Il maresciallo Rommel irradiò elementi esploranti lungo Ja strada per Thala e in direzione di Tebessa per lasciare incerto il nemico sull'obiettivo che voleva conquistare, mentre tenne fermo il grosso - se così lo si può definire stante l'esigua consistenza - per prepararsi a fronteggiare il contrattacco che pensava il nemico avrebbe sferrato per la riconquista del passo. Visto che il nemico non si muoveva, riprese il movimento verso Thala con un gruppo di combattimento comprendente 30 carri armati, 20 cannoni semoventi e 2 battaglioni granatieri corazzati. Il nemico ripiegò e si ritirò su Thala, dove venne travolto. Anche se dopo tre ore di mischia confusa l'attacco venne arginato, i tedeschi se ne andarono portando con sé 700 prigionieri. In questa serie di scontri lungo la strada proveniente da Kasserine essi avevano perso una dozzina di carri armati, ma a loro volta ne avevano messi fuori combattimento quasi 40 (53). Certo che gli alleati stessero organizzando un contrattacco più massiccio, il maresciallo Rommel arrestò la progressione e si organizzò in modo da poterlo respingere e da poter attaccare a sua volta subito dopo. Questa volta non si sbagliò: il nemico stava affluendo in forze sulla scena. Nel pomeriggio de] giorno 22, constatato che le forze nemiche venivano assumendo una consistenza incontenibile, incontratosi con il maresciallo Kesselring che condivise la decisione, ritirò di nuovo ad ovest le sue forze facendole ripiegare per il momento sul passo Kasserine. Durante il ripiegamento le forze del maresciallo Rommel vennero tallonate da1le forze americane mossesi con ritardo nel pomeriggio del 22, ma la reazione americana, oltre che in ritardo, fu incerta e titubante fino alla mattina del giorno 23 quando, accertato l'abbandono di Thala, il comando americano decise per il giorno 25 l'inizio di un contrattacco generale. Non solo Je forze alleate non seppero incalzare da vicino fino in fondo le unità ripieganti, ma concessero loro tutto il tempo di ritirarsi senza troppi ostacoli al di là del passo di Kasserine. La decisione Rommel-Kesselring di porre fine all'offensiva in ragione del rapporto di forze che si era venuto a creare tra le due parti e del progressivo rafforzamento della resistenza opposta
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dagli alleati era stata tempestiva e saggia; insistere sarebbe stata follia (54). Errato in partenza fu, invece, l'attacco del generale von Arnim, che per poterlo sferrare aveva trattenuto presso di sé la metà della 10• corazzata, mosso il 26 febbraio sulla fronte nord. L'azione si riprometteva inizialmente la riconquista di Medjez el Bah, ma il generale von Arnim, d'intesa con il maresciallo Kesselring dal quale si recò in volo a Roma per concordare il piano, volle trasformarla in un'offensiva in grande stile, tanto ambiziosa quanto incerta, che abbracciasse tutta la fronte di 110 chilometri, tra la costa a nord e Pont-du-Fahs, e si sviluppasse in 8 diversi punti contro l'intero V corpo d'armata inglese. Il maresciallo Rommel quando conobbe il piano lo definl del tutto chimerico e lo ascrisse al Comando Supremo italiano che, invece, ne era rimasto non meno sorpreso di lui. Lo sforzo principale venne diretto sul centro stradale di Beja (100 Km ad ovest di Tunisi) e un'azione a tenaglia, più limitala, venne simultaneamente sferrata su Medjez el Dab. Fu questa un'ennesima riconferma della rapidità e duttilità con cui i tedeschi sapevano elaborare o mutare i loro piani, anche se in questo caso la fretta eccessiva comportò forse una certa improvvisazione (55), ma il piano falli, non solo a causa dell'improvvisazione della quale fa cenno il Li<l<lell Hart, ma soprattutto per l'inosservanza del principio della concentrazione degli sforzi e per l'insufficienza delle forze disponibili, come del resto lo stesso Liddell Hart riconosce quando aggiunge: « nonostante si decidesse di utilizzare tutte le forze disponibili, in nessun punto fu possibile potenziare le forze di attacco in misura tale da renderle adeguate alla prevista entità dell'operazione. Per l'attacco di Beja il numero dei carri armati del gruppo corazzato, consistenti in 2 battaglioni corazzati, fu portato a 77 (compresi 14 Tigre), ma anche questo magro risultato fu ottenuto solo facendo fermare 15 carri armati appena arrivati da Tunisi e destinati a raggiungere la 21a corazzata a sud» (56) . Inizialmente l'offensiva ebbe un qualche successo e poco mancò che non raggiungesse Djebel Abiod dopo avere sopraffatto le truppe francesi e inglesi che presidiavano il settore ed avere conquistato la posizione avanzata inglese di Sidi Nsir. Ma, successivamente, il raggrup: pamento di forze operanti lungo la direzione principale rimase incapsulato a 15 Km da Beja in una gola stretta e paludosa dove i cannoni da campagna e controcarro inglesi misero fuori combattimento tutti i carri armati tedeschi ad eccezione di 6. L'attacco diretto a tagliare fuori Medjez el Bah, dopo alcuni successi locali, fu arrestato e respinto. Analoga sorte toccò agli altri attacchi secondari sviluppati più
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a sud. La cattura di 2500 prigionieri in tutto e le distruzioni inflitte al nemico non compensarono certo la perdita di mille uomini e di 71 carri armati tedeschi. Il peggio fu che l'offensiva del generale von Arnim rese indisponibili le forze delle quali avrebbe avuto bisogno il maresciallo Rommel per attaccare le posizioni di Medenine. Il maresciallo Kesselring, infatti, aveva ordinato che la 1 oa e la 21 a corazzata restassero, durante l'offensiva del generale Arnim, a ridosso del fianco degli americani per scoraggiare eventuali invii di rinforzi a nord in appoggio alle forze franco-inglesi impegnate dall'offensiva del generale Arnim . Questo ritardo ebbe ripercussioni decisive sulle prospettive di successo dell'attacco ad est. Ancora il 26 febbraio la posizione avanzata di Medenine era presidiata da una sola divisione inglese. Montgomery ammise di essere una volta tanto preoccupato, e il suo stato maggiore lavorò febbrilmente per ristabilire la situazione prima che Rommel potesse attaccare. Entro il 6 marzo, quando infine i tedeschi attaccarono, Montgomery aveva avuto il tempo di quadruplicare le sue forze a Medenine, portandole all'equivalente di 4 divisioni con quasi 400 carri armati, 350 cannoni e 470 cannoni anticarro (57). L'offensiva contro le forze avanzate inglesi nel settore sud aveva lo scopo d'imporre un tempo di arresto anche in tale settore, come era stato fatto nei giorni precedenti negli altri, per scomporre le linee della grande offensiva che il nemico veniva preparando. Le direttive per l'azione vennero impartite dal maresciallo Rommel, in veste di comandante del gruppo d'armate, il 28 febbraio. Esse prevedevano come scopo dell'azione l'annientamento con manovra avvolgente delle forze nemiche in corso di schieramento tra Medenine e le posizioni di Mareth, da effettuare con azione a tenaglia: gruppo Borowietz (15" corazzata e gruppo di combattimento della 1643 divisione) dalla zona ad est di Toujane e passo Hallouf su Medenine; gruppo D.A.K. (10a e 21" corazzata) dal settore nord delle posizioni del Mareth verso la zona a nord-ovest di Medenine; gruppo costituito da unità della Spezia, della Trieste e della 90" leggera con il compito di attaccare frontalmente a cavallo della strada Mareth-Medenine; raggruppamento esplorante (3° e 33" gruppo esplorante) dal passo di Hallouf su Bir el Ahmar per sbarrare la strada per Foum T atahouine a protezione del fianco sud del dispositivo e per occupare l'aeroporto di Medenine. L'operazione venne affidata al comando della l" armata che, esclusa la possibilità di sboccare dal settore nord con due divisioni corazzate, propose di spostare il D .A.K. a sud in modo di farlo sboccare con due divisioni corazzate dalla zona ad est di Toujane e con una dal passo di Ksar el Hallouf. La proposta venne accettata e il comando
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della 1a armata emanò il suo primo ordine di operazione il 2 marzo (58). Per la sua riuscita l'azione avrebbe richiesto tempestività, sorpresa, disponibilità di forze adeguate, fattori che vennero a mancare del tutto. La tempestività venne a mancare perché il 6 marzo, quando l'azione ebbe inizio, l'avversario aveva già fatto affluire ingenti forze; la sorpresa non fu realizzata, nonostante le precauzioni adottate, perché già dal giorno 3 il nemico venne a conoscenza di quanto la 18 armata italiana veniva organizzando; le forze - 141 carri armati (35 della 10\ 60 della lY e 46 della 21n), 200 cannoni,
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8 battaglioni di fanteria tratti da 4 divisioni, 160 apparecchi (50 Mc. 202 italiani, 110 velivoli tedeschi, dei quali 60 caccia Me.109, 30 Jacobs, 20 Stukas) - si rivelarono ben presto inadeguate, tanto che l'offensiva, iniziata alle ore 6 del 6 marzo, e subito bloccata dalle forze inglesi che misero fuori combattimento 44 carri armati e 640 uomini tra morti e feriti e dispersi, venne sospesa la sera dello stesso giorno perché il generale Messe ed il maresciallo Rommel si convinsero dell'inutilità di proseguire lo sforzo. La notte sul 7 le forze italotedesche iniziarono a ripiegare sotto la protezione di forti retroguardie
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ed il giorno 8 la 1oa corazzata raggiunse gli Chotts dove passò a disposizione del comando del gruppo d'armate, la 21a si dislocò sulle primitive posizioni ad ovest di Mareth, la 15a sulle primitive posizioni del settore della Spezia, il raggruppamento esplorante Luck a Bir Soltane. Anche una puntata offensiva fatta eseguire il giorno 10 da quest'ultimo raggruppamento nel settore sahariano, dove il nemico veniva rafforzando il nodo di Ksar Rhilane, non riuscì a raggiungere tale località, pur arrivando a 9 Km a sud-est di essa; di fronte alla forte reazione di terra e soprattutto dal cielo il raggruppamento dalle ore 16 dello stesso giorno 10 dovette iniziare a ripiegare sulle posizioni di partenza. L'episodio segnò la fine della fase offensiva italotedesca della campagna di Tunisia.
4. Dopo il fallimento dei vari sfot'.li offensivi e, in particolare, d.i quello diretto contro Medenine, le forze dell'Asse in Tunisia assunsero atteggiamento difensivo su tutta la fronte, il cui margine esterno era segnato, grosso modo, dalla congiungente uadi ez Quara-G. AbiodBir el Matteyo-Heidous-Btich el Qude-Goubellat-D. Rihane-Bou Arada-D. boukril-D. es Serdouk-Pichon-Fonduk el Haouareb-D. Tonila-St. di Sidi Said-Fiad-D. Goulab-Djebel Meloussi-D. Majoura-St. di SenedSenod-el Ghetar-Chott el Ghetar-Dj Atra-Diebel el Ascher-Chott el Fedjadj-Mansura-Ghebili-B. Rhezene-uadi el Hailoul-Bir KreddocheD. Mogon-uadi Duro ez Zessar. La fronte presidiata dalla l II armata, compreso il settore della divisione corazzata Centauro, appoggiava il suo fianco sinistro al mare, all'incirca all'altezza de1la secca di Duro ez Zessar ed aveva il suo limite destro segnato dall'allineamento SenedBir Zoya-Chebket Ben Cherifu-Sid Mansour-B. Ain Terkid-La Kriba; la fronte del XXX corpo d'armata era compresa t ra il limite destro della 1a armata e l'allineamento Ksarbou-kriss-Sid Naoni-Pont du Fahs (escluso)-Nabeul; truppe germaniche e il 10° reggimento bersaglieri presidiavano il resto della fronte dal limite destro del XXX corpo d'armata italiano fino al mare all'altezza all'incirca di C. Negro. Nel settore difensivo della 1" armata erano schierati da sinistra a destra la divisione Giovani fascisti, la Trieste, la 90.,. divisione leggera tedesca, la Spezia, la Pistoia, la 164a divisione tedesca, il raggruppamento sahariano, la Centauro; nel settore contiguo del XXX corpo d'armata italiano, sempre da sinistra a destra, la L brigata speciale, il raggruppamento di forze Fullriede, il raggruppamento di forze
CAP. XXXVU - OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PAllTE TERZA)
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Benigni, la divisione Superga. Fronteggiavano le forze dell'Asse 2 armate britanniche, 1 corpo d'armata statunitense, 1 distaccamento d'armata francese (59). Sulla fronte della 1"' armata gli avvenimenti salienti che caratterizzarono i 64 giorni di lotta (dal 1O marzo al 13 maggio) furono: la battaglia di Mareth-el Hamma (16-30 marzo), la battaglia del-
La battaglia del Mareth (2" fase)
l'Akarit (5-6 aprile), il ripiegamento sulle posizioni di Enfidaville (7-13 aprile), la prima battaglia di Enfidaville (19-30 aprile) e la seconda battaglia di Enfidaville (9-13 maggio) che concluse la resistenza dell'Asse in terra d'Africa. La battaglia di Mareth-el Hamma ebbe inizio alle ore 20,30 del 16 marzo con l'intendimento, da parte del nemico, di manovrare a tenaglia, con la branca principale costituita dall'8a armata avanzante da sud e con l'altra branca, formata dal II corpo d'armata statunitense,
CAP. DCXVII • OPERAZIONI ITALO-T.ll.DESCIIE (PARTE TERZA)
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operante da ovest, allo scopo di separare le due armate dell'Asse per poi batterle e distruggerle separatamente. Il disegno operativo della 1s armata italiana, alla quale non era sfuggita la reale essenza del piano offensivo nemico, consisteva, nei riguardi del settore di Gafsa dove operava il II corpo d'armata statunitense, nel fare muro in attesa che il comando gruppo armate avviasse le forze necessarie per garantire l'integrità del settore e, nei riguardi del settore meridionale dove agiva 1'88 armata britannica, nel tenere il più a lungo possibile la posizione ed impedire ad ogni costo la caduta della posizione di resistenza e il forzamento delle posizioni di el Ram.ma. A tale scopo il comandante della l armata aveva rinforzato i due settori minacciati sottraendo aliquote di artiglieria dal settore montano non minacciato e destinando forze al XX corpo d'armata (divisioni Giovani fascisti, Trieste e 90" leggera tedesca) per le reazioni immediate, aveva serrato sotto le riserve disponibili, aveva riservato per il contrattacco nel settore di el Hamma la 21 a corazzata di cui era stata preannunziata l'assc::gnazione e aveva previsto lo sganciamento dal settore montano della 164" tedesca e di tutte le altre forze possibili per poter alimentare nel tempo la resistenza dei settori minacciati (60). L'insieme di tale provvedimenti e di altri adottati sul tamburo valse a far falJire l'altaccu frontale, condotto da tre divisioni di fanteria del XXX corpo d'armata inglese, mirante a sfondare le difese della l 8 armata vicino al mare per aprire un varco attraverso il quale potessero passare, per lanciarsi in profondità, le truppe corazzate del X corpo inglese. Anche la manovra aggirante in direzione di el Hamma per minacciare le retrovie della 1a armata e per impegnare le sue riserve, affidata alle truppe neozelandesi (27 mila uomini e 200 carri armati) che, dopo una lunga marcia nel deserto, si erano portate a ridosso del varco Prugna - 50 Km ad ovest di Gabès e 25 a sudovest di el Hamma - fu arrestata dai difensori italiani ai quali si erano tempestivamente affiancati la 218 corazzata e 4 battaglioni della 16411 leggera, richiamati indietro dal settore destro della linea di Mareth. Il piano iniziale del generale Montgomery, al quale era stato assegnato il nome di Pugilist Gallop, non consegul, dunque, nessun risultato importante, tanto che lo stesso generale Montgomery, constatato che non esisteva alcuna possibiltià di riprendere con successo l'azione lungo la costa, decise il giorno 23 di spostare l'asse dello sforzo sul fianco dell'entroterra in direzione di el Hamma, trasformando in azione principale quella che era stata fino ad allora l'azione sussidiaria dei neozelandesi. Il nuovo piano d'attacco, denominato Supercharge Il in ricordo del Supercharge di el Alamein, fu subito 11
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chiaro al generale Messe che, messo in allarme dall'arrivo dei neozelandesi vicino alla Prugna, non tardò a dedurne che gli ulteriori movimenti di truppe in quella direzione, segnalati la sera del 23 e di nuovo il 24, erano il segno che il generale Montgomery stava trasferendo il grosso delle sue for-Le sul fianco desertico. Il tempestivo spostamento della lY corazzata nelle vicinanze di el Hamma, in modo da poter prontamente sostenere la 21 & corazzata e la 164• leggera fatte affluire in zona due giorni prima, consentl alla 1" armata di arginare l'avanzata inglese contro la quale si abbatté anche un riuscito contrattacco di una trentina di carri armati della 15a corazzata. L'offensiva inglese sulla fronte di d Hamma, diversamente di quella sulla fronte del Mareth che venne nettamente stroncata, fu solo contenuta per il tempo necessario a consentire al grosso della 1" armata, che doveva marciare a piedi, di ripiegare sulla posizione dell'uadi Akarit secondo l'ordine impartito dal generale von Arnim fin dal giorno 24, nonostante il diverso avviso del generale Messe che avrebbe voluto persistere nella difesa della linea del Mareth. Il ripiegamento sulla linea Akarit-Chotts, iniziatosi la notte sul 26, si concluse ordinatamente, nonostante le gravissime difficoltà logistiche e la pressione nemica, il giorno 30 marzo. La battaglia difensiva di Mareth-el Hamma - che aveva impegnato duramente anche la divisione Centauro investita fin dal giorno 17 da preponderanti unità motocorazzate statunitensi alle quali aveva resistito vantaggiosamente - fu un grave smacco per le forze franco-anglo-americane che, nonostante la loro superiorità (61), non riuscirono in nessuna delle due offensive a sfondare la fronte delle forze dell'Asse e non seppero sfruttare il momento favorevole del ripiegamento italo-tedesco per raggiungere la costa e tagliare la strada alle forze in ritirata. Il grande successo difensivo della 1" armata fu il risultato dell'ottimo lavoro d'impostazione (62), di organizzazione (63) e di preparazione morale e professionale (64) compiuto dal generale Messe che in soli 20 giorni, come riconobbe il generale von Arnim, seppe trasformare l'armata reduce da un lungo e penoso ripiegamento seguito ad una gravissima sconfitta . Fu il risultato dell'intensa e frenetica attività dei vari comandanti e degli stati maggiori che, con piena aderenza ai criteri ed alle disposizioni del comandante dell'armata, ne secondarono iniziative e disposizioni moltiplicandone l'efficacia. Fu il risultato diuna condotta delle operazioni (65) caratterizzata da capacità d'intuizione, chiarezza di idee, pronteza di decisioni e tempestività di ordini del comandante e dello stato maggiore dell'armata alle quali fecero riscontro, da parte dei comandi e delle unità dipendenti, una dedizione, uno spirito. di
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sacrificio e di adattamento e una capacità professionale e combattiva di altissimo livello. Serenità e decisione, immediatezza delle reazioni, tenacia nella resistenza, calma nei momenti critici, violenza dei contrattacchi, ordine e disciplina in tutte le fasi ed in tutti i momenti anche i più drammatici furono le qualità e le virtù salienti delle quali dettero prova durante l'intera battaglia sia le unità italiane che quelle tedesche. Vi furono alcuni malintesi e momenti di tensione (66) tra il comando dell'armata ed il comando del gruppo d'armate e si verificarono piccoli incidenti nell'impiego di unità cosl eterogenee per mentalità, tradizioni e orientamenti, ma il collaudo in combattimento dell'armata mista dette risultati superiori ad ogni aspettativa e la forma di cooperazione raggiunta in poco tempo fra comandi e unità italiani e tedeschi fu davvero ottima: « La cooperazione e l'affiatamento con i tedeschi inquadrati nella 1a armata furono durante la battaglia ottimi; si può dire che nessun contrasto ebbe luogo, anzi sia il Capo di Stato Maggiore tedesco (gen . Bayerlein) che le grandi unità diedero prova di perfetta disciplina e cli completa adesione al loro compito nell'ambito della 1a Armata italiana. Nella successiva fase della lotta qualche rilievo si potrà fare in questo campo, ma di limitato momento. Contrasti vi furono invece con il Comando Gruppo Armate, di cui si è fatto cenno; altri se ne verificheranno in seguito, che il comandante della 1" Armata dovrà affrontare con pari energia. Nel complesso può fondatamente affermarsi che la fusione delle unità italiane e tedesche nell'ambito della 1a armata rappresentò uno dei più felici esempi di armonico funzionamento di una grade unità mista, nella quale veramente l'obiettivo comune sul campo di battaglia, la vittoria, era posta al di sopra e al di là di qualsiasi attrito e di qualsiasi piccola gelosia nazionale. Come ben sa chiunque abbia vissuto e combattuto per lungo tempo con i tedeschi - e il generale Messe fu tra questi - quest'armonia procedeva in ordine decrescente dalle linee di combattimento alle retrovie, sfumando da un ammirevole cameratismo ad uno stato di tensione e talvolta di vera ostilità, determinato quest'ultimo dalle incorreggibili caratteristiche teutoniche della mancanza di tatto, della boria, della prepotenza. Così è che i rapporti del Comando di Armata con gli elementi alleati assumevano valore sostanziale diverso procedendo dal fronte verso le retrovie (67). La posizione Akarit-Chotts era già stata punto di attrazione fin dalla costituzione della testa di sbarco in Tunisia. Ad essa, più che a quella del Mareth, aveva rivolto costantemente la sua particolare attenzione il maresciallo Rommel e, in un primo tempo, anche il mare-
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sciallo Cavallero (68) che poi decise per la resistenza ad oltranza su quella del Mareth (69) naturalmente meno forte e con il suo punto vulnerabile nella zona intermedia, ma della quale si potevano utilizzare almeno parzialmente le deboli e malandate fortificazioni francesi. La diversità di opinioni tra i due marescialli dipendeva, peraltro, dalla differente visione che essi avevano avuto fin dall'inizio circa la funzione da attribuire alla Tunisia. Sebbene non vi fosse stata tra i due, e neppure tra l'Alto Comando tedesco ed il Comando Supremo italiano, un'aperta divergenza circa la scelta della posizione tunisina per la resistenza ad oltranza, il maresciallo Rommel aveva sempre pensato ad una difensiva elastica che, secondo la disponibilità delle forze e dei mezzi, avrebbe potuto trasformarsi nel momento favorevole in una controffensiva a fondo od irrigidirsi in un estremo e limitato ridotto che consentisse l'esodo delle forze recuperabili a favore della lotta sul continente europeo. Ciò spiega il perché, non appena rientrato definitivamente in Germania, egli si sia affrettato a suggerire ad Hitler d'impartire al generale von Arnim l'ordine di ripiegare le forze italo-tedesche dalla posizione di Mareth a quella di Akarit. L'ordine giunse al generale von Arnim il 14 marzo, il giorno dopo che questi aveva impartito le disposizioni inequivocabili per la condotta della lotta stille posizioni del Mareth (70), direttamente dal1' Alto Comando tedesco che, accogliendo appunto la proposta del maresciallo Rommel, aveva disposto di far ripiegare subito la Spezia (ad eccezione delle unità schierate sulla posizione avanzata della posizione di resistenza del Mareth) sulla linea Akarit-Chotts, di trasferire la Trieste (da sostituire sulle posizioni occupate con la 164a) nel settore della Centauro da far ripiegare sulla linea Akarit-Chotts e di estendere lo schieramento della Pistoia a tutto il settore abbandonato dalla 164". Il generale von Arnim si recò dal generale Messe nel pomeriggio del giorno 14 e gli comunicò verbalmente il nuovo ordine, lasciando senza risposta la domanda rivoltagli dal generale Messe se, una volta arretrate di 60 Km - tale era la distanza tra le due posizioni - le due divisioni, si fosse dovuto ugualmente attendere l'attacco e difendersi ad oltranza sulla linea del Mareth oppure se l'arretramento delle due divisioni dovesse essere inteso come la prima fase di un ripiegamento generale sulla linea Akarit-Chotts. Il concetto di una posizione unitaria Mareth-Cbotts preso a giustificazione dal generale von Arnim, che si mostrò peraltro non molto persuaso di tale idea, parve al generale Messe che fosse solo un mezzo per raggiungere il fine, in quanto nessuna unitarietà era tatticamnete perseguibile tra due posizioni cosl distanti. Il generale Messe propose di modificare
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AVANZATA DEGLI ALLEATI IN TUNISIA (MARZO-MAGGIO 1943)
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quanto meno le modalità di esecuzione, basate su una vera e propria rivoluzione dello schieramento in atto e su di un meccanismo complicato e macchinoso di difficilissima messa in atto nel particolare delicato momento in cui tutto faceva credere all'imminenza dell'offensiva nemica. Le varianti proposte dal generale Messe - spostamento sull'Ak.arit-Chotts della Spezia e della Pistoia e mantenimento in sito della Centauro e della Trieste - furono autorizzate da Berlino e la notte sul 15 ebbero inizio i movimenti per scaglioni della Spezia e della Pistoia. « Ma nel pomeriggio del giorno 15 l'O.B.S. (maresciallo Kesselring) comunica al comando della 1a armata, tramite Comando Gruppo Armate, la sospensione dei movimenti previsti per i giorni 16 e 17 e successivamente il giorno 16 dispone l'annullamento dell'ordine ed il ripristino della situazione precedente, riportando in linea le truppe già spostate. L'eterno competitore di Rommel, Kesselring, ha condotto felicemente a termine la sua contromanovra! » (71). Tutto ciò provocò una crisi di due intere giornate con conseguenze negative nel campo dei lavori (la cui massa fu orientata dal giorno 14 sulla posizione degli Chotts) e del consumo dei carburanti, ma valse ad orientare il comando della 1a armata all'eventualità di un ripiegamento per il quale fu compilato un piano (72), ed all'esigenza di fortificare la nuova posizione sulla quale, in aggiunta ai circa 2500 uomini che già vi lavoravano, ne furono inviati altri per il completamento di un campo minato tra la rotabile ed il limite est del gebel Roumana, il rafforzamento del corso dell'Akarit, la continuazione del fosso anticarro tra l'uadi e il gebel Roumana e, ad ovest di questo, la messa in opera di reticolato tra la ferrovia ed il gebel Roumana stesso (73). Quando, dopo la battaglia di Mareth-el Hamma, la l " armata ripiegò sulle posizioni Ak.arit-Chotts, queste non offrivano alcuna garanzia di solidità, nonostante l'incremento dato ai lavori di rafforzamento e i veri miracoli di attività compiuti dalle unità · nel periodo che intercorse prima della ripresa dell'offensiva inglese. L'armata aveva inflitto ma anche subito gravi perdite (74) per cui fu necessario il suo completo riordinamento. L'andamento della nuova posizione di resistenza correva grosso modo lungo l'allineamento uadi Akarit-Dj.Roumana-el Hachana-gebel del Fedjadj-el Kbir Smaia; più ad occidente si estendeva fino alla sinistra del settore Centauro. Robusta in corrispondenza dell'uadi Akarit, priva ad ovest di appigli naturali fino al Dj .Roumana, accidentata lungo il tratto Dj. Roumana-el Hachana, robusta a sud-est delle alture di Roumana (complesso orografico Meida-Fatnassa-Zembet el Beida) attraversate solo dalla rotabile di Gafsa e da due o tre piste mulattiere, delicata nel tratto
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dei gebel dove tra l'uno e l'altro correvano buone linee di comunicazione sfruttabili da forze motocorazzate, impraticabile poi nella zona antistante gli Chotts Fedjadj, la posizione di resistenza destava preoccupazioni non lievi nella parte pianeggiante compresa tra il Roumana ed il gebel el Meida e nella parte montuosa per la esigua profondità della quinta collinare. In conclusione la posizione degli Chotts si presentava sotto ben altro aspetto di quella di Mareth (7 5), soprattutto per la maggiore debolezza, la crisi dei collegamenti (76), la difficoltà, per mancanza di mezzi, di recuperare la primitiva efficienza, l'enorme squilibrio di mezzi corazzati (16 carri armati contro 460), l'orientamento psicologico del generale von Amim che il 1° aprile prospettò al generale Messe l'opportunità di ripiegare a nord, dietro la linea di Enfidaville, tutto il personale ed il materiale non strettamente necessari alla difesa della posizione Akarit-Chotts (77). Furono attuati opportuni accorgimenti affinché i trasporti non venissero interpretati come predisposizioni per il ripiegamento e non influissero quindi in senso negativo sullo spirito delle truppe ... Ciononostante è certo che le misure attuate non poterono sfuggire completamente all'apprezzamento del soldato ... (78). Il Comando Supremo, venuto a conoscenza di ciò, confermò all'armata il concetto di resistenza ad oltranza sugli Chotts e ordinò di evitare che si ingenerasse la sensazione che le attuali posizioni dovessero avere una semplice funzione di ritardo. Concetto più facile ad esprimere in un ordine che a tradurre in realtà (79), tanto è vero che la battaglia dell'Akarit durò poco più di 24 ore. Sia nella battaglia di Mareth-el Hamma sia in quella degli Chotts il settore della Centauro a sbarramento delle provenienze da Gafsa esercitò un'influenza determinante sulle operazioni della l" armata, su quelle del XXX corpo d'armata e sulla condotta generale dell'azione difensiva italo-tedesca. Tale settore era entrato in crisi fin dal giorno 24 marzo. La 10a divisione corazzata, che vi era stata fatta affluire con l'ardito compito di puntare su Gafsa, occuparla e cadere di rovescio sulle forze nemiche che per la valle di Sened puntavano su Maknassy, dovette essere subito suddivisa tra la zona di el Guettar e quella di Maknassy per rafforzare la prima e per raccorciare la fronte della seconda rimasta, tra l'altro, scoperta in seguito alla caduta dell'esile schieramento preesistente. Benché i pochi carri Tigre della 10a si prodigassero sulla soglia di Maknassy e costringessero il nemico a procedere assai lentamente, il peso dei preponderanti mezzi avversari si fece giorno per giorno sempre più sentire e la minaccia di uno sbocco in piano e quindi al mare del nemico, alle spalle della 1a
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armata, divenne attuale il 28 marzo. La Centauro, appoggiata efficacemente dalle aliquote della 10"', riusd però a tenere duro, nonostante le gravi perdite subite, gli attacchi di ingenti mezzi corazzati, i massivi bombardamenti e mitragliamenti aerei. L'attacco della 1"' e della 9a divisione di fanteria americane, seguite dalla 1"' corazzata americana, sferrato su el Guettar il 28 marzo, dopo aver realizzato solo esigui progressi, venne prima arginato, poi arrestato con l'intervento di tutti gli elementi mobili disponibili in zona. L'attacco nemico rinnovato all'alba del 29 venne ancora una volta contenuto da tutti gli elementi comunque disponibili (genieri, reparti comando, ecc.). Il giorno 30 il nemico riprese l'azione con immutata violenza: un battaglione tedesco arretrò lasciando scoperti due caposaldi laterali che rimasero in posto sino al sacrificio. L'azione nemica a cavallo della rotabile venne stroncata, analoga sorte subirono due attacchi di sorpresa nel settore Halfaya, dove il nemico abbandonò altri autocarri e prigionieri. L'attacco che il nemico rinnovò il giorno 31 contro le forze residue della Centauro ebbe inizialmente successo e una colonna di carri americani riuscì a spingersi in profondità fino a poche centinaia di metri dal comando di divisione ove inesplicabilmente si fermò. Ciò dette modo agli elementi arretrati ed alle forze ripiegate dal davanti di imbastire una nuova resistenza e, mentre le artiglierie ancora efficienti cominciarono a battere il nemico a fronte rovesciata, le forze residue, con al centro il comandante della divisione, non piegarono fino a sera fin quando cioè i primi pezzi controcarro della 21a corazzata tedesca, che era stata messa in movimento fin dal mattino dal comando della 1" armata, non furono in grado di controbattere efficacemente i carri americani che ripiegarono immediatamente. La sera stessa le forze residue della Centauro furono riunite in un gruppo di combattimento che fu inglobato nella 10a divisione corazzata tedesca. Si chiusero così gloriosamente per la Centauro i quindici giorni di durissima lotta contro un nemico enormemente supe• riore per numero e per mezzi, ma nell'occasione dimostratosi assai meno ricco di volontà combattiva e di capacità tattica e tecnica. Ecco come il Liddell Hart descrive succintamente l'attacco del II corpo d'armata statunitense sulla fronte della Centauro: « L'attacco principale fu sferrato da el Guettar il 28, ma dopo aver realizzato nel corso di duri combattimenti solo esigui progressi fu infine respinto. Poiché nel frattempo Montgomery aveva sfondato a el Hamma e raggiunto Gabès, Alexander disse a Patton di lanciare la sua colonna corazzata verso la costa senza aspettare che la fanteria le aprisse un varco. Ma anche questo tentativo fu sventato da un ben congegnato schiera-
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mento di cannoni anticarro, e dopo tre giorni di inutili sforzi il compito di aprire un varco fu di nuovo affidato alla fanteria, la quale però, nonostante gli incitamenti di Patton, non riuscl ad ottenere risultati migliori. Comunque era bastato il pericolo di uno sfondamento in questa zona per indurre i tedeschi, che si vedevano minacciati alle spalle, a inviare la 21" divisione corazzata a dar manforte alla 10"', e questa ulteriore riduzione della già scarsa riserva corazzata del nemico fu di grande aiuto a Montgomery nel suo attacco frontale contro la posizione dello uadi Akarit, attacco per il quale egli disponeva di 570 carri armati e di 1470 cannoni» (80). Per le sue caratteristiche naturali, quella dell'Akarit costituiva potenzialmente una buona posizione difensiva in quanto meno estesa di quella di Mareth-el Hamma, più robusta, con i fianchi appoggiati al mare ed a paludi salmastre e vulnerabile solo in corrispondenza di tratti ben definibili e ristretti. Alla 1" armata mancò il tempo per poterla fortificare sufficientemente ed estenderla in profondità e vennero a mancare le riserve, tanto più indispensabili proprio in ragione della scarsa solidità potuta conferirle, per assicurare alla difesa il grado di reattività necessario. In più il generale Montgomery, abbandonata la vecchia formula dell'attacco nel periodo del plenilunio che sarebbe caduto il 15 aprile - e avvalendosi, diversamente dal solito, di una preparazione piuttosto sommaria, affrettò i tempi e anziché attendere un'altra settimana decise di sferrare l'azione la sera del 5 aprile pensando che il vantaggio di agire nell'oscurità avrebbe co_mpensato il rischio della confusione. Egli divisò inizialmente di sfondare lungo il ristretto settore costiero e di sfruttare la breccia per lanciare in profondità i mezzi corazzati. Su suggerimento del comandante della 4" divisione indiana (generale Tuker) estese successivamente la fronte di attacco verso ovest fino a comprendere le alture dominanti del settore centrale della l" armata italiana e decise d'impiegare nell'azione le tre divisioni di fanteria del XXX corpo d'armata. La sera del 5 aprile la 4" divisione indiana attaccò simultaneamente le posizioni della Trieste e della Spezia ad ovest del Roumana e riuscì a creare una notevole sacca. Alle 4,30 del giorno 6 la 50" e la 51" inglesi partirono a loro volta all'attacco appoggiate dal fuoco di quasi 400 cannoni; mentre la 50a fu fermata lungo la linea del fosso anticarro, la 5P riuscì ad aprirsi un altro varco sulla fronte della Trieste. Se le divisioni del X corpo d'armata inglese avessero tempestivamente sfruttato la breccia aperta dalla 4" divisione indiana e anche quella, sebbene meno ampia, della 51" divisione inglese, la fine della guerra nell'Africa settentrionale sarebbe stata anticipata di un mese. Le forze
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corazzate tardarono invece a muoversi ed a sfruttare il momento favorevole per lanciarsi in profondità, dando così modo alle forze della 1a armata italiana di restringere la breccia della 51 a e di fermarvi, mediante un contrattacco della 15" divisione corazzata tedesca, le avanguardie corazzate del X corpo inglese. Niente fu fatto da parte inglese nel corso di quella giornata per sfruttare l'ampio varco aperto dalJa 4a. divisione indiana. Con la sua tipica tendenza a procedere con cautela, Montgomery pensò di effettuare lo sfondamento la mattina seguente, con l'aiuto di un massiccio bombardamento aereo e di artiglieria. Ma quando spuntò il nuovo giorno il nemico si era eclissato, e quello che avrebbe dovuto essere un colpo micidiale destinato a metterlo fuori combattimento si trasformò in una lenta avanzata sulle orme di un'armata che ancora una volta gli era sfuggita di mano (81). Perché, diversamente dalla battaglia di Mareth-el Hamma conclusasi con una bella vittoria difensiva, quella dell'Akarit ebbe per la la armata italiana esito del tutto negativo e si sarebbe potuta concludere con l 'annientamento dell'intera grande unità se, appena dopo 24 ore di scontro, le forze italo-tedesche non avessero cominciato a ripiegare sulla posizione di Enfidaville? Pochi giorni prima le unità della 1" armata avevano arrestato davanti ali'Akarit le colonne corazzate nemiche che da Mareth ad el Hamma si erano lanciate all'inseguimento ed avevano eliminato e rintuzzato con immediati contrattacchi le infiltrazioni nemiche nella soglia di Dj. e1 Haidoudi ed in corrispondenza di Dj. Fedjadj, di Dj. Zemlet e1 Beida, a cavallo della pista di Kranghat Amor, tanto da far fallire l'azione di slancio delle avanguardie corazzate de11'8a armata britannica (unità della 1• e 7• corazzata) e da costringere questa, attestatasi sull'allineamento Gabes-el Hamma, a fermarsi ed a montare un'azione di forza. Che tale azione di forza sarebbe stata prossima non era sfuggito al comando dell'armata sia per l'atteggiamento gradatamente più aggressivo del nemico, sia per l'intensa azione distruttiva che l'aviazione nemica era venuta svolgendo dal 30 aprile, sia per le notizie raccolte circa lo schieramento che il nemico veniva assumendo, sia per l'attività della sua artiglieria che risentiva di tutte le caratteristiche dell'inquadramento, sia per il pullulare di pattuglie che si avvicinavano alle posizioni difensive per individuarne e neutralizzarne i campi minati. Anche se la massa dei mezzi nemici il giorno 5 era ancora in sosta all'altezza di Oudref, nulla avrebbe potuto indurre ad escludere con certezza l'inizio da un momento all'altro dell'offensiva nemica se non il fatto che in passato il nemico aveva sempre attaccato nel periodo di plenilunio od almeno in fase avanzata del primo quarto. A causa di tale presunzione
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la 1" armata venne colta di sorpresa. Questa ebbe il suo peso e incise negativamente sulla condotta delle operazioni più dell'esiguità dell'ostacolo montano, della scarsa efficienza dei lavori difensivi, della insufficienza del materiale di rafforzamento e della stessa esilità dello schieramento. Ancora maggiore, quasi da solo determinante, fu il peso esercitato sull'azione di comando e sulla condotta della battaglia dalla carenza dei collegamenti: scarsi e precari, per la mancanza di materiali, i collegamenti a filo, per di più tagliati dal fuoco della preparazione nemica; inefficienti, per mancanza di pile, quelli radio. I comandi di armata, di corpo d'armata e di divisione vennero informati della situazione in linea con ritardi, confusamente e spesso contraddittoriamente, per cui le reazioni furono intempestive ed inadeguate, complicate talvolta da vere e proprie intromissioni del generale Bayerlein che, senza avvertire il comandante dell'armata, dette ordini diretti alla 164" tedesca, alla 15a corazzata ed a1la 90". Nell'incontro che il generale Messe ebbe nel primo pomeriggio del giorno 6 con il generale von Arnim (82), dopo il punto sulla situazione quale risultava al momento - vale a dire non ancora compromessa mercé i provvedimneti adottati, il successo delle reazioni già compiute o in corso di esecuzione - il primo fece presente che l'assenza completa di ogni ulteriore riserva, essendo state già spese tutte quelle inizialmente disponibili, non avrebbe consentito di fronteggiare per altre 24 ore l'offensiva nemica. Il generale von Arnim si mostrò titubante sul da farsi e disse di non avere elementi sufficienti per prendere una decisione che, invece, prese poi alle ore 20 ordinando il ripiegamento generale in seguito ad un messaggio inviatogli dal generale Messe mediante il quale questi comunicava che: si era verificata una pro: fonda penetrazione di carri e di fanterie nemici nel settore della Spezia fino a minacciare da vicino la zona di schieramento delle artiglierie; il nemico stava facendo serrare sotto intorno al Km 31 della strada di Gafsa un forte concentramento di automezzi e di carri; era da ritenere difficile di poter fronteggiare l'indomani un nuovo attacco nemico che avrebbe potuto portare all'annientamento di gran parte delle unità; il ripiegamento si presentava, d'altra parte, assai difficile sia per pressione nemica sia per scarsissima disponibilità automezzi (83). Nell'elencare gli altri fattori che incisero negativamente sulla battaglia, il generale Messe indicò: l'allontanamento delle riserve dalla zona in cui erano state inizialmente raccolte per portarle a ridosso del settore giudicato più pericoloso (Guettar-Maknassy); la crisi dell'artiglieria per la precarietà dei collegamenti e per la prematura scomparsa degli osservatori proiettati necessariamente in linea; il modesto
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apporto dell'aviazione dovuto al fatto che nei giorni precedenti alla battaglia essa era stata polarizzata verso il settore ovest; la scarsa consistenza (15-20 apparecchi) residua dell'aliquota cooperante con l'armata ed il ripiegamento di questa negli aeroporti settentrionali, troppo lontani dal campo di battaglia (84). Non poco fu, infine, il danno recato dallo stesso comando del gruppo armate con il suo ondeggiare, nei giorni precedenti alla battaglia, sia pure giustificato dall'incubo della minaccia che aveva pesato sulla sicurezza dell'armata, alla sua destra e alle spalle, tra gli ordini per la resistenza ad oltranza sull'Akarit e le predisposizioni per il ripiegamento su Enfidaville. Sebbene il Comando Supremo italiano avesse ordinato con estrema chiarezza che sulla linea degli Chotts si sarebbe dovuto resistere tenacemente e senza ingenerare la sensazione che vi si sarebbe dovuta svolgete solo un'azione di ritardo (85), la convinzione di un nuovo ripiegamento si era un po' insinuata nelle menti di tutti e la fiducia sulla robustezza difensiva e sulla capacità di tenntn della posizione degli Chotts eta venuta meno. Malgrado tutto ciò, Ja 1" armata combatté senza tentennamenti , sbandamenti e riserve mentali e le unità tagliate fuori, rimaste prive dell'ordine di ripiegamento, si batterono con accanimento sino alla sera del 7 aprile sulle posizioni che erano state affidate alla loro difesa. L'esito negativo della battaglia dell'Akarit dipese, in definitiva, da molte cause, delle quali la principale fu la carenza dell'azione di comando che, a sua volta, dipese da quella dei collegamenti. L'insuccesso della 1n armata non sarebbe stato di per sé di carattere tattico e locale; rimase tale solo perché 1'83 armata britannica, pur essendone in grado, non seppe tramutarlo in successo strategico. Il ripiegamento della 1" armata sulle posizioni di Enfidaville (7-1.3 aprile), per una profondità di 250 chilometri, effettuato in concomitanza con il ripiegamento della fronte centrale della Tunisia, fu, sotto il profilo della impostazione, una delle questioni più controverse tra il comando gruppo armate ed il comando della 1• armata e dette luogo a scambio di messaggi polemici tra i due comandi (86), nonché a recriminazioni da parte del generale Messe quando ne riferl lo svolgimento al Comando Supremo italiano (87). Sulla necessità del ripiegamento concordarono entrambi i comandi in ragione della situazione complessiva determinatasi durante il giorno 6 aprile, oltre che sulla fronte della 1a armata, sull'intero scacchiere tunisino. Il generale Messe giustificò tale necessità non tanto per la situazione creatasi sulla fronte della sua armata - che egli giudicava non definitivamente compromessa (88) - quanto per la mancanza di riserve
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atte a ristabilire sul momento la situazione. Lamentò che il generale von Arnim non gli avesse fatto cenno dell'immediato ripiegamento nel colloquio terminato alle ore 7 del giorno 6, che gli avesse fatto pervenire il preavviso telefonico, tramite il generale Bayerlein, che lo comunicò al generale Giuseppe Mancinelli capo di stato maggiore italiano della 1a armata, soltanto alle ore 20 dello stesso giorno 6 e che l'ordine esecutivo gli fosse giunto solo alle ore 23 sempre del giorno 6. Lagnanze giustissime perché in effetti il generale von Arnim aveva deciso fin dal mattino di ripiegare e perché l'operazione difficile e delicata, peculiarmente in quella situazione, avrebbe richiesto tempi di preavviso molto più lunghi soprattutto in relazione al fatto che si trattava di un ripiegamento generale e riguardava anche grandi unità appiedate. Ma ciò che più divise il generale Messe dal generale von Arnim fu il modo d'intendere l'operazione: il generale Messe che dal canto suo si era premunito per fronteggiare l'eventualità fin da prima di ricevere il preavviso (raccolta di tutti gli automezzi disponibili, loro ripartizione tra le grandi unità, studio preventivo dei movimenti, veloce trasporto delle fanterie fino ad Enfidaville e impiego delle unità mobili nella protezione della ritirata, ecc.) (89) avrebbe voluto sottrarre subito le unità dell'armata al raggio d'azione della massa corazzata nemica attuando procedimenti di manovra elastica senza l'impegno di combattimenti prolungati su di un terreno piatto, ideale per l'impiego della massa corazzata nemica forte di circa 400 carri armati; il generale von Arnim mirò invece ad impegnare l'armata in combattimenti su linee successive ravvicinate, procedimento molto più oneroso e rischioso in quanto le unità ripieganti avrebbero potuto sgretolarsi ed esaurirsi prima di giungere sulla posizione finale da difendere. In sintesi, il generale Messe era per una vera e propria manovra di ripiegamento intesa nel senso classico; il generale von Arnim per una manovra in ritirata. La differenza era di carattere sostanziale e non si può negare che la soluzione del generale Messe fosse molto più aderente alla situazione e tenesse gran conto delle possibilità operative reali delle forze di fanteria già provate e ammassate su pochi autocarri racimolati e pilotati, in parte, addirittura da conduttori civili. Il generale Messe avrebbe voluto dunque, non senza ragione, interporre subito tra le proprie forze ripieganti e le forze corazzate nemiche inseguitrici una distanza non inferiore ai 100 Km, tale cioè da costringere queste ultime ad arrestarsi per esaurimento della loro autonomia, a perdere tempo nel rifornirsi, a montare un nuovo dispositivo d'inseguimento previo riordino delle unità. L'ordine del generale von Arnim, giunto verso le
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ore 23, stabili modalità e prescrizioni in notevole contrasto (90) con quelle già impartite dal generale Messe e la loro esecuzione diede luogo a vari inconvenienti, ma il fatto che i resti della Trieste e della Spezia, contro il volere del generale von Arnim, fossero stati inviati dal generale Messe direttamente sulla posizione di Enfidaville e che la Giovani fascisti e le artiglierie meno mobili fossero state fatte ripiegare nella zona della sebka el Djem a cavallo della strada per poter recuperare gli automezzi per l'autotrasporto delle truppe lasciate indietro, fu del tutto positivo in quanto salvò unità che avrebbero poi dato un apporto fondamentale alla difesa della posizione di Enfidaville. Per il resto, il ripiegamento si svolse nei primi giorni (7 , 8 e 9 aprile) secondo gli ordini del generale von Arnim e dal giorno 9 il comando del gruppo armate lasciò maggiore libertà al comando della 1" armata, forse sotto l'influenza di quanto stava avvenendo nel settore Fondouk-Kairouan (XXX corpo d'armata italiano). Si combatté: il giorno 7 sulla linea di Skirra; il giorno 8 sulla linea Alchichina-Sidi Mohamed en Nouigués; il giorno 9 sull'allineamento Chaffar-sebka el Hassane Chacal e ancora il giorno 9 sull'allineamento Sfax-sebka bu Djemel; il giorno 10 in corrispondenza della zona tra la sebka di Monastir e l'estremo nord-est della sebka di el Hani e tra queste località e la sebka Kelbia allo scopo di coprire il più a lungo possibile la base logistica di Susa in via di sgombero; il giorno 11 sull'allineamento sebka el Menzel-sebka Kelbia; il giorno 12 su una linea corrente dal gebel Fadeloun al mare. Il giorno 13 anche gli ultimi reparti della 15" e della 90a tedesche, il gruppo esplorante A A 3, il Nizza ed il Monferrato che avevano svolto azioni ritardatrici, congiuntamente con la 164" ripiegata la sera del 12, entrarono nello schieramento delle forze già sulla posizione di Enfidaville. Il piano di ripiegamento a piccoli sbalzi elaborato dal comando gruppo armate procurò senza dubbio perdite maggiori di quante l'armata ne avrebbe subite se la manovra fosse stata effettuata in due soli sbalzi; ma il metodo del ripiegamento lento venne adottato dal generale von Arnim sotto il costante assillo dell'esigenza di coordinare il movimento della l" armata con quello delle truppe schierate ad ovest (D.A.K. e XXX corpo d'armata italiano). Il generale Messe contestò tale preoccupazione perché le truppe schierate nel settore meridionale della fronte ovest, cioè quelle interessate al primo sbalzo dell'armata, erano costituite quasi esclusivamente dal D.A.K. ed avrebbero perciò potuto muoversi molto liberamente e manovrare efficacemente, mentre lo spostamento della 50a brigata non sarebbe stato difficile stante l'esiguità delle forze, e perché le rimanenti forze del XXX corpo, schierate
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fronte ad ovest, grosso modo a nord di Sfax, avrebbero avuto tutto il tempo di effettuare a loro volta il ripiegamento. Tant'è vero che lo attuarono indisturbate durante la seconda fase del ripiegamento della 1a armata, quando il ritmo della manovra si era accellerato (91). Senza negare fondamento alla contestazione del generale Messe, è legittimo osservare che, anche nel caso di un maggiore recupero di forze, di mezzi e di materiali, l'esito della campagna di Tunisia era oramai segnato anche nella convinzione del Comando Supremo, in quanto poco nel frattempo poteva essere fatto, quali ne fossero i motivi giustificatori, per modificarlo o ritardarlo, tanto è vero che il personale ed i materiali inviati dall'Italia durante il mese di aprile furono molto esigui rispetto alle esigenze (92), in particolare quelli destinati alle forze italiane. Da tempo, infatti, gli aviotrasporti erano stati quasi totalmente assorbiti in seguito a disposizioni del maresciallo Kesselring, alle quali il Comando Supremo italiano si era accodato, a vantaggio delle unità tedesche, e cioè« per avviamento urgente battaglioni germanici, data loro superiorità di armamento». Le perdite subìte dalla 1a armata durante la battaglia degli Chotts ed il ripiegamento (specialmente nella prima fase) sulla posizione di Enfidaville furono ingenti, riguardarono il personale ed i mezzi, incisero negativamente sulla durata della successiva resistenza sulla posizione di Enfidaville, dove il 13 aprile la 1a armata si schierò con grandi unità che di grande non avevano che il nome (93). Si può tuttavia affermare che la manovra in ritirata, iniziatasi il giorno 7 e terminata il giorno 13, fu una grande operazione che non fallì il suo scopo essenziale, indipendentemente dal meccanismo prescelto e dal come questo funzionò. Se si considerano le condizioni d'inizio e di condotta del movimento, la potenzialità del nemico, la precarietà della situazione del fianco destro e del tergo della 1a armata e, da parte italiana, la scarsa o quasi nulla mobilità delle fanterie, le deficienze dell'armamento e dei mezzi di collegamento, l'incapacità dei mezzi radio a funzionare in movimento, l'insufficienza qualitativa e quantitativa delle artiglierie, l'inferiorità generale dell'armamento, degli automezzi e dei materiali ed il fatto che una parte del personale e dei mezzi da cinque mesi erano in ripiegamento, il modo in cui la r armata italiana, ormai minacciata di fronte ed alle spalle da forze preponderanti, fu tratta fuori da una situazione quasi disperata ca~ stituì un'impresa davvero memorabile (94). Non meno memorabili sotto il profilo spirituale e tecnico furono entrambe le battaglie di Enfidaville. La prima, in particolare, conclusasi con il successo difensivo della P armata, fu la dimostrazione
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di quanto possano supplire, anche in situazioni disperate, alla inferiorità sproporzionata delle forze e dei mezzi la volontà e la capacità combattiva dei singoli e delle unità, purché gli uni e le altre siano sorretti e guidati da comandanti competenti e capaci che non si smarriscano nel labirinto delle difficoltà interne ed esterne che caratterizzano le situazioni drammatiche. Tra le prime, a parte l'assoluta penuria delle forze e dei mezzi, compresi quelli di rafforzamento del terreno, ebbero un posto di grande rilievo l'incomprensione tra il comando gruppo armate ed il comando della 1 armata, entrambi protesi al successo ma secondo valutazioni tattiche discordi, e l'atteggiamento tenuto dal Comando Supremo italiano nei confronti del maresciallo Kesselring e del generale von Arnim (95). Il Comando Supremo infatti fu quasi assente nelle due battaglie, si limitò ad impartire l'ordine di resistenza ad oltranza nella difesa della Tunisia (96), lasciò spesso senza risposta le richieste d'intervento del generale Messe o promise aiuti che non giunsero per le temporanee sospensioni del traffico aereo e per la quasi cessazione di quello marittimo (97), dette l'impressione di essersi chiamato fuori dalle vicende dell'ultima lotta in Africa, e nulla o poco si adoperò, se non con parole, per sostenere con fatti la fiducia in se stesse della quale le unità italiane erano nonostante tutto ancora animate. Ai primi di marzo il maresciallo Rommel, fallito il tentativo di battere separatamente, in successione di tempo, le forze anglo-americane sbarcate nell'Africa settentrionale francese e 1'8" armata britannica sopraggiungente in Tunisia dalla Libia, aveva proposto al Comando Supremo italiano di raccogliere le forze dell'Asse in un grande ridotto difensivo delimitato dall'allineamento Enfidavillc - Dj. Mansur - Biserta. Il ridotto, in caso di eventi sfavorevoli, avrebbe dovuto evidentemente consentire il reimbarco delle forze recuperabili a favore del continente europeo. La proposta non venne presa in considerazione, ma la linea di Enfidaville rimase pur sempre un'indicazione importante della quale non si poté non tenere conto dopo l'abbandono della posizione di Mareth-el Hamma. Il comando gruppo armate, infatti, alla fine del ripiegamento da tale posizione, aveva ordinato che tutta l'organizzazione dei lavori già operante in corrispondenza degli Chotts si spostasse sulla linea di Enfidaville e prendesse contatto con l'organizzazione della 5a armata che vi aveva già iniziato lavori di fortificazione ed aveva provveduto anche ad abbozzare un principio di schieramento. La linea scelta dalla 5a armata tedesca, nel cui territorio si trovava allora la zona, correva, da est ad ovest, lungo l'allineamento: piccolo fosso sul cordone dunoso ad 11
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est della sebka Assa Djiriba-Sidi bu Kgai-Enfidaville-Takrouna-Dj. el Ktatiss-Abd el Rahmane-Hir el Jouibia-Dj. es Satour-Dj. es SrassifHir el Gonnara, dove si riallacciava al settore del D.A.K. Scelta della posizione, organizzazione dei lavori, abbozzo di schieramento erano stati esclusivamente di marca tedesca e, sebbene tutto inducesse ad appoggiare la difesa alle posizioni più robuste e più economiche, stante la esiguità delle forze e del tempo a disposizione, e soprattutto allo scopo di evitare le zone di facilitazione per le unità corazzate, il comando della 5a armata, con l'approvazione del comando gruppo armate, aveva tracciato un andamento quasi tutto in piano e che faceva astrazione dalla retrostante zona di maggiore ostacolo. Il comando della l 11 armata, venuto a conoscenza della scelta solamente durante il ripiegamento dagli Chotts, dopo una ricognizione particolareggiata che aveva messo in evidenza la pericolosità dell'ampio sviluppo pianeggiante della posizione nei settori di Enfidaville e del Dj. el Ktatiss, rappresentò immediatamente, il giorno 8 aprile, al comando gruppo armate la necessità di spostare l'andamento della posizione di resistenza sulla linea Sidi Bou Rgui-Sidi Abdallali-Dj.Mehaba-Dj. dar Djaje-Dj. el Ogla-Takrouna-Diebilate-Dj. Debouar-Dj. Baida-Dj. Guettar-Abd el Ralunane-Hir el Jouibia-Dj. es Srassif-R.R. 118-Hir el Brom Sidi Zit-Het ouminis. Il comando gruppo armate non accolse la variante e, nonostante le insistenze del comando della 1" armata dei giorni 10 e 12, il generale von Arnim rimase fermo nella sua decisione, che modificò solo in parte il giorno 13, dopo una ricognizione aerea e sul terreno eseguita con il generale Messe, il generale Enrico Mattioli ed il generale Liebenstein, autorizzando a spostare il tracciato sulle posizioni Sidi Mahmuod-Dj. el Dib-Sidi Moh-Sala-Ae el Guenaale-Sidi Salibi-Sidi Mansour-Kef el Hadi-Dj. el Maza-Dj. el Srassif. Alla richiesta di una corrispondente rettifica nel settore costiero, in modo da appoggiare la posizione all'allineamento del Dj.Tebega, il generale von Arnim rispose che non avrebbe autorizzato più alcun mutamento. Senonché il giorno 14, entrata nello schieramento la 90" leggera, il generale tedesco von Sponek unl la sua voce a quella dei comandanti del XX corpo, della Giovani fascisti e del capo di stato maggiore tedesco dell'armata ed allora il generale von Arnim, dopo una ricognizione nel settore costiero, dispose il seguente nuovo tracciato: sebka Sidi Kralifa-Dj.bou Rhabrouba-Dj. el Matouch-Atera-Dj. Tebaga-Dj. Mengoub-Dj.Djebilate-Dj. DehouaaDj. Binda. « Questa è la complessa genesi dell'assunzione della definitiva linea di Enfidaville, strappata alla preconcetta resistenza del comando gruppo armate. Di tutta la controversia il generale Messe
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ed il generale Mattioli tennero ffilllutamente al corrente il Comando Supremo, il quale però si astenne sempre dall'intervenire. Si può facilmente arguire quale dannosa ripercussione abbia avuto tale continua successione di ordini sui lavori, sullo schieramento, sull'animo stesso delle truppe» (98). In base alle rettifiche autorizzate ed alla definizione particolareggiata della linea con l'inclusione nella posizione di resistenza voluta dal generale Messe del Takrouna legato al massiccio retrostante, la fronte della 1" armata assunse un andamento ad archi successivi tra la costa e l'altura di Takrouna, tra questa ed il gebel Garci ed infine tra il gebel Garci ed il gebel Dib attorno alla conca di Saouaf; in sostanza tre rientranti: due di grande ampiezza alle ali, uno minore al centro, appoggiati ai salienti di Takrouna e del gebel Garci (99). Il sistema difensivo venne complessivamente costituito su di: una linea avanzata che aveva il compito di ritardare la progressione nemica, senza peraltro che le forze a presidio si facessero travolgere; una zona di sicurezza con il compito di tenere il più a lungo possibile, anche a costo di venire alitm:ntata da forze sottratte dalla posizione di resistenza al fine di conferire maggiore profondità alla difesa e di dominare il terreno antistante; una posizione di resistenza, i cui pilastri basilari erano il Takrouna ed il Garci. Tra le giustificazioni inizialmente addotte dal generale von Arnim per respingere le critiche del generale Messe - più facile accerchiamento del saliente D. Fkirine tenuto dalla Superga, inopportunità di rinunciare al lago artificiale di approvvigionamento idrico dell'intera zona, difficoltà per mancanza di strade nel rifornimento delle unità da dislocare in montagna, inattuabilità dal punto di vista ·tecnico e di comando di un nuovo schieramento, predisposizione in atto della organizzazione per la manovra del fuoco - c'erano anche la minore profondità e la minore possibilità di battere con il fuoco le basi di partenza nemiche del sistema difensivo proposto dal generale Messe. A queste deficienze si cercò appunto di rimediare con l'occupazione della zona avanzata e con il conferimento alla zona di sicurezza del compito di prima decisa resistenza. La soluzione adottata, senza dubbio assai più vantaggiosa di quella iniziale, rappresentò tuttavia un compromesso e, come tale, non fu priva di difetti, quali il grande sviluppo e, di converso, la limitata consistenza dei lavori ritardati proprio daUe continue variazioni dello schieramento (100). Con inizio dal giorno 14 aprile - lo stesso giorno nel quale il generale von Arnim autorizzò la variante di schieramento nel settore il nemico .i ntensificò le operazioni preliminari dell'attacco costiero generale n fondo che In nollc sul giorno 20 investì, senza coglierle di
RIEP ILOGO SCHEMATICO DELL A MANOVRA NEL L A 1· BAT TAGLIA DI ENFIDAVILLE NEL PERIODO 20-22 APR IL E 1943
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CAP. XXXVU - OPERAZ TONI ITALO-TEDESCI IB ( P ARTE TERZA)
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sorpresa, sia la 1• che la 5° armata. I franco-anglo-americani agirono secondo il piano finale stabilito dal generale Alexander, che aveva accolto il suggerimento del generale Eisenhower di effettuare lo sforzo principale a nord, nel settore della 16 armata alleata. Tale piano prevedeva un'offensiva articolata lungo quattro direttrici convergenti. L'8" armata doveva attaccare la notte del 19 aprile, con il X corpo, in direzione di Enfidaville e spingersi poi a nord verso Hammamet e Tunisi con l'obiettivo di raggiungere l'attaccatura della penisola di Capo Bon e bloccarne l'accesso ... Il XIX corpo francese, che veniva subito dopo procedendo da destra verso sinistra, doveva tenere sottoposto il nemico a una minacciosa pressione e sfruttare eventuali occasioni favorevoli ... Il IX corpo inglese, parte di una divisione di fanteria e di due divisioni corazzate, dovevano passare all'attacco nella prima mattina del 22 aprile tra Pont-du-Fahs e Goubellat, con l'intento di preparare il terreno per uno sfondamento a opera dei mezzi corazzati. Il V corpo inglese, schierato alla sua sinistra e comprendente tre divisioni di fanteria e una brigata di carri armati, doveva compiere lo sforzo principale, investendo nella tarda serata di quello stesso giorno, una fronte di 25 chilometri nel settore di Medjez elBab ... Il II corpo USA (generale Omar Bradley (101), in sostituzione del generale George Patton (102) il quale nel frattempo era stato incaricato di studiare la preparazione della parte dell'invasione della Sicilia riguardante le forze statunitensi), infine, avrebbe sferrato il suo attacco nel settore settentrionale il giorno dopo ... Le prospet· tive di una simile offensiva generale, lanciata quasi simultaneamente su tutti i settori, apparivano molto favorevoli. Gli alleati potevano ora contare su 20 divisioni, le cui forze da combattimento superavano i 300 mila uomini ed i 1400 carri armati {103). Sulla fronte della ia armata italiana, l'attacco s'iniziò alle ore 23 del giorno 19 con il consueto fuoco di artiglieria e con l'avanzata delle fanterie. La Spezia e la 164· ad ovest e la 906 ad est non vennero investite, mentre al centro il CCCXL battaglione mitraglieri del Novara ed un plotone Lodi vennero sopraffatti. Il nemico, impadronitosi della q . 254 di Dj. Blida e di alcune quote di Dj. Hajar el Azreg, cercò di dilagare verso nord; più ad est, investl il massiccio del Takrouna e la linea dei gebel; più ad est ancora, agendo con carri armati, investl ad ovest Enfidaville senza però spingersi in profondità verso nord. La situazione venne molto bene fronteggiata e dominata dalla 1• armata italiana mediante il rinforzo dello schieramento del Garci, soprattutto al centro ed alla sinistra, mediante l'inserimento tra il Novara ed il CCCXL battaglione di reparti della Pistoia e dell'AA 220 tedesco.
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Fu rinforzata la spalla destra della difesa della soglia di Dj. Biada nel settore della Trieste e fu organizzato un contrattacco contro il nemico che, dopo aver raggiunto l'allineamento q. 339 - q. 255, cercava di travolgere a nord-est Kef en Nsoura e di dilagare su Dj.el Ksua. Il contrattacco sul Garci si sviluppò lentamente, ma favorevolmente ed ebbe successo. Nel settore del Takrouna, dove il nemico riuscì ad occupare Dj. Bir, la lotta si svolse in modo epico per tutta la giornata del 20 ed il nemico venne respinto. In sintesi, l'attacco nemico, dopo avere conseguito inizialmente alcuni successi locali, venne validamente contenuto. Nel settore della Pistoia vennero riconquistate mediante contrattacchi della Pistoia e della 164" le quote perdute; nel settore della Trieste vennero respinti gli attacchi contro i caposaldi del Takrouna ed eliminate le infiltrazioni; nel settore della Giovani fascisti il nemico riusd ad occupare il gebel Bir ma gli fu impedito di realizzare ulteriori progressi; nei settori della Spezia, della 164a e della 90" si svolse una attività limitata e contrassegnata solo dal fuoco di entrambe le parti. La prima giornata si chiuse così in un bilancio decisamente favorevole per la 1a armata italiana anche se a costo di gravi perdite. Il giorno 21 la battaglia riprese violenta sia sul Garci sia sul Takrouna ed il nemico esercitò una violenta pressione anche contro il Cherachir ed il Froukr. Sul Garci si verificò un autentico combattimento d'incontro tra le truppe nemiche attaccanti e le truppe italiane contrattaccanti e la fronte si stabilizzò temporaneamente sulla linea di Kef en Nsoura-Dj . Hajar el Azreg; sul Takrouna, invece, premuto dal nemico da tutte le parti, la situazione si fece assai grave e alla fine irrimediabile, nonostante l'eroica resistenza del I battaglione del 66° fanteria che tenne in scacco per due giorni un'intera divisione nemica; sui gebel BiadaDebouaa-Tine venne subito organizzata una linea di sostegno per fare fronte alla caduta del Takrouna. Nella serata del giorno 21 il nemico riprese i suoi attacchi sul Garci incontrando una tenace resistenza, ma le forze della difesa erano ormai logore per cui venne subito costituito un gruppo di formazione della 90a che fu lasciato per il momento alle dipendenze dell'armata. Venne schierato in secondo scaglione, dietro la stretta del Biada, in sostituzione di un battaglione del 361° tedesco che venne portato sul Guettar e sul Kef en Nsoura, il battaglione Luftwaffe. Il RECO Lodi venne trasferito dalle dipendenze del XXX corpo a quelle dell'armata. Il mattino del 22 , . mentre erano in corso di attuazione i provvedimenti precauzionali per la zone del Djebilate e per il rafforzamento del Garci, sembrò che il nemico si volesse lanciare a fondo su tutto il tratto Enfidaville-
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Hir el Jouibia per cogliere finalmente il successo mancatogli nei due giorni precedenti. Nella zona costiera le unità corazzate nemiche si spinsero lentamente verso nord prendendo contatto con la zona di sicurezza ita1o-tedesca, ma la 90a rimase bene ancorata al terreno a sbarramento della direttrice. Nel settore centrale gli attacchi nemici si ripeterono per l'intera giornata, ma la Trieste e la destra della Giovani fascisti li respinsero senza concedere al nemico il benché minimo progresso. La resistenza fu tale da convincere il comando inglese a sospendere l'attacco. La crisi della difesa giunse ad un punto cruciale nel settore della Pistoia contro il quale la 51" si accanì per l'intera giornata in tutto l'arco tra il Guettar e Hir el Jouibia: i due pilastri di el Guettar e Kef en Nsoura tennero duro ed i carri nemici che si erano spinti fino nella zona delle quote ad est di Kef en Nsoura vennero decimati. Sulla destra, tra la 164" e la Pistoia, unità della 51" inglese cercarono d'infiltrarsi per cadere alle spalle delle difese del Dj. Hajar el Azreg, ma il pronto intervento dei reparti di secondo scaglione della Pistoia impedì l'aggiramento e la rottura della fronte. Alla fine della giornata anche in tale settore, come in quello della Trieste , il nemico si convinse dell'impossibilità di passare. A sera il generale Messe Comunicò al Comando Supremo italiano ed al comando gruppo armate che il persistente attacco nemico nel settore della Pistoia era stato contenuto, ma che se fosse stato ripreso il mattino dopo sarebbe stato costretto a impegnare il battaglione Menton che gli sarebbe dovuto giungere da li a poco ed anche alcune compagnie bersaglieri, esaurendo così quasi tutte le riserve disponibili. Ma nella notte sul 23 l'attività operativa del nemico si limitò a due attacchi locali contro la q. 362 di Kef en Nsoura che vennero respinti. La notte stessa entrarono in linea al centro del settore della Pistoia le prime due compagnie del battaglione Menton alle quali fece seguito la notte successiva il resto del battaglione. Nella giornata del 23 il nemico svolse solo attività di artiglieria contro lo schieramento delle artiglierie italo-tedesche e attività di pattuglie nella zona costiera. L'offensiva dell'8~ armata contro la posizione di Enfidaville era fallita, smentendo l'ottimistica convinzione di Montgomery e Horrocks (comandante del X corpo inglese) che il nemico potesse essere fatto saltare dal collo di bottiglia. Qui gli italiani si batterono con altrettanta determinazione dei tedeschi ( 104}. Ma tutta l'offensiva generale alleata falli, come vedremo più avanti, ed il piano del generale Alexander andò a vuoto e dovette essere riveduto. Le forze dell'Asse, però, per arginarla avevano consumato quasi tutte le loro residue risorse ed energie. « L'8" .armata britannica » , in particolare,
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« che il generale Montgomery aveva definito in un recente proclama il più potente strumento di guerra che l'impero britannico abbia mai posseduto è costretto a segnare il passo di fronte alle nostre insuperabili fanterie concretando i propri successi (sono parole di radio Londra) nell'aumento di croci sulle colline e di feriti negli ospedali» (105). La pressione del nemico sulla fronte della 1a armata prosegul anche nei giorni seguenti alla ricerca di un successo locale da poter sfruttare a fondo. Il nemico spostò fin dal giorno 23 il centro della lotta nel settore costiero, in particolare contro il settore della Giovani fascisti, dove si ebbero vivaci scontri sulla linea di sicurezza. La lotta continuò per giorni e giorni senza che il nemico riuscisse ad affermarsi stabilmente. Frattanto si fecero sempre più gravi le ripercussioni dei combattimenti che venivano sviluppandosi nell'attiguo settore della 5" armata, a favore del quale, su ordine del comando gruppo armate, vennero gradatamente sottratti alla l" armata il battaglione pionieri della 90\ il 5° reggimento bersaglieri su 2 battaglioni, i reparti corazzati della 15a (14 carri tedeschi, 12 carri e 12 semoventi italiani), 2 gruppi da 100/17 e 1 gruppo da 149/40 italiani, 2 batterie da 100, 1 da 170 e 1 da 210 tedesche il III/ 47, 8 batterie da 88 contraerei. La notte sul 25 il nemico ripeté in più grande stile l'attacco alla zona di sicurezza della Giovani fascisti riuscendo ad impossessarsi di due alture ed a circondare lo Srassif, ma alle prime luci dell'alba venne contrattaccato e dové abbandonare le posizioni. Vista però la grave usura che la rigida occupazione della zona di sicurezza veniva costando, il generale Messe prescrisse di passare ad una difesa mobile ed elastica, senza tuttavia venire meno al compito d'impedire al nemico di serrare sotto alla linea di resistenza. La notte sul 26 un nuovo attacco nemico nel settore costiero consegul la conquista della q. 141 (Srassif), ma il T erhouna rimase in possesso della Giovani fascisti. La notte sul 27 il nemico riprese i suoi attacchi contro la Giovani fascisti, questa volta contro la posizione di resistenza, ma la pronta violenta reazione di tutte le armi della difesa lo fece desistere e lo arrestò. Il giorno 29 ancora una volta il settore costiero fu oggetto di attacchi che vennero subito neutralizzati da violenti contrattacchi per cui i vantaggi conseguiti dal nemico rimasero limitati alla zona di sicurezza. Nel pomeriggio del giorno 30, un nuovo attacco generale investi i settori della Trieste, della Giovani fascisti e della 90a tedesca, che era stata fatta rifluire in linea, ma anch'esso venne bravamente contenuto e si smorzò gradualmente senza conseguire risultati. Con tale ultimo sterile
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tentativo compiuto dal nemico con l'impiego di truppe fresche (56a divisione inglese) e del nerbo delle altre truppe nel settore centrale, si chiuse la prima battaglia di Enfidaville che, durata 11 giorni e passata attraverso 2 fasi, costitul un grande successo difensivo della ia armata italiana (106) . Le fanterie ed artiglierie italiane avevano dimostrato, nonostante la schiacciante inferiorità quantitativa e qualitativa de i mezzi, di saper battersi valorosamente, di saper trarre dai mezzi il massimo del rendimento e di sapersi affermare spiritualmente e tecnicamente nel compiere il loro dovere fino all'ultimo senza l'ombra della rassegnazione, ma con la determinazione cosciente di salvaguardare l'onore della Bandiera.
s. Sulla fronte del XXX corpo d'armata italiano, alle cui dipendenze dal 14 marzo era passata anche la divisione Superga, nonostante il progredire dei lavori di rafforzamento ed il miglioramento dell'assetto delle forze, la situazione si presentava alla metà di marzo assai delicata stanti l 'estensione della fronte (300 Km), l'entità delle forze nemiche segnalate e l'assenza di riserve . Complessivamente erano schierati in corrispondenza della fronte difesa dal XXX corpo oltre 50 battaglioni di fanteria, 470 pezzi campali e contraerei, circa 130 pezzi controcarro, nonché 440 carri armati, 235 mitragliatrici (107). In mancanza di una propria riserva, il comandante del XXX corpo d'armata aveva provveduto alla costituzione di riserve settoriali e aveva disposto in particolare che la L brigata speciale, che comprendeva anche il 104° reggimento tedesco su 2 battaglioni, tenesse in riserva di settore i reparti del RECO Lodi e del XV battaglione carri; che nel settore del generale Benigni venisse arretrato nei dintorni di Kairouan il LXX battaglione motomitraglieri e che, con una compagnia del XVII carri, una batteria del DLVII gruppo semoventi 75/18 e due sezioni contraerei della 69" batteria da 20, costituisse riserva parziale di corpo d'armata per l'impiego nei settori Benigni e Fullriede; il settore della Superga arretrasse un battaglione per costituire la riserva di settore vincolata per l'impiego alla preventiva autorizzazione del comando del corpo d'armata (a tale compito venne destinato il battaglione A 26 germanico). Da parte nemica, a metà marzo, mentre continuavano l'attività esplorativa e le azioni locali nel settore della Superga, aumentarono le fon.e schierate nella zona meridionale
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del Djebel Serdj e della Kessura e nel settore Fullriede, mentre persisteva la stasi dinnanzi a Faid dove i reparti nemici si limitavano a raggiungere saltuariamente Sidi bou Zid ed il Dj. Lessouda. Il 18 marzo giungeva al comandante del corpo d'armata la notizia dello sgombero di Gafsa ed egli si preoccupava subito di rinforzare il settore della L brigata speciale accelerando la già avviata sistemazione di una seconda posizione sulle alture immediatamente ad est di Maknassy e facendovi affluire il comando del XXII battaglione artieri con una compagnia disimpegnata dal settore Benigni in quel momento abbastanza tranquillo. In aggiunta al 580° reparto esplorante il comando della 5.,. armata fece affluire, la sera del 20 marzo, nella wna di Maknassy il reparto esplorante tedesco O.B. Tale era la situazione quando le forze deUa 1.,. divisione corazzata statunitense cominciarono ad avanzare in direzione della stazione di Sened e, a nord-ovest di questa, contro il Dj . Goussa ed il varco fra questo e dil Dj. Majoura. I settori del XXX corpo d'armata più interessa ti all'offensiva americana su Maknassy dell'uJtima decade di marzo furono quelli della L brigata e del raggruppamento Fullriede. Nel settore della L brigata l'offensiva nemica travolse l'ala destra della difesa, fra il Dj. Goussa ed il Dj. Majoura e progredl oltre la stazione di Sened. Il comandante della 5a armata raccomandò d'inviare tutte le forze disponibili a Maknassy, facendovi affluire, da parte sua, al comando del colonnello Lang, 2 battaglioni granatieri incompleti, 1 compagnia contraerei ed 1 batteria da 88. Il comandante del XXX corpo inviò lo striminzito gruppo motorizzato, già raccolto a Kairouan, privandosi in tal modo di qualsiasi riserva nel settore centrale, dove, pure, tutto faceva presumere già pronto un altro attacco nemico. Frattanto le forze superstiti all'ala destra della difesa della stazione di Sened, che erano state superate dal nemico attraverso la regione di Redadin, affluirono per alimentare la resistenza ad est di Maknassy, mentre il centro e l'ala sinistra ripiegarono sulle colline di Sened e, minacciando il fianco destro nemico, vi resistettero, nonostante attaccate da forze sempre crescenti, per due giorni fino a quando dovettero ripiegare. Lo fecero esercitando azione ritardatrice che molto contribuì alla difesa est di Maknassy, verso sud nel settore della Centauro. A Maknassy i reparti della L brigata (1 compagnia e mezzo mitraglieri, quasi 1 compagnia del genio, poco più di 1 plotone bersaglieri, 3 pezzi da 105 /17, 2 reparti esploranti germanici) tennero bravamente testa ai reiterati attacchi nemici nella giornata del 22 e il mattino del 23 fino all'arrivo delle colonne Reisoli e Lang.
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Dietro ordine del comandante del XXX corpo furono avviati a Maknassy, il giorno 23, anche il battaglione tedesco A 26, sottratto al settore Superga, ed il comando del LXV gruppo da 100/17 con la :? batteria disimpegnata dal settore Benigni. Per attrarre l'attenzione del nemico in altra direzione, il comandante del corpo d'armata attivò l'azione esplorativa da Faid, facendo effettuare puntate offensive su Sidi bou Zid dai reparti del Lodi e del battaglione T. L'azione nel suo complesso si svolse con successo tanto che il nemico si mantenne ad ovest della linea del Dj. Lessouda-Sidi bou Zid-Garat Hadid e tanto che vennero resp.inti il 25 ed il 27 marzo tutti gli attacchi nemici fra il Dj. Gouleb e il Dj. Maizila e sulla fronte O. el LobenDj. boll Donaon-Dj. Nacmia. Le predisposizioni adottate a suo tempo dal comando del XXX co rpo - in contrasto con le previsioni del comando germanico che aveva sempre insistito sulla probabilità dell'attacco nemico su Pai<l - e le misure prese battaglia durante dallo stesso comando e da quello dcJla 5" armata consentirono di respingere tu tti gli allm.:t:hi delle forze del gl!ncralc P a u o n contro il valico di Maknassy. L'attacco della l" divi sione corazzata americana a Maknassy fu , in conclusione, un vero fallime nto come lo fu l'altro della 1" divisione di fanteria americana nella zona di cl Cucttar nel settore della Centauro. Il 28 marzo, il gruppo tattico d el colonnello Lang, a seguito degli avvenimenti succedutisi sulla fronte Jella l" armata italiana, passò a fare parte del D.A.K. che, alle dipendenze del comando gruppo armate, venne inserito tra la 1" armata italiana ed il XXX corpo d'armata italiano. Il limite meridionale di settore venne portato sulla linea H.ir el Fesdeguida-Dj. Zebbag-Dj. Gouleb-incrodo piste sull'O. ech Cherai'.t-Dj. Cheich Ahmed. Il settore della L brigata si restrinse così, sostanzialmente, alla sola fronte del sottosettore Faid. Nel settore Fullriede l'attacco nemico si sviluppò in forze il giorno 23 marzo nel tratto compreso fra Fondouk el Okbi a circa 6 chilometri a nord-ovest di detta località. Il settore era già stato precedentemente rinforzato con artiglieria (2 batterie da 7 5/ 46 e 1 batteria da 90/53) . Poco prima dell'attacco il comandante del corpo d'armata fece affluire presso Kairouan il CXXXV battaglione controcarro tratto dal settore della Superga e costituì, pure nella zona di Kairouan, un ridotto gruppo tattico con una compagnia del 92° fanteria (sottratta al settore Benigni), una compagnia del I battaglione volontari tunisini, una sezione carabinieri del corpo d'armata, una batteria mitraglieri da 12,7 (forze sottratte dalla difesa di Sousse). L'attacco nemico, contenuto il giorno 27, prese piede il giorno 28 sul Dj. Hallouf e nella giornata riusci ad allargare la breccia iniziale,
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ma il 29 venne arginato sul Dj. Hallouf. Un altro attacco su Fondouk venne respinto pure il giorno 29 ed un altro ancora il giorno 31 con forti perdite per il nemico. Dopo di che la 34" divisione americana dovete ritirarsi 6 chilometri ad ovest per portarsi fuori tiro e riorganizzarsi. Una ritirata che suggeri agli avversari degli alleati il seguente apprezzamento, contenuto in un rapporto dal campo di battaglia: L'americano smette di combattere non appena è attaccato (108). Nella vittoria difensiva riportata a Fondouk ebbero gran parte il 961° reggimento di fanteria tedesco su 2 battaglioni ed il CXXXV battaglione controcarri. Nei giorni successivi al 31 marzo non vi furono più nel settore attacchi tanto che poté avere luogo lo spostamento del 334° reparto celere germanico verso Faid come precauzione di fronte alla crescente attività nemica anche in quel settore ed a causa della costante, esagerata preoccupazione, che il comando germanico aveva per quella località (il comandante del XXX corpo d'armata, che, nei giorni successivi, vedeva addensare la minaccia nemica nel settore Fullriede, ottenne, con molta difficoltà, che quel reparto fosse restituito a quest'ultimo) (109). Nei settori Benigni e Superga non ebbero luogo azioni di rilevante entità, ma nel settore Benigni fu molto attiva l'esplorazione, mentre nel settore Superga si svilupparono anche attacchi locali nemici peraltro senza alcun risultato stabile. In entrambi i settori non mancarono modificazioni interne alla ripartizione della fronte, fra le varie unità, in dipendenza delle sottrazioni di forze operate a favore degli altri settori. All'inizio del mese di aprile, mentre la situazione sulla fronte del XXX corpo d'armata si era stabilizzata e si venivano ricostituendo le riserve settoriali, il comando del gruppo armate ed il comando della 5a armata fecero pervenire al comandante del XXX corpo di armata il preavviso per un eventuale ripiegamento delle forze nel caso che la 1" armata italiana ed il D.A.K. non potessero mantenersi sulla posizione degli Chotts di fronte all'azione combinata del1'8" armata inglese e delle forze americane provenienti da Gafsa le quali, in particolare, premevano nella zona di el Guettar. Il preavviso venne dato al comandante del XXX corpo per il tramite del tenente colon. nello Stolz, ufficiale di collegamento germanico. « Il nuovo schieramento, che avrebbe dovuto essere assunto, prevedeva il mantenimento di un primo tratto dell'attuale fronte occidentale dal mare ad ovest di Bisetta, al sottosettore nord della divisione Superga, quindi, previa graduale conversione di novanta gradi, perno l'ala sinistra di detto sottosettore, del rimanente della fronte occidentale,
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l'occupazione di una linea che, con andamento generale da ovest ad est, avrebbe dovuto saldarsi alla fronte meridionale retrocedente, a sbalzi, da sud verso nord, all'altezza del parallelo di Enfidaville » (110). L'impostazione e le modalità di esecuzione date alla manovra dai comandi tedeschi non parvero soddisfacenti al comandante del XXX corpo che non mancò di rappresentare le sue considerazioni sia al tenente colonnello Stolz sia al generale Mattioli, capo dello stato maggiore di collegamento con il comando del gruppo armate. In particolare, ciò che meno persuadeva il comandante del XXX corpo erano la direzione di ripiegamento affidata al D.A.K., alle cui dipendenze avrebbero dovuto passare i settori del XXX corpo a mano a mano che la fronte del D.A.K. avesse raggiunto nel ripiegamento il parallelo corrispondente all'estremità meridionale della fronte dei vari settori, e la mancanza di ogni indicazione circa il futuro impiego del comando del XXX corpo nel nuovo schieramento che si sarebbe snodato per le alture dominanti, da nord, le zone di cl Ourazba e di Djebibina, fino a raggiungere, per Takrouna, Enfidaville. Difatti, la difficoltà della manovra sarebbe consistita nel disimpegno e nella conversione, sotto l'inevitabile pressione nemica, delle truppe del corpo d'armata schierate fronte ad occidente, più che nel far fronte verso sud, per cui non si comprendeva come la direzione del ripiegamento potesse essere affidata al D.A.K. Ma il 3 aprile il comando gruppo armate comunicò di non poter modificare l'orientamento predisposto per il ripiegamento, mentre assicurò che, raggiunta la nuova fronte, il D.A.K. sarebbe passato in riserva e la responsabilità del settore, da definire ad occidente di quello assegnato alla 1a armata - delimitato tra il mare e il meridiano di Djebibina, all'incirca - , sarebbe stato affidato al comando del XXX corpo che avrebbe potuto, quindi, orientarsi a predisporre la sua nuova sede nella zona di Moghrane. Nel primo pomeriggio del 4 aprile giunse alla sede del comando del XXX corpo il maresciallo Kesselring con il quale il generale Sogno ebbe un lungo colloquio, durante il quale riassunse la situazione, manifestò affidamento sulla tenuta dell'attuale linea, rappresentò l'insufficienza delle riserve a disposizione del corpo d'armata, non tacque la sfiducia sulla possibilità di una prolungala resistenza, dopo l'eventuale ripiegamento, sulla nuova prevista linea che, se offriva un discreto appiglio alla difesa nella parte meridionale, nonostante essa non fosse ancora affatto organizzata, e consen tiva anche una certa economia delle forze, non era meno favorevole al nemico che dalla maggiore disponibilità di truppe derivante dall'accorciata fronte, dalla continuità della medesima ... e dalla pos-
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sibilità, quindi, di trasferire parte delle forze inglesi provenienti dall'Egitto, a rinforzo di quelle operanti contro la fronte occidentale (come, infatti, si verificò) avrebbe potuto passare decisamente all'attacco risolutivo contro Tunisi, che non sarebbe stato facile fronteggiare e pcl quale nessun apprestamento a difesa era stato ancora seriamente attuato, né era facile, in breve tempo, allestire (111). Ciò a prescindere, aggiunse il comandante del XXX corpo, il ripiegamento sarebbe stato prolungato, difficile e assai oneroso, specialmente per il XXX corpo, in misura tale da far dubitare che, qualora il nemico fosse stato attivo e avesse saputo incalzare, le forze residue della difesa avrebbero potuto sostenere lo sforzo che sarebbe stato necessario sulla nuova posizione di resistenza. Il maresciallo Kesselring dichiarò che gli intendimenti superiori erano rivolti al mantenimento delle attuali posizioni e non al ripiegamento, comunicò che erano in arrivo truppe e materiali, promise che avrebbe provveduto a che fosse, intanto, rinviato a Kairouan il comando del 47° reggimento granatieri Goering e i due battaglioni dello stesso già dislocati per le operazioni nel settore Tunisi nord (ciò che, peraltro, non si verificò). Anche iJ Comando Supremo italiano confermò, il 5 aprile, l'ordine di resistere assolutamente sulle posizioni allora tenute {112) ; ma alle ore 23,45 dello stesso giorno il comando della 5a armata dette esecuzione all'ordine di ripiegamento secondo quanto era stato previsto dal 1° aprile e dispose che, in conseguenza, dalle ore 20 del giorno 7, il settore di Faid passasse alle dipendenze del comando del
D .A.K. Dal giorno 7 al giorno 13 aprile le forze del XXX corpo, gradatamente, settore per settore, compirono i movimenti retrogradi previsti, passando a mano a mano alle dipendenze del D.A.K. che regolò, sulla base degli ordini della 5n armata e del comando gruppo armate, l'intera manovra. Questa si svolse in alcuni settori sotto la pressione nemica - settori Fullriede e Benigni - in altri ebbe uno sviluppo quasi indisturbato. Delle unità, alcune dovettero ripiegare a piedi, altre vennero autoportate, altre ancora compirono il movimento ora appiedate ora autoportate. I settori Fullriede e Benigni passarono alle dipendenze del comando del D.A.K. dalle ore 12 del giorno 9 aprile. Gli ordini e i contrordini impartiti durante la manovra dai vari comandi tedeschi dimostrarono il disinteresse che questi avevano per le unità italiane, portarono spesso il disordine e concorsero ad aumentare le perdite. L'illogico provvedimento adottato dal comando della 5a armata di riversare da Kairouan su Enfidaville il movimento di varie unità italiane, che avrebbero potuto utilizzare,
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secondo gli ordini iniziali, il molto più breve e più sicuro tragitto da Kairouan verso nord non esposto sul fianco destro, evitando un maggiore ingombro al transito di Enfidaville a tergo della posizione di resistenza della l" armata, non ebbe altra giustificazione che il desiderio di disporre di maggiore libertà di movimento per le unità tedesche che dovevano ancora operare a nord di Kaitouan. Il ripiegamento del settore Benigni e del settore sud della Superga fu male concepito e organizzato e poco mancò che le truppe ripieganti non rimanessero prese neUa morsa della tenaglia del nemico incalzante. Il contrordine impartito il 13 aprile dal comando della 5a armata circa il passaggio della Superga e delle forze già comprese nel settore Benigni alle dipendenze dirette della 5" armata e circa il passaggio alla responsabilità del comando del D.A.K. del settore compreso tra la Superga e la l" armata - che con ordine dell'll aprile (113) il comando gruppo armate aveva stabilito, invece, fosse attribuito alla responsabilità del comando del XXX corpo - fu tanto improvvido e rischioso quanto rivelatore di una volontà di assoluto dominio sulle forze italiane al fine di risparmiare il più possibile le unità tedesche anche a costo di pregiudicare la riuscita deJle varie operazioni. Se tutte le unità già dislocate nei settori Fullriede (prevalentemente germaniche) e Faid (in parte germaniche) fossero rimaste alle dipendenze del comando del corpo d'armata e questo avesse diretto il ripiegamento, le unità stesse, ritirate dalla lotta prima di quelle del sottosettore sud della Superga e del settore Benigni, sarebbero state naturalmente impiegate sulla nuova linea di resistenza, che avrebbero occupato fuori della pressione del nemico, mentre le unità della Superga sarebbero passate in seconda linea per un breve periodo di indispensabile riposo e riordinamento (114). Il comando del XXX corpo d'armata, sebbene estromesso da ogni ingerenza operativa suJle sue unità passate alle dipendenze del D.A.K., aveva provveduto, prima dell'estromissione, ad imbastite la difesa di quello che avrebbe dovuto essere il settore assegnatogli, disponendo il nuovo schieramento delle artiglierie di corpo d'armata e riordinando le unità di corpo d'armata provenienti dai settori di Faid e di Fondouk el Okbi. L'artiglieria venne così schierata: 5° artiglieria in appoggio al settore Superga; LXV gruppo obici da 100/17 su 2 batterie in appoggio alle truppe schierate ad est del settore Superga; LIX gruppo da 105/32 in rinforzo al sottosettore est della Superga, dove era in appoggio il II gruppo del 5° ; LVII gruppo da 105/32 e DIV gruppo da 90/53 , insieme ad una batteria del XXXV gruppo da 75/46 (reclnce da Faid) , ad una batteria del XL gruppo
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ENFIDAVILLE E LE OPERAZIONI CONCLUSIVE
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CAP. XXXVU - OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE TERZA)
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da 75/46 (rientrata dal settore di Fondouk d Okbi) e ad una batteria da 20 contraerei, dislocati dietro l'ala orientale del settore Superga per costituire raggruppamento di manovra in condizione di agire sia a favore del sottosettore est della Superga sia a favore del settore ad est di questo. Il reggimento Lodi venne riunito e dislocato in corrispondenza del bivio per Grombalia, a sud di S. i Aek el Merani, il LXX battaglione bersaglieri motomitraglieri fu dislocato nei dintorni di Moghrane ed il battaglione d'assalto « T » poco a nord di Zaghouan. Il XXIV battaglione bersaglieri, la 5a compagnia bersaglieri motociclisti, il 40° ed il 41° raggruppamento artiglieria già in difesa costiera, il XXIV battaglione carri armati, la 12• compagnia del XVII battaglione carri armati ed il DLVII gruppo semoventi da 75/18 furono passati alle dipendenze della ia armata. La difesa del settore ad est dell'O. Saadine, &a la Superga e la Spezia, fu assunta dalla 21 a corazzata tedesca, rendendo così supedluo il previsto impiego del comando della L brigata speciale che passò alle dipendenze de1 comando della 1° armata e fu preposto al comando della riserva di armata. Rimasero alle dipendenze del comando della 21"' corazzata i reparti già dislocati in quel settore dal comando del XXX corpo (battaglione difesa aeroporti, LX battaglione mitraglieri, V battaglione camicie nere, XXII battaglione artieri di corpo d'armata). La Superga si sc}uerò nel nuovo settore con tutte le sue unità organiche, più il battaglione Grado ed un battaglione volontari tunisini. Il 100 reggimento bersaglieri continuò ad operare con l'unità Manteuffel ad ovest di Bisetta. Sulla destra della Superga venne schierata la divisione motocorazzata Hermann Goering da poco affluita in Tunisia. Il 5 maggio, in conseguenza delle direttive del Comando Supremo, il comando del XXX corpo d'armata, che fino all'ultimo, anche quando era stato esonerato da ogni responsabilità operativa, aveva dato un grande apporto all'impostazione, all'organizzazione ed alla condotta della campagna di Tunisia, venne sciolto ed il suo personale parte trasferito alla 1• armata e parte rimpatriato.
6. Negli ultimi giorni di aprile, dal 25 in poi, il II corpo d'armata statunitense ripartì all'offensiva nel settore settentrionale tenuto dalla 5° armata. Il comando del D.A.K., forse in base alla minaccia che si profilava nel settore della Goering, ordinò per la sera del giorno 25 il ripiegamento della Superga sulla posizione a nord della rotAbile
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Pont du Fahs-Saonaf per occupare il settore compreso tra le q ... 247 (ad ovest) e 367 (ad est), movimento da compiere in una sola' tappa (da 25 a 45 Km) sfruttando anche in più viaggi gli automezzi disponibili e quelli che sarebbero stati assegnati in rinforzo. Il movimento, attuato di sorpresa e con tutte le precauzioni, avvenne ordinatamente, sebbene con qualche ritardo sui tempi fissati, e senza pressione del nemico che ebbe ad accorgersene soltanto al mattino del 26, allorché l'attacco nella zona del Dj. Mansour, con la quale confinava il settore della Superga, non trovò resistenza sulla vecchia posizione. La nuova posizione consentì un accorciamento della fronte ed avrebbe dovuto essere occupata già da prima, ma il comando gcl'manico in quei giorni agì con grande incertezza, emanando di continuo ordini e contrordini, dibattuto forse tra la convinzione dell'impossibilità del successo della resistenza ad oltranza dopo l'avvenuto ripiegamento sulla linea di Enfidaville e la necessità di continuare egualmente a combattere nonostante che gli avvenimenti prefigurassero l'imm.inema della catastrofe. Pronti ad attribuire alle unità italiane reali o supposti sbandamenti ed ai comandi italiani eventuali ritardi nella esecuzione degli ordini od eventuali equivoci nell'intenderli, i comandi tedeschi, compreso il comando gruppo armate, fecero di tutto nell'ultima fase della campagna di Tunisia per tenere occulti o minimizzare i fatti incresciosi delle loro unità o addirittura per travisarli; come, ad esempio, il fallimento dell'attacco sferrato il 21 aprile dalla Goering a Medjez el Bab ed il successivo grande sbandamento della stessa divisione di fronte al contrattacco nemico in seguito al ·quale essa abbandonò mezzi, materiali e carteggi e uscì dallo scontro molto minorata. Il comando gruppo armate, e spedalmente il suo comandante, danno dal 23 aprile in poi la netta impressione di non avere in mano la battaglia, ma di essere trascinati a rimorchio, prendendo a malincuore le successive decisioni unicamente sotto l 'assillo e· la imposizione degli avvenimenti (115). La situazione critièa che . si manifestò aJla fine di aprile sulla fronte della 5" armata, in particolare nel settore della divisione Manteuffel (all'estrema ala destra dello schieramento delle forze dell'Asse), alla vigilia della seconda battaglia di Enfidaville venne fatta risalire dal comando gruppo armate, senza nessun fondamento, al 5° ed al 10° bersaglieri accusati di non avere combattuto in misura apprezzabile. Dall'inchiesta fatta subito svolgere dal generale Messe, qmùe massimo comandante "italiano in Tunisia, risultò la completa falsiti della accusa con la· testimonianza degli stessi comandanti locali · tedeschi i quali cdncorde: mente affermarono che i due reggimenti bersaglieri - in reàltà i 500
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uomini del 5° e gli 800 del 10°, giacché a tanti erano ridotte le due unità reggimentali - avevano combattuto valorosamente, fronteggiando fino all'estremo delle loro forze il peso di un combattimento inadeguato e cercando di manovrare per non lasciarsi coinvolgere nel movimento retrogrado che lo sviluppo della lotta aveva imposto ai reparti tedeschi contigui (116). · La notte del 26 aprile il II corpo d'armata statunitense, inglobato nella appena costituita 5" armata americana schierata tra 1'8° armata inglese a destra e la l" armata inglese a sinistra (117), era ripartito all'attacco, ma per 4 giorni i suoi sforzi per avanzare nella difficile regione collinosa erano stati neutralizzati, nel corso di duri scontri, dalla accanita resistenza delle truppe del D.A.K. (Superga e 21 a corazzata). Sulla fronte della Superga i primi contatti con l'avversario si erano avuti il 27 aprile mentre non erano ancora stati stabiliti per difetto delle unità laterali germaniche (21" divisione corazzata tedesca a sinistra, divisione Hermann Goering a destra) i collegamenti con i settori adiacenti. L'attacco nemico si manifestò anche nella zona di sutura con il settore Goering, donde si era dovuto togliere in fretta il battaglione Grado e dove il battaglione tedesco T 5, dipendente appunto dalla Goering, aveva stabilito la linea di resistenza sul prolungamento delle quote che il comando della Superga aveva, invece, assunto quale linea di sicurez~a. Ciò era dipeso da un ordine del comando del D.A.K., non pervenuto tempestivamente al comando della Superga, che ne era venuta a conoscenza solo la mattina del giorno 28. Da tale omissione consegui la possibilità per il nemico di compiete progressi nella zona di saldatura tra le due divisioni. Nei giorni seguenti il nemico dovette arrestarsi di fronte alla saldezza della resistenza e in conseguenza delle gravi perdite subite e non ritentò più la prova. Fu, invece, nel settore della divisione tedesca Manteuffel che il nemico riusci a costringere le forze dell'Asse a ripiegare su di una nuova e più debole linea difensiva a est di Mateur e ad abbandonare la posizione chiave di tutto lo schieramento della 5a armata tedesca. Il ripiegamento fu condotto a termine nelle notti dell'l e del 2 maggio, ma la nuova linea distava solo 25 chilometri dal porto-base di Bisetta e ciò significava che oramai era preclusa alle forze italo-tedesche ogni possibilità di ulteriori ripiegamenti tattici. La mancanza di profondità rese, inoltre, ancora più grave la carenza dei rifornimenti e concorse in misura decisiva al successo della nuova offensiva che le forze franco-angloamericane sferrarono il 6 maggio secondo il nuovo piano - V ulcan preparato nel frattempo dal generale Alexander. Se la situazione ope-
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rativa andava evolvendosi verso l'irreparabile nel settore della Y armata, quella logistica era già tragica in tutta la Tunisia. Le forze dell'Asse erano riuscite fino ad allora a sventare i precedenti attacchi, ma per fare questo avevano dovuto attingere a piene mani alle loro già scarse scorte, cosicché ora si trovavano a disporre di munizioni sufficienti solo per opporre una breve replica alla soverchiante potenza di fuoco degli attaccanti e di una quantità di carburante che forse non sarebbe bastata neppure per la più breve delle contromosse. Inoltre esse non potevano contare sulla benché minima copertura aerea, dal momento che i campi di aviazione in Tunisia erano diventati indifendibili e quasi tutti gli aerei superstiti erano stati trasferiti in Sicilia (118). La nostra aviazione era praticamente scomparsa dal cielo della Tunisia, e ciò ebbe un peso sostanziale sullo svolgersi degli avvenimenti (119). Dalla seconda metà di aprile, in particolare, la aviazione nemica colpiva ogni bastimento per l'assenza della caccia di scorta anche nelle vicinanze della costa tunisina (il 28 ed il 30 aprile vennero affondate a capo Ron nei pressi di Tunisi da motosiluranti ed aerei nemici due navi cariche di materiali e di truppa tedesca). Il nuovo piano del generale Alexander prevedeva che lo sforzo principale venisse esercitato nuovamente a nord e che venisse attuato dal IX corpo d'armata inglese che, scavalcando il V, avrebbe dovuto attaccare una fronte assai ristretta - circa 3 chilometri - nella valle a sud del fiume Medjerda in corrispondenza del settore delle divisioni tedesche 334a e Goering. Il IX corpo d'armata inglese - 4a divisione inglese e 4a divisione indiana, appoggiate da 4 battaglioni di carri armati da fanteria e 6a e 7a divisioni corazzate; in tutto più di 470 carri armati - avrebbe dovuto attaccare con le due divisioni di fanteria in prima schiera ed aprire una breccia profonda 5 chilometri dalla quale, successivamente, si sarebbero lanciate le due divisioni corazzate per raggiungere in un solo balzo la zona di St. Cyprien, 20 chilometri al di là della linea di partenza e a metà strada da Tunisi. L'obiettivo primario avrebbe dovuto essere la conquista di Tunisi. Come massa preliminare all'attacco del IX corpo, il V corpo d'armata inglese - comprendente tre divisioni di fanteria ed una brigata corazzata - avrebbe dovuto conquistare la sera del 5 maggio, l'altura del Dj. Bou Aoukaz che si ergeva all'estremità settentrionale del tratto d'investimento dell'attacco, e successivamente si sarebbe dovuto solo preoccupare di tenere aperto il corridoio di passaggio del IX corpo. L'apertura del corridoio da parte del IX corpo avrebbe dovuto avere inizio alle ore 3 del giorno 6 in modo da trarre, nono-
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stante l'inesperienza della gran parte delle forze della 1a armata britannica in fatto di attacchi notturni, il massimo beneficio possibile dalla protezione assicurata dall'oscurità di una notte senza luna. Il piano ebbe piena attuazione: l'altura del Dj. Bou Aoukaz venne conquistata al secondo attacco; la 4a divisione indiana alle 9,30 del 6 aveva già aperto una breccia profonda nello schieramento tedesco; alle 10 le avanguardie della 7°' divisione corazzata irruppero nel corridoio aperto dalla fanteria indiana; la 4a divisione inglese, all'ala destra del dispositivo di attacco, sebbene mossasi in ritardo, a mezzogiorno raggiunse il suo obiettivo e dette modo alla 6• divisione corazzata di spingersi anch'essa in profondità. Tutto sarebbe andato per il meglio se il comandante del IX corpo, generale Horrocks, ed i comandante delle due divisioni corazzate non avessero arrestato la avanzata a metà pomeriggio in vista della notte nei pressi di Massicault, una località appena 1O Km al di là della linea di partenza, 5 al di là della linea raggiunta dalla fanteria e solo ad un quarto della distanza da Tunisi. Come era già accaduto allo uadi Akarit, Horrocks e i comandanti delle divisioni corazzate non seppero cogliere l'occasione favorevole nel momento in cui questa si offriva loro, continuando a operare a un ritmo adatto forse a un'azione di fanteria ma non certo tale da permettere di sfruttare tutte le potenziali risorse della mobilità meccanizzata (120) . La 6a e la 7" divisioni corazzate ripresero la marcia all'alba del 7 maggio, ma si lasciarono poi bloccare da 10 carri armati tedeschi e da alcuni cannoni a St. Cyprien e solo alle ore 16 le autoblindo dell'llO ussari, seguite da quelle del reggimento autoblindo, il Derbyshire Y eomanry della 6" corazzata, entrarono in Tunisi. Il II corpo d'armata statunitense che, simultaneamente al IX corpo d'armata inglese, aveva ripreso il suo attacco il giorno 6, aveva progredito assai lentamente e solo nel pomeriggio del giorno 7, accortosi mediante l'impiego di pattuglie della 9a divisione di fanteria mandate in perlustrazione che la strada era oramai sgombera, in quanto le unità tedesche si erano ritirate verso sud-est, entrò a Biserta, riservando però l'ingresso ufficiale al corpo francese France d'Afrique che sopraggiunse nella giornata del1'8. Era accaduto che nei primi due giorni della battaglia la 1a corazzata statunitense, avanzante da Mateur, e la 1a e 34a divisioni di fanteria statunitensi avevano incontrato dapprima una forte resistenza e successivamente erano andate incontro a non poche disavventure. La sera del 7 la testa di ponte italo-tedesca fu definitivamente spezzata in due tronconi, dei quali quello a nord dell'area di Tunisi, comprendente grosso modo la 5a armata tedesca del generale
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Vaerst, capitolò ufficialmente verso il mezzogiorno del 9 dopo che fin dalla sera del giorno 7 molte unità e molti militari si erano già arresi singolarmente. Il numero dei prigionieri fatti dai franco-angloamericani in tale area fu di circa 40 mila. Le forze della 5a armata tedesca del generale Vaerst poco poterono fare contro l'offensiva della 1n armata inglese del generale Anderson e del II corpo d'armata statunitense del generale Bradley. Nel settore a sud del fiume Medjerda dove fu sferrato l'attacco nemico erano schierati solo due deboli battaglioni di fanteria ed un battaglione controcarri, appoggiati da una formazione eterogenea di pochi carri armati, sicché, nel loro insieme, gli uni e gli altri costituivano uno scudo assai esile, che in più venne ben presto frantumato dall'effetto paralizzante del fuoco di 400 cannoni - che agirono per successive concentrazioni dirette da un comando centralizzato sui singoli caposaldi, con dotazioni di munizioni di 1000 colpi per pezzo (una granata ogni due metri di fronte ; una pioggia di fumo - come osservò il Liddell Hart - cinque volte più fitta di quella attuata, con il sistema dello sbarramento, ad el Alamein il 23 ottobre 1942) - e di oltre 200 missioni di volo da parte di bombardieri e di caccia-bombardieri nemici con inizio dell'alba del 6 maggio. La nuova offensiva non colse di sorpresa i comandi del gruppo armate e della 5n armata in quanto essi erano a conoscenza del trasferimento di ingenti forze dell'8n armata alla l"' armata britannica ed anche ai comandi di settore e di sottosettore non erano sfuggiti i preparativi che il nemico veniva compiendo da più giorni sulla fronte. Ma la consapevolezza di un colpo imminente - commenta il Liddell Hart - serve a ben poco a chi non ha i mezzi per pararlo (121). Il generale von Arnim il giorno 6, in seguito allo sfondamento a sud del fiume Medjerda, ordinò alla Y armata ed al D.A.K. di ripiegare le rispettive ali interne mantenendo ferme le ali esterne che avrebbero dovuto appoggiarsi alla piazza di Biserta da una parte e all'allineamento Zaghouan-Hamman Lif dall'altra. La Goering avrebbe dovuto seguire il movimento del D.A.K. prolungandone la destra con l'occupazione della stretta di Hamman Lif. La Superga avrebbe dovuto passare in seconda schiera, a nord di S.te Marie du Zit, nella notte fra il 7 e 1'8 maggio, raccogliendosi nella zona collinosa a circa 10 Km a nord-ovest di Zaghouan e schierando le artiglierie a difesa del settore della 21 a corazzata fronteggiante il Dj . Oust, a nord di Moghrane. Le unità della 21"' corazzata avrebbero mantenuto le posizioni delle falde sud-ovest del Dj. Zaghouan e, quindi, arretrato la loro destra fino a saldarsi con le altre unità fron-
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teggianti il Dj . Oust, attraverso la soglia cli Moghrane. Il ripiegamento si effettuò ordinatamente, dalle ore 20 del giorno 7, e senza pressione del nemico. Il D.A.K. assunse la responsabilità della linea Gebel-Zaghouan-Hamman Lif fino al mare. La Goering, invece, durante il ripiegamento si sbandò, subl perdite rilevanti e perse il contatto con le truppe laterali cosicché venne a mancare l'ordinata occupazione dell'importante stretta di Hamman Lif, all'estrema destra dello schieramento, dove il comandante della 1" armata per fortuna aveva inviato il giorno 6 d'iniziativa il battaglione Luftwaffe. Lo sbandamento della Goering fu esiziale alla saldezza della nuova linea, come lo fu altresl la mancata difesa della piazza cli Tunisi sebbene fosse stata accuratamente predisposta dal comando gruppo armate. Il generale Schnarremberg, comandante della piazza, contrariamente agli ordini precisi del generale von Arnim, rinunziò al semplice tentativo cli adempiere il compito e si allontanò dal suo posto cli comando senza dare alcun ordine, almeno alle truppe italiane il cui comandante, dopo avere invano chiesto ordini al coman<lo tedesco della piazza, prese contatto con il comando della 1" armata che non poté fare altro che indirizzarlo nuovamente al comando piazza. La mancata difesa cli Tunisi fu un'amara sorpresa per lo stesso generale von Arnim che quando alle 20 del 7 inviò un proprio ufficiale per rinvigorire lo spirito di resistenza del generale Schnarremberg, venne a sapere che questi si era allontanato dalla piazza già da molte ore (122). Le forze della 1.,. armata italiana ebbero vita appena più lunga cli quelle della 5a armata tedesca e cedettero le armi solo il giorno 13 maggio. Il generale Messe, stanti la criticissima situazione dei propri rifornimenti e l'andamento delle operazioni sulla fronte della 5a armata, aveva già preso un insieme cli provvedimenti cli carattere logistico e tattico per tentare di prolungare il più a lungo possibile la difesa dell'ultimo lembo cli terra africana ancora in possesso delle forze dell'Asse (123) Da alcuni giorni si erano fatti palesi i sintomi della ripresa dell'a1.ione offensiva dell'83 armata britannica che aveva stretto il contatto un po' dovunque, ma specialmente in corrispondenza della destra della Spezia, della destra della 1643, della Giovani fascisti e della 90". La notte sul 7 unità francesi cli colore si erano infiltrate sulla destra della 164" nel settore del gebel Srassif, ma erano state respinte da un contrattacco effettuato il mattino . Nello stesso giorno 7, nel tardo pomeriggio, il nemico aveva sferrato un attacco cli carri armati nella zona costiera che era stato bloccato dal fuoco dell'artigli;;;:i( Nd pomeriggio dd giorno 8 gli inglesi avev,no
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attaccato con decine di carri armati la stretta di Hamman Lif ed erano riusciti ad intaccare la posizione di resistenza, mentre tutta la penisola di capo Bon veniva sottoposta continuamente ad imponenti attacchi aerei diurni e notturni. La seconda battaglia di Enfidaville ebbe inizio il giorno 9 quando il nemico, che da giorni premeva sulla soglia della penisola, riuscì a scardinare la difesa di Hamman Lif senza peraltro far crollare completamente la resistenza. La situazione generale si fece gravissima anche per i continui attacchi che dal giorno 9 le forze corazzate nemiche sferravano sulla fronte ovest dello schieramento italo-tedesco e particolarmente all'estrema destra nonché per la contemporanea crescente pressione che le forze dell'8° armata esercitavano su tutta la fronte, specialmente in corrispondenza del XX corpo d'armata. Alla sera del giorno 9 il nemico attaccò il XX corpo nelle zone del gebel T ebaga e del gebel Cherachir ma venne respinto con perdite, come pure venne respinto nella zona del gebel Srassif. Un'infiltrazione nemica che era riuscita ad occupare Ken Ateva venne annientata da un contrattacco sferrato durante la notte. Il giorno 10, mentre sulla fronte sud non si verificarono avvenimenti di grande rilievo, sulla fronte nord crollò lo schieramento della zona di Hamman Lif ed il nemico dilagò con i suoi mezzi corazzati su Soliman e Grombalia. Fu l'accerchiamento completo della 1a armata. Il D.A.K. comunicò di non avere la possibilità di opporsi efficacemente al dilagamenot delle forze nemiche, essendo fortemente impegnato su tutta la fronte e volendo mantenere ad ogni costo il sttore attaccato dalle forze francesi (dal passo di Zaghouan a sud) fino a quando glielo avessero consentito le munizioni, tanto più che non avrebbe potuto svolgere nessuna manovra per mancanza assoluta di carburante. Venne così a mancare la possibilità della costituzione di un fianco difensivo e della saldatura con la 1a armata per imbastire una fronte comune sul rovescio. Il D.A.K. resisté ancora, nonostante che il suo rovescio fosse completamente aperto alle incursioni delle forze motocorazzate nemiche, e mantenne l'abitato di Zaghouan ed il Dj. omonimo per tutta la giornata dell'll; alle ore 00,40 del 12 comunicò: « Consumate munizioni, distrutte le armi e gli attrezzi. Come da ordini ricevuti il D.A.K. ha lottato fino all'esaurimento completo. Il D.A.K. deve rinascere. Il generale comandante il D.A.K. Cramer » (124). La divisione Superga, alle dipendenze del comando D.A.K., richiamata in linea fra la 21" e la 10" divisioni corazzate germaniche, che avrebbero di conseguenza ristrette le loro fonti, dopo che si era sviluppato dalle prime ore del giorno 11 l'attacco del XIX corpo d'armata francese rinforzato da unità corazzate
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anglo-americane in direzione del Bled et Tella contro gli schieramenti della 21 a e della lOa, si trovò coinvolta nell'abbandono delle posizioni da parte delle unità tedesche che le lasciarono i fianchi scoperti. Il comandante della divisione ordinò ai due reggimenti di fanteria - le artiglierie, per ordine del comando D.A.K., dopo aver provveduto a sparare tutte le munizioni rimaste loro avevano già fatto saltare i pezzi - di arretrare di 2 Km a nord e ad ovest del Dj. el Rebafa per costituire con il battaglione d'assalto T e con gli uomini delle artiglierie un ridotto per l'ultima resistenza. Malgrado la fiumana dei tedeschi che, a gruppi od a piccoli reparti, arretrava e passava nei pressi del ridotto sventolando bandiere bianche, le unità della divisione rimasero nelle mani dei comandanti e conservarono le proprie posizioni fino al mattino del giorno 12, allorquando, accerchiate, senza artiglierie, senza munizioni, senza pissibilità di rifornimenti, si arresero su ordine del comandante della divisione. La capitolazione venne trattata con il comandante della divisione Grano del XIX corpo d'armata francese, che, con robuste unità corazzate anglo-americane, continuava a progredire verso S.te Marie du Zit e Grombalia. Il comandante della divisione la sera del giorno 11 comunicò: « truppa esaurite le munizioni, distrutte armi ed artiglierie, est stata sopraffatta» (125). La la armata, dopo la resa del D.A .K., rimase sola. Essa provvide a chiudere ad ovest la fronte del ridotto mediante una conversione della Spezia su Dj. Zriba. Il movimento ebbe esecuzione regolare, nonostante lo stretto contatto con il nemico. Non poté, invece, attuare il piano predisposto ad oriente perché il comandante della 90"' comunicò di non poter rispondere dei suoi uomini qualora avesse ordinato il nuovo movimento. La 90", influenzata dall'avvenuta resa di tutte le altre unità tedesche, crollò poi di schianto e si arrese senza combattere nell'imminenza di un attacco delle forze corazzate nemiche diretto da nord contro le sue posizioni all'altezza di Bon Ficha. Anche il battaglione Luftwaffe, schierato nel settore della Trieste, ed il II/361° tedesco schierato nel settore della Giovani fascisti, saputo che tutte le unità tedesche si erano già arrese, ne imitarono l'esempio, mentre le contigue unità italiane rimasero saldamente ai loro posti. Il lato nord-orientale del ridotto rimase scoperto, ma il comando del XX corpo riuscì ad allacciare la destra della Giovani fascisti con le forze schierate nella zona di Djeradau. Frattanto il generale Messe, dopo il telegramma di Mussolini che lo lasciava libero di accettare un'onorevole resa, aveva chiesto al comando dell'8" armata britannica, facendo osservare che le posizioni della 1a armata non erano ancora sostanziai-
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mente intaccate, di trattare la resa con l'onore delle armi. Avutane risposta negativa ed invitato alla resa incondizionata, egli, verso le 1 7 del giorno 12, respinse la proposta. Ma alle 19 ,3 5 gli giunse dal Comando Supremo un messaggio radio nel quale era detto : Cessate combattimento. Siete nominato maresciallo d'l talia. Onore a Voi e ai vostri prodi. Mussolini (126). Alle 12,30 del giorno 13 le condizioni di resa imposte dal comandante del X corpo d'armata britannico vennero accettate (127). Questi, il generale inglese Freyberg, dovendo ubbidire agli ordini superiori non poté concedere l'onore delle armi e, in privato, se ne rammaricò con il generale Mancinelli che trattò la resa, dicendogli che sarebbe stato suo desiderio poterlo fare. E davvero la 1a armata italiana avrebbe meritato tale riconoscimento per le alte qualità militari e professionali del suo comandante - che bene aveva meritato la sua promozione a ma1·esciallo d'Italia - e per l'eroico comportamento dei suoi gregari che avevano fino ai limiti delle umane possibilità adempiuto tutti i compiti loro commessi.
7. Vedremo meglio più avanti l'evoluzione della dottrina tattica e degli ordinamenti, ma si può dire fin d'ora che durante la campagna di Tunisia furono le fanterie, più delle stesse unità corazzate, le vere protagoniste della lotta o, quanto meno, l'elemento determinante dell'impostazione delle battaglie del Mareth, de1l'Akarit e di Enfidaville. Qui ci limitiamo a ripetere ancora una volta che l'intera campagna fu viziata dall'errore strategico della impostazione basata sull'intendimento che la testa di sbarco dovesse costituire la base di partenza per un'ipotetica controffensiva, anziché l'ancora di salvezza delle forze ripieganti dalla Libia, ed il pegno temporaneo per garantire la migliore messa a punto possibile della difesa dell'Europa e, in particolare, della penisola e delle isole italiane. Al di là di questi due scopi specifici il prolungamento della resistenza in Tunisia non avrebbe potuto risolversi - come difatti accadde - che in un inutile assorbimento di forze e di mezzi. La situazione dell'Asse nel Mediterraneo era stata definitivamente compromessa. L'intervento della Spagna a fianco dell'Asse ed il conseguente possibile taglio delle comunicazioni fra l'Atlantico ed il Mediterraneo, dopo l'avvenuto sbarco anglo-americano nell'Africa settentrionale, era stata una
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illusione subito caduta. La contemporanea occupazione della Corsica e delle coste della Provenza assorbiva buona parte delle grandi unità ancora disponibili a danno di altri scacchieri non meno delicati e vulnerabili. La Balcania assorbiva anch'essa un'imponente massa di forze - ben 31 divisioni italiane - ed era uno dei punti deboli dell'Asse e, in particolare, dell'Italia per la guerriglia che vi si doveva fronteggiare dalla Jugoslavia all'Albania, dal Montenegro a parte del territorio della Grecia. L'inferiorità tedesca nel teatro operativo russo si veniva facendo sempre più evidente dopo i limitati successi delle battaglie estive e divenne chiaramente inco1mabile dopo lo sfondamento dell'armata rossa sul Don e la tragedia tedesca di Stalingrado. Nulla insomma avrebbe dovuto indurre a voler conservare ostinatamente il possesso della testa di sbarco in Tunisia fine a se stessa. Là situazione navale ed aerea nel Mediterraneo nell'autunno del 1942 avrebbe dovuto suggerire a Mussolini ed al Comando Suprem iotaliano di rappresentare a Hitler ed ali'Alto Comando tedesco che l'errore di non aver valutato a suo tempo l'importanza decisiva di tale teatro operativo non era più riparabile. Se l'Asse non era riuscito ad alimentare le battaglie offensive del luglio e della fine di agosto ad el Alamein, come avrebbe potuto garantire per lungo tempo la corrente dei rifornimenti e <legli sgomberi necessaria alla vita ed alla lotta di forze più ingenti, anche con il possesso dei porti tunisini, ma ferme restando in mano inglese Alessandria, Malta e Gibilterra? Hitler aveva fatto all'inizio dell'operazione anglo-americana T orch la promessa a Mussolini, al Comando Supremo italiano ed al maresciallo Kesselring d'inviare tutto quello che sarebbe stato necessario per conservare il possesso della Tunisia, anzi per ricacciare gli anglo-americani dall'Africa, ma già da dicembre risultava chiaro che la promessa non poteva essere mantenuta che in minima parre a causa degli avvenimenti sulla fronte orientale. D'altra parte anche se la situazione navale ed aerea fosse stata meno critica ed avesse consentito all'Asse l'aumento del volume dei trasporti marittimi, le forze i mezzi i materiali necessari allo sviluppo di progetti ambiziosi sarebbero stati irreperibili. Voler tenere la Tunisia con forze insufficienti, senza nessuna ragionevole speranza di poterne modificare il rapporto rispetto a quelle avversarie, era un assurdo strategico del quale Mussolini ed il Comando Supremo italiano non potevano non essere consapevoli, specialmente dopo che il maresciallo Rommel ai primi del mese di marzo del 1943 aveva detto loto chiaro e tondo che il restare in Tunisia sarebbe stato un vero suicidio. Nulla essi fecero per appoggiare la tesi del maresciallo Rom-
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mel presso Hitler, nonostante che il danno che sarebbe derivato all'Italia dalla perdita delle unità operanti in Tunisia - le uniche agguerrite e addestrate rimaste, dopo la distruzione dell'8a armata italiana in Russia - fosse assai maggiore di quello di cui avrebbe sofferto la Germania. Senza aggiungere altre considerazioni a quelle già fatte in precedenza, non si può non rilevare, infine, come una azione diretta della flotta italiana - mancata al momento dell'inizio dell'operazione Torch contro i convogli nemici affluenti ai porti algerini e contro questi ultimi, quando un impegno a fondo avrebbe potuto essere decisivo per le sorti della guerra nel Mediterraneo avrebbe accresciuto le possibilità di successo dell'operazione di recupero del gruppo armate del generale von Arnim. La giustificazione della mancanza di nafta non regge perché a novembre od a marzo sarebbe valsa la pena di consumare tutta quella disponibile sul momento anche a costo di una lunga successiva immobilizzazione. A novembre si sarebbe potuta giuocare la partita decisiva ed a marzo si sarebbe potuto dare un ampio respiro alla difesa de1lc isole e del continente. La rinunzia forzata o di libera scelta all'intervento della flotta fu dannosa alla campagna di Tunisia e non giovò alla successiva difesa delle isole e del continente. A questa ultima, infatti, nessun apporto venne dalle navi da guerra che il Comando Supremo aveva già fatto ripiegare nei porti dell'Italia settentrionale. Anche a volere interpretare il comportamento strategico del Comando Supremo italiano nella campagna di Tunisia nel modo più benevolo possibile, le ombre che coprirono le decisioni iniziali e, soprattutto, quelle dal marzo in poi - pur volendo tenere conto della complessità, delle enormi difficoltà e della variabilità delle situazioni nelle quali si formarono - restano ancora oggi fitte e indecifrabili e danno luogo ad un'infinità di risposte, nessuna delle quali del tutto chiarificatrice e razionalmente giustificativa. Quando l'esame della campagna si sposta da Berlino e da Roma a Tunisi, la visione che se ne trae, nonostante le tensioni tra gli alti comandi locali tedeschi ed italiani - quasi tutte addebitabili alla parte tedesca, incline alla presunzione d'infallibilità, alla caparbietà delle decisioni anche contro l'evidenza dell'errore, alla scarsa o nulla considerazione di taluni alti ufficiali per tutto ciò che fosse italiano quando non anche all'albagioso disprezzo, come nel caso del capo di stato maggiore del comando gruppo armate, generale Gause - è che il comportamento della quasi totalità dei comandi alti e bassi, delle unità grandi e piccole, dei capi e dei gregari fu sotto il profilo morale e professionale di alto livello, tale che avrebbe meritato risultati
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assai diversi. Questi mancarono non certo per colpa dei comandi, dei capi e delle unità italiani e tedeschi, complessivamente all'altezza delle situazioni, ma per le condizioni impari di vita e di lotta in cui dovettero combattere. Non mancarono a nessuno la volontà e la capacità di combattere, ma il grado di addestramento molto soddisfacente, l'abilità dei comandi e le indiscutibili qualità spirituali e tecniche dei comandanti, primo di tutti il generale Messe, non valsero a compensare il disequilibrio fra forze terrestri ed aeree, l'inferiorità qualitativa delle armi, dei mezzi e dell'equipaggiamento, la stessa sproporzione numerica tra le opposte forze e l'insufficienza dei mezzi di funzionamento dei comandi e di trasporto delle unità. Con questo non si vuol dire che non vi furono errori e sbandamenti e che la linea di condotta del comando gruppo armate non fu spesso indecisa, in ritardo, a rimorchio degli avvenimenti, improntata a concetti dottrinali teorici poco od affatto attuabili di fronte alla realtà della scarsità delle forze e dei mezzi, ma solo che la campagna nel suo complesso persegui il massimo dei risultati possibili e che, se anche non vi fossero state le manchevolezze che si ebbero a lamentare, la conclusione avrebbe forse potuto essere ritardata di qualche giorno, ma non avrebbe in nessun caso potuto essere diversa e meno sfavorevole.
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1'11 11'1'11 Id I l 'ilN I
NOTE AL CAPITOLO XXXVIl (1) Ugo Cavallero, Comando Supremo. /)1,ir111 / 'lf(l ' / 1 ,lt-1 r:11110 di S.M.G. F. Cappelli editore, Rocca S. Casciano, 1948, p. j /Il.
(2) Darlan ]ean Xavù:r Francois (188J - L9-12), ammirnAlio t 1101110 po litico francese. Artefice dello sviluppo della flotta francese tra le due Auer1 e 111ondiali, ne ebbe il comando nel 1939-1940. Sostenne il regime di Vichy e fu <lesi!!nULO successore di Pétain. L'8 novembre 1942, trovandosi ad Algeri nel mom(·nto dello sbnrco degli anglo-americani, concluse con questi un armistizio valido per tulle le forze frances, in Africa settentrionale, accettando la designazione ad alto commissario dell 'Africa settentrionale. Sconfessato da Pétain e attaccato dai gaullisti fu assassinato da un giovane che volle così punire la sua collaborazione con i tedeschi. (3) Comando Supremo. Op. cit., p . 377. (4) Ihidem, pp. 385-386. (5) Il bollettino delle perdite di naviglio mercantile segnò nei mesi di novembre e dicembre 1942 i seguenti affondamenti: 17 novembre: silurato e affondato l'Han 1larp diretto a Bengasi; affondato il Giordani con 8 000 tonnellate di carburante diretto a Tripoli; 26 novembre: colpito a Tripoli il Monreale con 10 000 tonnellate di materiali a bordo; 2 dicembre: un piroscafo perduco e il S. Giorgi~ colpito, un altro piroscafo e il Puccini dispersi; 3 dicembre: Menes ed Aspromonte affondati con carichi di carri e di artiglierie; 6 dicembre: Pugliola e Aida perduti; 14 dicembre: perdita del Monteverde e dell'Oreste; 15 dicembre: perdita del Castelverde, dell'Honestus e del S. Antioco; 21 dicembre: unità di superficie nemiche affondano il Dora in rotta da Susa a Tripoli; 28 dicembre: affondato il piroscafo tedesco Grant silurato da un sommergibile; 29 dicembre: affondamento dell'Iseo; 30 dicembre: affondamento del Gennari e del Marte.
(6) Comando Supremo. Op. cit., pp. 412-422. L'esposizione di Hitler fu un pout-pourri di verità, di finzioni, di illusioni, di omissioni, di assurdità: « Siamo in una lotta per la civiltà del mondo: non si tratta dell'esistenza o meno dei nostri regimi, ma bensì dell'esisrenza delle nostre nazioni... il bolscevismo dilagherebbe, e le democrazie non potrebbero fermare questa ondata di bolscevismo. Gli inglesi non riuscirebbero a fare n ulla, come non hanno potuto impedire alla Russia di bolscevizzarsi dopo la grande guerra 1914-1918... Nelle diverse fasi di questa lotta che può durare per anni, vi sono dei punti che non soddisfano completamente l'uno o l'altro degli Stati che lottano. Dopo l'entrata in guerra del Giappone, le con'dizioni sono migliorate. Abbiamo liberato completamente l'Europa di tutte le posizioni nemiche ... A cominciare dal 1938 abbiamo annullato le seguenti forze: Cecoslovacchia 45 divisioni, Polonja 60 divisioni, Norvegia e Danimarca 8-10 divisioni, Olanda 18-22 divisioni, Belgio 24 divisioni , Francia 136 divisioni , Jugoslavia 33-34 divisioni, Grecia oltre 20 divisioni. Tutte queste Nazioni sono state completamente battute. Al confine della Germania stavano minacciose 250-280 divisioni russe. La Russia è stata respinta per una profondità di I '500-2 000 Km, e il numero deU,. divisioni annientate è incaico-
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labile... Aspetti negativi di questa lotta quadriennale sono: la perdita di collegamenti marittimi, ma si tratta di collegamenti che in nessuna guerra potrebbero essere tenuti; la perdita dell'A.O.I. che in nessuna guerra poteva essere a lungo mantenuta, perché l'Inghilterra possiede gli stretti che assicurano la linea di rifornimento; la perdita ·temporanea della Cirenaica, però abbiamo messo piede a Tunisi e Biserta. Volendo guardare lontano, bisogna aggiungere agli elementi positivi l'entrata in guerra del Giappone, che ha stabilito ad oriente una posizione inattaccabile, e la guerra sottomarina, che sta trasformando in bloccato il nemico che voleva bloccarci ... Si abbia presente che tutta questa guerra è, in sintesi ultima, un problema di trasporti... Se noi abbiamo dovuto abbandonare El Alamein, ciò fu dovuto essenzialmente al problema dei trasporti ... Pensando ora ai nostri compiti, noi dobbiamo: 1° consolidare lo spazio conquistato in Tunisia, perché questo è essenziale per lo sviluppo successivo degli sforzi; 2" cercare spazio vitale e assicurare all'Europa rifornimenti di viveri, di materie prime, come carbone, ferro, petrolio ... Ho detto, sono certo che il problema dell'Est sarà dominato... Complesso sud-est. Non si sa con quante divisioni gli inglesi marciano su Tripoli. Ma è sempre probabile che contino di sbarcare nel sud-est Mediterraneo. È anche possibile che ritirino una parte delle forze per sbarcare in Siria, allo scopo di far pressioni sulla Turchia. Finché Rodi, Creta, la Grecia, l'Albania e la Dalmazia saranno nelle nostre mani, ogni tentativo nel sud-est fallirà. In questo caso, abbiamo la pos..'<ibilità di far conto su due riserve; Uugheria e Bulgaria. Occorre dunque retroterra pacificato... In conclusione, si tratta dei punti seguenti: 1° assicurare il possesso delle posizioni di Creta, Rodi, Peloponneso; 2" costituire un gruppo d'intervento (noi consideriamo a questo fine anche una divisione del fronte orientale); 3° stabilire accordi con ungheresi e bulgari perché tutto sia pronto da parte loro; 4° dare disposizioni per assicurare l'ordine nel retroterra; 5° assicurare rifornimenti di viveri, munizioni, petroli, per il caso di temporanee interruzioni delle comunicazioni. Complesso nord Africa. In questo complesso si inserisce anche il problema della Francia ... Quando si delineò la situazione nel nord Africa francese con il tradimento dei generali, bisognò agire. ~ meglio che la flotta francese sia affondata a Tolone, che sana in mano al nemico ... Domani arriverà Laval. I francesi attivi sono tutti con Darlan e con De Gaulle. Dei non attivi 1'80 % è di antitedeschi, il 10 % di attendisti, il 5-10 % di collaborazionisti. Nella seconda e terza categoria tutti sono d'accordo per sbarazzarsi dei tedeschi appena possibile. Alla testa dei collaborazionisti è Laval, il quale sa che sarà fucilato, se noi andiamo male. Conviene tuttavia mantenere la finzione di un governo francese sotto Pétain. La realtà è che nessun francese vuol combattere ... Non so .::osa Lava! verrà a chiedere domani; ma è certo che questi avrebbe preferito trattar·~ da solo con la Germania: io ho però imposto che l'Italia sia presente... In merito alla Spagna mi dichiaro d'accordo con il Duce: sarei disposto a dare armi purché le adoperi per difendere le colonie o il territorio o nd caso in cui fosse attaccato il Portogallo... La Bulgaria è sotto l'influenza russa: è ancora vicina a noi per i vantaggi che le abbiamo accordato. Ha diffidenza per la Turchia e spera di poter al caso riconquistare l'intera Tracia; in questo senso è a noi utile ... In Dalmazia è ormai evidente che Mihailovich è in collegamento con gli inglesi ed attende l'ora di muovere. Occorre un'azione brutale, tenendo presente che i nazionalisti ed i cetnici sono tutti nostri nemici. Occorre annientare il Mihailovich e le sue idee panslaviste ... Quanto ai tentativi di sbarco americani in Occidente, giudico che questi costituirebbero un grave errore per il nemico. Abbiamo in Occidente sufficienti e buone divisioni e solide fronti fortificate.
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(7) Ibidem, p. 417. (8) Paulus Friedrich (1890-1957), maresciallo tedesco. Partecipò alla prima guerra mondiale, aderl al putsch reazionario di Kapp del 1920; nel 1935 fu capo di stato maggiore delle truppe motorizzate; come intendente generale preparò il Piano Bar'1arossa per l'attacco all'Unione Sovietica. Nel 1942 prese il comando della 6"" annata oon la quale investi Stalingrado, dove poi resisté 163 giorni all'attacco dei sovietici. Il 1° febbraio 1943 si arrese ai russi dopo essere stato nominato da Hitler feldmaresciallo, il più giovane della Wehrmacht. Depose al processo di Norimberga contro Keitel, Jodl e Goering. Rientrò in Germania il 26 ottobre 1953 e prese residenza a Dresda nella Repubblica Democratica tedesca. (9) Rokossowskij Konstantin Kostantinovié (1896-1968), maresciallo sov1euco. Combattente della prima guerra mondiale, dopo la rivoluzione d'ottobre ebbe il grado di colonnello dell'armata rossa. Partecipò alla guerra civile di Spagna. Ebbe parte di primo piano nella seconda guerra mondiale: nel 1942 comandò il gruppo d'armate del Don nella battaglia di Stalingrado; nel 1943 diresse la controffensiva estiva del gruppo d'armate del centro; nel 1944 con il primo fronte bielorusso raggiunse la Vistola presso Varsavia; nel 1945 guidò l'avanzata del secondo fronte del Baltico in Prussia orientale. Nel 1949 divenne ministro della difesa e comandante in capo dell'esercito polacc0< Ridi.iuwato in Russia nel 1956, fu vice primo ministro detla difesa e, nel 1962, ispettore generale. (10) Vatutin Nikolaj Fedorovic (1901-1944), generale sovietico. Collaboratore di Timosenko e poi di Zukov nella riorganizzazione dell'armata rossa. Nell'estate del 1942 assunse il comando di un gruppo d'armate, affermandosi rapidamente corne uno dei più brillanti comandanti sovietici. Diresse l'accerchiamento da nord delle forze tedesche in Stalingrado, contenne vittoriosamente l'offensiva tedesca di Kursk nell'estate del 1943 e liberò Kiev nel dicembre dello stesso anno. (11) Eremenko Andrei Ivanovic (1892-1972), maresciallo sovietico. Prese parte alla rivoluzione bolscevica e nel 1918 aderì al partito comunista. Nel 1942 partecipò alla difesa di Stalingrado e fu uno degli artefici dell'accerchiamento della 6a armata tedesca. Comandante del II fronte baltico, nel 1943 riconquistò la Crimea e nel 194445, al comando del IV fronte ucraino compl la conquista dei Carpazi. Fu membro del comitato centrale del P.C.U.S. e alto funzionario del ministero della difesa.
(12) Il 24 settembre 1942 Hitler licenziò il capo di stato maggore dell'esercito Franz Halder, che nel luglio si era detto contrario e si era opposto, senza riuscirvi, a svolgere contemporaneamente due offensive sulla fronte orientale: una contro Stalingrado ed una nel Caucaso. Aveva insistito perché si concentrassero le maggiori forze per la presa di Stalingrado, ma Hitler gli aveva replicato che i russi erano ormai finiti. Quando i fatti cominciarono a dare ragione a Halder, Hitler lo liquidò dicendogli: « Io e voi soffriamo di nervi. Per metà, il mio esaurimento nervoso è dovuto a voi. Non è possibile continuare così. Noi ora abbiamo bisogno di entusiasmo nazionalsocialista, non già di abilità professionale. E ciò non posso esigerlo da un ufficiale della vecchia scuola come voi ». Il generale Halder commentò: « In tal guisa parlava non un capo responsabile della guerra, bensì un fanatico uomo politico», tanto fanatico che « le sue decisioni non avevano più nulla in comune con i principi della strategia e con le operazioni militari quali erano noti alle passate generazioni. Derivavano da una natura violenta travolta dagli impulsi del momento, eh~ non ricorro-
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sceva i limiti delle possibilità e che faceva dei suoi desideri il fattore determinante dei propri atti ... ». Il generale Halder fu sostituito dal generale Kurt Zeitzler, ufficiale più giovane, di diverso temperamento, che occupò la carica « come poco più del fattorino del Fuhrer fino all'attentato contro il dittatore nel luglio 1944 ». (13) H.A. Jacobsen - J. Rohwer, Battaglie decisive della seconda guerra mondiale. Baldini e Castaldi, Milano, 1974, p. 335.
(14) B.H. Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Arnoldo Mondadori, Verona, 1971, p. 600. (15) Eisenhower Dwight David (1890-1969), generale e presidente degli U.S.A .. Dopo aver frequentato l'accademia militare <li West Point, prestò servizio presso scuole di addestramento e guarnigioni finché fu assegnato all'ufficio del corpo di stato maggiore dell'esercito che lo inviò in qualità di assistente militare nelle Filippine dove rimase fino al 1940. Fu protagonista, in qualità di comandante supremo delle forze alleate, dello sbarco nell'Africa settentrionale francese, di quello in Sicilia e della operazione Overlord (sbarco in Francia). Comandò le operazioni per la liberazione della Francia, del Belgio e dell'Olanda e per la conquista della Germania. Al termine del conflitto fu nominato capo d i stato maggiore dell'esercito; nel 1951 ebbe il comando supremo delle forze alleate della N.A.T.O.. Fu eletto presidente degli U.S.A. nel 1952 e rieletto nel 1956.
(16) William L. Shirer, Storia del terzo Reich. Giulio Einaudi editore, Torino, 1963, p. 1000. (17) Sto,;~ .nilitare della seconda guerra mondiale. Op, cit., P. 609.
(18) Ibidem, p. 581.
(19) Ibidem, p. 582. (20) Ibidem.
(21) Ibidem. (22) Ibidem.
(23) Ministero della Difesa. Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio Storico, Operazioni italo-tedesche ù1 Tunisia (11 novembre 1942- 13 maggio 1943). La I armata italiana in Tunisia. Relazione del maresciallo d'ltalia Giovanni Messe. Tipografia Regionale, Roma, 1950, p. 306. (24) La composizione delle forne da sbarco alleate per l'operazione Torch, indicata nella tabella n. 3, pp. 324-325, dell'opera citata Le battaglie decisive della seconda guerra mondiale, fu la seguente: - Headquarters Allied Expeditionary Forces (Gibilterra). - Comandante in capo alleato: ten. gen. Eisenhower (USA). - Comandante delle forze navali alleate: amm. Cunningham (Royal Navy). - Comandante delle for7_.e aeree occidentali: maggior generale Doolittle (USAF). - Comandante delle forze aeree orientali: maresciallo dell'aria Welsh (RAF). - Western Task Force (sbarchi sulla costa occidentale del Marocco, obiettivo principale Casablanca). Vice ammiraglio Hewht (USN), maggior generale Patton (USA): - Forze di terra: 3" divisione di fanteria USA, due terzi della 9" divisione di fanteria USA, 2a divisione corazzata USA, per complessivi 35 mila uomini e 250 carri armati.
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- Fon.e navali: 3 navi da battaglia, 7 incrociatori, 38 cacciatorpediniere, 8 dragamine, 3 posamine, 1 petroliera per idrov., 4 sommergibili, 23 trasporti truppe, 8 trasporti materiali, -' petroliere. - Fon.e aeree: 1 portaerei pesante e 4 di scorta, con 109 caccia, 26 aerosiluranti, 36 bombardieri in picchiata, nonché un carico di 76 caccia destinati all'USAF. - Center Task Force (sbarchi nel settore di Orano). Commodoro Troubridge (RN), maggiore generale Fredcndall (USA): - Forze di terra: 13 divisione di fanteria USA, metà della 1a divisione corazzata USA, con 39 mila uomini. - Forze navali: 1 nave comando, 2 incrociatori, 2 navi prote-.i:ione antiaerea, 13 cacciatorpediniere, 4 sloops, 6 corvette, 8 dragamine, 8 trawlers, 10 mot05C8fi, 2 sommergibili, 19 navi da sbarco, 28 trasporti materiali. - Forze aeree: 2 portaerei di scorta con 48 caccia e 9 aerosiluranti cd inoltre l'appoggio assicurato di Gibilterra dalla Western Air Force. - Eastern Task Force (sbarchi nel settore di Algeri). Vice Vice ammiraglio Burrough (RN), maggiore generale Ryder (USA): - Forze di terra: 34" divisione di fanteria USA, un ter.i:o della 9'- divisione di fanteria USA, metà della 1a. divisione corazzata USA, 78,. divisione di fanteria britannica, con 33 mila uomini. • Fnrze navali : 1 nave comando, l monitore, 3 incrociatori, 3 navi antiaeree, 13 cacciatorpediniere, 3 sloops, 6 corvette, 7 dragamine, 8 trawlers, 3 sonunergibili, 17 navi da sbarco, 16 trasporti materiali. - Fon.e aeree: 2 portaerei di scorta con cacca e aerosiluranti e inoltre appoggio da Gibilterra della Eastern Air Force. - Main Covering Force (copertura delle operazioni nel Mediterraneo). Vice ammiraglio Syfrct (RN): - Forze navali: 4 navi da battaglia, 3 incrociatori, 17 cacciatorpediniere, 1 corvetta, 4 trawlers, 4 petroliere. - Fon.e aeree: 3 portaerei con caccia, aerosiluranti, bombardieri in picchiata.
(25) Clark Mark Wayne (1896-1983), generale statunitense che durante la seconda guerra mondiale comandò la 5a. armata americana che sbarcò a Salerno 1'8 settembre 1943 e che entrò in Roma il 4 giugno del 1944. Nel dicembre del 1944 succedette al generale Alexander al comando del XV gruppo d'armate che operò in Italia. Nel 1945 fu alla testa dell'offensiva finale contro la Germania. Nel 1952-'53 comandò le forre americane in Estremo Oriente e le forre dell'O.N.U. in Corea. (26) Comando Supremo. Op. cit., p. 390. (27) Arnim, Jurgen von (1889-1962), generale tedesco, brillante comandante di unità corazzate sulla fronte russa. Nel dicembre del 1942 fu designato da Hitler al comando della 5a armata tedesca in Tunisia e successivamente, in sostituzione del maresciallo Rommel, al comando di tutte le truppe dell'Asse in Tunisia. Ottenne dagli Alleati, dopo circa 5 mesi di lotta, una resa onorevole. (28) La costituzione della testa di sbarco in Tunisia fu, come abbiamo annotato, un'operazione improvvisa, attuata senza un piano concordato tra l'Alto Comando tedesco ed il Comando Supremo italiano. L'operazione C 4 - occupazione della Tunisia - aveva preso una certa consistenza dopo la rinunzia all'operazione C 3 (occupazione di Malta), ma era stata prevista più come azione aeroterrestre partente dalla Libia che non come operazione aeronavale di sbarco. Sebbene il 4 ottobre Musso-
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lini, nel presiedere la riunione per il potenziamento delJe forze armate, avesse indicato lo scacchiere africano come il più importante perché costituito non più solo « dalla fronte egiziana ma dalla situazione della Tripolitania, ove occorrono forze per difenderla e per occupare la Tunisia, prima che le forze anglosassoni vi possano sbarcare » e sebbene il 21 ottobre avesse confermato che in caso di offensiva in Egitto il nemico avrebbe agito « su tutto il fronte, anzi in tutto lo scacchiere mediterraneo», lo sbarco anglo-americano colse di sorpresa sul piano organizzativo il Comando Supremo italiano anche perché era stata esclusa la possibilità di mettere in atto simultaneamente l'operazione C 2 (occupazione della Corsica) e l'operazione C 4 stante l'insufficienza dei mezzi di sbarco, dei trasporti e delle scorte aeree e navali. (29) Comando S11premo. Op, cit., p. 389. (.30) Ibidem, p. 390. (31) Ibidem, p. 429. (32) Ibidem, p. 389, p . .390 e p . .396. (.3.3) Ibidem, p. 424. (.34) Ibidem. (.3'.5) Ministero della Difesa. Stato Maggiore Esercito. Ufficio Storico, Il XXX corpo d'armata italiano in Tunisia. Roma, 1952, Tipografia Regionale. (35 bis) Vittorio Sogno (1885-1971 ), generale di corpo d'armata. Sottotenente del ge..,:o nel 1904, compì i corsi della scuola di applicazione di artiglieria e genio e, nel 1913, quelli della scuola di guerra. Prese parte alla l" guerra mondiale, e successivamente comandò l'J 1° reggimento genio dal 1928 al 1931. Capo del servizio informazioni militare del comando ciel corpo di stato maggiore dal 19.31 al 1934, comandante del genio ciel corpo d'armata di Firenze dal 19.34 al 19.36, vice comandante della divisione di fanteria Assietta dal maggio all'agosto del 19.36. Fu di nuovo comandante del genio del corpo d'armata territoriale di Fuenze dal 19.36 al 1937, poi comandò il III reparto del corpo di Stato Maggiore dal maggio al novembre 19.37. Comandante della divisione di fanteria Curtatone e Montanara (poi Friuli) dal 19.38 al 1940, durame la ia guerra mondiale comandò il VII e il XVII corpo d'armata. Comandò poi il XXX corpo d'armata durante la campagna di Tunisia. Dopo 1'8 settembre, fu comandante della 9" armata fino all'agosto del 1944, e quindi per un breve periodo presidente di sc:ssione del tribunale supremo militare per le terre liberate; presidente del tribunale supremo militare dal settembre 1944, fu collocato in congedo nel 1947. (.36) La 1• armata italiana in Tunisia assunse ufficialmente l'entità dell'A.C.I.T. il 5 febbraio 1943 e lo stesso giorno dette inizio alla sua attività bellica sul fronte Mareth-el Hamma, nel sud tunisino. Con il passaggio alle dipendenze dell'A.C.I.T. il 26 gennaio delle truppe deJla Tripolitania e del Sahara, il .30 gennaio delle truppe già dislocate in Tunisia a sud del .34° parallelo ed il 12 febbraio delle truppe a sud della linea Sfax-Gafsa, il maresciallo Rommel era venuto a disporre:
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Truppe italiane:
- XX corpo d'armata: truppe di corpo d'armata, divisione Giovani fascisti, divisione Trieste (in tutto: 12 battaglioni fucilieri, 119 pezzi controcarri , 16 mortai
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da 81, 113 pezzi da campagna, 16 pezzi di medio calibro, 15 pe.r..zi e.e. e da costa, 12 550 uomini); - XXI corpo d'armata: tr1.1ppe di corpo d'armata, divisione La Spezia, divisione Pistoia (in tutto: 15 battaglioni fucilieri, 3 battaglioni mitraglieri, 152 pezzi controcarri, 64 mortai da 81, 143 pezzi da campagna, 18 pezzi di medio calibro, 21 pezzi e.e. e da costa, 21250 uomini; - truppe d'armata: divisione Centauro (assegnata all'armata il 12 febbraio), raggruppamento Mannerini (comprendeva le forze della Tripolitania e del Sahara), raggruppamento Roncaglia (comprendeva le for-.:e precedentemente dislocate nel sud algerino), altre truppe varie, gruppo carri Nizza e gruppo carri Monferrato (in tutto: 10 battaglioni fucilieri, 6 battaglioni tniuaglieri - di cui 5 compagnie sahariane - , 140 pezzi controcarri, 26 mortai da 81, 48 pezzi da campagna, 70 pezzi e.e. e da costa, 14 carri armati efficienti - di cui 6 semoventi-, 30 carri armati inefficienti, 40 autoblindo, 16 000 uomini). II totale delle truppe italiane era di 37 battaglioni fucilieri, 9 battaglioni mitraglieri, 411 pezzi controcarri, 106 mortai da 81, 304 pezzi da campagna, 34 pezzi di medio calibro, 106 pezzi e.e. e da costa, 14 carri armati efficienti, 30 carri armati inefficienti, 40 autohlindo, 48 400 uomini. -
Truppe tedesche:
- 90" divisione leggera (passata poi aUe dipendenze del XX corpo d'armata): 6 battaglioni fucilieri, 29 pezzi controcarri, 1.3 pezzi da campagna, 3 pezzi di medio calibro, 5 600 uomini; - 164a divisione leggera (passata poi alle dipendenze del XXI corpo d'armata): 4 battaglioni fucilieri, 16 pezzi contrncarri, 5 pezzi da campagna, 4 300 uomini; - 15" divisione corazzata: 3 battaglioni fucilieri, 36 pezzi conuocarri, 14 pezzi da campagna, 9 pezzi di medio calibro, 66 carri armati efficienti, 6 200 uomini ; - P brigata Luftwaffe: 1 battaglione fucilieri rinforzato, 16 !>(!'ai controcarri, 5 pezzi e.e. e da costa; - 1° reggimento Granatieri d'Africa: 1 battaglione fucilieri rinforzato, 17 peui comrocarri, 2 pezzi da campagna, 1 200 uomini; - gruppi esploranti: 11 pezzi controcarri, 2 pezzi da campagna, 47 autoblindo, 1 050 uomini; - 19• divisione contraerei: 35 pezzi contraerei, 6 850 uomini; - altre truppe di corpo d'armata: 18 pezzi di medio calibro, 9 pezzi e.e. e da costa, 1 200 uomini. Il totale delle truppe tedesche era di 15 battaglioni fucilieri, 125 pezzi controcarri, 72 mortai da 120, 36 pezzi da campagna, 30 pezzi di medio calibro, 49 pezzi e.e. e da costa, 66 carri armati efficienti, 47 autoblindo, 27 950 uomini. Il totale complessivo delle for7..e della 1• armata era di 52 battaglioni fucilieri, 9 battaglioni mortai, 536 pezzi controcarri, l 78 mortai, 340 pezzi da campagna, 64 pezzi di medio calibro, 155 pezzi e.e. e da costa, 80 carri armati efficienti, 30 carri armati inefficienti, 87 autohlindo, 76 350 uomini. La responsabilità della fronte tenuta dell'AC.I.T. venne assunta dal generale Messe il 20 febbraio e le truppe dell'AC.I.T. entrarono a fare parte della l" armata, eccettuate temporaneamente le forze impegnate nell'a:;,:ione di Gafsa che rientrarono nella l3 armata ad azione ultimata. 11 23 fehbraio venne costituito il gruppo di armate, al comando del quale venne temporaneamente posto il maresciallo Rommel, che venne poi sostituito dal generale di armata von Arnim, comandante della 5" armata.
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(37) Il comando deJ XXX corpo d'armata fu alla dipenden7..a operativa del comando della 5• armata germanica. Giunse a Tunisi, dove l'avevano preceduto il comando e le unità della divisione Superga e altri reparti non facenti parte della Superga, tra il 19 dicembre ed il 14 gennaio. Comprendeva: - stato mag&riore, comando artiglieria, comando genio, comando di carabinieri reali, quartier generale, 2 sezioni miste carabinieri, 1 sezione motorizzata; - nucleo carabinieri di collegamento (Coletun) tra il Comando Supremo e il comando superiore germanico operante in Tunisia e fra questo e i comandi italiani in Tunisia. Ridusse la sua funzione a questo secondo compito, quale stato maggiore di collegamento fra il comando della 5a. armata germanica ed il comando del XXX corpo d'annata allorché venne costituito il comando gruppo di armate della Tunisia che, per il collegamento con il Comando Supremo italiano, dispose di altro Stato Maggiore di collegamento; - divisione di fanteria Superga - giunse in Tunisia tra il 19 novembre ed il 15 dicembre - : fu alle dipenden:.:e operative del XC corpo d'armata tedesco fino all'8 dicembre 1942, quindi del comando della 5• armata corazzata germanica fino al 14 mari.O 1943, poi del comando del XXX corpo d'annata italiano fino all'll aprile 1943, da ultimo del comando del corpo d'armata te<lesco d'Africa. Comprendeva: - stato maggiore, com:indo della fanteria, quartier generale, 2 sezioni miste carabinieri reali; - reggimen~o marinai S. Marco su 1 comando e 2 battaglioni (Ba/ile e Grado); - 91° reggimento fanteria Superga su 1 comando, 3 battaglioni, 1 battaglione complementi; - 92" reggimento fanteria Superga su 1 comando, 3 battaglioni, 1 battaglione complementi; - battaglione mortai divisionale Superga; - battaglione controcarri divisionale Superga; - CI battaglione controcarro Boehter (dal 19 novembre alle dipendenze del comando divisione Superga); · CXXX battaglione controcarro (solo una compagnia) in rinforw; • CXXXVI battaglione controcarro (in rinforzo); - DLXX coorte M.V.S.N.; - raggruppamento d'assalto T; - reggimento volontari tunisini su 3 battaglioni; - 5° reggimento artiglieria divisionale S11perga (2 gruppi da 75/18, 3 batterie da 20 contraerei); - LXV gruppo obici da 100/17; - CI battaglione misto del genio su 2 compagnie; - II battaglione lanciafiamme; - I plotone nebbiogeni; - servizi: 1 sezione sanità, 1 nucleo chirurgico, 1 ambulanza radiologica, 1 ambulanza odontoiatrica, 4 ospedali da campo, 1 sezione sussistenza, 1 squadra panettieri, 1 gruppo mototricicli, I autosezionc pesante e 1 squadra carburanti, 1 ufficio posta militare; - L brigata speciale: 2 compagnie bersaglieri motociclisti; ga compagnia di formazione dell'So bersaglieri; XV battaglione carri armati M. 41 ; LX battaglione mitraglieri, V battaglione camicie nere; raggruppamento corazzato RECO Lodi; gruppo di squadroni appiedato Aosta; 5 battaglioni mitraglieri; 69a. batteria da posizione (75/27);
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DLVII gruppo cannoni semoventi da 75; una compagnia mista del genio; sezione di sanità; sezione di sussistenza; 1 ufficio posta militare; -
-
12" compagnia del XVII battaglione cani amati M. 41; 29" raggruppamento artiglieria di corpo d'armata (3 gruppi da 105/32); 3° reggimento artiglieria contraerei (2 gruppi da 75/46 e 1 gruppo da 90/53 ); 2 batterie da 20 contraerei; LXXI gruppo da 75/46 da posizione su 2 batterie; LXXVIII gruppo da 75/46 da posizione su 3 batterie; 288& batteria da 20 contraerei da posizione; X gruppo M.A.C.A. da posizione; 400 raggruppamento artiglieria contraeei e 41° raggruppamento artiglieria
costiera; - un battagli;ne artieri del genio; - un battaglione collegamenti del genio; - 2 compagnie nebbiogeni; - ufficio posta militare.
Per la direzione dei servizi il comando del XXX corpo d'armata inviò, il 19 novembre, in Tunisia il proprio ufficio servizi che fu l'embrione per la costituzione dell'intendenza della Tunisia, iniziatasi a Tunisi il 23 dcembre 1942 e completata alla metà del gennaio 1943. Con lo schieramento della l" armata sulla linea del Mareth e lo scioglimento del comando superiore delle forze armate in Libia, dal 18 febbraio 1943, l'Intendenza della Tunisia estese le sue funzioni anche ai servizi per la 1,. armata e costitul 2 delegazioni d'intendenza, una per il XXX corpo d'armata e una per la 1a armata. L'intenden7,a fu costituita da 1 stato maggiore, 1 direzione di sanità, 1 direzione di commissariato, 1 direzione di automobilismo, 1 direzione di amministrazione, 1 direzione dei trasporti, 1 drezione delle tappe, 1 comando dei carabinieri. I principali organi esecutivi furono: 3 sezioni carabinieri, il CXXIII autogruppo pesante su 5 autoreparti pesanti e 2 autofficine mobili, 1 parco automobilistico, 3 compagnie speciali d'Intendenza, 2 battaglioni territoriali, 1 base secondaria, 1 ufficio imbarchi e sbarchi, 1 ufficio aviotrasporti, 1 tappa principale, 2 comandi di tapp<t. (38) Comando Supremo. Op. cit., p. 403. (39) Ibidem, p. 400.
(40} Ibidem, p. 399. (41) Il XXX corpo d'armata italiano in Tunisia. Op. cit., p. 29. (42) Ibidem, p. 54. (43) Ibidem, p. 55. (44) L'invio e l'afflusso delle forale in Tunisia, sia dall'Italia sia dalla Lihia, avvennero d'altra parte a spizzico. Precedettero la Superga:
- il 100 reggimento bersaglieri su 3 battaglioni fucilieri (ciascuno su 3 compagnie e 1 plotone comando di battaglione), 1 battaglione di accompagnamento (1 compagnia mitragliatori, 1 compagnia mortai, 1 compagnia cannoni-mitragliera e.a. da .20), 1 compagnia motociclisti (1 plotone comando, 3 plotoni mitragliatori, 1 plotone mitraglieri).
CAP. XXXVII - OPEJtAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE TERZA)
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In totale 54 fucili mitraglatori, 30 mitragliatrici, 9 mortai da 81, 18 cannoni da 47 /32, 8 cannoni mitragliera da 20, 18 fuciloni e.e.; - il CXXXVI battaglione controcarro su 2 compagnie semoventi armate con cannone da 47 /32 ed 1 compagnia con 8 fuciloni da 20 e.e.; - il CI battaglione controcarro su 3 compagnie semoventi Boehler, armate con cannone da 47/ 32;
- il DLVII gruppo semoventi da 75/18 appartenente al 131° artiglieria delJa divisione corazzata Centauro. Contemporaneamente al trasporto di dette unità ed ai primi movimenti della Superga il Comando Supremo decise la costituzione della L brigata speciale destinata ad operare nella Tunisia meridionale (Sfax) che avrebbe dovuto essere cosi formlta: comando (gen. Imperiali), 1 sezione carabinieri, 1 compagnia motociclisti (provvisoriamente tolta al 1()0 bersaglieri; alla fine di novembre, fu sostituita con la lQ& bis), il raggruppamento esplorante corazzato Lodi (squadrone comando, 2 squadroni motociclisti, 1 squadrone autoblindo, 1 squadrone contraerei da 20, 1 squadrone controcarri con semoventi da 47 (giunto verso la fine di febbraio}, il XV battaglione carri armati M 41 , 1 gruppo di batterie motorizzate da 75/18 (che non venne mai assegnato}, 1 gruppo di batterie semoventi da 75 (poi destinato il DLVII gruppo), 1 compagnia mista del genio (fu poi destinata quella della Lillorio), 1 sezione sanità, 1 sezione sussistenza, 1 autoreparto con autofficina, 1 squadra carbur:inti. La formazione della brigata ebbe, invece, luogo a spiz.zico, utilizx.ando altre unità già sbarcate e già impiegate nella Tunisia settentrionale e sottraendo unità alla Superga ed alla difesa territoriale della Libia occidentale (l" e 2~ compagnia mitraglieri G.a.F ., V battaglione camicie nere, LX battaglione mitraglieri , VI gruppo squadroni Aosta). La brigata ebbe la difesa di un settore ed assunse una fisionomia complessiva assai diversa da quella di unità mobile divisata inizialmente. Il DLVII gruppo semoventi vi giunse dopo gravi perdite subite nella Tunisia settentrionale dove era stato impiegato alle dipendenze di comandi tedeschi. Il -
30 novembre 1942 della Superga erano giunti in Tunisia:
il comando della divisione, il quartier generale, il comando fanteria divisionale; due battaglioni del 91° fanteria; tre battaglioni del 920 fanteria ; il 100 reggimento bersaglieri; il comando, 1 gruppo e 2 batterie da 20 del 5° artiglieria; il CI battaglione cannoni da 47 Boclher; il CXXXVI battaglione controcarri ; una compagnia marconisti; una sezione di sanità; - 2 ospedali da campo; - una sezione sussistenza; - un gruppo mototricicli. Veds., Il XXX corpo d'armata italiano in Tunisia. Op. cit., pp. 18-20 e allegati n. 1 e n. 3. Vi fu, dunque, stante l'affrettato e non preordinato avviamento, anche una grande difficoltà obiettiva di rispettare i vincoli organici. Ciò non toglie che si creasse una grave crisi giacché le unità sbarcate vennero impiegate senza che fosse stato loro concesso il tempo occorrente alla ricostituzione e secondo le esigenz.e operative impellenti senza riguardo, da parte germanica responsabile dell'impiego, delle necessità
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obiettive delle truppe italiane. Queste vennero impiegate subito, a mano a mano che giungevano e nelle condizioni nelle quali erano state trasportate: le unità vennero spezzettate e disperse nel vasto scacchiere operativo, frammischiate a quelle germaniche e separate dai rispettivi servizi, con la conseguenza di una prematura usura. In novembre, benché non si fossero verificati combattimenti di rilievo, le perdite (morti, feriti, dispersi) subite furono di 17 ufficiali, 336 sottufficiali e truppa e 192 sottufficiali e truppa ricoverati in luogo di cura. (45) Per la partecipazione delle unità italiane ai combattimenti preliminari svolt1s1 nella prima fase e per i cambi di settore, dei limiti delle giurisdizioni , delle dipendenze, ecc. vedasi la già citata pubblicazione, Il XXX corpo d'armata italiano in Tunisia da p. 29 a p. 47 e da p . 82 a p. 120, nonché gli allegati dal n. 4 al n. 28. (46) La 1° armata italiana in Tunisia. Op. cit., p. 10 e 11 e allegati n. 1 e 2. (47) La nuova linea fu cosl definita: Hir cl Kamiri (20 Km a nord-est di Sfax) - Mezwuna-Meich-Sened - q. 45 ( 16 Km a nord di Gafsa) - passaggio sul fiume a 2 Km a sud di Hir Barouka - corso del fiume verso nord-ovest (la Centauro e gli altri elementi schierati in posto passavano alle dipendenze dell'A.C.I.T.). (48) Il Comando truppe Mareth (generale De Stefanis), già incaricato dai primi cli gennaio dell'organizzazione della linea del Mareth e del comandn delle truppe ivi affluite prima dell'A.C.I.T., aveva rimesso le sue attribuzioni in data 30 gennaio al maresciallo Rommel ed era stato sciolto. Il Superlibia aveva cessato il suo funzionamento il 31 gennaio. In seno al Superlibia prima, successivamente ab latere del comando delle truppe del Mareth e del comando dell'A.C.f.T. si era costituito, con personale e mezzi tratti in massima parte da Superlibia, il comando della 1a armata. Le intendenze Libia e Tunisia erano state sciolte e sostituite dall'intendenza Africa con due delegazioni (una per la Ja ed una per la 5" armata). Marilibia venne sciolto e sostituito da Mariafrica con funzioni analoghe a quelle dell'iniziale comando militare marittimo italiano in Tunisia. L'aeronautica conservò invariati ordinamenti e compiti; rimase cioè in funzione la V squadra aerea che distaccò nella Tunisia meridionale un comando di settore aereo per la diretta cooperazione con l'A.C.l.T. (1• armata). AJl'A.C.I.T. fu affidato il 27 gennaio il compito di resistenza ad oltranza sulle posizioni del Mareth con le forze di cui già disponeva, esclusa la 21• divisione corazzata tedesca che nella seconda decade di gennaio venne trasferita alle dipende1Ue della 5• armata (Veds., La 1• armata italiana in Tunisia. Op. cit., allegato n. 3). (49) Storia militare della seconda guerra mondiale Op. cit., p. 571. (50) Ibidem. (51) Ibidem.
(52) Ibidem, p. 572. (53) Ibidem, p. 575. (54) Ibidem, p. 577. (55) Ibidem, p. 579. (56) Ibidem. (57) Ibidem, p. 580.
CAP. XXXVIT - OPF.RAZIONI lTAl.O·TEDESCHE ( PARTE TERZA)
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(58) La prima armata italiana in Tunisia. Op. cit., p. 61 e allegato n. 10. (59) L 'ordinamento delle forze nemiche era il seguente:
- comandante in capo delle forze alleate: generale Eisenhower; - comandante delle forze terrestri alleate (XVIl I gruppo di armate): generale Alexander; - comandante della flotta del Me<literraneo: arnmiaglio Cunningharn; - comandante dell'aeronautica alleata: maresciallo <lell'aria Ted<ler; - comandante in capo delle forze francesi: generale Giraud; - 1a armata britannica (generale Anderson):
· V corpo d'armata e VT corpo d'armata; - 46a, 56\ 78\ 81 • divisioni di fanteria; - 6.. e 11" (in affluenza) divisioni corazzate; - XXVI brigata corazzata britannica (operante con la 1a divisione corazza ta statunitense); - Army Tank Rey,iment britannico (operante col XIX corpo d'armata francese); · reggimento paracadutisti britannico; - 83 armata britannica (generale Montgomery): - X e XXX corpi d'armata britannici; - 44\ 50" e 51" divisioni cli fanteria htitanniche; · 1• divisione sud-africana, 9" divisione australiana, 4' divisione indiana, 2• divisione neozelandese; 1", 7.. e 10' divisioni corazza te britanniche; brigata guardie; gruppo autonomo del deserto (Long Range Desert's Group ); - distaccamenti greco e polacco;
-
II corpo d'armata statunitense (generale Patton ): l', 9• e 34" divisioni di fanteria statunitensi; - l .. divisione corazzata statunitense; reggimento paracadutisti statunitense; 3.. divisione di fanteria statunitense (in affluen7.a); 2• divisione corazzata statunitense (in affluenza);
-
distaccamento d'armata francese (generale Juin): · XIX corpo d'armata francese; - divisione di marcia Costantina, divisione di marcia algerina, divisione di marcia marocchina, divisione francese di Tunisia (operante con la 1a armata inglese); - corpo leggero <l'Africa francese (operante con la P armata inglese all'ala settentrionale dello schieramento); - brigata Koenig (operante con l'Sa armata britannica); - brigata Ledere (operante con 1'8• armata britannica); - divisione corazzata in costituzione (assegnata poi al XIX corpo d'armata); - P· divisione libera francese in costituzione (asse~nata poi al1'8• armata britannica). (60) La l " armata italiana in Tunisia. Op. cit., p. 103.
(61) Ibidem, p. 80 e seguenti. Il rapporto numerico delle forze tra 1• armata italiana ed 8• armata britannica, all'inizio della battaglia di Marcth-el Hamma, era: divisioni <li fanteria 7 contro 4,
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obiettive delle truppe italiane. Queste vennero impiegate subito, a mano a mano che giungevano e nelle condizioni nelle quali erano state trasportate: le unità vennero spezzettate e disperse nel vasto scacchiere operativo, frammischiate a quelle germaniche e separate dai rispettivi servizi, con la conseguenza di una prematura usura. In novembre, benché non si fossero verificati combattimenti di rilievo, le perdite {morti, feriti, dispersi) subite furono di 17 ufficiali, 336 sottufficiali e tru!Jpa e 192 sottufficiali e truppa ricoverati in luogo di cura. (45) Per la partecipa.'..ione delle unità italiane ai combattimenti preliminari svolt1s1 nella prima fase e per i cambi di settore, dei limiti delle giurisdizioni, delle dipendenze, ecc. vedasi la già citata pubblic:v.ione, Jl XXX corpo d'armata italiano in Tunisia da p. 29 a p. 47 e <la p. 82 a p. 120, nonché gli allegati dal n. 4 al n . 28.
(46) La 1n armata italiana in Tunisia. Op. cit. , p. 10 e 11 e allegati n. 1 e 2. (47) La nuova linea fu cosl definita: Hir el Kamiri (20 Km a nord-est di Sfax) Mezzouna-Meich-Sene<l - q. 45 ( 16 Km a nord di Gafsa) - passaggio sul fiume a 2 Km a sud di Hir Barouka - corso del fiume verso nord-ovest (la Centauro e gli altri elementi schierati in posto passavano alle dipendenze dell'A.C./.T.).
(48) Il Comando truppe Mareth (generale Dc Stefanis), già incaricato dai !J!lllll di gennaio dell'organizzazione della linea del Mareth e del comando delle truppe ivi affluite prima dell'A.C.T.T., aveva rimesso le sue attribuzioni in data 30 gennaio al maresciallo Rommel ed era stato sciolto. Il Superlibia aveva cessato il suo funzionamento il 31 gennaio. In seno al Superlibia prima, successivamente ab latere del comando delle truppe del Mareth e del comando dell'A.C.I.T. si era costituito, con personale e mezzi tratti in massima parte da Superlibia, il comando della 1a armata. Le intendenze Libia e Tunisia erano state sciolte e sostituite dall'intendenza Africa con due delegazioni (una per la l" ed una per la 5" armata). Marilibia venne sciolto e sostituito da Mariafrica con funzioni analoghe a quelle dell'iniziale comando militare marittimo italiano in Tunisia. L'aeronautica conservò invariati ordinamenti e compiti; rimase cioè in funzione la V squadra aerea che distaccò nella Tunisia meridionale un comando di settore aereo per la diretta cooperazione con l'A.C.I.T. (1• armata). All'A.C.I.T. fu affidato il 27 gennaio il compito di resistenza ad oltranza sulle posizioni del Mareth con le forze di cui già disponeva, esclusa la 21 .. divisione ooraz7.ata tedesca che nella seconda decade di gennaio venne trasferita alle dipendente della 5a armata (Veds., La 1• armata italiana in Tunisia. Op. cit., allegato n. 3). ( 49) Storia militare della seconda guerra mondiale Op. cit., P. .571. (50) Ibidem. (51) Ibidem.
(52) Ibidem, p. 572. (53) Ibidem, p. 575.
(54) Ibidem, p. 577. (55) Ibidem, p. 579.
(56) Ibidem. (57) Ibidem, p. 580.
CA!'. XXXVJI - OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE ( PARTE TERZA)
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(58) La prima armata italiana in Tunisia. Op. cit., p. 61 e allegato n. 10. (59) L 'ordinamento delle forze nemiche era il seguente: - comandante in capo delle forze alleate: generale Eisenhower; - comandante delle forze terrestri alleate (XVIII gruppo di armate): generale Alexander; - comandante della flotta del Mediterraneo: ammiaglio Cunningham; - comandante dell'aeronautica alleata: maresciallo dell'aria Te<lder; - comandante in capo delle forze francesi: generale Giraud; - l3 armata britannica {generale Anderson ):
..
- V corpo d'armata e VI corpo d 'armata; 46\ 56\ 78\ 81 3 <livisioni <li fanteria ; - 6• e 11" (in affluenrn) divisioni corazzate; - XXVI brigata corazzata britannica (operante con la 1• divisione corazzata statunitense); - Army Tank Regiment britannico (operante col XIX corpo d'armata francese); - reggimento paracadutisti britannico; - S• armata britannica (generale Montgomery): - X e XXX corpi d 'armata britannici; - 44". 50a e 51• divisioni di fanteria britanniche; - 1• divisione sud-afri,ana, 9~ divisione australiana, 4' divisione indiana, 2• divisione neozelandese; l', 7" e 10• divisioni corazzate britanniche; - brigata guardie; gruppo autonomo del deserto (LonJ!. Ran!!,e Desert's Group); <listaccamenti greco e polacco; - II corpo d 'armata statunitense (generale Patton ): P, 9• e 34a <livisioni di fanteria statunitensi; 1• divisione corazzata statunitense; - reggimento paracadutisti statunitense; 3• divisione di fanteria statunitense (in affluenza); 2• divisione corazzata statunitense (in affluenza); - distaccamento d 'armata francese (generale Juin): - XIX corpo d'armata francese; - divisione di marcia Costantina, divisione di marcia algerina, divisione di marcia marocchina, divisione francese · di Tunisia (operante con la 1a armata inglese); - corpo leggero d'Africa francese (operante con la 1"· armata inglese all'ala settentrionale d ello schieramento); brigara Koenig (operante con I'8a armata britannica); - brigata Ledere (operante con 1'8& armata britannica); - divisione corw..zata in costituzione (assegnata poi al XIX corpo d 'armata); - ] .. divisione libera francese in costituzione (asse,,<>nata poi all'Sa armata britannica). (60) La 1"' armata italiana in Tunisia. Op. cit., p. 103.
(61) Ibidem, p. 80 e seguenti. Il rapporto numerico delle forze tra P armata italiana ed ga armata britannica, all'inizio della battaglia di Mareth-el Hamma, era : divisioni di fanteria 7 contro 4,
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battaglioni di fanteria 45 contro 34, unità autonome di fanteria 3 contro 3 (10 battaglioni contro 9), divisioni corazzate 2 (compresa la 21") contro 3 (battaglioni 6 contro 12), unità autonome carri armati O contro 3 (3 battaglioni), altre forze 2 contro 12 (battaglioni), pezzi controcarro 683 (compresi i 65/17) contro 968, pezzi di artiglieria 580 contro 706, pezzi contraerei e di difesa costiera 100 contro numero imprecisato, autoblindo 66 contro 192, carri armati 94 contro 620, mortai 341 contro 200. In totale: grandi unità 14 contro 13, battaglioni 63 contro 70, pezzi controcarro 683 contro 968, pezzi di artiglieria 580 contro 706, autoblindo 66 contro 192, carri armati 94 contro 620, mortai 341 contro 200. In sintesi, si rileva che 1'8"' armata presentava rispetto alla P armata: - una leggera superiorità numerica dei battaglioni di fanteria; la superiorità era più sensibile nel numero degli uomini; - una netta superiorità numerica delle artiglierie e dei pezzi controcarro, resa più grave dalla notevole superiorità del materiale inglese rispetto a quello italiano; - una netta inferiorità numerica dei mortai, fattore <li una certa importanza dato il tipo di guerra che s'iniziava; - una decisa e schiacciante superiorità in mezzi corazzati (carri e autoblindo), la cui influen~a trascende il fronte in esame per interessare quello dell'intero fronte tunisino. Sono da mettere in evidenza: - il rapporto pressoché cli equilibrio della fanteria (che costitul la caratteristica più sfavorevole per 1'8& armata stante la morfologia del terreno); - l'enorme squilibrio dei mezzi corazzati (minacca essenziale per la l" armata perché, se messi in condizioni di dilagare, la situazione della 1a armata sarebbe stata definitivamente compromessa); - la diversità delle strutture delle divisioni di fanteria e delle divisioni corazzate: - divisione di fanteria inglese: elemento costitutivo fondamentale il gruppo di brigate di fanteria (divisione binaria: 2 gruppi di brigate; divisione ternaria: 3 gruppi di brigate); elemento di rinforzo normale il gruppo di brigata corazzato (massa d'urto); alta percentuale di armi pesanti collettive e di artiglieria rispetto al numero totale degli uomini; armamento individuale moderno (moschetto automatico); servizi divisionali notevolmente alleggeriti e decentrati in gran parte al gruppo di brigate; - divisione di fanteria tedesca, asSili leggera, segue lo schema classico <ldla divisione, si avvicina peraltro a quella inglese per l'alta percentuale di armi pesanti rispetto agli uomini e per la capacità cli manovrare e combattere in movimento; - divisione di fanteria italiana: armata con materiale inadatto alla guerra moderna (fucile o moschetto 91, fucile mitragliatore, mortaio da 45, fucili e pezzi controcarri); artiglierie scarse, antiquate, di scarsa efficacia o poco mobili; limitatissimo numero di automezzi; poche armi pesanti, sia in senso assoluto sia in senso relaLivo, rispetto al numero degli uomini, il cui impiego pertanto risulta eccessivo e sproporzionato allo scopo; non possiede nessuna attrezzatura né possibilità per combattere in movimento (fatale sotto questo aspetto la caratteristica negativa di tutti i mezzi radio impiegabili solo in stazione); servizi accentrati, il che obbliga a trasferirne la manovra all'indietro e conferire al sistema logistico carattere di pesantezza, _di faticosa ricerca della tempestività e si risolve in definitiva in una pressoché nulla capacità di manovra; - divisione cora7.zata inglese, strutturata in gruppi di brigata corazzati e motorizzati. Le unità carri di appoggio per fanteria erano dotate in prevalenza degli
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Army Tanks da 20-25 t, armati con calibro 40 mm. Le loro possibilità erano aumentate con l'adozione del carro Scorpion adatto ad aprire varchi nei campi minati. Nel settore settentrionale tunisino fece la sua apparizione il carro appoggio fanteria Churchill di circa 40 t, armato di cannone da 57. Le unità corazzate leggere erano dotate di carri da 15-18 t, veloci, a corazza sottile, con calibro da 44 mm. La divisione corazzata disponeva di carri americani da 28-30 t (Mark Grant e Mark Shermann 4), con velocità elevata, di qualità meccaniche ottime, con calibro da 75 lungo; - divisione corazzata tedesca era armata molto variamente. I carri tedeschi Mark IV e Mark III erano di alte qualità meccaniche e tecniche, erano armati con calibro 75 m/m corto o lungo; - divisione corazzata italiana era dotata di tipi di carro M 13 e M 14, leggeri, a sc-,1rsa corazzatura, poco veloci, di qualità meccaniche mediocri, armati di pe-ao da 47. Felice ripiego costitul nel 1942 l'impiego del semovente da 75/18 su scafo del carro _M, senza . torretta; - lo squilibrio a favore dell'8" armata nel campo dell'artiglieria, reso maggiore di quanto non appaia dalle cifre. Le artiglierie italiane, che costituivano la massa, erano, eccettuate poche bocche moderne, antiquate e di qualità balistiche e meccaniche inferiori a quelle dell'8~ armata, talché gittata, celerità di tiro, maneggevolezza, manovrabilità ne risultavano assai limitate in contrapposto alle artiglierie inglesi e tedesche, modernissime, estrC'mamenle mobili, di elevata gittata. A ciò si aggiungeva il deficiente munizionamento (comune anche alle bocche da fuoco tedesche) contro l'inesauribilità di quello anglo-americano; - lo squilibrio numerico dei pezzi controcarro era più marcato per la diversità qualitativa: dominavano il campo i Pak da 75 e gli 88 tedeschi; seguivano i 75 ed i 57 (6 poumlers) inglesi, buoni erano ancora i 50/35 tedeschi (poco efficaci contro i carri pesanti); chiudeva la serie il 47 italiano: mancanza di scudo, impossibilità di traino, gittata e calibro insufficienti. « Considerazioni analoghe possono farsi nel campo aeronautico. Benché l'aviazione inglese abbia rappresentato un ruolo assai limitato nella battaglia del Mareth, pur tuttavia la sua schiacciante superiorità di giorno e di notte era troppo evidente per non influire sulla situazione e sugli animi. In contrapposto grande deficienza di aviazione da parte dell'Asse, che si aggravò ancora rapidamente durante la battaglia. Praticamente ridotto a zero il bombardamento, a poca cosa la caccia e i caccia bombardieri. Teoricamente erano previste azioni di bombardamento, prevalentemente notturne, partenti dalle basi europee della Sicilia e di Creta: praticamente questo • concorso fu irrilevante ». (62) La prima armata italiana in Tunisia. Op. cit., p. 103. (63) Ibidem, allegati nn. 4, 5, 7, 9, 11, 13, p. 94 e 95. (64) Ibidem, pp. 38, 40, 41, 52, 74, 88, 89, 94. (65) Ibidem, pp. 121, 126, 130, 135 e allegati n. 16 e 22. (66) Ibidem, pp. 59, 60, 62, 69, 71, 72, 73, 128, 129. (67) Ibidem, p. 155.
(68) Comando Supremo. Op. cit., p. 390. (69) Ibidem, p. 411.
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(70) La prima armata italiana zn Tunisia. Op. cit., allegato n. 11. (71) Ibidem, p. 73. (72) Ibidem, allegato n. 12. (73) Ibidem, pp. 160-161. (74) Ibidem, pp. 153-155 e pp. 163-165. La relazione della prima armata riepiloga le perdite: - reparti italiani: divisione Giovani fascisti: 2 battaglioni bersaglieri (X e V); divisione Trieste: una compagnia; divisione La Spezia: il comando e 2 battaglioni (I e II) del 125° fanteria; divisione Pistoia: 5 compagnie e 5 batterie; raggruppamento sahariano: battaglione Savona, battaglione G. a F., gruppo Novara, VI battaglione camicie nere, 1 compagnia controcarri, 1 compagnia mortai da 81, 2 compagnie sahariane, 16 batterie (nella massima parte da posizione); in totale: 11 battaglioni e 21 batterie; - reparti tedeschi: 1 battaglione Granatieri d'Africa, 2 battaglioni della 164", altre forze pari a 2 battaglioni, 10 batterie, 20 carri armati dclla 15\ 20 carri armati della 21"'; in totale: 16 battaglioni, 31 batterie, 60 carri armati. Furono sciolti i gruppi Borowietz e Liebenstein; la 164" assunse il settore assegnatole dal XXI corpo d'armata; la 15" e la 21", 4 battaglioni della 90', il battaglione Luftwaffe passarano in riserva d'armata; il battaglione Granatieri d'Africa venne inviato nel settore della Centauro; un battaglione della 9()a passò a disposizione del comando gruppo armate; i carri della 15" e della 21a. furono riuniti, per ordine del comando gruppo armate, nella zona di la Skirra per riordinarsi. Furono sottratti all'armata: il battaglione Granatieri d'Africa inviato nel settore Centauro, il battaglione Luftwaffe ed il I battaglione della 90" che passarono alle dipendenze del comando del gruppo armate e, successivamente, 8 batterie e tutta la 21.. che affluirono nel settore della Centauro. In totale lo schieramento sulla linea Akarit-Chotts presentò rispetto a quello sulla linea di Mareth una diminuzione di 22 battaglioni e 39 batterie, comprese naturalmente le perdite subite. Gli inglesi persero 150-200 carri armati, il 30 % della massa attaccante. La XXIII brigata corazzata scomparve definitivamente dalla campagna di Tunisia; l'intera 5()a divisione e la brigata Guardie vennero ritirate dalla lotta e non entrarono mai più in combattimento contro la l" armata, la 51" divisione subl anch'essa perdite elevate che non le impedirono però di attaccare ancora gli Chotts; le fanterie attaccanti ad el Hamma subirono anch'esse perdite fortissime. (75) La prima armata italiana in Tunisia. Op. cit., p. 166. (76) Ibidem, pp. 161-162. (77) Ibidem, allegato n. 23. (78) Ibidem, p. 167. (79) Ibidem, p. 167 e allegato n. 25. (80) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 592. (81) Ibidem, p. 594.
CAP. XXXVII • OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE TERZA)
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(82} La prima armata italiana in Tunisia. Op. cit., allegato n. 26. (83} Ibidem, p. 180. (84} Ibidem, pp. 188-191 e allegato n. 27. (85} Ibidem, allegato n. 26. (86) Ibidem, pp. 183, 184, 185, 186. (87) Ibidem, allegato n. 28. (88) La situazione della 1a armata, alle ultime luci del 6 aprile, venne così nassunta dal generale Messe (Ibidem, p. 423}: da occidente ad oriente: raggruppamento sahariano non impegnato con un battaglione in spostamento verso il settore della Pistoia; 164"' divisione tedesca (tre battaglioni, una batteria) aveva iniziato il movimento verso il settore della La Spezia; divisione Pistoia impegnata su tutto il proprio settore, ma in saldo possesso delle sue posizioni sia pure a prezzo di sensibili perdite; divisione La Spezia ha subito gravissime perdite: suoi nuclei attorno ad alcune sue batterie si difendevano accanitamente contro for:.:e preponderanti che premevano da ogni lato; divisione 1'rieste fortemente logorata nei combattimenti della giornata durante i quali, però, con il concorso della 15" cor~ata, era riuscita a ricacciare oltre il fosso controcarri le truppe nemiche; 90" divisione, rimasta con due battaglioni in linea non premuti, aveva impegnato i reggimenti 361° e 20()<> (complessivamente 4 battaglioni) nei contrattacchi della giornata rispettivamente sul fronte della Pistoia e su quello della La Spezia (gebel Roumana); divisione Giovani fascisti in linea non premuta: due battaglioni, però, erano stati sottratti per spostarli nel settore della Trieste; 15" divisione corazzata, ultimato il contrattacco nel settore della Trieste, aveva raccolto anche i 40 carri della 21"' dopo che questi, messi a disposizione della armata, avevano tentato un contrattacco infruttuoso nel settore della LA Spezia.
(89) Ibidem, p. 180 e 181. (90) Ordine di operazione della 1"' armata: 1° Comando gruppo armate ha ordinato al comando M"mata di sganciarsi questa notte da attuali posizioni e ripiegare per occupare linea: estremo nord-est Sebket en Noual-la Skirra. Zo Tale linea deve esere mantenuta fino nuovo ordine. 3° Limite fra i corpi d'armata: meridiano passante 2 Km est q. 113. 4° I corpi d'armata assumeranno il seguente schieramento a cominciare dalla destra: XXI corpo d'armata (Pistoia e gruppo Mannerini; 164a); XX corpo d 'armata (15~ e 90"}. 5" La divisione Giovani fascisti ripiega nella wna della sebka el Djem a cavallo della strada. 6° I resti della La Spezia e della Trieste ripiegano sulla linea di Enfidaville. 7° Artiglierie: divisionali e di corpo d'armata sulla linea della Sirka; di armata tedesche: sulla linea della Skirra; di armata italiane: sulla linea di Enfidavillc. 8° Il ripiegamento dovrà essere protetto dalla 15a e dai gruppi esploranti. 9" Il genio, da ordini già ricevuti, effettuerà la interruzioni già prescritte. Il XX corpo d'armata è responsabile del brillamento. 100 Stretto collegamento fra i due corpi d'armata (Ibidem, p. 181). Ordine di operazione del comando del gruppo armte: « La 1" armata italiana lascia delle retroguardie mobili davanti al nemico e inizia all'imbrunire il movimento per raggiungere la linea a 4 Km sud-est q. 715 fino a q. 710 (cioè la linea fra l'estremo nord-est della sebka di en Boual e la Skirra). Nuovo schieramento: dalla costa fino alla grande strada costiera esclusa: la Giovani fascisti; a cavallo della grande costiera:
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la 90&; segue fino at alture attuale comando tattico del capo di stato maggiore tedesco (cioè alture subito a nord-ovest di Souani) la 164.,; resti delle divisioni italiane riuniti e impiegati at ovest dalla 164"; D.A.K. a chiusura dei varchi a cavallo q. 717 (cioè della wna a nord-ovest della sebka di en Noual); 15• a protezione del ripiegamento e come ultimo reparto organico disposta quale riserva in zona fra q. 706 e q. 712 (cioè nella zona a sud della sebka la Skirra). Le retroguardie ripieghino sulla nuova linea sotto la pressione del nemico. Si comunichi disolcazione assunta a mezzo del capo di stato maggiore tedesco ». (Ibidem, p. 182).
(91) Ibidem, p. 212. (92) Nel mese di aprile giunsero dall'Italia il seguente personale a materiale italiano: per l'esercito: L battaglione bersaglieri (quasi completo), LI battaglione bersaglieri (1 compagnia circa), 58 autocarri, 13 autoblindo per il RECO Lodi, 196 mitragliere da 20, 23 pezzi da 47, 13 pezzi pesanti campali, 6 pezzi medio campali, 5 606 700 cartucce per armi portatili, 103 100 bombe a mano, 73 000 bombe da mortaio, 297 300 colpi da 20, 102 200 colpi da 47, 175 800 colpi pesanti campali, 41000 colpi medio campali, 47 500 colpi contraerei, 4 241 t di carburanti, 100 t di lubrificanti, 1 005 t materiali genio; per l'aeronautica: 186 t di carburante, 153 t di materiale vario; per la marina: 284 t di materiale vario; per tutte le for.i:e tedesche della Tunisia: 13 pezzi di artiglieria, 38 mezzi corazzati, 165 automezzi, 8 360 t di carburante, 9 938 t di materiale vario. (Ibidem, p. 239 e 240). (93) Ibidem, allegato n. 32. La fo1:7.a delle grandi unità al 13 aprile: - divisione Gio;ani fascisti: 2 battaglioni bersaglieri (LVII e XI), 2 battaglioni giovani fascisti, 1 battaglione autonomo (XI), III/47° tedesco, 1 gruppo da 100/1 2, 3 gruppi da 75/27, 1 gruppo da 65/ 17, 1 gruppo da 75/46 (non in linea e su di 1 solo pezzo), in totale 41 pezzi; - divisione Trieste: 111/65° più 2 plotoni mortai 81, I, II e III/66° (6 compagnie in tutto) più 1 plotone mortai da 81, X battaglione M, una compagnia con~ carri del CVI battaglione, un battaglione più una compagnia Luftwaffe, 2 gruppi da 100/17, 2 gruppi da 75/27, un gruppo da 75/50, un gruppo da 77/82, una batteria da 67/17, in totale 36 pezzi; - 16., R.A.C.A.: 2 gruppi da 105/28 con il XXI corpo d'armata e un gruppo da 87,6, in totale 18 pezzi; - divisione La Spezia: 2 battaglioni del 125°, un battaglione mitraglieri, un battaglione controcarri (senza armi), un battaglione tedesco (II/47°), un gruppo da 100/17, un gruppo da 77/28, un gruppo da 75/ 27, un gruppo da 75/50 e un gruppo da 75/27, in totale 29 pezzi; - divisione Centauro; gruppo Novara, un battaglione mitraglieri, una compagnia controcarri del VCI battaglione, un gruppo da 100/17, 2 gruppi da 75/27, in totale 22 pezzi; - 24° R.A.C.: un gruppo da 105/ 28 su 4 pezzi; - artiglieria d'armata: un gruppo da 149/28, un gruppo da 149/40, un gruppo da 149/35, un gruppo da 149/12, in totale 17 pezzi; 3 gruppi da 75/46 in linea e 2 gruppi da 75/ 46 e uno da 77/28 per la protezione delle retrovie, in totale 48 pezzi; - divisione Pistoia: 2 battaglioni, una compagnia mortai da 81, 2 batterie da 65/17 (9-10 pezzi), un battaglione con gli elementi del raggruppamento sahariano, un
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battaglione bersaglieri nuovo giunto, reggimento aviazione Duca d'Aosta su 2 battaglioni {paracadutisti e Loreto); - gruppo combattimento corazzato Piscice/li: un carro armato, 12 semoventi, 15 carri M 13 (del XVI battaglione); - 90" divisione leggera: 2 battaglioni del 200", 2 battaglioni del 361", 2 battaglioni del 155°, un battaglione pionieri, 3 cannoni da 100, 6 obici da 105; - 164"' divisione leggera: 3 battaglioni (II/125, 1/433, I/382) e 3 cannoni da 100; - 15.. divisione corazzata: un battaglione (l/115°), un battaglione ceduto alla 164& (II/115°), 15 carri dell'S<' corazzato, 3 cannoni da 100, 8 obici da 105, 6 cannoni e.la 149/28, in totale 17 pezzi; - 19"' divisione Flak {contraerei): lOZo reggimento: 2 gruppi nel settore del XX corpo e un gruppo nel settore del XXI corpo; 135° reggimento: un gruppo nel settore del XXI corpo: 37 pezzi da 88 e 80 pe72i da 20; reparti di riserva: un gruppo di 8 pezzi da 88 e 20 pezzi da 20; in totale la divisione disponeva di 45 pezzi da 88 e di 100 pezzi da 20. Queste forze costituirono il nerbo della la armata schierata sulla linea di Enfidaville. Nei giorni successivi la Centauro venne sciolta e gli elementi di fanteria e artiglieria passarono alla Pistoia, mentre il 5° bersaglieri si costirul con i battaglioni XXII e XXIV. (94) Sloria militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 596. (95) La prima armata italiana in Tunisia. Op. cit., allegato n. 33. li maresciallo Kcsselring nel colloquio del 16 aprile con il generale Messe parlò a nome di Mussolini e del Comando Supremo italiano. Sul problema della linea di Enfidaville il Comando Supremo italiano si astenne da ogni intervento e prevalsero inizialmente le vedute e le considerazioni del generale von Arnim {allegato n. 31). (%) Ibidem, allegato n. 29 e n. 39.
(97) Ibidem, pp. 236, 238, 259, 267. (98) Ibidem, p . 228. (99) Ibidem, allegati nn. 28, 31, 36. (100) Ibidem, p. 232 e 233. Alla vigilia della prima battaglia di Enfidaville erano stati eseguiti i seguenti lavori: sulla vecchia linea (abbandonata): 2 000 m di campo minato su 14 000 m preventivati; nella nuova linea: 9 000 m di campo minato su 10 450 preventivati; 5 000 m di reticolato; erano state disposte l 700 mine anticarro e 5 000 antiuomo; si era appena iniziato il fosso anticarro. (101) Bradley Omar Nelson (1891-1970), generale statunitense. Prese parte alla campagna in Africa settentrionale, comandò le truppe americane allo sbarco di Normandia e il XII gruppo di armate dalla Senna al Reno ed all'Elba. Capo di stato maggi~re dell'esercito americano dal 1948 al 1953 e presidente del comitato dei capi di stato maggiore dal 1949. Fu in questo periodo anche rappresentante permanente americano nel supremo organo militare del Patto Atlantico. (102) Pa//on George Smith (1885-1945), generale statunitense. Nel novembre 1942 sbarcò in Marocco alla testa del II corpo d'armata statunikulit:, poi comandò
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le forze americane della 7a armata nella conquista della Sicilia. Ottenne poi - il comando della 3a armata con la quale ebbe una parte decisiva nella liberazione della Francia, sfondando le difese tedesche in Normandia. Reagì con vigore alla controffensiva tedesca delle Ardenne e quindi forzò il Reno nel 1945, con una avanzata che lo portò sino alla Cecoslovacchia. Morì in un incidente automobilistico. ( 103) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. dt., p. 597 e 598. (104) Ibidem, p. 599. (105) La 1" armata italiana in Tunisia. Op. cit., p. 267 e allegato n. 36. (106) Ibidem, p. 278 e 279. (107) Il XX X corpo d'armata italiano in Tunisia. Op. cit., p. 146. Le forLe nemiche contrapposte, procedendo da nord a sud, erano: il raggruppamento francese del generale Tremeau (truppe della Tunisia), il XIX corpo d'armata francese con le divisioni di marcia marocchine rinforLate da unità corazzate e artiglierie americane, il II corpo d'armata statunitense (generale Patton) con le divisioni 34a, 1• e 9• (quest'ultima rinforzata da un reggimento coraz7.ato e c..la un raggruppamento di forze francesi), la divisione francese di marcia di Costantina {generale Welwert). Risultavano inoltre in riserva un raggruppamento di forLC francesi e di for:le corazzate inglesi, la l'· divisione corazzata statunitense che stava ripianando le gravi perdite subite dagli attacchi del generale Ziegler e del maresciallo Rommel, la XXVI brigata corazzata inglese. Erano, infine, in affluenza nella zona di Thala aliquote delle divisioni statunitensi 2a corazzata e 3a di fanteria.
(108) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 591. (109) Il XXX corpo d'armata italiano in Tunisia. Op. cit., p. 156. (110) Ibidem, p. 162. (111) Ibidem, p. 167. (112) Ibidem, p. 170 e allegato n. 33. (113) Ibidem, allegato n. 34. (114) Ibidem, p. 188. (115) La l" armata italiana m Tunisuz. Op. cit., p. 273. (116) Ibidem, allegato n. 37. (117) L'ordinamento delle forze franco-anglo-americane alla vigilia della battaglia conclusiva della campagna di Tunisia era grosso modo il seguente: - P armata inglese, dislocata sull'ala sinistra nell'ordine: 61~ divisione di fanteria inglese, 3 battaglioni francesi, XXJX brigata inglese commandos, 46.. divisione fanteria inglese, XXV battaglione carri, 73a. divisione fanteria inglese, aliquota 4' divisione fanteria inglese, III brigata della l" divisione aviotrasportata inglese, aliquota P divisione fanteria inglese, aliquota 2'- divisione corazzata americana;
- 50. armata americana al centro: divisione francese Tunisia, l' divisione marocchina di marciA, aliquote delle divisioni Algeri, Costantina ed Orano, 6., divisione
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corazzata mglese, II corpo <l'armata americano (3" divisione fanteria americana, 9a. divisione fanteria americana, 1a divisione corazzata americana, aliquota della 34a divisione fanteria americana); - 8.. annata inglese all'ala destra: X corpo d'armata in linea: The royals K.D.G., 51" divisione di fanteria con XXIII brigata corazzata, l" e 7a divisione corazzata, 2" divisione neozelandese con XXIV hrigata corazzata, 4a divisione indiana con IV brigata corazzata, forze della Francia combattente (generali Ledere e Koenig); XXX corpo d 'armata in riordinamento: 11 u ussari, 12" lancieri, 50" divisione di fanteria, CCI brigata guardie, brigata Grecia. La 7a divisione corazzata e la 4" divisione indiana vennero alla vigilia della battaglia trasferite nei settori della 1a armata inglese. Le forze italo-tedesche, sempre alla vigilia della battaglia conclusiva, erano grosso modo msì ordinale e dislocate da destra a sinistra: - 5a armata ala destra: divisione Mante11f/cl, 334• divisione di fanteria te<lcsca, divisione Goering;
- D.A.K. al centro: divisione Superga, 21" divisione corazzata, 10' divisione cora:aata (in riserva); ~ P armata ala sinistra: divisione LA Spezia, 164" divisione leggera, divisione Pistoia, divisione Trieste, 90'· divisione leggera, divisione Giovani faJcistì, 15" divisione corazzata (in riserva).
(118) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 602.
(119) La 1• armata italiana in Tunisia. Op. cit., p_ 582. Per l'ordinamento della aviazione italiana in Tunisia, vcds. a1legati n. 40 e 41 della pubblicazione La l " armata italiana in Tunisia. (120) Storia militare della seconda guerra mondiale_ Op. cit., p. 604. (121) Ibidem, p. 602. ( 122) La 1a armata italiana in Tunisia. Op. cit., p. 283. ( 123) Sul piano logistico venne, in particolare, stabilito: lo sfruttamento al massimo dei mezzi a gasolio, data la maggiore disponibilità di tale carburante; la proibizione pressoché assoluta d'impiego dei mezzi a benzina; la massima rarefazione degli appuntamenti delle stazioni r.t. a motore; la massima economia d elle munizioni e il trasferimento in linea di tutte le disponibilità esistenti (cioè circa 2 unfoc); la riduzione della razione viveri per le retrovie; il consumo <li viveri freschi perché i viveri di riserva (che vennero fatti affluire ai reparti) erano disponibili per sole 3 giornate. Sul piano tattico, in previsione degli avvenimenti sulla fronte dalla 5• armata: venne studiato e riconosciuto un fianco difensivo da Zagouan alla stretta di Harnman Lif; venne inviato il bauaglione L11ftwalfe a difesa del corridoio di Hamman Lif; si provvide a spostare il Lodi dalla zona di St. Marie du Zit verso est per metterlo in condizioni di poter fare fronte alle varie provenienze, comprese quelle da nord, trovandosi l'armata esposta sul fianco destro dalla soglia di Zaghonan e alle spalle della stretta di Hamman Lif per la direttrice Grombalia-Hammanet; venne predisposto il giorno 8: - lo sbarramento delle provenienze da Hamman Llf-Grombalia da realizzare in collaborazione con il D.A.K. (la l" armata avrebbe sbarrato la direttrice Hamman Lif1 lammanet e chiuso la str~dA costiera a no rd-est di Hammanet) e, qualora il D.11.K.
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non potesse partecipare, un'azione ritatdatrice, anziché lo sbarramento; da svolgere con il Lodi rinfon:ato <la un battaglione bersaglieri autocarrato, una batteria semoventi da 75/18 e 2 batterie autocannoni da 65/17; - la costituzione di un ridotto di armata per la cui realizzazione dovevano essere prese le seguenti misure: - XX corpo: 90.. leggera, perno sulla propria destra, avrebbe dovuto ripiegare al momento opportuno i battaglioni a sbarramento del tratto piano del suo. settore, a cavallo della strada costiera, e disporH fronte a nord e nord-est, appoggiandosi ai gebel; raggruppamento Moggio (Jl/35°, I e I I Loreto, II(/361Q tedesco) avrebbe occupato a difesa il margine nord della conca di Djeradou; - XXJ corpo: Pistoia (3 battaglioni ed l gruppo) avrebbe assunto lo sbarramento fronte a nord della soglia tra Dj. Redane e Dj. Zriba in cui correva la strada n. 2 per Tunisi; - La Spezia: ripiegando la propria destra, perno a q, 509 di Dj. Mansour, avrebbe costituito la fronte ad ovest del ridotto, appoggiandosi alle pendici occidentali di Dj. Zriba e saldandosi con la sinistra della Pistoia; - artiglieria: avrebbe dovuto mettersi in condizione di agire con il massimo delle bocche da fuoco su Lutto il settore d'armata, per 360. ( 124) La l" annata italiana in Tunisia. Op. cit., p. 296.
(125) Ibidem.· (126) Ibidem , p. 299. (127) Ibidem, p. 301.
CAPITOLO XXXVIII
LE OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (Parte Quarta) 1. La partecipazione militare italiana alla guerra contro l'Unione Sovietica. 2. La costituzione del C.S.I.R. 3. Le operazioni del C.S.I.R. 4.' La costituzione dell'S" armata. 5. Le operazioni dell'8 .. armata fino alla conclusione della prima battaglia difensiva sul Don. 6. L'intervallo tra le due battaglie difensive del Don. 7. La seconda battaglia difensiva del Don: la fase di logoramento e la fase di rottura. 8. La seconda battaglia difensiva del Don: il ripiegamento del centro e della destra dell'S" armata, la ricostituzione di una linea difensiva, la prosecuzione del ripiegamento, la difesa di Voroscilovgrad e del tratto tra la confluenza Derkul-Donez e l'abitato di Micha;lovka. 9. La seconda battaglia difensiva del Don: l'operazione sovietica Ostrogozsk-Rossosc ed il ripiegamento del corpo d'armata alpino. 10. Considerazioni riepilogative e conclusive.
1.
Tra i tanti errori che vengono addebitati a .Mussolini ed allo stato maggiore generale, molti includono la partecipazione di forze terrestri ed aeree italiane alla guerra contro l'Unione Sovietica. Di tale guerra Hitler non aveva mai informato Mussolini, salvo qualche vago e generico cenno contenuto in una lettera del 20 novembre l 940. Neppure nell'incontro al Brennero del 2 giugno 1941, venti giorni prima dell'inizio delle operazioni, della cui imminenza il Comando Supremo italiano aveva chiari indizi fin dai primi del mese di maggio (1), i tedeschi misero al corrente i colleghi italiani del piano Barbarossa deciso da Hitler fin dal 18 dicembre 1940 (Ordinanza del Fuhrer n. 21). L'Italia non avrebbe avuto conseguentemente nessun obbligo, neppure morale, d'impegnarsi militarmente in una campagna della quale era stata mantenuta all'oscuro fino all'ultimo momento. L'Italia avrebbe potuto continuare a polarizzare
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il suo sforzo nel teatro operativo del Mediterraneo e, in particolare, a favore dello scacchiere africano, tenuto conto della pochezza delle sue disponibilità e delle nuove esigenze di presidiare i vasti ed infidi territori jugoslavi e greci appena occupati. Hitler, inoltre, non aveva chiesto la partecipazione italiana, anzi l'aveva quasi declinata al momento dell'offerta, pur dichiarando di accettarla col cuore pieno di gratitudine, e comunque l'aveva rimandata nel tempo ad un'eventuale necessità futura, mentre aveva sottolineato che il problema di fondo per l'Italia avrebbe dovuto continuare ad essere il rafforzamento dell'Africa settentrionale (2). La ragione principale che avrebbe dovuto indurre Mussolini e lo stato maggiore generale italiano ad astenersi dall'invio di un corpo di spedizione in Russia avrebbe dovuto essere il grave stato d'impreparazione generale nel quale l'Italia un anno prima era scesa in guerra. Nel giugno del 1941 le operazioni nell'Africa settentrionale e in Grecia avevano, inoltre, ulteriormente minato il già debole e fragile organismo militare, per cui ancora maggiormente sarebbe stato necessario raccogliere, non disperdere, le forze, tanto più che il corpo di spedizione avrebbe dovuto combattere su di un teatro operativo pieno d'incognite: nemico del tutto sconosciuto, distanze astronomiche dalla madrepatria, ambiente naturale (terreno e clima) inospitale, fronti e profondità dei settori di combattimento smisurate, dipendenza diretta ed esclusiva dai comandi germanici con i quali non sarebbe stato facile intendersi come l'esperienza in Africa settentrionale veniva confermando. Su quel territorio la guerra di movimento sarebbe stata la regola, vale a dire una forma di lotta per la quale l'esercito italiano non era addestrato e soprattutto non era attrezzato, tanto che in Egitto ed in Libia era andato incontro a pesanti e dolorosi insuccessi. Si trattava complessivamente di motivi di carattere strategico e tecnico-militari di indubbia validità e di per sé non contestabili. Ad essi però si opponevano motivi non meno validi, anzi più cogenti e vincolanti, di carattere politico, economico, strategico, psicologico e di situazione, che rendevano ineludibile la decisione di Mussolini circa la presenza di un corpo di spedizione italiano in quel teatro di guerra dove erano in giuoco anche interessi italiani. L'eventuale conquista sovietica degli stretti che pongono in comu· nica~ione il mar Nero con il Mediterraneo avrebbe imprigionato l'Italia, più di quanto non lo fosse, in un mare interno piccolo ed insidiato, le cui porte di accesso erano già sbarrate dalla Gran Bretagna. L'approvvigionamento petrolifero dell'Italia, venuta a trovarsi con la guerra isolata dalle altre fonti, dipendeva in larghissima misura
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dai pozzi romeni e la pressione sovietica sulla Romania poteva condurre alla interruzione di tale approvvigionamento, senza il quale tutte e tre le forze armate italiane sarebbero state immobilizzate e costrette a deporre le armi. L'aspirazione costante dell'antica Russia zarista e di quella moderna sovietica all'egemonia sui Balcani, dove l'Italia, specialmente dopo l'annessione del regno di Albania, intendeva svolgere un ruolo d'influenza tale da garantirle l'assoluta sicurezza del confine orientale e della costa dirimpettaia dell'Adriatico, del quale desiderava fare un lago esclusivamente italiano, costituiva una minaccia potenziale pericolosissima in una regione di per sé ebolliente e matrice di sovvertimenti e di conflitti. Sarebbe stato assai rischioso delegare in esclusiva ai tedeschi il compito di fronteggiarla giacché il potere egemonico che questi già esercitavano nei Balcani, dove l'occupazione di parte della Jugoslavia e della Grecia e il mantenimento di forze militari in Bulgaria, Romania e Ungheria, era già fonte di inquietudini e timori per l'Italia ed aveva determinato una subdola concorrenza tra le due Potenze dell'Asse. A ciò verosimilmente si doveva attribuire l'accettazione a mezza bocca da parte di Hitler dell'offerta italiana dell'invio di un corpo di spedizione in Russia, accettazione accompagnata dall'invito a Mussolini ad occuparsi dell'Africa settentrionale, quasi per volergli dire che il problema russo e balcanico era d'interesse tedesco, non dell'Asse. Mussolini, inoltre, non poteva fare a meno di dichiarare la disponibilità militare nella considerazione che Hitler era corso in suo aiuto, sia pure misurando strettamente l'entità dell'ausilio, mediante l'invio di forze tedesche sulla fronte della Sirte a sostegno delle forze italiane soccombenti all'invasione inglese attestatasi sulla soglia della Tripolitania . Premevano inoltre, a favore dell'invio del corpo di spedizione, motivi di coerenza ideologica che avevano il loro peso per un regime che vantava la primogenitura dell'anticomunismo e che per questo si era battuto a fondo nella guerra civile spagnola. La situazione del momento nello scacchiere africano, infine, era valutata dal generale Cavallero abbisognevole del rinforzo di almeno altre due divisioni (3 ), peraltro disponibili indipendentemente da quelle del costituendo corpo di spedizione per la Russia; ma il problema dello scacchiere africano non riguardava tanto l'entità quanto il tipo di forze ed era soprattutto, per non dire esclusivamente, condizionato dalle possibilità dei trasporti marittimi che erano in rapporto alle condizioni di sicurezza navale ed aerea realizzabili dalla flotta italiana e dalle aviazioni italiana e tedesca. In caso di vittoria dell'Asse l'Italia avrebbe pagato a caro prezzo la sua assenza dal teatro operativo
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russo. Visto in tale prospettiva, l'invio del corpo di spedizione in Russia non fu un errore, ma piuttosto un sacrificio dovuto a salvaguardia degli interessi nei confronti dell'Unione Sovietica e della stessa Germania che tendeva ad estraniare l'Italia dal continente europeo, come era apparso chiaro fin dall'armistizio separato con la Francia, relegandola nel Mediterraneo dove la Francia, negli intendimenti iniziali di Hitler, avrebbe dovuto bilanciarne il potere. L'errore era stato l'entrata dell'Italia in guerra. L'errore era quello che stava commettendo Hitler nel muovere guerra all'Unione Sovietica prima di avere sconfitto la Gran Bretagna o quanto meno di averla spazzata via dal teatro operativo del Mediterraneo la cui importanza Hitler e l'Alto Comando tedesco continuavano a sottovalutare o per congenita insufficienza strategica o per malevolenza verso l'alleato, al quale anteponevano, speranzosi di attrarla verso la cooperazione militare, la Francia di Vichy. Dell'invio di unità italiane in Russia Mussolini parlò per la prima volta al generale Cavallero alle ore 12 del 30 maggio 1941 (4). Le informazioni che gli erano giunte e continuavano a pervenirgli dalle rappresentanze diplomatiche italiane di Berlino, di Mosca, di Bucarest e degli Stati collegati con la Germania, in particolare dagli addetti militari di Berlino e di Bucarest (5), lo avevano convinto dell'imminenza della guerra contro l'Unione Sovietica ed egli ordinò la predisposizione di un corpo di spedizione incaricando il capo di stato maggiore generale di provvedere al riguardo. Questi non sollevò - nessun documento, compreso il Diario dello stesso generale Cavallero, testimonia il contrario - obiezioni e neppure perplessità di sorta tanto gli dové sembrare naturale la decisione del Comandante Supremo, e si mise subito a lavoro. Dalla documentazione di archivio non risulta che gli stati maggiori dell'esercito e dell'aeronautica, entrambi interessati direttamente alla questione, abbiano manifestato dissensi di principio o difficoltà di fatto, verosimilmente perché convinti della ragionevolezza del provvedimento in quanto in altre occasioni non erano mancate, e non mancheranno in futuro, opposizioi, sia pure blande, e talvolta vere e proprie resistenze agli ordini del Comando Supremo. In quegli stessi giorni, ad esempio, il capo di stato maggiore della marina fece di tutto per non ritirare daUo Atlantico, come da ordine di Mussolini, i 26 sommergibili italiani operanti in quell'oceano (6). Non mancarono discussioni ed incertezze sulla costituzione del corpo di spedizione, sulla scelta delle grandi unità da assegnare, sulle direttrici operative più appropriate, sui tempi di approntamento e sulle altre modalità esecutive (7), ma
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il generale Cavallero dovette frenare, più che spingere, i due stati maggiori per evitare che non si pensasse contemporaneamente anche alla Libia. Fu per tale motivo che i] generale CavalJero scartò la proposta del generale Francesco Rossi, sottocapo di stato maggiore dell'esercito, d'inserire nelle grandi unità da inviare in Russia elementi corazzati - inizialmente si era pensato a 3 divisioni (1 corazzata, 1 motorizzata, 1 di fanteria) - e decise, alla fine, la composizione del corpo di spedizione su 2 divisioni autotrasportabili, cioè prive di autoreparti in proprio, e su 1 divisione celere, non più ciascuna a sé stante, come era stato stabilito in un primo tempo, ma inquadrate in un corpo d'armata (8) al quale il 9 luglio venne data la denominazione ufficiale di Corpo di spedizione italiano in Russia (C.S.I .R.) (9). Il capo di stato maggiore dell'Aeronautica, generale Francesco Pricolo, assicurò di poter inviare senza pregiudizio per il Mediterraneo e per l'Adriatico (10), oltre i velivoli per la ricognizione, 40 caccia, mentre rappresentò di non poter soddisfare la richiesta di Mussolini riguardante un centinaio di bombanlieri (11). Al C.S.I.R. venne deciso di preporre il comando del corpo d'armata autotrasportabile (12), in luogo del comando del corpo d'armata speciale (13), ma delle 3 divisioni che lo costituivano - le autotrasportabili Pasubio e Piave e la corazzata Littorio - venne divisato d'includere nel C.S.I.R. solo la Pasubio e di lasciare in Patria la Piave e la Littorio di prevedibile o già previsto impiego in Africa settentrionale. Gli automezzi necessari per garantire l'autotrasporto di almeno una delle due divisioni vennero sottratti alJe grandi unità dislocate nel territorio nazionale e, in particolare, a quelle della fronte ovest. Fu previsto di inviare un autogruppo tratto dalle unità in Albania, ma poiché ciò non si rese tempestivamente possibile, il generale Cava1Jero cercò di raccogliere i 600 automezzi necessari alJ'autotrasporto della seconda divisione attingendo alJe riserve del servizio tecnico automobilistico e alle disponibilità della milizia. Il 25 luglio essi però non erano ancora a disposizione del C.S.I.R. (14). La costituzione, l'approntamento e l'equipaggiamento del C.S.I.R. non si risolsero a danno e neppure a scapito della Libia, dove se non giunsero nuove grandi unità ed altri carri armati, automezzi e materiali vari non fu perché le prime ed i secondi non fossero disponibili a causa del C.S.I .R., ma perché gli inglesi, utilizzando soprattutto Malta, continuarono ed accrebbero gli ostacoli e le insidie al traffico marittimo di alimentazione dello scacchiere nord-africano, e perché vi si frapposero gli altri motivi già ricordati nei precedenti capitoli. Neppure un carro armato medio (solamenti 61 carri L) fu
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incluso nella formazione organica del C.S.I.R. che, in fatto di artiglierie e di automezzi, assorbì 296 pezzi di calibro vario, compresi i cannoni controcarro da 47 /32 e le mitragliere contraerei da 20, e 5 500 autocarri (15), entità quest'ultima d'indubbio elevato valore in rapporto alle disponibilità ed alla produzione italiane, ma non tale da azzerare le possibilità di rifornimento per la Libia se, a detta del generale Favagrossa, nel settembre del 1941 gli autocarri esistenti in Italia, compresi ovviamente quelli di uso civile, erano circa 280 mila (16). Se la non partecipazione militare italiana alla guerra contro l'Unione Sovietica intrapresa dalla Germania per suo conto è tesi che, benché non priva di argomentazioni tecnico-militari, va contestata e rifiutata alla luce della situazione generale politica e strategica del momento, la tesi che tende ad attribuire alla costituzione del C.S.I.R. la mancata espugnazione di Tobruch e l'esito sfavorevole per l'Asse della battaglia sostenuta durante la seconda controffensiva britannica in Africa settentrionale è del tutto insostenibile ed inaccettabile nel rispetto degli intendimenti e dei fatti che guidarono la costtiuzione del C.S.J.R. Diverso è, invece, il discorso che si deve fare circa l'invio successivo di altre 7 divisioni italiane e circa la costituzione dell'8a armata voluti da Mussolini e non contestati con la dovuta energia dal generale Cavallero e dagli stati maggiori di forza armata. Questo sì fu un errore gravissimo, le cui conseguenze letali sotto il profilo tecnico-militare e psicologico si faranno sentire in tutta la loro portata quando la pressione nemica si farà più intensa e gli anglo.americani sbarcheranno nell'Africa settentrionale francese e successivamente in Sicilia, dove le forze di difesa risulteranno carenti perché le migliori di esse saranno state inutilmente sacrificate in Tunisia o spensieratamente dissipate in Russia.
2. Il lavoro di costituzione, preparazione, organizzazione e trasferimento del C.S.J.R. compiuto dal Comando Supremo e dallo stato maggiore dell'esercito fu intenso e sollecito. Sotto il profilo organico e logistico fu quanto di meglio si poté fare per garantire l'efficienza operativa della grande unità e per conferirle un assetto di guerra che non la facesse sfigurare nel confronto con gli eserciti alleati con i quali sarebbe venuta a contatto. La scelta definitiva delle divisioni
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costitutive cadde, come abbiamo già ricordato, sulle 2 divisioni binarie autotrasportabili Pasubio e Torino e sulla 3a divisione celere, appartenenti a 3 corpi d'armata diversi (solo la Pasubio era inquadrata nel corpo d'armata autotrasportabile) e dislocate in sedi tra di loro lontane (la Torino a Roma, la Pasubio e la 3a celere a Verona, il comando del corpo d'armata a Cremona). Il comando del C.S.I.R. fu assunto dal generale Francesco Zingales (17) che il 13 luglio, durante il trasferimento, fu costretto a farsi ricoverare in una clinica di Vienna per una grave forma polmonare e venne sostituito, il giorno 17, dal generale Giovanni Messe. Nelle due divisioni di fanteria binarie vennero raddoppiate la capacità di fuoco a tiro curvo e la capacità di fuoco controcarri assegnando a ciascuna di esse, in più dell'organico, un battaglione mortai da 81 ed una compagnia cannoni da 47 /32, sottratti ad altre unità mobilitate dislocate sul territorio nazionale. Alla 3... divisione celere Principe Amedeo d'Aosta venne assegnata, in più dell'organico, una compagnia cannoni da 47 /32. Notevole la consistenza delle truppe suppletive di corpo d'armata: una legione di camicie nere, Tagliamento, su 2 battaglioni e 1 battaglione armi di accompagnamento (1 compagnia mortai da 81 e 1 compagnia cannoni da 47 /32); 1 battaglione mitraglieri; 1 battaglione cannoni controcarro da 47 /32; 1 compagnia bersaglieri motociclisti; 1 raggruppamento di artiglieria motorizzato su 3 gruppi da 1O5/32 (3 6 pezzi); 2 gruppi di artiglieria contraerei ciascuno su 2 batterie da 75 / 46 (24 pezzi in tutto) e su 2 batterie cannone-mitragliera da 20 (16 pezzi); 1 battaglione guastatori (in tempo successivo); 4 battaglioni del genio (2 pontieri, 1 artieri, 1 collegamenti). Vennero inoltre assegnati al corpo d'armata un corpo aereo con unità di osservazione e da caccia per complessivi 83 velivoli, un'Intendenza ed una maggiore dotazione di unità dei vari servizi, che assimilavano logisticamente il C.S.I.R. ad una piccola armata (18). Le principali critiche che furono mosse allora e successivamente (19) alla struttura del corpo di spedizione riguardarono l'inconsistenza della componente carrista, la scarsezza e la vetustà delle artiglierie e l'incompletezza della motorizzazione. La presenza di unità carri armati medi sia nelle due divisioni di fanteria sia in quella celere avrebbe conferito al C.S.I.R. una capacità operativa diversa, esaltandone le possibilità d'urto e di manovra. Ciò è fuori discussione, ma l'esercito disponeva nella primavera del 1941 solamente di 3 divisioni corazzate, delle quali una (l'Ariete) era in Libia e le altre due (la Centauro e la Littorio) erano in Italia in via di riordinamento, rientrate dalle operazioni in Albania e in Jugoslavia, per
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essere entrambe trasferite in Africa settentrionale, mentre nulle erano le possibilità di assegnare carri medi alle divisioni celeri ed a quelle di fanteria. Il Comando Supremo italiano, dovendo dare la precedenza alle esigenze della Libia, non ebbe possibilità di scelta. Non intese, d'altra parte, strutturare w1 corpo corazzato a mo' di cuneo di rottura da spingere ampiamente e rapidamente nel quadro della direttiva n. 21 di Hitler, ma un normale corpo d'armata, del tipo di quelli tedeschi e degli altri eserciti alleati operanti sulla fronte russa, destinato a normali compiti offensivi e difensivi con in più il massimo possibile di mobilità. L'assegnazione di una divisione celere in luogo di una terza divisione di fanteria autotrasportabile - che avrebbe potuto essere la Piave inquadrata nel corpo d'armata autotrasportabile - dipese verosimilmente dall'opportunità di dotare il comandante del corpo di armata di una maggiore autonomia di manovra ai fini dell'esplorazione tattica, se non strategica, della rapida occupazione preventiva di locali tà, in particolare di ponti sui corsi d'acq1rn, e del completamento, se non dello sfruttamento, del successo. Vero è che le divisioni celeri erano state studiate sotto il profilo organico essenzialmente per il compito di esplorazione strategica su terreni di media montagna o collinari - unità dotate di mezzj a ruota od a cingoli operanti sulle strade; unità a cavallo operanti sui terreni di più difficile percorribilità - e, in via subordinata, per l'impiego quale massa di manovra, ma, stante il terreno del teatro operativo russo, che non opponeva al movimento ostacoli naturali ad eccezione dei corsi d'acqua, il Comando Supremo e lo stato maggiore dell'esercito ritennero che la maggiore celerità mobilità e manovrabilità della divisione celere, malgrado l'eterogeneità degli elementi costitutivi (bersaglieri autoportati e perciò più veloci, squadroni di cavalleria e artiglieria a cavallo perciò più lenti), avrebbero ampliato e reso più lungo il braccio di manovra del corpo d'armata come infatti avvenne nelle battaglie sostenute dal C.S.I.R. L'insufficienza e la vetustà delle artiglierie erano due mali congeniti dell'esercito italiano, noti da prima dell'entrata in guerra. A parte l'insufficienza del rapporto fanteria-artiglieria e la vetustà dei materiali, la carenza più grave e sentita fu la scarsa gittata delle bocche da fuoco (20) che, stante l'ampiezza e la profondità delle fronti, tarpò spesso la manovra del fuoco e costrinse a decentramenti antieconomici o scarsamente proficui. Nell'intento di sopperire alla carenza di artiglierie moderne lo stato maggiore dell'esercito assegnò a ciascuna delle due divisioni di fanteria un secondo battaglione mortai da 81 in aggiunta a quello organico, e una compagnia alla legione Tagliamento, ma la
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disponibilità di fuoco a proietto scoppiante rimase al di sotto delle esigenze determinate dall'ampiezza delle fronti. La capacità di fuoco controcarri venne più che triplicata (108 cannoni da 47 /32 nel corpo d'armata), ma il pezzo da 47 /32 perforava a 500 m di distanza piastre di acciaio dello spessore di 4 3 mm con impatto di 90 gradi e di 32 mm con impatto di 60 gradi, mentre i carri medi sovietici (T 34), armati da un pezzo da 76 e da 2 mitragliatrici, evevano una corazzatura, nelle parti maggiormente esposte al tiro, di 45 mm. Il mancato completamento degli automezzi necessari all'autotrasporto della seconda divisione costitul un grave svantaggio all'impiego del C.S.I.R. - il Comando Supremo cercò in tutti i modi, senza riuscirvi, di raccogliere gli automezzi che mancavano, consapevole che le operazioni su quella fronte sarebbero state caratterizzate da celerità e profondità di movimenti - ma le divisioni di fanteria non motorizzate non furono su quella fronte una peculiarità del contingente di forze italiano. Su 133 divisioni di fanteria tedesche, solo 15 erano motorizzate, mentre 19 erano le divisioni corazzate (le forze tedesche sulla fronte orientale furono all'inizio pari a 152 divisioni). Alla intrinseca debolezza organica della divisione di fanteria binaria - in particolare di quella autotrasportabile che era priva di unità della milizia - si cercò di porre un qualche riparo mediante la dotazione supplementare di reparti mortai da 81 e cannoni da 47 /32, specialmente di questi ultin1i, stanti le ottime condizioni che in alcune stagioni il terreno offriva all'impiego dei mezzi corazzati e blindati liberi di muoversi fuori strada. La composizione organica e l'ordinamento tattico del C.S.I.R. ne avrebbero, in definitiva, consentito un utile e proficuo impiego purché i compiti assegnatigli fossero stati quelli di un corpo d'armata normale, né corazzato né motorizzato, fruente peraltro di maggiore mobilità ed autonomia tattica e logistica per la possibilità di autotrasporto di una delle divisioni di fanteria, la presenza di una divisione celere, la consistente assegnazione di unità del genio e in particolare di 2 battaglioni pontieri, la disponibilità in proprio di una forza aerea tattica, di numerose unità dei servizi e di un'intendenza per compiti logistici limitati. Una volta riconosciuta nella logica di quella guerra e di quella situazione la necessità della partecipazione militare italiana - persino la neutrale Spagna invierà successivamente una divisione, la Divisiòn Azul, a combattere contro l'Unione Sovietiva - non si può sostenere che il Comando Supremo e lo stato maggiore dell'esercito non abbiano misurato e dosato la struttura del C.5.I.R. nel migliore dei modi possibile, senza al tempo stesso sacrificare la prio-
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L'OFFENSIVA GERMANICA DELL'ESTATE-AUTUNNO 1941 ( cnt,;u ou,ttenldle tre/I ·v. A.S.S.
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rità della Libia e senza dare vita ad un apparato solo di facciata, inconsistente sotto il profilo operativo. Chi, d'altra parte, potrebbe sostenere che i 5 500 automezzi, i 1 550 motomezzi ed i 108 cannoni controcarro da 47 /32 avrebbero potuto dalla primavera all'autunno del 1941 raggiungere la Libia, dove in quel periodo venne fatta affluire la Trieste, ma non si riuscì a far giungere tempestivamente le unità, le artiglierie e le munizioni necessarie per l'espugnazione di Tobruch (21)? Se il C.S.I.R. poté svolgere un ruolo di tutto rispetto, come ora vedremo, talché la sua campagna può a giusto titolo collocarsi tra le vicende più onorevoli della storia militare italiana (32), ciò lo si dové anche a chi ne aveva curato la costituzione e l'organizzazione. È fuori discussione che la mancata completa motorizzazione costrinse le unità italiane ad una serie di privazioni, di sacrifici e di sforzi morali e fisici molto duri, in aggiunta al logorio dei combattimenti e del clima, ma le unità di fanteria tedesche non agirono in condizioni meno disagiate se dovettero affrontare marce di trasferimento a piedi di 50 Km al giorno_ Se è vero, come lo è, che il C.SIR. fece molto e bene e non sfigurò nel confronto con le unità similari tedesche, ungheresi e romene, a ciò concorsero la compattezza morale e la capacità combattiva delle unità, l'avvedutezza, la competenza e la decisione dei capi - primo fra tutti il generale Messe - l'impegno operativo, lo slancio ed il coraggio di tutti, ma anche l'accortezza, la previdenza ed il lavoro del Comando Supremo e dello stato maggiore dell'esercito, ai quali non sembra che si possano addebitare carenze maggiori di quelle che sempre accompagnano le soluzioni umane dei problemi complessi e complicati quale fu, appunto, la costituzione del C.S.I.R.
3. La partenza del C.S.I.R. ebbe mtz10 il 10 luglio 1941; comportò: un movimento per ferrovia dalle sedi stanziali italiane sino alla zona di scarico situata nell'Ungheria orientale; un movimento per via ordinaria dalla zona di scarico a quella di radunata fissata dai comandi tedeschi in Romania; un secondo movimento per via ordinaria dalla zona di radunata a quella d'impiego. Il trasferimento per ferrovia richiese ]'impiego di 216 treni e si concluse il 5 agosto. Quando il C.S.I.R. giunse in zona di radunata il piano operativo tedesco era in pieno sviluppo (23) e in tre settimane le armate tedesche erano riuscite a penetrare nel territorio de11'Unione Sovietica
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di 400-500 Km verso nord-est, di 450-600 Km verso est e 'di 300500 Km verso sud-est. L'll" armata germanica, alle cui dipendenze il C.S.I.R. venne destinato ad operare, aveva già forzato il Dniester in più punti e a fine luglio stava tentando di effettuare una manovra di avvolgimento tra il Dniester ed il Bug, della quale le unità operanti a settentrione avrebbero dovuto costituire l'ala marciante per chiudere in una sacca il nemico ed annientarlo in un secondo tempo. L'l 1" armata, schierata fra la 17a armata germanica e la 4" ·armata romena, comprendeva il corpo ungherese, la 3" armata romena, l'XI, il XXX ed il LIV corpo d'armata tedeschi ed il IV corpo d'armata romeno. L'll" armata non comprendeva grandi unità corazzate ed era priva di riserve, fatta eccezione del C.S.I.R. non ancora in condizioni di impiego immediato, in quanto ancora in movimento - la Torino a piedi - per raggiungere la zona di dislocazione iniziale al Dniester, verso Jampol, fissata il 21 luglio dal comando dell'll• armata (24). Questo , nei giorni 31 luglio e 1° agosto, chiedeva al comando del C.S.I.R. di poter disporre subito di 2 gruppi di artiglieria italiani per appoggiare un attacco del XXX corpo tedesco nella zona di Krutyje e di accelerare il movimento per intervenire nel rastrellamento del terreno tra il LIV ed il XXX corpo d'armata tedeschi e ristabilire le comunicazioni tra le due grandi unità (25). Il C.S.I.R. rischiava di venire impiegato a spizzico e per tempi' successivi, ma il generale Messe, pur aderendo alla richiesta dei 2 gruppi e successivamente all'impiego della Pasubio per sfruttare il vantaggio conseguito frattanto da11'ala sinistra dell'armata e per rinseri-arè le unità sovietiche rimaste fra il Dniester e il Bug, rappresentava a1 comandante dell'armata, generale von Schobert (26), la nècessità dell'impiego unitario del C.S.I.R. in armonia con le direttive ricevute dal Comando Supremo italiano. Nel quadro della battaglia intrapresa dai tedeschi per l'annientamento delle forze avversarie dislocate tra il Dniester e il Bug, la divisione Pasubio, rinforzata dal 300 · raggruppamento artiglieria di Corpo d'Armata e dalla 1• compagnia motociclisti, aveva ricevuto il compito di raggiungere rapidamente il Bug a nord di Voznessenk e di procedere quindi lungo la riva destra del fiume sino a Nikolaiev per completare l'accerchiamento del nemico e per eliminare la testa di ponte russa in quella località (27). L'avanguardia della divisione urtò nei giorni 11 e 12 agosto contro le resistenze delle retroguardie nemiche che ripiegarono durante la notte sul 13 e sgomberarono la testa di ponte di Nikolaiev (28). Il battesimo del fuoco costò alla Pasubio 15 morti e 82 feriti.
CAP. XXXVIII - OPERAZIONI ITALO-TE.DESCHE (PARTE QUARTA)
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SITUAZIONE DELLE FORZE ALLEATE NELLO SCACCHIERE DEL BASSO DNJESTR ALLA DATA DEL 6 AGOSTO 1941
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Il 14 agosto il comando gruppo armate Sud dispose il passaggio del C.S.I.R. alle dirette dipendenze del I gruppo corazzato del generale von Kleist (29) con il quale da allora in poi il C.S.I.R. opererà alle dipendenze della 1 J8' armata germanica. L'assegnazione del C.S.I.R. ad una grande unità mobile e manovriera quale era il I gruppo corazzato - assegnazione che comportava, tra l'altro, un cambiamento della sua linea operativa da sud a nord-est - ed il futuro impiego del corpo di spedizione, caratterizzato da spiccata mobilità ad ampio raggio, confermava come il comando tedesco non tenesse conto del fatto che le unità italiane non erano totalmente motorizzate e non tenesse nemmeno conto della grave situazione logistica in cui esse si dibattevano. Il generale Messe rappresentò nuovamente tale situazione al comando tedesco pur adoperandosi per fare comunque fronte agli impegni operativi che gli venivano richiesti (30). Tali impegni furono: la marcia dal Bug al Dnieper inquadrata nella grande manovra tedesca iniziata il 14 agosto e conclusasi a Kiev il 19 settembre con la vittoria germanica (31); la manovra di Petrikovka (37); le operazioni per la conquista del bacino industriale del Donez contrassegnate dalla conquista della testa di ponte di Pavlograd (33), dalla manovra di Stalino (34), da quella di Gorlovka, dall'offensiva di Nikitovka; le operazioni per il consolidamento delle posizioni raggiunte (35) con il combattimento di Ubescicce (36), l'offensiva di Chazepetovka (37) e lo schieramento difensivo dopo la battaglia di Chazepetovka (38); il ciclo difensivo invernale con la battaglia di Natale (39), l'offensiva russa di Jzjum, il concorso del C.S.I.R. alla controffensiva di Jzjum (40). Al termine della lunga e difficoltosa marcia dal Bug al Dnieper, il 5 settembre il C.S.I.R. si schierò su di una fronte ampia circa 100 Km sul Dnieper, tra il fiume Vorskla di Kobeljaki e Dniepro. petrovsk, con la Pasubio e la Celere , rinforzate, in prima schiera e la Torino e la legione Tagliamento in seconda schiera, mentre le unità della catena logistica erano ancora disseminate su una linea profonda circa 300 chilometri. Il 13 settembre anche la Torino, rinforzata, passò in prima schiera nel settore a sud di Dniepropetrovsk, sicché la fronte del C.S.I.R. si estese di altri 50 chilometri. Il 18 settembre la Pasubio fu destinata a proteggere il fianco destro della 17"' armata operante su Kobeljakj e Poltava e venne sostituita nella difesa del settore da un raggruppamento di formazione della Celere. Quattro giorni dopo il C.S.I.R., meno la Pasubio, passò a costituire, insieme con il III corpo tedesco, il gruppo Mackensen incaricato della difesa del Dnieper fra la foce dell'Otelj e quella
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del Mokraja Sura. Così, quando la Pasubio (a nord) oltrepassò il fiume ai ponti di Derijevka per procedere sui propri obiettivi, la Celere (al centro) rimase a difesa del Dnieper e la Torino (a sud) si schierò sulla riva sinistra del fiume e il C.S.I.R. poté, per la prima volta, operare riunito ed a massa su obietivi convergenti, sviluppando, dopo aspri combattimenti preliminari, un'azione offensiva a tenaglia - la Pasubio da nord-ovesL, la Torino da sud-est - che in tre distinti tempi si concluse dopo tre giorni in Petrikovka, dove la Pasubio e la Torino si congiunsero, mentre la Celere, con 2 battaglioni · bersaglieri traghettati fin dal primo giorno della battaglia , procedé al rastreJlamento della zona fra la riva sinistra dell'Orelj e Varvarovka e di quella fra il Dnieper e la linea Kurilovka-JelissaveÌ:~>vka, riunendosi poi alle unità de11a Pasubio e della Torino. Si trattò. di un'azione inquadrata in quella più vasta diretta a rompere la testa di ponte sovietica di Dniepropetrovsk, strettamente coordinata con il XIV corpo corazzato tedesco {le cui 3 <livisioni raggiunsero anch'esse i loro obiettivi), perfettamente riuscita nonostantè la forte resistenza nemica e le difficoltà dovute alla mancanza di strade ed alla presenza di una lunga palude che attardò il movimento della Torino costretta a procedere con le sole unità a piedi lasciando artiglieria cd autocarcggio arretrati. I sovietici subirono notevoli perdite - 10 mila prigionieri, 9 cannoni, 13 mortai, 186 armi automatiche, 4 500 fucili, 51 autocarri, 7 trattori efficienti, varie tonnellate di nafta, 1 000 cavalli e 450 carri, ecc. - mentre le perdite del C.S.I.R. ammontarono a 291 uomini fuori combattimento. Il primo ciclo operativo delle unità italiane si chiuse cosl in modo assai positivo. Fanti, cavalieri, artiglieri e genieri, in particolare i pontieri, come pure l'aviazione mantenendo il dominio del cielo sia nella battaglia difensiva che in quella offensiva, dettero di loro un'immagine di chiarezza operativa, di capacità combattiva e di preparazione tecnica non meno nitida di quella offerta dalle grandi unità corazzate tedesche con le quali cooperarono. · Nelle operazioni per la conquista del bacino industriale del Donez e della zona di Rostov - durante le quali il Comando Supremo sovietico si orientò alla strategia della ritirata mediante l'utilizzazione dello spazio e l'Alto Comando tedesco a quella dello sfruttamento del successo per procedere rapidamente sui nuovi obiettivi, per impedire ai sovietici di riunirsi e di riorganizzarsi e per utilizzare al massimo lo scorcio della stagione favorevole - il C.S.I.R. ebbe parte attiva in entrambi i periodi nei quali il ciclo operativo si articolò: il primo riguardante le azioni fra il Dn..iep<::r e il Voltsctja,
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LA MANOVRA DI PETRIKOWKA (2&-30 SETTEMBRE 1941)
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con orientamento nord-sud, che portarono il gruppo corazzato di von Kleist al mare d'Azov nella zona di Melitopol; il secondo riguardante le azioni per la conquista del bacino industriale, svoltesi in direzione ovest-est. Nel primo periodo il C.S.I.R. ebbe il compito di schierarsi sul Voltsctja a protezione del fianco sinistro del dispositivo germanico; nel secondo costituì l'ala sinistra della l" armata corazzata tedesca, già I gruppo corazzato von Kleist, nella quale rimase inquadrato. I movimenti delle unità italiane per portarsi sul Voltsctja ebbero inizio il 5 ottobre e termine il giorno 8: la Pasubio si schierò tra Pavlograd (esclusa) e Ulianovka, la Celere ne prolungò lo schieramento verso sud sino a Jekaterinovka e la Torino si concentrò a Kamenka per serrare sotto in seconda schiera. La linea di resistenza presidiata dal C.S.J.R. era ampia 100 Km e correva a ridosso delle rive occidentali del Voltsctja tranne in corrispondenza dell'ala sinistra dove correva più all'interno per la presenza della testa di ponte sovietica di Pavlograd che i sovietici difendevano accanitamente con l'intento di inibire il passaggio del fiume e sbarrare la via di Stalino (41). Per la protezione del fianco sinistro del dispositivo tedesco attaccante le posizioni sovietiche in direzione di M. Baba e di M. Riusnaja-Pavlograd venne costituito un raggruppamento motorizzato costituito dalla legione Tagliamento (meno un battaglione), un gruppo da 105/32 e una compagnia motociclisti. L'azione tedesca sulla testa di ponte sovietica - che interessò anche l'ala sinistra della Pasubio, spostatasi per portarsi sulla riva destra del Voltsctja - durò dal 9 all'll ottobre. Del raggruppamento italiano il comando tedesco il giorno 10 si avvalse per avvolgere sulla sinistra le posizioni di Pavlograd, compito che il raggruppamento adempì sull'abitato di Mavrina e, infine, raggiungendo il ponte rotabile per Pavlograd, fatto saltare dai sovietici e sostituito da un ponte militare subito gettato dal I battag1ione pontieri. I1 comportamento italiano delle divisioni schierate sul fiume e, in particolare, del raggruppamento che aveva concorso in larga misura al successo della 198· divisione tedesca alle cui clipendenze aveva operato, riscosse l'apprezzamento dei comandi tedeschi. Eliminata la testa di ponte di Pavlograd, la Pasubio sostituì la 198" tedesca, la Celere la S.S. Wiking, la Torino conservò il compito precedente, sicché il C.S.I .R. assunse la responsabilità di una fronte ampia ancora una volta 150 chilometri. Ben presto però il C.S.I.R. passò dallo schieramento difensivo a quello offensivo nel quadro della manovra della 1• armata corazzata tedesca tendente a Taganrog, Rostov, Stalino e, in particolare: con il III corpo, ad occupare Taganrog cd a costi-
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LO SCHIERAMENTO SUL WOLTSCHJA E L'ATTACCO DI PAWLOGRAD (9-11 OTTOBRE 1941)
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tuire una testa di ponte a Rostov; con il XIV corpo a proteggere il fianco sinistro del III corpo; con il XLIX corpo alpino ad investire la zona di Stalino; con il C.S.I.R. ad assicurare il fianco nord della armata accompagnando il movimento del XLIX corpo alpino; con la 3" armata romena a rastellare il campo di battaglia ed a proseguire poi su Maringol. La 198" di.visione di fanteria venne messa a disposizione del XLIX corpo alpino, mentre la 60a divisione motorizzata passò in riserva d'armata. Il C.S.I.R. costituì, pertanto, l'ala settentrionale della 1" armata corazzata e si schierò fra il XLIX corpo alpino a sud e la 17n armata a nord con il duplice compito di protezione del fianco sinistro dell'armata dalle offese da nord e di concorso con il XLIX corpo tedesco alpino all'attacco di Stalino. La manovra di Stalino e quella di Gozlovka-Rykovo (urono le azioni di maggiore rilievo del C.S.I.R. durante le operazioni del secondo periodo - 13-29 ottobre - per la conquista del bacino di Donez. Il generale Messe decise di raccogliere la Celere e la Pasuhio sulle proprie ali esterne, lanciare la Celere contro Stalino per investire la città in concorso con il XLIX corpo alpino, affidare alla Pasubio la protezione del fianco nord ampliando se necessario la manovra aggirante, far muovere celermente la Torino, ancora in crisi di trasferimento, e tenerla in seconda schiera al centro del dispositivo di attacco per poterla fare intervenire qualora la resistenza sovietica avesse imposto tempi di arresto all'avanzata. Questo dispositivo, mentre consentiva di muovere sull'obiettivo con le forze raccolte, risultava il più idoneo per opporsi a qualsiasi tentativo avversario contro il fianco esposto del C.S.I.R., marcia durante (42). La marcia verso Stalino fu faticosissima, si svolse per alcune unità (3° bersaglieri) tutta a piedi, fu ostacolata per altre (Pasubio) dalle condizioni proibitive del terreno, fu ritardata dal nemico e dai tempi per il gittamento di ponti, fu resa lenta dallo sparpagliamento delle forze e dalla indisponibilità dei servizi per cui, alla sera del 16 ottobre, la Celere aveva raggiunto la linea Zgl. Vassilievka e Nikolaievka, con il comando delle divisione e 2 battaglioni ancora a Pavlograd, e la Torino era ancora in marcia e notevolmente arretrata rispetto alle altre due divisioni (43). Frattanto la situazione delle grandi unità germaniche operanti nello scacchiere meridionale era andata così delineandosi: la 17... armata (operante alla sinistra del C.S.I.R.) aveva raggiunto la linea Nikolaievka-Alexandrovka-Katerinovka (a nord est di Pavlograd); il XLIX corpo alpino si attestava con elementi avanzanti al fiume Suchije Jaly; il III corpo era riuscito a costituire una testa di ponte sul fiume Mius, dove però doveva arrestarsi a causa della
LE OPERAZIONI PER LA CONQUISTA DEL BACINO INDUSTRIALE I (13-29 OTIOBRE 1941)
L'OCCUPAZIONE DELLA STAZIONE DI STALINO (20 OTTOBRE 1941)
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FILIPPO STEFANT
forte resistenza incontrata e soprattutto per la penuria dei rifornimenti; il XIV corpo proteggeva indietro e a sinistra il fianco del III corpo (44). La marcia del C.S.I.R. proseguì fino al giorno 18, dopo che il giorno 17 la Celere, che avanzava con i soli reggimenti di cavalleria, era venuta a contatto con consistenti retroguardie sovietiche che aveva impegnato e costretto a ripiegare dopo aver loro inflitto notevoli perdite e catturato parecchi prigionieri. La Celere riuscì poi a stabilire il contatto con il XLIX corpo alpino garantendo così le migliori condizioni per l'attacco a Stalino. Per tale attacco la Celere si articolò su 2 colonne: una di destra costituita dal 3° bersaglieri e una di sinistra costituita dal reggimento di cavalleria Novara. Il 20 ottobre verso le 11, il 3° bersaglieri occupò Sofja e verso le 20 s'impadronì di slancio della stazione e del nodo ferroviario di Stalino, entrando in città contemporaneamente alle avanguardie del XLIX corpo tedesco. Frattanto: la Pasubio, con una colonna, dopo essersi fatta largo fra le retroguardie sovietiche, il 20 occupava la stazione di C.riscuino ed a sera raggiungeva Krasnoarmejskoje; il raggruppamento motorizzato occupava Novo Pavlovka; la Torino, per la quale tramontava ormai ogni possibilità di autotrasporto, tra indicibili fatiche e privazioni si portava in prossimità del fiume Mokrjie Jaly, tra Fedorovka e Komar. Nell'attacco a Stalino il C.S.I.R. perse 21.2 uomini (61 morti, 143 feriti, 8 dispersi) e catturò 1200 prigionieri. La marcia al Donez fu caratterizzata: dalla grande profondità dello sbalzo (oltre 200 chilometri) che richiese il continuo ricorso alla manovra per avanzare, proteggere i fianchi, parare le contromosse nemiche in una situazione di permanente crisi tattica e di difficile coordinamento dei movimenti della Celere e della Pasubio; dalla accanita resistenza delle retroguardie sovietiche impostata su larghezza di vedute, abilità tattica, decisione combattiva ed attuata con rinforzi di artiglierie e di mortai, con il ricorso da parte delle retroguardie ad una continua successione di combattimenti utilizzanti tra l'altro moltissimi ostacoli passivi (campi minati, mine sparse, interruzioni, distruzioni, ostacoli vari comunque impeditivi); dall'ambiente topografico e meteorologico avverso (neve, temporali, piste allagate, ecc.). Conquistata Stalino, il comando della l" armata corazzata, non volendo conquistare Rostov con una dispendiosa e forse impossibile azione frontale , decise di avvolgerne le difese per la sinistra, ordinando: al III corpo di schierarsi in difensiva; al XIV di agire verso est e, successivamente, a sud per aggirare Rostov da est; al XLIX di raggiungere la zona di Dmitrievka-Diakovo per garantire successivamente il tergo del XIV; al C.S.I.R. di occu-
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pare Gorlovka, Rykovo e la stazione di Tradovaja, sbocco dell'eleodotto del Caspio. Il possesso delle tre località assegnate al C.S.I.R. avrebbe dato maggiore sicurezza alla difesa di Stalino. Il generale Messe ordinò, pertanto, alla Celere di occupare la zona di RykovoGorlovka-Nikitovka e lo sbocco dell'oleodotto di Trudovaja, alla Pasubio di continuare il movimento verso est e di attestarsi rapidamente in zona Jekaterinovka, stazione di Dy1eika-Scelesnoje, a protezione del fianco sinistro e del tergo della Celere, alla Torino di proseguire a piedi verso Stalino dove non era ancora giunta. Le divisioni del C.S.I.R. ripresero il movimento, debeliarono le retroguardie nemiche e sostarono temporaneamente di fronte ad un forte schieramento avversario in attesa di raccogliersi per poter investire Corlovka che venne attaccata il 1° novembre mediante lo sviluppo • a conquistare in un primo tempo Rykovo di una manovra tendente con la Celere e ad investire successivamente l'abitato di Gorlovka con azione frontale da ovest da parte della Pasubio e con manovra avvolgente da est-sud-est da parte della Celere. Il 1° novembre il 3° bersaglieri conquistò Rykovo; lo stesso giorno la Torino si attestò sul fiume Krinka, in zona Im. Karova-Korsuni , a protezione del fianco meridionale della Celere; il 2 novembre la Pasubio , con i1 concorso del reggimento Novara, conquistò Corlovka dopo aspri combattimenti che ebbero inizio nei sobborghi della città, si svolsero nelle vie, si sminuzzarono in scontri di casa in casa contro le forze regolari sovietiche e contto i partigiani che insidiavano il tergo delle unità italiane attaccanti. Il C.5.1.R. il 2 novembre venne a trovarsi nella situazione di dover completare il raggiungimento dei suoi obiettivi con l'occupazione di Nikitovka (a nord di Gorlovka), di assicurarsi il possesso delle zone fra Rykovo e Gor1ovka, di garantire l'ala sinistra del XLIX corpo. Rykovo e Gorlovka vennero conquistate rispettivamente il 5 ed il 6 novembre, mentre i combattin1enti per la conquista di Nikitovka si protrassero, fra alterne vicende, fino al 12 novembre - offensiva di Nikitovka - perché 1'80° della Pasubio venne attaccato sul fianco destro da forti unità sovietiche (l'intera 74" divisione russa). Queste, sebbene ricacciate in un primo momento dalle unità italiane, tornarono all'attacco tentando di avviluppare l'intero reggimento, oramai isolato, che venne alla fine sbloccato dalla Celere, sostenuta dall'aviazione. Finalmente dopo ripetuti falliti tentativi di sortite, il reggimento riusci a svincolarsi ed a rientrare a Gorlovka . Le operazioni per la conquista di Nikitovka costarono 68 morti, 206 feriti e 6 dispersi, mentre quelle per lo sblocco dell'80° fanteria assediato in Nikitovka 62 morti,
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347 feriti e 10 dispersi. Con l'occupazione di Gorlovka e Rykovo e con l'operazione di Nilcitovka si chiuse il ciclo estivo-autunnale da] quale il C.S.I.R. usd vittorioso, ma in uno stato di efficienza ridotta, per cui si sarebbe reso indispensabile un periodo di riposo, una sosta dell'attività operativa, per poter ricuperare la capacità offensiva a quel punto esauritasi. Nel periodo 15 novembre-15 dicembre, il C.S.I.R. continuò ad essere impiegato, per ordine del comando della 1a armata corazzata (generale von Kleist), in altre due azioni offensive: l'attacco con obiettivo limitato di Ubescicce e l'offensiva di Chazepetovka. Il 17 novembre il comando delJa 1" armata dispose che il C.S.I.R. sfruttasse il successo ottenuto dall'ala sud della 17a armata nella zona di Artemovsk, continuasse l'avanzata verso est e dislocasse almeno una divisione nella zona della stazione Rassipnaia per dare protezione al fianco nord dell'armata. Quel giorno il quadro operativo del C.S.J.R. era caratterizzato: da una situazione fluida sulla fronte per la presenza di un nemico forte, minaccioso, aggressivo; <lal depauperamento degli effettivi di molte unità; dalla mancanza di riserve efficienti alla mano, giacché le sole unità non impegnate erano quelle della Celere, eccettuati i reggimenti a cavallo non impiegabili per il grave stato dei quadrupedi; dagli ampi varchi esistenti alle ali - 50 chilometri - fra lo schieramento del C.S.I.R. e quelli delle unità germaniche contermini; dal disseminamento di gran parte dei mezzi meccanici, delle artiglierie, dei traini, dei trasporti e dei servizi lungo centinaia di chilometri di profondità. Il generale Messe, che fin dal 26 ottobre aveva messo al corrente il Comando Supremo italiano ed il comando delJa 1a armata tedesca della grave situazione logistica, determinatasi a seguito di uno sforzo che era andato al di là delle possibilità effettive del C.S.I.R. e che era stato effettuato e superato solo in virtù dei sacrifici saputi compiere senza riserve e senza eccezioni dall'intero corpo di spedizione, informò il comando dell'armata che avrebbe potuto al massimo dislocare in zona Rassipnaia la sola aliquota motorizzata della Celere e svolgere in direzione di Ubescicce, con un'aliquota della Torino , un attacco con obiettivo limitato. Qualora questo fosse riuscito avrebbe consentito di portare la linea di resistenza sulla displuviale di Chezepetovka e di eliminare così il sa]jente avversario tra Gorlovka e Rykovo. Alle ore 9 del 19 novembre la Torino si mosse in direzione di Ubescicce dove solidamente organizzate a difesa insistevano rilevanti forze sovietiche. Le unità della Torino, arrestate dalla superficie gelata di un lago dominato dalla sponda opposta dal nemico,
LE OPERAZIONI PER LA CONQUISTA DI GORLOWKA E RVKOWO (1-2 NOVEMBRE 1941)
E COMBATTIMENTO DI NIKITOWKA (6-12 NOVEMBRE 1941)
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FILIPPO STEFANI
non riuscirono ad aver ragione dell'avversario e dovettero, a sera, rientrare suJJe posizioni di partenza. L'occupazione della zona della stazione di Rassipnaia venne effettuata da una colonna motorizzata (3° bersaglieri, 2 compagnie da 47 /32, LXII gruppo da 105/32, III gruppo da 75/27 della Torino , 2 batterie da 20 mm) che si schierò in modo da restare a contatto con il XLIV corpo e di proteggere in concorso con tale grande unità il fianco sinistro delJa armata. Frattanto la situazione della 1" armata subiva mutamenti sostanziali: dopo la conquista di Taganrog il III ed il XIV corpo avevano proseguito verso Rostov; la manovra convergente da Tuslov verso sud da parte del XIV e da ovest verso est da parte del III corpo aveva avuto ragione del nemico tanto che il 20 novembre il III corpo era riuscito ad occupare la città che venne, però, ricçmquistata nove giorni dopo da undici divisioni sovietiche appoggiate da un gran numero di unità carriste e di artiglieria. Dopo la riconquista sovietica di Rostov, le fronti del III e del XIV corpo prima e del XLIX e del C.S.I.R . successivamente venivano investite da una serie di attacchi alla ricerca di una via di penetrazione per sfondare e dilagare. Tali avvenimenti indussero i comandi tedeschi ad accantonare i propositi di ulteriori azioni offensive ed a dare inizio alla sistemazione delle grandi unità per la sosta invernale. Cosl, nel bacino del Donez fu costretto a fermarsi non solamente il C.S.I.R., come un mese prima aveva proposto il generale Messe, ma anche la stessa 1 armata corazzata (45). Lo schieramento del C.S.I.R., ampio 50 chilometri e con scarsa densità di forze, mancava di un ostacolo naturale sul quale poggiare e correva all'interno della zona industriale Gorlovka-Rykovo, per cui allo scopo di rettificarlo, irrobustendolo e raccorciandone l'ampiezza, di ricercare le migliori condizioni possibili per lo svernamento delle unità e di saldare lo schieramento della l" armata corazzata con quello della 170. armata, si rese necessaria, non esistendo le condizioni per un arretramento su posizioni di riposo, guadagnare con la forza posizioni avanzate più idonee di quelle raggiunte fino i..d allora. La battaglia, che prese il nome di Chazepetovka, alla quale concorse la 17" armata tedesca (con la 3a divisione germanica), durò dal 5 al 14 dicembre, impegnò l'intero C.S.I.R. e in particolare la Torino , fu molto aspra sia per la resistenza opposta dai sovietici sia per le condizioni ambientali - il C.S.I.R. subì le perdite di 135 morti, 523 feriti, 10 dispersi e 915 congelati - ma raggiunse pienamente i suoi scopi. Infatti, superati gli abitanti industriali che facevano parte della linea di resistenza ed ormai inglobati nelle retrovie, si era conquistata una 11
CAP. XXXVIII - OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE QUARTA)
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linea topograficamente e tatticamente forte - la linea Z - capace di assicurare protezione e, dietro di essa, possibilità di ricovero al C.S.I.R. per tutta la durata dell'inverno. Si era inoltre raggiunto un altro obiettivo dell'azione, quello cioè di effettuare la saldatura con la 17a. armata tedesca nella zona di Debalzevo. Infine si era raccorciato il fronte di circa venti chilometri (46). Impostata su di un'azione a tenaglia dell'ala destra della 1r armata (3" divisione tedesca) e dell'ala sinistra <lella 1a armata corazzata, vale a dire del C.S.I.R. e su di uno sfasamento dei tempi di inizio - anticipo di un giorno dell'azione della 17" armata - ebbe come protagonista dello sforzo principale la Torino e si sviluppò iniziahnente con l'attacco di tale divisione lungo il costone Rykovo-Chazepetovka, a cavallo della ferrovia, mentre la Pasubio con una colonna concorse all'azione attaccando da ovest verso est e con un'altra colonna procedette all'occupazione degli abitati di Sayzevo e Kalinisk; la Celere, infine, sviluppò ardite ricognizioni e conquistò Novo Petropavlovka, Kol, Ivan Orlovka e Ivanovskij. Il giorno 8 venne conquistata Chezepetovka, la cui conquista indusse subito, la stessa sera del giorno 8, il generale Messe a spostare verso est il centro di gravità dello schieramento. Nei giorni 9, 10, e 11 l'azione offensiva proseguì in una lotta divampante caratterizzata dai contrattacchi sovietici e dai combattimenti all'interno di molti abitati che caddero tutti nelle mani delle forze del C.S.I.R. nonostante che i sovietici li difendessero casa per casa. Frattanto il generale Messe procedette ad irrobustire lo schieramento ed a colmare il vuoto esistente fra l'ala sinistra della Celere e l'ala destra della Torino, talché il giorno 11 l'azione, svoltasi con sviluppo unitario nel settore settentrionale e alquanto frammentario e più costoso in quello meridionale, pur non avendo ancora raggiunto tutti gli obiettivi fissati, aveva g1a conseguito risultati notevoli anche se era stata costosa. Nei tre giorni successivi l'attacco proseguì contro le posizioni nemiche tenute da 2 reggimenti sovietici della 7 3a divisione schierati sulla ferrovia fra Chazepetovka e Debalzevo e dal 95° reggimento sovietico Guardie schierato nella zona di Grosnij-Jelenovka, settori nei quali i sovietici sostituirono nella stessa giornata dell'l 1 un reggimento con altro più robusto e fecero affluire un nuovo reggimento di fanteria rinforzato da uno squadrone di cavalleria. Le unità italiane, aprendosi faticosamente la strada sotto il violento fuoco di artiglieria e di mortai, conquistarono le posizioni del casello, della stazione di Balavin e Jelenovka, raggiungendo nei giorni 13 e 14 Grosnij, Savielevka a nord e posizioni a meridione di Jelenovka e Ubescicce a sud. Si con-
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FILIPPO STEFANI
LA BATTAGLIA DI CHAZEPETOWKA (LE OPERAZIONI DAL 7 AL 14 DICEMBRE 1941)
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CAP. XXXVIII - OPl::RAZIONT ITALO-Tl!DESCHE (PARTE QUARTA)
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eluse cosl l'ultima battaglia offensiva del 1941 intrapresa dal C.S.I.R., una delle più aspre, più complesse e più manovrate in cui l'abilità di condotta da parte del generale Messe, la combattività e la perizia dei quadri e dei soldati la ebbero vinta su di un nemico combattivo e determinato, ottimamente armato, abilissimo nello sfruttamento del terreno e degli abitati, deciso a difendere fino all'ultimo, senza cedimenti, il suolo della sua patria. Considerati gli ottimi risultati della azione, il comando della 1a armata avrebbe voluto che il C.S.I.R. effettuasse un altro balzo verso est per accorciare ulteriormente la fronte e per prendere contatto con il IV corpo d'armata tedesco nella zona di Debalzevo, ma il generale Messe, a ragione, oppose parere contrario nella considerazione che forza, inquadramento e stanchezza delle unità avrebbero potuto compromettere definitivamente le scarse energie residue, che l'ulteriore avanzata avrebbe dovuto urtare frontalmente contro posizioni tattiche salde, dominanti e presidiate in forze, che la fronte raggiunta era migliore di quella voluta dal comando Jella 1 a armata ai fini dello svernamento. Sulla base di tali e di altre considerazioni di carattere tattico, logistico e tecnico, il comando tedesco non insisté nell'ordinare il raggiungimento della linea Debalzovo-Nikischin ed approvò, sia pure con qualche ritardo, le decisioni del generale Messe. A conferma della validità della proposta di Messe, pochi giorni dopo una circolare del Comando Supremo germanico confermò la grande importanza degli abitati nella guerra invernale e ne ordinò l'occupazione e l'organizzazione a caposaldi (47). Il nuovo asse della posizione di resistenza venne fissato dal generale Messe lungo l'allineamento stazione Bulavin-SavielevkaUbescicce-Ianyj-Kommunar-Malo Orlovka-Jvanovskij-Petropavlovkastazione Rassipnaia. La Pasubio, rinforzata da un gruppo da 105/32 e da un gruppo artiglieria a cavallo, fu schierata nel settore settentrionale; la Torino cedette uno dei suoi reggimenti alla riserva di armata; tutte le altre unità tornarono alle loro normali dipendenze organiche. Ebbe così inizio dal 16 dicembre il ciclo difensivo invernale durante il quale il C.S.I.R. dové fronteggiare vari combattimenti locali dei quali particolarmente di rilievo quelli di Voroscilova (48), l'offensiva sovietica di Natale (49) e quella di Jzjum (50). L'organizzazione e la sistemazione della nuova posizione difensiva posero una serie di problemi di ordine logistico e tattico la cui soluzione, impostata e condotta con intelligenza, razionalità e sollecitudine dal generale Messe, fu il segreto dei successi difensivi e reattivi che il C.S.I.R. colse dalla metà di <licembre del 1941 alla
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LA BATI AGLIA DI NATALE L'OFFENSIVA RUSSA: 25-27 DICEMBRE 1941
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OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE QUARTA )
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fine di marzo del 1942, riuscendo a mantenere l'integrità delle sue posizioni nonostante la continua pressione nemica e le asperità dello ambiente. Sul piano logistico il generale Messe provvide all'immediato rifornimento delle dotazioni invernali alle unità con precedenza a quelle di prima linea, costituì una base logistica avanzata nella zona di Stalino per ridurre al minimo le linee dei rifornimenti, fece mettere in atto depositi avanzati di viveri, carburanti e munizioni a ridosso delle grandi unità, fece in modo di garantire il completo accantonamento delle derrate essendo la zona povera di magazzini, fece sgomberare le frazioni di magazzino rimaste disseminate dalla Romania a Dniepropetrovsk, requisì tutte le slitte a traino animale che gli fu possibile trovare in modo da sostituire gli automezzi. La crisi logistica, che aveva toccato il suo vertice nel mese di novembre, venne superata con accorgimenti, ripieghi, fatiche, sicché alla fine di dicembre tutte le unità in linea e nelle retrovie disposero della dotazione completa dell'equipaggiamento invernale e poterono venire regolarmente rifornite di tntto il necessario, grazie anche al ripristino del funzionamento della ferrovia Dniepropetrovsk-Griscino. Nel campo tattico la linea L, naturalmente forte, fu potenziata mediante numerosi e complessi lavori difensivi e ne venne garantita la continuità. L'organizzazione si plasmò sui seguenti concetti: ossatura della posizione di resistenza sugli abitati; trasformazione di ogni abitato in un caposaldo con propria autonomia tattica e logistica; raccordi tra caposaldo e caposaldo mediante opere di scavo per dare consistenza maggiore all'insieme di più caposaldi e per evitare larghe soluzioni di continuità; individuazione delle piste di rifornimento con pali per assicurarne la percorribilità anche durante le frequenti bufere di neve (51). L'offensiva sovietica di Natale - iniziatasi il 25 dicembre e conclusasi con il contrattacco italiano il giorno 28 - si scatenò in forze sulla fronte della 3" Celere (63" legione Tagliamento e 3° bersaglieri) e con un'azione dimostrativo-impegnativa su di un caposaldo avanzato della Torino quasi subito respinta da un contrattacco di compagnia. Sulla fronte della 3" Celere l'attacco sovietico ebbe un notevole successo locale ed alla sera del giorno di Natale: erano caduti in mano sovietica i caposaldi di Novo Orlovka, Krestovka, Petropavlovka; il caposaldo di Jvanovskij era stato per metà riconquistato; i caposaldi di Rassipnaia e Michailovka resistevano. Il mattino seguente la Celere passò decisamente al contrattacco insieme con le unità tedesche di riserva con essa operanti, mentre anche la Pasubio impegnò le difese nemiche dell'alto Bulavin-Timofejevskij
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e manovrò verso est per cadere sul fianco delle colonne russe partite dalla zona di Olkovatka-Kurgan Ploskij con l'intento di dilagare sull'ala sinistra della 3a Celere. Il contrattacco ebbe nel suo complesso esito favorevole in quanto, se non altro, riuscì a frantumare il poderoso sforzo offensivo sovietico ed a quasi ripristinare la situazione iniziale. Il 27 dicembre le ultime unità avversarie vennero eliminate ed il C.S.I.R. poté nuovamente consolidarsi sulle sue posizioni. Il comando della 1" armata corazzata ordinò allora al XLIX corpo alpino tedesco d'inseguire il nemico fino alla linea GrabovaNikitino ed al C.S.I.R. di svolgere un'azione con la 3a Celere attaccando in un primo tempo le alture lungo la linea Voroscilova-posizioni a sud-est di Olvatka e approfondendo successivamente la penetrazione fino ad affermarsi sulle alture ad ovest di Nikitino. L'operazione nella prima fase, il giorno 28 dicembre, riusd e le forze italiane e tedesche ebbero il sopravvento; nelia seconda fase, il 29 ed il 30 dicembre, non persegui ulteriori progressi per la forte resistenza ed i violentissimi contrattacchi sovietici. Domate, comunque, le ultime resistenze, il C.S.I.R. poté conferire un maggiore equilibrio allo schieramento e realizzare il suo assetto definitivo lungo l'asse casello-stazione Savielevka-q. 227,4-Ubescicce-Junyi Kommunar-Malo Orlovka-Novo Orlovka con posizioni avanzate e Ploskij e sulle alture adiacenti a Vessieli. In prima linea vennero schierate la Pasubio, dalla ferrovia Chezepetovka-Debalzevo al medio Bulavin e la Torino dal medio Bulavin alla linea di contatto. La 3a Celere e 1'82° fanteria vennero schierati in zona Vessieli-Junyi Kommunar. La battaglia di Natale fu vinta principalmente dalla tenace fermezza e dalla bravura dei nostri soldati; tutti indistintamente lottarono con coraggio e impeto: fanti, bersaglieri, militi, artiglieri, genieri. Alla deficienza numerica dei reparti, essi seppero sopperire con le più alti doti morali e di perizia militare (52). Nonostante la schiacciante superiorità della massa applicata nel delicato punto di giunzione, i sovietici non riuscirono a raggiungere gli obiettivi che si erano proposti e che verosimilmente erano molto in profondità. Le perdite italiane nella battaglia di Natale furono di 168 morti, 715 feriti, 207 dispersi, 305 congelati, mentre i sovietici ebbero 2000 morti e 1200 prigionieri oltre la perdita di 24 cannoni da 76, di 9 pezzi controcarro, di 22 mitragliatrici, di 100 moschetti automatici, di centinaia di fucili, di 12 autocarri, di 4 autovetture, di 200 veicoli a traino animale e di notevoli quantitativi di munizioni e di altri materiali. Il 21 gennaio i sovietici dettero inizio ad una grande offensiva
CAP. XXXVlU • OPERAZIONI I TALO-TEDESCHE ( PARTI:: QUARTA)
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LA BATIAGLIA DI NATALE LA CONTROFFENSIVA ITALO.GERMANICA: 28-31 DICEMBRE 1941
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in Ucraina contro la 17a armata tedesca e riuscirono a creare ad ovest di Jzjum un ampio saliente profondo circa 100 chilometri ed ampio 80. Il 29 gennaio, al fine di assicurare alla grande battaglia in corso uno sviluppo unitario, l'Alto Comando tedesco fuse in un unico gruppo di armate, alle dipendenze del generale von Kleist, la 1a armata corazzata e la 17a armata. Il C.S.I.R. concorse inizialmente alla controffensiva tedesca mediante la costruzione di appositi reparti di allarme incaricati di sventare il pericolo che le formazioni di cavalleria e corazzate sovietiche cadessero sulla ferrovia Stalino-Griscino-Dniepropetrovsch interrompendo l'unica via di rifornimento della l" armata e del C.S.I.R. (53). Nel quadro della grande battaglia di Jzjum il 27 febbraio i sovietici, dopo una massiccia preparazione di artiglieria di medio e piccolo calibro, attaccarono a fondo la fronte del C.S.I.R. con obiettivo locale il villaggio di Novaja Orlovka. L'attacco venne scompaginato e si arenò senza speranza. Egual sorte ebbero gli attacchi locali contro il caposaldo di Malo Orlovka e i nuovi ripetuti attacchi contro il caposaldo di Novaja Orlovka del 6 marzo. Le altre unità del C.S.I.R. non rimasero inattive ed effettuarono numerosi attacchi locali dei quali il più importante fu quello svolto nei settori della Pasubio e della Torino il 22 marzo contro Olkovatka. Ad esso partecipò anche il battaglione alpini Monte Cervino su 2 compagnie giunto alla fronte il 21 febbraio e messo alle dipendenze del comando del C.S.I.R. con compiti di ricognizione sulle fronti della Pasubio e della Torino. Nell'azione del 22 marzo le unità attaccanti superarono di slancio la zona di sicurezza avversaria e si affacciarono da due direzioni convergenti sulla conca di Olkovatka impegnando decisamente la linea di resistenza sistemata in contropendenza. I sovietici reagirono impegnando in combattimento la 3a Celere. Constatata l'impossibilità di esiti tattici di rilievo, ripiegarono. Anche le colonne della Pasubio e della Torino, raggiunto lo scopo della loro azione, rientrarono nelle proprie posizioni. L'esperienza di guerra sulla fronte russa aveva indotto il generale Messe, fin dal dicembre 1941, ad avanzare proposte di riordinamento al Comando Supremo italiano tendenti a: trasformare la Y Celere in divisione motorizzata; assegnare al C.S.I.R. 2 divisioni, preferibilmente alpine, per sostituire le 2 divisioni autotrasportabili da trasformare in divisioni motorizzate; ripianare le perdite dei quadrupedi; costituire un raggruppamento a cavallo con i due reggimenti di cavalleria ed il reggimento artiglieria a cavallo; rinforzare il C.S.I.R. mediante l'assegnazione di carri M, di un battaglione guasta-
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tori e di un secondo raggruppamento di artiglieria con materiale da 149/40; sostituire il gruppo da ricognizione CA 311 con 2 squadriglie BR 20; assegnare altre due squadriglie da caccia possibilmente di velivoli MC 202; ripianare gli automezzi, i motomezzi e gli altri materiali, nonché le perdite di personale. Ciò che riusci a realizzare dal 15 marzo fu solo la trasformazione della J" Celere in divisione motorizzata. Essa venne costituita su 2 reggimenti bersaglieri (3° e 6°), 1 battaglione bersaglieri motociclisti, il IC batta-
OFFENSIVA RUSSA DI IZVUM E CONTROFFENSIVA GERMANICA (GENNAIO-FEBBRAIO 1942)
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glione motorizzato mortai da 81, una compagnia motorizzata cannoni da 47 /32, il 120" reggimento artiglieria motorizzato (1 gruppo obici da 100/17, 2 gruppi cannoni da 75/27). Successivamente, nell'estate, la divisione ricevé un battaglione bersaglieri corazzato armato di carri L 6/40 e il gruppo semoventi da 47 /32 Cavalleggeri di Alessandria. Cominciarono anche ad affluire i contingenti di complementi per cui la consistenza numerica delle unità migliorò sensibilmente.
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Dall'aprile al giugno il C.S.I.R. concorse alla controffensiva germanica nella sacca di Jzjum conclusasi con l'annientamento di due armate sovietiche il 28 maggio. La controffensiva tedesca aveva avuto inizio il 17 maggio ad opera della 17• armata e del III corpo corazzato. La manovra concentrica del III e dell'XI corpo tedesco eliminò le forze nemiche rimaste tra il Samara ed il Donez. Partecipò alla azione il raggruppamento Barbò che, rinforzato da unità tedesche, marciò alla conquista del costone di Mal Rastol ed occupò, combattendo all'arma bianca, l'abitato di Klynovoj che poi perse pur continuando a tenere impegnati cospicui contingenti nemici. Intanto la manovra del III e dell'XI corpo prese un ritmo cosl deciso ed intenso che il comando tedesco chiese al generale Messe l'intervento di altre unità italiane, che vennero messe a disposizione nella misura di 2 gruppi tattici, ciascuno su 1 battaglione di fanteria e 1 gruppo di artiglieria. I 2 gruppi di artiglieria rientrano al C.S.I.R. il 7 giugno; i 2 battaglioni di fanteria solo il 26 giugno essendo stati impiegati alle dipendenze di un raggruppamento tedesco per la protezione di un tratto di ferrovia . Anche la 3n Celere, già impiegata alle dipendenze del XLIX corpo alpino tedesco, rientrò nell'ambito del C.S.I.R. che, frattanto, dal 3 giugno aveva cambiato dipendenza d'impiego passando dalla 1• armata corazzata tedesca, con la quale aveva operato per dieci mesi, alla 17"' armata. Questa, in data 9 luglio, si costituì in Gruppo armate Ruoff (54) e mantenne temporaneamente alle sue dipendenze il C.S.I.R., il quale, sotto la stessa data, assunse l'ordinativo di XXXV corpo d'armata C.S.I.R. in previsione di passare alle dipendenze dell'8n armata italiana, ARMIR, agli ordini del generale Italo Garibaldi, armata che allora era in fase di costituzione, di trasferimento e di radunata. Durante tutto il mese di giugno e nella prima decade di luglio non ebbero luogo sulla fronte del C.S.I.R. combattimenti di rilievo, ma le unità italiane dovettero continuare a difendersi dai frequenti attacchi di carattere locale e dai colpi di mano sovietici diretti, con particolare insistenza, contro le fronti della Pasubio e della 3° Celere. Di tali azioni ebbe particolare rilievo quella del 27 giugno contro due caposaldi del 6° bersaglieri - che rappresentò il battesimo del fuoco di questa nuova unità - respinta prontamente non senza sensibili perdite per l'attaccante. Con tale azione si concluse l'attività operativa del C.S.I.R. come tale. Il C.S.I.R. in oltre dieci mesi d'intensa e costante attività operativa, carica d'impegno e di enormi difficoltà di carattere tattico e soprattutto logistico, aveva dato più di quanto di volta in volta gli fosse stato richiesto - che pure era stato moltissimo - e
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più di quanto le situazioni obiettive gli avrebbero consentito. Il suo comportamento generale e costante ed i suoi successi offensivi e difensivi, taluni determinanti nel quadro delle grandi battagalie tedesche, erano stati superiori a tutte le aspettative. Il comandante, i capi ed i gregari avevano supplico alle carenze originarie, avevano quasi sempre battuto il nemico dal quale erano stati talvolta arrestati, mai sconfitti, in virtù delle elevati doti e qualità morali e professionali del generale Messe, degli altri comandanti, degli stati maggiori e dei valori spirituali e tecnici delle varie unità e dei singoli. Il C.S.I.R. aveva dato un bellissimo saggio di quanto i soldati italiani siano capaci, se bene comandati e addestrati, anche in situazioni di vita e di combattimento difficilissime. Un maggiore grado di mobilità e la disponibilità di carri armati diversi dagli L 3 avrebbero consentito successi maggiori, diminuito i disagi, le fatiche, le privazioni, ridotto le perdite ed esaltato la capacità operativa. Ma il C.S.I.R., lo ripetiamo, non era una grande unità tattica corazzata o motorizzata - sebbene il suo grado di mobilità fosse notevolmente superiore a que1le delle grandi unità tedesche e sovietiche similari - ma uno strumento bellico tradizionale, le cui debolezze costituzionali maggiori erano rappresentate dalla scarsezza e vetustà delle artiglierie e dalla ridotta potenza del fuoco controcarro. La ampiezza dei settori nei quali fu chiamato spesso ad operare - dieci volte maggiore di quella prevista dalla dottrina tattica in vigore acuì le debolezze costituzionali e ridusse a valori inconsistenti la capacità operativa; malgrado ciò il C.S.I.R. combatté con valore e perizia e se qualche unità dové talvolta cedere di fronte alla schiacciante superiorità di forze e di fuoco del nemico, nessuna di esse disertò il combattimento fino all'estremo dellè possibilità umane. Dopo oltre dieci mesi di combattimento, il C.S.I.R. riuscì a conservare, naturalmente con vuoti organici molto sensibili, l'integrità ordinativa iniziale. :È questo il dato di fatto che più e meglio di ogni altro prova il soddisfacente livello della capacità operativa del C.S.I.R., largamente riconosciuto dai comandi tedeschi che non ebbero mai l'occasione, che non si sarebbero lasciati sfuggire, di muovere addebiti e lagnanze al corpo di spedizione italiano. A tale riguardo non si può non sottolineare come le tensioni, che pure vi furono, tra comandi tedeschi e italiani ebbero spesso origine dalla supervalutazione tedesca delle possibilità operative delle unità italiane e dall'impressione che spesso i comandi tedeschi davano di non considerare sufficientemente il problema logistico, che il generale Messe giustamente anteponeva nella particolare situazione a
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quello tattico. Sul campo di battaglia la cooperazione italo-tedesca non venne mai meno ed in numerose circostanze si tradusse in una vera e propria gara di emulazione nel darsi reciproco sostegno. Le operazioni di rastrellamento - poco gradite al generale Messe ed agli altri comandanti italiani che le consideravano quasi una menomazione - furono spesso assegnate alle unità italiane non per malanimo, scarsa considerazione o volontà di umiliazione, ma perché nella guerra di movimento in pianura protagoniste della manovra erano divenute le grandi unità corazzate e motorizzate, alle quali le grandi unità di fanteria tradizionali avevano dovuto cedere il ruolo determinante, assumendo per sé compiti di concorso ed ausiliari. D'altra parte il generale Messe, che fin dal primo momento aveva saputo conquistarsi la stima e la fiducia dei comandi tedeschi per le sue alte qualità di capo e di soldato e per la sua competenza e capacità, fu vigile ed attento custode del prestigio militare italiano e non meno costante e diligente ricercatore delle migliori condizioni di vita e di lotta delle unità sotto il suo diretto comando. Non tutto naturalmente andò sempre per il meglio nei vari settori di attività, ma il bilancio del C.S.I.R. si chiuse, nel complesso, con un saldo attivo molto elevato.
4. La costituzione del C.S.I.R. aveva segnato il massimo dello sforzo realizzabile da parte italiana a favore della guerra sulla fronte sovietica senza grave nocumento per le operazioni negli altri scacchieri di più diretto interesse strategico italiano. Tentare di andare al di sopra ed al di fuori di quelle che sarebbero state le esigenze di rifornimento e di ripianamento delle perdite del C.S.l.R. avrebbe costituito chiaramente un'impresa tecnicamente impossibile, comunque dannosa, da rifiutare decisamente anche nel caso fosse stata richiesta dall'Alto Comando tedesco. Dimostrarne a Mussolini la assurdità tecnica in relazione alle esigenze prementi e divoratrici degli scacchieri africano e balcanico ed alle previdenze necessarie a favore dello scacchiere occidentale e di quello metropolitano sarebbe stato categoricamente doveroso da parte del Comando Supremo e degli stessi stati maggiori dell'esercito e dell'aeronautica. A tale dovere vennero meno il generale Cavallero ed il generale Roatta e, in tempi successivi, il generale Ambrosia ed il generale Fougier, ma la responsabilità maggiore fu del generale Cavallero che, al limite,
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non avrebbe dovuto esitare a mettere a disposizione di Mussolini la sua carica qualora questi avesse insistito nd proposito d'inviare nuove grandi unità in Russia, proposito manifestato fin dal 13 luglio 1941 quando cioè non era stata ancora completata la radunata del C.S.I.R. Viceversa, il generale Cavallero, nella stessa giornata, mise allo studio del Comando Supremo ed iniziò a curare direttamente la formazione di un nuovo complesso di unità per la Russia attivando il generale Roatta, il luogotenente generale Galbiati, capo di stato maggiore della milizia e, per la risoluzione del problema degli automezzi, il generale Favagrossa sottosegretario di Stato per le fabbricazioni di guerra, il generale Scuero sottosegretario per la Guerra ed il colonnello Enrico Guido Girola capo del servizio tecnico di artiglieria (65). La scelta iniziale delle unità da inviare cadde sulle divisioni Granatieri di Sardegna e Livorno e sul raggruppamento della milizia Galbiati (3 battaglioni) per il quale ultimo il generale Cavallero raccomandò al luogotenente generale Galbiati una selezione del personale accuratissima: bisogna marciare con bandiere alte e spiegate_ Il 24 luglio in una Memoria sulla situazione politicomilitare Mussolini faceva il conto delle divisioni che sarebbero occorse all'Italia per proseguire la guerra, valutandone indispensabili 10 per la fronte africana (2 motorizzate italiane, 6 normali italiane, 2 tedesche sostenute da una massa di apparecchi italo-tedeschi non inferiore a 500 unità), altre 3 per la costituzione di un secondo corpo d'armata per la fronte russa (oltre il raggruppamento Galbiati), 10 per la fronte occidentale stante l'ambiguo ostile atteggiamento della Francia (1 corazzata, 1 motorizzata, 4 alpine, 4 normali), 3 (normali) per la Corsica, 4 per la Tunisia (3 normali e 1 motorizzata), 10 per i Balcani (6 normali, almeno 2 corazzate e 2 motorizzate) , 4 per la Sicilia, 3 per la Sardegna, 20 per la costituzione della massa di manovra. Nella primavera del '42 l'esercito deve avere non meno di 80 divisioni (56). Farneticava o indulgeva alle seduzioni dell'immaginario? In ogni caso era fuori dal mondo della realtà, che non offriva motivi per nutrire illusioni siffatte. Esatta la sua previsione circa l'ulteriore lunga durata della guerra, precisa la valutazione della situazione in Cirenaica - dove non gli appariva possibile per il momento prendere l'iniziativa perché T obruch resiste, perché le nostre forze sono insufficienti, perché le forze nemiche sono in via di progressivo accrescimento - chiara la sua visione delle fronti potenziali che si sarebbero potute aprire nel futuro (Francia, Tunisia, Corsica, Sicilia, Sardegna e la stessa penisola), forse altresl realistico il calcolo complessivo del fabbisogno di divi-
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sioni (non però quello del tipo di divisioni) per coprire le numerose esigenze in atto e potenziali. Il suo ragionamento usciva però dal binario della logica allorché, invece di guardare coraggiosamente al realizzabile, dava per scontato il raggiungimento dell'obiettivo di 80 divisioni idonee a sostenere il nuovo tipo di lotta per il quale mancavano armi e mezzi. Addirittura assurda la considerazione che « Dato quanto altri stati minori del nostro hanno fatto, bisogna preparare un secondo corpo d'armata motorizzato più o meno a seconda delle possibilità, oltre il reggimento Galbiati, per la fronte russa » in quanto « Non possiamo essere meno presenti della Slovacchia e bisogna sdebitarci verso l'Alleato », quasi che la Slovacchia avesse gli stessi impegni bellici dell'Italia e questa non avesse da pensare a tutte le fronti che egli stesso precisava con tanta ricchezza di particolari, sebbene non tutti indovinati ed appropriati. Lo stato maggiore generale e gli stati maggiori di forza armata non espressero nessun apprezzamento sul promemoria di Mussolini, non so11evarono obiezioni di sorta, non manifestarono dubbi o perplessità; lo intesero anzi come ordine più che come direttiva programmatica. Messa al confronto della realtà - esistenza di armi e di mezzi e fondate previsioni circa la capacità produttiva dell'industria bellica italiana in rapporto alla disponibilità di materie prime, alla potenzialità degli stabilimenti di fabbricazione ed alle possibilità della mano d'opera specializzata - la direttiva di Mussolini non poteva non risultare utopistica e perciò da ricusare soprattutto là dove indicava opportunità politiche, quali al massimo poteva essere quella di un secondo corpo d'armata per la fronte orientale, affatto prioritarie ed urgenti, anzi addirittura superflue, nel quadro della situazione bellica del momento. Poco mancò, invece, che il secondo corpo d'armata per la Russia non partisse nel mese di agosto del 1941 se non si fossero verificati l'intervento contrario del generale Messe e le dichiarazioni esplicite dell'Alto Comando tedesco circa l'impossibilità tedesca di dare alcun aiuto in fatto di automezzi (57). Il generale Messe, venuto a conoscenza dell'approntamento da parte del Comando Supremo del secondo corpo d'armata (58), con le fanterie a piedi e con la sola artiglieria ed i servizi motorizzati, si affrettò ad informare lo stesso Comando Supremo che l'invio al fronte russo di un altro Corpo d'Armata, dotato di tanti limitati mezzi automobilistici, avrebbe costituito un grave errore e che, pertanto, ne era sconsigliabile la partenza (59). Il maresciallo Keitel, il 2 agosto con lettera (60) ed il 25 in un colloquio con il generale Cavallero (61), invitò la parte italiana a considerare bene la que-
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stione degli automezzi, prima di decidere l'invio del nuovo corpo d'armata, perché ve ne era grande penuria nella stessa Germania, tanto che Hitler si era deciso a malincuore ad avviare alla fronte russa tutta la produzione automezzi di luglio e perché non sarebbe stato prudente utilizzare gli automezzi destinati alla Libia. Al che il generale Cavallero fece presente: che l'Italia non era in condizioni di dare al secondo corpo d'armata tanti automezzi quanti ne aveva dati al primo; che avrebbe riferito a Mussolini il pensiero del maresciallo Keitel; che, comunque, se lo si fosse dovuto inviare, il secondo corpo d'armata sarebbe stato pronto a partire fin dai primi di settembre. Rientrato a Roma dopo l'incontro, in luogo di prendere la palla al balzo offertagli dal maresciallo Keitel e non pensare più all'invio di altre grandi unità in Russia, il generale Cavallero riesaminò il progetto che prevedeva l'invio a lunga scadenza di un massimo di 12 divisioni a condizione che vi fosse situazione tranquilla su tutte le altre fronti; ridusse da 12 a 6 il numero delle divisioni - si potrebbero dare al massimo, in relazione alla situazione , 6 divisioni riducendo le tmppe alla frontiera occidentale e della riserva centrale (supposto che vi sia una situazione tranquilla). Da tener presente che la Balcania dà ancora preoccupazioni e quindi impegna 4 divisioni (62) - ; rimandò la partenza delle nuove unità alla primavera del 1942 nella considerazione che fino a tale epoca la produzione degli automezzi era tutta ipotecata per la Libia e che mancavano anche le armi anticarro, le mitragliatrici ed i fucili mitragliatori; concluse: « Invio truppe in Russia. Previsione di 6 divisioni più 2 comandi di corpo d'armata ed un comando di armata per primavera (automezzi a cura della Germania) ». Una conclusione dilatoria, ma non di definitiva rinuncia; piena di illusioni circa la tranquillità sulle altre fronti e sul concorso di automezzi da parte tedesca. Nel mettere al corrente Mussolini circa il prorgamma di invio di nuove unità in Russia per la primavera del 1942, il generale Cavallero ne subordinò l'attuazione alle condizioni essenziali del completamento del piano di potenziamento dell'esercito previsto per la primavera del 1942 e della tranquillità sia nei Balcani sia alla frontiera occidentale, e sottolineò che le divisioni avrebbero potuto essere al completo di personale e di mezzi, ma non avrebbero ricevuto né l'aliquota aggiuntiva di armi controcarro e contraerei fornita a suo tempo alle unità del C.S.I.R. né gli automezzi per il loro autotrasporto ai quali avrebbero dovuto provvedere le autorità germaniche (63). Può darsi che il generale Cavallero, avuto un ripensamento sull'ottimismo dei mesi di luglio e di agosto, inten-
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desse con l'appunto del 23 ottobre indurre Mussolini a desistere dal proposito d'inviare altre grandi unità. Ma, mentre non esistono documenti che confermino tale supposizione, è noto che l'attività per l'approntamento delle nuove grandi unità, ripresa in forma concreta il 2 dicembre, non ebbe più soste fino alla primavera (64). Ciò, malgrado la seconda controffensiva britannica in Africa settentrionale dell'autunno del 1941, l'entrata in guerra degli Stati Uniti alla fine dell'anno, gli impegni di forze e di mezzi per la preparazione e l'effettuazione dello sbarco su Malta, il deteriorarsi della situazione nei Balcani dove appariva necessario che in primavera si agisse in forze contro i ribelli, e i risultati dei colloqui di Mussolini con Hitler di fine aprile durante i quali era stata confermata l'indispensabilità che l'Italia si tenesse pronta aUa frontiera occidentale per marciare nella Francia con forze adeguate, tra le quali almeno una divisione corazzata, nel caso di sbarchi anglo-americani sulla costa francese, specie in Bretagna ed in Normandia (65) . Nella primavera del 1942 non solo non esisteva nessuna delle due condizioni basilari poste dal generale Cavallero nell'ottobre del 1941 per l'attuazione del piano - completamento del programma di potenziamento dello esercito e situazione di tranquillità sulla frontiera occidentale e nei Balcani - ma il quadro d'insieme della situazione politico-strategica generale e di quella particolare dell'Italia si era fatto molto più incerto e oscuro, per cui l'invio di altre grandi unità in Russia, indipendentemente dalle possibilità di dotarle di aliquote aggiuntive di armi e di completarle con automezzi tedeschi, avrebbe inciso da solo molto negativamente, fino a comprometterne la fattibilità , sul soddisfacimento delle altre esigenze primarie, tra le quali appunto la sicurezza della fronte occidentale e della regione balcanica, nonché sulle possibilità di alimentazione della Libia, dove si veniva preparando la ripresa offensiva da Ain el Gazala, e di completamento dell'operazione C. 3 in corso d'intensa preparazione. Tutto, dunque, era contro, ma Mussolini non volle ritirare l'offerta fatta da Hitler fin dall'agosto del 1941 (66), tanto più che ora era proprio questo ultimo a chiedere l'invio di grandi unità anche alla Croazia (67) . Il generale Cavallero, nonostante le difficoltà sempre maggiori di reperimento delle armi controcarro e contraerei, degli automezzi e dei mezzi di collegamento (68), non trovò il coraggio di suggerire a Mussolini la rinunzia e di consigliarlo perché non aderisse alla richiesta tedesca di divisioni alpine italiane (69). Egli si limitò invece a stabilire che prima dell'invio di altre unità venissero portati a compimento i trasporti dei complementi per il C.S.J.R., che il
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trasporto delle divisioni alpine venisse iniziato dopo il completamento di quello del nuovo corpo d'armata e del comando della costituenda armata, che l'invio delle nuove unità non dovesse avere inizio prima del 1° aprile (70); nel contempo rappresentò ripetutamente alle autorità tedesche l'impossibilità di dotare di automezzi le nuove 3 divisioni è decise di sottrarre le batterie da 7 5 / 46 contraerei dalla difesa del territorio nazionale, sostituendole con batterie da 7 6 / 40, nonché di ridurre l'armamento controcarro di alcune grandi unità dislocate di Italia per trasferirlo a quelle in partenza per la fronte orientale (71). A proposito dell'approntamento delle nuove unità per Ja Russia il generale Cavallero ebbe, il 27 gennaio del 1942, un lungo colloquio con il generale Ambrosio, subentrato dal 19 gennaio al generale Roatta nella carica di capo di stato maggiore dello esercito, durante il quale venne deciso di predisporre un comando di corpo d'armata, 3 divisioni di fanteria e 3 divisioni alpine, con la riserva di inviare queste ultime solo se fosse stato necessario e comunque non prima che avesse avuto termine il trasporto, di previsto compimento non prima della metà di giugno (72), delle altre unità. Nello stesso colloquio il genera1e Ambrosio, esponendo la situazione dell'esercito, fece presente che: le divisioni alpine non sarebbero state del tutto complete, ma sarebbero comunque state impiegabili dalla primavera; delle 3 divisioni celeri, la 2" sarebbe stata trasformata in corazzata, la 3" (già in Russia) in divisione bersaglieri, la ia sarebbe rimasta incompleta; delle divisioni autotrasportabili, a parte la Pasubio e la Torino già in Russia, la Piacenza, la Veneto e la Mantova erano e sarebbero rimaste incomplete; delle 4 divisioni corazzate, l'Ariete stava completandosi con i carri della Littorio, questa stava ricostituendosi con un reggimento bersaglieri, un battaglione carri, una batteria controcarri e con equipaggi senza carri, la Centauro sarebbe stata completata a fine aprile, la 2a Celere sarebbe rimasta incompleta; delle divisioni tipo A.S., la Lombardia, la Superga, la Piave, la Pistoia sarebbero state pronte a fine aprile, mentre la Brescia, la Trento, la Pavia, la Bologna e la Trieste sarebbero rimaste incomplete; la divisione paracadutisti sarebbe stata pronta a fine aprile e quella aviotrasportabile a fine giugno; delle 39 divisioni di fanteria: 2 (Granatieri e Livorno) erano complete e 37 incomplete, di cui 4 sarebbero state completate a fine aprile. Sulla base di tali previsioni, nella prima decade di aprile, vennero definite le formazioni organiche della nuova armata su 3 corpi d'armata - II, C.S.I.R., alpino - con un considerevole complesso di unità direttamente dipendenti dal comando d'Armata (73). Venne
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inoltre scelto il comandante dell'armata nella persona del generale Italo Gariboldi. Infine venne previsto l'accantonamento delle dotazioni di equipaggiamento per il futuro inverno e venne intensificato l'addestramento, specie alle lunghe marce a piedi, già iniziato da tempo (74). I tempi d'inizio dei trasporti di radunata erano già stati indicati dall'Alto Comando tedesco ed accettati dal Comando Supremo italiano fin dal 6 febbraio: un comando di corpo d'armata e 3 divisioni dal 1° maggio, il comando di armata ed un comando di corpo d'armata e le altre divisioni dal 1° giugno (75). Diversamente dal C.S.I.R. destinato costituzionalmente ad operare strettamente inquadrato in una grande unità di livello superiore, l'armata, grande unità fondamentale della manovra strategica, avrebbe dovuto disporre in proprio dei due elementi essenziali della manovra, vale a dire della riserva di fuoco terrestre ed aereo e della riserva di forze, senza i quali l'armata perde la sua fisionomia strategica e non è in grado di svolgere il ruolo che le è proprio. L'aspetto ordinativo ed organico che il Comando Supremo e lo stato maggiore dell'esercito conferirono all'8a armata fu quello di una grande unità formata per combattere in terreno montano, come sembrava essere destinata a fare in conformità con le intese politiche e militari intercorse tra l'Italia e la Germania; ma anche in tale caso un'armata non poteva più prescindere, nella primavera del 1942, per la manovra strategica, dalla disponibilità in proprio di unità corazzate per condurre azioni offensive e difensive connesse al suo ruolo. L'assoluta impossibilità di assegnare alla ga armata tali unità e mezzi corazzati in genere avrebbe dovuto indurre i responsabili a rinunziare alla costituzione di un'armata, che tale era di nome ma non di fatto, ed a ripiegare, una volta adottata la decisione sbagliata di rinforzare la presenza italiana sulla fronte russa, sulla costituzione di corpi d'armata a sé stanti, da inquadrare nelle armate germaniche, come era stato fatto con il C.S.I.R. Si volle, invece, con l'intendimento di salvaguardare il prestigio del Paese e delle forze armate italiane, riunire tutta la rappresentanza militare italiana in un complesso unico ed unitario di forze, sotto comando italiano, senza badare o rendersi conto che esso, oltre a non essere omogeneo, sarebbe stato ancora di più operativamente subordinato ai comandi tedeschi, gli unici che disponevano di riserve corazzate strategiche e tattiche. Qualora ciascuno dei 3 corpi d'armata fosse stato inquadrato in un'armata germanica, l'intervento delle riserve corazzate ne avrebbe guadagnato in tempestività ed aderenza e non sarebbe risultato, come sempre fu, tardivo e inadeguato. Lo
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scalamento della responsabilità dell'impiego delle grandi unità italiane dal livello del gruppo armate a quello dell'armata avrebbe inoltre legato più strettamente l'azione tattica dei corpi d'armata di entrambe le parti e i comandi tedeschi si sarebbero sentiti più direttamente interessati alle vicende ed alla sorte delle forze italiane operanti nel loro ambito. Tale tesi, di per sé opinabile, acquista solido fondamento qualora si tenga presente che il Comando Supremo italiano non solo non esercitò - né l'avrebbe potuto - alcuna influenza decisionale sulla condotta delle operazioni su quella fronte durante i vari cicli operativi, ma rinunziò a qualsivoglia intervento, sia pure sotto forma di richiesta o di suggerimento, in base alla direttiva espressa da Mussolini: lasciamo che il comando faccia (76), intendendo dire il comando tedesco. Non solo, dunque, l'invio di altre forze in Russia - al quale, in un estremo tentativo di dissuasione, il generale Messe cercò di opporsi ancora una volta, purtroppo inutilmente, il 2 giugno 1942, manifestando direttamente a Mussolini l'opinione che l'invio di una intera armata costituiva un grave errore (77) - fu una decisione tanto arrischiata quanto disastrosa; ma la riunione delle nuove unità con quelle già in sito in un'unica armata, senza che a questa si fosse potuta date l'indispensabile autosufficienza di manovra, moltiplicò gli effetti negativi della decisione stessa e produsse risultati opposti a quelli che si sarebbero voluti conseguire. Furono cosl sottratti altri 167 mila uomini, 189 cannoni da 47 /32, 690 bocche da fuoco di artiglieria, 196 bocche da fuoco contraerei, 90 bocche da fuoco controcarri, 11 mila automezzi, 3 mila motomczzi alla difesa del territorio metropolitano ed all'alimentazione delle operazioni in Africa settentrionale: una massa di uomini e di mezzi davvero imponente in rapporto alla penuria delle disponibilità ed al ritmo della produzione bellica nazionale. Il fatto resta inspiegabile e fa il paio con la rinunzia al tentativo di sbarco su Malta, ma presenta sotto certi aspetti colpe maggiori di questa rinunzia, perché si trattò di decisione autonoma del Comando Supremo italiano, il quale, qualora non vi fosse stata la remora degli automezzi (78), avrebbe addirittura sua sponte potenziato la fronte russa fin da subito dopo la partenza del
C.S.I.R. Della debolezza costituzionale dell'armata - in particolare per l'assenza di forze corazzate e di grandi unità di riserva (ad eccezione della Vicenza idonea peraltro a soli compiti di occupazione) e per l'insufficienza quantitativa in rapporto all'ampiezza e profondità delle fronti, e qualitativa in relazione alle prestazioni del 47 /32 dell'arma-
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mento controcarro - l'Alto Comando tedesco si rese subito conto e tentò di fissare l'impiego della grande unità per corpi d'armata separati, assegnando a ciascuno di questi zone diverse di scarico ferroviario (II corpo d'armata e truppe e servizi di armata: zona a sud-ovest di Kharkov situata a circa 240 chilometri in linea d'aria a nord di Stalino e perciò staccata dalla zona di operazioni del XXXV C.S.I.R.; corpo d'armata alpino: zona a nord di Taganrog - mare d'Azov - ad ovest del fiume Mius, in quanto il corpo d'armata sarebbe stato destinato ad operare nella zona caucasica). In seguito all'azione svolta dal generale Gariboldi per ottenere il mantenimento dell'impegno circa l'impiego unitario dell'armata (79), l'Alto Comando tedesco rinunziò alla destinazione del corpo d'armata alpino al Caucaso e consentì il trasferimento dalla zona di Kharkov a quella di Stalino del II corpo d'armata e delle truppe e servizi d'armata. I movimenti vennero compiuti tra il 28 giugno ed il 6 luglio, mediante il trasferimento delle unità già giunte nella zona di Kharkov ed il dirottamento dei convogli ancora in viaggio dirigendoli nella zona di Stalino-Gorlovka. L'azione del generale Garibaldi comprensibile sotto l'aspetto dell'impiego unitario e dell'esercizio del comando che, in caso diverso, sarebbe stato limitato a funzioni meramente ispettive sui 3 corpi d'armata, ed in più del tutto conforme alle direttive del Comando Supremo italiano ed alle intese iniziali intercorse con l'Alto Comando tedesco evitò che lo sforzo compiuto dall'Italia finisse disperso in frazionamenti che ne avrebbero ridotto l'imponenza complessiva e sarebbero passati quasi inosservati all'opinione pubblica italiana e mondiale, ma pesò negativamente sul futuro dell'armata - in particolare, del corpo d'armata alpino - la quale per la sua costituzione organica, l'armamento, il modesto livello di motorizzazione avrebbe trovato condizioni più favorevoli e più appropriate d'impiego in zona montuosa. L'impiego su terreno di pianura, necessariamente orientato prevalentemente a compiti difensivi, significò la rinunzia a priori ad ogni manovra offensiva, acul le debolezze costituzionali e, con l'aggiunta dell'assegnazione alle singole grandi unità di settori d'azione cinque volte più ampi di quelli normali, ne ridusse a margini minimi la stessa capacità difensiva. L'Alto Comando tedesco cercò inizialmente, fino a quando ne ebbe la possibilità, di sopperire alle deficienze, secondo la promessa a suo tempo fatta (80), assegnando all'armata con una certa larghezza forze germaniche, ma poi queste furono via via ridotte fino all'azzeramento. Preoccupato soprattutto dell'insufficienza dell'armamento controcarro, l'Alto Co-
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mando tedesco assegnò alle 9 divisioni italiane, appena giunte in Russia, 54 pezzi da 75/39 mod. 97-38 di preda bellica francese (6 pezzi per ciascuna divisione), conferendo loro una maggiore capacità controcarro. L'assenza di una grande unità di riserva nell'ambito dell'8.. armata e l'assegnazione temporanea della 3a Celere alla 6a armata tedesca indussero il 27 luglio i comandi tedeschi ad assegnare all'armata italiana una divisione tedesca con compito di riserva, ma due giorni dopo essi revocarono tale disponibilità e confermarono la temporanea assenza della 3a Celere. Il generale Gariboldi ne dovette disporre il rimpiazzo con un raggruppamento di camicie nere ed un reggimento di artiglieria controcarro motorizzato. Il 10 agosto i comandi germanici comunicarono al generale Gariboldi che avrebbe potuto fare assegnamento sulla presenza nelle proprie retrovie della 22" divisione corazzata - destinata ad esservi dislocata a disposizione del comando gruppo armate - ma in pratica tale divisione stazionò solo per pochi giorni, nell'autunno, sui rovesci del settore del II corpo e venne subito dopo chiamata a cooperare per tamponare la falla, determinata dai sovietici nella terza decade di novembre, nelle retrovie della 6a armata tedesca. Non si può dire che i comandi germanici non abbiano fatto, specialmente nei primi tempi, quanto potevano per aumentare la capacità operativa del1'8a armata o che le abbiano riservato un trattamento molto diverso da quello delle altre armate tedesche ed alleate, ma solo che quanto vollero o poterono fare non colmò in nessuna misura la lacuna originaria dell'indisponibilità organica di almeno una grande unità corazzata di riserva. Oltre l'armata, era senza riserva anche il corpo d'armata alpino che non disponeva in proprio di una massa di manovra sia pure esigua, mentre il II ed il XXXV (C.S.I .R.) avevano solo un raggruppamento camicie nere ciascuno. La mancanza di unità organiche di riserva proporzionate al ruolo della rispettiva grande unità - armata, corpo d'armata, divisione - e con elevato coefficiente di mobilità fu il fattore che più di ogni altro incise negativamente sulla capacità offensiva e difensiva dell'8a armata, più dello stesso basso livello di potenza del fuoco controcarro e di motorizzazione. La difesa su fronti molto ampie e la manovra in ritirata, qualora non possano fare affidamento su riserve mobili adeguate, sono operazioni destinate a sicuro insuccesso, specialmente su terreni che non ostacolino le irruzioni improvvise e gli inseguimenti dello attaccante. Sono solo le riserve che consentono nel primo caso il tamponamento temporaneo delle falle e nel secondo caso l'arresto dell'avanzata nemica per guadagnare il tempo indispensabile all'arre-
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tramento delle unità appiedate. Da qui la riprova dell'errore, anche solo sotto l'aspetto tecnico-militare, indipendentemente cioè dal danno che ne sarebbe derivato sul piano strategico complessivo, dell'invio di altre grandi unità italiane sulla fronte russa e dello errore di averle riunite in un'armata per la quale, non potendo provvedere direttamente ad assegnarle la riserva corazzata, sarebbe stato necessario rivolgersi all'alleato e pretendere eh questi vi provvedesse fin dall'inizio e costantemente fino al termine della campagna mediante l'assegnazione organica di almeno una divisione corazzata completa del personale e dei mezzi previsti dalle tabelle organiche tedesche. Sostanzialmente l'esito delle due grandi battaglie difensive del Don sostenute dall'8a armata non sarebbe stato molto diverso, ma le vicende dei vari combattimenti nei quali si articolarono sarebbero state molto meno tumultuose, l'andamento delle operazioni assai meno precario, le perdite di personale e di mezzi meno ingenti e le possibilità di ripresa di almeno un'aliquota delle forze meno azzerate. Nei riguardi della costituzione ordinativa dell'8a armata, oltre la eterogeneità dei 3 corpi d'armata - uno parzialmente autotrasportabile, uno normale, uno alpino; due con la totalità delle fanterie appiedate e uno con la possibilità di autotrasporto di 2 delle 3 divisioni costitutive - esistevano altri disquilibri e disarmonie che ne inficiavano l'impiego unitario in settori con termini topograficamente omogenei, in quanto i 3 corpi d'armata, sebbene costituzionalmente diversi, si sarebbero trovati a dover fronteggiare esigenze eguali o simili. Non era giustificabile il fatto che il XXXV (C.S.I.R. ) disponesse di 189 mortai da 81, il II corpo di 153 ed il corpo d'armata alpino di 72, e neppure il fatto che questo ultimo risultasse meno provvisto di armi controcarro (48 pezzi) rispetto al II corpo (72) ed al XXXV (80). L'assegnazione di pezzi da 47 alle unità direttamente dipendenti dal Comando di Armata, 28 in totale, dei quali solo 8 destinati alla difesa controcarro della divisione Vicenza e 20 all'accompagnamento (12 per le due compagnie reggimentali della Vicenza ed 8 per la Legione croata) non farebbe mutare il ragionamento, neppure se si computassero gli altri 19 pezzi semoventi da 47 /32 del XIII gruppo della 3a Celere, vincolati alla particolare azione del combattimento carrista (81). Per quanto riguarda l'artiglieria il comando dell'armata riuscì a parificarne la disponibilità dei gruppi fra i 3 corpi d'armata. Il comandante dell'armata, da parte sua, con il suo 9° raggruppamento su 6 gruppi (82), rilevante per la potenza dei colpi e delle gittate, era teoricamente in
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condizioni di scegliere tra l'impiego a massa ed il decentramento per rinforzare i corpi d'armata dipendenti, ma l'unico provvedimento al quale dové praticamente fare sempre ricorso per l'ampiezza delle fronti, che non consentiva la manovra delle traiettorie, fu appunto il decentramento. Il 201° reggimento artiglieria motorizzato, armato con cannoni da 75/32 (83), consentì al comando dell'armata di tessere la struttura portante della difesa controcarro dell'intero schieramento, ma le 90 bocche da fuoco esistenti sarebbero state sufficienti solo qualora i settori di azione delle grandi unità non avessero superato in misura spropositata l'ampiezza normale. Nelle divisioni del C.S.I.R. rimase costante il punto debole di un armamento costituito da bocche da fuoco di modello antiquato. Il II cm.p o d 'armata fu meglio provveduto di artiglieria organica in quanto il 2°raggruppamento, pur ridotto in seguito al trasferimento di un gruppo da 149/13 al 30° raggruppamento del C.S.I.R., restò costituito da 2 gruppi da 105/28 e da 2 da 149/ 13 (84) . Nelle divisioni, i reggimenti di artiglieria rimasero formati da 2 gruppi di obici da 75/18 (85) e da 1 gruppo di cannoni da 105/ 32. Il corpo d'armata alpino con l' 11° raggruppamento di artiglieria, disponeva di 3 gruppi di cannoni da 105/32 e di 1 gruppo da 149/ 13 , mentre le 3 divisioni alpine utilizzavano 2 gruppi da 75/13 someggiati (86), materiale antiquato, e 1 gruppo di obici da 105/11 (87), materiale ottimo, ma il gruppo era costitutio su 2 sole batterie. La dotazione di bocche da fuoco di artiglieria - pari a 946 pezzi era relativamente elevata ed armonica pur tenendo presente che 28 pezzi erano vincolati all'azione di accompagnamento dei singoli reggimenti di fanteria, 276 all'azione contraerei (2 batterie da 20 ad ogni corpo d'armata e ad ogni divisione e 52 pezzi da 76/ 46 alla armata), 90 all'azione controcarro per cui per le azioni proprie dell'artiglieria risultavano disponibili solo 552 bocche da fuoco , non tutte moderne, ma che se impegnate entro i limiti della dottrina in vigore avrebbero potuto offrire prestazioni più efficaci. Al genio facevano difetto mezzi e materiali, ma la dosatura quantitativa e qualitativa delle varie specialità - in particolare dei pontieri risultava tale da coprire le necessità dell'attività lavorativa e di combattimento dell'armata. In conclusione, la struttura dell'8a armata risultava monca perché priva di uno degli elementi indispensabili - la riserva corazzata - alla funzionalità operativa, confusa per la convivenza di elementi ordinativi di natura e qualità diverse, disadatta all'impiego unitario per le differenze fisionomiche caratterizzanti i tre corpi d'armata.
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s. L'Alto Comando tedesco, dopo la controffensiva invernale della Armata Rossa, iniziatasi nel ·dicembre del 1941 e protrattasi per oltre tre mesi, concretò il piano della ripresa offensiva già in discussione dal novembre del 1941, prima ancora dell'ultimo fallito tentativo di conquistare Mosca. L'insuccesso strategico della campagna tedesca del 1941 aveva provocato numerosi mutamenti dei vertici militari: il maresciallo Rundstedt si era dimesso alla fine di novembre, il maresciallo von Brauchitsch era stato congedato il 19 dicembre, il generale von Bock (88) si era dato malato a metà dicembre, il generale von Leeb (89) in gennaio aveva chiesto di rinunciare al suo incarico. La scomparsa del maresciallo Brauchitsch e dei tre comandanti dei gruppi di armate indebolì il peso dei militari nei riguardi di Hitler, dette a questi l'opportunità di assumere in prima persona il comando dell'esercito, e lasciò solo il generale Halder, il capo dello stato maggiore dell'esercito, ad esercitare un'azione di freno su Hitler. Rundstedt venne sostituito da von Reichenau (90), Bock <la von Kluge (91) e Leeb, più tardi, da Kuchler (92). Uno dei risultati dei mutamenti fu la costituzione, con unità del gruppo armate Sud, di uno speciale gruppo di armate A agli ordini del maresciallo List (93), destinato ad occuparsi della conquista del Caucaso, mentre il resto del gruppo armate Sud fu riunito in un gruppo di armate B, prima agli ordini di Bock, poi agli ordini di Weichs. L'idea di lanciare la nuova grande offensiva prese la sua fisionomia definitiva nei primi mesi del 1942. Lo sforzo principale venne previsto in corrispondenza del fianco meridionale dello schieramento, nei pressi del mar Nero, con una rapida avanzata lungo il corridoio compreso tra i fiumi Don e Donez. L'offensiva avrebbe dovuto raggiungere e attraversare il basso corso del Don, tra la sua grande ansa a sud e la foce del mar Nero, e piegare poi verso sud in direzione dei campi petroliferi del Caucaso, espandendosi simultaneamente verso est in direzione di Stalingrado, sul Volga. Inoltre nella conquista di Stalingrado si indicava un mezzo per provvedere la necessaria copertura laterale strategica all'avanzata nel Caucaso. Sorgendo all'estremità orientale dell'istmo compreso tra le grandi anse del Don e del Volga, al centro di un'importante rete di comunicazione, Stalingrado era come il tappo di questo collo di bottiglia (94) . Il piano di Hitler per il 1942 prevedeva anche un'offensiva secondaria per conquistare Leningrado entro
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RIPRESA DELLE OPERAZIONI DA PARTE GERMANICA (LUGLIO-NOVEMBRE 1942)
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l'estate, mentre per il resto della fronte stabiliva la difensiva ed il rafforzamento delle posizioni. In sintesi, offensiva alle ali e difensiva al centro. L'idea di una così profonda avanzata su di un fianco senza una simultanea pressione sulla parte centrale dello schieramento nemico era in netto contrasto con i canoni della strategia inculcati da sempre nelle menti dei generali tedeschi. Ai loro occhi la cosa appariva tanto più pericolosa in quanto l'avanzata laterale avrebbe dovuto procedere tra il martello e l'incudine: da una parte il grosso delle armate russe e dall'altra il mar Nero. Un uJteriore motivo di apprensione era poi costituito dal fatto che la protezione del fianco interno dell'avanzata sarebbe stata affidata in larga misura a truppe romene, ungheresi e italiane. Alle loro preoccupate domande Hitler rispondeva con la conclusiva affermazione che la Germania avrebbe potuto continuare a combattere solo assicurandosi il petrolio del Caucaso. Per quanto riguardava il rischio di far affidamento su truppe alleate per proteggere il fianco della avanzata, egli faceva presente che esse sarebbero state impiegate per presidiare la linea del Don e quella del Volga tra Stalingrado e il Caucaso, e cioè in zone in cui i fiumi stessi avrebbero agevolato il loro compito. Di conquistare Stalingrado e di presidiare poi quell'importante punto-chiave si sarebbero occupate truppe tedesche (95). Sferrato ai primi di giugno, come azione preliminare alla offensiva principale, l'attacco alla Crimea si concluse il 4 luglio con la conquista di Sebastopoli; un altro attacco di diversione, più prossimo ai punti in cui si stava organizzando l'operazione principale, fu sferrato il 10 giugno dal cuneo di Jzjum e portò alla conquista di una testa di ponte sulla sponda settentrionale del fiume Donez. Da tale testa di ponte, dopo averla allargata, i tedeschi il 22 giugno sferrarono un grande attacco corazzato verso nord e in due giorni raggiunsero il nodo ferroviario di Kupjansk. L'offensiva principale ebbe inizio il 28 giugno e, dopo un'avanzata di circa 400 Km, raggiunse il 22 luglio il basso corso del Don nei pressi di Rostov e più a monte. Rostov cadde ben presto in mano tedesca. Il 9 agosto i tedeschi con l'ala destra del loro dispositivo raggiunsero Armavir e puntarono sul grande centro petrolifero di Majkop, 320 Km a sud-est di Rostov; lo stesso giorno con l'avanguardia della colonna centrale entrarono a Pjatigorsk, 250 Km a est di Majkop, ai piedi della catena del Caucaso; con la colonna di sinistra si diressero ancora più ad est, verso Budenovsk. Kleist aveva fatto precedere il grosso delle sue forze da distaccamenti mobili operanti con la massima autonomia, ed è per questa ragione
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che l'impetuoso attacco sferrato al di là del Don all'inizio di agosto aveva potuto svilupparsi con una rapidità addirittura sbalorditiva (96). Poi l'avanzata si fece lenta, sia per la carenza di carburante, sia per la presenza delle montagne, sia infine per il maggiore accanimento delle resistenze dell'Armata Rossa. Ai piedi del Caucaso la resistenza russa si fece durissima. Dopo la conquista dei campi petroliferi di Majkop, il gruppo di armate di Kleist procedé ad una nuova ripartizione della fronte: la l" armata corazzata avrebbe dovuto completare l'occupazione del tratto compreso tra il fiume Laba ed il mar Caspio, impadronirsi del tratto montano della rotabile Rostov-Tiflis e conquistare successivamente Baku sul Caspio; la 1?8 armata avrebbe dovuto occupare la zona compresa tra il Laba e lo stretto di Kerç, avanzando verso sud da Majkop e Krannodar per conquistare i porti di Novorossijsk e Tuapse e aprendosi successivamente un varco lungo la strada costiera al di là di Tuapse per conquistare Batum. Ma Tuapse e Groznyj non furono mai raggiunte. Un'ardita manovra di Kleist contro Ordznikdze, punto di passaggio obbligato per raggiungere il passo di Darjal sul quale transitava la rotabile montana verso Tiflis, non raggiunse l'obiettivo finale, al quale pure fu vicinissima, perché i sovietici, con indovinata scelta di tempo, contrattaccarono in forze travolgendo una divisione romena. Kleist fu costretto a ritirarsi e a rinunciare al suo piano. Poi il fronte si stabilizzò, con i tedeschi ancora ai piedi di quella barriera di montagne che avevano invano tentato di scavalcare. Questo definitivo scacco nel Caucaso centrale coincise con la apertura della grande controffensiva russa a Stalingrado (97). Su questa ultima città, lungo il versante settentrionale del corridoio Don-Donez, era avanzata la 6a armata tedesca che in un primo tempo aveva realizzato buoni progressi. Poi, la dispersione di forze per coprire il fianco settentrionale lungo il Don, il logorio dovuto alle lunghe e rapide marce ed il progressivo aumento delle perdite per la resistenza sempre più vigorosa dei sovietici rallentarono il ritmo dell'avanzata e, sebbene il 28 luglio un'avanguardia mobile avesse raggiunto il fiume nei pressi di Kalac, località situata a 550 Km dalla linea di partenza e distante appena 65 Km dall'ansa occidentale del Volga a Stalingrado, la 6a armata fu costretta ad arrestarsi per due settimane prima di aver ragione delle forze sovietiche nell'ansa del Don e solo dopo altri dieci giorni riusd a costituire una testa di ponte al di là del fiume. Il 23 agosto i tedeschi sferrarono un attacco a tenaglia contro Stalingrado ad opera della 6a armata avanzante da nord-ovest e della 4" armata corazzata avan-
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zante da sud-ovest. Nei primi giorni di settembre unità mobili tedesche raggiunsero le rive del Volga 50 Km a monte di Stalingrado e si spinsero fin quasi all'ansa del Volga, 25 Km a sud della città. Ma i difensori non permisero che le due branche della tenaglia si avvicinassero di più (98). Ebbe allora inizio quella lunga serie di attacchi tedeschi, con frequenti mutamenti delle località di applicazione degli sforzi e dei procedimenti di azione, che ebbero successi locali sproporzionati al prezzo pagato o vennero valorosamente respinti dalla resistenza addirittura prodigiosa dei sovietici. Stalingrado divenne ben presto un simbolo: esaltante per i russi, ipnotico per i tedeschi e soprattutto per il loro capo (99). La lotta per Stalingrado divenne una battaglia di logoramento. Malgrado le immense perdite subite in termini di potenziale umano, l'Unione Sovietica disponeva di riserve maggiori di quella della Germania, poteva ora contare sui nuovi stabilimenti industriali costruiti nelle zone orientali, cominciava a ricevere un flusso considerevole di armi, di automezzi e di materiali dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, mentre la Germania risentiva in misura sempre maggiore della carenza di soldati, del depauperamento delle riserve generali che dovevano sempre più essere stornate a favore della copertura del fianco settentrionale enormemente esteso (650 Km lungo il Don da Voronez all'istmo di Stalingrado e altrettanto da qui al Terek), della mole delle perdite che veniva subendo negli attacchi vieppiù frontali e frazionati quanto maggiormente i dispositivi erano costretti ad aderire all'agglomerato urbano. Si determinarono così, nonostante che la crisi dei difensori sovietici si facesse sempre più acuta a mano a mano che i tedeschi stringevano il cerchio e si avvicinavano al cuore della città, le condizioni per il contrattacco in forze che il comando sovietico stava preparando da tempo e per il quale nell'ultima decade di novembre aveva accumulato le forze sufficienti per assicurargli buone probabilità di riuscita contro un attaccante oramai allo stremo. È in tale quadro generale che s'inseriscono le operazioni svolte dall'8" armata italiana dal luglio al novembre del 1942. Le prime di esse impegnarono esclusivamente il XXXV (C.S.I.R.) che alla fine di giugno era ancora inserito nella 1r armata tedesca in corso di trasformazione nel gruppo armate A, al comando del maresciallo List, e destinato ad agire all'ala destra di tutto lo schieraménto della zona caucasica. Il XXXV corpo d'armata C.S.I.R. venne rafforzato dal comando dell'8a armata mediante l'assegnazione della Sfor:usca, già giunta in zona, e di una considerevole massa di artiglieria
LE OPERAZIONI PER LA CONO UISTA DEL BACINO MINERARIO DI KRASNIJ LUTSCH (11-14 LUGLIO 1942)
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di medio calibro (100} e venne orientato a fronteggiare due ipotesi:
il ripiegamento delle unità sovietiche opposte al suo schieramento o la resistenza ad oltranza di queste sulle posizioni in atto da loro occupate. Dall'll al 23 luglio il XXXV corpo d'armata C.S.I.R. penetrò nel sistema difensivo sovietico organizzato suila linea Vorosdlovgrad-Krasnyj Luch, dopo aver infranto la tenace resistenza nemica ed avere reso vani i contrattacchi della cavalleria sovietica, e proseguì in profondità l'azione fino a costringere i difensori al ripiegamento, provvedendo poi al rastrellamento dell'ampia zona abbandonata con la cattura di circa 4 mila prigionieri. Riunitosi, dopo il 23 luglio, alle altre unità dell'armata, che veniva concentrandosi nella zona adiacente a Voroscilovgrad, iniziò la marcia al Don disposta lo stesso giorno dal comando gruppo armate A del quale 1'8a armata cessava di far parte per essere inserita nel gruppo di armate B (101). La prima delle grandi unità italiane chiamata ad operare nell'ambito del gruppo di armate B fu la 3a divisione celere Principe Amedeo duca d'Aosta che, con veloce marcia per Voroscilovgrad-MillerovoBokovskaja, rinforzata dal 578° reggimento di fanteria tedesco già in sito, combatté alle dipendenze della 6a armata tedesca contro la testa di ponte sovietica nella zona di Scrafimovic, tra Braskovski e Ribni (102) . Fu un vero e proprio ciclo operativo che impegnò la divisione per circa un mese (24 luglio-21 agosto) durante il quale: in una prima fase la grande unità riuscl ad eliminare la minacciosa testa di ponte a sud del Don, tra gli abitati di Bobrovski e di Baskovski, tenacemente difesi da forze numericamente superiori sostenute da carri armati; in una seconda fase, inquadrata nel XVII corpo di armata tedesco, malgrado le perdite subite (un terzo degli effettivi dal 12 luglio al 5 agosto) e lo sfinimento delle marce e dei combattimenti senza soste, effettuò numerosi rastrellamenti del bosco tra Bobrovski e Baskovski, sorvegliò la fronte di cirèa 20 chilometri tra le due località, raggiunse la sponda destra del Don superando la violenta reazione del nemico, fu costretta poi a ritornare sulle alture dai ripetuti attacchi del nemico che, ripassato silenziosamente il Don, si infiltrò più volte nel bosco Essa resisté ad oltranza sulle alture mantenendo il possesso del costone che domina Satonski e conservò integre, contro i ripetuti tentativi nemici di impossessarsene, le posizioni di Cebotarevski. Il 13 agosto la divisione cedé la responsabilità dell'intero settore alla 79a divisione tedesca e cessò di essere alle dipendenze del XVII corpo d'armata tedesco, lasciando ancora in sito un raggruppamento su 2 battaglioni
CAP. XXXVIII • OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE ( PARTE QUARTA)
LA BA TIAGLIA DI SERAFIMOWIC LE OPERAZIONI DEL 31 LUGLIO - 1° AGOSTO 1942
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e 2 gruppi alle dipendenze della 79" divisione. Tale raggruppamento poté riunirsi al grosso della divisione solo il 21 agosto. II comportamento della J" Celere e delle sue unità distaccate presso unità tedesche, nonostante le condizioni fisiche dei combattenti (103), fu superiore ad ogni elogio tanto che il comandante della 79"' divisione tedesca dichiarò testualmente: « Voi bersaglieri siete meravigliosi. Pur senza mezzi adeguati, avete fermato i carri armati sovietici. Nelle vostre condizioni, noi stessi tedeschi non avremmo potuto combattere neppure un giorno di guerra» (104) e tanto che i generali von Paulus comandante della 6n armata e Hollidt comandante del XVII corpo d'armata espressero la loro ammirazione ed il loro ringraziamento per quanto la 3a Celere aveva compiuto nella battaglia della sacca di Kalac (ansa di Serafimovic) riconoscendone i meriti acquisiti nei prolungati combattimenti (105). Mediante tali combattimenti era stata eliminata la testa di ponte che insidiava le retrovie della 6n armata in movimento verso Stalingrado, erano stati respinti e sventati i tentativi nemici di ricostituirla, erano stati disU"l.ltti i carri armati di un'intera brigata corazzata sovietica - di 50 carri armati, 35 erano stati messi fuori combattimento dall'artiglieria e 12 erano stati obbligati alla sommersione nel Don (del totale: 31 distrutti da unità italiane e 16 da unità tedesche) erano state inflitte al nemico sensibili perdite in uomini e catturati 1 600 prigionieri oltre ad armi, artiglierie e materiali vari (106). La marcia al Don dell'8" armata fu compiuta sotto l'assillo deJla urgenza per giungere rapidamente a dare solidità al velo di occupazione lasciato sulla riva destra di quel fiume dalle armate tedesche avviate verso Stalingrado e la zona caucasica. Il primo problema fu il gittamento di ponti di equipaggio sul Donez, problema che venne risolto dai pontieri italiani che in poco più di 3 ore gettarono il 23 luglio due ponti - uno a Luganskaja (una quindicina di chilometri a nord-ovest di Voroscilovgrad) e uno a Veselaja Gora (a pari distanza a nord della città) - sui quali prime a transitare furono colonne tedesche. Le unità dell'8"' armata iniziarono il passaggio sui ponti di Luganskaia (il 24 luglio in tale zona era stato gittato a monte del primo un secondo ponte) il 26 luglio, dopo aver coperto i 220 chilometri di distanza esistenti tra la zona di radunata ed il Donez, e lo portarono a compimento il giorno 31. La fase di movimento, conosciuta sotto il nome riassuntivo di marcia al Don si sviluppò quale complessa operazione strategica. Nello svolgimento di essa nessun momento si presentò come atto puramente logistico, pur se le operazioni tattiche erano
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state limitate fino a quel momento alla partecipazione del solo XXXV corpo d'armata C.S.I.R., considerevolmente rinforzato, alla presa del bacino minerario del Mius-Krasnyj Luch (107). Tutta l'operazione della marcia dal bacino del Donez al Don - svoltasi attraverso territori di recentissima occupazione, pieni di interruzioni e di ostacoli attivi e passivi, infestati spesso da partigiani e bombardati dall'aviazione sovietica - fu portata a termine in maniera ordinata ed in tempi brevi, nonostante la crisi del rifornimento dei carburanti che fece ritardare di alcuni giorni i movimenti. Essa meritò l'elogio del maresciallo List, comandante del gruppo armate A, che aveva sovrainteso alla maggior parte della operazione. Il 13 agosto, terminato tutto il complesso movimento che aveva comportato per le unità sbarcate dai convogli ferroviari nella zona di Karkov il percorso di oltre 1 000 chilometri e per quelli provenienti dalla zona di Stalino il percorso di 500 chilometri - il generale Gariboldi assunse la responsabilità operativa dell'intero settore assegnato all'8a armata, compreso tra Pavlosk e la foce del Choper nel Don, settore la cui ampiezza misurava in linea d'aria 180 chilometri che, seguendo il corso sinuoso del fiume, diventavano circa 270. I criteri ai quali il comando gruppo armate B intese informare la difesa (108), tenuto conto della lunga durata della sosta che avrebbe compreso anche il cambio di stagione e della ampiezza delle fronti assegnate alle forze, furono principalmente la proiezione in avanti di tutte le unità e l'esclusione della difesa manovrata. Concetto operativo fondamentale del comando del gruppo armate B fu quello di sviluppare una difesa rigida sulla riva del fiume, anziché sulle alture dominanti, e di agire nelle soluzioni di continuità, inevitabili stante la scarsezza delle forze, con contrattacchi locali affidati ad appositi gruppi di intervento mobili, tratti dalle unità di retrovia. L'8" armata, inquadrata nel gruppo di armate B, s'inserì tra la 2" armata ungherese (VII corpo d'armata, 2Y' divisione) a sinistra e la 6" armata tedesca (:XVII corpo d'armata, 79"' divisione) a destra e si schierò, da sinistra a destra, col II corpo d'armata (294" divisione di fanteria tedesca su 65 Km dal kolkoz Burgilovka al fiume Teiornaja Kalitva; Cosseria su 34 Km da Teiornaja Kalitva al margine occidentale dell'ansa di Verhnij Mamon; Ravenna su 30 Km dal margine occidentale dell'ansa di Verhnij Mamon alla foce del Boguciar), XXIX corpo d'armata tedesco (Torino su 35 Km dalla foce del Boguciar al paese di Suchoj Donez; 62" divisione di fanteria tedesca su 55 Km da Suchoj Donez al paese di Merkulov); XXXV corpo d'armata C.S.I.R. (Pasubio su 30 Km
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da Merkulov al paese di Rubescinski, Sforzesca su 33 Km da Rubescinski alla foce del Choper), 3a divisione Celere in riserva (con efficienza ridotta dai combattimenti sostenuti nell'ansa di Serafimovic e nel bacino del Mius e, in particolare, con le unità di fanteria ridotte di un terzo e quelle di artiglieria della metà ed in più con 2 battaglioni bersaglieri e 2 gruppi di artiglieria rimasti ad operare con la 6" armata nel settore della 79" divisione di fanteria tedesca). Fronteggiava l'8a armata, la 63" armata sovietica schierata da nord a sud con le seguenti unità: 127a fucilieri, di fronte alla 294" tedesca, da Pavlovsk alla Teiornaja; 1a divisione fucilieri, di fronte alle divisioni italiane Cosseria, Ravenna, Torino e parte della 62a tedesca, dalla Teiornaja Kalitva a Krasnojarski; 153a divisione fucilieri, di fronte alla 62a tedesca ed alla Pasubio, da Krasnojarski a Vescenskaja; 19r divisione fucilieri, di fronte alla Pasubio ed alla Sforzesca, da Vescenskaja alla foce del Chopér. La forza dei due opposti schieramenti, espressa in divisioni, risultava di 7 dalla parte dell'8a armata e di 4 da quella della 63 8 sovietica{109). Il compito principale del gruppo armate B era di raggiungere il Volga a Stalingrado con la 4" armata corazzata e con la 6a per poi assumere atteggiamento difensivo a garanzia del tergo del gruppo armate A e di difendere la linea fluviale del Don con la 2" armata tedesca, la za ungherese e 1'8" italiana. Al generale Garibaldi che segnalava il proprio malcontento per il compito assegnato al1'8a armata e faceva notare al comando del gruppo armate B che se l'attacco sovietico non avesse avuto luogo lungo lo schieramento dell'8a armata sul Don sarebbe stato uno spreco di forze e che, se invece i sovietici avessero attaccato, le forze dell'8" armata sarebbero risultate scarse a garantire la tenuta della linea, fu risposto che il compito difensivo sul Don era importantissimo in quanto concorrente all'azione principale sul Caucaso e che in caso di offensiva sovietica contro 1'8a armata questa sarebbe stata rinforzata con i mezzi necessari a fronteggiare l'eventualità. Infine, da Roma, il Comando Supremo, informato della destinazione sul Don... aveva risposto che quanto era stato ordinato dai comandi tedeschi rispondeva a preventivi accordi stabiliti tra i due Comandi Supremi alleati ed aveva invitato il comandante dell'8" armata ad eseguire gli ordini ricevuti (110). Le richieste del generale Garibaldi non erano prive di motivazioni fondate, ma neppure le risposte del maresciallo List erano senza ragioni concrete. L'8" armata italiana non era la sola a dover adempiere compiti difensivi; le facevano compagnia la za armata
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tedesca e la 2a ungherese. D'altra parte l'8a armata aveva raggiunto la zona delle operazioni dopo la presa di Sebastopoli e l'inizio delle operazioni nella zona caucasica per cui nessun compito offensivo, stante la sua struttura, avrebbe potuto esserle affidato in quel momento nel quadro della grande manovra strategica già in corso di sviluppo. Qualora il Comando Supremo italiano avesse voluto che la s'impiegasse nel Caucaso, avrebbe dovuto anticipare la costituzione ed il trasferimento di alcuni mesi in modo da renderla disponibile in zona d'impiego agli inizi della primavera. Circa l'indifendibilità delle posizioni occupate nel caso di un'offensiva sovietica, il generale Garibaldi era pienamente nel vero, specialmente in seguito alla riduzione da 4 a 2 delle divisioni tedesche promesse in un primo momento; i comandi tedeschi erano consapevoli di tale verità. I generali tedeschi avevano rappresentato ad Hitler che per riprendere l'offensiva nel 1942 avrebbero avuto bisogno di altri 800 mila uomini, ma sottrarre dalle fabbriche una massa di uomini di tale proporzione per avviarla sui campi di battaglia era stato giudicato un provvedimento impossibile a realizzarsi pena il calo della produzione bellica che già scarseggiava. Durante l'inverno la Germania era riuscita ad aumentare di sole 2 nuove divisioni corazzate il suo quadro di battaglia ricorrendo, tra l'altro, alla trasformazione dell'unica divisione di cavalleria tradizionale mantenuta in servizio fino a quel momento. Delle 20 divisioni corazzate esistenti, inoltre, solo metà avevano potuto incrementare gli effettivi, fino a raggiungere il valore delle tabelle organiche. Le divisioni di fanteria erano state portate da 9 a 7 battaglioni e le compagnie fucilieri da 180 ad 80 uomini (riduzione quest'ultima determinata anche da motivi di carattere tattico e tecnico). Anche con i più strenui sforzi la Germania avrebbe potuto al massimo, nella primavera del 1942, arrivare a ripristinare la consistenza numerica iniziale, ma in nessun caso avrebbe potuto assicurarsi un margine tale da consentirle di far fronte alle perdite di un'altra campagna offensiva. Tale carenza di forze era stato l'unico argomento che aveva persuaso Hitler a sviluppare l'offensiva del 1942 su due fianchi e non lungo l'intera fronte, ma anche per tale progetto le forze disponibili, comprese quelle alleate (italiane, romene, ungheresi, finniche), non sarebbero bastate. L'insufficienza delle forze si fece, infatti, sentire ed assunse proporzioni allarmanti quando si trattò di piegare la resistenza sempre più vigorosa opposta dai sovietici, di coprire il fianco settentrionale in continua espansione lungo il Don, di ripianare le perdite sempre maggiori provocate non solo dai sovietici
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LA PRIMA BATTAGLIA DIFENSIVA DEL DON GLI ATTACCHI RUSSI DA VORONEJ A KREMENSKAJA (AGOSTO 1942)
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ma dalla stanchezza fisica e dell'esaurimento di energia dei combattenti, dalla durata e dalla ripetizione degli sforzi contro Stalingrado, dove le grandi unità germaniche, nell'impossibilità di ricereve rinforzi e riserve, furono costrette da Hitler ad un lungo processo di logoramento, la cui inutilità ed i cui rischi erano ben noti a priori ai comandi tedeschi. Se il maresciallo List non mantenne fede alle promesse fatte al generale Gariboldi ai primi di agosto circa l'invio dei mezzi per fronteggiare l'eventualità della controffensiva sovietica, che in quel momento i comandi tedeschi speravano ancora di poter prevenire con la conquista di Stalingrado, non dipese da malafede e neppure da incomprensione delle gravissime difficoltà dello schieramento difensivo dell'8a armata italiana, ma dalla inesistenza di unità comunque sottraibili altrove a favore dell'8a armata, il cui schieramento a chiunque, non solo al maresciallo List, non avrebbe potuto non apparire privo di consistenza. Il disequilibrio del rapporto forze-spazio, di que11o aliquota statica-aliquota dinamica e l'a,;senza di riserve mobili corazzate rendeva utopistica ogni previsione di prolungata resistenza. Lo schieramento era tale (111) che, nonostante tutti i numerosi ed ingegnosi accorgimenti adottati dai comandi dell'armata, dei corpi di armata e delle divisioni, sarebbe stato follia sperare sulla tenuta nel caso di un'offensiva sovietica in forze. Dal 12 al 19 agosto la fronte dell'8a armata italiana, al pari di quelle della 2a armata tedesca e della 2" armata ungherese, venne investita ripetutamente e su tratti diversi da attacchi locali, colpi di mano, robuste infiltrazioni, tentativi di passaggio e di costituzione di teste di ponte sulla riva destra del Don, operati dai sovietici a mò' di azioni preliminari tendenti a saggiare la resistenza ed a determinare i tratti dove sarebbe meglio riuscita l'azione in grande stile per arrestare l'avanzata germanica verso il Volga. Alle ore 2,30 del 20 agosto dopo una brevissima preparazione di artiglieria e di mortai, i sovietici passarono a guado e su traghetti il Don e dettero inizio a quella che essi denominarono la battaglia sul Volga e che nella storiografia italiana (112) venne indicata come la prima battaglia difensiva del Don (113). Tale battaglia sulla fronte dell'8a armata interessò principalmente il settore del XXXV corpo d'armata C.S.l.R. e si svolse in 4 fasi: urto iniziale sovietico (20, 21 e 22 agosto), contrattacco italiano (23 agosto), ripresa dell'attacco sovietico (24 e 25 agosto), arresto dell'offensiva (26 agosto-1 ° settembre). Fin da prima dell'inizio della loro offensiva, i sovietici disponevano sulla riva destra del Don, nel settore del1'8 8
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armata italiana, di due piccole teste di ponte, una nel margme settentrionale dell'ansa di Verhnij Mamon e l'altra nell'ansa di Ogalev-Abrossimova. Ne possedevano inoltre un'altra poco ad est della foce del Choper nel settore della 6e. armata tedesca, al limite di settore con 1'8._ armata italiana ed in prossimità dell'ala destra della Sforzesca. Il risultato tattico che i sovietici conseguirono dalla offensiva fu l'ampliamento della testa di ponte di Verhnij Mamon e la conservazione di quella di Ogalev-Abrossimova, che non riuscirono però ad ampliare. Sebbene pagato al prezzo dell'esaurimento della capacità offensiva di almeno 3 divisioni di fanteria ternarie rinforzate - 197", 203" e 14" Guardie - l'ampliamento della testa di ponte di Verhnij Mamon, fino a porre il vertice dell'ansa fuori della portata di tiro delle artiglierie italiane di medio calibro, costituì per i sovietici un successo tattico molto importante per lo sviluppo delle operazioni future. Le due teste di ponte verranno, infatti, utilizzate nel dicembre quali pedane di lancio della 6" armata e della 1" armata Guardie sovietiche per l'operazione Piccolo Saturno dalla quale l'8a armata uscirà sconfitta. L'urto iniziale sovietico nella prima battaglia offensiva del Don si scatenò inizialmente contro la Sforzesca fino al limite di settore con la Pasubio e poi si estese, nello stesso giorno 20, anche alla fronre del II corpo d'armata e precisamente a quella della Ravenna. Le reazioni di fuoco e di movimento, l'invio di rinforzi ai presidi circondati, lo spostamento di unità in riserva per effettuare contrattacchi locali, la riconquista di posizioni perdute valsero a respingere ed a contenere nella giornata del 20 gli attacchi di 7 battaglioni nemici contro la Sforzesca e di 3 battaglioni contro la Ravenna. La continuità della fronte della Sforzesca venne mantenuta, mentre si fece affidamento di poterne ristabilire l'andamento originario mediante un nuovo contrattacco da condurre nella giornata successiva. Sulla fronte deJla Ravenna il nemico, a sera, dopo aver subito gravi perdite ed essere stato ricacciato dalle posizioni temporaneamente conquistate, dové desistere dalla lotta - che aveva sostenuto con tanta tenacia durante l'intera giornata - senza essere riuscito a<l ottenere nessun risultato territoriale significativo. Il giorno 21 il comando della Sforzesca, proseguendo il contrattacco del pomeriggio precedente, avrebbe voluto ristabilire la linea di resistenza sul Don mediante ]o sviluppo di una azione sulla destra con obiettivo Simovski, di un'altra al centro con obiettivi Nizne Matvejevski e Tiukovnovski e di una terza sulla sinistra con obiettivo Plesciakovski. Ma il contrattacco della Sforzesca venne prevenuto da nuove
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LA PRIMA BATTAGLIA DIFENSIVA DEL DON L'URTO INIZIALE RUSSO (20,22 AGOSTO 1942) SETTORE D. " SFORZESCA • )
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forze sovietiche che avevano passato il fiume durante la notte. Il comando del XXXV corpo d'armata dové rinunziare al contrattacco su Plesciakovski e pensare a difendersi lungo la linea di alture dominanti il Don. Il nemico riuscì ad aprire al centro del settore d'investimento una falla tra i due reggimenti di fanteria della Sforzesca, per chiudere la quale il generale Messe pose a disposizione della divisione anche le forze ancora disponibili del raggruppamento a cavallo. La situazione al centro del settore divisionale, con la posizione di resistenza intaccata, divenne grave e pericolosa talché il generale Messe decise di costituire due pilastri difensivi a Jagodnyi ed a Cebotarevski (114), di ritirare l'ala destra della Pasubio in modo da costituire un fianco difensivo in collegamento tattico con il pilastro di J agodnyi, di affidare al raggruppamento di cavalleria la sorveglianza tra i due pilastri difensivi di Jagodnyi e di Cebotarevski. Il generale Gariboldi, a sua volta, mise a disposizione del XXXV corpo la J" Celere ed il battaglione alpini Monte Cervino. La notte sul giorno 22 le varie unità si raccolsero nei due pilastri, ma quello di Cebotarevski venne a trovarsi in situazione precaria - forze scarse, isolamento a destra dalle forze tedesche, mancata congiunzione con la posizione di resistenza della Pasubio - e quando venne attaccato dovette ripiegare, come lo stesso raggruppamento di cavalleria, su posizioni arretrate, senza peraltro concedere successi significativi al nemico. L'attacco contro il caposaldo di Jagodnyj venne sostanzialmente respinto ed il nemico dovette sospenderlo. Sulla fronte della Pasubio, al limite di settore con la Sforzesca, la difesa resse e respinse l'attaccante causandogli la perdita di 200 morti e catturandogli 45 prigionieri. Sulla fronte del II corpo, la divisione Ravenna fu costretta ad un arretramento che venne eseguito in sicurezza e con regolarità. La giornata del 23 agosto fu contraddistinta dal tentativo del XXXV corpo di ristabilire la situazione iniziale sulla sponda destra del Don mediante un contrattacco di due colonne: una a sinistra - III/80" legione croata, 179° reggimento fanteria tedesco, 2 gruppi di artiglieria tedeschi della 62" divisione - operante dalla zona ad ovest di Verhnij Krivskoj e con la quale avrebbero cooperato anche il I/79° attaccando q. 197,2 ed il II/79° attaccando q. 168,0; una a destra - intera 3a divisione Celere - operante dalla zona ad ovest di Bochmutkin in direzione di q. 208,4-q. 188,6-q. 191,4. Il caposaldo di Jagodnyj avrebbe concorso con la propria artiglieria ad appoggiare il contrattacco della Celere; il battaglione Monte Cervino avrebbe dovuto concorrere ad un'eventuale ripresa dell'azione sulla destra; il raggruppa-
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mento a cavallo sarebbe dovuto intervenire per il completamento del successo e per l'esecuzione di una duplice azione avvolgente. Il contrattacco, al termine della giornata, aveva conseguito notevoli successi tattici, ma non aveva raggiunto l'obiettivo voluto. Il comandante del XXXV corpo d'armata ne ordinò la prosecuzione per il giorno successivo. La giornata del 24 si aprì con la prosecuzione delle azioni di cavalleria e, in particolare, del Savoia cavalleria, rinforzato dal II gruppo artiglieria a cavallo e da cannoni controcarro. Il Savoia cavalleria con le cariche dei suoi squadroni - cariche di Isbuscenski - riuscì a travolgere i difensori di q. 213,5 della quale restò padrone. Ma nel pomeriggio del 24 i sovietici ripresero la azione offensiva impiegando nuovi reparti e facendone serrare sotto altri. Durante la giornata si rese necessario l'arretramento della 4 ] Celere per inserirne alcune unità nel caposaldo di Jagodnyj, mentre sulla fronte del II corpo d'armata si rese inevitabile la cessione al nemico dell'importante quota 220. Nella giornata del 25 i sovietici ripresero l'azione su tutto il settore che la Sforzesca stava dividendo con la J" Celere e costrinsero il XXXV corpo ad arretrare la difesa sul lato occidentale della valle Kriutscha ed a costituire un nuovo caposaldo a Gorbatovo, a sud di quello di Jagodnyj, per costituire un fianco difensivo per tutta l'armata ed una base dalla quale potesse partire la futura azione controffensiva per ritornare sulla sponda destra del Don. Il raggruppamento a cavallo sarebbe rimasto fuori della nuova linea difensiva con il Novara che avrebbe ricercato il collegamento con il XVII corpo tedesco ed il Savoia che avrebbe svolto esplorazione a largo raggio a favore del caposaldo di Gorbatovo. L'azione nemica investl ancora una volta il settore del XXXV corpo d'armata italiano, mentre trascurò quello del II corpo. Nel settore del XXIX corpo d'armata tedesco la 62" divisione, con il contributo della Torino, tentò di eliminare le forze nemiche infiltratesi il 23 agosto nell'ansa boscosa di Merkulov, ma l'azione, sebbene un battaglione della Torino avesse nuovamente raggiunto il Don, ebbe esito solo parzialmente positivo, perché le varie unità persero il collegamento tra di loro e vennero a trovarsi prive dei mezzi di accompagnamento necessari a consolidare i successi locali ottenuti. Nel pomeriggio del giorno 25 il XXXV corpo d'armata, in dipendenza della situazione creatasi, ripiegò l'ala destra sulla fronte q. 219-riva destra di val Kriutscha fino all'altezza di Gorbatovo (115) e comunicò al comando dell'armata che, a prescindere dalle incognite della riuscita della manovra: era privo di ogni appoggio d'ala; il suo nuovo schieramento aveva una densità minima
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LA PRIMA BATTAGLIA DIFENSIVA DEL DON IL NOSTRO CONTRAlTACCO (23 AGOSTO 1942)
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e non era sostenuto né da rincalzi locali né da ogni più piccolo elemento di secondo scaglione; le truppe oltre che scarse erano oltremodo stanche e logoratissime. II corpo d'armata, conseguentemente, non sarebbe stato in grado di provvedere alla difesa del nodo di Bokovskaja e di distrarre elementi nella zona di Bolschoj per agire sulla sinistra della 79a tedesca e sbarrare quella direttrice verso sud. La decisione del generale Messe di continuare la resistenza sulle posizioni ad ovest della balka Kriutscha, spostando a difesa del nodo di Gorbatovo i reparti che avevano presidiato il caposaldo di Cebotarevski, provocò un intervento del comando gruppo armate B che non approvò il ripiegamento fatto eseguire dal generale Messe per proteggere il fianco destro del suo corpo d'armata, per conservare almeno la valle Kriutscha e per sottrarre in tal modo l'unità al pericolo dell'annientamento completo. Il comando del gruppo armate B dispose il passaggio del settore della Sforzesca alle dipendenze del XVII corpo d'armata tedesco, dimostrando chiaramente la sua sfiducia verso i comandi italiani. Nonostante le rimostranze del generale Messe (116), l'ordine dové avere esecuzione e la mattina del giorno 26 il comando del XVII corpo d'armata tedesco emanò l'ordine alle unità italiane passate alle sue dipendenze di occupare la fronte Jagodnyj-Bolschoj, modificando totalmente quanto ormai era già in atto dal giorno precedente ed assegnando compiti sproporzionati alle possibilità di esecuzione, tanto che lo stesso comando tedesco si convinse alla fine che i suoi ordini non erano attuabili e decise di non modificare lo schieramento in atto. D'altra parte, la ripresa dell'azione offensiva da parte dei sovietici rendeva ancora più ineseguibile la modifica. Dopo due giorni, durante i quali il generale tedesco von Blumentritt (117) incaricato dal comandante del XVII corpo tedesco generale Hollidt (118) di dirigere le operazioni nei settori della 3'1 Celere e della Sforzesca non emanò nessun ordine per le unità italiane, anche perché il comandante della Celere rifiutò di passare alle dipendenze di un generale di lui meno anziano, il comando del gruppo armate B annullò l'ordine di passaggio di dipendenze ed il generale Messe riassunse il comando di tutte le unità dislocate nel settore che era stato della Sforzesca. Fu opera di semplice giustizia, perché in quelle due giornate di lotta nulla era stato fatto che mutasse le direttive del Comando al quale erano state sottratte le unità, non un uomo od un'arma essendo stati assegnati dal Comando al quale quelle stesse unità erano state sottoposte. Era stato solamente adottato un provve-
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dimento inutile per la condotta delle operazioni e capace di determinare dannosi stati d'animo tra alleati (110). Particolarmente intensa nei giorni 24 e 25, l'attività offensiva del nemico venne affievolendosi nei giorni successivi. Il 28 i sovietici attaccarono violentemente da ogni lato il caposaldo di Jagodnyj che resistette; il 29 effettuarono contro lo stesso caposaldo solamente azioni di fuoco e tentarono azioni contro le posizioni di q. 226,7 e di Bolschoj che vennero respinte; il 30 attaccarono le posizioni di q. 228,0 e di q. 226,7 ma vennero prontamente arrestati; il 31 non intrapresero azioni di rilievo né sulla fronte del XXXV corpo d'armata né su quella delle altre divisioni italiane. Frattanto l'arrivo dall'Italia del LXVII battaglione bersaglieri corazzato, subito assegnato alla Y Celere, e l'afflusso in zona delle prime unità del corpo d'armata alpino in trasferimento dalle zone di Gorlovka, di Rykovo e di Jzjum, dove era stato inizialmente avviato per l'impiego nel Caucaso (120), consentirono all'armata di preparare un contrattacco in forze che, approfittando del rallentamento degli attacchi nemici,
migliorasse la situazione in atto, non escludendo che circostanze favorevoli consentissero anche la riconquista della sponda destra dd Don. A nulla sarebbe valsa, però, un'azione limitata al XXXV Corpo, se il XVII tedesco, risolvendo la situazione che eta alla base di quanto si era verificato dal 20 agosto in poi, non avesse prestato il proprio concorso, con forze di fanteria, ma soprattutto con forze corazzate, data la presenza nel suo settore della 22" divisione corazzata (121). Il generale Messe rappresentò al XVII corpo che il concorso tedesco avrebbe potuto essere proficuo se fosse consistito in un'azione contro q. 232,2 (est-nord-est di Cebotarevski) in modo da minacciare lo schieramento delle artiglierie sovietiche e da evitare che il contrattacco italiano si riducesse ad un semplice sforzo frontale con scarse possibilità di riuscita. Il comando del XVII corpo respinse il concetto dell'azione convergente suggerita dal generale Messe e progettò un'azione parallela, non inutile ma meno vantaggiosa, svolta con forze della 22" divisione corazzata e con un reggimento rinforzato della 79", partente dalla zona a nord-est di Kalmikovski ed avente lo scopo di riconquistare la linea delle q. 217,4 e 193,5, prendendo collegamento a Cebotarevski con le unità italiane. L'azione del XXXV corpo avrebbe avuto come obiettivo il costone da q. 226,7 a q. 228,0 fino all'abitato di Kotovski, per collegarsi con i carri tedeschi a nord dell'abitato. L'azione avrebbe dovuto essere veloce per ottenere la sorpresa e per essere efficace avrebbe dovuto essere sostenuta dall'aviazione (111). Da parte italiana il peso
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maggiore dell'azione avrebbe gravato sulla Sforzesca - rinforzata dal raggruppamento a cavallo, dal 6° alpini (meno un battaglione), da una compagnia carri L (meno 1 plotone), da un plotone lanciafiamme - la quale con sforzo convergente da q. 226,7 e da Bolschoj avrebbe dovuto impossessarsi del costone q. 228,0-Kotovski costituendo base di fuoco sullo sperone sud-est della q. 226,7 per proteggere il fianco sinistro deUa colonna di attacco. La divisione avrebbe dovuto premere con tutte le sue forze fino a raggiungere la fronte segnata dalle pendici est q. 232,2-quadrivio est q. 193,7-alture nordovest q. 213,3. La 3" Celere si sarebbe mossa lungo la direzione Jagodnyj-q. 211,8 e la direzione q. 208,4-q. 197,4 gravitando per la sinistra, con obiettivo la linea di cresta compresa fra il quadrivio a nord q. 232,2-quadrivio q. 197,2-sperone di Nizne Krivskoi. La Pasubio avrebbe accompagnato i movimenti di sinistra della J" Celere per rettificare la fronte su q. 168,0-abitato di Nizne Krivskoi. Il XVII corpo d'armata tedesco avrebbe attaccato contemporaneamente da sud-est verso nord-ovest per impossessarsi in un primo tempo delle alture di q. 217,4 e di q. 206,3 e in un secondo tempo avrebbe puntato con formazioni corazzate da nord-est su Kotovski. L'obiettivo eventuale sarebbe stato la sponta del Don. I contrattacchi sferrati il 1° settembre dal XXXV corpo italiano e dal XVII corpo tedesco non conseguirono gli scopi voluti per il fatto che mancò la indispensabile cooperazione tattica del XVII corpo e, in particolare, dei carri armati tedeschi che mossero su Kotovski solo alle ore 16, quando cioè le sorti del combattimento erano già state decise a favore dei sovietici per la mancanza di impulso risolutivo della 79 11 divisione tedesca. Tale mancanza mise in crisi le unità attaccanti italiane, le quali, spintesi fin quasi alle soglie di Kotovski, furono costrette a rientrare nelle proprie linee per il mancato intervento dell'aliquota corazzata tedesca. L'azione non venne ritentata nei giorni successivi nonostante i grandi vantaggi di ordine tattico che sarebbero derivati dal suo successo. Nella prima battaglia difensiva del Don 1'8" armata italiana, pur avendo dovuto, di fronte alla schiacciante superiorità sovietica, arretrare il proprio schieramento difensivo per un ampio tratto della fronte e lasciare al nemico il possesso della riva destra del Don da Kalininskij a Simovskij, riuscì a mantenere con le sole proprie forze il controllo della situazione e ad assicurare la continuità della posizione difensiva, impedendo al nemico di sfondarne la fronte e rendendo vani gli immani sforzi per alleggerire la pressione germanica su Stalingrado. E questo non fu un risultato di poco conto nelle precarie condizioni nelle quali l'armata si venne
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a trovare nel mese di agosto, se si tiene presente che dalla loro offensiva, prima contenuta e poi arrestata dall'8a armata, i sovietici si erano ripromessi il raggiungimento di Karkov. Sulla condotta e sullo svolgimento della battaglia da parte italiana non v'è molto da eccepire; anzi è da rilevare che se i comandi tedeschi avessero concesso maggiore credito alle richieste di natura tattica dei comandi italiani le cose avrebbero potuto andare molto meglio. A parte la insostenibile ampiezza delle fronti divisionali per una resistenza ad oltranza, se la difesa avesse occupato le quote di cresta di dominio altimetrico della sponda destra sulla sinistra, come prospettato dal generale Messe e come rifiutato dal comando gruppo armate B, anziché la riva del fiume e se la linea dei caposaldi fosse stata organizzata sulla displuviale, lo schieramento italiano sarebbe stato più protetto dall'osservazione e dal fuoco nemico, avrebbe guadagnato in robustezza ed in profondità, avrebbe goduto di tutti i vantaggi tattici delle quote più elevate. L'occupazione del terreno adiacente la riva destra del fiume e dei villaggi che vi si affacciavano fu svantaggiosa sotto tutti gli aspetti, perché costrinse ad uno schieramento in piccoli blocchi con andamento lineare, sottopose i reparti all'osservazione diretta del nemico - il quale peraltro poté avvalersi della lunga fascia boscosa dell'altra riva per sottrarsi al controllo ed alla reazione delle antistanti unità italiane - attirò su di loro il fuoco delle artiglierie e dei mortai di preparazione dei numerosi attacchi sovietici, favorì le infiltrazioni delle colonne d'urto avversarie, ostacolò i contrassalti e i contrattacchi della difesa. La scarsa disponibilità di tempo per perfezionare gli schieramenti iniziali e soprattutto per rafforzarli con lavori, per i quali mancavano anche gli attrezzi ed i materiali, e per orientare comandanti e gregari sugli elementi che caratterizzavano le situazioni locali incise all'inizio negativamente sulla capacità difensiva delle unità nuove all'ambiente ed alla lotta, ed aggravò la debolezza del tessuto difensivo, specialmente nel settore della Sforzesca che non resse bene all'impatto con il nemico. Fu però fenomeno di proporzioni limitate e temporanee, presto superato nell'ambito della divisione stessa, che si batté successivamente con spirito e volontà. Ma lo squilibrio tattico tra i sovietici e gli italiani rimase costante e aumentò per l'immissione di nuovi contingenti avversari che vennero gradatamente a rinforzare o sostituire quelli più provati, mentre le unità italiane, sempre le stesse, dovettero fronteggiare contemporaneamente minacce multiple nessuna seconda alt'altra per urgenza ed entità. Il contrattacco del 23 agosto della 3a Celere e
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dell'ala destra della Pasubio fu un'azione azzardata che ebbe come unico risultato l'allentamento della pressione nemica, cioè un successo indiretto ed incompleto, nonostante che le unità incaricate di effettuarlo si fossero prodigate oltre ogni limite. Il fallimento del contrattacco combinato XXXV corpo italiano-XVII corpo tedesco fu dovuto al fatto che i sovietici riuscirono a mantenere la loro superiorità nel settore investito dai tedeschi ed al fatto che questi, per motivi e circostanze forse imprevedibili o non evitabili ma anche per imperizia e scarsa volontà e tendenza alla cooperazione tattica con le grandi unità italiane, non si mossero nei modi e nei tempi concordati ed agirono non bene orientati ed informati sugli sviluppi d ei combattimenti. È del tutto verosimile che se il contrattacco fosse stato sviluppato secondo il disegno tracciato dal generale Messe, il suo esito avrebbe potuto essere diverso, in ragione se non altro della più stretta cooperazione e coordinazione che si sarebbero necessariamente realizzate tra lo sforzo italiano e quello tedesco . Ma ]'elemento che condizionò soprattutto la condotta, lo svolgimento e l 'esito della prima battaglia difensiva del Don fu l'indispensabilità <la parte del comando dell'8n armata di riserve e di unità carriste adeguate. Se la 22" divisione corazzata tedesca od una sua consistente aliquota fosse stata posta a sostegno dell'8a armata fin dallo inizio dell'offensiva sovietica, come sarebbe stato indispensabile fare secondo la valutazione dello stesso Hitler, non solo si sarebbero risparmiate molte energie, italiane e tedesche, ma probabilmente la 203" divisione di fanteria e la 14" divisione Guardie sovietiche non si sarebbero consolidate sull'ampia e profonda testa di ponte di nva destra del Don ad ovest della confluenza del Choper.
6.
Negli oltre tre mesi che intercorsero tra la fine della pnma battaglia difensiva del Don e l'inizio della seconda - sulla fronte de11 '8" armata italiana 1'11 dicembre 1942 - i comandi e le unità italiani furono assorbiti prevalentemente dalle attività riguardanti il riordinamento dei reparti, il ripianamento delle perdite, l'inserimento in linea del corpo d'armata alpino (123), le modifiche allo schieramento (124) , il rafforzamento delle posizioni di riva destra Don (125), l 'assestamento tattico e logistico per l'inverno (126) e la raccolta di notizie e informazioni (127) sul nemico. L'attività di combattimento ebbe carattere locale e fu del tipo consueto in situazioni del
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genere. Solo nei giorni 11 e 12 settembre sembrò riaccendersi la battaglia della terza decade di agosto nel settore del II corpo d'armata mediante un nuovo tentativo sovietico diretto contro la divisione Cosseria, tra Doresovka e q. 158,0, contro le divisioni Cosseria e Ravenna tra Krasno Orekovo e q. 218,0 e contro la Ravenna nell'ansa di Svinjuka (128). I tre attacchi sovietici - condotti: il primo con 2 battaglioni del 555° reggimento fucilieri della 1276 divisione, il secondo con un reggimento (415° reggimento fucilieri, della 1• divisione), il terzo con 2 reggimenti (412° e 1 reggimento della 127a divisione) - vennero ovunque contenuti e successivamente respinti e costarono ai sovietici la perdita di 2 500 morti e di 104 prigionieri contro i 678 morti, feriti e dispersi italiani. I rincalzi, le riserve divisionali e un'aliquota delle riserve di corpo d'armata italiani riuscirono nei due giorni a riconquistare tutte Je posizioni, che nelle alterne vicende della lotta, erano andate perdute, ed a ristabilire completamente la linea sul Don, Le posizioni dell'8" armata su tale linea, nonostante i provvedimenti migliorativi che si venivano adottando, conservavano tuttallora la loro precarietà e debolezza originaria che continuavano ad essere segnate prima di tutto dalla sproporzionata ampiezza della fronte assegnata - pari ini:da1mente a 300 chilometri, ridotti successivamente a 270 dalle esistenti teste di ponte sovietiche nell'ansa tra Verhnij Mamon e Niznij Mamon (ampia circa 11 e profonda circa 10 Km) e nell'ansa, 30 Km a sud-est della prima, di Krasnohorovka-Ogalev, dalla mancanza di grandi unità di 2a schiera ed in riserva, dal tipo di difesa imposto dai comandi tedeschi proiettata staticamente e linearmente sulla sponda del Don senza alternative di manovra nonché dai vincoli d'impiego posti dal comando tedesco nei riguardi delle unità inviate nel settore dell'armata poco prima che s'iniziasse l'offensiva sovietica. Le posizioni del Don, così come erano state organizzate, sistemate e presidiate continuavano a non offrire di per sé nessuna garanzia di difendibilità e, nonostante i convincimenti tedeschi sulla loro importanza e delicatezza espressi nella direttiva n. 41 (129) e confermati al rappresentante del Comando Supremo italiano dal generale von Weichs (130), nuovo comandante del gruppo armate B, in un colloquio del 4 ottobre 1942 (131), pochissimo venne fatto per potenziarle concretamente e per diminuirne l'alto coefficiente di vulnerabilità, che continuò, anzi, a salire verso valori più alti a mano a mano che la situazione generale dell'intero teatro operativo sovietico e quella particolare del gruppo armate B vennero facendosi gradatamente più difficili e delicate. Un punto di vantaggio, benché
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CAP. XXXVIII - OPERAZIONI I TALO-TEDESCHE ( PARTE QUARTA)
DISLOCAZIONE A CORDONE DELL'8' ARMATA QUALE RISULTO' INVECE ALL'INIZIO DELLA 2· BATTAGLIA DIFENSIVA DEL DON (DICEMBRE 1942)
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non risolutivo, sarebbe stato, ad esempio, l'eliminazione delle due teste di ponte sovietiche sulla riva destra del Don, ma, nonostante le proposte del generale Garibaldi dirette anche a tagliare, tutto o in parte, il saliente Pavlovsk-Mamon occupando una linea più avanzata che avrebbe consentito di sottrarre all'avversario ottime basi di partenza e di recidere la controansa di Krasno-Oerkovo e l'ansa di Mamon, la situazione territoriale dello schieramento dif;ensivo rimase quella determinatasi dopo il fallimento del contrattacco italiano del 1° settembre. I comandi tedeschi, da parte loro, erano consapevoli e preoccupati di tale stato di cose e non avevano mancato d'informare Hitler dell'impossibilità di tenere la linea del Don come fianco difensivo durante l'inverno, ma i loro ammonimenti e consigli erano caduti nel vuoto ed i capi militari tedeschi non avevano avuto il coraggio di scindere le loro dalle responsabilità di Hitler accettando, o rassegnandosi, di condurre una lotta che tutto - in particolare la scarsezza delle forze - lasciava prevedere senza esito favorevole. Ciò non toglie che qualcosa di più avrebbero potuto fare anche a favore del settore dell'8" armata qualora non si fossero lasciati suggestionare dal loro preconcetto, alimentato con finte mosse dai sovietici, circa la maggiore pericolosità dello scacchiere centrale dove i fronti (132) sovietici Kalinin e Ovest nell'estate e nell'autunno avevano svolto un'intensa attività di richiamo per le forze tedesche; qualora avessero almeno attenuato la loro dogmatica convinzione circa l'impossibilità per i sovietici di effettuare massicce operazioni offensive durante l'inverno 1942-'43 - convinzione condivisa anche dal generale Messe ( 13 3); qualora infine avessero abbandonato la costante e consueta sottovalutazione del nemico che li indusse a ritenere prossimo all'esaurimento lo sforzo sovietico, dopo la fase dell'offensiva sovietica che aveva conseguito l'isolamento della 6" armata tedesca a Stalingrado. Fu l'insieme di tali preconcetti e pregiudizi che consentl al Comando Supremo sovietico Stavka, di realizzare la sorpresa strategica sferrando l'offensiva in corrispondenza dello scacchiere meridionale e nella stagione invernale, condizioni scartate dalle previsioni tedesche, e di concentrare grandi forze nel settore di rottura prescelto, il più debole della fronte, dopo aver quasi sguarnito il resto della linea del Don. Al termine delle operazioni offensive tedesche dell'estate del 1942 nel teatro operativo russo, l'Alto Comando tedesco dové constatare che gli obiettivi strategici dell'offensiva contro le ali dello schieramento sovietico non erano stati conseguiti o lo erano stati solo parzialmente: Leningrado non era stata conquistata e lo scac-
CAP. XXXVIU - OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE QUARTA)
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chiere nord non aveva potuto essere rettificato; la completa conquista dell'Ucraina e dei pozzi petroliferi di Majkop e delle falde settentrionali del Caucaso erano stati un grande successo morale, politico ed economico, ma la mancata conquista di tutte le sponde del mar Nero, la mancata penetrazione verso il golfo Persico ed il Medio Oriente e l'assorbimento di forze dovute sottrarre agli altri scacchieri, in misura molto maggiore di quella preventivata, a causa della resistenza opposta dai sovietici, avevano mutilato la vittoria strategica. Inoltre, a nord, non erano stati eliminati i salienti sovietici di Velikie Luki e di Suhinici e, a sud, Stalingrado continuava a consumare un'enormità di energie senza prospettive di compenso. L'esame dei risultati della campagna estiva, delle risorse disponibili e della situazione strategico-militare determinatasi nel teatro operativo, in uno con una valutazione approfondita delle possibilità della Armata Rossa, avrebbero dovuto suggerire all'Alto Comando tedesco la necessità di rinunziare all'espugnazione di Stalingrado, di rimani dare ogni. ulteriore offensiva nel mar Nero e nel Caucaso comandi tedeschi giudicavano, invece, di poter svolgere tale attività anche durante buona parte dell'inverno 1942-'43 - e di scegliere una posizione difensiva strategicamente vantaggiosa ed economica, comunque meno dispersiva di quella del Don, frapponendo spazio tra lo schieramento delle loro truppe e quello dei sovietici. L'inutilità ed i rischi dello sforzo prolungato contro Stalingrado e la debolezza difensiva della posizione del Don non sarebbero dovuti sfuggire, e non sfuggirono, agli occhi degli esperti comandanti tedeschi, ma Hitler non volle badare a considerazioni strategiche di sorta e soprattutto non volle aprire gli occhi di fronte a tre realtà ben chiare: il lasciarsi invischiare a Stalingrado in una lotta di strada in strada avrebbe imposto la rinunzia a far valere l'unico elemento di forza - la superiore capacità di manovra - che i tedeschi avevano ancora in mano; la mutata disponibilità di carri armati e di aerei non ne consentiva più l'impiego a massa, ma obbligava ad utilizzarli a piccole dosi e cioè con procedimenti tattici di scarsa efficacia e facilmente neutralizzabili dalle armi controcarro, per cui le grandi unità corazzate e motorizzate avevano perso molta della loro capacità di rottura e di penetrazione relegando nel libro dei sogni le rapide ed irresistibili avanzate dei primi due anni di guerra; gli sforzi effettuati ed i sacrifici sopportati durante oltre 16 mesi nella lotta contro le agguerrite armate sovietiche avevano prostrato fisicamente e moralmente, oltre che impoverito negli organici e nelle dotazioni, le grandi unità tedesche. Queste si rendevano conto che
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la loro offensiva non sarebbe stata coronata dal successo essendo loro evidenti le difficoltà in cui esse versavano, come, del pari, le grandi unità schierate a difesa sul Don erano consapevoli che l'eccessiva ampiezza dei loro settori, lo scarso scaglionamento in profondità dei loro dispositivi, la pochezza delle riserve, la deficienza di materiali di rafforzamento, le crisi ricorrenti nella disponibilità o nella distribuzione dei carburanti erano fattori che concedevano poca o nessuna speranza ad un successo difensivo. Il generale Garibaldi non mancò di prospettare al comando gruppo armate B l'opportunità del raccorciamento della fronte del1'8a armata mediante l'arretramento della posizione di resistenza su di una linea più difendibile, ma quel comando ribadì che la difesa ad oltranza doveva essere condotta senza rinunzie sulla sponda destra del Don. Alla proposta del generale Gariboldi di tenere alla mano riserve di una certa consistenza, ordinate in gruppi d'intervento per poter contrapporre una massa reattiva adeguata dove si fosse manifestato lo sforzo nemico - anche a costo di indebolire:: le forze sLaLiche - il comando gruppo armate B si oppose decisamente ed in sede di revisione del progetto di schieramento invernale ordinò esplicitamente di raffittire la linea di difesa utilizzando la esigua parte degli elementi destinati ad essere tenuti alla mano (122). Accadde così che, all'inizio della controffensiva invernale sovietica, 1'8" armata italiana avesse quasi tutte le proprie forze schierate in linea e disperse su 270 chilometri di fronte, mancasse di una riserva organica di armata, disponesse ai livelli di corpo d'armata e di divisione di sparuti gruppi d'intervento e solo di alcuni battaglioni in secondo scaglione peraltro schierati a difesa di posizioni vitali ed accadde altresi che venissero allontanate d'urgenza dal settore dell'armata le divisioni tedesche 62\ 22" corazzata e 2948, già ivi dislocate in seconda schiera, per trasferirle a parare la minaccia manifestatasi nel settore della 3s armata romena, la prima ad essere investita, il 19 novembre, dalla controffensiva invernale sovietica. Negli ultimi giorni di novembre furono assegnate all'armata tre unità tedesche - la 385" divisione di fanteria, la 27"' divisione corazzata e il 318° reggimento granatieri - ma: quest'ultimo, armato in tutto di 105 mitragliatrici tra leggere e pesanti, 8 mortai pesanti, 6 pezzi da 75 e 12 da 37 controcarro, venne subito inserito nello schieramento della Cosseria, al limite destro del settore, a contatto con la Ravenna, nella zona di Deresovka; la 27"' divisione corazzata, con il vincolo d'impiego da parte del comando gruppo-armate, aveva una forza pari a quella di un battaglione corazzato, per di più costituito da mezzi
CAP. XXXVIIJ - OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE QUARTA)
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non omogenei (venne dislocata nella zona di Krusmenkof-ZapkovoKrasni, dietro la linea di contatto tra Cosseria e Ravenna); la 385n divisione, spostata dalla fronte di Voronez, giunse in zona all'immediata vigilia dell'attacco sovietico contro il II corpo d'armata italiano e venne scaricata dai treni nella stazione ferroviaria di Mitrofanovka, nelle retrovie della Cosseria, dove restò inizialmente alle dipendenze dirette del comando dell'armata. Inoltre furono inviate al II corpo 3 compagnie tedesche di cannoni controcarro, con un totale di 22 pezzi, le quali furono schierate nel settore della Ravenna. Alla sera del 10 dicembre, le forze inquadrate nell'armata erano da nord a sud: corpo d'armata alpino con la divis.ione Tridentina (5° e 6° alpini e 2° artiglieria alpina), divisione ]ulia (8° e 9° alpini e 3° artiglieria alpina), la divisione Cuneense ( 1" e 2° alpini e 4° artiglieria alpina), 1'11° raggruppamento artiglieria di corpo d'armata, il battaglione alpini sciatori Monte Cervino, un gruppo di squadroni appiedati , il reggimento artiglieria a cavaJlo, un gruppo cannoni da 149 / 40 del 9° raggruppamento artiglieria d'armata, un gruppo cannoni da 149 /28, il 612° reggimento artiglieria pesante tedesco su 2 gruppi (in totale 20 battagHoni fucilieri, 54 batterie con 216 bocche da fuoco, nessun mezzo corazzato); II corpo d'armata con la divisione Cosseria (89" e 90° Salerno e 108° reggimento artiglieria divisionale, 318° reggimento granatieri tedesco su 3 battaglioni), la divisione Ravenna (37° e 38° Ravenna, 121° reggimento artiglieria divisionale, 3 compagnie controcarro tedesche con 22 pezzi in totale), un battaglione guastatori, 2° raggruppamento artiglieria di corpo d'armata, raggruppamento camicie nere 23 marzo, un gruppo del 201° reggimento artiglieria motorizzato controcarri, un gruppo cannoni da 149/40 del 9° raggruppamento artiglieria d'armata, una compagnia genio-traghettatori (in totale 20 battaglioni fucilieri, 33 batterie con 132 bocche da fuoco, nessun mezzo corazzato); XXXV corpo d'armata C.S.I.R. con la 298" divisione di fanteria tedesca (525°, 526°, 527° granatieri, 298° gruppo caccia carri), la divisione autotrasportabile Pasubio (79° e 80° Roma e 8" reggimento artiglieria divisionale), un battaglione guastatori, 30° raggruppamento artiglieria di corpo d'armata, raggruppamento camicie nere 3 gennaio, un gruppo cannoni da 149/40 del 9° raggruppamento (in totale 20 battaglioni fucilieri, 39 batterie con 156 bocche da fuoco); XXIX corpo d'armata tedesco con la divisione autotrasportabile Torino (81° e 82° Torino e 52° reggimento artiglieria divisionale), la 3a divisione Celere Principe Amedeo duca d'Aosta (3° e 6° bersaglieri, 120° reggimento artiglieria motorizzato, un battaglione bersaglieri motociclisti, un battaglione
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bersaglieri corazzato carri L6, un gruppo semoventi da 47 /32, una legione croata), la divisione Sforzesca (53° e 54° Umbria e 17° reggimento artiglieria divisionale), un gruppo obici da 210/22 de] 9° raggruppamento artiglieria d'armata (in totale 20 battaglioni fucilieri, 30 batterie con 120 bocche da fuoco, 50 mezzi corazzati); in riserva di armata: la divisione di fanteria Vicenza priva di artiglierie e la 27a divisione corazzata tedesca, ma con vincolo d'impiego, dotata in tutto <li 47 mezzi corazzati di vario tipo. Esclusa questa ultima divisione con impiego vincolato dal comando del gruppo armate B, l'armata contava in tutto 86 battaglioni fucilieri, 156 batterie con 624 bocche da fuoco (escluse quelle di accompagnamento della fanteria, quelle controcarro e quelle montate sui mezzi corazzati e contraerei), 97 mezzi corazzati (135). La controffensiva invernale russa fu sferrata con perfetta scelta di tempo il 19 novembre, nel periodo cioè compreso tra i primi geli che induriscono il suolo e consentono perciò una grande rapidità di movimento e le prime nevicate che invece annullano quasi Jel tutto le possibilità di manovra. Il progetto della controffensiva fu concepito e attuato con grande intelligenza tanto sul piano strategico quanto su quello psicologico. Contro i fianchi delle forze tedesche operanti nel settore di Stalingrado fu esercitato un doppio movimento a tenaglia, ciascuno composto di parecchie finte, mirante a isolare la 6 8 armata e la 4" armata corazzata, colpendo in punti in cui la copertura laterale era stata in larga parte affidata a truppe romene. Il piano era stato ideato da un brillante triumvirato dello stato maggiore generale sovietico composto dai generali Zukov (136) , Vasilevsldj (137) e Voronov (138), e i suoi principali esecutori furono il generale Vatutin (139), comandante del fronte sud-occidentale, il generale Rokossovski (140), comandante del fronte del Don, e il generale Eremenko (141), comandante del fronte di Stalingrado (142). A nord-ovest di Stalingrado, le avanguardie sovietiche attaccarono lungo le sponde del Don e raggiunsero Kalac e la linea ferroviaria proveniente dal bacino del Donez; a sud-est di Stalingrado la branca di sinistra si mosse verso ovest puntando sulla linea ferroviaria diretta verso Tichoreck e il mar Nero. Nel giro di pochi giorni le due branche si chiusero e strinsero nella morsa la 6a armata tedesca ed un corpo d'armata de1la 4a armata corazzata. I tedeschi non ebbero altra alternativa che quella di continuare a combattere, non più per spezzare le difese di Stalingrado, ma per rompere l'anello stretto dalle armate sovietiche alle loro spalle. Nel frattempo, un'altra poderosa formazione sovietica partita dalla testa
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di ponte di Serafimovic attaccò con direzione sud nella regione ad ovest dell'ansa del Don lungo più direttrici e alla fine si ricongiunse sul Tcir con la branca sinistra proveniente da Kalac. Il contrattacco tedesco di metà dicembre, sviluppato da sud-ovest, al di là del Don, lungo la direttrice Kotelnikova-Stalingrado, dell'Ha armata del generale von Manstein (143), con forze modeste e raccogliticce, per tentare di spezzare l'assedio di Stalingrado, sebbene condotto con grande abilità tattica e sebbene riuscito ad affondare un profondo cuneo nelle posizioni sovietiche, venne bloccato e poi respinto indietro con una continua pressione laterale. Dopo aver ammassato forze molto considerevoli (144) lo Stavka predispose intanto un'altra nuova e più ampia manovra accerchiante che inizialmente prevedeva due attacchi aventi direttrici operative convergenti su Millerovo: da nord, dalla testa di ponte di Ossetrovka (Verhnij Mamon), con le forze della 1a armata Guardie; da est, dalla zona di Cerniscevskaja, con le unità della 3" armata Guardie, mentre per la sicurezza del fianco sud del dispositivo controffensivo era progettato u11 allacco, con la 5a armata corazzata, dal bosco del fiume Tcir, su Tazinskaja. L'operazione, fissata per il 10 dicembre, venne denominata convenzionalmente Saturno. L'offensiva tedesca del generale von Manstein movente dalla zona di Kotdnikovskij e Jiretla su Stalingrado e Jc difficoltà di afflusso delle forze e dei mezzi indussero lo Stavka a mutare la direttrice operativa dello sforzo principale da quella nord-sud in quella nord-sud-est su Morozocsk e di rinviare l'inizio della controffensiva Saturno al 16 dicembre. Si mirava con ciò a battere il nemico nella zona del basso Don, ad attaccare da tergo le sue forze dislocate nella zona Bokovskaja-Morozovsk ed annientarlo con attacchi simultanei da est e da nord-ovest. La 1" e la 3a armata Guardie del fronte sud-ovest dovevano accerchiare e distruggere rispettivamente 1'8" armata italiana e il gruppo operativo tedesco Hollide e muovere successivamente su Morozovsk. La 6a armata del fronte Voronez aveva il compito di conferire sicurezza all'offensiva del front sud-ovest, attaccando dalla zona di Gorohvka in direzione di Kantemirovka. La 5" armata corazzata, in cooperazione con la Y armata d'urto del fronte Stalingrado, aveva l'ordine di eliminare il nemico situato nella zona di Nizne Cirskaja e di Tormosin. Le unità terrestri erano appoggiate da due armate aeree. Il piano completo dell'operazione fu denominato Piccolo Saturno. In tal modo, mentre nel piano iniziale i] compito di dare concorso alle operazioni dei fronti Don e Stalingrado (impegnati nell'area di Stalingrado) era sussidiario e subordinato ::ill'::iclempimento del compito princi-
CAP. XXXVIII - OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE QUARTA)
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pale, nel piano definitivo, elaborato tenendo conto della mutata situazione, il compito del fronte sud-ovest diventava prioritario (145).
7.
L'inizio della controffensiva sovietica sulla fronte dell'8" armata italiana fu preceduto da una serie di azioni locali ( 1-9 dicembre) diversive, dirette principalmente contro la Pasubio e da un'azione preliminare di logoramento (11-15 dicembre), condotta dai sovietici senza risparmio di uomini e di fuoco, contro le fronti del II e del XXXV corpo d'armata C.S.I.R. e, in particolare, contro i settori della Ravenna, della Cosseria e della Pasubio (134). Le azioni locali diversive della prima decade di dicembre vennero condotte da forze mai inferiori al battaglione, mentre quelle successive di logoramento si concretarono in veri e propri attacchi, sebbene di carattere locale, per la conquista dei caposaldi avanzati, sviluppati, con il sostegno della preparazione di artiglieria e dell'aviazione, da interi reggimenti di fanteria, e impegnarono da 26 a 28 dei 115 battaglioni sovietici in zona. Essi raggiunsero lo scopo di logorare la difesa e di indebolirla ulteriormente per meglio sopraffarla nella successiva fase della controffensiva generale. Nel settore della Ravenna i combattimenti dall'll al 15 si polarizzarono sulla fronte del 38° fanteria italiano e del 318° fanteria tedesco, in particolare intorno ai caposaldi di q. 218 e della zona di Krasno Orekovo per il cui mantenimento o riconquista si assottigliarono a mano a mano i rincalzi di battaglione, aliquote di battaglioni di secondo scaglione, e la riserva divisionale costituita da 2 battaglioni incompleti, e vennero infine impiegati i due gruppi Valle Scrivia e i due gruppi Leonessa, in riserva di corpo d'armata, ceduti dal comando del II corpo d'armata, combattimenti durante, al comando della Ravenna. Il giorno 15 venne inviato a Gadjucce anche il battaglione motociclisti della J Celere spostato dal settore della Pasubio. Ma alle ore 23 dello stesso giorno il nemico riuscì a superare il caposaldo che ancora assicurava la saldatura con la Cosseria ed a dilagare a tergo spingendo avanti nuove forze. L'impiego dei reparti fatti affluite in linea sbloccò il caposaldo di saldatura e ristabill il collegamento a sinistra con il 318° tedesco, lungo la pista da q. 158 a Deresovka. Dopo 5 giorni di combattimenti, i sovietici non riuscirono ad interrompere la continuità della linea di resistenza. Nel settore della Cosseria l'attacco sovietico ebbe inizio il mattino del giorno 12 e si sviluppò in direzione della q . 197 4
LA BATTAGLIA DI LOGORAMENTO (11-15 DICEMBRE 1942) PRINCIPALI ATIACCHI NEL NEMICO
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e della q. 192 ad opera della 127" divisione. Il giorno successivo il nemico attaccò nuovamente le posizioni di Novo Kalitva, di Samodurovka e di Deresovka (318° tedesco) costringendo la difesa al totale impiego dei rincalzi e dei secondi scaglioni ed a procedere alla sostituzione in linea delle unità più provate. Per alimentare la resistenza, il comando dell'armata concesse l'impiego di un battaglione (III/537°) della 335a divisione tedesca, ma non aderì alle richieste del comando del II corpo che avrebbe voluto, stante la situazione di logoramento della Cosseria, attaccata nella giornata del 13 da 6 o 7 battaglioni sovietici, la disponibilità dell'intera 38Y tedesca. Il contrattacco sferrato il mattino del giorno 14 dal 537° granatieri tedesco, che aveva inglobato anche i resti del II e del III battaglione dell'89° fanteria già operante nel settore, conseguì la riconquista di un caposaldo perduto e lo sbloccamento di altri 3 caposaldi che ancora resistevano validamente. La mattina del 14, sempre nel settore della Cosseria, un altro contrattacco del gruppo Leonessa I I costrinse i sovietici a ripiegare dalla zona di q. 192, ma intorno a tale quota ben presto la lotta si riaccese riportatavi da 2 nuovi battaglioni del 147° sovietico che furono contrattaccati ancora una volta dal gruppo tattico Leonessa II, ultima riserva disponibile. La q. 192 tornò in possesso italiano, ma nel frattempo erano caduti nella zona di Deresovka alcuni centri di fuoco del 318° granatieri tedesco e l'avversario si era rafforzato nell'abitato di Samodurovka andato perduto il giorno precedente. Alla sera del 14 risultava che contro la Cosseria avevano operato la 127\ la 1728 e la 35()8 divisioni sovietiche con non meno di 10 battaglioni subendo gravi perdite (almeno pari a 2 battaglioni sulla sola q. 192). All'alba del giorno 15 nuove unità sovietiche, ammassatesi durante la notte sulle pendici nord di q. 192, sferrarono un nuovo attacco contro le posizioni di tale quota, delle quali riuscirono ad impadronirsi. Il comaridante del II corpo rappresentò al comando dell'8" armata: il totale esaurimento delle riserve divisionali ed una situazione quasi eguale per quelle di corpo d'armata, l'affaticamente fisico delle unità in linea prodotto dalla durata e dall'asprezza della lotta e dall'ostilità del clima gelido, l'indisponibilità assoluta di forze per presidiare una nuova posizione di fronte al continuo rinnovarsi delle unità nemiche attaccanti, alimentate da tergo da intere divisioni ancora intatte e da numerose brigate corazzate. Propose lo sviluppo di un'azione della contermine divisione Cuneense tendente al rovescio di Gorohvka, la sostituzione delle unità italiane e tedesche (537° granatieri), che combattevano nel settore del II/89°, con 2 batta-
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glioni alpini, l'assegnazione di alcuni battaglioni alpini da dislocare in secondo scaglione dietro la Ravenna e la Cosseria come riserve per contrattaccare quando fosse venuto l 'attacco decisivo del nemico. Le proposte non furono accolte dal comando dell'armata, al pari di quella presentata fin dal giorno 11 dallo stesso comandante del II corpo d'armata circa una puntata di alleggerimento del corpo d'armata alpino dalla zona di Staro Kalitva e Novo Kalitva, tendente a minacciare i rovesci di Gorohuka, al fine di diminuire la pressione sovietica nel settore della Ravenna. l rifiuti del generale Gariboldi al generale Giovanni Zanghieri, comandante del II co.rpo, non dipesero da una sottovalutazione della situazione, ma, come spesso accade in guerra in frangenti simili, dalla diversa posizione di responsabilità dei due comandanti. Vero è che la validità delle richieste del comandante del II corpo venne confermata pochi giorni dopo quando dovette essere trasferita d'urgenza l'intera divisione Julia sulla fronte del II corpo, ma ciò avvenne quando non vi furono più dubbi sui punti di applicazione degli sforzi nemici. D 'altra parte, per la riconquista della quota 192 venne trasferito dal corpo d'armata alpino alla Cosseria il gruppo controcarri tedesco B (22 complessi), vennero impiegate forze dalla 385" tedesca e venne posto a disposizione della Cosseria anche il battaglione del 539" granatieri tedesco dislocato ad Orohinski . Furono, inoltre, presi altri provvedimenti precauzionali, quali lo spostamento ad Orobinski di un altro battaglione del 539°, lasciato però a disposizione del comando del gruppo armate B, l'afflusso nella stessa zona di una compagnia di cacciatori controcarro armata di 10 pezzi da 105 e l'invio in linea di reparti di formazione costituiti sul momento con personale delle retrovie. Intorno alla q. 192 continuarono a combattere fino alla sera del 15, sebbene logoratissimi, sia 2 battaglioni del 90° fanteria sia 3 battaglioni del gruppo Leonessa. Venne, infine, previsto dal comando gruppo armate B, con l'avallo del comando dell'8n armata, che: la 335a tedesca con tutti i reparti presenti in zona passasse a disposizione del II corpo; la Cosseria venisse sostituita in linea entro la notte sul 16 dalla 385 che avrebbe assunto la responsabilità dell'intero settore Cosseria e preso alle dipendenze le artiglierie (comprese le batterie di accompagnamento) organiche e di rinforzo della stessa Cosseria, il 318° granatieri ed il gruppo controcarro B; i reggimenti di fanteria della Cosseria si sarebbero dovuti riordinare in seconda linea in attesa di nuovi ordini, mentre il comandante del II corpo avrebbe voluto che appena sostituiti passassero a sostenere l'azione della Ravenna. 8
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Sulla fronte del XXXV C.S.J.R., dall'll al 15 dicembre, il nemico impegnò incessantemente il settore della Pasubio con attacchi e con azioni di fuoco, i primi localizzati soprattutto contro le posizioni tenute dal 79° fanteria. La tenace resistenza del reggimento, sostenuta dalle unità subito inviate in rinforzo dal generale Messe - il battaglione corazzato con 31 carri L6, un gruppo squadroni con 19 semoventi da 47 /32, il battaglione motociclisti, l'intero battaglione guastatoti che si riunì così alla compagnia già sul posto ed i contrattacchi del gruppo camicie nere Tagliamento e di 2 compagnie di formazione riuscirono a contenere la pressione nemica ed a salvaguardare l'integrità della linea di resistenza infliggendo al nemico migliaia di perdite. Dopo 5 giorni di lotta, l'8a armata era riuscita a conservare l'integrità sostanziale della posizione di resistenza, sia pure a caro prezzo. Le divisioni Cosseria, Ravenna e Pasubio , al termine di questa fase della lotta, risultarono gravemente logorate e provate ed il II ed il XXXV corpo privi o quasi di ogni riserva per reagire dinamicamente agli attacchi futuri dati per certi da quanto il nemico veniva facendo sulla opposta riva del Don. Le acque gelate del fiume erano letteralmente arrossate dal sangue dei soldati sovietici caduti ed il terreno antistante le posizioni difensive italo-tedesche era letteralmente ingombro di cadaveri nemici tanto da ostacolare il tiro delle armi automatiche; ma, mentre le grandi unità sovietiche attaccanti avevano dietro di loro abbondanti risorse per ripianare le perdite, sostituire i reparti logorati, completare e rinforzare i dispositivi di attacco, le forze della difesa avevano dietro di loro il vuoto e dovevano apprestarsi ad un'ulteriore resistenza ad oltranza così com'erano ridotte dopo i cinque giorni di lotta. Dagli altoparlanti i russi (in lingua italiana) avevano minacciato ritorsioni per le ingenti perdite subite (147) e tradussero la minaccia in dura realtà all'alba del 16 dicembre, quando, con oltre 2 500 bocche da fuoco, iniziarono la preparazione d'artiglieria, durata 70-80 minuti per la profondità di circa 6 chilometri, contro Je unità del II corpo d'armata. L 'attuazione del modificato piano Saturno, avviata il mattino del 16 dicembre, impegnò da parte sovietica le truppe del fronte Sud-Ovest e quelle dell'ala sinistra del fronte Voronez e, da parte delle forze dell'Asse, 1'8" armata italiana, il gruppo operativo tedesco Hollidt ed i resti della 3" armata romena. La fronte dell'8a armata italiana venne investita inizialmente in corrispondenza dei settori del II (Cosseria, 385° tedesca, Ravenna) e del XXXV C.S.I.R. (Pasubio) corpo d'armata i quali, malgrado il logoramento subito nei
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giorni precedenti, opposero - a detta degli stessi sovietici - accal(tita resistenza e spesso passarono al contrattacco (148). Il rapporto numerico delle forze contrapposte (149) era tale che nulla avrebbe potuto evitare la rottura della posizione di resistenza, anche perché la difesa, di per sé debole per l'eccessiva ampiezza della fronte in rapporto alle forze disponibili e per la totale assenza di riserve - priva cioè dei requisiti essenziali di profondità, elasticità e reattività di movimento - dovette essere impostata e condotta, in obbedienza agli ordini tassativi dell'Alto Comando tedesco e del comando gruppo armate B, ribaditi combattimento durante, sulla base del criterio della rigida resistenza in posto sul Don con l'esplicito divieto, fatto dal comando gruppo armate B, di trasferire forze dai settori non impegnati a quelli fortemente investiti anche se pericolanti. I cosiddetti contrattacchi liberatori promessi all'armata dal comando gruppo armate per ristabilire la situazione là dove risultasse ad un certo momento compromessa o mancarono del tutto perché il comando gruppo armate non inviò le for-..:e destinate a svilupparli, o furono tardivi, o le rare volte che furono effettuati risultarono del tutto insufficienti perché affidati a complessi troppo deboli. La disponibilità dei gruppi d'intervento dei corpi d'armata e delle divisioni - basati sull'impiego dei battaglioni di secondo scaglione rinforzati da armi di accompagnamento e controcarri, artiglierie e reparti del genio - o venne generalmente a mancare perché non esistevano più unità di secondo scaglione, o fu del tutto inadeguata e trascurabile. Le unità di seconda schiera, inizialmente inesistenti, e la divisione Julia, sottratta al corpo d'armata alpino per essere destinata al II corpo, vennero assegnate in ritardo, giunsero ad attacco iniziato e dovettero spesso essere impiegate per aliquote, anziché per intero, con conseguente decadimento de11a loro capacità operativa globale, che, come noto, è il prodotto, non la somma, di quelle delle singole unità. Nella fase di rottura del centro e della destra dell'Armata, in sostanza, non fu possibile opporre all'attaccante l'azione organica e manovrata di alcuna Grande Unità, né di fanteria, né corazzata, così che l'avversario poté ampliare, senza essere validamente ostacolato, le brecce che aveva aperto nella linea difensiva (150). Tali brecce vennero aperte dalla 6.,. e dalla l' armata Guardie fin dal giorno 16 in corrispondenza delle fronti del II corpo d'armata e del XXXV corpo d'armata C.S.I.R. e, più precisamente, nei settori tenuti dalla 385" divisione tedesca, che nella notte aveva assunto la responsabilità operativa del settore della Cosseria, dalla Ravenna e dalla Pasubio.
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L'attacco nemico sulla fronte del II corpo fu preceduto durante la notte da continui tentativi d'infiltrazione e all'alba da una lunga preparazione di artiglieria alla quale fece seguito, verso le 9, l'intensa azione dell'aviazione sovietica che si estese in profondità sulle retrovie con ripetuti mitragliamenti e spezzonamenti. Nel settore Cosseria38511 divisione tedesca l'attaccante riuscì a rompere in più tratti lo schieramento del 318° reggimento granatieri tedesco della Cosseria, a costringere i tedeschi a sgomberare l'abitato di Deresovka, a contrastare il contrattacco italiano sostenuto dai carri della 27.. divisione corazzata tedesca per la rioccupazione della q. 192, ad esercitare fortissima pressione su Samodurovka ed a raccogliere numerose unità carri nella zona di Gorohvka. A metà della mattina, sebbene il contrattacco su q. 192 fosse parzialmente riuscito, la continuità della Linea con la Ravenna fu spezzata e la pressione nemica sulla parte destra del settore continuò ad essere fortissima, rendendo impossibile il ricupero delle unità superate che ancora resistevano. Il contatto tra la 38Y' - Cosseria e la Ravenna era venuto a mancare e non fu più possibile ristabilirlo . La linea da difendere avrebbe dovuto seguire il corso del Don da Deresovka fin dove possibile, contornare la sacca e ricollegarsi a Gadjucce-Filonovo raggiungendo a destra il limite del XXXV corpo d'armata C.S.I.R. (298" divisione tedesca). La 38Y avrebbe dovuto difendere la fronte nord dalla Cernaja Kalitva a Deresovka; la 27"' corazzata avrebbe dovuto riprendere il contatto con la Ravenna; i reparti organici della Cosseria (151), ancora trattenuti sulle posizioni dalla 385\ una volta recuperati e rinforzati dal battaglione alpini sciatori Monte Cervino e da vari reparti di ogni specialità del genio inviati a combattere come fanteria, avrebbero dovuto costituire una zona di sicurezza appoggiandosi agli abitati tra Dubovik.of e Gadjucce; il giorno successivo, avrebbero dovuto sviluppate un'azione in direzione nord-est, partendo dalla zona di Goly - dove terminavano le posizioni della 385.. - per cercare di ristabilire la situazione. Nel settore della Ravenna, mentre continuava la resistenza dei caposaldi sulla riva del Don, il nemico aveva attaccato alle 7,15 due caposaldi del 38° fanteria ed uno del 318° fanteria tedesco nell'azione in forze condotta a nord di Krasno Orekovo ed i carri armati sovietici da q. 193,0 avevano superato e travolto altri elementi della difesa. Alle ore 9 le posizioni del lato occidentale dell'ansa di Vernhnij Mamon erano infrante ed i carri sovietici raggiungevano gli abitanti di Krasno Orekovo, Gadjucce e Filonovo. Dopo poco la Ravenna era attaccata: dalla 195a divisione sovietica nella controansa di Krasno Orekovo, dove la linea era
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LA BATTAGLIA DI ROTTURA SUL FRONTE DEL Il C. A. SCHIERAMENTO E DIREZIONI D'ATTACCO
LEGGENDA ~ Grandi unità russe ~ Direz,one
di attacco nem,co . , . . _ Linea di difesa all',n,zio della bat1,,1i3
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oramai già rotta ed i caposaldi superstiti venivano circondati e sopraffatti dai carri; dalla 41 a divisione Guardie lungo la direttrice q. 19, ,6q. 150,2 coincidente con una strada; dalla 44a. divisione Guardie a cavallo di q. 218, nella parte orientale dell'ansa andata perduta dopo l'eliminazione da parte dei carri armati sovietici del saliente difeso da un battaglione mitraglieri di corpo d'armata. Alle ore 12 l'aviazione sovietica, che dalle 8 aveva sostenuto l'azione offensiva diretta contro la Ravenna, era divenuta padrona del cielo; le fanterie sovietiche stavano allargando i varchi nei campi minati; i carri armati si accingevano ad irrompere in profondità contrastati solamente da 20 semoventi della 27a. corazzata tedesca. Il comando del II corpo, di fronte a tale situazione, propose al comando dell'armata di arretrare la resistenza sulla linea Zupkovo-Orobinski-DurbovikofGoly-q. 179,2-Luritzkaja, ma il comando gruppo armate B rispose che nessun ripiegamento avrebbe potuto essere autorizzato e che la Ravenna avrebbe dovuto continuare a difendersi in posto. Alle 17 la divisione fece fronte sulla linea q. 217 ,6-Filonovo-Balka di Gruscevo-q. 159 collegandosi con la 298" tedesca, ma la fronte altro non fu che un sottile velo di circa 3 000 uomini stremati da 6 giorni di combattimento, frammischiati, fuori dai vincoli organici e certo non in grado, date anche l'estensione della fronte e l'impossibilità di rafforzarvisi per il terreno gelato che non consentiva lo scavo, di svolgere un'azione difensiva neppure di ritardo. Solo la disponibilità fin dal giorno 16 di un'intera divisione corazzata, a pieni organici, avrebbe potuto forse ristabilire la situazione, ma le grandi unità ed i reparti dei quali era stata annunciata l'assegnazoine - divisione Julia, 38r divisione di fanteria tedesca, gruppo corazzato SS Fegelein, gruppo Schuldt (2 battaglioni di polizia SS, 1 gruppo controcarri, 4 compagnie, 2 gruppi di artiglieria leggera, 1 batteria obici, 1 gruppo contraerei dell'aviazione) - alla sera del giorno 16 non erano ancora giunti e solo a notte il comando dell'8a armata, nel ribadire al II corpo la difesa ad oltranza, passò alle dipendenze della Ravenna il gruppo Haempel e mise alle temporanee dipendenze del II corpo la 298a divisione tedesca (non ancora attaccata direttamente) perché collaborasse strettamente con la Ravenna ai fini della tenuta della fronte . L'attacco sulla fronte del II corpo continuò, nonostante la temperatura si fosse abbassata a meno di 30 gradi, durante la notte sul 17 e per l'intera giornata. Nel settore 3g5a divisione tedescaCosseria: un attacco di mezzi corazzati contro Samodurovka e Deresovka raggiunse lo schieramento dell'artiglieria e travolse due batte-
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rie; carri armati e fanteria sovietici, verso le ore 9, da Dubovikof si diressero su Orobinski contrastati da pochi pezzi da 47 italiani e da 88 tedeschi minacciando da presso Krasni, sede di 3 comandi di divisione (385", Cosseria, Ravenna); gli attacchi sovietici contro le posizioni di q. 192,0 si ripeterono per tutta la giornata senza successo per la resistenza di reparti frammisti italo-tedeschi superstiti (2 battaglioni del 90° fanteria, il gruppo camicie nere Leonessa e un battaglione del 539° tedesco); carri armati sovietici provenienti dai settori del 318° e della Ravenna raggiunsero Orobinski e determinarono l'isolamento dei reparti italo-tedeschi avanzati; la pressione e la progressione sovietiche costrinsero al ripiegamento i superstiti dei caposaldi tenuti dal I battaglione del 90° gruppo i quali si portarono dapprima sulla posizione della batteria d'accompagnamento rimasta con un solo pezzo, poi su quella di una batteria della artiglieria divisionale ed infine su Zapkovo, protetti dal fuoco di una compagnia mortai da 81 del battaglione divisionale sacrificatasi addirittura in un contrassalto per favorire il ripiegamento delle altre forze; carri armati nemici investirono nel pomeriggio lo schieramento delle artiglierie divisionali e di rinforzo che si difesero fino a notte inoltrata quando alcune vennero sopraffatte dalle fanterie sovietiche, mentre altre riuscirono a ripiegare combattendo ed altre ancora dovettero distruggere un'aliquota dei loro pezzi per esaurimento del carburante durante il ripiegamento. Nel settore della Ravenna, la caduta della q. 217,6 rese indifendibili gli abitanti di Gadjucce e Filonovo, per cui si rese necessario l'arretramento sulle località di Sovkos Boguciarski e di Perescepni. Non tutte le unità della Ravenna avevano potuto raggiungere Gadjucce e Filonovo ed i superstiti del 37° fanteria, le cui posizioni erano state superate dalle fanterie o travolte dai carri sovietici, si fecero largo combattendo duramente · per raggiungere Perescepni ed il settore della 298a tedesca. Il ripiegamneto su Sovkos Boguciarski e su Perescepni si svolse ordinatamente e le unità superstiti della Ravenna riuscirono a riorganizzarsi a difesa nella zona di Kasmenkof per impedire infiltrazioni nemiche nella valle del Boguciar e verso sud. La 298a divisione tedesca, trasferita la sera avanti dalla dipendenza del XXXV corpo d'armata C.S.J.R. a quella del II corpo d'armata - provvedimento di cui il comandante della divisione non si dimostrò convinto - non venne attaccata dal nemico, ma dové egualmente ripiegare la sua ala sinistra per raccordarsi alle unità laterali schierandola sul Boguciar. Ma anziché attestarsi su tale linea, gli elementi dell'ala sinistra si portarono molto più indietro, superando la dorsale tra le vaJli
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del Boguciar e della Levaja e prendendo posizione sulla dorsale di riva destra di quest'ultimo corso d'acqua. L'errore, lasciando totalmente aperta all'avanzata sovietica la via principale del Boguciar e quella secondaria del Levaja, facilitò enormemente la manovra nemica di aggiramento a breve raggio dell'ala destra dell'armata e, in particolare, del XXXV corpo, comprendente la stessa 298a e la Pasubio. Per l'intera notte e giornata del 17 il comando del II corpo d'armata cercò di fronteggiare nei limiti del possibile la rapida evoluzione della situazione sulla sua fronte, ordinando di costruire bretelle di raccordo e di presidiare punti chiave di resistenza, prospettando al comando dell'armata l'opportunità di tempestivi ripiegamenti, trasferendo il comando, meno l'aliquota del comando tattico, da Taly a Mitrofanovka; ma, privo di ogni riserva, altro non poté fare che subire l'iniziativa nemica, limitandosi a contenerne gli effetti senza poterla rintuzzare in qualsiasi altra maniera. Nel pomeriggio il comando dell'armata fece conoscere al generale Zanghieri gli ordini dell'Alto Comando tedesco che non variavano praticamente quelli fino ad allora eseguiti dai comandi italiani sul posto e che erano conformi a quelli impartiti dal Comando gruppo armate: all'imbrunire del giorno 17 le divisioni tedesche 385a e 298\ con le forze italiane in esse incorporate, sarebbero arretrate sulla linea Novo Kalitva-Zapkovo-Tvjerdoklebovka-Lufitzkaja-abitato di Boguciar-foce del fiume Boguciar nel Don, raccordandosi a sinistra con il corpo d'armata alpino ed a destra con la Pasubio al fine di formare un fronte compatto; la linea di contatto tra il II ed il XXXV corpo d'armata avrebbe dovuto correre lungo la q. 182Vervekovka-Barsuki; le unità italiane in quel momento frammiste a quelle tedesche avrebbero potuto, a giudizio del comandante del corpo d'armata, essere riunite in un settore a parte, secondo le possibilità contingenti; le unità assegnate in rinforzo al II corpo d'armata provenienti - ma non ancora in quel momento giunte dal corpo d'armata alpino avrebbero dovuto essere impiegate per rinforzare la linea. Alla fine della giornata il comando del gruppo armate B riassunse in un unico documento gli ordini a mano a mano impartiti nella giornata al comando dell'88 armata (152), ribadendo la difesa ad oltranza di ogni palmo di terreno, lamentando che il comando del II corpo d'armata avesse retroceduto innanzitqmpo la sua sede di comando a Mitrofanovka, dando mandato al comando dell'8a armata di investire il colonnello Kinzel, ufficiale di collegamento tedesco, rimasto tuttora a Taly, di tutti i poteri necessari affinché potesse dirigere sul luogo stesso l'impiego e lo schiera-
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mento di tutte le forze nuove in arrivo, in conformità dei presenti ordini. I quali, in verità, tenevano scarso conto della gravità della situazione in atto la sera del 17; sorvolavano sulla velocità di progressione delle unità corazzate nemiche; davano come facilmente attuabili il tamponamento della grossa falla e la ricostituzione su posizioni retrostanti di una nuova posizione di resistenza, da raccordare a sinistra con quella del corpo d'armata alpino e a destra con quella del XXXV corpo C.S.I.R., quasi fosse sufficiente per fare ciò che la Pasubio mantenesse le sue posizioni non ancora seriamente intaccate; vincolavano l'impiego del gruppo SS oberfuhrer Fegeiein nella valle del Boguciar per ricacciare le infiltrazioni nemiche e per contrattaccare successivamente, da solo od unitamente alle aliquote del corpo d'armata alpino giunte per prime, al fine di impossessarsi della linea Boguciar-Tvjerdoklebovka-Zapkovo-Novo Kalitva. Il documento del gruppo armate B conteneva, inoltre, notizie infondate e prive di riscontro con la realtà in quanto asseriva che il colonnello Kim:el si trovava a sera ancora a Taly, mentre se ne era allontanato per trasferirsi a Kantemirovka sin dal pomeriggio per non perdere il collegamento con le unità delle quali avrebbe dovuto dirigere le operazioni; che il comando del II corpo si era trasferito innanzi tempo a Mitrofanovka, mentre il comando tattico si rovava, a sera inoltrata, ancora a Taly. L'esame del documento del comando gruppo armate B conferma quanto notevoli fossero ancora, nonostante il brillante comportamento del C.S.I.R., le prevenzioni dei comandi tedeschi nei riguardi di quelli italiani tanto da azzardare apprezzamenti negativi su deficienze inesistenti ed inventate, ma soprattutto rispecchia con esattezza il surrealismo strategico ed il linguaggio surrettizio dell'Alto Comando tedesco che continuava a rifiutare di servirsi della ragione in luogo di registrazioni istintive, di automatismi psichici o di stati onirici od ipnotici, astraendosi dalla realtà complessiva e mantenendo gli occhi abbassati sulla carta topografica tattica anziché elevarli per abbracciare il panorama strategico generale assai poco rassicurante. Al comando dell'8a armata - che, poche ore prima, aveva prospettato al comando gruppo armate B la necessità di un arretramento dell'intero dispositivo per ricostituire una nuova difesa continua non restò che dare esecuzione alle disposizioni impartite dal comando superiore per la creazione della bretella di raccordo lungo l'allineamento Novo Kalitva-Zapkovo-Tvjerdoklebovka-Boguciar affidandone la difesa ad oltranza: a sinistra, tra Novo Kalitva e Zapkovo, alla 385a divisione tedesca rinforzata dalle unità superstiti e dispo-
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nibili della Cosseria; a destra da Tvjerdoklebovka a Boguciar e poi sul Don fino a Teresckova, alla 298a divisione tedesca rinforzata da1le unità superstiti e disponibili della Ravenna; al centro, nello spazio tra Zapkovo e Tvjerdoklebovka non presidiato da fanterie, alla 27a divisione corazzata tedesca (meno il gruppo Haempel destinato alla 298") per il controllo mobile del vuoto esistente. Le aliquote del corpo d'armata alpino - divisione Julia - avrebbero dovuto schierarsi all'ala destra del1a 385" prolungandone lo schieramento e, se possibile, agendo offensivamente; le unità del II corpo d 'armata in corso di riordinamento avrebbero dovuto appoggiarsi al caposaldo di Taly; il gruppo SS Fegelein, di consistenza pari ad una brigata, sarebbe stato impiegato appena giunto in valle Boguciar per prolungare l'ala sinistra della 298\ mentre la 387" divisione di fanteria tedesca sarebbe stata scaricata dai treni nella zona a nord di Kantemirovka. Alle prime luci dell'alba del giorno 18 i sovietici, che nella notte avevano effettuato ìrruzioni e puntate di carri armati fino a raggiungere Jvanovka, 6 chilometri a sud di Novo Kalitva, attaccarono in forze entrambe le località: il caposaldo di Taly, sebbene a corto di munizioni, resisté e combatté per tutto il giorno 18 ed il giorno 19; la difesa di Novo Kalitva, tenuta dai resti di due battaglioni dell'89° fanteria, con il concorso della contigua divisione Cuneense, respinse ripetutamente il nemico infliggendogli perdite e catturando prigionieri. La resistenza di Taly, caposaldo compreso in un'ansa del Boguciar nella cui valle la situazione rimase molto fluida durante l'intera giornata, andò molto al di sopra di quella che avrebbe potuto essere la normale capacità difensiva di un insieme di reparti eterogenei (153), parzialmente costituiti da reduci dalla linea molto provati, con numerosi congelati, attaccati senza interruzione per due giorni da forze di fanteria sostenute da alcuni carri armati, preponderanti ed agguerrite. Dove le cose andarono, invece, decisamente male in tutti i sensi fu a Kantemirovka. Qui si determinò una situazione complessa e delicata per il continuo afflusso, data la presenza del centro logistico, di personale, automezzi, salmerie, carreggio e slitte refluenti dalla fronte ed in cerca di ricovero, di rancio caldo, di viveri di conforto, beni che il locale comando tappa non era in grado di elargire. Il generale Zanghieri divisò di ricostituire con i 3 000-6 000 uomini raccoltisi confusamente a Kantemirovka 3 battaglioni fucilieri - uno con gli uomini della Ravenna, uno con quelli della Cosseria cd il terzo con gli uomini appartenenti alle unità di corpo d'armata e cli armata - rispettando fin dove possibile le provenienze orga-
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LA BRECCIA APERTA SUL FRONTE DEL Il C. A. SITUAZIONE ALLA DATA DEL 18 DICEMBRE 1942
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niche, e propose al comando dell'armata, che accolse le proposte, di allontanarli da Kantemirovka, sede d'intendenza e località poco adatta e sicura perché situata nelle retrovie del XXXV corpo C.S.I.R. e perché direttamente minacciata dal nemico ove fosse caduta la difesa di Taly. Mentre, il mattino del giorno 19, erano in corso le operazioni per la formazione dei battaglioni ed il loro invio a Novo Markovka, a Sofievka ed a Nikoloskoje, la segnalazione che carri armati sovietici si stavano dirigendo dalla zona di Taly su Kantemirovka creò nel brulichio disordinato degli uomini che si trovavano ·nella località un grosso sbandamento divenuto vero e proprio panico quando giunsero le prime cannonate e le prime raffiche delle mitragliatrici dei carri armati sovietici. La grande massa degli uomini sciamò ·velocemente dalla piazza del paese, cercando scampo in ogni modo. Si verificò cosl una generale corsa agli automezzi, alcuni dei quali partirono addirittura vuoti, per allontanarsi più in fretta. Abbandonarono caoticamente Kantemirovka gruppi di automezzi stracarichi di uomini ed altri gruppi di soldati a piedi, che non avevano avuto modo di salire sugli autocarri. La disordinata massa si disperse succes~ivamente in rivoli verso Belevodsk, Strarobelsk, Tcertkovo, Millerovo e su altri itinerari, in un generale frammischiamento di militari di ogni provenienza, finiti poi nelle località e nei reparti pù impensati. Furono abbandonati armamento, equipaggiamento ed ogni cosa ingombrante che avrebbe potuto rallentare il movimento. Analogo fenomeno era avvenuto alla stazione ferroviaria, ove erano in sosta treni già carichi di personale in attesa di partire ( 154). La situazione venne poi faticosamente ripresa parzialmente alla mano per l'iniziativa di alcuni ufficiali, mentre unità e personale rimasti in Kantemirovka ripresero la normale attività, prima di tutte quella delfo ·sgombero su Voroscilovgrad degli ospedali da campo e dei materiali più utili dei magazzini d'intendenza. Frattanto, nella giornata del 18 e nella notte sul 19, il comando dell'armata aveva disposto la cessazione della dipendenza operativa della 298" divisione tedesca dal II corpo ed il suo ritorno al XXXV C.S.I.R.; il comando del XXIV corpo d'armata corazzato tedesco, stabilitosi a Golaja, senza portare seco alcuna forza combattente, aveva assunto la responsabilità operativa del settore già affidato al II corpo d'armata italiano, prendendo ai suoi ordini la 298" tedesca, le altre unità tedesche impiegate nei settori del corpo d'armata alpino e del II ·corpo, le unità in affluenza; la 385" tedesca aveva mantenuto la linea da Novo Kalitva ad Ivanovka; due battaglioni dell'89° fanteria, rinforzati dal battaglione Mondovì della Cuneense avevano
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continuato a resistere a Novo Kalitva; i reparti circondati a sud di Deresovka erano rientrati nelle linee di combattimento portando cdn loro le armi pesanti; un'aliquota della 27"' corazzata aveva continuato ad operare sulle posizioni di destra; Taly continuava a resistere; i1 comando del II corpo d'armata veniva riorganizzando ·e ricostituendo nei limiti del possibile le unità superstiti con l'intento di una fase di ripresa morale e di rimessa in efficienza operativi, mentre il comando dell'armata continuava a premere per l'immediato reimpiego di tutti gli uomini disponibili; la divisione Vicenza veniva sostituendo, nel settore del corpo d'armata alpino, la Julìa le cui prime unità operavano già nel settore del II corpo. Alla fine . del pomeriggio del giorno 19 sulla fronte del XXIV corpo tedesco, che dalla notte aveva sostituito il II corpo d'armata italiano (155), la situazione era la seguente: il settore della 335a era rotto, ma la divisione teneva la linea delle alture ad ovest di Novo Kalitvaq. 176-q. 209 (sud-ovest di Jvanovka); il gruppo Fegelein stava costituendo la linea Deresovatka-Atamanski-Scelebok per collegare la 385" con Taly ancora difesa; la Cosseria raccoglieva i superstiti a tergo della Cuneense e si accingeva a dislocarsi, una volta che fosse giunto il 90° defluito a Kantemirovka, nella zona di Pefogejvka; tre battaglioni della Julia stavano per congiungersi con il gruppo d'intervento costituito dai battaglioni L'Aquila e Tolmezzo e da altre unità alpine affluite in zona il giorno 18 dicembre. Nello stesso periodo - 16-19 dicembre - sulla fronte del XXXV C.S.I.R. e del XXIX corpo d'armata tedesco gli avvenimenti ebbero inizialmente sviluppo diversi da quelli del II corpo. Il mattino del giorno 16 i sovietici, senza preparazione di artiglieria e di lanciarazzi, ma avvalendosi soprattutto di mortai, investirono l'intero settore della Pasubio, particolarmente nel tratto KrasnogorovkaAbrossimova-Monastirscina, costringendo 1'80" fanteria a ripiegare su di una posizi.onc arretrata. Le unità investite si difesero molto bene ed alcune si sacrificarono in posto per dare modo alle altre di ripiegare sullo schieramento arretrato. I movimenti retrogradi furono compiuti in ordine. Il gruppo camicie nere Montebello contrattaccò il nemico sulle posizioni di q. 187,9-q. 178,3-q. 175,1 sovrastanti il vallone Artykulny Schlucht, ed il caposaldo Olimpo resisté fino all'ultimo uomo. La Pasubio venne sostenuta dalla 298" con il 526° reggimento granatieri e dalle forze del XXIX corpo d'armata tedesco. Un gruppo d'intervento della 298" si unl al battaglione · del 525° già schierato a sbarramento della base dell'ansa detta del berretto grigio da q. 201,1 a q. 156,0. Alla sera del giorno
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16, nonostante i provvedimenti adottati e la reattività della difesa, la Pasubio si venne a trovare in una situazione difficile e delicata, giacché - mentre a sinistra sulle posizioni del 79° fanteria la linea era intatta fino al margine sud di Krasnogorovska, al centro era affidata, da q. 156,0 a q. 201,1, ad unità tedesche, ed a destra al raggruppamento camicie nere 3 gennaio ed agli elementi superstiti dell'80° fanteria - si era verificata una notevole soluzione di continuità tra le difese tenute da questi ultimi reparti cd il paese di Monastirscina. Durante la notte venne organizzata una nuova linea difensiva che, conservando a sinistra le posizioni originarie sul Don, escludeva il possesso di Krasnogorovska e di tutta l'ansa del berretto grigio e giungeva fino a 3 chilometri ad ovest di Abrassomova (andata perduta), dove si arrestava con l'ala destra non collegata all'unità laterale. Alla fine della giornata - nonostante gli attacchi svolti dal nemico contro tale nuovo schieramento e malgrado una falla apertasi sulla fronte di un battaglione del 79°, subito peraltro chiusa dal battaglione ferrovieri inviato in rinforzo la seni del 16 al XXXV corpo C.5.I.R. dal comando dell'armata, unitamente ad un battaglione autieri - il nemico non aveva conseguito risultati decisivi e doveva limitarsi a tendere infiltrazioni, mediante forti pattuglie, al fine di minacciare da tergo i vari elementi difensivi. Anche nella giornata del 18 tutti gli attacchi sferrati contro le posizioni di riva destra del Don, contro quelle centrali di q. 201,1 e contro la località di Monastirscina, accerchiata dal giorno avanti, vennero stroncati e respinti. La sera del 19, dopo aver contenuto per l'intera giornata la forte pressione del nemico, la Pasubio, in seguito, ad ordine del generale Francesco Zingales, comandante del corpo d'armata, dovette ripiegare verso sud, sulla sponda destra della Tihaja, tra Verchnjakovski e Nasarov, stante la situazione generale determinatasi sulla fronte dell'8" armata italiana e della 3a armata romena. La 298" tedesca il giorno 18 dové anch'essa, ma fuori del contatto con il nemico, lasciare le posizioni sul Don e ripiegare sulla sponda destra della Levaja, tra il Don e Radtscenskoje, collegandosi a destra con la Pasubio. Delle due divisioni del XXXV C.S.I.R., la Pasubio uscì dai combattimenti dei giorni 16-19 dicembre non meno duramente provata della Cosseria e della Ravenna, mentre la 298" tedesca, non direttamente investita dall'azione offensiva sovietica, conservò una buona capacità difensiva che perse però quando, anziché attestarsi sulla linea arretrata prevista, prese posizione molto più indietro, ad ovest della Levaja, lasciando scoperta l'ala destra dello schieramento.
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Il XXIX corpo d'armata tedesco - Torino, J° Celere Principe Amedeo duca d'Aosta, Sforzesca - venne direttamente interessato al combattimento il giorno 17. Nel settore della Torino, i reparti della 153a divisione sovietica, passati sulla destra del Don nella loro azione contro la Pasubio, estesero il giorno 17 la loro offensiva verso sud occupando la q. 162,9 che dominava tutta l'ala sinistra dello schieramento della Torino. La rioccupazione di tale quota impegnò la divisione per tutta la giornata del 18, mentre il trasfe-
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La battaglia sul fronte della divisione Pasubio
rimento di unità a favore del contrattacco e dei settori ptu minacciati indeboliva altri tratti dello schieramento dove peraltro la situazione veniva ristabilita ad opera di decisi contrassalti. Il giorno 19 la divisione, benché minacciata di aggiramento sulla destra, conservava le posizioni nel Don e respingeva un attacco contro Surof ed un altro contro Suchoj Donez, ma non riusciva a collegarsi sulla sinistra con la Pasubio e doveva parare le infiltrazioni nemiche già verificatesi in forze nelle sue retrovie. Alle ore 7 del giorno 17
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LA BATTAGLIA SUL FRONTE DELLA DIVISIONE CELERE
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anche la J8 Celere venne violentemente attaccata sulla linea di contatto tra due battaglioni del 6° bersaglieri e successivamente su tutta la fronte del VI battaglione, poco ad est della confluenza della Tihaja nel Don, dove il nemico penetrò in direzione di Tihovskoj. Il contrattacco del XIX battaglione non ebbe successo. I sovietici aggirarono da sud il paese di Tihovskoj ed il XIX battaglione dové ritirarsi ad ovest, per oltre un chilometro, a difesa dell'abitato di Batalsckof. Alla fine della giornata: i] settore del 3° bersaglieri, non attaccato, era integro, ma minacciato di aggiramento · da' sud; il settore del 6° bersaglieri presentava una falla ampia circa 12 chilometri e profonda 10 dove il nemico, sebbene contrastato dai resti del VI e del XIX battaglione, da una compagnia artieri e da una compagnia ferrovieri tedesca, continuava a penetrare in forze; il XIII battaglione bersaglieri continuava a mantenere, isolato a sinistra dalla penetrazione nemica su Birjukof, le posizioni sul Don. Alle ore 3 del giorno 18 ebbe luogo un violento attacco al limite di settore tra la 3 Celere e la Torino, mentre si scatenò simultaneamente un forte bombardamento su Meskof. Altri attacchi si svilupparono e vennero respinti nella notte contro Ja destra del 3° bersaglieri ed in valle Tihaja. Alle 7 del mattino il nemico riprese l'attacco su Birjukof e contro l'ala destra della divisione, attacco che durò per l'intera giornata. Parve chiaro che il nemico intendesse aggirare la destra del 3° bersaglieri, approfondire ulteriormente la penetrazione nella valle Tihaja e raggiungere Meskof. Un contrattacco del gruppo d'intervento Sforzesca, muovendo da Kalinovski, riconquistò le posizioni di q. 154,9, ma venne subito a sua volta contrattaccato. Riuscl tuttavia a mantenersi vivo per l'intera giornata. La notte sul 19 e nelle prime ore del giorno la J" Celere, mentre si apprestava a contrattaccare, venne colta di contropiede dal nemico che attaccò in forze sulla destra (6° bersaglieri) e nella zona a sud-ovest di Mrykin (3° bersaglieri). Alle ore 10: il 3° bersaglieri resisteva ancora sul Don, lo sbarramento della valle Tihaja era costretto a ripiegare da Birjukof su Mdovatyj, e Meskof era direttamente minacciata. Alle ore 14 il comando del XXIX corpo d'armata ordinò che l'intera divisione ripiegasse sulla Tihaja per assumere la difesa del settore Meskof-Provalskij, tra la Torino e la Sforzesca. Questa ultima divisione, schierata all'estrema destra dell'armata a contatto con la 7a divisione romena, il 16 dicembre si era venuta a trovare con il fianco destro scoperto perché la divisione romena era stata costretta ad arretrare per una decina di chilometri. Il giorno 17, per ordine del comando del XXIX corpo
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tedesco, la Sforzesca avrebbe dovuto inviare un gruppo d'intervento a sostegno della contigua 3" Celere. Peggiorata la situazione di questa unità, il gruppo d'intervento venne aumentato di consistenza (2 battaglioni, 1 gruppo di artiglieria su 2 batterie, 1 compagnia mortai) e inviato alla J" Celere presso la quale, il giorno dopo, contrattaccò e riconquistò le posizioni di q. 154,9. Alla fine della giornata del 17 il comando gruppo armate B ordinò l'arretramento dell'ala destra del XXIX corpo da eseguire la notte sul 19. La Sforzesca avrebbe dovuto schierarsi su nuove posizioni, comprese tra lo sbocco della Tihaja e la valle del Tcir, raccordandosi a sinistra con il gruppo d'intervento già inviato presso la 3" Celere. Nella notte.: avrebbe dovuto raggiungere la linea di Markulov a Verhnij Tokin ed in quella successiva (notte sul 20) la linea TihajaTcir, fino a Gracev (esclusa). I movimenti vennero effettuati prima dell'alba del giorno 19, e così pure il ricongiungimento con il gruppo d'intervento che aveva operato a favore della 3" Celere e che, attaccato da notevoli forze, aveva resistito in posto e poi era riuscito a portarsi sulle alture a sud-est di Varvarin e ad est di Kalinovski. L'esito negativo delle prime due fasi della battaglia difensiva del Don, durante le quali i sovietici avevano ricercato ed ottenuto prima il Jogoramento del dispositivo dell'8,. armata italiana e poi la rottura della posizione da questa tenuta, indusse alla fine, in ritardo, il comando gruppo armate B ad ordinare dalle are 15 del giorno 19 il ripiegamento invano prospettato come necessario fin dal giorno 17 e nuovamente il giorno 18 dal comando dell'8" armata delle grandi unità operanti a sud del corpo d'armata alpino per la costituzione di una linea arretrata lungo l'asse Ticho Scinravskaja-Meskof-valle Tcir, da raccordare a destra con il gruppo armate Don, che stava combattendo per congiungersi con la 6" armata tedesca isolata da circa un mese presso Stalingrado. Erano stati necessari lo sfondamento del II corpo d'armata, la pressione offensiva contro il XXXV C.S.I.R., l'estensione degli attacchi nemici a tutta la fronte del XXIX corpo d'armata tedesco e la pericolosa situazione vieppiù grave della contigua 3" armata romena per giungere ad una decisione che, se adottata prima, avrebbe quanto meno potuto ridurre i danni di una sconfitta che non poteva non essere data per scontata fin dal primo momento. Lo schieramento a cordone di un'armata - priva di grandi unità mobili in seconda schiera e di riserva - su di una fronte spropositata avrebbe tuttalpiù potuto garantirne la sorveglianza, mai l'integrità, quali che fossero la tenacia, la volontà, la perizia, il valore dei soldati. Sebbene meglio armate
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ed equipaggiate, le un1ta tedesche che combatterono nell'ambito dell'8" armata italiana non sortirono risultati diversi ed anch'esse dovettero soccombere di fronte alla preponderanza del nemico. 11 Liddell Hart di solito attento osservatore dei fatti ed acuto critico dei comportamenti, tradì la verità quando scrisse, riferendosi all'attacco sovietico del 16 dicembre, che il massiccio bombardamento sovietico della preparazione aveva già messo in fuga molti degli italiani quando alle prime luci dell'alba carri armati e fanteria attraversarono il fiume gelato (156). A smentirlo, del resto, sono gli stesso sovietici che scrissero nel 1972: « le forze della difesa opposero accanita resistenza e spesso passarono al contrattacco. Per completare lo sfondamento della difesa tattica fu necessario far intervenire sin dal primo giorno i corpi corazzati. Questo fatto determinò la riduzione della loro efficienza combattiva per le successive azioni in profondità. Alla fine deJla giornata, le forze della 6a armata erano avanzate di quattro-cinque chilometri e quelle della l" armata Guardie di due-tre chilometri» (157). Ma la conferma ancora più esplicita dell'impegno con il quale I '8" armata italiana sostenne l'urto travolgente della 6 3 e della l" armate Guardie sovietiche durante l'operazione Piccolo Saturno è nella storia ufficiale sovietica, dalla quaie emergono con chiarezza la tenacia e la bravura con le quali si batterono le unità italiane investite. Ed è significativo il fatto che nella narrazione russa dell'intero ciclo controffensivo che va dal 19 novembre 1942 ai primi di febbraio 1943, espressioni come resistenza accanita caparbia (ozestocennoe upornoe soprotivlenie) ricorrono frequentemente solo in riferimento alle azioni dell'8n armata (158). L'episodio indecoroso di Kantemirovka fu un fatto isolato, accaduto il giorno 18 dopo otto giorni di accaniti combattimenti, favorito dall'ambiente di retrovia della località. Episodi simili e peggiori si leggono nelle pagine della storia di quasi tutti gli eserciti, ma da essi non si possono trarre deduzioni generalizzate. A Kantemirovka ne furono protagonisti 5 o 6 mila soldati al massimo. Nelle posizioni del ·Don combatterono in prima linea con perizia e valore, in condizioni tatticamente disperate e metereologicamente insostenibili, oltre 100 mila soldati italiani e nessuno al posto loro avrebbe potuto fare di più e di meglio in una lotta senza speranza, giacché nemmeno il sacrificio di tutti gli uomini dell'Armata sarebbe bastato ad arrestare la travolgente valanga di ferro e di fuoco, che poneva, tra l'altro, di fronte ad ogni soldato italiano del settore investito non meno di cinque soldati russi (159), valorosi e capaci che, in più, difendevano la loro terra, invasa dagli
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straruen, ed operavano perciò in casa propria avvantaggiati dalla abitudine al clima e dall'apporto dei numerosi patrioti civili ope ranti in nuclei numerosi ed efficienti. Tutto, fin da prima del 16 dicembre, fu contro 1'8" armata; in più a rendere rapidamente ancora più disperata la situazione concorse in misura notevole l'errata interpretazione che il comando della · 298" divisione dette tra il 17 ed il 18 dicembre all'ordine di ritirare sul Boguciar la propria ala sinistra, errore che consenti alle forze corazzate sovietiche di raggiungere molto più rapidamente Kantemirovka. 0
8.
Perno fisso lo schieramento del corpo d'armata alpino e di parte del XXIV corpo d'armata corazzato tedesco - al quale erano stati assegnati la 298" divisione, già inquadrata nel XXXV C.S.I.R. e nd II corpo <l'armata italiano, e i gruppi d'intervento Julia e Fegelin il pomeriggio del 19 dicembre ebbe inizio il ripiegamento del centro e dell'ala destra dell'8a armata italiana CXXXV C.S.I.R. e XXIX corpo d'armata tedesco) . Il logoramento subito dalla armata durante le azioni preliminari ed i primi quattro giorni della controffensiva sovietica aveva ridotto le già limitate possibilità difensive della grande unità venutasi a trovare in una situazione insostenibile, che non lasciava altre alternative se non quella di un rapido e distanziato arretramento su di una nuova linea di resistenza molto meno estesa di quella di riva destra del Don, arretramento peraltro già reso aleatorio dalla profonda e minacciosa penetrazione nemica. L'afflusso delle unità fresche da tergo (385a divisione tedesca e minori reparti italiani e tedeschi), l'arrivo appena iniziato di altre grandi unità (]ulia e 387" tedesca) e la debolissima residua capacità difensiva di quelle superstiti non erano sufficienti a chiudere la falla e tanto meno a tentare di ripristinare la linea di resistenza iniziale irrimediabilmente compromessa. Quando il comando del gruppo armate B decise il ripiegamento (160) era troppo tardi: il nemico in corrispondenza della falla aveva sopravanzato lo schieramento della armata, scorrazzava nelle retrovie ed era in misura di bloccare le vie di afflusso di nuovi rinforzi o di riflusso delle forze battute. Durante il ripiegamento il rapido evolversi della situazione costrinse i comandi a mutare frequentemente gli ordini iniziali, e le unità ad aprirsi più volte la strada con duri combattimenti. Il XXXV C.S.I.R. durante l'esecuzione del ripiegamento sulla linea Radtscenkoje-Medova-Kara-
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sejev-Meskof-Provalski-Napolof-Gracev dovette proseguire il movimento sulla linea più arretrata Ticho Sciuravskaja-Meskof-valle -Tcir perché una puntata di mezzi corazzati sovietici era già giunta fino a Kriniza. La Pasubio, mentre si muoveva per raggiungere la sponda destra della Tihaja, tra Verchnjakovski e Nasarov, riceveva l'ordine di radunarsi e di schierarsi a caposaldo nella zona Arbusov-AbakuscAlexejevo-Losovskaja per proteggere il fianco sinistro delle divisioni che venivano schierandosi sulla Tihaja e, per la scarsità dei carburanti, fu costretta ad abbandonare, previa inutilizzazione, parte dei restanti pezzi di artiglieria. Nel settore del XXIX corpo d'armata tedesco: la Torino che avrebbe dovuto schierarsi, secondo l'ordine iniziale, sulla Tihaja raggiungnedo Meskof, fu fatta proseguire verso sud-ovest; la 3" divisione Celere, ripiegamento durante, ricevé anche essa l'ordine di non fermarsi sulla linea della Tihaja, ma di proseguire verso sud in direzione Kasciari perché la strada Meskof-Diojtevo era tenuta da due corpi corazzati sovietici; la Sforzesca, sopravanzata alle ali da numerosi mezzi corazzati nemici, non polé più s<.:hierarsi sul Tcir, ma dové sfondare in direzione sud, verso Nizne Boliscinskoj, distante circa 60 chilometri, ed anch'essa, per la scarsità di carburante, dové rinunziare al traino delle artiglierie con i trattori sostituendo questi con gli autocarri e inutilizzando una parte dei pezzi. Non meno movimentate di quelle del pomeriggio e deUa sera del giorno 19 furono le vicende del giorno 20 e dei giorni 21 e 22. Il giorno 20 il comando del gruppo armate B, nella speranza, peraltro infondata, di riuscire a difendere la ferrovia Rossosc-Millcrovo, dispose che venisse attuata una difesa delle alti valli Losovenka, Losovaja e Tcir, sulla linea q. 230 (est di Tatarski)-q. 206 (10 Km a sud di Meskof)-Verhnij Cirski-Napolof-Gracev; annullò l 'ordine di ripiegamento precedente e fece tornare sui propri passi le grandi unità del XXIX corpo che avevano già oltrepassato quelle posizioni; il giorno 21, di fronte all'evidente impossibilità di esecuzione del1o ordine, impartì nuove disposizioni intese ad arretrare ulteriormente le unità sulla linea Kalitva-Dioytevo-Verhnij Makejevka-Verhnij Grekovo e ad eliminare con i reparti ripiegati e con altri in corso di affluenza a Millerovo le unità nemiche giunte fino a Dioytevo. Il 21 dicembre 1'8a armata aveva ancora uno schieramento operativamente definibile in 3 settori: schieramento settentrionale tenuto dal corpo d'armata alpino selle vecchie posizioni da Bielogorje a Staro Kalitva e dal XXIV corpo d'armata corazzato (385" divisione, gruppo Fegelein, resti della 27n corazzata, 38r divisione in affluenza tra Lissenkovo e Golaja, divisione ]ulia in seconda schiera nella
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xxxvm - OPERAZTONI
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zona di Poddubnovka-Grigorjevka) da Novo Kalitva a Golaja; settore centrale, tra Kantemirovka e Dioytevo, difeso da forze inter, vallate, di varia consistènza e di diversa nazionalità, dislocate a Malc~vskaja, Tcertkovo, Gartmiscevka, Buhaievka e, più arretrate, a Belovodsk; settore meridoinale, tra Dioytevo e Verhnij Grekovo, nel quale si trovavano il comando del XXXV C.S.I.R. (senza unità ai suoi ordini) ed il XXIX corpo d'armata tedesco (Pasubio, Torino, Sforzesca e 298a tedesca) in ripiegamento verso la zona di TcertkovoDioytevo-Verhnij Makejevka. A Millerovo, con altri reparti minori tedeschi, era in affluenza la 3" divisione alpina tedesca, destinata ad agire in cooperazione con la 298a contro le forze sovietiche di Dioytevo. I sovietici avevano nel frattempo diminuita la pressione frontale, anche a causa delle gravi perdite subite, ma andavano esercitando una · costante azione di irruzione di forze corazzate e motorizzate che si frapponevano tra le unità italo-tedesche in ripiegamento utilizzando gli ampi spazi esistenti negli schieramenti_ Non vi fu colonna in ripiegamento che non dovesse scontrarsi ripetutamente con formazioni corazzate e motorizzate nemiche. Da molti di questi scontri le unità italiane, da sole o appoggiate da quelle tedesche, uscirono vittoriose dopo avere inflitto pesanti perdite ai sovietici, ma a loro volta vieppiù logorate. Nei giorni 21 e 22 tale e tanta fu, però, alla fine l'irruenza delle masse corazzate e motorizzate sovietiche da rendere impossibile ogni ulteriore tentativo di ricostituire una fronte qualsiasi nell'intero settore centro-meridionale dell'8" armata italiana, sicché le grandi unità del XXXV C. S.I.R. e del XXIX corpo tedesco persero ogni capacità operativa per condurre una manovra di ripiegamento coordinata. Esse avevano subito gravissime perdite ed erano pressoché prive di armamento, di munizioni, di carburanti e poco rifornite di viveri, i quali erano aviolanciati soltanto per le più impellenti necessità (161). Alla ricerca della ricostituzione di una linea difensiva (162) , mentre i presidi italiani . di Bugajevka, Gartmiscevka e Tcertkovo resistevano ancora per coprire il fianco sinistro delle unità tedesche impegnate in contrattacchi contro Dioytevo , il comando del gruppo armate B, nella giornata del 23, modificò lo schieramento della propria ala destra assegnandone la parte meridionale al gruppo Fretter Pico (XXX corpo d'armata tedesco) e restringendo l'ampiezza del settore dell'8a armata, alla quale affidò il compito principale di ostacolare e ritardare quanto possibile un'avanzata di ulteriori forze nemiche oltre la ferrovia Rossosc-Millerovo e di difendere in modo decisivo il fronte sul Don (corpo d'armata alpino fino a Novo
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RICOSTITUZIONE DI UNA DIFESA ARRETRATA CONTINUA SCHIERAMENTO DELLE UNITA ITALO.TEDESCHE SUL FRONTE DELL'8" ARMATA ALLA DATA 21 DICEMBRE 1942 E SUCCEESSIVI SPOSTAMENTI
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Schier<1menro italiano al 21 d1c
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CAP. XXXV111 - OPERAZIONI ITALO-TEDESCIIB (PARTE QUARTA)
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Kalitva e XXIV corpo d'armata corazzato da Novo Kalitva a Golaja). L'armata non disponeva più né del II corpo (in corso di riordinamento nelle zone di Voroscilovgrad e di Rossosc) né del XXXV C.5.I.R. rimasto fuori del nuovo limite meridionale del settore mentre stava perigliosamente ripiegando verso il Donez, ma poteva contare solo sulla 19" divisione corazzata tedesca in corso di affluenza per schierarsi, alle dirette dipendenze del comando dell'armata, sulla · destra del XXIV corpo. Il nemico dal giorno 20 attaccava ripetutamente la fronte della Julia - battaglioni L'Aquila, Tolmezzo, Monte Cervino (gruppo d'intervento già assegnato al II corpo, schierato a sud della Teiornaja, a prolungamento della linea tenuta dalla Cuneense e come raccordo a destra con la 38Y) - ma era stato ripetutamente respinto. - Il 22 la divisione, oramai interamente schieratasi, ristabiliva con un contrattacco in forze la situazione sulla sua fronte. Anche nei giotni successivi gli attacchi sovietici contro i battaglioni Val Cismon, Vicenza, Tolmezzo vennero tutti respinti con perdite ingenti dall'una e dall'ahi-a µane. Nel Lolleuiuo <li guerra Jdl'Allo Coman<lo tedesco del 29 dicembre il comportamento della Julia veniva citato con le seguenti parole « Nei combattimenti della grande ansa del Don si è particolarmente distinta la divisione alpina Julia. Nei giorni 30 e 31 dicembre e dal 4 al 6 gennaio la ]ulia e la 385" tedesca in un intreccio di resistenze, contrassalti e contrattacchi locali mantennero pressoché intatte le loro posizioni e respinsero i numerosi ritorni offensivi sovietici, riuscendo, in particolare, a salvaguardare il possesso della quota Cividale, situata nel settore della 38Y, andata perduta e poi riconquistata ad opera del battaglione omonimo, che per la perizia e lo sprezzo del pericolo dimostrati nelle varie azioni suscitò l'ammirato plauso dei tedeschi. L'accanimento dei sovietici contro le fronti della Julia e della 3g5a avrebbe dovuto indurre l'Alto Comando tedesco ed il comando del gruppo armate B ad una revisione della manovra difensiva in corso, sia per la minaccia che si veniva profilando contro lo schieramento del corpo d'armata alpino sprovvisto di grandi unità di seconda schiera, sia per l'impossibilità di colmare la falla di circa 40 chilometri tra Golaja e Novo Markovka. Il comando del gruppo armate B confermò, invece, l'ordine di rigida resistenza ad oltranza sulle posizioni intatte del corpo d'armata alpino fino a Novo Kalitva e su quelle, meno integre e consistenti, del XXIV corpo corazzato tra Novo Kalitva e Golaja, e l'ordine di resistenza temporeggiante e ritardatrice a sud di Golaja fino a Michailo Alexsandrovskji facendo affluire per tale secondo scopo, con inizio dal 24 dicembre, una nuova divisione corazzata
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- la 19a - nella zona di Starobelsk-Beìovodsk-Novo Markovka. La necessità di prendere contatto sulla destra con il gruppo Fretter Pico, di sbloccare le forze italiane e tedesche assediate a Tcertkovo e quella, meno impellente, ma non remota, di respingere l'avversario verso il Don non consentirono l'impiego della 19a divisione anche per estendere l'occupazione, come sarebbe stato utile, verso nord, per allinearsi con l'ala destra del XXIV corpo d'armata e per colmare la falla (163) che non poté essere chiusa, ma solo ridotta a 20 Km. Anzi, in luogo di rinforzare il XXIV corpo, il comando del gruppo annate B decise di alleggerirlo, sottraendogli le residue modeste forze della 27a divisione, oramai solo nominalmente corazzata, ricostituita con 2 reggimenti di addestramento incompleti di dotazioni e scarsamente addestrati (164). Nonostante che il comando della sa armata non mancasse di rappresentare che il persistere del vuoto nello schieramento avrebbe potuto consentire ai sovietici di operare a tergo delle due ali, in quanto sarebbe rimasta aperta a nord la via di Valuijki alle spalle del corpo d'armata alpino ed a sud quella per cadere sul tergo del gruppo Fretter Pico (165), il comando del gruppo armate B non modificò i suoi ordini. La 27" dovette prendere posizione a sud di Vissotschinof, il limite destro del XXIV corpo venne spostato a sud suJl'alJineamento Kriniza-Nikolskoje-Tisckovka-Peski, la 19" corazzata rinforzò i caposaldi di Novo Markovka e di Belovodsk, estendendosi poi a sud nella valle del Derkul per dare protezione alla linea del Donez e coprire Voroscilovgrad. Per dare al nemico, penetrato nella zona di Voloscino (settore Fretter Pico), la sensazione di un accerchiamento, il generale von Weichs dispose l'esecuzione di un'azione congiunta della 19a corazzata e delle forze del presidio di Tcertkovo, azione che, conformemente alle previsioni del generale Garibaldi che ne aveva prospettato le gravi difficoltà di attuazione, non raggiunse gli scopi prefissati, perché la 19" divisione fu arrestata a 25 chilometri da Tcertkovo ed il presidio di tale località nella sua puntata verso ovest riusci a progredire soltanto di poco. Dal 29 dicembre all'8 gennaio i sovietici condussero forti attacchi contro la 19a nella valle Kamiscnaja e strinsero sempre più da vicino l'assedio a Tcertkovo ed a Gartmiscevka. Le altre unità dell'8" armata in ritirata dal Don dal 19 dicembre, ad eccezione del corpo d'armata alpino, proseguivano frattanto nei movimenti retrogradi ripartite, grosso modo, in due blocchi - blocco sud e blocco nord - di forze marcianti su altrettanti itinerari principali ( 166). Dal 23 dicembre al 16 gennaio il ripiegamento di entrambi i blocchi assunse l'aspetto di una illimitata notte di tregenda.
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VISIONE GRAFICA RIASSUNTIVA DEL RIPIEGAMENTO DELLE UNITÀ DEL XXXV E XXIX C. A.
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Esso fu denso di avvenimenti tragici e difficili a credersi e si svolse nel continuo incal;z:are del nemico e nel continuo infierire delle condizioni metereologiche che produssero perdite ancora più pesanti di quelle provocate dal fuoco nemico. Il blocco sud, costituitosi a Kijevskoj il 22 dicembre con elementi delle più varie provenienze intorno al maggiore nucleo omogeneo della Sforzesca, comprendeva il 6° bersaglieri e il reggimento di formazione Mazzocchi (colonnello comandante del 79° fanteria) su 3 battaglioni (Pasubio composto da appartenenti al 79° ed a ben altri 21 reparti della Torino, della Ravenna, della J" Celere, del comando del XXXV C.S.I.R., del comando di armata; Celere composto da elementi di 33 reparti delle divisioni Ravenna e Torino, del comando XXXV corpo, delle unità e servizi di corpo d'armata e di armata; Sforzesca che comprendeva tutti gli elementi appiedati appartenenti all'omonima divisione). Le unità del blocco sud vennero variamente impegnate in combatti~ mento per respingere puntate di mezzi corazzati avversati, per costituire posti di sbarramenlo lemporanei ogni volta <lt:dsamentt: investiti dal nemico, per scacciare le unità sovietiche che occupavano località insistentj sugli itinerari di ripiegamento, per espugnare combattendo le località di tappa, per respingere attacchi di unità regolari e di p~rtigiani sovietici. La mancanza assoluta di carburante costrinse ad una progressiva distruzione di pezzi' e di automezzi. Numerose furono Je deviazioni che si dovettero compiere per evitare località sbarrat~ dal nemico: l'ultima, quando il blocco distava oramai soltanto 3 chilometri dalla località di Bolscioj Ternovyi, in valle Gnilaja, tappa prefissata dal comando del XXIX corpo, comportò un allungamento di altri 40 chilometri in aggiunta ai 35 già percorsi in giornata. I1 30 dicembre il blocco sud dal quale si erano scisse oraÌnai le unità tedesche e romene che vi si erano aggregate all'inizio, raggiunse Gorodjanka e Jessa Ulof dove cessò di essere alle .dipend~nze del XXIX corpo d'armata tedesco; il 1° gennaio si spostò a Ust Provalskj; il 3 raggiunse Forschstadt, sul Donez; da qui finalmente ; enne trasportato per ferrovia a Rykovo, dove si raccolse il 5 gennaio. Il blocco nord - nel quale erano raccolti reparti italiani della Torino, il gruppo Capizzi, un'aliquota della Pasubio e i reparti tedeschi della 298'" - andò incontro a vicende non meno tragiche e penose. Accerchiato nella giornata del 22 dicembre nella conca di Arbusov, dovette allontanare la stretta avversaria e riuscì a conseguire lo scopo con un combattimento accanito che consenti la cattura di molti prigionieri, di armi e di munizioni. La notte sul 24 ingaggiò la lotta per rompere l'accerchiamento e per trasferirsi
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,nel . caposaldo di Tcertkovo, operazioni che riusd a compiete nonostante· l'attacco condotto dai sovietici contro la retroguardia che ptotegg_eva lo sfilamento deila colonna. Il mattino del 24 raggiunse ,Sidbrovka e poi Gussev, ma fu costretto a deviare da forti resistenze nemiche e ad invertire la marcia verso sud per Poltavka, Ivanovka, Chodokov. Il 25 dicembre il blocco oltrepassò, a Sceptukovka, la ferrovia ed a sera raggiunse Tcertkovo. Qui dalle 22 del 25 dicembre alle 20 del 15 gennaio i reparti italiani del blocco nord assunsero la difesa del settore orientale della città assediata. Il .necessario riordinamento dei reparti fu ostacolato a lungo dal fuoco delle artigliere, dei mortai e dei lanciarazzi del nemico che, sempre vigilante, non consentiva riunioni all'aperto. La richiesta di medici.n ali rivolta al comando dell'8a armata venne parzialmente esaudita rnedianté un lancio effettuato da un aereo itali-ano il 28 dicembre, durante il quale giunsero anche viveri e munizioni per armi leggere. Sui 7 .· mila italiani - · il resto del presidio era costituito da altrettanti. tedeschi - ben 3 800 erano feriti o congdati; di questi 1 200 tra i · più gravi vennero ricoverati in un ospedale italiano allestito .rl 31 dicembre nei locali di una scuola. Frattanto i reparti sovietici •assedianti, considerevolmente aumentati e riforniti, continuavano i bombardamenti che moltiplicavano le perdite e le distruzioni delle abitazioni rendendo sempre più critica la situazione dei feriti e dei malati·,;...;.__ il ·numero degli interventi operatoti'. da compiere era delJ'or<line di molte· centinaia - e più disagiata quella dei combattenti privi ·di alloggi dove ripararsi dai rigori di una temperatura che scendeva di notte a 40 gradi sotto lo zero. Il 5 gennaio venne respinto un attacco ·nel.nico diretto parzialmente contro la fronte itaforna; ; il 7 gennaio venne · eliminat·a una grossa infiltrazione nello stesso ; settore;· il 9 gennaio · vennero · tatti· tallire i còntinui attacchi, ·sostenuti · da, intensi ' bombardamenti, delle fanterie sovietiche appbggiate da 10 carri armati; dei quali 8 v'ennero distrutti. Il mattino del i4 gennaio, la 19" corazzata tedesca - che, inviata il 1° gennaio a ·sbloceàre Tcertkovo, era stata fermata a 14 km dalla località da consistenti forze nemiche - · avrebbe dovuto aprire un varco sulla strada ·di Strelzovka pet 'consentire il deflusso degli infermi e dell'intero' presidio, ma l 'esiguità delle forze ·costrinse la divisione a ridimensionare l'azione tanto che avrebbero dovuto essere le stesse forze assediate ad aprirsi la via della salvezza, abbandonando sul posto 'i feriti ed i congelati non potuli caricare sulle slitte. Quel ·gior,no i feriti ed i congelati italiani erano in tutto 3 850, dei quali dhfa l 000 non in grado di camminare. Le slitte disponibili erano
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tali da consentire il trasporto di un solo centinaio di malati. La sera del 15 gennaio gli elementi validi italiani che vennero incolonnati furono 6 300 (1 600 della Torino, 2 000 della Pasubio, l 800 delle truppe e servizi del XXXV C.S.I.R., 400 della Ravenna e della 3 Celere, 500 della difesa iniziale di Tcertkovo). La 298.. riusd a rompere l'accerchiamento, mentre la colonna italiana, sostenuta da alcuni carri armati tedeschi, restò in retroguardia. L'operazione riusd; la colonna italiana all'alba del 16 gennaio, nonostante l'ininterrotta azione dei carri armati sovietici, raggiunse Losovskaja e Beresovo e alla sera del 16 Belovodsk, da dove gli infermi vennero subito sgomberati su Starobels per l'ulteriore smistamento su Voroscilovgrad e Kupiansk. Diverse le vicende del II corpo d'armata che dal 19 dicembre non aveva più la responsabilità operativa di un settore della prima linea (167). Della Ravenna: il gruppo Capizzi (in prevalenza elementi del 37° fanteria) congiuntosi alla 298" tedesca, ne divise le sorti nel duplice assedio di Arbursov e di Tcertkovo e nella sortita da questa ultima località; il resto, defluito disordinatamente da Kantemirovka, raggiunse Voroscilovgrad tra il 19 ed il 21 dicembre, dove venne riordinato, rifornito di equipaggiamento e reintegrato dell'armamento di reparto per essere impiegato nella difesa dei ponti e della città. Della Cosseria, la parte più consistente si raccolse a So.6.evka da dove, dopo aver combattutto fino al 20 dicembre a fianco della 385", si trasferl nella zona di Lusinovka-Jekaterinovka, in prossimità di Rossosc, dove sostò fino al 31 dicembre alle dipendenze d'impiego del corpo d'armata alpino. Tra il 1° ed il 5 gennaio la Cosseria, nella interezza di ciò che era rimasto, si spostò per esigenze operative nella zona di Rovenki-Beloluzkaja a protezione del fianco destro del corpo d'armata alpino e, successivamente, per l'aggravamento della situazione della fronte del XXIV tedesco, passò alle dirette dipendenze del comando dell'armata trasferendosi nella zona di Jzjum. Da qui si diresse poi a nord-est, mediante una lunga marcia a piedi di 1 300 Km per Kharkov-Ahtyrka-Romny-PrilukiNeshin, fino a Novo Beliza, nella zona di Gomel, dove giunse il 7 marzo ricongiungendosi cosl al comando del II corpo ed alla Ravenna. Incaricata inizialmente, dopo la sua affluenza a Voroscilovgrad, della difesa della testa di ponte, la Ravenna si schierò, secondo gli ordini impartitite dal comando dell'8" armata (168), sulla riva sinistra del Donez per mantenere ad oltranza il possesso dei ponti e del fiume contro gli attacchi e le infiltrazioni del nemico. Trasferita, su ordine del comando della sezione di gruppo di armate Fretter Pico, dalla 11
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difesa dei ponti di Voroscilovgrad a quella del tratto compreso tra la confluenza del Derkul e l'abitato di Michajlovka, la divisione si dové schierare, tra il 1° ed il 6 gennaio, su di una fronte ampia 45 Km, occupando i paesi di riva sinistra del Donez, con una forza combattente comprendente in tutto 3 battaglioni di fanteria, una batteria contraerei da 20 mm, una da 75/27, una da 100/17, 2 pezzi da 105/28. Malgrado l'insostenibile rapporto forze-spazio - 4 000 uomini e 30 bocche da fuoco su 45 chilometri di fronte la Ravenna dal 19 al 23 gennaio si comportò egregiamente e con valore, tanto che il comando dell'8a armata alla sera del 23 gennaio le fece giungere il suo plauso con un tacitiano: Brava Ravenna. La resistenza del presidio di Kruscilovka conclusasi con un riuscito contrassalto per aprirsi il passaggio su Jvanovka, quella del presidio di Davjdo Nieholskij che respinse l'attacco sovietico oltre il Donez, il sacrificio fin quasi all'ultimo uomo del presidio di Makarof e di quello di Jlievka, l'arresto dell'attacco portato dai regolari e dai partigiani sovietici contro Jvanovka furono fatti d'arme che ogni esercito del mondo sarebbe fiero di poter leggere nelle pagine della propria storia. Soccorsi alla fine, nel pomeriggio del 22 gennaio, da unità corazzate tedesche che da Jvanovka puntavano su Kruscilovka, i fanti della Ravenna rioccuparono le due località ed il giorno dopo anche Jljevka e Makarof. Il 24 gennaio le unità superstiti della Ravenna si raccolsero nella zona di Samsonof-Krasnodonskij e si spostarono successivamente, tra il 27 ed il 29 gennaio, in quella di Rovenki dove, il 30 gennaio, tornarono alle dipendenze organiche del II corpo d'armata.
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Tra il 13 ed il 27 gennaio, preannunziata da un'accresciuta attività ricognitiva e dall'afflusso di nuove forze, il fronte Voronez dette corso ad una nuova manovra offensiva in forze, a tenaglia, tendente ad accerchiare e ad annientare le forze dell'Asse schierate nell'area Ostrogozsk-Rossosc ed a raggiungere l'allineamento Repievka-Alexseievka-Valuijki-Urazovo al fine di acquisire il controllo della ferrovia Svoboda (Liski)-Kantemirovka. All'offensiva, che investì un &onte di 260 km, presero parte tre distinti blocchi di forze sovietiche: a nord, 5 divisioni fucilieri, 1 brigata fucilieri ed 1 corpo corazzato della 4Q& armata; al centro, 3 divisioni fucilieri, una brigata fucilieri, 2 brigate e 1 reggimento corazzati del XVIII corpo foci-
FORZE CONTRAPPOSTE ALL'INIZIO DEL 2° PERIODO DELL'OFFENSIVA RUSSA SUL FRONTE DELL'8" ARMATA (SITUAZIONE AL 13 GENNAIO 1943)
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OPERAZIÒNI ITALO-TEDESCHE (PARTE QUARTA)
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lieti; a sud, contro il fianco destro dell'8" armata italiana costituito dal XXIV corpo d'armata corazzato tedesco, 2 corpi corazzati (XXII e XV), 1 corpo cavalleria (VII), 3 divisioni e una brigata fucilieri della 3" ·annata corazzata. La manovra ricevé concorso e sicurezza dall'w;ione contro Pokrovskoc dell'ala destra delJa 6.. armata del fronte Sud-ovelt (169). Essa investì, con la sua branca meridionale, lo schieramento dell'8a armata italiana in corrispondenza del XXIV corpo e della 19" corazzata tedesca, fortemente già logorati nei combattimenti sostenuti per arrestare l'avanzata verso ovest della 6.. e 1a armate Guardie, disseminati su di una fronte amp1issima, frazionati in occupazioni discontinue e senza profondità. Il comando gruppo armate B segnalò in anticipo l'attacco contro la 2n armata ungherese lungo la direttrice della ferrovia Svoboda-Rossosc e ordinò all'8" armata di rafforzare la difesa controcarro del corpo d'armata alpino sottraendo armi agli altri settori dell'armata. Comunicò, inoltre, di aver raccolto nella zona di Podgornoje-Karpenkovo-Jevolakovo un gruppo di forze, denominato Cramer, costituito da 2 divisioni di fanteria tedesche e da 1 divisione corazzata ungherese, che metteva a disposizione della 2" ·armata ungherese. Il comando dell'8" armata attirò l'attenzione del comando gruppo armate B sulla delicatezza della situazione del XXIV corpo e chiese che non venisse alleggerito lo schieramento dei mezzi controcarro né del XXIV corpo né della 19" corazzata. Il comando del gruppo armate, che non disponeva di una situazione informatjya rispondente, confermò l'ordine di trasferimento di tali mezzi ~f ·corpo d'armata alpino cd inoltre assegnò a quest'ultimo 18 pezzi controcarri da 50 mm tratti dalle proprie disponibilità, dei quali vennero consegnati solamente 6. La previsione del comando dell'8" armata drca un'azione contro il XXIV corpo, anziché contro il corpo d'armata alpino, concomitante a quella prevista dal comando gruppo armate sulla fronte della 2" armata ungherese trovò poi conferma nello svolgimento dell'offensiva sovietica, che il 14 gennaio si estese verso sud proprio contro la parte più meridionale dell'ala destra del XXIV corpo (gruppo Fegelein, battaglione guardia del Fiihrer, 2r corazzata), puntando verso ovest e nord-ovest su Kamenka e l'alta valle della Belaja. All'inizio dell'offensiva sovietica, il 13 gennaio, 1'8" armata disponeva di 6 divisioni di fanteria e di 2 divisioni corazzate (delle quali la 27a era priva di carri) e in particolare, sulla fronte del XXIV corpo, di 3 divisioni di fanteria (]ulia, 385a, 387") e della 27a corazzata, delle quali la Julia e la 385 fortemente logorate e la 27" con le limitazioni derivanti dalla mancanza di carri e dall'af11
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L'AGGIRAMENTO DEL C. A. ALPINO SITUAZIONE DEL C. A. ALLA SERA DEL 17 GENNAIO 1943
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CAP. XXXVIII - OPE.RAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE QUARTA)
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flusso ancora non completato dei 2 reggimenti di addestramento . Fin dal primo giorno i sovietici conseguirono rapidi successi sulla fronte del VII corpo d'armata ungherese e minacciarono di avvolgimento l'ala sinistra dell'8a armata (corpo d'armata alpino), la quale si affrettò a prospettare al generale von Weichs la necessità di arretrare l'ala sinistra del XXIV corpo in corrispondenza della valle Krinitscnaja guadagnando così con l'accorciamento della fronte la disponibilità della 385", nonché la necessità di disporre di un'aliquota del gruppo Cramer e di un'aliquota della 320" divisione di fanteria tedesca, appena giunta di rinforzo in zona, al fine di stroncare l'azione avversaria tendente a Rossosc e di contenete, in unione alla 19a corazzata, la pressione nemica verso ovest-sud-ovest. Il generale Gariboldi prospettò inoltre anche la necessità di prevedere tempestivamente il ripiegamento del corpo d'armata alpino per evitarne, come era stato precedentemente convenuto con i comandi tedeschi, l'isolamento. Il generale von Weichs accolse la proposta di arretramento del XXIV corpo, ma non quella relativa al gruppo Cramer e nulla disse circa l'eventuale tempestivo ripiegamento del corpo d'armata alpino. Nella giornata del 15 l'ala destra del XXIV corpo cedé ed il nemico, dopo avere annientato le forze residue del gruppo Fegelein e del battaglione guardie del Fii.hrer e dopo aver inflitto gravi perdite alla 387", raggiunse con i grossi Michailovka, Scilino, Novo Belaja ed i pressi di Beloluzkaja e con un reparto corazzato di una ventina di carri irruppe in Rossosc, sede del comando del corpo d'armata alpino. Il battaglione sciatori Monte Cervino, appoggiato da 2 semoventi tedeschi e da una squadriglia di Stukas, riusci a ricacciarlo, infliggendogli la perdita di 12 carri armati e di 40 prigionieri. In questa situazione generale, aggravata dall'inizio del ripiegamento della 2" armata ungherese, 1'8.. armata venne a trovarsi in fortissima crisi operativa poiché la rottura praticata dal nemico tra Michailovka e Kamenka era irreparabile in quanto mancavano le forze per suturarla; le forze superstiti del XXIV corpo tedesco erano ridotte ad un'aliquota così modesta da non potersi considerare più una grande unità, sia pure ridotta, ma solamente un gruppo di rinforzo del corpo d'armata alpino; a sud, la 19" corazzata, i resti della 27"' e quanto era giunto della 320.. resistevano sulle posizioni occupate (linea Novo Belinskaja-DonzovkaTischof) e raccoglievano le forze del presidio di Tcertkovo, ma venivano logorandosi in misura allarmante. Il comando dell'armata chiese l'autorizzazione ad arretrare lo schieramento in parallelo con i movimenti retrogradi della 2" armata ungherese, ma il comando gruppo
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armate B non diede il suo consenso e non accettò neppure il parziale arretramento del XXIV corpo sulla Jinea Tunovka-Grakof-nord Michailovka per la costituzione di un fianco difensivo a protezione dello schieramento del corpo d'armata alpino. Quest'ultimo arretramento venne effettuato egualmente perché il generale Gariboldi se ne assunse in pieno la responsabilità, nonostante il dissenso del generale von Weichs, che però, a sera, ratificò l'operato del generale Gariboldi. Il 16 gennaio, malgrado gli avvenimenti precedenti e quelli più sfavorevoli ancora in corso (attacco e caduta di Rossosc), il comando gruppo armate B impartì l'ordine che nella notte sul 18 il XXIV corpo si muovesse verso sud-ovest, in direzione di Rovenki, per fermare l'avanzata nemica (170). Un ordine ineseguibile perché il XXIV corpo, a detta del suo stesso comandante, non era assolutamente nelle condizioni di efficienza fisica e materiale per sfondare verso ovest o sud-ovest al fine di spostare la resistenza nella zona di Olchovatka e di prendere collegamento con la 320" divisione. Una nuova richiesta del comandante dell'8" armata tendente ad ottenere il ripiegamento dalle posizioni del Don rimase ancora una volta inascoltata. Nella notte sul 17, e durante la giornata, il nemico attaccò la fronte della Tridentina, approfondi la penetrazione verso ovest, ruppe lo schieramento del XXIV corpo, procedé su Valujki, iniziò una forte pressione sulla 19a corazzata e successivamente sulla fronte e sull'ala sinistra della 320" divisione. L'8a armata - 19a corazzata, resti della 2JA e unità affluite della 320" - . ini:dò il giorno 17 una difesa manovrata mediante successivi sbalzi verso ovest, ;ippoggiati alle linee fluviali , in misura da coprire la direttrice Kupjansk-Kharkov e l'ala sinistra del gruppo armate del Don e da dare tempo a nuove unità tedesche (divisione Gross Deutschland e corpo corazzato SS) di affluire per contromanovrare. Nella mattina dello stesso giorno, i.I comando del corpo d'armata alpino trasmise alle divisioni dipendenti l'ordine di ripiegamento emanato dal comando dell'8a armata (171) orientandole a compiere i movimenti retrogradi su tre successive linee di attestamento: ferrovia Gevdakovo-Rossosc, valle Olchovatka, valle Ajdar-Nikolajevka. Ma il 17 gennaio il corpo d'armata alpino era già isolato alle spalle da sud e <la nord ad opera delle unità corazzate e motorizzate sovietiche, che fin dal giorno 15 avevano interrotto la strada Rossosc-Olchovatka, e per ripiegare verso ovest avrebbe dovuto aprirsi la strada da solo (172) combattendo. Nella seconda metà di gennaio l'intera 8" armata fu impegnata in combattimenti ' temporeggianti: l'ala meridionale, per coprire il
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fianco sinistro del gtuppo armate del Don; il corpo d'armata ,alpino, per tentare di venire fuori dall'accerchiamento sovietico e di rientrare nelle linee amiche nella zona di Scebekino. Il comando gruppo armate B ordinò in un primo tempo - notte sul 18 gennaio - di tenere a qualunque costo V alujki difendendo la linea di alture ad est della località fino al fiume Ajdar e di tenere il più a lungo possibile la linea del fiume Derkul a sud di Novo Pskof; il 19 gennaio insisté perché fosse mantenuta ancora la linea del Derkul: il 21 mutò il limite meridionale del settore dell'8a armata ampliandolo; il 23 , dopo le obiezioni del comando dell'armata circa l'insufficienza delle forze addirittura per una vigilanza, fissò un limite di settore meno ampio-Kantemirovka-Starobelsk-Liman-ansa del Donez 12 km a nord di Slavjansk-Barvenkovo-Lozovaja - ma dispose il passaggio della 19" divisione corazzata dall'8" armata al gruppo armate del Don; il 25 confermò le precedenti direttive precisando che si sarebbe dovuto ritardare al massimo l'avanzata del nemico sulle direttrici Valujki-Kupjansk e Starobclsk-Kupjansk, si sarebbe dovuta sistemare ~ caposaldo da difendere ad oltranza questa ultima località e si sarebbe dovuto svolgere azione di ricognizione sulla zona di Valujki preannunziando l'arrivo, per l'esecuzione di tali compiti, della divisione Cross Deutschland nella zona di Valujki e del corpo d'armata SS - divisioni Adolf Hitler e Reich - nella zona di Kharkov. Il 27 gennaio il comando gruppo armate stabili che il compito di assicurare il fianco sinistro del gruppo armate del Don venisse assegnato · alla 3208 divisione che, se costretta a retrocedere, avrebbe dovuto muovere verso sud-ovest, anche a costo di aprire al nemico la rotabile Starobelsk-Kupjansk-Kharkov, in quanto il compito assegnato era da considerarsi preminente rispetto alla difesa dello stesso baci.no del Donez al quale il nemico stava puntando lungo la direttrice Kupjansk-Kharkov. Quasi tutti gli ordini impartiti in successione di tempo dal comando gruppo armate B giunsero al comando dell'8a armata quando la situazione ipotizzata in partenza si era nel frattempo sensibilmente modificata ed era stata superata da nuovi avvenimenti peggiorativi. L'ordine impartito il 16 gennaio di far svolgere al XXIV corpo un'azione verso sud-ovest in direzione di Rovenki per fermare l'avanzata nemica non poté, come abbiamo accennato, essere eseguito stante lo stato di logoramento delle divisioni, Julia compresa, prive di ogni benché minima capacità controffensiva. L'ordine del 19 di mantenere ancora la linea del Derkul giunse quando si erano già verificate infiltrazioni nemiche ad ovest dell'Ajdar ed il comando dell'8a armata era stato costretto ad ordi-
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nare il ripiegamento della 19" corazzata sull'Ajdar. Il 21 gennaio, vista l'impossibilità di recidere un'infiltrazione in forze del nemico su Belolrurakino, il comando dell'armata arretrò il proprio schieramento nella valle Belaja, a nord di Starobelsk, per cui l'inflessione della linea rese ancor più inopportuni l'ampliamento del settore operativo e la sottrazione della 19" corazzata. In quei giorni il comando del1'8a armata, stante il celere procedere delle forze della 3" e della 6.,. armata sovietiche, fu costretto a spostarsi, dopo la caduta di Valujki, da Kupjansk a Tciugujev e successivamente nei sobborghi a sud-est di Kharkov (Novo Bavaria). Il compito affidato all'ala meridionale dell'8" armata fu in sostanza adempiuto, nel senso che venne assicurata la copertura del fianco sinistro del gruppo armate del Don e fu guadagnato il tempo necessario alla raccolta di nuove grandi unità tedesche nella zona del Donez. Ciò fu reso possibile soprattutto dalla tempestività delle iniziative prese dal generale Gariboldi per superare gli ostacoli creati da una parte dalla esiguità delle forze, dall'assenza di riserve e dalla lente7.7.a nell'arrivo dei rinforzi, dall'altra dall'azione del nemico, dalla sua velocità di progressione e dalla sua superiorità in effettivi ed in mezzi. Il comando gruppo armate B appesantì e complicò il compito dell'ala meridionale dell'8a armata anziché alleggerirlo e facilitarlo , e più volte ne mise in forse l'adempimento per ]a scarsa, e talvolta nulla, aderenza delle sue direttive e dei suoi ordini alle reali situazioni del momento. Queste non evolvevano sulla base dei desideri dei difnsori, ma su quella della volontà del nemico, al quale non si era in grado né di sottrarre né di limitare la libertà d'iniziativa. Sebbene protagoniste dell'azione fossero le forze tedesche dell'8a armata, non mancarono episodi in cui nuclei superstiti di forze italiane si batterono con tenacia e bravura accanto a reparti tedeschi nella difesa di località tatticamente importanti, come già a Tcertkovo ed a Gartmiscevka e successivamente a Belovodsk, Starobelsk, Kupjansk e Millerovo. Viziato dal ritardo con il quale venne autorizzato dal comando del gruppo armate B, il ripiegamento del corpo d'armata alpino - divisioni Vicenza, Tridentina, Cuneense e, dal 18 gennaio, data sotto la quale rientò al suo corpo d'armata, Julia - fu un'indescrivibile odissea. La rottura del contatto con il nemico avvenne contemporaneamente su tutta la fronte all'imbrunire del 17 gennaio e si sviluppò durante la notte sul 18. La divisione Vicenza ripiegò inizialmente, articolata su 2 colonne, verso la linea ferroviaria. Da essa si distaccarono a Podgornoje i battaglioni Morbegno e V estone che
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rientrano alla Tridentina e ad essa si riunirono i due battaglioni assegnati in dicembre alla Tridentina nonché 3 000 militari dei reparti e servizi del comando del corpo d'armata. Il giorno 18 la divisione mosse dalla zona di Podgornoje-Popovka verso Samojlenkof (Sematoevka), che occupò la mattina del 19 dopo breve combattimento; proseguì poi verso Lesnitscianskij per concorrere, il giorno seguente, con la Tridentina ad un'azione su Postojalyi. La notte sul 20 la Vicenza proseguì su questa ultima località favorendo l'azione intrapresavi dalla Tridentina ed alla fine del giorno 20, in pessime condizioni, sostò nella zona raggiunta, da dove alle 2 del giorno 21, muovendosi nella scia della Tridentina, riprese a marciare verso Lymarevka e Sceljakino senza riuscire a stabilire il collegamento radio con la Cuneense e con la Julia. Nella notte sul 22 si rimise in marcia con 3 semoventi tedeschi, quasi privi di munizioni e, giunta a Sceljakino, trovò la località fortemente presidiata da unità motocorazzate nemiche che dové attaccare, riuscendo dopo più tentativi a penetrare nell'abitato, ad immub~are carri armati, a sconvolgere apprestamenti difensivi. Frattanto però il nemico con nuove forze investì la coda della colonna divisionale distruggendo il quartier generale della divisione e un'aliquota del battaglione mitraglieri divisionale. L'azione della Vicenza valse tuttavia a svincolare reparti della Tridentina e reparti tedeschi. Il 23 gennaio la Vicenza, priva del collegamento con il comando superiore, riprese il movimento verso Varvarovka, ma venne investita da un'azione di mortai e di aerei nemici che ne scompigliò i reparti e successivamente da una formazione corazzata avversaria che attaccò l'intera colonna in varie ondate distruggendo il 278° fanteria. I pochi resti della divisione si sistemarono a difesa attorno e dentro una fattoria presso Varvarovka. Alla sera essi ripresero il movimento per Bolsce Lipyagi e nel pomeriggio del 24 raggiunsero un villaggio dal nome sconosciuto fermandovisi la notte. Il 25 continuarono la marcia su Bolscec Lipyagi che raggiunsero nella notte sostandovi; all'alba, di nuovo in movimento nell'intento di raggiungere Valujki, vennero a trovarsi in mezzo ad abitati presidiati da elementi avversari. La esigua colonna della Vicenza, mitragliata ripetutamente da aerei, bersagliata da lanciarazzi, insidiata dai partigiani, arrestata verso le ore 15 del 25 frontalmente dal fuoco delle mitragliatrici e assalita sul fianco sinistro da reparti di cavalleria e sul tergo dalla cavalleria cosacca rinforzata da artiglierie e da carri armati, dovette alla fine arrendersi per l'esaurimento delle munizioni e per l'annullamento di tutte le possibilità di ogni ulteriore resistenza o di prosecuzione della marcia.
IL RIPIEGAMENTO DEL C. A. ALPINO (19-31 GENNAIO 1943)
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. La divisione Tridentina, su 3 colonne, iniziò il movimento verso Podgornoje il giorno 18, protetta da una robusta retroguardia, e raggiunse nella notte stessa la linea di attestamento della ferrovia •. dove si schierò fronte ad est. Ad essa si unirono in Podgornoje il comando del corpo d'armata ed una parte delle truppe è dei servizi di tale comando. All'imbrunire del 18 proseguì la marcia su 2 sole colonne ed il mattino del 19 si scontrò con forze nemiche che ne ostacolarono la marcia verso occidente. Una colonna puntò per Repjevka su Postojalyi, ma trovò questa località occupata dai sovietici. L 'attacco per conquistarla fallì per il sopraggiungere di elementi corazzati nemici. L'altra colonna, mentre puntava su Skororyb, venne attaccata da una colonna motorizzata sovietica che usd battuta dallo scontro e fu costretta ad abbandonare carri armati, prigionieri e materiali vari. Mentre il battaglione Verona era impegnato contro le forze nemiche di Postojalyi, il grosso della colonna raggiunse Opyt (a sud-est di Repjevka) dove erano già arrivati i <..:omandi del corpo d'armata alpino e del XXIV tedesco, numerosi alpini della Julia e sbandati ungheresi. La situazione incerta ed il fatto che la destra dell'intero corpo d'armata alpino sarebbe risultata ancor di più scoperta se la Tridentina avesse proseguito subito il movimento verso occidente costrinsero la divisione a sostare per l'intera giornata a Opyt, per poi riprendere l'attacco il giorno successivo contro Postojalyi. Alle ore 2 del giorno 20 la divisione venne attaccata da nord nella zona di Opyt - dove l'anticipato ripiegamento dell'armata ungherese aveva lasciato scoperto il fianco - e dové combattere molte ore, anche all'arma bianca, per impossessarsi dell'abitato e poter poi proseguire su Novo Charkovka, superando così il primo accerchiamento. Successivamente, raggiunta Novo Charkovka, dové combattere per cacciare dalla zona due battaglioni sovietici rinforzati da artiglieria, mortai e carri armati e superare così il secondo sbarramento nemico. Il 21 gennaio, la divisione aveva sopravanzato le altre di circa una tappa e venne, perciò, incaricata della funzione di avanguardia dell'intero corpo d'armata sull'itinenario Kravzovka-Sceljakino-Ladomirovka-Sciabskoje-Nicholajevka-Valujki. Essa mosse da Novo Charkovka con il proposito di marciare rapidamente per non dare tempo al nemico di organizzarsi solidamente su posizioni retrostanti. Con la sua avanguardia occupò Lymarevka alle ore 8 del 21, togliendola a forze regolari e partigiane ivi affluite da Novo Charkovka da dove erano state respinte. Il freddo eccezionale della giornata le impedl di procedere oltre e la costrinse ad abbandonare le ultime autocarrette per destinare il carburante
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residuo al traino delle artiglierie. La mattina del 22 l'avanguardia della divisione raggiunse una sella dominante l'abitato di Sceljakino, da dove mosse all'attacco dell'abitato con i battaglioni Vestone e Val Chiese, appoggiati da carri tedeschi e dai gruppi Bergamo e Vicenza, mentre il battaglione Edolo svolse un'azione aggirante per la sinistra. Il nemico sgomberò l'abitato, dopo aver subito pesanti perdite. All'imbrunire la Tridentina proseguì su Ladomirovka che raggiunse nella notte, dopo essersi scontrata con nuove forze sovietiche, in parte corazzate, ed aver deviato su Varvarovka. Il battaglione Morbegno, scontratosi con altre unità nemiche provenienti da nord, dové sacrificarsi quasi interamente per dare modo al resto della grande unità di salvarsi deviando verso ovest. Il giorno 23 la divisione riprese il movimento e, dopo essersi scontrata con una formazione partigiana sostenuta da 4 pezzi che sbaragliò, concluse la tappa a Kovalev; il 24, dopo una marcia durata l'intera notte, con la sua avanguardia raggiunse Malakijeva che riuscì a conquistare verso giorno ad opera dei battaglioni Vestone e Val Chiese e dei carri armati tedeschi. I sovietici persero 600 uomini, copioso armamento leggero e pesante e 12 pezzi di medio calibro. Continuò successivamente a marciare e verso le 16 raggiunse Romankovo, località di tappa. Ripreso all'alba del 25 il movimento verso Nikitovka, l'avanguardia (battaglioni Verona e Vestone, una compagnia del V al Chiese, una batteria del gruppo Bergamo, carri armati tedeschi) raggiunse i pressi di Nikolajewka. Qui, il giorno successivo, prima la avanguardia, poi l'intera divisione, sostennero un'asprissima lotta contro un'intera divisione sovietica che, per le perdite subìte, dové sospendere il combattimento e iniziare un movimento retrogrado che venne letteralmente travolto dal sopraggiungere del 5° alpini, precipitatosi in avanti a valanga e seguito da tutti gli uomini, armati e disarmati dell'eterogenea colonna. Ripresa subito dopo la marcia per prevenire un eventuale ritorno offensivo dell'avversario, superò il solco di Uspenskaja ed il 27 gennaio, dopo una sosta notturna, raggiunse a notte inoltrata Uspenskaja e Lutovinovo. Il 28 gennaio, attaccata (unitamente ai componenti del comando del corpo d'armata alpino i quali marciavano con essa) da carri armati e fanterie sovietici, ia divisione dové cambiare itinerario, dirigersi su Slonovka, raggiungere il giorno 29 Barssuk. La forza dell'intera colonna Tridentina era ridotta, il giorno 29, a 20 mila italiani, dei quali oltre 2 mila feriti e 5 mila congelati, mentre il numero dei tedeschi e degli ungheresi portati in salvo si era via via ridotto fino a 15-16 000 uomini. Il 30 gennaio raggiunse Bolsce Troitzkoje, dove ufficiali e soldati degli
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altri eserciti si staccarono dalle colonne italiane, ed il 31 Scebekino dove sostò alcuni giorni per un necessario riposo, per attendere l'arrivo della coda della colonna e per dare inizio ad un primo riordinamento dei reparti, mentre i feriti ed i congelati vennero sgomberati sull'ospedale militare italiano di Kharkov o ricoverati in una infermeria temporanea in attesa di essere trasportati anche essi a Kharkov. La divisione Cuneense iniziò il ripiegamento in direzione di Popovka, articolata su 2 colonne protette dal battaglione Saluzzo in retroguardia, il 17 gennaio. Dopo aver iniziato il movimento, perse il collegamento con il comando del corpo d'armata. Durante la notte sul 18 riuscì ad effettuare ordinatamente i movimenti per abbandonare le posizioni sul Don, tranne che nella zona di Annovka, dove fu attaccata da forze regolari e partigiane dalle quali riuscì però a sganciarsi. Il 19 gennaio, non ancora riuscita a collegarsi con i1 comando del corpo d'armata, deviò dall'itinerario Rossosc-Olichovatka-Valujki, fissatogli dal comando superiore, sull'itinerario Popovka-Kulascevka-Sceljakino perché il comandante del gruppo di combattimento Rheingold dette per occupato dal nemico l'itinerario inizialmente previsto. Distrutti tutti gli automezzi e abbandonato il carreggio, la Cuneense marciò su 2 scaglioni, con il III/277° in retroguardia che verso sera venne attaccato e sopraffatto così come lo furono altresì alcune unità del battaglione Borgo San Dalmazzo e del gruppo Val Po. Una compagnia del Saluzzo, impegnatasi a lungo in combattimento, consenti alla colonna di proseguire su Novo Postojalyi, dove la Cuneense raggiunse la Julia impegnata a sua volta in combattimento. Verso le ore 2 del giorno 20 il battaglione Ceva, appoggiato dal gruppo Mondovì, tentò senza fortuna di aprirsi la strada del ripiegamento; sorte non migliore ebbe il tentativo dei battaglioni Borgo San Dalmazzo e Saluzzo. Impossibilitata a proseguire, la Cuneense cercò più a nord un punto di minore resistenza dirigendosi su Postojalyi che conquistò con il concorso di un reparto tedesco. Alla sera la divisione, che contava ormai solo 3 battaglioni duramente provati ed era priva di artiglieria, raggiunse Novo Charkovka. Alle prime luci del 22 riprese la marcia su Lymarevka che raggiunse verso mezzogiorno e proseguì quindi su Novo Dmitrovka che conquistò mediante l'impiego del battaglione Dronero e di un battaglione misto del genio. La grande unità aveva subito perdite ingenti e centinaia di alpini erano rimasti assiderati lungo l'itinerario. Alla sera, il comandante della divisione dette facoltà, a chi intendesse valersene, di lasciare la colonna per tentare di salvarsi isolatamente.
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All'alba del 23 la divisione si riunì a Novo Dmitrovka e proseguì su 2 scaglioni, marciando per l'intera giornata, diretta su Garbusovo e Rybalzin, che raggiunse alle 8 del giorno 24, dopo un attacco di carri armati che investì il 1° alpini. Il 25 la grande unità si diresse su Malakijeva con il battaglione Dronero in avanguardia .. Questi, per aprire il passo alla colonna, dové ingaggiare combattimento con il nemico che fu costretto a ritirarsi restituendo 200 prigionieri italiani. La colonna divisionale si frazionò: il comando della divisione ed il 2° alpini raggiunsero Malakijeva, il 1° alpini sostò nel villaggio di Solonzy. Il giorno 26 i due scaglioni si ricongiun~ero in una sola colonna che venne sottoposta a mitragliamenti aerei e ad un attacco di cavalleria respinto dal battaglione Dronero. Il . 27, giunta presso Valujki, venne attaccata di sorpresa e sopraffatta da un corpo di cavalleria cosacca. Il battaglione Mondovì, che rifiutò di arrendersi, combatté per alcune ore una lotta impari al cui termine venne anch'esso sopraffatto. , La divisione Julia, tornata il giorno 18 al corpo d'armata alpino, risentiva degli sforzi compiuti nel precedente periodo che si sommavano ai disagi del clima, del cattivo stato delle piste, della insufficienza di quad1·upe<li e <li carburante, mali comuni a tutto il corpo d'armata. Il giorno 19 raggiunse la zona di Novo PostojalovkaSoloviev-Kopanki trovandola occupata dai sovietici. Combatté per l'intera giornata per poter al più presto superare, come la Cuneense, il solco della valle Olchovatka. L'azione condotta congiuntamente con la Cuneense contribuì alla salvezza della colonna settentrionale <lei corpo d'armata, ma alla fine del giorno 20 i battaglioni della colonna erano ridotti a meno di 150 uomini e le artiglierie a pochi pezzi del gruppo Conegliano scarsamente provvisti di munizioni. Il giorno 21, l '8° alpini ed il gruppo Conep.,liano <la Samojlenkof proseguirono su Novo Charkovka; il comando della divisione · ed il 9° alpini, con i gruppi Udine e Val Piave, raggiunsero Lesnitscianskij. Da qui il comando proseguì per Novo Charkovka, mentre le altre unità restarono ferme per riordinarsi. Attaccate da formazioni nemiche appoggiate da carri armati, vennero quasi totalmente distrutte. Al mattino del 22 i resti del1'8° alpini vennero raggiunti, circondati e catturati dal nemico nella zona di Novo Georgevskij. Un nucleo superstite che ancora combatteva il giorno 23 nella zona di Sceljakino venne alla fine anch'esso sopraffatto. Di tutta la divisione non rimase che il comando che si era unito il giorno 21 ai comandi della Cuneense e della Vicenza. Nella seconda decade di gennaio dunque, spezzata nuovamente
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l'appena ricostituita fronte dell'8n armata (XXIV corpo d'armata tedesco) ed infranto lo schieramento della 2" armata ungherese, con l'operazione Ostrogozsk-Rossosc i sovietici riuscirono a realizzare una grande sacca nella quale venne a trovarsi anche l'ala sinistra dell'armata italiana e cioè il corpo d'armata alpino. L'operazione sovietica si avvalse per la sua riuscita di un grandioso piano d'inganno che riuscì per due volte ( a metà dicembre ed a metà gennaio) a distogliere l'attenzione dell'Alto Comando tedesco dalle zone di effettivo investimento dell'azione offensiva. La prima volta, la 40" armata sovietica, simulando concentrazioni di forze e un'intensa preparazione offensiva (varchi nei reticolati, sminamento del falso tratto di rottura, ammassamento di ingenti mezzi, intensa attività ricognitiva, miglioramento della visibilità stradale, ecc.), indusse il comando tedesco a credere che l'offensiva sarebbe stata intrapresa dalla testa di ponte di Storozevoe su Korotojak e dalla stazione di Svoboda (settore della 2a armata ungherese) ed a non trasferire perciò le riserve in corrispondenza del fronte sovietico Sud-Ovest che, passato invece all'offensiva il 16 dicembre, poté condurre a termine l'azione con grande successo. La seconda volta, la 40" armata del fronte Voronez iniziò l'azione proprio dalla testa di ponte di Storozevoe, da dove cioè l'Alto Comando tedesco non se l'aspettava più, convinto che l'attacco sarebbe venuto dalla zona di Voronez e non dalla testa di ponte di Storozevoe. Nello stesso tempo i sovietici ostentarono un intenso movimento di truppe, specie di notte, nella zona di Votonez, dove costruirono guadi suppletivi sul Don ghiacciato e dove fecero di tutto, riuscendovi, per simulare l'imminenza di un'azione in grande stile. La sorpresa realizzata dai sovietici fu ancora più grande in quanto il comando gruppo armate B disponeva di una situazione informativa del tutto inattendibile che considerava presenti nella testa di ponte di Storozevoe solamente 2 divisioni di fanteria, 1 brigata fucilieri e 1 brigata corazzata, forze quasi tre volte inferiori a quelle che in realtà vi erano. AI fatto che l'Alto Comando tedesco e il comando gruppo armate B non si aspettassero, né in dicembre né in gennaio, gli attacchi principali, sono da attribuire le incertezze ed i temporeggiamenti nelle contromisure e, in particolare, nell'afflusso delle riserve tedesche giunte a scaglioni e troppo tardi. AI successo sovietico, oltre il fattore sorpresa, contribuirono in misura decisiva la forma di difesa rigida voluta dall'Alto Coma~do tedesco e l'irrisorio valore del rapporto forze-spazio determinato dall'insufficienza degli effettivi e dei mezzi. Sul fronte orientale lo spazio era così ampio che, a patto di non concentrare gli sforzi su
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SCHEMA DELL'OPERAZIONE SOVIETICA "OSTROGDZSK-RDSSDSC" 13-27 gennaio 1943
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di un obiettivo troppo ovvio (come era stata Mosca nel 1941 e come fu Stalingrado nel 1942), all'attaccante si presentavano sempre ottime occasioni per compiere manovre aggiranti. È per questa ragione che, finché avevano saputo mantenere un buon margine di superiorità qualitativa, i tedeschi erano riusciti ad ottenere grandi successi offensivi pur non essendo affatto superiori in termini quantitativi. D'altra parte, il fatto che sul fronte orientale lo spazio fosse cosl profondo fu uno degli elementi che contribuirono a salvare i russi durante il ]ungo periodo che dovette passare prima che essi ristabilissero un sostanziale equilibrio di difese in quanto a potenza meccanizzata e a manovrabilità. I tedeschi, tuttavia, avevano perso il loro vantaggio tecnico e tattico, esaurendo nel frattempo anche buona parte del loro potenziale umano. A questo punto gli ampi spazi della Russia avevano finito con il ritorcersi contro di loro, riducendo sempre più la loro capacità di presidiare in modo adeguato un fronte cosi esteso ( 173). Circa la rigidità della difesa il maresciallo sovietico Golikov scrisse: « va osservato che l'ordine del Comando Supremo tedesco di battersi sulla linea del Don, sino all'ultimo sangue, ebbe moltissimo peso sulle modalità di azione delle truppe nemiche che si difendevano contro le nostre forze attaccanti e sui risultati complessivi dell'operazione Ostrogozsk-Rossosc » (174). L'impostazione concettuale delle operazioni fu, dunque, sbagliata perché la insufficienza delle forze era scesa al di sotto del livello limite per una difesa rigida e ciò avrebbe dovuto indurre l'Alto Comando tedesco ad orientarsi verso una difesa elastica favorita dalla disponibilità di spazio. L'alternativa avrebbe dovuto essere tra la restrizione della fronte, in misura da adeguarla alle risorse allora attuali, e la manovra di logoramento. In nessun caso sarebbe stata accettabile in quella situazione, sul piano della logica strategica, la manovra d'arresto ordinata da Hitler. Vero è che per la difesa elastica sarebbero occorsi grado di mobilità e disponibilità di carburanti assai superiori, ma avere atteso di essere travolti su posizioni indifendibili per difetto di forze produsse, nella terza decade di novembre, la rottura dello schieramento della 4a armata corazzata tedesca e della 3a romena ed il conseguente isolamento della 6a armata tedesca a Stalingrado e, verso la metà di dicembre, la rottura del centro e dell'ala destra dell'8a armata italiana ed il travolgimento della sinistra della y~ armata romena. Nella seconda decade di gennaio avvennero la rottura dell'appena ricostituita fronte dell'8a armata e dello schieramento della 2a armata ungherese. Ai primi di febbraio, con azione analoga alle precedenti, venne sconfitta ed accerchiata la 2a ar-
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mata tedesca e fu solamente nella seconda decade di marzo che le forze tedesche riuscirono ad arrestare l'armata rossa ad ovest della linea Kursk-Belgorod-Kharkov. Il segreto delle grandi vittorie sovietiche non fu soltanto la superiorità dei dispositivi di attacco - nel settore dell'8a armata italiana pari al rapporto iniziale di 5,75 a 1 per i battaglioni di fanteria, di 6,13 a 1 per le artiglierie, di 15 a l per i battaglioni carri, di 15,51 a 1 per i carri armati, di 200 a O per i lanciarazzi, di 11,6 a 1 per i mortai medi e pesanti (175) - ma anche l'impostazione strategica data all'ampia manovra dal maresciallo Zukov che seppe scegliere i punti di applicazione degli sforzi in ·base a considerazioni tattiche e psicologiche molto valide, seppe simulare e sviluppare continue minacce alternative, seppe spostare l'asse della azione non appena veniva meno in un determinato settore l'impeto iniziale e seppe estendere gradatamente il processo di logoramento della difesa. « Proprio questo è di regola il tipo · di strategia più fruttuoso e meno dispendioso quando una controffensiva si trasforma in una vera e propria offensiva, e perde quindi la classica forza iniziale della molla compressa e poi improvvisamente liberata» (176). Sul piano dell'alta tattica, benché la profondità reale delle varie operazioni, la loro durata in giorni, il loro ritmo medio di progressione giornaliera in chilometri - per l'operazione Piccolo Saturno i dati reali furono più che doppi rispetto a quelli dei piani sovietici (177) - e soprattutto, il costo in uomini e mezzi, avessero superato di gran lunga le previsioni dello Stavka, l'armata rossa si dimostrò padrona della cooperazione fanterie-carri armati-aerei e manovrò con grande perizia, specialmente nel determinare le sacche di accerchiamento nelle quali lasciò alle intemperie del clima, alla impercorribilità del terreno ed all'assenza di un qualsiasi riparo l'annientamento delle forze rinchiuse più che non affidarlo all'azione diretta del fuoco. La principale caratteristica dell'operazione Ostrogozsk-Rossosc fu, ad esempio, l'effettuazione simultanea de1l'avvolgimento e dell'annientamento delle forze dell'Asse. I sovietici tesero ad annientare il nemico prima ancora che fosse del tutto rinchiuso nelle sacche, per cui non si preoccuparono di chiudere l'anello interno di accerchiamento in maniera continua, ma si limitarono a presidiare staticamente soltanto i nodi stradali ed i centri abitati situati sulle più probabili vie di ripiegamento, sui quali si portarono con i mezzi corazzati e con le fanterie motorizzate sopravanzando le colonne nemiche in ripiegamento, costringendo queste ultime o a combattimenti impari o a lunghe e letali deviazioni, durante le quali il freddo polare, la fame, lo sfinimento morale e fisico, Ja mancanza di carbu-
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tante appunto costrinsero i ripieganti a distruggere l'armamento residuo e ne falcidiarono progressivamente le sparute file . .L'Alto Comando tedesco, colto di sorpresa sul piano strategico e tattico dalla controffensiva sovietica, non aveva preso in considerazione, neppure come ipotesi di lavoro, l'eventualhà dell'abbandono delle posizioni di riva destra del Don. Anche quando parve chiaro cheTabbandono non ammetteva alternativa di sorta, preoccupato di salvare l'armata di Stalingrado e soprattutto le forze del Caucaso, anziché elaborare e dare esecuzione ad una manovra generale in ritirata; -si lasciò trascinare dall'iniziativa nemica e autorizzò, sempre con grave ritardo, semplici inflessioni settoriali per cui i ripiegamenti delle stesse armate non ebbero carattere unitario generale, ma ognuno ·risultò quasi a sé stante, non solo nell'ambito dello stesso gruppo di armate B, ma anche in quello delle singole armate. Tipico al riguardo il ripiegamento del corpo d'armata alpino italiano. Iniziato .con almeno tre giorni di ritardo, non predisposto, non coordinato ·nel tempo e nello spazio con quello dell'ala destra della 3n armata ungherese, esso si risolse, anziché in una manovra tattica sia pure, dµficile, svantaggiosa e aleatoria, ma pur sempre di un qualche utile sul piano generale, in un procedere serpeggiante o di traverso, senza una guida unitaria, di tante colonne spesso prive di collegamen.t o con i comandi superiori e laterali, ognuna alle prese con enormi difficoltà e non in grado di dare e ricevere concorsi di sorta. Il ripiegamento del corpo d'armata alpino non fu una manovra, ma una serie di movimenti retrogradi, slegati, di unità mandate alla ventura, nonostante l'impegno posto dal comando del corpo d'armata per tentare di dare ai movimenti stessi un significato tattico unitario. Ciò che desta meraviglia anche oggi non è la sorte alla quale andarono incontro, sia pure in maniera ed in misura diverse, le 3 divisioni alpine e la divisione di fanteria Vicenza, ma il modo con il quale esse seppero affrontare la situazione disperata nella quale erano state poste dalla cattiva condotta della battaglia da parte del comando gruppo armate B condizionato, a sua volta - occorre riconoscerlo dall'Alto Comando tedesco, questo succubo di Hitler.
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La partecipazione delle forze terrestri ed aeree italiane alla guerra contro l'Unione Sovietica fu atto necessario non tanto per motivi ideologici quanto politici e strategici, di salvaguardia degli
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interessi reali italiani nel Mediterraneo e nei Balcani. Essa non avrebbe dovuto però in nessun caso essere spinta al di là ·della entità del C.S.I.R., sia perché l'Italia non era comunque in condizioni di accrescere ulteriormente il numero già oneroso delle proprie fronti calpestando il principio strategico della non ripartizione delle forze, sia perché l'impegno maggiore ed essenziale avrebbe dovuto essere dedicato al risolutivo teatro operativo del Mediterraneo. Avrebbe dovuto essere evidente al capo politico ed ai capi militari che l'invio di un numero di grandi unità maggiore di quello del C.S.I.R., mentre non avrebbe apportato nessun contributo determinante all'andamento generale delle operazioni su di un teatro dagli spazi immensi dove si contrapponevano eserciti di milioni di uomini, avrebbe invece messo a repentaglio la sicurezza dello stesso territorio metropolitano. La presenza di un'armata, in luogo di un corpo d'armata, non avrebbe modificato granché il potere decisionale dell'Italia in caso di vittoria dell'Asse. Unica preoccupazione del Comando Supremo italiano avrebbe dovuto essere, una volta inviato il C.S.I.R., ·conferirgli appena possibile la mobilità integrale e tenerne a nùmero gli effettivi e le dotazioni organiche. L'invio di altre 7 divisioni fu un atto d'imprevidenza e d'insipienza strategica e d'insufficienza tecnico-professionale che pesa storicamente più sulle gerarchie militari che non sullo stesso Mussolini. Non ci sembra di poter condividere l'affermazione che se le dieci divisioni dell'8" Armata con 16 000 automezzi e 1 000 cannoni fossero state schierate, ad esempio nel settembre del 1942, in Africa Settentrionale - quando cioè le unità italo-tedesche erano giunte ad El Alamein, a poco più di cento chilometri da Alessandria - esse avrebbero potuto imprimere un diverso andamento alle operazioni della branca sud-ovest della tenaglia strategica (178), perché ben pochi di tali mezzi avrebbero potuto essere inviati in aggiunta agli altri in Africa Settentrionale a causa dell'insufficienza del tonnellaggio navale e dell'insicurezza delle rotte. Il problema dell'Africa Settentrionale era, come abbiamo rilevato, soprattutto problema di superiorità aereo-navale, di disponibilità di navi da trasporto e di nafta, di capacità di scarico dei porti, di scorte aeree e navali. Quelle armi, quegli automezzi e quelle divisioni avrebbero - questo sì, senza alcun dubbio conferito alla difesa del territorio metropolitano una consistenza assai diversa e forse evitato lo sbarco anglo-americano in Sicilia, al quale il nemico fu indotto, dopo non poche incertezze, anche dalla scarsa entità delle forze della difesa. Le perdite subite in Russia - 84 830 caduti e dispersi, 29 690
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feriti e congelati, 11139 automezzi (70 % ), 4 243 motomezzi (87 % ), 76 % dell'armamento di reparto, 97 % delle artiglierie di vario calibro (179) - dall'8a armata furono gravissime; la eliminazione in poco più di 2 mesi di 1O divisioni dal quadro di battaglia, già privo di un'adeguata riserva generale, fece calare l'efficienza operativa complessiva dell'esercito molto al di sotto del livello critico; la fine dell'ARMIR, che precedette di 3 mesi quella della l" armata in Tunisia e seguil di 2 mesi quella dell'A.C.J.T_ ad El Alamein, ebbe conseguenze di carattere psicologico non meno gravi di quelle di carattere materiale . Le perdite, numericamente molto al di sopra di quelle del logorio proprio delle situazioni difensive e della stessa rigidità locale del clima e della stagione, dipesero dalla fragilità dello schieramento difensivo iniziale, dal mancato tempestivo intervento di riserve adeguate a chiudere le falle od a rintuzzare, arrestare e respingere gli attacchi, dai ritardi nell'autorizzare contromisure cautelative e ripiegamenti e dalla mancanza da parte dell'Alto Comando tedesco e del comando gruppo armate B di una visione reale dell'andamento delle operazioni, che non fosse polarizzata sulla perdita di terreno, ma centrata sulla necessità di non perdere intere armate interstardendosi a mantenere un territorio che, importante che fosse, lo era assai meno delle sei armate che vennero annientate. Di queste, tre (2\ 4" e 6a) erano tedesche, per cui non si può dire che i comandi tedeschi non fossero toccati direttamente dall'esigenza suprema di risparmiare e salvaguardare il più possibile le proprie forze oltre quelle alleate. Se ciò non accadde non fu a causa della priorità sempre data dai comandi tedeschi alla soluzione dei problemi riguardanti le proprie forze ed i propri interessi rispetto a quelli dei loro alleati come in Africa settentrionale - e neppure a causa della riserva mentale di ottenere mediante il sacrificio degli alleati un qualche vantaggio od un minore danno per le proprie grandi unità operanti, ma a causa sia dell'erronea impostazione strategica data alla battaglia difensiva del medio Don sia della insufficienza della condotta strategica delle operazioni dalla terza decade di novembre alla prima del successivo febbraio. Alla base dei rapporti tra comandi italiani e tedeschi e tra unità combattenti italiane e tedesche rimase costante lo stato d'animo che li aveva ispirati, sul piano politico, fin dal momento dell'entrata dell'Italia in guerra. Il carattere assai diverso dei due popoli, la tradizionale antipatia degli italiani verso i tedeschi e l'ostentata superiorità e sufficienza di considerazione di questi nei riguardi dei primi, le diverse tradizioni dei due eserciti, il diverso grado di efficienza degli
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armamenti e degli equipaggiamenti che acuiva negli italiani il senso d'inferiorità, di soggezione e, nel caso del teatro operativo russo, di assoluta dipendenza in ogni azione dove fosse necessaria la presenza anche di un solo carro armato, oltre, naturalmente, i diversi temperamenti dei vari comandanti, non potevano favorire, né lo fecero, la comprensione reciproca tra i comandi. · In particolare, tra il comando dell'8n armata e quello del gruppo armate B i rapporti attraversarono periodi di vera e propria crisi, specialmente a cau·sa del mancato accoglimento da parte tedesca delle varie obiezioni, richieste e suggerimenti italiani e dei frequenti interventi diretti del comando gruppo armate B nei riguardi dei comandi di corpo d'armata · seriza passare per il tramite del comando di armata. L'azione di comando del generale Garibaldi ebbe, in pratica, limiti assai ristretti: da una parte fu vincolata da queJla del comando gruppo armate B, quasi mai disposto all'intesa preventiva e quasi sempre insensibile- alle rimostranze italiane, dall'altra dal1a direttiva di massima del Comando Supremo italiano secondo la quale il generale Garibaldi doveva lasdar fare al comando tedesco. In merito ai rapporti tra il comando dell'8a armata ed il comando gruppo armate B ed i comandi tedeschi in genere, il generale Garibaldi dette, nella relazione che compilò nel dicembre del 1946 (180), un giudizio negativo severissimò, forse esasperato e passionale, ma che dà la misura de] vero stato d'animo del comandante dell'8n armata italiana: Quando petò la situazione si è fatta decisamente grave, la pressione nemica evidente, minacciosa e tratti di fronte attigui alla nostra sfondati, aJlora i tedeschi hanno cominciato a credere al pericolo ed a cercare i rimedi in ordini tardivi, ma logici se predisposti in tempo, come già proposto da noi. con adeguati mezzi, materiali, mano d'opera, che sono stati invece negati o al massimo concessi come una grazia, ma col contagocce. Allora, e solo allora, nell'imminenza deU'attacco nemico da tempo preannunciato dal nostro Comando e sempre messo in dubbio dai tedeschi sino alla vigilia, sono arrivati al Comando di Armata ordini pressanti per la costituzione di robuste linee arretrate di sicurezza, per consentire accorciamenti di fronte e parare eventuali cedimenti. È stato fatto presente che mancavano tempi, mezzi e mano d'opera. Hanno risposto col solito provvederemo noi, ma in pratica non hanno fatto nulla ... I tedeschi sono stati sorpresi dal nemico e, ciò che è peggio, traditi dalla inculcata fede incrollabile nella infallibilità dei loro metodi e invincibilità delle loro truppe. Questa fede voluta mantenere ad ogni costo li ha resi ciechi di fronte alla realtà e spinti all'irreparabile. Si sono trovati in situazioni gravissime, senza risorse,
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senz~. mezzi, senza rifornimenti, fra minacce crescenti ... Situazione certo esasperante, amaro risveglio dalle illusioni accarezzate, lo si deve ammettere, e ciò spiega diverse cose, diverse disposizioni, ma non tutto. Non la tenacia nel non vedere il pericolo, nel non ammettere di aver sbagliato, nel non voler decidere misure dolorose, ma necessarie ... e, soprattutto, non spiega e tanto meno giustifica la cattiveria, l'ingiustizia, la falsità con le quali si è tentato di salvare se stessi cd i propri pregiudizi e di giudicare il comportamento degli ùaliani; non spiega la crudeltà antiumana con la quale hanno agito contro di noi Comandi e truppe tedesche (181). Circa la presunzione e la prepotenza tedesca non vi possono essere dubbi; per quanto riguarda cattiveria, ingiustizia, falsità, crudeltà, lo stesso generale Garibaldi riconobbe che i tedeschi si trovarono in situazioni gravissime, senza riserve, senza mezzi, senza rifornimenti, fra minacce crescenti d a ogni lato e dilaganti in profondità verso l'interno, fattori cioè che ingigantiscono le difficoltà, esasperano i contrasti, esacerbano le diffidenze, oscurano i rapporti reciproci anche quando inizialmente corre tti. Non vi può essere dubbio, in ogni caso, che tra i comandi italiani e tedeschi sia mancata durante l'intera seconda battaglia difensiva del Don l'intesa sentita e convinta indispensabile al migliore raggiungimento dello scopo comune. Lo stato di malessere dei rapporti tra i comandi ebbe riflessi negativi evidenti anche sulle relazioni tra le unità ed i soldati del1'una e dell 'altra parte. I soldati italiani si sentirono isolati e abbandonati per la lontananza dalla madrepatria, lo stato d 'inferiorità del loro armamento ed equipaggiamento, la precedenza che veniva data alla risoluzione dei problemi tattici e logistici tedeschi rispetto a quelli italiani , la scarsa volontà di cooperazione dei reparti tedeschi che pur lottavano fianco a fianco sulla medesima fronte e per la medesima causa. Essi, quasi inconsapevoli del perché dovessero combatte re su quella fronte così lontana e per loro priva d ' interesse diretto, trovarono molto più difficile che altrove stringe re rapporti di cordialità e cameratismo con i soldati germanici avari di comprensione e di riconoscimenti e restii a fraternizzare e ad accogliere la amichevole disponibilità italiana. La mancanza d'identità di idee e di sentimenti impedl costantemente il formarsi di una vera e propria fraternità di armi. Malgrado ciò, l'in1pegno operativo prodigato dall'intera ga armata capi e gregari - eguagliò per slancio, convincimento, perizia, tenacia e valore quello delle grandi unità tedesche e fu di tutto rispetto perché ispirato esclusivamente dal senso del dovere, astrazione fatta da ogni contenuto ideologico e da ogni odio, che non esisteva, nei
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confronti del nemico. Molti fattori incisero negativamente sull'animo dei soldati italiani, ma proprio perché essi non riuscirono a fiaccarne il morale ed a minarne lo spirito fino all'apatia, all'abbandono, alla diserzione ed alla ribellione, il comportamento dell'8a armata, come già quello del C.S.I.R., merita ancora oggi di essere collocato sul piano del rispetto, dell'ammirazione e della gratitudine. Molti furono, comunque, i momenti, le situazioni e gli episodi durante i quali, unità italiane e tedesche, realizzarono condizioni di cooperazione stretta, spirituale e tattica, che dettero risultati eccellenti ai fini della riuscita e del successo delle operazioni locali. Non mancarono altresl esempi in attacco ed in difesa di intesa perfetta fra le unità dell'una e dell'altra nazione e momenti esaltanti di comune dedizione e abnegazione dei quali furono protagonisti, ai livelli minori, capi e gregari italiani e tedeschi che scrissero insieme, con i caratteri delle comuni virtù militari, pagine onorevoli della storia della guerra contro l'Unione Sovietica. Quando 1'8" armata italiana usd dalla scena di quel teatro operativo battuta e sconfitta definitivamente lasciò di sé, nel nemico e negli alleati, il ricordo di una grande unità che si era battuta con perizia e con coraggio fino al limite della forza umana e forse di più (182) .
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NOTE AL CAPITOLO XXXVIII (1) Ministero della Difesa. Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio Storico, Le operazioni delle unità italiane al fronte russo (1941-1943). Tipografia Regionale, Roma,
1977, p. 33 e seguenti. (2) Ibidem, p. 37.
(3) Ugo Cavallero, Comando Supremo. Diario 1940-43 del Capo di S.M.G. Cappelli Editore, Rocca San Casciano, 1948, p. 113. (4) Ibidem, p. 105. (5) Le operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. cit., documenti nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6.
(6) Comando Supremo. Op. cit., p. 109 e 110. (7) Le operazioni delle unità italiane al, fronte russo. Op. cit., pp. 71-74 e documenti nn. 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13 e 14.
(8) Ibidem, p. 71. (9) Ibidem, p. 72.
(10) Ibidem, documento n. 15, p. 528. (11) Ibidem.
(12) Il comando del corpo d'armata autotrasportabile era rientrato dalle operazioni contro la Jugoslavia ed il corpo d'armata era composto in quel momento dalle divisioni autotrasportabili Pasubio e Piave e dalla divisione corazzata Littorio. (13) Il comando del corpo d'armata speciale era rientrato a Padova dall'Albania con pochi reparti direttamente dipendenti, privo delle divisioni che aveva inquadrato in Albania. Tale comando era stato costituito in Padova, il 15 novembre 1940, traendo il comandante e pochissimi altri elementi dal comando del corpo d'armata celere e non gli erano state conferite caratteristiche speciali.
(14) Le operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. cit., documento n. 18, p. 530, documento n. 19, p. 531, documento n. 23, p. 541 e 542, documento n. 43, p. 577. (15) Ministero della Difesa. Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio Storico, I servizi logistici delle unità italiane al fronte russo (1941-1943). Stilgrafica, Roma, 1975, p. 19. (16) Comando Supremo. Op. cit., p. 137. (17) Francesco Zingales (1884-1950), generale di corpo d'armata. Sottotenente di fanteria nel 1905, prese parte alla campagna di Libia nel 1911-1912. Dopo aver frequentato la scuola di guerra dal 1912 al 1914, partecipò con vari incarichi alla l'· guerra mondiale. Successivamente comandò il 23° reggimento fanteria dal 1926 al 1929; fu comandante in 2" della scuola di applicazione di fanteria, dal 1930 al
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1934, e poi comandante della XII brigata di fanteria dal 1934 al 1936 e dell'Accademia di fanteria e cavalleria di Modena dal 1936 al 1937. Dal 1937 al 1939 comandò la divisione di fanteria Piave, dal 1939 al 1941 il corpo d'armata autotrasportabile. In questa veste, nominato comandante del C.S.I.R., dovette lasciare l'incarico al generale Messe durante il maggio in Russia a causa dell'aggravarsi delle sue 't~ndizioni di salute. Comandò poi il corpo d'armata di manovra mobilitato, e quindi il XXXI, il XXXV e il XII corpo d'armata. A disposizione del Ministero della guerra, per incarichi speciali, dal 1945 al 1947, fu collocato nella riserva, per età, nel 1947. (18) Il quadro di battaglia del C.S.l.R. alla data del 1° agosto 1941 era il seguente: - comando: comandante (generale di corpo <l'armata Giovanni Messe), stato maggiore, comandante deU'artiglieria , comandante del genio ;
- quartier generale: 3 sezioni motorizzate carabi nieri reali, una sezione topocartografica, una sezione fotografica, una sezione topografi per artiglieria, un ufficio postale, un reparto fotocinematografico, un drappello automobilistico per comando di corpo d'armata, un nucleo movimento stradale, una se-.i;ione carburanti; - unità di supporto: un battaglione mitraglieri di corpo d'armata, un battaglione cannoni da 47 /3 2, una compagnia bersaglieri rootociclisri. una legione camicie nere su 2 battaglioni camicie nere e un battaglione armi di accompagnamento (dell'esercito), un raggruppamento di artiglieria (30") su 3 gruppi da 105/32, 2 gruppi autocampali contraerei da 75/ 46 e: 2 batterie cannoni-mitragliere <la 20, un battaglione artieri su 3 compagnie, 2 battaglioni pontieri su 3 compagnie, un battaglione collegamenti su 2 compagnie telegrafisti, una compagnia marconisti, una colombaia mobile, un'officina autocarreggiata per materiali di collegamento, una sezione fotoelettricisti autocarrata, un battaglione chimico; - aeronautica: un gruppo di osservazione su 3 squadriglie e un gruppo da caccia su 4 squadriglie; - servizi: una sezione di sanità, 2 autoambulanze radiologiche, una autoambulanza odontoiatrica, 2 se-..:ioni disinfezione, 18 ospedali da campo, 2 sezioni bonifica per gassati, un laboratorio chimico, batteriologico, tessicologico, una sezione sussistcnz.1, una sezione cd una squadra panettieri con forni rotabili, 2 infermerie quadrupedi, un reparto salmerie, un autoraggruppamento di armata su un autogruppo P,CSante (4 autoreparti pesanti), un autogruppo misto (3 aumreparti pesanti, un autoreparto leggero, un autoreparto misto, un autoreparto autoambulanze), un'officina di autogruppo, un reparto soccorso stradale, un nucleo soccorso stradale; - tribunale militare di guerra del C.S.l.R; - divisione autotrasportabile Pasubio: - comando: comandante (generale Vittorio Giova.anelli), capo di stato maggiore, stato maggiore; - quartier generale: 2 sezioni motorizzate carabinieri reali, un drappello automobilistirn, una sezione carburanti, un nucleo soccorso stradale, un nucleo movimento stradale, un gruppo fotocinematografico, un ufficio posta militare; - 79" reggimento fanteria Roma: comando, compagnia coniando, compagnia mortai da 81, batteria cannoni d 'accompagnamento da 65/ 17, 3 battaglioni (ciascuno su: comando, compagnia comando, 3 compagnie fucilieri, 1 compagnia armi d'accompagnamento mitragliatrici e mortai da 81 ); - 800 reggimento di fanteria Roma : idem come il 79"; - 2 battaglioni mortai da 81;
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- 2 compagnie cannoni controcarro da 47/32; - So reggimento artiglieria motorizzato su: comando e reparto comando, un gruppo motorizzato obici da 100/17, 2 gruppi motorizzati cannoni da 75/27, un reparto munizioni e viveri, 2 batterie contraerei cannoni-mitragliere da 20 mod. 35; - una compagnia genio artieri; - una compagnia genio telegrafisti e radiotelegrafisti; - una sezione fotoelettricisti; - servizi: una sezione sanità, 4 ospedali da campo, un nucleo chirurgico, una sezione sussistenza, una squadra panettieri con forni mobili;
divisione autotrasportabile Torino: - comando: comandante (generale Luigi Manzi), capo di stato maggiore, stato maggiore; - quartier generale: come la divisione Pasubio; - 81° reggimento fanteria: come 790 fanteria Roma; - 82" fanteria: come 790 fanteria Roma; - 2 battaglioni mortai da 81; - 2 compagnie cannoni controcarro da 47 /32; - 52" reggimento artiglieria motorizzato: come 8° reggimento della Pasubio; - genio: come genio della Pasubio; - servizi: come servizi della Pasubio; - 3" divisione Celere Principe Amedeo duca d'Aosta: - comando: comandante (generale di divisone Mario Marazzani), capo di stato maggiore, stato maggiore; - quartier generale: 2 sezioni celeri carabinieri reali, un drappello automobilistico, ·un nucleo movimento stradale, un gruppo fotocinematografico, un ufficio posta militare; - 3° reggimento bersaglieri su: comando e compagnia comando, 3 battaglioni bersaglieri autotrasportati, 2 compagnie motociclisti, un autoreparto leggero; - 2 compagnie cannoni controcarro da 47 /32; - reggimento Savoia cavalleria su: comandante, comando e squadrone comando, 2 gruppi squadroni (su: comando, 2 squadroni cavalieri o lancieri), uno squadrone mitraglieri; - reggimento Lancieri di Novara su: comandante, comando e squadrone comando, 2 gruppi squadroni (su: comando, 2 squadroni cavalieri o lancieri), uno squadrone mitraglieri; - 2 batterie contraerei cannoni-mitragliere da 20 mm mod. 35; - 3° reggimento artiglieria a cavallo su: comandante, comando, reparto comando, 3 gruppi di artiglieria ippotrainata su 2 batterie cannoni da 75/27 mod. 1912; - gruppo carri veloci San Giorgio; - una compagnia genio per divisione celere; - una compagnia genio radiotelegrafisti per divisione celere; -. servizi: una sezione sanità, 4 ospedali da campo, un nucleo chirurgico, una sezione sussistenza, una squadra panettieri con forni rotabili, un autoreparto misto. -
Totale del C.S.I .R. : -
62 000 uomini; 17 battaglioni fucilieri (12 di fanteria, 3 bersaglieri, 2 camicie nere); 7 battaglioni armi di accompagnamento; 14 compagnie autonome (2 motociclisti, 4 mortai da 81, 8 da 47 /32);
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- un battaglione guastatori; - 10 squadroni di cavalleria (8 cavalieri, 2 mitraglieri); - 4 squadroni carri L (61 carri); - 14 gruppi di artiglieria (3 da 105/32 con 36 pezzi, 2 da 100/17 con 24 pezzi, 7 da 75/27 con 72 pezzi, 2 da 75/46 con 32 pezzi); con 64 pezzi); - 10 batterie autonome (2 da 65/17 con 8 pezzi, 8 da 20 - 4 battaglioni del genio (1 artieri, 1 collegamenti, 2 pontieri); - 6 compagnie autonome dd genio (3 artieri, 3 tdemarconisti); - un battaglione chimico; - servizi: 30 ospedali da campo, 4 sezioni sanità, 2 ambulanze radiologiche, una ambulanza odontoiatrica, 3 nuclei chirurgici; 2 sezioni bonifica gassati, una sezione disinfezione, un laboratorio chimico batteriologico tossioclogico con centro ·lllltirabbico, 6 sezioni sussistenza, una sezione panettieri con forni, 5 squadre panettieri con forni, 2 infermerie quadrupedi, un reparto salmerie, 14 autoreparti pesanti, 2 autoreparti misti, un autoreparto leggero, un autoreparto ambulanze, 2 officine mobili pesanti, 5 nuclei soccorso stradale, un reparto soccorso stradale, un battaglione movimento stradale, una centuria della milizia della strada, 3 nuclei movimento stradale, 3 autofficine, un comando tappa speciale, 2 comandi tappa principali, 3 comandi tappa secondari, 6 uffici tappa principali, 3 battaglioni territoriali mobili, . una compagnia presidiaria, un gruppo lavoratori, 5 uffici postali. Alcune delle unità suddette, particolarmente dei servizi, affluirono in Russia successivamente al grosso del C.S.I.R. L'intendenza speciale dd C.S.I.R allestl, inoltre, gradatamente centri logistici comprendenti magazzini (o frazioni di magazzino) per i servizi di sanità, commissariato, artiglieria, genio, automobilistico. Per maggiori particolari vedansi documenti n. 20, 21 e 22 della citata pubblicazione Le operazioni delle unità italiane al fronte russo.
=
(19) Le operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. cit., pp. 74-79 e I servizi logistici delle unità italiane al fronte russo. Op. cit. (20) Gli obici da 100/17, di preda bellica austroungarica, avevano la gittata massima pari a 9 300 m; i cannoni da 75/27, già veterani della guerra italo-turca del 1911 e della prima guerra mondiale, avevano la gittata massima pari a 10 240 m; i cannoni da 65/17, anche questi veterani delle guerre passate, avevano la gittata massima pari a 4 000 m; i cannoni da 47 /32, impiegati come pezzi di accompagnamento, avevano la gittata massima pari a 3 500 m. I 3 gruppi della divisione celere erano su 2 batterie a cavallo, cioè con le bocche da fuoco trainate da 3 pariglie, con conducenti montati e con tutti i serventi parimenti montati a cavallo. Le bocche da fuoco da 105/32 - di preda bellica, riadattate, poco maneggevoli, di difficile traino su strade rotte - avevano la gittata massima di 14 000 m ed erano solo 36 in tutto. (21) Comando Supremo. Op. cit., p. 131. (22) Le operazioni delle unità italiane sul fronte russo. Op. cit., p. 507. (23) Obiettivi iniziali dd piano tedesco erano Leningrado, Mosca, Odessa (veds.,
Comando Supremo. Op. cit., p. 112); tre blocchi di forze agenti su fasci paralleli tra il mar Baltico ed i Carpazi; sulla sinistra il gruppo di armate Nord compreso il IV gruppo corazzato del generale Erich Hoeppner, agli ordini del generale Ritter Wilhem Leeb, attraverso la frontiera della Prussia orientale doveva puntare alla Lituania; il gruppo di armate Centro compresi il III gruppo corazzato dd generale Her-
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mann Hoth ed il II gruppo corazzato del generale Heinz Guderian, agli ordini del generale Fedor von Bock, doveva marciare contro ambedue i fianchi del saliente che la fronte russa formava nella Polonia settentrionale; sulla destra, il gruppo di armate Sud, compreso il gruppo corazzato del generale Ludwig von Kleist, agli ordini del generale Karl von Rundstedt, doveva lanciarsi contro il lato settentrionale del saliente che ]a fronte russa formava in Galizia, ai piedi dei Carpazi. (24) Le operazioni delle unità italiane ai fronte russo. Op. cit., p. 85 e documento n. 24. (25) Ibidem, p. 86 e documenti n. 25 e 26. (26) Eugen Ritter von Scbobert (188.3-1941), generale d'armata tedesco. Nominato ufficiale nel 1902, proveniente dall'arma di fanteria, durante la 2" guerra mondiale comandò dal 1° settembre 19.39 al 24 ottobre 1940 il VII corpo d'armata, e successivamente, dal 25 ottobre 1940 al 12 settembre 1941, l'na armata sulla fronte russa. (27) Ibidem, p. 88. (28} Ibidem, p. 88 e 89 e documento n. 27. (29)· Kleist Ludwig von (1881-1954), feldmaresciallo tedesco. Si distinse durante la prima guerra mondiale come ufficiale di cavalleria. Fu uno dei creatori delle for~ oo=ate ·tédesche. Partecipò al blitz polacco; sfondò nel 1940 la fronte delle Ardenne; fu alla testa di una delle .3 armate che conquistarono i Balcani; guidò nel 1941 il I corpo corazzato nell'accerchiamento di Kiev e in Ucraina; nel 194.3 riuscl a rompere l'accerchiamento sovietico e ricevé sul campo le insegne di feldmaresciallo; nel 1944, alla testa di un gruppo di armate tedesco-romene nell'Ucraina meridionale, fu costretto a ripiegare e ·Hitler lo destitui. Arrestato dagli inglesi, consegnato agli Jugoslavi, morì in un campo di prigionia. (30) 'Le operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. cit., p. 91. (31) . Ibidem, pp. 90-96, documento n. 28. (32) Ibidem, pp. % -102, documento n. 30.
(.~3) l,bidem, pp. 105-108, documenti n. 31, 32 e 33. (34} Ibidem, pp. 110-116, documenti n. 34, 35 e 36. (35) Ibidem, pp. 126-128. (3,6} Ibidem, pp. 129-133, documento n. 38.
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Ibidem, pp. 13.3-145, documenti n. 39 e 40.
(38) Ibidem, pp. 145-148, documento n. 41. (39) ,Ibidem, pp. 153-161, documento n. 42. (40) Ibidem, pp. 173-177. (41) Ibidem, p. 106. (42) lhidem, p. 111.
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(43) Era ormai un dato di fatto accertato che la velocità oraria degli scaglioni a piedi non superasse i due chilometri e che, per coprire l'itinerario quotidiano, si dovesse impiegare l'intera giornata dall'alba al tramonto e spesso sino alle ore serali inoltrate (ibidem, p. 112). ( 44) Ibidem, p. 113. (45) Ibidem, p. 133. (46) Ibidem, p. 145.
(47) Ibidem, p. 147. (48) Ibidem, pp. 161-162. (49) Ibidem, pp, 153-161, documento n. 42. (50) Ibidem, pp. 162-170. (51) Ibidem, p. 153.
(52) Ibidem, p. 160. (53} Per la costituzione dei gruppi tattici, repat'li di allarme, il generale M=~e, che non aveva nulla di cui poter disporre e che non poteva d'altra parte sguarnire la linea e indebolirla, decise d'impegnare la cavalleria e il gruppo carri L San Giorgio, ma, stante l'esiguità di tali reparti - un gruppo appiedato del N()t)ara e il gruppo appiedato di formazione S. Giorgio - fu costretto a sottrarre dal proprio schieramento anche il I battaglione pontieri e una batteria da 75/27. Il tutto costitul il gruppo tattico del colonnello Giuseppe Musinu che poi venne impegnato in battaglia. Il C.S.I.R. dové poi costituire, stante la gravità della situazione determinatasi sulla fronte della l'· armata, un raggruppamento tattico di riserva formato dal ,6° reggimento bersaglieri e dal 1200 reggimento artiglieria motorizzato, appena giunti dall'Italia a Dniepropetrovsk. La cessione dei battaglioni pontieri per essere impÌegati come unità di fanteria cli linea, determinate le urgenti cause di forza maggiore, avrebbe potuto alla lunga influire molto negativamente sulla capacità e la periz.ia tecnica delle unità, per cui appena poté il generale Messe dispose la loro sostituzione con altro gruppo appiedato del Novara che poté cosl ricostituire, affiancandosi all'altro, l'unità reggimentale. Il rientro elci pontieri nell'ambito del C.S.I.R. e la nuova fbrmazione del gruppo tattico determinarono lo scioglimento del gruppo del colo.tµ1ello Musinu. (54) Richard Rucff (1883-1967), generale d'armata tedesco. Ufficiale nel 1903, partecipò alla 1~ guerra mondiale e successivamente prestò servizio nella R.eichsheer. Maggior generale nel 1936, generale di divisione nl 1938, generale di corpo d'armata nel 1939 e generale d'armata nel 1942. Comandò la 4a armata corazzata e suécessivamente la 17a armata dal I giugno 1942 al 24 giugno 1943.
(55) Le operazioni delle unità it11li11ne al fronte russo. Op. cit., documento n. 43. (56) Ibidem, documento n. 44. (57) Ibidem, documento n. 47.
(58) Ibidem, documento n. 45.
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(59) Ibidem, p. 182. (60) Ibidem, documento n. 46. (61) Comando Supremo. Op. cit., p. 131. (62) Le operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. cit., documento n. 48. (63) Ibidem, documento n. 49. (64) Ibidem, documenti n. 51 e 53.
(65) Comando Supremo. Op. cit., p. 251. (66) Le operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. cit., documento n. 46.
(67) Comando Supremo. Op. cit., p. 128 e 257. (68) Le operazioni delte unità italiane al fronte russo. Op. cit., documento n. 51, p .. 590 ..
(69) Ibidem, p. 183. (70) Ibidem, documento n. 51. (71) Ibidem, documento n. 53. (72) Ibidem, documento n. 52. (73) Il quadro di battaglia dell'8" armata era il seguente: - 8" armata: comando, comandante (generale designato d 'Armata Italo Gariboldi), capo di stato maggiore (generale di Jivisione Bruno Malagugini), comandante dell'artiglieria (generale di divisione Mario Barlotta), comandante del genio (generale di divisione Arnoldo Forgino), comandante delle truppe chimiche (tenente colonnello Cesiro Mischi), comandante dell'aeronautica (generale di brigata aerea Enrico Pezzi); unità direttamente dipendenti dal comando ga armata: - carabinieri: una sezione a cavalJo, una sezione motorizzata, 8 sezioni miste ; - fanteria: un battaglione mitraglieri autocarrato, un battaglione alpini sciatori (Monte Cervino) su 3 compagnie e 2 plotoni; -· cavalleria: un raggruppamento a cavallo su reggimento Savoia cavalleria (comando, squadrone comando di reggimento, 2gruppi squadroni su comando e 2 squadroni ciascuno, 1 squadrone mitraglieri) e su reggimento Lancieri di Novara (comando · e squadrone comando, 2 gnippi squadroni su comando e 2 squadroni, uno squadrone .mitraglieri); - artiglieria: un raggruppamento artiglieria d'armata (2 gruppi cannoni da 149/28, 3 gruppi da 149/40, un gruppo obici da 210/22), un reggimento artiglieria a cavallo (comando, reparto comando, 3 gruppi su 2 batterie ippotrainate da 75/27 mo<l. 1912, un reparto munizioni e viveri), un reggimento artiglieria motorizzato (comando, reparto comando, 3 gruppi di 3 batterie ciascuno da 75/32), un raggruppamento artiglieria contraerei (2 gruppi di 2 batterie ciascuno con cannoni da 75/ 46, 3 gruppi di 3 batterie ciascuno da 75/26), un reparto specialisti di artiglieria, una sezione fotoclettricisti, 4 batterie contraerei da 20 mm; - .genio: un raggruppamento trasrnissoni su un battaglione telegrafisti di 4 compagnie, un battaglione misto di 2 compagnie delle quali una collegamenti ed una specialisti, una compagnia telemarconisti, una colombaia mobile, un battaglione artieri, -
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2 compagnie idrici, una compagnia antincendi, 4 battaglioni ponttert, una · compagnia traghettatori, 2 battaglioni ferrovieri, un battaglione lavoratori di 4 compagnie, un battaglione lavoratori di 3 compagnie; - chimici: un raggruppamento chimico su 2 battaglioni; - aeronautica: un gruppo osservazione di 2 squadriglie, un gruppo da caccia terrestre di 4 squadriglie; - legione croata: comando, un battaglione fucilieri, una compagnia mortai da 81, una compagnia pezzi da 47 /32 controcarro; - intendenza: intendente (generale di brigata Carlo Biglino ), capo di ·stato maggiore (tenente colonnello Luigi De Michelis): - sanità: una direzione di sanità, un magazzino di sanità, 34 ospedali da campo, 6 ospedali di riserva, 2 convalescenziari, 2 sezioni bonifica gassati, 2 sezioni disinfezioni, un laboratorio chimico-batteriologico-tossicologico, 12 treni ospedale dell'esercito, 6 treni ospedale della Croce Rossa Italiana, 2 treni ospedale del Sovrano militare Ordine di Malta; - commissariato: una direzione di commissariato, un magazzino viveri e avena, un magazzino foraggi, paglia e le!,'lla, un magazzino vestiario ed equipaggiamento, 4 sezioni sussistenza, 2 compagnie macellai, 4 sezioni panettieri con forni rotabili, una sezione panettieri con forni carreggiabili, 6 sezioni panettieri senza forni mobili, una squadra mista panettieri; · amministrazione: una dirC7.ione di amministrazione; - artiglieria: una direzione di artiglieria, un magazzino di artiglieria; - genio: una direzione del genio, un magazzino del genio, una compagnia genio artieri; - chimico: una direzione chimica, un magazzino chimico, un laboratorio chimico da campo; - ippica e veterinaria: una direzione ippica e veterinaria, w1 magazzino di veterinaria e mascalcia, un parco quadrupedi, carreggio e bardature, 7 infermerie quadnipedi; · trasporti: una direzione trasporti, 2 battaglioni movimento stradale (ciascuno su 3 compagnie e un reparto soccorso stradale), 2 centurie milizia stradale, un autoraggnippamento di armata su: un autognippo misto (2 reparti pesanti, un reparto ambulanze, un reparto autobotti, un'autofficina), un autogruppo pesante (3 autoreparti pesanti, un autoreparto misto, 2 autofficine, 200 rimorchi, 200 attrezzature per trasporto quadrupedi), un autogruppo pesante (4 autoreparti pesanti, 2 autofficine, una officina, un reparto soccorso stradale), un autoraggruppamento di armata su: un autogruppo pesante ( 4 autoreparti pesanti, un autoreparto ambulanze, un'officina), un autogruppo pesante (3 autoreparti pesanti, un autoreparto ambulanze), un'officina, un autoraggnippamento di armata (su 2 autogruppi pesanti di 4 autoreparti pesanti ciascuno , un'officina), un autoraggruppamento di armata (su 2 autogruppi pesanti di 4 autoreparti ciascuno, un'officina, un autoreparto pesante); - automobilistico: una direzione automobilistica, 2 parchi automobilistici, 6 officine di autogruppa, 2 officine speciali FIAT; - tappe: una direzione delle tappe, 3 comandi tappa principali, 6 comandi tappa secondaria, 11 comandi tappa speciali, 4 uffici tappa principali, 4 battaglioni territoriali mobili (su 4 compagnie ciascuno), 3 battaglioni territoriali mobili ( su 3 compagnie), una compagnia presidiaria, 8 gruppi appiedati di artiglieria; - postale e telegrafico: una direzione e 7 uffici posta;
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recuperi: una dire:i:ione e una compagnia recuperi; strade: una direzione; economia di guerra: una direzione; legnami: una direzione e 2 compagnie forestali. II corpo d'armata: - comando: comandante (generale di corpo d'armata Giovanni Zanghieri), capo di stato maggiore, comandante dell'artiglieria, comandante del genio; -
- quartier generale: 2 sezioni miste carabinieri, una sezione a cavallo carabinieri, · una sezione topocartografica, una squadra fotografica, una squadra telefotografica, un ufficio posta militare, un autotreno comando, un drappello automobilistico; -
unità direttamente dipendenti: - fanteria: un battaglione mitraglieri di corpo d'armata, un battaglione mitraglieri autocarrato, un battaglione controcarro da 47 /32 Granatieri di Sardegna, un battaglione guastatori di fanteria; - artiglieria: un raggruppamento di artiglieria su 2 gruppi cannoni da 105/28, 3 gruppi obici da 149/13 (un gruppo venne trasferito al raggruppamento del XXXV corpo d'armata il 26 luglio 1942), un reparto specialisti, 2 batterie contraerei da 20 mm; - genio: un battaglione artieri di 3 compagnie, 2 compagnie telegrafisti, una compagnia marconisti, una colombaia mobile, un'officina autocarreggiata per materiali di collegamento; - chimici: una compagnia chimica, 2 compagnie lanciafiamme; - milizia volontaria per la sicurezza na:donale: un raggruppamento canncre nere ( « 23 marzo ») su: un gruppo battaglioni (Valle Scrivia) di 2 battaglioni camicie nere e un battaglione armi di accompagnamento, un gruppo battaglioni (Leonessa) di 2 battaglioni di camicie nere e un battaglione armi di accompagnamento; - servizi: - sanità: una sezione di sanità, 2 ambulanze radiologiche, un'ambulanza odontoiatrica, una sezione disinfezione, 12 ospedali da campo, 3 nuclei chirurgici; " commissariato: una sezione di sussistenza; - trasporti: un autoreparto pesante (3 se-.doni miste e 2 sezioni autoambulanze), 6- autosezioni pesanti, 3 officine mod. 37; - automobilistico: un'officina mobile pesante; - ricuperi: una compagnia; divisione di fanteria Sforzesca: - comandante: generale di divisione Carlo Pellegrini; - quartier generale: una sezione mista carabinieri, una sezione motorizzata carabinieri, un drappello automobilistico, un ufficio posta militare; - fanteria: 2 reggimenti di fanteria (53° e 54° Umbria)., ciascuno su: <.umane.lo e compagnia comando di reggimento, 3 battaglioni (ciascuno su comando e compagnia comando, 3 compagnie fucilieri, una compagnia armi di accompagnamento mitragliatrici e mortai da 45), una compagnia mortai da 81, una batteria cannoni di accompagnamento da 65/17; un battaglione mortai da 81 divisionale; 2 compagnie cannoni controcarro da 47 /32; - artiglieria: un reggimento artiglieria motorizzato (17°) su: comando e reparto comando, reparto munizioni e viveri, un gruppo da 105/28 (su 3 batterie e reparto viveri e munizioni), 2 gruppi obici da 75/18 (di 3 batterie ciascuno), 2 batterie cannoni contraerei da 20 mm, una batteria cannoni controcarro da 75/39 (6 pezzi); -
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- genio: una compagnia artieri, una compagnia telegrafisti e marconisti, una sezione fotoelettricisti; - servizi: una sezione sanità, una sezione sussistenza, una sezione autocarrette (per batteria cli accompagnamento); -
divisione di fanteria Ravenna: - comandante: generale di divisione Edoardo Nebbia; - quartier generale: una Se'.i:ione mista carabinieri, una sezione motorizzata carabinieri, un drappello automobilistico, un ufficio posta militare; - fanteria: 2 reggimenti di fanteria (37° e 38° Ravenna): come 530 e 54° Umbria della Sforzesca, un battaglione mortai da 81 divisionale, 2 compagnie cannoni controcarro da 47 /32; - artiglieria: un reggimento artiglieria motorfazato (121°): come il 17° della Sforzesca, 2 batterie cannoni contraerei da 20 mm, una batteria controcarri da 75/39 (6 pezzi); - genio: idem come Sforzesca; · servizi: idem come Sforzesca; -
divisione di fanteria Cosseria: - comandante: generale di divisione Enrico Gazzale; - quartier generale: come divisione Sforzesca; - fanteria: 2 reggimenti fanteria (89<> e 900 Salerno) come 53° e 54° Umbria, un battaglione mortai da 81 divisionale, 2 compagnie cannoni controcarri da 47 /32; - artiglieria: un reggimento artiglieria motorizzato (108°): come il 17° della Sforzesca, 2 batterie cannoni contraerei da 20 mm, una batteria cannoni controcarro da 75/39 (6 pezzi); - genio: idem come Sforzesca; - servizi: idem come Sforzesca. XXXV corpo d'armata (C.S.I.R.): - comando: comandante (generale di corpo d'armata Giovanni Messe), capo di stato maggiore, comandante dell'artiglieria, comandante del genio; - quartier generale: 3 sezioni motori7.zate carabinieri, una sezione topocar~ grafica, una sezione fotografica, una sezione topografi per artiglieria, un ufficio posta militare, un drappello automobilistico, un nucleo movimento stradale, una sezione carburanti; -
unità direttamente dipendenti: - fanteria: un battaglione mitraglieri di corpo d'armata, un battaglione controcarri da 47/32, un battaglione guastatori di fanteria, una compagnia bersaglieri motociclisti; - artiglieria: un raggruppamento artiglieria di corpo d'armata su 3 gruppi cannoni da 105/32 e un gruppo obici da 149/13 (trasferito dal 2° raggruppamento artiglieria di corpo d'armata del II corpo), 2 batterie contraerei da 20 mm; - genio: un battaglione artieri su 3 compagnie, un battaglione collegamenti su 2 compagnie telegrafisti, una compagnia marconisti, una colombaia mobile, un'officina autocarreggata per materiali di collegamento, una sezione fotoelettricisti autocarrata; - chimici: una compagnia truppe chimiche; - milizia volontaria per la sicurezza nazionale: un raggruppamento camicie nere (J gennaio) con un gruppo battaglioni su 2 battaglioni catnicie nere e un battaglione armi accompagnamento (dell'esercito) e con un gruppo battaglioni su 2 battaglioni camicie nere e un battaglione armi accompagnamento (della milizia);
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- serv1Z1: una sezione sanità, 2 ambulanze radiologiche, un'ambulanza odontoiatrica, una sezione disinfezione, 12 ospedali da campo, 3 nuclei chirurgici, una sezione sussistenza, un autoreparto pesante su 4 sezioni, un autoreparto misto su 4 sezioni di cui una mista, una autoambulanze, 2 autobotti, 2 autoreparti speciali, 2 autoreparti pesanti ciascuno su 2 sezioni, un reparto salmerie, un'officina mobile pesante, una compagnia ricuperi; _,_ divisione autotrasportabile Pasubio: - comandante: generale di divisione Vittorio Giovannelli (dal 1° novembre 1942 generale di divisione Guido Boselli); - quartier generale: 2 sezioni motorizzate carabinieri, un drappello automobilistico,' una sezione carburanti, un nucleo soccorso stradale, un ufficio posta militare; - fanteria: 2 reggimenti di fanteria (79" e 80" Roma) (ciascuno su: comando e compagnia comando, una compagnia mortai da 81, una batteria cannoni da 65/17, 3 battaglioni - ciascuno su comando e compagnia comando, 3 compagnie fucilieri, una compagnia armi di accompagnamento mortai da 81 e mitragliatrici -), 2 battaglioni . mortai da 81 divisionali, 2 compagnie cannoni controcarro da 47 /32; - .artiglieria: un reggimento artiglieria motorizzato (8°) su comando e reparto comando di reggimento, un gruppo obici da 100/17, 2 gruppi cannoni da 75/27, un reparto munizioni e viveri, una batteria cannoni controcarro da 75/39 (6 pezzi), 2 batterie cannoni contraerei da 20 mm; - genio: una compagnia artieri, una compagnia telegrafisti e radiotelegrafisti, una sezione fotoclettricisti; - servi7J: una sezione sanità, una se-Lione sussistenza, un'officina mod. 37; divisione autotrasportabile Torino: - comandante: generale di divisione Roberto Serici; - quartier generale: come divisione Pasubio; - fanteria: 2 reggimenti di fanteria (81° e 82° Torino) come divisione Pasubio, 2 battaglioni mortai da 81 divisionali, 2 compagnie cannoni controcarro da 47 /32; - artiglieria: un reggimento motorizzato (520): come divisione Pasubio, 2 batterie cannoni contraerei da 20 mm, una batteria cannoni controcarro da 75/39 (6 pezzi); - genio: come divisione Pasubio (meno sezione fotoclettricisti); - servizi: come divisione Pasubio con in più un autogruppo pesante su 4 autoreparti e un'officina mod. 37. Corpo d'armata alpino: - comando: comandante (generale di corpo d'armata Gabriele Nasci), capo di stato. maggiore, comandante dell'artiglieria, comandante del genio; ~ quartier generale: una sezione alpina carabinieri e una sezione alpina carabinieri mista, una sezione topocartografica, una sezione fotografica, una sezione telefotografica, un ufficio postale, un autodrappello; -
-
unità direttamente dipendenti: - artiglieria: un raggruppamento artiglieria di corpo d'armata su 3 gruppi cannoni da 105/32, un gruppo obici da 149/13, un reparto specialisti artiglieria, 2 batterie contraerei da 20 mm; ·- genio: un battaglione artieri su 3 compagnie, un battaglione misto ( una compagnia telegrafisti, una compagnia marconisti, una compagnia fotoelettricisti), un battaglione guastatori del genio, un'officina riparazioni materiali di collegamento, una colombaia mobile; - chimici : una compagnia chimica;
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- servizi: una sezione alpina sanità, un'ambulan7,a odontoiatrica, 6 ospedali da campo, una sezione disinfezione, una sezione alpina di commissariato, un autoreparto misto (su 2 sezioni pesanti, una leggera, una autocarrette), un'officina mobile pesante, una compagnia ricuperi; divisione alpina Tridentina: - comandante: generale di brigata Luigi Reverberi; - quartier generale: 2 sezioni carabinieri da montagna, un autodrappello, un ufficio posta militare; - fanteria: 2 reggimenti alpini (5° e 6°) (ciascuno su: comando e coml)agnia comando di reggimento, 3 battaglioni alpini - ciascuno su comando e compagnia comando, 3 compagnie alpini, una compagnia armi di accompagnamento -), una sezione di sanità, un ospedale alpino da campo, un nucleo di sussistenza, una sezione salmerie, 2 compagnie alpini cannoni controcarro da 47 /32; - artiglieria: un reggimento artiglieria alpina (2°) su comando e reparto comando di reggimento, 2 gruppi (ciascuno su 3 batterie obici da 75/13 e reparto munizioni e viveri), un gruppo su 2 batterie obici da 105/11 e reparto munizioni e viveri, 2 batterie contraerei da 20 mm, una batteria cannoni controcarri da 75/39 (6 pezzi); - genio: un battaglione misto su una compagnia artieri, una compagnia telegrafisti e marconisti, una sezione fotoelettricisti; - servizi: una se-.cione alpina di sanità, 4 ospedali da campo, una sezione sussistenza, un autoreparto misto su 5 se.doni e una sezione autobotti, un reparto salmerie; - divisione alpina Julia: - comandante: generale di brigata Umberto Ricagno; - quartier generale: come Tridentina; - fanteria: 2 reggimenti (So e 9") alpini: come 5<> e 6'' della Tridentina, 2 compagnie alpini cannoni da 47 /32; - artiglieria: un reggimento artiglieria alpina (3°): come 2° della Tridentina, 2 batterie contraerei da 20 mm, una batteria cannoni controcarro da 75/39 (6 pezzi); - genio: come Tridentina; - servizi: come Tridentina; -
divisione alpina Cuneense: - comandante: generale di divisione Emilio Battisti; - quartier generale: come Tridentina; - fanteria: 2 reggimenti alpini (1° e 2°) come Y' e 6° della Tridentina, 2 compagnie alpini cannoni controcarro da 47 /32; - artiglieria: un reggimento artiglieria alpina (4°), come 2° della Tridentina, 2 batterie contraerei da 20 mm, una batteria cannoni controcarro da 75/39 (6 pezzi); - genio: come Tridentina; - servizi: come Tridentina; -
divisione di fanteria Vicenza: - comandante: generale di brigata Etelvoldo Pascolini; - quartier generale: 2 sezioni miste carabinieri, un ufficio posta militare; - carabinieri: un battaglione su 2 compagnie; - fanteria: 2 reggimenti di fanteria (277° e 278°) (ciascuno su: comando e compagnia comando, una compagnia mortai da 81, una compagnia cannoni accompagnamento da 47 /32, 3 battaglioni - ciascuno su comando e compagnia comando di battaglione, 3 compagnie fucilieri, una compagnia armi accompagnamento -), un battaglione mitraglieri, una compagnia controcarro da 47 /32; -
CAP. XXXVlll - OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE QUARTA)
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- genio: un battaglione misto su una compagnia artieri e una compagnia tele-marconisti; - servizi: una sezione sanità e 2 ospedali da campo, una sezione sussisten1.a e una squadra panettieri con forni, un'autosezione mista.
Totale generale dell'8~ armata: - carabinieri: un battaglione, una compagnia, 41 sezioni; - fanteria: 164 battaglioni, 423 mortai da 81, 266 pezzi da 47 /32; - corazzati: 31 carri armati L/6 con cannone da 20, 19 semoventi con cannone da 47/32; - artiglieria: 224 pezzi da 20 contraerei, 28 pezzi da 75/17, 54 pezzi da 75/39 controcarri, 72 pezzi da 75/18, 72 pezzi da 75/27 mod. 1911 T. M., 24 pezzi da 75 / 27 mod. 1911 ippotrainati, 72 pezzi da 75/13 someggiati, 36 pezzi da 75/32 controcarro, 52 pezzi da 75/46 contraerei, 36 pezzi da 100/17, 24 pezzi da 105/11 carrellati, 60 pezzi da 105/28, 72 pezzi da 105/32, 48 pezzi da 149/13, 24 pezzi da 149/28, 36 pezzi da 149/40, 12 pe7..zi da 210/22. In totale: 946 pezzi; - aeronautica: 2 squadriglie di osservazione e 4 squadriglie da caccia terrestre; - sanità: 19 sezioni, 4 ambulanze radiologiche, 3 ambulanze odontoiatriche, 5 sezioni disinfezione, 2 sezioni bonifica gassati, 6 nuclei chirurgici, 84 ospedali da campo, 6 ospedali di riserva, 2 convalescenziari, un laboratorio chimico batteriologico, 20 treni ospedali, un magazzino di sanità; - commissariato: 17 sezioni sussistenza, 6 nuclei sussistenza alpini, un magaz:dno viveri ed avena, un magazzino foraggio paglia leggera, un magaz-linO vestiario ed equipaggiamento, una compagnia macellai, 11 sezioni panettieri, 13 squadre panettieri; - artiglieria: un magazzino; - un magazzino; - chimico: un magazzino e un laboratorio chimico; - ippica e veterinaria: un magazzino, un parco quadrupedi carreggio bardature, 7 infermerie quadrupedi; - trasporti: 50 autoreparti, 2 reparti autoambulanze, 2 reparti autobotti, l 2 autofficine, 7 reparti salmerie, un reparto carreggio e slitte; - tappe: 24 comandi di tappa; - automobilistico: 2 parchi automobilistici e 8 officine; - postale e telegrafico: 19 uffici posta militare; - ricuperi: 4 compagnie ricuperi; - legnami: 2 compagnie forestali. Varianti alla costituzione delle unità italiane combattenti alla fronte russa: - uomini: da 62 000 (C.S.I.R. formazione 1942) a 229 005 (S-4 armata}; - fucili mitragliatori: da 866 a 2 657; - mitragliatrici: da 581 a l 742; - mortai da 81: da 189 a 423 ; - mortai da 45: da 292 a 874; - cannoni da 47/32: da 108 a 297; - mezzi corazzati: da 60 a 50; - bocche da fuoco di artiglieria: - piccoli calihri da 220 a 670; - medi calibri: da 36 a 276; - bocche da fuoco contraerei: da 80 a 276;
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-
bocche da fuoco controcarro: da O a 90;
- aerei: da 83 a 66 (23 da osservazione; 43 da caccia, dei quali 6 Ca 311, 7 Br. 20, 19 MC 200, 11 MC 202); -
quadrupedi: da 4 600 a 25 000;
-
automezzi: da 5 500 a 16 700;
-
motomezzi: da 1 550 a 4 470.
(74) Le operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. dt., documento n. 45, p. 581 e 582, documento n. 58.
(75) Ibidem, p. 184. (76) Ibidem, documento n. 64. (77) Ibidem, p. 195.
(78) Ibidem, documenti n. 43, 44, 45, 46, 48 e 49. (79) Ibidem, p. 183, 186 e 187, documento n. 50. (80) Ibidem, p. 183 e documento n. 50. (81) Ibidem, p. 189.
(82) Il 9° raggruppamento di artiglieria d'armata era formato dal LXXIII gruppo obici da 210/22 (su 3 batterie con pezzi moderni, dotati di forte potenza cli colpo e con gittata di 14-i5 mila metri), dal XXXI, XXXII e XXXIV gruppo cannoni da 149/40 (su 3 batterie con pe-ai moderni con gittata massima di 23,7 mila metri, raramente utilizzata per la difficoltà dell'osservazione terrestre del tiro e per le scarse possibilità dell'osservazione aerea), dal L gruppo cannoni da 149/28 (arma di fabbricazione Krupp ceduta dalla Germania, con gittata massima di 13,3 mila metri). ( 83) Arma cli fabbricazione moderna con gittata massima di 11,5 mila metri. (84) Il 105/28 era arma di fabbricazione anteriore al 1915, con gittata massima cli 13 650 m; il 149/13 era anch'essa arma di fabbricazione anteriore al 1915, con gittata massima di 8 800 m. (85) Il 75/18 era arma di fabbricazione mo<lerna, con gittata massima di 9 500 m . (86) Il 75/13 era arma di fabbricazione anteriore al 1915, di preda bellica austro-ungarica, con gittata massima di 8 250 m. (87) Il 105/11 era arma di fabbricazione moderna, di preda bellica francese, con gittata massima di 7 250 m. (88) Fedor von Bock (1880-1945), feldmaresciallo tedesco. Tenente nel 5° reggimento Guardie nel 1898, partecipò alla l" guerra mondiale e rimase nei quadri della Reichswehr. Maggior generale nel 1929, tenente generale nel 1931, generale di corpo d'armata nel 1935, generale d'armata nel 1938, feldmaresciallo nel 1940. Nella 2" guerra mondiale prima comandò il gruppo d'armate Nord, poi il gruppo d'armate B, poi il gruppo di armate centrale. Capo di stato maggiore dell'esercito dal 2 aprile 1941 al 19 dicembre 1941 ; comandante del gruppo armate Sud, dimissionato da Htler il 13 luglio 1942.
CAP. XXXVIII - OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE QUARTA)
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(89) Wi/he/m Ritter von Leeb (1876-1956), feldmaresciallo tedesco. Entrato nell'esercito nel 1895 nell'arma di artiglieria, divenne maggiore generale nel 1929, tenente generale nd 1930, generale di corpo d'armata nl 1934, generale d'annata nel 1938 e nel 1940 fu nominato feldmaresciallo. Tenne il comando del gruppo di armate C e successivamente del gruppo d'armate Nord dal maggio del 1941 al gennaio del 1942. (90) Walter von Reichenau (1884-1962), feldmaresciallo tedesco. Entrato in servizio nel 1903, partecipò alla prima guerra mondiale, fece parte della Reichswehr e prestò servizio presso enti centrali e presso comandi operativi. Maggior generale nel 1934, tenente generale nel 1935, generale di corpo d'armata (artiglieria) nel 1936, generale <l'armata nel 1939 e feldmaresciallo nel 1940. Durante la seconda guerra mondiale comandò la 10" armata, quindi la 6"' e infine il gruppo d'armate Sud. (91) Giinter von Kluge (1882-1944), maresciallo tedesco. Figlio di generale, entrò nell'esercito come ufficiale di artiglieria nel 1910 e partecipò alla l" guerra mondiale. Successivamente prestò servizio nella Reichswehr. Nel 1936 comandò la regione rnilitàre di Munster. Nel 1939 guidò la 4a. armata nella campagna di Polonia e successivamente un gruppo di armate sulla fronte francese. Destinato alla fronte russa, si batté davanti a Mosca e fu nominato feldmaresciallo. Nel 1941 assunse il comando di tutte le armate dell'est, e nel 1943 fu protagonista della difesa tedesca contro l'offensiva sovietica di Kursk e Orel. Nel 1944 divenne comandante della fronte occidentale, quando gli alleati erano già sbarcati in Normandia. Il fallimento della controffensiva su Mortain (agosto 1944) lo fece cadere in disgrazia agli occhi di Hitler, con il quale non era mai andato d'accordo in fatto di strategia. Questo lo spinse ad avvicinarsi al gruppo di oppositori .che preparò l'attentato del 1944. Chiamato a Berlino, sospettando di venire incriminato come complice, si uccise nell'automobile che lo portava a Metz. Lasciò una lettera per Hitler nella quale lo esortava a chiedere la pace. (92) Kiichler Georg (1881-1968), feldmaresciallo tedesco. Entrato in servizio nel 1900, partecipò alla t• guerra mondiale e successivamente prestò servizio nella Reichswehr. Maggior generale nel 1934, tenente generale nel 1935, generale di corpo d'armata ·nd 1937, generale d'armata nel 1940, feldmaresciallo nel 1942. Durante la 2a guerra mondiale comandò la 3a e la 18~ armata e, dal gennaio 1942 al gennaio del 1944, il gruppo di armate Nord.
(93) Wi/belm Ust (1880-1958), feldmaresciallo tedesco. Entrato in servizio nel 1898, partecipò alla 1a guerra mondiale e fu promosso maggior generale nel 1930, tènente generale nel 1932, generale di corpo d'armata (fanteria) nel 1935, generale d'armata nel 1939, feldmaresciallo nel 1940. Durante la 2"' guerra mondiale comandò prima la 14• armata e poi la 12&, quindi il raggrupp;imento del Sud-est e infine il gruppo d'armate A. (94) Storia militare della seconda gue"a mondiale. Op. cit., p. 343. (95) Ibidem, p. 344. (%) Ibidem, p. 350.
(97) Ibidem, p. 354. (98) Ibidem, p. 356. (99) Ibidem, pp. 356-357.
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(100) Le operazioni delle unità italiane al, fronte russo. Op. cit., p. 201. (101) Ibidem, p. 209 e documento n. 62. (102) Ibidem, p. 218. (103) Ibidem, documento n. 73. (104) Ibidem, p. 227. (105) Ibidem, p. 230 e documento n. 72.
(106) Ibidem, p. 223. (107) Ibidem, p. 212. (108) Ibidem, P. 213 e documento n. 68. (109) La divisione di fanteria sovietica era costituita su: 3 reggimenti di fanteria, un reggimento di artiglieria, un battaglione da ricognizione, un battaglione genio artieri, un battaglione trasmissioni, una compagnia mitragliatrci contraerei, una compagnia chimica, un battaglione mortai da 120 mm, un reparto controcarro. Il reggimento di fanteria c.unstava di: un comando, una sezione controcarri su 3 cannoni da 45 mm, una batteria di accompagnamento su 6 pezzi da 76,2 mm, un plotone difesa aerea su 3 mitragliatrici contraerei, 3 battaglioni (ciascuno su: 3 compagnie fucilieri di 3 plotoni di 3 squadre, una compagnia rnitraglieri su 3 plotoni di 4 armi ciascuno, una sezione controcarri su 2 cannoni controcarro da 45 mm), un battaglione mortai su 3 compagnie (totale: 24 mortai da 50 mm e 24 mortai da 82 mm).
Il battaglione divisionale da ricognizione constava di: uno squadrone di cavalleria su 3 plotoni di 3 squadre, una compagnia autoblindo su 3 plotoni (totale: 9 autoblindo leggere e 3 pesanti), una compagnia carri leggeri di 3 plotoni carri leggeri T27A e anfibi, una compagnia fucilieri autotrasportata, una batteria autocannoni da 76,2 mm, una sezione mitragliatrici contraerei autotrasportata, un reparto collegamenti. L'artiglieria divisionale comprendeva inizialmente 2 reggimenti: il primo su: un gruppo di 3 batterie cannoni da 76 mm mod. 37, 2 gruppi di una batteria cannoni da 76 mm mo<l. 37 e 2 batterie obici da 122 mm; il secondo su: un gruppo di 3 batterie obici da 122 mm, un gruppo di 3 batterie obici da 152 mm. Successivamente l'artiglieria divisionale comprendeva un solo reggimento di 2 gruppi e i gruppi obici da 152 mm vennero accentrati alle annate. La divisione di fanteria con organici di guerra comprendeva: 3 reggimenti di fanteria (12 battaglioni), uno squadrone di cavalleria, due poi un reggimento di artiglieria, 243 mitragliatrici leggere o fucili mitragliatori, 162 mitragliatrici pesanti, 33 mitragliatrici contraerei, 72 mortai da 50, 72 mortai da 82, 18 mortai da 120, 18 pezzi da campagna, 36 pezzi controcarri, 20 pezzi pesanti campali, 40 pezzi di medio calibro, 6 pezzi contraerei. La divisione di cavalleria era costituita da: 2 brigate di cavalleria (ciascuna su 2 reggimenti), un reggimento di fanteria motorizzato, un reggimento di artiglieria su 4 gruppi, un battaglione carri armati su 4 squadroni (32 carri in tutto), una compagnia controcarro, reparti genio, servizi. Alcune divisioni erano su 3 reggimenti, un reggimento artiglieria ed alcuni reparti corazzati e controcarro. Il reggimento di cavalleria comprendeva: un plotone collegamenti, 4 squadroni
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sciabole (2 plotoni d: 3 squadre), uno squadrone Initraglieri (4 plotoni di 4 squadre su 1 mitragliatrice). La brigata corazzata constava di: un comando, 2 battaglioni carri leggeri (ciascuno su 3' còmpagnie di 3 plotoni) con totale di 64 carri, un battaglione carri medi e pesanti su 2 compagnie carri medi (22 carri) ed una compagnia carri pesanti (7 carri), un gruppo contraerei (3 batterie con 12 pezzi cd una compagnia Initragliatrici contraerei con 6 armi da 12,7 mm), un battaglione fanteria motorizzato (3 compagnie mitraglieri;· una compagnia mortai con 12 armi, una compagnia controcarri con 8 armi, una compagnia cacciatori di carro con 16 lanciafiamme), una compagnia esplorante (8 autoblindo medie e 7 leggere), reparti trasmissioni, riparazioni, servizi. All'inizio della guerra i reggimenti di artiglieria di corpo d'armata erano stati sciolti e i gruppi da 107 mm e da 152 mm erano stati riuniti in raggruppamenti di manovra accentrati alle dipendenze dd Comando Supremo. (110) Le opera1.ionì delle unità itliane al fronte russo. Op. cit., p. 246. Veds. anche documenti n. 63 e 64. (111) Ibidem, pp. 240-244. In generale fu adottato, al livello divisionale, lo schieramento di 4 battaglioni in primo scaglione e di 2 battaglioni in secondo scaglione; la riserva divisionale anziché unitaria fu ripartita in 2 blocchi (soluzione che ruigliorava i tdllpi <l'intervento, ma complicava il problema delle for7.e da destinare in linea); ai battaglioni vennero assegnate fronti di 7 chilometri; le armi della fanteria furono necessariamente fatte gravitare sul davanti; la difesa controcarri dei meai corazzati fu condizionata dalla vastità della fronte; i gruppi di artiglieria assegnati ai settori reggimentali per poter intervenire su tutta la loro fronte assunsero schieramenti avanzati che li esponevano alle vicende della lotta della fanteria; l'artiglieria, massa di manovra divisionale, non era in condizioni di agire accentrata nelle mani dd comandante; i corpi d'armata, non disponendo di divisioni di seconda schiera, avevano scarse possibilità di manovra limitate ai 4 battaglioni di camicie nere rinforzati dalle loro arini di accompagnamento e non potevano intervenire con il fuoco dell'artiglieria in quanto anche le bocche da fuoco di inaggior gittata (149/40) non disponevano dd braccio sufficiente a coprire l'intero settore dd corpo d'armata; il comando dell'armata aveva dovuto decentrare ai corpi d'armata tutte le artiglerie dipendenti limitandosi ad esercitare su di esse e su quelle delle altre grandi unità un'azione ispettiva. (112) Ibidem, p. 234. (113) Ibidem, p . 235. (114) Ibidem, p. 257 e documento n. 74. (115) Ibidem, p. 271, documenti n. 75 e 76. (116) Ibidem, documenti n. 77, 78, 79, 80, 81 e pp. 273-277. (117) Giinther Blumentritt (1892-1957), generale di corpo d'arinata tedesco. Entrato in servizio nel 1911, partecipò alla l" guerra mondiale e successivamente prestò servizio ndla R.eichswehr. Maggior generale nd 1941, tenente generale nel 1942, generale di. corpo d'armata (fanteria) nel 1944. Durante la 2'- guerra mondiale prestò servizio negli stati maggiori del gruppo armate Sud e dd gruppo armate A; fu capo di stato inaggiore del gruppo armate D. Comandò l'LXXXVI corpo d'annata e poi
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il XII corpo d'armata SS e successivamente il gruppo d'armate 25 e il gruppo d'armate Blumentritt. (118) Karl Adolf Holtidt (1891-1958), generale d'armata tedesco. Entrato .in servizio nel 1909, partecipò alla 1a guerra mondiale in unità di fanteria, e successivamente nella Reichswehr. Maggior generale nel 1938, tenente generale nel 1940, generale di corpo d'armata (fanteria) nel 1942, generale d'armata nel 1943. Durante la ia guerra mondiale comandò la 52" divisione di fanteria, fu capo di stato maggiore della 5" armata, poi del gruppo armate B dell'est, poi comandò il XVII corpo d'armata e infine la 6" armata. (119) Ibidem, p. 277. (120) Ibidem, pp. 305-306. (121) Ibidem, p. 280. (122) Ibidem, documenti n. 83, 84 e 85. (123) Ibidem, pp. 305-308, documenti n. 93, 94, 95, 96 e 97. (124) Ibidem, pp. 300-305. (125) Ibidem, pp. 312-314. (126) Ibidem, pp. 309-312, p, 315 e documento n. 92. (127) Ibidem, pp. 321-324 e pp. 327-335. (128) Ibidem, pp, 297-300 e documento n. 91. (129) Ibidem, p. 451. Secondo la direttiva n. 41 del 5-IV-1942 dell'Alto Comando tedesco: il fianco dello schieramento dell'8" armata avrebbe dovuto offrire sicura protezione alle forze operanti sulla direttrice principale; le posizioni difensive sul Don avrebbero dovuto possedere notevole capacità controcarro od avrebbero dovuto essere allestite in vista di un impiego nella stagione invernale. Sulla base di tale direttiva, il comando gruppo armate B aveva fissato nelle disposizioni diramate dal luglio al dicembre 1942 i seguenti concetti fondamentali: proiezione in avanti delle forr,e per la costituzione <li una posizione di resistenza continua forte quanto più possibile; contrassalti e contrattacchi tempestivi per stroncare le infiltrazioni facili nel sistema lineare e pericolose a causa della capacità del nemico di immediatamente consolidarsi sul terreno conquistato; difesa del Don portata e condotta sulla sponda destra del fiume, che deve costituire una linea di resistenza irrinunciabile; in caso di rottura dei pilastri laterali, continuazione della difesa in posto, malgrado il pericolo di superamento o di accerchiamento da parte del nemico; esclusione di ogni movimento tattico inteso al raccorciamento della fronte od a manovrare in ritirata. (130) Maximilian Freiherr von Weichs (1881-1954), feldmaresciallo tedesco. Entrato in servizio nel 1900, partecipò alla 1a guerra mondiale e prestò poi servizio nella Reichswehr. Maggior generale nel 1933, tenente generale nel 1935, generale di corpo d'armata nel 1936, generale d'armata nel 1940 e feldmaresciallo nel 1943. Nella 2& guerra mondiale comandò il XIII corpo d'armata, la 2a armata, il gruppo d'armate B e il gruppo d'armate F o gruppo d'armate B del Sud-est.
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(131) Ibidem, p, 456. Durante il colloquio, il C.Omandante tedesco: riconosce che 1'8" armata italiana difende un settore molto ampio, ma che potrà venire ridotto con l'inserimento sulla fronte di nuovi reparti romeni (inserimento mai avvenuto); si mostra al corrente della situazione deficitaria dell'armata in armi automatiche e pezzi confrocarro e aderisce alla richiesta del generale Marras di procurare armi non appena ve ne sarà la disponibilità. « f. prevedibile» - afferma il gen. von Weichs « che a 'Stalingrado cadranno in nostre mani grossi depositi di armi; un considerevole quantitativo di armi è già stato catturato nel corso delle ultime operazioni». Il generale esprime inoltre proposito di utilizzare quali fortini, come già fanno i russi, i carri inunobilizzati... interrandoli lungo la fronte difensiva ed assicura di avere in animo di assegnare a suo tempo all'8& armata un adeguato numero di tali carri (assegnazione mai avvenuta). Il gen. von Weichs afferma poi testualmente: « ... il Fiihrer ha particolare riguardo al settore dell'8~ armata come punto strategico molto delicato. Se noi fossimo i russi considereremmo quel settore come particolarmente adatto per un'azione sul nostro schieramento. Dopo la conclusione dclla lotta per Stalingrado, i russi cercheranno altri punti ove esercitare la loro pressione cd è possibile che durante l'inverno il settore dell'armata italiana sia teatro di importanti avvenimenti ». « Ma » - soggiunge - « i russi attaccano ora qua ora là con strani criteri ». (132) Il teatro operativo russo era stato suddiviso da Stavka - Quartier Generale - (Stavka Verhovnavo G!avnogo Kommandovanija) in dodici fronti, tutti dipendenti in modo diretto dal Quartier Generale del Comando Supremo. Ciascun fronte comprendeva in media circa 4 annate (più piccole di quelle operanti in Occidente) e ciasruna di queste conduceva le proprie divisioni in modo diretto, senza l'interposizione di comandi di corpo d'armata. Le forze corazzate e motorizzate erano organizzate in gruppi di brigate che pur essendo equivalenti a grosse divisioni erano denominati corpi e operavano agli ordini del comandante del fronte.
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( 13.3) Le operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. cit., p. 457 (nota 36). (134) Ibidem, p. 453.
(135) Ibidem, pp. 330-333. I mezzi cora,:zati russi erano costituiti da: carri leggeri T-70 con corazzatura di 35-40 mm; carri mcdi T-34, con corazzatura di 45 mm (superiore ai tedeschi Pz. Kpvk III e Pz. Kpfw IV); carri pesanti KV (Klim Voroscilov) con corazzatura di 75 mm. Il rapporto tra sovietici e italo-tedeschi dell'8" armata era: battaglioni di fanteria 5,75 a 1; battaglioni carri 15 a 1; carri armati leggeri, medi, pesanti 15,51 a 1; artiglierie da 75 mm e oltre 6,13 a l; lanciarazzi multipli 200 sovietici e O italiani e tedeschi; mortai medi e pesanti 11,6 a l; cannoni controcarro 2,63 a 1. Sulla fronte del II corpo <l'armata erano schierati: 20 battaglioni di fanteria, 2 battaglioni carri (47 carri della 2ì4 divisione corazzata tedesca), 132 bocche da fuoco, 108 mortai medi e pesanti, 114 !)e'.ai controcarro (90 da 47 /32, 12 da 75/39, 12 da 75/32). Nel settore di sfondamento i sovietici disponevano di .352 carri leggeri, 382 medi e 20 pesanti ; 1'8a armata di 47 carri medi tedeschi. (136) Georgi; Kostantinavic Zukov (1896-1974), maresciallo sovietico. Partecipò alla guerra civile come comandante di cavalleria. Capo di stato maggiore generale nel 1940-'41 diresse la battaglia difensiva di Leningrado, la controffensiva invernale di Mosca, l'offensiva di Stalingrado. Ebbe quindi il comando del gruppo d'armate più importante e delicato dello schieramento sovietico fino all'ingresso in Berlino.
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Fu poi comandante delle truppe russe di occupazione in Germania e infine ministro della difesa negli anni 1955-61. Ebbe contrasti con Stalin e con Chruscev. (137) Aleksandr Michailovié V asilevskij (1895-1977), maresciallo sovietico. Comunista dal 1917 fu membro del comitato rivoluzionario ed ebbe poi incarichi civili. Nel 1932 rientrò nell'armata rossa; nel 1942 fu capo di stato maggiore generale e in tale veste coordinò la difesa di Stalingrado. Nell'ultima fase della guerra tornò a comandare grandi unità, espugnando tra l'altro Konigsberg. Assunse nel 1945 il comando supremo della guerra contro il Giappone. Negli anni 1946-48 fu di nuovo capo di stato maggiore generale. Nel 1943 era stato promosso maresciallo deJl'Unione Sovietica. (138) Niklaj Nikolaevic Voronov (1899-1968), maresciallo sov1et1co. Si distinse per la riorganizzazione dell'artiglieria. Partecipò alla battaglia di Stalingrado dove
svolse un ruolo preponderante e fu uno dei maggiori artefici della vittoria. Nel 1944 fu promosso maresciallo. (139) Veds. cap. XXXVI, nota n. 10. (140) Veds. cap. XXXVI, nota n . 9. ( 141) Veds. cap. XXXVI, nota n. 11.
(142) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 363. (143) Erich von Lewinski von Manstein {1887-1973), maresciallo tedesco. Come capo di stato maggiore del generale Rundstedt elaborò il piano che diede ai tedeschi la vittoria contro la Francia nel maggiO"giugno 1940. Comandante di un corpo d'armata corazzato e poi di un'armata sul teatro operativo russo conquistò la Crimea. Nel 1943 ebbe il comando del gruppo armate Sud e diresse le operazioni di ripiegamento con grande maestria, ma Hitler, che avrebbe voluto la resistenza ad oltranza, l'esonerò dal comando.
(144) Le forze sovietiche che investirono la fronte del II corpo d'armata italiano appartenevano a due diverse fronti. In particolare: - contro il settore della Cosseria era schierata la 6" armata del fronte di Voronei:., con: - in prima schiera: 172", 267.. e 350" divisioni, 127> divisione fucilieri, CXV brigata corazzata, 82° e 122° reggimenti autonomi fucilieri motorizzati; - in seconda schiera: LXVI, LXVII, CLXXV brigate cora7.zatc c XXXI brigata fucilieri motorizzata; - in riserva: 160~ divisione fucilieri; - in totale: 45 battaglioni fucilieri, 7 battaglioni fucilieri motorizzati, 839 bocche da fuoco tra artiglierie e mortai, 250 carri amati, dei quali 110 in appoggio diretto alla fanteria; - contro il settore della Ravenna erano schierate unità appartenenti alla 1a. armata Guardie del fronte Sud-Ovest con: - in prima schiera: 41"· e 44" divisione Guardie, 195" e 1• divisione fucilieri; - in seconda schiera: CX, CLXX e CLXXX brigate corazzate, XXXII brigata fucilieri corazzata, IV brigata corazzata Guardie, CXXX brigata corazzata, XXIV brigata fucilieri motorizzata, CXI, CLXII, CLXXV brigate corazzate, XVI brigata· fucilieri motorizzata;
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- in totale: 45 battaglioni fucilieri, 18 battaglioni fucilieri motorizzati, 1 226 bocche da fuoco tra artiglieria e mortai, 504 carri armati, dei quali 71 in appoggio diretto alla fanteria. I dati comprendono la 35"' divisione Guardie tenuta inizialmente in riserva. In sintesi, contro le due divisioni italiane Cosseria e Ravenna vennero lanciate... dieci divisioni fucilieri, tredici brigate corazzate, quattro brigate fucilieri motorizzate, due reggimenti corazzati autonomi... Altre due divisioni fucilieri (la 3ga e la 153"} e due reggimenti di fanteria autonomi (il 126° e il 141°) operarono contro la Pasubio.
(145) Le operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. cit., p. 336. (146) Ibidem, da p . 338 a p. 354, documenti n. 98, 100, 101, 102, 103 e 104. (147) Ibidem, p. 354. (148) Ibidem, p. 355. (149) Ibidem, da p. 354 a p. 387 e docwnenti n. 100, 101, 102 e 103. Per il rapporto delle forze contrapposte veds. precedenti note n. 123 e 132. (150) Ibidem, p. 461. · (151) Ibidem, p . 357. I reparti organici della Cosseria o ad essa assegnati in rinforzo, t.rattenuti dalla 385'" etano: 2 battaglioni del 90", il gruppo camicie nere Leonessa (uniti al 539° granatieri); il gruppo colonnello Maggio (due battaglioni del1'890 ed un battaglione del 900); un battaglione dell'89" unito al 537° granatieri; l'artiglieria divisionale o di rinforzo. (152) Ibidem, documento n. 105. (153) Ibidem, p. 374. (154) Ibidem, p. 383.
(155) Ibidem, p. 384. (156) Storia militare della seconda xuerra mondiale. Op. ci t., p. 367 . .(157) Le operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. cit., p. 460. Veds. anche nota n. 43 della stessa pagina. (158) Ibidem, p. 51 2. Nella pubblicazione del Ministero della Difesa dell'U.R.S.S .: Storia della seconda guerra mondiale: 1939-1945, vol. VI (pubblicato a Mosca nel 1976), pp. 65, 66, 68 e 69 si legge, tra l'altro: « La progressione dell'attacco si sviluppò a ritmo lento. Le Grandi Unità della 6.. armata e della l " armata Guardie riuscirono, dopo la prima me?..za giornata, ad avanzare soltanto di 2-3 chilometri. In tale situazione i comandi dei fronti decisero di immettere nella battaglia i corpi corazzati allo scopo di realizzare la rottura della zona difensiva tattica, nel tentativo di attaccare di slancio il nemico; i loro reparti avanzati incapparono nei campi minati e, subendo perdite, furono costretti a desistere dall'attacco. L'apertura dei varchi nei campi minati ritardò l'inserimento nella battaglia delle unità corazzate sino al mattino del giorno seguente. Nella seconda metà del 16 dicembre, il tempo migliorò alquanto. L'artiglieria e l'aviazione dei fronti intensificarono il sostegno alle truppe attaccanti. Aerei d'assalto e da bombardamento attaccarono gli schieramenti
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difensivi, i centri <li resistenza, i posti comando e di osservazione del : nemico. Sul cielo d el campo di battaglia , <livamparono i combattimenti aereL Ciò nonosta:rite le unità delle formazioni allaccanti non riuscirono ancora a<l infrangere la zona!difensiva tattica del nemico. 11 nemico manovrava, aumentava di forLa, impiegava attivamente la sua aviazione. In anl!loghe condizioni si svilupparono i combauimenti anche nel settore della y• armata Gudrdie <lel generale D.D. Leljuscenko, le cui grandi unità fucilieri incontrarono la ferma resistenza del nemico e non poterono assolvere il compito loro affidato per quel giorno. 11 mattino del 17 dicembre, dopo la preparazione d 'artiglieria e l'intervento dell'aviazione, le grandi unità della 6a armata e della 1a armata Guardie rinnovarono l'attacco. In stretta cooperazione con esse· att~cd1rono i corpi corazzati, i quali s'inserirono nella hattaglia in successiune: all'inizio, fµrono immessi i corpi corazzati XXV e XVIII, quindi il XVII e XXIV. L'av~~ ' delle grandi unità era appoggiata in profondità da un massiccio fuoco d'artiglieria ~d anche <lall'avia:i:ione, allora assai attiva. Superata la caparbia resisten:i:a del nemico e respinti i suoi accaniti contrattacchi, le unità della 6a e della la armata Guardie infransero, al termine del secondo giorno, la zona d ifensiva tattica e avanzarono per 20-25 Km. Jl nemico oppose una resistenza particolarmente ostinata il 18 dicembre sulla linea difensiva dell 'armata la cui rottura aprì alle unità sovietiche la strada ·a tergo delle principali forze de1\'8a armata italiana. Le grandi unità italiane, e quelle tedesche con loro operanti, iniziarono a ripiegare verso sud e sud-est~(159) Ibidem, p. 383. ( 160) Ibidem, da p. 387 a p. 400. (161) Ibidem, p. 400. (162) Ibidem, <la p. 400 a p. 406 e documenti n. 107 e n. 108. (163) Ibidem, p . 404. (164) Ibidem , p. 405 e documento n. 108. (165) Ibidem, documento n. 107. (166) Ibidem, da p. 406 a 416. (167) Ibi<lem, <la p. 414 a p. 421 e documenti n . 110, lll , 112, 113, 114, 115 e 116
(168) Ibidem, documenti n . 112 e 11 3. ( 169) Ibidem, da p. 421 a p. 433 e documenti n. 117 e 118. (170) Ibidem, documento n. 117. (171) Ibidem, <locumenlo n. 119. (172) Ibidem, da p. 433 a p. 450 e documenti n. 119 e 120. {1 73) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op_ cit., pp_ 368-369. (174) Le operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. cit., p. 433. (175) Ibidem, pp. 463-464. (176) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 368.
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(177) L e operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. cit., p. 460. (178) Ibidem, p. 505. (179) Ibidem , p. 464 e p. 465 e da p. 487 a p. 492. (180 ) Ministero della Difesa. Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, L'8• armata italiana nella seconda battaglia difensiva del Don. Tip. Regionale, Roma, 1946. (181) Le operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. cit., p. 515.
(182) Con il 31 gennaio il comando dell'8" armata italiana, cedendo la responsabilità del seuore al gruppo Lanz tedesco, concluse ogni attività operativa. Alla fine di gennaio, 1'8~ armata venne a trovarsi così articolata: - blocco nord: resti del corpo d'armata alpino (essenzialmente Tridentina, unità d'intendenza e unità del corpo d'armata alpino): 16 000 uomini e 2 500 quadrupedi; - blocco centrale: resti delJa Cosseria, del raggruppamento a cavallo, complementi alpini, unità d'intendenza: 9 000 uomini, 2 500 quadrupedi, 130 autospeciali; - blocco sud: resti delle divisioni Sforzesca, Ravenna, Pasubio, Torino, 3° Celere, parte della Cosseria, truppe e servizi dei corpi d'armata II e XXXV, unità d'intendenza: 65 000 uomini, 300 quadrupedi, 1 500 automezzi, frazionato in ampia zona dal bacino minerario del Donez a Dniepropetrovsk. Entro il 27 marw il ricostituito II corpo d'armata, di previsto reimpiego sulla fronte russa, risultava cosl. composto: comando, truppe e servizi di corpo d'armata (11 980 uomini), divisione Ravenna (10 000 uomini), divisione Cosseria (9 470 uomini), intendenza (9 060 uomini). Il Comando Supremo italiano, previ accordi con l'O.K.W. determinò, successivamente, che anche il ricostituito II corpo rientrasse in Italia (veds. documento n. 126 allegato al volume Le operazioni delle unità italiane al fronte russo. Op. cit.).
CAPITOLO XXXIX
LE OPERAZIONI ITALO-TEDESCHE (PARTE QUINTA)
1. Il piano d'invasione della Sicilia degli anglo-americani. 2. Il piano di difesa italiano. 3. Il grado di efficienza delle forze italiane e tede1che. 4. Le operazioni la notte ed il giorno dello sbarco. 5. I contrattacchi italiani e tedeschi del giorno 11. 6. La manovra di ritardo e di contenimento dell'avanzata anglo-americana dal 12 al 16 luglio. 7. L'azione di ritardo e di contenimento dal 16 al 22 luglio e la manovra del Xli corpo d'armata. 8. La resistenza dal 22 al 27 luglio. 9. La manovra in ritirata. 10. Lo sgombero dell'isola.
1. La decisione di fare rientro in Europa attraverso la Sicilia fu adottata dal presidente degli Stati Uniti Roosevelt e dal premier britannico Churchill nella conferenza di Casablanca del 14-25 gennaio 1943. Nel periodo precedente la conferenza, non poche erano state le discussioni e le divergenze politiche e strategiche tra gli americani e gli inglesi circa il dove sbarcare, se, cioè, nei Balcani, o nella Francia meridionale, o in Italia e, in quest'ultimo caso, se in Sardegna e in Corsica o in Sicilia, o nella stessa penisola. Esulano dalla economia del presente lavoro l'esame ed il giudizio di tali controversie politico-strategiche, mentre è necessario ricordare che esse vi furono per comprendere e giustificare le molte incertezze e contradditorietà che si riflessero nell'ambito delle potenze dell'Asse in merito alle previsioni della zona di più probabile sbarco nemico. Gli angloamericani, anche dopo la scelta della Sicilia, fecero di tutto per conservare il segreto del loro intendimento e per stornare altrove l'attenzione e l'interesse degli stati maggiori italiano e tedesco, ricorrendo, tra l'altro, al noto stratagemma di far rinvenire su di una spiaggia della costa spagnola il cadavere di un ufficiale inglese con addosso alcuni incartamenti che lasciavano intendere che gli anglo-americani
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si stavano preparando a sbarcare in Sardegna e in Grecia. Hitler, che da parte sua riteneva probabile lo sbarco più in Sardegna che non in Sicilia in quanto giudicava, non senza ragione, che la Sardegna avrebbe rappresentato un facile gradino per accedere alla Corsica ed una facile pedana di lancio per consentire agli anglo-americani il balzo sulla terraferma francese o italiana, vide confermate dalle carte rinvenute sul cadavere le su~ previsioni, tanto che si affrettò ad inviare la 1" divisione corazzata dalla Francia in Grecia in appoggio all' 11• armata italiana ed alle 3 divisioni di fanteria tedesche che già vi si trovavano e la nuova 90a panzergrenadiere in Sardegna in appoggio alle 4 divisioni italiane ivi dislocate per la difesa dell'isola. La previsione · di Hitler aveva solido fondamento strategico e, del resto, rispondeva all'intendimento del generale Eisenhower e di altri capi anglo-americani, ad eccezione di Churchill, i quali avrebbero preferito invadere la Sardegna.per dominare da qui la maggiore estensionè 'della penisola italiana. Diversa la previsione di Mussolini che, · contra-rfamente alla valutazione · dei ·servizi informativi militari . italiaru che conferivano ancora nel maggio del 1943 priorità all'ipotesi di uno sbarco in Sardegna od in Corsica più che non a quella dell'irruzione in Sicilia, dava invece per certo lo . sbarco in quest'ultima isola come primo obiettivo anglo-americano per il rientro in Europa. Una convinzione che era frutto di un'intuizione personale, non il risultato di una ragionata valutazione strategica, la quale avrebbe dovuto indurlo a mettere in primo piano la Sardegna e la Corsica e, · al ,limite, le coste della penisola per l'importanza decisiva che le prime. offrivano ai fini di una successiva invasione della Provenza e di uno ·stretto controllo aereo-navale dell'Italia, e le seconde ai fini di un assalto diretto al cuore dell'Italia con la quasi certezza di mettere subito fuori causa la seconda delle due potenze dell'Asse. Risultavano chiari ed evidenti a tutti quali avrebbero potuto essere gli obiettivi strategici successivi all'occupazione della Sardegna e della Corsica o alla costituzione di una testa di ponte sul territorio peninsulare italiano, mentre la questione di come sfruttare successivamente l'eventuale conquista della Sicilia era di per sé dubbia, apriva prospettive assai meno vantaggiose e si prestava a profonde divergenze di vedute che mettevano in forse la stessa validità dell'operazione. A che pro sbarcare in Sicilia se successivamente si fosse reso necessario, ai fini di un risultato strategico, sbarcare in Sardegna ed in Corsica? Utilizzare la Sicilia come base di partenza per un attacco alla Calabria, da dove cominciare a risalire l'intero stivale, non sarebbe stata uniimpresa troppo lunga ed antieconomica? Erano le armate anglo-americane
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attrezzate e addestrate alla guerra di montagna quale sarebbe stata quella da combattere nella risalita dell'Italia? Queste ed altre questioni, sulle quali non era stata possibile raggiungere l'identità di vedute,:dovettero essere accantonate ed a conclusione della conferenza di Casablanca venne decisa l'occupazione della Sicilia allo scopo di: rendere più sicura la linea di comunicazione attraverso il Mediterraneo, per evitare il periplo dell'Africa ne1Ie comunicazioni con il Medio Oriente; allentare la pressione tedesca sul fronte russo; intensificare la pressione sull'Italia. Prevalse, in sostanza, l'esigenza di ottenere al più presto l'apertura della rotta del Mediterraneo e venne perciò messo da parte ogni altro progetto più ambizioso, rinviando il da farsi a quando si sarebbero conosciuti i risultati dello sbarco in Sicilia. Churchill non rimase soddisfatto della genericità dell'espressione intensificare la pressione sull'Italia e nella successiva conferenza da lui,propiossa a Washington dal 12 al 25 maggio - conferenza Trident - sostenne l'opportunità di far seguire immediatamente alla conquista della Sicilia l'attacco alla pensiola italiana. Ma a conclusione della conferenza fu solo deciso che il comandante in capo alleato in Africa settentrionale avrebbe ricevuto l'ordine di studiare con urgenza le operazioni di sfruttamento dello sbarco in Sicilia ritenute più idonee per eliminare l'Italia dal conflitto e per impegnare il maggior numero possibile di forze tedesche, mentre quale di dette operazioni dovesse essere successivamente sviluppata sarebbe stato stabilito dallo stato maggiore combinato. Meglio di nulla, ma un po' poco per Churchill, che pensò bene di correre subito, dopo la conferenza Trident, ad Algeri presso il quartier generale del generale Eisenhower, facendosi accompagnare dal generale Marshall (1), capo di stato maggiore generale degli Stati Uniti, per ottenere dallo stato maggiore combinato la decisione che, una volta occupata la Sicilia, le forze anglo-americane avrebbero invaso l'Italia. Sebbene i generali Marshall ed Eisenhower fossero contrari a tutto ciò che avrebbe potuto intralciare e ritardare l'operazione Overlord (sbarco nella Francia del nord), come appunto uno sviluppo troppo ampio dell'operazione Husky (occupazione della Sicilia), Churchill nelle sedute del 29 e del 31 maggio ed in quella del 3 giugno riuscì a convincere il generale Eisenhower ad attaccare direttamente la penisola italiana, una volta conquistata l'intera Sicilia. Il generale Eisenhower, pur lasciato libero di formulare le proposte definitive al momento opportuno, si disse pronto, se l'invasione della Sicilia fosse stata coronata da successo, a passare, neJJo spazio di una settimana o poco più, lo stretto di Messina per costituire una testa
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di ponte nella penisola italiana. Frattanto lo speciale ufficio di pianificazione della Husky, entrato in funzione fin dall'inizio del febbraio del 1943 in Algeri, con sezioni periferiche molto disperse, aveva elaborato la bozza del piano d'invasione della Sicilia, che peraltro continuò per lungo tempo ad andare avanti e indietro tra i generali Eisenhower, Alexander, Montgomery e Patton ed i vari stati maggiori della marina e dell'aeronatuica. Ciò, anche perché i generali Montgomery e Patton, designati a comandare rispettivamente l'8a armata britannica e la 7" armata americana che sarebbero sbarcate in Sicilia, erano troppo occupati nelle ultime operazioni della campagna di Tunisia per dedicare molta e adeguata attenzione alla mossa successiva. Nella sua stesura definitiva, approvata il 13 maggio, a modifica della bozza iniziale dove era stata prevista un'operazione con tre sbarchi - uno nel sud-est, uno nel sud, uno nelle vicinanze di Palermo - il piano considerò due sole zone di sbarco, l'una ravvicinata all'altra, con punti di sbarco più concentrati di quanto previsto nella bozza iniziale, e cioè un attacco semplice e simultaneo dell'88 armata britannica fra Cassibile e la penisola di Pachino e della 78 armata americana tra il golfo di Gela e Licata. L'armata del generale Patton non sarebbe più sbarcata, come previsto in un primo tempo, nell'estremità occidentale, vicino a Palermo, ma nella zona sud-orientale. La rinuncia alla conquista iniziale del porto di Palermo e conseguentemente al possesso della litoranea Messina-Palermo, suggerita dall'insufficienza dei mezzi da sbarco per tre azioni simultanee e dalla preoccupazione dell'eccessiva debolezza delle tre teste di sbarco, impedl agli anglo-americani di tagliare la principale via di ritirata delle forze italiane e tedesche del settore occidentale e consenti a queste una maggiore concentrazione delle riserve ed una più efficace resistenza per bloccare l'avanzata nemica attraverso le regioni montuose centrali. Da come andarono le cose, la rinunzia allo sbarco nell'estremità occidentale della Sicilia risultò per gli anglo-americani un grave errore, perché si tradusse in un notevole allungamento della durata della campagna e perché dette modo a molte forze italo-tedesche di sfuggire all'intrappolamento e di guadagnare il continente con gravissime ripercussioni negative sulle ulteriori mosse degli Alleati (2). D'altra parte fu un errore iniziale scusabile, perché l'eccesso di sicurezza trovava il suo fondamento nel fatto che si trattava della prima operazione anfibia in grande scala contro una costa presidiata da truppe, della cui combattività gli anglo-americani avevano fatto recente esperienza nella campagna di Tunisia tanto da far scrivere al maresciallo Montgomery: « Io avevo visto la fiera resistenza
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che tedeschi e italiani venivano svolgendo in Tunisia e ritenevo che fosse essenziale prepararci ad una forte reazione nemica in Sicilia» (3) . È anche vero che Je forze ed i mezzi dei quali gli anglo-americani disponevano erano tanto numericamente e qualitativamente superiori da consentire loro operazioni più manovrate e più ardite di quelle intraprese in Sicilia, ispirate prevalentemente ai principi di massa e di sicurezza e affatto riguardose nei confronti dei principi della sorpresa e della manovra. Il piano dell'operazione Husky costituiva,
IL PIANO DEFINITIVO ALLEATO PER « HUSKV » (MAGGIO 1943)
peraltro, di per sé una novità assoluta nei teatri operat1v1 europei per il tipo di operazione - contemporaneità di sbarchi dal mare e dal cielo - per l'entità delle forze terrestri navali ed aeree impiegate ed impiegabili, per le caratteristiche dei procedimenti tattici e tecnici e degli adattamenti ordinativi ed organici diversi gli uni e gli altri dai modelli tradizionali e da quelli di recente esperimentazione nel teatro africano, per il co11audo bellico di nuovi numerosi mezzi da sbarco e da trasporto (4). Vale qui la pena di notare che l'attacco anfibio, condotto simultaneamente da 8 divisioni, fu ancora più mas-
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siccio di quello che undici mesi dopo sarebbe stato compiuto in Normandia (5). L'esperienza della precedente operazione Torch aveva un valore indicativo modesto e di scarsa validità specialmente sul piano tattico. Sebbene avesse comportato la risoluzione di una lunga serie di problemi tattici e tecnici difficili e delicati, particolarmente circa il coordinamento delle azioni delle tre forze armate, la cooperazione interforze ed interarmi, la regolarità e l'orario dei movimenti e degli interventi delle varie componenti del complesso di attacco e la logistica dell'intera operazione e malgrado le difficoltà poste all'ultimo momento dalle condizioni metereologiche - impetuosità del vento e ingrossamento del mare nel pomeriggio del giorno 9 luglio proprio mentre i convogli venivano raggruppandosi a est e ovest di Malta, nonché forza del vento e lunghezza delle onde al momento degli sbarchi - la Husky fu così bene concepita, organizzata ed eseguita da meritare anche oggi un posto d'onore nella storia della organizzazione delle imprese anfibie, intese come prodotto della capacità operativa delle componenti terrestre, navale ed aerea. Il piano dell'operazione fu improntato a grande semplicità: azioni preliminari di neutralizzazione delle forze navali ed aeree italo-tedesche; attacco simultaneo dal mare e dal cielo per la costituzione di due grandi teste di sbarco con obiettivo immediato l'occupazione dei porti e degli aeroporti di Siracusa e di Licata; ampliamento e consolidamento delle teste di sbarco per l'ulteriore sviluppo delle operazioni offensive; conquista dei porti di Augusta e di Catania e degli aeroporti della piana; prosecuzione delle operazioni per l'occupazione dell'intera isola. L'organizzazione per l'afflusso, la raccolta ed il raggruppamento dell'imponente massa di forze (6) raggiunse i limiti della perfezione. In 3 giorni gli anglo-americani sbarcarono 150 mila uomini e la cifra complessiva finale fu di circa 478 mila uomini: 250 mila inglesi e 228 mila americani. Oltre che dalla minuta e scrupolosa organizzazione dei convogli navali ed aerei, dalla ripartizione delle forze e dalla loro dosata composizione tattico-ordinativa, il successo derivò dall'assoluta superiorità navale ed aerea che consentì agli anglo-americani di trasferire dai porti di Suez, Alessandria d'Egitto, Haifa, della Tunisia (8a armata britannica) e dai porti di Orano, Algeri e Bisetta (r armata americana) ben 13 75 unità normali oltre 1839 mezzi da sbarco, perdendo solo 4 unità e 2 L.S.T. (Landing Ship Tank) ad opera di sommergibili. Le fasi del raggruppamento delle forze in mare e dell'avvicinamento alla Sicilia furono eseguite e condotte a termine senza seri disturbi da parte delle forze navali ed aeree dell'Asse le quali furono anzi tenute a bada così bene che quasi tutti
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i convogli giunsero a destinazione senza neppure essere stati avvistati (7). Le operazioni di sbarco dal mare furono infastidite, come abbiamo già notato, dalle onde lunghe che ritardarono l'approdo di alcune imbarcazioni ma non scombussolarono l'insieme degli sbarchi, mentre il lancio delle truppe aviotrasportate, che precedette gli sbarchi anfibi - operazione condotta da contingenti della l" divisione aviotrasportata inglese e della 82 americana - trovò ostacolo nel vento che accentuò le difficoltà di orientamento sugli obiettivi degli aerei da trasporto e degli alianti. I paracadutisti americani finirono così nel trovarsi dispersi in piccole pattuglie su di un'area larga 80 Km, né molto migliore fu la sorte delle truppe inglesi trasportate a bordo di alianti (tra l'altro, ben 47 dei 134 alianti precipitarono in mare) (8). Lo svolgimento della conquista dell'isola fu, nell'insieme, aderente agli intendimenti iniziali , ma comportò una durata ed un impegno maggiori di quelli preventivati. La lotta durò 40 giorni dal 9 luglio al 17 agosto - e costò agli anglo-americani circa 22 800 uomini, dei quali 5 532 morti, 2 869 dispersi e 14 410 foriti. Non si trattò di un prezzo molto elevato in rapporto ai grandi risultati politici e strategici della campagna, una campagna che provocò la caduta di Mussolini e la capitolazione dell'Italia (9), ma la vittoria anglo-americana avrebbe potuto essere molto più rapida e schiacciante qualora i comandanti anglo-americani, in testa i generali Eisenhower ed Alexander, avessero saputo trarre l'operazione dalle secche del rigido schematismo iniziale e dell'eccesso di prudenza, utilizzando in pieno il formidabile strumento disponibile e sfruttando le occasioni che si presentarono per conferire alla manovra l'elasticità di cui fu del tutto priva. L'assenza di elasticità nella condotta dell'operazione e 1a insufficienza di immaginazione strategica dei capi anglo-americani consentirono alle forze dell'Asse di evacuare l'isola, sottraendo alla catura che veniva data per certa, 75 mila uomini, 42 pezzi di artiglieria e circa 500 automezzi di parte italiana e 40 mila uomini , 94 pezzi di artiglieria e circa 10 mila automezzi di parte tedesca, nonché circa 20 mila tonnellate di materiali vari. Il tutto traghettato in soli 6 giorni e 7 notti. 8
2. La dottrina tattica ufficiale de1lo stato maggiore dell'esercito italiano non aveva mai dato grande risalto alle operazioni anfibie e di aviosbarco offensive, mentre per la difesa delle coste e del territorio
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dalle irruzioni dal mare e dal cielo erano state adottate alcune misure di sicurezza. Il 10 giugno del 1940 l'esercito non disponeva né di truppe anfibie, o comunque addestrate ed attrezzate per compiere sbarchi dal mare, né di aviotruppe - unità paracadutisti e unità aerotrasportabili - ordinate, armate, equipaggiate e addestrate per essere impiegate in azioni di aviosbarco. Fu solo durante ]a guerra che, sulla base di quanto avevano fatto e venivano facendo gli altri eserciti, si dette inizio alla costituzione di grandi unità paracadutiste e aviotrasportabili e si dette il via, in vista della progettata azione su Malta, all'addestramento di grandi unità nelle operazioni di sbarco contro coste presidiate da forze nemiche. Del pari quasi nessuno spazio dottrinale e ordinativo era stato concesso al problema della difesa delle coste nonostante che queste, isole comprese (Libia, Dodecanneso e Africa orientale esclusi), avessero uno sviluppo di oltre 7 500 Km. La questione della difesa costiera venne affrontata in pieno dallo stato maggiore dell'esercito solo nell'autunno del 1941 mediante la formulazione di un programma di organizzazione riguardante inizialmente la Sardegna, la Sicilia, la Calabria e la penisola salentina, esteso successivamente alle coste tirreniche, alla Provenza ed alla Corsica. Prima di allora la difesa era limitata allo schieramento di batterie contronave per la difesa dei porti ed all'impiego di unità territoriali per la vigilanza contro le azioni di commandos. Le direttive che il generale Roatta, in quel periodo capo di stato maggiore dell'esercito, emanò appunto nell'autunno del 1941 s'ispirarono ad una visione moderna e progredita delle operazioni di attacco anfibio alle quali i nuovi mezzi da sbarco conferivano - congiuntamente al progresso quantitativo e qualitativo dei mezzi navali ed aerei di trasporto, di appoggio e di sostegno - amplissima scelta delle zone di applicazione degli sforzi, grande rapidità di esecuzione e continuità di progressione dal mare sulla terraferma in ragione della caratteristica anfibia di alcuni mezzi blindati in grado di navigare e uscire dall'acqua, di muoversi senza soluzione di continuità su terreno vario e di procedere rapidamente dalla spiaggia verso l'entroterra. Di fronte ad un'operazione offensiva anfibia su grande scala utilizzante tali mezzi, la difesa, povera di forze per definizione, non avrebbe potuto garantire l'inviolabilità delle coste neppure se avesse avuto i mezzi, i materiali ed il tempo necessari per costruire valli fortificati continui, solidi e profondi. Lo stato maggiore dell'esercito, dato per scon tato che sarebbe stato pressoché impossibile impedire lo sbarco sui numerosi ed ampi tratti di costa delle isole maggiori e dell'Italia meridionale (Calabria, Puglia, Campania), impostò la difesa dagli sbarchi
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dal mare sull'impiego congiunto di opere fortificate e di riserve mobili. La prima linea, opere fortificate permanentemente presidiate e insistenti direttamente sulla spiaggia, avrebbe avuto compiti di vigilanza, di sicurezza e di prima resistenza; una linea di sbarramento o di contenimento arretrata, presidiata a priori o<l a ragion veduta, avrebbe dovuto garantire il guadagno di tempo necessario all'intervento delle riserve; riserve mobili arretrate, dislocate in misura di poter intervenire nelle zone di sbarco scelte dal nemico, avrebbero dovuto sopraffare il nemico o rigettarlo in mare prima che questi potesse consolidarsi od approfondite notevolmente la penetrazione. Una concezione difensiva che conserva la sua sostanziale validità anche oggi per il caso di guerra con le sole armi convenzionali, ma che giunse con incolmabile ritardo e che non poté essere concretamente predisposta ed attuata non tanto per la scarsezza del tempo disponibile - un anno e mezzo avrebbe consentito di fare molto quanto per l'insufficienza di cemento, di filo spinato, di mine, di mezzi di trasmissione, nonché per la mancanza di cupole corazzate
alle quali lo stato maggiore dovette subito rinunziare. Vi fo, inoltre, l'indisponibilità assoluta di unità corazzate e motorizzate, naturalmente appoggiate da forze aeree, che avrebbero dovuto essere l'elemento fondamentale, decisivo e risolutivo, sul quale poggiare l'intera concezione difensiva. Non mancò l'idea di come difendere la Sicilia, ma fecero difetto i mezzi per dare concretezza all'idea. Anzi va dato atto in questo caso allo stato maggiore dell'esercito di avere previsto ed anticipato una concezione tattica più rispondente ed avanzata di quella tedesca che attribuiva alla fortificazione permanente ·una funzione di arresto - di vero e proprio impedimento dello sbarco che il vallo atlantico però non sarà in grado di adempiere in Normandia. Le stesse modalità con le quali gli anglo-americani effettuarono lo sbarco il 9 luglio erano state chiaramente e minutamente previste fin dal 1O marzo dal generale Roatta, in quel periodo comandante della 6" armata (schierata a difesa della Sicilia), che le aveva illustrate con il promemoira 3 S allo stato maggiore dell'esercito (1 O). Nel promemoria venivano rinnovate altresì le richieste, già inoltrate nel gennaio dal generale Ezio Rosi (11), di mezzi per la difesa contraerei e contronave, di creazione di un'organizzazione fornita di larghi mezzi e di personale tecnico per la costruzione delle opere arretrate di sbarramento appena iniziate in quel periodo, di truppe di copertura per il presidio completo delle opere avanzate e di quelle ancora da costruire (assegnazione di pezzi controcarro, di rincalzi e riserve in proprio per le divisioni costiere; trasformazione
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a traino meccanico dei gruppi Skoda da 11 O/ 22 delle divisioni costiere; ecc.) e di truppe mobili (minimo una divisione corazzata e un quantitativo equivalente di gruppi tattici corazzati). Tale organizzazione avrebbe dovuto fare capo ad un comando unico totalitariamente responsabile della difesa. Prima il generale Rosi, che il 1° febbraio 1943 aveva lasciato il comando della 6" armata per assumere la carica di capo di stato maggiore dell'esercito, e successivamente il generale Roatta, che il 18 maggio aveva subìto la stessa sorte, trovarono sul nuovo tavolo di lavoro i loro rispettivi promemoria rimasti quasi inevasi, senza che né l'uno né l'altro potessero fare granché per soddisfare da capo di stato maggiore dell'esercito quanto eta parso indispensabile da comandante della 6 armata. Le forze disponibili in sito per la difesa dell'isola il 9 luglio 194 3, poste alle dipendenze del Comando Forze Armate della Sicilia (6d armata), a sua volta dipendente dal Comando Gruppo Armate Sud e, tramite questo, dallo Stato Maggiore dell'Esercito, comprendevano unità italiane dell'esercito, della marina e dell'aeronautica e le unità tedesche di terra dislocate nell'isola (12) (il II corpo aereo tedesco, II C.A.T., non era alle dipendenze del comando delle forze armate della Sicilia). Le forze dell'esercito erano raggruppate in due corpi d'armata (XII e XVI) aventi rispettivamente giurisdizione sul territorio ad ovest di una linea che tagliava l'isola in direzione nord-sud, da est di Cefalù ad est di Licata, e comprendenti tre divisioni di fanteria (Aosta, Assietta, Napoli), 5 divisioni costiere (202\ 206", 207", 208", 21Y), 2 brigate costiere autonome (XVIII e XIX), oltre le unità di corpo d'armata e le unità varie di rinforzo. Il complesso di forze a diretta disposizione del comando della 6" armata comprendeva la divisione Livorno, un battaglione arditi, un raggruppamento (X) semoventi da 90 / 5 3 su 3 gruppi di 2 batterie (24 semoventi in totale), un gruppo autonomo di artiglieria da 90/53 su 2 batterie (8 pezzi) ed una batteria da 75/27 a traino meccanico. Le forze germaniche erano costituite dalla divisione Sizilien, nell'isola dalla fine di maggio ( 13), dalla divisione Goering, in Sicilia dalla fine di giuno-primi luglio (14), e da unità contraerei (33 batterie da 88 mm e un numero vario di batterie da 20 mm) concentrate a difesa degli aeroporti (Catania, Gerbini, Comiso, Castelvetrano, Milo, Boccadifalco) di cui usufruivano anche le forze del II C.A.T. La difesa contraerei del territorio (D.I.C.A.T.) era affidata a 224 batterie (48 dell'esercito, 57 della marina, 119 della milizia artiglieria contraerei e della milizia marittima) . Le piazze militari marittime di MessinaReggio Calabria, Augusta-Siracusa e Trapani dipendenti dal Comando 8
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militare autonomo della marina di Sicilia (15) erano considerate per l'impiego alle dipendenze dirette del comando forze armate della Sicilia. Il Comando Aeronautica della Sicilia aveva alle dipendenze 15 squadriglie di caccia, 2 di osservazione, una di aerosiluranti e 4 sezioni di ricognizione marittima. A Palermo era, infine, in funzione il Comando di Difesa territorale, che dipendeva dal Ministero della Guerra e che conservava giurisdizione solo sugli enti territoriali (depositi e distretti) in quanto, su proposta del generale Guzzoni, la difesa contraerei territoriale e i magazzini territoriali, già alle dipendenze del comando della difesa territoriale, erano stati passati alle dipendenze rispettivamente del comando artiglieria d'armata e della intendenza dell'armata. La fortificazione permanente era costituita da postazioni in cemento isolate, non a prova di colpi dei medi e grossi calibri, disposte lungo le coste ed in numero superiore alle possibilità di presidio e di armamenti, perché costruite non in relazione alle forze esistenti, ma a quelle che avrebbero dovuto esservi in caso del profilarsi di una minaccia. Le circostanze impedirono di attuare il progettato invio di altre forze. Mancavano quasi del tutto le opere progettate per la difesa in profondità delle vie di penetrazione verso l'interno dell'isola, vale a dire non era stata costruita l'ossatura della linea di contenimento. Non esisteva dunque, lungo le cosLe, un complesso di fortificazioni che potesse creare un efficiente ostacolo a truppe che fossero sbarcate direttamente sulla spiaggia con carri armati, sotto la protezione delle artiglierie delle navi ( 16). Dietro la fascia delle postazioni costiere erano stati costituiti posti di sbarramento campali a cavallo delle comunicazioni, ma gran parte di essi erano facilmente aggirabili sicché, in definitiva, il guadagno di tempo necessario all'intervento delle riserve rimaneva affidato quasi esclusivamente alle fanterie ed alle artiglierie delle divisioni e delle brigate costiere, delle piazze marittime e dei comandi di porto. Sebbene tali forze fossero state dosate in relazione alla maggiore o minore possibilità di sbarco offerte dalle varie zone, la necessità di sorvegliare 1 100 chilometri di costa - tale lo sviluppo costiero della Sicilia - per avvertire e contrastare sbarchi di commandos aveva costretto ad assegnare alle unità costiere fronti amplissime: la 206"' divisione costiera, che in relazione all'estensione della fronte (132 Km) aveva la maggiore proporzione di forze (8 battaglioni, compresi 2 in secondo scaglione), aveva una densità di schieramento pari a 36 uomini e meno di 2 fucili mitragliatori per chilometro, a 3,6 mitragliatrici per chilometro, ad 1 mortaio da 81 ogni 4 chilometri e ad 1 batteria (4 pezzi) per ogni 9 chilometri. Alcuni battaglioni costieri tenevano fronti di 45
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chilometri. Le uniche batterie in grado di colpire navi al largo erano quelle delle piazze marittime e de11e difese di porto, mentre le artiglierie delle divisioni e delle brigate costiere erano per un terzo di piccolo calibro, per un terzo di medio calibro relativamente moderne, e per un terzo di cannoni ad affusto rigido (149/35) con gittata massima di 8 chilometri. I pezzi in funzione controcarro, il cui fabbisogno era stato calcolato pari a 1085 unità, erano solo alcune decine ed erano stati schierati quasi tutti nei posti di sbarramento. Tale situazione era ben nota ai comandi anglo-americani prima dello sbarco tanto che il generale Montgomery annotò: « le difese della spiaggia, benché fossero continue, non apparivano robuste. Vi erano brevi fasce di filo spinato, con postazioni di mitragliatrici e poche block houses, ma le forze di artiglieria sulle coste erano trascurabili » ( 17). L'estrema debolezza della copertura affidata alle divisioni e brigate costiere ed ai presidi delle piazze militari marittime e dei porti non era certo compensata dall'entità e dalla qualità delle retrostanti truppe mobili (18). Delle 4 divisioni italiane di fanteria - del tipo binario 1940 - solo la Livorno aveva un aspetto più moderno, in quanto disponeva di artiglieria, genio e servizi motorizzati, contava un battaglione semoventi da 47 /32 controcarro ed un battaglione guastatori, aveva in proprio gli automezzi per autotrasportare 4 dei 6 battaglioni di fanteria {la divisione non aveva la legione di camicie nere). Le altre 3 divisioni - Aosta, Assietta e Napoli - che disponevano della legione camicie nere, non possedevano automezzi per l'autotrasporto della fanteria e, dei complessivi 12 gruppi di artiglieria, solo 3 erano a traino meccanico (uno dell'Aosta e 2 della Napoli), mentre gli altri erano ippotrainati (2 dell'Aosta, 2 della Napoli e 4 dell'Assietta) o someggiati (1 dell'Aosta). Nessuna delle deficienze organiche e di dotazioni riscontrate in Africa settentrionale rispetto alle divisioni inglesi ed americane era stata neppure parzialmente eliminata o corretta. I pezzi di artiglieria erano rimasti 48 rispetto ai 72 della divisione inglese ed ai 100 di que11a americana; continuavano a mancare i cannoni contraerei dei quali le divisioni inglesi ed americane erano largamente dotate (72 pezzi per divisione); la esigua dotazione di cannoni controcarro continuava ad essere costituita dai pezzi da 47 /32 incapaci di perforare le corazze di gran parte dei carri armati nemici; mancavano reparti e mezzi blindati per l'esplorazione e la presa di contatto, disponibili nella misura di un gruppo esplorante in ciascuna divisione inglese ed americana; non era previsto l'impiego in cooperazione con le unità di fanteria di unità carri, mentre le divisioni di fanteria inglesi ed americane erano
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quasi sempre rinforzate da 50-100 carri ciascuna, tratti dalle divisioni e dalle brigate corazzate. Le unità carri armati ed autoblindo italiane erano in tutto 3 battaglioni carri L ed alcuni carri R/35 Renault di preda bellica francese (XII battaglione carri L, CI e CII battaglione carri R/35), 2 compagnie carri 3000 ed una squadriglia autoblindo (con 13 autoblindo). I carri armati italiani, a parte gli inutili L3 e gli anti-diluviani 3000 - che vennero impiegati interrati come postazioni di mitragliatrici o caricati su autocarri - erano in definitiva un centinaio di R/35 (10 t, armati con un cannone da 37) che non potevano competere con i carri inglesi ed americani da 18 e 24 tonnellate. L'unica unità corazzata moderna che potesse tener testa alle forze corazzate avversarie era il 10° raggruppamento semoventi da 90/53 (24 semoventi). I 2 corpi d'armata, oltre alle unità di corpo d'armata organiche - 1 raggruppamento di artiglieria di medio calibro su 5 gruppi a traino meccanico, 1 battaglione mitraglieri, 1 gruppo artiglieria contraerei da 75 CK, 1 battaglione genio - e aUc unità carri armati suddette, disponevano di altre truppe di supporto ( 19) con le quali avevano rinforzato le divisioni e le brigate costiere ed avevano costituito gruppi mobili (3 il XII e 5 il XVI) e gruppi tattici (4 per ciascuno dei 2 corpi d'armata) - i primi motorizzati ed autotrasportati, i secondi autotrasportati o appiedati - per concorrere alla difesa degli aeoroporti (gruppi mobili) e delle coste (gruppi tattici). Alla costituzione di tali gruppi avevano concorso anche reparti delle divisioni italiane. La divisione tedesca Sizilien era simile organicamente ad una divisione di fanteria inglese o americana. Essa constava di 1 gruppo esplorante corazzato, di 3 reggimenti di fanteria su 2 battaglioni, di 1 reggimento mortai su 2 battaglioni, di 3 gruppi di artiglieria e di 65 carri armati, tra i quali 17 Tigre. La sua forza 16 043 uomini - era eguale a quella (16-17 mila uomini) di una divisione inglese. Era tutta autotrasportata in quanto gran parte degli automezzi le erano stati forniti dal comando della 6a armata. Ciascun reggimento di fanteria, rinforzato da carri armati e da un gruppo di artiglieria, costituiva un raggruppamento tattico che si distingueva dal nome del comandante: Ens, Koerner, Fullriede. La divisione Goering, più forte della Sizilien in carri armati (100 anziché 65), era debolissima in fanteria (2 battaglioni in luogo dei 6 della Sizilien). In tutta l'isola la forza delle unità italiane terrestri, costiere e mobili ammontava a circa 170 mila uomini, mentre quella delle 2 divisioni tedesche inizialmente a 20 mila e, al 10 luglio, a 28 mila uomini. In totale meno di 200 mila uomini. La marina disponeva,
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come forze di superficie, di una sola squadriglia di motosiluranti di base a Trapani. L'aeronautica italiana disponeva di 238 apparecchi, dei quali circa un terzo efficiente. La Luftwaffe disponeva in tutto il bacino del Mediterraneo di circa 800 velivoli, dei quali erano efficienti da 500 a 550. Comunque lo si esamini - nel quadro generale dell'intero teatro operativo del Mediterraneo, com'è necessario in particolare per la marina e l'aeronautica, ovvero in quello limitato dello scontro locale aereoterrestre - il rapporto tra le forze angloamericane e quelle italo-tedesche risulta talmente disequilibrato a danno <li queste ultime che la perdita della Sicilia da parte dell'Asse non poteva non essere un risultato scontato a priori. Astrazione fatta dalle immobili unità costiere e dalle difese fisse delle piazze militari marittime, dei porti e degli aeroporti, qualora per ipotesi fosse stato possibile impiegare tutte le truppe mobili italo-tedesche contemporaneamente contro l'intero complesso nemico sbarcato nella fase iniziale della Husky, si sarebbero trovati di fronte 47 battaglioni (38 italiani e 9 tedeschi) italo-tedeschi contro 66 ballaglioni anglo-americani, 265 carri armati (165 tedeschi e 100 italiani, questi scadenti e di limitato rendimento) contro 600 carri anglo-americani, circa 500 pezzi di artiglieria (368 italiani e 130 tedeschi) contro l 800. Nel cielo, ]a superiorità aerea angloamericana era garantita fin dall'inizio da 4 mila aerei da caccia e da bombardamento contro poco meno di un migliaio di velivoli italiani e tedeschi. La marina anglo-americana era la dominatrice assoluta del mare, dal quale la flotta di superficie italiana si era allontanata, rifugiandosi nei porti settentrionali, per il timore di doversi scontrare in condizioni d'inferiorità con quella anglo-americana. A parte la difesa delle piazze e dei porti, la marina era in grado di concorrere alla battaglia per la Sicilia soltanto con poche motosiluranti, pochi sommergibili e 4 treni armati (in totale 12 pezzi da 120/45 e 4 da 76/40).
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Non meno desolante di queUo della Sicilia era nel luglio del 1943 il quadro generale dell'Italia. La Germania aveva ancora una buona capacità difensiva, ma aveva perso del tutto o quasi quella offensiva ; le ferite inferte al suo prestigio ed alla sua forza morale e materiale delle sconfitte di el Alamein, di Stalingrado e di Tunisi erano tuttallora aperte e doloranti; anche nel teatro operativo dd1'Atlantico gli U-Boote - che nel 1942 avevano affondato su tutti
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i mari del globo, congiuntamente ai sommergibili italiani, 1160 navi per un totale di 6 266 000 tonnellate (tenendo conto anche delle altre armi impiegate sui mari dalle forze dell'Asse) - dal mese di marzo del 1943, a causa delle contromisure adottate dagli anglo-americani, non solo non ottenevano più i successi degli anni e dei mesi precedenti, ma spesso uscivano sconfitti dalle battaglie di convoglio subendo perdite pesanti, tanto che alla metà di maggio le perdite erano più che raddoppiate, raggiungendo il 30 per cento dei sommergibili in attività: un tasso di perdite che la Germania non avrebbe potuto sopportare per lungo tempo. L'Asse non solo aveva perso l'iniziativa ed il sopravvento in tutti i teatri operativi, ma anche la speranza di poterli riprendete. Esso pagava così il fio dei due più gravi errori strategici di Hitler e dell'Alto Comando tedesco - la guerra all'Unione Sovietica senza prima aver liquidato la faccenda con la Gran Bretagna e la sottovalutazione dell'importanza del teatro operativo del Mediterraneo - e della sequela di altre colpe commesse nella condotta della guerra. L'Italia scontava, oltre all'impreparazione generale con la quale era entrata in guerra, l'errore della campagna di Grecia, l'accettazione della rinunzia all'operazione contro Malta, l'invio di altre 7 divisioni in Russia, l'inutile sacrificio della 1"' armata in Tunisia. Essa, con il nemico sulla soglia di casa, non aveva più le forze per barricarvisi dentro e per impedì re che il nemico sfondasse la porta. Il meglio delle forze italiane era andato perduto in Africa Settentrionale ed in Russia, mentre delle 64 rimanenti divisioni: 9 esistevano al livello embrionale di comando e di unità ed erano in corso di ricostituzione (ma mancavano delle armi, dei mezzi e dei materiali di dotazione), 3 t etano nei Balcani, 5 in Francia, 2 in Corsica, 4 in Sardegna, 4 in Sicilia, 7 nella peni sola, 2 - divisione alpina Alpi Gaie e divisione corazzata Ariete - erano anch'esse in corso di ricostituzione, ma non sarebbero state impiegabili prima dell'autunno. Delle 15 divisioni binarie disponibili nella penisola e nelle due isole maggiori: 13 erano di fanteria, una di paracadutisti, Nembo, e una autotrasportabile con automezzi propri in organico, Piave. In tale numero non etano comprese le divisioni costiere, le quali però erano costituzionalmente inidonee a compiti diversi da quelli della vigilanza e della debole copertura delle frontiere marittime. Il numero totale delle divisioni disponibili in tutto il territorio della madrepatria eta inferiore a quello delle 17 divisioni - 10 di fanteria di cui 3 in riserva, 2 corazzate, 2 aviotrasportate , 3 raggruppamenti di forze varie ciascuno assimilabile ad una divisione - inquadrate nel XV gruppo d 'armate del generale Alexander, a prescin-
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dere dalle altre 10 divisioni anglo-americane disponibili nel teatro operativo del Mediterraneo e non inglobate né nell'8a armata britannica né nella 7a americana. Ciò senza tenete conto della diversità della costituzione organica delle divisioni inglesi ed americane rispetto a quelle italiane ed anche a quelle tedesche che possedevano una capacità operativa inferiore di almeno un terzo rispetto a quelle nemiche. Quando, subito dopo la perdita della Tunisia, la minaccia al territorio italiano divenne certa ed imminente, il Comando Supremo tentò di ottenere il ritiro di un certo numero di divisioni dai Balcani per rinforzare la difesa diretta dell'Italia, ma tutte le richieste in tali termini rivolte all'Alto Comando tedesco furono decisamente respinte. Mussolini non appoggiò il Comando Supremo e non obiettò nulla ai dinieghi tedeschi. Qualche mese prima -verso la metà di gennaio Mussolini aveva fatto qualcosa di peggio: aveva rifiutato l'offerta di Hitler di 5 divisioni ed aveva dichiarato di accontentarsi di 3, esprimendo addirittura il desiderio che oltre queste non fossero più inviate altre truppe in Italia. Non fu così; il 25 luglio del 194.3 le forze tedesche in Italia - ad eccezione di quelle dislocate in Sardegna (90a divisione Panzergrenadiere) - costituivano la 10" armata (Oberbefehlshaber Sud) su 2 corpi d'armata (XIV e LXXVI). Esse comprendevano la 15" e la 29a Panzergrenadiere, la corazzata Goering, aliquote della 1" paracadutisti - in corso di trasferimento sul continente - dislocate in Sicilia; la Y Panzegrenadiere in Toscana; la 16a e la 26a corazzate e aliquote della l" paracadutisti in Campania ed in Puglia; forze non indivisionate, dislocate un po' dovunque, ascendenti a più di 100 mila uomini (24 880 dell'esercito, 6 411 della marina, 69 863 dell'aeronautica, 2 881 civili) {20). Dal gennaio al luglio, in particolare dopo la perdita della Tunisia, Mussolini non solo non poté più opporre rifiuti e ritrosie all'aiuto tedesco in Italia, ma nel convegno con Hitler a Feltre, il 19 luglio, fu costretto a chiedere l'invio di altre grandi unità in vista di probabili nuovi sbarchi anglo-americani, ricevendo però da parte tedesca un deciso rifiuto per assoluta indisponibilità di forze. Sette giorni dopo, caduto il governo Mussolini, cominciarono ad affluire in Italia dalla Francia e dalla Germania più di 8 divisioni tedesche (44", 65", 76\ 94" e 30Y divisione di fanteria; 2a divisione paracadutisti; 24" e SS Hitler divisioni corazzate; CXXXVI brigata da montagna). Ancora nel gennaio Mussolini non aveva voluto persuadersi di avere perso la guerra e continuava a sognare, nonostante l'evidenza della spaventosa situazione militare, di poter difendere l'Italia con le forze italiane tentando di nascondere al popolo italiano ed al mondo intero il grado
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di dipendenza dall'aiuto tedesco necessario persino per salvaguardare l'integrità territoriale del Paese. Ma c'era anche un'altra ragione: non gli sorrideva affatto l'idea che i tedeschi acquistassero in Italia una posizione dominante. Ansioso com'era di tenere lontano gli Alleati, egli era quasi altrettanto ansioso di tenere lontani i tedeschi (21). I generali Ambrosia e Roatta lo convinsero nella primavera circa l'indispensabilità di altre forze tedesche per difendere con una qualche probabilità di successo, altrimenti inesistente, le isole e la penisola, e Mussolini dové fare buon viso a cattiva sorte limitandosi a pretendere che le nuove unità tedesche da impiegare in Italia rimanessero subordinate al comando ed al controllo dei corpi d'armata italiani. Frattanto Hitler aveva cambiato parere ed eta diventato molto dubbioso sull'opportunità di inviare altre forze in fondo alla penisola e nelle isole italiane dove avrebbero corso il rischio di restare intrappolate nel caso che l'Italia, deposto Mussolini, avesse deciso di abbandonare la lotta. Da qui l'esiguità delle forze tedesche al momento dello sbarco anglo-americano in Sicilia - dove, oltre tutto, Hitler non se lo aspettava - e la costituzione improvvisata delle divisioni Sizilien e Goering mediante l'utilizzazione delle truppe e dei mezzi colti dalla resa in Tunisia mentre transitavano per l'Italia. Mussolini, il Comando Supremo italiano ed il maresciallo Kesselring non furono sorpresi dallo sbarco anglo-americano in Sicilia, mentre lo furono Hitler e l'O.K.W. i quali, anche se da quel momento l'avessero voluto, non avrebbero potuto fare di più di quanto fecero per la difesa dell'isola, essendo venuti a trovarsi nella materiale impossibilità di trasferirvi in tempo e con il margine di sicurezza necessario le 2 divisioni corazzate - 16a e 26a, dislocate su ampi spazi in Campania ed in Puglia - le uniche esistenti in Italia nel quadro complessivo delle disponibilità di forze corazzate dell'Asse. Degli altri fattori che determinano la capacità operativa, al di là di quello del numero e della qualità delle forze, l'impostazione e l'organizzazione della difesa della Sicilia non solo erano state definite con grave ritardo, vale a dire in maniera compiuta solo nel febbraio del 1943, ma avevano dovuto essere modificate durante il mese di giugno, essendo venute meno le condizioni essenziali sulle quali il generale Roatta - al quale era toccato in sorte di assumere il comando della 6a armata allorquando la situazione del teatro operativo del Mediterraneo appariva oramai compromessa dovendosi dare per scontata per l'Asse l'imminente perdita di tutta l'Africa settentrionale - aveva basato il suo piano di difesa: intervento massivo di ingenti forze aeree contro i convogli nemici e le forze sbar-
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cate; afflusso dal continente, battaglia durante, di altre grandi unità, specialmente corazzate, da ]andare nella controffensiva diretta a ributtare a mare il nemico. Il piano del generale Roatta era chiaro e realistico: le forze di copertura, non in grado d'impedire o di arrestare lo sbarco, lo avrebbero segnalato e avrebbero ritardato in qualche modo la progressione delle forze sbarcate verso l'entroterra; le forze mobili avrebbero ritardato ulteriormente con contrattacchi e con azioni temporeggianti l'avanzata nemica contro la quale si sarebbero impegnate anche Je divisioni accorrenti dal continente; sui risultati di tale manovra avrebbe inciso in misura determinante, sin da prima dello sbarco e durante l'intera battaglia, il maggiore o minore apporto delle forze aeree che - stante l'impossibilità, a detta dell'ammiraglio Arturo Riccardi, capo di stato maggiore della marina, dell'intervento della flotta di superficie, pena la sua totale distruzione non solo avrebbero dovuto contrastare al nemico il dominio del cielo, ma anche colpirne le basi di sostegno in mare. In una riunione dei capi militari italiani tenutasi presso il Comando Supremo il 2 maggio, il generale Rino Corso Fougier, capo di stato maggiore dell'aeronautica, assicurò che le forze aeree avrebbero avuto la possibilità di contrastare efficacemente lo sbarco (22). Scrissè al riguardo il generale Faldella: « Questa affermazione, fatta dopo che il generale Roatta avèva premesso che le truppe costiere avrebbero potuto ostacolare Jo sbarco soltanto se le forze aeree contrapposte fossero state equivalenti, assumeva particolare importanza. I presenti dovettero considerare molto confortante l'esposizione del generale Fougier, se il generale Ambrosia commentò: Contiamo molto sul concorso dell'Aeronautica. II generale Roatta non si lasciò illudere e richiamò alla realtà, dichiarando: contro un'azione di sbarco in grande possiamo fare una onorevole resistenza, ma non abbiamo la possibilità di ricacciare l'avversario. I fatti dimostrarono che il generale Fougier era stato eccessivamente ottimista (23). In realtà non fu so]o ottimista, ma molto imprevidente, superficiale, sbrigativo e poco aderente alla realtà del momento, la quale escludeva fin d'allora la disponibilità di velivoli italiani e tedeschi numericamente sufficienti a contrastare l'aeronautica anglo-americana. Allorché, il 30 maggio, il generale Guzzoni sostituì il generale Roatta nel comando della 63 armata e delle forze armate italo-tedesche in Sicilia, la situazione dell'isola era notevolmente peggiorata da quella dei primi del mese e veniva facendosi sempre più drammatica per l'intensificarsi dei bombardamenti nemici sugli aeroporti e sulJe installazioni ferroviarie. Nell'ultima decade di maggio gli anglo-americani interruppero le linee ferroviarie della
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Calabria, affondarono tre navi traghetto, ne danneggiarono altre due e distrussero un numero notevole di aerei al suolo. Il generale Guzzoni, nella giusta previsione che l'apporto aereo alla battaglia per l'isola si sarebbe ridotto a poca cosa e nella previsione, altrettanto fondata, che ben poco sarebbe potuto arrivare ancora dal continente in fatto di rinforzi e di rifornimenti, partì dall'idea di dover difendere la Sicilia contando solo su quanto era già disponibile nell'isola e su quel poco che vi sarebbe potuto giungere dal continente prima dell'inizio dello sbarco nemico. In aderenza a tale idea accentuò i1 compito di resistenza ad oltranza delle truppe di copertura e, fermo lasciando il criterio della reazione immediata ed in avanti dei rincalzi e delle riserve di copertura, stabilì che le divisioni e le unità minori destinate alla manovra nell'ambito dei corpi d'armata agissero offensivamente con lo scopo preciso di ricacciare in mare il nemico sbarcato e annientare forze importanti aviosbarcate, mentre contro forze minori avrebbero agito i gruppi mobili ed i nuclei antiparacadutisti con azione mobile, risoluta, violenta, ricorrendo soltanto in casi eccezionali al1a sottrazione di qualche elemento organico all'azione di manovra per destinarlo a presidiare posizioni rafforzate di sbarramento. Le riserve di armata avrebbero avuto un compito decisamente offensivo e di manovra ed avrebbero agito o assegnate ai comandi di corpo d'armata o alle dirette dipendenze del comando dell'armata (24) . L'impiego e la dislocazione delle riserve tedesche di armata furono oggetto di lunghe discussioni tra il generale Guzzoni ed il maresciallo Kesselring e nell'ambito degli stessi comandi tedeschi. Circa l'impiego dinamico con carattere controffensivo e l'esclusione di atteggiamento e schieramento difensivi arretrati vi fu sempre piena concordanza; le divergenze riguardarono soprattutto i momenti d'intervento e la ripartizione delle forze a sud-est, al centro e ad ovest. Il maresciallo Kesselring, nella previsione che sarebbe stato quasi impossibile far muovere le riserve di giorno lungo le bene individuabili strade della Sicilia a causa della preponderanza aerea nemica, era orientato verso schieramenti avanzati ed interventi immediati in modo da battere il nemico prima del congiungimento delle teste di sbarco, che i tedeschi ritenevano, senza fondamento, sarebbero state relativamente ristrette e lontane fra loro, e prima che queste si rafforzassero. Comandi italiani e tedeschi concordavano sulla previsione che la zona Gela-Catania sarebbe stata probabilmente l'obiettivo dell'azione principale nemica, ma mentre i comandi tedeschi ne deducevano l'opportunità di tenere le riserve il più vicino possibile a tale zona per attaccare subito le forze del primo sbarco, anche prima che la situazione fosse
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chiarita, e poi rivolgersi contro l'altra testa di sbarco, in base al pregiudizio di due teste di sbarco poco estese e distanti l'una dall'altra, i comandi italiani tendevano a garantirsi anche da altre eventualità e, pur preoccupandosi di avere la maggior parte delle forze in condizioni d'intervenire tempestivamente nel settore sud-orientale dell'isola, intendevano conciliare tale esigenza con quelle di evitare l'impiego prematuro delle forze e non scartavano a priori l'intervento verso la costa occidentale, dove non solo non era da escludere, ma molti indizi rendevano probabile, uno sbarco. La preoccupazione per la costa occidentale era, d'altra patte, condivisa anche dal maresciallo Kesselring. In una riunione tenutasi il 26 giugno, durante la quale il maresciallo Kesselring rappresentò la necessità di dislocare i carri Tigre in prossimità della probabile zona d'impiego perché per trasferimenti superiori ai 50 Km essi esigevano il trasporto in ferrovia e manifestò ancora una volta la sua preoccupazione per uno sbarco in occidente sottolineando la debolezza in fanteria della Goering, che doveva ancora arrivare, il generale Guzzoni decise di dislocare, una volta giunta, 1a Goering riunita nel sud-est alle dipendenze del XVI corpo d'armata, la Sizilien con il gruppo Koerner ad ovest di Catania cd il gruppo Ens nella regione occidentale dell'isola, e di costituire il grosso della riserva, completamentee motorizzato, con la Livorno arretrata a sud di Caltanissetta, con il gruppo Fullriede rinforzato dislocato fra Caltanissetta e San Cataldo e con 2 gruppi semoventi da 90/53 del 10° raggruppamento. Il grosso, perciò, fu messo in grado d'intervenire prontamente sia verso Catania-Gela sia verso Licata-Agrigento-Porto Empedocle. Il maresciallo Kesselring accettò la decisione del generale Guzzoni, ma propose di portare a 50 i carri del gruppo Ens, d'inviare in occidente anche il gruppo Fullriede e di costituire un altro gruppo, Neapel, da dislocare a San Cataldo, utilizzando 2 battaglioni di fanteria in arrivo dal continente, il reggimento mortai ed il gruppo esplorante della Sizilien. Informò, inoltre, che avrebbe fatto giungere altri 2 battaglioni di fanteria dal continente per rinforzare la Goering. Il generale Guzzoni accettò le varianti proposte dal maresciallo Kesselring, ma dispose che il gruppo F ullriede rimanesse a San Cataldo finché non fosse stato completato il concentramento della Goering e non si fosse costituito il gruppo Neapel. Fu questa la dislocazione nella quale le forze mobili vennero a trovarsi il giorno dello sbarco anglo-americano, con ancora a San Cataldo il gruppo Fullriede in quanto la Goering portò a compimento la sua dislocazione solo il giorno 9 luglio. Il piano del generale Guzzoni per la difesa della Sicilia, basato su previsioni realistiche dell'azione
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nemica e su valutazioni altrettanto esatte circa la situazione operativa particolare dello scacchiere in quel determinato momento, escludeva la possibilità d'impedire lo sbarco, articolava con equilibrata misura le azioni di forza per tentare di ributtare a mare il nemico sbarcato senza scoprire il fianco destro dello schieramento, non trascurava, senza rendere esplicito il riferimento, l'eventualità, per il caso d'insuccesso della controffensiva, di un'estrema resistenza ad oltranza fine a se stessa o propiziatrice dell'arrivo di nuove fot'.te. Il generale Guzzoni superò per capacità immaginativa ed operativa, strategica e tattica, il maresciallo Kesselring, in quanto non solo intuì esattamente dove gli anglo-americani avrebbero preso terra, ma senza lasciarsi dominare dall'ottimismo del maresciallo Kesselring - che avrebbe voluto compiere uno sforzo immediato per respingere l'invasione a sud-est ed al tempo stesso schierare una divisione tedesca nella Sicilia occidentale dove egli si attendeva che gli anglo-americani sarebbero sbarcati - stabilì di adottare una difesa in profondità che, a suo giudizio, sarebbe stato il modo migliore per respingere o, quanto meno, contenere ed arrestare l'invasione. Nessuna critica valida e fondata può, in sostanza, essere mossa al piano di difesa elaborato dal comando della 6n armata che predispose l'impiego delle for.te disponibili - in verità più che esigue e in condizioni di assoluta inferiorità suJla terraferma, in mare e nel cielo - secondo uno schema il più razionale ed il più appropriato possibile sotto il profilo strategico e tecnico-militare. II grado di addestramento delle unità italiane - ad eccezione di quello della Livorno molto elevato - era genericamente modesto e spesso addirittura insufficiente. Ciò dipendeva da vari fattori , anche di carattere ambientale (impegno nei lavori di rafforzamento, sparpagliamento delle unità costiere, deficienza di munizioni e di carburanti, risparmio negli equipaggiamenti, ecc.), ma soprattutto dalla peggiore e più esiziale delle inveterate abitudini dell'esercito italiano: concedere all'addestramento al combattimento i mezzi ed il tempo che avanzano dalle altre esigenze, avendo inoltre cura di salvare più l'aspetto formale che non quello sostanziale dell'attività addestrativa, la quale invece è istruzione tecnica e formazione morale e non ammette limiti di sviluppo e di pedezionamento. Le unità italiane della Sicilia non avevano alcuna esperienza di guerra - solo una piccola aliquota dei quadri era reduce da altre fronti - vivevano da mesi in una regione rimasta fino ad allora lontana dal vero e proprio ambiente di guerra e non avevano l'idea della complessità e della gravità dei compiti tattici da svolgere nel caso dell'invasione nemica.
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Non erano certo unità agguerrite e non erano neppure tecnicamente preparate sufficientemente alla lotta, nonostante l'interessamento di molti comandanti per migliorarne il livello addestrativo. I comandanti delle unità minori - dal battaglione alla squadra - provenivano nella grandissima maggioranza dal complemento; alcuni avevano partecipato da subalterni alla prima guerra mondiale e la loro preparazione professionale era più o meno rimasta ferma a quella espe-
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rienza; altri avevano prestato solo il servizio di prima nomina o tutt'al più erano stati richiamati in passato per brevi periodi di aggiornamento quasi sempre senza esercitare il comando; altri erano in servizio di prima nomina o l'avevano appena compiuto. L'inquadramento delle unità costiere lasciava a desiderare ancora più di quello delle unità mobili. Addestramento e inquadramento non erano diversi da quelli iniziali delle unità impiegate sulle altre varie fronti, ma ciò costituiva di per sé una deficienza gravissima e colpevole perché stava a dimostrare che non si era ancora capito, dopo 3 anni di guerra,
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a quanti msuccess1 s1 era andati incontro, quanti inutili sacrifici di vite umane erano stati compiuti e quante altre perdite di feriti e di prigionieri erano state subite a causa dell'insoddisfacente livello addestrativo dei singoli e delle unità. In Sicilia, inoltre, un alto grado di addestramento sarebbe stato ancora più indispensabile che altrove per elevare il tono morale e disciplinare, condizionati dalle recenti sconfitte italo-tedesche in Africa ed in Russia, dalla convinzione oramai diffusa in tutto il Paese di avere già perso la guerra, dalla particolare difficilissima situazione morale, materiale e di vettovagliamento del1a popolazione civile dell'isola, da cui proveniva il 75 % del personale militare inquadrato nelle divisioni costiere e nelle divisioni di fanteria Aosta e Napoli. La sfiducia di poter impedire uno sbarco nemico, per la manifesta povertà di mezzi, ed il timore di subire gli effetti distruttori delle armi dell'avversario, senza poterli contrastare, contribuiron0 a diffondere ansie e preoccupazioni. Malgrado ogni sforzo per sollevare il morale - e i generali Roatta e Guzzoni si adoperarono in tutti i modi per farlo, eliminando disparità vergognose di trattamento morale ed economico tra i militari delle diverse forze armate, rimuovendo assurdità burocratiche e di giurisdizione, prendendo contatto diretto, o facendolo prendere da ufficiali del comando dell'armata, con le unità operanti per elevarne l'efficienza operativa, migliorarne le condizioni di vita e per facilitarne i compiti si era diffuso un senso di rassegnazione all'inevitabile che si manifestò, anche in ambienti che avrebbero dovuto essere immuni da debolezze, con eccessiva indulgenza nel reprimere mancanze e persino reati (25). Diversamente da quelli che erano stati in Africa settentrionale, anche i rapporti tra soldati italiani e soldati tedeschi non erano improntati a sincero spirito di cameratismo per i troppi casi di prepotenze e di ruberie commessi da soldati tedeschi isolati ai danni della popolazione civile. Gli stati d'animo delle unità delle due parti erano diversi. « Il morale della truppa tedesca era sorretto dalla fiducia nelle proprie armi ... Gli ufficiali giovani erano tutti già provati in guerra, perché reclutati esclusivamente tra sottufficiali e graduati che avevano partecipato ad operazioni... Elementi ottimi erano i giovanissimi comandanti di battaglione - sui 25-30 anni - nominati tali in seguito a prove di capacità fornite in guerra, a prescindere da anzianità e altri titoli. Gli ufficiali superiori e generali davano l'impressione che facessero la guerra con gioia, anche se molti fra essi si rendevano conto dell'abisso verso il quale la Germania stava andando. Frattanto con loro si constatava l'esistenza in ciascuno di un impulso a studiare l'impiego della propria unità, a curare il par-
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ticolare ... Era evidente un diffuso senso della responsabilità ..... Era infine , manifesta l'influenza sulle loro idee di una comune dottrina tattica, assimilata e vivificata dalla iniziativa, tendente alla manovra..... » (26). Un discorso che non si poteva fare per le unità italiane, rimaste legate ai discutibili schemi ordinativi e dottrinali della vigilia della guerra, non voluti o non potuti ripudiare ufficialmente dalle autorità: centrali, limitatesi a lasciare ai comandanti di armata la facoltà di modificarli e di sostituirli con altri sulla base delle esperienze raccolte nei singoli scacchieri dagli scontri con il nemico e dall'esame comparato dei propri procedimenti con quelli utilizzati dall'alleato. Vorganizzazione di comando orizzontale - giurisdizione operativa degli organi di forza armata sulle proprie unità e distinzione di giurisdizione tra unità operanti ed unità territoriali - venne sostituita nella primavera del 194 3, ad opera dei generali Roatta e Guzzoni, con l'attribuzione ad una sola autorità della responsabilità di impiego di tutte le unità italiane operanti nell'isola e di quelle tedesche Lerrestri. L'accentramento dei poteri nel comandante delle forze armate dell'isola, coadiuvato da un alto commissario civile, avvenne solo due mesi prima dello sbarco anglo-americano. Il ritardo con il quale si addivenne alla direzione unitaria della preparazione della difesa dell'isola - dove all'esigenza comune a tutte le operazioni militari dell'azione unitaria e strettamente coordinata delle varie forze armate si sommava quella, non meno indispensabile, della coordinazione delle necessità della popolazione civile, la cui situazione incideva direttamente e pesantemente sull'efficienza morale e materiale delle forze combattenti - fu un errore di dimensioni enormi che incise negativamente sulla stessa durata della resistenza. Esso dipese dalla duplice intenzione di Mussolini di tenere il più possibile lontana la popolazione civile dall'atmosfera della guerra, continuando a darle la sensazione che tutto sarebbe andato per il meglio, nel timore che le difficoltà, le rinunzie, le ristrettezze ed i sacrifici gli alienassero ulteriormente gli animi degli italiani e fomentassero la rivolta, della quale i primi indizi si erano manifestati nei primi mesi dell'anno con l'astensione dal lavoro in alcuni stabilimenti dell'alta Italia, nonché di evitare l'accentramento del potere civile e militare in una unica persona. Dipese altresl sia dal persistere della visione settoriale dei problemi operativi da parte degli stati maggiori delle singole forze armate - in particolare, nel caso specifico, di quello della marina - ognuno poco saggiamente geloso dell'autonomia nell'impiego delle proprie unità e scarsamente dotato di mentalità e di spirito interforze, sia dal fatto clie il comando delle forze armate della Sicilia
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dipendeva dal comando gruppo armate Sud e dallo stato maggiore dell'esercito anziché direttamente dal Comando Supremo. Situazione quest'ultima che naturalmente acuiva le tendenze separatiste ed autonomiste della marina e dell'aeronautica che, non a torto, non intendevano dipendere dallo stato maggiore dell'esercito. L'insufficienza della mentalità e dello spirito interforze trovò la sua convincente ,conferma nelle diatribe, nelle polemiche, nei palleggiamenti di responsabilità e negli scambi di accuse reciproche - che in seguito diedero luogo anche a casi giudiziari - nati fin dal primo momento intorno alla condotta delle operazioni nella piazza militare marittima di Augusta-Siracusa. A prescindere dalle responsabilità personali di qualcuno dei comandanti locali - che certamente vi furono e gravi, ma il cui esame esula dal contesto deJ nostro discorso - , alla base dell'episodio della piazza marittima di Augusta-Siracusa e di altri episodi simili, furono l'inveterata tendenza dello stato maggiore della marina a mantenere sotto la propria giurisdizione operativa le piazze militari marittime, l'insufficienza ed il ritardo del compromesso « generale Roatta - ammiraglio Barone» (comandante del comando militare autonomo della marina in Sicilia) per il quale le piazze militari marittime della Sicilia furono considerate per l'impiego alle dipendenze dirette del comando delle forze armate della Sicilia, lo scarso orientamento mentale dei comandi delle piazze marittime ad accettare tale dipenàenza con tutte le conseguenze di stretta subordinazione alle direttive ed agli ordini del comando interforze, ed il manchevole affiatamento spirituale e funzionale tra i vari organi di comando non acquisibile in tempi brevi e tanto meno improvvisabile all'ultimo momento. Altra difficoltà di non facile superamento nell'esercizio del -comando riguardò l'impiego delle forze terrestri tedesche che, sebbene poste alle dirette dipendenze del comando italiano delle forze armate della Sicilia, avevano la tendenza a sfuggire, come si era verificato del resto in Africa ed in Russia, dalle mani delle autorità italiane ed a fare per conto loro sulla base delle direttive dell'O.K.W., spesso in contrasto con quelle dei comandi italiani, e persino del rappresentante dell'O.K.W. in Italia, maresciallo Kesselring. Il comandante della 6n armata dovette superare gravi difficoltà per esercitare l'azione di comando sulle unità tedesche. Se avesse impartito ordini perentori ai generali tedeschi, senza tener conto delle direttive che ricevevano dai loro superiori, il generale Guzzoni avrebbe suscitato le doglianze del maresciallo Kesselring che certamente Mussolini ed i gerarchi fascisti avrebbero benevolmente ascoltato, avrebbe causato difficoltà anche al Comando Supremo, non avrebbe raggiunto lo
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scopo essenziale e cioè ottenere la massima collaborazione tedesca nei combattimenti. Nella sua azione di comando sulle unità germaniche il generale Guzzoni seguì perciò modalità diverse da quelle normali seguite nei riguardi delle unità italiane, riuscendo in tal modo ad ottenere, nel periodo anteriore al 25 luglio, una collaborazione effettiva ed evitando, nel periodo successivo, nel quale si manifestarono i più gravi contrasti concettuali, una rottura che sarebbe stata esiziale. Non rinunziò tuttavia ai suoi doveri ed ai suoi diritti di comandante, attuando un giuoco di equilibrio assai difficile, mediante il quale riuscì ad evitare risentimenti che avrebbero reso impossibile qualsiasi collaborazione (27). Un giudizio molto esatto ed obiettivo questo del generale Faldella perché un diverso comportamento del generale Guzzoni non solo non sarebbe stato ava11ato, almeno ufficialmente, da Mussolini, ma non avrebbe avuto il sostegno neppure dello stato maggiore dell'esercito a giudicare dall'atteggiamento pilatesco di questo nell'episodio del 21 giugno. Sorta una divergenza di opinioni tra il generale Guzzoni ed i rappresentanti qualificati dei comandi della Sizilien, della Goering e del II C.A.T. in merito al dispositivo delle riserve tedesche, il generale Guzzoni ne informò lo stesso giorno (28) lo stato maggiore dell'esercito chiedendo un intervento chiarificatore; si sentl rispondere, il mattino del giorno 23, che il generale Roatta si asteneva dall'intervenire e lo lasciava arbitro deUa decisione, mentre il generale addetto allo stato maggiore dell'esercito, incaricato della risposta telefonica, soggiungeva di lasciar fare ai tedeschi. La stessa indicazione data a suo tempo dal Comando Supremo al generale Garibaldi. L'astenersi su questioni tanto delicate cd il suggerire di lasciar fare ai tedeschi fu certamente la linea ricorrente di condotta seguita da Mussolini, ma essa trovò spesso la piena adesione degli organi militari centrali inclini a rifiutare le responsabilità dirette, anche quando avrebbero dovuto assumerle d'iniziativa, e tendenzialmente pronti a scaricarle sui comandi subordinati o sui tedeschi. A causa della situazione politico-militare generale delle potenze dell 'Asse, di quella specifica dell'Italia e dello stato particolare di preparazione alla guerra dell'isola, la capacità operativa dell'apparato militare della Sicilia, alla vigilia dell'invasione, era dunque mediocre in senso assoluto e relativo. Ciascuno degli elementi che concorrono a determinarne il grado era di per sé deficitario, quando non anche scadente. Nelle settimane immediatamente precedenti all'invasione, la capacità operativa subì un ulteriore degrado a causa: dell'allontanamento dagli aeroporti dell'isola, e del loro trasferimento su aeroporti
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del continente o della Sardegna, meno bersagliati dal nemico, delle unità dell'aeronautica italiana e tedesca (29); della diminuizione del tonnellaggio trasportato attraverso lo stretto di Messina, sceso alle 1500-2000 t al giorno dopo che l'ultimo traghetto rimasto parzialmente in efficienza era stato colpito il 7 giugno; della improvvisa ed inaspettata resa, per effetto dell'azione aerea e navale, delle isole di Pantelleria (11 giugno) e di Lampedusa (12 giugno), avamposti della difesa della Sicilia, ancorché non posti alle dipendenze del generale Guzzoni. La resa delle due isole per effetto della sola azione di bombardamento - anche se condotta contro Pantelleria da circa un migliaio di aerei - depresse ulteriormente il morale della popolazione siciliana e delle forze militari schierate a difesa dell'isola, rendendo più ardua l'incessante attività del generale Guzzoni intesa a potenziare materialmente e spiritualmente la difesa ed a creare fronte unico forze armate, partito, popolazione in una situazione difensiva inadeguata di fronte offesa avversario, con forze mobili terrestri e capacità reattiva nostra aviazione insufficienti, con spirito popolazione depresso (30). Da qui la richiesta inoltrata dal generale Guzzoni allo stato maggiore dell'esercito per il potenziamento dell'aviazione e l'aumento delle truppe mobili ( una divisione corazzata tedesca ed una divisione motorizzata italiana). Successivamente egli sollecitò l'invio di 3 battaglioni e 7 batterie per il XVI corpo d'armata e di un battaglione e di una batteria per ciascuna delle piazze militari marittime di Messina-Reggio Calabria, Augusta-Siracusa, Trapani. Di tali unità giunsero solo la divisione corazzata tedesca Goering e due gruppi di artiglieria (6 batterie). Le sue insistenze non ebbero, dunque, effetto presso le autorità militari centrali che o non si resero bene conto fino all'ultimo della situazione - ma il generale Roatta la conosceva benissimo - o stimarono prudente e vantaggioso non sacrificare altre energie in un'operazione che esse giudicavano destinata all'insuccesso, o, in previsione della crisi politica oramai imminente, non vollero impegnarsi in nessuna direzione attendendo lo sviluppo degli eventi per trovare il modo di far uscire l'Italia dalla guerra, nell'alternativa o di persuadere Mussolini a farsi interprete di tale esigenza assoluta presso llitler oppure di trovare il modo di mettere fuori causa lo stesso Mussolini. Ciò che da un lato ritardò la soluzione della crisi politica italiana e dall'altro incentivò lo spirito di resistenza delle unità italiane in Sicilfa fu la prospettiva della resa senza condizioni, decretata dal presidente Roosevelt e dal premier Churchill nella conferenza di Casablanca e resa pubblica dal presidente statunitense in una conferenza stampa. Di quali saranno le
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disastrose conseguenze politiche, strategiche e psicologiche di tale decretazione Churchill poté successivamente rendersi conto; Roosevelt non ne ebbe il tempo.
4. Dopo la resa di Pantelleria e di Lampedusa l'aviazione angloamericana polarizzò il suo sforzo contro gli aeroporti siciliani e contro le città di Messina e di Reggio Calabria per assicurarsi l'assoluto dominio del cielo e per interrompere il cordone ombelicale dell'alimentazione in corrispondenza dello stretto. Dal 3 luglio l'offensiva aerea si scatenò con violenti bombardamenti sugli aeroporti occidentali, su quelli orientali, su Reggio e Messina, su Caltanissetta - dove il nemico riteneva fosse il comando dell'armata - su Siracusa, Palazzolo Acreide, Catania e altri centri abitati del sud-est, sconvolgendo piste cd installazioni e distruggendo 220 aerei al suulu. La caccia italiana e tedesca, malgrado la pochezza numerica dei velivoli efficienti, si batté incessantemente con ardore inesausto e valore senza pari, come scrisse il generale Guzzoni in un apposito proclama di riconoscimento e di gratitudine, riuscendo ad abbattere circa 150 velivoli nemici. Vinta la battaglia aerea, nelle prime ore della notte dal 9 al 10 luglio il primo gruppo di brigata da sbarco aereo inglese e paracadutisti dell'82n divisione americana aviotrasportabile presero terra, disperdendosi su vaste zone a causa del forte vento, rispettivamente ad ovest di Siracusa e nell'entroterra di Licata e Gela, mentre commandos inglesi sbarcarono dal mare nel territorio della piazza militare marittima di Siracusa-Augusta. Alle prime luci dell'alba del giorno 10, protette a distanza dalle navi da guerra di superficie, centinaia di navi da trasporto e, fra queste e la costa, centinaia di mezzi anfibi e di battelli da sbarco trasportanti unità di fanteria e carri armati affollarono gli specchi d'acqua antistanti le coste sud-orientali e meridionali dell'isola e consentirono alle avanguardie del1'8a armata britannica e della 7a armata americana di prendere terra e di investire le fronti vigilate, ma scarsamente difese, della 206" e 207" divisione costiera e della XVIH brigata costiera. L'8a armata inglese prese gradualmente terra tra capo Ognina e punta Castellazzo, su di una fronte ampia circa 80 Km, avendo come obiettivi di primo tempo il porto di Siracusa e l'aeroporto di Pachino, come obiettivi di secondo tempo Augusta, Catania e gli aeroporti della piana catanese,
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come obiettivo finale la conquista di Messina. La 7" armata americana prese gradualmente terra tra punta Braccetto - distante circa 50 Km da punta Castellazzo (estrema ala sinistra dell'8a armata britannica) - e Licata, avendo come obiettivi di primo tempo il porto di Licata e gli aeroporti di Gela, Comiso e San Pietro e come compiti successivi la protezione del fianco sinistro dell'8a armata e l'occupazione del centro dell'isola. Le due armate avrebbero dovuto prendere. contatto nella zona di Ragusa. La conquista dell'intera isola avrebbe potuto concludersi, secondo i calcoli ottimistici del generale Eisen.pqwer, in una settimana o poco più; secondo le previsioni del generale Alexander, meno ottimistiche ma anch'esse lontane da quella che sarà la realtà, in dieci o quindici giorni. La lotta durò, invece, trentotto giorni. Le reazioni agli sbarchi - attesi proprio entro la prima decade di luglio e non più tardi del giorno 1O nella considerazione che gli anglo-americani avrebbero scelto per l'avvicinamento alla costa una notte illune - furono immediate a tutti i livelli, in quanto i comandi e le unità italiane e tedesche non subirono nessuna sorpresa né strategica né tattica. È fuori della verità il Liddell Hart quando scrive: gli italiani schierati lungo le coste pensarono che il forte vento e il mare grosso avrebbero garantito loro almeno un'altra notte di tranquillità (31) e lo è altresì l'ammiraglio Cunningham, comandante delle forze marittime anglo-americane, che nel suo rapporto sulle operazioni scrisse: gli italiani, stanchi per le tanti notti trascorse all'erta, ringraziando il cielo se ne andarono a letto dicendo: questa notte comunque non possono venire (33). Il comando delle forze armate della Sicilia fin dal 2 luglio aveva riconosciuto come completata la preparazione dello sbarco, aveva ipotizzato l'effettuazione della operazione entro la prima decade del mese, aveva valutato che le maggiori probabilità erano per uno sbarco in Sicilia, aveva individuato con esattezza non solo le zone più favorevoli all'operazione ma altresì la gravitazione delJo sforzo nemico ed aveva previsto infine la modalità dell'investimento di una fronte vastissima per disorientare la difesa e impedirle di manovrare. Nel tardo pomeriggio del 9 luglio il comando della 6a armata venne informato dal comando dell'aeronautica della Sicilia che poco prima velivoli del Il C.A. T. avevano avvistato convogli nemici in rotta verso capo Passero e la rada di Gela. Venne dato subito l'allarme generale e fu subito inviata una squadriglia di aerosiluranti all'attacco dei convogli. Non appena sbarcati, molti paracadutisti inglesi ed americani vennero catturati; altri riuscirono a creare confusioni locali e ad inter.rompere alcune comu-
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nicazioni fra i comandi, ma non a mettere in crisi l'organizzazione difensiva. Questa, invece, venne sottoposta a dura prova e venne scombussolata dal complesso bombardamento aereo-navale iniziato dal nemico verso le 3,30 di notte su tutta la costa e che precedé, dove di mezz'ora dove di più di un'ora, la presa di terra da parte delle prime ondate di mezzi da sbarco e anfibi. Alle prime luci dell'alba le artiglierie costiere, che avevano il braccio troppo corto per raggiungere le navi nemiche al largo, aprirono il loro fuoco contro i mezzi nemici entrati nel loro raggio d'azione e contro le unità sbarcate. La reazione da parte delle unità costiere investite, malgrado la potenza, la densità e la continuità del fuoco combinato delle artiglierie navali e dell'aviazione nemiche, si sviluppò efficacemente nei limiti delle possibilità tecniche dei materiali contro le forze nemiche in mare e sulla terraferma e cessò quando o la controbatteria nemica mise a tacere i pezzi italiani o quando questi dovettero essere inutilizzati perché in procinto di cadere nelle mani del nemico. Questo, stante la diluizione delle unità costiere, non trovò difficoltà ad avanzare sopraffacendo le rade postazioni di armi automatiche o utilizzando gli ampi intervalli fra i caposaldi. Di questi non pochi, attaccati direttamente, opposero una resistenza tenace, non rassegnata, e combatterono finché non furono sopraffatti dalla preponderanza delle forze e dei mezzi nemici. Nel settore della 206,. divisione costiera (132 Km di fronte): il caposaldo di S. Teresa di Longarini e quello di capo Ognina resistettero per tutta la giornata del 10; quello di Roveto fino alle prime ore del giorno 11; altri vennero travolti nella mattina del 10, ma dopo violenti combattimenti punteggiati di episodi eroici di piccole unità e di singoli ufficiali, sottufficiali, fanti e artiglieri. Nel settore della XVIII brigata costiera (58 Km di fronte) le unità della 45", della 1a e della 3" divisione americana - analogamente alle unità della 5 11, della 50"-, della 5!6 divisione inglese, della CCXXXI brigata Malta e della 1" divisione canadese sbarcate nel settore della 206" costiera - incontrarono, a detta dello stesso ammiraglio Morison, una resistenza non meno tenace tanto che verso le 7 del mattino la situazione divenne così aderente e contrastata che il nemico fu costretto a sospendere temporaneamente gli sbarchi ed a far intervenire un incrociatore e due cacciatorpediniere per far tacere le armi della difesa delle quali molte continuarono ad essere attive fino alle tarde ore della mattinata, alcune fino al pomeriggio, qualcuna fino al 12 luglio. Nel settore della 207a divisione, dove la 3" divisione americana attaccò il CCCXC battaglione costiero schierato su 21 Km di fronte, il nemico incontrò una resistenza tenace,
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particolarmente in corrispondenza di torre di Gaffe, che venne meno solo quando, ridotti al silenzio le batterie costiere ed il treno armato della marina che era a Licata, fanteria e carri armati americani, benché contrattaccati dai battaglioni in secondo scaglione, riuscirono a rendere impossibile ogni ulteriore resistenza dei nuclei di fanti, scaglionati lungo la spiaggia, ed a dilagare sulla strada per Agrigento, mentre alu·e forze sbarcate ad est di Licata attaccarono questa città da est e da nord impadronendosene verso le 11,30 (34). I comandanti delle grandi unità costiere e dei reggimenti impiegarono i gruppi mobili, i gruppi tattici ed i battaglioni in secondo scaglione disponibili - in particolare i gruppi mobili E ed F ed i gruppi tattici di Ispica e di Ravenusa - nonché tutte le unità comunque in riserva divisionale o ricevute dai comandi superiori nelle reazioni di movimento, che ebbero però modesto successo stante la superiorità delle forze e dei mezzi con i quali dovettero scontrarsi. I comandi del XVI e del XII corpo d'armata ed il comando della 6" armata, da parte loro, un paio di ore dopo la mezzanotte del giorno 1O avevano già impartito gli ordini necessari per i contrattacchi delle loro riserve e per i rinforzi ai settori più minacciati. Il comando del XVI corpo d'armata alle 2,50 ordinò: alla Goering di contrattaccare con un reggimento in direzione di Senia Ferrata; al gruppo mobile E di passare alle dipendenze della XVIII brigata costiera e di avanzare verso l'aeroporto di Gela; al gruppo mobile H di trasferirsi e di orientarsi ad intervenire a favore dell'aeroporto di San Pietro; al 33° fanteria della Livorno di autotrasportare un battaglione, seguito da un gruppo di artiglieria, sul rovescio del monte S. Nicola per contrattaccare in direzione di monte Lungo; al CIX gruppo da 149/13 di prendere posizione a passo Piazza. Successivamente, constatata l'estensione della fronte di sbarco, il comandante del corpo d'armata ordinò il contrattacco dell'intera divisione Goering. Il comando del XII corpo d'armata, appena ricevuta notizia dello sbarco nemico a Licata, ordinò al 177° reggimento bersaglieri di mettersi a disposizione della 207" divisione; dispose che il 10° reggimento bersaglieri si trasferisse ad Agrigento e si mettesse anch'esso a disposizione della 20J&; fece muovere il CLXI gruppo semoventi da 90 / 5 3, messo a disposizione dal comando della 6a armata, da Canicattl su Campobello di Licata per passarlo a disposizione della 207"; dispose l'invio di una batteria da 105/28 ad Aragona, seguita poi da tutto il gruppo, sempre a disposizione della 207"; ordinò all'Assietta di distaccare un battaglione del 30° fanteria e due gruppi di artiglieria sul nodo stradale di Chiusa Sclafani. Il comando della 6" armata mise a disposizione
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del XVI corpo d'armata il 33° Livorno; dispose, sulla base delle comunicazioni ricevute dal comando militare marittimo autonomo di Messina, che il XVI corpo inviasse d'urgenza forze nella piazza di Siracusa-Augusta minacciata da truppe inglesi sbarcate da alianti nella penisola della Maddalena ed alla foce dell'Anapo; precisatesi nelle prime ore del mattino l'entità e l'ampiezza dell'offensiva anglo-americana, il generale Guzzoni si orientò a concentrare la reazione nelle direzioni di Siracusa, Gela, Licata. A seguito di un colloquio telefonico tra il comandante della 6" armata ed il comandante del XVI corpo fu deciso di contrattaccare in direzione di Siracusa, al fine di evitare lo sfruttamento del successo ottenuto dagli inglesi contro la piazza di Siracusa-Augusta, con il 75° Napoli, rinforzato da due gruppi di artiglieria di corpo d'armata, con il gruppo mobile D e con il gruppo tedesco Schmalz (già Koerner). Venne deciso altresl di affidare la condotta dell'azione al comandante della Napoli e di schierare il 76° Napoli sulla linea Scordia-Brucoli. Per il contrattacco in direzione di Gela, il generale Guzzoni mise a disposizione, come abbiamo già annotato, il 33° Livorno, e ordinò alla Goering di manovrare secondo le direttive già impartitele d'iniziativa da parte del comandante del XVI corpo. Successivamente, dopo la comunicazione del comandante della Goering di non poter contrattaccare a fondo in giornata, il generale Guzzoni mise a disposizione del XVI corpo l'intera Livorno perché il contrattacco venisse condotto il giorno dopo da entrambe le divisioni. Infine ordinò al gruppo Ens della Sizilien ed al CLXII gruppo semoventi, dislocati entrambi ad occidente, di trasferirsi subito nella zona di Canicattì-Caltanissetta-San Cataldo. Tale trasferimento, iniziato nella stessa giornata del 10 luglio, fu completato il 12 e, per alcune unità carri tedesche trasportate per ferrovia,
il 13. A tutti i livelli le reazioni allo sbarco furono dunque tempestive. Lo sbarco non sorprese né i comandi né le truppe. Se, ·nonostante ciò, lo sbarco non poté essere impedito, le forze anglo-americane non poterono essere ricacciate a mare e la loro avanzata poté solo essere ritardata, fu a causa non già dall'incapacità strategica e tattica dei comandi e dalla scarsa combattività delle truppe - episodi locali limitati di sbandamento, eccezione fatta per gli avvenimenti della piazza di Siracusa-Augusta, non invalidano la realtà di una difesa volenterosa, tenace, abile, onorevole e ricca di splendidi fatti d'arme su tutta la fronte investita - ma dipese esclusivamente dalle condizioni di assoluta inferiorità nelle quali le forze terrestri ed aeree italo-tedesche, senza distinzioni di nazionalità o di regione che tanto
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piacciono in particolare agli scrittori stranieri, ma anche ad alcuni italiani, dovettero affrontare l'invasione dell'isola. Non può destare stupore, conoscendo la forza degli odi, dei rancori e degli asti che perdurano a lungo negli animi degli uomini, ma piuttosto compatimento, il fatto che alcuni valenti comandanti anglo-americani, alcuni storici di fama e, addirittura, un grande maestro come il LiddeU Hart si siano dimostrati privi di obbiettività, fino a contraddire se stessi, dichiarando: « le divisioni costiere italiane, la cui capacità di combattimento non era mai stata giudicata molto alta, si disintegrarono senza quasi sparare un solo colpo, e anche le divisioni di manovra, incontrate successivamente, si dispersero come foglie al vento. Frequenti furono i casi di capitolazione in massa » (gen. Harold Alexandet); « Il nemico si era profondamente ingannato sulla località dell'attacco. Le sue forze migliori erano disposte soprattutto all'estremità' occidentale dell'isola che evidentemente aveva ritenuto sarebbe stata da noi prescelta» (gen. Dwight D. Eisenhower); « Le prime ondate del nostro assalto gli [ al dispositivo difensivo costiero] arrivarono addosso completamente di sorpresa e la sua confusione e la sua disorganizzazione furono tali che esso fu incapace di opporre qualsiasi resistenza coordinata» (gen. sir Bernard Law Montgomery); << Le difese furono travolte con estrema facilità» (Basil H. Liddell Hart); « ... fin dal primo giorno il peso della difesa ricadde quasi interamente sulle spalle delle 2 improvvisate divisioni tedesche ... » (Basil H . Liddell Hart); « È tipico, per provare la completa incapacità del comando italiano, che al momento dello sbarco l'intera 15" divisione panzergrenadiere Sizilien, quindi metà delle forze mobili, era in movimento dalla zona di Caltanissetta verso l'estremità occidentale dell'isola, ed era perciò completamente inutilizzabile. Il sospetto di un premeditato tradimento d a parte degli italiani non fu allora formulato, ma più tardi fu più volte manifestato ... » (col. tedesco Bogislav von Bonin, capo di stato maggiore del XIV corpo che non era presente al momento dello sbarco e che giunse in Sicilia soltanto il 17 luglio). Queste alcune delle perle giapponesi raccolte dal generale Faldella e riportate nel suo volume (35) , insieme ad altre di autori anche italiani; i quali ultimi, peraltro, scrissero sugli avvenimenti mossi solo da odio di parte e, pertanto, non meriterebbero neppure di essere citati tanto mastodontiche sono le loro falsità. Duole, invece, constatare che il maresciallo Kesselring nel suo libro di memorie (36), per scansare le responsabilità dell'Alto Comando tedesco e sue, sia ricorso ad affermazioni senza fondamento , a bugie ed a giudizi del tutto inconsistenti ed avventati. Quando egli afferma
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nel suo volume che « le divisioni costiere italiane fecero completamente cilecca », è nel vero se intende riferirsi al sistema difensivo costiero come tale, essendo questo inficiato in partenza da un rapporto forze-spazio strategicamente e tatticamente insostenibile; è fuori invece dalla realtà storica se la sua valutazione, al di là di un friudizio tecnico che non può non essere condiviso, implica un apprezzamento sulla volontà combattiva di quelle truppe che, nonostante tutto fosse contro di loro, svolsero nella grande maggioranza il loro compito, benché non sorrette dalla minima speranza di successo, ma solo guidate dal senso del dovete e dell'onore. Vi furono episodi - va riconosciuto senza falsi atteggiamenti e giudizi - di riluttanza al combattimento e di precipitosa rassegnazione alla resa. Di questi, quello di più vasta dimensione e di maggiore risonanza - che meriterebbe tuttora un maggiore approfondimento storico per meglio acclararne le cause e le responsabilità che rimasero avvolte fin dal primo momento nel polverone delle recriminazioni, delle accuse reciproche, delle polemiche, delle autodifese, delle arringhe nelle aule dei tt·ibunali investiti dai processi di diffamazione - riguarda la condotta delle operazioni nella piazza militare marittima di Augusta-Siracusa. L'organizzazione difensiva della piazza militare marittima di Augusta-Siracusa non era tale da impedire al nemico di sbarcare e di impadronirsi dei due porti. Il nemico, sia pur con notevoli perdite, avrebbe potuto prendere terra anche sul litorale della piazza. Non lo fece all'inizio perché considerò troppo elevato il costo della operazione. Compito delle difese del fronte a mare e di quelle del fronte a terra era in ogni caso la resistenza ad oltranza, anche nel caso che fossero rimaste isolate per il cedimento di altri tratti della difesa costiera ai loro fianchi: non ripiegare anche se isolati (37). L'ordine di allarme giunse al comando della piazza nella sera del 9 luglio. Durante la notte sul 10: il comando della piazza dispose verso le ore 20 che venisse comunicato alle unità di predisporre le interru:tioni; tra le 21 e le 21,30 il porto di Siracusa e la foce dell'Anapo vennero bombardati dall'aviazione nemica (morl il comandante della base di Siracusa); verso le 22,30 un'aliquota dei tanti aliantisti inglesi che avrebbero dovuto prendere terra alla foce dell'Anapo ad ovest di Siracusa, e che si dispersero invece in varie località, riuscì ad impadronirsi del ponte Grande sull'Anapo che, sebbene minato, non fu fatto saltare; circa alle 2 del 10 luglio commandos inglesi sbarcarono a capo Murro di Porco e fra le 4 e le 5 del mattino si impadronirono delle batterie della penisola della Maddalena; all'alba del giorno 1O il comandante della piazza inviò un ufficiale del suo
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comando per esaminare la situazione sull' Anapo e contemporaneamente fece partire circa 200 uomini autotrasportati, armati solo di fucile, per andare a rinforzare il presidio di ponte Grande dove erano schierati elementi del CCCLXXXV battaglione costiero; verso le 1313 ,30 il comandante della piazza si recò di persona a ponte Grande e ribadì l'ordine di resistenza ad oltranza; nella mattina aveva ordinato al comandante del gruppo tattico di Canicattini-Bagni c-1i puntare verso la penisola della Maddalena per respingere i paracadutisti inglesi. Il gruppo tattico di Canicattini-Bagni (un battaglione del 75° fanteria, una compagnia ciclisti, una batteria da 75/27 a traino meccanico) mossosi verso il mare si scontrò con elementi paracadutisti inglesi catturandone 160; raggiunse la rotabile Siracusa-Cassibile da sud di ponte Grande al posto di blocco n. 4 che trovò impegnato contro attacchi dei paracadutisti inglesi; venne a sua volta attaccato sul fianco destro da carri armati inglesi e subì forti perdite nel difendersi; dovette ripiegare intorno alle 14 verso nord, difendendosi successivamente ai passaggi del Ciane e del Mammaiabica (38) e verso le 18,30 raggiunse con i resti il costone di Belvedere, da dove poi mosse verso la zona di ponte Diddino dove si trovava il comando del reggimento. Il comando del 75° fanteria con un battaglione, una compagnia controcarri da 47 /32, due sezioni contraerei da 20 ed un gruppo da 105/28 verso le ore 18 raggiunse Solarino dove sostò fino alle ore 21 per riunire l'intera colonna che venne raggiunta anche dal gruppo mobile D (una compagnia di 18 carri armati R/35, una compagnia di 6 pezzi controcarro da 47 /32, una compagnia motomitraglieri, una compagnia del 76° fanteria, una batteria da 75/18 a traino meccanico, una sezione da 20 mm, 2 sezioni con 4 pezzi da 88 e 4 da 20 della Flak tedesca). I resti del gruppo tattico di Canicattini Bagni, congiuntisi a Diddino con il reggimento, vennero schierati a protezione del ponte. Il gruppo Schmalz - 2 battaglioni di fanteria, un gruppo d'artiglieria, un battaglione carri, un reparto esplorante - che, come il 75° fanteria, aveva avuto l'ordine fin dalla tarda sera del giorno 9 dal comando del XVI corpo d'armata di muovere da Paternò con obiettivo Siracusa, all'imbrunire giunse all'altezza di Melilli. Se al di fuori del territorio della piazza tutto avvenne nella giornata del 1O secondo gli ordini tempestivamente impartiti dal comandante del XVI corpo d'armata la sera del 9 - compreso lo schieramento del 7 6° fanteria sulla linea ScordiaBrucoli - sl da confermare la validità pratica dei provvedimenti adottati a favore della zona di Siracusa, ben diversi furono gli avvenimenti che si svolsero entro il territorio della piazza. Qui (39), dalle
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17 alle 18 del giorno 10, senza che il nemico minacciasse da vicino la città, le difese si autodistrussero: saltarono in aria batterie costiere e contraerei e l'opera fortificata A di capo Santa Panagia, armata di cannoni da 381 in torretta binata , che durante la mattina aveva sparato pochi colpi contro navi nemiche a ridosso della penisola della Maddalena; fu inutilizzato dal personale che avrebbe dovuto impiegarlo il treno armato di 4 cannoni da 120 mm stazionante a Targia in un tratto di binario corrente tra pareti rocciose ed in grado di muoversi verso nord; fu fatto esplodere il centro radio della Colombaia; fu dato fuoco ai depositi carburanti di punta Cugno (Augusta). Verso le ore 18,30 il comando della piazza abbandonò il posto comando di Melilli Grotte con il relativo centralino telefonico e si mise così in condizioni di non poter inviare notizie al comando superiore, né di inviare e di ricevere ordini (40). Il comandante della base di Augusta abbandonò il suo posto alle 18 ,30 del giorno 1 O e si diresse verso Lentini e Catania. Ad Augusta la base tedesca delle motosiluranti fu la prima a dare l'esempio dell'autodistruzione: nella mattina del 10 distrusse i siluri e poi, parte su battelli e parte via terra, ripiegò verso nord senza nulla comunicare al comando della piazza che ignorò il fatto fino alla mattina successiva. Il console comandante la 7a legione della Milmart, con sede di comando ad Augusta, si decise infatti a comunicare la notizia solo dopo le 18, quando cioè l'ammiraglio comandante aveva già abbandonato il suo posto di comando. Nel pomeriggio del 10 le difese di ponte Grande vennero sopraffatte; i pochi superstiti riuscirono a ripiegare. Purtroppo ripiegò anche il DXL battaglione che presidiava le posizioni sul costone di Belvedere, prima che il nemico lo avesse attaccato, ripiegamento tanto più grave, dal momento che il comandante del battaglione sapeva che il 75° fanteria era giunto a Solarino, poiché lo aveva detto alle 18,30 al maggiore Guzzardi (comandante del gruppo tattico di Canicattini-Bagni). Se il battaglione fosse rimasto sulle posizioni, truppe della piazza avrebbero potuto prendere contatto con la principale colonna di soccorso (41), vale a dire con la colonna del comando del 7 5° fanteria. Il ripiegamento del DXL battaglione si colloca nel quadro della rinunzia alla resistenza, del panico e dello sbandamento del presidio della piazzaforte che abbandonò la lotta prima che questa s'iniziasse. Le conseguenze del ripiegamento furono gravissime, oltre che per il mancanto contatto tra forze della piazza e colonna di soccorso, anche perché consentì al nemico di superare agevolmente i punti di obbligato passaggio per i carri armati attraverso il costone di Belvedere-castello Eurialo. Alle
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21 del 1O luglio gli inglesi da terra entrarono in Siracusa, il cui porto fin dal giorno successivo fu utilizzato dagli invasori per lo scarico di 5 mila tonnellate giornaliere di materiali vari. Augusta fu occupata all'imbrunire del giorno 12 mediante un'incontrastata azione di attacco e di sbarco dal mare alla quale avrebbero dovuto opporsi, tra l'altro, le batterie autodistruttesi fin dal pomeriggio del giorno 10. A Siracusa e ad Augusta non vi fu, dunque, nessuna resistenza; i presidi delle due basi non si arresero, ma abbandonarono i loro posti di combattimento e lasciarono strada libera al nemico sia dal mare sia <la terra. La volontà di difesa dei 6 mila soldati, marinai, avieri e militi italiani e di qualche centinaio di soldati tedeschi - uomini non diversi da quelli che nelle vicinanze si opposero validamente, nei limiti dei loro mezzi, al nemico e giunsero a compiere atti collettivi di grande sacrificio e valore - fu fiaccata a priori dal comportamento dei comandanti che, tra l'altro, anziché richiamare i dipendenti al senso del dovere, li indussero a distruggere i mezzi di lotta, quando questi non correvano nessun pericolo di cadere in possesso del nemico. Non vi sarà stato tradimento, ma vi furono tanta imperizia, tanta paura , tanta codardia messe insieme che ne autorizzarono il sospetto, subito alimentato e gonfiato da coloro che erano interessati a coprire le responsabilità di fondo della guerra, quelle degli organi tecnicomilitati centrali e quelle dei comandanti locali delle unità direttamente interessate alla difesa della piazzaforte. Questa, rimasta isolata volontariamente in seguito all'autodistruzione dei collegamenti con il comando delle forze armate della Sicilia, non poté neppure ricevere i soccorsi rhc pure le furono inviati tempestivamente. La piazzaforte sarebbe alla lunga caduta egualmente di fronte alla preponderanza delle forze e dei mezzi nemici, ma in maniera onorevole. A parte l'imperizia, le deficienze, gli errori e le colpe dei singoli, alla base del vergognoso episodio vi fu anche il persistere della perversa mentalità settoriale e della perniciosa tendenza all'autonomia di forza armata che avevano già ostacolato o quanto meno intralciato alcune operazioni anche in altri scacchieri. Diversi saranno il coordinamento ddlc opcrazbni e la cooperazione interforze appena qualche settimana dopo nell'effettuazione dello sgombero dell'isola. Ma Augusta-Siracusa fu solo un episodio, sia pure di portata notevole; episodici furono altresì gli sbandamenti e le fughe di qualche reparto minore e di singoli verificatisi altrove nella stessa Sicilia - vi furono unità che rinunziarono a combattere e soldati che indossarono abiti civili per raggiungere le proprie case e per fuggire - ma azioni vili si verificarono in tutte le guerre e nelle forze armate di tutti i paesi. Nella
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campagna di Sicilia le stesse forze armate tedesche - ad esempio, il personale delle motosiluranti di Augusta e quello del CMXXIII battaglione da fortezza schierato nel settore di Regalbuto - ebbero a lamentare comportamenti incompatibili con il dovere militare, ma non per questo si può dire che esse nel loro complesso non si batterono bene, onorevolmente e valorosamente durante l'intera campagna. Altrettanto fecero le forze armate italiane in situazione di armamento e di equipaggiamento assai inferiori e, soprattutto, in situazione di depressione morale assai maggiore, avuto riguardo a quello che era ]'infausto andamento della guerra per l'Italia. Non crediamo ag)i eserciti di tutti eroi, valorosi e ubbidienti al dovere; conosciamo le pagine limpide della storia militare delle nostre e delle altrui forze armate, ma sappiamo a memoria anche quelle ingloriose ed incresciose; siamo convinti che la situazione e l'ambiente concorrono in misura determinante a creare i comportamenti dei reparti e dei singoli, ma nessuno riuscirebbe a convincerci che l'incidenza maggiore sui comportamenti dei gregari non sia proprio quella dei capi, da quelli politici e militari supremi ai comandanti di battaglionee, di compagnia, di plotone e di squadra. Non c'è da scandalizzarsi di quanto avvenne ad Augusta-Siracusa cd altrove in Sicilia. L'episodio - che incise negativamente anche su11o sviluppo delle operazioni successive - resta tale e va ricondotto, come gli altri verificatisi durante la stessa campagna, nella realtà di quanto può accadere a chiunque in guerra, specialmente quando la preparazione spirituale e tecnica è del tutto inadeguata e si riferisce anche alla dottrina, agli ordinamenti, alla scelta e professionalità dei comandanti, alla capacità della cooperazione interforze ed interarmi, all'addestramento collettivo ed individuale. Gli sbarchi anglo-americani vennero sostenuti sul piano strategico e tattico da forze aeree imponenti, che agirono a massa in azioni di contraviazione (bombardamenti degli aeroporti), d'interdizione (bombardamenti dello stretto) e di appoggio diretto delle forze an. fibie. Le reazioni delle unità aeree italo-tedesche contrastarono con tempestività, abilità e sprezzo del pericolo ]e operazioni di sbarco e di presa di terra, agendo contro le navi da guerra al largo e contro le navi ed i mezzi da sbarco. Fin dalla sera del 9 luglio lo stato maggiore dell'aeronautica dispose il rinforzo delle forze aeree della Sicilia mediante l'invio nell'isola di un gruppo da bombardamento a tuffo e di due gruppi di assalto. Altri gruppi - 1 da bombardamento S.84 , 4 d'assalto, 1 di Stukas italiani, 2 di tuffatori - vennero trasferiti il giorno 10 dagli aeroporti settentrionali a quelli della Calabria e delle Puglie. Sin dal mattino del 10 aerei italiani e tedeschi
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furono presenti nel cielo della battaglia e non si risparmiarono nonostante l'insufficienza della caccia di scorta alle formazioni di bombardieri e di aerosiluranti e malgrado la schiacciante superiorità numerica della caccia avversaria e la robustissima reazione delle armi contraerei nemiche. Nullo, fu, invece, l'appoggio alle operazioni tattiche delle unità terrestri italiane e tedesche che, negli spostamenti del giorno 10, furono sottoposte a ripetuti bombardamenti e mitragliamenti. Mancarono le possibilità obiettive per svolgere tali azioni dato lo scarso numero di velivoli disponibili sugli aeroporti siciliani. Non fecero difetto né la volontà né la capacità di cooperazione, ma i mezzi necessari per attuarla con efficacia. Il migliaio di aerei tedeschi e italiani, dislocati in gran parte sugli aeroporti del continente, risultarono del tutto insufficienti a fronteggiare gli oltre 4 mila aerei da bombardamento e da caccia anglo-americani che volavano di continuo sul campo di battagJia e sui retrostanti aeroporti. Il ritiro della gran parte dei caccia italiani e tedeschi dalle basi dell'isola ed il loro trasferimento su quelle della penisola e della Sardegna - deciso in seguito agli attacchi massicci e continui effettuati dal nemico sugli aeroporti della Sicilia, nella prima decade di luglio, dove restarono utilizzabili solo poche piste sussidiarie - rese meno immediato l'intervento aereo e ne ridusse l'entità anche in ragione della limitata autonomia dei velivoli. La dislocazione delle forze aeree - concordata tra il capo di stato maggiore dell'aeronautica italiana, generale Fougier, ed il comandante della 2a flotta aerea tedesca, maresciallo von Richtofen, ai primi di luglio - fu una scelta obbligata, senza alternativa che quella dell'ulteriore distruzione di velivoli al suolo o della loro inutilizzazione per la mancanza di piste efficienti di decollo e di atterraggio. Alla schiacciante inferiorità numerica si sommarono così le difficoltà derivanti dalla distanza delle dislocazioni, dalla pochezza dei collegamenti e dalla diversità delle dipendenze. Il comando aeronautico della Sicilia, posto alle dipendenze del generale Guzzoni, poté gestire in proprio solo le poche forze aeree italiane rimaste nell'isola. All'impiego delle forze aeree tedesche presiedé il generale Muller, poi il generale Biilowius, comandante del II C.A.T., sempre alle dirette dipendenze del maresciallo Kesselring. Una tale organizzazione di comando delle forze aeree, di per sé d'intralcio alla snellezza ed alla tempestività degli interventi ed alla efficienza della cooperazione tra le forze aeree delle due nazioni, a sua volta naturalmente difficile, e di quella aereo-terrestre, accrebbe le difficoltà d'intesa tra i vari comandi. Le due aviazioni fecero per proprio conto più di quanto umanamente possibile, ma i loro grandi sforzi avreb-
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bero potuto produrre risultati maggiori qualora non fosse mancata la guida unica. Anche nei riguardi dell'aeronautica, l'aver messo · alle dipendenze dello stato maggiore dell'esercito, anziché del Comando Supremo - dal quale almeno formalmente dipendeva anche il maresciallo Kesselring - il comando delle forze armate della Sicilia fu un errore d'impostazione concettuale e di organizzazione tecnico-militare molto grave. Alla sera del 10 luglio, dopo la prima giornata di combattimenti, le forze anglo-americane, sebbene ancora in crisi, superato l'impatto con le difese costiere, potevano guardare con fiducia al giorno dopo potendo fare affidamento sulla superiorità aerea che ne garantiva i'alimentazione e sulla limitata disponibilità di riserve mobili della difesa, alla quale era preclusa la possibilità di contrattaccare in forze le numerose teste di sbarco divisionali, anche se molte di queste non si erano ancora congiunte e restavano separate l'una dall'altra. Dei corpi di armata dell'8" armata britannica: il XIII con la 5" divisione aveva occupato Siracusa e si era portato fino a Floridia e con la 50"
aveva occupato Avola e Noto ed aveva raggiunto Canicattini Bagni; il XXX con la 51" divisione aveva occupato la penisola di Pachino, con la 1" canadese era giunto a Sud di Rosolini e di Ispica e con la CCXXXI brigata «Malta», che dava protezione al fianco destro della 51", si era consolidato a sud di Marzamemi. La 7a armata americana con la 45a divisione tendeva ad avanzare verso Vittoria, occupata da paracadutisti, Comiso e Ragusa dove si sarebbe dovuta congiungere con la l" canadese; con la l" divisione aveva raggiunto la zona del fiume Dirillo e con la 3" aveva superato Palma di Montechiaro in direzione di Agrigento. La difesa, nel settore della 206" costiera: fronteggiava con la colonna del 75° Napoli l'aliquota della 5" britannica che era giunta a Floridia, con i resti del gruppo mobile F e del gruppo tattico Ispica le forze britanniche che avevano conquistato la penisola di Pachino, con il CCCXXXIII battaglione costiero, il cui caposaldo di Cozzo Cappello continuava a resistere, le forze nemiche della 4Y divisione americana; manteneva con 3 battaglioni (uno del 122° e due del 123°) il fronte a mare non investito tra punta Castellazzo e la foce dell'Irminio. Nel settore della XVIII brigata costiera: elementi avanzati della Goering erano a contatto con il nemico nella zona del fiume Dirillo, il gruppo mobile E ed elementi superstiti della brigata occupavano monte Castelluccio, un gruppo della Livorno era alla stazione di Butera (resistevano ancora , sebbene accerchiate, le posizioni di monte Lungo e Manfria), il gruppo mobile H combatteva presso l'aeroporto di San Pietro contro para-
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cadutisti americani. Nel settore della 207a il CLXI gruppo semoventi (8 pezzi) e la 1a compagnia mitragliatrici contrastavano l'avanzata di unità della 3a divisione americana, mentre era stato già sopraffatto il CCCXC battaglione, appoggiato da un gruppo costiero che aveva svo1to efficace azione di fuoco, ed era fallito il contrattacco del DXXXVIII battaglione. Nelle retrovie, la Livorno era in movimento per schierarsi a nord di Gela; i rinforzi inviati dal XII corpo d'armata alla 20r stavano affluendo sulla fronte del Naro; il gruppo Ens della Sizilien era in movimento dall'Occidente verso Caltanissetta ... (42). I contrattacchi di carattere locale effettuati nella giornata del 10 da 3 gruppi mobili e 2 gruppi tattici erano riusciti a prendere contatto con il nemico ed a ritardarne l'avanzata, non ad arrestarla, trattandosi di unità deboli (meno di un battaglione di fanteria e di una batteria di artiglieria). I gruppi s'impegnarono a fondo, come ad esempio il gruppo E che con un esiguo gruppo di carri armati leggeri italiani di tipo antiquato - si trattava dei carri francesi R/35 effettuò un piccolo ma coraggioso contrattacco già nella prima mattina, riuscendo addirittura a penetrare all'interno di Gela prima di essere costretto a battere in ritirata (43). La Goering che aveva ricevuto l'ordine di contrattaccare fin dalle 3 della notte tra il 9 e i1 10 luglio da Caltagirone in direzione di Niscemi, pur ottenendo successi locali contro unità americane che furono respinte o catturate nella piana di Gela, non fu in grado di sviluppare un'azione unitaria a fondo, che il comandante della divisione comunicò di essere costretto a rimandare al giorno successivo. Quali che siano stati i motivi che indussero il comandante della Goering a tale rinvio, che sorprese i comandi del XVI corpo e della 6 .. armata, è verosimile che se esso non vi fosse stato, i risultati dell'azione a fondo sarebbero stati più proficui di quanto lo furono quelli del giorno dopo, i quali furono tuttavia rilevanti. Probabilmente la 1" divisione americana sarebbe stata obbligata a reimbarcarsi, come fu sul punto di dover fare il giorno dopo. Il reimbarco della 1a divisione americana non avrebbe certo capovolto la situazione generale, ma avrebbe messo in difficoltà gli anglo-americani che giudicarono assai pericolosa l'azione locale della Goering sferrata con i carri Tigre proprio durante la fase più critica dello sbarco. Il maresciallo Kesselring lamentò, nel suo volume, che si fossero perse ore preziose, ma la critica avrebbe dovuto essere mossa al comandante della Goering e non ai comandi operativi superiori che non solo si erano mossi in tempo, ma addirittura prematuramente, se si tiene conto sia della necessità d'individuare gli obiettivi degli sbarchi e la loro gravitazione e peri-
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colosità, sia della scarsezza delle forze di riserva, di cui solo una aliquota era veramente mobile e che, proprio per questo, avrebbe dovuto essere impiegata tempestivamente sl, ma a ragion veduta. Quando, la mattina del 10, il generale Guzzoni pensò d'impiegare la Goering in direzione di Siracusa, anziché di Gela, il comandante della divisione fece presente che oramai la sua unità era orientata su di un obiettivo ben determinato, che stava assumendo, ed in parte aveva assunto, il dispositivo idoneo a tale direzione, e che il cambiamento di obiettivo e di direzione avrebbe comportato scombussolamenti e ritardi che avrebbero messo in pericolo l'efficacia e la tempestività d'intervento. I comandi della 6" armata e dei corpi d'armata non si erano mai posti dilemmi circa i contrattacchi e la tempestività di questi. Non se li posero neppure la notte tra il 9 ed il 10 quando provvidero ad ordinare a gruppi mobili (E, H, D), ad aliquote della Livorno (33° fanteria) e della Napoli (75° fanteria), al gruppo Schmalz, a gruppi di artiglieria semoventi (CIX, CLXI, XXII, CCXXXIII, XIX), al 127° fanteria ed al 10° bersaglieri, ad un battaglione del 30° fanteria, oltre s'intende all'intera Goering, di contrattaccare subito le forze sbarcate, e ad altre unità di schierarsi su posizioni idonee al contenimento a favore dei contrattacchi. La sera del 10 il generale Guzzoni, allo scopo di impedire al nemico di consolidarsi nelle zone più pericolose dell'amplissima testa da sbarco, ordinò che nella giornata dell'll, nel settore del XVI corpo d'armata la Napoli contrattaccasse in direzione di Siracusa e la Livorno e la Goering in direzione di Gela e nel settore del XII corpo d'armata unità bersaglieri appoggiate da artiglierie (44) e da forze disponibili della Si:dlien, queste non appena si fossero riunite, contrattaccassero in direzione di Licata.
s. Alle 4,30 del giorno 11 la colonna del 75° fanteria Napoli (45) mosse verso Siracusa. Era preceduta dal gruppo mobile D che si scontrò con forti avanguardie inglesi muoventi in direzione opposta, da Floridia verso Solarino, che vennero arrestate. Unità inglesi si volsero allora verso ponte Diddino e attaccarono da Floridia le posizioni sulle quali si era schierato un battaglione del 75° che venne sopraffatto. Premuta sulla fronte lungo la rotabile Solarino-Floridia e minacciata sulla sinistra per effetto dell'avanzata inglese nella valle
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dell'Anapo da ponte Diddino, la colonna fu costretta a ripiegare sulle alture a nord di Solarino. Qui attaccata, respinse, dopo due ore di lotta, il nemico. La colonna, in sostanza, partita con l'intendimento di contrattaccare fu costretta ad assumere atteggiamento difensivo. Il contrattacco della Livorno e della Goering (46) ebbe inizio il mattino del giorno 11 dopo che, durante la notte, il grosso della Livorno aveva saputo abilmente riunirsi ed attestarsi sulle basi di partenza, malgrado le azioni aeree nemiche e la minaccia di attacchi di sorpresa da parte di unità corazzate e paracadutisti. La Goering, durante la notte, perfezionò anch'essa il suo dispositivo, ma le difficoltà di movimento dei carri armati si ripercossero sull'ora d'inizio del contrattacco. Entrambe le divisioni si mossero dalle rispettive basi di partenza su 3 colonne per contrattaccare a testa bassa secondo gli ordini del comandante del XVI corpo d'armata. La Livorno attaccò alle 7 ,30 senza attendere ]a Goering della quale, dopo l'attesa di un'ora, non era riuscita ad avere notizie. Le colonne della Livorno, in particolare quella di sinistra partita prima delle altre, avanzarono celermente, sopraffecero la linea avanzata nemica, superarono poi la seconda linea sita a 500 m dalla prima. Malgrado l'azione degli aerei e soprattutto delle artiglierie navali del nemico e le perdite che subivano - per alcune unità nella tarda mattina erano circa il 50 % degli effettivi - raggiunsero, verso le 11, la colonna di sinistra il posto di blocco alla periferia di Gela e quella di destra il passaggio a livello presso Gela. Alla stessa ora la Goering giunse con le colonne di sinistra e di centro alla foce del Dirillo e alla località di Spina Santa e con la colonna di destra alla località di C. Allatta. Alle 11,30 il comando della 6° armata captò l'ordine dato in chiaro dal comandante della 7a armata americana alla r~ divisione di reimbarcarsi. Entrambe le divisioni, la Livorno e la Goering, infatti, travolte le resistenze americane, avevano raggiunto le dune sabbiose che orlavano le spiagge, ma all'ultimo momento dovettero arrestarsi per il fuoco di repressione delle forze navali americane e per i contrattacchi locali di unità corazzate e paracadutisti. La Goering non fu in grado di concorrere direttamente all'azione della divisione italiana, che pertanto dovette sostenere da sola il peso della lotta intorno a Gela (47). Il contrattacco congiunto delle due divisioni fu così dovuto sospendere proprio nel momento in cui il successo finale era a portata di mano. La Goering ripiegò nel pomeriggio sulle alture di Priolo ed a Ponte Olivo; la Livorno, con le unità ridotte a pochi elementi per le perdite subite, fatta oggetto di contrattacchi sui fianchi da parte di truppe motocorazzate provenienti da Licata, combatté tutto il po-
SITUAZIONE DELLE FORZE IL 12 LUGLIO '43
SCAL.A.
--•=O=~t•D-E30::::4•0••50 Km ,
CAP.
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meriggio fino a sera inoltrata: due battaglioni della colonna di destra vennero accerchiati e, dopo strenui combattimenti, vennero sopraffatti a notte inoltrata; la colonna fiancheggiante accorsa in aiuto alla colonna di destra venne arrestata dai carri nemici; un battaglione riuscì a schierarsi sul monte Lapa e sul monte Zai; un battaglione schierato in prossimità di Gela riuscì ad impedire l'avvolgimento da parte di unità americane fermate dalla sua pronta reazione, a ripiegare ordinatamente sul monte Castelluccio dove, violentemente attaccato insieme ai resti del gruppo De completamente accerchiato, venne sopraffatto, dopo 24 ore di combattimento, all'alba del giorno 12; un battaglione poté ripiegare e schierarsi al bivio di Gigliotto. Nel settore del XII corpo d 'armata il contrattacco su Licata venne sferrato all'alba, ma venne ben presto arrestato da mezzi corazzati americani e, dopo una lotta di parecchie ore che decimò il DXXVI battaglione bersaglieri ed il CLXI gruppo semoventi, le unità che vi partecipavano furono costrette a ripiegare su Campobello di Licata. Frattanto il DXXVII battaglione bersaglieri, che era riuscito ad occupare con una sua compagnia il paese di Palma <li Montechiaro, veniva impegnato sulle alture circostanti da forze nemiche provenienti da Licata. La lotta si protrasse fino a quando, per l'intervento di carri armati e di autoblindo, il battaglione fu accerchiato e sopraffatto. La difesa si stabilizzò sulle sponde del Naro ad opera del LXXIII battaglione. Un nuovo contrattacco su Licata, diretto dal comandante della 207" divisione costiera e condotto dai resti del gmppo tattico che aveva operato il contrattacco del mattino, dal 10° raggruppamento semoventi (CLXI e CLXIII gruppo) , dal gruppo tedesco Neapel (1 battaglione di fanteria, 1 reggimento mortai, 1 gmppo esplorante) e da 2 b atterie da 105/28 , non ebbe fin dall 'inizio successo. Ad esso si rinunziò perché sarebbe caduto contro forze troppo preponderanti. Le forze destinate al comrattacco furono arretrate 4 Km a sud di Canicattì. Il XXXV b::ittaglione rinforzato da una batteria del CIII gruppo destinato a contrattaccare in direzione di Naro-Palma di Montechiaro, si mosse e incontrò, 6 Km oltre il bivio di Castrofilippo, un'avanguardia americana e la costrinse a ripiegare in direzione di Noto, nonostante l'intervento con azioni di mitragliamento di 8 aerei da caccia americani. Di fronte alla ulteriore violenta reazione di fuoco aereo e terrestre nemico, il battaglione, anziché ripiegare, assaltò nuovamente le formazioni americane che ripiegarono su Naro. Nel tardo pomeriggio carri armati americani attaccarono due volte il raggruppamento schierato 4 Km a sud di Canicattì (in località San Silvestro), che non aveva potuto svilup-
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pare il previsto contrattacco su Licata, ed entrambe le volte vennero respinti, subendo perdite. Un nuovo contrattacco venne predisposto dal comando del XII corpo per il giorno dopo. Ad esso avrebbero dovuto partecipare un battaglione dell'Assietta, uno dell'Aosta, un gruppo da 75/27 e uno da 105/28 e unità tedesche, ma il colonnello tedesco Fullriede, che aveva il comando di queste ultime unità, escluse di poter partecipare all'azione per la presenza di formazioni corazzate nemiche e informò che durante la notte avrebbe spostato le sue forze a nord di Canicattì. Il XII corpo d'armata ripiegò allora sull'effettuazione di limitati contrattacchi locali da sviluppare il giorno dopo, avendo cura di evitare dispendi eccessivi di uomini e di mezzi. La giornata dell'l 1 luglio impegnò comandanti, stati maggiori e gran parte delle unità di riserva nel tentativo di ricacciare, almeno su certi tratti delle fronti di sbarco, il nemico a mare. Tutti i tentativi fatti a tale uopo non ebbero successo. Diversi avrebbero potuto . essere i risultati se le forze aeree italo-tedesche, che attaccarono ripetutamente le navi nemiche davanti a Gela, avessero avuto una -consistenza maggiore, tale da far tacere le artiglierie navali americane che furono quelle che impedirono alla Goering ed alla Livorno di giungere sulla sponda del mare . Alla deficienza quantitativa delle forze aeree, che non poterono assicurare la superiorità temporanea e locale sul limitato cielo di Gela, va anteposta quella delle riserve mobili corazzate, consistenti in pratica in poco più della anemica divisione Goering, che avrebbero dovuto battere in successione ben 7 teste di sbarco divisionali ed una di brigata. I gruppi mobili impiegati fecero meraviglie, ma i loro contrattacchi ebbero naturalmente caratteristiche di reazioni parziali e locali, non decisive nel quadro tattico dei vari settori investiti. La Livorno e la Napoli si batterono molto bene, senza dare segni di riluttanza al combattimento e tanto meno di premature rinunzie; la gran parte delle loro unità lottarono fino a quando non vennero materialmente sopraffatte; ma ]e azioni delle loro fanterie, prive del sostegno di carri armati e di armi controcarro adeguate, urtarono contro le muraglie mobili di ferro che gli anglo-americani stesero ad avanguardia delle loro avanzate. Si constatò, ancora una volta, specialmente là dove non vi fu la disponibilità di semoventi, l'impossibilità del successo, nel campo di battaglia moderno, delle sole fanterie su terrenei che consentano l'impiego dei carri armati. Il generale Guzzoni, fatto il bilancio della giornata e valutata la situazione determinatasi all a seta - in particolare: le perdite subite dalla « Livorno », la precaria posizione della Goering il mi comancbnte non eta un Rommel, le conseguenze dell'inaspet-
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tata resa di Siracusa, la minaccia di un'eguale sorte della base di Augusta - decise, la notte sul 12, la rinunzia ad insistere nei contrattacchi a fondo e stabill il passaggio dalla mattina successiva ad un'azione ritardatrice di contenimento ed all'organizzazione di una economica posizione di resistenza, dove battersi ad oltranza, nell'attesa di rinforzi dal continente o nell'adempimeneto del dovere di difendere fino all'estremo delle forze il suolo dell'isola. La resa di Siracusa e l'incerta sorte di Augusta aprivano al nemico la piana di Catania, mettevano in forse la continuità dell'alimentazione della lotta attraverso lo stretto, minacciavano l'ala sinistra dello schieramento italo-tedesco. Contro le navi inglesi, che nella giornata dell'll sbarcavano materiali nel porto di Siracusa, le forze aeree italo-tedesche svolsero ripetute azioni di bombardamento durante le quali andarono perduti, per la violenta azione contraerei inglese, molti degli aerei attaccanti che partivano dai campi della Sicilia e della Calabria ed interi reparti da bombardamento a tuffo e da caccia. Alla sera dell'l 1 elementi riordinatisi, congiuntamente ad un battaglione del 76° e con il gruppo Schmalz, tenevano gli sbocchi di Augusta a contatto con le avanguardie inglesi e la base non era ancora minacciata dal mare. Durante la giornata del 12 Augusta venne sottoposta a bombardamenti navali ed aerei e verso le 18 dello stesso giorno attaccata dal mare da forze da sbarco che occuparono la città. I presidi di Luogo Grande e di Melilli effettuarono un primo ripiegamento durante la notte ed il 13 arretrarono ulteriormente sulle alture a nord del fosso Mulinello e successivamente su una linea a sud di Brucali, meno il gruppo Schmalz che ripiegò su Lentini e si schierò sulle posizioni di M. PancaliCarlentini-sud della stazione Agnone. Il giorno 14 gli inglesi attaccarono con carri armati due volte in direzione di Brucali; la prima volta vennero respinti; la seconda volta sopraffecero le difese che si erano ritirate su Cozzo Telegrafo. All'indomani la 50a inglese si af. facciò sulla piana di Catania. Frattanto nell'intento di evitare che il nemico dilagasse nella piana di Catania, e di ritardare ovunque l'avanzata nemica, il generale Guzzoni aveva disposto nella notte dall'l 1 al 12 luglio che il gruppo Schmalz e le unità della Napoli schierate nelle adiacenze del territorio di Augusta-Siracusa mantenessero le loro posizioni per frustrare i tentativi nemici tendenti a Catania e all'aggiramento del fianco sinistro dell'armata; che la Napoli mantenesse le posizioni di Palazzolo Acreide; che la Goering, rotto il contatto con il nemico che la fronteggiava, si portasse nella zona di Caltagirone-Grammichele-Vizzini; che la Livorno arretrasse fra Mazzarino
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e S. Michele di Ganzaria per coprire le provenienze da sud e da ovest e proteggere il fianco destro del XVI corpo; che il raggruppamento Schreiber, di cui faceva parte il gruppo Fullriede, si difendesse ad oltranza sulle posizioni da Serradifalco per S. Cataldo a Caltanissetta; che l'Aosta iniziasse a muoversi verso Catania e che l'Assietta si spostasse, come da richiesta del comando del XII corpo, dalla zona di Partanna a quella di Bisacquino-Prizzi-Lercara Friddi con il compito di contenere il nemico qualora avesse occupato Agrigento e puntasse verso nord-est. Nel pomeriggio del giorno 12 il Comando Supremo italiano fece comunicare al comando delle forze armate della Sicilia, per il tramite dello stato maggiore dell'esercito, che il nemico, attirate le riserve italo-tedesche ad oriente, avrebbe potuto iniziare gli sbarchi anche sulla costa occidentale e che, stante l'incessante numero dei carri armati che il nemico continuava a sbarcare, occorreva fare ogni sforzo per ricacciarlo al più presto dalla Sicilia orientale. Il generale Guzzoni decise di fermare l'Aosta nella zona di S.flì Cipirello-Ficuzza anziché portarla più ad oriente e rispose allo stato maggiore dell'esercito che per sviluppare una controffensiva neJla Sicilia orientale sarebbe stato costretto ad attendere l'arrivo dei rinforzi tedeschi preannunziati - 29a divisione granatieri corazzata e divisione paracadutisti - e la piena disponibilità della Goering che si sarebbe dovuta sganciare da] nemico.
6. Dal 12 al 15 luglio le operazioni, pur nel quadro delle direttive impartite dal generale Guzzoni il giorno 12, ebbero sviluppi diversi nei vari settori. La resistenza della Napoli a Palazzolo Acreide ed a Solarino durò quasi due giorni e si concluse alle 15 del giorno 13. Le unità della Napoli e quelle di rinforzo, in particolare il 7 5° fanteria, si batterono fino all'ultimo contro la 51 a inglese, che agì con numerosi carri armati, e si comportarono in modo magnifico. La ritirata della Livorno e della Goering verso la piana di Catania, resa oltremodo difficoltosa dalla pressione nemica e dalle limitazioni imposte dalle strade al movimento dei carri armati Tigre, fu un succedersi di continui combattimenti che quasi azzerarono la residua modesta capacità della Livorno e ridussero ulteriormente quella della poering. La Livorno - riordinata in un reggimento di formazione su 3 battaglioni di fanteria, un battaglione mortai, un gruppo da
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100 / 17 - la notte sul 13 ripiegò sulla linea Mazzarino-San Michele di Ganzaria dove poté essere rinforzata da artiglierie e semoventi giunti da Noto; nella giornata del 13, su ordine del comando del XVI corpo, ripiegò ulteriormente per schierarsi fronte ad ovest sulle posizioni di S. Michele <li Ganzaria - bivio Gigliotto - Piazza Armerina - Varco Ramata a protezione della destra del corpo d'armata. Fu investita da ripetuti bombardamenti aerei e navali fin dalla zona di Mazzarino; il giorno 14 raggiunse con una aliquota delle sue forze il bivio Gigliotto, mentre l'altra aliquota era ancora in movimento sulla strada Piazza Armerina - Varco Ramata; il giorno 15 venne orientata a ripiegare ulteriormnetè, in concomitanza con il movimento della Goering, sulla linea Raddusa-Valguarnera-stazione Muninelli-Pirato, ma l'aliquota dislocata in un sughereto, a sud del bivio Gigliotto, venne attaccata e, dopo essersi strenuamente difesa, sopraffatta da forze motocorazzate e di fanteria della 1a divisione americana; alla sera del 15, ricevuto l'ordine di seguire il movimento dèlla Goering, ripiegò ulteriormente e la mattina <lel 16 combatté a Scordia per proteggere il ripiegamento della Goering. La Goering si attardò nella giornata del 12 per recuperare i carri inefficienti, per disimpegnare un battaglione di granatieri accerchiato e solo verso Ja mezzanotte riuscì a portarsi con un battaglione carri ed un battaglione pionieri fra ponte Olivo e passo Piazza , con il gruppo tattico centrale a sud di Niscemi fra Torotto e San Pietro, con il gruppo tattico di sinistra tra San Pietro e Acate, con il gruppo esplorante nclla zona di Vizzini; la sera del 12 ricevé il rinforzo di un battaglione paracadutisti tedesco aviolanciato nella zona di Francofonte; il giorno 13 ricevé l'ordine dal comando del XVI corpo di tenere le posizioni di Vizzini-Grammichele-Caltagirone per poi contrattaccare verso est, ma per effetto della pressione nemica dové rinunziare a tale contrattacco e dirigersi verso la piazza di Catania; nella notte del 14, in seguito alle notizie allarmistiche che erano giunte su quanto stava accadendo a sud di Catania, avrebbe voluto, d'iniziativa del suo comandante, effettuare uno sbalzo indietro sino al Simeto, ma per l'intervento del comando del XVI corpo continuò a mantenere le posizioni di Vizzini-aeroporto di S. Pietro - Km 13 della strada Caltagirone-Niscemi - strada per il ponte delle Tavole ; nella giornata del 15 avrebbe dovuto resistere, sempre secondo gli ordini del comandante del XVI corpo, per tutta la giornata a Caltagirone-Vizzini per ripiegare nella notte sul 16 sulla linea Gorna Lunga-Raddusa, ma premuta dalle colonne della 1a divisione canadese iniziò il movimento retrogrado, anticipando i tempi prescriti dal comando del XVI
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corpo, fin dalle tarde ore della mattinata, e sostenendo combattimenti di retroguardia si portò su Militello e Scordia (colonna di sinistra), Ramacca (colonna centrale) e Raddusa (colonna di destra). Nel settore del XII corpo d'armata, dal 12 al 15 luglio: l'Assietta ed il raggruppamento mobile Ovest - costituito dalla riunione dei gruppi mobili A, B, C - si schierarono rispettivamente per costituire una posizione di arresto sulla linea Portella Misilbesi-Chiusa Sdafani-Prizzi-Lercara Friddi-Roccapalumba-Cerda a sbarramento delle direttrici su Palermo e per prendere contatto con le colonne nemiche e ritardarne il movimento (raggruppamento Ovest); l'Aosta - la cui fanteria era ridotta a 4 battaglioni perché degli altri 2 uno era stato assegnato al raggruppamento Schreiber ed uno era stato lasciato a presidio della portella di Misilbesi - per un malinteso da parte del comando del XII corpo circa un ordine del comando della 63 armata diretto a mantenere in sito la difesa costiera per fronteggiare eventuali tentativi di sbarco, venne riportata verso ovest a Partinico, Alcamo, Villafrati, Calatafimi, Vita, Ulmi e il 15 luglio ricevé l'ordine di trasferirsi nella zona di Cefalù-Cerda; il raggruppamento Schreiber, comprendente i gruppi Fullriede e Neapel della Sizilien e le unità foviate in rinforzo dal comando del XII corpo (un battaglione del1'Assietta, uno dell'Aosta, una compagnia controcarro dell'Aosta, il CCXXXIII gruppo da 75/27 su 2 batterie con 6 pezzi in tutto, il XIX gruppo da 105/28 con 4 pezzi in tutto), dopo aver ripiegato durante la giornata del 12 sotto la pressione, peraltro contenuta, del nemico sulle posizioni di Serradifalco-San Cataldo, venne attaccato il mattino del 13 sulle nuove posizioni da dove respinse il nemico; durante le giornate del 14 e del 15, consolidò e rafforzò le difese di tali posizioni, e nella notte sul 14 ricevette in rinforzo 2 battaglioni, 3 batterie di mortai da 120, 15 carri armati e 2 pezzi da 150 mm. Nel settore del XII corpo d'armata, inoltre, dal 12 al 16 luglio l'avvenimento di maggior rilievo fu la resistenza di Agrigento, nella quale furono impegnati il XXXV ed il LXXIII battaglione, una batteria da 105 /28 e tre batterie del XXXV gruppo costiero da 105/27. Nonostante l'abbandono di 4 batterie da 90/53 e di una batteria da 76/40 da parte del personale della milizia contraerei, per fortuna lasciando i pezzi intatti, la resistenza delle forze italiane, nelle alterne vicende della lotta, cessò solo nel tardo pomeriggio del giorno 16, dopo che tutte le batterie erano state messe fuori combattimento dal fuoco nemico ed i soldati della 207" divisione costiera e del 10° bersaglieri (XXXV, LXXIII e LXXIV battaglione) - che avevano combattuto il giorno 13 a cavallo della strada Castrofilippo-
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Naro, il 14 innanzi a Favara, il 15 a Cozzo Mosé ed il 16 a Monteaperto, ad ovest di Agrigento - esaurita ogni possibilità difensiva, erano stati accerchiati, attaccati da tergo, sopraffatti dal fuoco delle artiglierie navali e terrestri e dall'azione delle autoblindo, dei carri armati e delle fanterie americane. L'azione di ritardo e di contenimento dei giorni 12-16 luglio, caratterizzata da tenaci e prolungate resistenze in corrispondenza di determinate posizioni, ma anche da episodi preoccupanti e vergognosi (48), consentì la sera del 16 l'assunzione di un dispositivo che avrebbe potuto avere una consistenza migliore qualora non si fossero verificate interferenze dei comandi tedeschi per ritardare, anticipare, modificare gli ordini dei comandi italiani del tutto intonati agli intendimenti del generale Guzzoni che dette prova, fin dal primo momento, di grande capacità d'intuito strategico e tattico, d'iniziativa, di decisione e di pronta reazione. Il giorno 12 il comandante della Goering giustificò il ritardo nel rompere il contatto con il nemico non solo a causa delle difficoltà di recupero e di movimento dei carri, ma per l'ordine di Hitler di arretrare solo se costretti dal nemico. Il giorno 16 il generale Hube (49), comandante del XIV corpo d'armata tedesco - dal quale dipendevano disciplinarmente le forze germaniche in Sicilia - che si eta trasferito nell'isola, impedì alla Sizilien di effettuare il ripiegamento ordinato dal generale Guzzoni con la conseguenza di lasciare la divisione a sud di Caltanissetta premuta dalla 1a e dalla 4 5" divisione americana e di lasciare scoperto il fascio di rotabili compreso tra la sinistra della Sizilien e la destra della Livorno, rotabili che offrivano al nemico la possibilità di avanzare rapidamente per spezzare lo schieramento dell'armata. La presenza del genereale Hube e del suo comando in Sicilia indusse il generale Guzzoni ad assegnare al generale Hube la responsabilità operativa del settore della fronte nel quale erano preponderanti le forze tedesce al fine di evitare duplicità di dipendenze ed interferenze del generale Hube sull'impiego delle altre forze tedesche operanti. Il comandante della 6" armata, riservandosi di dare attuazione al provvedimento al momento opportuno, stabilì di raggruppare le forze in 3 distinti blocchi: XIV corpo d'armata tedesco dallo Jonio ad Adrano, XII corpo d'armata italiano da Adrano al Tirreno, XVI corpo d'armata in riserva nella zona di Randazzo raggruppante le grandi unità italiane e tedesche (29a divisione) che sarebbero dovute giungere dal continente. Frattanto, nel primo pomeriggio del giorno 14 e alle prime ore della notte del giorno 15, erano giunte al generale Guzzoni comunicazioni ed ordini da Roma circa la condotta delle
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operazioni. Il generale addetto al capo di stato maggiore dell'esercito aveva telefonato alle 13,30 del 14 che d'ordine del Comando Supremo l'armata avrebbe dovuto mantenere le posizioni occupate in quel momento per impedire al nemico di impadronirsi degli aeroporti di Catania e di Gerbini e della piana catanese e che la posizione di resistenza avrebbe dovuto comprendere le Madonie e raggiungere il mare a Cefalù. Alla comunicazione telefonica aveva fatto seguito un radio de1lo stato maggiore dell'esercito che giudicava cli" estrema gravità l'intendimento del generale Guzzoni di ripiegare sulla linea San Fratello-Acireale. Alle 0,30 del giorno 15 il generale Guzzoni fu raggiunto da un nuovo ordine del Comando Supremo, pervenutogli per il tramite dello stato maggiore dell'esercito, che confermava di fare tutto il possibile per mantenere la piana di Cat~nia quant'altro mai necessaria per la ripresa controffensiva una volta giunti i rinforzi, che peraltro non venivano specificati , e annunziava il progressivo aumento delle forze aeree. Il generale Guzzoni, sebbene poco convinto deUa validità degli ordini ricevuti, cercò di eseguirli, ordinando al J(VI corpo di mantenere la linea bivio Gigliotto-Caltagirone-Vizzini, ma la mattina del 15, poiché il gruppo Schmalz era quasi aggirato e la Goering si trovava nell'impossibilità, a detta del suo comandante, di poter reggere ulteriormente la pressione del nemico, ordinò il ripiegamento a sbalzi della Goering nella piana di Catania fra Raddusa e il mare, della Livorno sulla linea Raddusastazionc Dittaino, della Sizilien verso nord . Ma quest'ultima divisione, come abbiamo già ricordato, non eseguì l'ordine non consentendo così di dare una buona consistenza a tutta la fronte compresa tra il mare e la zona a sud di Leonforte. La risposta del generale Guzzoni allo stato maggiore dell'esercito fu che per eseguire gli ordini, sarebbe stato necessario l'arrivo immediato di rinforzi, che l'inclusione delle Madonie nella posizione di resistenza, stante la scarsità delle forze, sarebbe stata del tutto antieconomica ed infine che se avesse avuto a disposizione altre forze, anziché impiegarle in una controffensiva generale, le avrebbe utilizzate per arrestare il nemico lungo le numerose direttrici di avanzata. Alla sera del 16 luglio il generale Hube - che durante la giornata era stato costretto dalla pressione nemica a far finalmente arretrare la Sizilien - si recò dal generale Guzzoni e si dichiarò d'accordo con questi sulla scelta circa la posizione di resistenza, che non poteva essere que1la indicata dal Comando Supremo, ma quella prevista dal generale Guzzoni stesso, e cioè San Fratello-Cesarò-Troina-Adrano-Biancavilla-monte San NicolòStuzzo.
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Ancora il giorno 15 Roma non si era resa conto della realtà operativa in Sicilia e si cullava in un infondato ottimismo, forse più di circostanza che di convinzione, in ogni caso irresponsabile. Il 14 luglio Mussolini consegnò al generale Ambrosio una nota (50) nella quale, pur giudicando la situazione critica, esprimeva l'avviso che essa avrebbe potuto ancora essere dominata purché oltre ai mezzi vi fossero un piano, la volontà e la capacità di applicarlo; un piano che non poteva essere sinteticamente che questo: a) resistere a qualunque costo a terra; b) ostacolare i rifornimenti del nemico con l'impiego massiccio delle nostre forze di mare e del cielo. Mussolini nella nota poneva inoltre 8 domande al generale Ambrosio: 1. « Le divisioni costiere hanno resistito il tempo necessario, hanno dato, cioè, quel minimo che si riteneva dovessero dare? 2. La seconda linea, quella dei cosiddetti capisaldi, ha resistito o è stata troppo rapidamente sommersa? 3. Il nemico accusa perdite del tutto insignificanti, mentre ben 12 000 prigionieri sono già caduti nelle sue mani. Bisogna sapere che cosa è accaduto a Siracusa, dove il nemico ha trovato intatte le attrezzature del porto, e ad Augusta, dove non fu organizzata alcuna resistenza degna di questo nome e si ebbe l'inganno provocato dal1'annuncio di una rioccupazione di una base che non era stata ancora occupata dal nemico. 4. La manovra delle tre divisioni Goering, Livorno , Napoli fu condotta con la decisione indispensabile e con non meno indispensabile coordinamento? Che cosa è accaduto della Napoli e della Livorno? 5. Dato che la direzione dell'attacco-logica è lo Stretto, si è predisposta una qualsiasi difesa del medesimo? 6. Dato che la penetrazione è ormai avvenuta, ci sono mezzi e volontà per costituire almeno un fronte siciliano, al nord verso il Tirreno, così come fu in altre epoche contemplato e studiato? 7. Le due divisioni superstiti, Assietta e Aosta, hanno ancora un compito verso ovest e sono in grado di assolverlo? 8. Si è fatto o si vuol fare qualche cosa per reprimere il caos militare, che si sta aggiungendo al caos civile determinato dai bombardamenti in tutta l'isola? ». Non conosciamo la risposta del generale Ambrosio, a meno di non considerare tale l'Appunto per il Duce del 14 luglio nel quale il capo di stato maggiore generale dava conto del comportamento della 206°, della 207" divisioni e della XVIII brigata costiere significando che il comandante della 6a armata le aveva considerate meritevoli di citazione nel Bollettino; chiariva che la Livorno e la Napoli avevano sempre continuato a combattere nonostante le gravi perdite subite; taceva sul1'accaduto di Siracusa e minimizzava quello di Augusta asserendo che i reparti di quest'ultima base erano stati sottoposti ad intenso
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bombardamento aereo e navale; esprimeva il parere che la minaccia di Hitler di non inviare truppe in Italia qualora gli italiani non avessero avuto l'intenzione di battersi fosse del tutto ingiustificata e che dovesse essere respinta in omaggio ai sacrifici che le truppe italiane stavano compiendo in Sicilia (51). I due documenti, più e meglio di altri, illustrano il punto d'inconsistenza operativa dei rapporti tra il Comandante Supremo ed il suo stato maggiore generale e l'atteggiamento di reciproca distanza tra l'uno e l'altro nello « scaricabarili» delle responsabilità. Mussolini dubita della volontà e della capacità dei capi militari ai quali, in sostanza, addebita la scarsa durata della resistenza da parte delle unità costiere, la mancanza di coordinamento e di decisione nella manovra delle divisioni di riserva, il caos militare. Colpe inesistenti perché la resistenza delle unità costiere era durata - e durava ancora - quasi ovunque, nei limiti consentiti dal rapporto forze-spazio, dalla preponderanza del fuoco e delle forze nemiche e dalle prestazioni dei mezzi in dotazione; la manovra delle grandi unità in riserva era stata molto bene coordinata <lai generale Guzzoni ed il suo fallimento era derivato anch'esso pressoché esclusivamente dalla schiacciante superiorità del fuoco navale ed aereo nemico; nessun caos militare si era verificato presso i comandi e le unità combattenti; vi erano stati episodi gravissimi ma localizzati e, dove possibile (ponte di Primosole nei pressi di Catania, Catania, Messina, Porto Empedocle), subito arginati nelle loro conseguenze. Il generale Ambrosia conosceva benissimo quali fossero le difficoltà che le forze militari italiane andavano affrontando e giustamente difendeva la loro condotta operativa, in generale molto soddisfacente e consona al senso del dovere, ma si asteneva dal rappresentare a Mussolini che non erano né la volontà né la capacità di combattere, ma i mezzi che difettavano, per cui la capitolazione dell'isola sarebbe diventata prima o poi ineluttabile. Di ciò il generale Ambrosia e l'intero Comando Supremo non potevano non essere consapevoli e convinti. Mancavano 5 giorni al convegno di Feltre, dove Mussolini avrebbe dovuto chiedere ad Hitler l'autorizzazione ad una resa separata, e 11 giorni al defenestramento di Mussolini, del quale il generale Ambrosia sarebbe stato uno degli artefici primi. L'intero Paese era, d'altra parte, in stato di profonda depressione - come scrive Mussolini - non per le notizie false, che pure circolavano intorno ai fatti di Sicilia, ma perché sapeva di aver perso la guerra e non riusciva ad intravedere come poterne venir fuori senza perdere del tutto la faccia. Non può, perciò, destare meraviglia che gli appelli del generale Guzzoni per ricevere rinforzi venissero ignorati dal Comando
AVVENIMENTI DAL 12 AL 25 LUGLIO 1943
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Succ&ssive Linee di contoffo
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Supremo e dallo stato maggiore dell'esercito che d'altra parte non disponevano più di nulla da inviare e che speravano, tutt'al pi.ù, nell'aiuto tedesco, di cui giudicavano ingiustificata la eventuale sospensione minacciata da Hitler, mentre forse in cuor loro auspicavano che questa si verificasse per pone fine alla guerra. Sta di fatto che i tedeschi il 12 luglio avevano lanciato un primo. battaglione di paracadutisti della 1" divisione nella piana di Catania, il giorno 13 ne avevano aviolanciati altri e dal 16 cominciarono a fare affluire, con propri traghetti, la 29a divisione, aumentando così la consistenza delle loro forze, mentre il Comando Supremo italiano e lo stato maggiore dell'esercito avevano inviato soltanto 2 gruppi di artiglieria ed il 185° reggimento paracadutisti Nembo con armamento quasi tutto leggero. Anche ammesso, sempre in sede di ipotesi, che vi fossero state le disponibilità di altre forze e mezzi e la possibilità di traghettarle, è verosimile che lo stesso Mussolini e gli stati maggiori generale e dell'esercito avrebbero anteposto la difesa della penisola a quella della Sicilia, qualora fossero stati convinti che l'ulteriore alimentazione della lotta nell'isola avrebbe ancor di più compromesso la già debolissima difesa del continente. Ma né le forze né i mezzi, soprattutto quelli di traghettamento, erano disponibili, a meno di impiegare per il trasporto le restanti navi da guerra e di ridurre al di sotto di 7 il numero delle divisioni dislocate dalle Alpi alla Calabria. Non ci sembra, dunque, che si possa fare colpa al Comando Supremo del mancato invio di rinforzi, ma piuttosto di aver creduto, o fatto finta di credere, impartendo al generale Gazzoni ordini non aderenti alla situazione e promettendogli quanto non si poteva concedere, di poter ancora dominare la situazione, e di avere lasciato in tale illusione Mussolini che, oramai in stato di decadimento fisico ed intellettuale, si aggrappava a tutto pur di nascondere a se stesso e agli altri la realtà della globale sconfitta politica e militare.
7. La sera del 16 luglio il dispositivo della 6" armata comprendeva tre blocchi di forze: il primo - Goering, 76° fanteria Napoli e divisione Livorno - schierato da est verso ovest, tra la foce del Simeto e Raddusa; il secondo - Sizilien e raggruppamento Schreiber (]a prima fortemente premuta sulla fronte del gruppo Ens) - in ripiegamento su Pietraperzia e Alimena; il terzo - Assietta, raggruppa-
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mento Ovest e Aosta - in parte (Assietta) schierato sulla linea Cerda - Chiusa Sclafani con avanti, verso sud, il raggruppamento Ovest, in parte (Aosta) con un'aliquota in movimento verso le sta:.doni di carico per il trasporto ferroviario verso le Madonie è con l'altra aliquota in movimento per via ordinaria. Il mattino del 17, jn seguito alla caduta di Agrigento, il generale Guzzoni ordinò al comando del XII corpo: di portarsi nella zona delle Madonie con l'Aosta, l'Assietta, il raggruppamento Ovest per organizzare a difesa le località di Cerda, Caltavuturo, Petralia, Gangi e Nicosia; di proteggere il movimento dell'Aosta mediante lo schieramento tra Chiusa Sclafani e Roccapalumba dell'Assietta che avrebbe raggiunto, adempiuto il compito, la zona di Cerda; di affidare il comando della difesa costiera al generale più elevato in grado fra i comandanti di divisione costiera confermando il compito di resistenza ad oltranza. Dal 17 al 21 luglio, nel settore del XII corpo d'armata, duramente jmpegnati in combattimento furono il raggruppamento Ovest ed il raggruppamento Schreiber (che aveva perso dalla sera del 16 il gruppo Fullriede rientrato alla divisione Sizilien), i quali combatterono a fondo per 4 giorni interi rispettivamente: il primo per consentire e vi riuscì - alla gran parte dell'Aosta e dell'Assietta di effettuare, senza essere attaccate da forze terrestri nemiche, il movimento verso est; il secondo per sbarrare l'avanzata americana - e vi riuscì prima in corrispondenza della portella Recattivo è poi di Alimena, proteggendo il fianco destro della Sizilien durante il suo ripiegamento e dando modo al gruppo Fullriede di schierarsi fra Bompietro e Petralia, sulla destra cioè della divisione alla quale apparteneva. Alla sera del 20 luglio, nel settore del XII corpo: l'Aosta aveva alcune delle sue unità a Caltavuturo, Petralia, Casalgiordano, Mistretta, altre in corso di scarico a Santo Stefano di Camastra e di avviamento per via ordinaria a Nicosia, altre (2 gruppi di artiglieria ridotti a 2 batterie ciascuno) in movimento verso Santo Stefano di Camastra; I' Assietta (ridotta a 4 battaglioni, 2 batterie da 100 / 17, 2 batterie da 149/ 13, 2 batterie da 149/19 e 1 pezzo da 105/28) era dislocata fra Cerda e la stazione di Cerda. Il mattino successivo: l'Assietta ricevette l'ordine di trasferirsi nelle zone di Santo Stefano di Camastra e di S. Agata di Militello coprendo i movimenti, che vennero compiuti la notte sul 22, con propria retroguardia; l'Aosta fece ripiegare su Nicosia, per ordine del comando del corpo d 'armata, le truppe di Caltavuturo e di Petralia che, nel movimento retrogrado, furono oggetto di offesa da parte di forze aeree americane e di forze terrestri, le quali ultime ebbero ragione di una compagnia di arditi
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del 5° fanteria operante in retroguardia. Nella giornata del 22 il XII corpo era schierato con le sue forze, sebbene ridotte per le gravi perdite subite nei combattimenti di retroguardia e ad opera dei bombardamenti e mitragliamenti nemici, sulla posizione di resistenza tra Santo Stefano di Camastra e Nicosia. Nel settore del XVI corpo dal 17 al 21 luglio la Sizilien, che peraltro dipendeva dal comando del1'armata, la Goering, la Livorno, il 76° fanteria Napoli con un gruppo di artiglieria della omonima divisione furono tutti variamente impegnati in combattimento e oggetto di ripetute ed intense azioni aeree nemiche. La Sizilien combatté nella giornata del 16 impegnando il gruppo Ens contro forze della P e della 45a americane; nella giornata del 17 sostò sulla linea Villarosa-Enna-Valguarnera in base al solito criterio tedesco, imposto da Hitler, di non ripiegare se non costrettivi dal nemico e ritardò così di occupare il tratto della posizione di resistenza assegnatole; il giorno 18 sostenne un duro combattimento a Valguarnera contro la 1a canadese; la notte sul 20 raggiunse finalmente le zone di Petralia e di Gangi con elementi di retroguardia a Bompietro e si mise in condizioni di contribuire validamente alla organizzazione della posizione di resistenza. La Goering - articolata su 4 gruppi: Schmalz, Rebholz, Hahm, Ohring - dal 18 al 20 luglio combatté contro l'8a armata britannica che investì specialmente il centro e la destra dello schieramento e costrinse la divisione a ripiegare a nord del Dittaino; il 20 respinse da tale posizione l'attacco britannico e conservò, salvo alcune rettifiche, la linea di resistenza assegnatale. La Livorno, articolata anche questa su 4 gmppi Mantovani, Bruni, Mastrangeli, Coco - il giorno 18 con il gruppo Coco organizzò a difesa le località di Leonforte e di Villadoro e con il gruppo Mantovani combatté a Pietrapesci; dal 18 al 20 fu investita, al pari dell'ala destra e del centro della Goering, da duri attacchi nemici durante i quali, dopo 5 ore di lotta, il gruppo Bruni venne sopraffatto alla portella Grado; il giorno 20, in conseguenza dell'avvenuto ripiegamento della Sizilien, il gmppo Mastrangeli ripiegò su Assoro dove passò ane dipendenze del gruppo Ens ed il gruppo Coco, dopo aver mantenuto il possesso del bivio per Enna e Valguarnera allo scopo di far sfilare il gruppo Ens, si spostò a Solfara Campania (a sud di Agira) per sbarrare le mulattiere che convergono su Agira. Il 76° fanteria sostenne validamente dal 18 al 20 l'attacco britannico che investì il centro della Goering; in particolare, il 19 si batté presso la stazione di Sferro respingendo due attacchi nemici ed il 20 partecipò ai combattimenti tra la stazione di Sferro e la stazione di Muglia concorrendo al fallimento dell'azione
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nemica. Alla sera del 20 luglio: la Goering era schierata a nord della ferrovia da Catenanuova al mare; la Livorno aveva ancora il gruppo Coco in movimento verso Agira ed i resti degli altri reparti occupavano già quest'ultima località; la Sizilien aveva il gruppo Ens fra Leonforte-Assoro-Agira ed il gruppo Fullriede in corso di schieramento protetto dal raggruppamento Schreiber, che il giorno dopo venne sopraffatto a Petralia. Alla sera del 20, dunque, la situazione operativa, pur sempre estremamente precaria per la carenza di forze, era migliore di quella dei giorni precedenti ed il comando della 6a armata, nonostante che l'Aosta fosse ancora in movimento verso Nicosia e che l'Assietta fosse in parte schierata a Cerda ed alla stazione omonima ed in parte ancora fra Chiusa Sclafani-Prizzi-Lercara, poté prendere a ragion veduta nuove decisioni. Scartata la possibilità d'includere nella posizione di resistenza le Madonie, il generale Guzzoni, al fine di guadagnare ulteriore tempo a favore della posizione di resistenza da San Fratello a Stazzo, ordinò Ja difesa della ]inea Santo Stefano di C:amastra Nicosia - Leonforte - sud di Catania e rimaneggiò l'ordinamento delle forze, affidando: al XIV corpo d'armata tedesco - che dalle ore 24 del giorno 19 subentrò al comando del XVI corpo d'armata nella responsabilità del settore già a questi affidato - il compito di mantenere ad oltranza con la sinistra ed il centro la linea Catania-Leonforte, di ripiegare la destra sulla linea Leonforte-bivio ad est di Nicosia per resistervi ad oltranza e di prendere contatto con la sinistra del XII corpo d'armata italiano; al XII corpo d'armata italiano i] compito di conservare fin che possibile la linea Petralia-Polizzi-Collesano-strada litoranea e di occupare in forze per la resistenza ad oltranza la linea Nicosia-Santo Stefano di Camastra, assumendo altresì la difesa della costa tirrenica fino a capo Tindari; al XVI corpo il compito della difesa costiera da capo Tindari al fosso Buttaceto, compresi la piazza militare marittima di Messina-Reggio CaJabria ed il porto di Catania. Al momento della decisione il generale Guzzoni aveva ricevuto dal maresciallo Kesselring la notizia del prossimo arrivo della 29a divisione granatieri corazzata e dal generale Roatta della divisione alpina Alpi Graie. Con tale ordine, arricchito di disposizioni per la cooperazione stretta e continua tra le unità italiane e germaniche, il generale Guzzoni intese: affermare la sua completa giurisdizione su tutte le forze italiane e tedesche dell'isola; imbrigliare l'azione del generale Hube e del suo capo di stato maggiore colonnello von Bonin tendenti, specialmente il secondo, a fare di testa loro; difendere con forze ridotte a tempo determinato e finché
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possibile la linea avanzata; sviluppare la difesa ad oltranza su quella arretrata di San Fratello-Stazzo, mantenendo in riserva la 29n divisione tedesca e ricostituendo la Livorno con gli elementi superstiti della divisione stessa operanti con la Sizilien, con quelli della Napoli operanti con la Goering e con i reparti promessi dallo stato maggiore dell'esercito. Dispose perciò il ritiro della Livorno e della Napoli dalla linea dove rimasero alle dipendenze dei comandi tedeschi solo un battaglione del 34° fanteria, un battaglione del 76° fanteria, due gruppi del 28° artiglieria, un gruppo da 149/13 ridotto ad una batteria cd elementi di un gruppo del 54" artiglieria. Il comando della Livorno cessò di funzionare come comando di settore di linea e si trasferì a sud di Milazzo; il comando <lei 76° fanteria con 2 battaglioni ridotti fu inviato a Linguaglossa. Gli anglo-americani, da parte loro, dopo i notevolissimi successi <lei primi giorni, che li avevano portati il giorno 15 ad affacciarsi sulla piana di Catania e la notte sul 17 ad occupare Agrigento, si venivano rendendo conto che la conquista dell'isola sarebbe stata molto piò lunga di quella ottimisticamente preventivata in due settimane. Dovettero mutare il loro piano iniziale in seguito alla resistenza opposta dalle unità italiane e tedesche all'avanzata della loro ala destra (8" armata britannica) lungo l'asse Catania-Messina ed alla prontezza della difficile manovra strategica e logistica, disposta dal generale Guzzoni - ed effettuata magistralmente dal XII corpo di armata - per: il trasferimento delle forze schierate ad occidente dell 'isola verso le Madonie; il raccorciamento della fronte; la costituzione della nuova fronte fra Santo Stefano di Camastra e Nicosia. La manovra fu di per sé un grande successo strategico e logistico. Qualora la 6~ armata avesse avuto una maggiore disponibilità di forze e di mezzi per presidiare la nuova posizione ed il colpo di Stato del 25 luglio non avesse indotto i comandi tedeschi - fino a tale data incaponitisi nel non ripiegare, se non costrettivi <lal nemico, anche a costo di disobbedire agli ordini del comandante della 6'' armata - a sgomberare la Sicilia, gli anglo-americani, pur alla fine vittoriosi egualmente, avrebbero pagato in forze e mezzi cd in tempo un prezzo assai maggiore. Gli anglo-americani, dunque, furono costretti a spostare l'asse dello sforzo principale dalla destra al centro ed all'ala sinistra del loro schieramen to e a non puntare più direttamente su Messina, ma ad avanzare verso il centro dell'isola per poi convergere da ovest su Messina. Il generale G uzzoni previde tale mutamento di piano e, nei limiti delle possibilità concrete rimastegli, lo parò tempestivamente. Il 21 luglio il comandante dell'8'' armata
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britannica, che aveva dovuto sostituire in linea la 5l3 inglese con la l" canadese, sospese l'offensiva in attesa della 783 divisione chiamata dall'Africa per rinforzare l'armata. Egli così fermò il XIII corpo e la 51" divisione del XXX, mentre continuò ad attaccare sulle direttrici Leonforte-Agira-Regalbuto e Catenanuova-Centuripe per giungere a portata di Adrano. Previde la ripresa offensiva per il 1° agosto. La r armata americana continuò, invece, la sua avanzata - la 1a divisione il 21 occupò Alimena, la 45" puntò su Cefalù, la 3" su Palermo, l'82a aviotrasportabile su Marsala e Trapani, la 2a corazzata su Alcamo - con l'intento di convergere verso est, appoggiando l'ala sinistra al mare Tirreno, per proseguire poi verso Messina. Anche la 7" armata stava per essere rinforzata da un'altra divisione - la 9" - proveniente dall'Africa del Nord.
8. Il compito assegnato dal Comando Supremo alla 6" armata il 18 luglio era di difendere ad oltranza l'isola in attesa di rinforzi dal continente e di ritardare, in ogni caso, il più possibile l'attacco anglo-americano alle coste della penisola. Sulla base di tale compito, il comando della 6a armata aveva effettuato l'arretramento del XII corpo sulla linea di S. Stefano di Camastra che consentiva di raccorciare la fronte riducendone l'estensione a dimensioni meno sproporzionate alla disponibilità delle forze. L'arrivo della 29a divisione tedesca e la promessa dell'invio della divisione alpina Alpi Graie, in uno con la ricostituzione della Livorno, autorizzavano il generale Guzzoni a stimare ragionevolmente possibile di poter opporre agli angloamericani una resistenza prolungata. Il raggiungimento di tale scopo avrebbe però comportato il sacrificio del territorio occidentale dell'isola, Palermo compresa, dove le forze che vi si sarebbero potute lasciare - 202a e 208" divisione costiera, 136° reggimento costiero autonomo, difesa della piazza militare marittima di Trapani, difesa del porto N (Palermo) - non avrebbero potuto svolgere un'azione difensiva prolungata. Non sarebbe stato possibile, d'altra parte, trasferire quelle forze verso oriente mancando la capacità di trasporto. La loro breve resistenza statica sarebbe stata comunque necessaria a non dare al Paese, e soprattutto alle altre forze operanti nell'isola, l'impressione della rinunzia a combattere. Ciò fu quanto intese fare con il suo piano il generale Guzzoni non senza l'intima sofferenza propria di un comandante che si vede costretto a sacrificare una
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parte dei suoi soldati e un lembo sacro del territorio della Patria. Per ridurre il numero degli uomini da sacrificare accolse subito la proposta del comando del XII corpo in base alla quale, fermi restando la difesa del fronte a mare e del fronte a terra di Palermo ed il presidio mediante nuclei di resistenza della costa, il grosso delle unità costiere avrebbe dovuto trasferirsi verso Caltavuturo e Cerda utilizzando tutti i mezzi disponibili. La proposta non ebbe però attuazione perché l'avanzata delle divisioni americane travolse il giorno 21 le difese di Prizzi e di Lercara ed il giorno 22, nelle prime ore del pomeriggio, giunse alle porte di Palermo affacciandosi sulla Portella del Mare e su quella della Paglia. Le autorità civili e politiche avevano abbandonato la città fin dal giorno 20; il giorno 21 era stato catturato dagli americani il comando della 208" divisione costiera; il 22 luglio, alle 4,30, i soldati tedeschi delle batterie da 88 contraerei e controcarro, inutilizzati i pezzi, si erano allontanati daUa città. Qui, alle 19,30 dello stesso giorno, cessò ogni resistenza. Non mancarono episodi di difesa protratta fino al limite delle possibilità - il presidio di Portella del Mare, attaccato all'alba del 22, resisté fino alle 13 e quello (una compagnia, un pezzo da 100/17) della Portella della Paglia, attaccato alle 9,30, resistette, contrassaltò con una compagnia motomitraglieri ed un gruppo squadroni appiedato spraggiunti in un secondo tempo, oppose successive resistenze in profondità e riuscì a ritardare l'ingresso del nemico a Palermo fino alle ore 18. In pratica, Palermo cadde perché ogni resistenza fu giudicata a priori inutile da molti di coloro che l'avrebbero dovuta coordinare e condurre. Il giorno 23 gli americani occuparono Marsala; a Catalafimi ed a Castellammare unità costiere italiane combatterono fino a tutto il giorno 24. Diversamente da altrove - dove gli episodi di abbandono del combattimento rimasero localizzati e riguardarono, eccezione fatta per Siracusa ed Augusta, minori unità e spesso solo piccoli nuclei - nella Sicilia occidentale e, in particolare, a Palermo, fu l'intero sistema difensivo a crollate moralmente e le resistenze che vi furono ebbero carattere di episodi a sé stanti, proprio per questo ancora più meritevoli e coraggiosi. Oltre quelle appena ricordate, altre resistenze addirittura eroiche si ebbero da parte del VII e del XX gruppo costiero che accerchiati non vennero sopraffatti se non dopo che ebbero esaurito ogni capacità difensiva, combattendo sotto la guida di comandanti abili, capaci e valorosi, uno dei quali, aperta la camicia sul petto, gridò: Ecco un buon bersaglio! E cadde colpito a morte (52). La manovra di conversione verso est di parte delle divisioni
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della
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armata americana e l'avanzata dell'estrema ala sinistra del-
1'8" armata britannica trovarono ostacolo nelle successive resistenze
opposte dalle unità di retroguardia italiane e tedesche e dalle forze presidianti la linea difensiva avanzata. Gli elementi di retroguardia dell'Assietta ripieganti da Cerda lungo la strada costiera, i reparti dell'Aosta ripieganti per Petralia su Nicosia e la retroguardia del gruppo Fullriede a sud di Petralia, in uno con le numerose interruzioni stradali, resero duro il movimento nemico verso est e verso nord. Il giorno 23 il nemico premé fortemente contro la retroguardia del gruppo Fullriede e contro l'ala destra del gruppo Ens. Questo ultimo riusd con contrattacchi locali ad impedire alla l" canadese l'occupazione di Leonforte. Durante la stessa giornata il gruppo Fullriede ripiegò combattendo sulla direttrice Petralia-Gangi-Nicosia, mentre l'Aosta si organizzò a difesa a Nicosia lungo la linea q. 862 a sud-est di Nicosia - poggio Baciduana-Sperlinga-M. S. Onofrio. Il 24 luglio il gruppo Ulich, premuto dalla 45" americana, ripiegò a 10 Km ad est di Cefalù; il gruppo Fullriede ripiegò da Petralia a Gangi; l'intera fronte della Sizilien, che comprendeva anche il gruppo Coco della Livorno, respinse l'attacco della 1" brigata della divisione canadese appoggiata da un intero reggimento di carri armati. Al combattimento parteciparono, oltre il gruppo Coca, anche le superstiti artiglierie della Livorno. Sulla fronte della Goering il nemico non si mosse, limitandosi a battere con il fuoco di formazioni navali Catania e la costa fra Ionia e Taormina. Il 25 luglio la situazione rimase stazionaria e nel settore settentrionale la linea di contatto rimase ferma da 3 Km a sud-ovest di capo Reisilberghi per Pollina-BorelloS. Mauro Castelverde-Castel di Ludo-ovest di M. Sambughetti-1 Km ad ovest di Sperlinga-bivio a nord di M. la Guardia, a sud-ovest di Serra Canale. Nella giornata del 26 il gruppo Ulich dové ripiegare sulla litoranea ed unità dell'Aosta furono impegnate a respingere un attacco nemico che s'infranse, mentre però le artiglierie americane intensificavano il loro fuoco e forze motorizzate americane serravano sotto. Il 27 il nemico attaccò e conquistò le posizioni avanzate di Castel di Tusa e di Pettineo, costringendo l'ala destra dello schieramento italo-tedesco ad arretrare su Santo Stefano di Camastra; nel pomeriggio forze americane attaccarono l'ala sinistra dello schieramento italo-tedesco ed anche questa fu costretta ad un limitato arretramento su posizioni meno vulnerabili. La situazione si fece preoccupante nella zona di Agira dove la 1" canadese, conquistate con gravi perdite le alture dominanti Nissoria, riuscl, progredendo 2 Km verso est, a giungere a contatto con le difese di Agira. Alla sera del
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27 la posizione avanzata di resistenza era ancora sostanzialmente integra eccezione fatta per la località di Leonforte intaccata dal nemico. Non giovò alla condotta delJa difesa, che le unità italiane e tedesche svilupparono dal 22 al 27 lug1io, la tensione che venne a determinarsi tra il comando della 68 armata, il comando del XIV corpo d'armata tedesco e gli organi di collegamento, soprattutto a causa delle modalità da seguire nella manovra difensiva che si veniva attuando e della richiesta tedesca di assumere il comando dell'intera fronte. Il generale Hube e gli altri comandanti tedeschi avevano ricevuto da Hitler e dall'O.K.W. l'ordine di non ripiegare se il nemico non ve li avesse costretti pena la destituzione o altre sanzioni penali e disciplinari - quasi non fossero bastati i danni procurati da tale tassativo ordine in Africa settentrionale ed in Russia mentre i comandi italiani, nell'intendimento strategico del generale Guzzoni, erano costantemente preoccupati di non logorare prematuramente le proprie forze per conservare temporaneamente il possesso di posizioni avanzate e cercavano quindi di trasferirle e concentrarle su di una posizione unitaria e continua idonea ad arrestare l'offensiva generale del nemico e magari a respingerla. Il criterio tedesco sacrificava le possibilità della manovra strategica e delle manovre tattiche locali e induceva ad inutili sacrifici di forze e di mezzi per contendere al nemico il terreno palmo a palmo; quello italiano favoriva il perseguimento dello scopo strategico ed esaltava le possibilità delle varie manovre tattiche affidate ai singoli complessi di forze operanti a stretto contatto. La mattina del giorno 25, in un colloquio tra il generale Guzzoni ed il generale Hube per l'azione delle retroguardie della Sizilien e della 29a tedesca - alcune unità di questa ultima divisione erano già state messe in linea dal generale Hube che aveva manifestato la tendenza ad utilizzare a spizzico la nuova divisione inviando reparti là dove il nemico faceva sentire più forte la pressione, anziché orientarsi all'impiego wlitario della grande unità secondo gli intendimenti del generale Guzzoni - venne concordato che le retroguardie avrebbero conteso al nemico le posizioni in quel momento occupate in quanto il generale Hube non avrebbe potuto contravvenire gli ordini tassativi ricevuti dal maresciallo Kesselring; quando fossero state costrette a ripiegare, esse si sarebbero però unite all'Aosta ed all'Assietta per la difesa della Jinea Santo Stefano di Camastra-Nicosia, restando comunque alle dipendenze del comando del XIV corpo anziché passare a quelle del XVI corpo. Infatti Hube aveva ricevuto il divieto di mettere unità tedesche a disposizione delle unità italiane (53). Un ordine assurdo, ma che faceva il paio
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con la richiesta, avanzata il mattino del 22 dai tedeschi e decisamente respinta dal comando della 6u armata, di passare la responsabilità dell'intera fronte al generale Hube. La richiesta era stata presentata dal capo di stato maggiore del XIV corpo tedesco al capo di stato maggiore della 60. armata, ripetuta dal generale von Senger ufficiale di collegamento con il comando d'armata (54) - al generale Guzzoni e, infine, espressa direttamente il 25 luglio dal generale .Rube. Era fuori dubbio che oramai le forze tedesche erano preponderanti rispetto a quelle italiane - 4 divisioni, compresa la 1a paracadutisti - ma le ragioni di ordine morale e politico che rendevano la richiesta inaccettabile sopravanzavano di gran lunga i motivi di carattere tecnico-militare (consistenza numerica del complesso tedesco e deficienza di armi controcarro nell'ambito delle unità italiane, incapaci così di esprimere una qualche capacità difensiva se non,. sostenute da unità controcarro tedesche) addotti dal generale Hube . I tedeschi già prima del 25 luglio avevano fatto di tutto per condurre le operazioni a modo loro e per liberarsi della dipendenza operativa dal comando della 6°' armata. Lo stato maggiore dell'esercito, informato dal comando della 6" armata della richiesta avanzata dagli organi di comando e di collegamento tedeschi, percisò che non era ammissibile che Rube comandasse su tutla la fronte. Al passaggio di responsabilità di tutta la fronte al XIV corpo d'armata tedesco, autorizzato dalJo stato maggiore dell'esercito il 30 luglio, si addiverrà perè> alle ore 12 del 2 agosto, allorquando cioè tutte le truppe tedesche nuove giunte saranno in linea e non vi sarà più la materiale possibilità di conservare ad un settore difensivo una individualità italiana propria perché non saranno giunte dal continente né la divisione Alpi Graie, né le altre unità - 6 compagnie mitragli.eri da posizione, 2 compagnie controcarri, 8 batterie di medio calibro, 1 gruppo semoventi da 90/53, un gruppo da 149/19, una squadriglia autoblindo, una compagnia semoventi da 75/18, 4 compagnie genio - il cui invio era stato preannunziato dallo stato maggiore dell'esercito il giorno 31 luglio contemporaneamente alla notizia che erano già in corso di effettuazione i movimenti per far giungere 3 battaglioni di fanteria e 3 gruppi di artiglieria (2 da 105/28 e 1 da 75/18) per la ricostituzione della Livorno. Visto alla luce degli avvenimenti, il comportamento dello stato maggiore dell'esercito, e indirettamente dello stesso Comando Supremo, fu durante l'intera campagna di Sicilia ambiguo più che indeciso. Ciò dipese probabilmente dall'incertezza degli sviluppi degli avvenimenti che bollivano in pentola - convegno di Feltre e colpo di Stato - ma chi ne
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venne a soffrire di più fu il comando delle forze armate della Sicilia che visse la campagna tra l'insofferenza tedesca - talvolta la disobbedienza palese - agli ordini che impartiva, l'inattualità degli ordini che riceveva da Roma, l'indifferenza degli organi centrali sia alle situazioni che esso rappresentava in tutta la loro crudezza sia agli appelli di rinforzi che ripeteva. Il 24 luglio, ad esempio, lo stato maggiore dell'esercito prospettò al generale Guzzoni la possibilità di portare subito la difesa sulla linea San Fraello-monte Pelato-TroinaAdrano-Biancavilla Stazzo, ma il giorno 26, dopo che il generale Guzzoni aveva rappresentato la prematurità di tale arretramento, gli lasciò la piena libertà di decidere, lavandosene le mani. Alla relazione sulla situazione generale rappresentata dal generale Guzzoni alle 11,45 del 30 luglio (55), lo stato maggiore dell'esercito rispose il 31 con promesse di rinforzi che sapeva di non potere o di non volere mandare, tanto è vero che fino al 17 agosto non ne giunse neppure uno .
9. Il colpo di Stato del 25 luglio - del quale faremo cenno nel capitolo successivo - rese diffidenti, non senza ragione, i tedeschi che non ebbero più scrupoli a ricorrere ad ipocrisie ed inganni per nascondere i loro reali intendimenti. Se fino ad allora erano stati intransigenti nell'ubbidire all'ordine di non ripiegare se non costrettivi dal nemico, dal 27 luglio cominciarono a ripiegare prima c~e la pressione nemica si facesse sentire e addirittura anche quando il nemico era ancora lontano. La sera del 27 luglio il gruppo Fullriede comunicò all'Aosta che avrebbe ripiegato ad est di Nicosia e lo invitò a fare altrettanto, malgrado il nemico non premesse e fosse ancora alquanto ad ovest di Nicosia. L'intervento del comando dell'armata e di quello del XII corpo d'armata non valsero ad impedire l'arretramento, ma solo a limitarlo fino alla linea Portella-est di Nicosiastrada Nicosia Agira, il che comportò tuttavia l'arretramento anche dell'Aosta per non lasciarla sola davanti a Nicosia. I generali Rube e von Senger vollero il mattino dopo giustificare personalmente al generale Guzzoni, rimasto stupefatto e preoccupato dell'arretramento del gruppo Fullriede, il provvedimento con la stanchezza del reparto dopo tanti combattimenti, ma il generale Rube aggiunse che da allora in avanti le unità tedesche si sarebbero sottratte alla lotta ravvicinata. L'unica promessa che il generale Guzzoni ottenne, dopo aver discusso a lungo la validità di tale nuovo criterio nel quadro di una
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manovra di arresto, fu che le unità italiane sarebbero state preavvisate in tempo degli sbalzi retrogradi. L'inaspettato sgombero di Nicosia causò confusione e perdite. L'Aosta arretrò più profondamente di quanto le era stato ordinato e abbandonò il colle del Contrasto che avrebbe dovuto invece mantenere e che non fu poi possibile rioccupare poiché le unità tedesche avevano interrotto nel frattempo la strada. Riportata in avanti solo la sera del 28, dopo aver subito un forte trauma morale ed aver perso unità, l'Aosta riuscì a schierarsi nelle zone di portella Ruetto, Croce Nuova, Capizzi, Traina , monte Timponivoli, monte Castelli, portella Nicosia, portella Monaci. Un altro ripiegamento prematuro fu quello operato il 29 luglio dalla 29a divisione che, lasciando la retroguardia sul costone di Santo Stefano, si portò ad est di Nicosia, costringendo il comando del XII corpo d'armata a far ripiegare, con il grosso della 29", anche le truppe dell'Assietta su Sant' Agata di Militello per schierarle sulla posizione di San Fratello. I tedeschi giustificarono tale ripiegamento, gincHcato prematuro dai comandi della 6" armata e del XII corpo, con una falla apertasi sulla sinistra della 29 e con il fatto che il nemico era giunto a monte Castel1i controllando così con il fuoco delle sue artiglierie sia Mistretta sia Santo Stefano. L'Assietta si schierò sulle posi;,;ioni San Fratello-M. Pelato-A. Acuto-Troina, ma lasciò in linea le proprie artiglierie. Prima di tale ripiegamento, neJla mattina del 29 luglio, l'Assietta aveva resistito, come le contermini unità della 29'\ agli attacchi delle unità americane lungo la rotabi~e costiera. Nella giornata del 29 anche il gruppo Ens ripiegò sulle posizioni di Gagliano Castelferrato-Regalbuto, dove il gruppo Coco diede modo, combattendo per oltre 4 ore, al gruppo Ens cli arretrare e di sistemarsi a difesa su posizioni retrostanti. Combattimenti e movimenti delle unità italiane e tedesche si svolsero, come quasi sempre dal primo giorno degli sbarchi angloamericani, sotto la pressoché costante azione nemica di fuoco aereo e, nelle prossimità delle coste, anche navale. Quest'ultimo nella giornata del 29 annientò tra l'altro un'intera autocolonna tedesca. Il 30 luglio sulla linea Santo Stefano - M. Trefinaidi - M. Pomiere - Capizzi - bivio presso C. Serra di Falco rimasero le retroguardie, mentre i grossi della 29 ed i resti dell'Assietta andarono a schierarsi sulla posizione di S. Fratello. Delle retroguardie non poterono ripiegare, per la distruzione del ponte sul fiume S. Stefano operata dall 'artiglieria americana, tre batterie italiane. Le retroguardie italiane (un battaglione dell'Aosta) e tedesche (un battaglione della 29a) furono attaccate da unità americane. Nel settore di Catenanuova e lungo la statale le difese di Centuripe 11
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e di Regalbuto furono investite dalla 73a inglese da poco entrata in linea e dalla la canadese. I combattimenti, nonostante la conquista di Catenanuova da parte di unità della 1a canadese, durarono circa 48 ore e Regalbuto cadde solo la notte dall'l al 2 agosto. Alla sera del 1° agosto la linea avanzata dello schieramento italo-tedesco passava per marina di Caronia-ovest di Troina-M. Femmina mortaportella Monaci-Regalbuto-Centuripe-M. Serra di Spezia-Gerbini-stazione di Motta-stazione Bicocca-fosso d'Aci. Il 1° agosto ebbe inizio l'offensiva dell'8a armata britannica tendente ad aggirare da occidente l'Etna: il XIII corpo (50" e 5·' divisioni inglesi rinforzate da un reggimento carri armati canadesi) impegnò la Goering con obiettivi Catania e Paternò; il XXX corpo (51 8 e 78" inglese, in canadese e 7" corazzata) attaccò il gruppo Ens della Sizilien e la destra della Goering con obiettivi Biancavilla, Adrano, Bronte e Randazzo. La 7" armata americana continuò ad attaccare con la 4Y, e successivamente con la 3", lungo la rotabile e con la 1 a lungo la direttrice di Traina difesa dai resti dell'Assietta e dell'Aosta e del gruppo Fullriede; gli americani mantennero in riserva la 9" che stava sbarcando a Palermo proveniente da Orano. All'offensiva dell'8" armata si opposero, da sinistra a destra, la Goering ed il gruppo Ens della Sizilien; a quella americana, da sinistra a destra, il gruppo Fullriede della Sizilien, l'Aosta (resti), la Assietta (resti) e la 29" tedesca. Nonostante l'assoluto dominio del cielo e del mare e l'enorme superiorità di forze e di materiali, l'offensiva anglo-americana procedé con la lentezza propria delle manovre di rottura, sia per la scarsa intonazione manovriera dell'operazione, sia per la resistenza che incontrò su tutta la fronte. I generali inglesi ed americani continuarono ad offrire saggi di prudenza e di cautela , e non dimostrarono né audacia né abilità di manovra; fecero avanzare le loro truppe a mo' di rullo compressore, secondo il ritmo cadenzato e lento di una tale macchina; impiegarono 3 giorni per intaccare la posizione difensiva avanzata ed altri 2 per investire la posizione difensiva principale; ispirarono l'azione più alla tattica delle fanterie che non a quella delle truppe motorizzate e corazzate; finirono con tale procedimento per concedere alla 6" armata tutto il tempo necessario allo sgombero della Sicilia; neppure quando l'avrebbero potuto, dopo il 7 agosto, lanciarono in avanti le loro forze corazzate per anticipare gli italiani ed i tedeschi sullo stretto, che non tentarono di occupare dal mare, pur avendone la possibilità, mediante sbarchi di forze consistenti che sarebbero caduti sul tergo delle forze italiane e tedesche e le avrebbero ingabbiate nell'isola. Vista sotto
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l'aspetto tecnico-militare l'offensiva anglo-americana fu quanto di meno abile e di meno manovrato si potesse fare in quella situazione. La natura del terreno favorì la difesa, mentre rese difficile all'attaccante di spiegare le 2 armate in modo da sfruttarne a pieno la grande superiorità, ma, anche tenendo conto di tale dato obiettivo, i generali inglesi e americani non fecero nulla per sfruttare le occasioni favorevoli che si presentarono loro, per utilizzare la loro grande capacità anfibia, per risparmiare tempo e per evitare i sanguinosi combattimenti che dovettero affrontare fino a tutto il giorno 7. I tentativi fatti dal generale Patton - la notte fra il 7 e 1'8 agosto a Sant' Agata, la notte fra il 10 e 1'11 a Brolo e la notte tra il 15 ed il 16 a Spadafora - e quello fatto dal generale Montgomery la notte sul 15 ed il 16 ad Alì Marina per cercare di accelerare l'avanzata mediante azioni anfibie, fallirono perché non sufficientemente dosati e soprattutto troppo tardivi per essere efficaci. Le unità della 3a divisione sbarcate con carri armati alla foce del torrente Rosmarino si scontrarono con le retroguardie della 29n tedesca che ripiegava e vennero efficacemente contenute per il tempo necessario al deflusso della divisione. Lo sbarco americano a Brolo della notte sull'l l agosto, effettuato con carri anfibi e con l'appoggio di forze navali ed aeree, in concomitanza con un attacco frontale contro le posizioni della 29a divisione con la quale erano artiglierie italiane, costrinse la divisione stessa ad arretrare ad est di Brolo - S. Angelo - Ucria, ma il successo tattico non andò al di là di tale arretramento, peraltro già predisposto e che fu solo dovuto effettuare con anticipo. Lo sbarco riuscì e si affermò nonostante l'accanita resistenza tedesca, ma ebbe conseguenze assai modeste. Lo sbarco americano a Spadafora e quello inglese ad All la notte sul 12 agosto caddero nel vuoto perché le zone erano state già sgomberate dalla difesa. In conclusione la 3" divisione americana entrò in Messina il 17 agosto quando le ultime retroguardie italo-tedesche e gli ultimi reparti costieri italiani. avevano già raggiunto le coste calabre. La rinunzia a difendere ad oltranza la Sicilia ed il passaggio da tale forma di difesa a quella della manovra in ritirata allo scopo di recuperare il più possibile delle forze furono decisioni dei comandi tedeschi, alle quali i comandi italiani, che ne furono tenuti ufficialmente all'oscuro fino alla mattina del 4 agosto, quando il generale Hube si presentò al generale Guzzoni per sottoporgli il problema sotto forma di proposta, dovettero alla fine sottostare per l'impossibilità di una qualsiasi altra soluzione, compresa quella apparsa in un primo momento al generale Guzzoni, più onorevole e
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più consona all'ordine a suo tempo ricevuto, di un'estrema difesa ad oltranza dell'isola solo da parte delle superstiti forze italiane. Quando i comandi tedeschi decisero lo sgombero della Sicilia? Alcuni storici e scrittori sostengono che la decisione fu presa subito dopo lo sbarco anglo-americano e si appellano soprattutto alla testimonianza del colonnello von Bonin che in una sua relazione dette tale versione. L'invio in Sicilia, dopo gli sbarchi, della 29" granatieri e della l paracadutisti smentiscono l'asserto del colonnello von Bonin, sempre poco credibile, e la smentita viene in primo luogo dalla condotta delle operazioni da parte degli stessi comandi tedeschi, improntata fino al 27 luglio al criterio di non cedere spazio al nemico anche a costo di un grave logoramento. Può darsi che presso l'O.K.W. sia stato discusso durante i primi giorni degli sbarchi anglo-americani se fosse stato conveniente ripetere l'errore della Tunisia o non piuttosto serbare forze per la difesa del continente, e che non sia stata ripudiata del tutto la seconda ipotesi, ma è fuori discussione che in un primo momento l'O.K.W. aveva deciso per la resistenza ad oltranza com'era d'altra parte nella prassi imposta da Hitler. Il mutamento di criteri nell'impiego delle unità tedesche, sospettato dai comandi italiani fin dal pomeriggio del giorno 26 - notizia ballon d'essai fatta circolare dai tedeschi il 26 luglio circa l'intenzione del XII corpo di ripiegare da Santo Stefano e da Nicosia per saggiare le reazioni degli ambienti italiani; notizia circa il ripiegamento la sera del 27 del gruppo Fullriede ad est di Nicosia e invito tedesco all'Aosta a fare altrettanto; ecc. - confermato dagli effettivi ripiegamenti del gruppo Fullriede la sera del 27 e di unità della 29a la sera del 29 e da altri indizi e fatti, venne accennato dal generale Hube al generale Guzzoni la mattina del giorno 28 e ufficializzato il mattino del 4 agosto. Il generale Rube dichiarò in quest'ultima circostanza che la situazione era tale da consigliare ulteriori ripiegamenti per non sacrificare nella loro totalità uomini e materiali e propose di trasferire senza indugio sul continente uomini e materiali non indispensabili, provvedimento che egli aveva già adottato, ma che aveva coperto affermando che si trattava di uomini non in grado di combattere e di materiali inefficienti abbisognevoli di grandi riparazioni. Il generale Guzzoni, pur riconoscendo che da un punto di vista puramente militare la proposta di non sacrificare uomini e mezzi al di là dei limiti di una resistenza remunerativa era fondata e conveniente, rispose di non voler prenderla in considerazione e di non volerla rappresentare ufficialmente allo stato maggiore dell'esercito per le implicazioni morali e politiche che poneva, soggiungendo che 11
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se il generale Hube avesse ritenuto d'insistere si sarebbe dovuto rivolgere al maresciallo Kesselring perché questi la discutesse direttamente con il Comando Supremo italiano. Nell'incontro, il generale Guzzoni ribadì che occorreva resistere sulla linea tenuta (da Catania per Adrano - ovest di Troina - San Fratello) e che soltanto quando fosse stato assolutamente necessario abbandonarla si sarebbe potuto ripiegare sulla linea di T ortorici, che correva da stazione Zappulla {litornea tirrenica) , per San Salvatore - Fitalia - Galati Mamertino M. Formisia - M. Pomarazzo - Randazzo - M. Etna - M. Cagliato Macchia a torre Archirafi (litoranea ionica). Il geneeale Hube non sollevò obiezioni agli ordini del generale Guzzoni che si sentì autorizzato a credere che i tedeschi non avessero deciso lo sgombero dell'isola. Tale decisione era stata, invece, già presa su direttiva del1'0 .K.W. e definita nelle modalità esecutive dallo stesso generale Hube (56), che il giorno 1 agosto aveva inviato a Roma il suo capo di stato maggiore dal maresciallo Kesselring perché questi approvasse il piano di sgombero e lasciasse libero il comandante del XIV corpo di stabilire l'inizio dell'arretramento. Il generale Hube mancò di lealtà nei riguardi del generale Guzzoni ed altrettanto fece , il mattino del giorno 6, il generale von Senger. Questi, chiamato dal generale Guzzoni irritato perché il comando del XIV corpo aveva comunicato che il corpo tedesco si stava ritirando progressivamente avendo come scopo finale l'abbandono dell'isola come d'accordo tra i generali Guzzoni e Hube, continuò a negare che vi fosse da parte tedesca ·qualsiasi intenzione di sgombero. Un'ulteriore, questa volta del tutto inutile, mancanza di lealtà perché l'intendimento tedesco era oramai chiarissimo, anzi si stava traducendo in atto dalla sera del giorno 5 agosto. Il generale Guzzoni informò lo stato maggiore dell'esercito di quanto stava accadendo, ma a Roma non si voleva ancora credere che i tedeschi avessero deciso di sgomberare l'isola e che a tale fine avessero richiesto per loro giorni avanti il comando dell'intera fronte. Egli confermò altresì la sua volontà di resistere fino all'ultimo con le sole forze italiane. L 'intendimento del generale Guzzoni - che ancora la mattina dell'8 rifiutò il suggerimento tedesco di trasferire il comando della 6a armata in Calabria lasciando in Sicilia la difesa costiera e le sole truppe italiane inquadrate nel XIV corpo germanico - non risultava comprensibile ai comandi tedeschi che non riuscivano a rendersi conto del perché i comandi italiani volessero insistere nella difesa, che sarebbe stata in ogni caso di breve durata, anziché preoccuparsi della Calabria, minacciata dagli sbarchi angloamericani che avrebbero tagliato fuori anche le forze operanti nel-
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l'isola. Il proposito del generale Guzzoni, inoltre, avrebbe sottratto ai tedeschi la libertà d'azione che de facto, anche se non de iure (il XIV corpo tedesco continuava a dipendere a tutti gli effetti dal comando della 6a armata), si erano procacciata, e li avrebbe messi nella condizione di fare una pessima figura davanti al mondo intero: i tedeschi abbandonano la lotta in Sicilia, gli italiani continuano a combattere. La situazione operativa che si determinò il giorno 9 alla quale accenneremo più avanti - convinse il generale Guzzoni che il tentativo dell'estrema resistenza italiana, sebbene ipoteticamente possibile, sarebbe stato quasi velleitario, costoso e di breve durata perché il lembo di terra necessariamente ristretto entro il quale si sarebbe dovuto condurlo avrebbe attratto su di sé la grande potenza del fuoco terrestre aereo e navale nemico, al quale le forze italiane, moralmente scosse e materialmente poco meno che inermi, non avrebbero potuto resistere che per poco tempo. Nella giornata del 9 il generale Guzzoni parlò per telefono direttamente con il generale Roatta e tra i due venne convenuto <li trasferire subito in Calabria truppe e mezzi italiani utili al potenziamento della difesa della regione calabra; di affidare al comando del XIV corpo tedesco l'ultima resistenza nell'isola ponendo ai suoi ordini anche le unità costiere italiane e la piazza militare marittima di Messina; di trasferire altresì in Calabria, dove dal giorno avanti era stata estesa fino al golfo di S. Eufemia la giurisdizione del comando della 6" armata, i comandi della 6a armata e lo stesso comando del XIV corpo d'armata del generale Rube (57) al quale si decise di affidare anche il compito di far traghettare in Calabria tutte le forze ai suoi ordini. Il trasferimento del comando della 6a armata avvenne con inizio dal giorno 10 agosto. Che cosa era avvenuto frattanto sulla fronte? Nella notte sul 5 la Goering aveva ripiegato da Catania lasciando a sud della città la retroguardia ed i resti di due battaglioni costieri della 213a divisione, complesso di forze che, congiuntamente alle unità della difesa del porto, consentl lo sgombero militare della città ed il ripiegamento di tutte le armi pesanti eccezione fatta per quelle su postazione fissa che furono rese inutilizzabili. La mattina del 5 si era aperta una falla, peraltro d'importanza limitata, tra la Goering e la Sizilien, a sud di Adrano, ed il generale Rube aveva fatto prospettare al generale Guzzoni dal generale von Senger la necessità di arretrare sulla linea di Tortorici, arretramento che il comandante italiano aveva giudicato prematuro anche perché, nel settore settentrionale della fronte, la posizione di resistenza di San Fratello-Troina non era stata
AVVENIMENTI DAL 25 LUGLIO AL 17 AGOSTO 1943
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intaccata. Il generale Hube aveva ordinato il ripiegamento per la notte sul 6 del gruppo Fullriede, che schierò la propria retroguardia a Troina. Nella stessa giornata il generale Guzzoni aveva disposto che la fanteria dell'Aosta, meno un battaglione impegnato in combattimento, e la divisione Assietta, meno il 29" fanteria e le artiglierie alle dipendenze della 29" tedesca, venissero ritirate dalla linea, che i resti dell'Aosta fossero ceduti alla Livorno in ricostituzione e che l'aliquota dell'Assietta si raccogliesse nella zona di Mazzarà Santo Andrea-borgata Casale agli ordini del XVI corpo. Il giorno 6: il battaglione dell'Aosta, che non aveva potuto ripiegare il giorno precedente, aveva combattuto fino alle 16 del pomeriggio e poi, ridotto a 170 uomini, aveva ripiegato ed era rientrato nelle Jinee; si era combattuto per l'intera giornata sulle posizioni di Traina in una Jotta che era stata, a detta dei comandanti americani, la più san?,uinosa di tutta la campagna; la 29" tedesca, comprendente il 29° fanteria e le artiglierie dell'Assietta, si era battuta accanitamente sulle posizioni di San Fratello al pizzo degli Angeli, resistendo fino a sera, quando per un'infiltrazione a sud di San Fratello in corrispondenza di un battaglione tedesco, era stata fatta ripiegare. Catania era stata occupata dalla 50a inglese la sera del 5, Misterbianco e Paternò dalla 5" inglese, Troina, sgomberata la sera del 6, era stata occupata dalla 1" americana all'alba del 7; l'abitato di San Fratello era caduto verso le 22 del 6, e quelli di Adrano e Biancavilla, occupati rispettivamente dagli inglesi e dagli americani, la notte sul 7. Il giorno 6 il comando del XIV corpo tedesco aveva comunicato al comando della 6, armata il programma degli ulteriori ripiegamenti automatici, indipendenti dal grado di pressione esercitato dal nemico, per le notti sull'8, sul 10 e sul 12 su 3 linee successive fino a quella di Tortorici che era stata concordata tra il generale Guzzoni ed il generale Hube come da raggiungersi esclusivamente quando costretti dal nemico. Nella giornata del 7 e durante la notte su11'8 l'intero fronte aveva ripiegato come stabilito dal generale Hube, mentre le unità angloamericane avevano continuato a proseguire lentamente senza premere. Fu con il maturare di tale situazione che il generale Guzzoni aveva pensato all'estrema resistenza italiana, proposito al quale aveva poi rinunziato, come abbiamo ricordato, per il progressivo restringersi del territorio sul quale svilupparla e per la non meno progressiva diminuzione della capacità offensiva delle forze italiane, in particolare delle artiglierie in linea sottoposte ogni giorno al fuoco della controbatteria terrestre e dell'aviazione, al logorio dei pezzi oramai nella grande maggioranza fuori uso e ad un consumo di munizioni
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che aveva rapidamente quasi azzerato tutte le disponibilità. In pratica dal 5 agosto la manovra di arresto era stata trasformata, per volontà tedesca, in manovra in ritirata e questa si era sviluppata secondo gli intendimenti, le modalità ed i tempi voluti dal generale Hube senza serie interferenze degli anglo-americani, se non quelle derivanti dal dominio, oramai del tutto assoluto, del cielo da parte della R.A.F. e dell'U.S.A.F. Dalle ore 12 del giorno 10, da quando cioè il generale Hube assunse de iure la difesa dell'ultimo lembo del territorio siciliano, la manovra in ritirata continuò a svolgersi regolarmente, intralciata più che dalle avanguardie dell'86 armata britannica e della 7a armata americana, dalle azioni aeree e dai bombardamenti navali sulle rotabili costiere. Il 14 agosto le retroguardie italo-tedesche tennero la linea Fumari-cantoniera Mandrazzi-Castiglione-Fiumefreddo; la sera dello stesso giorno si trasferirono sulla linea S. Antonio-Castroreale-M. Pizzkaro-M. Gardile-Misitano-Limina-Mongiuffi-M. Veneretta-Giardini; la sera del 16 occuparono l'ultima linea che si svolgeva lungo le località di Divieto-M. Antennamare-Moleti. La manovra in ritirata si concluse con pieno successo e ben povere di contenuto suonarono le parole con cui quel giorno ( 17 agosto) Alexander informò il primo ministro inglese della conclusione della campagna: Entro le 10 di oggi 17 agosto 1943, l'ultimo soldato tedesco è stato cacciato fuori dalla Sicilia... Si può ritenere che tutte le forze italiane presenti nell'isola il 10 luglio siano state annientate, anche se è possibile che qualche unità abbia raggiunto, malconcia, la terraferma. Per quanto si può dedurre dai documenti disponibili, i soldati tedeschi in Sicilia erano poco più di 60 mila e quelli italiani 195 mila (Alexander valutava invece che essi ammontassero, rispettivamente, a 90 mila e 315 mila) (58). Sotto l'aspetto politico la campagna di Sicilia si concluse con un enorme successo per gli anglo-americani - la fine del regime fascista e la resa dell'Italia - ma sotto l'aspetto tecnico-militare non fu per loro una vittoria brillante: nonostante la loro enorme potenza e superiorità di forze e di mezzi terrestri, navali ed aerei non erano riusciti a piegare in combattimento i loro deboli avversari e neppure ad accerchiarli ed a tagliare loro la via della ritirata.
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Lo sgombero dell'isola da parte delle forze italiane e tedesche fu un'operazione sistematica, tutto sommato ordinata e riuscita al di
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là delle più ottimistiche previsioni. Organizzata e diretta molto bene dal comando del XIV corpo d'armata tedesco, che si avvalse anche del comando militare autonomo della marina della Sicilia, del comando delle forze dell'esercito della piazza militare marittima di Messina e del comando di tale piazza, tutti operanti in stretta coordinazione, essa fu portata a compimento entro i termini di tempo prestabiliti. Gli anglo-americani, nonostante l'assoluto dominio del cielo e del mare, non riuscirono ad impedirla. Nell'occasione il generale Rube dette prova di grandi capacità organizzative e di volontà di cooperazione con le forze italiane ristabilendo il clima di collaborazione iniziale interrotto dopo il colpo di Stato del 25 luglio, benché tale clima fosse reso difficile, proprio durante le operazioni di evacuazione dell'isola, dai vari incidenti che si verificarono tra reparti italiani e tedeschi. Le relazioni sempre difficili, come in Africa settentrionale così in Russia, tra i comandi operativi italiani e tedeschi, in Sicilia lo furono ancora di più per il fatto che il comando delle forze armate della Sicilia era stato posto alle dipendenze dello stato . maggiore dell'esercito anziché del Comando Supremo, dal quale dipendeva il maresciallo Kesselring, o con il quale questi, quanto meno, aveva contatti diretti quasi quotidiani. Intervenuto il colpo di Stato del 25 luglio, fn quasi naturale che allo spirito di collaborazione e di comprensione, generalmente scarso da parte tedesca, si aggiungessero i timori di un improvviso abbandono italiano della lotta e si facessero più aspre le divergenze di vedute e soprattutto d'interessi. Il generale Gu:.~zoni non ricorse mai a slealtà o ad inganni; il generale Hube si, costrettovi dagli ordini dei suoi superiori che non credevano nelJa dichiarata volontà del nuovo governo di continuare la lotta e temevano per le loro truppe in Sicilia che avrebbero potuto essere inutilmente sacrificate nel caso di una resa italiana. D'altra parte, il Comando Supremo italiano veniva dandosi da fare in quel periodo per contattare i comandi anglo-americani allo scopo di tirare l'Italia fuori dalla guerra, divenuta almeno per l'Italia insostenibile e priva di significato strategico. Rimprovevare all'O.K.W., al maresciallo Kesselring, al generale Rube ed al generale von Senger la decisione del passaggio alla manovra in ritirata, i] comportamento tenuto nei riguardi del comando delle forze armate della Sicilia, peraltro quasi costantemente corretto dal punto di vista formale, e le modalità tecnicamente validissime con le quali svolsero la manovra sarebbe del tutto ingiustificabile: questa, sebbene decisa in ragione della preminenza data alla salvaguardia degli interessi tedeschi, non compromise quelli italiani. La manovra d'arresto, d'altra parte, avrebbe avuto
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egualmente come esito finale la sconfitta. L'esito sarebbe stato forse ritardato per un periodo di tempo maggiore di quello guadagnato mediante la manovra in ritirata, ma questa conseguì in gran parte il suo scopo con buona pace del generale Alexander costretto a mentire, per salvare la faccia, davanti al primo ministro del suo Paese. Se è comprensibile e lodevole che il generale Guzzoni, sulla base dell'ordine di resistere fino all'ultimo, abbia pensato e cercato di realizzare l'estrema resistenza italiana sulla cuspide dell'isola e vi abbia rinunziato quando dové prendere atto della materiale impossibilità di attribuirle un significato sia pure emblematico, è meno chiaro i] perché il Comando Supremo italiano abbia tardato a credere nella ricerca da parte dei tedeschi della libertà d'azione per la manovra in ritirata e non abbia subito colto la palla al balzo quando il generale Hube propose lo sgombero dell'isola. La preoccupazione quasi unica del Comando Supremo era oramai l'uscita dell'Italia dalla guerra. Fallito il tentativo di Feltre di avere a tale fine il consenso di Hitler - che, diversamente da quanto sostenne poi il maresciallo Kesselring (59), quasi certamente Mussolini non avrebbe ottenuto anche se lo avesse chiesto - e attuato il colpo di Stato con l'arresto di Mussolini, il Comando Supremo e, prima ancora, il nuovo governo sembrarono trovarsi all'improvviso di fronte al problema dei rapporti politici e militari con i tedeschi la cui soluzione non era stata adeguatamente studiata e minutamente programmata, ma rinviata a dopo , quasi che per la riuscita del colpo di Stato la minaccia maggiore non fosse la ritorsione dei tedeschi, ma la ribellione - che non vi fu di Mussolini e dei fascisti. Governo e Comando Supremo pensarono di poter tenere buoni Hitler e 1'0.K.W. con la frase la guerra continua. I tedeschi, nonostante le ripetute e solenni professioni di fedeltà all'Asse da parte del nuovo governo e dei capi militari italiani, con il re in testa, presero subito le loro precauzioni e le misure di salvaguardia dei loro interessi - tra queste il passaggio alla manovra in ritirata in Sicilia - e, rinunziando alla repressione immediata (arresto del re, dei membri del governo, sostituzione dei capi politici e militari, reinserimento di Mussolini e dei suoi fedeli, occupazione militare tedesca della penisola, ecc.) di incerta riuscita in quel momento, si prepararono minuziosamente all'eventualità della rottura dell'Asse da parte dell'Italia. L'esame analitico critico della mancata contemporaneità, o quasi, della caduta del fascismo e del distacco dall'Asse interessa più la storia politica che non quella militare, ma il fatto ebbe gravi incidenze negative sui rapporti tra i comandi operativi italiani e quelli tedeschi, incrementando il clima di sospetto,
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di congetture, di trepidazione e d'impotenza nel quale il Comando Supremo italiano visse i 4 5 giorni che precedettero 1'8 settembre e dal quale, invece, 1'0.K.W. non si lasciò paralizzare e soffocare. Vi fu mancanza di lealtà da entrambe le parti per salvaguardare i rispettivi interessi divenuti divergenti, ma mentre il Comando Supremo italiano - peraltro in situazione più complessa, difficile, delicata e militarmente assai debole - si lasciò dominare dallo smarrimento di chi perde la strada, non sa più dove e come andare e si affida al caso, l'Alto Comando tedesco tirò diritto lungo la sua via, mettendosi gradualmente in situazione di sicurezza per fronteggiare il peggio non tanto temuto quanto previsto. Da qui il comportamento del Comando Supremo e dello stato maggiore dell'esercito nei riguardi delle operazioni della campagna di Sicilia caratterizzato: dal mancato invio di rinforzi sempre promessi, mai negati, ma mai fatti giungere nel1'isola; dalle pronte risposte negative alle richieste tedesche di estendere il potere operativo, seguite quasi subito da contrordini tendenti ad accoglierle; dall'evasività opposta ai precisi quesiti operativi avanzati dal generale Guzzoni; dalla tendenza al ponziopilatismo in modo da eludere precise responsabilità dirette e di scaricarle sul comando delle forze armate di Sicilia. Malgrado ciò, il generale Guzzoni, il suo stato maggiore, i comandi di corpo d'armata italiani - ai quali non sfuggì l'indeciso e dubbio comportamento degli organi centrali dettero costante prova di competenza professionale, di capacità di direzione, di prontezza di decisioni, di sangue freddo, di savoir-faire con i comandi tedeschi senza mai ingannarli circa i propri intendimenti. La campagna di Sicilia fa onore ai soldati ed alle minori e grandi unità italiane e tedesche che la combatterono con abilità, ed al generale Guzzoni, a quasi tutti i capi che diressero le operazioni, grandi e piccole, ed agli stati maggiori di tutti i livelli che seppero bene interpretare gli intendimenti dei rispettivi comandanti, tradurli abilmente sul piano organizzativo, seguirne il corretto sviluppo esecutivo . La crisi d'impotenza degli organi di comando centrali - la peggiore delle crisi funzionali della catena gerarchica militare - non contagiò i comandi operativi italiani della Sicilia. Nella campagna di Sicilia i criteri d'impiego delle unità e l'articolazione tattica delle forze italiane, fermi nella loro essenza alla dottrina ed agli ordinamenti anteriori al 1940, si ispirarono più che altrove ai modelli tedeschi e cercarono di riprodurli sia pure su scala molto modesta, nei limiti consentiti. dalle diverse e distanti quantità e qualità dei mezzi in dotazione . La constatazione del fallimento, anche sul solo piano culturale, della dottrina tattica ufficiale e del-
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l'ordinamento tattico delle forze su tutte le fronti, da quelle delle Alpi occidentali e delle montagne albanesi a quelle del deserto africano e della steppa russa, trovò nella campagna di Sicilia una nuova conferma. I rimedi - quale, ad esempio, la costituzione organica della divisione di fanteria tipo A.S. 42 - che sia il Comando Supremo sia lo stato maggiore dell'esercito avevano cercato di porre agli errori concettuali si erano dimostrati inefficaci. Il male che era a monte della dottrina e dell'ordinamento non era guaribile; difettava la medicina per curarlo, vale a dire una produzione industriale che sfornasse carri armati, autoblindo, cannoni controcarro e contraerei, mezzi meccanizzati e motorizzati, nuove artiglierie ed aerei. Le fabbriche davano quanto consentito dalla disponibilità di materie prime e di energia e dalle capacità di trasporto e dovevano superare spesso le lungaggini tecniche e burocratiche delle scelte e delle commesse; di più non potevano dare. In Sicilia, tuttavia, la disponibilità di nuove artiglierie o di artiglierie relativamente moderne (artiglierie della Livorno, cannoni da 90/53, semoventi da 75/18, pezzi da 105/28) e la disponibilità di qualche unità di fanteria mobile (compagnie motociclisti, compagnie motomitraglieri, battaglioni semoventi da 47 /32, unità di fanteria autotrasportate) consentì la costituzione di gruppi mobili - ideati e realizzati dapprima dal generale Carlo Rossi, comandante del XVI corpo d'armata - che valsero ad accrescere le possibilità della manovra tattica dei. corpi d'armata e delle divisioni e risultarono di buon rendimento sebbene fossero privi di carri armati che potessero sostenere il confronto con quelli del nemico. I comandanti dell'armata, dei corpi d'armata e delle divisioni cosidette mobili non furono succubi delle indicazioni dottrinali ufficiali e degli schemi ordinativi ed organici in essere, ma li superarono e si attennero costantemente al principio della manovra delle forze e del fuoco, utilizzando e sfruttando il personale ed i mezzi molto al di là delle prestazioni normali. Il generale Montgomery denunziò il 15 luglio la stanchezza fisica della 51 "' divisione britannica che aveva dovuto avanzare a piedi; che cosa non avrebbero dovuto dire la Napoli, l'Assietta e l'Aosta ai primi di agosto dopo una serie continua di movimenti a piedi e di combattimenti accaniti? Vi fu da parte dei comandi di grande unità, compreso quello dell'armata, la sopravvalutazione delle capacità difensive delle unità costiere. Fu senza dubbio un errore concettuale che non rimase senza conseguenze morali e pratiche; forse fu l'unico; per il resto la direzione e la condotta delle operazioni furono improntate a concezioni e modalità del tutto aderenti al campo di battaglia del mo-
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mento, fermi restando gli handicaps di partenza. L'impiego di unità carri a sostegno delle fanterie non andò oltre i gruppi mobili, ma non a causa dell'arretratezza delle idee e delle concezioni d'impiego, ma della mancanza di carri armati. Dai semoventi controcarro fu tratto il massimo rendimento possibile applicando le tecniche d'impiego più avanzate e progredite; qualora in luogo dei battaglioni semoventi da 47 /32 fossero stati disponibili altri battaglioni o gruppi da 75/18 o , meglio ancora, da 90/53, il numero delle perdite angloamericane di carri armati sarebbe stato molto maggiore. Nell'impiego delle artiglierie l'ampiezza delle fronti rese rara la manovra delle traiettorie; si suppll spesso con la manovra degli schieramenti delle artiglierie a traino meccanico e, quando possibile, anche di quelle a traino animale, spostando le unità da un settore difensivo ad un altro indipendentemente dal fatto che vi agissero unità italiane o tedesche. Tutte le artiglierie di armata, di corpo d'armata e divisionali parteciparono alla lotta, normalmente al livello di gruppo, spesso di batteria, quando non anche di sezione di pezzo, proiettandosi su linee avanzate per sopperire alle corte gittate. Ciò determinò spesso, specialmente per quelle a traino animale o someggiate, il loro coinvolgimento neJla lotta ravvicinata e la perdita o 1a forzata inutilizzazione dei pezzi. Il punto di vulnerabilità maggiore fu rappresentato, come del resto per il movimento delle unità motorizzate ed autotrasportate, dall'assenza di una benché minima copertura aerea, assenza che talvolta sconsigliò il ricorso alla manovra sia delle unità italiane sia di quelle germaniche e più spesso ne fece fallire l'attuazione. Quando la lotta si spostò sul terreno impervio - e limitativo dell'impiego delle unità corazzate e motorizzate - del triangolo montagnoso della Sicilia nord-orientale, le poche unità italiane partecipanti alla manovra in ritirata, sebbene con un grado di efficienza molto al di sotto di quello iniziale in seguito ai combattimenti sostenuti ed ai movimenti effettuati in precedenza, dettero alle unità tedesche, in particolare alla 29" divisione, un concorso di fuoco e di resistenza determinante ai fini della tenuta delle varie posizioni. Nella campagna di Sicilia, malgrado la defezione di alcuni comandanti e di alcuni reparti e la diserzione di nuclei e di singoli, comandi ed unità italiani, al pari di quelli tedeschi, dettero molto di più di quanto sarebbe stato ragionevole e lecito attendersi nella situazione di schiacciante inferiorità di forze e di mezzi terrestri e di pochezza, divenuta ben presto nullità, dell'appoggio aereo diretto.
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NOTE AL CAPITOLO XXXIX (1) Marshall George Catlett ( I 880-1959), generale e uomo politico statunitense. Frequentata la scuola di guerra, partecipò alla prima guerra mondiale; fu poi inviato in Cina nel 1924. Tornato in patria nel 1927 coprl vari incatichi presso lo stato maggiore. Divenne capo di stato maggiore generale nel 1939 e tenne la carica fino al 1945, distinguendosi, tra l'altro, per la sua abili tà diplomatica nei rapporti con gli Alleati. Al termine del secondo conflitto mondiale fu inviato in Cina per un tentativo di mediazione tra Chiang Kai-shek e Mao Tse-tung che però fallì. Fu poi, dal 194ì al 1949 segretario di Stato di Truman. ln tale veste lanciò l'« European Re<..u very Program (E.R.P.) »: un programma di aiuti per la ricostruzione dell'economia europea. Ottenne il premio per la pace (1953 ). Negli anni 1950-51 fu segretario alla difesa.
(2) B. H. Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Arnaldo Mondadori, Verona, 1971, p. 619. (3) Feldmaresciallo Montgomery, Da cl Alamein al fiume Sanfl.rO. Arnaldo Mondadori, Verona, 1971, p, 112. (4) Dei 1 800 mezzi da sbarco (20 tipi d iversi), i più importanti erano: gli L.C.il. ( Landing Cra/t Personnel) per trasporto di uomini, gli L.C.M. ( Landing Craft Motor ) per il trasporto di carri leggeri da 15 a 18 t e autohlindo, gli L.C.T. (Landing Craft Tank) per il trasporto di carri pesant i da 30-38 t. Gli anglo-americani disponevano , inoltre, degli L.S.T. (Landing Sbip T ank) che erano grandi navi che trasportavano e mettevano in mare i battelli da sbarco per fanteria ( L.C.A. e L.C.P.) e i veicoli corazzati anfibi (D.U.K.W.). (5) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p . 619. (6) TI XV gruppo d'armate - comandante il generale Harold Alexander, vice comandante delle forze terrestri d'invasione della Sicilia - era costituito da: - 8" armata britannica, comandata dal generale sir Bemard Law Montgomery, coadiuvato dall'ammiraglio sir Berrram H. Ramsey e dal vice maresciallo dell'aria Broadhurst, comprendente: - XIII corpo d'armata (tenente generale Miles Dempsey) su: 5' e 50"' divisione; - XXX corpo d 'armata (tenente generale sir O liver Leese) su: 51" divisione, ] " divisione canadese, CCXXXI hrigata Malta; - 7a divisione corazzata; - 1 a divisione aviotrasportabilc con 134 aerei da trasporto e numerosi alianti; - 3° commandos; - X corpo d'armata, disponibile a Tripoli, con 56"' divisione in Tunisia; - 7"' armata americana, comandanta dal generale Georges Patton, coadiuvato dall'ammiraglio Henry Kent H ewit e dal generale dell'aeronautica Cari Spaatz, comprendente: - II corpo d 'armata (generale Omar Brad ley) su: P divisione, 3" divisione, 45' divisione e 3 battaglioni rangers; - 2• divisione corazzata; - 82• divisione aviotrasportata con 226 aerei da trasporto e numerosi alian ti ;
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- 9• divisione, disponibile in Tunisia.
In totale il XV gruppo di armate comprendeva: 10 divisioni di fanteria di
cui
.3 in riserva, 2 divisioni corazzate, 2 divisioni aviotrasportate e reparti speciali. Nd teatro dd Mediterraneo erano disponibili altre 10 divisioni. I porti d'imbarco furono: Porto Said, Alessandria, Tripoli, Susa e Sfax per l'8a armata britannica; Orano, Algeri, Biserta per la 7a armata. Le forze navali comprendevano 280 navi da guerra e 2 775 navi da trasporto. Le forze aeree contavano più di 4 000 aerei, ripartiti in 146 squadtiglie americane e 121 britanniche. Il supremo comando di tutte le forze dell'operazione « Husky » era tenuto dal generale Dwight Eisenhower che aveva alle dipendenze, oltre il generale Alexander, l'anuniraglio sir Andrew B. Cunningham comandante delle forze marittime ed il maresciallo dell'aria sir Arthur W. Teddcr comandante delle forze aeree. (7) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 620.
(8) Ibidem, p. 621. (9) Ibidem, p. 627. (10) Gcn. Emilio Faldella, Lo sbarco e la difesa della Sicilia. L' Aniene editrice, Roma, 1956, allegato n. 2, p. 421. (1 1) Ezio Rosi (1881-1963), generale d'armata. Nominato sottotenente di artiglieria nel 1900 frequentò la scuola di guerra e durante la prima guerra mondiale esplicò funzioni di stato maggiore presso comandi di grandi unità (sottocapo di stato maggiore del IV corpo d'armata, capo di stato maggiore della 64• e della 48• divisione , capo ufficio operazioni della 7" armata). Dopo la guerra comandò 1'11° rc-ggimento :miglieria da campagna, fu capo di stato maggiore del comando militare di Sicilia e infine all'ufficio Servizi dello stato m~giore esercito. Da generale di hrigata comandò l'artiglieria del corpo d'armata di Bologna, e fu poi direttore generale dei servizi logistici presso il ministero della guerra. Promosso generale di divisione per meriti ecce:i:ionali, venne nominato sottocapo di stato maggiore intendente dell'esercito, e successivamente comandò la divisione Granatieri di Sardegna. Da generale di corpo d'armata, nel 1939, venne nominato comandante del VI corpo d'armata. Nel novemhre 1940 assunse le funzioni di comandante dcli'« Armata del Po» e successivamente del comando della 6a armata. Nominato comandante designato d'armara nel 1942, nel febbraio del '43 assunse l'incarico di capo di stato maggiore dell'esercito. Il 18 maggio 1943 venne nominato comandante del gruppo armate est. Promosso generale d'armata , conservò il comando del gruppo armate est. L'8 settembre fu internalo in Germania e rimase prigioniero, prima in Germania poi in Italia, fino alla fine della guerra. (12) Il quadro di battaglia al 30 giugno 1943 era il seguente: - comando forze armate della Sicilia: generale d 'armata Alfredo Guuoni: - 6.. armata: generale d'armata Alfredo Guzzoni; - intendew.a della 6" armata (generale di brigata Ugo Abbondanza) comprendente lo stato maggiore d'intendenza e le direzioni di sanità, commissariato, amministrazione, d'artiglieria, del genio, ippica e veterinaria, dei trasporti, dei servizi automobilistici, dei servizi chimici, delle tappe, delle strade; - comando militare autonomo della marina di Sicilia (ammiraglio di squadra Pietro Barone) comprendente lo stato maggiore e le piazze militari marittime di: - Messina-Reggio Calabria (ammiraglio di squadra Pietro Barone) con alle dipen-
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denze: 116° reggimento fanteria costiero su 2 battaglioni, un gruppo da 100/22, un gruppo di cavalleria appiedato, una legione camicie nere (2 battaglioni), 1190 reggimento fanteria costiero su 4 battaglioni, un gruppo da 149/19, 14 batterie antinave e contraerei con duplice compito, 38 batterie contraerei; • Augusta-Siracusa (contrammiraglio Priamo Leonardi) con alle dipendenze: 121° reggimento fanteria costiero su 4 battaglioni, una batteria da 76/42, un battaglione marinai, un battaglione avieri, 6 batterie costiere antinave di grosso e medio calibro, 11 batterie antinave e contraerei con duplice compito, 6 batterie contraerei, un treno armato della R. Marina con 4 pezzi da 120 mm; - Trapani (contrammiraglio Giuseppe Manfredi) con alle dipendenze: 137° reggimento fanteria costiero su 3 battaglioni, 9 batterie antinave e contraerei con duplice compito, 3 battere antinave; . squadrig,lie motosiluranti; - comando dell'aeronautica della Sicilia (generale di divisione aerea Adriano Monti) comprendente lo stato maggiore e le unità cosl distribuite: . unità aeree da caccia: 15 squadriglie (3 Catania, 3 Finocchiara, 3 Comiso, 3 Sciacca, 3 Chinisia); · unità da osservazione: 2 squadriglie (1 Gerbini, 1 Boccadifako); - unità da ricognizione marittima: 4 sezioni (1 Milaz:w, 2 Augusta, 1 Stagnone); . unità aerosiluranti: 1 squadriglia (Gerbini); . unir~ dell'esercito di difesa fissa degli aeroporti alle dipendenze dei comandanti <li aeroporto; - difesa contraerei territoriale: 13 batterie da 102/35/9 della marina e -l della milizia, 56 batterie da 90/53 (6 dell'esercito, 9 della marina, 41 della milizia ), 4 batterie da 90/42 (della marina), 7', hatterie da 76/40 {6 dell'esercito, 35 della marina, 32 dc.Ila milizia), 8 batterie da 75/46 (5 dell'esercito, 3 della marina), 18 batterie da 37 (11 dell'esercito, 7 della milizia), 43 batterie da 20 (16 dell'esercito, 27 della milizia). In totale 220 batterie ( 49 dell'esercito, 57 dc.Ila marina, 114 della milizia volontaria artiglieria contraerea). La 6"' armata comprendeva: - comando: capo di stato maggiore (generale di brigata Emilio Faldella); sottocapo di stato maggiore, uffici di stato maggiore: operazioni, informazioni, telecomunicazioni, ordinamento, segreteria; ufficiali di collegamento con lo stato maggiore dell'esercito, con la marina, con l'aeronautica, con la milizia; comandante dei carabinieri; comandanti dell'artiglieria e del genio; - XII corpo d'armata (generale di corpo d'armata Mario Arisio e dal 12 luglio generale di corpo d'armata Francesco Zingales) comprendente: · stato maggiore; - forze mohili: divisione Aosta (5° e 6° reggimento fanteria, 171' legione camicie nere su 2 battaglioni, un battaglione mortai, 22° reggimento artiglieria su 2 gruppi da 75/27 ippotrainati, uno da 75/18 a traino meccanico, uno da 75/13 someggiato, 2 batterie contraerei da 20 mm, un battaglione genio, servizi); divisione Assietta (290 e 30° reggimento fanteria, 17a legione camicie nere su 2 battaglioni, un battaglione mortai, 25° reggimento artiglieria su 2 gruppi da 100/17 e 2 gruppi da 75/27 tutti ippotrainati, 2 batterie contraerei da 20 mm, un battaglione genio, servizi); - truppe di corpo d'armata: uo battaglione mitraglieri, XII raggruppamento d'artiglieria (3 gruppi da 105/28 e 2 gruppi da 149/13), un gruppo contraerei da 75 CK;
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unità di rinforzo: 100 reggimento bersaglieri (su 3 battaglioni), 117° reggimento oersaglieri (su 3 battaglioni), un battaglione costiero autocarrato, un battaglione bersaglieri ridotto, un battaglione bersaglieri controcarro, 2 compagnie motociclisti, comando del XII battaglione carri L, un battaglione carri A/35 (50 carri), una squadriglia autoblindo (13 autoblindo), un battaglione controcarri da 47 /32, una compagnia semoventi da 75/18, un gruppo squadroni, una compagnia motomitraglieri, 3 gruppi da 75/27 a traino meccanico, un gruppo da 105/28, una batteria 75 mod. 97/37 ; - truppe costiere: 136° reggimento autonomo su 2 battaglioni, difesa porto N (Palermo) su 3 battaglioni, un gruppo cd una batteria pesante campale, un gruppo da 100/17 sottratto alI'Assietta, un gruppo cavalleria appiedato; 208& divisione costiera (133° e 147° reggimento su 3 battaglioni ciascuno, un gruppo da 100/17 e uno da 105/45); 202~ divisione costiera (142° reggimento su 4 battaglioni, 124° reggimento su 3 battaglioni, 9 gruppi di artiglieria: uno su 1 batteria da 149/ 35 e 1 da 155/ 36, 2 gruppi da 100/ 22, un gruppo da 149/35, un gruppo da 149/ 19, 2 gruppi da 75/27, un gruppo da 105/28, un gruppo pesante campale); 207a divisione costiera (13So reggimento fanteria su 3 battaglioni e 1 battaglione mitraglieri; 139'" fanteria su 3 battaglioni; un gruppo di artiglieria su 2 batterie da 149/ 35 e 1 batteria da 105/27; un gruppo di artiglieria su 3 batterie da 105/27 e 1 batteria da 75/27; un gruppo su 2 batterie da 105/22; un gruppo su 2 batterie da 105/27 e 1 batteria da 75/34; rinforzi : lTr bersaglieri, una compagnia motomitragliatrici, un battaglione controcarri, un treno armato della marina con 4 pezzi da 120/45, un treno armato della marina con 4 pezzi da 76/ 40); XVI corpo d'armata (generale di corpo d'armata Carlo Rossi) comprendente: - stato maggiore; - forze mobili: divisione Napoli (75° e 76° reggimento fanteria, 173a legione camicie nere su 2 battaglioni, 1 battaglione mortai, 54° reggimento artiglieria su un gruppo da 100/17 ippotrainato, un gruppo da 75/27 ippotrainato, 2 gruppi da , 75/ 18 a traino meccanico, 2 batterie contraerei da 20 mm, 1 battaglione genio, servizi); - truppe di corpo d'armata: un battaglione mitraglieri; XL raggruppamento di artiglieria (3 gruppi da 105/28 di cui uno su 2 batterie; 2 gruppi da 149/ 13, un gruppo contraerei da 75 CK); - unità di rinforzo : un battaglione bersaglieri, 4 compagnie motociclisti, 3 compagnie mitraglieri, un battaglione carri R/35 (50 carri), una compagnia carri 3 000, un battaglione semoventi (15 semoventi ) da 47 /32, 3 battaglioni controcarri da 47 /32, un gruppo da 75/27 a traino meccanico; -
- truppe costiere: XIX brigata costiera (179" e 140° reggimenti di fanteria su 2 battaglioni ciascuno, 4 batterie da 122/45, una compagnia motociclisti e un battaglione controcarri in rinforzo); 213a divisione costiera (1350 reggimento su 2 battaglioni, un battaglione autonomo, una compagnia mitraglieri, difesa porto « E • (Catania) su: 2 battaglioni; un gruppo da 305/17 su 2 batterie; un gruppo su 2 batterie da 149/35, 1 batteria da 105/14, 2 batterie da 105/27, 1 batteria da 149/19; un gruppo da 100/22 su 3 batterie; 1 batteria da 75/27; 1 treno armato della marina con 4 pezzi da 120/45 e un battaglione semoventi da 47 /32 in rinforzo); 206" divisione costiera (146° fanteria su 3 battaglioni e 3 compagnie mitraglieri, 122° fanteria su 2 battaglioni, 123° fanteria su 3 battaglioni, un gruppo da 149/35 su 3 batterie di 5 pezzi ciascuna, un gruppo da 100/22 su 3 batterie, un gruppo da 75/06 su 2 batterie, un gruppo da 149/35 su 3 batterie, un gruppo da 149/35 su 2 batterie ed
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1 batteria da 105/14, un battaglione semoventi da 47/32 in rinforzo); XVIII brigata costiera (178<' reggimento su 2 battaglioni e 134° reggimento su 2 battaglioni , un gruppo da 149/35 su l batteria, un gruppo 75/27 su 3 batterie, una batteria da 155/36 senza munizioni, 1 gruppo da 100/ 22 su 3 batterie, una batteria da 75/ 34); - unità a disposizione del comando 6~ armata: divisione Livorno (33° e 34° reggimento fanteria, un battaglione mortai, un battaglione guastatori, un battaglione semoventi da 47 /32, 28° reggimento artiglieria su 2 gruppi <la 75/18 e 2 gruppi da 100/17 tutti a traino meccanico, .3 batterie da 20 mm, un battaglione genio; servizi); lI battaglione arditi del 10° reggimento arditi; una compagnia camionette, gruppi paracadutisti sabotatori; X raggruppamento semoventi da 90/5.3 su .3 gruppi di 2 batterie ciascuno (24 semoventi); un gruppo da 90/53 su 2 batterie; una batteria da 75/27 a traino meccanico. Con le truppe di corpo d'armata e con i rinforzi i 2 corpi d'armata costituirono 8 gruppi mobili (A, B, C presso il XII corpo d'armata, D, E, F, G, H presso il XVI ) e 8 gruppi tattici (lncbiapparo--Casale, Alcamo-Partinico, Chiusa-Scia/ani Campobello di Ucata-Ravanusa presso il XII corpo; Barcellona, Unguaglossa, Carmito, Comisolspica presso il XVI). (13) La Sizilien, costituita con reparti <li varia provenienza, constava di: un gruppo esplorante corazzato, 3 reggimenti di fanteria su 2 battaglioni, un reggimento mortai su 2 battaglioni, 3 gruppi <li artiglieria, 65 carri armati tra i quali 17 «Tigre»; comprendeva 316 ufficiali, 2 430 sottufficiali, 13 029 uomini (in totale 16 047 uomini ); era articolata su 3 gruppi: Ens, Koerner, Fullriede.
(14) La Goering era costituita inizialmente da: un reparto esplorante, 2 battaglioni di fameria, 100 carri armati, un bauag]one pionieri. (15) Veds. precedente nota n. 12.
(16) Lo sbarco e la difesa della Sicilia. Op. cit., p. 47.
(J7) Da el Alamein al fiume Sangro. Op. cit., p. 120. (18) Veds, precedente nota n. 12. I gruppi mobili furono tuttavia di grande rendimento, II gruppo A, dislocato a Paceco, era costituito da: comando battaglione carri L, una compagnia carri R/.35, una compagnia semoventi da 47 /32, una compagnia costiera mobile, una batteria da 75/27 a traino meccanico, una se.tione da 20 mm. Il gruppo B, dislocato a S. Ninfa, era costituito da: comando di un battaglione semoventi, una compagnia semoventi da 47 /.32, una compagnia carri R/35, 2 compagnie costiere mobili, una batteria da 75/ 27 a traino meccanico, un plotone motociclisti, una se-.tione da 20 mm. Il gruppo C, dislocato a Portella Misilbesi, era costituito da: comando <li un battaglione carri, una compagnia costiera mobile, una compagnia carri R/35, una compagnia controcarri da 47 /32. Il gruppo D, dislocato a Misterbianco, era costituito da: comando battaglione carri, una compagnia carri R/35 (16 carri), una compagnia motomitraglieri (18 mitragliatrici), una compagnia controcarri da 47 /32 (6 pezzi), una compagnia dd 76° fanteria, una batteria da 75/18 a traino meccanico d ella Napoli, una sezione da 20 mm della Napoli. Il gruppo E, dislocato a Niscemi, era costituito da: una compagnia carri R/35, una compagnia controcarri da 47 /32, una compagnia costiera, una compagnia motociclisti, una batteria da 75/ 18 della Napoli, una sezione da 20 mm dell'Assietta. Il gruppo F, dislocato a Rosolini, era costituito da: una compagnia carri R/35, una compagnia controcarri da 47 /.32,
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una compagnia costiera, una compagnia mitraglieri, una batteria da 75/06 a traino meccanico. Il gruppo S, dislocato a Comiso, era costituito da: comando di un battaglione di camicie nere, una compagnia controcarri da 47 /32, un plotone carri R/35, una batteria da 75/18 a traino meccanico della Napoli. II gruppo H, dislocato a S. Pietro-Caltagirone, era costituito da: una compagnia controcarri da 47 /32, una compagnia carri 3 000, un plotone mortai della Napoli, una batteria da 75/18 a traino meccanico della Napoli. (19) Veds. precedente nota n . 12. (20) Ministero della Difesa. Stato maggorc dell'esercito. Ufficio storico, Le operaz.ioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943. Tipografia Regionale, Roma, 1975, p. 220.
(21) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 613. (22) Lo sbarco e la difesa della Sicilia. Op. cit., p. 33. (23) Ibidem. (24) Ibidem, allegato n. 4, p. 427. (25) lbi<lt:m, p. 58.
(26) Ibidem, p. 74. (27) Ibidem, p. 331. (28) Ibidem, allegato n. 5, p. 429. (29) Ibidem, p. 66. (30) Ibidem, p. 71. (31) Storia della seconda guerra mondiale. Op_ cit., p. 621. (32) Veds. cap. XXXIII, nota n. 83 bis. (33) Storia della seconda guerra mondiale. Op cit., p. 621.
(34) Lo sbarco e la difesa della Sicilia. Op. cit., p. 114. (35) Ibidem, p. 296. (36) Albert Kessclring, Memorie di gueffa. Garzanti, Milano, 1954, p. 171. Lo sbarco e la difesa della Sicilia. Op. cit., allegato n. 4, p. 427.
(38) Ibidem, p. 130. (39) La difesa della piazza era cosi organizzata: - comandante: contrammiraglio Priamo Leonardi; - comandante delle truppe dell'esercito: col. Francesco Damiani; - il territorio della piazza si estendeva da punta Castelluzzo (a nord) in contatto con la 2133 costiera a masseria «Palma» (a sud) in contatto con la 206a costiera; era ampio sulla fronte a mare 91 Km e sulla fronte a terra 52 Km e profondo da 13 a 5 Km;
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- la fronte a mare disponeva <li 6 batterie navali di grosso e medio calibro; la difesa contraerei era affidata a 6 batterie da 120/35 e ad 11 batterie da 76/40 (le 11 batterie avevano duplice impiego: contraerei e controcarro);
- il presidio della piazza era costituito, oltre che dalle batterie antinave e contraerei, dal 121° reggimento fanteria costiero su 5 battaglioni, da un treno armato, da una batteria da 76/42, da un battaglione marinai, da un reparto di avieri per la difesa dell'aeroscalo, da 5 nuclei antiparacadutisti, da 5 posti di blocco armati con un cannone da 149/13 in funzione controcarro (erano stati assegnati per la difesa controcarri 185 pezzi di artiglieria dei quali erano giunti solo 5 pezzi, mancanti dei congegni di puntamento). Il comando della piazza era sistemato nelle grotte di Melilli situate a nord del paese; il centro radio era sistemato nelle cave a sud di Melilli. (40) Lo sbarco e la difesa della Sicilia. Op. cit., p_ 322.
(41) Ibidem, p. 133.
(42) Ibidem, p. 137. (43) Ibidem, p. 117. (44) Ibidem, pp. 152-156. (45) La colonna del 75° Napoli - colonna Ronco - si schierò fra Solarino e ponte Diddino e davanti a Solarino. Fra Solarino e ponte Diddino schierò: un battaglione del 75° meno la compagnia motociclisti, un battaglione del 75° ridotto a 150 uomini col solo armamento individuale, una compagnia cannoni ridotta ad un plotone, un plotone controcarro del gruppo mobile D, una sezione Flak tedesca (2 p=i da 88 mm e 2 pezzi da 20 mm); davanti a Solarino: il gruppo mobile D, una compagnia zappatori del 75°, una compagnia ciclisti, un battaglione mortai, una se>.lione Flak tedesca, un gruppo da 105/28. (46) La Goering si articolò su 3 colonne: a s1rustra il reggimento granauen (2 battaglioni) dal ponte sul Dirillo lungo la ferrovia; al centro un battaglione carri da Priolo; a destra il battaglione pionieri ed un battaglione carri dal ponte di Olivo. La Livorno si articolò su: colonna di sinistra (un battaglione del 34°, un gruppo del 28", una compagnia mortai, resti del gruppo mobile E) da monte Castelluccio ad ovest della rotabile Ponte Olivo-Gela; colonna di destra (un battaglione del 33°, un battaglione del 34°, un gruppo del 28°, un battaglione mortai meno una compagnia) a cavallo della strada Butera-Gcla; colonna fiancheggiante (un battaglione del 33° ed un gruppo del 28°) a cavallo della ferrovia stazione di Butera-Gela; in seconda schiera (un battaglione del 33°, un battaglione del 34°, un gruppo del 28°, un gruppo da 149/13). (47) Lo sbarco e la difesa della Sicilia. Op. cit., p. 148.
(48) Nella piana di Catania, paracadutisti inglesi, nonostante la pronta reazione di unità della 213" costiera e della difesa del porto E, riuscirono a creare confusione, mentre contemporaneamente forze aeree e navali bombardarono Catania, l'aeroporto, le batterie. Le autorità civili di Catania, prefetto in testa, furono prese dal panico ed abbandonarono la città, suscitando un clima allarmistico con la conseguenza che il personale di una batteria della milizia abbandonò il posto di combattimento. Il comandante della 213a. costiera e della difesa porto impedirono che il panim dila-
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gasse, costrinsero le altre unità a restare ai loro posti, effettuarono correzioni degli schieramenti, fecero intensificare la caccia ai paracadutisti inglesi che dovettero combattere anche contro un battaglione paracadutisti tedeschi lanciato verso le 20,30 in :wna. La situazione venne ben presto ripresa alla mano, ma le notizie di quanto era accaduto ·a Catania si sparsero presto ed ebbero ripercussioni negative sul gruppo Schmalz e sull'intera Goering. Il gruppo Schmalz effettuò un rapido e profondo sbalzo all'indietro dalla zona Carlentini-Lentini fino al fiume Simeto, facendo venire meno la possibilità di organi:aare la difesa delle alture a sud della piana di Catania e facendo trovare la sinistra dello schieramento molto arretrata rispetto alle unità ancora a sud di Caltagirone e di Caltanissetta. La Goering, indottavi dall'arretramento del gruppo Schmalz, avrebbe voluto effettuare nella notte sul 15 uno sbalzo indietro fino al Simeto, ma ne venne impedita dal comando del XVI corpo che riuscì a far rimandare di 24 ore l'arretramento in modo che non restasse scoperta la Uvorno e non si determinasse un vuoto nel centro della fronte. (49) Hans Valentin Hube (1890-1944), generale d'armata tedesco. Alfiere nel 1909, tenente di fanteria nel 1910, colonnello nel 1936, maggior generale nel 1940, generale <li divisione nel 1942 e generale d'armata nel 1944. Durante la 2" guerra mondiale prestò servizio presso la scuola di fanteria e successivamente comandò la 16• divisione di fanteria, trasformata poi in 16a divisione corazzata. Nel 1942-'43 comandò il XIV corpo d'armata corazzato in Sicilia e poi in Italia; dal 29 ottobre 1943 comandò la prima annata corazzata.
(50 ) Lo sbarco e la difesa della Sicilia. Op. cit., allegato n. 6, p. 431. (51) Ibidem, allegato n. 7, p. 433. (52) Ibidem, p. 229. (53) Ibidem, p. 238. (54) Frido von Senger und Etterlin (1891-1963), generale di corpo d'armata tedesco. Volontario nell'esercito dal 1910, promosso tenente di cavalleria nel 1914 e trasferito in servizio attivo nel 1917. Partecipò alla l'- guerra mondiale e successivamente prestò servizio nella Reichswehr raggiungendo il grado di colonnello nel 1939 e quello di generale di corpo d'armata nel 1944. Durante la 2a. guerra mondiale comandò un reggimento di cavalleria e successivamente una brigata. fu capo della delegazione tedesca presso la delegazione italo-francese <l'armistizio dal luglio 1940 al luglio del 1942. Comandò successivamente la 17a divisione cora:aata e quindi fu ufficiale di collegamento in Sicilia presso il comando della 6a armata. Si trasferl poi in Sardegna e in Corsica, con analoghe funzioni presso i comandi italiani locali. Comandò infine il X[V corpo d'armata corazzato dal 23 ottobre 1943 al 2 maggio 1945. (55) Relazione trasmessa dal generale Guzzoni alle 11,45 del 30 luglio allo stato maggiore dell'esercito. « Forte attacco che americani, canadesi, inglesi svilupparono da Catenanuova a S. Stefano costringe a graduali arretramenti che fra non molto ci porteranno su ultima linea di resistenza. Efficiema reparti italiani scarsa. Prego sollecitare invio divisione alpina. Efficienza reparti tedeschi molto ridotta a causa perdite uomini, carri armati e stanchezza fisica. Bombardamenti aerei intensissimi, spe--aonamenti, mitragliamenti continui che bersagliano anche vetture od uomini isolati. Frequenti tiri navali sui fianchi e sulle retrovie, Difficilissimi i collegamenti per intcr-
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ruzioni causate dall'azione aerea. Rifornimenti dalla penisola irregolari. In questo momento particolare, sentito bisogno munizioni e inoltre viveri anche per popolazione civile. Nella truppa affiora malgrado attiva opera persuasiva viva convinzione che avvenimenti politici preludano a trattative di pace. In un reparto camicie nere militi di classi anziane hanno chiesto di essere congedati. Equipaggi motovelieri e scaricatori porto abbandonano lavoro. Rapporti con germanici buoni. Essi non celano loro preoccupazione per avvenimenti politici italiani. Si tiene e si terrà duro fino all'ultimo. Guzzoni ». (56) Lo sbarco e la difesa della Sicilia. Op. cit., pp. 251-254 e pp. 258-260. (57) Ibidem, p. 270.
(58) Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p. 626.
(59) Albert Kesselring, Memorie di guerra. Op. cit., p. 193.
CAPITOLO XL
DAL 25 LUGLIO ALL'8 SETTEMBRE 1. Gli antecedenti ed il 25 luglio. 2. Le conseguenze del 25 luglio. 3. L'armistizio e le trattative che lo precedettero. 4. La mancata effettuazione della Giant 2. 5. Le contromisure alla reazione tedesca. 6. Il consiglio della corona. 7. L'abbandono di Roma da parte del Comando Supremo e dello stato maggiore dell'esercito. 8. La difesa di Roma.
1. La campagna di Sicilia - l'ultima nella quale le forze italiane furono a fianco di quelle tedesche - si concluse con l'abbandono dell'isola e con una nuova sconfitta dell'Asse. In nessun caso le forze di difesa dell'isola avrebbero potuto da sole impedire gli sbarchi angloamericani, ributtare a mare il nemico o protrarre molto più a lungo la resistenza. La campagna fu combattuta non solo dai tedeschi, come molti autori italiani e stranieri si sono sforzati di far credere, ma anche dagli italiani che vi persero 5783 soldati morti in combattimento. Essa fu sostenuta da parte italiana in condizioni proibitive: depressione morale dell'intera nazione, particolarmente accentuata neJla popolazione locale con riflessi diretti sulle unità combattenti; schiacciante inferiorità di forze terrestri, assenza assoluta di potere navale, spaventosa insufficienza di quello aereo; crisi logistica coinvolgente anche la popolazione civile; caduta del regime fascista, intesa dagli italiani come fine imminente della guerra e interpretata d ai tedeschi come distacco dell'Italia dall'Asse, con la conseguente disparità di intendimenti fra i comandi italiani e i comandi tedeschi locali oltreché tra il Comando Supremo italiano e l'Alto Comando tedesco. Malgrado ciò, italiani e tedeschi si batterono bene. Gli episodi neri, che pure vi furono e che sono stati enfatizzati e generalizzati da molti autori per concludere che gli italiani non combatterono, non minarono la volontà di resistenza della grandissima maggioranza delle unità, diversamente la manovra per il raccorciamento
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della fronte e quella per lo sgombero delle forze militari dall'isola non avrebbero avuto successo. II concentramento delle forze nelle zone più adatte alla difesa e la parata del pericolo di sorpasso e di aggiramento dell'ala destra italo-tedesca da parte anglo-americana lungo la costa settentrionale furono due operazioni brillantemente concepite, ordinatamente e tempestivamente eseguite nonostante le inerrarabili fatiche che comportarono. Esse furono condotte a termine con grandi risultati. L'avanzata anglo-americana non fu rapida, come il comando del generale Eisenhower e gli altri comandi anglo-:americani avevano pronosticato, non solo pe rché impostata con povertà di ideazione strategica e condotta con scarsa abilità tattica, ma anche perché le contro-manovre italo-tedesche riuscirono a contenerla ed a regolarla nei tempi e nel ritmo. Il generale Guzzoni, malgrado la venuta meno delle ripetute promesse di rinforzi da parte delle autorità centrali e le difficoltà opposte all'esercizio del comando dalle iniziative e dal comportamento dei comandi tedeschi e dai contrasti con le autorità civili locali, seppe mantenere nelle mani la situazione. governare e dirigere con perizia la lotta ed ottenere il massimo degli sforzi possibili dalle unità. Il 25 luglio lo colse di sorpresa nel pieno svolgimento della campagna, ma, preso atto che la guerra doveva continuare, benché quasi abbandonato dallo stato maggiore dell'esercito e dal Comando Supremo, non si lasciò fuorviare da considerazioni che non fossero di carattere operativo. D'altra parte il generale Guzzoni conosceva fin dail'inizio delJa campagna le scarse ch(mces che aveva a disposizione, ma non per questo, prima e dopo il 25 luglio, mancò di fare del tutto per evitare la sconfitta o quanto meno per ridurne la portata. Nella stessa maniera si comportarono le sue unità. È un fatto non sufficientemente messo in rilievo dai vari .autori ed è al contrario determinante per valutare con esattezza le qualità militari degli italiani. Questi, resisi conto e convinti dopo la battaglia di el Alamin della inevitabilità della sconfitta finale, continuarono a combattere in Libia, in Tunisia , in Russia ed in Sicilia dando spazio ai sentimenti di amor patrio, ai valori morali del dovere e dell'onore, alle forze dello spirito e soffocando la logica della ragione che non offriva un benché minimo adito alla speranza. Il 25 luglio non fu un fulmine a ciel sereno anche se giunse all'improvviso. La speranza e la volontà di uscire dalla guerra erano andate progressivamente crescendo dopo la sconfitta di el Alamein, l'abbandono dell'Africa settentrionale, il disastro dell'8" armata in Russia e lo sbarco anglo-americano in Sicilia. Era da almeno 8 mesi che la grandissima maegiotanza degli italiani avrebbe voluto che si
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ponesse fine ad una guerra senza più speranze di sorta, ma solo foriera di ulteriori lutti e distruzioni. Mussolini aveva creduto di poter continuare a tenere a bada gli italiani sostituendo, dopo la perdita della Libia, il maresciallo Cavallero con il generale Ambrosia e cambiando i membri del governo (1). Con ]'allontanamento del maresciallo Cavallero riuscì solo a dispiacere ed insospettire Hitler, l'Alto Comando tedesco, il maresciallo Kesselring, il generale von Rintelen, l'ambasciatore von Mackensen. II maresciallo Kesselring chiese a Mussolini di essere posto in libertà per dimostrare concretamente la sua stima per il maresciallo Cavallero e la contrarietà nei riguardi del generale Ambrosia che non riteneva dotato di qualità tali da poter ,assùmere il comando di operazioni belliche combinate (2) e giunse a pensare che con il provvedimento Mussolini si fosse scavato la fossa con 1e proprie mani. Il mutamento degli uomini di governo non servì ad accendere speranze ed a modificare l'opinione diffusissima che gli italiani si erano oramai fatti della guerra, il cui corso sempre più sfavorevole sapevano benissimo dipendere dai mezzi e non dagli uomini. Dopo Stalingrado, inoltre, era venuta meno anche la fiducia nella vittoria tedesca contro l'Unione Sovietica e la speranza negli aiuti dell'alleato, assorbito dalle battaglie ad est e dai compiti protettivi e di sicurezza ad ovest. Il 25 luglio, o qualcosa di simile, era dunque nell'aria da tempo; nessuno o quasi sapeva come c quando l'avvenimento si sarebbe verificato, ma che l'Italia dovesse porre fine alla guerra entro breve tempo era un fatto dato per scontato. Lo stesso maresciallo Kesselring non aveva mancato di prospettarsi l'evenutalità, anche se il 25 luglio lo colse di sorpresa come egli stesso ebbe a confessare (3). Ma, diversamente da come lo interpretò il maresciallo Kesselring legando il fatto agli uomini e non alla logica della situazione politica, strategica e tecnico-militare dell'Italia, il 25 luglio fu sì opera di pochi, ma questi vi furono costretti, quasi loro malgrado, dalla forza delle cose e dell'opinione pubblica che manifestava evidenti segni di stanchezza, d'insofferenza e di dolore ricavabili dai volti e dai discorsi che si facevano dappertutto e, durante le notti, nei ricoveri antiaerei dove le tensioni interne di rassegna~ione esplodevano in imprecazioni aperte contro la guerra più che contro i bombardieri inglesi ed americani. Non furono però sufficienti neppure le astensioni collettive dal lavoro negli stabilimenti industriali dell'alta Italia ad indurre Mussolini ad andare da Hitler a rappresentargli l'insostenibilità della situazione italiana. Il generale Ambrosia, ancora prima dello sbarco anglo-americano in Sicilia, aveva esposto con esattezza a Mussolini l'indifendibilità delle isole e della
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penisola per la penuria dei mezzi a meno di un massivo intervento tedesco ed aveva rappresentato il pericolo di un ulteriore abbassamento del tono morale delle unità combattenti, ora a contatto di gomito con la popolazione civile giunta al limite della sopportazione. Sembrò che l'invasione della Sicilia avesse finalmente convinto Mussolini, al quale, consapevole perfettamente della validità dell'esposizione fattagli dal generale Ambrosio, certo non sfuggivano la ragionevolezza delle richieste da rivolgere all'alleato e l'esigenza del ricorso ad un atto unilaterale, costasse quel che costasse, in caso di mancato accoglimento, per compiere il grande passo decisivo. Egli promise che nell'incontro di Socchieve, nei pressi <li Feltre, previsto per il 19 luglio, avrebbe parlato chiaro in termini di aut aut al suo collega tedesco. Il convegno si concretò in una sola seduta plenaria, alla quale parteciparono tutti i personaggi dei due seguiti (4). Hitler parlò per tre ore, preannunziando tempi più duri, censurando la scarsa combattività delle forze armate italiane, confermando il suo credo neUa vittoria finale dell'Asse, dichiarando di non poter soddisfare le richieste italiane per indisponibilità di uomini, di materiali e di mezzi, limitandosi a promettere un qualche aiuto generico lasciato nel vago, comunque smisuratamente impari alle richieste italiane. Mussolini non disse una parola. Al termine dclJa seduta plenaria, il generale Ambrosio ed il sottosegretario agli esteri ambasciatore I3astianini, indignati per il silenzio di Mussolini, si accordarono per tentare un'altra prova di convincimento da svolgere subito, in modo che quanto non aveva detto il mattino Mussolini si decidesse a rappresentarlo ad Hitler nelle due ore di automobile e di treno necessarie per raggiungere Treviso, da dove Hitler sarebbe ripartito in aereo per la Germania. « Alfieri andò a chiamare il duce, e tutti e quattro, lui e Ambrosia e Bastianini e Alfieri si chiusero in un salottino. Ambrosia parlò fuori dei denti: « Voi avete portato il Paese alla rovina, voi lo dovete tirar fuori. Dovete parlare chiaro 1 esporre la situazione ai tedeschi, che vogliono servirsi dell'Italia come d'un baluardo e non gli importa nulla se va a redpizio ». La controversia fu accesa: « Pensate che io abbia paura per la mia pellaccia? ». « Si tratta ben altro che di pellaccia » - gli fu risposto - « Si tratta dell'Italia ». Parlarono anche Bastianini ed Alfieri, avvalorando gli argomenti di Ambrosio. Mussolini si alzò alla fine stizzito: « Ci penserò » disse. E se ne andò con la faccia scura. Non si saprà mai di che cosa abbia parlato in quelle due ore ... ma certo non della assoluta necessità per l'Italia di uscire dalla guerra ... Ambrosio si avvicinò a Treviso a Mussolini e chiese « Gli avete detto niente? » « Ne riparleremo»,
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rispose secco l'altro, e gli voltò le spalle (5). Ne riparlarono, infatti, la sera del 20. Mussolini disse al generale Ambrosio « Ho ripensato a quel discorso piuttosto violento che mi avete fatto ieri. Adesso » - e fece il gesto - « piglierò un foglio di carta e scriverò al Fiihrer e metterò per iscritto quello che mi avete detto ». .. Era chiaro che Mussolini non aveva osato parlare ad Hitler, aveva avuto paura di aprire bocca, e, come tutti i timidi, ritrovava il coraggio davanti alla carta e all'inchiostro. « Come? » - disse il generale - « volete mettere in una lettera argomenti per cui ci vorrebbero volumi quando potevate parlargli ieri ed usare tutti i sistemi di persuasione? Voi mi prendete in giro; vi prego di accettare le mie dimissioni» ... Ambrosio tornò al suo ufficio più deciso che mai ad abbandonare MussoJini al suo destino ... (6). Mussolini non seppe cogliere a Feltre l'ultima occasione offertaglisi, gliene mancò il coraggio morale; preferì essere sleale con se stesso e con l'alleato e venire meno alla parola data ai suoi collaboratori piuttosto che dichiararsi vinto e fallito. Prendere la parola e dire la verità - e Mussolini sapeva che eta la verità - era indubitabilmente una decisione dolorosa, ardua, malsicura, piena di rischi e pericoli. Forse non avrebbe sortito effetti positivi ne] senso che Hitler avrebbe rifiutato l'idea stessa di un ritiro dell'Italia dalla guerra e si sarebbe abbandonato ad una delle consuete crisi di isterismo ben note ai suoi collaboratori più vicini. Avrebbe potuto altresì giungere ad atti estremi nei riguardi dello stesso Mussolini e del seguito, ma in quel momento tanto più fosse stata violenta ed abnorme la sua reazione, tanto meno gli avrebbe giovato sul piano interno ed internazionale. La stessa occupazione dell'Italia manu militari non sarebbe stata un'impresa da decidere alla legge ra, perché le forze tedesche in Italia in quel momento erano poche ed in buona parte impegnate nella campagna di Sicilia, né sarebbe stato agevole e rapido rinforzarle qualora avessero incontrato resistenze attive e passive lungo le vie di comunicazione ordinarie e ferroviarie di afflusso alla penisola. È impossibile immaginare che cosa Hitler avrebbe fatto, ma è aderente alla realtà valutare che egli si sarebbe trovato in un affare molto imbrogliato. Qualora Mussolini avesse offerto la prova di coraggio che la situazione gli imponeva, qualunque fosse stato l'esito, si sarebbe guadagnato il rispetto degli avversati esteri ed interni. Il suo ciclo si sarebbe chiuso egualmente, ma l'avere anteposto l'interesse della Patria a quello del fascismo e della sua persona non avrebbe potuto non essergli ascritto nel numero dei titoli positivi del suo operato. Egli , invece, nel momento
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pm drammatico della storia d'Italia confermò di non possedere le qualità e le attitudini su cui un capo fonda il diritto di essere tale. Mussolini sapeva di non avere altri atouts: o glieli avrebbe passati Hitler o aveva perso la partita. Quali forze erano disponibili per prolungare lo sforzo bellico? Quali le possibilità di raccoglierne altre? Quale la capacità di ricostituire quelle andate perdute? Quale lo scopo nazionale di continuare la guerra senza il benché minimo vantaggio? Staccarsi da un alleato al quale si era legati da un patto politico-militare, di cui proprio la realtà della guerra aveva già cancellato il fine, sarebbe stato un tradimento? Nessuno intendeva consegnare l'alleato nelle mani del nemico, ma solo salvare il salvabile di un Paese ridotto agli estremi della sua sopravvivenza. L'Italia non voleva in quel momento la guerra contro i tedeschi, ma solo cessare la guerra contro gli anglo-americani, ed avrebbe accettato che lo stesso Mussolini si fosse fatto vindice del suo diritto di sovranità e di indipendenza. Il generale Ambrosio non aveva chiesto a Mussolini di ritirarsi, ma solo di rendersi conto della realtà e di rappresentarla ad Hitler. Gli italiani volevano la fine della guerra; i conti con il fascismo li avrebbero fatti dopo. Ci sembra che di ciò non tengano molto conto gli storici e gli scrittori e, quel che fu peggio, non ebbero piena contezza dell'urgenza di risolvere il problema neppure i protagonisti del 25 luglio, benché si fossero mossi pressoché esclusivamente al fine di deporre le armi. Il 25 luglio fu l'alternativa a Fdtre ipotizzata da tempo. L'eventualità della crisi del regime fascista era stata presa in considerazione dal maresciallo Cavallero fin dalla seconda metà del 1942 allorché erano peggiorate le condizioni di salute di Mussolini. Nel periodo in cui le forze armate italiane erano impegnate su tante fronti ed ore assai gravi si facevano sentire come prossime sarebbe stato imperdonabile che il capo di stato maggiore generale non avesse messo in tempo nel conto l'eventualità della sostituzione del capo del governo. Il maresciallo Cavallero prese vari contatti molto discreti, ne mise al corrente i suoi collaboratori militari più fidati e qualificati, rese edotto e preparato il re ad ogni evento indicando sin d'allora, a suo dire, il maresciallo Badoglio quale successore di Mussolini, nonostante che i suoi rapporti con l'anziano collega si fossero guastati da tempo e tra lui e l'altro si fosse determinata una profonda inimicizia. Il maresciallo Badoglio non gliene fu certamente grato se, giunto al potere, lo fece arrestare due volte sotto l'accusa infondata di aver organizzato o partecipato ad un complotto fascista appoggiato dai tedeschi e lo fece rinchiudere nel carcere militare di Roma
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dal quale venne tratto fuori dal maresciallo Kesselring dopo 1'8 settembre. « La morte del maresciallo servì a smentire ogni sua partecipazione... giacché egli - come è noto - preferl morire anziché riprendere comunque posto a fianco del tedesco » (7). Il generale Ambrosia, fin dal momento in cui assunse la carica, se non da prima, considerò la sostituzione di Mussolini, nel caso che questi non si fosse deciso a parlare chiaro ai tedeschi, non più come eventualità ipotetica ma come necessità assoluta. Nelle sue visite più che settimanali al re gli illustrava il continuo peggioramento della situazione, l'impossibilità fisica di continuare ad andare avanti, l'esigenza impellente di staccare l'Italia dalla Germania e di sostituire Mussolini ed il governo fascista nella direzione politica e militare del Paese. Nonostante i progetti e gli sfoghi non gli fu facile vincere la riluttanza, Je incertezze, i dubbi e i tentennamenti del sovrano, né interpretarne i lunghi silenzi. Nel frattempo, con l'aiuto di pochissimi collaboratori militari - dei quali il principale era il generale Giuseppe Castellano (8) - e lasciando fuori ed all'oscuro anche i capi di stato maggiore di forza armata, preparò l'azione alla quale il re si decise solo dopo la seduta del Gran Consiglio del fascismo, svoltasi la notte del 25 luglio, dalla quale Vittorio Emanuele III trasse la giustificazione del defenestramento di Mussolini. Il Gran Consiglio del fascismo era organo consultivo del capo del fascismo, aveva perciò rilevanza politica, ma non potere costituzionale e decisionale di governo. Che il capo del fascismo fosse stato messo in minoranza con una libera votazione delle più alte cariche del regime fu un atto politico molto grave e che non avrebbe potuto non avere conseguenze. E inintellegibile come Mussolini non se ne sia reso conto e, fidando nel legame che lo univa al re, si sia recato nel pomeriggio del giorno 25 a villa Savoia, certo di uscirne con un mandato di rinnovata fiducia da parte del sovrano. L'ordine del giorno del Gran Consiglio fu, dunque, la pretestuosa occasione della quale il re volle servirsi per legittimare la sua decisione, ma la liquidazione di Mussolini era stata pianificata da tempo ed era imposta, dopo il convegno di Feltre, dalla forza degli avvenimenti. Ad essa si erano manifestati propensi da tempo personaggi vari della Corte, dei vecchi partiti politici ed alcuni membri dello stesso partito fascista, i quali però avrebbero voluto garantirsi almeno in parte il mantenimento del potere ed assumersi il merito del mutamento della direzione politica del Paese, restituendo in particolare al re l'esercizio del comando delle forze armate. Il 25 luglio, in breve, fu un colpo di Stato sui generis, conseguenza sia di una congiura politico-militare, anche questa sui
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generis, a capo della quale era il re che era la massima autorità investita di poteri costituzionali, sia al tempo stesso di un'azione legittima del re stesso nell'esercizio dei suoi poteri costituzionali in accoglimento, più che delle indicazioni dell'ordine del giorno del Gran Consiglio del fascismo, della pressante, ancorché non violenta, richiesta dell'intera nazione. Mussolini stesso si rese conto della necessità della decisione del re e, in luogo di inviare messaggi segreti alla vecchia guardia, ai gerarchi ed ai fascisti rimastigli fedeli, scrisse al maresciallo Badoglio mettendosi a sua disposizione. L'operazione, a parte l'arresto di Mussolini che fu di per sé un giuoco da ragazzi nelle circostanze e nel luogo in cui ebbe luogo, presentò difficoltà minori di quelle preventivate e temute. Tutto andò a puntino, salvo qualche incidente episodico. L'intera nazione emise un sospiro di sollievo perché intese soprattutto legata la defenestrazione di Mussolini alla fine della guerra. Vi furono manifestazioni collettive di consensi e di gioia per l'operato del re e per la caduta del regime fascista, ma la cura maggiore fu posta <la parte di tutti - compresa la gran parte dei fascisti - nel restare in ascolto della radio per l'altro annuncio, quello, ancor più importante in quei giorni, del termine della guerra. Quanto alla fine del fascismo, quali garanzie avrebbero potuto, d'altra parte, offrire il re, il maresciallo Badoglio e molti altri dei protagonisti del 25 luglio i quali avevano servito o si erano serviti di Mussolini e del regime? Quale significato avrebbe potuto avere la sostituzione di Mussolini se vi fosse stata veramente la volontà espressa dal re nel suo proclama di continuare la guerra? La guerra continua poteva essere un maldestro tentativo d'ingannare i tedeschi, che per conto loro subito lo intesero come tale, ma non certo il programma di azione del nuovo governo tecnico presieduto dal maresciallo Badoglio. Hitler e l'Alto Comando tedesco non ebbero dubbi. Se il distacco dell'Italia dalla Germania era stata fino ad allora un'eventualità da considerare, ora era una probabilità immediata. Anziché preoccuparsi di ridurre al minimo possibile i danni che ne sarebbero derivati al loro Paese pensarono prima di tutto alla vendetta e non indugiarono un attimo ad attuare il predisposto piano Alarico spedendo in Italia un grosso contingente di quelle forze che sei giorni prima avevano detto di non avere e comunque di non poter mettere a disposizione della difesa della penisola. I protagonisti del 25 luglio, tutti presi dalla preoccupazione di studiare, organizzare e mettere in atto le misure di ordine interno, avevano quasi dimenticato, o quanto meno molto trascurato, quelle di comportamento e di azione nei riguardi degli anglo-americani e dei tedeschi ,
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talché la soluzione del problema della fine del conflitto divenne subito molto più difficile e complicata in quanto la guerra assunse per l'Italia da quel momento due facce: una anglo-americana ed una tedesca.
2.
Solo il 20 luglio i capi di stato maggiore americani accolsero l'idea inglese - che avevano respinto nella riunione di Washington del maggio precedente - di passare dalla Sicilia alla penisola. Li aveva trattenuti l'idea che la guerra nella penisola italiana potesse interferire negativamente sulla creazione della seconda fronte in Europa progettata in Normandia. La programmazione dello sbarco nella penisola - operazione Baytown - prevedeva un obiettivo limitato: creazione di una testa di ponte sulla punta estrema dell'Italia, in modo da consentire alle forze navali di operare attraverso lo stretto di Messina. Di più largo respiro era, invece, l'obiettivo assegnato allo sbarco sul litorale salernitano - operazione Avalanche - diretto all a conquista del porto di Napoli e ad imbottigliare le forze tedesche della Calabria. Il generale Alexander aveva precisato al generale Montgomery: « se il nemico si ritirerà dalla punta, lo seguirete con le forze che riuscirete a rendere disponibili, tenendo presente che quanto più riuscirete a impegnare forze nemiche nelle zone meridionali del1'Italia, tanto più contribuerete al successo di Avalanche » (9). Le due azioni, invece, non vennero coordinate, né d'altra parte sarebbe stato possibile farlo, in quanto l'armata del generale Montgomery fu fatta sbarcare nel meno adatto di tutti i posti possibili: a 500 Km da Salerno, all'estremità di una rotabile stretta fra le montagne che si prestava in modo ideale all'attività di disturbo del nemico. Solo due buone strade risalivano la punta, una lungo la costa occidentale e l'altra lungo quella orientale, cosicché l'avanzata poteva essere condotta utilizzando simultaneamente solo 2 divisioni, ciascuna guidata da una brigata; anzi, in numerosi punti sia dell'una che dell'altra linea di avanzata era difficile schierare più di un battaglione ... La decisione di impegnare 1'8" armata sulla penisola calabra ebbe l'effetto di ridurre il numero delle possibilità alternative con le quali il nemico doveva fare i conti, e, quindi, di far diminuire le possibilità che esso fosse colto di sorpresa dall'attacco della 5" armata americana. La punta era il peggior punto possibile per creare una effet-
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tiva diversione. Il nemico poteva con tutta tranquillità ntirare le forze da questa zona, lasciando che a frenare l'invasione provvedessero le stesse difficoltà operative (10). L'operazione Baytown fu quanto di meno indovinato si potesse fare sul ~iano strategico e quanto di più inutile sul piano tattico. Un'intera armata con due divisioni in prima schiera venne fatta sbarcare su spiagge indifese o quasi ed in più, per coprire l'attraversamento dello stretto, il generale Montgomery, anche a costo di ritardare l 'inizio dell'operazione, volle riunire 600 cannoni terrestri e 120 cannoni navali che scaraventarono migliaia di proiettili nel vuoto. Alle 4,30 del 3 settembre, quando la 5" divisione inglese e la 1" canadese del XIII corpo britannico presero terra stùle spiagge calabre, le t rovarono semideserte, perché i tedeschi si erano ritirati a 15 Km dal mare e si erano portati sulle strade che risalgono lungo la penisola per tenersi aperta la via della ritirata, affidando il ritardo della progressione angloamericana principalmente alle interruzioni, alle demolizioni, alle mine ed alle resistenze di deboli retroguardie, riservandosi l'impiego delle unità mobili per la zona compresa tra Catanzaro e Castrovillari. L'avanzata dell'83 armata, nonostante non incontrasse resistenze attive se non sporadiche ed esigue, fu lentissima e ricca di soste imposte dalle interruzioni e demolizioni. Il 6 settembre, quattro giorni dopo lo sbarco, essa si trovava appena 50 Km al di là delle spiagge, e fu solo il 10 che raggiunse il punto più stretto della penisola; in una settimana coprì meno di un terzo della distanza che la separava dal golfo di Salerno ( 11). Il maresciallo Kesserling scrisse a proposito dell'8a armata in Calabria: « Ad eccezione di uno sbarco effettuato 1'8 settembre alle 5 del mattino a Pizzo, gli inglesi non compirono, con nostra grande soddisfazione, altre operazioni del genere, che avrebbero rappresentato un grave pericolo per la 29" divisione di granatieri corazzati» (12), quest'ultima già in Campania ed in Puglia fin da prima del 25 luglio congiuntamente alla 15a corazzata e ad aliquote della 1"' paracadutisti. Alla sosta dal 19 agosto al 3 settembre ed alla lentezza delle operazioni terrestri in Calabria si contrapposero, dalla metà di luglio in poi, la massività, la intensificazione e la dinamica delle operazioni aeree mediante i bombardamenti delle città italiane con l'uccisione di migliaia di cittadini, il ferimento di altre centinaia di migliaia, i cumuli di macerie a Napoli, Torino, Salerno, Novara, Cagliari, Genova, Milano, Viterbo, Benevento, Grosseto, Foggia, Taranto, Bologna, Terni, Civitavecchia, Orte, Pisa, Pescara, Ancona, Trento, Bolzano, Capua, Rimini, Terracina, Formia, Cosenza, Sulmona, Ca-
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tanzaro, Frascati ecc. Un vero flagello di Dio che distrusse in circa due mesi quanto non avevano fatto le calamità naturali, gli incendi, i saccheggi e le guerre in centinaia di anni. Nonostante la desolazione prodotta dai bombardamenti anglo-americani, il governo del maresciallo Badoglio dette al Paese l'impressione di non volersi spostare dalla linea seguita fino ad allora da quello di Mussolini od almeno di voler prendere tempo lasciando passivamente continuare l'azione distruggitrice nemica. L'entusiasmo iniziale per il nuovo governo si spense rapidamente, subentrò la sfiducia, lo stato di depressione morale e di stanchezza fisica raggiunse l'acme e l'intero Paese, con in testa le forze armate impotenti a reagire contro la guerra aerea, cadde in uno stato di prostrazione e di coma nel quale lo coglierà 1'8 settembre. Se il vero scopo immediato del 25 luglio era quello di far cessare le morti e le rovine e di porre fine alla guerra distaccando l'Italia dalla Germania, che cosa si aspettava a conseguirlo? Il tempo non avrebbe reso sempre più tragicamente difficj]e l'operazione? Perché il governo restava impassibile ed inattivo davanti alla calata dei tedeschi, che cadeva sotto gli occhi di tutti, ed alla loro progressiva presa di controllo dei gangli vitali e degli impianti essenziali dell'intera nazione? Erano tutte domande che restavano senza risposta e che accrescevano la disperazione dei cittadini. Il 25 luglio le forze armate germaniche in Italia ed in Corsica sommavano a 8 divisioni (comprese le 3 e l'aliquota di una quarta operanti in Sicilia) , ad una brigata corazzata (in Corsica) ed a raggruppamenti vari non indivisionati aventi compiti territoriali, logistici, di difesa degli aeroporti e delle basi marittime, di funzionamento dei centri e dei sistemi di collegamento. Esse erano raggruppate nella 10" armata (Ober Betehlshaber Sud) o dipendevano direttamente dal maresciallo Kesselring che sovrintendeva, in veste di rappresentante dell'Alto Comando tedesco, a tutta l'attività militare germanica nella penisola e nelle isole, compresa la Corsica. La notte sul 25 luglio cominciarono a scendere jn Itali a i primi elementi della 44n divisione di fanteria e della CXXXVI brigata da montagna Doehla, subito dopo rinforzate da carri armati. Forzarono il passo del Brennero in formazione di combattimento, occuparono l'alto Adige, imposero il proseguimento dei loro trasporti ferroviari e motorizzati verso sud, stabilirono distaccamenti sulle linee di comunicazione e presso gli impianti industriali, emisero una moneta di occupazione, e palesemente dimostrarono di volersi comportare come vere e proprie forze di occupazione, con numerosi atti di violenza individuali e collettivi ( 13). Dal 25 luglio al 18 agosto
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scesero dalla Francia e dalla Germania in Italia 8 divisioni tedesche - di cui 2 corazzate - ed una brigata da montagna e alla data del 18 agosto 1943 le forze germaniche dislocate in Italia ed in Corsica ascendevano a 16 divisioni, a 2 brigate e a circa 150 mila uomini non indivisionati, oltre ad altre 4 divisioni segnalate in arrivo alla frontiera orientale e settentrionale (14). Il 25 luglio, in sintesi: non indusse gli anglo-americani a modificare i loro piani e, come se l'avvenimento non avesse nessuna rilevanza politico-strategica e tecnico-militare, essi continuarono a sviluppare le loro operazioni, comprese quelle aeree che anzi intensificarono; spinse i tedeschi a dare subito esecuzione al piano Alarico predisposto da tempo, senza rinunziare a contrastare dovunque le iniziative anglo-americane - Baytown ed Avalanche - che avevano previsto con grande esattezza ed avevano avuto il tempo necessario per organizzare il modo di fr0nteggiarle; sorprese i protagonisti italiani, sebbene ne fossero i promotori e i responsabili, del tutto impreparati sul piano politico-diplomatico e strategico-militare alla presa di contatto ed alla negoziazione con gli anglo-americani ed alla reazione all'occupazione militare dell'Italia da parte dei tedeschi. Gli unici, dunque, che seppero che cosa fare subito e come farlo furono i tedeschi; gli anglo-americani dimostrarono tutta la loro miopia politica e strategica; i vertici italiani misero a nudo un pressappochismo ed una superficialità che lasciarono allora e lasciano oggi interdetti sulla loro capacità di previsione e di prevenzione delle conseguenze della decisione presa. Essi avevano compiuto due atti essenziali e pregiudiziali irrinunciabili - la defenestrazione di Mussolini e del regime fascista - ma davanti alla guerra dalle due facce si trovarono sgomenti e spaventati non sapendo da dove e come comfociare per chiedere l'armistizio agli anglo-americani e per difendere contemporaneamente il Paese dall'occupazione tedesca . Se la mancata immediata reazione all'invasione tedesca può trovate una qualche spiegazione nell'assoluta necessità del segreto per non dare pretesti a dubbi, indizi e sospetti, e nell'anticipo forzato dell'operazione in seguito alla riunione del Gran Consiglio del fascismo e del1'andata di Mussolini dal re, niente può giustificare il ritardo nella presa di contatto con gli alleati, le cui modalità avrebbero dovuto essere pianificate sia pure unilateralmente in anticipo e la cui effettuazione avrebbe dovuto avere luogo, se non prima per motivi di segretezza, o simultaneamente od al massimo non appena constatato che non vi sarebbero state né reazioni violente né immediati seri tentativi di restaurazione da parte dei fascisti. Le argomentazioni
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della pubblicazione dell'ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito (15), tendente a sostenere la tesi che uno sganciamento dell'Italia dalla Germania simultaneo al rovesciamento del regime fascista non sarebbe stato attuabile, non sono convincenti. Vi si sarebbero opposte, secondo la pubblicazione: l'assoluta impossibilità di qualsiasi atto di forza non essendo praticabile anzitutto un rapido e adeguato concentramento di truppe italiane nei punti voluti (specialmente nell'alto Adige e pianura padana); la contemporaneità della lotta in Sicilia condotta in comune dalle forze italo-tedesche; i rischi ai quali l'Italia sarebbe andata incontro se il 25 luglio avesse chiesto l'armistizio e avesse contemporaneamente dichiarato guerra alla Germania. Quale sarebbe stato, infatti, l'atteggiamento degli alleati? Quale quello del governo tedesco? Quali le reazioni? Sono interrogativi che vanno posti, ricordando che in seguito, anche là dove le forze italiane reagirono con vigore, la loro resistenza non fu alimentata dagli alleati. In quanto ai Balcani, le forze erano disseminate su vastissimi territori, ancorate a tante servitù, senza alcun coefficiente di mobilità, e si sarebbero dovute opporre alle forze tedesche motorizzate e in gran parte corazzate, che avrebbero avuto ragione di qualsiasi resistenza. Un improvviso rovesciamento della fronte alla data del 25 luglio appare perciò anche oggi aleatorio, a meno che fin da quel momento non si fosse fatto ricorso alla utilizzazione di unità popolari per imprimere subito alla lotta un carattere di liberazione, avvalendosi, a sostegno dell'esercito, di masse organizzate (16). E la pubblicazione aggiunge: tutti problemi di ordine politico sui quali non era certamente possibile una iniziativa o una interferenza da parte delle autorità militari italiane ( 17). Considereremo quest'ultimo aspetto più avanti; qui ci limitiamo a contestare le tesi di sostegno dell'operato del governo e dei vertici militari circa l'armistizio. La raccolta ed il concentramento delle forze, impossibili per il 25 luglio, non furono realizzati neppure per 1'8 settembre, né lo sarebbero stati per il 12. La contemporaneità della lotta in Sicilia non avrebbe costituito ostacolo a dare ordine alle forze italiane, anche solo con iniziativa unilaterale, a mettersi sotto Ja protezione anglo-americana previo avviso alle unità tedesche e magari concedendo a queste il tempo per ripiegare. I rischi ai quali l'Italia sarebbe andata incontro sarebbero stati in ogni caso di gran lunga inferiori ai pericoli che dové affrontare e dai quali fu sommersa 1'8 settembre. Resta invece il fatto che la reazione tedesca in Italia e nei Balcani sarebbe stata meno massiva, tempestiva, totale ed efficace se non altro per il minor numero di unità a portata di mano e per il più elevato morale deJle unità ita-
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liane, e che gli anglo-americani, senza rinunziare alla resa senza condizioni, si sarebbero dimostrati meno dubbiosi e sospettosi e sarebbero stati posti di fronte ad un fatto compiuto del quale non avrebbero potuto ignorare la legittimità e trascurare le responsabilità che ne sarebbero derivate anche per loro. Ma è sufficiente considerare che la reazione tedesca sarebbe stata senza dubbio meno carica di potenzialità operativa e meno tempestiva e pronta per non poter assolvere i protagonisti politici e militari del 25 luglio dai gravissimi peccati di omissione di un piano per contattare tempestivamente gli anglo-americani o comunque renderli unilateralmente edotti della decisione di deporre le armi e di rivolgerle, se necessario, contro i tedeschi e di un piano per impedire, o quanto meno arrestare, l'invasione da parte di questi ultimi del territorio italiano. I capi politici e militari furono inferiori ai loro compiti e pur tenuto conto della situazione estremamente difficile sotto tutti gli aspetti - etico, psicologico, politico, diplomatico, strategico, tecnico-militare - nella quale si trovarono a decidere e ad agire commisero errori e colpe che nes:;una indulgenza può perdonare e che il passare del tempo non può - e non deve - far obliare.
3. La mancanza assoluta di una linea prefissata da seguire nei riguardi degli anglo-americani fece perdere un'infinità di tempo. Il primo tentativo di mettersi in comunicazione fu fatto personalmente dal ministro degli esteri, ambasciatore Raffaele Guariglia, presso il ministro britannico e l'incaricato di affari degli Stati Uniti accreditati presso la Santa Sede, ma falll per motivi tecnici. Un secondo tentativo fu esperito dallo stesso ministro incaricando due funzionari diplomatici, in partenza nei primi giorni di agosto rispettivamente uno per Algeri e uno per Lisbona, di cercare contatti nelle due sedi, rappresentare agli inglesi e agli americani la disastrosa situazione italiana, far conoscere la volontà italiana di sciogliersi dai tedeschi e di schierarsi con l'Inghilterra, gli Stati Uniti ed i loro alleati, chiedere aiuti per rendere operativa la collaborazione. Solo il 10 agosto il maresciallo Badoglio decise di incaricare il Comando Supremo di inviare un rappresentante militare a Lisbona per prendere contatti diretti con autorità diplomatiche e militari inglesi e statunitensi. Fu prescelto il generale Castellano al quale furono date poche istruzioni
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approssimate, prive di ogni riferimento alla resa senza condizioni dalla quale gli anglo-americani avevano fatto sapere dai precedenti sondaggi di non voler derogare. Il generale Castellano fu fatto partire non con il compito di concordare un armistizio, ma di offrire la disponibilità dell'Italia alla collaborazione con gli anglo-americani e di concretare i particolari di tale collaborazione. Egli partl il 12 agosto, senza che fosse stato stabilito un sistema di collegamenti, e rientrò il 27 senza aver potuto nelle due settimane dar notizie di sé e senza riceverne. L'incontro con i rappresentanti anglo-americani avvenne il 18 agosto alle 22,30 a Lisbona nella casa di sir Ronald Hugh Campbell ambasciatore inglese nel Portogallo; vi presero parte il generale Bedell Smith, capo di stato maggiore delle forze alleate nel Mediterraneo, il generale William Kenneth Strong capo del servizio informazioni britannico, il signor George Kennan, incaricato di affari degli Stati Uniti a Lisbona. La prima cosa che i delegati angloamericani fecero fu di presentare al generale Castellano il testo delle condizioni di armisti:lio chi; 1:ra stato definitivamente messo a punto fin dal 6 agosto. Il generale Castellano, preso alla sprovvista, dichiarò di non avere il mandato per trattare l'armistizio. Gli interlocutori gli fecero presente che non v'era nulla da trattare: accettare o non, questo solo era il problema. Circa la partecipazione dell'Italia alla lotta contro i tedeschi, mostrarono al generale Castellano un telegramma pervenuto da Quebec nel quale il presidente Roosevelt ed il primo ministro Churchill, come in un promemoria aggiuntivo alle condizioni di armistizio, indicavano ciò che si sarebbe potuto fare ai fini della collaborazione offerta senza che i tedeschi se ne accorgessero: preparare la resistenza passiva generale in tutto il Paese; mettere in atto azioni di sabotaggio specie delle comunicazioni e degli aeroporti; stabilire misure di prevenzione per impedire che la flotta da guerra e le navi mercantili italiane cadessero in mano tedesca; inibire ai tedeschi di impossessarsi delle difese costiere; predisporre piani perché le unità italiane nei Balcani potessero raggiungere la costa orientale dell'Adriatico da dove sarebbero state portate in Italia; salvaguardare i prigionieri di guerra anglo-americani. Dell'attenuazione delle clausole armistiziali il generale Castellano prese atto ed approfittò per tentare di trasferire il colloquio sul tema appunto della collaborazione, che era quello che stava più a cuore al generale Ambrosio, ripetendo che egli era lì non per chiedere o discutere l'armistizio, ma per coordinare le modalità di collaborazione. I rappresentanti anglo-americani restarono perplessi circa il fatto che a Roma non si conoscessero, o si facesse finta di non conoscere, le tassative con-
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dizioni prospettate fin dal 13 agosto e non djssero parola, rimanendo impassibili, sulle proposte piuttosto fantasiose e stravaganti che il generale Castellano espose circa gli sbarchi anglo-americani in Italia. Nel prosieguo della discussione, che si protrasse fino alle 7 del 19, furono trattate anche la data di annuncio e le modalità dell'armistizio; al generale Castellano che chiedeva un preavviso di almeno quindici giorni, gli interlocutori risposero che qualora il maresciallo Badoglio avesse accettato le condizioni dell'armistizio, il generale Eisenhower ne avrebbe annunciato la conclusione cinque o sei ore prima dello sbarco principale anglo-americano. Infine si venne agli ultimi accordi di carattere pratico. Fu convenuto che l'accettazione dell'armistizio sarebbe stata comunicata da Roma non oltre il 30 agosto; e, per rendere possibile la notifica, fu provveduto a fornire il generale Castellano di un cifrario e di una stazione radfo rice-trasmittente. Venne altresl convenuto che qualora fosse stato necessario un supplemento di intese dopo l'accettazione, lo stesso generale Castellano sarebbe potuto partire alle ore 7 del 31 agosto da Guidonia per fare rotta, sotto scorta alleata, verso Termini lmerese e poi raggiungere il quartier generale anglo-americano. Tante furono le difficoltà, gli equivoci, i contrattempi, la superficialità - il generale Castellano inviò due telegrammi, tramite la legazione italiana di Lisbona, al ministero degli esteri, redatti con un linguaggio convenzionale, significando che era riuscito a prendere contatto e che presto sarebbe rientrato per riferire, ma i messaggi, che giunsero regolarmente a Roma, non furono compresi nel loro significato e furono archiviati senza che ne venisse informato il minfatro Guariglia ed il Comando Supremo - che il generale Castellano, dopo tre giorni di viaggio in ferrovia, giunse a Roma solo il giorno 27. Frattanto a Roma, nulla essendosi saputo del generale Castellano, il Comando Supremo ed il ministero degli esteri, indipendentemente l'uno dall'altro, avevano preso nuove iniziative: il Comando Supremo aveva deciso d'incaricare il generale Giacomo Zanussi (18) de1lo stato maggiore dell'esercito di andare a Lisbona, mettersi alla ricerca del generale Castellano e, ove non l'avesse rintracciato, sostituirsi a lui per prendere contatti con gli anglo-americani; il ministero degli esteri aveva incaricato, da parte sua, di una missione analoga l'ex presidente della Camera dei fasci e dclle corporazioni ed ex ambasciatore a Londra Dino Grandi. Le due iniziative furono prese a sei giorni di distanza e all'insaputa l'una dell'altra. Partiti dall'Italia ognuno per proprio conto, il generale Zanussi e l 'ex gerarca fascista presero lo stesso aereo a Siviglia, dove gli altri due aerei avevano fatto scalo,
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e ciò evitò che le due iniziative si accavallassero e producessero negli anglo-americani altre diffidenze e sospetti che non furono pochi neppure per la sola missione del generale Zanussi . Questi fu comunque ascoltato e gli venne affidato il testo del lungo armistizio che al generale Castellano non era stato consegnato. A quest'ultimo era stato dato solo il testo dell'armistizio corto. Il generale Zanussi, che prima di partire si era consigliato anche con il generale Giacomo Carboni ( 19), commissario straordinario del servizio informazioni militari del Comando Supremo, espose, prima a Lisbona a sir Campbell e poi ad Algeri, dove fu trasferito in aereo da Lisbona il 28 agosto, ai consiglieri politici e militari del generale Eisenhower, la situazione militare e politica italiana fornendone un quadro tanto fosco quanto veritiero, comunque diverso da quello presentato dal generale Castellano. Dopo l'ascolto del generale Zanussi -in un primo momento sospettato di essere il rappresentante di una fazione dell'esercito venuto a controllare l'opera del generale Castellano, o addirittura un agente della Germania o dei fascisti - il generale Eisenhower decise che venisse inviato al più presto dallo stesso Zanussi un telegramma di sollecitazione al generale Ambrosia per indurre il governo italiano a<l accettare senza ulteriori indugi il testo dell'armistizio. Proprio il giorno 28 fu tenuta a Roma una riunione, alla quale parteciparono il maresciallo Badoglio, il ministro Guariglia, il generale Ambrosie ed il duca Pietro Acquarone, ministro della real Casa, per ascoltare il rapporto del generale Castellano. Il maresciallo Badoglio rimase in silenzio, il ministro Guariglia rimarcò che il generale Castellano non era stato autorizzato a proporre agli anglo-americani la collaborazione militare italiana e respinse, da parte sua, le modalità stabilite per la dichiarazione dell'armistizio e per il capovolgimento de1la fronte prima dello sbarco principale anglo-americano. Il generale Ambrosie approvò l'operato del generale Castellano. Non venne peraltro presa nessuna decisione e la disputa continuò nei giorni seguenti fino al mattino del 3 settembre, quando, dopo vari incontri del maresciallo Badoglio con il ministro Guariglia, il generale Ambrosia, il generale Carboni, il duca Acquarone, lo stesso generale Castellano, si venne ad una soluzione di compromesso: il governo avrebbe aderito alle condizioni anglo-americane e non avrebbe insistito perché l'annuncio dell'armistizio avvenisse dopo che le forze dello sbarco principale si fossero attestate con contingenti sufficienti e in località adatte, sebbene l'ideale sarebbe stato che gli anglo-americani fossero stati m grado di determinare una diversa situazione in Europa sbarcando in Francia o nei Balcani allo scopo di risucchiare le forze tedesche m
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Italia. Venne data conferma agli anglo-americani della partenza del generale Castellano per Termini Imerese la mattina del 31 dove egli giunse alle ore 9, latore di un documento, stilato dal ministro Guariglia e rivisto dal maresciallo Badoglio, nel quale tra l'altro si precisava quanto gli anglo-americani avrebbero dovuto fare per un aiuto efficace per l'Italia, e cioè la necessità che la dichiarazione dell'armistizio fosse fatta a sbarchi avvenuti di almeno quindici divisioni (sic), e che la maggior parte di queste prendesse piede tra Civitavecchia e La Spezia. Inoltre si precisava che la flotta italiana sarebbe andata a La Maddalena, che il re, il governo ed il corpo diplomatico sarebbero rimasti a Roma e che sarebbe stato necessario conoscere pressapoco l'epoca dello sbarco per potersi preparare. Appare evidente come le istruzioni date al generale Castellano fossero prive del senso del reale: era il maresciallo Badoglio a fissare le condizioni e per di più chiedendo operazioni dal punto di vista tecnico-militare assolutamente irrealizzabili o che avrebbero richiesto mesi di preparazione e mezzi talmente ingenti da superare di gran lunga le stesse grandi possibilità anglo-americane. Quando il generale Castellano giunse a Termini Imerese vi trovò il generale Zanussi, della cui missione nessuno gli aveva fatto cenno, e si adombrò ed irritò. L'incontro non fu cordiale e quando il generale Zanussi cercò d'informare il generale Castellano dell'armistizio lungo, questi gli rispose che sapeva già tutto, ma pensava all'armistizio corto, cosicché, quando i due iniziarono poco dopo le conversazioni con i delegati anglo-americani, il generale Castellano discusse sulla base dell'armistizio corto ed il generale Zanussi era convinto che il collega ed il Comando Supremo fossero al corrente anche di quello lungo e l'avessero accettato. Il 31 sera i generali Zanussi e Castellano rientrarono a Roma con dati ben lontani dalle richieste del maresciallo Badoglio e del ministro Guariglia. L'accordo possibile era che: l'Italia avrebbe accettato le condizioni e le modalità di resa e che ciò sarebbe stato tenuto momentaneamente segreto; gli anglo-americani avrebbero effettuato alcuni sbarchi secondari per attrarre forze tedesche e con l'opposizione puramente formale delle forze italiane; dopo un certo periodo - che il generale Castellano indicò in una o due settimane - sarebbe avvenuto lo sbarco principale, a sud di Roma, senza più opposizione delle forze italiane, accompagnato dal1'aviosbarco di una divisione - da rendere poi autotrasportata a cura dei comandi italiani - nei pressi di Roma, e dall'invio di 100 cannoni controcarro alla foce del Tevere; sei ore prima dello sbarco, il generale Eisenhower ed il maresciallo Badoglio avrebbero contem-
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poraneamente annunciato l'armistizio. Il 1° settembre si tenne una nuova riunione nell'ufficio del maresciallo Badoglio al Viminale, alla quale parteciparono, oltre il maresciallo, il ministro Guariglia, il generale Ambrosia, il generale Carboni, il duca Acquarone ed il generale Castellano; quest'ultimo si oppose che alla riunione intervenisse anche il generale Zanussi, nonostante che questi avesse partecipato alle discus~ioni del giorno avanti con gli interlocutori anglo-americani, con il vantaggio di capire l'inglese che, invece, il generale Castellano non comprendeva. Ne11a riunione vi furono dissensi e dispareri iniziali, ma alla fine l'esposizione e Ja perorazione del generale Castellano parvero convincenti. Il generale Ambrosia con più entusiasmo ed il ministro Guariglia più rassegnatamente si pronunciarono per l'accettazione; i] duca Acquarone si espresse per l'accettazione salvo a cambiare parere nel caso temuto da Carboni, il quale fu il solo ad esprimere parere contrario dichiarando di non credere che gli anglo-americani avrebbero fatto ciò che il generale Castellano diceva gli avevano promesso. Il maresciallo Badoglio tacque, ma nel pomeriggio parlò con il re, dal quale ottenne l'assenso e, alle 17 , fece telegrafare ad Algeri che Ja risposta italiana eta affermativa e che il generale Castellano sarebbe tornato l'indomani in Sicilia per concludere. Il mattino del 2, infatti, il generale CasteJlano, accompagnato anche dal maggiore Luigi Marchesi, addetto al Comando Supremo e persona di fiducia del generale Ambrosia, tornò in Sicilia e raggiunse Cassibile dove trovò riunite le maggiori autorità politiche e militari del quartier generale delle forze anglo-americane del Mediterraneo. La prima cosa chiesta al generale Castellano fu se era munito della delega del capo del governo che lo autorizzava a firmare. Il generale Castellano non l'aveva e ciò irritò ed insospettì gli anglo-americani. Questa è una ,maniera molto buffa di trattare da parte del vostro governo: disse il generale Alexander. Con espressione di freddo furore, Alexander annunciò che, se gli italiani non avessero firmato entro ventiquattrore, gli alleati sarebbero stati obbligati a bombardare Roma (20). Il generale Castellano ed il seguito vennero rinchiusi sotto scorta armata in una tenda in attesa che venisse autorizzata da Roma la firma, secondo la richiesta inoltrata una prima volta nel pomeriggio del 2 ed una seconda volta, non avendo ricevuto riscontro alla prima, verso le ore 6 del giorno 3. La risposta finalmente giunse verso le 14 del giorno 3 ed alle 17 ,15 poté avere inizio la cerimonia della firma. In una tenda militare, piantata nel mezzo di un uliveto, dove su di un tavolo da casermaggio erano un telefono da campo, due portaceneri e due bottigliette d'inchiostro, un generale italiano non in uniforme, rap-
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presentante di un amiano maresciallo d'Italia in quel momento a capo del governo legittimo, poneva il Paese alla mercé del vincitore senz'altro sperare che nell'indulgenza di questi. Quel generale in quel momento era l'Italia che confessava pubblicamente l'errore della guerra , nella quale Mussolini, nel segno di un patto di acciaio che si era rivelato di stagno, l'aveva trascinata in dispregio degli ideali e dei sentimenti della gran parte dei cittadini e senza neppure badare all'assoluta impreparazione materiale e tecnica delle forze armate che avrebbero dovuto combatterla. In quello scenario triste e squallido l'Italia deponeva gli orpelli dei quali il dittatore l'aveva rivestita e pagava il fio della perdita della libertà senza la quale la ricerca delJa giustizia sociale, della tranquillità nazionale, del benessere e della gloria è del tutto vana. A Roma l'anziano maresciallo , timoroso ed incerto, più preoccupato della sua che non della sorte della Patria come spesso capita ai vecchi egoisti che paventano la morte fisica assai più dei giovani - alla quale forse aveva voluto rendere l'ultimo servizio nel tentare <li tirarla fuori Jalla guerra di cui era uno dei corresponsabili, forse il maggiore dopo Mussolini , avrebbe dovuto avvertire in quel momento il peso morale del fallimento di tutta la sua vita con il rimorso <li essersi servito del fascismo, senza servirlo con lealtà, per favori, onori e prebende e per avere accettato, presumedo di sé o per scopi meno nobili, un compito che si dimostrò superiore alle sue forze morali e fisiche ed alle sue residue capacità, divenute del tutto insufficienti ad un'azione coraggiosa, decisa e rettilinea quale avrebbe dovuto essere quella da seguire dal 25 luglio. All 'armistizio si giunse, dunque, tardi e male. L'assurdo è nei fatti, dei quali abbiamo ricordato l'essenziale, sfrondandoli dell'infinità di particolari - la gran parte veri, altri interessatamente colorati o smorzati o taciuti, altri fatui o grotteschi - di cui sono ricchi i memoriali e le storie a tesi, dove abbondano le critiche e le polemiche faziose e si esprimono giudizi con visioni settoriali estrapolate dal quadro d 'insieme. Noi ci siamo limitati ai fatti sicuramente certi e non contestati da nessun autore, italiano o straniero, militare o non. La critica storica è comunque oggi pressoché concorde nel giudizio che noi diamo circa la strada seguita dal governo del maresciallo Badoglio per giungere all'arm istizio. I contatti con gli anglo-americani si sarebbero dovuti e potuti prendere molto più tempestivamente, forse anche prima del 25 luglio, e condurre con estrema sollecitudine, senza esitazioni e tergiversazioni, con chiara visione della realtà - la mancanza di realismo fu la causa delle cause di come andarono le cose - e con lealtà, in modo da raggiungete il più presto
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due scopi essenziali: far cessare i bombardamenti sulle cltta ed evitare che i tedeschi calassero in forze nella pensiola. In altre parole, si sarebbe dovuto e potuto, anziché darsi da fare per cercare di allontanare la data dell'armistizio, affrettarla e ravvicinarla il più possibile al 25 luglio fino, al limite, a farvela coincidere, magari, qualora non si fosse potuto fare diversamente, mediante iniziativa unilaterale che denunziasse la fine dell'alleanza con i tedeschi . Tale linea di condotta, che avrebbe dovuto essere pianificata e predisposta in uno con quella dell'arresto di Mussolini e della caduta del fascismo, avrebbe richiesto senso del reale, sincerità di rapporti con gli angloamericani e con i tedeschi, decisione, coraggio e capacità, che, invece, difettarono al governo ed ai vertici militari. Non meno gravi le responsabilità e le colpe degli anglo-americani che dettero prova di mancanza di acume e di perspicacia politica e strategica. Mantennero fermo il punto della resa incondizionata, vagamente temperata dalla dichiarazione di Quebec; agirono con il paraocchi della punizione e della vendetta anziché con la visione delle prospettive che l'avvenimento avrebbe potuto aprire nel loro stesso interesse; non apprezzarono l'offerta di una collaborazione che avrebbe potuto essere preziosa dato che in quel momento non avevano ancora vinto la guerra e non potevano essere certi della data della vittoria finale , tuttallora lontana altri 20 mesi ; fecero ricorso ad espedienti e menzogne segretezza circa la zona dello sbarco principale, peraltro già individuata dai tedeschi, e circa la data dell'annunzio dell'armistizio, promessa di sbarchi molto più consistenti di quelli che verranno effettuati - del tutto inutili ed anzi dannosi. Circa la data dell'annuncio dell'armistizio, il comportamento degli angloamericani fu quanto meno inusitato e sciocco. La data dell'annuncio avrebbe dovuto essere, come sempre era avvenuto nella storia, preventivamente concordata, tanto più che nel caso particolare avrebbe dovuto coincidere con l'inizio di operazioni militari importanti, una delle quali (aviosbarco della divisione paracadutisti a Roma) avrebbe dovuto essere effettuata in stretta cooperazione con le forze italiane. Nessuna diffidenza e nessun timore di un ripensamento italiano all'ultimo momento valgono a giustificare la condotta del comando del generale Eisenhower. Nulla d 'altra parte giustifica la leggerezza del generale Castellano nel prospettare l'ipotesi che, a suo giudizio, l 'annuncio non sarebbe stato fatto prima del 12 settembre, non avendone egli la certezza ed essendo pervenuto a tale conclusione mediante induzioni e considerazioni personali labili e caduche. Del tutto inescusabile è, infine, il fatto che il generale Ambrosia - a quanto ebbe poi ripetutamente
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a dichiarare - abbia commisurato tutte le proprie predisposizioni e mosse sulla base dell'indicazione datagli dal generale Castellano. E quali furono le predisposizioni e le mosse? A parte il fatto che, anche qualora vi fosse stata la certezza che l'annuncio sarebbe stato dato non prima del 12, un'indiscrezione che avrebbe potuto far precipitare la situazione sarebbe pur stata possibile, le predisposizioni e le mosse del Comando Supremo furono insufficienti e tardive. Il capo di stato maggiore della marina venne messo al corrente dell'armistizio il giorno 3; non venne tenuta una riunione dei capi di stato maggiore di forza armata; il Comando Supremo mise nero su bianco solo il giorno 6 diramando il promemoria n. 1 (21); il generale Ambrosia si allontanò da Roma dalla sera del giorno 6 al mattino dell'8 per motivi personali o di famiglia e, avvertito la mattina del 7 dell'arrivo a Roma di due alti ufficiali del comando del generale Eisenhower venuti per concordare l'aviosbarco della divisione paracadutisti statunitense, malgrado la disponibilità di un aereo dalle ore 16 dello stesso giorno, non ritenne necessario di servirsene e fece ritorno a Roma in treno la mattina del giorno 8. Alla luce dell'insieme delle trattative e dei fatti l'armistizio fu davvero un crooked deal - uno sporco affare - come l'avrebbe definito il generale Eisenhower, che non lo volle firmare di persona, secondo quanto scrisse successivamente il generale H. Hardy Butcher (22).
4. Sarebbe stato sufficiente porre mente a due evidenti realtà strategiche per indirizzare diversamente la linea di condotta del governo e dei vertici militari italiani: l'Italia era per i tedeschi l'antemurale necessario a tenere lontana la guerra dal loro territorio nazionale per cui ne avrebbero conteso a palmo a palmo il possesso; l'interesse degli anglo-americani per l'Italia era limitato a fissarvi il maggior numero possibile di forze tedesche - la liberazione dell'Italia non era il loro problema principale - dovendo preoccuparsi principalmente dell'apertura di una seconda fronte in Europa più decisiva e risolutiva ai fini della vittoria sulla Germania di Hitler. Intenti alla soluzione del problema nazionale, i vertici italiani omisero di valutare gli interessi strategici delle altre due parti, nutrirono illusioni, speranze, desideri materialmente irrealizzabili, mandarono in fumo l'unica opportunità che avrebbe consentito di coinvolgere direttamente ed
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impegnativamente gli anglo-americani nel programma di rivolta all'occupazione tedesca. Non doveva essere radicata e profonda la convizione di un eventuale voltafaccia italiano e neppure così grande la diffidenza se gli anglo-americani acconsentirono e dettero il via alle fasi dell'accordo per l'operazione Giant 2 - sbarco della 82" divisione Airborne, rinforzata da 100 cannoni controcarro imbarcati su 3 mezzi da sbarco per fanteria e su un carro armato anfibio, per la difesa di Roma - per la cui effettuazione inviarono a Roma, dove giunsero alle ore 22 del 7, il generale Maxwell Davenport Taylor, vice-comandante della 82" divisione (23), ed il colonnello dell'aeronautica William Tudor Gardner. L'operazione non era stata concepita come un aviolancio per la conquista degli aeroporti intorno a Roma, ma come un aviosbarco su aeroporti presidiati da forze italiane che ne garantissero il possesso per tre o quattro giorni consecutivi fino a quando cioè la divisione non fosse stata operativamente impiegabile mediante l'ultimazione delle operazioni di scarico, il completamento del riordino dei reparti, l'assegnazione a cura delle autorità italiane di 400 autocarri (24) . L'ordine di operazione pervenuto al Comando Supremo la sera del 5 settembre, fu diramato ai tre Stati Maggiori ]'indomani nel pomeriggio. Minuziosissimo, era firmato dal vice-comandante della divisione, generale Taylor (25). Comandante della divisione era il generale Matthew Bunker Ridgway {26). Lo stato maggiore dell'esercito, presa conoscenza del piano, constatò che gli aeroporti scelti dagli anglo-americani - Guidonia, Furbara, Cerveteri - non erano inclusi nella prevista difesa esterna fissa della capitale, che per poterli includere sarebbe stato necessario avanzare tale difesa e rinforzarla con altre unità, che si sarebbe inoltre dovuto provvedere alla neutralizzazione di una fascia larga oltre 30 Km a cavallo del Tevere, eliminando le forze germaniche ivi esistenti, per garantire l'arrivo a Roma dei 100 cannoni controcarro. Tre quindi i punti che formarono oggetto delJa massima attenzione: la scelta degli aeroporti e della loro utilizzazione, le modifiche da apportare allo schieramento delle forze preposte alla difesa della capitale, la sicura navigabilità del Tevere fino a Roma (27). Venne previsto che la divisione Lupi di Toscana, in corso di arrivo, avrebbe assicurato la protezione degli aeroporti di Cerveteri e di Furbara, la divisione Centauro quella dell'aeroporto di Guidonia, altre truppe (carabinieri, truppe ai depositi) avrebbero sostituito l'aliquota della divisione Granatieri di Sardegna a disposizione della divisione Sassari ed un gruppo tattico di questa ultima (1 reggimento di fanteria ed 1 gruppo di artiglieria) avrebbe raggiunto Civitavecchia per assicurare il possesso
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del porto dalle provenienze dall'interno. La stessa sera del giorno 6 lo stato maggiore dell'esercito comunicò i provvedimenti decisi e predisposti per l'operazione e poiché era anche giunta la notizia di concentramenti di mezzi navali e di movimenti delle forze alleate fra la Sicilia e il golfo di Salerno, lo stato maggiore espresse anche il dubbio di un anticipo dello sbarco principale previsto sul litorale e quindi dell'annuncio dell'armistizio, nonché il timore che lo sbarco sarebbe avvenuto non a portata di Roma, ma a notevole distanza dalla città. Inoltre, la notte sul 7 il capo di stato maggiore dell'esercito compilò un promemoria per il Comando Supremo, nel quale avvertiva che sarebbe stato interesse comune che l'annuncio dell'armistizio avvenisse quando il primo sbarco fosse già in atto, che l'iniziativa delle ostilità fosse presa dalle forze germaniche e che il primo previsto sbarco navale avvenisse a portata di Roma (richiesta, quest'ultima, non certo conciliabile con le esigenze di una grande operazione di sbarco che esige, nella scelta della zona idonea, accurati e preventivi studi), per impegnare le forze germaniche destinate ad agire contro la Capitale. Tuttavia venivano presi tempestivi accordi con lo Stato Maggiore dell'Aeronautica per le predisposizioni di sua competenza, che avrebbero richiesto inizialmente almeno sette giorni, poi contratti a due (28). Il generale Roatta non poteva ignorare che l'operazione di grandi sbarchi navali esige studi preventivi e tempi di organizzazione lunghi, e che quelli non erano stati compiuti e che questi non erano disponibili neppure nel caso che l'annuncio dell'armistizio fosse stato fissato per il giorno 12. Il suo promemoria era tanto inutile quanto privo di realismo, a meno che non avesse lo scopo di dissuadete il Comando Supremo dall'accettare il concorso della 82 divisione statunitense per la difesa di Roma. Egli avrebbe fatto assai meglio a chiarire esplicitamente che, poiché le divisioni Re e Lupi di Toscana, incaricate della protezione degli aviosbarci della 82\ non sarebbero giunte in tempo e poiché la Y divisione panzetgrenadiere tedesca avrebbe potuto dalla zona di Montefiascone, dove era dislocata, trasferirsi celermente a sud interponendosi tra gli aeroporti di Cerveteri e di Furbara e le posizioni più avanzate della difesa fissa esterna della capitale - elementi di tale divisione partiti verso la mezzanotte dell'8 raggiunsero infatti nelle prime ore del 9 Civitavecchia - la Gian/ 2, così come pianificata dal generale Taylor, avrebbe potuto risolversi in un grave smacco, lasciando al Comando Supremo la scelta di effettuarla o no, senza indugiare ad esprimere suggerimenti di per sé inconsistenti . Da patte sua , il Comando Supremo non avrebbe dovuto sottovalutare l'enorme importanza sotto 4
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tutti gli aspetti di una cooperazione immediata italo-a!lglo-americana sul campo di battaglia e avrebbe dovuto fare l'impossibile per realizzarla. Doveroso è valutare e prospettare le difficoltà e i rischi, ma altrettanto cercare il modo di superarli o ridurli. Se il problema fosse stato messo allo studio il 1° settembre, quando il generale Castellano aveva informato il Comando Supremo che gli anglo-americani avevano accolto la proposta di collaborazione e si erano dichiarati pronti allo sbarco di una divisione aerotrasportata nei pressi deJla capitale da porre agli ordini del generale italiano comandante della difesa di Roma, si sarebbe potuta trovare una soluzione meno rischiosa che avesse teso possibile l'aviosbarco e forse gli anglo-americani avrebbero acconsentito a mutare la scelta degli aeroporti, optando per quelli del Littorio, di Centocelle nord e sud, di Ciampino , fermo restando quello di Guidonia per la cui protezione sarebbero stati necessari pochi e brevi spostamenti di alcune unità della Centauro. Quando il generale Taylor ed il colonnello Gardner giunsero a Roma - del loro arrivo non veuue informato lo stato maggiore dell'esercito - presero contatto con il generale Carboni, il quale convinto che la Gian! 2 sarebbe fallita fece di tutto per dissuaderli e per convincerli a rimandarla e soprattutto a posticipare la <laLa <li annuncio dcll'armisti~io fissata oramai per il giorno 8 e coincidente con lo sbarco principale in una zona che il generale Taylor, pure escludendo che fosse a nord di Roma, non volle precisare, e con l'aviosbarco della 82a a Roma. Il generale Carboni disse al generale Taylor che: i campi di aviazione « erano virtualmente in mano tedesca e qualsiasi tentativo di impossessarsene da parte nostra avrebbe dato il segnale di attacco alle forze del maresciallo Kesselring; il corpo motocorazzato non aveva carburante, aveva munizioni solo per due ore di fuoco e non era addestrato». Nel cuore della notte, su insistenza dei due , il generale Carboni li condusse nell'abitazione privata del maresciallo Badoglio ed al generale Francesco Rossi, sottocapo di stato maggiore generale che chiedeva se fosse necessario accompagnarlo, rispose di non seguirlo, in guanto egli stesso aveva tutto sistemato per il rinvio dell'annuncio dell'armistizio e aggiunse di andare con i due dal maresciallo Badoglio solo per compilare il testo della richiesta di proroga. Il maresciallo Badoglio si lasciò convincere dal generale Carboni e rinnovò ai due ufficiali statunitensi la rìchiesta di rinvio di qualche giorno, almeno tre, dell'annuncio al fine di rendere possibile l'aviosbarco in condizioni di sicurezza. Fu deciso di spedire il radio di richiesta di proroga ad Algeri, ma il generale Taylor, che ben sapeva l 'assurdita della richiesta stessa, volle
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che fosse cancellata la frase con la quale si comunicava al generale Eisenhower che anch'egli, Taylor, concordava, mentre fu stabilito che i due ufficiali statunitensi sarebbero stati accompagnati nel loro viaggio di ritorno dal generale Rossi che avrebbe potuto cosl illustrare verbalmente le motivazioni per il rinvio e la diversità della situazione di Roma rispetto a quella ipotizzata dal comando anglo-americano. Il generale Rossi giunse con i due ufficiali statunitensi presso il comando del generale Eisenhower quando il convoglio dello sbarco principale era già da ore in mare, l'aviosbarco dell'82" era stato sospeso in seguito ad un messaggio spedito dal generale Taylor, l'annuncio dell'armistizio era già stato dato, la richiesta di proroga era stata già respinta con apposito messaggio indirizzato al Comando Supremo italiano. Si era offerta la collaborazione militare italiana, ci si era quasi adontati perché gli anglo-americani non avevano manifestato di valutarla ed apprezzarla in modo adeguato, si era alla fine ottenuto di poterla realizzare subito sebbene nei limiti della difesa di Roma ed ora la si rifiutava, adducendo difficoltà obiettive ed altre inesistenti e comunque superabili e non soppesando suHicientemente quali sarebbero stati, anche nel caso di fallimento della Giant 2, i favorevoli riflessi politici, psicologici e militari che sarebbero derivati dal sacrificio congiunto dei soldati anglo-americani e di quelli italiani ai fini dell'interesse nazionale italiano. Anche al riguardo della mancata effettuazione della Giant 2 non si può non ripetere guanto messo in evidenza per l'armistizio: il Comando Supremo si mosse tardi e male. Perché si lasciarono passare sei giorni - dall'l al 6 settembre pomeriggio - prima di mettere allo studio per proprio conto l'operazione di cui si ebbe notizia il 1° settembre? Perché il Comando Supremo, che ricevé l'ordine di operazione dal generale Taylor la sera del 5, lasciò passare 20 ore prima di portarlo a conoscenza degli stati maggiori di forza armata? Perché, dopo la ricezione del promemoria piuttosto oscuro del generale Roatta, il Comando Supremo, senza attendere l'arrivo del generale Taylor, non prese una decisione sulla fattibilità dell'operazione entro termini di tempo minimi e nel quadro della situazione ipotizzata dal generale Roatta? Lo stato maggiore dell'esercito venne tenuto all'oscuro dell'arrivo dei due ufficiali statunitensi e venne scavalcato dal generale Carboni che, al riguardo, era privo di ogni potestà decisionale, della quale era invece investito lo stato maggiore dell'esercito che dal 5 settembre aveva assunto in proprio la difesa della capitale (29). Il ricorso all'autorità politica, senza dubbio d'obbligo nella particolare circostanza, avrebbe dovuto essere compito
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del generale Rossi, stante l'assenza da Roma del generale Ambrosio, e non del generale Carboni al quale il generale Rossi non avrebbe dovuto chiedere nulla, recandosi senz'altro dal maresciallo Badoglio con i due ufficiali statunitensi. Non a torto, al suo rientro, il generale Ambrosia censurò l'operato del generale Rossi che si era affidato passivamente al generale Carboni, ma avrebbe dovuto prima di tutti biasimare se stesso per essersi assentato da Roma in quei momenti e per non essere rientrato nella capitale nel pomeriggio del 7 come gli sarebbe stato agevole qualora avesse utilizzato l'aereo pronto a Torino alle ore 16 dello stesso giorno. Il generale Carboni, che assurse a protagonista della vicenda aveva un incarico duplice: alto commissario per il servizio informazioni militare (S.I.M.) e comandante de] corpo d 'armata motocorazzato; per il primo incarico dipendeva dal Comando Supremo, per il secondo dallo stato maggiore dell'esercito. Come comandante del corpo d'armata era stato autorizzato ad impartire direttive dirette, d'ordine dello stato maggiore, al XVII corpo d'armata ed al corpo d'armata di Roma alle sue dipendenze per quanto si riferiva alla preparazione ed all'attuazione della difesa della capitale. Due incarichi ciascuno a se stante, di natura diversa, separati, dei quali doveva rispondere a due autorità gerarchiche distinte, l'una (stato maggiore dell'esercito) subordinata all'altra (Comando Supremo). L'abbinamento delle due cariche, se non del tutto incompatibili certamente molto male conciliabili, era di per sé causa di confusione e di disordine in quanto danneggiava la chiarezza e la semplicità dell'organizzazione di comando la quale, sempre, ma specialmente nelle circostanze delicate, può funzionare correttamente solo se siano state definite con precisione le sfere di competenza e le responsabilità di ciascuno. Di tale anomala situazione non era responsabile il generale Carboni, ma i generali Ambrosia e Roatta. Il generale Carboni poteva così muoversi con grande disinvoltura e spregiudicatezza sia nell'ambito del Comando Supremo sia in quello dello stato maggiore dell'esercito e, incline ad apprezzare iperbolicamente le proprie qualità, non perdeva occasione di metterle in mostra senza troppo curarsi della scala gerarchica e andando al di là di quelle che erano le già ampie sfere delle sue attribuzioni e delle sue competenze. Egli non sentì il dovere, ad esempio, d'informare il generale Roatta dell'arrivo dei due ufficiali statunitensi e fece di tutto, riuscendovi per la debolezza dell'altro, per impedire al generale Rossi, che era suo superiore al pari del generale Roatta, di partecipare al colloquio dei due ufficiali statunitensi con il maresciallo Badoglio. Convinto a priori del fallimento della Giant 2, im-
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pose la sua tesi al capo del governo, che egli sapeva incerto e titubante su tutto, e scavalcò deliberatamente il Comando Supremo e lo stato maggiore dell'esercito cui sarebbe spettato esprimere i loro pareri, dei quali quello del Comando Supremo avrebbe dovuto essere determinante sul piano tecnico-militare. Non sono tanto le colpe e le responsabilità degli uomini che interessano il nostro discorso, quanto gli errori, le lacune, gli inceppamenti del sistema; l'abbinamento delle due cariche, a prescindere dalla validità della scelta del generale al quale vennero affidate, fu uno di tali gravi errori nel quale si volle ricadere nonostante le esperienze negative constatate, sia pure su di un piano diverso, quando alla carica di capo di stato maggiore dell'esercito si era abbinata quella di comandante superiore delle forze armate in Africa settentrionale od alla carica di capo di stato maggiore generale quella di comandante superiore delle forze armate in Albania. Non possiamo però non ricordare che il generale Carboni, tra i motivi in varie circostanze esposti per non dare luogo alla Ciant 2, ne addusse insieme a taluni validi - il cui potere inibitorio non toccava a lui stabilire - altri speciosi, di comodo, addirittura infondati o provocati da sue colpevoli imprevidenze. Il generale Carboni aveva assunto il comando del corpo d'armata motocorazzato il 12 agosto: perché attese la prima decade di settembre per rappresentare le lacune della grande unità, quali la scarsità delle munizioni, l'indisponibilità di carburanti, il basso grado di addestramento delle unità, la scarsa affidabilità della divisione Centauro per la presenza di quadri e di gregari già appartenenti alla milizia volontaria per la sicurezza nazionale? Egli avrebbe avuto tutto il tempo per prelevare quante munizioni avesse voluto, meno i proietti perforanti da 47 /32 dei quali c'era carenza dopo lo scoppio della fabbrica di Piacenza, ed avrebbe potuto sollecitare in tempo il prelevamento da parte delle grandi unità del corpo d'armata dei carbolubrificanti che gli erano stati assegnati nei quantitativi delle spettanze del mese di agosto e dei fabbisogni per motivo speciale (autotrasporto della 82B Airborne) e per esigenze di carattere straordinario (appunto la difesa di Roma), tanto è vero che la Piave, che vi aveva provveduto, disponeva il 7 settembre del carburante necessario per 1 000 Km. Se l'addestramento toccava livelli bassi era perché non lo si era intensificato a sufficienza neppure nel mese di agosto, e quanto alla minore affidabilità della Centauro era una prevenzione del generale Carboni perché era stato provveduto subito dopo il 25 luglio ad epurarla dei quadri e dei gregari più sospetti di filofascismo ed
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infatti la grande unità non darà luogo, durante le vicende dell'8 settembre e dei giorni successivi, a manifestazioni ed episodi particolari e si comporterà come le altre grandi unità del corpo d'armata. In ogni caso le lacune addestrative, qualora esistenti, non avrebbero potuto essere colmate od eliminate ancorché l'annuncio dell'armistizio fosse stato rinviato di qualche giorno. Se quindi il generale Carboni continuava a dire in giro, e disse a Badoglio ... che il suo corpo d'armata non aveva munizioni bastanti né carburante, bisogna concludere che, o era in malafede, o con colpevole indifferenza non si era curato di conoscere le reali condizioni delle forze da lui dipendenti (30). Più grave fu che il maresciallo Badoglio, il generale Ambrosie e soprattutto il generale Roatta ascoltassero in silenzio le geremiadi del generale Carboni e non gli ordinassero di provvedere subito quanto meno ai prelevamenti di munizioni e di carburanti che erano a portata di mano nei depositi della capitale e del Lazio. « Forse ci siamo sbagliati ed abbiamo commesso un errore » disse il generale Eisenhower al generale Rossi appena giunto a Biserta nel pomeriggio dell'8, quando questi gli espose, oramai solo a scopo illustrativo, quali sarebbero stati i vantaggi di uno sbarco a nord di Roma e quale danno sarebbe derivato dal mancato accordo preventivo tra anglo-americani e italiani circa una questione cosl importante. Lo stesso comando anglo-americano ammise successivamente che era stato altresl un vero peccato l'aver dovuto rinunziare all'ultimo momento all'azione della 82a Airborne sia pure per aver creduto ad informazioni inesatte di parte italiana (31), quali, ad esempio, quelle riguardanti l'occupazione degli aeroporti da parte delle forze tedesche. È fuori discussione che gli anglo-americani non furono esenti da colpe È vero che il comportamento dei negoziatoti italiani e la stessa impostazione delle trattative giustificarono diffidenze e sospetti, ma se i negoziatori anglo-americani non avessero perseverato a credere fino all'ultimo che vi fosse sempre un fondo di malafede in tutto queJJo che si faceva, si diceva e si proponeva da parte italiana, le cose avrebbero potuto andare diversamente ed il comando del generale Eisenhower avrebbe potuto congegnare assai meglio il suo piano operativo. L'errore principale di carattere strategico-militare fu certamente la scelta della spiaggia salernitana per lo sbarco principale. Altro errore fu l'ostinazione nel mantenere il punto sugli aeroporti per l'operazione Giant 2 e nel rigettare le proposte italiane sostitutive che, qualora accolte, avrebbero fatto decadere molte delle difficoltà che si opponevano all 'aviosbarco.
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Il 25 luglio mutò naturalmente, come ricordato, l'amosfera dei rapporti tra italiani e tedeschi, ma inizialmente ciò riguardò quasi esclusivamente i due governi ed i due Comandi Supremi. Da parte italiana gli stessi stati maggiori centrali di forza armata, oltre che gli alti comandi operativi di scacchiere e di settm-e, continuarono ad impegnarsi con lealtà e senza riserva a favore delle operazioni in corso e ad animare ed improntare le reciproche relazioni a spirito di buon cameratismo ed a considerazioni esclusivamente operative. Attriti, frizioni vennero in superficie sul piano locale solamente là dove i tedeschi cominciarono a farla da padroni dimostrandosi incuranti dei diritti e delle preminenti esigenze degli italiani e provocando gravi e talora drammatici incidenti che il maresciallo Kesselring definì poi eufemisticamente nelle sue memorie episodi incresciosi (32). D'altra parte gli stati maggiori centrali di forza armata il 25 luglio furono allertati solo in funzione di eventuali sommosse e manifestazioni di carattere interno, mentre nei riguardi dell'alleato valse anche per loro l'ordine di continuare a combattere contro gli anglo-americani contenuto nel proclama del re. Cosl da una parte gli stati maggiori centrali di forza armata e gli alti comandi operativi proseguirono nei limiti delle oramai ridottissime possibilità a difendere in unione con i tedeschi l'Italia dall'invasione anglo-americana, dall'altra il Comando Supremo, senza volerlo lasciare intendere, poneva invece remore al rinforzo delle operazioni in Sicilia e mentre non perdeva occasione, sulla falsariga della condotta del nuovo governo, per rassicurare l'Alto Comando tedesco circa la fedeltà all'alleanza e la volontà italiana di condurre fino in fondo la guerra, cominciava a tessete, in ritardo e maldestramente, la trama ingarbugliata della presa di contatto con gli anglo-ameircani per giungere all'armistizio e per offrire la collaborazione militare italiana. La Germania si era posta da tempo l'eventualità di un distacco dell'Italia dall'alleanza e vi si era preparata. Il piano predisposto scattò la notte sul 25 luglio e se non comprese, come Hitler aveva prospettato nel momento della prima ora, l'arresto del re e dell'intera famiglia reale ed il rovesciamento immediato del nuovo governò, che avrebbe dovuto essere sostituito da altro filotedesca e filofascista, lo si dové al maresciallo Kesselring che, pur giudicando l'impresa priva di particolari difficoltà, non la ritenne conveniente sul piano politico e militare. Hitler ebbe subito dopo l'idea di far dichiarare in arresto a titolo precauzionale la
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famiglia reale ed i più alti dirigenti politici e militari non appena si fosse avuto qualche indizio sicuro di un prossimo distacco dell'Italia e di fare, nel frattempo, liberare Mussolini a qualsiasi costo per poter riprendere con lui una politica comune. Alla richiesta del maresciallo Badoglio d'incontrarsi con lui, Hitler oppose il suo rifiuto non ripromettendosi da tale incontro alcun effetto positivo. Ebbe, invece, luogo a Tarvisio il 6 agosto un incontro tra il ministro degli esteri Guariglia ed il capo di stato maggiore generale Ambrosio ed il ministro degli esteri tedeschi von Ribbentrop ed il maresciallo Keitel, ma le conversazioni non portarono ad alcun risultato tangibile. Non avrebbe potuto essere diversamente: dal 26 luglio, senza lasciarsi ingannare dalla frase del proclama del re la guerra continua, eppur trattenendosi dalle misure estreme, Hitler, che giudicò il 25 luglio non come una crisi dello stato italiano, ma come un completo rovesciamento della politica italiana diretto a porre fine alla guerra mediante la capitolazione, anche a costo di sacrificare l'alleato, non esitò un attimo a mettere in atto tutte le misure di carallete politico e militare per attuare il piano Alarico, e cioè l'occupazione militare dell'Italia, senza troppo badare neppure a salvare gli aspetti formali politici e diplomatici. Egli si sentì ingannato e fu subito deciso a difendersi ed a vendicarsi. A nulla valsero le proteste di fedeltà all'alleanza e le dichiarazioni di volontà di continuare la guerra ripetute, quasi quotidianamente, dal 25 luglio fino al mattino dell'8 settembre, dal re, dal capo del governo, dal ministro degli esteri e dagli altri vertici politici e militari italiani, come nessun effetto ottennero le ripetute proteste del governo e del Comando Supremo, a voce e per iscritto, contro le intollerabili misure di violenza esercitae dai tedeschi nella loro calata in forze nella penisola nei confronti delle autorità e le forze armate italiane. I tedeschi erano fermamente decisi a continuare ad opporsi alle forze anglo-americane operanti nel territorio italiano ed a mettersi in condizione di neutralizzare le conseguenze strategico-militari di un eventuale distacco dell'Italia e di un suo voltafaccia con il passaggio, ritenuto probabile più che solo possibile, nel campo opposto. Alla base dei rapporti tra i due governi ed i due comandi supremi furono posti la sfiducia, il sospetto, la slealtà. I contrasti si fecero violenti. A Tarvisio si svolse un dialogo fra sordi e, perciò, inconcludente. Da parte germanica si sostenne la tesi che le truppe inviate in Italia servissero per la comune difesa, benché l'assunto risultasse affatto convincente in quanto tali forze erano state fermate e continuavano a fermarsi nell'Italia del nord anziché trasferirsi nel sud dove veniva verificandosi la crisi militare; da parte ita-
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liana, dopo la riaffermazione del ministro Guariglia circa la fedeltà dell'Italia all'alleanza, venne proposto che le divisioni tedesche in via di concentrazione in due blocchi - uno sull'Appennino e uno in Liguria - venissero sottoposte al comando italiano e che la sicurezza delle vie di comunicazione ferroviarie venisse assunta solo da unità italiane. Il maresciallo Keitel richiese maggiori sforzi da parte italiana e l'impiego delle divisioni italiane dislocate nell'Italia settentrionale e centrale nella difesa dell'Italia meridionale; il generale Ambrosio chiese di poter ritirare dalla Francia la 4a armata e dai Balcani 3 divis.i oni per trasferirle in Italia appunto là dove sarebbero state più probabili e pericolose le offese nemiche. L'impossibilità di conciliare tali opposte richieste, che male celavano i veri intendimenti delle due parti, ebbe come conseguenza il fallimento dell'incontro. Nello stesso clima di tensione si svolse un successivo incontro, promosso dal generale Roatta, questa volta con il generale Jodl (33), e debitamente autorizzato dal Comando Supremo. Il convegno ebbe luogo il 15 agosto a Casalecchio, nei p1·essi di Bologna, e vi presero parte anche il generale Rossi sottocapo di stato maggiore generale ed il maresciallo Rommel, nominato comandante del gruppo armate B che inquadrava le divisioni tedesche affluite nell'Italia del nord. I delegali italiani riaffermarono le necessità: di ritirare dalla Francia la 4" armata e dalla Balcania alcune divisioni; di spostare nell'Italia meridionale le divisioni tedesche stanziate nel nord, definendone le dipendenze; di devolvere alle truppe italiane la protezione delle comunicazioni e degli impianti, fatta solo eccezione per la ferrovia del Brennero, da vigilarsi in comune. I delegati tedeschi autorizzarono il ritiro delle truppe dalla Francia e di alcune divisioni dalla Balcania; avvertirono però che : le loro truppe dell'Italia settentrionale vi sarebbero rimaste, spostandone al massimo alcuni elementi fino all'Arno e a Rimini; alcune divisioni avrebbero occupato la piazza marittima di La Spezia; il maresciallo Rommel avrebbe assunto il comando delle forze del nord d'Italia avendo alle sue dipendenze le armate italiane 4a ed 8\ la protezione delle comunicazioni e degli impianti avrebbe dovuto farsi in comune, poiché, essendovi stata una vera e propria rivoluzione in Italia, i tedeschi dovevano salvaguardarsi da qualunque sorpresa (34) . Divenne così ancora più evidente che i tedeschi intendevano assumere il controllo totale dell'Italia settentrionale. Questo era del resto l'intendimento preciso di Hitler che il 18 agosto, dopo i colloqui intercorsi dal giorno 6 al 15 con il maresciallo Kesselring ed il generale von Rintelen, impartì le seguenti direttive: « 1° - Prima o poi è da prevedere che sotto la pressione del nemico l'Italia capi-
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tolerà.. 2° - Per tenersi pronta ad una tale eventualità la 1o• armata deve tenere aperta la sua direttrice di ritirata. Fino a quel momento, dell'Italia centrale, ed in particolare della zona di Roma, si occuperà l'O.B.S. (maresciallo Kesselring). 3° - Nella zona costiera compresa tra, Napoli e Salerno, che per ora è la più minacciata, si deve riunire un grosso gruppo di combattimento consistente in almeno tre formazioni mobili tratte dalla 10" armata. Tutti i reparti non più mobili dell'armata devono essere trasferiti in questa zona . J n una prima fase i , reparti mobili possono restare tra Catanzaro e Castrovillari per prendere parte ad eventuali operazioni mobili in quel settore. Contingenti della 1n divisione paracadutisti possono essere impiegati per proteggere Foggia. Nel caso di uno sbarco nemico, la zona NapoliSalerno deve essere difesa. A sud della strozzatura di Castrovillari si svolgerà invece soltanto un'azione ritardante» (35). Tali direttive erano state precedute da quelle del maresciallo Kesselring riguardanti il piano Alarico: sgombero dei tratti di fronte minacciati, compresi i presidi isolati delle isole, cercando di trarre in salvo la maggior parte del materiale; accordo con i comandanti italiani, che dovevano facilitare l'operazione; discreti dislocamenti temporanei di truppe e di materiali atti ac.l agevolare l'azione nei casi di difficoltà particolari. Nel periodo immediatamente precedente la defezione, lo sgombero non doveva venire reso più difficile da ulteriori invii di rinforzi e di rifornimenti. Nelle isole e sul fronte calabro, i movimenti di ritiro delle truppe dovevano venire eseguiti senza provocare combattimenti; qualora però si fosse incontrata resistenza di reparti italiani, aprirsi la strada con qualsiasi mezzo. Sul fronte imprevedibile dell'invasione e nei dintorni di Roma sarebbe stato quasi impossibile effettuare i movimenti senza lotta. Gli ufficiali di collegamento addetti ai comandi dovevano controllare l'attività di questi; essi avrebbero assunto Ja funzione di posti avanzati, in base alle cui informazioni si dovevano, se necessario, trarre in arresto gli ufficiali dei comandi e le personalità più autorevoli. Per au mentare le possibilità di difesa, era necessario sgomberare le città, e, qualora ciò non fosse stato possibile, concentrare i comandi e gli uffici tedeschi su posizioni adatte ad una efficace difesa. Le unità di aviazione, al ricevere la parola d'ordine - Achse - dovevano impadronirsi di tut ti gli apparecchi adatti al volo e dei pezzi di artiglieria contraerei. La marina avrebbe impedito alle unità italiane di prendere il largo, catturandole e mettendole successivamente al servizio dei tedeschi. L'occupazione di tutti gli impianti di trasmissione di notizie doveva ostacolare o rendere impossibile la diramazione di ordini di comandi italiani (36) . Così sue-
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cessivamente il maresciallo Kesselring commentò il successo del piano: « Il fatto che tutti i movimenti si erano poi svolti ordinatamente e con successo dimostra la bontà del metodo da me scelto nell'incertezza della situazione. Inoltre si potè meglio mantenere il segreto sulle operazioni; cosa di enorme importanza in questo caso particolare » (37). Tutto, o quasi, andò infatti per i tedeschi nel senso da loro voluto. Non riuscirono a catturare la flotta, ma l'Alarico raggiunse pienamente lo scopo, anzi consentl di ampliarlo in quanto i tedeschi riuscirono ad occupare non solo la parte d'Italia a nord dell'Appennino - come inizialmente avevano progettato - ma anche ad allestire una posizione difensiva a sud di Roma conservando il possesso della capitale italiana per circa 8 mesi. Non può stupire che l'Alto Comando tedesco avesse preparato da tempo il piano Alarico, meraviglierebbe il contrario; del pari non si può gridare allo scandalo perché la notte sul 26 luglio - nonostante le solenni affermazioni del re circa la continuazione della guerra ed il mantenimento della parola data - l'Alto Comando tedesco provvide tempestivamente a cautelarsi dal danno strategico e tecnico-militare che sarebbe derivato alla Germania dal distacco dell'Italia dall'alleanza. Lasciò, invece, stupefatti l'ingenuità dei vertici politici italiani nel crt:<lere che le due frasi del proclama del re e le successive assicurazioni formali sarebbero bastate a rassicurare Hitler e l'Alto Comando ed a lasciarli quasi indifferenti di fronte ad un avvenimento che evidentemente non poteva essere inteso come un semplice fatto interno italiano privo di conseguenze negative, almeno potenziali, sull'andamento della guerra e, in particolare, sulla sicurezza delle forze tedesche - migliaia e migliaia di uomini - operanti in Italia. Nessuno avrebbe potuto ragionevolmente pensare che i tedeschi, una volta che si fossero sentiti minacciati nei loro interessi vitali, non avrebbero cercato di prevenire il pericolo e di difendersi. Temperate l'ira e l'eccitazione del primo momento, Hitler cedé ai motivi di prudenza e di convenienza che sconsigliavano la rappresaglia immediata ed occupò militarmente gran parte dell'Italia senza rottura traumatica dei rapporti con il nuovo governo, ma senza altresì curarsi dei diritti di sovranità dell'Italia. I comandi e le truppe tedesche che scesero nella zona settentrionale, provenienti da diverse direzioni, assunsero atteggiamenti e comportamenti da padroni. Dal punto di vista militare le misure adottate da Hitler erano comprensibili. Se l'Italia avesse interrotto le comunicazioni ferroviarie con la Germania, le divisioni tedesche che combattevano ed erano dislocate nella penisola sarebbero state costrette ad
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arrendersi, per cui l'occupazione dell'Italia settentrionale appariva come una misura precauzionale di necessità evidente. Chi avesse dominato le linee di comunicazione con l'Austria ed i Balcani da una parte e con la Francia dall'altra, avrebbe avuto nelle sue mani il destino della Germania (38). Il Comando Supremo e l'Alto Comando tedesco, nonostante l'inasprirsi progressivo delle divergenze e dei rapporti reciproci, continuarono ad occuparsi delle future operazioni contro gli anglo-americani. « Ancora il 21 agosto - scrisse poi il maresciallo Kesselring - ebbi un colloquio con Ambrosia presso il Comando Supremo, svoltosi in forma corretta, al quale presero parte altresì i capi dell'esercito, della marina e dell'aviazione. Io ero accompagnato dal mio capo di stato maggiore, generale Westphal (39). Dopo una discussione sulle operazioni future, Ambrosia chiese il trasferimento di un'altra divisione in Sardegna, ma io mi opposi, per motivi di carattere esclusivamente militare. In quel momento ignoravo che Ambrosio, come è stato provato in seguito, era a conoscenza delle trattative di capitolazione, già in corso, ma la sua richiesta appariva così poco giustificata dalla situazione che sospettai fosse dovuta ad altri motivi. La comunicazione fattami da Hitler il 23 agosto non mi trovò quindi del tutto impreparato » (40). Hitler il 23 agosto, in un incontro avvenuto alle 3 del mattino, dichiarò al maresciallo Kesselring, alla presenza del maresciallo Goering, di avere in suo possesso la prova indiscutibile del tradimento dell'Italia (41). Probabilmente Hitler non aveva nessuna prova ed intendeva solo ammonire il maresciallo Kesselring, che era da lui considerato un filoitaliano, perché rinunziasse ad ogni fiducia nel governo e nel Comando Supremo Italiano. L'Alto Comando tedesco e lo stesso maresciallo Kesselring furono ciononostante colti di sorpresa dall'annuncio dell'armistizio, ma poiché avevano ritenuto probabile l'evento ed avevano avuto 45 giorni di tempo per prepararvisi poterono fronteggiarlo con immediatezza e decisione ad averne ragione. Le forze armate italiane, invece - il cui Comando Supremo, sebbene ignorasse il giorno e l'ora dell'entrata in vigore dell'armistizio e fidasse ancora nel rinvio di qualche giorno, era certo dell'imminenza dell'annuncio rimasero paralizzate dall'inaspettata e fulminea notizia, impreparate com'erano sotto tutti gli aspetti - spirituale, psicologico, operativo, tecnico-militare e materiale - a riceverla. La pubblicazione edita dall'ufficio storico (42) così elenca gli ordini impartiti dallo stato maggiore dell'esercito per le contromisure alla reazione tedesca dal 25 luglio all'8 settembre: disposizioni verbali del 30 luglio ai comandi del gruppo armate sud, della 28, 4\
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5•, 7a e 8a armata, della Sardegna, della Corsica, delle difese territoriali autonome di Milano e di Bologna, foglio 111 C.T. del 1O agosto (43) per il controllo delle forze tedesche affluenti in Italia; memoria 44 del 2 settembre (44); memoria 45 del 6 settembre (45). Ad essi vanno aggiunti gli ordini per la difesa di Roma (46) e quelli per la costituzione di un raggruppamento speciale di forze alla frontiera orientale (47). Da parte del Comando Supremo, che solo il 3 settembre mise al corrente ufficialmente i capi di stato maggiore di forza armata dell'imminenza della firma dell'armistizio, soltanto il 6 settembre vennero diramati il promemoria n. 1 ed il promemoria n. 2 (48) indirizzati agli stati maggiori di forza armata ed ai comandi operativi da esso direttamente dipendenti. In nessuno di tali documenti vi era un accenno, neppure vago, alla possibilità di un armistizio con gli anglo-americani, fatta eccezione per il promemoria n . 2 del 6 settembre ed in tutti, persino nel foglio 24202/op. in data 8 settembre del Comando Supremo diramato dopo il proclama del capo del governo relativo alla cessazione delle ostilità, si proibiva di pren(iere qualsiasi iniziativa di atti ostili contro i germanici (49). Lo stato maggiore dell'esercito, d'iniziativa, il 30 luglio aveva inviato propri ufficiali presso i comandi operativi direttamente dipendenti per informarli di reagire e opporsi con la forza ad ogni tentativo dei tedesclù di impossessarsi dei punti vitali, garantire il totale controllo di essi con forze italiane, rafforzare la vigilanza dei punti più importanti, destinandovi reparti comandati da ufficiali superiori energici e orientati (50), autorizzando anche l'impiego delle forze adibite alla difesa costiera e subordinando ogni altro compito operativo alla necessità prioritaria di opporsi ad ogni atto di aggressione. Le iniziative armate avrebbero però dovuto essere prese dopo aver avuto la certezza delle intenzioni ostili da parte germanica. Il 10 agosto, dopo il fallimento delle conversazioni di Tarvisio e in considerazione della gravità sempre maggiore della situazione provocata dall'afflusso delle forze tedesche e dagli atti di vera e propria aggressione ad esso connessi, lo stato maggiore dell'esercito, confermando ed ampliando le direttive verbali del 30 luglio - aveva diramato l'ordine 111 C.T. con il quale ribadiva tali direttive e aggiungeva di salvaguardarsi dalle sorprese, di prevedere e disporre l'eventuale spostamento dei Comandi in località più idonee alla loro difesa, di rinforzare la protezione degli impianti più importanti - parte dei quali erano già in mano tedesca - , di controllare i movimenti delle truppe non nazionali e l'eventuale loro fiancheggiamento ad opera di elementi simpatizzanti del caduto regime, di predisporre
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colpi di mano preparando poche imprese accurate e con reparti di forza accurati, di raccogliere le truppe non aventi altro impiego . per tenerle alla mano in località importanti, di porre le artiglierie nelle condizioni della massima mobilità. L'attuazione delle azioni di forza avrebbe dovuto compiersi però o su ordine diretto del Centro o, in difetto di collegamenti, d'iniziativa, qualora gli atti ostili fossero stati di natura collettiva e da non confondersi con gli ordinari casi, ormai abituali, di violenza individuale (51). Il giorno successivo, 11 agosto, vennero emanati ordini scritti a tutti i comandi per la segnalazione delle forze tedesche che continuavano ad affluire nei territori di rispettiva giurisdizione, o in transito, al fine di avere un quadro esatto della situazione e delle relative varianti. Ancora una volta lo stato maggiore dell'esercito, perdurando il silenzio del Comando Supremo, aveva agito d'iniziativa, ma le iruppe non nazionali, per usare l'eufemismo dell'ordine 111 C.T., avevano già nel frattempo occupato i posti <li blocco, le cabine di smistamento, i semafori, le stazioni, i depositi <li locomotive ed il materiale rotabile dell'alta Italia. La protezione in comune delle vie di comunicazione concordata a Tarvisio era già un fatto superato. Dopo il convegno di Casalecchio , ottenuto il beneplacito tedesco al rientro di alcune grandi unità dalla Francia e dai Balcani, furono accelerate le contromisure in corso e ne vennero adottate altre specialmente nei riguardi dell'Alto Adige, della piazza marittima di La Spezia e della zona di Roma. TI XXV corpo, dislocato in Alto Adige venne rinforzato con le divisioni alpine in ricostituzione - Cuneense e Tridentina - fatte affluire rispettivamente dal Piemonte e dal Veneto; furono assegnate al XVI corpo le divisioni Rovigo e Alpi Graie (alpina) per il presidio della piazza marittima di La Spezia spostandole rispettivamente dal Piemonte e dall'alta Liguria; furono disposti la costituzione di un corpo d'armata motocorazzato (52) e l'affluenza nel Lazio de1la divisione Re dalla Croazia, della divisione Lupi di Toscana dalla Francia - già destinate alla penisola salentina - e del 18° reggimento bersaglieri esplorante corazzato, inizialmente destinato in Sardegna pure dalla Francia; fu sospeso il movimento della divisione alpina Pusteria destinata al sud dirottandola verso il confine italo-francese; la divisione Legnano, già dislocata in Francia e destinata in Puglia, fu fatta proseguire nel suo moviment con l'intenzione di schierarla a difesa della base marittima di Taranto. Il 17 agosto venne costituita, presso lo stato maggiore dell'esercito, una Sezione speciale, alle dipendenze del capo reparto operazioni (53), incaricata di seguire l'evolversi della situazione tedesca e di studiare le altre contromisure necessarie per
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reagire e le eventuali azioni aggressive da svolgere in un secondo tempo. Il lavoro della Sezione speciale si svolse in un ambiente psicologicamente e tecnicamente difficilissimo, perdurando la linea politica ufficiale di continuare a tenere fede all'alleanza con la Germania e dovendo nel contempo studiare e predisporre le misure di sicurezza e di difesa dalla oramai evidentissima intenzione aggressiva dei germanici. Dei contatti con gli anglo-americani la sezione venne informata solo molto vagamente, sotto forma di ipotesi, il 19 agosto. La continua mutabilità della situazione e degli schieramenti delle forze tedesche - che, dopo avere occupato anche l'Appennino tosco-emiliano, venivano spingendosi nelle zone di Viterbo-MontefiasconeOrvieto, di La Spezia, dei colli Albani e di Gaeta - caratterizzò il lavoro della sezione con continui ripensamenti, modifiche, aggiunte nell'elaborazione del piano generale della risposta che si sarebbe dovuta dare ai tedeschi nel caso di una loro aggressione armata. Inizialmente la sezione studiò la costituzione - per salvaguardare il funzionamento del governo e degli organi militari centrali e per offrire agli anglo-americani basi di sbarco rispondenti e favorevoli - di un grande semicerchio difensivo corrente lungo il crinale dell'Appennino centrale con le ali appoggiate alle basi marittime di La Spezia e di Gaeta, ma il 22 agosto scartò l'idea sia per l'avvenuto ampliamento verso sud dello schieramento tedesco, sia per le difficoltà di concentrare le forze necessarie ad imbastire la difesa dell'ampio ridotto, sia per la scarsa disponibilità di tempo, sia infine per il timore che la messa in esecuzione del piano non sfuggisse ai tedeschi stessi. I trasporti ferroviari, infatti, venivano svolgendosi molto lentamente a causa delle numerose interruzioni provocate dagli incessanti bombardamenti aerei anglo-americani e a causa degli intralci che i tedeschi stessi opponevano alla libera disponibilità degli impianti. In luogo di un documento unico venne deciso il 22 agosto di procedere alla compilazione di 3 documenti distinti: uno indirizzato ai comandi direttamente dipendenti stanziati nel territorio nazionale e in Francia, in Slovenia - Croazia - Dalmazia (memoria 44), uno per la difesa di Roma ed uno per la costituzione di un raggruppamento di forze alla frontiera orientale (54). La memoria 44 venne sottoposta alla preventiva autorizzazione del Comando Supremo, che l'approvò la notte del 2 settembre e, portata a mano da ufficiali di stato maggiore, partiti da Roma in aereo, raggiunse i destinatari tra il 3 ed il 4 settembre (55). La memoria 44 - un documento sul quale tutti hanno tanto discusso - sulla base di una premessa nella quale si ventilava una probabile e prossima aggressione germanica, senza nulla accennare alla
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imminente conclusione dell'armistizio, stabiliva i compiti generici e specifici da adempiere in tale caso, fatto salvo il principio che l'applicazione della memoria stessa avrebbe dovuto effettuarsi o in seguito ad ordine dello stato maggiore dell'esercito con fonogramma convenzionale o di inizitiva dei comandanti in posto in relazione alle contingenze. Il criterio principale al quale ispirare la condotta delle operazioni avrebbe dovuto essere quello secondo la memoria di rispondere alle aggressioni tedesche e di non prendere iniziative offensive. I compiti generici erano gli stessi, o quasi, di quelli già fissati nell'ordine 111 C.T.: evitare sorprese; vigilare; rinforzare la protezione dei comandi, delle vie di comunicazione, degli impianti; sorvegliare i movimenti del1e forze tedesche; disporre colpi di mano sui loro depositi, basi e magazzini; presidiare i punti militarmente più importanti. I compiti specifici erano: per la 2a armata, interrompere le comunicazioni ai tedeschi da Tarvisio al mare e neutralizzare la 71" divisione tedesca; per la 4a armata, raccogliere le forze residue nelle valli Roia e Vermenagna, interrompere le comunicazioni con la Cornice (Liguria), sbarrare i passi del Moncenisio e del Monginevro e interrompere la ferrovia del Fréjus; per la Y armata, tenere saldamente La Spezia e puntare contro forze e mezzi tedeschi dislocati fra ,il lago di Bolsena ed il senese; per la armata, tenere saldamente Taranto e possibilmente anche Brindisi; per 1'8" armata, tagliare le comunicazioni fra la Germania e l'Alto Adige, agire contro le forze germaniche nel Trentino e nello stesso Alto Adige e interrompere le comunicazioni dal Brennero al mare; per il comando delle forze armate in Sardegna, neutralizzare la 90" divisione tedesca; per H comando delle forze armate in Corsica, neutralizzare la brigata corazzata SS tedesca. Il promemoria n. 1 del Comando Supremo del 6 settembre indirizzato agli stati maggiori di forza armata, premetteva che le disposizioni contenute riguardavano il caso che forze germaniche intraprendessero di iniziativa atti di ostilità armata contro gli organi di governo e le Forze Armate italiane, in misura e con modalità tali da rendere manifesto che non si trattasse di episodi locali, dovuti all'azione di qualche irresponsabile, bensl di azione collettiva ordinata. Per l'esercito, a completamento delle norme della memoria 44, aggiungeva che: venissero bloccate all'atto dell'emergenza tutte le strade adducenti a Roma da parte delle forze schierate a difesa della capitale; si badasse a salvaguardare i rifornimenti, specialmente di carburante, attuando subito, se necessario, spostamenti dai depositi dell'Italia settentrionale a quelli dell'Italia centrale; venissero difese
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ad oltranza le stazioni amplificatrici delle reti nazionali, le centrali telegrafoniche, le stazioni radio, militari e civili, e venissero interrotte, all'emergenza, tutte le comunicazioni telegrafoniche tedesche ricavate sulla rete nazionale; si predisponesse la neutralizzazione delle batterie contraerei e della rete di avvistamento tedesche e si ordinasse, al momento del bisogno, alle batterie contraerei italiane di aprite H fuoco contro gli aerei tedeschi e di non sparare contro quelli anglo-americani; s'impedisse che i prigionieri britannici cadessero in mano tedesca; venissero raggruppati i reparti italiani dell'alto Adige, dove la popolazione avrebbe certamente fatto causa comune con i tedeschi, perché si opponessero ai militari ed ai civili tedeschi e, in caso di necessità, ripiegassero nel Trentino; si facesse il possibile per prevenire le distruzioni tedesche, lungo la loro linea di ritirata (presumibilmente Napoli-Roma-Firenze-Bologna-Brennero), dei depositi più importanti e particolarmente dei bacini idroelettrici. Alla marina veniva ordinato di catturare, o affondare, o quanto meno neutralizzare le unità navali da guerra o mercantili germaniche; impedire che navi italiane cadessero in mano tedesca; catturate o comunque mettere in condizioni di non nuocere i reparti della marina germanica dislocati presso le varie basi; far uscire dai porti tutte le navi da guerra italiane per raggiungere i porti della Sardegna, della Corsica, dell'Elba, oppure di Sebenico e Cattaro ed autoaffondare quelle in condizione di non muoversi o in procinto di cadere in mano germanica; far partire al più presto il naviglio mercantile italiano per raggiungere porti italiani, dalmati o albanesi a sud del paralello di Ancona e, nel Tirreno, a sud di Livorno; inutilizzare, mediante asportazioni di parti che ne impedissero la rapida rimessa in efficienza, gli impianti logistici navali; porre in stato di difesa le basi marittime. L'aeronautica avrebbe dovuto impadronirsi degli aeroporti totalmente germanici, conservandone il possesso o neutralizzandoli; occupare gli aeroporti misti catturando il personale tedesco e distruggendo il materiale di volo; difendere ad oltranza gli aeroporti totalmente italiani; mantenere il saldo possesso, a qualunque costo, degli aeroporti di Cerveteri, Furbara, Centocelle, Guidonia, Urbe; fare affluire negli aeroporti della capitale tutti gli aerei da caccia efficienti e quelli da bombardamento, da ricognizione e d'assalto negli aeroporti della Sardegna; evitare che apparecchi italiani cadessero in mano tedesca. All'atto della ricezione del promemoria n. 1, Io stato maggiore dell'esercito completò la memoria n. 44 con un altro documento - la memoria 45 - contenente disposizioni particolareggiate circa i collegamenti, le batterie contraerei e le reti di avvistamento, i prigionieri
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britannici, la popolazione dell'alto Adige, le distruzioni tedesche, il concorso alle azioni della marina e dell'aeronautica, l'impiego del gas da parte germanica (argomenti trattati nel promemoria n. 1). Il nuovo documento venne inviato ai comandi cui era stata fatta pervenire la memoria 44 con le stesse modalità e giunse alle varie destinazioni la sera del 7 settembre. Ai tre stati maggiori di for2:a armata, ai comandi del gruppo armate est, della 11a armata e delle forze armate dell'Egeo il Comando Supremo, lo stesso giorno 6, indirizzò il promemoria n. 2 con il quale ordinò: al comando del gruppo armate est (VI e XIV corpo d'armata e 9" armata), di concentrare le forze, riducendo gradatamente l'occupazione come ritenuto possibile e conveniente in modo però da garantire il possesso dei porti principali e specialmente di quelli di Cattaro e Durazzo; al comando dell'Egeo, di scegliere verso i germanici l'atteggiamento ritenuto più conforme alla situazione procedendo però, qualora si verificassero atti di forza da parte dei tedeschi, al disarmo immediato e disponendo che nel momento in cui venisse attuata l'emergenza, il comando dell'Egeo sarebbe cessato dalla dipendenza dal comando gruppo armate est e sarebbe passato alla dipendenza diretta del Comando Supremo; al comando deil'll" armata, lasciato libero di assumere l'atteggiamento generale che fosse stato ritenuto più opportuno, di dire francamente ai tedeschi che, se non avessero fatto atti di violenza armata, non sarebbero state prese le armi contro di loro, di difendere le coste per un breve periodo di tempo fino alla sostituzione con truppe germaniche e questo eventualmente anche in deroga agli ordini del governo centrale, sempre quando, naturalmente, da parte tedesca, non vi fossero atti di forza, di riunire al più presto le forze della Grecia e di Creta preferibilmente sulle coste in prossimità dei porti; all'aeronautica, di raccogliere gli aerei nei campi della madrepatria e dell'Egeo e di distruggere gli impianti a terra degli aeroporti da abbandonare; alla marina, di far rientrare in patria i mezzi da guerra ed i piroscafi dislocati nei vari porti della Grecia e di Creta, di far restare in posto il naviglio dislocato nei porti dell'Egeo. Le direttive specifiche del promemoria n. 2 - nel quale c'era un riferimento esplicito all'armistizio - avrebbero dovuto essere attuate in seguito a diramazione in chiaro di un messaggio convenzionale del Comando Supremo, mentre quelle di carattere generale - indipendentemente da dichiarazione di armistizio o meno, ed in qualsiasi momento, tutte le truppe di qualsiasi Forza Armata dovranno reagire immediatamente ed energicamente e senza speciale ordine ad ogni violenza armata germanica e delle popolazioni in modo da evitare di essere disarmati
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o sopraffatti -
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avrebbero dovuto avere subito vigore. Il promemoria
n. 2 non giunse però né al comando del gruppo armate est (Tirana)
né a quello delle forze armate dell'Egeo (Rodi). I documenti riguardanti le contromisure alla reazione tedesca all'armistizio riconducono il discorso sulla validità della linea di condotta seguita dal Comando Supremo. Attribuirla all'influenza del potere politico, che avrebbe imposto punti di vista non conciliabili con le preminenti esigenze di ordine militare (56), è una distinzione teorica. Tutto il potere politico, stanti la caratteristica tecnica del governo e l'inoperatività del Parlamento, era nelle mani del re e del maresciallo Badoglio e tutto il potere militare nelle stesse mani ed in quelle del generale Ambrosio. Che il re ed il maresciallo Badoglio si siano valsi di consigli e di personaggi politici non è rilevante ed esimente ai fini delle responsabilità. L'unico ministro non militare che ebbe parte nelle vicende dal 25 luglio all '8 settembre fu quello degli esteri. Gli stessi ministri della guerra, <lclla marina e dell'aeronautica non vennero interpellati circa la condotta da tenere né con gli anglo-americani né con i tedeschi. Nessun consiglio di ministri fu riunito per discutere i due problemi. Non risulta che vi siano state divergenze di sorta tra il re ed il maresciallo Badoglio e tra i due e il generale Ambrosio. Mai nella storia d'Italia il potere de jure e de facto era stato così accentrato nelle mani dei militari. Questi che avevano dato prova il 25 luglio di vitalità e di coraggio, non si dimostrarono capaci di governare la crisi politica e militare che il 25 luglio non avrebbe non potuto determinare e, benché favoriti dal consenso popolare, che rende meno difficile l'esercizio del potere, fallirono la prova perché difettarono delle qualità e della preparazione tecnica sulle quali si fondano il diritto ed il dovere di essere capi. Il clima di decadenza morale e culturale del fascismo non aveva certo favorito la formazione dei capi che, entrati nello establishement, si erano desuefatti all'iniziativa ed alla responsabilità, pronti ad ubbidire senza molto discutere per il timore della carriera, e sempre in attesa degli ordini dall'alto i quali non lasciavano grande libertà di interpretazione, ma erano assoluti e categorici come i comandamenti del decalogo. Tutti rimasero incerti e timorosi e si preoccuparono più di non fare che di decidere e di agire. Le possibilità d'intervento in quella situazione non erano molte, ma le poche non vennero utilizzate od almeno tentate. Il popolo italiano e le forze armate in particolare avevano sopportato sacrifici e rinunzie di ogni genere; la grande moltitudine degli ufficiali, sottufficiali e soldati si era battuta bene, con coraggio dignità onore, su tutte Je fronti
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in nome e per conto dell'interesse nazionale sentito al di sopra di ogni intendimento particolaristico del fascismo. Nel momento di affrontare ancora insieme, non importava a quale prezzo, sia pure di ulteriore sangue e rovine, un'altra prova decisiva per confermare l'unità del Paese, i vertici non ebbero fiducia e mandarono in fumo la disponibilità che esisteva a continuare a combattere, questa volta i tedeschi, qualora questi avessero attentato alla sovranità della Patria. Vi saranno generali ed ammiragli, ufficiali e sottufficiali di tutti i gradi, graduati e soldati di tutte le forze ai-mate compresi militi fascisti, cittadini qualunque di ogni ceto sociale che dimostreranno dal1'8 settembre in poi tale disponibilità a non deporre le armi. Intere grandi unità, con i generali comandanti in testa, s'immoleranno per opporsi ai tedeschi, altre si daranno alla montagna senza badare ai sacrifici, ai rischi e alle rinunzie, preferendo morire che farsi internare. Fu trascurata non solo l'anima dell'esercito (57) , ma dell'intera naz1one. Che la reazione tedesca all'armistizio sarebbe stata violenta non avrebbero dovuto esservi dubbi; quanto accadeva dal 25 luglio a tale riguardo ne era la prova. Più tempo si fosse lasciato passare, più massiva e distruggitrice sarebbe stata tale reazione e minori le capacità italiane di averne ragione. Non siamo affatto persuasi di quanLo scriverà successivamente il maresciallo Kesselring: « Anzitullo , si sarebbe dovuto trattare altrimenti Mussolini, per cui Hitler aveva una grande amicizia. Egli avrebbe forse potuto convincere Hitler che l'Italia era ormai stanca della guerra. Anche il Fiihrer sapeva che le forze armate italiane, in una guerra così dura, non avevano un grande valore effettivo. Se si fosse potuto evitare che l'Italia diventasse la base delle future operazioni nemiche, forse Hitler avrcbhe aderito ad un pacifico scioglimento del trattato di alleanza. L'Italia avrebbe tratto immensi vantaggi da una soluzione del genere... È assai difficile giudicare se gli alleati si sarebbero dichiarati disposti ad accettare la capitolazione dell'Italia ad una simile condizione, ma, da un punto di vista puramente politico, è certo che la capitolazione di uno dei tre loro avversari avrebbe avuto per gli aJleati un grande valore non soltanto di propaganda ma anche pratico» (58) . Ci sembra un'ipotesi del terzo tipo. Diverso è, invece, osservare che la denunzia leale dell'alleanza con i tedeschi, concordata o non con gli angloamericani, fatta il 25 luglio od appena qualche giorno dopo, avrebbe colto l'Alto Comando tedesco con il piano Alarico ancora nei cassetti o in inizio di applicazione. Gli anglo-americani, ancorché non vi fossero state trattative per l'armistizio, non avrebbero potuto sconfes-
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sare il gesto e sarebbero stati moralmnete e tecnicamente costretti a prendere atto e ad utilizzare ogni mezzo politico e militare per sfruttarlo. I tedeschi avrebbero certamente reagito, gridato lo stesso al tradimento e commesso gravi rappresaglie, ma i danni, le perdite e le umiliazioni ai quali l'Italia e le forze armate sarebbero andati incontro, sarebbero stati minori di quelli che dovettero subire dal 25 luglio 1943 all'inizio del maggio 1945. I bombardamenti aerei tedeschi di rappresaglia, ad esempio, sarebbero stati di gran lunga inferiori per potenza, numero e gravità di quelli effettuati dagli angloamericani dal 25 luglio all'8 settembre. Ciò che in ogni caso non si può negare è che la linea di condotta seguita nei riguardi dei tedeschi - a parte la mancanza di lealtà ed a parte gli spergiuri del re, del maresciallo Badoglio, del ministro degli esteti e del Comando Supremo - sia stata la più incongruente in ordine al comune buon senso, la meno remunerativa sul piano morale, politico e psicologico, la pili sconsidetata dal punto di vista tecnico-militare. A che cosa giova insistere nella ricerca della sorpresa strategica quando si sa con certezza che il nemico è a conoscenza dell'altrui intendimento e gli si dà il tempo per neutralizzarlo? Quale vantaggio si può ricavare dai giuramenti e dalle ripetute proteste di fedeltà quando non si può essere credibili e creduti perché i fatti contraddicono le parole? Come si può concedere all'avversario potenziale ogni libertà di iniziativa e di azione e tanto tempo per prepararsi militarmente e poi sperare di poterlo neutralizzare - addirittura farlo fuori come si legge nella memoria 44 - quando è diventato più forte e più pronto? Nello studiare ed elaborare le contromisure militari alla immancabile reazione tedesca, nonostante le lodevoli tempestive iniziative del generale Roatta - invio degli ufficiali presso i comandi operativi il 30 luglio e ordine 111 C.T. del 10 agosto - si fecero passare 40 giorni durante i quali si abbassò la tensione morale del 25 luglio e 1a nazione e le forze armate furono obbligate a subire la prepotenza e la tracotanza tedesche senza poter reagire, anzi con l'ordine di non prendere l'iniziativa di atti ostili contro i tedeschi, ribadito dal generale Ambrosia persino la sera de11'8 settembre con il foglio 24202/0p. (59). Non solo non furono prese iniziative di atti ostili, ma non si reagì energicamente ed efficacemente nemmeno a quelli dei tedeschi, che poterono indisturbati ed impunemente mettere in atto tutte le predisposizioni e 1c misure precauzionali del piano Alarico portandone a compimento la fase preparatoria entro il 17 agosto, giorno dal quale essi furono pronti a scattare per reagire
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all'armistizio, mentre da parte italiana solo lo stesso giorno venne istituita la Sezione speciale dello stato maggiore dell'esercito per seguire l'evolversi della situazione delle forze tedesche e studiare le reazioni ai loro piani. In 24 giorni i tedeschi avevano triplicato le loro forze in Italia ed avevano ammassato ai confini dei territori di giurisdizione italiana fuori della madrepatria un ingente numero di divisioni (60). Malgrado ciò, il Comando Supremo, nella preoccupazione di salvaguardare ad ogni costo il segreto dei contatti con gli anglo-americani, non riunì i capi di stato maggiore di forza armata, non impartì direttive verbali o scritte ai comandi operativi di alto livello, non fece nulla per orientarli spiritualmente e psicologicamentè né per dare loro indicazioni complete circa un atteggiamento meno passivo da tenere nei riguardi dei tedeschi. D'altra parte, imboccata all'inizio la strada sbagliata, le difficoltà per uscirne si erano fatte gradatamente più numerose e più gravi, sebbene fosse ancora possibile, non già evitare la massiccia ed immediata reazione tedesca, ma almeno ridurne i danni solo che vi fosse stato il coraggio di correre qualche rischio. Il timore della reazione tedesca, che all'foizio aveva indotto a seguire la linea sghemba e tortuosa della passività, divenne nel tempo paura, anzi terrore, e niente più di questo paralizza le idee e le azioni. L'iniziativa del primo colpo era stata lasciata ai tedeschi; venne deciso di non modificare nulla. I movimenti, gli addensamenti di forze, l'assunzione di dispositivi minacciosi, sol perché privi di violenza armata, non vennero considerati come veri e propri atti ostili, benché fossero palesi gli scopi che perseguivano. Quale era il limite che i comandi dovevano fissare tra atti di violenza veri e propri - che non mancarono - e quelli riguardanti le misure preparatorie dell'aggressione? Entro quali vincoli avrebbe dovuto essere contenuta la reazione ad un atto aggressivo locale che avrebbe potuto costituire l'indispensabile premessa di un'azione generale in una determinata zona? L'afflusso dal Brennero e da altrove di intere divisioni tedesche in assetto e con dispositivo da combattimento, senza che venisse concordato e neppure preavvisato, non era stata un'iniziativa minacciosamente aggressiva e carica di esplosivo? I documenti dello stato maggiore dell'esercito e del Comando Supremo non contenevano nessuna risposta a queste e ad altre domande, erano privi di qualsiasi cenno - ad eccezione del promemoria n . 2 che non giunse ai due comandi operativi periferici ai quali , tra gli altri, era destinato - sulla imminenza dell'annuncio dell'armistizio, sulla necessità di assumere subito spiritualmente e tecnicamncte un atteggia-
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mento deciso, sulla assoluta priorità di concentrare le forze. Eppure si era constatato che nella Venezia Giulia la 71 a divisione tedesca, giunta a contatto con lo schieramento italiano avanzato, si era arrestata e non aveva fatto ricorso alla forza; nell'Alto Adige le truppe tedesche avevano accettato, obtorto collo, di vigilare in comune gli impianti industriali e le comunicazioni e non avevano agito con forza; nell'Emilia, a metà agosto, le forze germaniche che avevano occupato la linea ferroviaria Parma-Piacenza si erano immediatamente ritirate di fronte alla minaccia di essere scacciate con la forza. Tutte le direttive degli organi centrali lasciarono intendere che: le contromisure alle iniziative tedesche dovevano essere improntate al criterio di reazione ad atti di violenza e mai di prevenzione di questi; che occorreva assolutamente evitate che le unità italiane fossero le prime ad iniziare le ostilità anche solo sul piano locale; che finché possibile la strada da seguire avrebbe dovuto essere quella di preavvisare e di trattare con i comandi tedeschi. Ancora 1'8 settembre sera il Comando Supremo ordinò al comando gruppo armate est di dare preavviso ai comandi germanici dei movimenti che avrebbe fatto compiere alle sue grandi unità per spostarle verso i porti di Cattaro e di Durazzo (61). L'orientamento a trattare, a non rompere del tutto con i tedeschi, permarrà anche dopo l'annuncio dell'armistizio e non saranno pochi i comandanti ed i comandi che intavoleranno trattative e presteranno fede agli accordi ed alle promesse dei comandanti e dei comandi tedeschi, i quali dal canto loro non osserveranno i primi né manterranno le seconde. Nel complesso le contromisure ordinate dalle autorità centrali risultarono, alla prova dei fatti, contraddittorie, ambigue, lacunose, alcune addirittura materialmente inattuabili, altre velleitarie. L'ossessione di mantenere il segreto spinta all'eccesso trattenne il Comando Supremo fino al penultimo giorno dall'impartire ordini inquadrati in un contesto unitario nel quale fosse chiara anche la situazione giuridica nella quale si sarebbero venute a trovare le forze armate italiane. Sarebbe stato cioè necessario dichiarare simultaneamente guerra alla Germania nel caso che questa si fosse opposta con la forza all'armistizio. Gli ordini, a parte la rispondenza dei contenuti, furono trasmessi con tali e tanti ritardi che ne vanificarono in gran parte la validità. Anche nel caso che l'annuncio dell'armistizio fosse stato prorogato di qualche giorno, mentre è verosimile e fondato che la maggiore disponibilità di tempo avrebbe aumentato, specialmente in alcuni scacchieri, la capacità reattiva e forse impresso ad alcune operazioni un andamento diverso, è molto azzardato pensare che le contromisure stabilite, ancorché attuate, avrebbero modi-
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ficato granché il quadro generale dell'8 settembre. Esse, vlZlate in partenza dai criteri d'impostazione alle quali erano state ispirate , erano di per sé inadeguate ad una risposta valida ed efficace.
6. Il colmo fu che il giorno e l 'ora dell'entrata in vigore dell'armistizio colsero di sorpresa lo stesso governo ed il Comando Supremo a causa della superficialità con la quale si erano adattati a prendere per buona l'illazione del generale Castellano. In più il Comando Supremo e per esso il S.I .M., non si era preso cura di ascoltare le due trasmissioni di radio Londra concordate come segnale di preavviso del giorno e dell'ora dell'annuncio dell'armistizio. Secondo gli ordini impartiti dal generale Ambrosie la stazione radioricevente del S.I.M. avrebbe dovuto restare in ascolto Lulti i giorni dalle ore 9 alle ore 12 per controllare se radio Londra avesse mandato in onda alle 10,30 una conferenza sulle mene tedesche in Argentina ed alle ore 11 un concerto verdiano. Verso il mezzogiorno dell'8 il generale Ambrosie chiese notizie se la trasmissione fosse avvenuta e gli fu risposto di no. L'ascolto non era stato effettuato. Il radio con il quale il generale Eisenhower comunicava al maresciallo Badoglio che alle ore 18,30 di quello stesso giorno avrebbe annunziato l'armistizio giunse verso le 16,30. Fu necessaria un'ora per la decrittazione (62). Il testo fu portato al maresciallo Badoglio al Viminale dal generale Ambrosio verso le 17. Era presente il ministro della guerra generale Sorice (63 ). Il maresciallo Badoglio, consultato il re, decise di convocare il consiglio della corona che si riunl al Quirinale per le 18,15. Intervennero il re, il capo del governo maresciallo Badoglio, il ministro Guariglia, il ministro Sorice, i ministri Raffaele De Courten e Renato Sandalli anche nelle vesti rispettivamente di capo di stato maggiore della marina e di capo di stato maggiore dell'aeronautica, il generale Ambrosio, il generale De Stefanis (64) in sostituzione del generale Roatta impegnato a Monterotondo con alcuni generali tedeschi, il generale Carboni come commissario straordinario del S.I.M., il duca Acquarone e, su richiesta del generale Ambrosio, il maggiore Luigi Marchesi che, avendo presenziato alla firma dell'armistizio, avrebbe potuto rappresentare bene il pensiero degli anglo-americani. Il re aprl la seduta comunicando che gli anglo-americani avevano deciso di anticipare di quattro giorni la data dell'armistizio. Alla
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obiezione dell'ammiraglio De Courten di essere all'oscuro di tale data,
il re interruppe la sua esposizione e pregò il maresciallo Badoglio di mettere al corrente i presenti dell'antefatto. Il capo del governo passò l'incarico al capo di stato maggiore generale. Questi si tenne sulle generali circa gli antecedenti e si limitò a spiegare che, da notizie radio (un dispaccio Reuter), si era appresa l'intenzione anglo-americana di annunciare di n ad un'ora la capitolazione dell'Italia. Aggiunse che tale annuncio era atteso non prima del 12 e che lo si aspettava in contemporaneità con uno sbarco nelle vicinanze di Roma, mentre invece oramai si sapeva che sarebbe avvenuto a Salerno, e che in conseguenza l'Italia veniva a trovarsi in un brutto guaio e bisognava perciò decidere sul da fare. Parve cosl ai presenti - parte dei quali fino a quel momento non era nemmeno a conoscenza del1'avvenuta firma dell'armistizio - che gli anglo-americani fossero venuti meno ai loro impegni e che perciò si sarebbe dovuto rinunciare alle garanzie concordate e smentire l'annuncio del generale Eisenhower. Furono di questo avviso il generale Sandalli, il generale Sorice, il generale Carboni e il ministro Guariglia. Il generale Ambrosia sottolineò che l'anticipo sarebbe stato gravido di conseguenze perché non si sarebbero potute prendere tutte le contromisure necessarie - come se queste non avessero dovuto già essere state prese ma non chiarl quali esse fossero. II generale Sorice illustrò le ragioni per le quali l'accettazione dell'armistizio in quel momento avrebbe provocato il collasso militare e propose che il re accogliesse seduta stante le dimissioni del maresciallo Badoglio e intervenisse presso gli anglo-americani per ottenere una proroga di almeno 10 giorni. Il generale Carboni impostò il suo lungo e caloroso discorso sulla proposta di sconfessare l'operato del maresciallo Badoglio e del generale Castellano, di dichiarare inaccettabile l'armistizio, di formare un nuovo governo che riprendesse in mano le trattative, descrivendo in termini apocalittici quale sarebbe stata la reazione tedesca che si sarebbe subito scatenata su Roma e sul resto d'Italia. Quasi nessuno sembrava rendersi conto della gravità degli impegni presi con gli anglo-americani e della impossibilità di smentire un fatto che era stato fotografato e cinematografato. Inoltre, come ulteriore testimonianza, il generale Eisenhower aveva il testo della dichiarazione che il maresciallo Badoglio avrebbe dovuto fare alla radio di lì a qualche minuto. La discussione giunse al punto che quasi si stava per stilare un puro e semplice comunicato per l'agenzia Stefani con il quale si smentiva la notizia della Reuter che aveva già fatto il giro del mondo, quando il maggiore Marchesi prese la parola per leggere il messaggio del gene-
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raie Eisenhower, finalmente decifrato in tutte le sue parti . La valanga di bombe che gli anglo-americani avrebbero scaraventato su Roma sarebbe stata molto più pesante di quella tedesca. Se la speranza che nel frattempo giungessero ad Algeri i generali Rossi e Taylor e fornissero al generale Eisenhower ogni chiarimento necessario a spiegare le ragioni della richiesta di proroga aveva in un primo tempo potuto indurre alcuni dei presenti a proporre la smentita, il messaggio del generale Eisenhower persuase tutti, ad eccezione del generale Carboni che il re fece tacere, a dirsi d 'accordo sulla necssità di accettare l'ultimatum. Il ministro degli esteri sostenne che ogni ulteriore discussione, stando le cose come le aveva apprese in quel momento (missione del generale Taylor), fosse inutile e che oramai si dovesse andare fino in fondo. Sulla base di tale decisione il maresciallo Badoglio ebhe dal re la facoltà di parlare alla radio. Nessuno aveva pensato ad installare altrove il microfono collegtao con la trasmittente dell'E.I.A.R. di Roma ed il maresciallo Badoglio dové recarsi nella sede dell'ente dove attese le 19,45, l'ora <lel giornale radio, per trasmettere il proclama. Il colmo fu che il consiglio de11a corona approvò l'armistizio senza conoscerne le clausole. Il proclama che fu letto alle 19,45 e poi ripetuto ogni 15 minuti diceva: « Il governo italiano, riconosciuta l'impossibilità di continuare l'impari lotta contro la schiacciante potenza avversaria, nell'intento di risparmiare ulteriori e più gravi danni alla nazione, ha chiesto l'armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delJe forze alleate anglo-americane. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza » . Terminata la riunione al Quirinale, il re, il maresciallo Badoglio, il generale Ambrosio ed il generale Sorice si recarono nel palazzo sede del ministero della guerra, meglio difendibile del Quirinale stesso. Il capo del governo non ritenne di dover convocare il consiglio dei ministri e neppure di tenere presso di sé il ministro Guariglia. Un suggerimento sensato, che qualcuno avrebbe potuto avanzare durante la seduta del consiglio della corona, avrebbe potuto essere quello di inserire nel proclama, giunte le cose a quel punto, l'esplicito invito ai tedeschi di abbandonare la lotta in Italia, altrimenti le forze armate italiane ve li avrebbero costretti con la forza e l'Italia si sarebbe considerata in guerra con la Germania. L'invito sarebbe rimasto inascoltato, ma sarebbe valso a chiarire la posizione giuridica dei soldati italiani ed a far comprendere all'intero Paese ed alJe forze
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armate che da quel momento non si poteva restare più passivi, nell'attesa paziente di essere fatti oggetto di atti violenti, ma occorreva muoversi per attaccare i tedeschi e costringerli ad abbandonare almeno una parte del Paese. L'obiezione che si sarebbe andati al di là del testo concordato non regge perché gli anglo-americani non avrebbero potuto invalidare una dichiarazione siffatta, probabilmente l'avrebbero gradita e comunque non avrebbero potuto respingerla. Sul piano psicologico avrebbe avuto un effetto corroborante per i soldati ed i cittadini non in armi. Si sarebbe stroncata la tendenza alle trattative con i tedeschi e questi si sarebbero trovati in difficoltà assai gravi. Nessuno avrebbe potuto rompere le righe, si sarebbero rimosse tutte le incertezze e le ambiguità, invocate poi a giustificazione di comportamenti dubbi e sospetti. Accadde, invece, che il Comando Supremo emanò la citata direttiva 824203/0p. (65) e lo stato maggiore dell'esercito il messaggio 1056/0p. 99 T/F delle ore 0,30 del 9 settembre (66) che diceva: « Tutti i reparti tranne quelli in movimento che abbiano compiti di difesa prote~one impianti guardia et simili si debbono raccogliere per rimanere alla mano pronti e vigilanti alt Anche reparti costieri si debbono raccogliere con le armi almeno per battaglioni alt Il momento specialmente delicato vuole la più completa disciplina alt Tutti si stringano fiduciosi attorno loro capi ed attendano ed eseguano fiduciosamente ordini che sono intesi al bene del Paese alt Eventuali tentativi sedizione disordine et indisciplina siano immediatamente et radicalmente repressi alt Generale Roatta ». Invano, prima di diramare tale messaggio, il generale Roatta aveva tentato di ottenere l'autorizzazione a diramare l'ordine di applicazione della memoria 44 . AI capo del reparto operazioni che si era recato dal generale Ambrosio per il rilascio di tale autorizzazione questa venne recisamente negata dal capo di stato maggiore generale, sempre nell'intendimento di non dover essere gli italiani i primi a prendere le armi contro i tedeschi. Una successiva comunicazione telefonica fatta giungere personalmente ai comandanti ed ai capi di stato maggiore delle grandi unità direttamente dipendenti suonava: Ad atti di forza, reagire con atti di forza (67) . Alle ore 6,30 del mattino del giorno 9, lo stato maggiore dell'esercito, nonostante la constatazione del disorientamento psicologico ed operativo e dell'abbattimento dei comandi, rilevati dalle comunicazioni telefoniche, e nonostante le numerosissime richieste per ricevere ordini e precisazioni su incidenti in corso con i tedeschi, comunicò il suo scioglimento temporaneo ed abbandonò Roma dove da poche ore era rientrato da Monterotondo, sua sede di campagna.
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7. Nella riunione del Quirinale non si era parlato del trasferimento da Roma del re, del governo, del Comando Supremo e dei supercomandi di forza armata. Dell'eventualità si era fatto cenno nei primi contatti con gli anglo-americani e vi era tornato il generale Castellano significando che all'annuncio della cessazione de11e ostilità sarebbe stato probabilmente necessario allontanare da Roma una parte del governo. G1i anglo-americani avevano suggerito l'impiego di una nave da guerra ed avevano assicurato che nel caso il re sarebbe stato trattato con ogni considerazione personale, ma il maresciallo Badoglio, nel promemoria compilato dal ministro Guariglia e consegnato al generale CasteUano la mattina del 1° settembre perché lo discutesse a Termini Imerese con i rappresentanti del generale Eisenhower, scrisse che il re, il principe ereditario, la regina, il governo ed il capo diplomatico sarebbero restati a Roma. Circa 1a località e le mo<lalità del trasferimento era stata scelta precedentemente la Sardegna verso la quale si sarebbe partiti da Civitavecchia con navi da guerra. Altrimenti da quanto era stato divisato fidando che la difesa di Roma avrebbe scoraggiato i tedeschi dall'entrare in città e li avrebbe inJoLli a ritirarsi verso il nord, quando la notte sul 9 giunsero al ministero della guerra in via XX settembre notizie allarmanti circa l'avanzata dei tedeschi verso la città il Comando Supremo valutò il delinearsi di una minaccia potenziale tendente all'avvolgimento di Roma, a più stretto raggio nel settore meridionale (a ridosso delle forze italiane ormai schierate nei pressi della periferia della città) ed a raggio più ampio nel settore settentrionale (68) e ne informò, verso le 4 del mattino, il maresciallo Badoglio. Questi mise al corrente il re che, non senza esitazione, accettò la proposta di trasferirsi, unitamente al governo, nel meridione d'Italia via Tivoli-Pescara, per evitare di cadere ne1le mani dei tedeschi. Al momento di salire in macchina il re mandò a chiamare il generale Ambrosia, che forse fino ad allora non pensava di dover partire con gli altri, e gli ordinò di seguire il governo con lo stato maggiore generale e di ordinare ai capi di stato maggiore di forza armata di seguire anch'essi il movimento, dando appuntamento a tutti in giornata a Pescara. Poi il re salì in macchina e partì. Erano le cinque e dieci . Con lui partirono su altre autovetture il principe ereditario e il duca Acquarone. Il generale Ambrosia rientrò nel palazzo, chiamò il generale Roatta, l'ammiraglio De Courten, il generale Sandalli ed il generale Sorice e impartì l'ordine di
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partenza confermato, alle ore 6,30, con fonogramma. Poco dopo le sette cominciarono a partire per Pescara le macchine degli stati maggiori generale e dell'esercito. Il generale Ambrosio, nell'impartire le istruzioni per la partenza, aveva prescritto che gli stati maggiori lasciassero a Roma loro rappresentanti. In effetti lo stato maggiore dell'esercito non lasciò nessun proprio rappresentante con funzioni specifiche. Con il generale Roatta partirono i sottocapi di stato maggiore, il capo reparto operazioni, il generale addetto al capo di stato maggiore ed altri pochi ufficiali compresi i tre addetti alla Sezione speciale (che, giunti ad Ortona, non furono imbarcati e fecero ritorno a Roma). Il trasferimento del re, del governo e degli stessi stati maggiori in una sede meno esposta - di per sé legittimo e, anzi, doveroso per garantire la continuità di governo e di comando - non avrebbe sollevato le contestazioni che vi furono, e durano, qualora fosse stato predisposto ed attuato senza appunto che venisse meno la continuità dell'esercizio del potere politico e del comando militare. La subitaneità della decisione adottata sotto l'incubo del terrore dei tedeschi, l'improvvisazione e la frettolosità della partenza che provocarono episodi grotteschi, la confusione ed il disordine con i quali si svolsero le operazioni, il viaggio, la partenza da Ortona per Brindisi, il vuoto di potere che ne seguì per più giorni - e che giorni! - trasformarono quello che, avrebbe dovuto e potuto essere un cambiamento di sede - se opportunamente predisposto e ordinatamente eseguito in una vera e propria fuga, in un si salvi chi può, determinando la più grave crisi politica e militare della storia d'Italia. Il capo del governo non solo non tiunl il consiglio dei ministri, quanto meno per metterlo al corrente della decisione del re, ma non fece neppure avvertire i membri non militari del suo gabinetto, limitandosi ad incaricare il ministro della guerra, che non partì, di dire al ministro degli interni - che si rifiutò di farlo senza un ordine scritto - di assumere l'interim della presidenza del consiglio. Del governo si trasferirono solo il maresciallo Badoglio, l'ammiraglio De Courten ed il generale Sandalli. Non fu perciò l'intero governo a muoversi da Roma, ma solo il capo e due dei ministri. Partirono, invece, senza lasciare sostituti ad interim, i quattro capi di stato maggiore, ed il capo di stato maggiore deJl'esercito fece comunicare ai comandi operativi che lo stato maggiore era temporaneamente sciolto. Lo smantelJamento improvviso del Comando Supremo e dei supercomandi di forza armata - notizia divulgatasi fin dalla mattina del giorno 9 fra le truppe di Roma con conseguenti abbandoni delle caserme e
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dei posti di lavoro dette subito l'impressione di una rotta (69). Esso non fu solo un errore, ma un atto irresponsabile che si pone sul piano storico al di fuori di ogni logica operativa, di ogni tecnica organizzativa, di ogni norma morale e di ogni tradizione militare. Una volta deciso l'abbandono della capitale, sarebbe stato indispensabile che nuclei operativi e funzionali degli stati maggiori si fossero trasferiti con il re e con il governo nella nuova sede in modo da garantire al più presto da qui il funzionamento dei comandi. Sarebbe stato meglio che fossero partiti i sottocapi e che i capi, data la delicata e difficile situazione del momento, fossero rimasti a Roma fino a quando non fosse stato sicuro, soprattutto in materia di collegamento, il funzionamento dei comandi dalla nuova sede, e sarebbe stato essenziale, in ogni caso, garantire la continuità dell'azione di comando da Roma o dintorni fino a quando essa non avesse dovuto eventualmente cessare per effetto della sopraffazione nemica. Lo stato maggiore dell'esercito aveva difatti ipotizzato il suo eventuale trasferimneto da Monterotondo o da Roma a Carsoli, ma non aveva fatto seguire le predisposizioni e le misure preventive necessarie, tanto che nel suo viaggio verso Pescara il generale Roatta e gli altri attraversarono la località senza sostarvi. Il vuoto di potere delle autorità militari centrali produsse il caos . All'improvviso i comandi operativi più elevati si trovarono abbandonati a loro stessi e, privi com'erano di certezza circa gli intendimenti delle autorità centrali e colti alla sprovvista dall'armistizio, finirono - in buona parte - con il restare con le armi al piede anziché imbracciarle e puntarle contro i tedeschi. Nessuno potrà mai togliere dalle spalle dei vertici militari del1'8 settembre il peso schiacciante delJe responsabilità morali e tecniche deJJa disfatta alla quale andarono incontro le forze armate italiane. Vi furono anche responsabilità gravi da parte di comandanti subordinati, ma tutto dipese in primo luogo dal vuoto di potere centrale e dall'abbandono dei loro posti - non importa se ordinato personalmente dal re o dal capo di governo - dei capi di stato maggiore che si allontanarono da Roma senza lasciare sostituti autorevoli ed investiti pro tempore della pienezza dei poteri decisionali . Perché il generale Roatta non lasciò sul posto, come da ordine scritto del generale Ambrosia, un suo rappresentante qualificato, che non avrebbe potuto essere che il sottocapo di stato maggiore operativo, e non si preoccupò della continuità dell'esercizio del comando? Perché il generale Ambrosia, il cui sottocapo era in quel momento presso il comando del generale Eisenhower, non rimase a Roma o, almeno,
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non provvide a nominare un suo sostituto? Sono domande che restano ancora oggi senza risposta e non possono, d'altra parte, essere cancellate. La situazione di squilibrio psicologico ed operativo che incise negativamente ed in misura determinante sulla resistenza ai tedeschi a Roma ed altrove fu provocata dalla messa in non cale del principio fondamentale sul quale si basa l'organizzazione gerarchica militare: nessuna unità deve restare mai priva del comandante. Manca il titolare, gli succede nella pienezza delle funzioni, per delega o per causa di forza maggiore, chi lo segue per il grado, per l'anzianità, o per le funzioni. Che 1'8 settembre sia stato calpestato tale principio per pusillanimità, per paura, per incapacità, per superficialità o per altri motivi ancora, interessa il quadro delle responsabilità dei singoli. Sul piano storico va soprattutto stabilito che la violazione ebbe effetti disastrosi. Non furono perciò gli eventi ad essere più grandi degli uomini che vi rimasero coinvolti, ma in questo caso furono i vertici a non saperli fronteggiare e ad accrescerne perciò la gravità delle conseguenze. Non si possono minimizzare le smisurate difficoltà psicologiche, spirituali e materiali di quel momento, ma la conoscenza di esse, se da un lato mette in evidenza la pesantezza ed il travaglio della situazione, dall'altro rende chiaramente evidente l'insufficie07,a morale e l'inettitudine professionale di chi deteneva il potere politico e di chi era preposto a dirigere gli organi operativi mHitari. Riconoscere tale verità è doloroso perché il giudizio riguarda uomini che in precedenti occasioni e momenti non avevano demeritato ed avevano anzi reso anche servizi notevoli al Paese, ma stendere sul loro operato dell'8 settembre il velo dell'oblio e della mistificazione sarebbe un errore ed un'ingiustizia. Errore perché non si trarrebbe la lezione che 1'8 settembre offre sui requisiti che debbono possedere i vertici militari; ingiustizia perché verrebbero messi sullo stesso piano capi che 1'8 settembre non esitarono un istante a dare se stessi nella dedizione alla Patria ed al dovere e coloro che elusero le responsabilità delle quali erano investiti o le sfuggirono coscientemente.
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Che cosa stava accadendo a Roma durante la concitata notte in cui venne deciso l'abbandono della città? Nel piano iniziale di difesa della capitale erano state previste: una difesa interna , a ridosso del1e città, affidata ad un corpo d'armata comprendente la divisione di
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fanteria Sassari, elementi delle scuole militari, truppe ai depositi, carabinieri, polizia Africa italiana; una difesa esterna fissa a giro di orizzonte, lontana dalla città da 1O a 20 Km, affidata al XVII corpo d'armata composto dalle divisioni Granatieri di Sardegna, Piacenza, Lupi di Toscana e Re, queste ultime due ancora in corso di arrivo; una difesa mobile esterna raggruppata nel corpo d'armata motocorazzato comprendente la divisione corazzata Ariete, la divisione corazzata Centauro, la divisione di fanteria motorizzata Piave ed il 18° reggimento bersaglieri appena questo fosse giunto. I tre corpi d'armata il 5 settembre avevano cessato di dipendere dal comando della Y armata ed erano passati alle dipendenze dello stato maggiore dell'esercito, che aveva perciò assunto in proprio le responsabilità dell'organizzazione e della difesa della città. Nessun concorso avrebbero potuto dare alla difesa della capitale e dei suoi immediati dintorni le forze costiere dislocate nel litorale tirrenico direttamente interessato (220a e 221 • divisione costiera), ancorate com'erano alle loro posizioni e lontane dalla prevedibile zona in cui si sarebbe verificato l'urto, frazionate in circa centocinquanta posti di osservazione costiera e in una serie di posti di blocco e caposaldi anche interni. Presso il litorale di Roma, inoltre, vi era pressoché totale frammischiamento dei reparti costieri con le forze tedesche della 2a divisione paracadutisti. Per tali ragioni la divisione Piacenza (nominalmente autotrasportabile, ma priva di mezzi di trasporto) fu dislocata in posizione di arresto a sud del Tevere fra Genzano e Velletri, con un gruppo tattico all'osteria Malafede, avanzata rispetto allo schieramento della Granatieri, per parare le minaccie provenienti da un raggruppamento corazzato tedesco dislocato a Frascati (70). Le forze italiane sommavano a circa 70 mila uomini , dei quali solo 63 mila effeuivamente impiegabili, ed a 348 mezzi blindati e corazzati (168 carri e semoventi, 66 autoblindo, 114 mezzi blindati vati). Le forze tedesche, inquadrate nell'XI corpo d'armata, comprendevano la 3a divisione di fanteria corazzata (panzergranadiere), la 2• divisione paracadutisti rinforzata, unità autonome non indivisionate ed clementi sfusi. La citata pubblicazione edita dall'ufficio storico ne fa salire l'entità a 47 mila uomini e 469 mezzi blindati e corazzati (71), cifra quest'ultima che non trova riscontro in altre pubblicazioni che assegnano alle forze tedesche operanti nella zona di Roma non più di 200-250 mezzi di combattimento (72). Il problema della difesa di Roma si era posto fin dal 25 luglio, quando era stata fatta affluire nella capitale la divisione motorizzata Piave per prevenire eventuali disordini. Verificatosi l'inizio dell'inva-
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sione tedesca dell'Italia (26 luglio), il problema era slato impostato tenendo presenti tre distinte e contemporanee esigenze; il mantenimento dell'ordine interno, la difesa da aviosbarchi anglo-americani, la difesa da colpi di mano tedeschi. Divenuta preminente quest'ultima esigenza, furono adottati provvedimenti per conferire alla città la possibilità di opporsi ad un attacco tedesco in forze. Fu costituito il comando del corpo d'armata motocorazzato ponendo alle sue dipendenze le divisioni corazzate Ariete (proveniente dalla Lombardia) e Centauro (in corso di completamento nel Lazio e trasformata da divisione Mussolini in divisione corazzata), la motorizzata Piave e la Granatieri di Sardegna (già schierata unitamente alla Sassari ed alla Piacenza a sostegno della copertura costiera fra Tarquinia e Itri) (73). Dal 25 agosto, dopo il convegno di Casalecchio, lo stato maggiore dell'esercito sentì la necessità di irrobustire la difesa della città e dispose il concentramento a Roma della divisione Re (proveniente dalla Croazia), della divisione Lupi di Toscana (proveniente dalla Francia) e del 18° reggimento bersaglieri (proveniente dalla Francia) che, giunto a Torino, fu dirottato dalla Sardegna, dove era stato in un primo tempo destinato, e avviato a Roma. I movimenti ferroviari furono iniziati con ritardo e vennero seriamente ostacolati, oltre che dai bombardamenti anglo-americani, anche da intoppi burocratici ai quali in quel momento si sarebbe dovuto passate sopra. La difesa venne articolata successivamente in una difesa interna (corpo d'armata di Roma) avente alle dipendenze la Sassari, rinforzata da un gruppo tattico della Granatieri, e da personale delle scuole, dei depositi e della polizia Africa italiani; una difesa esterna (corpo d'armata motocorazzato e, in parte, XVII corpo d'armata), comprendente la Granatieri di Sardegna (meno un gruppo tattico), l'Ariete, la Centauro e la Piave; XVII corpo d'armata, dal quale dipendeva anche la difesa costiera (220" e 221" divisioni costiere), con la Piacenza avente un gruppo tattico a sud di Roma e il grosso delle forze tra Albano e Velletri. Era stato, inoltre, realizzato un caposaldo a Monterotondo, sede operativa <lello stato maggiore dell'esercito (centro Marte), presidiato da un battaglione motorizzato di italiani originari della Tunisia, da 4 batterie contraerei e da qualche pezzo controcarri, sbarrando l'accesso della capitale dalla via Salaria. Successivamente dopo passaggi intermedi, la difesa venne impostata, facendo conto delle divisioni Re e Lupi di Toscana e del 18° bersaglieri, su tre cerchi concentrici: difesa interna affidata al corpo d'armata di Roma (Sassari e forze varie); difesa esterna fissa, lontana dalla città 10-20 Km, affidata al XVIII corpo (Granatieri, Piacenza, Lupi, Re,
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220a e 22ia costiere); difesa esterna mobile o massa di manovra, affidata al corpo d'armata motocorazzato (Ariete, Centauro, Piave e 18° bersaglieri). Il comando di tutte le forze a presidio della capitale, già devoluto al comando della Y armata, venne assunto il 5 settembre direttamente da11o stato maggiore dell'esercito. La difesa interna venne sussidiata da una difesa interna ravvicinata, denominata cintura di sicurezza (7 4). L'8 settembre non erano ancora giunti integralmente né la Re, né la Lupi, né il 18° reggimento bersaglieri, per cui il compito delle azioni manovrate mobili risultava affidato alle poche riserve divisionali dell'Ariete e della Piave: reggimento di cavalleria motocorazzato lancieri Vittorio Emanuele II e aliquote del 58° reggimento fanteria motorizzato Abruzzi (75). L'analisi di tale piano difensivo ne pone in risalto i molti punti deboli e, primo fra tutti , il modesto valore del rapporto tra forze impiegate in compiti statici e riserve mobili. A monte di tutte le debolezze tattiche e di tutti gli errori tecnici sul come fu impostata ed organizzata la difesa di Roma, fu l'errore concettuale di fondo di ricorrere alla difesa diretta anziché a quella indiretta. Roma non offriva spazi di manovra e profondità agli schieramenti, specialmente nel settore meridionale. La difesa dei grandi agglomerati urbani assorbe forze ingenti e queste non erano disponibili. La diluizione su fronti ampie, affatto o poco fortificate , rende debole dappertutto il sistema che non può tenere, a meno di una grande disponibilità di rincalzi e di riserve mobili che a Roma vennero invece impiegate in compiti statici. Le divisioni corazzale a difesa statica di settori, anziché tenute in riserva per le reazioni manovrate, azzerano o quasi una delle loro principali caratterisiiche che è appunto la mobilità. Tale impiego era stato fatto sia .in Africa settentrionale, sia in Russia, ma con risultati del tutto inadeguati , ed aveva sempre avuto carattere di temporaneità, tanto che, appena possibile, le divisioni corazzate erano state sempre ritirate dalla prima linea e dislocate a tergo di questa come massa di manovra. A Roma, l'Ariete fu schierata fra Manziana e Monterosi a sbarramento della via Claudia e della via Cassia con la riserva nella zona stazione di Anguillara-Olgiata avente una sua limitata aliquota ad Isola Farnese; la Centauro con elementi del 18° bersaglieri fu dislocata presso Tivoli , a sud di Guidonia-Montecelio, e fu incaricata <li costituire posti di blocco a sbarramento della via Tiburtina-Valeria; la divisione motorizzata Piave fu schierata a semicerchio fra le vie Flaminia, Salaria, Tiburtina e la città di Roma inglobando anche la via Cassia da La Storta a Roma. La difesa di Roma non ebbe, dunque, a sua disposizione una riserva mobile, essendo tutte le forze utilizzate in
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compiti statici. Una tale disponibilità avrebbe consentito invece di colpire le forze tedesche in movimento verso Roma, temporaneamente arrestate dalla copertura fissa esterna della città, organizzata con i criteri della difesa su fronti ampie, con azioni sui fianchi assai redditizie ed efficaci, di più lunga durata, che avrebbero messo in grave difficoltà le truppe del maresciallo Kesselring. Occorre, peraltro, riconoscere che la mancata affluenza integrale della Re e della Lupi di Toscana, nonché del 18° reggimento bersaglieri, non avrebbe consentito di conferire alla copertura una consistenza adeguata a garantire battute d'arresto all'avanzata tedesca necessarie a dare tempo all'intervento della riserva mobile, ma è anche vero che il triplice schieramento statico realizzato a difesa della città era talmente debole ed aleatorio che il ripromettersi da questo il successo di una resistenza ad oltranza che garantisse la città dall'occupazione tedesca era una illusione fallace anche agli occhi di un profano. Nel settore settentrionale sarebbe stato sufficiente ai tedeschi rompere o impegnare la difesa in un tratto per dilagare contemporaneamente in profondità fra i caposaldi ed aggirare ad ampio raggio la città; nel settore meridionale un qualsiasi cedimento locale della difesa fissa avrebbe trasferito la lotta nell'interno della città dove non vi sarebbero state le forze necessarie per sostenerla. Il tipo di difesa scelto fu un gravissimo errore tecnico e, senza voler trascurare gli elementi che 1o influenzarono - posizione geografica della città e presenza dei numerosi agglomerati urbani periferici che la circondavano; vicinanza della costa tirrenica; brevi distanze che intercorrono in linea d'aria tra il centro della città e Fiumicino, il lido di Ostia, Tor Vajanica, Pomezia, Frascati, Tivoli, Monterotondo, bivio Claudia-Cassia; frammischieramento di unità italiane e tedesche; favore offerto dal terreno all'azione dei tedeschi, liberi di scegliere tra aggiramenti a largo ed a stretto raggio ed azioni frontali per la penetrazione verso Roma; deficienza di mezzi e materiali, specialmente di munizionamento controcarro, a causa delle pessime condizioni dei trasporti ; ecc. non si può non rilevare come Io stato maggiore dell'esercito si sia lasciato condizionare da una concezione della difesa anacronistica, inconcludente e del tutto superata, che 4 anni di guerra avevano definitivamente condannata e relegata negli archivi della storia militare. Anzi, la valutazione dei vari fattori negativi appena elencati avrebbe dovuto indurre lo stato maggiore dell'esercito a rinunziare alla difesa diretta di Roma ed il Comando Supremo a consigliare i1 re e il governo, ancora dal mese di agosto, a predisporre una sede diversa per il funzionamento dei supremi org:mi politici e militari;
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un'ipotesi realistica che non risulta che sia stata affacciata in tempo ad una predisposizione cautelativa alla quale pensò, senza però darvi nessun seguito, lo stato maggiore dell'esercito (trasferimento a Carsoli) . Il sacrificio temporaneo del possesso materiale della città che sarebbe stato conveniente in ogni caso lasciare fuori della mischia e che, comunque, non sarebbe stalo possibile difendere ad oltranza in quelle contingenze specifiche - avrebbe prodotto danni psicologici e materiali molto minori del suo abbandono improvviso la mattina del 9. È stato obiettato che se l'annuncio dell'armistizio fosse stato dato il 12, anziché 1'8, vi sarebbe stato tutto il tempo per conferire alla difesa di Roma, così com'era stata impostata, robustezza e consistenza adeguate. È un'obiezione che non ha consistenza, perché non fu il mancato completamento della Re e della Lupi a determinare il corso degli eventi . D'altra parte se la Re e la Lupi giunsero in ritardo - ed aliquote non giunsero affatto - lo si dové oltre allo scombussolamento nei trasporti provocato dai bombardamenti aerei anglo-americani, anche alla perdita di gioJ:ni preziosi per le soste imposte alla Re nei campi contumaciali di frontiera ed ai ritardi frapposti nel fissare la priorità dei movimenti . Ad una concezione impropria e fuori tempo si unirono un'organizzazione rabberciata e superficiale ed una direzione di condotta carente, indecisa e tumultuosa. Alle 20,30 del giorno 8 forze della 2a divisione paracadutisti tedesca s'impadronirono dei depositi carburanti di Mezzocammino e di Valleranello, contenenti centinaia di tonnellate di carburante, depositi che non erano stati inclusi entro la cintura difensiva esterna del XVII corpo d'armata. All'imbrunire, reparti tedeschi autonomi, rinforzati da elementi della 2 divisione paracadutisti, irruppero di sorpresa, dopo aver stroncato le deboli resistenze delle sentinelle e delle vedette, nello schieramento della 220" divisione costiera, che non eta stata allarmata (76), e disarmarono e costrinsero alla resa la gran parte delle unità. Verso le 21 la 2a paracadutisti, mcssasi in movimento da Ostia-Fiumicino verso nord, su due colonne, lungo la via Portuense e la via Ostiense, ebbe facile giuoco contro la Piacenza che era ad essa frammischiata - nel catturare i minori comandi e nel disarmare successivamente quasi l'intera divisione che, priva di rincalzi e di riserva, non poté né contrassaltare né contrattaccare. Verso le 20 ,30 la 3• divisione panzergrenadiere, mossasi dalla zona di dislocazione verso sud, articolata in due colonne, gravitanti rispettivamente su Narni (da Orvieto) per la Flaminia, e sulle vie Cassia e Claudia (via Viterbo-Vetralla), con preponderanza sulla Cassia (77), - mentre una sua unità speciale (un gruppo esplorante corazzato 8
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comprendente anche due compagnie di fanteria) marciava via Tuscania-Tarquinia alla volta di Civitavecchia - , si avvicinò a Roma ed il mattino dopo attaccò lo schieramento dell'Ariete. Sempre alla sera dell'8 settembre altri reparti tedeschi attaccarono unità della Granatieri di Sardegna schierate alla Magliana e le costrinsero a ripiegare. Quando le notizie di tali avvenimenti giunsero distaziate le une dalle altre allo stato maggiore dell'esercito, il generale Roatta, che nel frattempo aveva diramato nuovi ordini per la difesa della capitale, rimaneggiando il quadro di battaglia e bi ripartizione dei settori difensivi ed orientando il corpo d'armata motocorazzato a raccogliersi, appena completata la sostituzione delle sue unità impegnate in compiti statici, e ad assumere compiti essenzialmente controffensivi (78), prese contatto con il capo di stato maggiore del corpo d'armata motocorazzato ed autorizzò, nell'assenza del generale Carboni, l'invio de] reggimento lancieri Montebello e di un gruppo <li artiglieria semovente in rinforzo alla Granatieri che il mattino del 9 avrebbe dovuto contrattaccare nella zona della Magliana. Successivamente, il generale Roatta, verso le 4 del mattino, con l'approvazione del generale Ambrosio, ordinò al corpo d'armata motocorazzato di ripiegare su Tivoli, fronte ad est, e più oltre (79). Il fronte ad est fu un errore, che venne corretto verbalmente in fronte ad ovest, ma è elemento indicativo di quale fosse lo stato di confusione intellettuale e di agitazione emotiva del capo di stato maggiore dell'esercito. Con tale ordine - rielaborato, ampliato e modificato dal generale D e Stefanis (80) - vennero decisi: la rinunzia della difesa di Roma che si ritenne divenuta impossibile; il ritiro di tutte le truppe impegnate nella difesa di Roma (interna ed esterna) ed il loro ripiegamento, a scaglioni preceduto da unità che assumessero posizioni fronte a est a cavallo di Tivoli, su quest'ultima 1oca1ità; il passaggio della responsabilità di comando di tutte le truppe del XVII corpo d'armata e del corpo d'armata di Roma rispettivamente <lai generali Giovanni Zanghieri e Alberto Barbieri ,al generale Carboni, che conservò altresì il comando del corpo d'armata motocorazzato. L'ordine del generale De Stefanis conteneva anche le seguenti indicazioni: « Orientatevi a proseguire quindi eventualmente verso est. Nella città di Roma devono rimanere i reparti carabinieri reali e di polizia per il mantenimento dell'ordine. Portate il vostro comando in primo tempo a Tivoli dove prenderemo contatto con voi». L'ordine non chiarì quali avrebbero dovuto essere le prospettive e quali sarebbero state le possibilità materiali di un ulteriore movimento verso est e, soprattutto, quale sarebbe stato lo scopo di tale movimento, quando
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già il trasferimento a Tivoli delle grandi unità e degli altri reparti appiedati sarebbe stata un'impresa possibile sì, ma malagevole se eseguita sotto l'incalzare dei tedeschi. A Tivoli, invece, da dove si domina tatticamente tutta la pianura di Roma, sarebbe stato possibile, e non molto difficoltoso, creare un ridotto difensivo, fronte ovest, che avrebbe seriamente ostacolato e comunque ritardato notevolmente il rapido chiarimento (81) sulla situazione di Roma che i tedeschi intendevano perseguire per poter inviare le loro forze, diventate così libere, a sostegno della 10" armata nell'Italia meridionale (82). Gli ordini dei generali Roatta e De Stefanis, privi delJa indicazione degli scopi da perseguire e degli obiettivi da preservare una volta radunate le forze nella zona di Tivoli, concorsero in misura notevolissima a determinare lo sbandamento nell'attività o l'inattività dei comandi di corpo d'armata e l'ambiguità di condotta del generale Carboni sul quale, all'ultimo momento, lo stato maggiore dell'esercito scaricò la responsabilità che si era assunta in proprio tre giorni prima (83) . I due ordini - uno dettato verso le 4-4,30 e l'altro direttamente alle 5,15 - erano, inoltre, di contenuto notevolmente diverso e di tenore differente. Si determinarono così una grande confusione ed un dima di equivoci nel quale maturò, alla fine, la decisione di non difendere più. Roma. La differenza di fondo tra i due ordini fu che in quello del generale Roatta, pur escludendo la di/esa della capitale e pur specificando che in Roma dovranno rimanere solo le forze di polizia per il mantenimento dell'ordine, a Tivoli si sarebbe dovuto raccogliere solo il corpo d'armata motocorazzato, mentre in quello del generale De Stefanis venne disposto il ripiegamento generale ed implicitamente l'abbandono definitivo della difesa della capitale. Il primo lasciava adito all'interpretazione che da Tivoli, dove il terreno avrebbe consentito una resisteneza efficace, si dovesse difendere Roma dall'esterno con una manovra razionale e realizzabile; il secondo lasciava capire che la cosa più importante avrebbe dovuto essere sottrarre le forze, mobili e non, allo scontro con quelle tedesche. L'accanita polemica che si è trascinata per anni e che dura ancora circa l'interpretazione dei due ordini, polemica alimentata dalle diverse e contrastanti dichiarazioni e testimonianze dei protagonisti dei fatti e di tutti coloro che vi ebbero parte, non si placò, né avrebbe potuto essere altrimenti, neppure dopo le risultanze della commissione d'inchiesta e le sentenze dei tribunali. Non si può negare che sul piano giuridico sarebbe stato di enorme utilità e di grande giovamento accertare fino in fondo e con estrema chiarezza le varie e graduali responsabilità dei singoli, rimaste, invece, nono-
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stante le indagini, sfumate o nebulose, ma sul piano storico, a cinquant'anni dai fatti, ogni ulteriore strascico polemico risulta pretestuoso e irrilevante, perché la mancata difesa di Roma rientra nel quadro di miopia di vedute, di precipitazione nel decidere, di debolezza nell'agire, di mancanza di energia morale, di apprensione terrorizzante per la propria incolumità fisica, di scarimento delle responsabilità che caratterizzarono l'operato dei vertici militari in quelle giornate. Storicamente, dunque, della mancata difesa di Roma furono responsabili il Comando Supremo e lo stato maggiore dell'esercito presi nel loro insieme. Che sul generale Ambrosia gravino responsabilità maggiori che non sul generale Roatta o viceversa e cosi via non è preminente, mentre è essenziale riconoscere onestamente che: la difesa di Roma - impostata ed organizzata diversamente fin dall'inizio - sarebbe stata possibile e realizzabile con buone prospettive di successo; la costituzione di un ridotto difensivo nella zona di Tivoli, benché tardiva, avrebbe impegnato a lungo ]e forze tedesche - che poterono, invece, essere inviate in rinforzo a quelle della 10a armata per fronteggiare lo sbarco anglo-americano a Salerno - e, forse, avrebbe potuto indurre i tedeschi a ripiegare rapidamente a nord dell'Appennino; la rinunzia al combattimento di intere divisioni ancora operativamente impiegabili - l'Ariete, la Piave, la Centauro ed aliquote della Granatieri e della Sassari dipesa o dall'equivocità degli ordini o da altri motivi, fu una decisione tecnicamente inammissibile e militarmente disonorevole. L'operato del Comando Supremo e dello stato maggiore dell'esercito, benché questo influenzato da quello, resta ancora oggi e resterà per sempre di per sé condannabile sotto tutti gli aspetti, ancorché, come a noi diversamente da altri sembra, sia da escludere che esso sia dipeso dal deliberato proposito di evitare lo scontro in forze con i tedeschi, peraltro già avvenuto sia pure sul piano locale durante la notte, ed al quale non intendevano sottrarsi, ad esempio, l'Ariete e la Piave, i cui comandanti inizialmente dichiararono di non voler ottemperare all'ordine di ripiegare su Tivoli perché lo intesero come inesplicabilmente diretto ad impedire ogni ulteriore forma di resistenza e non volto all'occupazione di una più vantaggiosa posizione difensiva. Chi dalla successiva resa di Roma ai tedeschi deduce che essa fu la conseguenza del precedente comportamento del Comando Supremo e dello stato maggiore dell'esercito è nel vero, ma nel senso che è a questi due organi di comando che si deve far risalire la responsabilità diretta deJla caotica situazione determinatasi in seguito alle loro sconsiderate decisioni, non già nel senso che essi abbiano
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covato a priori la segreta volontà di cedere ai tedeschi la capitale senza colpo ferire, quasi fossero d'intesa, tacita o non, con il maresciallo Kesselring. Ciò di fatto accadde, ma sostenere che a questo si mirasse fin dal principio significa ragionare per illazioni, trasformare in prove sospetti e, se si vuole, indizi non suffragati però da documentazione, da testimonianze, da atti certi e trasparenti. La razionalità fu sopraffatta dall'emotività, l'inettitudine sopravanzò l'astuzia, la paura paralizzò l'iniziativa. Le decisioni avventate, sconsiderate, quasi incoscienti furono il portato naturale del 25 luglio, vale a dire della scelta sbagliata del successore di Mussolini e della politica estera e militare indecisa, obliqua, lenta e pavida del governo e del Comando Supremo. I tentativi di coprire la realtà dei fatti con il silenzio, di velarla con eufemismi e giri di parole o , peggio ancora, di travisarla in un senso o nell'altro, secondo tesi preconcette o di comodo, falsano la storia, alienano le responsabilità, recano disdoro anziché lustro alle forze armate perché finiscono con l'equiparare capi intelligenti, capaci, preparati e coraggiosi - dei quali la storia delle forze armate italiane è ricca - a coloro che in quelle particolari circostanze dimostrarono di non essere tali . Riteniamo che, oltre che in quello dell'obiettività storica, sia anche nell'interesse delle forze armate confessare con onestà e sincerità gli errori e le colpe commessi - non bisogna dimenticarlo - in uno stato di profondo turbamento e confusione degli spiriti e delle menti da parte dei vertici politici e militari, ai quali vennero meno la larghezza di vedute, la prontezza nel risolvere e l'energia nell'operare che sono le qualità che legittimano l'investitura e l'esercizio del comando. Il male esempio fu contagioso ed alcuni comandanti di grado elevato, sentitisi abbandonati a loro stessi, divennero più inclini alla resa che alla lotta. Ciò accadde a Roma ed altrove. Fu, invece, cosa meravigliosa ed esaltante che a Roma ed altrove alcuni comandanti di grandi unità, generali, ufficiali di tutte le armi e di ogni grado, sottufficiali, soldati e cittadini qualunque - senza lasciarsi influenzare dallo stato di abbandono in cui vennero a trovarsi - abbiano rivolto le armi contro i tedeschi e, piuttosto che farsi disarmare, abbiano combattuto con perizia e coraggio e preferito l'internamento e la morte nei lager alla collaborazione con i tedeschi.
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NOTE AL CAPITOLO XL
( 1) Il 6 febbraio 1943 Mussolini decise improvvisamente di sostituire negli incarichi di ministro i più famosi dei suoi gerarchi: Ciano, Bottai, Pavolini, Buffarini Guidi, Ricci, Riccardi, Host Venturi, Thaon di Revel. Forse pensò che ciò sarebbe valso a distrarre l'opinione pubblica dalla perdita della Tripolitania o forse volle liberarsi degli uomini che gli erano in sospetto da un pezzo. (2) Albert Kesselrfr1g, Memorie di gueffa. Garzanti, Milano, 1954, p, 176. (3) Ibidem, p. 177. ( 4) Al convegno parteciparono oltre Hitler e Mussolini, da parte italiana: il generale Ambrosio, il sottosegretario agli affari esteri Bastianini (dal 6 febbraio Mussolini aveva assunto il dicastero degli esteri), l'ambasciatore italiano a Berlino Alfieri, il colonnello di stato maggiore Montezemolo quale interprete; da parte tedesca: il maresciallo Keitel, il ministro degli esteri Rlbbentrop, l'ambasciatore tedesco a Roma von Mackensen, il tenente colonnello delle S.S, Dolwann e pochi altri.
(5) Paolo Monelli, Roma 1943. Mondadori, Verona, 1948, pp. 88-89. Ci siamo avvalsi della pubblicazione del Monelli, che è un giornalista e un cronista più che uno storico, perché non abbiamo rinvenuto altri documenti al riguardo, soprattutto circa il colloquio Mussolini-Ambrosio della sera del 20 luglio. Di tale colloquio tuttavia, come pure delle minacciate dimissioni del generale Ambrosio, vi è traccia nei documenti del Comando Supremo. (6) Ibidem, p. 90. (7) Ugo Cavallero, Comando Supremo. Cappelli Editore, Rocca San Casciano, 1948, pp. XVI-XXV.
(8) Castellano Giuseppe (1893-1973), generale di brigata per merito di guerra. Generale addetto allo stato maggiore generale e uomo di fiducia del generale Ambrosio, fu da questi incaricato delle trattative segrete con i rappresentanti anglo-amefr:ani nell'agosto del 1943 e della firma dell'armistizio il 3 settembre a Cassibile. (9) B. H. Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Mondadod, Verona, 1971, p. 642. (10) lbi<lem.
(11) Ibidem, p. 643.
(12) Albert Kesselring. Op. cit., p. 200. (13) Ministero clella difesa. Stato Maggiore dell'esercito. Ufficio Storico, [,e operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 9143. Tipografia regionale, Roma, 1975, p. 24.
(14) Ibidem, p. 31. Il 25 luglio le forze germaniche erano:
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--'- in Italia: - in Sicilia: la 15a e la 29a divisioni panzergrenadiere, la divisione corazzata Goering, aliquota della 1a divisione paracadutisti; - in Sardegna: la 90" divisione panzergrenadiere ; - in Toscana: la 3" divisione panzergrenadiere; - in Campania e Puglia: la 16" e la 26" divisioni corazzate e aliquota della I a divisione paracadutisti. Tali for.:e, escluse quelle dislocate in Sardegna e Toscana, erano raggruppate in 2 corpi d 'armata: XIV (75&, 16\ l" paracadutisti e Goering) e LXXVI (26• e 292 ). Erano inoltre dislocati in Italia raggruppamenti di forze non indivisionate con compiti vari, con sedi nelle varie regioni italiane, Sicilia compresa, e presso i centri abitati più importanti (Venezia, Trieste, Milano, Verona, Bologna, Bolzano, Torino, C,enova, La Spezia, Livorno, Firenze, Grosseto, Roma , Napoli, Benevento, Foggia, Taranto e località della penisola sorrentina); -
fuori del territoio italiano: - in Corsica: brigata corazzata SS Reichsfuhrer in corso di completamento con elementi tratti dalla 16" SS panzergrenadiere; - in Provenza: divisioni di fanteria territoriale 343" e 3463, divisioni di fanteria 157" e 356", rutte della 19-' armata (corpi d'armata LXIV e LXXXIII); in Ergegovina e Montenegro: 7" divisioHe <la montagna motocorazzata SS Prin:z Eugen e aliquote della 297" divisione di fanteria; - in Serbia: 297• divisione <li fanteria, l" divisione da montagna, 7a, 92 e 29" divisioni di fan teria bulgare; - in Grecia: l!A divisione di fanteria, 104• e 117" divisioni cacciatori , 1a divis ione c,u:a7...7.ata ;
- a Creta: brigata di occupazione Creta e 22' divisione di fanteria; - in Egeo: brigata motocorazzata SS Rhodos. L'8 settembre le forze germaniche erano: -
in Italia: - gruppo armate B (feldmaresciallo Erwin Rommel): - in Alto Adige: LI corpo da montagna (44" divisione di fanteria, CXXXVI brigata da moniagna, in affluenza un'altra divisione); - in Liguria: LXXXV 1I corpo (76\ 94' e ·305,. divisioni di fanteria) ; - nella zona di Piacenza-Parma, con punte verso Pistoia ed elementi verso Torino e Milano: LXXVI wrpo corazzato (divisioni corazzate 24a e SS A. H itler e 65a. divisione cli fanteria ); - nella Vene-.i:ia Giulia: 71' divisione di fanteria del XVI corpo; - O.B.S. (feldmaresciallo Albcrt Kesselring): - nel Lazio: XI corpo (2' divisione paracaùutisti e 3• divisione pamergrena<liere); - nell' Italia meridionale: 1O• armata (generale Heinrich von Vietinghoff von Scheel ) comprendente XIV corpo (15" divisione panzergrenadiere, 16' divisione corazzata, divisione corazzata SS Goering) e LXXVI corpo (26" divisione corazzata, 29• divisione panzergrenadiere, 1a ùivisione paracadutisti); - in Sardegna: 90~ divisione panzergrcnadiere; -
fu ori del territorio italiano: - in Provenza: forze appartenenti alla 19a. armata (feldmaresciallo Gerd von Rundstedt): 157" divisione di fanteria (LXXXIII corpo), 343" clivisione di fanteria
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territoriale (XXV corpo), 346• divisione di fanteria territoriale (LXXIV' corpo). Le forze erano in movimento per sostituire le unità della 4• armata italiana in corso di rimpatrio; - in Corsica: brigata corazzata SS Reichsfiihrer; - in Slovenia, Croazia e Dalmazia: forze dipendenti dal comando della 2" armata corazzata (generale Lothar Rendulic) con il XV corpo da montagna, XXI corpo da montagna, LXIX corpo di riserva, e comprendenti la 114•, la 178• e la 187" divisioni di fanteria, la 118• divisione da montagna, la 369• e 373" divisioni croate; - in Erzegovina e Montenegro: 7a divisione corazzata da montagna SS Prim: Eugen e 279• divisione di fanteria; - in Albania: 100·• e 114• divisioni di fanteria; - in Grecia: LXVII corpo (104.. e 117" divisioni cacciatori, P da montagna, 11" di fanteria, 1• corazzata); - a Creta: brigata da fortezza Creta e 22" divisione di fanteria rinforzata; - nelle isole dell'Egeo: brigata lll()tocorazzata Rhodus. Le forze nei Balcani, in Egeo e a Creta dipendevano dal comando tedesco del sud-est (generale Alexander Léìhr). Erano inoltre di prevista affluenza: dal Brennero un altro corpo d'armata su due divisioni dislocate nella zona di J nnsbruck, e dalla conca di Klagenfurt il XVI corpo <l'armata su tre divisioni, fra le quali la 7 la gi:ì entrata in Italia. La situazione delle forze terrestri italiane alla data del 25 luglio era: -
forze direttamente dipendenti dal Comando Supremo: - gruppo armate est (generale Ezio Rosi): - in Albania: 9" armata (generale Lorenzo Dalmazzo) con il IV corpo (divisioni Brennero, Parma, Perugia) e XXV corpo (divisioni Arezzo, Firenze). In riserva: divisione Puglie; - .in Erzegovina: V[ corpo (divisioni di fanteria Marche c Messina e XXVIII brigata costiera) ; - in Montenegro: X[V corpo (divisioni di fanteria Emilia, Ferrara, Vene:::ia e divisione alpina Taurinense); - in Grecia: ua armata (generale Carlo Vecchiarelli) con III corpo (divisioni Forlì e Pinerolo), VITI corpo (divisioni Cagliari e Piemonte), XXVI corpo (divisioni Modena, Casale e Acqui). A Creta erano dislocate le divisioni Siena e la LI brigata speciale; - nell'Egeo: comando superiore forze armate dell'Egeo (ammiraglio Inigo Campioni ) con divisioni Cuneo e Ref!.ina. l n totale: 21 divisioni di fanteria, 1 divisione alpina, 1 brigata costiera, 1 brigata speciale; -
forze direttamente dipendenti dallo srato maggiore dell'esercito: - in Italia: - comando gruppo armate sud (principe Umberto di Savoia) con alle dipendenze la 5", la 6\ la 7a armata cd i comandi delle forze armate della Sardegna e della Corsica; - 5a armata (generale Mario Caracciolo di Feroleto): - in Piemonte e Liguria: XVI corpo (divisione di fanteria Rovigo e divisione alpina Alpi Graie); - in Toscana: II corpo (divisioni di famcria Cesena e Ravenna e divisioni costiere 218a e 216' );
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- nel Lazio: XVII corpo (la divisione Piacenza, la 220a e 221• divisioni costiere, la XXXIV brigata costiera}, il corpo d'armata motocora7.7..ato (divisione Granatieri di Sardegna, divisione motorizzata Piave, divisione corazzata Littorio, poi Centauro );·corpo d'armata di Roma (divisione Sassari); - 7a armata (generale Mario Arisio): - in Puglia: IX corpo (divisione Piceno, le 209• e 210- divisioni costiere e la :XXXI brigata costiera); - in Calabria: XXXI corpo (divisione Mantova e le divisioni costiere 21P, 212\ 214& e 227.,); - in Campania: XIX corpo (divisione Pasubio, 222• divisione costiera, XXXII brigata costiera); - 6• armata (generale Alfredo Guzzoni): - in Sicilia: le divisioni Aosta, Assietta, Livorno e Napoli; - comando forze armate Sardegna (generale Antonio Basso): XIII corpo (divisione Sabauda e divisioni 203a. e 205.. costiere), XXX corpo (divisione Calabria, 204• costiera, IV brigata costiera), in riserva: divisione di fanteria Bari, divisione paracadutisti Nembo, :XXXIII brigata costiera, un raggruppamento corazzato; _~ comando difesa territoriale di Milano: divisione corazzata Ariete; - romando difesa territoriale di Bologna: 3a divisione celere; - 8• armata {generale Italo Garibaldi), dislocata nel Veneto e nella Venezia Giulia: XXIII corpo (divisione di fanteria Sforzesca), XXIV corpo (divisione di fanteria '.{'qrjno e divisione alpina Julia), XXXV corpo (divisione alpina Tridentina); -.- .nei territori occupati: - 40. armata (generale Mario V ercellino) dislocata in Provenza. Il suo territorio di ,,giurisdizione comprendeva anche quasi tutta Ja Liguria e una parte del Piemonte,. Disponeva delle seguenti forze: I corpo (divisione Legnano e divisioni costiere .223• e 224"), XV corpo (divisione costiera 201,. e unità diverse), XXII corpo (divisioni di fanteria Lupi di Toscana e Taro e divisione alpina Pusteria), in riserva: ia div~.ipne celere e divisione alpina Cuneense (in Piemonte); - .c omando forze armate Corsica {generale Giovanni Magli): divisioni di fanteria Cremona e Friuli e divisioni costiere 225" e 226"'; - .2" annata (generale Mario Robotti) dislocata in Croazia ed in Slovenia: V ro~ (divisioni Macerata, Murge e Re, XIV brigata rostiera), XI corpo (divisioni Cacci/J.tqri ,delle Alpi, Isonzo e Lombardia), XVIII corpo (divisioni Bergamo e Zara, XVII brigata costiera), in riserva: 1a divisione celere. Erano pertanto dislocate in Italia, Francia, Croazia e Slovenia: 26 divisioni di fantetja di cui 5 in ricostituzione, 5 divisioni alpine di cui 3 in rirostituzione, 1 divisione ~racadutisti, 2 divisioni corazzate di cui 1 in completamento, 1 divisione motorizzata, , 1 divisione di occupazione, 3 divisioni celeri di cui 1 in ricostituzione, 19 divisioni costiere, 7 brigate costiere, 1 raggruppamento rorazzato. Nella sola Italia (esclusa la Sardegna): 10 divisioni di fanteria di cui 5 in ricostituzione, 4 divisioni alpine di cui 3 in ricostituzione, 2 divisioni corazzate di cui 1 in completamento, 1 divisione motorizzata, 1 divisione di occupazione, 1 divisione celere in ricostituzione, 11 divisioni costiere, 3 brigate costiere.
La situazione delle forze italiane alle ore 20 del giorno 8 settembre era la seguente: - forze direttamente dipendenti dal Comando Supremo: - comando gruppo armate est: - in Albania: come il 25 luglio;
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- in Erzegovina: come il 25 luglio; - in Montenegro: come il 25 luglio; - in Grecia: in seguito ad acoordi intercorsi prima del 25 luglio l'll"' armata s1 sarebbe trnsformata in armata mista italo-tedesca cessando dalla dipendenza del comando gruppo armate est per passare alle dipendenze del comando gruppo annate sud-est tedesco avente sede a Salonicco. La trasformazione ebbe inizio il 27 luglio; pertanto venne costituito presso il romando dell'IP armata uno stato maggiore operativo tedesco affiancato a quello italiano. L'IP· armata sarebbe rimasta alle dipendenze del Comando Supremo italiano solo disciplinarmente. Essa comprendeva le seguenti for.le: III corpo (divisioni Forlì e Pinerolo), VIII corpo (divisioni Acqui e Casale), XXVI corpo (divisione Modena e unità tedesche), LVIII corpo tedesco (divisioni Cagliari e Piemonte, unità tedesche); - a Creta: come il 25 luglio; le forze dipendevano operativamente dal comando tedesco della fortezza di Creta; - in Egeo: come il 25 luglio; - forze direttamente dipendenti dallo stato maggiore dell'esercito: - sul territorio nazionale: - nel Veneto, Venezia Giulia e Tridentina: ga armata come il 25 luglio, più la divisione alpina Cuneense assegnata al XXXV corpo in Alto Adige; - in Lombardia: divisione di fanteria r.flISl'ria P. 3° hP.rsJ1glieri; - in Emilia e Romagna: 3a. divisione celere meno 3° bersaglieri; - in Liguria e Tosca"na: 5a. armata su XVI corpo (divisione di fanteria Rovigo e divisione alpina Alpi Graie), II corpo (divisione di fanteria Ravenna e 215.. e 216.. divisioni costiere); - nell'Italia meridionale: 7a. armata su: XIX corpo (divisione Pasubio, 222.. wvisione costiera, XXXII brigata costiera), IX corpo (divisione di occupazione Piceno, divisioni costiere 209a. e 2103, XXXI brigata costiera), XXXI corpo (divisione di fans teria Mantova e divisioni costiere 211", 212.., 214" e 227•); - in Sardegna: come il 25 luglio, ad eccezione della XXXIII brigata costiera che aveva cessato di fare parte della riserva ed eta passata alle dipendenze del XIII corpo; - difesa della capitale: corpo d'armata motocorazzato (Granatieri di Sardegna, Piave, Ariete e Centauro), XVII corpo (Piacenza, divisioni costiere 22()& e 221", XXXIV brigata costiera), corpo d'armata di Roma (Sassari, truppe in addestramento ai depositi, forze dj polizia); - nei territori occupati: - in Provenza: 4a. armata con stato maggiore integrato italo-tedesco: XII rorpo (divisione Taro, divisione alpina Pusteria, 2" divisione celere: tutte in corso di rimpatrio), I corpo (223 .. e 224"' divisioni costiere), XV corpo (21()& divisione costiera ed altre unità); - in Corsica: VII corpo (divisioni Friuli e Cremona, divisioni costiere 225.. e 226a., un raggruppamento artiglieria, un raggruppamento alpino, un raggruppamento motocorazzato); - in Slovenia, Croazia e Dalmazia: za. armata su: XI corpo (divisioni Cacciac tori delle Alpi, Isonzo, Lombardia e un raggruppamento della milizia), V corpo (wvisioni Macerata e Murge, 5° raggruppamento guardie alle frontiere, XIV brigata costiera), XVIII corpo (divisioni Bergamo e Zara, XVI brigata costiera, 4° reggimento bersaglieri), in riserva: I a divisione celere;
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in movimento: - dalla Francia verso Roma la divisione di fanteria Lupi di Toscana; - dalla Croazia verso Roma la divisione di fanteria Re; - da Torino verso Roma il 18° reggimento bersaglieri motocorazzato; - da .Bologna verso la Puglia la divisione di fanteria Legnano. Presenti in Italia, Sardegna compresa, oltre le divisioni e le brigate costiere: 24 divisioni italiane (delle quali 9 in ricostituzione) e in particolare 14 di fanteria, 4 alpine, 1 paracadutisti, 1 celere, 1 di occupazione, 1 motorizzata, 2 corazzate (inclusa la Centauro di limitata consistenza organica), oltre a 2 di fanteria in corso di rimpatrio cun-tro 17 divisioni (5 di fanteria, 5 corazzate, 2 paracadutisti, 5 motocorazzate) ed 1 brigata da montagna tedesche. Presenti nei territori occupati e in Egeo: 35 divisioni italiane (31 di fanteria, 2 alpine, 2 celeri) contro 20 divisioni tedesche (14 di fanteria, comprese 2 croate, 2 cacciatori, 2 da montagna corazzate, 1 corazzata), 2 brigate corazzate e 1 brigata di fortezza . Sebbene né le divisioni italiane né quelle tedesche fossero tutte al cento per cento degli organici e delle dotazioni e, in particolare, di quelle italiane 9 fossero in ricostituzione ed una ancora in corso di completamento, esisteva un notevole divario tra l'armamento di quelle italiane e quello delle divisioni tedesche. Le divisioni italiane disponevano di 342 armi automatiche contro le 958 delle divisioni tedesche, di nessun fucile controcarro contro 81, di 126 mortai leggeri rispetto agli 84 delle divisioni tedesche, di 48 mortai pesanti contro 54, di 24 pezzi controcarro contro 75, di nessun cannone per fanteria contro 24, di nessun autoblindo contro 6, di 36 pezzi di artiglieria da campagna (<la 75 e da 100 mm) contro 48 (da 105 e da 149 mm), di 8 pezzi contraerei contro 16, di nessun automezzo per l'autotrasporto della fanteria contro il numero di mezzi necessari all'autotrasporto dei 2/3 della forza organica. (15 ) Veds. precedente nota n. 13. Op. cit., p. 28. (16) Ibidem, p. 28 e 29.
{17) Ibidem, p. 28. (18) Giacomo Zanussi (1894-1966), generale di divisione. Frequentò la scuola _militare di Modena e fu nominato sottotenente di fanteria il 6 agosto 1914. Partecipò alla guerra 1915-1918, alla guerra di Spagna ed alla seconda guerra mondiale. Frequentò la scuola di guerra e la scuola di guerra aerea. Fu intendente, sottocapo di stato maggiore, caporeparto operazioni del comando truppe volontarie in Spagna dal 28 dicembre 1936 all'll ottobre 1937. Comandò 1'88° reggimento fanteria dal 5 giugno 1930 al 4 aprile 1941 e fu poi capoufficio del capo di stato maggiore del comando superiore delle forze armate della «Slovenia-Dalmazia~ (2.. armata), capo di stato maggiore della 6& armata (dall'8 febbraio 1943 al 7 giugno 1943), generale addetto del capo di stato maggiore dell'esercito dall'8 giugno 1943 al 10 novembre 1943, comandante della fanteria del gruppo di combattimento Cremona (28 novembre 1943 9 novembre 1944), vicecomandante del gruppo di combattimento Cremona dal 1° gennaio 1945 al 9 maggio 1945 e quindi passò a disposizione del comando militare territoriale di Roma. (19) Giacomo Carboni ( 1889-1973), generale di corpo d'armata. Sottotenente degli. alpini nel 1912, partecipò alla guerra di Libia durante la quale fu promosso tenente per merito di guerra. Partecipò alla l " guerra mondiale e negli anni dal 1920
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al 1922 frequentò la scuola di guerra. Fu promosso colonnello per meriti eccezionali e comandò 1'81" fanteria Torino. Da generale di brigata fu vice-comandante della Cacciatori delle Alpi. Da generale di divisione (1 gennaio 1940) comandò l'Accademia di fanteria e cavalleria e la scuola di applicazione di fanteria, successivamente la divisione Friuli. Promosso generale di corpo d'armata il 1° gennaio 1943, dal luglioagosto dello stesso anno fu comandante del corpo d'armata motocorazzato e commissario straordinario del S.I.M. Subl nel dopoguerra un processo per la mancata difesa di Roma da cui uscl assolto con formula piena. (20) Murphy Robert, Foreign Relations of the United States. Diplomatic Papers 1943, II: Europe. U.S. Government Prinring Office, Washington D.C., 1964. (21) Veds. precedente nota n. 13. Op. cit., p. 63, allegato n. 3. (22) Butcher H . Hardy, My three years with Eisenhower. Simon e Schuster, New York, 1946. (23) Maxwell Davenport Taylor (1901), generale americano. Uscito -dall'Accademia militare nel 1922, durante la seconda guerra mondiale prese parte, con il grado di generale, alla conquista dell'Africa settentrionale, allo sbarco in Italia, alla campagna di Francia. Nel dopoguerra fu capo di stato maggiore delle forze americane in Europa. Comandò poi (1953) 1'8"' annata in Corea, e dal 1955 al 1959 fu capo di stato maggiore dell'esercito. Consigliere militare del presidente Kennedy, nel 1962-'64 ricopri la massima carica militare statunitense come presidente del Comitato dei capi di stato maggiore riuniti . Fu infine ambasciatore a Saigon nel 1964---'65. (24) Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le ope-
razioni delle unità italiane ecc. Op. cit., p. 87. (25) Ibidem, p. 83. (26) Matthew Bunker Ridgway, generale statunitense. Comandante dell'82" divisione aerotrasportata con la quale prese patte agli sbarchi in Sicilia ed a Salerno. Comandò poi le truppe aerotrasportate che parteciparono allo sbarco di Normandia ed infine il XVIII co rpo in Francia ed in Germania. Nel 1950 assunse il comando dell'8a armata statunitense in Corea e nel 1951 succedette al generale Mac Arthur nel comando in capo delle forze degli Stati Uniti e dell'O.N.U. in estremo oriente. Nel 1952 prese il posto dd generale Eisenhower alla testa delle forze NATO in Europa e, quindi, dal 1953 al 1955 fu capo di stato maggiore dell'esercito statunitense. (27) Le operazioni delle unità italiane ecc. Op. cit., p. 84. (28) Ibidem, p. 86. (29) Ibidem, p. 135, allegato n . 2. (30) Paolo Monelli, Op. cit., p. 265. (31) Paolo Monelli, Op. cit., p. 276. (32) Albert Kesselring, Op. cit., p . 183. (33) Alfred ]odi (1890.1946), generale d'armata tedesco. Partecipò alla l" guerra mondiale e successivamente prestò se.rvizio nella Reichswehr. Dal 1938 fu capo ufficio
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operaz.ioni dell'O.K.W., carica che tenne durante tutta la guerra, anche quando raggiunse il grado di generale di corpo d'armata (artiglieria) e di generale di armata. Fu l'autore dei piani di guerra contro la Cecoslovacchia, la Norvegia, la Jugoslavia e la Grecia, l'Unione Sovietica. Consulente di Hitler in tutte le questioni riguardanti il comando delle forze armate, venne destituito dopo l'attentato del 20 luglio 1944 nel quale non aveva avuto nessuna parte. Fu capo di stato maggiore del breve governo Doenitz (maggio 1945), e in questa veste firmò la resa incondizionata della Germania il 7 maggio. Processato dal tribunale di Norimberga, fu riconosciuto criminale di guerra e impiccato. (34)' Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le oper<JZioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943. Op. cit., pp. 37-38. (35) B. H. Liddell Hart, Op. cit., p. 644. (36) Albert Kesselring, Op. cit., p. 189. (37) Ibidem, p.
188.
'(38) Ibidem, p. 183. (39) Siegfried W estphal (1902-1982), generale di corpo d'armata. Ufficiale nel 1918, prestò servizio nella Rcichshccr. Colonnello nel 1942, maggior generale nel 1943, ,.tenente generale nel 1944, generale di corpo d'armata (cavalleria) nel 1945. Durante la 2" guerra mondfalc comandò prima la 58" divisione, poi il XXVII corpo d'armata e quindi fu capo di stato maggiore dell'armata corazzata italo-tedesca in Africà; 'Successivamente, dal 1943 ricopri la carica di capo di stato maggiore dell'O.B.S., poi <li ·càpo <li stato maggiore ddl'O.B. sud-<>vest, e quindi di capo di stato maggiore dell'O.B. West. (40) Albert Kesselring, Op. cit., p.
185
e 186.
(41) Ibidem, p. 182 e 183. (42) Ministero della guerra. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni delle unità italiane ecc. Op. cit., p. 34.
(43} Ibidem, p. 36. (44) Ibidem, p. 42, 43 e 44.
(45) Ibidem, p. 68, allegato n. 4. (46) Ibidem, p. 134, allegato n. 1; P. 135, allegato n. 2; p. 137, allegato n. 3; p. 139, allegato n. 4; p. 140, allegato n. 5. (47) Ibidem, p. 46 e 47. (48) Ibidem, p. 70, allegato n. 5.
(49) Ibidem, p. 75, allegato n. 7. (50) Ibidem, p. 35. (51) Ibidem, p. 36. (52) Veds. precedente nota n. 46.
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(53} Ibidem, p. 39. (54) Ibidem, p. 73, allegato n 6. (55) Ibidem, p. 42. (56) Ibidem, p. 28. (57) Ibidem, p. 10. (58) Albert Kesselring, Op. ciL, p. 193. (59) Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni delle unità italiane ecc. Op. cit., p. 75, allegato n 7. (60) Veds. precedente nota n. 14.
(61) Ibidem, p. 75, allegato n. 7. (62) Ibidem, p. 48. (63) Antonio Sorice (1897-1971), generale di brigata. Sottotenente cli artiglieria nel 1915, partecipò alla P guerra mondiale. C.apo di gabinetto del ministro della guerra dal 1° aprile 1936 fino al maggio 1941; promosso generale di brigata il l " gennaio 1943, fu nominato sottosegretario di stato alla guerra il 13 febbraio dello stesso anno. Il 26 luglio 1943 fu nominato ministro della Guerra, carica che mantenne fino al 5 febbraio 1944. (64) Giuseppe De Stefanis (1885-1965), generale di corpo d'armata. Sottotenente di artiglieria nel 1905, nel maggio 1915 fu trasferito alla fronte italo-austriaca dove rimase fino al termine della guerra con il grado di capitano e di maggiore. Da colonnello nel 1932 comandò 1'8° reggimento artiglieria da campagna, e successivamente fu capo ufficio addestramento presso il comando del corpo di stato maggiore. Da generale di brigata resse il comando dell'artiglieria del corpo d'armata cor37..zato, da generale di divisione ebbe il comando della Pinerolo, poi della Trento, successivamente dell'Ariete e infine del XX corpo d'armata. Promosso generale cli corpo d'armata nel dicembre 1942, passò a disposizione del comando forLe armate Libia, per incarichi speciali, e successivamente fu comandante delle truppe del Mareth in Tunisia. Nel maggio del 1943 fu nominato sottocapo di stato maggiore per le operazioni, carica che tenne fino al 13 settembre 1943. Da tale data ebbe il comando del LI corpo d'armata, e dal giugno 1944 fu comandante della dekgazione A dello stato maggiore esercito. (65) Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni delle unità italiane ecc. Op. cit., p. 75, allegato n. 7. (66) Ibidem, p. 76, allegato n. 8. (67) Ibidem, p. 51. (68) Ibidem, p. 119. (69) Ibidem, p. 122.
(70) Ibidem, p. 81. (71) Ibidem, p. 104.
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(72) J1 generale Siegfried Westphal, capo di stato maggore del maresciallo Kesselring, affermò che intorno a Roma vi erano soltanto 30 mila tedeschi: le due divisioni (J& panzergrenadiere e 2~ paracadutisti) non avevano carri, ma cannoni semoventi; alla 3" divisione era stato però assegnato il gruppo Biising con una sessantina di carri, provenìeme dalla 26• divisione corazzata dislocata a Salerno. Da un rapporto situazione del 1° settembre 1943 risulta inoltre che la 3• divisione non disponeva in proprio di unità carri, aveva deficienza di veicoli da combattimento, aveva batterie non prontamente impiegabili e difettava di mobilità a causa della scarsezza di automezzi. La forza della divisione era di 407 ufficiali e 14 448 sottufficiali e truppa. Le dotazioni della 3" panzergrenadiere erano 42 semoventi d'assalto Mark IV da 18 t, 196 veicoli vari da combattimento, 18 semoventi su scafo di carri classe II, 3 carri armati di classe III. In totale 259 mezzi da combattimento ai quali sono da aggiungere i 60 carri del gruppo Biising.
(73} Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943. Op. cit., p. 80. { 74) Ibidem, p. 105 e 106.
(75) Ibidem, p. 105. (76) Ibidem, p. 113. (77) I bidem, p. 114.
(78) Ibidem, p. 137, allegato n. 3. (79) Ibidem, p. 139, allegato n. 4. (80) Ibidem, p. 140, allegato n. 5.
(81) Albert Kesselring, Op, cit., p. 202. (82) Ibidem.
(83) Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943. Op. cit., allegato n. 2, p. 135, e allegato n. 4, p. 139.
CAPITOLO XLI
LA DISFATTA DELL'8 SETTEMBRE 1. La resa di Roma. 2. La 4a armata. 3. La 5a armata. 4. L'8a armata ed i comandi della difesa territoriale di Milano e di Bologna. 5. La l" armata e l'inizio della cooperazione dell'esercito italiano con le forze anglo-americane. 6. Il comando delle forze armate Sardegna. 7. Il comando delle forze armate Corsica. 8. La 2a armata. 9. Il gruppo armate est. 10. L'l l4 armata: in Grecia, a Corfù, a Ce/afo nia. 11. Il comando superiore delle forze armate dell'Egeo.
1. Si era arrivati al 25 luglio senza essere preparati al problema dell'uscita dalla guerra; si giunse all'8 settembre senza avere predisposto un piano di contromisure idonee a parare la reazione tedesca all'armistizio. Il convegno di Feltre e la calata in Italia delle divisioni tedesche dalla notte sul 26 luglio avrebbero dovuto togliere, qualora ancora vi fossero state, illusioni e speranze circa la possibilità di un distacco indolore dell'Italia dalla Germania. Si continuò, invece, ad eludere e sfuggire la realtà, quasi fidando in un prodigio che , venuto a mancare, produsse uno shock collettivo per iJ quale, caduti in preda del terrore, i capi politici e militari persero il lume della ragione ed ogni forza d'animo. Non tutti i torti furono della parte italiana; molti ne ebbero anche gli anglo-americani ; ma 1'8 settembre avrebbe potuto essere molto diverso qualora la pavidità, l'incertezza, la trepidazione non avessero sopraffatto la ragione ed il senso del reale. Si ebbe così una intera serie di decisioni sbagliate, dal rifiuto dell'aviosbarco della 82a divisione aviotrasporttaa statunitense alla richiesta di proroga dell'annunzio dell'armistizio quando nessun rinvio era più tecnicamente possibile, dall'accettazione dell'armistizio da parte del consiglio della corona senza conoscere il testo né di quello corto né di quello lungo al trasferimento degli organi di governo e di comando da Roma senza assicurare la continuità dell'esercizio del
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potere politico e militare, dalla mancata emanazione dell'ordine di attuazione della memoria 44 alla cessione all'ultimo momento della responsabilità della difesa della capitale dallo stato maggiore dell'esercito al comandante del corpo d'armata motocorazzato, dall'ambiguo, incerto e sghembo comportamento di questi alJa resa ai tedeschi di intere grandi unità ancora operativamente valide. Novara, Lissa, Custoza, Adua e Caporetto diventano ben poca cosa rispetto all'8 settembre. L'Italia fu sul punto di perdere se stessa. Salutato inizialmente come la fine di un incubo durato 39 mesi, qualche ora dopo l'armistizio si presentò come una catastrofe ancora più spaventosa di quella alla quale avrebbe dovuto porre fine. Il fatto che, dopo la lettura del proclama delle ore 19,45, null'altro venisse comunicato dalla radio - nessun ordine, nessun ammonimento, nessuna indicazione, nessuna conferma delle misure di emergenza messe in atto nei quarantacinque giorni di governo - legittimò l'iniziale fiducia che tutto fosse stato predisposto bene. L'opinione più diffusa fu che fosse stata realizzata un'intesa anche con i tedeschi per il loro pacifico ritiro dalla penisola. Vi fu chi si abbandonò ad un sogno idilliaco di fine estate: i tedeschi in affrettato ripiegamento verso nord e gli anglo-americani in rapida avanzata da sud. Sorgevano nuovi problemi? Alla loro soluzione avrebbero provveduto i liberatori. II sogno non durò lo spazio di una notte. Già dall'alba del giorno 9 ciascuno dové ritirarsi dalla finestra dalla quale si era illuso di poter osservare i tedeschi in ritirata e gli anglo-americani in inseguimento, e l'intera nazione, a cominciare dalle forze armate, si sentì abbandonata a se stessa. Le numerosissime richieste di informazioni e le sollecitazioni di ordini, rivolte a Roma dai comandi periferici dopo i primi incidenti in corso con i tedeschi , rimasero senza riscontro (1). La situazione cominciò a precipitare quasi dovunque e dopo fu il caos. Il territorio nazionale venne a trovarsi diviso in due parti, entrambe sotto dominio straniero. Mussolini del quale il governo del maresciallo Badoglio si eta più o meno deliberatamente dimenticato - venne liberato dai tedeschi a Campo Imperatore e condotto in Germania, da dove rientrò qualche giorno dopo a capo di un governo neofascista. Mussolini era pur sempre Mussolini e la restaurazione, sia pure formale, del suo potete non poteva restare senza conseguenze. Che il governo non si fosse cautelato contro una tale evenienza appare anche oggi inaudibile. Il tessuto connettivo morale d ella nazione si squarciò e fu la guerra civile. In molti i processi mentali si confusero con quelli emotivi e produssero scelte irrazionali ed inconsulte. Molte coscienze si diso-
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rientarono e si sbandarono di fronte al crollo dell'intero apparato dello Stato. Molti, sebbene divisi negli ideali politici e sociali, anteposero ad ogni interesse settoriale la salvezza degli ideali del Risorgimento, ancorché lo schierarsi con il governo del re e con gli angloamericani non fosse una scelta psicologicamente facile perché il primo si era del tutto screditato ed i secondi poco o nulla dimostravano di avere a cuore gli interessi italiani e di apprezzare l'offerta di collaborazione. Sembrò che venisse rimessa in giuoco persino la sopravvivenza dello Stato unitario. Sarà la lotta della Resistenza a salvaguardare tale valore e l'identità politica e spirituale del Paese, lotta che s'iniziò la sera stessa dell'8 settembre mercé il concorso spontaneo e le iniziative personali di comandanti militari, di soldati, di semplici cittadini che, in una situazione tragicamente disperata, senza ordini o con ordini decettivi, dettero vita ad episodi di risolutezza e di valore dai quali prese l'avvio la lotta armata contro i tedeschi ed i fascisti. A Roma la difesa, che malgrado tutte le deficienze contava forze notevoli (2) e solide, fu costretta alla resa dai capi militari e non dalla violenza degli attacchi tedeschi. Anche nell'ambito di quelle grandi unità - divisioni costiere 220" e 22!8 e divisione di fanteria Piacenza che vennero rapidamente disarmate non mancarono tuttavia episodi di resistenza e contromosse. Nel settore della 220• si combatté a Nettunia fino al giorno 10; in quello della 221", a Itri, a porto Badia, alla foce del Sirto, a S. Felice Circeo, a Torre Paola, a Littoria, a Gaeta e a Sabaudia, si combatté fino a tutto il giorno 10; nel settore della Piacenza, contro i cui sbarramenti sulle vie Portuense e Ostiense andò a urtare l'attacco notturno della 2• divisione paracadutisti tedesca, parte dei caposaldi resistette fino al pomeriggio del giorno 9 (Albano, Ariccia, Genzano, Velletri, monte dell'Aro, stazione di Cecchina). Il cedimento delle due divisioni costiere e della Piacenza fu determinato dalla sorpresa e dalla rapidità con le quali agirono le unità tedesche e dall'impreparazione morale delle tre grandi unità all'improvviso rovesciamento della fronte. Della necessità di guardarsi dai tedeschi nessuno aveva preavvisato i reparti e, scesa la notte sul 9, questi, non allarmati, caddero nelle trappole tese dai tedeschi che, con le loro truppe frammiste a quelJe italiane sul litorale, poterono faciJmente sorprendere le vedette, bloccare gli accessi agli alloggiamenti, disarmare entrambe ]e divisioni costiere. Anche la Piacenza venne a trovarsi in condizioni difficili; i tedeschi adottarono la tattica di avvicinarsi agli elementi difensivi italiani mediante il ricorso all 'infiltrazione, senza aprire il fuoco, pc-
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netrando nei vuoti ed esortando i soldati ad abbandonare le arm1; riuscirono così ad avere il sopravvento e ad avere ben presto ragione della maggior parte delle strutture statiche, compromettendo la coesione tattica - peraltro già quasi inesistente - del sistema, e la coesione spirituale della grande unità. Fattori tecnici e psicologici sommati insieme disorientarono le menti e gli animi - vi . furono caposaldi attaccati prima ancora che i difensori fossero venuti a conoscenza dell'armistizio - dei comandanti e dei soldati della Piacenza, che subì un vero tracollo in seguito al quale fu possibile a1la 2a paracadutisti di proseguire contro Je difese tenute dalla divisione Granatieri di Sardegna schierata in migliori condizioni, ma a stretto contatto con l'agglomerato urbano. Verso le ore 1 del 9 la Granatieri di Sardegna riuscì ad arrestare l'attacco tedesco in corrispondenza del ponte della Magliana, ma i tedeschi, tentando di aggirare l'ostacolo verso nord, investirono un caposaldo della Cecchignola minacciando la stazione radio di Roma San Paolo. La divisione venne rinfor-1:ata in quel settore con altre forze: iJ reggimento corazzato Lancieri di Montebello dell'Ariete, già in riserva a La Storta, un battaglione del 151° Sassari, un battaglione carabinieri, un battaglione bersàglieri, un battaglione guastatori, elementi della polizia Africa italiana, aliquote dell'artiglieria dell'Ariete. Il mattino del 9 il battaglione carabinieri , sostenuto da elementi del Montebello rioccupò il caposaldo delle alture dell'EUR andato perduto durante la notte. Sempre la notte sul 9, nel settore settentrionale, le posizioni tenute dall'Ariete , e dalla Piave vennero attaccate senza successo. In particolare, la 3a divisione panzergrenadiere, mossasi verso le 20,30 dalla zona di dislocazione, articolata su due colonne - gravitanti rispettivamente sulla Fl~minia e sulla Cassia - poco prima delle 4 del 9 attaccò reparti dell'Ariete a Monterosi e poco dopo l'alba i caposaldi schierati fra Manziana e Bracciano. A Monterosi le forze tedesche vennero arrestate e ricacciate da elementi dei Cavalleggeri di Lucca e dell'artiglieria divisionale; fra Manziana e Bracciano per la reazione dell'Ariete i tedeschi perdettero 20 carri armati, molti automezzi, un centinaio di soldati. L'Ariete, da parte sua, nei combattimenti di Monterosi, Bracciano, Manziana ebbe 35 morti, 110 feriti e 14 carri armati distrutti. La mattina del giorno 9 cittadini animosi e coraggiosi accorsero sui luoghi di combattimento e si affiancarono ai soldati nella lotta ravvicinata (3). Frattanto, durante la notte, prima che venisse deciso l'abbandono di Roma da parte del re, del governo e degli stati maggiori centrali, lo stato maggiore dell'esercito aveva ordinato telefonicamente ai comandi del corpo d'armata motocorazzato e del XVII corpo di disporre perché tutte le truppe della
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difesa esterna rimanessero alle dipendenze del generale Carboni ed al comando del XVII corpo di spostare i] grosso della Piacenza verso nord per riunirlo alla Granatieri. Alle ore 4,30 del 9 settembre la situazione generale venne valutata concordemente dal Comando Supremo e dallo stato maggiore dell'esercito come suscettibile di avvolgimento della capitale da parte dei tedeschi, a più stretto raggio nel settore meridionale ed a raggio più ampio nel settore settentrionale. Da qui l'ordine del generale Roatta al quale fece seguito quello del generale De Stefanis (4) di rinunzia alla difesa diretta della capitale e di spostamento nella zona di Tivoli del corpo d'armata motocorazzato e di tutte le forze preposte alla difesa della città. Verso le 7 ,50 del mattino 50 aerei tedeschi mitragliarono il paese di Monterotondo e lanciarono sulla località circa 600 paracadutisti della 2a divisione, partiti da Foggia, con l'intento di catturare lo stato maggiore operativo del centro Marte che nella notte si era invece già ritrasferito a Roma. Un altro centinaio di paracadutisti venne lanciato in corrispondenza dello scalo ferroviario di Monterotondo ed altri 200 scesero nei pressi dell'osteria del Grillo. Le reazioni della Re, della Piave, di elementi della polizia Africa italiana, delle unità del presidio di Monterotondo furono immediate e violente ed inflissero forti perdite ai tedeschi (oltre 300 uomini fuori combattimento). Eccettuate tali azioni, il settore settentrionale rimase pressoché inattivo per il rimanente della giornata, perché i tedeschi, incontrata la resistenza dell'Ariete e della Piave, intendevano risparmiare il più possibile la 3a panzergrenadiere che volevano trasferire al più presto sulla fronte di Salerno. Nel settore meridionale si svolsero invece combattimenti sulla Casilina, sulla Prenestina, sull'Ardeatina, specie in corrispondenza dei caposaldi della Cecchignola e della Magliana. A sera i combattimenti si spostarono nei pressi delle tre Fontane, della basilica di San Paolo e della Garbatella. La notizia della partenza per il sud del re, del governo e dei vertici militari, la mancanza di un effettivo coordinamento delle operazioni e l'irreperibilità per l'intera mattina del 9, fino alle ore 14, del generale Carboni in viaggio da Tivoli ad Arsoli, lungo la valle dell'Aniene, alla ricerca del contatto con lo stato maggiore dell'esercito promessogli nell'ordine del generale De Stefanis, resero ancora più precaria e confusa la situazione operativa e determinarono nuove incertezze, altre fughe di responsabilità, ulteriori disorientamenti e decadimenti del morale, specialmente quando si cominciarono ad avere, verso le 9 del mattino, i primi sentori di una qualche tratta-
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tiva con i tedeschi. Mentre i combattimenti erano in corso e le unità italiane continuavano a sostenerli con successo, la sera del 9 l'Ariete e la Piave, parzialmente sostituite in linea con nuove forze affluite della Re e con aliquote della Sassari, si portarono a Tivoli. La sera del 9 e la notte sul 10 le opposte forze conservarono il contatto in una situazione piuttosto confusa ed i combattimenti si riaccesero la mattina del 10 a porta San Paolo ed alla piramide di Caio Cestio, dove il reggimento Lancieri di Montebello si difese brillantemente. Nel settore settentrionale la Y divisione panzergrenadiere rimase, invece, ferma sulle sue posizioni; richieste per ottenere il passaggio delle forze verso il sud attraverso il centro abitato furono respinti dal comando della Re - i cui reparti presidiavano il vasto settore compreso tra le vie Salaria e Cassia in sostituzione della Piave che vi vide l'intendimento tedesco di puntare su Roma ed occuparla. Fu proprio durante il pomeriggio del giorno 10 che un'azione controffensiva delle forze del corpo d 'armata motocorazzato, sferrata sul fianco e sul tergo della 2~ divisione paracadutisti tedesca, al di fuori della città, avrebbe potuto conseguire risultati molto positivi, qualora non fosse stata arrestata nella sua fase decisiva, verso le ore 19,30, dal generale Carboni che pure ]'aveva impostata e ordinata. Due colonne dell'Ariete, rinforzale dal 18° bersaglieri, mosse dalla zona di Settecamini-Lunghezza, erano giunte, dopo aver superato varie resistenze, rispettivamente all'altezza delle Capannelle e della via Appia antica ed erano sul punto di sconvolgere una parte dello schieramento della 2a paracadutisti, quando venne loro ordinato di cessare il fuoco per il sopraggiunto accordo con i tedeschi. Così ebbe termine la difesa di Roma. Il maresciallo Kesselring riconobbe che a Roma si svolsero lotte violente, ma non fece cenno circa l'azione controffensiva del pomeriggio del 10 ed a proposito della trattativa per porre fine ai combattimenti fu molto sommario e reticente pur lasciando intendere che l'iniziativa dei contatti era stata di parte italiana: « Il 9 settembre - scrisse il maresciallo Kesselrin~ nelle sue l'l.emorie di guerra - un ufficiale di una divisione italiana, un vecchio fascista, mi fece sapere che le truppe non avrebbero più offerto resistenza, ed erano pronte ad iniziare trattative di resa. Difatti, poco dopo giungeva una delegazione italiana. Dopo una breve spiegazione con i due parlamentari, generale Calvi di Bergolo e colonnello Montezemolo, il mio capo cli stato maggiore, generale Westphal, condusse abilmente i negoziati» (5). Furono il generale Calvi di Bergolo (6) comandante della Centauro ed il colonnello Cordero di Montezemolo, comandante del genio del corpo d'armata motoco-
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razzata, ad iniziare i contatti per la resa di Roma o fu, invece, il capitano tedesco Hans Schacht a presentarsi verso le ore 17 ,30 del giorno 9 al comando della Cenlauro latore di un messaggio verbale del generale Student (7), comandante dell'XI corpo d'armata tedesco, al generale Calvi? La domanda ha avuto risposte diverse. Qualora fosse vera la versione del maresciallo Kesselring (questi attribuisce l'iniziativa dei contatti, fatta risalire alla mattina del giorno 9, al generale Calvi ed al colonnello Montezemolo, che avrebbero agito a1l'insaputa del generale Carboni) non troverebbe una spiegazione evidente l'arrivo del capitano Shacht verso le 17 ,30 del giorno 9 presso il comando della Centauro. Invitato a scrivere quanto aveva ordine di comunicare a voce, questi redasse il seguente appunto: « È noto il grande valore dell'eccelJenza Calvi, che in Tunisia, alla testa della sua divisione, si è comportato eroicamente. Il generale Student è convinto che i soldati della Centauro, comandati dal generale Calvi, se venissero a contatto con le truppe tedesche, le tratterebbero da nemiche secondo gli ordini, anche se ciò è contrario ai loro sentimenti. Sarà fatto il possibile per evitare il contatto con la ex divisione M fino a quando, tra poco, i tedeschi saranno padroni incontrastati di Roma. Il generale Student comunica al generale Calvi che, se sarà possibile evitare combattimenti con la divisione Centauro, i suoi componenti, in considerazione del loro stato d'animo, non saranno tratti prigionieri in Germania, ma rimandati liberi alle loro case con l'onore delle armi» (8). Che significato avrebbe potuto avere un messaggio del generale Student al generale Calvi, se questi avesse già preso intese dirette con il maresciallo Kesselring? Forse quello di indebolire l'intendimento di combattere del generale Carboni, dandogli ad intendere che i tedeschi erano disponibili a trattare? Può darsi. Resta il fatto che, indipendentemente che l'iniziativa sia stata dell'una o dell'altra parte, la resa di Roma fu sotto l'aspetto tecnicomilitare una decisione sbagliata. Il generale Carboni, messo a conoscenza del messaggio del generale Student, si dichiarò disposto a venire a patti con i tedeschi purché le condizioni fatte alla Centauro venissero estese a tutte le truppe. Incaricato della risposta fu il capo di stato maggiore della Centauro, tenente colonnello Leandro Giaccone, il quale partì per Frascati, sede del comando del maresciallo Kesselring, congiuntamente con il capitano Shacht. La riunione per le trattative, dovuta interrompere durante un'incursione aerea angloamericana, durò fino alle ore 2 della notte sul 10, fu presieduta dal maresciallo Kesselring - che al riguardo nulla scrisse nelle sue Memorie di guerra - e ad essa parteciparono i generali Westphal
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e Student ed altri ufficiali tedeschi. Vennero concordati: il riconoscimento di Roma città aperta, l'estensione a tutte le truppe poste agli ordini del generale Carboni delle condizioni fatte in un primo tempo solo a quelle della Centauro (impegno a non trarre in prigionia militari italiani dislocati a 50 Km a nord ed a sud di Roma), H mantenimento di Roma sotto l'esclusiva autorità italiana, il presidio della città affidato a tutte le forze di polizia esistenti in Roma e ad una divisione italiana priva di artiglierie. Il generale Carboni, al quale il tenente colonnello Giaccone riferì i risultati della trattativa, dopo aver sentito il suo capo di stato maggiore, colonnello Giorgio Salvi, ed altri ufficiali del suo comando, accettò quanto era stato convenuto durante Ja notte a Frascati e dispose la cessazione delle ostilità a cominciare dalle ore 7 antimeridiane del 10. Quando il tenente colonnello Giaccone, verso le 10 del mattino, tornò a Frascati, il generale Westphal gli presentò per la firma un testo di accordo con differenze sostanziali e formali numerose e notevoli rispetto a quanto era sLaLo convenuto poche ore prima, quali, ad esempio, l'affiancamento del comandante italiano della piazza di Roma da parte di un comandante tedesco, l'inserimento di pesanti valutazioni morali e politiche sulla condotta dell'Italia e sull'armistizio con gli anglo-americani, l'annacquamento del concetlo di città aperta. Il tenente c.:olonnello non si sentl autorizzato a firmare senza avere messo al corrente il generale Carboni, il quale rifiutò di assumersi in proprio le responsabilità di autorizzare la firma e rinviò il tenente colonnello Giaccone dal generale Sorice, ministro della guerra, perché questi assumesse la paternità politica dell'atto. Il generale Sorice volle che il tenente colonnello Giaccone sentisse il parere del maresciallo Caviglia (9) - la più alta autorità militare in quel momento presente in Roma - il quale non oppose obiezioni all'accettazione, aggiungendo che avrebbe dato egli stesso l'ordine esecutivo ma che non poteva farlo perché era ancora in attesa della risposta del re ad un suo telegramma con il quale gli aveva chiesto di essete investito di pieni poteri in assenza del generale Badoglio. Il tenente colonnello Giaccone, confortato dal parere favorevole del maresciallo Caviglia, tornò al ministero della guerra dove partecipò ad una riunione presieduta dal generale Sorice e a cui presero parte i generali Carboni e Calvi ed il colonnello Montezemolo. Tutti furono d'accordo sulla necessità di accettare l'ultimatum, giacché di questo si trattava, in quanto il generale Westphal aveva esplicitamente dichiarato al tenente colonnello Giaccone che il documento andava accettato o rifiutato così com'era e che, in caso di rifiuto, Roma, dopo le ore 16,
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sarebbe stata bombardata indiscriminatamente e le operazioni sarebbero proseguite fino all'annientamento delle forze italiane ed all'ingresso delle truppe tedesche in città dove sarebbero rimaste per diritto di conquista. Né il generale Sorice né il generale Carboni vollero apporre la loro firma al documento e furono ben lieti che il tenente colonnello Giaccone si dichiarasse pronto a farlo, naturalmente su parere concorde dei due generali, con l'intenzione da parte dei due di scaricare da loro ogni responsabilità diretta. « Mancava poco alle quattro del pomeriggio quando partii per Frascati; era la quinta volta che nelJe ultime ventiquattro ore attraversavo le linee di combattimento. Ora dovevo fare la gara con il tempo: passai tra le sparatorie a velocità sostenuta, senza fermare la macchina su cui era issato un drappo bianco, e per fortuna le pallottole che vagavano nell'aria furono giudiziose. Non incontrai nessuna interruzione stradale fino allo sbarramento sotto il comando di Kesselring, dove non mi fecero perdere tempo, ormai mi conoscevano a vista. Portavo l'accordo firmato, il grafico con i limiti territoriali della città aperta, ed il nome del suo comandante (generale Calvi); ma l'ultimatum era già scaduto, e mi dissero subito che una grossa formazione da bombardamento aveva ormai decollato da Viterbo e si stava dirigendo verso Roma ... Salimmo di corsa nell'ufficio del capo di stato maggiore. Il generale Westphal controllò la mia firma sul documento originale che mi aveva consegnato H mattino, e ordinò di comunicare immediatamente per radio, al comandante della formazione in volo, che la missione era annullata ... » (10). I tedeschi, prima con le lusinghe e poi con le minacce, avevano ottenuto quanto desideravano e la sera stessa facevano partire per Salerno un primo scaglione della Y panzergrenadiere. Molte furono le personalità che intervennero a favore dell'accettazione dell'ultimatum, mosse soprattutto dalla volontà di salvaguardare l'incolumità di Roma e dei suoi abitanti; questo stesso motivo, a suo dire, avrebbe spinto il tenente colonnelJo Giaccone ad offrirsi ai generali Sorice e Carboni quale firmatario, su ordine, dell'accettazione del testo presentato dal comando del maresciallo Kesselring. Esulano dagli scopi della seguente trattazione sia la narrazione particolareggiata degli interventi delle varie personalità non investite di incarichi militari sia il giudizio sulla validità degli interventi stessi, peraltro sollecitati dai generali Sorice e Carboni. Qui interessa stabilire soprattutto che la resa non fu una scelta obbligata, anzi doverosa, come sostenne successivamente il tenente colonnello Giaccone, che, a suo dite, si sarebbe macchiato di << un delitto infame » qualora avesse salvato la
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sua carriera « al prezzo della vita che migliaia di creature umane erano sul punto di perdere inutilmente» (11). Il generale Carboni aveva ricevuto alle 5,15 del mattino del giorno 9 l'ordine di far ripiegare ordinatamente ed a scaglioni su Tivoli le truppe impegnate nella difesa interna ed esterna di Roma e non di rompere le righe. Qualora egli avesse ottemperato all'ordine, i tedeschi non avrebbero avut0 più motivo di bombardare la città, mentre non avrebbero guadagnato granché dalla incruenta occupazione della città stessa qualora il generale Carboni avesse continuato ad esercitare da Tivoli e dintorni il controllo tattico del fascio di comunicazioni adducenti al sud . I tedeschi in tale caso avrebbero potuto essere indotti a ritirarsi dall'Italia meridionale od a sferrare un attacco in forze, di difficile esecuzione, contro le alture di Tivoli; in ogni caso non avrebbero potuto trasferire a Salerno l'intera 3• panzergrenadiere che fra il 13 ed il 14 settembre poté partecipare ai combattimenti che si svolsero in quella località. D'altra parte, perché il generale Carboni in un primo momento dispose la sospensione delle ostilità dalle 7 antimeri diane del 10, poi ordinò l'azione controffensiva del corpo d'armata motocorazzato contro la 2a paracadutisti e, infine, decise di sospendere tale azione quando vi etano prospettive di successo? I generali Sorice e Carboni non si sarebbero palleggiati le responsabilità della accettazione dell'ultimatum se fossero stati in coscien:r.a convinti della ineluttabilità della resa e della rispondenza di tale atto agli intendimenti del Comando Supremo e dello stato maggiore dell'esercito. Il generale Carboni rinunziò all'alternativa di una manovra indiretta per la difesa di Roma, da lui stesso ideata ed avviata, che, nonostante la scarsezza dei mezzi, dei carburanti e del munizionamento controcarro, avrebbe quanto meno prolungato nel tempo la resistenza . Non si può non convenire dunque su di un punto, e cioè che la resa di Roma giovò solo ai tedeschi, i quali, oltretutto, ben presto violarono le condizioni da loro stessi espresse nell'ultimatum. Nei quindici giorni successivi, infatti, i tedeschi disarmarono tutte le forze italiane, comprese le unità della Piave lasciate a protezione dell'ordine pubblico, sciolsero il comando della città aperta, stabilirono a Roma un comando tedesco, trasformarono la città aperta in città di retrovie della loro fronte, iniziarono persecuzioni e vendette con l'appoggio zelante dei fascisti. Un comando organiLzato ed unitario ed un comandante capace, competente, deciso avrebbero potuto imprimere un ben diverso andamento alle operazioni per la difesa di Roma. Esistono tuttora molte incertezze sulla veridicità di taluni fatti narrati dai protagonisti della resa, tutti più o meno interessati direttamente
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a giustificare il proprio operato. Neppure gli atti della commissione d'inchiesta e la senetnza del tribunale militare di Roma del 19 febbraio 1949 offrono risposte complete e soddisfacenti, mentre mettono a nudo lacune e manchevolezze rimaste senza ] 'indicazione dei responsabili.
2. La 4a armata (12), comandata dal generale Mario Vercellino (13),
fu colta dall'annuncio dell'armistizio mentre si trovava in piena crisi di trasferimento. Durante il convegno di Casalecchio del 15 agosto era stato infatti raggiunto con i tedeschi l'accordo per il ritiro della 4a armata dalla Francia, dove sarebbe dovuto rimanere, nel Nizzardo,
solo il comando del I corpo d'armata con le divisioni costiere 22Y e 224a. Le forze italiane dovevano venire sostituite da unità tedesche che dipendevano dal comando della 15a armata (14). I movimenti di rimpatrio avevano avuto inizio il 25 agosto e, una volta ultimati, l'armata avrebbe dovuto dislocarsi con il comando ad Asti, con il comando del XXII corpo e con la divisione T aro nella zona di Alessandria, con il comando del XV corpo e con la divisione costiera 201" lungo il litorale ligure, con la divisione alpina Pusteria (meno un battaglione del 7° alpini dislocato ad Asti) neUa zona di Torino e successivamente in quella di Cuneo, con la 2a divisione celere nella zona di Torino e con l'intendenza nella zona Cuneo-Mondovì. La consistenza dell'armata era venuta gradatamente riducendosi - la divisione Lupi di Toscana si era già in gran parte trasferita nel Lazio, la divisione alpina Alpi Graie a La Spezia, la divisione di fanteria Rovigo a La Spezia, la divisione di fanteria Legnano a Bologna da dove avrebbe dovuto proseguire per le Puglie - e raggiungeva poco più di 100 mila uomini, dei quali circa 60 mila combattenti, sparsi tra la Francia e la Liguria. La notizia dell'armistizio giunse improvvisa. La sera del 3 settembre il comando dell'armata aveva ricevuto la memoria 44 con la quale lo stato maggiore dell'esercito aveva prescritto che in caso di aggressione germanica: la Pusteria e la Taro si raccogliessero nelle valli Roja e Vermenagna, fronte ad ovest, per interrompere le vie di comunicazione della Cornice; il XX raggruppamento sciatori si dislocasse sui colli del Moncenisio e del Monginevro ed a Bardonecchia p er sbarrare i valichi omonimi e per interrompere la ferrovia del Fréjus; le altre forze agissero, specie 5ui fianchi , contro truppe germaniche in movimento od in sosta.
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DISLOCAZIONE TAUP.PE ITALIANE E CERMANICHE
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Subito dopo l'annuncio dell'armistizio il comandante dell'armata sollecitò il concentramento delle unità nella zona dj Cuneo-MondovlAsti, secondo il piano predisposto all'atto della ricezione della memoria 44, e l'effettuazione dei movimenti verso il Varo da svolgere con le unità riunite in grossi nuclei per meglio poter reagire alle eventuali aggressioni de1le truppe germaniche. Queste occuparono subito i ponti della rotabile costiera, svilupparono colpi di mano sui posti di blocco, coprirono gli sbocchi delle valli con l'intento dj aggirare le forze italiane in ripiegamento, riuscirono , in breve, a paralizzare comandi e reparti . L'ordine di non attaccare se non attaccati favorì in misura determinante l'azione tedesca che riuscì a sopraffare molte delle unità in trasferimento, a disgregare quelle dislocate in Liguria, ad incapsulare l'intero XV corpo d'armata, a bloccare le centrali foniche e telegrafiche, tanto che dopo la mezzanotte del giorno 8 vennero a mancare i collegamenti del comando dell'armata con il I e poi con il XV corpo d'armata. Al mattino del 9 « le truppe italiane nel settore oltre Varo erano state sopraffatte; quelle del settore ligure - da La Spezia a Savona - erano in disgregazione. Il blocco di forze tedesco di Genova-Savona (da oriente) e quello di Tolone-Cannes (da occidente) erano in movimento lungo il litorale per congiungersi nella zona centrale di Mentone-Sospello, dove si trovava il comando dell'Armata» (15). Sulla base delle notizie che segnalavano in movimento da Acqui verso Alessandria ed Alba-Bra forze motorizzate tedesche, il comando dell'armata decise di costituire un ridotto dilensivo nella valle della Dora Riparia facendovi affluire 1'11° alpini, di difendere i colli del Moncenisio e del Monginevro con i teparti della guardia alla frontiera e di concordare con il comando della difesa territoriale di Torino l'impiego della 2a divisione celere a difesa deJla città. Il piano non poté essete attuato perché nel frattempo 1'11° alpini era stato sopraffatto. Il comando dell'armata decise allora di costituire un ridotto dilensivo nella zona di Cuneo appoggiando lo schieramento alle valli dell:! Varaita e della Maira e richiamando da Torino la 2a celere per interdire ai tedeschi gli accessi alla pianura di Cuneo. Anche tale soluzione venne sopravanzata dagli avvenimenti giacché, nel pomeriggio del 1 O, verso le ore 16, forze motorizzate germaniche entrarono incontrastate nei sobborghi di Torino. Il comando della difesa territoriale, che aveva giurisdizione su tutto il Piemonte e su una parte della Liguria, disponeva delle forze della guardia alla frontiera poste a presidio delle opere sul confine con la Francia, delle truppe ai àepositi dotate di solo armamento individuale e prive di addestramento e di coesione,
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e del reggimento di fanteria 228° Rovigo con un gruppo di artiglieria. Aveva anche alle dipendenze pochi elementi della scuola di applicazione di cavalleria di Pinerolo ed un gruppo autoblindo San Giorgio a Vigone (Torino). Della 2" divisione celere, che il comando della 4" armata il giorno 10 richiamò a Cuneo, rimase a Torino per servizio di ordine pubblico un solo reggimento. Schierata il mattino del 9 a stretto raggio della città (a sud-sudovest) per opporsi ai tedeschi, all'alba del 1O la divisione dové iniziare a trasferirsi nella zona di Dronero-Casaglia. Il comandante della difesa territoriale generale Enrico Adami Rossi, che successivamente aderirà alla repubblica sociale di Mussolini, valutò di non avere il minimo di forze sufficienti per un tentativo di opposizione armata ai tedeschi che avanzavano dovunque e decise di prendere contatto con i comandi tedeschi perché ritardassero l'occupazione di Torino fino al giorno 11, mentre nel frattempo, come da controrichiesta tedesca, le unità italiane avrebbero deposto le armi nei magazzini che sarebbero poi stati consegnati ai tedeschi una volta entrati in città. Così fu fatto e la sera dell'll i tedeschi entrarono in Torino senza colpo ferire il comandante della difesa territoriale non aveva ritenuto di aderire alla richiesta di una commissione di operai per la cessione di armi alla popolazione nell'intento di concorrere alla resistenza contro i tedeschi - e occuparono nella stessa giornata, senza quasi incontrare resistenza, Alessandria, Asti , Alba, Bra, Vercelli. Unica unità di sicuro affidamento ancora efficiente era il 7° reggimento alpini schierato nella zona di Tenda. In tale situazione, che concedeva l'alternativa di trasferire il poco che restava dell'armata nella zona di Tenda per un'ultima resistenza unitamente al 7° alpini o di sciogliere l'armata per evitare il disarmo, la cattura e l'internamento in Germania delle forze superstiti, il comandante dell'armata optò per la seconda soluzione e la notte sul 12 diramò l'ordine di scioglimento insieme ad un proclama nel quale era detto che la 4a armata aveva sempre adempiuto al suo dovere, che la continuazione della lotta, senza speranza di concorsi esterni, avrebbe significato un'inutile strage che si sarebbe estesa alla popolazione civile e che, conseguentemente, con la coscienza di aver fatto quanto possibile, ognuno sarebbe stato libero, da quel momento, dal servizio. « Il dramma vissuto dalle unità dell'Armata si concluse con la cattura e l'internamento in Germania della maggior parte delle sue forze. Tuttavia molti reparti ed elementi isolati riuscirono a darsi alla montagna e ad organizzare vari nuclei per la resistenza partigiana » (16). Sorpresa dall'annuncio dell'armistizio , del quale non aveva avuto
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nessun preavviso, in piena crisi di trasferimento, rotti per esigenze logistiche i nessi divisionali, con le unità frazionate e disseminate su di una zona molto vasta e compartimentata, la 4" armata aveva il destino segnato fin dalla sera dell'8 settembre; un destino immeritato perché il morale ed il grado di addestramento delle unità erano in complesso molto buoni. In una situazione così drammatica, resa insostenibile dalla grande mobilità e potenza dei mezzi blindo-corazzati de11e unità germaniche, non mancarono tuttavia tentativi di resistenza organizzata per opporsi al dilagare delle forze tedesche ed alle intimazioni di disarmo e di resa. Fra i più salienti furono: la difesa di Gap da parte delle unità dell' 11° alpini della Pusteria che, attaccato dalla sera del giorno 8, protrasse la sua resistenza fin alle ore 9 del giorno 9, rifiutando per tre volte la resa ; quella di altre unità deIla Pusteria a Grenoble, a Chambery ed al Moncenisio, dove attaccarono forLe tedesche in transito infliggendo loro notevoli perdite (Grenoble), forzarono un posto di blocco (Chambery) e respinsero dopo due ore di combattimento un attacco in forze (Moncenisio); la difesa della stazione ferroviaria di Nizza; la difesa del caposaldo del Fréjus da par te di elementi dell'VIII settore guardia alla frontiera; lo scontro di Ormea dalle 18 a11e 22,30 del giorno 10 sostenuto vittoriosamente dalle truppe al deposito del 90° reggimento fanteria, da reparti della milizia contraerei, dal reggimento Cavalleggeri Guide appiedato , da nuclei dei carabinieri, da elementi del comando del XV corpo, del 131° reggimento costiero e del 1° reggimento artiglieria contraerei; la difesa della zona del colle di T enda, dove fu raggiunta una buona organizzazione, mediante lo schieramento del 7° alpini e di altre forze ritiratesi dalla Francia, per la resistenza ad oltranza che non ebbe luogo stante il sopraggiunto ordine di scioglimento dell'armata; gli scontri della 2" celere nel pomeriggio del giorno 1O presso Saluzzo e Savigliano. Non mancarono inoltre episodi di valore, atti di resistenza e scontri di minore rilievo a Ventimiglia da parte del 7° alpini, ad Alessandria da parte delle forze di quel presidio, sul ponte del Po a Valenza ad opera del 2° reggimento artiglieria e di un nucleo controcarri, nella zona di Albenga ed al ponte di Nava da parte di elementi della guardia alla frontieria e del XV corpo (201 " divisione costiera), alla galleria rotabile del colle di Tenda da parte della 201 a divisione costiera, ad Annccy in Savoia ad opera di reparti della Pusteria, a Cuneo, a Boves ed a Tortona ad opera di forze del I corpo. Furono, nel loro insieme, episodi di breve durata e quasi irrilevanti sul piano tattico, ma di enorme importanza dal punto di vista psicologico e della futura lotta di resistenza: uniti al rifiuto
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della quasi totalità degli ufficiali e dei soldati di proseguire la guerra al fianco dei tedeschi, furono la conferma della volontà degli italiani di risorgere dal disastro dalla disfatta.
3. La Y armata (17), comandata dal generale Mario Caracciolo di Feroleto (18), alle dipendenze del comando gruppo armate sud, aveva subìto prima dell'8 settembre numerose e successive trasformazioni; ne erano state ridotte gradualmente sia la consistenza, inizialmente rappresentata da circa 30 divisioni o unità similari, sia la giurisdizione territoriale, che comprendeva originariamente quasi tutta l'Italia centrale, incluso il Lazio e le isole di Sardegna e di Corsica, e che era stata successivamente limitata alla Toscana, alla piazza militate marittima di La Spezia e alla zona milhare di Pescara. La Sardegna e la Corsica erano passate alle dirette dipendenze dello stato maggiore dell'esercito il 16 luglio, ed il Lazio era stato sottratto alla Y armata il 5 settembre nell'ambito delle predisposizioni per la di fesa di Roma, mentre la difesa del &onte a terra della piazza marittima di La Spezia le era stata assegnata il 26 agosto. Nel territorio dell'armata, dopo il 25 luglio, i tedeschi avevano dislocato forze e presidi un po' dovunque (19), violando gli accordi che stabilivano che essi avrebbero dovuto restare fuori del triangolo ]imitato dai passi del Bracco e de11a Cisa e dalla città di Viareggio e che in questa zona si sarebbero dovute dislocare solamente forze italiane del XVI corpo (divisione di fanteria Rovigo, divisione alpina Alpi Graie e unità del presidio di La Spezia). I tedeschi si erano insediali a Sarzana, a sud del passo della Cisa, nell'alta valle Magra, a sud del passo del Bracco, in varie città della Toscana e presso aeroporti e stazioni ferroviarie interponendosi fra le unità italiane del XVI corpo. I compiti della Y armata erano la difesa della piazza militare marittima di La Spezia e quella delle fasce costiere tirrenica e adriatica contro eventuali sbarchi anglo-americani. « Inadeguate a tali compiti le forze residue dell'Armata, limitate a sole cinque divisioni delle quali due costiere, in molto modeste condizioni di efficienza operativa ; alcune incomplete e ad organici ridotti, con scarso inquadramento, con notevoli deficienze nel campo dell'armamento e dei mezzi e non adeguatamente addestrate» (20). 11 5 settembre il comandante deJJ'armata era stato convocato
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telefonicamente a Monterotondo per prendere visione della memoria 44. In quella occasione non aveva mancato di esporre la gravità della situazione che si era venuta determinando nel suo territorio, non avendo potuto impedire ai tedeschi di dilagare oltre i limiti fissati dagli accordi. La Spezia, Pistoia, Prato e i punti più importanti del litorale toscano erano stati occupati dalle truppe tedesche, o stavano per esserlo, e questo comprometteva « a priori » ogni possibilità di una difesa coordinata nel quadro di un piano unitario dell'armata. Alle ore O dell'8 settembre la Y armata cessò dalla dipendenza del comando gruppo armate sud e passò alle dipendenze dirette dello stato maggiore dell'esercito. Anche al comando della 5" armata l'annuncio dell'armistizio giunse inaspettato. Il comandante diede ordine alle unità dipendenti di rafforzare le misure di sicurezza e di tenersi pronte a fronteggiare ogni evenienza, evitando comunque incidenti e limitando il passaggio per La Spezia solo alle unità tedesche (305" divisione da montagna) già autorizzate al transito (21). Il mattino del 9 il comando di armata ordinò di raccogliere per battaglioni i reparti costieri, di non compiere atti ostili contro le forze tedesche, di non ostacolare eventuali sbarchi anglo-americani. Alle 8 dello stesso giorno il comando del XVI corpo comunicò al comando dell'armata l'indisturbata partenza della flotta italiana da La Spezia, l'avvenuto passaggio senza incidenti della 305a divisione tedesca, l'inutilizzazione dei natanti inefficienti e l'avvicinamento a La Spezia della 65" divisione del corpo corazzato proveniente dal passo della Cisa e della divisione SS Hitler, dello stesso corpo, proveniente dal passo del Cerreto. Il comandante dell'armata ordinò che la divisione Alpi Graie si opponesse con la forza alla prosecuzione del movimento verso sud delle due grandi unità tedesche . Qualche tempo dopo, il collegamento telefonico tra l'armata ed il XVI corpo venne definitivamente interrotto. Giunsero frattanto al comando dell'armata notizie circa l'attraversamento della città di Viterbo da parte della Y panzergrenadiere diretta a Roma, gli scontri in corso a Piombino ed a Livorno tra le forze tedesche ed alcune unità del II corpo, il disarmo di unità e di militari isolati e l'occupazione della stazione ferroviaria di Chiusi, la minaccia su Orvieto di reparti tedeschi che si accingevano ad entrare in città, l'occupazione a Firenze di alcune località presidiate da aliquote delle forze della difesa territoriale, il vacillamento della difesa del passo della Futa, abbisognevole di essere urgentemente rinforzata. Il comandante dell'armata, privo di possibilità di interveto, si limitò ad ordinare l'occupazione a difesa del predisposto fronte a terra di Li-
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vorno, la rioccupazione della stazione di Chiusi, la resistenza ad oltranza ad Orvieto, il mantenimento ad ogni costo del passo della Futa con le sole forze del posto. A sera, il comandante dell'armata, tagliato fuori da ogni collegamento, decise di trasferirsi da Orte, sede del comando operativo, a Firenze. Mentre si accingeva a partire, unità tedesche si avvicinarono con inganno ad una compagnia posta a difesa del ponte sul Tevere e la disarmarono, tentando di impadronirsi di alcuni automezzi del quartier generale dell'armata in procinto di muoversi verso Firenze. La pronta reazione, subito ordinata personalmente dal comandante dell'armata, ebbe ragione dei tedeschi che dovettero ritirarsi con perdite. Il comando dell'armata giunse a Firenze nella mattinata del 10 e quivi apprese della partenza da Roma di tutte Je autorità centrali. Nelle prime ore del pomeriggio, informato che forze tedesche si avvicinavano a Firenze da due direzioni una colonna motorizzata lungo l'autostrada di Lucca, un'altra, corazzata, dalla Futa - il comandante dell'armata ordinò di difendere la città con tutte le forze disponibili, di fronteggiare la colonna della Futa con le poche forze mobili ancora esistenti e di raccogliere a Firenze tutte le residue unità del II corpo. Il passo della Futa, attaccato fin daJla mattina del 9, cadde la notte sull'l l. ll mattino dello stesso giorno venne occupata Firenze. Della Y armata restavano solo poche unità isolate in corso di dissoluzione. Rimasto solo con il personale del comando tattico nella città occupata dai tedeschi, il comandante dell'arma sciolse il comando e ordinò che gli ufficiali si rendessero reperibili per un eventuale impiego. In tutti e tre i settori - XVI e II corpo d'armata e zona militare di Pescara - nei quali era ripartita la zona di giurisdizione dell'armata si svolsero fatti d'arrne di rilievo, ma episodici ed a sé stanti: atti di fede, di buona volontà e di dezione al dovere, ma privi di unitarietà anche al livello divisionale e perciò destinati ad essere travolti in breve tempo. Alla sera dell'8 settembre la capacità di reazione del XVI corpo era compromessa per il fatto che le forze erano virtualmente circondate da 3 divisioni tedesche che cominciavano a convergere su La Spezia. Da qui nel corso della notte riuscì a partire la squadra navale da battaglia, ma, al mattino, i tedeschi irruppero nella sede del comando del XVI corpo, catturarono il comandante e tutto il personale e, penetrando in città, occuparono ]'arsenale, il porto, gli edifici pubblici, le caserme e disarmarono l'intero presidio. La divisione Rovigo - che nei giorni precedenti l'armistizio aveva dovuto mutare tre volte il suo schieramento in seguito ai successivi arretramenti causati dall'ulteriore riduzione
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degli spazi disponibili, venne sorpresa che era ancora in crisi di spostamento. I tedeschi riuscirono a bloccare il transito sul ponte di S. Margherita e ad intercettare talune delle unità in movimento; la mattina del 9 circondarono il comando della divisione, catturarono il comandante e in breve tempo riuscirono a sopraffare tutte le unità venute a trovarsi incapsulate o frammischiate alle unità tedesche. Anche le unità della divisione Alpi Graie, la mattina del 9, si trovarono isolate e accerchiate, prive di collegamento e in crisi di movimento. Dislocate in una zona ampia 30 Km e profonda 40, la divisione fu facile preda dei tedeschi che subito minacciarono da tergo il comando e le unità schierate sulla fronte a terra. Verso le 11 del mattino si verificò un primo scontro contro truppe corazzate tedesche presentatesi al ponte di Romito, sul Magra, per chiedere il disarmo del presidio italiano. Alla sera del 9: il comando della divisione e due battaglioni erano praticamente accerchiati; un battaglione era isolato neJla zona a sud della rotabile Ponte RomitoLa Spezia e resisteva nella zona collinosa tra il corso del Magra ed il mare; gli elementi dislocati oltre il limite della piazza marittima erano anch'essi frazionati ed isolati su vasta zona ed erano privi di collegamento con il comando della divisione; un battaglione si batteva a Massa Carrara. La notte sul 10 gli scontri si intensificarono, ma alla mattina la situa'.lione precipitò: alcune unità vennero catturate e disarmate, altre si dissolsero, mentre le forze tedesche serravano sempre più da vicino Vezzano; dopo l'occupazione di questa località si ebbero ancora sporadiche resistenze da parte di unità circondate. Alla sera del 10 il XVI corpo e le due divisioni che lo costituivano erano stati già interamente sopraffatti. Le grandi unità del II corpo d'armata - 21Y e 216a divisioni costiere e divisione di fanteria Ravenna - non ebbero sorte granché diversa da quella delle grandi unità del XVI, e la loro resistenza, eccezione fatta per l'isola dell'Elba, non durò oltre la giornata dell'll. Già la sera di tale giorno il comando del II corpo cadde praticamente sotto il controllo tedesco. La Ravenna, che aveva il compito di intercettare le rotabili che dalla valle dell'Orda risalgono verso Siena, il mattino del 9 impegnò unità del 3 7° fanteria per rioccupare la stazione di Chiusi ed il pomeriggio del 10 unità del 38° fanteria per eliminare le resistenze tedesche a Radicofani, Abbadia San Salvatore e Pian Castagnaio. La divisione compì una successiva operazione il giorno 11 per sbloccare l'accesso alla stazione di Chiusi da Montepulciano. In tutte queste operazioni gli scontri a fuoco ebbero esito favorevole alle unità della divisione, ma dai ritorni in forze dei tedeschi deri-
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varono la perdita di Abbadia San Salvatore e della stazione di amplificazione telefonica ivi esistente, ed il peggioramento generale della situazione. Il comandante della divisione, nel pomeriggio del 10, propose al comandante del corpo d'armata la raccolta di tutte le forze disponibili nella zona di Buon Convento-Asciano-Taverne d'Arbia per fronteggiare una prevedibile azione su Siena. La proposta venne accolta ed i movimenti avrebbero dovuto essere ultimati entro il 12. Ma frattanto a Siena, sede del comando del corpo d'armata, gli avvenimenti erano precipitati ed il mattino del giorno 13 il comandante della Ravenna fu convocato in dttà dal comandante del corpo d'armata, la cui sede di comando era già stata occupata dai tedeschi, e gli fu ordinato di cedere le armi per evitare gravi rappresaglie. In quel momento le unità, già frazionate e impegnate in vari scontri locali, si erano praticamente dissolte. Anche la 215a divisione costiera, per effetto dell'eccessivo frazionamento su 160 Km di fronte , pur avendo tentato di raccogliere le proprie forze, venne ben presto isolata e 1'11 settembre venne sciolta per ordine del comando del II corpo per evitare la cattura di tutti i suoi uomini. La sede del comando a Massa Marittima fu occupata dai tedeschi il giorno 11 ed il personale del comando venne catturato il mattino del 13. La 216a divisione costiera, schierata sul litorale tirrenico lungo una fronte di 80 Km, la notte sul 9 ingaggiò combattimento in Livorno, il cui presidio era stato adeguatamente rinforzato. Un gruppo di artiglieria avviato a sostegno della difesa dell'abitato e del porto d i Livorno, fermato da forze tedesche annidate in una pineta, lottò fino a quando una parte dei componenti poté ripiegare in ordine senza essere inseguita. Dopo vari combattimenti e scontri nell'interno della città, susseguitisi fino al tardo pomeriggio del 10, Livorno cadde nelle mani di forze blindate tedesche. L'ordine impartito la sera del 10 a tutte le unità superstiti della divisione di resistere ovunque fino all'estremo venne superato da quello del comandante del corpo d'armata che il mattino dell'll ordinò al comando della divisione di trattare con i tedeschi. Di particolare rilievo furono le resistenze opposte ai tedeschi dalle unità della 21Y costiera a Piombino ed all'isola d'Elba: la prima durò dalla notte sul 10 al tardo mattino dell'll, quando il presidio, battutosi fino ad allora con successo, ricevé l'ordine di cessare il combattimento; la seconda si protrasse fino al mattino del giorno 17, quando un battaglione di paracadutisti tedesco occupò l'isola, che cedette di fronte alle rappresaglie. Nella zona militare di Pescara vi furono azioni isolate in varie località: il 12 settembre a Pescara ed a Teramo, dove una colonna tedesca in
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transito venne attaccata da militari e dagli abitanti della città e dove, per la difesa dell'abitato, soldati sbandati di varie unità, elementi del deposito del 49° artiglieria, numerosi civili ed ex prigionieri di guerra costituirono una banda di circa 300 uomini ed attaccarono il 25 settembre forze tedesce che riportarono gravi perdite. Il giorno dopo, ricevuti rinforzi, i tedeschi poterono avere il sopravvento. Ad Ascoli Piceno il 12 settembre le truppe al deposito del 49° fanteria costrinsero, unitamente ad elementi delle unità costiere, i tedeschi a ritirarsi, e solo il 4 ottobre, dopo accaniti combattimenti svoltisi specialmente presso il colle di S. Marco ai quali parteciparono anche molti cittadini, i tedeschi riuscirono ad occupare la città. La gran parte delle azioni italiane furono di carattere difensivo, ma non mancarono anche que11e offensive; le une e le altre vennero spesso sospese e cessarono per le intese e gli accordi intercorsi tra i comandi di corpo d'armata, di divisione, di piazza e di presidio italiani e i comandi tedeschi di occupazione. L'armata avrebbe meritato una sortt: diversa solo che non fosse stata mantenuta legata fino all'ultimo momento a troppe ipotesi d'impiego: per difendere tutto non vennero adeguatamente protetti i passi appenninici, e perciò fu facile ai tedeschi acquisire il dominio tattico dell'intera regione. Per troppo tempo il Comando Supremo t: lo stato maggiore dell'esercito erano rimasti sordi agli appelli del comandante dell'armata perché s'impedisse ai tedeschi, con il ricorso alla forza, di debordare dal crinale appenninico verso sud, e perché si inibisse il collegamento tattico, logistico e materiale tra le forze del maresciallo Rommel ancora a nord della catena montana e quelle gradatamente lasciate passare a sud. Le azioni organizzate con reparti arditi per disturbare le retrovie della 3• panzergrenadiere nella Toscana meridionale caddero purtroppo nel vuoto perché vennero attuate troppo tardi, quando la divisione, superata pacificamente Viterbo, era già giunta o quasi alle porte di Roma. L'ordine del comando dell'armata delle ore 23 dell'8 settembre di consentire il passaggio per La Spezia alle unità tedesche, il cui transito era già stato autorizzato (305a divisione) ed il mancato contrasto a Viterbo dell'avanzata della 3a panzergrenadiere complicarono la già difficile situazione delle forze dell'armata a difesa del settore tirrenico. Il ritardo dell'arrivo a Roma della 3a panzergranadiere avrebbe potuto modificare sostanzialmente il risultato dei combattimenti condotti nel settore settentrionale della difesa della capitale. La sottrazione del Lazio alla responsabilità della Y armata, determinata dallo stato maggiore dell'esercito il 5 settembre, fu un provvedimento operativamente molto
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discutibile e comunque tardivo, che si risolse a danno della stessa difesa di Roma, il cui avancorpo di sicurezza da un'aggressione da nord era appunto costituito dall'alto Lazio: Civitavecchia, Viterbo, Orte, del quale, in pratica, finirono per non occuparsi né la 5n armata, tutta presa dalla difesa di La Spezia, Siena e Firenze, né la difesa di Roma, preoccupata soprattutto della protezione a breve raggio dell'agglomerato urbano.
4. L'8a armata (22) comandata dal generale Italo Gariboldi (23) armata « che aveva più carattere e attribuzioni di un grosso comando territoriale che non quelli di grande unità operativa }> - estendeva la sua giurisdizione operativa ai confini con la Germania e la Jugoslavia, dallo Stelvio (incluso) a Fiume (esclusa); il limite meridionale giungeva fino al corso del Po, quello occidentale al territorio di competenza del comando difesa territoriale di Milano. La piazza militare marittima di Venezia avrebbe dovuto passare alle dipendenze dell'armata entro il mese di settembre. A sud del Po la competenza della difesa apparteneva al comando difesa territoriale di Bologna che aveva giurisdizione su tutta l'Emilia, ad eccezione della provincia di Piacenza, dipendente dal comando difesa territoriale di Milano. L'8a armata aveva i compiti di ricostituire le grandi unità reduci dalla Russia, di ripristinare e mettere in efficienza le sistemazioni difensive del confine orientale, di condurne la lotta contro i partigiani sloveni, di garantire la sicurezza delle comunicazioni e degli impianti, di difendere il territorio di giurisdizione. Dopo il 25 luglio ricevé istruzioni orientative circa la necessità di reagire e opporsi con la forza ad ogni tentativo dei tedeschi di impossessarsi dei punti vitali, ricorrendo per il controllo e la vigilanza anche alle forze impiegate nella difesa costiera, dovendo qualsiasi altro compito operativo essere subordinato all'assoluta necessità di opporsi ad ogni aggressione (24). Il 1O agosto ricevé l'ordine 111 C.T. dello stato maggiore dell'esercito ed il 2 settembre la memoria 44. Questa prescriveva, come compiti specifici, di: « tagliare le comunicazioni tra la Germania e l'Alto Adige, agire contro le forze germaniche in movimento o in sosta nel Trentino e in Alto Adige, interrompere, in sostegno alla 2a armata, le comunicazioni da Tarvisio al mare }>. In relazione a tali orientamenti, il comando dell'armata predispose e ordinò l'elaborazione
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di un piano K da applicare su ordine. L'armata non disponeva di una riserva e le sue forze, come quelle della 4a e della Y, erano disseminate in numerosi distaccamenti per la protezione delle comunicazioni e degli impianti, per la lotta antipartigiana e per i servizi presidiari. La notizia dell'armistizio pervenne al comando nel pomerggio dell'8 settembre e colse le unità nelle peggiori condizioni per sostenere un'aggressione tedesca, che si sarebbe avvalsa delle ingenti forze penetrate in Italia dal 25 luglio ed affiancatesi a quelle italiane nel compito della protezione delle linee di comunicazione in Alto Adige, nel Trentino e successivamente anche nella Venezia Giulia (25). In quest'ultima regione già dall'agosto alcune unità dell'8~ armata erano riuscite a frenare e ad arrestare la penetrazione germanica opponendosi decisamente ad essa a Tarvisio, Tolmino, Caporetto e Gorizia. Dalla sera dell'8 settembre la resistenza ai tedeschi si realizzò, come altrove, senza un carattere unitario, ma attraverso la difesa locale, ad opera di molti presidi, di caserme, valichi, opere ed impianti. Il XXXV corpo d'armata - divisioni alpine Cuneense e Tridentina ed altre unità varie - la cui giurisdizione andava dal confine alpino al Po, alla sera del 9 settembre era già praticamente dissolto come grande unità, benché restassero ancora attive alcune resistenze locali. La notte sul 9: a Bolzano vennero catturati il comandante e l'intero comando del corpo d'armata; a Merano, dopo vari scontri, la caserma del comando del XIII settore guardia alla frontiera venne circondata e dové arrendersi; a Colle Isarco ed a Fortezza i reggimenti alpini della Tridentina, come pure il comando della divisione a Bressanone, dopo brevi resistenze cadettero, e solo alcuni elementi riuscirono, benché braccati dalla popolazione allogena, a raggiungere Longarone, il Sarentino e la valle di Non, dove successivamente costituirono i primi nuclei della lotta di resistenza; l'intera divisione Cuneense, arrivata a Bolzano, fu fermata su ordine di un ufficiale del corpo d'armata affiancato da un ufficiale tedesco. Dopo aver ottenuto il libero passaggio per la Mendola, quivi giunta con parte delle sue forze, trovò tutti gli accessi ai passi bloccati dai tedeschi e fu posta nell'alternativa di combattere con i tedeschi o di capitolare, mentre l'aliquota maggiore, attaccata nel frattempo dai tedeschi, nonostante i tentativi di resistenza era stata già sopraffatta. In sintesi, la Cuneense e la Tridentina, il XIII settore della guardia alla frontiera, le altre unità del XXXV corpo, come pure i presidi di Trento, Rovereto, Verona e Mantova, nonché i distaccamenti dei prati di Gufra, Resia, pian dei Morti, Vipiteno, Colle Isarco, Fortezza, monte
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Elmo, Mendala, Appiano, Cardano, valle Isarco, Ora ed altri reagirono con minore o maggiore prontezza e decisione alla fulmineità degli attacchi tedeschi, ma questi ebbero il sopravvento quasi dovunque in breve tempo. Anche nel settore del XXIV corpo - divisione di fanteria Torino, divisione alpina Julia, guardia alla frontiera, altre unità varie - lo sviluppo delle resistenze locali ebbe andamento analogo a quello delle azioni svolte nell'ambito del XXXV corpo, mentre le manovre difensive della Julia e della Torino per sbarrare ai tedeschi gli accessi vallivi rispettivamente a Udine e a Gorizia, nonostante gli atti di fermezza e di valore, fallirono, takhé i tedeschi riuscirono ad occupare il 12 Udine e il 13 Gorizia. La ]ulia, attaccata di sorpresa la notte sul 9, a Resiutta, Moggio, S. Lucia di Tolmino - dove venne bloccato il comando del 9° alpini - Ronzina, Aussa, valle Baccia fra Piedicolle e Tolmino, avrebbe voluto agire offensivamente per la valle Resia e dal passo del Predii su Moggio e Tarvisio, ma il comando del XXIV corpo, pur accogliendo la proposta del comandante della divisione e riservandosi di impartire al momento opportuno l'ordine esecutivo, valutò necessario, in base alle disposizioni dello stato maggiore dell'esercito, di evitare lo spargimento di sangue e concesse il libero transito alle truppe tedesche alla condizione che non compissero atti ostili. In base agli accordi stipulati con i tedeschi, la Julia avrebbe dovuto presidiare la regione di Udine in una zona libera , ma i tedeschi, violando gli accordi, nel tardo pomeriggio del giorno 12 occuparono Udine con una colonna motocorazzata fatta affluire da Treviso, catturarono il comando della divisione e bloccarono tutte le altre caserme. Alla stessa ora la medesima sorte subì il comando del XXIV corpo che cessò di funzionare. La Torino la notte sul 9 si oppose tenacemente agli attacchi tedeschi nella zona di Prevallo e tra il Sabotino ed il monte Santo, mantenendo saldo il possesso degli sbarramenti a difesa di Gorizia, ma non fu in grado di fronteggiate alla lunga contemporaneamente i tedeschi ed i partigiani slavi, non disposti a collaborare con gli italiani. La stazione di Gorizia venne occupata da bande slave che si impadronirono anche di altri impianti, di magazzini, di depositi munizioni, di armi abbandonate dagli sbandati. Il comandante del XXIV non ritenne conveniente di portare le truppe sulla destra dell'Isonzo fuori della città, come gli aveva proposto il comandante della divisione, e stabilì che Gorizia dovesse essete mantenuta ad ogni costo con le poche truppe disponibili. A tale fine il comandante della divisione impostò e condusse un'azione di snidamento dei partigiani slavi conclusasi con successo, ma non fu in grado di organizzare una
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robusta resistenza contro l'attacco tedesco del giorno 13, perché durante la notte anche gli ottimi reparti dell'82° fanteria, sfiduciati per il dissolvimento generale e per la cattiva piega degli avvenimenti (26), si erano sciolti e portati sulla destra dell'Isonzo per proseguite verso l'interno del territorio italiano. Con l'entrata dei tedeschi in Gorizia il comando della Torino cessò di funzionare ed il suo personale venne catturato. Oltre gli episodi di resistenza della Julia e della Torino, altri se ne svolsero nell'ambito del 14° comando guardia alla frontiera a Tarvisio, a Porticina, a monte Gorziane e nell'ambito del comando guardia alla frontiera direttamente dipendente dal comando del XXIV corpo a Postumia, nel caposaldo Generate Papa (4 Km a nord-est di Postumia), al passo di Piedicolle, al Cum di Lubino, a Tolmino. Più breve di quella del XXIV corpo fu la resistenza opposta dal XXIII corpo (divisione di fanteria Sforzesca, comando guardia alla frontiera su due settori, 3 reggimenti costieri, unità varie) che non disponeva in proprio di una riserva e di unità di servizi e che era frazionato in un centinaio di distaccamenti. La Sforzesca, in crisi di movimento per assumere un nuovo schieramento, venne attaccata a Banne, Poggioreale, Divaccia, Sesana e nella valle del Timavo, e le unità dislocate in tali località vennero circondate e si arresero. Il comando della divisione, attaccato la sera del1'8, si arrese dopo accanita resistenza durata fino al mattino del 9; eguale sorte toccò ad altre unità anche nell'alto Timavo, alle cave Ansemiane, dove un battaglione del 53° fanteria sostenne vigorosamente l'attacco di un reparto tedesco rinforzato da una consistente aliquota di artiglieria. La mattina del 9 reparti tedeschi di stanza a Trieste si impadronirono di una batteria della milizia schierata sul molo per cui la situazione andò rapidamente precipitando anche per l'interruzione delle principali vie di comunicazione. La difesa della città, delle cui vie d'accesso non fu possibile garantire il completo sbarramento con conseguente possibilità per i tedeschi di aggirare le posizioni dell'altopiano carsico sistemate a difesa, ebbe breve durata. Nel pomeriggio del 9 in seguito ad un accordo tra il comandante del XXIII corpo ed il comandante delle truppe tedesche fu posto fine alle ostilità ed i tedeschi occuparono Trieste e Monfalcone. A Trieste, in base all'accordo, sarebbero dovute restare le truppe italiane per il mantenimento dell'ordine pubblico, ma esse furono invece quasi subito disarmate. Il 10 settembre il comando del XXIII corpo si spostò a Cervignano del Friuli e da qui a San Donà di Piave, tentando di organizzare uno sbarramento sull'Isonzo e di riordinare gli sbandati. Troppo oramai si era generalizzato lo sfaldamento delle
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unità, per cui ogni tentativo di riordinare le fila e di riaumentare il tutto risultò sterile. Nella stessa giornata del 1 O i tedeschi occuparono San Donà e bloccarono a Venezia il comandante del corpo d'armata che si recava a Padova, sede del comando dell'armata, per conoscere l'esito degli accordi che si sapeva essere in corso fra tale comando ed i tedeschi. Alle ore 18 del giorno 10 anche il comando dell'8a armata cessò di esistere. A tergo del1'8a armata le difese territoriali autonome di Milano (27) e di Bologna (28), benché disponessero entrambe anche di unità operative non territoriali - la prima aveva alle proprie dipendenze la divisione Cosseria ed il 3° reggimento bersaglieri della 3a divisione celere; la seconda la 3a divisione celere ad eccezione del 3° bersaglieri - ebbero vita effimera e breve. Nell'ambito del comando della difesa territoriale di Milano, all'annuncio dell'armistizio, venne organizzato uno sbarramento difensivo a protezione de1la città schierando la Cosseria ad intercettazione delle provenienze da sud (Lodi e Pavia) ed il 3° bersaglieri (rinforzato con 5 carri armati, 7 semoventi, una compagnia mortai da 81 e una sezione artiglieria da 75 /27) sul fiume Lambro, a cavaliere della via Paullese, per chiudere gli accessi a Milano da sud e sud-est. « Lo schieramento della Cosseria richiese molto tempo e poté essere ultimato soltanto la sera del 9 . I reparti della divisione erano tenuti bene alla mano dai comandanti e la truppa nutriva sentimenti ostili contro il nemico, avendo partecipato alle operazioni sul fronte russo e conseguito un'amara esperienza, per quanto lo stato d'animo generale fosse già scosso per la convinzione che la guerra fosse finita. Eccellente, a parere del comandante, il morale del 3° reggimento bersaglieri» (29). Il mattino del 9, mentre erano ancora in corso i movimenti della Cosseria e del 3° bersaglieri, il comando tedesco del gruppo armate « B » intimò, ricevendone un rifiuto, al comandante della difesa territoriale la cessione delle armi da parte di tutte le truppe dipendenti dal comando difesa, avvertendo che la divisione SS Hitler del corpo corazzato era a circa 30 Km dalla città e consigliando di evitare ogni spargimento di sangue. Il comandante della difesa territoriale assunse un atteggiamento dilatorio nell'intento di guadagnare tempo. La notte sul 10 trascorse a Milano senza incidenti ed i tedeschi, pur tentando la penetrazione in città, si astennero da azioni di forza. Nelle prime ore del mattino pattuglie del 3° bersaglieri si scontrarono con forze tedesche catturando prigionieri. Fra le 14 e le 16 due autocolonne corazzate della SS Hitler si attestarono a 2 Km dalle posizioni del 3° bersaglieri. L'ammassamento delle forze tedesche continuò e, no-
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nostante il cedimento di alcuni reparti in varie località della Lombardia e l'afflusso di sbandati, le truppe della Cosseria e del 3° bersaglieri rimasero salde. Verso sera il comandante della SS Hitler si presentò al comandante della difesa territoriale e chiese il disarmo di tutte le truppe. Tra i due comandi venne stipulato un accordo che prevedeva l'ingresso in Milano di poche forze tedesche (500 uomini) nelle prime ore del giorno 11 per affiancarsi ai reparti italiani nel1'occupazione dei principali impianti, mentre 1e testanti forze tedesche sarebbero rimaste fuori del perimetro della città. Nella giornata del1' 11 le unità della Cosseria e del 3° bersaglieri furono fatte rientrate, come previsto dall'accordo, nelle rispettive caserme di Milano. Data la situazione venutasi a determinare, il comando della difesa territoriale ordinò la sera dell'l 1 il parziale licenziamento della truppa, licenziamento che avrebbe dovuto aver luogo la notte sul 12 nella misura del cinquanta per cento della forza. Ma proprio in quella notte le forze tedesche, violando i patti, irruppero nella città, prendendone possesso nella giornata dopo aver circonJaLo le sedi dei comandi e le caserme. NeUe prime ore de1 mattino il comandante ed il personale del comando della difesa territoriale, il comandante del 3° bersaglieri ed i quadri e le truppe ancora nelle caserme vennero catturati e deportati. Nel frattempo si eta combattuto: a Brescia, dove i tedeschi entrarono il giorno 9; a Cremona, dove le truppe italiane ai depositi resistettero varie ore; a Luino, dove con l'arrivo del presidio di porto Valtravaglia venne costituito, a partire dal giorno 12, un nucleo dj resistenza, al quale si unirono altri militari e civili che inflissero ai tedeschi, pur subendone, gravi perdite; a Pavia, dove ebbero luoghi vari scontri con la partecipazione di unità del genio ; a Piacenza, che venne occupata il giorno 10, dopo che si erano sviluppati combattimenti lungo le rive del fiume Trebbia e sulle rotabili provenienti da Bussolengo. Il comando della difesa territoriale di Bologna (30) .impartl, all'atto dell'armistizio, disposizioni per intensificare la vigilanza, ma non ritenne di dover aderire alla richiesta di un apposito comitato cittadino tendente ad impiegare personale volontario nella lotta contro i tedeschi, e ordinò che le truppe rimanessero consegnate nelle caserme. All'alba del giorno 9 forze motocorazzate tedesche (31) conversero su Bologna e irruppero nella città occupandone subito i punti più importanti e catturando il comando della difesa terrhoriale. Tutti i presidi militari dell'Emilia rimasero così pressoché isolati e disorientati. Grave la situazione in cui venne a trovarsi la 3a celere, il cui
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comandante, ritenendo aleatorio un impiego offensivo della grande unità, decise di spostarsi sull'Appennino per assumervi uno schieramento difensivo sbarrando la valle Santerno con il reggimento Novara ed un gruppo di artiglieria, la valle del Senio con il reggimento Savoia, anche questo rinforzato con un gruppo di artiglieria, e la valle Lamone con il 6° reggimento bersaglieri (in ricostituzione) cedutogli dal comando della zona militare di Ravenna. L'afflusso di gran numero di militari sbandati nella zona presidiata dalla 3a celere e le notizie fatte circolare sullo scioglimento dell'esercito provocarono nello spazio di breve tempo effetti deleteri su tutte le unità. Il comandante della divisione decise di ridiscendere in pianura, consegnare i cavalli ai contadini, accantonare le armi e inviare in licenza il personale. Il mattino del 15 il comando della divisione si trasferì ad Imola dove era in corso il congedamento dei soldati di quel presidio. Il comandante tedesco di Bologna non disturbò le operazioni di consegna dei cavalli e consentì l'invio a casa delle truppe e degli ufficiali, promettendo che il giorno 16 avrebbe fatto consegnare, tramite il comando della divisione, i lasciapassare agli ufficiali per raggiungere le loro residenze. Il comandante della divisione indisse quindi una riunione per le ore 10 del giorno 16, ma mentre questa era in corso reparti blindati tedeschi circondarono la località e catturarono gli ufficiali, dei quali quelli in servizio permanente furono trattenuti ed internati, quelli di complemento furono posti in libertà. Numerosi anche nell'ambito del comando della difesa territoriale di Bologna gli episodi di resistenza: a Bologna elementi della fanteria carrista si batterono fino al limite del possibile; a Modena si combatté fino all'esaurimento delle munizioni; a Sassuolo i sottufficiali frequentatori del corso di perfezionamento resistettero per alcune ore ed a Pavullo-Lama Mocogno due battaglioni ed uno squadrone degli allievi dell'accademia militare di Modena combatterono duramente; a Parma 400 sottotenenti di fanteria lottarono coraggiosamente alla Pilotta ed anche lungo le strade della città; a Reggio Emilia vi furono brevi resistenze in tutte le caserme. Non si può certo negare la validità di quanto affermò successivamente il comandante dell'8" armata, il quale scrisse: « In merito agli sbandati non si deve generalizzare: si trattava di reclute ai depositi, alcune ancora disarmate o in abito civile; preferirono sbandarsi davanti alla minaccia di essere catturati e internati. Altri appartenevano ad unità che le vicende avevano portato a dover cedere a forze superiori e che preferirono sottrarsi alla cattura ... La maggior parte delle
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unità organiche dopo la resistenza furono catturate in blocco e internate. Per esse non si trattò di dissoluzione ma di cattura, di immobilizzazione: il fenomeno merita un diverso giudizio ed apprezzamento, riflettendo sulle condizioni in cui vennero a trovarsi, quali i mezzi di cui disponevano, quali gli elementi costitutivi sotto ogni aspetto, quali le situazioni» (32). Che la situazione dell'8" armata fosse del tutto particolare e precaria è fuori discussione: grandi unità reduci dal disastro russo, in lento riordinamento, prive di armamento pesante, con poche munizioni, ad organici ridotti, disseminate e frazio.Q.atè su un territorio vastissimo; unità della guardia alla frontiera depauperate degli elementi migliori trasferiti alle unità analoghe dell'antistante 2a armata; situazione generale precaria organicamente e addestrativamente; impegno oltre che contro i tedeschi anche contro le popolazioni allogene altoatesine e le bande slave; influenza dei fatti negativi verificatisi nell'antistante 2a armata (che esamineremo più avanti) e nelle retrostanti difese territoriali di Milano e di Bologna (che or ora ahhiamo riassunti). Non è però meno fondato affermare che, proprio nell'ambito dell'8" armata e dei comandi della difesa territoriale di Milano e di Bologna, i disorientamenti e gli sbandamenti dipesero anche dalla inclinazione a trattare con i tedeschi di molti comandanti elevati che, preoccupati di attenersi alle disposizioni dello stato maggiore dell'esercito riguardanti il divieto di usare per primi la forza e di evitare sacrifici inutili di reparti e di città, dettero l'impressione di preferire la trattativa alla lotta, assecondando indirettamente l'ulteriore decadimento del tono morale generale di per sé basso per tante ragioni. Alcuni di essi, inoltre, non si dimostraro1;10 abili negoziatori e caddero vittime di grossolani inganni per cui non solo non trassero dai loro accordi con i tedeschi i benefici che si erano ripromessi - ad eccezione di quello generico di evitare i combattimenti nell'interno delle grandi città - ma favorirono e resero in particolare più agevole e più rapida l'occupazione tedesca dei centri urbani. Vi furono decisioni precipitose od intempestive, talvolta premature, talvolta tardive, che accrebbero il disorientamento, la confusione ed il caos determinati di per sé dalla subitaneità dell'evento inaspettato, al quale il Comando Supremo, sottovalutando l'importanza del fattore psicologico e sopravalutando quello della salvaguardia della segretezza, non aveva voluto preparare in tempo neppure i comandanti più elevati. D'altra parte, l'incertezza di condotta di questi e il loro preminente orientamento alla trattativa dipesero in gran parte dall'aderenza alla linea di comportamento tenuta dallo stato maggiore dell'esercito.
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Diverso, almeno in parte, l'andamento degli avvenimenti nell'Italia meridionale e nelle isole della Sardegna e della Corsica rispetto a quello dell'Italia settentrionale e dell'Italia centrale che in pochissimi giorni, come abbiamo per sommi capi accennato, diventarono territorio di occupazione tedesca. Nell'Italia meridionale era dislocata la r armata (33), comandata dal generale Mario Arisio (34). Essa estendeva la sua giurisdizione a sud della congiungente foce del Garigliano - stazione di Campomarino (presso Termoli) esclusa. Il suo territorio comprendeva la Campania, la Lucania, la Puglia e la Calabria ed era esteso circa 60 mila chilometri quadrati, con uno sviluppo costiero di oltre 2 mila Km, comprendente gli importanti porti di Napoli, Taranto, Bari e Brindisi. Dopo aver ricevuto l'ordine 111 C.T. dello stato maggiore dell'esercito, il comandante dell'armata aveva emanato disposizioni per la raccolta delle forze, sganciandone quante più possibili dal presidio delle posizioni di arresto e costituendo con esse una massa di manovra, peraltro di scarsa capacità operativa in quanto povera di potenza di fuoco e soprattutto priva di mobilità. La richiesta di altre 7 divisioni di fanteria inoltrata dal comandante dell'armata allo stato maggiore dell'esercito per far fronte ai propri compiti, nonostante fosse stata accolta parzialmente con la promessa dell'invio di 5 divisioni, rimase di fatto quasi lettera morta perché nell'imminenza dell'armistizio giunse solo, ed incompleta, la Legnano. Nel quadro delle direttive particolari della memoria 44 - giunta il 3 settembre - la 7"' armata avrebbe dovuto in caso di aggressione tedesca tenere saldamente Taranto e possibilmente anche Brindisi. Proprio quel giorno il settore Calabria venne impegnato dalle forze del generale Montgomery sbarcate sull'intera punta della penisola e penetrate per una proofndità di circa 8 Km. Il giorno 8, subito dopo l'annuncio dell'armistizio, il comandante dell'armata, che si era già orientato a riunire le forze della Piceno e della Mantova per costituirsi una massa di manovra, impartl di iniziativa le disposizioni per l'applicazione della memoria 44 e ordinò la riunione per battaglione di tutti i reparti non aventi compiti specifici. Negli intendimenti del comandante dell'armata vi era anche la costituzione, appena possibile, di un nuovo corpo d'armata - il LI - al quale affidare compiti eminentemente operativi devolvendo i compiti territoriali al IX corpo. Caratteristiche peculiari degli avvenimenti nell'ambito della 7a armata furono: la resistenza opposta alle forze inglesi sbarcate in
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Calabria, durata dal 3 all'8 settembre da parte del XXXI corpo d'armata; il contrasto opposto dalle unità costiere del XIX corpo d'armata e daUa Pasubio fin dalla sera dell'8 settembre agli atti di ostilità compiuti dai tedeschi in Campania e particolarmente nella zona di Napoli; i combattimenti delle unità <lel IX corpo d'armata contro le unità tedesche in Puglia; l'inizio, peraltro assai difficile, della cooperazione con le tmppe inglesi sbarcate in Calabria ed a Taranto; l'intervento dal 12 settembre dello stato maggiore dell'eserarmata, cito nello sviluppo e nella condotta delle operazioni della dopo che esso aveva ripreso a funzionare in formato ridotto a Brinarmata d'inidisi (35) . Il giorno 13 lo stato maggiore ordinò alla ziare subito la cooperazione con le forze dell'8a armata britannica sbarcate a Taranto la sera del 9 e la notte sul 10, di avviare la Mantova a Taranto, di costituire unità autocarrate per un'azione sul tergo delle unità tedesche dislocate nella zona di Scansano-Metaponto, di affidare altre azioni offensive contro i tedeschi a tre colonne autocarrate di un battaglione ciascuna, di difendere ad oltranza le piazze di Taranto e di Brindisi. Il 17 settembre il comando dell'armata ordinò all'appena costituito LI corpo d'armata di attaccate le forze tedesche nella zona di Altamura-Gravina e dispose che la Piceno, rinforzata da elementi della Legnano, intercettasse le puntate tedesche che dalla zona di Bari-Casamassima-Gioia del Colle tendessero a quella di Brindisi-Francavilla Fontana-Grottaglie. L'atteggiamento inizialmente diffidente e addirittura ostile - concretatosi, ad esempio, nei riguardi della Mantova in veri e propri soprusi ed in atti di arbitrio intollerabili - non favori l'inizio della collaborazione con gli angloarmata. americani e, anzi, ebbe effetti deleteri sulle forze della Comprensibile sul piano psicologico, ingiustificabile su quello operativo, l'atteggiamento dei comandi inglesi generò nelle unità italiane smarrimento e disgusto, dovendo queste simultaneamente vincere anche l'intima riluttanza a fare fuoco contro i tedeschi, fino al giorno prima compagni d'arme. La difficile e delicata situazione psicologica ebbe un'incidenza notevole sulle vicende della armata, che avrebbe potuto dare più di quanto dette solo che le forze britanniche si fossero comportate con minore alterigia e con maggiore senso del reale, tanto più che le loro operazioni venivano sviluppandosi in maniera tutt'altro che brillante. Il XIX corpo d'armata - schierato a cordone lungo la costa tirrenica, articolato in una miriade di piccoli nuclei difensivi più o meno isolati e privi di profondità, mancante di riserve mobili e di mezzi corazzati e blindati - si dissolse in tre giorni cedendo ai te-
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deschi il possesso assoluto di quasi tutta la Campania. Si trattò di una cessione contrastata dalle unità costiere e dalla Pasubio - anche questa diluita su di una fronte di 50 Km - e dagli elementi raccogliticci ed eterogenei del presidio di Napoli. I primi ad aprire le ostilità furono i tedeschi ricorrendo, secondo i casi, alla sorpresa, all'inganno, alla violenza improvvisa ed agendo sempre con estrema decisione. La sera dell'8 settembre i tedeschi interruppero i collegamenti del comando del XIX corpo d'armata ed occuparono la centrale elettrica di Mignano; la notte sul 9 si impadronirono del porto di Salerno, del posto di avvistamento di Camaldoli (Napoli), del posto di blocco ferroviario di Portici, del centro raccolta di Sessa Aurunca, dell'aeroporto di Montecorvino RoveUa ; durante le giornate del 9 e del 10 disarmarono elementi isolati ed interi reparti minori, si impossessarono di automezzi militari, presidiarono nodi stradali , interruppero altri collegamenti, circondarono l'autoparco dell'intendenza, sparsero il terrore con le loro rappresaglie contro le resistenze ; il mattino dell'l 1 con forze blindo-corazzate si presentarono ai varchi del porto di Napoli e, con inganno, disarmarono i posti di guardia occupando il porto; nel pomeriggio e nella serata dello stesso giorno s'impadronirono della sede del comando della difesa territoriale di Napoli e dell'intera città. Gli ordini impartiti dal comandante del corpo d'armata per la riunione delle forze in blocchi e per la concentrazione della Pasubio a sbarramento della via Appia ed a difesa dei ponti di Capua e di Cancello Amone non poterono avere attuazione per l'immediatezza dell'azione tedesca e per il disorientamento delle unità italiane, costrette a muovere a piedi. Tenaci alcune resistenze italiane: a Salerno la notte sul 9 da parte della 222" divisione costiera; a Villa Literno il giorno 9 da parte dei caposaldi della XXXII brigata costiera e, in particolare, da parte del caposaldo di Mondragone dove la lotta, iniziatasi il mattino del 9, si protrasse fino al giorno 11; a Camaldoli, a M. Cuma, alla masseria Ferrara ed alla sella di Baia durante la giornata del 10; a Nola il giorno 11. Molte le resistenze locali di carattere passivo e di breve durata in altri presidi, alla fine ovunque sopraffatte dai reparti blindo-corazzati tedeschi, che agirono senza scrupoli e ritegni, ricorrendo a rappresaglie che si concretarono in fucilazioni di ufficiali e nella presa in ostaggio di cittadini. Il XXXl corpo d'armata - in ripiegamento ordinato dopo essersi battuto contro le forze britanniche sbarcate in Calabria - fu quello che inizialmente più risentl gli effetti deleteri per il morale derivanti dal comportamento delle forze tedesche ripieganti e da
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quello delle forze inglesi avanzanti. Superato il primo periodo di grave crisi morale, il corpo d'armata si riebbe e la sua azione valse ad impedire la cattura di uomini , mezzi, materiali e viveri, a mantenere l'ordine, ad assicurare la vita della popolazione civile calabrol ucana, a fornire un qualche contributo alla lentissima avanzata inglese proteggendo strade e ponti, opponendosi al brillamento di alcune interruzioni e impegnandosi in scontri di limitata entità con le retroguardie tedesche. Reparti costieri impedirono ai tedeschi di interrompere la rotabile Cropani-Sensale, salvarono dal brillamento il ponte sul torrente Crocchio, misero in fuga un reparto tedesco che tentava di ostruire la rotabile silana presso Torre del Ponte. L'intera costiera, respinta l'intimazione di resa, si affiancò agli inglesi. La stessa commissione militare britannica di controllo per la Calabria, di fronte alla fattiva e leale condotta delle truppe del XXXI corpo nella difficile situazione in cui era venuto a trovarsi, ristabill il comando nel pieno possesso di tutte le sue attribuzioni e con le disponibilità dei propri mezzi - inizialmente sottrnttigli - e, il 22 settembre, invitò il generale Mercalli a rienuare nella propria normale sede di comando a Catanzaro (36). Il IX corpo d'armata, dopo l'iniziale sbandamento, seppe anche esso reagire bene, facilitato in ciò dallo sconsiderato modo di comportarsi dei tedeschi, di fronte al quale cadde ogni riluttanza a modificare la linea di tiro delle armi. La Piceno, schierata fronte a nord lungo ]a breteUa Taranto-Brindisi, e la Legnano, schierata a difesa di Brindisi , mantennero saldamente le loro posizioni e costrinsero i tedeschi ad abbandonare frettolosamente il brindisino, dove la sera del giorno 10 giunsero e si insediarono le autorità politiche e militari italiane che il mattino del 9 avevano abbandonato Roma. Il giorno 9 un nucleo di forze italiane, con alla testa il generale Nicola Bellomo (37) , riconquistò il porto di Bari già occupato dai tedeschi che dovettero arrendersi. Lo stesso giorno 9 un reparto delle truppe al deposito del 48° reggimento fanteria affrontò i tedeschi sulla strada Bari-Bitetto e li costrinse a ripiegare verso nord. Nella stessa giornata a Ceglie Messapico una scorta armata attaccò elementi tedeschi che requisivano automezzi e terrorizzavano la popolazione e li mise in fuga; un episodio analogo ebbe luogo a Putignano, sede del comando del corpo d'armata, fra un battaglione mitraglieri e forze tedesche provenienti da Noci. Reazioni italiane si ebbero altresì a Rodi Garganico, Foggia, Lucera, Cerignola, Apricena, nei dintorni di Bari. La sera del 9 e la notte sul 10 ebbe inizio a Taranto lo sbarco dell a l divisione aviotrasportabile britannica e giunse in città il co-
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mandante delJa 8" armata britannica. Al mattino dell'l 1, le forze britanniche continuarono a sbarcare a Taranto, mentre avanguardie leggere, coadiuvate da elementi italiani, erano in marcia verso nord per prendere contatto con le retroguardie tedesche. Le forze germaniche si erano frattanto schierate a nord e nord-ovest dell'allineamento Bisceglie-Casamassima-S. Michele di Bari-Gioia del Co11e-Castellaneta-Ginosa-Scansano, con punte distaccate ad oriente di Gioia del Colle. Durante la giornata dell'll vi furono combattimenti a Barletta, che il giorno dopo cadde in mano tedesca. Il giorno 12 reparti costieri contrattaccarono a Canosa di Puglia e catturarono una cinquantina di tedeschi. Altri scontri isolati si ebbero a Matera, Potenza e Monopoli. L'avanzata britannica fu lentissima: Bari venne occupata nel pomeriggio del 12, Gioia del Colle il 17, Foggia il 28. Particolarmente intensi furono i combattimenti sostenuti da forze italo-britanniche a Trani contro le retroguardie germaniche. Il giorno 18 i tedeschi, rientrati in città, prelevarono 50 cittadini allo scopo di fucilarli ; essi furono però salvati all'ultimo momento dall'intervento del vescovo e del sindaco. La situazione venne ristabilita per l'intervento del 235° reggimento fanteria Piceno. La divisione Piceno , rinforzata da 2 battaglioni della Legnano e dal LI battaglione d'istruzione, partecipò dal 18 al 20 settembre alle operazioni condotte dagli inglesi per ricacciare i tedeschi a nord dell'allineamento Corato-Potenza, ed il 20 raggiunse l'allineamento Martina Franca-Fasano, dove fu costretta ad arrestarsi per ordine dei comandi inglesi che intendevano procedere metodicamente e lentamente secondo quella che era stata fino ad allora la tattica del generale Montgomery. Una rapida e stretta intesa tra comandi italiani e britannici, una minore diffidenza e prosopopea di questi ultimi, una maggiore comprensione britannica nei riguardi della difficile e delicata situazione psicologica e materiale delle unità italiane ed una tattica di avanzata meno cauta ed incerta, malgrado le interruzioni e le azioni delle retroguardie tedesche, avrebbero potuto perseguire lo sgombe.ro della Puglia dalle forze germaniche in tempi assai minori e facilitare indirettamente l'azione delle forze anglo-americane sbarcate a Salerno. Gli Inglesi vennero meno persino alla loro innata concezione utilitaristica, ed in luogo di servirsi subito delle unità italiane ne disarmarono alcune e ne umiliarono molte, smorzando anziché incentivando la disponibilità alla collaborazione che tuttavia non venne meno. D'altra parte, il mancato preventivo orientamento dei comandi e delle unità, il repentino passaggio obbligato dall'altra parte della barricata, l'inadeguatezza de1le forze e, soprattutto, la mancanza di mobilità e
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di mezzi corazzati e meccanizzati, lo sparpagliamento ed il frazionamento dei reparti oltre ogni limite di coesione tattica e di comandabilità incisero, non meno negativamente che altrove, sulle possibilità operative delle divisioni costiere, delle tre divisioni di fanteria Pasubio, Mantova, Piceno - e delle unità della Legnano chè, costrette in gran parte a muovere con la velocità dei muli, non furono in grado di sviluppare manovre tattiche unitarie, ma dovettero generalmente limitarsi a fronteggiare le iniziative locali tedesche ed a sviluppare solo episodiche azioni di contrattacco e di sabotaggio o modesti colpi di mano. Gli anglo-americani, da parte loro, commisero nel] 'invasione della penisola italiana tali e tanti errori di previsione e di condotta da pregiudicare l 'esito dell'operazione complessiva, che non fu brillante né sul piano strategico né su quello tattico. La causa prima del loro insuccesso - di questo in definitiva si trattò - fu il ritardo con cui essi sfruttarono l'occasione favorevole del 25 luglio: lasciarono passare sei settimane prima di decidersi a porre piede nella penisola italiana e si intestardirono sulla formula della resa incondizionata. L'operazione Baytown - la meno comprensibile dal punto di vista strategico e del tutto inutile, anzi dannosa, sotto il profilo tattico - ebbe inizio il 3 settembre, nello stesso giorno in cui venne firmato l'armistizio a Cassibile. L'operazione Slapstick (conquista dei porti di Taranto, Brindisi e Bari) - volta ad assicurarsi nel tallone d'Italia un punto d'appoggio sufficiente a coprire i porti di Taranto e Brindisi e, se possibile, di Bari, in vista di una successiva avanzata (38) - andò sprecata per mancanza di previdenza e di coordinamento e per l'inadeguatezza degli sforzi che vennero fatti per sfruttarla. La 1a divisione aviotrasportabile venne inviata a Taranto senza automezzi, eccettuata una mezza dozzina di jeeps, e rimase in questa situazione fino al 14 settembre, sebbene in zona vi fosse un'unica divisione tedesca (la l a paracadutisti), in parte schierata nel settore di Salerno ed a Roma ed in parte ritirantesi verso foggia, 190 Km a nord di Taranto, per coprire il fianco orientale dello schieramento tedesco. I piani per l'avanzata inglese su vasta scala lungo la costa italiana orientale procedettero con la consueta metodocità, malgrado le forze inglesi fossero quattro volte superiori a quelle tedesche, ed il movimento, una volta avviato dopo lo sbarco della 78a divisione a Bari (22 settembre) e dell'8a divisione indiana a Brindisi (23 settembre), ebbe un ritmo lento e cadenzato al di là di ogni ragionevole prudenza. L'operazione Avalanche (sbarco a Salerno) - che non colse i tedeschi di sorpresa sul piano tattico poco mancò che non fallisse per la prontezza con la quale i tedeschi
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seppero fronteggiarla e contrastarla, riuscendo così a guadagnare tre settimane di tempo prima che le unità della Y armata del generale Mark Clark raggiungessero Napoli e quattro settimane prima che tali unità riuscissero a farsi sotto alla linea del fiume Volturno. Su questa linea i tedeschi si attestarono per poi ritirarsi, in attesa che venisse completata la sistemazione difensiva di quella arretrata imperniata sulla strozzatura di Cassino, denominata linea Gustav o linea invernale, sulla linea del Garigliano-Rapido. Tale dottrina di guerra - che si ispirava all'aureo principio del banchiere cauto: no advance withoztt security (nessun anticipo - od anche avanzata senza sicurezza) (39) e tanta cautela nel procedere ebbero una grande influenza negativa sugli avvenimenti svoltisi nell'ambito della armata italiana ed in particolare su quelli del XIX corpo d'armata, le cui unità si trovarono ad essere minacciate ed investite da tre direzioni - da nord, da est e da sud - e ad essere frammischiate con consistenti forze tedesche sia nel salernitano che nel napoletano, dove erano dislocate 1'8 settembre ben 4 divisioni tedesche (16" e 26a corazzata, Hermann Goring, lY granatieri corazzati) delle 6 costituenti la 10a armata del generale Vietinghoff (40) (della l" paracadutisti aliquota era in Puglia e la 29 granatieri corazzati in Calabria). Per effetto dei vari bistrattamenti subiti da parte degli inglesi , molti soldati abbandonarono arbitrariamente i reparti persuasi che l'esercito fosse sciolto e che la guerra, per quanto potesse riguardarli, fosse finita. Il fenomeno, che assunse proporzioni rilevanti specialmente nell'ambito della Mantova e di alcune grandi unità costiere, rientrò abbastanza rapidamente, e gran parte degli sbandati, superato il primo periodo di crisi, fece ritorno successivamente ai propri reparti, spinta a farlo anche dalle nefandezze che i tedeschi venivano compiendo un po' dovunque, nella Puglia ed in Campania. Quali fossero i sentimenti di reazione contro gli atti terroristici dei tedeschi, fu reso manifesto dalla rivolta di Napoli nei giorni 28, 29 , 30 settembre e 1 ottobre, quando la popolazione civile ed i militari già sbandati attaccarono le retroguardie della divisione Goering in ritirata e favorirono l'entrata in città delle avanguardie della Y armata statunitense che, a partire dalle ore 12 del 1° ottobre, prese possesso di tutti i punti essenziali dell'abitato.
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6. Il comando forze armate Sardegna (41), posto alle dipendenze del generale Antonio Basso (42), secondo il compito particolare fis.
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sato nella memoria 44 - che egli era pervenuta il 3 settembre in caso di aggressione tedesca avrebbe dovuto / ar fuori la 90d divisione tedesca, posta alle sue dirette dipendenze (4 3) quale unica grande unità di manovra. Il comandante delle forze dell'isola, alla ricezione della memoria 44, predispose un piano di emergenza Piano di emergenza « T » ( 44) - che si riferiva a due distinte ipotesi: offensiva, per il caso di azioni contro i tedeschi di iniziativa delle forze italiane; difensiva, per il caso che l'iniziativa fosse partita dalle forze tedesche dislocate nell'isola. Il contenuto della memoria 44 e del piano « T » fu comunicato il mattino del 6 settembre a tutti i comandanti locali con la riserva di ordinarne la esecuzione solo in caso di necessità. La sera dello stesso giorno giunse al comandante delle forze dell'isola l'ordine dello stato maggiore dell'esercito di rinforzare il presidio di La Maddalena con un raggruppamento tattico di 3 battaglioni ed un gruppo di artiglieria. Gli spostamenti previsti dal piano « T » ebbero inizio il 7 settembre ed erano ancora in corso il tardo pomeriggio del giorno 8 quando giunse la notizia dell'armistizio, tanto meno attesa in quanto solo 24 ore prima lo stato maggiore dell'esercito aveva ordinato di opporsi a qualsiasi tentativo di sbarco anglo-americano. Alle ore 21,30 dello stesso giorno, il generale comandante della 90a divisione tedesca inviò in copia al generale comandante delle forze dell'isola un messaggio ricevuto da parte del maresciallo Kesselring nel quale questi definiva l'armistizio come un tradimento ed invitava a non rispettarlo, incoraggiando i comandi italiani a proseguire la lotta a fianco di quelli tedeschi. La proposta venne subito decisamente respinta dal generale Basso, che con tutta lealtà comunicò al comandante tedesco che aveva l'ordine di far fuori al più presto dall'isola e con ogni mezzo le forze tedesche. Il comandante tedesco espresse allora la sua intenzione di sgomberare la Sardegna e di passare con le proprie truppe in Corsica allo scopo di proseguire in seguito verso nord . Il generale Basso, tenuto conto che tale richiesta non contrastava in alcun modo - a suo giudizio - con le direttive della memoria 44, dichiarò di non opporsi allo sgombero, mettendo a disposizione della 90a l'itinerario: Oristano-Macomer-Ozieri-Tempio, invitando nel contempo quel comandante ad evitare in qualsiasi modo incidenti con le truppe e le popolazioni e a non provocare danni a manufatti e opere d'arte, poiché in tal caso le truppe italiane avrebbero immediatamente reagito. La decisione fu da lui comunicata allo stato maggiore dell'esercito chiedendone il benestare, ma non ebbe risposta e nessun'altra notizia gli giunse fino alla sera del 12 set-
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tembre (45). La notte sul 9 le forze tedesche iniziarono i movimenti per concentrarsi nella regione settentrionale dell'isola. Frattanto da parte italiana venne dato ordine di raccogliere e di tenere i reparti alla mano, d'inviare il raggruppamento tattico di rinforzo - che non si era ancora mosso - a La Maddalena, di riunire la N embo nella zona nord-orientale dell'isola per fronteggiare le truppe tedesche nel caso venisse ordinata l'attuazione della memoria 44, ordine che giunse a mezzo di un ufficiale solo il giorno 12 (46) e che venne confermato e chiarito con un successivo foglio del 12 settembre pervenuto al comandante delle forze della Sardegna la sera de] 13 (47). Lo stesso giorno - 9 settembre - in cui sottoscrissero l'accordo, i tedeschi lo violarono occupando di sorpresa la piazza marittima di La Maddalena ed impadronendosi della sede diretta del comando, della stazione radiotelegrafica dell'isola di Chiesa, del semaforo di Guardia Vecchia, dei comandi DICAT e FAM, del commissariato e Jd <.:in.:ulu, c.:un la giustificazione che le azioni erano indispensabili a garantire l'esodo della 90a divisione. Il generale Basso, malgrado ciò, non ritenne di dover modificare le decisioni già adottate ed accettò l'accordo intercorso tra l'ammiraglio Bruno Brivonesi, comandante della marina militare della Sardegna, ed il generale CarlHans Lungershausen (48) comandante della 90a divisione: le forze italiane non avrebbero attaccato né compiuto atti ostili contro le forze tedesche di La Maddalena se fossero rimaste invariate le occupazioni fino a quel momento effettuate. Frattanto in Corsica la brigata corazzata tedesca ivi dislocata aveva occupato Bonifacio e costituito una testa di ponte per facilitare l'arrivo della 90" divisione, mentre il comandante italiano della Corsica aveva fatto sapere a quello della Sardegna che data la situazione che imponeva l'azione offensiva contro le truppe germaniche sarebbe stato necessario impedire il passaggio in Corsica di quelle disloca te in Sardegna (49) . Il generale Basso giudicò conveniente il persistere nell'atteggiamento temporeggiante assunto fin dal primo momento in attesa degli ordini dello stato maggiore dell'esercito; dispose di raccogliere nell'attesa le forze per seguire da presso le retroguardie tedesche sino a rinserrarle nel1'alta Gallura; impatti conseguentemente l'ordine alla Calabria di muovere su Tempio, alla Bari di puntare su Ozieri, alla Sabauda di seguire il movimento in seconda schiera portandosi nella zona di Macomer-Abbasante, lasciando però nell'area di dislocazione iniziale alcuni reparti per fronteggiare eventuali defezioni della Nembo, ritenuta non propensa a combattere contro i tedeschi. Al raggruppa-
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mento motocorazzato venne confermato il compito di protezione della zona logistica Monti-Olbia. I movimenti di raccolta delle forze avrebbero dovuto essere ultimati entro il giorno 11, mentre a partire dal giorno 12 avrebbero dovuto essere iniziati i movimenti del XXX corpo per raggiungere, articolato su 4 colonne, le nuove zone di schieramento: la prima muovendo lungo la direzione BassacutenaSanta Teresa, la seconda lungo la direzione Bassacutena-Palau, la terza lungo Ja dfrezione Arzachena-Palau e la quarta lungo la direzione Tempio-Campovaglio. In definitiva : il XXX corpo si sarebbe dovuto tenere pronto ad attaccare i tedeschi non appena gli fosse stato ordinato; il XIII corpo avrebbe dovuto sbarrare le provenienze da nord verso Cagliari con la 20Y costiera ed elementi della 20}8, mentre avrebbe dovuto ripartire in due aliquote la Sabauda per raggiungere con un raggruppamento la linea Villacidro-Samassi-Serrenti e con un altro la zona di Senorbi-Suelli-Selegas. Quando il giorno 12 si presentò al comando delle forze della Sardegna ]'ufficiale dello stato maggiore dell'esercito latore dell'ordine di impedire il passaggio della 90a in Corsica, la situazione in atto era la seguente: i tedeschi occupavano i porti di Olbia, Palau, Santa Teresa di Gallura, il nodo stradale di Tempio Pausania, La Maddalena e, al centro della Sardegna, nella zona di Oschiri, incapsulavano l'area logistica; delle trùppe italiane: alcune erano in crisi di movimento (Bari e Calabria), altre (divisioni costiere) non potevano dare contributo ad un'azione offensiva, altre ancora (raggruppamento corazzato) erano impegnate nella difesa della zona logistica, altre infine (Sabauda) erano dislocate nella parte meridionale dell'isola e non in condizioni di poter prontamente intervenire. Il generale Basso impartì le direttive per l'azione offensiva contro i tedeschi (50), e rispose, il mattino del 13, allo stato maggiore dell'esercito che l'operazione non avrebbe potuto avere inizio prima di tre giorni: « Risponde 5 V. Truppe tedesche occupano parte Piazza Maddalena et protette forte retroguardia corazzata ripiegano zona nord-orientale dove iniziato traghetto Corsica. Sono in corso movimenti mie truppe per consentire attacco deciso. Prevedo poterlo attuare non prima giorno 16. Nessun affidamento su divisione Nembo che deve anzi essere controllata. Popolazione calma. Aeroporti liberi: Decimo Mannu, Elmas, Alghero. Porto Cagliari pronto ricevere tre aut quattro piroscafi medio tonnellaggio» (51). Nella stessa mattina, d'iniziativa del comando marina di La Maddalena, soldati e marinai attaccarono i tedeschi e liberarono il comando marina e la stazione radiotelefonica, ma il combattimento
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non fu risolutivo ai fini della disponibilità della base perché si concluse con un nuovo accordo - autorizzato dallo stato maggiore della marina - per effetto del quale furono posti di nuovo in libertà gli ammiragli e gli altri ufficiali italiani del comando marina e venne effettuata la sostituzione della guardia tedesca con marinai italiani. Per affrettare i movimenti il comando delle forze della Sardegna dispose che la Sabauda si raccogliesse nella zona di Macomer per ferrovia, la Bari spostasse più avanti la sua zona di raccolta ed eseguisse il movimento su due colonne, il XXX corpo si tenesse pronto ad attaccare le colonne tedesche in marcia a Martis, Bonannaro e Olbia nel caso di loro ulteriori attacchi in forza contro la base di La Maddalena (52). La sera del 13 settembre, unità della XXXIII brigata costiera rioccuparono ponte Mannu sul Tirso ed il bivio di S. Maria del Rimedio, nonostante la resistenza opposta dai tedeschi che con il grosso avevano già superato la linea Macomer-Nuoro, mentre con forti retroguardie corazzate tenevano i nodi rotabili di Macomer e di cantoniera Tirso. Nella considerazione che, nonostante l'accelerazione data ai movimenti, le unità non sarebbero state in grado di attaccare prima del 16, il generale Basso, il mattino del 14, ricevé presso la sede del comando del XXX corpo d'armata in Sassari il comandante della 908 tedesca che gli aveva chiesto l'incontro e, dopo avergli fatto le rimostranze per gli incidenti di La Maddalena, concordò con lui Ja completa restituzione della libertà di azione e di comando agli ammiragli italiani, il ritiro del colonnello tedesco dalla base, lo sgombero totale delle isole dell'arcipelago dalle truppe tedesche, il ripristino a cura della 908 dei collegamenti telefonici con la piazza, la restituzione degli automezzi italiani sequestrati, il libero transito in Corsica fino al giorno 17 delJe truppe tedesche, per le quali il comandante della 90 8 aveva richiesto tempo fino al giorno 19. L'accordo del mattino del 14 settembre contraddiceva in tutto e per tutto l'ordine dello stato maggiore dell'esercito pervenuto al generale Basso la sera del 13 (53). Il fatto dette successivamente motivo al ministero della guerra per una denunzia del generale Basso - per omessa esecuzione di un incarico e per non aver impedito il passaggio delle truppe tedesche dalla Sardegna alla Corsica al tribunale militare di Roma che, con sentenza del 28 giugno 1946, lo assolse con formula piena. Sta di fatto che il grosso delle forze tedesche riuscì a lasciare l'isola, utilizzando motozattere inviate anche dalla Corsica, dall'Elba e da Livorno, ed a sottrarsi all'azione del XXX corpo d'armata italiano iniziatasi il mattino del 17 e conclusasi
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il mattino del 18 con l'occupazione di Santa Teresa di Gallura. La 90a panzergrenadiere, evacuata in Corsica attraverso lo stretto di Bonifacio, trasportata successivamente alla spicciolata per mare e per via aerea a Livorno, dopo sei settimane tornerà in linea nell'Italia meridionale giusto in tempo per contribuire a sventare la tardiva offensiva dell'8" armata britannica lungo la costa orientale italiana in corrispondenza del fiume Sangro. L'accordo del 14 settembre, se da un lato aveva consentito al generale Basso di serrare sotto il dispositivo per iniziare l'azione offensiva, dall'altro aveva indotto i tedeschi ad effettuare lo sgombero della Sardegna anche a costo di abbandonare lungo i percorsi di ripiegamento una parte del materiale. I risultati che il generale Basso si era prefisso con quell'accordo furono conseguiti solo parzialmente e, tutto sommato, l'accordo stesso risultò assai più vantaggioso per i tedeschi che non per le forze italiane. Ciò anche in conseguenza della lentezza dei movimenti delle unità del XXX corpo, dovuta alle interruzioni ed ai campi minati predisposti dai tedeschi, allo scarso concorso dell'aviazione, al mancato sostegno delle batterie della Milmart di cui una parte del personale preferì seguire le sorti dei tedeschi, e alla gravissima crisi morale e disciplinare della Nembo, originata da elementi sobillatori che indussero alcune unità dislocate nelle adiacenze di quelle tedesche a seguire queste ultime in Corsica (54). Il 15 settembre le forze italiane respinsero le retroguardie tedesche a nord delJa Jinea Tempio-Olbia; il 16 le avanguardie della Bari raggiunsero la linea Trinità d 'Agultu-cantoniera Sfossat-Arzachena e quelJe della Sabauda la zona di Macomer; il 17 la Calabria e la Bari attaccarono le retroguardie nemiche ed a sera occuparono Arzachena e Bassacutena congiungendosi tra di loro, dopo che la Bari aveva occupato Palau e la Calabria porto Liscia, Dispensa e la Cantoniera Cucconi; il 18 le colonne del XXX corpo occuparono Santa Teresa di Gallura. I tedeschi riuscirono, dunque, a sottrarsi alla azione italiana e persero, in tutto, 50 morti, 100 feriti, 395 prigionieri, 30 aerei , 6 batterie contraerei, 2 motozattere (distrutte) , 300 autocarri , 1 carro armato, 24 mila casse di viveri e generi vari. Le perdite italiane ammontarono complessivamente a 40 morti e 80 feriti . L'unico risultato positivo fu il mantenimento della sovranità italiana sull'isola, che non cadde sotto il dominio tedesco e che unica regione fra quelle non occupate dalle truppe tedesche - conservò anche la piena autonomia amministrativa senza il controllo del governo militare alleato.
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Ancora più difficile, delicata e drammatica, rispetto a quella delle forze italiane operanti in territorio nazionale, fu la situazione <lelle forze operanti fuori del territorio nazionale e cioè nella Slovenia, nella Croazia, nella Dalmazia, in Erzegovina, nella Dalmazia meridionale, nel Montenegro, nel territorio continentale greco, nelle isole di Creta, di Cefalonia e di Corfù, nell'Egeo ed in Corsica. Benché gli avvenimenti abbiano avuto sviluppi diversi e peculiari in relazione alle particolarità delle situazioni e dei terreni , il risultato finale, prima o poi, fu ovunque lo stesso: l'occupazione di tutti quei territori da parte tedesca, eccezione fatta per la Corsica che , in collaborazione con le forze francesi , venne liberata dall'occupazione tedesca e restituita alla sovranità francese. La Corsica era stata occupata l'll novembre del 1942 da conLiugenli iLaliaui <ld VlI corpo <l'armata, ai 4uali avevano fatto seguito modesti reparti tedeschi che successivamente crebbero di numero (55). Il VII corpo d'armata, posto inizialmente alle dipendenze <lel comando della Y armata, il 15 luglio passò alle dipendenze del comando gruppo armate sud e, infine, dalle ore 20 dell'8 settembre, a quelle dirette dello stato maggiore dell'esercito. Le forze italotedesche presenti nell'isola 1'8 settembre avevano adempiuto fino a quel momento il duplice compito di consolidare le difese contro gli sbarchi anglo-americani e di dare sicurezza al territorio dell'isola contro le bande partigiane favorevoli alla Francia e del tutto ostili all'occupazione dell'isola da parte delle forze italiane e tedesche. Il generale Giovanni Magli (56), che aveva assunto la carica di comandante del VII corpo d'armata il 17 marzo 1943 e quella di comandante di tutte le forze armate dell'isola il 22 agosto, ricevette la sera del 4 settembre la memoria 44: vi era scritto che, nella eventualità di aggressioni da parte delle forze germaniche, il compito delle unità italiane sarebbe stato quello di far fuori la brigata corazzata tedesca ivi dislocata. Il mattino successivo, benché sorpreso dall'arrivo di tale ordine , che non era stato preceduto da alcun preavviso, il generale Magli convocò a Corte, sede del suo comando, i comandanti italiani dipendenti per renderli edotti dei nuovi orientamenti dell'autorità centrale e per illustrare i provvedimenti <la attuare per non farsi sorprendere dall'eventualità prospettata dalla memoria 44. Non appena informato dell'armistizio il generale Magli diramò
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subito appositi ordini, che confermò nei giorni successivi fino al mattino dell'll, diretti sostanzialmente a non modificare nulla della organizzazione in atto e ad orientare le unità ad una reazione immediata ove mai si attentasse da parte di chicchessia ad offendere il sentimento di italiani e di soldati. La stessa sera dell'8 settembre, in un colloquio con il generale comandante delle forze tedesche dell'isola, il generale Magli avvertì questi che da quel momento sarebbe cessato qualsiasi atto di ostilità da parte italiana contro le forze angloamericane e che egli nessun aiuto avrebbe potuto più fornire alle truppe tedesche stanziate in Corsica, che avrebbero dovuto perciò provvedere da sole alla propria sicurezza. Il generale tedesco rispose che avrebbe fasciato l'isola ed il generale Magli gli assicurò che le truppe tedesche avrebbero potuto farlo liberamente portandosi lungo la fascia costiera orientale per raggiungere i porti d'imbarco. Dalla sera dell'8 al mattino dell'll, in un clima di poca chiarezza nei rapporti italo-tedeschi, le unità del generale von Senger provocarono di iniziativa numerosi incidenti durante i quali le forze ilaliane in base agli ordini ricevuti - non accogliere atti di prepotenza... ; al fuoco si risponda immediatamente col fuoco (57) - non mancarono di reagire con immediaLezza e decisione. Il colpo di mano tedesco sul porto di Bardia effettuato improvvisamente alle ore 0,30 del 9 fu all'alba rintuzzato ed i tedeschi riportarono gravi perdite a terra ed in mare. Altre iniziative offensive tedesche al largo di Bastia, a Borgo, a Ghisonaccia, nella zona di Portovecchio (Ajaccio), al bivio di Biguglia, a Migliaccuro e sulle vie di Sartene furono energicamente contrastate, anche se non sempre con successo. Dato il replicarsi degli atti di aggressione, l'addensarsi delle forze germaniche nella zona di Bonifacio con il conseguente blocco dei reparti italiani colà dislocati, lo schieramento della brigata Reichsfuhrer in due blocchi tendenti a paralizzare qualsiasi movimento italiano nella zona di Bastia e il consolidarsi delle forze germaniche lungo la fascia orientale dell'isola, il generale Magli decise di agire vigorosamente e di accogliere ed inquadrare, a ben determinate condizioni, la collaborazione dei patrioti corsi in precedenza rifiutata. Il mattino dell'll egli convocò i comandanti dipendenti e prese contatto con il capo dei patrioti corsi per orientarli sul contegno da assumere. Ordinò alla Friuli di concentrare nella zona di Barbaggio-San Fiorenza-Oleuo un battaglione dell'88° reggimento fanteria, 1'88" legione della milizia e aliquote di artiglieria a traino meccanico per sventare un nuovo eventuale attacco tedesco nella zona di Bastia. Lo stesso giorno 11 , poche ore dopo che aveva impartito tali ordini, giunse al generale
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Magli la comunicazione dello stato maggiore dell'esercito di considerare le truppe germaniche come nemiche e <li applicare ove possibile, la memoria 44 (58). L'intendimento del generale Magli fu di raccogliere le forze, fino ad allora schierate preponderantemente ad ovest ed a nord, verso est, ed a tale scopo divisò un'azione in due tempi: attaccare contemporaneamente le forze tedesche del centro (zona del campo di aviazione di Ghisonaccia) e del nord (fronte a terra di Bonifacio), impedendo a quelle dislocate a sud di muovere in loro aiuto; attaccare con le forze riunite la massa raggruppata a sud, nella zona Portovecchio-Bonifacio, prima che essa potesse ricevere rinforzi dalle unità della 90a divisione proveniente dalla Sardegna. Le previsioni di una temporanea inattività operativa delle forze tedesche non si avverarono: le forze della 908, una volta sbarcate, iniziarono subito il movimento verso nord lungo la rotabile costiera orientale dirigendosi a Bastia per costituirvi una solida base e assicurarsi il trasferimento sul continente. Questo comportamento tedesco impedì la realizzazione del piano predisposto dal comando delle forze armate della Corsica e condusse ad avvenimenti diversi da quelli progettati. La prima fase delle operazioni ebbe inizio il giorno 12. Si combatté il giorno 12 a Casamozza, Bastia e Vezzani; il giorno 13 di nuovo a Bastia ed a Zonza. La sera del 13 le forze tedesche occuparono Bastia dopo violenti combattimenti che provocarono gravi perdite alla Friuli, mentre il mattino dello stesso giorno unità deI1a Cremona uscirono vittoriose da uno scontro presso Zonza protrattosi fino alle 12 quando i tedeschi, battuti, furono costretti a ritirarsi su Quenza. Nei vari combattimenti dei giorni 11, 12 e 13 le forze italiane ricevettero un valido contributo dai patrioti corsi nel campo informativo, in quello dei collegamenti e con atti di guerriglia inquadrati nelle operazioni in corso. Di fronte alla superiorità tedesca in fatto di mezzi corazzati, ai quali non era possibile contrapporre armamenti idonei, il comando delle forze armate decise di assumere atteggiamento difensivo, non disgiunto da azioni offensive là dove fossero possibili. Furono predisposte posizioni di resistenza per opporsi a puntate offensive nemiche nel settore centrale, in particolare in corrispondenza della valle del Golo e· di quella del Trevignano, punti nevralgici della difesa. Le forze italiane assunsero la seguente dislocazione: nella zona settentrionale, la Friuli si schierò nella fascia costiera, un raggruppamento di 5 battaglioni e di 8 batterie nella valle di Golo, il comando del 182° costiero con un battaglione nella zona di Morosaglia; nella zona centrale, un raggruppamento della Cremona si schierò nella conca di Corte, un raggruppamento di bersa-
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glieri e di alpini nella zona del colle di Sorba-Vezzani; nella zona occidentale, si schierò la 226a divisione costiera. Il comando delle forze armate rimase a Corte. Nella zona settentrionale: venne respinto l'attacco tedesco del 14 settembre nella regione di La Barchetta; fu rallentata e successivamente arrestata su di una posizione arretrata l'azione nemica del giorno 17 nella zona di Morosaglia, a Piedicroce. Nella zona centrale si combatté il giorno 17 nella località di Ghisoni ed il giorno 18 nella valle Trevignano, dove l'attacco tedesco venne stroncato. Nella zona meridionale le forze italiane il giorno 15 con un attacco convergente da Acellene a Zonza occuparono Quenza annientandone il presidio, mentre il giorno 16 arrestarono un attacco tedesco nella zona di Lieve. In definitiva, i tedeschi non riuscirono, nonostante i ripetuti tentativi, ad effettuare la benché minima penetrazione nell'interno, mentre conservarono la piena disponibilità della fascia costiera orientale daJJa quale dettero inizio al trasferimento delle loro forze sul continente europeo. Nel frattempo si era iniziato nell'isola lo sbarco di contingenti francesi disposti a collaborare con le forze italiane per la eliminazione delle forze tedesche. Il relativo piano operativo per la conquista di Bastia venne concordato tra il generale Magli ed il generale francese Giraud (59), e prevedeva lo svolgimento di due azioni distinte: una diretta contro la città, con avvolgimento da nord e da sud, affidata ad un raggruppamento tattico (60) misto di truppe italiane e francesi agli ordini del generale francese comandante la fanteria della 4a divisione marocchina; l'altra, diretta lungo la valle del Golo, per impedire l'afflusso di rinforzi da nord, affidata esclusivamnete a truppe italiane (61) poste alle dipendenze del comandante della 225" divisione costiera. Dopo le azioni preliminari dei giorni 29 e 30 settembre, ebbero inizio, nei giorni 1 e 2 ottobre, le operazioni che condussero, il giorno 4, alla completa riconquista di Bastia. Successivamente il corpo di spedizione italiano in Corsica si trasferì in Sardegna. Il movimento, iniziatosi il 9 ottobre, fu ultimato il 25 novembre. Rimasero in Corsica alcuni reparti e servizi con una forza complessiva di circa 7 mila uorruru. Con l'occupazione di Bastia avvenuta la mattina del 4 ottobre ebbero termine le operazioni contro le forze tedesche dell'isola. Il grosso di queste era riuscito ad abbandonare l'isola sotto la protezione di forti retroguardie che furono alla fine sgominate nei primi quattro giorni di ottobre al colle del Teghime, nella zona di OlettaOlmeta-colle S. Stefano, nella valle di Golo a Prunelli, Casacconi e Lucciana, a La Barchetta, alla stretta <li S. Leonardo, nelle alture
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di Furiani, a Casamozza. Dal 9 settembre al 14 ottobre le forze italiane persero in Corsica 637 morti, 537 feriti, 2 152 dispersi. Nei soli giorni dell'offensiva in collaborazione con le forze francesi caddero 245 ufficiali, sottufficiali e soldati italiani. Non mancarono riconoscimenti da parte francese e in particolare compiacimenti ed apprezzamenti dal generale Giraud, dagli altri tre generali francesi che operarono nell'isola come pure dal colonnello britannico rappresentante del comando in capo alleato. Il contributo dato dalle forze del generale Magli alla causa degli alleati in Corsica fu determinante sul piano locale ed altresì notevole su quello generale, in quanto in epoca successiva ritroveremo le divisioni Cremona e Friuli protagoniste della guerra di liberazione.
8. La 2a armata (62), comandata dal generale Mario Robotti (63 ), presidiava la Slovenia, una parte della Croazia, il territorio fiumano e la Dalmazia. Fino al 25 luglio aveva avuto giurisdizione anche sulla Erzegovina e sulla Dalmazia meridionale, che successivamente le erano state sottratte perché passate alle dirette dipendenze <lei comando gruppo armate est. La 2a armata dipendeva direttamente dallo stato maggiore dell'esercito ed aveva la sua sede di comando a Susak. Il generale Robotti ricevé la memoria 44 la sera del 2 settembre ed in conseguenza impartl ai tre corpi d'armata gli orientamenti necessari per raccogliere la maggior parte delle forze su posizioni arretrate idonee ad una difesa manovrata, dopo avere preso accordi con il comando della retrostante 8" armata in base ai quali il XXIII corpo, dislocato nella Venezia Giulia e facente parte del1'8" armata, sarebbe passato, in caso di ordine di applicazione della memoria 44 , alle dipendenze della 2 In relazione allo schieramento delle forze tedesche (64) ed all'orientamento operativo di tenere alla mano una grossa massa di manovra per l'eve ntuale reazione alle mosse germaniche, il generale Robotti previde: lo sganciamento dell'XI corpo mediante il ripiegamento in due tempi sulla linea colle di Rakek-monte Nevoso compreso; lo sganciamento del V corpo per farlo ripiegare sulla linea Susak-monte Nevoso escluso; la costituzione di una massa di manovra con l'Isonzo e la Murge nella zona di Aidussina-Divaccia-Banne, a copertura delle città di Gorizia e di Trieste; lo schieramento in riserva di armata della 1a celere nella 3
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zona di Castelnuovo-Villa Opicina, anche a copertura della città di Trieste; il passaggio della guardia alla frontiera del XXIII corpo alle dipendenze dirette della 2• armata; la contrazione del controllo territoriale da parte del XVIII corpo: limitazione dell'occupazione alla Dalmazia annessa e ulteriore riduzione di giurisdizione sino alle piaz7.e di Spalato, Sebenico e Zara, sulle quali resistere ad oltranza; l'allestimento e l 'armamento di tutte le interruzioni e distruzioni; il trasferimento del comando d 'armata a Trieste e dell'intendenza a Grado. Il pomeriggio del 5 giunsero al comando dell'armata l'ordine di sganciamento della Isonzo e di raccolta nella zona di Postumia , l'autorizzazione per l'arretramento dell'XI e del V corpo sull a linea GoriancoKupa-ferrovia del petrolio-San Giacomo di Silievizza, ed il benestare per la graduale contrazione dell'occupazione del territorio da parte del XVIII corpo (65). Vennero perciò impartite le disposizioni per fare in modo di recuperare il pitt presto possibile le forze nelle mani dei vari comandanti e per fate fronte alle nuove eventuali esigenze operative contro un nemico e ffet tivo che testava tale (i partigiani) e contro il nuovo nemico potenz iale (i tedeschi) . Nello stesso giorno in cui giunse al comando della 2a armata l'approvazione del piano da parte dello stato maggiore dell'esercito , il generale Gastone Gambara, comandante de11'XI corpo d'armata, venne chiamato a Roma, <love la notizia dell'affluenza dai primi di settembre di un intero corpo d'armata tedesco nella conca di Klagenfurr aveva allarmato lo stato maggiore dell'esercito che aveva subito divisato di recuperare il maggior numero possibile delle forze dislocate in Slovenia per avvicinarle alla fronti era e schierarle fra Isonzo e T agliamento a presidio del vecchio confine, mantenendo come avancorpi del sistema la Slovenia sino al Ruppa ed il territorio fiumano. A tale compito sarebbe stato des tinato un grosso raggruppamento di forze costituito da divisioni tratte dalla za e dalla 8a armata: Sforzesca, Cacciatori delle Alpi, Isonzo, Murge, Macerata, Lombardia, ]ulia, Messina, la celere. Le disposizioni definitive scritte - che il generale Roatta non volle consegnare al generale Gambara senza il preventivo benestare del generale Ambrosio - furono pronte alle 19 del giorno 8, ora in cui il generale Gambara, dopo avere fatto presente che gli sarebbe stato necessario un periodo minimo di 10 giorni per attuarle e dopo essersi sentito rispondere che avrebbe avuto il tempo necessario, poté ripartire d a Roma in autovettura. Raggiunto, strada facendo, a Foligno dalla notizia dell'armistizio, egli telefonò allo stato maggiore dell'esercito per conoscere se vi fosse alcunché di mutato, ma ebbe come risposta di attuare nei limiti del
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possibile il piano che gli era stato consegnato qualche ora prima. Giunto a Padova, il generale Gambara prese contatto con il generale Garibo1di interessato all'operazione per 1a cessione della Sforzesca e della Julia e proseguì poi per Susak dove giunse alle ore 12 de] giorno 9 per incontrarsi con il generale Robotti interessato, a sua volta, alla cessione delle altre 7 divisioni e di altre forze. A quell'ora i tedeschi avevano già occupato Trieste e Lubiana, i comandi della Sforzesca e della Lombardia erano già stati neutralizzati e catturati, la situazione nel territorio di giurisdizione della 2a armata era tale da rendere estremamente improbabile l'attuazione dell'operazione affidata al generale Gambara. Malgrado ciò il generale Robotti giunse alla conclusione di far assumere al generale Gambara dalle ore 15 del giorno 9 il comando del raggruppamento di divisioni, di mettergli a disposizione il personale per il funzionamento del nuovo comando e de1l'intendenza di armata, di trasferirsi con il proprio comando tattico da Susak a Lussimpiccolo e successivamente a Zara, di conservare alle proprie dipendenze il solo XVIII corpo d'armata. Vennero suhito dopo emanate, a firma del generale Robotti, le disposizioni per la applicazione della memoria 44 avvertendo di non ricorrere a mezzi estremi, espressione che il comandante del XVIII corpo precisò invitando le sue unità ad applicare le misure della memoria 44 senza spargimento di sangue (66). La missione affidata al generale Gambara (67) fu quanto di più illogico, insensato e scorretto si potesse fare in quei giorni e neppure oggi, a 40 anni di distanza, si riesce a trovare, non diciamo una giustificazione, ma una motivazione od una scusa che 1a renda comprensibile. Perché affidare al generale Gambara, anziché al generale Robotti o al generale Gariboldi, che erano comandanti di armata, il comando di un raggruppamento di 9 divisioni? Ancorché l'annunzio dell'armistizio fosse stato dato il 12 settembre, anziché il giorno 8, come fu possibile assicurare al generale Gambara che vi sarebbe stato il tempo necessario per attuare il nuovo schieramento e il nuovo ordinamento tattico, ben conoscendo la dislocazione frazionatissima e la mancanza di mobilità delle grandi unità? Perché si volle confermare alle 20 del giorno 8, sia pure in termini possibilisti, un ordine la cui attuazione avrebbe probabilmente richiesto più dei 10 giorni preventivati dal generale Gambara? Perché il generale Robot ti ed il generale Garibaldi lasciarono libero il generale Gambara di qualsiasi decisione non ignorando che il mattino del 9 non vi sarebbero stati più né il tempo né il modo per sganciare e concentrare le grandi unità designate e che un così vasto cambiamento di dipendenze in que1la situazione, già tanto
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difficile e complesso, non avrebbe che aumentato la confusione delle idee e l'incertezza della azioni? Nulla da ridire sulla validità teorica del piano elaborato dallo stato maggiore dell'esercito ed approvato dal Comando Supremo, ma non si può non rilevare che la sua attuazione era fuori di ogni possibilità concreta e destinata a fallire in partenza. Mancavano infatti i presupposti reali, in quanto il Comando Supremo era a conoscenza che l'annuncio dell'armistizio sarebbe stato ad horas e che ogni mutamento di dipendenze di quella portata avrebbe di per sé, indipendentemente dall'azione dei tedeschi, determinalO una grave crisi operativa per le incidenze negative che ne sarebbero derivate al funzionamento dei comandi, ai collegamenti cd al supporto logistico. Non si può , inoltre, non rilevare la mortificazione inflitta dallo stato maggiore dell'esercito ai generale Robotti e Garibol<li anteponendo loro un collega meno elevato in grado, e per di più un generale piuttosto chiacchierato, anche se nessuno metteva in dubbio i suoi meriti professionali. Non si può dire come sarebbero andate le cose nell'ambito della 2a armata se non vi fosse stata la turbativa della missione del generale Gambara; è certo però che tale missione concorse ad accrescere lo stato di disorientamento e di confusione dei comandi e la situazione di crisi delle unità, per non dire della pronta disponibilità del generale Gambata nei riguardi dei tedeschi e successivamente della repubblica di Mussolini. Il giorno 11, verso le ore 8, il comandante della 2a armata ricevé dal generale Gambara questa comunicazione: « N. 1170. Vista impossibilità imporre nostra volontà, dato stato morale truppe in posto et situazione particolarmente grave per pressione migliaia partigiani, questo Comando habet concesso ingresso truppe germaniche per occupazione litorale fiumano. Comando Armata et totalità servizi intendenza completamente disciolti. Mancano notizie XI Corpo Armata. Truppe tedesche entreranno a Fiume in giornata. Da ieri pomeriggio situazione interna Fiume-Susak gravissima » (68). Il comando dell'XI corpo d'armata, del quale il generale Gambara il giorno 11 non aveva notizie, era stato bloccato e catturato a Lubiana nelle prime ore del giorno 9; il comando del V corpo aveva cessato ogni attività la sera del giorno 1 O ed il suo comandante era stato messo in libertà dal generale Gambara in quanto non aveva inteso passare al servizio dei tedeschi; il comando del XVIII corpo nel pomeriggio del giorno 10 aveva concluso un accordo con il comando della 114a divisione tedesca cacciatori la quale l'aveva subito violato; il comando del raggruppamento delle divisioni poste alle dipendenze del generale Gambara, installatosi a Susalc il
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giorno 10, era stato posto dai tedeschi nell'alternativa <li arrendersi o di fare causa comune con loro ed il generale Gambara, dopo aver convocato tutti gli ufficiali generali presenti in città ed ascoltatone il parere, aveva deciso di lasciare Susak e di trasferirsi a Fiume, che venne occupata dai tedeschi nelle prime ore del giorno 14. Delle grandi unità de1l'XI corpo, la Cacciatori delle Alpi, il cui comando venne catturato in Lubiana il mattino del 9, raggiunse Fiume con una colonna dei suoi effettivi, dopo aver respinto le intimazioni dei partigiani jugoslavi e aver percorso a piedi centinaia di chilometri. Da Fiume, venuta a conoscenza dello avvenuto scioglimento dell'XI corpo, proseguì per Ruda e qui si sciolse. La Isonzo, riuscita a riunirsi in due blocchi nelle zone di Novo Mesto e di Trebinje ed avuto l'ordine di dirigersi su Fiume, si mise in movimento il mattino del 1O, ma, costretta a venire più volte a patti con i partigiani che chiedevano le armi in cambio della via libera al movimento, venne gradualmente disgregandosi cd alla fine venne sciolta dal comandante che decise di cedere ai partigiani le ultime auni. La Lurnbardia, attaccata alle 5 del 9 settembre da elementi croati, combatté contro di questi una lotta serrata con morti e feriti da entrambe le parti, poi, in seguito a voci allarmistiche circa l'arrivo di formazioni corazzate tedesche, si sbandò e si disperse in più direzioni e la gran parte dei suoi effettivi finì internata in Germania. In definitiva tutte le unità dell 'XI corpo d 'armata dovettero fronteggiare l'azione tedesca e quella partigiana e vennero così a trovarsi in una situazione critica, ma più del ricorso alle armi i comandi intesero utilizzare in entrambi i casi le intese e gli accordi . Vi furono alcuni scontri con i croati che avevano fatto subito causa comune con i tedeschi, ma nel complesso la gran parte delle unità dell'XJ corpo fu vittima sia degli inganni e delle perfidie dei tedeschi, che quasi mai rispettarono i patti, sia dell'ambiguo comportamento dei partigiani, alla ricerca soprattutto di armi. Non mancarono episodi di alto spirito militare, di fierezza e di sensibilità nazionale; vi furono ufficiali e soldati che riuscirono a fuggire o ad entrare nelle formazioni partigiane antitedesche dopo essersi rifiutati di farsi disarmate o di passare dalla parte germanica, ma l'ordine del comandante dell'armata di non cedere al disarmo e di resistere ai tedeschi ed ai partigiani rimase sulla carta anche per la rapidità impressa al corso degli avvenimenti in ogni settore - in particolare a Lubiana, a Novo Mesto, a Kalovac dalle forze tedesche, che impedirono subito un'azione coordinata delle operazioni difensive. Non molto diversi gli avvenimenti nell'ambito del V corpo d'ar-
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mata. La Macerata, che il mattino del 9 si era mossa su due colonne da Delnice e Ogulin su Fiume, strada facendo cedé gradatamente le armi ai partigiani per ottenere la via libera: la colonna partita da Delnice giunse con alcuni reparti disarmati il mattino del 12 a Fiume dove il comandante della divisione dette a ciascuno la facoltà di scegliere, di riprendere le armi e restare in città in servizio di ordine pubblico o di lasciare Fiume isolatamente per proprio conto; la colonna partita da Ogulin, prima a Ravna Gora e successivamente a Delnice cedé le armi ai partigiani e nell'ultima località si lasciò ingannare da costoro, si sbandò, si dissolse e<l i pochi che disarmati proseguirono su Fiume vi giunsero quando la città era in assoluto dominio dei partigiani. La Murge iniziò il movimento su Fiume solo il giorrio 12, perché nel frattempo aveva perso tempo per concludere un accordo con parlamentari partigiani, guidati da un maggiore dell'esercito britannico, circa la cessione di quasi due terzi delle armi in cambio di poter liberamente ripiegare su Fiume. Giunta a Susak il mattino del 14, la divisione riunita passò alle dipendenze del raggruppamento del generale Gambara, il quale comunicò al comandante della divisione l'alternativa posta dalle autorità germaniche: o la collaborazione o l'internamento. I più preferirono l'internamento. Il V raggruppamento guardia alla frontiera, passato il giorno 9 alle dipendenze del generale Gambara, fu da questi sciolto il 17 settembre e la maggioranza dei suoi componenti, per sfuggire alla cattura e all'internamento, si sbandò. La XIV brigata costiera, stretta tra tedeschi, ustascia e partigiani, si dissolse anch'essa in breve tempo: alcuni componenti entrarono nelle file dei partigiani e con questi combatterono contro gli ustascia ed i tedeschi; altri tentarono di sfuggire alla cattura per cercare di raggiungere le coste italiane. Le grandi unità del XVIII corpo d'armata - la Zara e la Bergamo - , sorprese dall'annuncio dell'armistizio frazionate nei numerosi piccoli distaccamenti che avrebbero dovuto controllare tutto il territorio, riuscirono solo parzialmente a raccogliere le loro forze nei presidi maggiori. La Zara, dispersa su di una fronte di circa 100 Km in 23 distaccamenti, recuperò soltanto il presidio di Zara Vecchia, il quale riusci a riunirsi a quello maggiore della città, e quello di Dcvrska; tutti gli altri vennero bloccati da forze motorizzate tedesche che li sopraffecero o li dispersero. Ma neppure a Zara e nel settore di Knin vi fu un'efficace resistenza. A Zara il comando della divisione, nel giro di poche ore, dette alle sue unità tre orientamenti diversi: occupare la cinta difensiva della città, sguarnirla e rientrare in città, tornare a presidiarla, aumentando così le incertezze e le
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depressioni determinate dall'annuncio dell'armistizio. Nel settore di Knin, dove era presente un battaglione croato, l'or<line del comando della divisione di ripiegare verso sud-ovest in direzione di Raducicco giunse solo il mattino del 9, quando una colonna tedesca era già penetrata indisturbata nell'abitato, dove la popolazione croata si era già abbandonata al saccheggio. Sia a Zara sia nel settore di Knin pochi aderirono alla proposta di collaborare come lavoratori con i tedeschi; i più vennero trasferiti nei campi di concentramento; alcuni raggiunsero le file dei cetnici per partecipare alla guerriglia. La Bergamo non riuscì a schierarsi, come da intendimento del comandante della divisione, sulla linea Stobrezio-Klissa-Kozjak-Pergomet-Perkovic-Konjevrate-Sacrdona-Kerka. I presidi di Drnis e Signo vennero sopraffatti la sera dell'8; quelli di Almissa, Makarska e Podgora furono immediatamente circondati da truppe croate e germaniche. Nel pomeriggio del 9 le forze tedesche occuparono Signo ed iniziarono il movimento su Spalato. Qui il comando della divisione concretò accordi con i partigiani per la lotta in comune contro i tedeschi, ma alla sera del 10 il comando del XVIII corpo impartì l'ordine di cedere ai tedeschi tutte le armi ed i materiali, ordine con il quale, in sostanza, si annullavano gli accordi presi dal comando della divisione con i partigiani. Il giorno 11 i tedeschi occuparono Sebenico senza incontrare resistenza. A Spalato, pur nel clima di confusione e di disordine esistente, accresciuto da un violento bombardamento tedesco effettuato il giorno 11, le avanguardie tedesche della 7a divisione corazzata da montagna SS. Prinz Eugen riuscirono ad entrare solo all'alba del giorno 27, dopo che il giorno 24 con un convoglio di 5 piroscafi giunto dall'Italia si erano imbarcati per fare ritorno in Patria circa 3 mila uomini. Altri 700 uomini erano riusciti ad imbarcarsi su 4 motovelieri a Trani il giorno 18. Il giorno 12 vi era stata, inoltre, una trattativa tra il comandante della Bergamo ed un membro dello stato maggiore dell'esercito di liberazione jugoslavo ed il giorno 16 tra lo stesso comandante ed il capo della missione militare britannica in Dalmazia per provvedere all'alimentazione dei militari e dei civili italiani residenti a Spalato e per il trasporto in Italia di coloro che non intendevano unirsi ai partigiani. Circa 1 500 uomini avevano preferito aderire alla lotta partigiana. Ciò che aveva indotto il comando tedesco a far intervenire per l'occupazione di Spalato la Prinz Eugen era stata l'accanita resistenza, durata molti giorni, opposta ai tedeschi dai presidi italiani che non erano riusciti a concentrarsi a Spalato e che rappresentavano la maggior parte della divisione. Di tutte le grandi unità della 2a armata, la Bergam o fu
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la sola ad essere sopraffatta dopo essersi logorata in molteplici resistenze. Ne pagò il fio, oltre che con le perdite subite nei combattimenti, con le fucilazioni, eseguite per rappresaglia, di 3 generali, 5 colonnelli, 1 tenente colonnello, 1 maggiore, 23 capitani e 16 tenenti. Alcune centinaia di soldati di tutte le armi e corpi, sottrattisi alla catura, formarono il battaglione di patrioti Garibaldi che si affiancò all'esercito regolare jugoslavo e continuò la lotta contro i tedeschi sino al termine della guerra. La 1a divisione celere Eugenio di Savoia fu interamente sacrificata dal generaJe Gambara che le ordinò di non opporre resistenza alle truppe tedesche e di mantenere in un primo tempo la dislocazione frazionata nella quaJe era stata colta dall'annuncio dell'armistizio e di raccogliersi in un secondo tempo a Fiume. Un ordine questo ultimo che il comandante della divisione si affrettò a contestare recandosi personalmente a Fiume dal generale Gambara e rappresentandogli le difficoltà e l'alea dell'esecuzione. Il Cavalleggeri di Alessandria restò a Ruppa, armato e:: in ordine, fino al 18 settembre, rifiutando di consegnare 1c armi ai tedeschi, preferendo iniziare operazioni con i partigiani jugoslavi dai quali successivamente fu disarmato a causa di contrasti sorti tra i comandi. Una colonna tuttavia cercò di aprirsi la strada e di raggiungere il deposito nel Friuli, ma durante la marcia venne sorpresa dai tedeschi e catturata. Anche il reggimento Cavalleggeri di Sa/uzzo che, sempre saldo, era rimasto bloccato a Fiume, a disposizione del generale Gambara, non tardò ad avere eguale sorte (68).
9. Il comando gruppo armate est (70) dipendeva direttamente dal Comando Supremo, era retto dal generale Ezio Rosi (71) ed aveva alle dipendenze operative la 9a armata in Albania, il VI corpo d'armata nella Erzegovina e nella Dalmazia meridionale, il XIV corpo d'armata nel Montenegro ed il comando delle forze armate dell'Egeo, che la sera dell'8 settembre passò alle dirette dipendenze del Comando Supremo. Presso il comando era insediato un nucleo germanico di collegamento, retto da un generale, dipendente dal comando della 2a armata corazzata tedesca che aveva sede a Belgrado. Nonostante il diverso parere del comandante del gn1ppo di armate, il Comando Supremo aveva consentito, nel periodo compreso tra il 25
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luglio e 1'8 settembre, che le forze germaniche (72) occupassero tutti gli aeroporti esistenti nella giurisdizione del gruppo e presidiassero il porto di Durazzo, ponendo così di fatto sotto il controllo tedesco tutta la rete stradale ed il maggiore porto dell'Albania. La sera del1'8 settembre il nucleo tedesco di collegamento chiese il disarmo immediato e totale delle unità italiane. Il generale Rosi, che non aveva ricevuto il promemoria n. 2 del Comando Supremo, cercò di prendere tempo e rinviò la trattativa al mattino del 9, ordinando nel frattempo: la riduzione del numero dei presidi ed il raggruppamento delle forze; la reazione contro gli attacchi tedeschi evitando però « finché possibile conflitti con le forze germaniche »; la tenuta ad oltranza dei. porti di Valona, Durazzo e Cattaro; la partenza delle navi italiane e dei velivoli per la Sicilia ed il loro affondamento o distruzione in caso d'impossibilità della partenza. Riprese le trattative la mattjna del 9, il generale Rosi comunicò al generale tedesco che non avrebbe potuto rispondere in merito alla richiesta di disarmo prima del giorno 13 dovendo sentire il Comando Supremo, respinse la proposta di collaborare con i tedeschi, vietò iniziative personali dei comandanti subordinati che avrebbero dovuto attendere i suoi ordini, confermò le zone di radunata per le divisioni del gruppo armate. Verso le 22 del 10 il generale Rosi ricevé dai tedeschi un ultimatum con il quale gli si imponeva la firma immediata dell'ordine di disarmo con in cambio la promessa del rimpatrio via mare delle truppe italiane. Egli cercò ancora di prendere tempo, ma il mattino dell'l 1 i tedeschi circondarono con carri armati ed autoblindo la sede del comando in Tirana, irruppero nei locali, puntarono le armi contro il generale Rosi e lo catturarono con tutti gli ufficiali del comando. Non meno sorpreso dall'annuncio dell'armistizio fu il comando della 9a armata (73), il cui comandante, generale Renzo Dalmazzo (7 4), il giorno 11 fu incaricato dai tedeschi di assumere il comando del gruppo di armate e fu avvertito che tutte le forze che lo componevano erano da considerarsi prigioniere di guerra. Sulla base degli ordini ricevuti dal comando del gruppo armate, il comandante della 9a armata comunicò, la mattina del 9, alle divisioni dipendenti di raccogliersi come segue: Perugia e Parma nella zona di Valona; Brennero nella zona di Durazzo; Arezzo in quella di Elbaran e Firenze in quella di Burreli; Puglie nella zona di Scutari. Soltanto la divisione Firenze poté iniziare i movimenti; le altre ne furono impedite dalle forze tedesche e dall'interruzione generale dei collgamenti a filo che paralizzò ogni comunicazione tra i comandi. Tl 19 settemhre
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il comandante dell'armata venne internato dai tedeschi e i primi di ottobre vennero internati anche tutti gli altri ufficiali del comando. La 9" armata cessò pertanto di esistete dopo che dalle ore 12 del giorno 11 i tedeschi avevano comunicato di considerare l'Albania territorio occupato tedesco. Da quel momento l'armata andò lentamente in sfacelo senza che si fosse tentato alcunché di veramente concreto per opporre un argine al suo dissolvimento, dal quale riuscirono in qualche modo a trarsi fuori onorevolmente in Albania la Perugia del IV corpo e la Firenze del XXV corpc. La Perugia, subito dopo l'annuncio dell'armistizio, cominciò a muovere verso la costa, ma il suo viaggio verso Porto Edda fu una incredibile odissea intessuta di combattimenti, di stenti, di tragiche esperienze. Il 9 settembre una brigata corazzata tedesca, proveniente dalla Grecia e diretta a Valona, intimò al comandante della divisione ed ai presidi italiani incontrati lungo l'itinerario Gjorducati-Atgitocastro-Tepeleni di cedere le armi , ma ricevuti decisi rifiuti si limitò a contrpllare i movimenti e ad incapsulare i reparti minori impegnandoli in combattimenti ai quali parteciparono anche bande <li collaborazionisti tedeschi. La Perugia sostenne combattimenti il giorno 1 O ad Argirocastro. Ricevuto un ultimatum dai tedeschi con il quale gli si intimava di raggiungere con le sue forze la città di Tepeleni, già occupata dai tedeschi, il comandante della divisione, deciso a non ottemperare ed al tempo stesso impossibilitato a muovere con tutte le sue unità verso la costa, decise il giorno 15 di far ripiegare su Valona le unità impiegate nella zona di Argirocastro e di raggiungere con le altre, attraverso la montagna, Porto Edda. Il giorno 19 un aereo italiano lanciò un messaggio del Comando Supremo con l'ordine di raggiungere al più presto Porto Edda e di difenderlo ad oltranza con l'assicurazione che tutti gli uomini non validi sarebbero stati sgomberati in Italia. Il giorno 22 la colonna di cui era a capo il comandante della divisione - 400 ufficiali e 6 000 soldati - dopo aver combattuto a Delvino per aprirsi il passo, giunse a Porto Edda e ne iniziò la sistemazione a difesa, mentre a sera con due piroscafi riuscì ad inviare in Italia gli uomini inabili e circa 2 000 sbandati di varie unità. Altri 2 000 uomini vennero imbarcati su 2 piroscafi che furono fatti salpare all'alba del giorno 25. Intanto verso Porto Edda erano affluite bande di collaborazionisti albanesi e truppe tedesche che il pomeriggio del 26, dopo essersi accostate con natanti che inalberavano la bandiera bianca, aprirono il fuoco; furono però messe in fuga daUe unità della Perugia che catturarono uomini e materiali. Il giorno 26 il Comando Supremo comunicò al comando della divi-
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sione, a mezzo di un messaggio lanciato da un aereo, che i piroscafi per il rimpatrio anzkhé a Porto Edda sarebbero affluiti a Porto Palermo, per cui le truppe, aprendosi un varco fra i collaborazionisti albanesi, si trasferirono a Porto Palermo, dove giunsero il 30 e dove furono impegnate, all'altezza di Borsch, da un massiccio attacco di una colonna motorizzata tedesca che aveva occupato la località. Dopo aver subito gravi perdite, le unità furono costrette ad arrendersi e ad avviarsi, disarmate, nuovamente a Porto Edda. Il 5 ottobre il generale Ernesto Chiminello (75), comandante della divisione, fu fucilato dai tedeschi a Porto Edda, congiuntamente ad altri 120 ufficiali del comando della divisione, e la sua testa, spiccata dal busto e issata su di una picca, fu mostrata come sanguinoso trofeo ai soldati inorriditi (76). Interi reparti, prima della resa, si erano dati alla montagna e circa 3 mila uomini sfuggirono ai rastrellamenti e raggiunsero le truppe della montagna costituitesi presso la Firenze. Sette ufficiali rastrellati il 5 ottobre dai tedeschi a Kalarat vennero trucidati. Le unità della divisione dislocate nel settore di Tepeleni, alle quali si erano aggiunti 350 superstiti di due battaglioni altaccati e decimati da collaborazionisti albanesi lungo la valle della Vojussa, riuscirono a raggiungere Valona, a prezzo di sanguinosi combattimenti dovuti sostenere nei pressi di Drakovica. I 500 superstiti svilupparono a Valona una disperaa tresistenza che si protrasse fino al 20 settembre allorché, stremati e senza rifornimenti , vennero catturati e poi deportati. La Firenze il 9 settembre ricevé l'ordine di concentrarsi a Burreli; nei giorni 16, 17, 18 si trasferì in zona più idonea alla difesa - Qafa Shtames - con l'intendimento di concordare con la Brennero un 'azione diretta a raggiungere e liberare Tirana . In seguito all'evoluzione sfavorevole della situazione Br-ennero impossibilitata a concorrere all'azione, presidio di Tirana disarmato, comando dell'armata circondato, collegamenti interrotti - il comandante della divisione, generale Arnaldo Azzi (77), prese accordi con il comandante dell'esercito nazionale albanese ed avviò la divisione, su 2 colonne, a Kruja, dove il 23 settembre venne accolta da intensa reazione di fuoco dell'artiglieria tedesca. I combattimenti si protrassero fino a tutto il giorno successivo allorché la divisione, dopo aver subito sensibili perdite, fu costretta a ripiegare stùle posizioni di partenza a sud-ovest di Qafa Shtames. Qui, per ragioni logistiche, dovette suddividersi in 4 blocchi. Il 28 settembre il generale Azzi costituì, d'intesa con la missione britannica di collegamento con il comando dell'esercito albanese di liberazione, il Comando truppe
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italiane della montagna, con sede ad Arbona, intorno al quale si raccolsero poi 25 mila uomini che combatteranno per quasi tutta la durata della guerra contro i tedeschi. In Albania le altre grandi unità della 9a armata - Parma e Brennero del IV corpo, Arezzo del XXV corpo, Puglie del settore « 2 » (Scutari-Kossovo), come pure altri raggruppamenti di forze e unità non indivisionate - si distinsero in numerosi episodi isolati contro i tedeschi e i nazionalisti albanesi, ma frazionate e disperse com'erano finirono con il soccombere molto presto. La Parma combatté in molte località e specialmente a Drakovica, dove i tedeschi trucidarono ufficiali e soldati; di essa: un battaglione del 49° fanteria riusd a trasferirsi a Corfù dove partecipò alle operazioni ivi svoltesi fino al 25 settembre; un altro seguì le sorti della Perugia. Della Brennero: due battaglioni si unirono alla Firenze e alle truppe della montagna; un battaglione si trasferì a Corfù dove combatté fino all'ultimo; la gran parte delle altre forze , disarmate, riuscì a raggiungere l'Italia con un convoglio di 5 piroscafi che partl da Durazzo la sera del 25. L'Arezzo, rimasta a Korcia in seguito ad un accordo stipulato con i tedeschi, il 12 mattina ricevé dai tedeschi l'ordine di consegnare le armi e di defluire in territorio greco per raggiungere Florina. Di fronte al rifiuto di obbedire, i tedeschi circondarono le varie unità, le disarmarono e le avviarono a Florina e di là nei campi di internamento in Germania. Molti ufficiali vennero fucilati sul posto per rappresaglia. Riuscirono a salvarsi dalla cattura molti elementi del 226° fanteria i quali, unitisi ad un battaglione del 127° fanteria della Firenze, confluirono nelle truppe della montagna del generale Azzi . La Puglie sostenne anch'essa alcuni combattimenti contro i tedeschi ed i nazionalisti albanesi ed ebbe anche essa i suoi trucidati. Nell'Erzegovina e nella Dalmazia meridionale il VI corpo d'armata (78) sviluppò una reazione abbastanza unitaria contro l'aggressione tedesca e vi impegnò sia le divisioni Messina e Marche sia la XXVIII brigata costiera. All'annuncio dell'armistziio il gruppo armate est assegnò in rinforzo al VI corpo il battaglione alpini Pinerolo ed una batteria del 1° artiglieria da montagna della Taurinense da dislocare nella zona di Trebinje ove giunsero la sera del 9. Il comando del VI corpo venne inoltre autorizzato a concentrare le sue divisioni in un primo tempo presso le sedi dei rispettivi comandi e successivamente a Ragusa. La stessa sera dell'8 il comando della divisione tedesca Prinz Eugen confermò che alle ore 3 del 9 ]a grande unità si sarebbe mossa su Ragusa per subentrare nella difesa della
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fascia costiera alle unità italiane. Il comandante del corpo d'armata rispose che, ove il comando tedesco non avesse desistito o dilazionato l'azione in modo da avete ]a possibilità o di ricevere conferma degli ordini (che si concretavano fino a quel momento nel doversi opporre a qualsiasi aggressione) o di averne dei nuovi, sarebbe stato costretto a contrastare con la forza il movimento su Ragusa. AUe ore 3 del 9 i tedeschi attaccarono su due colonne, ma vennero arrestati. Ripreso il movimento all'alba del 10, questa volta su 3 colonne, i tedeschi riuscirono con la colonna settentrionale, benché ostacolata <.!alla Messina, a procedere a sud di Metkovic verso Siano, mentre la loro colonna meridionale venne arrestata dalla Marche nella zona di Milini e quella centrale urtò contro altre unità della Marche e del battaglione Pinerolo. In tale situazione il comandante del corpo di armata divisò di marciare su Cattaro, ma non ne ottenne l'autorizzazione da parte del comandante del gruppo armate est. Nel pomeriggio del giorno 10 il vice-comandante della Prinz Eugen si presentò al comandante del VI corpo in Ragusa per concordare una linea di azione nuova, non più basata su11a richiesta della resa incondizionata del giorno avanti, ma limitata ad assicurare il controllo con forze tedesche delle località di Ragusa Vecchia, Cupari, Trabinje, Slano. Il generale tedesco assicurò di riarmare i reparti italiani disarmati, di non compiere più alcun atto di ostilità contro gli italiani, di lasciare per allora Ragusa sotto la giurisdizione italiana in attesa delle decisioni delle autorità tedesche più elevate circa la dislocazione definitiva delle truppe italiane e tedesche e l'eventuale cessione da parte italiana di armi pesanti e di mezzi. Ma si trattava di un'abile finta per agire senza opposizione delle forze italiane e, per meglio trarre in inganno, il comandante la Prinz Eugen volle dare una prova di sincerità: poiché il battaglione Pinerolo, mentre attraversava Trebinje in ripiegamento, era stato circondato e costretto a cedere le armi, egli, dinanzi alle rimostranze italiane, si mostrò indignato e ordinò la restituzione delle armi (79). Il comando del gruppo armate approvò l'accordo con i tedeschi ed il giorno 11 dispose la parziale cessione delle armi nel quadro di altri accordi presi con il comando della 2" armata corazzata germanica da cui dipendeva anche la Prinz Eugen. Tali accordi prevedevano anche il passaggio della difesa costiera dalla responsabilità italiana a quella tedesca (80). Tra i due comandi era stato convenuto altresl che le forze del VI corpo si sarebbero concentrate a Ragusa. Le ostilità cessarono il pomeriggio dell'll, ma improvvisamente, la notte su1 12, i tedeschi bloccarono a Ragusa i comandi, le abitazioni e gli alloggiamenti delle truppe
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per disarmare i reparti, dando luogo a scontri episodici nei quali unità della Marche opposero resistenze vivaci. La mattina del 12 il comandante del corpo d'armata ed il comandante della Marche guidarono i reparti all'attacco contro le forze tedesche asserragliate nelJa città vecchia. Le unità italiane si batterono con la forza della disperazione e protrassero la lotta fino a quando il comandante del corpo d'armata ritenne di doverla sospendere perché troppo impari. La resistenza a Ragusa, che si era protratta in accaniti combattimenti anche nelle vie della città, ebbe così termine: il comandante del corpo d'armata ed il suo stato maggiore vennero catturati e internati in Germania; molti militari di ogni grado sfuggirono alla cattura e si affiancarono ai partigiani; i comandanti delle divisioni Marche e Messina rimasero a Ragusa per assicurare la disciplina dei reparti, ma la sera del 13 il generale Giuseppe Amico (80 bis), comandante della Marche, che il mattino del 12 si era posto alla testa dei suoi reparti nell'attacco a Ragusa, venne prelevato e proditoriamente ucciso con un colpo alla nuca. Il VI corpo d 'armata, nel suo insieme, non si arrese senza prima avere tenacemente combattuto. In part icolare: la Messina impegnò, con uno dei suoi due raggruppamenti, durante il ripiegamento inteso a riunire le sue forze disseminate, accaniti combattimenti a Rasovcic durati quattro giorni, mentre riuscl a concentrare prima neJJa zona di Placa e quindi a Curzola l'altro raggruppamento; la Marche arrestò il giorno 9 l'avanzata dei tedeschi provenienti da Gruda e da Ragusa Vecchia; la XVIII brigata costiera riuscì a sgomberare molti dei presidi tenuti dalle sue forze, a contenete la pressione tedesca, a concentrare a Curzola molti distaccamenti, e a salvare 5 500 uomini dalla deportazione organizzando tre convogli che approdarono a Brindisi, a Vieste ed a Bari. Gli avvenimenti del Montenegro - XIV corpo d'armata (81) ebbero uno svolgimento ancora più drammatico di quelli dell'Erzegovina e della Dalmazia meridionale. Il comando del corpo d'armata rifiutò il 9 settembre la cessione delle armi al comandante della 118a divisione cacciatori tedesca ed accompagnò il rifiuto con la comunicazione che avrebbe reagito con la forza a qualunque atto di ostilità. Il giorno 10, in seguito a nuove pressioni di quel comandante tedesco, ricevutane autorizzazione dal comando gruppo armate est, d ichiarò di essere disposto a cedere solo due batterie da 149/35 in postazione costiera fra Antivari e Budva. Ricevuto il giorno 11 l'ordine del comando gruppo armate est di cedere tutte le armi ad eccezione di quelle portatili, delle mitragliatrici, di un plotone mortai per battaglione, delle autoblindo e di una batteria per reggimento,
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e avuta notizia che nello stesso giorno era stato catturato a Tirana il comandante del gruppo armate est e tutto il suo comando, il comandante del XIV corpo d'armata convocò a rapporto a Podgorica i comandanti dipendenti e decise di non eseguire gli ordini relativi alla cessione delle armi, di concentrare l'intero corpo d'armata, di organizzare un'azione organica ed unitaria contro i tedeschi. Di fronte alle difficoltà di attuazione di tale progetto, lasciò arbitri i comandanti delle divisioni di assumere le iniziative che le diverse situazioni locali avessero imposto, fissando le modalità esecutive con le quali ciascuno di essi avrebbe dovuto condurre la lotta. Ma lo stesso giorno 12 i 3 comandi di legione della milizia e 10 battaglioni di camicie nere dislocati nel Montenegro passarono in blocco ai tedeschi, aggravando cosl la situazione generale di per sé già molto difficile. In una nuova riunione a Podgorica il giorno 13 il comandante del corpo d'armata non volle prendere nessuna decisione, malgrado la proposta del comandante della T aurinense di concentrare tutte le forze nella regione di Cattaro per tentare di reimbarcarle e trasferirle in Italia. Il mattino del 15 il comando del XIV corpo venne circondato a Podgorica da un battaglione motorizzato tedesco e venne catturato. Nonostante ciò, un'aliquota del comando del corpo d'armata mantenne fino al 25 settembre contatti con la T aurinense e la Venezia. Questa ultima, dislocata nell'alta valle del Line, settore non ancora invaso dalle truppe tedesche, fu potenziata di personale, di mezzi di collegamento e di rifornimenti tanto che poté unirsi, come del resto la T aurinense, all'esercito jugoslavo nella lotta partigiana. L'Emilia, dislocata a presidio delle bocche di Cattaro, attaccò alle ore 5 del 14 le forze della Prinz Eugen affluite dalla vicina Erzegovina, particolarmente a Cabila, nell'aeroporto di Gruda e a Teodo, e protrasse la lotta fino alla sera del 15, mentre nel frattempo avevano avuto inizio gli imbarchi su navi militari e mercantili che raggiunsero regolarmente i porti dell'Italia meridionale. Nelle due giornate di lotta l'Emilia ebbe 597 morti, 963 feriti, 1 020 dispersi, e la marina italiana che aveva con essa collaborato nella lotta ebbe 50 perdite tra morti e feriti. Anche a Cattaro i tedeschi fucilarono per rappresaglia tre ufficiali italiani che si erano distinti nei combattimenti contro di loro. Le perdite che l'Emilia inflisse ai tedeschi nella sola giornata del 15 furono di 75 morti, 31 feriti e 567 prigionieri. La Taurinense non riusd, come avrebbe voluto, a riunirsi all'Emilia nelle bocche di Cattaro, ma solo a raggiungere, il 16, la conca di Cevo. Avuta notizia che le truppe tedesche si trovavano a Cekanje e Kresta, le attaccò e occupò le due località, coadiuvata da un reparto
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partigiano jugoslavo che nel frattempo si era unito alla divisione. Il comandante della divisione, generale Lorenzo Vivalda (82), venuto a conoscenza di come l'Emilia, sotto la protezione dei battaglioni alpini Exilles e Fenestrelle, fosse riuscita ad imbarcare parte delle sue truppe e come i superstiti della divisione e dei due battaglioni si fossero dati alla montagna, raccolse le sue truppe e si arroccò a difesa delle posizioni raggiunte, dalle quali respinse nei giorni 26, 27 e . 28 settembre vari attacchi tedeschi, finché fu costretto a far ripiegare le unità nella regione di Gornje Polje (a nord di Niksie), già controllata dai partigiani jugoslavi . Qui la divisione respinse reiterati attacchi tedeschi fin verso la metà di ottobre, allorché con i reparti provati e privi di munizioni e viveri, riuscì a sganciarsi ed a riunirsi (15 ottobre) alla Venezia nella regione di Kalusein ove si riordinò su due brigate. La Venezia, agli ordini del generale Giovan Battista Oxilia (83), dette inizio alle ostilità contro i tedeschi attuando un'imboscata contro una colonna motocorazzata tedesca in transito nel suo territorio. Schieratasi a difesa lungo la linea Rijeka-Matesevo, nella zona di Podgorica, vi rimase fino al 9 ottobre quando entrò a far parte del II corpo partigiani jugoslavi. La Ferrara, diversamente dall'Emilia, dalla Taurinense e dalla Vene:da subì gli avvenimenti; solo quakhe reparto (1 gruppo del 14° artiglieria) reagì agli attacchi tedeschi e tentò a Scutari di sbarrare il passo all'avanzata germanica. Solo pochi elementi andarono a riunirsi alle unità della Venezia. Il 20 novembre la Venezia e la T aurinense formarono il corpo d'armata del Montenegro ed il 28 si fusero costituendo la divisione Garibaldi che combatterà a fianco dell'esercito popolare jugoslavo sino alla fine del 1944.
10.
La lla armata (84), comandata dal generale Carlo Vecchiarelli (85), dislocata in Grecia, in seguito ad accordi intercorsi tra il Comando Supremo italiano e l'Alto Comando tedesco si era trasformata in armata mista italo-tedesca e sotto la data del 28 luglio 1943 era passata alle dipendenze operative del comando tedesco del gruppo armate del sud-est (comandante il generale dell'aviazione Alexander Lohr) con sede a Salonicco. La sede del comando dell'll • armata era, invece, ad Atene. Al comando di armata era affiancato uno stato maggiore operativo tedesco con un proprio capo di stato maggiore (generale dell'esercito Heinz von Gyldenfeldt), che era il consulente
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tecnico del comandante italiano per le truppe germaniche e che costituiva l'organo di collegamento fra il comando dell'armata italotedesca ed il comando gruppo d'armate tedesco. La sera del 7 settembre il comando dell'armata ricevé il promemoria n. 2 del Comando Supremo, il cui contenuto rappresentava un cambiamento tanto improvviso quanto drammatico della situazione e dava indicazioni tanto vaghe quanto oscure sulla condotta da tenere. Dopo appena 20 ore giunse ancora più improvvisa la notizia dell'avvenuta conclusione dell'armistizio. Il generale Carlo Vecchiarelli, comandante dell'armata, decise di seguire nei riguardi dei tedeschi la strada delle offerte negoziali, preoccupandosi di evitare da entrambe le parti atti di violenza. Il comando tedesco del gruppo armate sud-est pose, invece, immediatamente il dilemma della continuazione della lotta senza restrizioni a fianco dei tedeschi o della consegna ai tedeschi di tutto l'armamento pesante e dei materia]i. Il comandante dell'armata respinse il dilemma e confermò il divisamento di trasportare tutte le forze italiane in Italia nel più breve tempo possibile, con tutto il materiale mobile. Verso le ore 4 del giorno 9 i tedeschi comunicarono che il comandante del gruppo armate non aveva ratificato la bozza dell'accordo che era stata stilata verso le ore 23 del giorno 8 - le truppe italiane sarebbero rimaste in difesa costiera per 14 giorni e poi sarebbero state rimpatriate con armamento da definirsi e che pertanto egli restava fermo nel suo dilemma, pur assicurando il rimpatrio dell'armata ma in condizioni di pieno disarmo. A nulla valsero le argomentazioni e le proteste del generale Vecchiarelli che, alla fine, accettò la rinunzia a ogni resistenza ed ottenne solo che le unità venissero rimpatriate conservando l'armamento individuale. Concordate le modalità per la cessione dell'armamento pesante e collettivo e per il rientro delle truppe in Italia, mentre i tedeschi avevano già immobilizzato i reparti dell'aeronautica italiana dei campi di Kalamaki e Tatoi (presso Atene) ed avevano occupato gli stabilimenti della intendenza italiana in Atene e mentre giungevano notizie che alcune unità italiane avevano già ceduto alle intimazioni dei locali comandi tedeschi, il generale Vecchiarelli diramò alle ore 9 ,50 del giorno 9 il seguente ordine: « N. 02/25026. Seguito mio ordine 02/25006 dell'8 corrente. Presidi costieri dovranno rimanere in attuali posizioni sino at cambio con reparti tedeschi non, dico non, oltre però le ore 1O giorno 10 alt In aderenza clausole armistizio truppe italiane non oppongano da detta ora resistenza alcuna ad eventuali azioni forze ribelli alt Truppe rientreranno al più presto Italia alt Pertanto una volta sostituite G.U. si concentreranno in zone
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che mi riservo fissare unitamente at modalità trasferimento alt Siano lasciati at reparti tedeschi subentranti armi collettive et tutte artiglierie con relativo munizionamento alt Siano portate at seguito armi individuali ufficiali et truppa con relativo munzionamento in misura adeguata at eventuali esigenze belliche contro ribelli alt Consegneranno parimenti armi col1ettive tutti altri reparti delle Forze Armate italiane conservando solo armamento individuale alt Consegna armi collettive per tutte le Forze Armate italiane in Grecia avrà inizio at richiesta comandi tedeschi at partire ore 12 di oggi alt Generale Vecchiarelli » (86). L'l 1a armata venne cosl consegnata nelle mani dei tedeschi senza nessuna garanzia concreta di poterne quanto meno riportare in Patria il personale, tale non essendo la promessa tedesca che infatti venne subito meno. Già dal giorno 11 i convogli ferroviari che avrebbero dovuto ricondurre in Italia i soldati della armata furono deviati verso i campi di concentramento della Germania e della Polonia, mentre fin dalla resa del giorno 8 aveva avuto inizio una serie di prepotenze e di intimazioni da parte dei comandi tedeschi locali per l'occupazione dei magazzini , depositi, ospedali, parchi automobilistici e per il disarmo di reparti e di militari isolati. La cessione di armi e materiali a cittadini greci da parte di alcuni soldati italiani indusse il comando tedesco ad imporre all'armata anche la cessione dell'armamento individuale, ad eccezione di quello dei carabinieri. La conseguenza fu che in pochi giorni circa 100 mila tra ufficiali, sottufficiali e militari di truppa italiani vennero deportati nei campi di concentramento, compresi il generale Vecchiarelli e il suo stato maggiore. Il 18 settembre il comando dell'armata cessò di fatto di esistere e dopo la prima decade di ottobre non esistettero più truppe italiane in Grecia, salvo 20 mila uomini passati ai partigiani e 25 mila nascosti in varie località con l 'aiuto della stessa popolazione greca. Di questi ultimi, molti rimasero sbandati fidando nell'imminenza dell'arrivo degli anglo-americani, ma alla fine, privi di mezzi di sussistenza, si dovettero consegnare ai tedeschi che li rinchiusero in campi di concentramento o li adibirono a lavori gravosi; anche coloro che si appoggiarono ai partigiani andarono incontro ad amare disillusioni. Numerose furono le reazioni e le proteste degli ufficiali e di molti soldati contro la cessione delle armi e pressoché generale fu il rifiuto opposto alle proposte di collaborazione avanzate dai tedeschi. Malgrado l'ordine del generale Vecchiarelli, che valse tra l'altro a far sospendere, là dove erano già in corso, decise resistenze, vi furono grandi unità - la Pinerolo e la A cqui, alcuni presidi (Eubea,
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Argolide, Creta, ecc .) cd intere unità minori (della Modena, della Casale, della Cagliari, della Piemonte, della Forlì) - che crearono isole di resistenza e seppero battersi nei limiti delle loro possibilità fino a1l 'ultimo prima di cedere o di darsi alla montagna. La A cqui e le altre unità ad essa unite nella lotta antitedesca furono massacrate dopo la resa cd il loro eccidio, mentre resterà ad infamia di chi lo volle e lo eseguì, costituirà memoria imperitura di come i soldati italiani, anche in una situazione tragica e senza scampo, invitati a pronunciarsi su tre soluzioni - contro i tedeschi, con i tedeschi, cessione delle armi - scelsero di ader.ire quasi al cento per cento alla lotta contro i tedeschi piuttosto che optare a favore di soluzioni assai meno rischiose, ma disonorevoli e contrarie al dovere militare. Dalle pire innalzate dai tedeschi per bruciare i cadaveri dei trucidati si elevarono lingue di fuoco che illuminarono per varie notti il cielo dell'isola: nulla potrà mai spegnere quei fuochi ed oscurare quelle luci. La divisione di fanteria Pinerolo , inquadrata nel III corpo di armata e dislocata in Tessaglia, piuttosto che sottostare alle prepotenze tedesche e cedere le armi, preferì accordarsi, per il tramite della missione britannica in Grecia, con i comandanti delle formazioni partigiane greche. Risultato di tale accordo - quanto mai labile e insicuro, ma preferibile ad altre soluzioni (87) - fu che le unità italiane disposte a combattere contro i tedeschi e in grado di raggiungere la montagna avrebbero conservato le armi, poi sarebbero state rimpatriate, mentre nel frattempo sarebbero state rifornite a cura degli inglesi (88). Il comandante della divisione, generale Adolfo Infante (89), decise di concentrare le forze nella regione di TrikkalaKarditza. Nei giorni 16 e 17 vi furono violenti scontri al passo di Kalabaka tra uno squadrone del Lancieri di Aosta ed elementi motorizzati tedeschi che vennero respinti. Il giorno 20 il generale Infante costitul il comando forze armate italiane in Grecia, attorno al quale si raccolsero alcune unità (90) che costituirono caposaldi nelle regioni di Kalabata, Trikkala, Karditza e Karpenision. Il 22 settembre i tedeschi attaccarono le posizioni della piana di Beletzi, ma furono costretti a ripiegare con perdite. Altri scontri si ebbero il 23 settembre a Kalabata e l'l l ottobre a Karditza. Successivamente i rapporti con le formazioni partigiane greche cominciarono ad incrinarsi e poi a guastarsi del tutto. Vani furono i tentativi del generale Infante per porre termine agli inganni ed agli atti intesi sistematicamente ad esautorare gli ufficiali italiani ed a convincere i soldati a cedere volontariamente le armi alle formazioni partigiane. Il 14 ottobre il co-
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mando dell'esercito nazionale popolare di liberazione greco diede improvvisamente l'ordine di disarmare tutte le unità italiane. Vari reparti rifiutarono la consegna e opposero resistenza come, ad esempio, unità del Lancieri di Aosta a Chiana ed a Pirgos. Ad avvenuto disarmo, i soldati italiani furono addirittura rinchiusi in campi di concentramento, nonostante le vigorose proteste del generale Infante e l'intervento della missione britannica. Gravissime le perdite subite dalla Pinerolo e dai reparti che ad essa si erano aggregati: secondo i dati raccolti, ascenderebbero a 1 150 caduti, 2 250 feriti e 1 500 dispersi. Nell'isola di Eubea, dipendente direttamente dal comando del III corpo d'armata, varie unità non esitarono ad unirsi ai partigiani greci, ma, come altrove, i partigiani vennero meno agli impegni assunti , disarmarono tutti gli italiani e li inviarono nei campi di concenti·amento greci. Nel settore autonomo dell'Argolide il presidio reagì all'aggressione tedesca e rifiutò l'intimazione di tesa, ma poi obbedì all'ordine del generale Vecchiarelli e venne callurato e internato in Germania. Nell'isola di Creta, dove le forze italiane dipendevano dal comando tedesco della Fortezza, alcuni comandanti furono fautori della lotta contro i tedeschi e decisero di non ottemperare all'ordine di cedere le armi. Molti uomini optarono per la montagna, ma alla fine rimasero solo pochi nuclei di animosi che riuscirono tuttavia a creare una banda che poté continuare a lungo la lotta. Altri episodi di resistenza ai tedeschi si ebbero a Filiates, nella Ciamuria e nell'isola di Santa Maura. Furono circa 60 mila gli ufficiali, i sottufficiali e i soldati dell'l 1a armata che in un primo tempo cercarono di opporsi e di resistere ai tedeschi: una cifra imponente e tanto più significativa se si tiene conto dell'ordine di resa incondizionata impartito dal comandante dell'armata. Ma fu a Corfù, e soprattutto a Cefalonia come abbiamo anticipato, che la resistenza ai tedeschi si svolse a modo di epopea e si sublimò in una trasfigurazione tralucente di virtù militari, di coraggio e di valore eroico che nessun t ragedo, tra i tanti aborigeni della Grecia, aveva mai saputo immaginare. A Cefalonia non furono uno o pochi a volersi fare eroi, ma un'intern massa di soldati a sancire per referendum <li voler morire piuttosto che disonorarsi. E questo ci sembra che sia l'aspetto più importante di quella vicenda che da sola basterebbe a smentire per sempre le accuse di scarse qualità militari rivolte al popolo italiano. Non si trattò, come tante volte era accaduto, dell'accettazione di un sacrificio imposto dalle leggi dell'onore e del dovere, ma di una libera scelta di migliaia di soldati che anteposero la lotta ai tedeschi ad ogni
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altra considerazione di interesse personale, lasciando così in retaggio alla loro Patria un patrimonio unico ed impareggiabHe che non può essere ignorato o dimenticato e tanto meno andare disperso. Non ci piacciono le infatuazioni, la retorica e tanto meno le mitizzazioni, ma la resistenza italiana a Cefalonia fu un avvenimento fuori dall'ordinario, al di là della comune immaginazione, che va perciò inciso e scandito con caratteri e suoni eccezionali. A Corfù (91) il colonneUo Luigi Lusignani, comandante dell'isola e del 18° reggimento fanteria Acqui, non prese in considerazione il marconigramma pervenutogli dal comando dell'll • armata con il quale gli ingiungeva di consegnare, dalle ore 1 O del 9, al comando tedesco le postazioni fisse antinave e antiaerei. Prese invece accordi, su loro richiesta, con le autorità civili greche dell'isola per la collaborazione dei patrioti alla lotta antitedesca che egli si premurò di organizzare facendo assumere alle forze italiane uno schieramento diverso da quello in atto la sera dell'8 settembre. Quando la sera del 9 gli giunse un nuovo radiogramma del comando dcll' 11" armata con il quale gli veniva ordinato di cedere ai tedeschi le armi co11ettive e tutte le artiglierie con il relativo munizionamento, egli, giudicandolo in contrasto con l'onore militare e coartato sotto minaccia armata, non ne dispose l'attuazione è respinse le intimazioni di resa che i tedeschi gli rivolsero nei giorni 1O e 11 settembre e gli rinnovarono il giorno 13 per il tramite di un parlamentare inviato dal comflndo della 1a divisione da montagna. Intercettato durante la notte sull'll un radiotelegramma del Comando Supremo con il quale gli si comunicava di considerare come nemiche le truppe tedesche, egli si regolò in conseguenza e, senza badare alle minacce e a11e lusinghe, ribadì al comando tedesco che si sarebbe opposto con la forza a qualsiasi aggressione. Costrinse i tedeschi ad accettare un accordo per il quale essi dovevano rimanere nelle loro sedi, non eseguire spostamenti senza il suo preventivo benestare ed astenersi dal fare atterrare aerei e dal far approdare navi . La notte sul 13 il colonnello Lusignani informò via radio il comando del1 'Acqui di controllare completamente l'isola, dove affluirono anche i reparti del presidio di Porto Edda. Dopo il bombardamento aereo che i tedesch i effettuarono all'alba del giorno 13, il comando dell'isola ordinò alle proprie forze di iniziare le operazioni contro i tedeschi presenti nella isola e di aprire il fuoco contro qualunque velivolo tedesco ch e tentasse di atterrare o di bombardare. Venne così stroncato un tentativo di atterraggio durante il quale i tedeschi persero 4 aerei; venne altresì respinto, infliggendogli gravi perdite, un convoglio di navi
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con a bordo un gruppo tattico che tentava di prendere terra (vennero affondati 2 motovelieri ed una motozattera e danneggiati gravemente altri 3 motovelieri). Alla sera del 13 le unità italiane ebbero ragione di parte del presidio germanico e fecero prigionieri 12 ufficiali e 414 militari di truppa, che vennero poi avviati in Italia. Dall'Italia la sera dello stesso giorno 13 giunsero due torpediniere fatte segno, alle ore 9 del mattino del 14, ad un violento attacco aereo tedesco. Il mattino del 15 vi fu un nuovo tentativo di sbarco, presso la località di Benizza, che venne respinto dalle batterie costiere. Dal 13 al 23 settembre l'isola fu ininterrottamente bombardata dalla aviazione germanica, mentre insufficiente fu l'intervento dell'aviazione italiana che pure si prodigò, nei limiti delle modeste disponibilità dello stato maggiore dell'aeronautica, in varie ricognizioni offensive e di bombardamento contro imbarcazioni e natanti rilevati nelle varie baie. Frattanto venne deciso l'impiego a terra dell'equipaggio della torpediniera Sirtori, vennero spostati reparti per la difesa costiera, vennero presi nuovi contatti con i partigiani greci dei qu3li venne completata l'organizzazione per la lotta antiparacadutisti. Venne inoltre tentato invano di stabilire un collegamento radio con il Cairo utilizzando due apparecchi trasmittenti e riceventi portati nell'isola da ufficiali anglo-americani paracadutati all'alba del 20, latori di messaggi elogiativi del comandante in capo inglese del Medio Oriente generale Wilson e dello stesso generale Eisenhower. Il giorno 19 giunsero da Brindisi una motosilurante, la motonave Probitas e le torpediniere Clio e Sirio che furono avviate a Santi Quaranta per imbarcarvi altri soldati che furono poi trasportati a Brindisi. Il giorno 21 giunse la torpediniera Sagittario che diede valido contributo alla difesa contraerei ed antisbarco. Né il Comando Supremo italiano né il comando alleato del Medio Oriente furono in grado di fare di più . La notte sul 24 i tedeschi presero terra sull'isola con tre gruppi tattici della 1" divisione da montagna. Per due giorni la lotta si accese intensa e la situazione delle forze italiane si fece gradatamente sempre più grave fino a diventare disperata. Vennero effettuati spostamenti delle forze di manovra, vivaci rea~ioni di fuoco delle artiglierie, contrattacchi e contrassalti furiosi, ma alla mezzanotte del giorno 25 i tedeschi, che nel pomeriggio avevano catturato e suhito fucilato il colonnello Lusignani, avevano occupato Guvia, l'aeroporto, Skiperon, porto Sudari e porto Roda. Rimaneva in posizione un'unica batteria italiana, che verrà disarmata nei giorni successivi , a Cassiopì. L'attacco tedesco pronunciatosi inizialmente sulla costa occidentale, dove i tedeschi avevano costi-
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tuita una testa di sbarco, dalla quale poterono poi alimentare indisturbati la lotta, riuscì, nonostante le immediate reazioni di fuoco delJe batterie italiane di artiglieria e dei mortai, ad avere ragione in combattimenti notturni delle difese italiane della laguna di Corissia e da qui poté avanzare in profondità e facilitare gli sbarchi degli altri due gruppi tattici che presero terra verso l'alba del 25 nella baia di Lefkimo. Al crollo della fronte meridionale la difesa non fu in condizioni di rimediare ed i tedeschi riusci tono cosl in breve tempo a raggiungere l'ultima linea dei caposaldi montani, violentemente bombardati con aerei fin dall'alba del 25. L'attacco decisivo venne iniziato da due dei tre gruppi tattici, i quali, poco dopo le 12, avvolsero le posizioni principali di sbarramento della difesa a Kato Garuna e sopraffecero anche i caposaldi di Stawros e di Garuna, giungendo all'altezza dell'abitato di Corfù dove, dopo breve combattimento, i resti del presidio dovettero arrendersi. 11 punto di forza dell'attacco tedesco fu il concorso aereo. Le azioni concentrate di bombardieri in picchiata sulle batterie e sui caposaldi, durante 12 giorni, avevano spianato la strada alle forze terrestri che vennero sostenute costantemente anche nelle giornate del 24 e del 25. Il punto debole della difesa fu l'insufficienza dell'appoggio aereo italiano che d'altra parte non poté essete più notevole a causa delle condizioni nelle quali l'aeronautica si era venuta a trovare subito dopo la catastrofe succeduta all'annuncio dell'armistizio ed a causa della scarsa consistenza numerica ed efficienza qualitativa degli apparecchi di linea. La resistenza, malgrado ciò, fu strenua ed accomunò militari di ogni grado dell'esercito, della marina, dell'aeronautica, della guardia di finanza e della milizia che lasciarono nell'isola più di 600 caduti. Ingente fu anche il numero dei feriti. Vennero fucilati sul posto oltre il colonnello Lusignani ed il colonnello Elio Bettini, comandante del 49° reggimento fanteria Parma giunto a Corfù da Porto Edda con un battaglione del suo reggimento, altri 28 ufficiali, mentre altri vennero trucidati ed i loro corpi gettati in mare. Il 10 ottobre migliaia di prigionieri furono imbarcati per essere deportati in Germania e all'apparire di alcuni aerei alleati sorvolanti a volo radente le navi, sperando ne!Ja liberazione, si diedero a manifestazioni di gioia: ma l'intervento delle mitragliatrici tedesche fece strage di essi, mentre anche gli aerei alleati colpirono ripetutamente le navi ed una di esse affondò: solo pochissimi si salvarono a nuoto (92). A Cefalonia (93) le forze del presidio erano agli ordini del generale Antonio Gandin (94), comandante della divisione Acqui, con
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sede del comando ad Argostoli. La resistenza italiana nell'isola ebbe termine alle ore 11 del 22 settembre dopo 8 giorni - le operazioni avevano avuto inizio il 15 settembre - di accaniti combattimenti svoltisi con alterne vicende. Dalla sera del giorno 8 alla mattina del giorno 14 il generale Gandin, pur non dando esecuzione all'ordine del comando della 11a armata, pervenutogli per il tramite del comando dell'VIII corpo d'armata, relativo alla cessione ai tedeschi delle artiglierie e delle armi pesanti, e pur respingendo le ripetute intimazioni ricevute dai tedeschi nei giorni dal 1O al 13 - ultima quella rivoltagli dal comandante del XXII corpo da montagna giunto a Cefalonia nel pomeriggio del giorno 13 con un idrovolante - si tormentò nel dilemma della cessione delle armi o della lotta, rendendo partecipi del suo profondo travaglio spirituale i suoi collaboratori dello stato maggiore ed i comandanti dipendenti più elevati. Le reazioni di questi furono diverse: alcuni si disseto contrari alla cessione, altri no. Il traccheggio, utilizzato anche per prendere tempo nei riguardi dei tedeschi che reclamavano fin dal mattino del giorno 11 una risposta inequivocabile circa la volontà del generale di schierarsi al loro fianco , durò troppo a lungo dando cosl tempo e modo ai germanici di predisporre l'affluenza di rinforzi dalla Grecia. Il generale Gandin, nelle riunioni dei giorni 10 e 11, non mancò di rappresentare l'aleatorietà della lotta soprattutto: per la mancanza di aviazione in grado di contrastare l'assoluta superiorità aerea dei tedeschi che disponevano di 350 velivoli in Grecia; per la esclusione della possibilità di aiuti da parte delle forze italiane in Grecia; per l'incertezza del concorso delle forze aeree e navali anglo-americane del Medio Oriente. D'altra parte, l'azione di propaganda a favore della lotta svolta dagli ufficiali sensibili alle leggi dell'onore e del dovere, le notizie recate dai militari scampati dall'isola di Santa Maura circa l'internamento in Germania contro ogni promessa di rimpatrio delle unità arresesi altrove, l'atteggiamento ed il comportamento dei tedeschi eccitarono gli animi delle truppe sempre più propense alla lotta. All'alba del 13 tre batterie dell'Acqui aprirono il fuoco contro due motozattere cariche di truppe e di artiglierie tedesche presentatesi all'ingresso del porto di Argopoli affondandone una e costringendo l'altra alla resa, e subito dopo diressero il loro tiro contro le forze ed il comando tedesco dislocati ad Argostoli e contro il magazzino tedesco di San Teodoro. Il comando della divisione ordinò la cessazione del fuoco e diramò una comunicazione alle unità dipendenti per informarle che erano state riprese le trattative perché alla divisione venissero lasciate le armi e le munizioni. Ma il generale Gandin si era già - a quel
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punto - orientato al combattimento; volle però preventivamente sentire il parere di tutte le sue truppe, che nella notte furono invitate a pronunciarsi per una delle tre note soluzioni; l'esito gli venne comunicato il mattino del 14: la soluzione della lotta contro i tedeschi aveva riscosso circa il cento per cento delle adesioni (95). Tra il pomeriggio del 14 e le prime ore del 15 le forze vennero suddivise in tre grandi blocchi ed assunsero uno schieramento idoneo a liberare in un primo tempo la penisola di Argosto]i ed a procedere in un secondo tempo verso nord per rioccupare le posizioni di Kardakata e quindi accedere alla penisola di Paliki. L'iniziativa delle operazioni fu presa il 15 settembre dai tedeschi che prevennero l'azione italiana attaccando il settore di monte Telegraphos, la zona di Làrdigo e la zona compresa fra la rotabile costiera e Plaraklata. Nonostante l'intenso ininterrotto bombardamento aereo che preparò e sostenne le azioni delle forze terrestri tedesche, che quasi annientò <lue compagnie italiane e distrusse una sezione da 75/15, la giornata si chiuse, dopo una serie di attacchi e contrattacchi - taluni condotti fino alla arma bianca - a favore delle forze dell'Acqui che a sera aveva riconquistato il monte Telegraphos ed Argostoli, aveva catturato un intero gruppo tattico tedesco (470 uomini e una batteria semoventi) ed aveva costretto al ripiegamento verso Kardalrnta le unità tedesche agenti in quel settore. Nella giornata del 16, malgrado i numerosi sbarchi effettuati dai tedeschi durante la notte precedente nelle baie di Akrotiri, Myrtos, Semos, nella regione di Làrdigo e presso San Teodoro - alcuni frustrati anche con il concorso delle batterie della marina e malgrado l'ancora più intensa azione aerea tedesca (i cui bombardamenti si protrassero fino alle ore 19 per proseguire poi durante l'intera giornata del 17), le unità dell' Acqui attaccarono ripetutamente le posizioni di Kardakata da nord e da sud, occupandone però solo alcuni tratti dai quali i tedeschi furono costretti a ritirarsi. Il giorno 17 le unità italiane attaccarono a sud di Davgata e di Pharsa e, nell'intento di conquistare da nord e da sud Kardakata, il generale Gandin modificò una parte dello schieramento, ma l'azione, sanguinosa e svolta con grande violenza, restò senza risultati. I combattimenti ripresero ìl 18 mattina ed i tedeschi avanzarono lungo la rotabile Angonas-Divarata nonostante che le unità italiane contendessero loro il terreno metro per metro, sia in corrispondenza di quella rotabile sia dell'altra rotabile Lixari-Kardakata. Kardakata restava però in possesso dei tedeschi. I tentativi della Acqui per occupare tale posizione vennero rinnovati la sera del 18 e le unità italiane riuscirono ad affacciarsi sull'istmo di Kardakata, ma vennero poi arrestate dai tedeschi che in
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quella giornata completarono l'arrivo di altri reparti (1 battaglione ed 1 gruppo). Il 19 sbarcarono nell'isola altre due compagnie di un battaglione tedesco di cacciatori da montagna, ma le operazioni terrestri subirono un ristagno da entrambe le parti, mentre l'aviazione tedesca proseguì a martellare l'isola con continui bombardamenti e con il lancio di manifestini contenenti oscure minacce: Chi verrà fatto prigioniero non potrà più tornare in Patria. Il generale Gandin chiese per radio soccorso al Comando Supremo, particolarmente da parte dell'aviazione da caccia, ma ebbe una risposta negativa: « Da Comando Supremo a Cefalonia: impossibilità invio aiuti richiesLi infliggete nemico più gravi perdite possibili alt Ogni vostro sacrificio sarà ricompensato alt Ambrosia» (96). Unico appoggio indiretto fu il bombardamento da parte dell'aviazione anglo-americana dall'aeroporto di Arokos, presso Patrasso, che valse a produrre una sosta nell'offensiva tedesca. Il generale Gandin diramò nella giornata del 20 un nuovo ordine di operazione per la conquista della stretta di Kardakata-Angonas, da sud e da est, che avrebbe dovuto essere attaccata alle ore 6 del giorno 21 (97). Un quarto d'ora prima, formazioni aeree tedesche bombardarono lo schieramento italiano neutralizzando le artiglierie pronte ad iniziare la preparazione, la cui durata era stata prevista pari a mezz'ora, ed interrompendo tutti i collegamenti telefonici. Subito dopo le fanterie tedesche attaccarono in forze dal mare a Rizocuzolo, costringendo i tre battaglioni della Acqui che si accingevano ad attaccare le posizioni di Kardakata a difendersi ad oltranza sulla base di partenza. I tedeschi occuparono q. 852, Pharsa, Lumia e poi attaccarono Plaraklata e Phrankata annientando i difensori e a sera riuscirono a mettere piede su queste due ultime posizioni, recuperando tra l'altro i 470 prigionieri e la batteria semovente già catturati ad Argostoli. Il mattino del 23 tre colonne tedesche, provenienti rispettivamente da Pharsa, Dilinata e Pulata, appoggiate dagli Stukas, investirono i resti di 2 battaglioni del 17° fanteria e 3 batterie del 33° artiglieria, che si difesero con tenacia e disperazione, ma che non riuscirono, nonostante il loro eroismo, ad impedire ai tedeschi il raggiungimento dei loro obiettivi. I superstiti vennero subito trucidati sul posto. Le forze italiane non erano più in grado di difendersi. Il generale Gandin si indusse poco dopo mezzogiorno del 22 a chiedere la resa che venne concessa . Ebbe allora inizio il massacro dei superstiti ordinato dall'Oberkomando Wehrmacht su direttiva di Hitler. Erano caduti in combattimento dal 15 al 22 settembre 65 ufficiali e 1 250 sottufficiali e soldati; altri 155 ufficiali, con in testa il generale Gandin, e 4 750 sottufficiali e truppa vennero trucidati sul posto
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subito dopo la resa. Il barbaro eccidio accomunò i superstiti, capi e gregari, dell'esercito, della marina, della guardia di finanza, senza distinzione di grado. Di quelli che non erano rimasti uccisi in combattimento o che non furono trucidati in posto dopo la resa, alcuni furono mitragliati dopo essere stati ammassati, altri furono internati in una caserma dell'isola, spogliati di tutto, senza assistenza sanitaria, con scarsissima alimentazione, sottoposti ad angherie ed umiliazioni. Parte degli internati furono imbarcati il 13 ottobre per essere trasferiti in Grecia; ma 3 navi urtarono contro le mine e così altri 3 mila uomini, stipati nelle stive e senza possibilità di salvezza, perirono in mare. Molti, mitragliati dai tedeschi mentre tentavano di salvarsi, feriti e sfiniti, vennero abbandonati sulle onde. I superstiti rimasti nell'isola furono circa 2 mila; di questi, i più sfiniti, circa 300, aderirono a lavorare per i tedeschi nella fortificazione costiera, gli altri si raggrupparono in una banda che il 12 novembre, dopo l'avvenuto sgombero dell'isola da parte dei tedeschi, s'imbarcò per l'Italia. Qui giunti i superstiti chiesero di essere inviati immediatamente sulla linea di combattimento per proseguire la lotta contro i tedeschi, tanto eta l'odio che costoro avevano saputo procurarsi con le loro nefandezze senza precedenti nella storia militare . La narrazione degli avvenimenti che configurarono l'immane tragedia di Cefalonia, riportava nel volume dell'ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito (98), risente delle concitate relazioni sui fatti presentate da coloro che ebbero parte nelle vicende all'atto del loro ritorno in patria e negli anni successivi. Lo stesso si può dite per il volume Cefalonia edito parimenti dall'ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito nel 1947 (99) sotto l'allora recente impressione delle varie vicende osservate da angolazioni particolati e settoriali. Da tali relazioni come pure dai due volumi dell'ufficio storico traspaiono, più o meno esplicitamente, considerazioni e giudizi non sempre coincidenti e concordi, anzi talvolta contraddittori ed incerti. Al di sopra di ciò restano i fatti nel loro insieme sul cui svolgimento completo non esistono dubbi e contestazioni di sorta. A Cefalonia il comandante delle forze armate nell'isola, non senza giustificabili esitazioni iniziali, decise di opporsi ai tedeschi solo quando ne ebbe ordine esplicito dal Comando Supremo il mattino del 14 settembre e dopo essersi assicurato, nella notte sul 14, circa la saldezza morale delle forze dell'isola dichiaratesi pronte, nella quasi totalità, alla lotta contro i tedeschi. Probabilmente, se egli non avesse concesso cinque giorni di tempo ai tedeschi prima di attaccarli, le operazioni militari avrebbero potuto avere un corso meno sfavorevole, ma non va dimenticato che
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a Cefalonia, come a Corfù, ciò che soprattutto fece difetto fu il concorso della aviazione da bombardamento e peculiarmente della caccia, sicché i tedeschi godettero della piena disponibilità del mare e del cielo e dal cielo poterono controllare indisturbati Je due isole e scaraventare ininterrottamente su di queste migliaia di bombe e di proiettili di mitragliatrici che neutralizzarono le artiglierie e paralizzarono le fanterie italiane infliggendo loro perdite ingenti di personale e di materiale e provocando interruzioni lunghe e definitive dei collegamenti. Senza il concorso delle forze aeree la superiorità numerica di quelle terrestri non valse da sola, nonostante lo schiacciante rapporto favorevole alle unità italiane, a conseguire il successo. A ciò si aggiunga che il piano di attacco del comando della Acqui non poggiava su di un'ampia e proporzionata apertura di manovra - d'altra parte di difficile ideazione ed esecuzione senza l'intervento aereo e con il grado di scarsa mobilità e meccanizzazione delJe fanterie disponibili - e rientrava negli schemi utilizzati dalla Acqui nella campagna di Grecia, non certo adatti alla situazione ed al terreno dell'isola, il quale ultimo, sebbene prevalentemente montuoso, avrebbe offerto altre possibilità di sfruttamento. Ben diversamente snella e manovrata l 'azione decisiva dei tedeschi del 21-22 settembre, durante la quale un battaglione aggirò ed occupò Argostoli, un altro superò Cocolata, un terzo occupò Kajata, un quarto s'impossessò di Kostantin, mentre un quinto espugnò la dorsale che da Kutavose giunge al mare. Nessun dubbio circa il comportamento nella lotta delle unità italiane che si batterono bene e dettero vita a momenti epici sia nella fase (15-16 settembre) che si risolse in modo favorevole , sia in quella (17-19 settembre) in cui furono i tedeschi ad avere il sopravvento, sia nell'ultima (21-22 settembre) durante la quale, colti di contropiede dall'azione dell'aviazione germanica, i 3 battaglioni della Acqui non poterono muoversi dalle basi di partenza dove rimasero inchiodati per 36 ore fino a quando, difesisi fino al limite del possibile ed oltre, vennero sopraffatti e sconfitti. Considerato sotto il puro e semplice aspetto tecnico-militare, il fatto d'arme di Cefalonia fu un grave insuccesso, gravissimo, ma visto nel quadro generale degli avvenimenti dell'8 settembre esso acquista un valore storico emblematico incommensurabile per la libera scelta collettiva di capi e di gregari di battersi, per la tenacia ed il coraggio con i quali gli uni e gli altri lottarono in condizioni di assoluta sudditanza aerea, per i motivi di onore e di fedeltà al dovere ai quali ispirarono i loro atteggiamenti e comportamenti ben consapevoli di quanto fossero diversi da quelli assunti e seguiti da altri in condizioni molto meno critiche. Entro tali limiti Cefalonia sarebbe
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stata già di per sé una vicenda epica memorabile; l'Alto Comando tedesco, violando tutte le norme etiche e giuridiche tradizionali, proprie degli eserciti dei paesi civili, e sovrapponendo ad un'ecatombe bellica un barbaro eccidio sterminatore a freddo, mentre si macchiò d'infamia, conferì il valore di un'apoteosi alla difesa italiana di quell'isola.
11. Le forze italiane nell'Egeo (100) presidiavano una trentina di isole. La preoccupazione di vigifare ovunque e in qualsiasi momento , anche nell'Egeo come altrove, era stata iJlusoriamente quietata disseminando e frazionando le unità fino ai livelli minimi di squadra e <li plotone talché in un'isola vi era una sola squadra fucilieri, in altre sei un plotone per ciascuna, in altre cinque meno di una compagnia fucilieri ed in quattro una compagnia. l'vlancava del tutto una riserva generale, e perciò un disegno di manovra, per la difesa dell'insieme, e mancavano altresl i mezzi navali di trasporto e di scorta per l'intervento a ragion veduta delle forze dell'una a favore dell'altra isola. Ognuna di queste, pertanto, era considerata tatticamente autosufficiente. Le forze italiane erano, in ogni caso, numericamente preponderanti rispetto a quelle tedesche che, tuttavia, dopo il 25 luglio, per intese intercorse tra il Comando Supremo italiano e l'Alto Comando tedesco, contro il parere negativo del comando superiore locale, erano notevolmente mutate aumentando sia a Rodi, l'isola maggiore dove avevano sede tutti i comandi principali - comando superiore retto dall'ammiraglio Inigo Campioni (101), comando militare dell'isola retto dal generale Arnaldo Forgiero (102), comando della zona militare marittima dell'Egeo, comando marina <li Rodi, comando dell'aeronautica dell'Egeo, comando della divisione di fanteria Regina, i comandi di 4 raggruppamenti di artiglieria (35°, 36°, 55° e 56°), comandi vari di reggimenti e di reparti del genio, dei carabinieri, della finanza - , sia a Scarpanto ed altrove. Sebbene le unità dell'esercito non fossero a pieni organici ed il loro armamento qualitativamente inferiore a quello delle analoghe unità tedecshe, la sera dell'8 settembre, a Rodi, vi erano 37 500 uomini delle forze armate italiane contro una brigata motocorazzata d'assalto Rhodos e 6 batterie contraerei tedesche. La brigata tedesca - 3 battaglioni granatieri, una compagnia carri armati con 15 carri da 24 t, un gruppo esplorante con una quarantina di autoblindo, una settantina di vetturette, camio-
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nette e motocarrozzette armate e blindate, 2 gruppi di artiglieria su 2 batterie cannoni da 105 e da 150 ciascuno, un gruppo pionieri, vari clementi minori e servizi per complessivi circa 6 500 uomini che costituiva la massa di manovra della difesa dell'isola era schierata riunita in posizione centrale. Nel quadro generale deJla difesa dello scacchiere Egeo, le isole di Rodi e di Scarpanto in particolare avrebbero dovuto costituire, con l'isola di Creta, il baluardo difensivo contro azioni anfibie in forze. L'insuccesso delle forze italiane nella difesa dell'Egeo, ed in particolare di Rodi, contro l'aggressione tedesca non può, dunque, essere addebitato ai 15 carri armati da 24 tonnellate ed ai 110 mezzi meccanizzati dei quali godevano i tedeschi, ma anche qui, come in tanti altri scacchieri, a quel cumulo di concause morali, psicologiche e tecnico-militari che configurarono la sindrome dell'8 settembre. La resistenza ai tedeschi nell'Egeo non avrebbe potuto essere protratta a lungo, stante l'isolamento dello scacchiere e l'esiguità delle scorte accantonate, ma avrebbe potuto avere una durata molto maggiore di quella che ebbe. Essa, infatti, fu interrotta, nonostante il favorevole inizio, in seguito ai soliti accordi con le autorità germaniche che, come sempre, non si attennero ai patti, ma anzi li sottoscrissero con la riserva mentale di volerli subito violare. Alla decisione, sen7.a dubbi prematura ed affrettata, presa dall'ammiraglio Campioni nel pomeriggio del giorno 11, di accettate le proposte di resa del generale tedesco concorse la comunicazione fattagli, a nome del comandante in capo del Medio Oriente, generale britannico sir Henry Maitland Wilson (103), dal capo della missione inglese paracadutato la notte fra il 9 e il 1O nel settore di Calitea (Rodi) e confermatagli il mattino dell'l 1 dal colonnello inglese Kenyon, giunto a Rodi dall'isola di Castelrosso: l'armata alleata d'oriente non sarebbe stata in grado di fornire qualche sostegno consistente alla reazione italiana prima di una settimana ad eccezione di qualche intervento aereo e solo entro una quindicina di giorni avrebbe potuto sbarcare, in complesso, una mezza brigata ( 104). Il colonnello Kenyon, posto al corrente della situazione, convenne sul fatto che essa fosse critica e assicurò che l'avrebbe prospettata al suo comando unicamente alle richieste dell'ammiraglio Campioni di invio di aerei da caccia al campo dell'isola di Coo, di bombardamento dei campi di aviazione di Maritza e di Gaddura occupati dai tedeschi, di un intervento inglese almeno dimostrativo verso la zona meridionale di Rodi, ma non si sbilanciò oltre, limitandosi a raccomandare che nel frattempo venisse mantenuto il controllo dell'isola e venisse guadagnato il maggior tempo possibile nell'attesa della risposta del comando del Medio Oriente.
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Dopo di che ripartì per Castelrosso nelle prime ore del pomeriggio quando già l'ammiraglio Campioni, convocata una riunione dei suoi collaboratori, era venuto nella determinazione di trattare con i tedeschi la sospensione dei combattimenti in corso nell'isola di Rodi. La difesa di Rodi (105) dagli sbarchi anglo-americani era stata impostata su di una scacchiera di caposaldi e di centri di fuoco e su di uno schieramento di artiglieria piuttosto avanzato, a causa delle gittate limitate, non coprenti tutto lo sviluppo - 220 Km - della fascia costiera. L'organizzazione si articolava in 5 settori: piazza di Rodi, nella regione settentrionale, articolata a sua volta in 3 sottosettori, comprendenti la città ed il porto; settore San Giorgio, articolato in 2 sottosettori e includente l'aeroporto di Maritza e le rotabili adducenti alla città; settore di Vati, articolato in 3 sottosettori e includente il campo di aviazione di Cattavia, inutilizzabile; settore di Caluto includente il campo di aviazione di Gaddura; settore di Calitea articolato in 2 sottosettori. Ogni settore disponeva di una modesta riserva locale, schierata in avanti per assicurarne un tempestivo intervento, stante la deficienza di mezzi celeri per il trasporto. Ricevuto nella tarda sera del giorno 8 l'ordine del Comando Supremo di assumere verso germanici atteggiamento che riterrà più conforme at situazione e di procedere al disarmo immediato delle unità tedesche dell'arcipelago qualora queste avessero sviluppato atti di forza (106), il comando superiore delle forze armate dell'Egeo, che da quel momento cessò di dipendere dal comando gruppo armate est e fu posto alle dirette dipendenze del Comando Supremo, impartì ordini alle sue unità perché si riunissero e si tenessero pronte a manovrare. Nell'intendimento di attenersi alle disposizioni del Comando Supremo dirette ad evitare che fossero per prime le forze italiane a creare incidenti - peraltro già verificatisi per iniziativa dei tedeschi - l'ammiraglio Campioni conferl personalmente con il generale tedesco comandante della brigata Rhodos il quale, pur con fare garbato, rifiutò di ritirare i propri reparti dagli aeroporti di Maritza e di Gaddura, già occupati, e si limitò ad impegnarsi a non effettuare altri movimenti senza informare il comando italiano oltre quelli fatti compiere nella notte. Ma lo stesso mattino del 9 mezzi blindati tedeschi circondarono il comando della Regina, catturarono il comandante della divisione che si era opposto a disarmare le proprie unità e attaccarono la riserva divisionale, dislocata per aliquote a Campochiaro e monte Profeta, che venne sopraffatta nonostante la resistenza opposta. I tedeschi attaccarono successivamente i vari settori difensivi dell'isola, riuscendo gradualmente a superarne la resistenza con azioni
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di sorpresa o con azioni di forza sviluppate concentrando in successione i loro mezzi corazzati e blindati. Nel corso della giornata del 9, mentre le unità italiane dei settori di Calitea e San Giorgio ripiegavano per ordine dell'ammiraglio Campioni su Rodi e le artiglierie intervenivano sul campo di aviazione di Maritza per distruggervi gli aerei esistenti e sparavano contro i pezzi nemici che svolgevano la controbatteria fino a costringerli al silenzio, i tedeschi tentarono di impadronirsi della zona centrale dell'isola e chiesero la consegna, che fu loro rifiutata, dei monti Fileremo e Paradiso. I combattimenti proseguirono il giorno 1O quando le incursioni aeree tedesche iniziarono a distruggere le postazioni dei vari settori difensivi dove la lotta, caratterizzata da contrassalti e contrattacchi locali italiani, divenne furiosa ed il comportamento delle unità italiane s'impose all'ammirazione degli stessi tedeschi che concessero l'onore delle armi ai difensori del settore San Giorgio. Anche nei sottosettori di Vati e di Calato le posizioni italiane furono aspramente contese ed i tedeschi subirono perdite sensibili. Lanci di manifestini invitanti alla resa,
come anche tutte le altre intimazioni dei tedeschi, rimasero senza effetto. I tre bombardamenti aerei tedeschi sferrati la notte sull'll e durante la mattina dello stesso giorno riuscirono a ridurre al silenzio le batterie italiane di monte Paradiso, di monte Fileremo, del settore di Calitea - con grave danno per l'efficienza della dHesa - ma non piegarono la resistenza che nel pomeriggio indusse i tedeschi, scossi per le perdite subite e per il vano tentativo di congiungere le loro forze di Calato con quelle di Arcangelo, ad arrendersi in quel settore. Mentre stavano per farlo, le unità italiane ebbero l'ordine di cessare il fuoco. Proprio quello stesso pomeriggio erano state predisposte, per l'alba del giorno dopo, alcune azioni offensive per liberare i prigionieri italiani in mano tedesca a Calato e Livoda. La situazione non poteva dirsi certo disperata, quando il comando superiore diramò l'ordine di cessare le ostilità a Rodi ed a Scarpanto, località questa ultima che i tedeschi vollero includere nella convenzione nonostante le proteste dell'ammiraglio Campioni. Questi cedé di fronte alJa minaccia di un bombardamento aereo indiscriminato su Scarpanto. Prima della resa, la maggior parte delle unità navali riusci ad allontanarsi, nonostante che nelle condizioni di resa fosse stato inserito il divieto della partenza; alcune raggiunsero Castelrosso, altre Lero. Il 18 settembre l'ammiraglio Campioni, che in un primo tempo aveva accettato secondo la richiesta tedesca di restare a Rodi come governatore civile, venne catturato e deportato in Germania. Cessata la resistenza, la massa dei militari preferl essere deportata in Ger-
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mania piuttosto che aderire alla richiesta tedesca di collaborazione. Fra il 9 e 1'11 settembre caddero in combattimento a Rodi 143 uomini; altri 300 rimasero feriti. Riuscirono ad abbondanare l'isola, molti rifugiandosi in Turchia, circa 1 850 ufficiali e soldati delle tre forze armate e della guardia di finanza. Risultarono dispersi in mare, nel corso del trasferimento per l'internamento, 6 500 uomini, molti dei quali non toccarono le sponde della Grecia perché i natanti furono fatti affondare dagli stessi tedeschi. Non mancarono anche i trucidati. Nell'isola di Coo (107), la notte sul 10 settembre prese terra paracadutata una prima missione britannica con il compito di mettersi in contatto con il comando italiano e di assicurare il collegamento con il comando del Medio Oriente al Cairo. Il mattino del 13, d'intesa con il comandante italiano dell'isola, presero terra altri ufficiali britannici e 45 commandos; il 14 vi atterrarono aerei inglesi con un modesto reparto sud-africano; nei giorni seguenti vi giunsero altri tecnici e specialisti destinati a migJiorare e potenziare l'assetto del campo di aviazione di Antimachia e due compagnie aviotrasportate britanniche (170 uomini). I bombardamenti tedeschi distrussero, nel frattempo, i velivoli italiani sul campo e costrinsero i britannici ad effetutare soltanto trasporti notturni, nel corso dei quali furono sbarcati, tra l'altro, 24 cannoncini contraerei. Le for7.e britanniche sbarcate operarono in collaborazione con quelle italiane di presidio nell'isola, ma in realtà non vi fu perfetta intesa né un affiatamento completo per una coordinata azione di difesa (108), benché venisse riveduta l'intera sistemazione difensiva dell'isola. Quando, la notte sul 3 ottobre, i tedeschi effettuarono 3 azioni di sbarco - una principale e due concomitanti, la prima presso l'abitato di Coo ed il campo di Lambi, le altre due una ad est, presso capo Foca, e l'altra ad ovest, presso Cardàmena in corrispondenza della baia di Carnate colsero con piena e completa sorpresa sia gli italiani che gli inglesi. Si trattò di circa mille uomini dotati di mitragliatrici, cannoni da 88 e carri leggeri. Le operazioni di sbarco furono integrate da bombardamenti aerei e dal lancio di paracadutisti sul campo di Antimachia. Le forze tedesche muovendo dalla piana di Lenopoti e scendendo dal monte Eremita riuscirono a tagliare ] 'isola in due e ad interrompere i collegamenti impedendo lo sviluppo da parte della difesa di una azione coordinata. Le forze tedesche presero con prontezza il sopravvento sulle unità italiane e su quelle britanniche, nonostante la spontanea, valida e prolungata resistenza di molti elementi difensivi che a sera vennero sopraffatti. Il comando britannico, per evitare che le sue forze fossero catturate, nel pomeriggio del 3 le autorizzò a salvarsi
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riparando in Turchia, sicché da quel momento la difesa venne sostenuta e proseguita soltanto dalle forze italiane. Queste, la sera del 4 ottobre, cessarono la resistenza che durante la giornata era stata gradualmente sommersa ovunque. Al termine della lotta i tedeschi rinchiusero i superstiti nel castello di Coo e nel campo di aviazione. Gli ufficiali furono concentrati a Linopoli, salvo pochi che furono lasciati temporaneamente a Camare. Molti ufficiali , considerati traditori dell'alleanza, furono condotti a gruppi <li 8-10 verso la spiaggia di Linopoli e quivi vennero fucilati, in numero di circa 100, dopo essere stati costretti a preparare con le loro mani una fossa comune (109). La truppa (circa 3 mila uomini di cui 900 inglesi) subì anch'essa un trattamento inumano: la massa degli italiani, diversamente dagli inglesi trattati come prigionieri di guerra, rimase inizialmente nell'isola - 171 uomini fuggirono in Turchia, molti si de tte ro alla macchia e si distingueranno successivamente per l'aperta ribellione ai tedeschi, per gli atti di ostilità, di ostruzionismo e <li sabotaggio - e successivamente fu trasferita in Germania. Il primo convoglio di 700 uomini, partito da Coo il 12 ottobre, fu attaccato da aerei inglesi e costretto a ritornare nell'isola con J 60 uomini mancanti all'appello. Impadronitisi di Coo, i tedeschi vennero nella determinazione di impossessarsi anche di Simi dove al presidio di J 50 italiani si erano aggiunti il 17 settembre 22 commandos inglesi che concorsero alla difesa dell 'isola, sulla quale, preceduti da un vasto bombardamento delle loro forze dell'aria, i tedeschi sbarcarono la notte sul 7 ottobre con un procedimento del tutto simile a quello adottato per la conquista di Coo. Ma lo sbarco di sorpresa fallì per la re~ione immedi ata delle forze italiane e inglesi le quali , dopo alterne vicende ed una lotta serrata di casa in casa, riuscirono a respingere i tedeschi. I tedeschi operarono allora sull'isola ripetuti bombardamenti aerei apportandovi gravi distruzioni. La notte sul 21 il comando britannico <lette l'ordine di sgomberare l'isola. Alle 23 partirono gli inglesi, alle 24 gli italiani con al completo le dotazioni di armi, munizioni, viveri e vestiario. L 'operazione di sgombero fu compiuta brillantemente e segretamente tanto che i tedeschi proseguirono i b ombardamenti per tutta la giornata del 22 ritenendo che vi fossero ancora le truppe italiane ed inglesi, mentre queste erano riparate a Castelrosso. Dopo la resa dell'isola di Rodi, il comando superiore delle forze armate dislocate nell'Egeo venne assunto d 'iniziativa dal generale Mario Saldarelli (110) comandante della divisione fanteria Cuneo, con sede di comando a Samo, dislocata nelle Sporadi meridionali e nelle
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Cidadi, mentre il comando delle forze militari manttune venne assunto dal capitano di vascello, poi contrammiraglio, Luigi Mascherpa (111), comandante della marina di Lero (112). La resistenza nell'isola di Lero fu condotta da forze italiane e inglesi e durò dalla notte sul 12 a quella sul 17 novembre, dopo che l 'isola era stata sottoposta per cinquanta giorni a quasi ininterrotti bombardamenti aerei tedeschi. La collaborazione militare italo-britannica ebbe inizio fin dall'alba del 12 settembre e si sviluppò via via attraverso i contatti e le intese con le varie missioni inviate dagli inglesi nell'isola, alle quali si accompagnarono gli sbarchi di truppe che si susseguirono con ordine fino al 22 settembre nonostante il vero e proprio assedio aereo tedesco inteso a compiere una sistematica opera di smantellamento dei perni difensivi dell'isola. Ad aggravare la situazione di Lero contribuì la caduta di Coo, di Levita e cli Calino che erano venute a costituire ottime basi di partenza per l'attacco che i tedeschi iniziarono alle ore 03 ,30 del 12 novembre sbarcando ad ondate successive nella baia di Alinda con l'intento di occupare il centro dell'isola e poi concentrarsi dapprima al sud e quindi al nord. Le unità navali germaniche vennero avvistate e conseguentemente la difesa non venne colta cli sorpresa, ma ciò non fu sufficiente ad impedire la costituzione di piccole teste di sbarco. Alcuni natanti vennero affondati; gruppi di marinai e minori unità inglesi ricacciarono i tedeschi da alcuni tratti e ripresero una batteria della baia di Bletuti che era stata abbandonata. Nuovi elementi tedeschi presero terra nella parte settentrionale della baia del Grifo ed altri a levante del monte Appetici ove si svolsero lunghi combattimenti con alterne vicende. La situazione italo-inglese venne aggravata da un lancio di paracadutisti (400 uomini circa) effettuato dai tedeschi alle ore 13 .27 del 12. Con l'arrivo di queste nuove forze il settore centrale, a causa della mancanza di riserve a nord (già tutte impegnate) - il comando inglese, malgrado il consiglio datogli dal comando italiano, aveva preferito impiegare buona parte delle sue forze per integrare la difesa della costa anziché schierarla al centro di ogni settore pronta ad intervenire dove fosse occorso - dové da solo parare la nuova minaccia con la conseguenza che la sua azione non fu né immediata né vigorosa. I paracadutisti tedeschi poterono così infiltrarsi tra le posizioni e raggiungere il monte Rachi. I tedeschi non riuscirono però nella prima giornata a conseguire obiettivi consistenti. La notte sul 13 il comando inglese decise di contrattaccare il mattino tra le baie di Alinda e di Gurna e nella zona del monte Appetici per arrestare i paracadutisti nella regione del monte Rachi. Verso l'alba i tedeschi
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attaccarono il comando del I battaglione del 10° fanteria, a nord-est del monte Maraviglia, ma vennero respinti. L'episodio indusse il comando inglese a procrastinare la preordinata azione offensiva. Nella giornata del 13 la lotta si riaccese ovunque ed i tedeschi ebbero ragione delle difese del monte Appetici e del monte Clidi per cui si delineò una situazione preoccupante alla quale il comando inglese pensò di poter fare fronte preparando per il mattino successivo un contrattacco con tutte le forze recuperabili, mentre il comando italiano si affrettò a chiedere a Samo, al generale Saldarelli, l'invio urgente di almeno 800 uomini di rinforzo. Il giorno 14, mentre i tedeschi sferravano una nuova pesante azione aerea sull'isola, si svolse il progettato contrattacco inglese tendente all'eliminazione dei paracadutisti, ma ad esso venne sottratta un'aliquota delle forze preventivate per inviarla a sostegno delle truppe impegnate nella zona del monte Appetici. La non eliminata minaccia tedesca del monte Appetici indusse il comando inglese a rinunciare al contrattacco generale secondo il concetto del giorno avanti ed a far fiancheggiare il contrattacco da sud da un contrattacco contro le posizioni tedesche del monte Appetici (113). L'azione contro i paracadutisti si risolse in un insuccesso. Nel pomeriggio i tedeschi effettuarono nuovi lanci di paracadutisti nel settore centrale, mentre le forze britanniche riconquistarono la batteria del monte Clidi e, sostenute da marinai italiani, contennero bravamente i tedeschi nella zona compresa fra le baia di Pulma e di Blefuti. Alla sera arrivarono da Samo 180 uomini in rinforzo e in un tempo successivo ne giunsero altri 400. Un nuovo contrattacco inglese sferrato all'alba del 15 non ebbe successo, mentre i tedeschi, padroni dell'abitato di Lero e dei dintorni, riprese le azioni aeree di bombardamento, riuscirono a sbarcare altre truppe nel settore settentrionale, attaccarono il castello e l'occuparono nonostante la strenua difesa di un nucleo di marinai italiani. Conquistarono poi le posizioni del monte Meraviglia, ampliarono l'occupazione tra le baie di Alinda e di Gurna e riuscirono a congiungere le forze operanti in questo settore con quelle del settore settentrionale. La lotta infuriò anche il 16 novembre a monte Meraviglia, a porta Vecchia e nella via di Portolago: non pochi furono i tentativi italiani ed inglesi per arginare l'irruzione tedesca da ogni direzione. L'ammiraglio Mascherza rifiutò la richiesta di resa fattagli dai tedeschi alle 12,30 e la difesa, sebbene ridotta ai minimi termini, continuò ancora efficace e tenace. Verso le 17 ,30 il comando inglese, visto che la pressione tedesca sul monte Meraviglia sede del comando britannico si era fatta serrata, decise di
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arrendersi e mandò al comando italiano l'ordine di sospendere il fuoco. Il generale inglese, accompagnato da ufficiali tedeschi che lo tenevano prigioniero, si recò presso il comando dell'ammiraglio Mascherpa per comunicargli personalmente la sua decisione di non aver potuto continuare più oltre la lotta e per ringraziarlo per il ivaloroso contributo e la fraterna collaborazione deg]i italiani. La lotta per Lero ebbe così termine. I tedeschi catturarono 201 ufficiali e 3000 soldati britannici, 351 ufficiali (compreso l'ammiraglio Mascherpa) e 5000 sottufficiali e soldati italiani (fanti, artiglieri, genieri, carabinieri, marinai, avieri , finanzieri , militi). Nel corso dei combattimenti e presso le batterie i tedeschi fucilarono 12 ufficiali italiani. Gli ufficiali ed i soldati italiani, invitati a scegliere tra l'adesione alle forze tedesche, o l'impegno di lavoro a favore di esse, o l'internamento in Germania, scelsero nella grandissima maggioranza questa ultima condizione. Anche l'ammiraglio Mascherpa venne deportato in Germania. La lotta di Lero fu un episodio glorioso della resistenza italiana ai tedeschi e l'eroico comportamento della guarnigione venne additato come esempio da seguire a tutti i reparti delle rinascenti forze armate italiane. Diversamente da Rodi, Lcro andò persa prima di tutto per l'inadeguatezza della difesa contraerei divenuta gradatamente sempre meno efficace nei cinquanta giorni dell'assedio aereo tedesco, per la mancanza de11a reazione aereo-navale all'assedio, per la insufficienza di una serrata e dinamica azione di coordinamento e di direzione da parte del comando inglese resosi responsabile di molteplici incertezze e ripensamenti, per l'imponente impiego delle forze aeree fatto dai tdeschi. Così commentò la caduta di Lero il generale Wilson: « Lero è caduta, dopo eroici combattimenti contro preponderanti attacchi aerei. È stata un'azione intermedia tra il successo e la sconfitta. Ben poco sarebbe bastato a inclinare la bilancia a nostro favore, e a riportare un trionfo. Abbiamo invece patito un rovescio le cui conseguenze sono fin troppo evidenti... Quando assumemmo il rischio in settembre, lo facemmo con gli occhi bene aperti. E tutto sarebbe finito bene, se avessimo potuto prendere Rodi...» (114). All'annuncio dell'armistizio le Sporadi meridionali (Samo, Nicaria e Furni) e le Cicladi (eccettuata Milò tenuta da forze tedesche) etano presidiate dalla divisione di fanteria Cuneo (115). Ad eccezione dei presidi di Samo e di Sita, quelli delle altre isole erano di consistenza modesta. Nell'isola di Samo nei mesi di settembre e di ottobre erano sbarcati alcuni contingenti britannici che concorsero ad incrementare l'efficienza delle opere difensive dell 'isola, dove
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il generale Saldarelli veniva facendo tutto il possibile, d'intesa con le missioni ed i comandi britannici, per porre l'isola in condizioni di resistere agli eventuali attacchi tedeschi. La caduta di Lero mise, però, l'isola in una situazione veramente critica che il generale Saldarelli prospettò, in termini realistici, al generale inglese trasferhosi da Lero a Samo per conoscere se il comando del Medio Oriente fosse o no intenzionato a mantenerne il possesso, occorrendo nel primo caso l'invio di rinforzi immediati, nel secondo la decisione di abbandonarla nella considerazione che rimasta isolata essa aveva perso l'importanza strategica iniziale. Il mattino del giorno 19 il generale inglese comandante britannico dell 'isola comunicò al comando italiano di avere ricevuto l'ordine di evacuare l'isola con le truppe inglesi, greche e con i partigiani in quanto il comando del Medio Oriente si trovava nell'impossibilità di intervenire a favore di ogni resistenza. Il generale Saldarelli, valutata la situazione che si sarebbe determinata per le forze italiane insufficienti alle necessità difensive, decise nello stesso senso del generale inglese, informandone il Comando Supremo che, a sua volta, ne dette comunicazione allo stato maggiore dell'esercito (116). L'jmbarco delle unità ebbe inizio la notte sul 21 novembre e le operazioni si svolsero regolarmente fino al mattino del 22 , quando l'arrivo di siluranti tedesche, prima costrette ad allontanarsi dal fuoco della difesa, poi riuscite ad entrare nel porto, lo interruppe. Alcuni ufficiali tedeschi sbarcati concordarono con l'ufficiale italiano più elevato in grado degli ufficiali rimasti in attesa d'imbarco - un tenente colonnello del 7° fanteria - la resa ed il termine delle ostilità. Nel pomeriggio del 22 le truppe germaniche sbarcarono a Samo e ad esse si unirono alcuru reparti della 24n legione della milizia, mentre numerosi ufficiali, sottufficiali e soldati preferirono darsi alla macchia. Circa 4000 uomini della Cuneo, colta in crisi di trasferimento, riuscirono il 23 novembre ad approdare in Turchia. Nelle isole Cicladi: Sira, nonostante le notevoli forze e l'ordine tassativo di resistere, aderì alla richiesta tedesca di resa, senza opporre alcuna resistenza; ad Andro si combatté per due giorni, dopo che il presidio, nonostante fosse stato sottoposto ad un fuoco di rappresaglia, aveva rifiutato la resa che fu costretto poi ad accettare il mattino del 26; a Nassa la resa ebbe luogo solo dopo che il mattino del 13 ottobre i tedeschi, già più volte respinti, erano riusciti a sbarcarvi in forze. Seguirono la sorte di Nasso anche le isole di Paro e di Siguo. Il presidio di Santorino, con il distaccamento che presidiava Nilo, rimase anch'esso abbandonato alla sorte delle forze
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tedesche che dominavano l'Egeo in mare e nel cielo. È infine da ricordare che il presidio di Termia era stato sopraffatto fin dal 12 settembre e che quelli, invero assai modesti, di Micono e di Tino lo erano stati nei giorni successivi. Molti ufficiali e soldati delle Cicladi riuscirono a darsi alla macchia; alcuni con mezzi di fortuna raggiunsero la costa turca e quindi il Medio Oriente. La maggior parte di quelli rimasti nelle isole, dopo mesi di clandestinità trascorsi nelle privazioni e nelle sofferenze, furono catturati dai tedeschi ed internati in Germania. Gli avvenimenti nel Dodecaneso - ultimo possedimento italiano oltremare - nelle Sporadi meridionali e nelle Cicladi seguirono la falsariga di quelli degli altri scacchieri. La presenza delle numerose missioni britanniche e dei modesti contingenti di forze inglesi, nonché pochi interventi della Royal Air Force, non valsero a modificare l'esito finale della lotta che si concluse con il successo totale dei tedeschi. Il perché questi abbiano voluto oscurare il notevole significato tecnico-militare delle loro imprese aeree, navali e terrestri dandosi a compiere le abominevoli nefandità di Coo e di Lero non trova nessuna risposta, come del resto quella di Cefalonia, dei Balcani e di altrove, non solo sul piano delle esigenze o della sola opportunità e convenienza politica o militare, ma neppure su quello del comune buon senso. Se gli alti comandi angloamericani avessero avuto maggiore capacità d'immaginazione, avessero pianificato e predisposto un intervento coordinato, concordato magari in sede di armistizio, delle loro forze a sostegno della resistenza italiana, se in definitiva fossero stati più accorti e tempestivi, avrebbero potuto evitare la perdita delle isole maggiori e gli scacchi dei reimbarchi di Coo, di Simi, di Lero e di Samo. Un efficace e consistente intervento aereo in operazioni dirette a neutralizzare gli aeroporti caduti in mano tedesca e ad intercettare gli aerei tedeschi da bombardamento che la fecero da padroni su tutte le isole sarebbe bastato da solo a modificare sostanzialmente il corso degli avvenimenti nell'Egeo e non sarebbe andato a detrimento della lotta che in quel momento gli anglo-americani conducevano in Italia . Non si capisce il perché la mezza brigata che sarebbe stata inviata nell'isola di Rodi, qualora qui la resistenza fosse durata altri 15 giorni, non fosse stata approntata preventivamente e non fosse pronta fin dall'8 settembre, come pure resta inspiegabile il fatto che forze navali ed aeree britanniche e statunitensi non siano state predisposte ed allestite in tempo per passare tempestivamente dal Mediterraneo orientale nell'Egeo e quivi imporsi alle unità navali ed aeree tedesche che
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conservarono, invece, fino alla metà di novembre l'assoluta padronanza del bacino. Ciò non toglie che il prematuro cedimento di Rodi in una situazione precaria, ma non disperata, abbia provocato l'indebolimento morale e materiale dell'intero sistema difensivo italiano ed abbia reso vani anche i modesti aiuti che il comando del Medio Oriente inviò a Coo, a Simi, a Lero ed a Samo. Anche in Egeo, in definitiva, come in tutti gli altri scacchieri operativi nei quali 1'8 settembre le forze armate italiane dovettero fronteggiare la reazione tedesca all'armistizio, l'essenza e la realtà degli avvenimenti - dei quali abbiamo narrato gli sviluppi avvalendoci soprattutto delle pubblicazioni e della documentazione dell'ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito - ancorché inquadrati nella tragicità della situazione generale e nella peculiarità dei vari ambienti, ebbero tutti la loro motivazione di fondo nella mancanza di una scelta decisiva di natura morale e tecnica. Le luci - non poche - che illuminano il buio paesaggio della disfatta non vanno né spente né messe sotto il moggio, ma limitarsi a fissare lo squadro su di esse, senza badare al fosco panorama dal quale si elevano, sarebbe il più grave dei tradimenti consumati ai danni della nazione, delle forze armate e peculiarmente dell'esercito. L'8 settembre non fu solo una disfatta politica e militare, ma prima ancora una débacle psicologica e morale. Tacere od obliare tale aspetto, o solo .minimizzarlo, non è compatibile con il senso di verità e di responsabilità con il quale debbono essere considerati quei fatti perché non abbiano a ripetersi. All'ordine di quel disordine umiliante vi furono una crisi di pensiero e un'obnubilazione spirituale, maturate nel ventennio precedente, che falsarono la visione dell'intera realtà e raggiunsero le sponde dell'anarchia morale. Le decisioni politiche e militari non presero in considerazione gli imperativi inviolabili dell'etica del comando di cui ogni autorità deve sempre tener conto. La decadenza di tali principii nei capi è decadenza della nazione e come tale coinvolge tutti. Nessuno può legittimamente aspirare a guidare altri uomini senza un consapevole senso morale di autodisciplina, di rettitudine, di misura in ogni atto, in ogni espressione ed in ogni rapporto e senza una concreta visione della realtà umana nella quale i valori dello spirito debbono sopravanzare quelli della materia e della tecnica.
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NOTE AL CAPITOLO XLI (1) Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le opera-
zioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943. Tipografia Regionale, Roma, 1975, pp. 50-51. (2) Le forze terrestri italiane effettivamente presenti al completo nella difesa di Roma - a parte le due divisioni costiere - erano le divisioni di fanteria Granatieri di Sardegna, Piacenza, Sassari, la divisione motorizzata Piave, la <livisione coraaata Ariete e la divisione corazzata Centauro (già M). Vi erano inoltre aliquote delle divisioni di fanteria Re e Lupi di Toscana giunte il mattino del giorno 8. « Si trattava di unità per la maggior parte fra le più solide e antiche dell'Esercito, molte delle quali onuste <li tradizioni <li gloria, ma non potevano essere considerate sullo stesso piano per un complesso di fattori soprattutto di carattere organico e, per la Centauro e le truppe ai depositi, anche morale». (Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Op. cit. di cui alla precedente nota n. 1, p. 90). Corpo <l'armata motocoruz:<ato {gen. Giacomo Carboni):
- divisione di fanteria Granatieri di Sardegna (gen. Gioacchino Solinas): 1° e 2° granatieri, 13 artiglieria da campagna, XXI battaglione mortai da 81, 221" compagnia cannoni controcarro, XXI battaglione genio e unità di servizi. In totale: 12 mila uomini, 48 pezzi di artiglieria divisionale, 40 pe:ai di artiglieria di accompagnamen to, controcarro e contraerei, 24 mitragliere da 20 contraerei, 2 320 quadrupedi, 500 automezzi, 80 motomezzi; - divisione motorizzata Piave (gen. Ugo Tabellini): 57° e 58° fanteria motorizzata, 200 artiglieria, X battaglione esplorante corazzato, 180a compagnia bersaglieri motociclisti, X battaglione armi controcarro e di accompagnamento, CX battaglione misto genio, DLX gruppo semoventi, 10" reparto compienti e unità servizi. In totale: 6 mila uomini, 48 mitragliere da 20 contraerei, 88 pezzi di artiglieria, 2 mila automezzi, 400 motomezzi; · - divisione corazzata A riete (gen. Raffaele Cadorna): V brig.ita corazzata con i reggimenti Lancieri di Montehello (RECO), corazzato Vittorio Emanuele II, motorÌZ7.ato Cavalleggeri Lucca, CXXXV battaglione semoventi controcarro, 135" corazzato e 235° controcarri reggimenti di artiglieria, CXXXIV battaglione misto genio e le unità dei servizi. Fu rinforzata con il 1° reggimento artiglieria celere che per<> cominciò ad affluire soltanto con inizio dal giorno 9. In totale: 7 500 uomini (in luogo dei 9 500 organici), 176 mezzi blindo corazzati (compresi 40 carri o semoventi e 50 auroblindo), 92 mitragliere da 20, 84 pezzi di artiglieria; - divisione corazzata Centauro (gen. Carlo Calvi di Bergolo): brigata corazzata con il I gruppo battaglioni Tagliamento, II gruppo battaglioni Montebeilo, gruppo carri Leonessa; raggruppamento artiglieria Valle Scrivia, CCV battaglione guastatori, elementi dei servizi. 11 giorno 9 fu rinforzata con il J8° reggimento bersaglieri (RECO). Era stata costituita nel maggio del 1943 con la denominazione di divisione « M » su proposta di Himmler a Mussolini per dotare l'esercito di una unità di fedelissimi. Aveva incorporato inizialmente 40 ufficiali tedeschi delle SS. La Germania aveva ceduto per il suo armamento 24 carri armati, 12 semoventi, 24 pezzi contraerei, 60
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mitragliatrici zione: erano camicie nere. gliere da 20,
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e 30 lanciafiamme. Dopo il 25 luglio aveva subito una lenta trasformastati sostituiti il comandante ed il vice comandante, 50 ufficiali e 700 In complesso disponeva di 5 500 uomini, 36 carri e semoventi, 8 mitra20 pezzi controcarri, 44 pezzi di artiglieria;
- 18" reggimento bersaglieri corazzato: 1 compagnia autoblindo, 2 compagnie carri L, 1 compagnia motociclisti, 1 compagnia semoventi da 47 /32, 1 compagnia mitragliere contraerei da 20. La maggior parte giunse il mattino del giorno 9. Il corpo d'armata inquadrava altresì il 1° artiglieria celere Eugenio di Savoia in trasferimento da Vicenza, un raggruppamento artiglieria contraerei, una compagnia semoventi, una sezione topografi per artiglieria, XI raggruppamento genio, la 135" compagnia artieri, la 83" compagnia marconisti e le unit.~ dei servizi. XVll corpo d'armata (generale Giovanni Zanchieri): - divisione di fanteria Piacenza (generale Carlo Rossi): 111° e ll2° fanteria, Clll battaglione mortai, 303" compagnia cannoni controcarro, 37° artiglieria da campagna (rinforzato dal IV gruppo del 1° Cacciatori delle Alpi e la 1° sezione artiglieria contraerei), elementi minori e unità dei servizi. In totale: 8 500 uomini, 8 mitragliere da 20 contraerei, 36 pezzi di artiglieria divisionale, 26 pezzi di rinforzo, 32 pezzi di accompagnamento, contraerei, controcarri; - divisione cli fanteria Re (generale Ottaviano Traniello): l " e 2° Re (II/1° ancora a Postumia, II/2" in viaggio), XIII battaglione mortai da 81 (in viaggio da Padova a Bologna), 23° artiglieria da campagna (comando a Postumia), Il gruppo in viaggio a Ferrara, III gruppo presso Postumia insieme alla batteria contraerei da 20, XIII battaglione antiguerriglia, 13a. compagnia cannoni controcarro (in viaggio a Firenze), 75.. legione milizia (in viaggio da Padova a Bologna), 13a compagnia genio pionieri (in viaggio), n~ compagnia genio r.t., 28" sezione fotoelettricisti (in viaggio), unità dei servizi. Fu rinfon:ata dal 9 sellembre dal II gruppo dal 34° artiglieria e dal battaglione semoventi della Sassari (meno una compagnia passata alle dipendenze della Granatieri). In totale: 2 500 uomini e 13 pezzi; - divisione di fanteria Lupi di Toscana (generale Ernesto Cappa): 77° e 78° fanteria, VII battaglione mortai da 81, 7.. compagnia cannoni controcarro, 30" reggimento artiglieria da campagna, una batteria da 20, 26.. compagnia genio artieri, 7a compagnia mista genio r.t. , 12" sezione fotoelettricisti, unità dei servizi. Il mattino <lei 9 vennero assunti alle sue dipendenze: il 10" reggimento arditi, il comando e il li gruppo battaglioni d'istruzione, il III battaglione allievi capisquadra, un reparto del reggimen to San Marco , il comando del IV gruppo appiedato Genova cavalleria, un battaglione della 73' legione della milizia, la 2' compagnia del CCCCXXXXV battaglione costiero. Il 9 settembre le vennero assegnate 2 batterie da 88. I primi elementi (1400 uomini) giunsero 1'8 sertembre nella zona di ladispoli ; - divisione costiera 220' (generale Oreste Sant'Andrea), schierata su di una fron te di 180 Km dal fiume Astura escluso al torrente C..hiarnne, a sud di Orhetdlo; 111 ° e 152'' costiero comprendenti in totale 2 gruppi appiedati del Genova cavalleria e una legione milizia, CCCXXV battaglione costiero, CV [l r gruppo artiglieria da posizione costiero, deposito scuola guastatori del genio con 2 battaglioni, il comando DICAT. In totale: 4 000 uomini; - divisione costiera 221" (generale Edoardo Minaja), schierai~ su <li una fronte di 110 Km dal Garigliano all'Astura, a sud <li Nettuno: 4° e 8° costiero con un totale di 3 battaglioni, I gruppo appiedato Savoia cavalleria, la scuola di artiglieria comraerei <li Sabaudia, la scuola artiglieria costiera <li Torre Olivola (Terracina) e la
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batteria della scuola costiera della mili7.ia a Gaeta. Forze totali: 3 200 uomini. Il XVII corpo d'armata, oltre gli elementi del comando e la 176• sezione carabinieri, inquadrava il LI battaglione misto collegamenti, la difesa del porto di Civitavecchia (inglobata nel settore della 220a costiera), le scuola di artiglieria di Nettunia e di Sabaudia, il 23° raggruppamento artiglieria, il 100 raggruppamento genio, vari nuclei antiparacadutisti, elementi minori , unità dei servizi. Corpo d'armata di Roma (generale Alberto Barbieri): - divisione fanteria Sassari (generale Francesco Zani): 151 ° e 152° fanteria, XJT battaglione mortai, XII battaglione semoventi, 12• compagnia cannoni controcarro, 79a legione milizia, 34° artiglieria da campagna, V battaglione gu;istatori, CXII battaglione misto genio, 34a. compagnia mista trasmissioni , 27a sezione fotoelcttricisti, unità dei servizi. In totale: 12 000 uomini, 24 mitragliere da 20, 48 pezzi di artiglieria divisionale, 32 pezzi di accompagnamento, controcarri e contraerei, 24 s.emoventi ; - 4° reggimento fanteria carrista (impiegabili 1 500 uomini, 11 mitragliere da 20, 18 camionette d'assalto, 31 carri, 11 semoventi); - truppe ai depositi (male armate, sairsamente addestrate, classi anziane): c1rca 2 000 uomini più 3 000 dei battaglioni addestramento capisquadra; - carabinieri reali: impiegabili 4 000 uomini su 9 000 effettivi; - baltaglione d'assalto motorizzalo «A,. (italinni all'estero), impiegato per la difesa delle sedi dei comandi militari (un'aliquota a Monterotondo presso la sede operativa dello stato maggiore dell'esercito); - guardia di finanza: impiegabili 1 400 uomini su 2 600 effettivi: - polizia Africa italiana: circa 1 300 uomini bene armati, autoportati e bene equipaggati (3 battaglioni, 1 compagnia carri L , lanciafiamme, 16 autoblindo); - metropolitani: un battaglione speciale (520 uomini) rientrato dalla Croazia. Il corpo d'armata inquadrava inoltre: il comando artiglieria (avente alle dipendenze 42 batterie di vario calibro), un battaglione lanciafiamme, il comando , genio (con una compagnia mista), 10 nuclei antiparacadutisti. Un battaglione carri del 4° carristi, una compagnia bersaglieri ciclisti del deposito 2° reggimento e la compagnia mista genio costituivano riserva mobile. Dipendevano, inoltre, per l'impiego altri elementi normalmente inclusi nella giurisdizione del comando difesa territoriale di Roma (TI battaglione chimico, un battaglione nebbiogeni, reparto autonomo Giacomo Medici). La difesa avrebbe potuto contare sulle modeste aliquote dell'aviazione ausiliaria dell'esercito e sulla llP squadra aerea (64 caccia, 57 da bombardamento). In totale: 70 700 uomini dei quali 63 000 impiegabili; 348 mezzi blindo-corazzati ( 168 carri e semoventi, 66 autoblindo, 114 mezzi blindati vari), 223 mitragliere contraerei da 20, 534 pezzi contraerei, controcarri, di accompagnamento, armamento dei carri e dei semoventi. (3) Le operazioni de/te unità italiane ecc. Op. cit., pp. 115-116. (4) Veds. capitolo XXXlX, nota n. 80. (5) Albert Kesselring, Memorie di 1!,Uerra. Gananti, Milano, 1954, p. 203. (6) Giorgio Carlo Calvi di Bergolo (1887-1977), generale di divisione. Sottotenente di cavalleria nel 1908; nel 1915 fu trasferito sulla fronte italo-austriaca dove rimase fino al termine de.lla campagna con i gradi di tenente e di capitano. Nel 1937, da colonnello, comandò Nizza cavalleria e nell'aprile del 1938 fu trasferito in Libia quale
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comandante della cavalleria libica. Nel 1941 passò a disposizione del Superlibia e nel 1942 fu assegnato all'ispettorato delle tn1ppe motorizzate e corazzate con funzioni di ispettore. Da generale di divisione, fu trasferito nuovamente in Libia e successivamente in Tunisia. Dal 1° marzo 1942 comandò la Centauro. Dopo essere stato a disposizione del Superlibia, riassunse il comando della Centauro nd luglio del 1943. La sua divisione si · sciolse il 10 settembre, giorno in cui fu nominato comandante della città aperto: di" Roma. Il 25 settembre i tedeschi assunsero il comando e il controllo diretto di Rorila e lo deportarono in Germania. Unico dei protagonisti della difesa e della resa di Roma che non scrisse memoriali e non concesse mai interviste. (7) .Kurt Student, generale tedesco. Entrò nell'aviazione militare nel nata la, -p rima guerra mondiale, organizro segretamente i primi reparti dell'esercito tedesco. Nel 1940 comandò la 7.. divisione paracadutisti in ferito a Rotterdam. Alla testa dell'XI corpo conquistò nel maggio del Nel 1943 organizro la liberazione di Mussolini da Campo Imperatore.
1914. Termiparacadutisti Olanda e fu 1941 Creta.
(8) Leandro Giaccone, Ho firmato la resa di Roma. Cavalloni editore, Milano, I 973., pp. 146-147. (9)•Enrico Caviglia. Veds. cap. XIX, nota n. 26.
(10) kandro Giaccone. Op. cii., pp. 168-169. (1~) Ibidem, p. 166. (12) Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943. Op. cit., da p. 142 a p. 171. Alle ore 20 dell'8 settembre la situazione della 4a armata era la seguente: - comando dell'armata (generale Mario Vercellino): S. Jean (Sospello); -;-. comando I corpo d'armata (generale Federici Romero): Grasse: · · - 223a divisione costiera: La Colle (in trasferimento verso il Varo); - 224a divisione costiera: Nizza; ~ i raggruppamento guardia alla frontiera: presidio della frontiera italo-francese lungo I~ linea Monaco-Monte Afel-Aution; - truppe e servizi di corpo d'armata;
-
comando XXII corpo d'armata (generale Alfonso Ollearo): H yeres: divisione di fanteria Taro: Bormes (era in marcia di trasferimento verso il confine italiano); - elementi della divisione di fanteria Lupi di T oscana; in attesa di par tenza per ferrovia per raggiungere il Lazio; - truppe e servizi di corpo d'armata. Nella sua giurisdizione erano incluse le forze della piazza di Tolone (10 436 uomini comprendenti alpini, reggimento S. Marco, unità della milizia); e
-. su circa -
comando del XV corpo d'armata (generale Emilio Bancale): Genova: 201a divisione costiera: schierata fra Mentone e punta del Mesco (La Spezia) 300 Km di fronte; elementi della guardia alla frontiera; truppe e servizi di corpo d'armata;
- divisione alpina Pusteria: Grenoble (in trasferimento dalla Savoia verso il Piemonte);
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- 23 divisione celere Emanuele Filiberto: Venaria Reale (in corso di avanzato trasferimento in Piemonte, da Cuneo verso Torino); - truppe d'armata: XX raggruppamento sciatori, artiglierie, genio; - intendenza d'armata: Beaulieau (Nizza). (13) Mario Vercellino (1879-1961), generale d'annata. Sottotenente <li artiglieria nel 1899; frequentò poi la scuola di guerra e prestò per lunghi anni servizio di stato maggiore presso numerosi comandi in patria e in colonia, partecipando alla campagna libica e alla prima guerra mondiale. Durante quest'ultima, fu tra l'altro capo di stato maggiore della 75a divisione, capo di stato maggiore del XXVI corpo d'armata, e colonnello addetto all'intendenza dell'8"' armata. Fu poi ·insegnante titolare alla scuola di guerra, e nel 1926 ebbe il comando del 1° reggimento artiglieria da montagna. Da generale di brigata comandò l'artiglieria del II corpo d'armata in Alessandria; da generale di divisione comandò la divisione militare territoriale di Torino (poi Superga). Nel 1935 fu nominato comandante della scuola di guerra, incarico che tenne anche da generale di corpo d'armata (1937), passando poi a comandare il corpo d'armata di Torino e, nell'aprile del 1940, ]a 63 armala del Po. Lasciò questo ultimo incarico nel novembre del 1940 per assumere il comando della 9" armata in Albania che tenne fino al marzo 1941. Nell'aprile dello stesso anno fu nominato comandante della 4& armata in Francia, e nell'ottobre del '42 fu nominato generale d'armata mantenendo il comando della 4a armata fino al settembre del 1943.
(14) Le for7,e germaniche dislocate in Provenza 1'8 settembre erano le divisioni di fanteria territoriale 343" (del XXV corpo) e 346" (del LXXIV corpo) che vi si trovavano prima della decisione del ritiro della 4"' armata. In seguito a tale decisione erano affluite per sostituire nella difesa costiera le forze italiane: - la 356& divisione di fanteria (dell'LXXXIII corpo) nel settore già tenuto dalla Taro; - la 1573 divisione di fanteria (del LXIV corpo), mentre si era già dislocata sulla destra del Varo la 305& divisione da montagna già del LI corpo e successivamente passata alle dipendenze dell'LXXXVII corpo, affluito in Italia dalla C.Ornice dopo il 25 luglio, insieme alle divisioni 76.. e 94~. Numerose, inoltre, le unità non indivisionate e le forze aeree; consistenti i contingenti della marina germanica a Tolone ( 11 mila uomini bene armati e 8 mila diskx:ati nelle isole Hyéres). ( 15) Ministero della difesa. Stato maggiore d ell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni delle unità italiane ecc. Op. cit., p. 155.
(16) Ibidem, p. 159. (17) Ibidem, da p. 173 a p. 200. Alle ore 20 dell'8 settembre la situazione della 5a. armata era la seguente: - comando dell'armata (generale Mario Caracciolo di Feroleto): Viterbo (sede del comando operativo: Orte); - comando del XVI corpo d'armata (generale Carlo Rossi): La Foce, presso La Spezia: - divisione di fanteria Rovigo; Castiglione Chiavarese, schierata nella wna di Riccò del Golfo a sbarramento del passo del Bracco e delle rotabili S. Pietro di Varo e Castiglione Chiavarese; - divisione alpina Alpi Graie: Vezzano Ligure, a difesa delle direttrici del
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passo della Cisa-ponte di Ceparana-Bottagna-Migliarina-La Spezia e passo del CerretoFivizzano-foce del Cuccù-Sarzana-pontc del Romito-La Spe-Lia; - presidio militare La Spe7.ia; - comando II corpo d'armata (generale Gervasio Bitossi): Firenze (comando tattico: Siena): - divisione di fanteria Ravenna: Asciano, dislocata fra Asciano, Montefollonico, San Regolo, Pienza, Montepulciano, Torrenieri, S. Quirico d'Orcia, Montalcino, S. Giovanni d'Asso, Buonconvento; · 215& divisione costiera: Massa Marittima, a presidio della fascia costiera da capo San Vincen2-0, presso Cecina, alla stazione di Albinia (a sud-est di Orbetello), l'isola d'E lba e le isole minori dell'arcipelago; - 216" <li visione costiera: Pisa, a presidio della fascia di copertura costiera dal torrente Parmignola a Campiglia marittima; - difesa di Firenze; - difesa di Pistoia; - difesa di Livorno; - difesa di Siena; - truppe e servizi di corpo d'armata; - zona militare di Pescara; - 2° raggruppamento artiglieria d'armata; - genio di armata; - intendenza di armata. ( 18) Mario Caracciolo di Feroleto (1880-1954), generale d'armata. Sottotenente di artiglieria nel 1909; frequentò la scuola di guerra dall'ottobre del 1904 all'agosto del 190ì. Fu in servizio di stato maggiore presso il comando del corpo di stato maggiore, il comando della divisione di Novara ed il comando del IX corpo d'armata. Da capitano partecipò alla guerra libica e successivamente alla prima guerra mondiale, nella quale fu comandante di gmppi d'artiglieria d'assedio. Da colonnello comandò per circa 6 anni il 13° reggimento artiglieria. Fu poi nominato ispettore della mobilitazione di Messina e nel 1938 comandò il XXI corpo d'armata in Libia. Il 1° gennaio 1940 fu nominato ispettore superiore dei servizi tecnici, carica che conservò anche da comandante designato d'armata. Dal 10 dicembre 1940 al 15 aprile 1941 comandò la 4' armata, poi fino al 5 settembre 1941, la 5a armata in Libia. Dall'aprile del 1942 all'armistizio del settembre 1943 comandò la 5• armata in patria. Fu ;,romosso generale d'armata nel novembre del 1943. ( 19) Le Operazioni delle unità italiane ecc. Op. cit. Le forze germaniche la sera dell'8 settembre erano dislocate od in movimento: - in affluenza dalla Corsica la 305" divisione da montagna del LXXXVII corpo d'armata, comprendente anche unità paracadutisti della 1a. divisione che avrebbero dovuto raggiungere l'Italia meridionale, le divisioni 76"' e 94.., dello stesso corpo, già entrate in Italia nell'agosto, provenienti dalla Francia; - 24"", 65a e SS.A Hitler: in L>mbardia, Emilia, e sull'Appennino e particolarmente in Toscana, con elementi avanzati verso i valichi che immettono a La Spezia; - 3a divisione panzergrenadiere : Montefiascone-Viterbo; - in affluenza verso le isole dell'arcipelago toscano: aliquote delle truppe in corso di evacuazione dalla Sardegna (9Cl3 divisione panzergrenadiere); - tutte le forze indicate, eccettuate la 3a divisione panzergrenadiere, dipendevano dal comando gruppo armate « B », retto dal feldmaresciallo Erwin Rommel.
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(20) Ibidem, p. 173. (21) Ibidem, p. 183. (22) Ibidem, da p. 235 a p. 266. Alle ore 20 del giorno 8 settembre la situazione de11'8• armata era la seguente: - comando dell'armata (generale Italo Gariboldi): Padova; - XXXV corpo d'armata (generale Alessandro Gloria): Bolzano (comprendente le provincie di Bolzano, Trento, Verona, Mantova): - divisione alpina Cuneense (reduce dalla Russia) dislocata -fra Ora-Caldaropasso della Mendola-passo delle Palade; - divisione alpina Tridentina (reduce dalla Russia): Bressanone, dislocata tra Bressanone, Vipiteno e Brunico; - 8° reggimento bersaglieri ciclisti, in corso di completamento; - 4° reggimento artiglieria di corpo d'armata; - 6° reggimento artiglieria guardia alla frontiera; - reparti vari in ricostituzione; - reparti di istruzione; - servizi di corpo d'armata; - truppe ai depositi; - XXIV corpo d'armata (generale Licurgo Zannini): Udine, aveva giurisdizione sulla zona di confine fra i valichi di Tarvisio, Piedicolle, Caccia (Postumia): - divisione di fanteria Torino (reduce dalla Russia), dislocata nel goriziano; -, divisione alpina Julia (reduce dalla Russia), dislocata nelle valli Isonzo, Baccia, Vipacco e Piave); - comando guardia alla frontiera (XXI, XXII, XXIII settore); - 14° comando guardia alla frontiera della difesa territoriale di Treviso (XVI e XVII settore); - artiglieria di corpo d'armata; - battaglioni di milizia territoriale; - battaglioni reclute; - nuclei antiparacadutisti; - 3" brigata alpina di marcia su J reggimenti (disciolta all'annuncio dell'armistizio); - truppe ai depositi; - comando della zona di Gorizia; - XXIII corpo d'armata (generale Alberto Ferrero): Trieste, con giurisdizione sulla frontiera orientale da monte Nevoso a Fiume (esclusa): - divisione di fanteria Sforzesca (reduce dalla Russia): dislocata da monte Pomario a Fiume (esclusa); - comando guardia alla frontiera (XXV e XXVI settore); - 3 reggimenti costieri (5 battaglioni) di forza ridottissima; - unità varie per la protezione delle comunicazioni e degli impianti; - reparti reclute per servizi di ordine pubblico; - artiglieria di corpo d'armata; - difesa porto di Trieste; - difesa di Monfalcone; - forze territoriali dei presidi di Trieste e Pola; - centro addestramento carristi di Pordenone; - truppe ai depositi;
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- truppe di armata (5° reggimento artiglieria di armata, 3° raggruppamento genio, 1° reggimento pontieri, unità varie); - intendenza di armata. Erano inclusi nel territorio dell'armata i comandi difesa territoriale di Treviso e di Trieste. Poco efficiente, in complesso, la situazione dell'armata, con le grandi unità reduci dalla Russia e in lento riordinamento, prive dell'armamento pesante, con poche munizioni, con organici ridotti, disseminate in un territorio vastissimo.
(23) Vcds. cap. XXXII, nota n. 51. (~4) Le operai.ioni delle unità italiane ecc. Op. cit., p. 235.
(Ì5) La sera dell'8 settembre, le forze germaniche, alle dipendenze del comando gruppo armate « B », dislocate nella zona dell'8a. armata italiana comprendevano: .!-·'nel settore del XXXV corpo italiano: 44a divisione di fanteria, CXXXVI brigata da montagna Doehla (entrambe rinforzate da unirà corazzate}, una terza divisione al cotiflhe con la Germania meridionale (tutte incorporate nel LI corpo}; - nei settori dei corpi italiani XXIV e XXIII: 71a divisione di fanteria rinforzata ·aa 'mezzi corazzati, avanguardia del XVI corpo (3 divisioni), proveniente da Klagenfurt e penetrata in Italia dai valichi di Tarvisio, Piedicolle e Postumia; - nei settori interessanti le retrovie ùdl'8• armata: corpo corazzato dislocato in Emilia (24" e 65.. divisioni e divisione SS.A. Hitler); - numerosi nuclei di elementi sparsi nelle più importanti località costiere. La· sera dell'8 settembre ebbe inizio dal Brennero l'afflusso di nuove forze corazzate che, la notte sul 9, raggiunsero le zone di Bressanone e di Bolzano-Caldaro.
(26) Le operazioni delle unità italiane ecc. Op. cit., p. 253. (27) Ibidem, da p. 304 a p. 311. La difesa territoriale di Milano (generale Vittorio Ruggero) comprendeva: la divisiònè di fanteria Cosseria, il 3° reggimento bersaglieri della 3a celere, alcuni carri armati leggeri del deposito del 33° carristi, 42 nuclei antiparacadutisti, truppe ai depositi, CCXXXII gruppo artiglieria semovente, 7 battaglioni territoriali, 52° raggruppamento artiglieria contraerei, unità contraerei della milizia, un raggruppamento genio, reparti . distrettuali, elementi dei servizi presso gli impianti territoriali. Le forze tedesche gravitanti verso la Lombardia erano costituite dal corpo corazzato dislocato in Emilia con la quasi totalità delle truppe e dalla 94a divisione del LXXXVII corpo. (28) Ibidem, da p. 312 a p. 318. La difesa territoriale di Bologna (generale Alberto Terziani) comprendeva: la 3a divisione celere (meno il Y' bersaglieri), il 6° reggimento bersaglieri in ricostituzione, il LCCCXXXIII battaglione addestramento del 33° carristi, il LXXXIV battaglione territoriale bis, truppe ai depositi, un distaccamento del Genova cavalleria, il 22° reggimento artiglieria Aosta (in ricostituzione), Il 120 raggruppamento artiglieria di corpo d'armata, alcuni nuclei antiparacadutisti, il 1320 reggimento autieri di marcia, reparti distrettuali, elementi della difesa contraerei, elementi minori dei servizi. Nel territorio erano dislocati la scuola di guerra (Salsomaggiore), la scuola di applicazione di fanteria (Parma), le accademie di fanteria e cavalleria (Modena e sedi di campagna), la scuola allievi ufficiali di complemento dei servizi (Ravenna).
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(29) Ibidem, p. 306. (30) Ibidem, p. 303. (31) Ibidem. (32) Ibidem, p. 246. (3.3) Ibidem, da p. 201 a p. 2.33. Il comando della 7n armata (generale Mario Arisio) con sede a Potenza e, dalle 7,30 del giorno 9, a Francavilla Fontana, comprendeva: - XIX corpo d'armata (generale Riccardo Pentimalli); sede del comando: Curli (Santa Maria Capua Vetere) e sede del comando tattico: Casamasdano (Nola): - XXXII brigala costiera, a presidio del settore costiero compreso fra il Garigliano e la foce di Licola; - 222• divisione costiera, a presidio del settore costiero tra capo d'Orso e la fiumara di Castrocucco; - difesa del porto di Napoli, tra foce Licola e capo d'Orso e le isole di Ischia, Procida e Capri; - divisione di fanteria Pasubio: Grazzanise. Era dislocata a tergo della XXXII brigata costiera e in paritcolare nella piana del Volturno; C brigata di marcia; - artiglierie di corpo d'armata; - CXXX reggimento genio di marcia; - enti e servizi territoriali dipendenti dal comando del corpo d'armata territoriale di Napoli (generale Ettore Deltetto); - XXXI corpo d'armata (generale Camilla Mercalli): Sovczia Mannelli. Era dislocato in Calabria e difendeva inizialmente la fascia di copertura costiera per uno sviluppo di 560 Km (422 sul versante tirrenico e 408 su quello ionico): - divisione di fanteria Mantova, costituiva massa di manovra cd era schierata su due archi difensivi arretrati di Squillace e di Sant'Eufemia, a potenziamento della difesa costiera; - 221• divisione costiera; era dislocata su 131 Km lungo il litorale ionico fra il capo delle Armi a nord di marina di Badolato e su 49 Km lungo il litorale tirreniro fra capo Vaticano e Scilla ( esclusi); - 212• divisione costiera: era dislocata nel settore ionico del golfo di Squillace su 54 Km di costa fra nord marina di Badolato e stazione di Cropani e su 83 Km di costa tirrenica fra capo Vaticano e stazione Serra di Aiello; - 214• divisione costiera: dislocata nel litorale ionico da est di S. Angelo a stazione Bottriccllo, su 152 Km di costa, nel settore di Crotone; - 227"- divisione costiera: dislocata nel settore ionico su 71 Km di costa fra est S. Angelo e sud stazione Nova Siri e nel settore tirrenico su 110 Km di costa fra il limite settentrionale di giurisdizione del corpo d'armata (Praia a mare-M. Serramale-Pollino-M. Rotondella-stazione di Nova Siri-Rotondella) e la stazione di Serra d 'Aiello; - truppe e servizi di corpo d'armata [una compagnia chimica, una compagnia motociclisti, 21a legione M.A.C.A., XXIII battaglione artieri, unità dei servizi); - forza presente del XXXI corpo alla data del 1° settembre: circa 48 mila uomini ; - IX corpo d'armata (generale Roberto Lerici): Putignano. Presidiava la Puglia e la Lucania ionica, dalla stazione di Campomarino (Adriatico) alla stazione di Nova
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Siri (Jonio) per un complesso di 800 Km di costa, suddiviso in 3 settori divisionali e 2 piazze marittime: - XXXI brigata costiera, dislocata dalla stazione di Nova Siri alla piazza militare marittima di Taranto; piazza militare marittima di Taranto; - piazza militare marittima di Brindisi; - 210~ divisione costiera, dislocata nella penisola salentina da Taranto compresa a Brindisi esclusa; - 209" divisione costiera, schierata su 330 Km di fronte da Torre Testa (Brindisi) al torrente Saccione; - divisione di fanteria Piceno, dislocata a presidio della posizione di arresto Taranto-Brindisi e nella zona di Otranto-Gallipoli. Il 9 settembre ebbe ordine <li concentrarsi nella zona di Montemerola-Grottaglic-Villa Castelli, fronte a nord; - divisione di fanteria Legnano, in affluenza da Bologna, fu schierata a difesa della piazza di Brindisi nei settori occidentali e meridionali; - comando artiglieria di corpo d'armata (5° e 9" reggimenti <l'artiglieria e 41° raggruppamento artiglieria); - comando genio di corpo d'annata; - comando carabinieri di corpo <l'armata; - direzioni dei servizi; - unità varie; - comando territoriale ( truppe ai depositi, una compagnia distrettuale, una compagnia di sussistenza, ospedale militare principale, compagnia mista del comando base militare n. 8, un raggruppamento ferrovieri mobilitato); - truppe e servizi d'armata (comando artiglieria, comando genio, intendenza di armata, 14° raggruppamento artiglieria motorizzato su 3 gruppi, 49" raggruppamento artiglieria costiera, VI e CCIV gruppi <la 149/35, una batteria contraerei da 20, 3 sezioni carabinieri, XXIII raggruppamento genio, CIII battaglione minatori, una legione della milizia, direzioni dei servizi e magazzini, una squadriglia di aviazione per l'osservanza aerea). Nel territorio dell'armata erano dislocate: la 4• squadra aerea (7 squadriglie da caccia, 1 da bombardamento, 2 tuffatori, con 43 aerei efficienti da caccia e 10 da bombardamento), il 690 gruppo aviazione ausiliaria per l'esercito (una squadriglia a Pontecagnano e una a Capua). Complessivamente l'armata disponeva di 130 mila uomini, 3 205 mitragliatrici, 2 476 fucili mitragliatori, 144 mortai, 99 armi controcarro, 12 carri lanciafiamme, 900 pezzi di artiglieria di vario calibro, 36 mitragliere da 20, 25 battaglioni di fanteria, 74 battaglioni costieri, 21 battaglioni territoriali, 24 gruppi di artiglieria mobili, 115 batterie costiere (esclusa la Legnano). Le unità costiere erano disseminate in copertura lungo 2 000 Km di costa, con armamento antiquato, prive di mezzi di trasporto, suddivise in 10 settori articolati a loro volta in 62 settori di battaglione. Le divisioni Pasubio, Mantova e Piceno presidiavano altrettante posizioni di arresto nell'entroterra e<l erano anch'esse frazionate e immobilizzate nella occupazione di tratti difensivi. Le divisioni erano sprovviste di carri armati e disponevano di pochi pezzi controcarro e contraerei, avevano scarsa mobilità. L'intera armata era obbligata a compiti di difesa statica. Nei territori di giurisdizione della 7~ armata era dislocata la 10" armata germanica (generale Heinrich Scheel von Vietinghoff) con sede di comando a Polla dove era
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stato distaccato un ufficiale di collegamento della 7~ armata; altro ufficiale era stato inviato presso il comando del II corpo aereo tedesco a Sala Consilina. La l()a armata tedesca era suddivisa in tre blocchi: - in Campania: il XIV corpo con la 15a divisione panzergrenadicre tra Gaeta e il Volturno, la divisione cora:a:ata Goering a nord-est di Napoli, la 16• divisione cora;,..zata nella zona di Salerno;
- in Calabria: il LXXVI corpo con la 29& panzergrenadiere nella regione mendionale e la 26• corazzata nella zona di Catanzaro; - in Puglia: la l' divisione paracadutisti, del LXXIV corpo, rinforzata , tra Gioia del Colle ed Altamura, con un reggimento presso Taranto; - in affluenza dal Lazio, dalla sera del 9, la 3• panzergrenadiere. In conseguenza degli sbarchi delle forze anglo-americane, il generale Vietinghoff intendeva sgomberare la penisola calabra e chiuderne lo sbocco al rilievo montuoso del Pollino, impedire sbarchi nel golfo di Taranto, rinforzare la Puglia, resistere in Campania. (34) Arisio Mario (1885-1950), generale di corpo d'armata. Dopo aver frequen tato l'Accademia fu nominato sottotenente di fanteria nel 1906 e partecipò alla campagna di Libia negli anni 1911-1913 ed a.Ila l" guerra mondiale negli anni 1915-1918. Comandò il 231° fanteria e successivamente il 3')0 fanteria Scuolll Allievi Ufficiali di Complemento. In seguito ebbe il comando della XIX brigata di fanteria, fu viceco mandante della divisione Gavinana, poi comandò le divisioni <li fanteria Vespri, Livorno, Torino. Durante la 2• guerra mondiale fu al comando del III e del XII corpo d'armata. Dal 12 luglio 1943 al 19 gennaio 1944 tenne il comando della 7" armata. (35) Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni italiane ecc. Op. cit., allegato n. 11, pp. 232-233. Le direttive per le operazioni in Puglia emanate dallo stato maggiore dell'esercito il 12 settembre con il foglio 16/ 1 disponevano: la determinazione esatta della situazione delle truppe germaniche; l'organizzazione di colonne celeri-motociclisti ( truppa autoportata, artiglierie a traino meccanico o caricate su autocarri) per iniziare puntate partenti da Brindisi, da Taranto o « da località intermedie della nota bretella», con azioni possibilmente convergenti contro le unità tedesche. « Le colonne mantengano il possesso dei punti terminali raggiunti ... Vi si asserraglino, prendano alla mano tutte le for-2:e locali o sparse nei dintorni. Le riorganizzino, dando loro ordini per la difesa locale ... Occorrerà intanto assicurare la difesa delle due piazze cd interposta bretella, con forze naturalmente minori del complesso di quelle ora in sito o previste... E necessario prendere alla mano, con tutti gli accorgimenti possibili, i reparti sparsi... Bisogna annervare gli uomini, spiegare loro l'attuale situazione, svegliare negli spiriti uno stato d'animo ostile contro gli antichi alleati che dopo essere incorsi contro di noi ad intollerabiJi soprusi e violenze, già mentre combattevano al loro fianco, hanno, dopo l'armistizio, presa l'iniziativa di aperti atti di guerra ... ». (36) Ibidem, p. 227. (37) Bellomo Nicola (1881-1945), generale di divisione. Frequentò l'Accademia militare e fu nominato sottotenente di artiglieria nel 1903. Partecipò alla 1a. guerra mondiale e successivamente frequentò la scuola di guerra. Fu comandante dal 1927 al 1930 del 9° reggimento pesante campale; fu poi direttore del corpo di artiglieria e del corpo d'armata di Napoli e successivamente del distretto militare di Benevento.
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Collocato in ausiliaria, fu richiamato in serv1z10 temporaneo a domanda e svolse pm incarichi presso il comando d ella difesa territoriale di Bari, presso il ministero della guerra ed infine presso il comando del 9° corpo d'armata di Bari. Fu fucilato dagli inglesi a Nisida (Napoli) perché accusato di aver ucciso prigionieri inglesi in fuga. (38) B. H. Liddell Hart, Storia militare della seconda guerra mondiale. Arnoldo Mondadori , Verona, 1970, p. 657. (39) Ibidem, p. 667. (40} H einrich von Victingho/f Scheel ( 1887-1952), generale tedesco. Cadetto nel 1906 e tenente nel 1907, divenne colonnello nel 1933, maggiore generale nel 1936 e rcnenre generale nl 1938. Partecipò alla P guerra mondiale e nella 21 guerra mondiale comandò la 2• divisione cora:i:zata, poi il XIII corpo d'armata ed infine il XLIV corpo d 'armata corazzato. Promosso generale d'armata nel 19-13, ebbe fin dal dicembre del '42 il comando della 15• armata, e poi della lQA. Il 26 ottobre del 1944 fu vicecomandante dello scacchiere sud-ovest, poi, dopo un breve periodo al comando del gruppo d 'armate Kurland, tornò in Italia e assunse il comando del gruppo di armMe C e dello scacchiere sud-ovest (I talia). Mantenne tale carica dal 10 marzo 1945 al 2 maggio 1945. ( 41) 1\liJJi~teru udla uifcsa. Stato maggiore dell 'cs<:rcito, Ufficio storico, Le op11raz1011i delle u nità italiane nel settembre-ottobre 1943. Op. cit., da p. 267 a p. 301. Le forze armate italiane dislocate in Sardegna alle ore 20 del giorno 8 settembre erar"!o (Ibidem, pp. 271 -274):
-
comando forze armate Sardegna (generale Antonio Basso): Bortigali;
-
XIII comando d'armata (generale Gustavo Rcisoli-Matthieu): Nuranimis: - divisione di fanteria Sabauda; - 203• divisione costiera; • 205" divisione costiera; · XXXIII brigata costiera; . eruppe e servizi di corpo d'armata. Il corpo ù'armata era dislocato a sud dell'allineamento Bosa-Macomer-Nuoro;
-
XXX corpo d'armata (generale Giangiacomo Castagna}: Sassari: divisione di fanteria Calabria; . un raggruppamento motocoran ato: - 204~ divisione costiera; IV brigata costiera; - 19° reggimento costiei-o; - truppe e servizi di corpo d 'armata. Era dislocato a nord dell'allineamento Bosa-Macomer-Nuoro; -
massa di riserva mobile: - ùivisione di fanteria Bari, unica divisione d otata di artiglierie e servizi motorizzati; - divisione paracadutisti Nembo su due reggimen ti di fanteria (183° e 184°) e un reggimento artiglieria da campagna ( 185"), una legione milizia, il XLVII battaglione mortai, una compagnia cannoni controcarro, una compagnia trasmissioni, una compagnia aruer1, elementi minori e unità servizi ; - truppe di armata: 3 battaglioni territoriali, 3 raggruppamenti di artiglieria
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pesante campale, XXI battaglione volontari sardi, una compagnia chimica, una legione miliza contraerei (D.I.C.A.T.); - intendenza di armata; - comando difesa territoriale: Cagliari; - marina militare: comando militare marittimo della Sardegna con sede a La Maddalena e con alle dipendenze: due battaglioni rnstieri della IV brigata, due legioni milizia artiglieria marittima (MILMART), il comando FAM, il comando della base navale di La Maddalena, il comando marina di Cagliari, elementi dell'aviazione ausiliaria della marina, varie unità navali presenti agli ancoraggi (2 corvette, 1 sommergibile, 1 nave appoggio, l nave ospedale, 6 motozattere, navi sussidiarie), varie batterie della marina; - aeronautica militare: comando con sede a Cagliari, comprendente un comando caccia su di uno stormo con 7 squadriglie, un comando bombardamento con una squadriglia da bombardamento e due squadriglie tuffatori (in totale 87 aerei, dei quali 43 efficienti). La forza complessiva ascendeva a 5 198 ufficiali e 126 946 sottufficiali e truppa, compresi i servizi ed altri dementi non combattenti. La Nembo (10 000 uomini) si rivelò non idonea ad operazioni contro i tedeschi ; le truppe costiere erano disseminate lungo 1 500 Km di coste; le kgioni camicie nere (9 000 uomini) ispiravano poca fiducia; i militari non combattenti erano cirrn t;> 000; la Sabauda era dislocata nella regione meridionale. In totale si avevano perc.;ò circa 95 mila uomini non prontamente utilizzahili e solo 32 mila dislocati a nord della trasversale Macomer-Nuoro. (42) Basso Antonio (1881-1958), generale <li corpo d'armata. Frequentò il collegio militare di Napoli e l'Accademia militare; fu nominato sottotenente di artiglieria nel 1899. Parrecipò alla guerra 1915-1918. Comandò dal 1929 al 1932 il 2° reggimento artiglieria da campagna, e successivamente l'artiglieria del corpo d'armata di Alessandria. Tenne il comando dell 'Accademia e delle scuole di applicazione <li artiglieria e genio dal 1936 al 1938. Fu direttore generale di artiglieria dal 1939 al 1940; successivamente comandante del XIII corpo d'armata dal 1° febbraio 1940 al 31 ottobre 1943. Infine fu comandante delle for7,e armate della Campania. (43) La 90& panzergrenadiere era costituita di 3 reggimenti granatieri, di artiglierie e di elementi vari. Essa era stata costituita con i resti dcliii 90-' divisione di fanteria motorizzata provenienti dall'Af1ica settentrionale. Era rinforzata da: il 925° reggimento autonomo (su 3 battaglioni, aliquote di artiglieria e reparti pionieri) incorporato nel settore della XXXIII brigata costiera italiana; un altro reggimento autonomo (rinforzato e con 2 bauaglioni) era incorporato nella 203~ divisione italiana costiera; un reparto speciale guastatori-sabotatori; unità varie. Il grosso della divisione era dislocato nella zona di Satdara-Suseluri, con un reggimento rinfor.:ato presso Tempio e un battaglione incorporato nella difesa del porto di Olbia. Pot'Zll complessiva: 25-30 mila uomini.
(44) L<.· operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 194). Op. cit., allegato n. 1 al capo VI, pp. 293-295. (-15) Ibidem, p. 278. (46) Ibidem, p. 283 cd allegato n. 3 al capo VI, pp. 297-298. (47) I bidem, p. 286 e allegato n . 5 al capo VI, p . 301. Tale ordine portante il
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n. 21/V e datato 12 settembre confermava che: i germanici doveano essere considerati nemici, e come tali attaccati e distrutti senza la minima esitazione; doveva essere « impedito in modo assoluto l'ulteriore passaggio della 9oa divisione tedesca in Corsica; d'altra parte, dopo guanto avvenuto in Italia, alla Maddalena, ecc. e dopo l'attacco aereo germanico alla nostra flotta (fatti che, almeno in buona misura, debbono essere noti a V .E.) si sarebbe dovuto comprendere, anche in mancanza di altri ordini, che si doveva dare piena e immediata applicazione alla Memoria 44, a prescindere da qualsiasi atto germanico di ostilità in Sardegna e in Corsica»; non erano stati inviati telegrammi « a firma Roatta aut Ambrosia » e che quelli che il comando della Sardegna aveva comunicato di aver ricevuto erano « comunicazioni apocrife, fatte dai germanici in possesso dei nostri cifrari ». (48) CarJ-Hans Lungershausen (1896-1958), generale tedesco. Entrato in serv1Z10 nel 1914, fu nominato tenente dei dragoni nel 1915. Prestò servizio nella Reichswehr come ufficiale di cavalleria. Fu promosso colonnello nel 1940, maggior generale nel '42, tenente generale nel '43. Durante la 2a guerra mondiale prestò servizio presso comandi operativi e comandò la VII brigata fucilieri, la 90" divisione leggera, poi la divisione della Sardegna, quindi nuovamente la 90" pani:ergrenadiere. Infine fu ispettore delle forze armate tedesche in Italia presso il comando superiore del sud-0vest. (49) Le operazioni delie unità italiane nel setlembre-uttubre 1943. Op. cit., p. 282.
(50) Ibidem, allegato n. 4 al 1..-apo VJ , pp. 299-300.
(51) Ibidem, p. 295. (52) Ibidem, p. 286. (53) Veds. precedente nota n. 46. (54) Ibidem, pp. 279-280. Defezionarono, incolonnandosi con i tedeschi: il XII battaglione del 184° (meno una compagnia), un plotone mortai da 81, una batteria <lel 185° artiglieria. Fu temporaneamente sequestrato dai ribelli lo stesso comandante della divisione e venne ucciso il capo di stato maggiore della divisione, tenente colonnello Giovanni Alberto Bechi Luserna che si era recato fra i dissidenti per richiamarli all'obbediem:a. Fu necessario sospendere il movimento dell'intera divisione, rinunziando cosl all'unica grande unità disponibile motorizzata nell'isola. Il suo compito d'inseguimento dei tedeschi dové essere affidato alla Rari. (55) Ibidem, <la p. 589 a p. 634.
La situazione delle forze contrapposte alle ore 20 dell'8 settembre era 1a se!,'Uente: - for.;;e italiane: - comandante: generale Giovanni Magli, comandante del VII corpo di armata e di rutte le forze armate della Corsica; - forze: VII corpo d'armata, comando militare marittimo, comando forze aeree della Corsica; - VII corpo <l'armata: - divisione <li fanteria Friuli (87° e 88° fanteria, 88~ legione milizia, 35° artiglieria di campagna su 4 gruppi e 2 batterie contraerei da 20, XX battaglione mortai, una compagnia cannoni controcarro, una compagnia lanciafiamme, un plotone nebbiogeni, CXX battaglione genio, unità minori ed elementi dei servizi), rinforzata dal XX battaglione semoventi, dal DX battaglione T.M., da una compagnia mitraglicri cla
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pos1Z1one; sede del comando della divisione: Belgodcre. Includeva il =mando difesa porto di Bastia (DXXXVII battaglione costiero della 225& divisione, un gruppo milizia da sbarco, il LX battaglione milizia, aliquote del V battaglione armi di accompagnamento, una compagnia chimica, una compagnia mitraglieri da posizione, il tornando DICAT, elementi dei carabinieri e dei servizi); - divisione di fanteria Cremona (21° e 22Q fanteria, 90• legione milizia, 7° artiglieria da campagna su 3 gruppi e 1 batteria contraerei da 20, XLIV battaglione mortai, una compagnia cannoni controcarro, XIII battaglione carri L, unità minori ed elementi dei servizi), rinforzata dal battaglione alpino M. Granero, dal CXIII battaglione mitraglieri autocarrato, da una compagnia motomitraglieri del XIII carri, dal CXXXI battaglione semoventi da 47 /32, dal DXV battaglione T.M., <la 3 compagnie mitraglieri da posizione, da 2 plotoni autonomi guastatori, da una compagnia del battaglione alpino Mongioie, dal XXIV gruppo da 105/28, da una batteria del CXXVI gruppo da 149/13 e da una batteria p.c. da 75/34 mod. 97/38. Sede del comando: Cauro; - 225,. divisione costiera; 226a divisione costiera;
- truppe di corpo d'arm,1ta: raggruppamento sud (raggruppamento speciale granatieri, IV battaglione ciclisti, CVII battaglioni mitrnglieri autocarrato, 2 battaglioni costieri, una compagnia mitr:1glieri du posizioni, una compagna controcarri, la 55" legione milizia, 2 gruppi di artiglieria p.c. - CLXXV, CLV - ed un gruppo del 35° artiglieria da 75/ 18 T .M.). Sede del comando: 100 raggruppamento celere; 175° reggimento alpini T.M.; 182" reggimento costiero autonomo; gruppo camicie nere di battaglioni « M »; 7° raggruppamento artiglieria di corpo d'armata; elementi vari; - servizi di corpo d'armata; - marina: comando militare marittimo Corsica con sede del comando presso Bastia, dal quale dipendevano i comandi marina di Bastia, Ajaccio e Bonifacio ~ortoveechio, con una fori:a complessiva di 99 ufficiali, 1918 sottufficiali e marinai. Varie unità navali erano all'ancoraggio nelle basi: 2 torpediniere, un mas, 3, piroscafi, 27 unità sussidiate, 5 sommergibili, 2 dragamine, una motovedetta, una cisterna; - aeronautica: comando fori:e aeree della Corsica, con sede del comando ad Ajaccio. Comprendeva: una sezione da caccia e 2 squadriglie da ricognizione; - finanza: una compagnia; - totale forze italiane: 3 456 ufficiali. e 75 083 sottufficiali e truppa; - dislocazione: - nella 7..0na settentrionale: Friuli , 225& divisione costiera, comando difesa porto di Bastia; - nella zona centrale: 10° raggruppamento celere, 175° reggimento alpini T.M., unità varie; - nella zona centro-meridionale: Cremona e 226& costiera; - nella zona meridionale: raggruppamento sud, raggruppamento speciale granatieri, unità varie; -
forze tedesche:
- comandante: generale Frido von Senger und Etterlin; - forze: brigata motocorazzata Reichsfiihrer SS (2 battaglioni motorizzati - D el/inger e Mayer - , unità di artiglieria d'assalto, contraerei, controcarri ed dementi dei servizi);
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forza complessiva: 89 ufficiali e 3 968 sottufficiali e truppa; - compito: massa di manovra a disposizione del comando forze armate Corsica; - forze aeree: numero vario. (56) Magli Giovanni (1884-1969), generale di corpo <l'armata. Frequentò la scuola militare e la scuola <li guerra. Fu nominato sottotenente di fanteria nel 1918. Partecipò alle campagne di guerra 1911-1912, 1915-1918 e 1940-1943. Comandò 1'83° reggimento di fanteria. Fu capo di stato maggore del XIII corpo d'armata e capo ufficio del capo di stato maggiore. Comandò inoltre la I brigata corazzata, la divisione corazzata Centauro. Fu generale addetto allo stato maggiore generale dal 23 febbraio 1941 al 5 febbraio 1943. Comandò successivamente il VII corpo d'armata, le forze armate della Corsia, le forze armate della Sardegna e il XIII corpo d'armata. Fu poi a disposizione del ministero della guerra per incarichi speciali nel 1944. (57) Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943. Op. cit., allegati n. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 7 del capitolo XVI, da p. 616 a p. 622. (58) Veds. prc.-cedente nota n. 46. (59) Henri Giraud (1879-1949), generale francese. Combatté nella prima guetra guerra moo<ljale e continuò fa carriera militare in Marocco e Tunisia. Comandante d'armata allo scoppio dcHa seconda guerra mun<liale fu fallo prigioniero dai tedeschi. Evaso nell'aprile 1942, assunse il comando militare e civile dell'Africa del nord. Fu copresidente, insieme a Dc Gaulle, del Comitato di liberazione francese dal giugno all'ottobre del 1943. Comandante in capo delle forze francesi unificate, fu rimosso da Dc Gaulle nell'aprile 1944. (60) Il raggruppamento ern cost1tu1to da repartj della Friuli e dell'artiglieria di corpo <l'armata: II/88°, III/88", XX moi-tai, XX semoventi, un plotone lanciafiamme, CXX battaglione misto del genio, comando artiglieria divisionale della Friuli, 1/35° su 2 batterie, IV/35° su 2 batterie, una sezione da 20, una salmeria di formazione (120 quadrupedi), 2 sezioni autocarrette. (61) Forze esclusivamente italiane della Cremona, della Friuli, della 225"" e della 226" divisioni costiere, del 10° raggruppamento celere e delle truppe e servizi di corpo d'armata: comando 225°, I/21" e II/22° Cremona, una compagnia mitraglieri da posizione, una compagnia mortai da 81, CXXXI semoventi Cremona, una compagnia del LXI battaglione bersaglieri motociclisti, una compagnia carri del LXXI battaglione bersaglieri motociclisti, una compagnia carri del I/10° raggruppamento celere, una compagnia d'assalto, una batteria del V gruppo contraerei, una batteria da 75/18 semoventi, comando 88a legione milizia con clementi dei battaglioni LXXXVIII e XCVI Friuli, comando di un gruppo milizia da sbarco con il XLIII battaglione cd clementi del IX comando, 52° raggruppamento artiglieria pesante campale col comando III gruppo e una batteria da 155/C della 225• costiera, 2 batterie da 105/15 del CXCX gruppo p.c. della 226", 2 batterie del XXXIV gruppo da 105/28 di corpo d'armata, una compagnia mista del genio della 225\ elementi antincendio, una compagnia antincendi di corpo d'armata, salmeria di 50 quadrupedi del VII battaglione mitraglieri someggiato di corpo d'armata. (62} La 2" annata (generale Mario Robotti) 1'8 settembre comprendeva: -
XI corpo d'armata (generale Gastone Gambara) su: - divisione di fanteria Cacciatori delle Alpi: Lubiana, Planina, Verconico;
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- divisione di fanteria Isonzo: regione fra Novo Mesto, Trebinje, Kostanievica, Semic; - divisione di fanteria Lombardia: tra la Slovenia e la Croazia, ripartita in blocchi nelle zone di Karlovac, Cronomelj, OL:ali; - truppe di corpo d'armata; - delegazione d'intendenza e unità dei servizi; -
V corpo d'armata (generale Antonio Scuero) su: - divisione di fanteria Macerata: Lokve-Delnice-Ogulin; - divisione di fanteria M urge, dislocata in Croazia tra Segna ed il passo di Vratnik, con clementi nella wna costiera a sud di Segna e nella zona di Carpolago-Vrata; - Xl V brigata costiera: tra Fiume e Caslopago, con sede ùi comando a Cirquenizza o Crkvenica; - V raggruppamento guardia alla frontiera: presidiava il territorio fiumano annesso all'Italia, 1a pia~a ùi Fiume e la cinta di Susak dove aveva sede il cornanclo; - truppe e servizi del corpo d'armata; XVIII corpo d'armata (generale Umberto Spigo) su: - divisione <li fanteria Zara: presidiava il territorio della provincia omonima, con un forte distaccamento a Knin distante un centinaio di chilometri da Zara, dove risiedeva il comando della div isio ne; - divisione cli fanteria Bergamo: presidiava il territorio della provincia di Spalato, clelle città Sebenico e cli Drnir, Eigno, Almissa, Makarska, Podgora e le isole di Brazza, Lesina, Lissa, Solta, Torcola e altre minori. Il comando aveva sede in Spalato; - truppe e servizi di corpo d'armata; - in riserva d'armata: l" divisione celere; - truppe di armata ; - direzioni e unità dei serv1z1. Nella giurisdizione del V corpo era il comanclo marina di Fiume-Susak. A Spalato aveva sede il comando militare marittimo clella Dalmazia, alle cui dipendenze erano il comando del settore di Sebenico e i comandi marina di Spalato, Ragusa, Ploce e Zara. Nel territorio clella giurisdizione della marina esistevano aerei per la ricognizione marittima, per la maggior parte decollati la sera clell'8 settembre o il mattino ciel 9. Le forze aeree comprendevano le unità poste alle dipendenze del comando aviazione Slovenia-Dalmazia con sede a Mostar; complessivamente 3 squadriglie (26 aerei efficienti) che all'alba ciel giorno 9 ebbero ordine di decollare per trasferirsi sull'aero. porto di Alture di Pola. -
(63) Robotti Mario (1882-1955), generale di corpo d'armata, Frequentò la scuola militare e fu nominato sottotenente di fantci·ia nel 1903. P artecipò alla guerra '15-'18 e alla seconda guerra mondiale dal 1940 al 1943. Precedentemente aveva frequentato la scuola di guerra. Comandò il 53° reggimento fanteria, la brigata cli fanteria di Treviso, la divisione di fanteria del Monferrato. 17u direttore generale dei servizi logistici presso il ministero della guerra dal 15 gen naio 1939 al 31 o ttobre 1940. Comandò !'XI corpo d'armata dal I novembre '40 al 15 dicembre '42 ed infine fu comandante delle forze armate della Slovenia-Dalmazia {2" armata) dal 5 febbraio 1943 all'8 settembre 1943. Nell'aprile del '43 gli fu conferita la carica di comandante designato d'armata.
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(64) Le forze tedesche dipendenti dal comando superiore in Croazia erano inquadrate nei corpi d'armata: XV da montagna, XXI da montagna, LXIX di riserva. Comprendevano : 100"', 114• e 118• divisioni cacciatori; 7' corazzata da montagna SS. Prinz Euf!.en; 173"' e 187' divisioni di fanteria di riserva; 297.. divisione di fanteria; 369' e 373"' divisioni <li fanteria croate; la 71"' divisione di fanteria del XVI corpo dislocato in Austria. Il grosso delle forze tedesche era tenuto concentrato a blocchi. Unità di forze corazzate erano inserite nelle divisioni di fanteria e cacciatori. Presso il comando della 2• armata italiano vi era una missione di collegamento germanica e presso il governo croato, a Zagabria. vi erano due missioni, una italiana e una tedesca. A fianco delle forze italo-tedesche, fino all'8 settembre, collaboravano, per la lotla ai partigiani, formazioni Domobrani, Cetnici, Belegardisti e Ustascia. (65) Ministero della guerra. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943. Op. dt., allegato n. l al capitolo VIII, p. 361. (66) Ibidem, allegato n . 2 cd allegato n. 3 al capitolo VIII, pp. 362-363. (67) Ibidem, pp. 327-332. (68) Ibidem, p. 331. (69) Ibidem, p. 360. (70 ) Il comando gruppo armate est dipendeva direttamente dal Comando Supremo, aveva sede a Tirana, comprendeva: diretle
la 9-' armata in Albania; il VI corpo d'armata nell'Erzegovina e nella Dalmazia meridionale; il XIV corpo d'armata nel Montenegro; il comando forze armate nell'Egeo, che la sera dell'8 settembre passò alle dipendenze del Comando Supremo.
(71) Veds. capitolo XXXVIII, nota n. 11. (72) Dal luglio 1963 si erano raccolte nelle zone adiacenti alla linea di demarcazione dell'Erzegovina, del Montenegro e dell'Albania con la Serbia, la Bulgaria e la Grecia: a ridosso dell'Albania, la 1.00~ e la 114" divisione; nei pressi del confine tra la Grecia e l'Albania, la 1a divisione da montagna e la l " divisione corazzata; nei settori dell'E rzegovina e del Montene1:,,ro, la 7a divisione da montagna SS. Prinz Ettgen e la 297a divisione di fanteria. Erano, inoltre, segnalate in arrivo verso i confini dell'Albania i reggimenti corazzati 1° e Z.O Brandenburg già dislocati nella Grecia orientale. Le unità dislocate nei settori della Erzegovina e del Montenegro dipendevano dal comando della 2a armata corazzata di sede a Belgrado; le altre dal comando gruppo armate sud-est con sede a Salonicm. D ato l'alto grado di mobilità le grandi unità erano tutte in condizioni di spostarsi rapidamente. (73) La 9~ armata comprendeva le seguenti forze: -
IV corpo <l'armata (generale Carlo Spatocco) con sede a Durazzo: - divisione di fanteria Perugia; - divisione di fanteria Parma; - divisione di fanteria motorizzata Brennero;
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- truppe e servizi di corpo d'armata; - elementi di rinforzo; -
XXV corpo d'armata (generale Umberto Mondino) con sede a Elbasan: divisione di fanteria Arezzn; divisione di fanteria Firenze; settore Z; divisione di fanteria Puglie; reparti guardia alla frontieria ; elementi di rinforzo; reggimenti cacciatori d'Albania; - raggruppamento unità celeri: - reggimento Lancieri di Firenze; - reggimento Cavallt:f!,f!.eri di Mon/errdto; - reggimento Cavaltef!,geri guide; - XLVI battaglione bersaglieri; - IV gruppo cora:l.:l:ato Nizza cavalleria: - XXVI battaglione mifo:ia; -
-
difesa territoriale <li Tirania: 383" reggimento fan teria V i:nezia; LII battaglione mitraglieri; un battaglione milizia; uno squadrone carri L; una batteria contraerei; 26° comando guardia alla frontiera; intendenza <li armata.
Forza complessiva: 130 mila uomini, di cui 12 mila albanesi. Dipendevano dal comando <li armata: il comando militare marittimo dell'Albania con sede a Durazzo; il comando aviazione Albania con sede a Tirana; il comando guardia di finanza, comprendente 3 legioni, con sede a Tirana. (74) R enzo Dalmazzo (1886-1959), generale designato d'armata. Sottotenente di fanteria nel 1808; dopo aver frequentato la scuola di guerra partl per la Libia e partecipò alla campagna. Tornò in Libia dall'aprile del 1915 al giugno del 1916, dove esercitò il comando di unità e svolse incarichi <li stato maggiore. Partecipò poi alla guerra italo-austriaca disimpegnando inc::richi di stato maggiore e fu capo di stato maggiore di una divisione d'assalto. Inviato in Cirenaica nel 1919 quale capo di stato maggiore del comando truppe della Cirenaica, ne rimpatriò nel 1920 perché assegnato alla scuola di guerra. Nel 1925 partì per la Somalia quale comandante di quel corpo tru!Jpe coloniali. Nel 1926 rimpatriò e assunse il comando di un reggimento bersaglieri. Da generale di brigata comandò una brigata di fanteria e una brigata celere, e successivamente, ritornato in Eritrea, prese il comando di una brigata mista, poi della 2a divisione indigena. Rimpatriato, comandò la divisione Timavo, poi la Trento e poi la celere Emanuele Filiberto. Da generale di corpo d'armata comandò il corpo d'armata di Udine e poi il VI corpo d'armata. Assunse infine nel 1942 il comando delle FF.AA. d 'Albania e, promosso comandante designato d'armata, quello del gruppo armate est. (75) Ernesto Chiminello (1890-1943), generale di brigata. Sottotenente di fanteria nel 1908; fu in Libia dal 1912 al 1913. Frequentò la scuola di guerra e dopo aver
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ricoperto la carica di sottocapo di stato maggiore del corpo d'armata di Bologna, comandò prima il 222°, poi il 3° reggimento fanteria e infine il distretto di Ragusa. Fu poi capo di stato maggiore dcUa Marche, comandante della zona militare di Alessandria e infine assunse le funzioni di comandante della Acqui. Nell'agosto del 1943 fu destinato in Albania per assumere le funzioni di comandante della Perugia. Il 3 ottobre 1943 fu fucilato dai tedeschi a Porto Edda. (76) Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943. Op. cit., p. 381. (77) Arnaldo Aui (1885-1957), generale di divisione. Frequentò la scuola militare e il corso complementare presso la scuola di applicazione di fanteria. Sottotenente di fanteria dal 1910. Partecipò alle campagne di guerra 1911-'12 e 1917-1918. Frequentò la scuola di guerra e il corso applicativo per ufficiali superiori presso la stessa scuola. Comandi di unità: battaglione del 78° fanteria dal 1929 al 1931; 246° fanteria Reggio nel 1936-'37; 2390 della Sabauda dal '35 al '36; III settore della guardia alla frontiera dal 1938 al 1940; guardia alla frontiera del II corpo d'armata. Dal 31 dicembre 1941 al 29 luglio 1942 comandò la divisione Trieste in Africa settentrionale e dal 22 novembre 1942 al 25 settembre 1943 la divisione Firenze in Albania. Fu poi comandante delle truppe della montagna in Albania dal 28 settembre 1943 all'll giugno 1944. Tnfine fu comandante militare Lazio-Umbria-Abruzzo dal 18 settembre 1944 al 26 dicembre 1944, passando poi a disposizione del ministero della guerra per incarichi speciali. (78) Il VI corpo d'armata, agli ordini del generale Sandro Piazzoni, con sede a Ragusa, aveva giurisdizione sul territorio compreso tra la zona costiera dalmata e la linea, nel retroterra, Treligne-Trelimicca-Vrgorac (compresa). Lo schieramento andava da Ploche a Ragusa e Mctkovic_ Presidiava inol tre la penisola del Sabbioncdlo, le isole di Curzola, Melcda, Lagosta e altre minori. I reparti erano schierati su di una fascia lunga 150 Km e profonda 30, e su una diecina di isole. Comprendeva: - divisione di fanteria Messina; - divisione di fanteria Marche; - XXVIII brigata costiera; - truppe e servizi di corpo d'armata (6° reggimento artiglieria pesante campale, 2 battaglioni mitraglieri, CCCXLII battaglione costiero, CCXI battaglione territoriale, un reparto presidiario, un gruppo appiedato Cavatlegp.eri di Aosta, un gruppo squadroni carri L San Marco, unità minori, delegazione d'intendenza, un autoraggruppamento, elementi dei servizi). Forza totale: circa 28 mila uomini. Fino al 25 luglio il corpo d'armata era stato alle dipendenze della 2a armata; poi era stato posto aJ1e dipendenze del comando gruppo armate est. (79) Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943. Op. cit., p. 402. (80) Giuseppe Amico (1890-1943), generale di divisione. Sottotenente di artiglieria nel 1909; da capitano e da maggiore prese parte alla guerra italo-austriaca. Compiuti i corsi della scuola di guerra dal 1921 al 1924, vi ritornò nel marzo del 1929 quale insegnante aggiunto con il grado di tenente colonnello_ Promosso colonnello, assunse nel gennaio del 1935 il comando del 100 reggimento artiglieria. Nel 1937 partecipò alla guerra di Spagna durante la quale fu promosso generale di brigata per merito
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di guerra. Rimpatriato nel giugno del 1939, assunse la carica di capo di stato maggiore del comando della 4" armata, che tenne fino al gennaio del 1941, quando ebbe le funzioni di comandante deJla Centauro in Libia. Rimpatriato dalla Libia, ebbe le fun zioni di comandante della Marche in Dalmazia, della quale nel gennaio 1942, promosso generale di divisione, assunse il comando, che mantenne fino al 13 settembre 1943. (81) Il XIV corpo d'armata, agli ordini del generale Ercole Roncaglia, era dislocato nel Montenegro, avea sede a Podgorica, comprendeva: - divisione di fanteria (di occupazione) Emilia; - divisione di fanteria Ferrara; - divisione di fanteria da montagna Venezia; - divisione alpina T aurinense; - tn1ppe e servizi di corpo d'armata (un battaglione carri L, un gruppo autonomo da 75/27, un gruppo di artiglieria d'armata da 149/36, vari grnppi di artiglierie costiere e contraerei, VI e XV battaglione guardia di finam:a, 3 comandi legione e 10 battaglioni milizia, intendenza, unità di serv~i). Nella giurisdizione del XIV corpo era compreso il comando marina delle Bocche di Cattaro. Non erano dislocati nel Montenegro reparti dell'aeronautica; sul vicino campo <li Mostar (Erzegovina) sostavano 3 squadriglie che il mattino del 9 raggiunsero tl campo <li Alture di Pola. Le for~e tedesche erano a ridosso della Venezia e dalla 'J.'aurinensc e parte di esse era nella regione di Podgorica. (82) Lorenzo Vivalda (1890-1945), generale <li brigata. Dopo aver frequentato la scuola militare fu nominato sottotenente di fan teria {alpini} e partecipò alla campagna 1911-1912 e alla l" guerra mondiale. Frequentò i corsi della scuola di guerra. Fu poi comandante <ld 5° reggimento alpini. Assolse più incarichi prima presso il comando superiore delle forze armate dcli' Africa settentrionale, di cui fu sottocapa di stato maggiore; passò poi a disposizione del comando della difesa territoriale di Genova per incarichi speciali. Comandò successivamente la divisione alpina T aurinense e infine la 230• <livisione. (83) Giovan Battista Oxilia (1887-1953), generale di corpo <l'armata. Sottotenente di artiglieria nel 1907. Prese parte al primo conflitto mondiale al comando di reparti di artiglieria. Prequemò i corsi della srnola <li guerra. Fu addetto militare a Budapest. Da colonnello comandò il 6° reggimento artiglieria <la rnmpagna. Pu poi capo di stato maggore del comando <lei corpo d'armata di Bolzano e comandante dell'artiglieria del corpo d'armata di Albania. Capo di stato maggiore del comando 8" armata e successivamente comandante <lell'artigleria della 4a armata. Nel giugno del 1941 fu nominato capo della missione militare in Croazia. Comandò poi dall'agosto 1942 la divisione Brescia in Africa settentrionale e dal giugno 1943 la divisione Venezia nel Montenegro. Rimase al comando della Venezia dopo 1'8 settembre 1943 fino al dicembre dello stesso anno. Successivamente, fino al marzo 1944, prese parte con la divisione Garibaldi alle operazioni di guerra nel Montenegro. Rimpatriato nel mar.i:o 1944 fu sottocapo di stato maggiore dell'esercito prima e sottosegretario di stato per la guerra Poi. Dal marzo 1945 al luglio 1947 ebbe la funzione di comandante generale della guardia di finanza. Fu promosso generale di corpo d'armata nella riserva. (84) L'll" armata, comandata dal generale Carlo Vecchiarelli, aveva la sede del comando ad Atene ed in seguito ad accordi intercorsi tra l'O.K.W. cd il Comando
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Supremo italiano si era trasformata in armata mista italo-tedesca e sotto la data del 28 luglio 1943 era passata alle dipendenze operative del comando tedesco gruppo a.rmate sud-est (generale Alexander Llihr). Al comando dell'armata era affiancato uno stato maggiore operativo tedesco, con un proprio capo di stato maggiore, il generale Heinz von Gyldenfeldt. Per effetto di tale trasformazione la costituzione dell'armata 1'8 settembre era la seguente: - XXVI corpo d'armata (generale Guido della Bona) con sede a Janina: - divisione di fanteria Modena con sede del comando ad Arta; - 18° reggimento fanteria Acqui, JTI gruppo e 33'• batteria contraerei da 20 (meno 2 sezioni) del 33° reggimento artiglieria Acqui nell'isola di Corfù; - l " divisione da montagna tedesca con sede del comando a Janina; - 2° gruppo alpini Valle con sede del comando a Janina; - truppe e servizi di corpo d'armata;
- VIII corpo d'armata (generale Mario Marghinotti) con sede del comando a<l Agrinion: - divisione di fanteria Casale con sede del comando ad Attolikon (Missolungi); - divisione di fanteria Acqui, eccettuate le forze dislocate a Corfù e il II gruppo (meno una batteria) del 33° reggimento artiglieria nell 'isola di Santa Maura, con sede del comando ad Argostoli (Ccfalonia); - 104 divisione cacciatori tedesca con sede del comando ud Agl'inion; - truppe e servizi di corpo d'armata; 1
- LXVIII corpo <l'armata tedesco (generale Hdmu tl1 Fel.my) con sede del comando a Viryna (40 Km a nord di Ti-ipolis): - divisione di fanteria Piemonte con sede del comando a Patrasso; - divisione di fanteria Cagliari con sede del comando a Tripolis; - 117"' divisione cacciatori tedesca con sede d el comando a Tripolis; - l "' divisione corazzata con sede del comando ad Argos; - settore autonomo di Corinto ; - settore autonomo dcll' Argolide ; - truppe e servizi di corpo d 'armata;
-
III corpo d'armata italiano (generale Luigi Man zi) con sede del comando
a Tebe:
-
divisione divisione comando truppe e
di fanteria Pinerolo con sede del comando a Larissa; di fanteria Forlì con sede del comando ad Atene; truppe dell'Eubea con sede del comando a Kalkis; scrvi1.i di corpo d'armata,
Dipendevano direttamente per l'impiego dal comando gruppo armate tedesco del sud-est: 11 .. divisione da campagna dell'aeronautica tedesca con sede del comando ad Atene; l'isola di Creta con: la divisione di fanteria Siena con sede del comando a Neapolis, la LI brigata speciale Lecce con sede del comando a Katokoriò, altri elementi minori (artiglieria, genio, servizi, base militare, comando marina con batterie da costa, cd altri), la 22a divisione di fanteria tedesca denominata anche Sebastopoli, con sed e de.I comando a Knosso, una brigata da fortezza con sede del comando a La Canea. Dipendevano, inoltre, dal comando dell' lla armata il comando militare marittimo della Grecia occidentale con sede a Patrasso ed il comando aeronautica della Grecia con sede ad Atene.
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Totale delle forze italiane dislocate in Grecia 1'8 settembre: circa 7 mila ufficiali e 165 mila sottufficiali e tn1ppa. In totale le forze terrestri italiane esistenti in Grecia ( compresa Creta) sommavano a 8 divisioni di fanteria delle quali 4 binarie e 4 ternarie (divisioni binarie: 2 reggimenti di fanteria, 1 di artiglieria, 1 legione della milizia pari a poco meno di un terzo di un reggimento di fanteria; divisioni ternarie; 3 reggimenti di fanteria e 1 reggimento di artiglieria). In totale le forze germaniche comprendevano: 5 divisioni organiche ed elementi sfusi (tra i quali 9 battaglioni da fortezza e varie batterie), 5 reggimenti speciali motocorazzati (2 Brandenburg e 3 SS), oltre a circa 2 divisioni nell'isola di Creta e nella regione di Salonicco (1 divisione di occupazione e 1 divisione di fanteria). In Grecia era anche dislocato il X corpo aereo tedesco, dipendente dal comando superiore aviazione dei Balcani, con sede a Sofia, al quale facevano capo tutti gli aeroporti della Grecia.
(85) Carlo Vecchiarelli (1884-1948), generale designato d'armata. Frequentò la scuola militare e nel 1909 fu nominato sottotenente di fanteria (alpini) e partecipò alla 1~ guerra mondiale. Frequentò la scuola di guerra e fu addetto militare a Vienna. Comandò il 7° alpini; fu capo di stato maggiore del corpo d'armata di Alessandria; comandò la P brigata alpina e successivamente la divisione Murge. Addetto al corpo d'armata corazzato fu poi comandante della 132" divisione corazzata e del corpo d'armata di Trieste. Durante il periodo della 2" guerra mondiale comandò il I corpo d'armata, fece parte della commissione italiana di armistizio con la Francia, fu a disposizione del comando superiore delle forze armate in Africa settentrionale, dove poi comandò il XX corpo d'armata; fu poi sottocapo di stato maggiore per le operazioni dello stato maggiore esercito e infine comandante superiore delle forze armate in Grecia dal 3 maggio 1943. (86) Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943. Op. cit., p. 446. (87) Ibidem, p. 451. ( 88) Ibidem.
(89) Adolfo Infante (1891-1971), generale di corpo d'armata. Sottotenente di artiglieria nel 1912 e capitano nel 1915, partecipò alla prima guerra mondiale come comandante di batteria. Dopo il primo confliuo mondiale frequentò la scuola di guerra. Fu addetto militare a Londra e comandò da colonnello il 10° reggimento d'artiglieria. Fu capo di stato maggiore del XX corpo d'armata in Libia, e poi comandante dell'artiglieria dello stesso corpo d'armata. Da generale di brigata fo anche addetto militare a Washington. Comandò la divisione Ariete in Africa dal 18 agosto al 21 settembre 1942, e fo poi addetto al Superlibia. Nel luglio del 1943 assunse il comando della divisione Pinerolo in Grecia, e lo mantenne fino al 9 settembre 1943, quando fu nominato comandante delle truppe italiane partigiane in Grecia. Il patto di cooperazione che egli firmò con la missione anglo-americana fu il primo documento con il quale venne riconosciuta la cobelligeranza delle unità italiane. (90) Le unità che si raccolsero intorno al generale Infante furono: comando 14° fanteria, un battaglione 14° fanteria, comando del 313° reggimento fanteria, I e II battaglione del 313° fanteria, III battaglione mitraglieri del corpo d'armata, 6° reggimento Lancieri di Aosta, XXXI gruppo appiedato Lancieri di Aosta, comando
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18° reggimento artiglieria da campagna, 3 batterie del 18° reggimento artiglieria da campagna, elementi vari dei carabinieri, del 13° fanteria, del genio, dei servizi divisionali e della guardia di finanza. In totale poco più di 8 mila uomini e 1 000 quadrupedi. Esse costituirono caposaldi nelle regioni di Kalabata, Trikkala, Karditza, Karpenision. (91) Alle ore 20 dell'8 settembre erano dislocate a Corfù le seguenti forze: una compagnia carabinieri, 18° reggimento fanteria Acqui, III gruppo da 75/27 del 33° reggimento artiglieria Acq11i, un grnppo da 105/28 di corpo d'armata, 333• battetia da 20 e.a. (meno 2 sezioni), una compagnia del genio, un plotone radiotelegrafisti del genio, elementi dei servizi, clementi della marina (comando marina, flottiglia dragamine, ufficio di porto di C'.orfù, naviglio sussidiario) elementi dell'aeronautica, una compagnia guardia di finanza.
Il presidio tedesco comprendeva 450 uomini circa, in prevalenza specialisti per il sei-vizio del presidio, dell'aeroporto, del radiofaro, del radiolocalizzatore, della stazione meteorologica. Una parte degli uomini era impegnata nella installazione di 2 batterie da 150 e nei preparativi per il trasporto dei rinforzi da Prevesa a Gomenizza. In caso di attuazione dell'operazione Asse i tedeschi prevedevano di trasportare a Corfù un battaglione. (92) Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni delle unità italiane... Op. cit., p. 522. (93) Ibidem, da p. 465 a p. 499. Presiedeva l'isola la divisione di famteria Acqui - eccettuati gli elementi dipendenti dal comando XXVI corpo d'armata - rinforzata da unità varie, agli ordini del generale Antonio Gandin. li presidio comprendeva: - 2~ compagnia carabinieri del VII battaglione; - comando fanteria divisionale; - comando artiglieria divisionale e comando 33° reggimento artiglieria; - comando del genio divisionale; - 17° reggimento fanteria nella sua integrità organica; - 317° reggimento fanteria nella sua integrità organica; - 2~ e 4"' compagnie del CX battaglione mitraglieri del corpo d'armata; - I gruppo (100/17) del 33° artiglieria; - 5"' batteria (75/13) del II gruppo del 33° artiglieria; - VII gruppo da 105/28, XCIV gruppo da 155/ 36, CLXXXVIII gruppo da 155/14 di artiglieria di corpo d'armata; - III gruppo contraerei da 75/27 C.K.; - una sezione cannoni da 70/15; - 2 sezioni mitragliere da 20; - 2 compagnie lavoratori; - una sezione fotoelettriche; tUl battaglione genio divisionale; - una compagnia artieri; - un centro T.R.T.; - una sezione di sanità con 3 ospedali da campo; - una sezione di sussistenza; - reparti della marina comprendenti: una batteria su 3 pezzi da 152, una bat-
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teria su 3 pezzi da 120, 5 pezzi da 76 e.a., una flottiglia mas, 2 cacciasommergibili, una flottiglia dragamine, unità per i servizi delJa base; - una compagnia del IV battaglione guardia di finanza. In totale: 525 ufficiali e oltre 11 mila sottufficiali e truppa. Erano inoltre state assegnate extra organico: 40 mitragliatrici, vari mortai da 81 e da 45, 4 cannoni da 47/32, 12 cannoni da 75/40 con compiti controcarro ed antisbarco. Vi erano pochi elementi dell'aeronautica, ma nessun reparto aereo. Le truppe disponevano di 10 unità di fuoco e di 90 giorni di viveri. (94) Antonio Gandin (1891-1943), generale di divisione. Sottotenente di fanteria nel 1908; partecipò alla campagna di Libia e<l alla prima guerra mondiale. Frequentò la scuola di guerra negli anni 1920-21. Con i gradi di tenente colonnello e colonnello fu insegnante di storia militare presso la scuola di guerra. Comandò il 40° fanteria. Da generale di brigata assunse e tenne ininterrottamente la carica, fino al trasferimento alla divisione Acqui, di capo reparto operazioni del Comando Supremo. In questo incarico svolse un'attività di grande rilievo sul piano strategico-politico nella collaborazione colle autorità politiche e militari tedesche. Verso la metà del giugno 1943 assunse il comando della divisione Acqui. (95) Ibidem, p. 477. (96) Ibidem, p. 483. (97) Ibidem, p. 484. (98) Ibidem, da p. 464 a p. 499. (':l':I) Stato maggiore dell'esercito, Cefalonia. Tipografia Regionale, Roma, l':147. (100) Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni delle unità italiane... Op. cit., da p. 525 a p. 587. Il comando superiore delle forze armate in Egeo, retto <lall'ammiraglio di squadra Inigo Campioni , che era anche governatore del Dodecaneso, comprendeva for.i:e <lell'esercito, della marina dell'aeronautica, della milizia, della guar<lia <li finanza dislocate nelle isole del Dodecancso (Alimnia, Archi, Calchi, Calino, Calolino, Candeliusa, Caso, Castelrosso, Coo, Farmaco, Gaidaro, Lero, Levita, Lisso, Nisira, Patmo, Piscopi, Rodi, Scarpanto, Simi, Sirina, Stampalia oltre ad un certo numero di isolotti di scarsa importanza), nelle Sporadi Meridionali (Farni, Nicaria, Samo) e nelle Cicladi (Amorgo, Anafi, Anolso, Antinori, Delo, Giaro, Kea, Micono, Milo, Nasso, Nio, Paro, Penosa, Policandro, Santorino, Serifo, Serpho, Sichino, Sifno, Sira, Strompili, Termia, Tino, altri isolotti minori di scarsa importanza). Erano presidiate le isole di: Calino, Caso, Castelrosso, Coo, Lero, Rodi, Scarpanto, Simi e Stampalia nel Dodecaneso; Fumi, Nicaria e Samo nelle Sporadi meridionali; Amorgo, Anafi, Andro, Antinori, Kea, Misono, Nasso, Nio, Paro, Policandro, Santorino, Serifo, Sichino, Sifno, Sira, Termia e Tino nelle Cicladi.
Le forze poste a presidio delle isole comprendevano: -
forze dell'esercito: - divisione di fanteria Regina con sede del comando a Campochiaro (Rodi), dislocata nel Dodecaneso; - divisione di fanteria Cuneo con sede del comando a Samo, dislocata nelle Sporadi settentrionali e nelle Cicladi;
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- 35°, 36° e 55° raggruppamento di artiglieria da posizione, dislocati nelle Sporadi meridionali; - 56° raggruppamento artiglieria contraerei, dislocato nelle Sporadi meridionali; - reparti di carabinieri, del genio, della guardia di finanza, dei servizi . In totale: 58 mila uomini; fm= della marina: - comando zona militare marittima delle isole italiane dell'Egeo, con sede in Rodi; - comandi marina di Rodi , Lero, Sira; - forze navali: un cacciatorpedi.niere Euro, Il [ flottiglia mas (15 unità ms. e mas), V gruppo sommergibili (uno solo - l'Onice - presente), XIV gruppo antisom su 2 unità, XXXIX flottiglia dragaggio (7 unità di altura e 20 per il dragaggio ravvicinato), unità e navi ausiliarie (un posamine, una cannoniera, una nave appoggio sommergibili, una nave cisterna, un piroscafo requisito, un rimorchiatore, unità minori per i servizi di pilotaggio, vigilanza alle ostruzioni e per usi locali, un pontone officina, un piroscafo frigorifero); artiglierie costiere: 8 batterie di vari calibri e numerose mitragliere <li vari tipi a Rodi, 24 batterie e 49 mitragliere a Lero, 5 batterie a Stamparia, 3 pe:ai a<l Alimnia, 3 pe-ai a Santorino, 8 pe:ai a Sira; la 147" squadriglia <la ricognizione marittima (12 apparecchi <li cui 3 distaccati a Rodi) a Lero; numerose stazioni vedetta e radiotelegrafiche. Forza totale: 2 000-2 200 uomini; -
-
forze dell'aeronautica: - comando aeronautica dell'Egeo con sede a Rodi; - un gn1ppo autonomo da bombardamento su 4 squadriglie; - un gruppo autonomo da caccia su 2 squadriglie; - una squadriglia da trasporto; - una sezione intercettori; - varie mitragliere <la 20. Forza totale: 3 000 uomini e 4 aerei, di cui soltanto 33 efficienti. (101) l nigo Campioni (1878-1944), ammiraglio italiano. Sottocapo di stato maggiore della marina nel 1938, comandò la flotta da battaglia italiana nei primi mesi <li guerra, partecipando agli scontri <li Punta Stilo (luglio 1940) e di Capo Teulada (novembre 1940). Fu poi comandante delle forze italiane nelle isole dell'Egeo e, dopo 1'8 sellembre, diresse la difesa <li Rodi conti-o i Ledeschi. Fàllo prigioniero e deporrnto in Germania, fu poi consegnato al governo della repubblica sociale fascista di Salò e, dopo un simulacro di processo, venne fucilato per aver obbedito agli ordini del governo legittimo del maresciallo Badoglio. ( 102) Forgiero Arnaldo ( 1886-1981), generale di corpo d'armata. Frequentò la accademia militare e la scuola di applicazione. Fu nominato sottotenente <lel genio nel settembre 1906. Partecipò alle campagne di guerra 1911-'12, 1915-'20, 1935-'36, 1940-1943. Frequentò il corso applicativo per ufficiali superiori presso la scuola di guerra. Fu comandante in 2a dell'accademia di artiglieria e genio dall'ottobre 1932 al settembre 1933. Comandò poi il 1° reggimento genio, il genio del corpo d'armata di Roma, la divisione di fanteria Brennero (dal 1° settembre 1939 al 30 settembre 1940). Fu comandante del genio della 4a e dell'8~ armata (1° ottobre 1940-18 aprile 1942 e 18 aprile 1942- 31 dicembre 1942). Comandò il II corpo d'armata dal 15 maiw 1943 al 4 giugno 1943, le for.i:e di Rodi dal 23 agosto 1943 all'll settembre 1943. Catturato dai tedeschi, fu internato in Germania fino al 9 ottobre 1945. Fu poi
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comandante militare territoriale di Genova dal 16 gennaio 1946 al 9 giugno 1948 e quindi ispettore dell'arma del genio fino al 14 aprile 1949.
(103) Ve<ls. capitolo XXXII, nota n. 64 bis. (104) Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni delle unità italiane... Op. dt., p. 537.
(105) Ibidem, da p. 531 a p. 544. Le forze del presidio di Rodi ammontavano I'8 settembre a 37 500 uomini delle varie forze armate. (106) Ibidem, p. 534. ( 107) Ibidem, da p. 544 a p. 553. Alla data dell'8 settembre le forze italiane dislocate nell'isola di Coo ammontavano a circa 4 mila uomini e comprendevano: - il 100 reggimento fanteria con il comando, il II e III battaglione, la batteria di accompagnamento, la compagnia mortai da 81 del I battaglione; - una compagnia cannoni controcarri; - una compagnia mitraglieri costiera; - una compagnia mitraglieri <lella milizia; - il XXXI gruppo artiglieria da 75/ 27 del 35° raggruppamento su 3 batterie; - il LXXXII grnppo artiglieria contraerei cla 75 A.V. del 36" raggruppamento su 3 batterie; - una batteria del XXIX gruppo da 149/12 del 36° raggruppamento; - una batteria mitragliere da 20 e.a.; - un plotone trasmissioni; - un plotone fotoelettricisti del L battaglione chimico ; - la tenenza dei carabinieri; - una brigata della guardia di finanza: - 3 stazioni vedetta della marina ; - una sezione della 396" squadriglia da caccia su 8 apparecchi (2 efficienti ).
( 108) Ibidem, p. 547. ( 109) Ibidem, p. 552 . ( 110) Mario Soldarelti (1886-1962), generale <li corpo <l'armata. Frequentò l'accademia di artiglieria e genio, la scuola di applicazione e la scuola di guerra. Sottotenente di artiglieria nel 1907 prese parte alla 1a e alla 2" guerra mondiale. Fu comandante del 15° reggimento di artiglieria da campagna, poi capo di stato maggiore presso il comando designato IV armata e successivamente comandante della divisione di fanteria Sabratha in Africa settentrionale dal maggio '41 al luglio '42. Fu poi addetto al comando superiore forze armate dell'Africa settentrionale e quindi trasferito in Egeo al comando della divisione di fanteria Cuneo. Dal 15 luglio 1944 al 1° aprile 1945 fu comandante del comando militare territoriale di Napoli e dal 2 aprile 1945 al 20 dicembre 1946 comandante del comando militare territoriale di Roma.
(111) Luigi Mascherpa (1893-1944), ammirnglio italiano. Distintosi durante la prima guerra mondiale, nel corso della seconda ebbe il comando dell'isola di Lero nel Dodecaneso. Dopo 1'8 settembre diresse la resistenza dell'isola ai tedeschi durata oltre due mesi. Costretto alla resa (16 novembre 1943) fu catturato, internato in Germania e poi consegnato alle autorità fasciste della repubblica di Salò che lo fuci-
CAP. XLI - LA UJSFA'l'TA DELL'8 SETTEMBRE
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larono <lopo un processo sommario per aver obbedito agli ordini del governo legittimo <lei maresciallo Badoglio. (112) Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico, Le operazioni delle unità italiane... Op. cit., da p. 557 a p. 572. L'isola di Lero era presidiata <lalle seguenti forze : -
-
esercito, finanza, milizia: - un battaglione del 10° reggimento fanteria « Regina»; - una compagnia mitraglieri da posizione costiera; elementi dell'arma dei carabinieri; clementi della guardia di finanza; una compagnia mitraglieri della milizia. In totale: 1 200 uomini; marina:
- difesa marittima cd antiaerea costttuJta da 24 batterie (3 da 152, 2 da 120, 4 da 102, 1 da 90, 14 da 76) e 49 mitragliere (3 da 37, 15 da 20, 31 da 13,2); - vari sbarramenti per la difesa foranea e costnizioni; - reparti di marinai e squa<lre antiparacadutisti; - rete semaforica, di avvistamento e del tiro; - servizi logistici; - un cacciatorpcdinic1·c;
- III flottiglia mas; - XIV gruppo antisom; - XXXIX flottiglia da dragaggio su 6 squadriglie; - 9 n avi sussidiarie; - 6 unità navali minori; - 8 piroscafi;
-
aeronautica:
- 147" squadriglia da ricognizione marittima con 12 apparecchi (dei quali 3 distaccati a Rodi), di cui 7 efficienti; - 400 avieri per la difesa ravvicinata dell'aeroporto e degli impianti della zona di Scrocampo (settore meridionale). forza totale: 245 ufficiali, 5 178 sottocapi e comuni, 964 truppa. Totale militari 7 203 ai quali si aggiungevano 717 mili tari,:~ati . (11.3) lbi<lem, p. 566. (114) I bidem, p. 572. (115) A<l eccezione dei presidi di Samo e di Sira, quelli delle altre isole erano di mo<lt:sla cousistt:nza. Il presidio di Samo comprendeva : il comando della Cuneo, 1'8° reggimento fanteria con I e II battaglione e una compagnia mitraglieri, un battaglione arditi d ivisionale, un battaglione mortai, una compagnia controcarri, il 27° reggimento artiglieria eia campagna su 3 gruppi e una batteria da 20, una compagnia mista artieri, una compagnia trasmissioni, una sezione fotoelettrica, 3 stazioni vedetta della marina, la 24' legione della mi lizia cd elementi dei servizi. Il presidio di Sira comprendeva: comando del 7° reggimento fanteria e II battaglione (meno una compagnia), una compagnia mortai, una compagnia cannoni controcarri, una sezione carabinieri, il comando marina con 4 pezzi da 76/40 e 4 pezzi da
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76/17 e una stazione vedetta collegata o tticamente con altra dislocata sull'isolotto di Gaidaro. Le forze delle altre isole erano: una compagnia fucilieri, un plotone mitraglicri e 2 stazioni vedetta della marina a Nicaria; una squadra fucilieri a Farni; una compagnia fucilieri ad Amorgo; il III battaglione <lell'8° fanteria (meno 2 compagnie) e una stazione vedetta della marina ad Andro; un plotone fucilieri e una stazione vedetta della marina ad Anafi ; un plotone fucilieri ad Antinori; una compagnia fucilieri (meno un plotone) e 2 stazioni vedetta della marina a Kea; un plotone fucilieri e una stazione vedetta della marina a Micono; I battaglione del 7° fanteria (meno 2 compagnie) e una stazione vedetta della marina a Nasso; una compagnia fucilieri (meno 2 plotoni) a Nio; una compagnia fucilieri a Paro; un plotone fucilieri e una stazione vedetta della marina a Policandro; comando 111 battaglione 7° fanteria e 10' compagnia (meno un plotone), 12' compagnia mortai e una stazione vedetta della marina a Santorino; un plotone fucilieri e 2 stazioni vedetta della marina a Serifo; un plotone fucilieri a Sichino; una compagnia fucilieri (meno un plotone) e una stazione vedetta della marina a Tino. (116) Ibidem, allegato n. 5 al capitolo XV, p. 585. « Comando Supremo. N. 3108/ op. Allo SM.R.E. Sede. Si comunica il seguente telegramma del generale Soldarelli: "N l/1755. Truppe inglesi hanno ricevuto ordine evacuare Samo alt Nessun aiuto est ormai da attendersi :ùt ln queste condizioni non est possibile sostenere attacco perché truppa già moralmente scossa per caduta Lero non reggerebbe nuova situazione alt. Popolazione civile attribuisce at presenza tmppa causa attacchi aerei terroristici in corso su centri abitati et invoca allontanamento da esso alt Esaminata situazione con Comando inglese ahhiamo concordemente deciso tentare rientro in Ttalia via Turchia alt Per inizio movimento attendo risposta cla Autorità inglesi Ankara interessate direttamente cla Comando inglese alt Non ho altra scelta per impedire inevitabile lotta (fratricida?) al momento attacco alt Generale Soldarelli " . D'ordine il generale caporeparto Silvio Rossi ».
INDICE DEGLI SCHIZZI NEL TESTO
Il bacino del Mediterraneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La battaglia delle Alpi occidentali (giugno 1940) . . . . . . . . Situazione generale e locale all'ottobre 1940 . . . . .. . ... . Operazioni in Africa Settentrionale (dicembre 1940 - febbraio 1941) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Armamento principale delle divisioni di fanteria dei vari eserciti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'area strategica albanese ....... . . . . . . . . . . . . . . . . . Offensiva iniziale italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Schieramento delle forze greche al 28 ottobre 1940 ..... . Sintesi operativa (periodo 14 nov. - 28 clic. 1940: controffensiva greca) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sintesi operativa (gennaio-febbraio '41) . . . . . . . . . . . . . . Offensiva italiana del marzo 1941 (forze contrapposte) ... . L'offensiva italiana del marzo 1941 . . . . . . . . . . . . . . . . La campagna italo-tedesca contro Grecia e Iugoslavia (sviluppo operativo) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Lo sviluppo delle operazioni dal!'Albania . . . . . . . . . . . . . Situazione personale, quadrupedi, automezzi e materiali vari Situazione affluenze in Albania delle G.U. del R.E . . .... . I trasporti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Organizzazione di comando delle forze in A.O.I. durante il conflitto ...... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Africa orientale italian:i . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Situazione delle forze contrapposte all'inizio delle ostilità secondo le stime dei comandi italiani . . . . . . . . . . . . . . La conquista del Somaliland . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Direttive del Comando Superiore FF.AA. dell'A.O.I. in data 24 dic. 1940 per la costituzione di ridotti nei vari scacchieri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sintesi oper:itiva della campagna in A.O. . . . . . . . . . . . . . La situazione strategica mediterranea dal giugno 1940 al febbraio 1941 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ....... .
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La situazione strategica mediterranea dal febbraio al dicembre 1941 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Rifornimenti delle forze dell'Asse in A.S. 1940-43 ..... . Operazioni in Africa Settentrionale (marzo-aprile 1941) .. . Operazioni in Africa Settentrionale (novembre-dicembre 1941) Inizio controffensiva italo-tedesca (21 gennaio 1942) ..... Schieramento delle forze italo-tedesche e presunta situazione delle forze avversarie al mattino del 26 maggio 1942 El Alamein - La 1° battaglia (luglio 1942) . . . . . . . . . . . . El Jllamein - La 2° battaglia (Halam el Haifa) ... .. ... . Il disegno di manovra britannico « Lightfoot » . . . . . . . . Il disegno di manovra « Lightfoot » (settore nord) ..... . El Alamein - La 3° battaglia (ottobre-novembre) ....... . L'avanzata dell'8° armata britannica verso la Tunisia .... . Organizzazione di comando dell'Asse in A.S. nel periodo ottobre 1942 - febbraio 1943 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'operazione « Torch » . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Organizzazione di comando dell'Asse in A.S. dal 5 febbraio 1942 al 13 maggio 1943, dopo l'afflusso dell'ACIT dalla Libia in Tunisia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La battaglia di Kasserine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Posizioni dell'8a armata al 6 marzo 1943 . . . . . . . . . . . . La battaglia del Mareth (la fase) . . . . . . . . . . . . . . . . . . La battaglia del Mareth (2a fase) . . . . . . . . . . . . . . . . . . Avanzata degli Alleati in Tunisia (marzo-maggio 1943) ... . La battaglia dell'Uadi Jlkarit . . . . . . . . . . . . . . . . .... . Riepilogo schematico della manovra nella 1° battaglia di Enfidaville nel periodo 20-22 aprile 1943 . . . . . . . . . . . Enfidaville e le operazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . L'offensiva germanica dell'estate-autunno 1941 ........ . Situazione delle forze alleate nello scacchiere del basso Dniestr ........ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La manovra di Petrikowka (28-30 settembre 1941) ..... . Lo schieramento sul Woltsch;a e l'attacco di Pawlograd (9-11 ottobre 1941) ...... . .... ...... . . . . . . . . . . Le operazioni per la conquista del bacino industriale del Donez ( 13-29 ottobre 1941) - L'occupazione della stazione di Statino ..... . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le operazioni per la conquista di Gorlowka e Rykowo ( 1-2 novembre 1941) e combattimento di Nikitowka (6-12 novembre 1941 ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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INDICE DEGLI SCHIZZI NEL TESTO
La battaglia di Chazepetowka (le operazioni dal 7 al 14 dic. 1941) ..... . . . . . . . . . . . . . . ... ... . ... ... . La battaglia di Natale (l'offensiva Russa: 25-27 dic. 1941) La battaglia di Natale (la controffensiva italo-germanica: 2831 dic. 1941) . . . . . . . . . .... . . . . . . . . . . . . . . . Offensiva russa di lzyum e controffensiva germanica (gennaio-febbraio 1942) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ripresa delle operazioni da parte germanica (luglio-novembre 1942) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..... ... . Le operazioni per la conquista del bacino minerario di Krasnij Lutsch ( 11-14 luglio 1942) . . . . . . . . . . . . . . . . La battaglia di Sera/imowic (le operazioni del 31 luglio - 1° agosto 1942) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La prima battaglia difensiva del Don (gli attacchi russi da Voronej a Kremensckaja - agosto 1942) . . . . . . . . . . La prima battaglia difensiva del Don. L'urto iniziale russo (20-22 agosto 1942), Settore D. « Sforzesca » . . . . . . La prima battaglia difensiva del Don (il nostro contrattacco - 23 agosto 1942) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dislocazione a cordone dell'8a armata quale risultò invece all'inizio della 2a battagJia difensiva del Don (dic. 1942) Schema dei piani operativi sovietici << Saturno » e « Piccolo Saturno» (dicembre 1942) . . . . . . . . . . . . . . . . . . La battaglia di logoramento (11-15 dicembre 1942) - Principali attacchi del nemico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La battaglia di rottura sul fronte del II C.A. - Schieramento e direzioni d'attacco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La breccia aperta sul fronte del II C.A. - Situazione alta data del 18 dicembre 1942 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La battaglia sul fronte della divisione « Pasubio » . . . . . . . La battaglia sul fronte della divisione « Celere » . . . . . . . . Ricostruzione di una difesa arretrata continua. Schieramento delle unità italo-tedesche sul fronte dell' 8° armata alla data 21 dicembre 1942 e successivi spostamenti .... Visione grafica riassuntiva del ripiegamento delle unità del XXXV e XXIX C.A. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Forze contrapposte all'inizio del 2° periodo dell'offensiva russa sul fronte dell'8° armata (situazione al 13 gennaio 1943) - - - ... - - - ... - ... .... · · · . · . · · · · · - L'aggiramento del C.A. alpino - Situazione del C.A. alla sera del 17 gennaio 1943 ..... ... ... . .... .. .... .
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FILIPPO STEFANI
Il ripiegamento del C.A. alpino (19-31 gennaio 1943) Schema dell'operazione sovietica « Ostrogozsk-Rossosc » (1327 gennaio 1943) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. Il piano iniziale alleato per « Husky » (c.c.s. plan Casablanca - gennaio 1943) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Il piano definitivo alleato per « Husky » (maggio 1943) .. . Schieramento delle unità per ta difesa della Sicilia (9 luglio 1943) . . . . . . . . . . · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · · Le forze contrapposte all'alba del 10 luglio . . . . . . . . . . . Situazione delle forze il 12 luglio '43 .. . . . . . . . . . . ... . Avvenimenti dal 12 al 25 luglio 1943 ...... .. ...... . Invasione delta Sicilia (luglio-agosto 1943) . . . . . . . . . . . . Avvenimenti dal 25 luglio al 17 agosto 1943 ..... .... . Dislocazione truppe italiane e germaniche all'8 settembre 1943
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INDICE GENERALE
Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
CAPITOLO XXXII -
DOTTRINA E
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5 10
ORDINAMENTI DURANTE
LA SECONDA GUERRA MONDIALE
1. La violazione dei principi strategici e tattici elementari 2. La evoluzione della tattica . . . . . . . . . . . . . . . .3. L'immobilismo ordinativo ..... ......... . .... . 4. La difesa costiera . . . . . . . . . . . . . . . . . . ...... . .
CAPITOLO XXXIII -
15 19
LE CAMPAGNE AUTONOME ITALIANE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
(parte prima)
I rapporti dottrinali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I rapporti ordinativi . . . . . . . . . . . . ....... ... . . La mobilitazione negli anni 1939 e 1940 . . . . . . . . . . La direzione politico-strate[!.ica e l:z direzione tecnico-militare della guerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. La campagna delle Alpi occidentali . . . . . . . . . . . .. . 6. Il ciclo operativo dal giugno 1940 al febbraio 1941 nell'Africa settentrionale .... . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1. 2. 3. 4.
CAPITOLO XXXIV -
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LE CAMPAGNE AUTONOME ITALIANE NELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
(parte seconda) 1. I precedenti della campagn:z di Grecia .. . . . . . . . . . . 2. L' offensiva italiana e la controffensiva greca .. . .... .
996
FILIPPO STEFANI
3. La battaglia greca per Berat e la contromanovra italiana su Klisura. L'incontro Hitler-Mussolini del 19-20 gennazo
4. La battaglia greca per T epeleni .... . .......... . 5. Le controffensive italiane del marzo ed aprile ..... . 6. Considerazioni sulla campagna di Grecia . . . . . . . . . . 7. La guerra in Africa orientale e la conquista inglese dell'Eritrea e della Somalia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8. Le altre operazioni in Africa orientale . . . . . . . . . . . . 9. Considerazioni sulla guerra in Africa orientale . . .. . .
CAPITOLO
xxxv - LE
OPERAZIONI
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ITALO - TEDESCHE
(parte prima) L. La collaborazione operativa italo-tedesca ......... .
2. 3. 4. 5.
La ristrutturazione del Comando Supremo italiano ... .
La utilizzazione dei porti della Tunisia . . . . . . . . . . . La questione di Malta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La prima controffensiva italo-tedesca in Africa Settentrionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. La seconda controffensiva italo-tedesca in Africa Settentrionale da el Agheila ed el Alamein . . . . . . . . . . . . 7. Considerazioni conclusive ......... . . . . . . . . . . .
CAPITOLO XXXVI -
LE
OPERAZIONI
242
ITALO - TEDESCHE
(parte seconda) 1. La battaglia di Alam el Halfa . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. 3. 4. 5. 6.
Dal 5 settembre al 23 ottobre . . . . . . . . . . . . . . . . La battaglia di et Alamein . . . . . . . . . . . . . . . . . . Prima fase della ritir•ta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Seconda fase della ritirata ..... .. ....... . Considerazioni conclusive . . ... ... . . . . . . . . . . .
CAPITOLO XXXVII -
LE
OPERAZIONI
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394 409
415
ITALO-TEDESCHE
( parte terza) 1. La fun zione strategica della Tunisia . . . . . .
2. La prima fase della campagna di Tunisia . .
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451 463
997
INDICE GENERALE
3. La seconda fase della campagna di Tunisia . . . . . . . . . 4. La terza ed ultima fase della campagna di Tunisia sulla fronte della 1 armata italiana . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. La terza ed ultima fase della campagna di Tunisia sulla fronte del XXX corpo d'armata italiano . . . . . . . . . . 6. La fine della campagna tunisina . . . . . . . . . . . . .. . . 7. Considerazioni conclusive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
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1. Il piano di invasione della Sicilia degli anglo-americani
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Il piano di difesa italiano ........ . ..... .. ... Il grado di efficienza delle forze italiane e tedesche .. Le operazioni la notte ed il giorno dello sbarco ..... I contrattacchi italiani e tedeschi del giorno 11 .....
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711 718
CAPITOLO XXXVIII -
LE
OPERAZIONI
ITALO-TEDESCHE
(parte quarta) 1. La partecipazione militare italiana alla guerra contro la Unione Sovietica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La costituzione del C.S.I.R. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Le operazioni del C.S.I.R. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. La costituizone dell'811 armata .... .. . . .... .. . . . 5. Le operazioni dell'S4 armata fino alla conclusione della prima battaglia difensiva del Don . . . . . . . . . . . . . . 6. L'intervallo tra le due battaglie difensive del Don .... 7. La seconda battaglia difensiva del Don: la fase di logoramento e la fase di rottura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8. La seconda battaglia difensiva del Don: il ripiegamento del centro e della destra dell'8" armata, la ricostruzione di una linea difensiva, la prosecuzione del ripiegamento, la difesa di Voroscilovgrad e del tratto tra la confluenza Derkul-Donez e l'abitato di Michajlovka . . . . . . . . . . 9. La seconda battaglia difensiva del Don: l'operazione sovietica Ostrogozsk-Rossoc ed il ripiegamento del corpo d'armata alpino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10. Considerazioni riepilogative e conclusive . . . . . . . . . .
CAPITOLO XXXIX -
LE
OPERAZIONI
ITALO - TEDESCHE
(parte quinta)
2. 3. 4. 5.
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998
FILIPPO STEFANI
6. La manovra di ritardo e di contenimento del!'avanzata anglo-americana dal 12 al 16 luglio . . . . . . . . . . . . . 7. L'azione di ritardo e di contenimento dal 16 al 22 luglio
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768 773 778 788
1. Gli antecedenti ed il 25 luglio . .. . . . . . . . . . . . . . .
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2. 3. 4. 5. 6. 7.
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816 824 832 849
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e la manovra del XII corpo d'armata ..
-
.........
8. La resistenza dal 22 al 27 luglio ................ 9. La manovra in ritirata . ... . ................. 10. Lo sgombero dell'isola ............... - ......
CAPITOLO XL - DAL 25 LUGLIO ALL'8 SETTEMBRE
Le conseguenze del 25 luglio . . . . . . . . . . . . . . .. . . L'armistizio e le trattative che lo precedettero ..... . La mancata effettuazione della Giant . . . . . . . . . .. . Le contromisure alla reazione tedesca . . . . . . . . . . . . Il consiglio della corona . . . . . . . . . . .. .. ..... . L'abbandono di Roma da parte del Comando Supremo e dello Stato Maggiore dell'Esercito . . . . . . . . . . . . . 8. La difesa di Roma . . . . . . . . . . . ... . . .... .... .
CAPITOLO XLI - LA DISFATTA DELL'8 SETTEMBRE 1. La resa di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La 4 4 armata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. La 5a armata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 4. L'8° armata ed i comandi della difesa territoriale di Milano e Bologna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. La armata e l'inizio della cooperazione dell'esercito italiano con le forze anglo-americane ..... ..... . . 6. Il comando delle forze armate Sardegna . . . . . . . . . . 7. Il comando delle forze armate Corsica . . . . . . . . . . . . 8. La 2a armata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ...... .· .. 9. Il gruppo armate est . ..... . . . . . . . . . . . .. ... . 10. L'1l4 armata in Grecia, a Corfù, a Cefalonia . . . . . . . . 11. Il comando superiore delle forze armate dell'Egeo ... .
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906 912 918 922 929 937
Indice degli schizzi nel testo . . • . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Indice generale . . . . . . . . . . . . . . . ~ . . . . . . . . . . . . . .
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ERRATA CORRIGE Pagina
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pié tabella
Riprcduzione
Riproduzione
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Hlafaya
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Tabella
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Nota (1): -
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schizzo
P ARMATA COR.
1a DIV. COR.
613
3a
SEITORE D. «SFORZESCA»)
SETTORE D. « SFORZESCA»
632
2&
PRINCIPALI AITACCHI NEL NEMICO
PRINCIPALI AITACCHT DEL NEMl(X)