STATO
MAGGIORE UFFICIO
DELL'ESERCITO
STORICO
FILIPPO STEFANI
LA STORIA DELLA DOTI'RINA E DEGLI ORDINAMENTI DELL'ESERCITO ITALIANO VOLUME III
* TOMO 1° DA1LA GUERRA DI LIBERAZIONE All'ARMA ATOMICA TAffiCA
ROMA
1987
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l' ROPRlET À LETTERARIA Tutti i diritti riservati Vietata anche la riproduzione parziale senza autorizzazione © Ufficio Storico SME - Rom a 1987
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VIA Dici.LA M ORTELLA·, 36 - TEL. 43882.00 • ROMA 1987
PRESENTAZIONE
Con il terzo volume della Storia della dollrina e degli ordinamen ti dell'Esercito Italiano, l'Autore pre nde in esame il p eriodo compreso tra l'armistizio del se ttem bre 1943 e la fine degli anni Cinquanta. Sono poco più dì tre lustri densi di avvenimenti tragici e travagliati per la storia - e non mi riferisco soltanto alla storia militare - del Paese. Pe r questo motivo, anche al fin e di dare continuità storiovafica all'opera conservandone il taglio e l'omogeneità che la caratterizzano nei volumi preceden ti, si affronta nella prima parte del libro il periodo guerreggiato delle operazioni 1943-1945; periodo che vide coinvolte le nostre unità le quali, ope rando a fianco degli Alleati nella campagna d'Italia, ne assorbirono - specie nell'ultima fase - la dottrina, dopo un intenso tirocinio addestrativo. Ma anche periodo che - nel più vasto panorama della seconda guerra mondiale - con l'av vento delle grandi operaz ioni corazzate in Europa, ma soprattutto con l'impiego della bomba atomica, influenzù radicalmente la dottrina d'impiego e gli ordinamenti post-bellici d ell'intero arengo degli Eserciti, ivi compreso quello italiano. Ed è perciò che si è ritenuto opportuno spaziare al dì fuori dei rigidi limiti che il titolo dell'opera può sembrare sottintendere. /,a seconda parte del presente volume ritorna invece nel campo propriamente dottrinale ed ordinativo de ll'Esercito Italiano, riprendendo il filone tecnico e raccordandosi quindi alla con tinuità dell'analisi che aveva preceduto la seconda guerra mondiale. Ne traspare comunque sintomatica l'incidenza dell 'espe rienza bellica acquisita: la prima concezione dottrinale affaciatasi quale esigenza imprescindibile è infallì proprio quella derivata dall'ipotesi di impiego dell 'arma atomica in campo dollrìnale, tradottasi nella circolare 600 che rapp rese nta il primo pensiero organico sull'argomento in ambito mondiale. lL CAPO DELL'UFFICIO STORICO
CAPITOLO
XLII
LA DISFATTA. LA RESISTENZA
1. La situazione militare generale dell'Asse dall'estate del 1942 a quella del 1943. 2. Il tradimento tedesco di Feltre. 3. La disfalla spirituale e morale. 4. Il governo del re. 5. 1l governo di Salò. 6. Le componenti della resistenza. 7. L'aspetto politico della resistenza. 8. Le formazioni partigiane ed il Corpo Volontari della Libertà.
1.
Nei quattordici mesi trascorsi dall'arresto dell'avanzata dell'armata corazzata italo-tedesca in Egitto (luglio 1942) alla resa dell'Italia a Cassibile (settembre 1943) le operazioni dell'Asse nel teatro operativo del Me<lilerrnneo avevano preso gradatamente una piega sempre meno favorevole. La sconfitta di el Alamein, la perdita della Libia, l'evacuazione dall'Africa settentrionale, l'occupazione anglo-americana della Sicilia avevano di tappa in tappa distrutto ogni benché minima speranza ragionevole di ripresa. Anche nel teatro operativo d'Oriente, sempre dalla tarda estate del 1942, alle precedenti prospettive favorevoli era subentrata, per l'Asse, la molteplicità delle preoccupazioni relative tanto agli obiettivi quanto ai mezzi. Hitler non aveva voluto rendersi conto che le punte di attacco create in Egitto ed a nord d e l Caucaso avevano perso, durante quell'estate, la loro capacità di urto e di penetrazione e che la cooperazione tra le due branche della grande manovra strategica era divenuta impossibile in seguito al costante crescere dei mezzi e dei materiali dispiegati sui campi di battaglia dagli anglo-americani e dai sovietici. L'idea fissa di eliminare l'Unione Sovietica prima di costringere l'Inghilterra a cedere, impostando la lotta su considerazioni politiche ed economiche più che strategiche, aveva indotto Hitler a sottovalutare la mole ed i tempi dell' apporto bellico statunitense ed a trascurare il valore rappresentato, ai fini della ricostituzione e della riorganizzazione dell'economia · sovietica degli armamenti, dai territori transuralici e siberiani. Aveva così dato scarso ascolto alle richieste del maresciallo Rommel e del
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maresciallo Kesselring di rinforzare il teatro del Mediterraneo ed aveva concentrato il suo sforzo contro i bacini del Donez e del Don, contro i territori petroliferi d el Ca ucaso, contro il centro indus tria le e di traffici di Stalingrado - appunto contro i settori più importanti sotto l'aspetto economico - rinunziando all'attacco contro Mosca, suggeritogli dal capo di stato maggiore dell'esercito. No n e rano mancati generali che avevano proposto l 'abbandono di talune fronti minaccia te di essere tagliate fuori dai rifornimenti ed il ridime nsionam ento dei progelti e dei programmi ope rativi s u entrambi i teatri, ma le loro oGietLive e realistiche valutazioni strategiche e tecnico-militari erano s tate intese da Hitler come dete rminate da d e bolezza morale e fi sica o addiri ttura da disfattismo ed erano state soffocate sul nascere d a lle s ue concezioni di rimane re dove ci si trova e di difendere ogni palmo di terreno. Da tali concezioni e ra derivato il grave logoramen to subìto dalle forze tedesche dura nte la campagna difensiva invernale 194 1-'42 , dal la qua le l'eserc ito e l'aeronautica erano u sciti fortcnw 11te debi litati. L'esercito aveva manten uto il con trollo delle cii Lù bastione di Schliis selburg, Novgorad, Kiev, Vja rm a, Hrjans k, 01·d , Kursk, Charkov, Taganrog, ma il sistema di difesa ri g ida, a r1f f i11 , i,11posto <la Hitler , che aveva m esso il veto ad ogni ritirata s u vas ta M.'~1la, aveva ridotto le divisioni a non più di un tt'rzo eh-i l11n, ,· lt,·11i v i. A partire dal 1942, divisioni u scite qua si dis trutte d a d11ri s -. i111 i co111battimenti erano state m a ntenute in esistenza, sopra ! I ut lo pc r I ra r rc in inganno il nemico, senza che i vuoti aperti s i ,w lk lrn·o filc fusscru sta ti anche s olo in parte colmati 1. Per risolvc rl' i11 q11nkhc modo il problema del ripianamento delle perdite - s::i rehlK·ro aecors i a ltr i 800 mila uomini per rimettere a punto le di vis io 11 i prnv:i te e pe r cos tituire le nuove necessarie alla ripresa o ffc11 s iv.1 dc ll 'c~ tat e 1942 (uomini non disponibili o non sottraibili a lle fahb rid1c) le d ivi sioni di fa nteria ·erano s tate strutturate su 7 an-t.icl1L· -.11 ') ha tt aglioni e la forza delle compagnie di fanteria era s tai ~, , ido t ta da 180 a 80 uomin i. Se il mutamento dell'organico d e ll a L'omp;1~11ia di fan teria r ispondeva a lla dupl ice e si genza di garan l in · 111l'gl iu la cuina nda bil ità dell ' unità e di ridurne la vulnerabilità - I\ :~rw1ic111.a aveva dimostra to ch e i nuovi giovani ufficiali st entavano ~, n11 1t rollare compagnie troppo numerose e che queste andavano i11 l'1111t r<i a perd ite ingenti sen za che la loro capacità operativa fos~c ~1·11:-. ihilme nte superiore a quella di comqu ·Ilo d e lla divisione s i ri solveva in pag nie con organ ico m i11orl' una grave d ecurtazione d e ll ;1 pot e nza offensiva con la conseguenza che un a divis ione e.li fa11t1·ri :, 1cd csca non equiva leva più ad una divis ione inglese, s tat u11i1L'11SL' o s ov ie tica, m a a poco più della metà di
CAP. XLII - LA DTSFATIA. LA RESISTENZA
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queste ultime. Anche in fatto di carri armati e di aerei la Ge rmania era partita per l'offensiva dell'estate del 1942 con una consistenza inadeguata alla grandiosità dello sforzo. Questo, benché ridotto rispetto agli inte ndimenti iniziali, prevedeva l'estensione dell'avanzata al di là di Stalingr ado nella misura necessaria a garantire la sicurezza di tale zona strategica ed a coprire il fianco dell'avanzata del Caucaso ed un'azione a parte, nel settore di Leningrado, p er aprire le vie terrestri di comunicazione con la Finlandia, virtualmente isolata. L'offensiva aveva con seguito inizialmente successi spettacolari, ma poi era s tata arrestata dalla poderosa controffens iva sovietica il cui inizio - 19 novembre - a veva coinciso con lo scacco subìto dai tedeschi nel Caucaso centrale. Nel frattempo, il 23 ottobre, 1'8 3 armata britannica aveva dato inizio alla battaglia di el Alamein e, 1'8 novembre, forze inglesi ed americane erano s barcate sulle coste del!' Africa settentrionale francese. Da ll 'autunno del 1942 a lla metà del febbraio 1943 le truppe dell'Asse erano state costrette a d abbandonare l' Egitto e la Libia, ad asserragliarsi tra due fuochi in Tunisia, a r inunziare a lla quasi totalità del cor ridoio Don-Donez ed a ritirarsi dal Caucaso per non restare tagliate fuori. Delle due sconfitte dell 'Asse -el Alamein e Stalingrado - la pi ù grave, sotto il profilo strategico, fu quella egiziana poiché dopo di essa l'Asse perse definitivamente ogni iniziativa nel teatro del Mediterraneo e rifluendo, sia pure lentamente, p rima da est verso ovest e poi da sud ver so no rd, a prì agli anglo-americani la strada del ritorno sul continente europeo. La sconfitta di Staling rado fu pesant issim a sotto tutti gli aspetti, ma meno paralizzante a i fini de lla ripresa dell'iniziativa da parte tedesca e meno direttamente e immediatamente inc idente a i fini dell'esito della guerra. Il fallimento della manovra di due intere armate - la 6 3 e la 4 a - , lanc iate da nord e da ovest a lla con quista del la metropoli sul Volga e costre tte a procedere passo passo nel groviglio dei quartie ri operai e delle ins tallazioni industriali per poi arrestarsi di fronte all'eroica r esistenza de i sovietici, rappresentò un colpo durissimo per i tedeschi. Per l'ostinazione di Hitler, che non ne volle a nessun costo aut orizzare lo sgan ciamento, andò pe rduta l'intera 6 3 a rmata che il 2 febbraio dové capito lare e lasciare nelle mani dei sovietici un feldmaresciallo, 24 genera li e c irca 90 m ila ufficiali, sottuffic iali e soldati. Entrambe le sconfitte ebbero un'importanza decisiva nel campo po litico e ps icologi co: incrin arono la compattezza morale dell'esercito italiano e di quello tedesco; fecero crolla re il mito della imbattibilità tedesca; generarono la sfiducia nell 'esito vittor ioso della guerra; tanto demoralizzarono i paesi dell'Asse
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e lo stesso Mussolini, disperdendo il credito nelle capacità direttive di Hitler e favorendo nei vertici militari, nei quadri, nelle truppe il nascere della fronda contro una condotta della guerra assurda, quanto esaltarono ed entusiasmarono gli al1eati ed i sovietici che ne trassero motivo per rafforzare la fiducia nel successo finale che sentivano avvicinarsi. Così Stalingrado, nei suoi effetti, fu più che una semplice disfatta militare; infatti investì anche il campo politico. Hitler, nella campagna d'estate del 1942, aveva mischiato, in maniera inammissibile, propaganda e politica con la strategia 2. Poco dopo Stalingrado, tuttavia, nella terza battaglia di Charcov, a metà febbraio, il maresciallo von Manstein 3 riprese l'iniziativa e riuscì a bloccare l'offensiva sovietica in corso. Tale successo indusse in aprile Hitler apreparare una nuova grande offensiva per l'estate 1943 - l'operazione Zitadelle - che venne sferrata il 5 luglio e fu dovuta sospendere solo dieci giorni dopo l'inizio. La manovra contro i due fianchi del saliente sovietico di Kursk, attaccato da nord dalle forze del mares ciallo von Manstein e da sud da quelle del maresciallo von Kluge 4 - in tullo 18 divisioni tra corazzate e panzer grenadiere, vale a dire la quas i totalità delle forze corazzate della fronte orientale - realizzò una penetrazione di una trentina di chilometri e si arenò nei profondi campi minati strenuamente difesi dai sovie tici che si batterono con te nacia lungo i fianchi delle brecce aperte dai tedeschi . Pa ssati, a loro vo lta, all'offensiva, il 12 luglio, contro il fianco settentriona le de l saliente tedesco di Orel, i sovietici penetrarono in tre giorni per oltre 50 Km e giunsero fin quasi alle spalle di Orel. costringendo i tedeschi a sospendere la loro offensiva oramai priva di m o r·de nte ed a richiamare indietro le loro forze. I tedeschi riuscirono a s tento ad impedire all'ala settentrionale sovietica di pors i a cava ll o de lla lin ea fe rroviaria Orel-Brjansk, ma il 5 agos to pe rsero la città di Ore l che e ra s tata uno dei principali ca posa Idi de l la fro nte te desca fin dal 1941 e d il cui nome era stato una specie di simbolo sul piano militare pe r cui la sua evacuazione fu tanto d eprime nte pe r i ted eschi quanto stimolante per i russi s. L'ope razione Zitadelle fu l'ultma offensiva strategica tentata dai tedeschi nel teatro operativo orientale; il suo fallimento segnò l'inizio della grande manovra in ritirata che si concluderà nel maggio del 1945 con la capitolazione senza condizioni della Germania. Nell'estate del 1943 la situazione delle forze aero-terrestri dell'Asse sulla fronte mediterranea e su quella orientale registrava l'inizio di un minaccioso capovolgimento; anzi, nel teatro operativo del Mediterraneo, la combinazione delle operazioni Lightfoot e Torch
CAP. XLU - LA DISFATTA. LA RESISTENZA
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aveva già prodotto l'azzeramento di ogni possibilità operativa dell'Asse che non fosse quella della difesa della penisola italiana, per la quale però l'Italia non aveva in proprio i mezzi e la Germania non era disposta ad aumentare i suoi. Non meno gravi per l'Asse, per le sue conseguenze negative, era divenuta in quell'estate la situazione dell'Atlantico dove dal maggio l'ammiraglio Donitz 6 era stato costretto ad interrompere la caccia ai convogli in seguito ai gravi insuccessi ed alle pesanti perdite di U.-Boote, determinati, gli uni e le altre, dalla controffensiva navale ed aerea organizzata e condotta dagli angloamericani. La battaglia dell'Atlantico, entrata nella quinta fase 7 nel] 'agosto del 1942, aveva registrato invece da allora fino all'inizio della primavera successiva grandi successi. Nel solo mese di agosto del 1942 erano state affondate 522 775 t di naviglio nemico, nel mese di settembre 435 997 t, in ottobre 600 450 t, in novembre 681 061 t. Scesi nei mesi invernali a valori piuttosto bassi - dicembre: 309 735 t, gennaio: 189 063 t, febbraio: 344 157 t - gli affondamenti avevano toccato una punta assai elevata nel mese di marzo, 627 000 t, ma poi erano diminuiti di nuovo verso valori sempre più modesti nei mesi di aprile (295 514 t) e di maggio (205 172 t). Nella primavera del l 943 anche la battaglia dell'Atlantico, il cui andamento era s tato fino ad allora favorevole all'Asse, tanto che nei primi giorni di marzo gli U.-Boote erano giunti vicini ad interrompere il traffico marittimo tra gli U.S.A. e la Gran Bretagna, girò a favore degli anglo-americani, il cui primo successo spettacolare fu l'affondamento, nella sola giornata del 5 maggio, di 5 somme rgibili tedeschi ed il grave danneggiamento di altri 4. Le perdite dell'Asse raggiunsero nel mese di maggio il 30 per cento dei sommergibili in attività, mentre nel m ese di luglio il numero delle navi m ercantili costruite dagli a lleati risultò superiore a quello delle navi affondate dall'Asse. Il capovolgimento delle sorti della battaglia dell'Atlantico ebbe carattere definitivo. Esso era stato ottenuto: dalla nuova disponibilità anglo-americana di aerei americani a lungo raggio di azione - i Liberators - per la protezione dei convogli; dai nuovi dispositivi radar operanti su di una lunghezza d 'onda di 10 cm che gli U.-Boote non potevano intercettare; dalle armi Porcospino con il dispositivo antisommergibile a razzo; dai perfezionamenti apportati alle bombe di profondità; dalla creazione di apposite unità tattiche di rice rca e di neutralizzazione dei sommergibili; dall'introduzione di un nuovo codice per le comunicazioni radio con le navi mercantili; dal miglioramento degli standard di addestramento degli equipaggi dei mezzi di scorta navali ed aerei dei convogli 8. Nell'estate del 1943, in definitiva, l'Asse aveva perso anche la battaglia dell'Atlantico,
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benché questa non fosse tuttavia giunta alla fine, tanto che sarà ripresa e continuerà per circa due anni sia pure in condizioni ogni momento più difficili sotto il profilo materiale e psicologico e con risultati assai meno fruttuosi; essa, peraltro, costringerà gli angloamericani ad impegnare un numero assai rilevante di aerei e di navi da guerra per la protezione dei convogli. L'unica fronte sulla quale gli anglo-americani non erano riusciti a conseguire ancora, nell'estate de l 1943, il loro principale obiettivo - la diminuzione della produzione industriale tedesca - era quella della guerra aerea. Nel 1942 la produzione industriale era aumentata del 50 per cento circa e l 'industria petrolifera, il punto più debole, era uscita virtualmente indenne dalla campagna di bombardamenti. Eppure tale campagna già intensa dal marzo del 1942 - bombardam enti degli stabilimenti Renault di Billancourt con 235 apparecchi, di Lubecca con bombardieri muniti di dispositivo l ee, di Rostsok, di Esseny, per citare i più massicci - era stata incrementata dall a pa rtecipazione dell'aeronautica statunitense che il 15 agosto 1942 aveva attaccato per la prima volta con le sue fortezze volanti B.17la s tazione ferroviaria di Rouen. Si è che, dopo le incursioni subìte nella p rimavera ad opera della RAF e prima ancora dell'intervento de ll a 8" USAAF, la Germania aveva potenziato la difesa contraerei me ttendo a punto un efficiente sistema radar di puntamento dei riflettori e di tiro delle artiglierie ed aveva aumentato il numero dei caccia diurni e notturni (nel 1942 nell'Europa occidentale i primi erano stati portati da 292 a 453 ed i secondi da 162 a 349). Sebbene gli a nglo-americani, dopo le delusioni del 1942, nelle confe re nze del gennaio 1943 a Casablanca e del maggio dello stesso anno a Was hi ng ton, avessero concordato nuove direttive e nuove tecniche pe r l'impiego del le forze a e ree (alle quali avevano affidato il compito di dis trugge re e disorganizzare progressivamente il sistema militare, industriale ed economico della Germania e fiaccare il morale del popolo tedesco fino a indebolirne in misura decisiva la capacità di opporre un.a resistenza armata 9, i bombardamenti diurni degli s tatunitensi e quelli notturni dei britannici, ancorché più coordinati dopo la conferenza di Washington, non riuscirono né a piegare il morale né a sconvolgere l'apparato produttivo. Nel 1943 la produzione indus triale tedesca raggiunse nuovi massimi ed il numero di aerei, di cannoni, di carri armati e di sottomarini crebbe complessivamente de l 50 per cento. Il poten ziamento della forza ricognitori-guida, la generalizzazio ne dei sistemi di radionavigazione Oboe e H2S, i nuovi bombardieri Lancasters e Mosquitoes, il più elevato grado di addestramento dei piloti avevano peraltro con-
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sentito agli anglo-americani nel periodo marzo-luglio 1943 di sferrare la grande offensiva aerea contro la Ruhr e subito dopo quella contro Amburgo, ma gravi che fo~sero i danni inflitti nella zona tra Stoccarda ed Aquisgrana ed in quella dell'es tuario dell'Elba alle città (Essen, Duisburg, Dortmund, Diisscldorf, Bochum, Aquisgrana, BremenWuppe rtal, Amburgo, ecc.) ed alle fabbriche e stabilimenti, la capacità della Germania di opporre resistenza armata restò tuttallora elevata sia sotto l'aspetto industriale sia sotto quello morale.Effetti più decisivi ebbero, invece, i bombardamenti aerei de lla RAF e della 9a USAAF - che aveva fatto la sua prima apparizione nel cielo d 'ltalia il 4 dicembre 1942 a Napoli - sull'apparato produttivo e sul morale degli italia ni, privi di una efficiente ed efficace difesa contraerei, alla quale i tedeschi, proprio per fare fronte all'offensiva aerea angloamericana sull'Europa occidentale, avevano sottratto una notevole aliquota della loro caccia ed un certo numero di armi contraerei, come, del r esto, erano stati co!'..tretti a fare anche sulla fronte orientale. Pur se l' offensiva aerea anglo-americana n o n conseguì n e ll'es tate del 1943
risultati decis ivi, le migliaia di tonnella te di esplosivo lanciate sui paesi de ll 'Asse e quelle che continuavano a cadervi furono segni inconfondibili della svolta verificatasi nell'a ndamento della guerra e premonitori del minaccioso approssimarsi di un epilogo disastroso per l'Asse.
2. Ne l settembre del 1943 la Germania non aveva ancora, se si vuole, pe rduto la guerra, m a non esistevano r agionevoli prospettive che potesse vincerla, tanto più che anche nel Pac ifico le cose a ndavano me ttendosi male per il Giappone 10_ L'Italia, invece, l'aveva virtualmente p erduta e la resa agli anglo-americani non fu più una scelta, ma un atto necessario compiuto già con ritardo. Bat tuta nelle battaglie aero-terrestri in Africa ed in Russ ia, impedita lungo le vie m a rittime, sanguinosamente impegnata nel reprimere la guerriglia e nel mantenere il controllo dei territori occupati, devas tata nelle città e nelle fonti produttive - queste semiparalizzate a ltresì d a lla scarsità degli arrivi di materie prime - dai bombardamen ti aerei nemici, priva delle migliori grandi unità vanamente sacrificate in Tunisia e nell'Unione Sovietica, l'Italia non era in condizioni di difendere il proprio territorio nazionale. L'unica chance e ra un intervento massivo di forze terr estri ed aeree germaniche. L'indifendibilità dell'Italia con
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le sole forze italiane e tedesche presenti nelle isole e nella penisola dopo la perdita della Tunisia era nell 'evidenza della situazione e dei fatti. Hitler e l'Alto Comando tedesco non potevano pensare diversamente. Quando a Feltre, finge ndo di ignorare la realtà della quale erano informati e consapevoli, si limitarono, senza fare promesse sicure, ad impegnarsi di fare qualcosa per l'Italia, essi avevano già deciso di assegnare alla penisola la sola funzione di antemurale germanico. Proprio in quei giorni i comandi, gli stati maggiori e le unità impegnati in Sicilia stavano dando prova, nel complesso, di volontà di difendersi e di abilità nella lotta, mentre gli avvenimenti dimostravano che poco s i riusciva a fare, per l'insufficienza delle forze terrestri ed aeree, al fine di impedire l'estendersi dell'invasione, di anemizzarne l'alimentazione e neppure di arrestarla e sopraffarla. A che pro il lunghissimo monologo di Hitler ricco di consigli, di prediche, di rimbotti, di offese ai generali ed ai soldati italiani, se no n per creare quella stra na atmosfera tra il mistico e il nebuloso che egli sapeva avrebbe ipnotizzato e paralizzato, come in precedenti occasioni, Mussolini pone ndolo in stato d'inferiorità e rendendolo incapace di obiezioni ? Hi tler riuscì a sviare il discorso dal tema stabi lito - la definizione della linea politica, strategica e militare comune da seguire nella g,·a vi tà estrema della situazione italiana - e , dimostrandosi più infido . prepotente e perfido delle altre volte, cercò di coprire il suo intendimento che era quello di badare all'Italia solo nella misura che fosse utile all'interesse diretto della Germania. Ciò non giustifica affatto il mutismo di Mussolini che era partito da Roma, preoccupato e sdegna to, deciso a parlare chiaro, tanto più che in quei giorni il s uo stato d 'animo verso i tedeschi attraversava uno dei periodi più bui e tumultuosi. Al sottosegretario alle corporazioni, che per telefono, ai primi di luglio, si era lagnato del mancato arrivo dalla Germania di uno stoc k di carbone promesso, aveva risposto irritatissimo: - questi tedeschi sono gran brutti tipi - ed il giorno della partenza per Feltre ave va ordinato che venisse pubblicato per intero sulla stampa il testo di un volantino di propaganda, lancia to dagli aerei nemici su Roma il giorno 17, nel quale era riportato un messaggio di Roosevelt e di Churchill al popolo italiano contenente l'accusa ai tedeschi di avere tradito l'a llea to italiano sui campi di battaglia africani e russi l 1. I tedeschi potranno a ragione accusare complessivamente il re, il governo del maresciallo Badoglio, il generale Ambrosio ed altri capi politici e militari italiani di slealtà e di doppiezza - che non mancheranno di ricambiare subito dopo - ma non potranno addebitare ch e a s é s tessi quanto accadrà in seguito perché, a Feltre, furono essi a tradire
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l'Italia e lo stesso Mussolini_ Hitler, del resto, non aveva disdegnato, un mese prima del convegno di Feltre, senza nulla dire all'alleato, un significativo interludio diplomatico 12, inviando a Kirovograd - in quel momento 15 Km al di qua delle linee tedesche - il ministro degli esteri Ribbentrop per tentare di negoziare con il ministro degli esteri sovietico Molotov la cessazione del fuoco nel teatro operativo orientale. Dall'incontro Ribbentrop-Molotov avrebbe potuto derivare un accordo armistiziale e non una resa, come invece dalle trattative italoanglo-americane, ma resta il fatto che la Germania, in una situazione di pericolo grave, non aveva esitato a tenta re l'approccio con il nemico all'insaputa dell 'alleato principale. A Feltre la questione Italia, pur nel silenzio <li Mussolini, si poneva da sé in termini ultimativi: o la Germania interveniva a fondo, o l'Italia non poteva durare; il crollo politico, militare e psicologico dell'Italia non era nell'aria, ma nei fatti. Tentare di evitarlo, o di ridurne le conseguenze, qualora fosse risultato impossibile neutralizzarlo, sarebbe s tato nell 'interesse comune. I tedeschi a Feltre avevano già bello e pronto. nascosto nel cassetto del tavolo, il piano Alarico al quale daranno attu azione 7 giorni dopo. Perché non discussero con Mussolini l'afflusso in Italia di ingenti forze per la difesa della penisola, la c ui invasione da parte degli angloa mericani avrebbe dovuto essere messa nel conto delle probabilità, una volta caduta la Sicilia? L'arrivo di grandi rinforzi in Italia avrebbe potuto indurre gli anglo-americani a rinunziare, una volta po rtata a termine l'operazione Husky (invasione della Sicilia), alle operazioni Baytown (sbarco in Calabria) e Ava/anche (sbarco a Salerno) - entrambe decise dopo il 25 luglio - ed avrebbe reso meno spedita la defenes trazione di Mussolini. Questi, che qualche m ese prima aveva rifiutato l'offerta di Hitle r di 5 divisioni, dichiarando di vole rne solo 3 ed esprimendo il desiderio che in Italia non fossero inviate altre truppe, - ansioso com'era di tenere lontani gli alleati, egli era quasi altrettanto ansioso di tenere lontani i tedeschi 13 - era ora convinto che per avere qualche probabilità di difendere con successo l'Italia sar ebbero s tati indispensabili ingenti rinforzi tedeschi. Quando a Fcltre gli vennero rifiutati, non reagì e rimase muto, m a la decisione di Hitler non fu saggia e vantaggiosa per gli stessi tedeschi. In sostanza, l'accettazione del1a resa incondiziona ta fu il corollario di Feltre. Essa s'impose come necessità morale e milita re per porre fine ad una guerra senza più speranze di perseguimento di obiettivi politici e strategici_ Che il vincitore non abbia voluto discute re la resa, ma imporla senza condizioni, fu un procedimento, oltre che inusitato, fuori della razionalità politica, strategica e militare, come gli
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avvenimenti successivi dimostrarono ampiamente. L'errore italiano non fu nell'accettare la resa, ma nei modi e nei tempi della decisione adottata dai vertici politici e militari ed anche da coloro - e non furono pochi - che palesemente od occultamente intervennero con consigli e suggerimenti nel determinare gli avvenimenti del 25 luglio e dell'8 settembre. L'Italia pagò così di colpo le incertezze, le paure e gli errori dei suoi capi che avevano voluto scomporre in tempi successivi, con lunghi e slegati intervalli, un'azione - defenestrazione di Mussolini e resa agli anglo-americani - di p er sé unitaria e indivisibile, le cui probabilità di successo erano direttamente proporzionali alla rapidità ed immediatezza del susseguirsi degli atti da compiere. Le tesi della ingenuità 14 dei capi e della fatalità degli eventi troppo spesso gli avvenimenti furono più grandi degli uomini e si posero addirittura al di sopra di essi 15 - non sono accettabili: ingenuità non è sinonimo d 'insipienza; gli eventi s i svolsero come li avevano indirizzati e come li governarono uomini ai quali facevano difetto od a lmeno in quei momenti mancarono - le qua lità e le virtù che si richiedono a i capi.
3. L'8 se ttembre fu prima di tutto una disfa tta morale. Il tessuto connettivo spirituale e morale, faticosamente costruito dal 1848 in poi, subì una lacerazione ampia e profonda, di difficile e lunga rima rginazione, le cui cicatrici sono ancora visibili. Il di sorie ntamento fu gravissimo e generale. Molti mali morali de i quali l'Ita lia, a quarant'a nni dall'evento, continua a soffrire ebbero o ri gine da quella catastrofe. Il marasma spirituale e morale non fu mino re di quello politico e militare. Entrò in crisi la s tessa coscie nza unitaria della nazione, messa in grave pcri<.:olo da lla divisione in d ue tronconi del territorio nazionale, uno alla mercé d egli a nglo-ame ricani, l'altro dei tedeschi . I valori tradizionali, per la cui a ffermazione e difesa si erano battute intere generazioni ed avevano sacrificato la vita centinaia di migliaia di soldati, persero, nella coscienza di m a l ti, credibilità ed affidabilità. La sedizione di Mu ssolini e dei fascisti , decis i a continuare la lotta a fianco dei nazisti, provocò la gu erra civile. Nuovamente terra di dominio degli stranieri, l'Italia sembrò tornare alle forme deteriori del periodo medioevale. La depressione spirituale e morale incentivò l'obnubilamento di molte coscienze, indusse a scelte opportunistiche e di comodo, favorì la fuga dalle res ponsabilità. Nel vuoto spirituale
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e morale, singoli e gruppi, in buona parte, non seguirono che l'impulso di interessi contingenti e materiali, ignorando i diritti e le ragioni della Patria, e si ebbe così un processo di d issoluzione che parve inarrestabile, ma che per grazia di Dio non lo fu. Della disfatta militare abbiamo già trattato, ma ci sembra conveniente riassumere in un quadro unitario le cause che ne furono l'origine. Di queste la principale non fu la superiorità delle forze tedesche. A tale riguardo occorre precisare che le forze tedesche erano inferiori numericamente a quelle italiane: 17 divisioni tedesche contro 24 italiane (delle quali 9 in ricostituzione) nel territorio nazionale, Sardegna compresa; 20 divisioni tedesche contro 35 italiane nei territori occupati ed in Egeo. Ferma restando la relatività del valore del raffronto numerico tra divisioni con coefficienti di potenza e di capacità operativa assai diversi, non si può egualmente parlare di superiorità quantitativa tedesca. In particolare, ad esempio, a Roma le forze tede sche te rre stri 1'8 settembre erano inferiori di circa un terzo rispetto a quelle italiane; in Sardegna contro 25 mila tedeschi di tutte le tre forze armate erano presenti 132 mil a ufficiali, sottufficiali e soldati dell'esercito italiano; in Corsica le forze armate tedesche comprendevano in tutto meno di 5 mila uomini , m e ntre quelle italiane (esercito, marina, aeronautica, guardia di finanza, milizia), raggiungevano circa le 80 mila unità. Riferita alla qualità dei mezzi blindocorazzati e dei mezzi meccanici di trasporto, la superiorità dei tedeschi era invece quasi ovunque di un qualche rilievo, ma occorre aggiunge re che, mentre essi si giovarono sempre con grande profitto de ll'elevato grado di mobilità delle loro unità, raramente sentirono il bisogno di fare ricorso a formazioni massive di carri armati e di mezzi blindati, dei quali si servirono essenzialmente per esercitare minacce potenziali utilizzando in genere reparti di livello modesto. Più che alla disponibilità di ottimi carri armati, c annoni, pezzi controcarri e contraerei, la superiorità qualitativa dei tedeschi fu espressa dalla loro abilità tattica, dalla loro flessibilità ordinativa e dalla perfezione delle loro tecniche d 'impiego, comprese quelle di carattere psicologico. Altro fattore della superiorità tedesca fu la capacità del personale militare addetto a compiti territoriali, logistici e burocratici a trasformarsi rapidamente, al momento del bisogno, in soldati combattenti, professionalmente non meno abili di quelli inquadrati nelle unità di impiego tattico. Niente di simile nella pletora di scritturali, magazzinieri, piantoni, attendenti dell 'esercito italiano e neppure nei reparti di difesa territoriale o di truppe ai depositi, sebbene non siano mancati, da parte di queste ultime, episodi brillanti di resistenza
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imperniata su fattori morali più che sostenuta da adeguata perizia professionale. Oltre che possedere un elevato grado di addestramento, le unità tedesche erano state psicologicamente preparate all'aggressione ed al ricorso alla sorpresa, all'astuzia, all'inganno, alla rapidità delle azioni. Last but not least, i tedeschi ricorsero in larga misura alla malafede, al ricatto, al tradimento della parola data, al terrore, alla minaccia ed all'effettuazione di rappresaglie degne di barbari. I punti di debolezza delle unità italiane, dislocate in patria e nei territori occupati, erano la grande diluizione degli schieramenti ed il disequilibrato frazionamento dei reparti, aggravati in taluni settori dal frammischiamento con le unità tedesche. Sebbene diverso da unità ad unità, il morale era generalmente basso e l'improvvisa notizia dell'armistizio non giovò a l mantenimento dei vincoli disciplinari nei reparti. Nessuno, in definitiva, può contestare c he nel pomeriggio dell'8 settembre la situazione strategica e militare italiana fosse difficile, delicata, incerta e minacciata da gravi pericoli ovunque, ma nessuno avrebbe potuto immaginare che entro 72 ore, l'esercito italiano, come tale, sarebbe scomparso da tutti i campi di b attaglia, ad eccezione della aliquota della 7a armata dislocata in Calabria, in Basilicata e nelle Puglie, delle forze esistenti in Sardegna ed in Corsica e di poche unità che resistettero più a lungo nelle isole greche. Senza nessuna grande battaglia - l'unica ingaggiata venne fatta sospendere, ordinando il rompete le righe alle grandi unità dei corpi d'armata di Roma, nella sua fase decisiva, quando era ancora prevedibile il successo - 52 divisioni 16, ancorché di efficienza e di capacità combattiva ridotte, cessarono di esistere dopo che la gran parte dei comandi d'armata e di corpo d'armata che le inquadravano o si erano autosciolti, od erano stati catturati, o avevano cercato e raggiunto intese con i tedeschi. Spesso fu il disarmo morale dell'alto a provocare quello materiale del basso. Molte, dunque, furono le concause della disfatta militare, ma è fuori della obiettività storica chi non vi inse risce la pronta disponibilità di molti comandanti e stati maggiori di livello elevato alla trattativa con i tedeschi. Può non essere priva di fondamento la tesi che, dalle precedenti direttive delle autorità militari centrali, molti comandi periferici elevati possano avere dedotto che l'armistizio fosse stato concordato con gli stessi tedeschi. Come spiegare dive rsamente, si chiesero molti comandanti, che per 45 giorni si era tollerato l'ininterrotto afflusso di forze germaniche nella penisola e nei territori occupati e che a queste era stato consentito di assumere lo schieramento più idoneo e vantaggioso per incapsulare, intrappolare e paralizzare al momento voluto le unità italiane, e di farla da padrone s ulle vie di
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comunicazione e sui centri nodali dei trasporti? E che cosa di re de]l'ambigui tà di tutte le direttive ricevute dai comandi di grande unità dal 10 agosto in poi e dello stesso proclama del maresciallo Badoglio? Le responsabilità dei vertici - lo abbiamo chiaramente sottolineato - furono enormi, ma molte rinunzie aprioristiche alla lotta da parte di alti comandi periferici sulla base di valutazioni precipitose, agitate, di comodo, o sulla base di presunzioni infondate e comunque di per sé prive di riscontro obiettivo, o volute giustificare con la necessità di evitare massicci bombardamenti aerei sulle città ovvero scontri giudicati frettolosamente perduti in partenza, furono fuori della logica operativa e ispirate più dall'istinto dell'autoconservazione che non dall'esame ponderato delle contingenze. Vi furono sbandamenti e abbandoni da parte di singoli e di interi reparti; non vi furono ammutinamenti e diserzioni in massa. L'ordine di cessare il fuoco, di consegnare le armi, di rompere le righe partì quasi sempre dall'alto. Là dove i comandanti vollero, ripresero subito alla mano le loro unità e repressero rapidamente con opera di persuasione la confusione morale, il disordine e le fughe in uniforme o in abiti civili. Attribuire lo sfacelo al basso tono morale ed alla scarsa volontà dei soldati di continuare a combattere a fronte rovesciata, significa generalizzare i casi particolari . La grandissima maggioranza delle grandi e delle minori unità deposero le armi o perché materialmente sopraffatte o in obbedienza agli ordini dei comandi gerarchici superiori. La disponibilità alla lotta contro i tedeschi era molto più elevata di quanto gli alti comandi avessero valutato. Anche reparti e soldati della milizia imbracciarono le anni contro i tedeschi. Gli ufficiali, i sottufficiali ed i soldati che accettarono di passare dalla parte tedesca furono pochissimi; la grandissima maggioranza rifiutò ogni fonna di collaborazione con la Germania preferendo darsi alla montagna e alla guerriglia o lasciandosi internare nei campi di concentramento in terra straniera. Della disponibilità alla lotta contro i tedeschi dettero prova, a cominciare da Roma, anche semplici cittadini che inviarono propri comitati presso i comandi delle grandi unità complesse, o quelli della difesa territoriale, per chiedere anni al fine di affiancarsi ai soldati. A Roma, a Torino, a Milano ed altrove i comandi ritennero di non poter aderire alle richieste, rifiutando un concorso che sarebbe stato quanto mai vantaggioso ai fini morali e quanto mai utile per anticipare i tempi di organizzazione e di entrata in azione della resistenza. Abbiamo ricordato i combattimenti, i fatti d'arme, gli episodi principali nei quali intere divisioni e molte unità di livello subordinato non si ritrassero dalla lotta ed è proprio la lunga serie di tanti nobili e gloriosi sacrifici - che
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ebbero protagonisti ufficiali generali, superiori ed inferiori, sottufficiali, graduati e soldati - che illumina la tenebra dell'8 settembre. Qualora i vertici e molti altri capi fossero stati pronti a dare testimonianze, anche a costo della vita, della loro determinazione nell'opporsi ai tedeschi, malgrado la drammaticità di molte situazioni, forse gli eventi avrebbero seguito un corso diverso - basti ricordare la difesa di Roma - e certamente dalla inevitabile sconfitta-disfatta, non sarebbero derivati il decadimento generale degli ideali e dei sentimenti di amore della Patria, la diffidenza contro l'autorità e contro qualsiasi forma di guiùa ùisciplinata, il misconoscimento dell'onore, dell'obbedienza, dell'impegno, del dovere, dell'ordine e della di sciplina, il rifiuto dello spirito di sacrificio - principi basilari del soldato - che furono le conseguenze più gravi dell'8 settembre e quel le che produssero la disfatta. Valori più o meno sfacciatamente messi in disparte, nell'imminenza del pericolo po te nziale tedesco, da molti di coloro che di tali qualità e virtù avrebbero dovuto essere il mode llo. La causa prima della disfatta fu la penuria di capi competenti e ca paci, ricchi di senso del reale, di padronanza di se stessi, di disinteresse personale, di fede nella grandezza del compito, di dignità, di decis ione e di tenacia. Ancora pegg io fu la mancata celebrazione in Lc111pi posteriori di un processo a tutto lo staff politico e militare. Il silenzio su molte responsabilità venne interpretato come se non vi fosse stata materia per procedere. I processi celebrati a caldo a carico di a lc uni generali non valsero a focalizzare le responsabilità a monte. Vi furono molti comandanti liberi da ogni colpa, ma ve ne furono a ltri - c he pure in precedenti occasioni avevano reso eminenti servigi a lla Pa tria in pace ed in guerra - che avrebbero dovuto essere chiama ti a giustificare il loro comportamento o la loro inerzia. Per molto meno, nel 1849, era stato condannato e fuc il ato il generale Ra morino 17 sul quale vennero scaricate, non tutte con fondamento, le responsabilità della sconfitta di Novara ed era stato sottoposto a giudizio del Se nato del regno e degradato per inettitudine l'ammiraglio Pallion conte di Persano 18, battuto a Lissa il 20 luglio de l 1866 dalla flotta dell'impero asburgico. Non è oggi, a quaranta a nni ùi distanza, che si possano aprire istruttorie e celebrare processi, che a llo ra gli stessi alleati impedirono, ma sul piano storico è necessario alzare i veli, ripudiare i falsi pudori, bandire gli eufemismi se si vogliono davvero restaurare tutti i valori che 1'8 settembre vennero negletti e misconosciuti impunemente. Per coprire le responsabilità dei colpevoli furono enfatizzate la superiorità dei tedeschi, l'eccitazione prodotta dall'improvvisa notizia dell'armistizio, la disseminazione e la frammentarietà delle unità
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e degli schieramenti (che pure esisteva), l'insufficienza del tono morale dei singoli e delle unità e la propensione generale a deporre le armi per fare ritorno alle proprie case. Parametri tutti indubbiamente presenti, ma che non bastano a spiegare 1'8 settembre, senza dire che alcuni di essi erano l'effetto dell'insipienza e dell'imprevidenza dell'alto, e che tanto meno autorizzano a rive rsare sulla collettività dei gregari le colpe dei capi. Di queste ultime una delle più gravi fu proprio il non aver colto e l'aver trascurato l'anima dell'esercito, la quale, malgrado tutto, sopravviveva e là dove venne valorizzata dette prove luminose della sua vitalità. Altrimenti non vi sarebbero stati i tanti combattimenti che abbiamo ricordato, il rifiuto corale alla collaborazione con i tedeschi degli internati militari nei campi di concentramento, l'avvio immediato della lotta clandestina am1ata, la cui organizzazione militare iniziale fu opera esclusiva, o quasi, di ufficiali, sottufficiali, graduati e soldati delle forze armate, soprattutto dell'esercito; la ricomparsa, in prima linea, esattamente due mesi dopo (8 dicembre), della prima formazione dell'esen.:itu regolare sul costone di monte Lungo. Una configurazione diversa dell'8 settembre è pretestuosa o quanto meno reticente, se non addirittura deliberatamente falsa.
4. Quando il re, il maresciallo Badoglio, il generale Ambrosio, il generale Roatta e gli altri si insediarono a Brindisi, la catastrofe poteva dirsi quas i compiuta. Divenne totale nei giorni successivi, quando cadde ro le ultime resistenze nei Balcani, nell'Egeo e nelle isole greche e quando gradualmente venne m eno l'illusione, coltivata anche dai comandi alleati, di una sollecita liberazione di Roma. A rendere più fosca e desolante la situazione fu la ricomparsa spettrale di Mussolini che, dimenticato ins piegabilmente dal governo del maresciallo Badoglio a Campo Imperatore, era stato prelevato il 12 settembre d ai paracadutisti tedeschi e portato in Germania, da dove, il giorno 15, tramite la radio di Monaco, proclamò la ricostituzione del partito fascista (repubblicano) ed il 23, rientrato in Italia, instaurò nel territorio non controllato dagli anglo-americani la Repubblica Sociale Italiana, con capitale Salò, tentando di conferire un s ignificato politico nazionale all'occupazione tedesca. A Brindisi il re, il capo del governo e d i vertici milita ri urtarono subito contro un'altra dura realtà: gli angloa mericani sembrava quasi avessero dimenticato il messaggio di Quebec e si comportavano con alterigia, freddezza e s fiducia. Maldispost i
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a correre rischi, limitarono i loro interventi a favore delle isole di resistenza ancora in piedi all'invio di alcune missioni di collegamento, di qualche commando ed all'effettuazione di alcuni bombardamenti sulle posizioni tedesche; affatto propensi, specialmente gli inglesi, alla collaborazione militare con le forze armate italiane, rifiutarono tutte le offerte che andassero al di là della manovalanza per le a ttività logistiche delle retrovie, dell'impiego di reparti di salmerie, della vigilanza e sicurezza delle strade, dei ponti, dei porti e degli aeroporti. Inizial mente non dismisero l'atteggiamento del vincitore e non ebbero nessun riguardo per il vinto che umiliarono in mille modi: l'Italia era una nazione sconfitta e arresasi senza condizioni, e tale s tatus non doveva essere modificato. Una collaborazione militare spinta fin sull a linea del fuoco avrebbe potuto dare adito a richieste di revisione dei termini dell'armistizio e creare le premesse per rivendicazioni da far valere sul tavolo della pace. L'Italia doveva affrettarsi a firmare l'armistizio lungo ed a dichiarare guerra alla Germania, giacché, solo qua ndo avesse compiu to tali atti, le sarebbe stato riconosciuto lo stato Ji cobel1igerante. Ma anche tale riconoscimento non avrebbe significato la libera disponibilità delle proprie forze da impiegare in cooperazione con quelle anglo-americane per la liberazione del territorio nazionale. L'ordine impartito dal Comando Supremo il giorno 1 t di considerare da quel momento i tedeschi come nemici 19, emanalo per dare subito una risposta positiva alle richieste del messaggio di Quebec e rendere concreto l'orientamento spirituale e mentale con il qua le le autorità italiane si stavano preparando a d agire, provocò la reaz ione dei comandi alleati che subito dichiararono c he non era previsto l'impiego su vasta scala di forze italiane come truppe comhaLLenti 20. Cadde così un'altra illusione cullata dalle autorità italiane al momento dell'arrivo a Brindisi, quando venne costituito, il 15 settembre, il LI corpo d 'armata 2 1 e si pensò di poter disporre di forze più rilevanti sia trasferendo nel continente quelle esistenti nella Sardegna e n ella Corsica, sia utilizzando i prigionieri di guerra in mano angloamericana, specialmente quelli della Libia e della Tunisia in quanto meglio addestrati ed agguerriti. Neppure la firma dell'armistizio lungo avvenuta il 29 settembre a Malta, dove si incontrarono il maresciallo Badoglio ed il generale Eisenhower 22, e la dichiarazione di guerra alla Germania del 13 ottobre mutarono la linea di politica militare seguita dagli alleati nei confronti dell'Italia: da una parte l'invito a collaborare perché la sorte futura dell'Italia sarebbe dipesa dall'apporto offerto allo sforzo bellico a lleato, dall'altra l'ostacolo ad ogni intervento concreto sulla linea del combattimento. Sul piano politico,
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frattanto, solo il pericolo che l'Italia ripudiasse la sua collocazione nel mondo occidentale e optasse a favore del modello socio-economicopolitico comunista, indusse gli anglo-americani ad adottare una linea più morbida, mantenendo in essere la monarchia, offrendo sostegno ufficiale al governo de l re, fornendo mezzi di sostentamento per le popolazioni affamate e daqdo alla fine il via a quella generosa catena americana di aiuti economici che non si interromperà neppure nei primi anni del dopoguerra. Non meno difficile, delicata ed instabile di quella sul fronte angloamericano, fu la situazione del governo del maresciallo Badoglio nei riguardi del fronte interno. Qui le autorità incontrarono difficoltà di ogni genere in tutti i campi, soprattutto in quello morale. Esse si trovarono ad agire senza infrastrutture idonee e adeguate, prive di reti di trasmi ss ioni, con le vie di comunicazione sconvolte, con i mezzi di trasporto ridotti al lumicino e con i mezzi aerei e navali e gli stessi gangli della vita politica ed amministrativa del paese controlla ti dagli anglo-americani secondo le imposizioni <lell'urmistizio lungo. Popolazione c ivile e soldati, nel disorientamento generale delle coscienze, videro precluse tutte le speranze in tempi m igliori ed ebbero il morale a terra. Le notizie del dissolvimento dell'esercito nell 'Italia centrale e settentrionale , degli eccidi che i tedeschi avevano commesso e venivano commettendo nei territori già presidiati da lle forze armate italiane, degli sbandamenti e delle fughe che si erano verificati fec ero il resto. I soldati rimasti nei ranghi, quelli disciplinati e fedeli al dovere, recriminavano a ragione contro i loro compagni sbandati e fuggiaschi, che, mimetizzandosi in mille modi, riuscivano a vivere fuori da ogni obbligo e da ogni disciplina militare e civica. I soldati che avevano le famiglie residenti nei territori controllati dagli angloamericani sentivano la suggestione della vicinanza; gli a ltri erano in angoscia continua pe r le proprie famiglie esposte ai bombardamenti alleati, a l passaggio della linea del fuoco ed alle angherie e rappresaglie tedesche. Si può capire quale fosse lo spirito delle unità superstiti, le quali s i chiedevano per chi e perché avrebbero dovuto continuare a combattere e perché proprio loro, rimaste disci plinatamente ai loro pos ti dopo anni di servizio armato. I soldati osservavano i coetanei, ed anche i più giovani che restavano tranquillamen te a casa, e non potevano non recriminare di non essersi eclissa ti come tanti altri che venivano dandosi a traffici lucrosi, nell'insorgente mercato di corruzione che in breve tempo dilagò anche nelle forme più degradanti dell'incetta dei generi di consumo, de lla borsa nera e della prostituzione. Il reddito nazionale si ridusse a cifre ir risorie; i viveri, il
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vestiario e le calzature si rarefecero ed i prezzi subirono rialzi ve rtiginosi fino al 1000% rispetto a quelli d e ll'a nteguerra. Il tenore di vita scese a live lli di fame e di miseria; le materie prime, il carbone e pe rsino il pane scarseggiarono dappertutto. Alle distruzioni dei ponti, delle ferrovie, delle strade, dei porti, delle case ope rate dagli angloamericani fino all'8 settembre, seguirono quelle delle idealità, dei valori morali, delle tradizioni naziona li prodotte dal disorientamento delle coscienze nelle qua li affiorarono spontanei i dubbi, i sospetti, le perplessità circa quanto era accaduto. Gli animi dei soldati, anche dei migliori, ne furono turbati e smarriti. I partiti politici, to rnati in superficie dopo la lunga e forzata immersione del pe riodo fasc ista, riaccesero la lotta ideologica varia me n te colorata e si d ettero battaglia con ardore e violenza di linguaggio polemico, più riguardosi de i loro interessi settoria li c he non della gravità dell'ora che il paese a ttraversava. Quasi nessuno di essi introdusse un discorso pacato e sereno che dimostrasse considerazione e rispetto per· la dedizione a I dovere offerta con tanti sacrifici ed eroismi dalle forze armale ùurnntc la guerra. Il passato venne rinnegato in blocco, quas i che i sol da l i c he avevano combattuto con la speranza di vincere si fossero dovuti ve rgognar e dei loro intendimenti e d el loro operato. Mo lti partiti, prima a ncora dell'epurazione fasc ista, si premurarono di dare l'os tracis mo a l concetto e alla p arola Patria, quasi fossero ideali e termini inve ntati da Mussolini. Quas i tutti i partiti s i guarda rono bene d a ll 'esaltare le qualità e le virtù milita ri e lo s pirito combattivo - che pure s are bbero stati necessari p er partecipare alla lotta contro i tedeschi - e fecero le va sulle recriminazioni del passato, incrementando così la delusione e lo sconforto degli anim i, anzich é i propositi di ripresa e di riscossa milita re. Alcuni partiti assunsero posizioni di aperta ostilità nei riguardi delle forze armate; a ltri privatamente ne dife ndevano la sopravviven za, ma in pubblico, nel timore di perdere la popolarità, tacevano. Tutti commi sero errori di valutazion e poli tica ne i r iguardi delle forze armate che consideravano creature privilegiate del fascismo, e perciò fasciste, m entre ne erano state le vittime. In luogo di colpire i capi che, pe r l'impre parazione in cui avevano lasciato le forze armate prima d ella guerra e pe r il di sarmo m orale e ma teriale al qua le le a vevano portate 1'8 settembre a bbandonandole a loro stesse, avrebbero me ritato, a pa rte il giudizio storico di condanna, oggi fattosi definitivame nte chiaro, anche l'immedia ta sanzione che migliaia di vittime innocenti reclamavano, i partiti, almeno parte notevole di essi, rivolsero la loro propaganda disfattista con tro le istituzioni militari in generale, facendo di tutta l'erba un fascio e dissacrando così
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uno dei valori istituzionali perenni e fondamentali dello Stato, lo strumento che ne garantisce potenzialmente la indipendenza, la libertà e la sovranità. Nel momento in cui, più che nel passato, sarebbe stato essenziale dimostrare agli alleati, che umiliavano il Paese con le continue offese all'orgoglio ed alla dignità nazionale e con le continue prove di incomprensione del dramma delle forze armate italiane, la volontà di ripresa e la fermezza dei propositi nel riacquistare il più presto.possibile l'identità di Stato con piena sovranità, si fece del tutto per svilire ulteriormente l'unico mezzo disponibile, ancorché mal ridotto, per dare una qualche consistenza materiale alla richiesta di partecipazione alla liberazione. Quanti e quali furono gli uomini dei risorti partiti politici che elevarono la loro voce pe r valorizzare il passato delle forze armate, per definirne il ruolo del momento, per garantirne la conservazione nel futuro? Occorre inoltre riconoscere che alla confusione caotica ùi quel momento, di per sé incommensura bilmente enorme, si aggiunsero come fattori concorrenti: la permanenza ai vertici dello Stato degli stessi capi che avevano generato e tenuto a battesimo )'8 settembre; l'impurità politica di non pochi degli esponenti di quella che si presentò alla ribalta come nuova dirigenza del paese, legati essi stessi con vincoli di varia natura al fascismo e inclini perciò a coprire le loro vecchie responsabilità e le vergogne recenti degli altri. Per rendere possibile la copertura delle responsabilità si fece ricorso alla più vecchia tecnica della disinformazione: il rovesciamento del rapporto fra cause ed effetti allo scopo di imputare in partenza alla controparte ogni responsabilità per il comportamento della propria parte. L'uso e l'abuso di tale tecnica per legittimare il proprio operato, al fine ùi eludere chiamate di correità e di conservare, almeno in parte, l'antico potere mediante lo scambio di reciproche coperture, avvelenò ulte riormente il clima politico e generò altra confusione spirituale e morale. È fuori discussione - lo ripetiamo - che una tragedia storica come quella dell '8 settembre sia un processo complesso con molte causalità precise e individuabili, ma anche molte svolte contraddittorie; nondimeno la linea politica praticata pe r rimediare in qualche modo alla vastità e profondità della crisi fu la meno indicata sotto il profilo psicologico, la m eno salutifera sotto quello morale e materiale. Dopo la sconfitta di Novara del 25 marzo 1849, il re Carlo Alberto, ancor prima che spuntasse l'alba del giorno successivo, abdicò e prese la via dell'esilio; il ministero presieduto dal generale Chiodo 23 si dimise; il generale Chzarnowski lasciò immediatamente la carica di capo di stato maggiore e ripartì per Parigi. Dopo la disfatta dell'8
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settembre 1943: il re Vittorio Emanuele III non intese abdicare e volle rimanere sul trono, costretto dal congresso di Bari (28-29 gennaio 1944) dei ricostituiti partiti politici accettò di accordare la lungotenenza del regno al figlio Umberto nel momento in cui Roma fosse stata liberata, abdicò finalmente il 9 maggio 1946; il ministero tecnico presieduto dal maresciallo Ba doglio rimase in carica fino al 22 a pril e 1944, poi venne ricostituito s u basi più larghe anche in seguito a ll 'appoggio accordatogli dal leader comunista Pa lm iro Toglia tti. Soltanto dopo la liberazione di Roma, il governo del marescia llo Badoglio fu finalmente sostituito da que llo presieduto dall'onorevole Ivanoe Bonomi, già presidente del consig lio dal 1921 al 1922. I generali Ambros io e Roatta vennero dimessi d ai loro incarichi b en 70 giorni dopo 1'8 settembre - il 18 novembre - e rispettivamente sostituiti dal generale Messe e dal generale Paolo Be ra rdi 24 che rimasero in carica il primo fino al 1° maggio J945 ed il secondo fino a l 10 febbraio 1945. Il generale Sorice rimase ministro della guerra fino al 5 febbraio 1944, quando venne sostituito dal generale Orlando, a l quale successe i I 18 giu gno 1944 l'onorevole Alessandro Casati, ch e un anno dopo - il 2 1 giugno 1945 - venne a sua volta sostituito dall'onorevole Stefano Iacini, rimasto in carica fino al 9 dicembre 1945. Ogni commento del grado di sensibilità morale e politica mostrata dai capi del 1849 rispetto a ll'improntitudine di quelli dell'8 settembre è del tutto superfluo. L'estahlish ment dell'8 settembre, manipolando fatti e personaggi e prospettando in chiave giustifit::ativa il proprio operato, tentò, non senza parzialmente riuscirvi , di garantirsi la continuità del potere. Tale azione mistifica trice, disorientando più di quanto già non lo fosse l'opinione pubblica, rese assai più arduo e lento il risaname nto morale del quale sarebbe stato urgente l'avvio. Quale effetto potevano sortire gli ordini e gli appelli d a ti e lancia ti da Brindis i per la lotta contro i tedeschi, se i capi che li diramavano erano gli stessi c he avevano provocato il naufragio? Era già di per sé diffic ile spiegare le ragioni della necessità di un nuovo orie ntamento politico e militare, poiché molti non riuscivano a comp rendere come mai, dopo che si era chiesto l'armistizio perché l'Italia n on era più in grado di comba ttere - impossibilità di continuare l'impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria 25 - si tornasse a parlare della necessità di partecipare alla lotta contro i tedeschi e conseguentem ente di fare ulteriori e gravi sacrifici. Era un compito nuovo e delicato che andava com preso in tutto il suo significato alto e no bile, ma non potevano essere gli stessi capi ch e non avevano difeso Roma e che avevano abbandonate a loro s tesse le forze armate ancora operativamente in piedi a predicare la
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nuova crociata ed a far giungere al paese ed ai soldati una parola chiarificatrice e persuasiva. Il bene fu che, a ravvivare nella massa dei cittadini e dei soldati il sentimento antitedesco ed a ridestare lo spirito combattivo delle unità, furono gli stessi tedeschi che con la loro condotta sembrò facessero apposta per offrire la giustificazione della nuova lotta alla quale, senza attendere le direttive di Brindisi, migliaia e migliaia di soldati si gettarono senza esitazione, sicuri di compiere il dovere dell'ora.
s. Lo sfondo morale e politico del governo legittimo di Brindisi, anche dopo la svolta di Salerno 26, rimase costantemente oscuro. L'ostinazione del re e del maresciallo Badoglio nel voler conservare personalmente il potere, in luogo di cederlo a d altri meno compromessi con il regime fascista e meno responsabili della catastrofe, nocque moltissimo a lla ripresa de l sentimento dell'unità nazionale, che entrambi si illusero di poter garantire con la loro presenza, mentre nella realtà lo compromisero ulteriormente. Alle imponenti difficoltà determinate da 39 mesi di guerra e dalle proporzioni della catastrofe dc ll'S settembre, a lle quali si sommarono gli ostacoli opposti dagli anglo-americani all'esercizio della sovranità nazionale ed alla collaborazione militare italiana, si sovrappose la crisi di prestigio delle autorità costit uite e della fiducia in queste riponibile, che fu l'elemento caratterizzante il tramonto del regno d'Italia. Le cose non cambiarono granché neppure quando, dopo la liberazione di Roma, il governo mutò direzione e uomini. I governi del maresciallo Badoglio c dell'onorevole Bonomi si ressero non già per la loro capaci tà intrinseca di governare e di godere stima e rispetto, ma innanzitutto in ragione d el sostegno degli alleati. A reggerli valse an che il buon senso degli italiani che, persuasi dell'urgenza di risolvere il problema essenziale, vale a dire quello della cacciata dei tedeschi, accettarono, in gran parte rassegnati, di sottostare al volere degli alleati dai quali in sostanza sarebbe dipesa la ricomposizione dello Stato unitario: il governo di Brindisi, nella sua legittimità statutaria, era tutto sommato il male minore e, benché senza quasi un brandello di prestigio, era l 'unico in quel momento in grado di dialoga re, ancorché poco ascoltato, con gli alleati e di contrapporre il diritto a l fatto nei confronti del governo di Salò. Era, inoltre, il governo del re e la gran parte degli italiani, specialmente nel meridione e nelle isole, continuava a sentirsi unita,
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malgrado tutto, a ll a mrn111 11 li1 .11011 v 111 n li clic non sentiva di poter troncare con f:K i lit :i 1· 111 11 l1'1'J!\'t , · 11 .i l\:1s t i r·ifle ttere che nel referendum de l 2 gi111:1111 I 11·111 111, n·,,, . .ivrn .1 uscirà perdente per due milfoni cl i vo ti 1· 1 i, w q11 ,.,1 d i •d 1, 11 11 1111 .., 11 ra ( 12 717 923 voti a favore della rep , il ,h I11 11 1 111111 " IO / I 'I .'X,I p l' 1· la mo na rchia). Notevole, infine, fu il so•,11,. 11,1 l11d 11 11111 lw ti 1•,t1 Vl' l'l1o <lc l sud ricevette dalla creazione della U,•, •1 1/i/,/1 1,, .~.,., 111/1 · / 111/1r11 1a, n el senso che la lotta ai tedeschi divenne •<1 1111ilt11 111 •1 111 11·11t 1· lot la ai fascisti, dei quali la grandissima maggioran" ' il, ,. 11 11 1d 111111 n:s ide nti nei territori occupati dagli alleati non vo le\ ., p111 L.v 11 1i I e p:.irlare e ne l senso che i vari fronti o comitati di libera111 111 1· dl'I le c ittà del nord e lo stesso Comitato di liberazione naz.iona1,· ile/l'alta Italia (C.L.N.A.I.) dovettero necessariamente riconosce re 11t·I gove rno del sud l'unica autorità legittima ed emblemati ca d e ll 'u11ità nazionale, senza il cui appoggio sarebbe stato pressoché impossibile coordinare la lotta ai tedeschi e senza la cui intermedi azione lo stesso dialogo con gli alleati per g li aiuti militari sare bbe stu to, se non impossibile, certamente assai più arduo ed aleatorio. Che la Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) non fosse una soluzione praticabile ed in ogni caso non avesse prospettive di successo. il primo ad e sserne convinto era p ro babilmente lo stesso Mussolini , c he non poco esitò prima e.li accingersi all'opera, alla quale si sentì in u n certo senso costretto dal le ga me personale con Hitler. Ne i co ll oqui che egli ebbe con lui dal 14 al 17 se ttembre a Rastemburg, l'as pe tto formale delle relazioni fra i due non rivelò alcun mutame nto ri spe tto al passato, ma le discussioni avvennero nell'atmosfera de lla c ris i costituzionale dell'Italia. Hitler specificò che nulla vi sare bbe s ta to di mutato per quanto concerneva il compito assegnato all'Ita lia , c he nessuna preoccupazione sarebbe dovuta sorgere al rigua rdo, ta nto meno in Adriatico, che i compiti strategici della Germani a aveva no imposto di risolve re alcune situazioni dopo la resa de l gove rno de l maresciallo Badoglio senza tene r conto temporaneamente degli inte ressi italiani, ma appena possibile l'Italia sarebbe stata ri s ta bilita nei suoi diritti. Mussolini replicò che accanto al fascismo sare bbe dovuto risorgere l'esercito, ma Hitler, senza impegnarsi a fo ndo s u ta le problema, lasc iò intendere che il processo avrebbe d o vuto essere diverso: sull'esempio tedesco, l'es ercito avrebbe dovuto nasce re <la i nuovo fascismo. Fece pe rò di tutto per incoraggiare in quei primi momenti Mussolini e per dargli l 'impressione di lasciargli una certa libertà di azione, ma gli tenne accuratamente nascosti i provvedimenti adottati, ancor prima dell'operazione del Gran Sasso, e cioè: la c rea zione in Italia di una rete tedesca di controllo entro la qua le avrebbe dovuto
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funzionare qualsiasi amministrazione italiana si fosse deciso di creare; la soggezione delle due regioni di frontiera - Alto Adige e Venezia Giulia - a due Gaulaiter tedeschi (Rainer a Trieste e Hafer a Innsbruch) che sarebbero stati posti alle dirette dipendenze del Fiihrer; la divisione del resto dell'Italia in due zone sempre sotto controllo tedesco, una di operazioni sotto il comando del maresciallo Rommel e l'altra, territorio occupato, sotto la sorveglianza di un plenipotenziario militare tedesco; l'installazione nell'Italia del nord di un comando collaterale delle SS con la responsabilità della sicurezza delle forze tedesche nella zona; la dipendenza <li tutte le relazioni politiche con qualsiasi organo amministrativo italiano dal plenipotenziario tedesco a Roma, Rudolph Rahn; il dirottamento dei prodotti industriali italiani a favore della macchina bellica germanica mediante l'incarico, dato al ministro della produzione bellica e principale responsabile del!'organizzazione militare cui era affidata la realizzazione delle infrastrutture militari e della fortificazione (TODT), Albert Speer, di salvaguardare le industrie italiane del nord. Tali istruzioni generali, date all 'insaputa di Mussolini, furono in sostanza quelle che presiedettero anche di fatto ai rapporti reali italo-tedeschi per tutta la durata delle Repubblica Sociale Italiana . Mussolini , insicuro di sé e desideroso all'inizio di restare fuori dalla mischia, si lasciò alla fine convincere ed il mattino del 17 si congedò da Hitler, p a rtì in aereo per Monaco, preferendo per il momento rimanere nella Germania meridionale, anziché tornare subito in Italia, finché non fossero costituiti almeno i primi nuovi congegni della macchina amministrativa italiana. La rimessa in funzione degli organismi amministrativi, militari e politici, incontrò difficoltà di ogni genere, determinate, oltre che dalla rottura politica della naziOne, dalla ostilità vieppiù crescente contro la Germania nel territorio italiano occupato dai tedeschi, dallo stato di abulia e di apatia nel quale molti erano caduti dopo i fatti dell '8 settembre, dalla riluttanza di gran parte dei vecchi fascisti a farsi avanti, dallo scoramento generale del paese per il quale la resurrezione del fascismo non avrebbe potuto significare che altri e più vasti lutti, dalla mancanza assoluta di prestigio dei relitti fascisti tornati in quel momento a galla dal torbido passato squadrista, dai disgustosi intrighi interni tra questi ultimi accapigliantisi per i posti di comando. Gli inviati a Roma ed altrove per il reclutamen to dei membri del governo, dei gerarchi e de lla nuova milizia fascista non incontrarono che delusioni. Il loro unico successo fu di portare il maresciallo Graziani da Rahn che riuscì a fargli superare la riluttanza ad entrare a far parte del governo di Mussolini in qualità di ministro delle forze
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armate. Rientrato in Italia il 23 settembre all'aeroporto di Forlì, dove erano ad attenderlo Rahn ed il generale Wolff 27, comandante d elle SS nell'Italia settentrionale, Mussolini, che aveva approvato la lis ta del nuovo governo fascis ta repubblicano la sera del 22 in Bavie ra, indisse la prima riunione di gabinetto per il giorno 27 alla Rocca de lle Caminate. Ripresi i contatti con la situazione italiana, Mussolini si rese conto della demoralizzazione e del caos esisten ti nelle regioni occupate e della illimitata e onnipresente invadenza civile e militare tedesca e comprese come sarebbe stata un' impresa disperata la restaurazione dell 'autorità fascista con un simile a llea to. Dové provarci egualme nte e fallì. Il fallimento fu totale s ul piano politico e su quello milita re. In sede inte rnazionale la Repubblica Sociale Italiana fu riconosciuta solo d a l Giappone, dalla Romani a, dalla Bulgaria, dalla Croazia , da lla Slovacchia e dall'Ungheria. Il Portogall o, la Svezia, la Svizzera, la Turchia, il Vaticano e perfino la Spagna rifiutarono, nonostante le p ressioni tedesche, un riconoscime nto ufficiale. Il governo <li Mussolini fu un governo fantasma anche in sede in terna, sopraffatto come fu dagli interventi tedeschi. Anche senza considerare la invadente presenza del sistema tedesco, Mussolin i non avrebbe però m a i potuto produrre la rinascita de l fascismo, né r is polve randone la na tu ra repubblicana e le vecchie p arole d'ordine di venti anni prima, né tentando di dare a ttuazione ai 18 punti del manifesto di Verona 28. Il fascismo come ideologia e struttura politica era morto il 25 luglio e Mussolini era un'ombra priva di ogni consistenza materiale, anche se in qualche momento riuscirà ancora a raccogliere intorno a sé un qualche consenso (riunione al teatro lirico di Milano nel dicembre 1944). In nessun caso i delegati delle or ganizzazioni fasciste repubblicane convocati a Verona il 14 novembre 1943 per il congresso del partito, sostitutivo di un'assemblea costituente prevista inizialmente da Mussolini, per a pprovare il testo di una nuova costituzione già bella e pronta - avrebbero potuto rappresentare un punto di forza e di riferimento per la maggioranza del popolo ita liano che, a ll'improvvisa riapparizione di Mussolini sulla scena politica, negò una rispondenza ed un'adesione spontanea alla restaurazione fascista. Le folle non avrebbero mai potuto farsi inganna re dal p rog ram ma socialista del nuovo fascismo, con side ra to soltanto un espediente diretto a strappa re la loro adesione. 11 r itorno alle origini d i sinistra e repubblicane del movimento fascista e la rinascita dei vecchi ideali a nt iplutoc ratici e anarcoidi erano una tattica che molti conoscevano molto bene e perciò troppo nota per essere ripetuta con successo. L' unico risultato del con-
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gresso di Verona fu quello di approfondire i contrasti nell'Italia occupata dai tedeschi e di dilatare ed affrettare la guerra civile. Il regime di Salò, inoltre, fu agitato fin dal suo inizio da un coro discorde di critiche interne, rilevatore dell'effimera consistenza delle strutture della nuova repubblica a mala pena tollerata dai tedeschi. I capi militari germanici, con i marescialli Keitel, Kesselring, Rommel in testa, erano stati inizialmente del tutto ostili alla decisione del ritorno di Mussolini in Italia a capo di un nuovo governo per non avere le mani legate e per poter muoversi senza restrizioni, neppure formali, nella risoluzione dei problemi militari. Gli iscritti al nuovo partito furono circa 250 mila, secondo i dati riferiti nel congresso di Verona dal nuovo segretario del partito Alessandro Pavolini, ma la modesta corrente di simpatia, che il nome di Mussolini aveva potuto inizialmente raccogliere intorno al nuovo regime per il fascino che la sua personalità, malgrado tutto, continuava ad esercitare, venne ben presto congelata dalle nefandezze della dominazione tedesca e del neosquadrismo. Le vicende politiche dei 600 giorni della repubblica di Salò, pur nel divario del loro dipanamento, ebbero a denominatore comune: il continuo traballare delle relazioni tra le autorità fasciste e quelle tedesche; l'insidiosità costante della politica tedesca nelle zone di confine (Alto Adige e Venezia Giulia) che l'ascende nte personale di Mussolini a l quartier generale di Hitledr non riuscì a salvaguardare dall'annessione di fatto alla Germania con il conseguente attentato al potere della R.S.I. su quelle terre; la mancanza di prestigio e di controllo del potere centrale, la quale determinò una persistente atmosfera di intrighi, di complotti, d'indisciplina, di arbitri, di attività incontrollate da parte della Guardia Nazionale R epubblicana (G.N .R.), del corpo armato del principe Valerio Borghese, la X Mas, della formazione autonoma Muti e delle altre formazioni locali similari; l'opposizione da più parti - autorità tedesche, industriali italiani, autorità svizzere (che difendevano il quadro dell' intero capitale svizzero investito nell'industria dell'Italia settentrionale) - contro il programma di socializzazione, ripudiato in pratica anche dalla categoria operaia, che, se tra il novembre 1943 e il febbraio 1944, s i dimostrò meno ostile al riguardo, successivamente perse ogni speranza nell'applicazione della legislazione sociale emanata dal governo di Salò. Al falli mento integrale della linea politica e sociale del governo di Salò concorsero altresì, in misura decisiva, le minacce e le azioni di ribellione interna m esse in atto dall'opposizione politica e dalla sua mano armata, rappresentata dalle formazioni partigiane. Ma una delle cause principali del fallimento della politica della Repubblica Sociale
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fu la mancata leale intesa tra i governi di Berlino e di Salò generata da una scorretta visione etnico-politica da parte germanica del problema italiano. La Germania riservò al l' Italia di Mussolini il trattamento di una terra occupata e, pur avendo incoraggiato la creazione di un nuovo Stato fascista, nulla fece per conferirgli un'individuali tà nazionale che, solo nel rispetto d elle nuove is tituzioni da parte germanica, avrebbe potuto esercitare un qualche ascendente, sia pure assai modesto, sulle coscienze d egli ita lia ni. Neppure gli incontri di Mussolini con Hitler nel castello di Klesshe im il 22 aprile del 1944 e d alla stazione di Goerlitz il 20 luglio successivo, il giorno dell' atte ntato alla Wolfschanze, produssero un rea le chiarimento dei rapporti reciproci e dettero una risposta concretamente soddi sfacente agli a ppelli ed alle richieste di Mussolini tende nti a conferire potere e vigore a l s uo governo. Nella situazione di gravissimo di sagio politico-militare in c ui l'Italia del nord versava, a causa de lla s ituazione operativa tedesca nei vari teatri di guerra e partico larmente in quello italiano, de l dilaga re dell'antifascismo, dell a sfiduc ia gene ra le nel fascismo, dell'opp1·<!ss iva occupazione germanica, d e l 1·ecluta mentocoatto dei lavoratori e de i soldati dell 'esercito repubbli cano, d e ll a resistenza politica e milita re organizzata dai partiti antifascis ti co 11 il sostegno degli alleati e del governo del sud, Mussolini ripetutame nt e chiese il ritiro delle mi sure prese da i tedeschi nelle provinc ie a lpine e nella zona costiera adria t ica, la revisione del trattamento agli internati militari, la massima libertà d 'azione nell'organizzare e dirige re la vi ta politica, sociale ed economica delle terre occupate dai tedeschi, l'equipaggiamento e l'armamen to delle unità delle forze armate e così via. Tutto rimase lettera morta, an zi l'atteggiamento tedesco mostrò nel tempo sintomi di irrigidime nto, anziché di ammorbidimento, in tutti i settori, specialmente in quello economico, con lo sfruttamento di tu tte le risorse utili e del pote nziale umano disponibile. Il peggioramento del tono degli scambi di vedute fu avvertito da Mussolini che, per rende re manifesta la c risi, nella prima metà del dicembre d e l 1944 decise di tenere, per la prima volta dalla formazione del nuovo regime, un pubblico discorso a Milano e di trasferire il governo dal Garda nella capitale lombarda. Si trattò di uno degli ultimi tentativi di rafforzare la sua posizione di fronte alla popolazione italiana ed al governo tedesco pe r ritrovare quella libertà d 'azione e di manovra di cui i tedeschi lo avevano privato sin dal mome nto in cui l'avevano pre levato a Campo Imperatore. Il discorso di Milano di Mussolini creò un'atmosfera di e ffimera ma vera euforia, presto dissipata e forse troppo evanescente per poter sfociare in una concreta azione politica. Come gesto di indipendenza verso
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l'alleato tedesco non poteva che far aumentare i sospetti nei circoli nazisti in Italia, la loro sfiducia nel rinato programma sociale e allarmanti voci di sovversione interna. Il fragile compro messo che doveva servire a salvare le apparenze, laboriosamente costruito specialmente da Rahn tra le opposte richieste dei tedeschi, che volevano trattare l'Italia settentrionale come territorio occupato, e le condizioni volute dal Duce per una repubblica sovrana, si stava avvicinando a lla fine 29. Gli ullimi tentativi - discorso al teatro lirico di Milano del 16 dicembre 1944, inizio del programma di socializzazione nel gennaio del 1945, c reazione di un nuovo ministero p er il lavoro pe r facilitare il consenso al reg ime da pa rte degli operai avvenuta nel gennaio del 1945, rimozione dis posta il 22 febbraio di Buffarini Guidi, principale rappresentante de lla totale sottomissione del governo al controllo tedesco, dalla carica di ministro degli a ffa ri interni, e così via - m essi in atto pe r realizzare un piano di disimpegno dallo strapot ere tedesco e di sottrazione del governo dal controllo german ico non raggiunsero lo scopo anche pe r il precipitare d ella situazione generale. Altro pomo della discordia tra il governo germanico e quello di Salò fu la costituzione delle forze armate della repubblica. Mussolini, fin dall'incontro di Rastemburg con Hitler, aveva manifestato l' intenzione di creare un n uovo esercito, ma le autorità militari tedesche, ostili alla semplice idea della ricostituzione d i un apparato militare italiano, inizialmente s i opposero in modo tale che Hitle r , a ppunto a Rastemburg, non aveva preso ness una decisione definitiva ed aveva rinviato la soluzione del problema alla preventiva messa in funzione del nuovo Stato fascista. Il compito di costituire l'esercito repubblicano sul piano del lealismo fascista, un a pparato completamente nuovo, venne affidato a l maresciallo Graziani che, benché fosse a ncora sotto inchiesta per come aveva condotto la campagna del 1941 in Africa settentrionale, continuava a godere di un qualche prestigio derivantegli dalla guerra contro l'Etio pi a. Creare intorno al maresciallo Graziani ed al g ruppo di ufficia li che lo segui rono il nuovo esercito divenne la ferma direttiva di Mussolini ch e e ra de l tutto convinto circa l'essenzialità, per l'autori tà e la struttura del nuovo Stato, dell'esis tenza delle forze armate e circa la dipendenza da queste del controllo dello s tesso organismo politico. Alla base della ba ttaglia per l 'esercito repubblicano fu il concetto secondo il quale chi avrebbe controllato l'apparato militare sarebbe riuscito a dominare quello politico. Da qui l'ostilità tedesca alla creazione di forze annate non inqua drate nel partito e l'impegno iniziale di Mussolini a ricostituire l'esercito sulla base della milizia. Di ben diverso parere fu nella p r ima riunione di
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gabinetto del 27 settembre il maresciallo Graziani, che si oppose al concetto di ritenere la milizia l'unica forza militare della nuova repubblica e sostenne con fermezza la necessità di costituire un esercito a base nazionale, apolitico, con quadri volontari e truppe reclutate per coscrizione. Inizialmente, dunque, era stato previsto che il maresciallo Graziani dovesse curare soltanto i reparti della milizia con funzioni di polizia dietro la zona di operazioni, ma il 3 ottobre il maresciallo to rnò alla Rocca delle Caminate per presentare un s uo progetto la cui sostanza era la costituzione di un piccolo esercito s pec ializzato sul tipo de lla Reichwehr tedesca degli anni venti. Mussulini s i mostrò d'accordo su tale progetto e qualche giorno dopo, il 9 o ttobre, il maresciallo Graziani partì in volo per il quartier generale cJi Hitler dove i tedeschi accettarono la costituzione di un piccolo esercito di 4 divisioni (che nel tempo avrebbe potuto essere porta to prima ad 8 e poi a 12). Ma i gerarchi fascisti continuarono a battersi p er l'esercito fascista impostato sulla milizia, mentre il m a rescia llo Graziani per l 'esercito apolitico; r eclutato su base volonta ria tra gli internati mi litari in Germania. Il di ss idio t ra i gerarchi fascisti (Ricci comandante della milizia e Pavolini segretario del p a rtito fascista repubblica no) sostenuti dai tedeschi da una parte ed il maresciallo Graziani da ll 'altra durò aspro e minaccioso e venne r isolto con la costituzione di un esercito politico, la Guardia Repubblicana (che inglobò in blocco la milizia, ebbe ordinamento bilancio e comandante propri, ques to ultimo posto alle dirette dipendenze di Mussolini) e dell'esercito repubblicano apolitico. Si ebbero così l'eserci to apolitico del maresciallo Graziani e l'esercito politico di Ricci, questo ultimo anch e con compiti di polizia collidenti con quelli delle a ltre forze di sicurezza interna (polizia) dipendenti dal ministro degli interni (Buffarini Guidi). Questa dispersione di forze, nega tiva per un effi cace s forzo militare, rispecchiò la debolezza politica della repubblica fascista 30. All'inizio dell'estate de l 1944 l'esercito d el maresciallo Graziani riusci a recluta r e per coscrizione obbligatoria circa 400 mila uomini, in maggioranza posti sotto controllo tedesco, mentre l'esercito effettivo consisteva nelle 4 divisioni ancora in addestramento in Germania. In Italia il maresciallo Graziani disponeva soltanto di pochi b attaglioni, m a l'afflusso in patria delle divisioni italiane in addestramento in Germania cos tituiva una grossa preoccupazione poich é non s i poteva non restare incerti sul grado di affidabilità del loro impiego. Nel suo viaggio in Germania del luglio de l 1944 Mussolini volle visitare le 4 divisioni e si recò il giorno 16 a Miinzingen per is pezionare la Monte R osa, il 17 a Pa derborn presso l'Italia ed il 18 a Gra fenwohr ed a Sennelager
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rispettivamente presso la San Marco e la Lillorio. Accompagnato dal maresciallo Graziani, egli venne accolto con manifestazioni di grande entusiasmo che lo rincuorarono e gli iniettarono ottimismo, illudendolo che quel particolare stato d'animo dei soldati italiani, isolati nei campi tedeschi e lontani da tempo dalla Patria, avrebbe potuto essere duraturo e condiviso più tardi dalla popolazione. Al termine della visita il maresciallo Keitel lasciò intendere al maresciallo Graziani che, in considerazione delle gravi ripercussioni dell'avanzata sovietica nella Prussia orientale, egli avrebbe voluto impiegare 2 divisioni italiane su quella fronte per la difesa contraerei. La proposta provocò una reazione violenta del maresciallo italiano ed il collega tedesco si convinse che una dec isione del genere avrebbe potuto segnare la fine del regime fascista in Italia. Nella tarda estate del 1944 i primi reparti delle divisioni di Graziani giunsero sul suolo italiano. Con tre divis ioni tedesche essi dovevano formare l'armata Liguria, il cui compito era di opporsi ad un possibile sbarco alleato sulla costa nord-occidentale italiana oppure ad un attacco aHeato ai passi alpini dal territorio francese 3 1. Le divisioni della repubblica fascista vennero travolte nell'aprile del 1945 d all'avanzata delle truppe alleate alle quali s i arresero al pari di quelle tedesche. Sul piano militare il fallimento del governo di Salò non fu dunque meno grave di quello sul piano politico, perché non solo ben pochi furono coloro che ris posero alle chiamate allearmi preferendo rifugiarsi in montagna e perché le quattro divisioni regolari si rivelarono, all'impa tto con la realtà della fronte di combattimento e de ll'azione dei partigiani, assai malsicure , ma anche perché l'ostilità d e i tedeschi alla costituzione di unità regolari, le rivalità tra gli stessi gerarchi fascisti e tra costoro ed il maresciallo Graziani, lo stato di disorganizzazione e di confusione in cui Mussolini, interessato ad evitare la concentrazione del potere militare in un'unica mano, lasciò che procedesse l'esistenza dei tre apparati mìlitari nazionali ufficiali e di tutti gli a ltri di carattere personale o locale, determinarono le condizioni più sfavorevoli alla nascita ed a llo sviluppo di is tituzioni militari strutturalmente e organicamente solide. Molto più delle armi e dell'equipaggiamento, all'esercito regolare della Repubblica Sociale Italiana mancò l'humus ideale e morale dal quale le istituzioni militari traggono origine, vita e sviluppo. Senza voler negare l'idealismo e la buona fede di una parte di coloro, specialmente dei giovani, che con onore e convinzione militarono in quell'esercito, taluni sacrificando la vita, la valutazione conclusiva che dell'ese rcito del maresciallo Graziani si può dare è del tutto negativa: gli fece difetto quell'a fflato spirituale che infonde nell'organismo l'anima. Fu, infatti,
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un esercito senza anima e perciò senza s toria. Non valgono a sostenere la tesi contraria i momenti di sincera, ma momentanea esaltazione, espressi dalle quattro divisioni durante le visite di Mussolini e del ma resciallo Graziani e determinati dalle condizioni psicolog iche de l momento e neppure i sacrifici e gli e roi smi di alcuni coma nd an ti e gregari. Tali elementi non a ssumono il valore di controprove. Il ma le di origine dell'esercito de lla Repubblica Sociale Italiana fu ch e la s ua nascita sottintese la simultanea rottura con tutto il passato del qua le tutti i capi, e gran parte dei gregari, erano s tati partecipi . La sce lta del maresciallo Graziani era stata fatta in contrapposizione a que ll a del maresciallo Badoglio. Mussolini ed il maresciallo Grazia ni non istaurarono tra loro la collaborazione, di natura ass ai d elicata, essenziale per adeguare le necessità milita ri a i fattori politici ed ent rambi, con i loro conflitti di coscienza e con i loro contrasti esteriori , mi sero in cris i, in taluni momenti fino quasi ai limiti de l crollo, l'appa rato militare che venivano edi fi cando e che già trovava forti r emore di crescita sul piano dei rapporti con i tedeschi e s ul piano politico interno. D'altra parte un esercito moderno può nascere e vi vere all'interno <li uno Sta to che, sia pure legat o ideologicamente, politicamente, militarmente ad un altro, possegga una propria fis io nomia e goda di una propria capacità decisionale, mentre la R epubblica Sociale Italiana ebbe scarsissima rispondenza nella massa del popolo, nessuna autorità, nessuna autonomia, ed il suo governo, che giunse a chiedere a se stesso se esisteva o no, altro non fu che la proiezione, nell'Italia occupata dai tedeschi , della volon tà e del potere di Hitler espressi in loco soprattutto dalle autorità milita ri germaniche. Il governo fasc ista, crea to da Hitler pe r pur i motivi di interesse politico e militare tedesco, fu in pratica un governo fan toccio perch é furono le autorità militari tedesche che governarono l'Italia e queste dimostrarono, tra l'altro, di essere del tutto sprovviste di base psicologica. In un m ondo politico così ambiguo e t rab a llante qua le solidi tà avrebbe pot uto avere un esercito? All'insuccesso dell'organizzazione politica si accompagnò dunque ineluttabilme n te quello delle s trutt ure milita ri.
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Dopo 1'8 settembre l'attegg ia mento generale c he preva lse, inizialmente, sia nella parte d'Italia occupata dagli anglo-americani sia in quella occupata dai tedeschi, fu, come abbiamo già scritto, quello dello scoramento, de lla diffidenza, dell'apatia e dell'abulia. Ma se tali furono
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gli stati di animo ed i comportamenti predominanti, non tutti gli italiani caddero in preda della disperazione o della rassegnazione. Com'era accaduto al momento dell'annuncio dell'armistizio e nei giorni immediatamente successivi, durante i quali intere unità e singoli, con inizio da Roma, avevano cercato fino allo stremo delle forze di opporsi all'aggressione tedesca, così, dopo che la tragedia era giunta al suo epilogo, non tutte le luci della ribalta si spensero. Si dové a queste se gradualmente se ne accesero altre nella misura necessaria a dissipare il buio ed a restituire alla luce il volto di un'Italia dolorante e irriconoscibile, ma ancora viva, vitale e desiderosa di uscire dalle tenebre e dalle sofferenze. Non si trattò di un miracolo, ma fu opera di buona volontà, di grande convinzione e fede, di abnegazione, di spirito di sacrificio, di sofferta <.:onsapevolezza e di smisurato coraggio morale e fisico di capi militari e politici, di generali e soldati , di cittadini di ogni categoria sociale e di entrambi i sessi. All'inizio pochi e dispersi, seppero gradatamente conquistare e trascinare gli altri per riconquistare i valori di italianità e di dignità nazionale che 1'8 settembre sembrava avesse travolti. Sono le élites a fare la storia, ma solo se dotate di intelligenza politica che consenta loro di comprendere in primo luogo l'anima del popolo, quali siano cioè gli ideali e gli interessi veri della maggioranza e quali le energie spirituali, morali, fisiche e materiali su cui poter contare, ancorché nascoste, inattive, sopite. Il termine é lite non va inteso, nel caso della lotta contro l'occupazione tedesca, come cerchia di persone che si distinguano dai più per superiorità di cultura, di censo, di funzione sociale e simili, ma come raccolta di individualità spiccate, capaci per le loro qualità e virtù di esercitare nell'ambito del loro ambiente ascendente sugli altri, soprattutto con la forza del loro esempio. Fu quanto avvenne in Italia dopo 1'8 settembre, dove il carattere popolare - vale a dire di partecipazione di rappresentanti di tutte le categorie, nessuna esclusa - de ll a lotta sopravvanzò quello dei moti e delle guerre risorgimentali. Esaminata globalmente in tutti i suoi diversi aspetti - combattimenti delle unità regolari 1'8 settembre e giorni successivi, resistenza passiva ed ostruzionismo degli interna ti militari in Germania, attività clandestina e guerriglia nei territori occupati dai tedeschi, partecipazione delle unità de ll'esercito regolare alla guerra degli alleati - la lotta contro i tedeschi ed i complici della R.S.I. fu un fatto nazionale e popolare che appartenne a ll'intero Paese, con alla testa le forze armate, alle quali spella, in qualche modo, la primogenitura, nel senso di essere state loro le prime ad impugnare le armi contro l'aggressore, a preferire volontariamente l 'internamento alla collabora-
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zione, a dare vita ai primi nuclei partigiani, a voler partecipare quasi di prepotenza alla guerra che gli alleati conducevano contro i tedeschi sul territorio italiano. Nessuna parte, ancorché il suo contributo possa essere stato preponderante in uno dei vari momenti della lotta - come, ad esempio, quello dell'esercito nei combattimenti dei primi giorni, nella resistenza passiva nei campi di concentramento, nella partecipazione in comune con gli alleati alla guerra vera e propria - può vantare la esclusività della lotta e neppure un proprio protagonismo e se questo ci fu appartiene alle forze armate regolari. Non vi furono a nostro giudizio parti o categorie cui spetti il ruolo di pri mi attori; tutti coloro che vi ebbero parte recitarono atti essenziali. Interpretare diversamente l'avvenimento non solo ne sminuisce il carattere nazionale e popolare, ma falsa la verità storica. Sono s tate le appropriazioni più o meno indebite di alcuni a ridurre nelle menti e nei cuori di altri l'enorme portata spirituale, politica e storica di quella lotta nella quale l'Italia, prima ancora della ricomposizione te rritoriale, riconquistò l'ideale unitario del Risorgimento. Abbiamo già narrato i combattimenti s voltisi sul suolo naziona le e nei territori occupati ad opera delle forze armate italiane ne i mes i di settembre e di ottobre del 1943. Vi persero la vita 18 965 uomini dell'esercito, accertati, ivi compres i elementi della milizia, tra caduti con le armi in pugno e trucidati. Elevato fu altresì il numero dei f eriti, rimasto imprecisato per la perdita di diari, memorie e documenti non più ricostruiti. Se si fa eccezione di que lli caduti nei fatti più noti - come, ad esempio, nell'eccidio di Cefalonia - pochi si ricordano di loro nelle cerimonie commemorative della resistenza e della guerra di liberazione. Eppure furono loro - in buona parte non rie ntrati in patria neppure da cadaveri, altri sepolti in terra straniera, a ltri rimasti senza sepoltura alcuna - a dare l'avvio alla lotta contro i tedeschi, della cui necessità ed importanza furono i primi ad offrire testimonianza concreta. La resistenza ebbe inizio a Porta San Paolo in Roma e d 'iniziativa di comandanti, anche di grado modesto; gra ndi e minori unità dell'esercito vi presero parte nei vari scacchieri operativi con l'intento di compiere fino alla fine il loro dovere, incuranti delle diserzioni degli altri e talvolta contro gli ordini di disarmo e di cessazione de lla lotta che giungevano dalle autorità superiori. Animati da alti sentimenti di dignità umana, di onore militare, di amor patrio morirono per l'Italia senza aggettivi, inconsapevoli del destino futuro del loro paese, forse maledicendo la loro sorte e invidiando quella dei compagni più fortunati e salvi, ma coscienti nella scelta fatta che non sarebbe valso continuare a vivere nell'onta della vigliaccheria. L'orgoglio
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di uomini e di soldati ed il senso di italianità sopravvanzarono lo stesso istinto di conservazione. Nessuno, crediamo, morì contento; tutti sperarono fino all'ultimo di aver salva la vita; molti, forse i più, imprecarono contro i responsabili della guerra e contro la guerra stessa; alcuni dei trucidati piansero ed implorarono il nemico; quelli che non ne ebbero il tempo, forse, affrontarono la morte senza avvertirne lo strappo; tutti, i forti ed i deboli, i consapevoli e quelli che non si resero conto del momento, quelli che morirono tacendo e quelli che piansero e gridarono, la loro scelta di fedeltà all'Italia l'avevano già compiuta prima. Può darsi che nel momento estremo alcuni abbiano addirittura rimpianto la scelta diversa, ma ciò non cambia il valore storico del loro sacrificio. Forse più sofferta perché più individuale, più lunga e più violenta su se stessi, fu la scelta di coloro che preferirono la deportazione e l'internamento, con i rischi, le sofferenze prolungate, le ripetute umiliazioni, a qualunque collaborazione con la Germania e con la repubblica di Salò, sia nell'ambito <li 1·egulari unità armate o <lei servizi au-
s iliari, sia in quello dell'organizzazione del lavoro. Il rifiuto di massa a tali forme di collaborazione fu la prima grande rivincita morale delle forze armate italiane sulla Germania, in particolare dell'esercito, al quale apparteneva la grandissima maggioranza dei generali, degli ufficiali superiori ed inferiori, dei sòuufficiali, dei graduati e dei soldati che vennero internati. Fu un atto collettivo di ostilità, quasi di ribellione, un plebiscito di no a Hitler e a Mussolini. Privi delle armi materiali, non di quelle d ello spirito, i soldati italiani combatterono nei campi di concentramento una lunga, rischiosa, dolorosa, snervante battaglia, con gravi pe rdite - morirono altri 33 mila uomini - riportando alla fine una vittoria morale e politica senza precedent i nella storia militare. Essi furono privati di ogni garanzia giuridica; vennero considerati internati e non prigionieri di guerra perché pe r la Germania di Hitler il governo dell'Italia era que llo di Mussolini e non quello de l maresciallo Badoglio e dell'on. Bonomi; ai sottufficiali ed ai soldati fu imposto lo status di lavoratori civili; gli ufficia li furono separati dai soldati e internati inizialmente in campi di concentramento ubicati in Polonia ed a l confine con l'Olanda. Ufficiali, sottufficiali, soldati furono ripetutamente sottoposti a mis ure vessatorie e intimidatorie, ora blanditi con tutti i mezzi della propaganda, ora oscuramente minacciati, per indurli ad arruolarsi nelle SS tedesche e italiane, ne lle unità dell'esercito della R.S.I., nei reparti della difesa contraerei o in quelli ausiliari. La propaganda dei tedeschi, che si avvalsero anche dell'invio nei campi di concentramento di gerarchi fascisti
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e di ufficiali aderenti alla repubblica di Salò per sollecitare adesioni, ebbe assai scarsa fortuna, nonostante che il compenso promesso per l'ades ione fosse il ritorno in Patria e lo s tipendio. Dopo sette-otto mesi di internamento alcune centinaia di ufficia li, in gran parte appa rtenenti alla categoria di complemento, ridotti allo s tremo per la fame, accettarono l'impiego in lavori agricoli, fermi res tando nel rifiuto ad ogni altra forma di collaborazione militare o comunque a ttinente l'attività bellica. Nel febbraio d e l 1945 alcuni campi furono chiusi e gli ufficiali italiani ch e vi si trovavan o vennero inviati forzata mente a l lavoro: alcuni si allontanarono clandestinamente da i luoghi di lavoro e girovagarono, arrangia n dosi, nella Germania ormai dis trutta; altri sabotarono deliberatame nte l'attività alla quale erano s ta ti condannati; alcuni rifiutarono a pertamente ogni prestazione e venne ro fucilati. Al te rmine de lla gue rra gli inte rnati rimpatr iati dal la Germania, dalla Svizzera, da ll a F rancia, <lai Balcani, dalla Grecia e dalle isole risultarono pari a 18 7 13 uffic ia li e 739 575, sottufficiali e soldati dei quali oltre 600 mila dalla sola Germania 32. Solo meno de l 4 per cento degli internati iniziali aveva aderito a lla collaborazione con i tedeschi e un'aliquota di ess i erano anziani, invalidi e malati. Di que lli c he non avevano aderito, vale a dire più del 96 per cento, e c he i tedeschi per dis prezzo aveva no soprannomin ato hadogliani, una larga parte non nutriva nessuna s tima e fiducia né per il re né tanto m eno per il marescia llo Badoglio, dei qua li si sentivano vittime, m a avevano deciso consapevolmente di restare fedeli al giuramento prestato compiendo un a tto ancor più meritorio che richiese una doppia violenza su lo ro s tessi. Tutti gli internati mi litari comunque, con atto di fede, di speranza e di a more, conse rvarono intatta, ne lla tragica ed a vvilente p rigion ia cd in un periodo in cui la stessa o rganizza zione s trutturale del regno pareva di ssolta, la fedeltà alla Patria della cui vita e rinascita ebbero in c uor loro certezza . La resistenza degli inte rnati militari - prigionieri per loro libera scelta - fu uno degli elementi fondamentali caratteris tici, unico più c he raro, della lo tta italiana contro il nazi smo ed il fascismo. Ben diversa e ben più grave sarebbe s tata la tragedia dell'Italia se non ci fosse s tata questa prova collettiva di fermezza, di tenacia, di amor patrio 33. Fedeltà al giuramento, rivalsa s ul fascismo e su lla Repubblica Sociale Italiana, rifiuto di ogni collaborazione con la Germania e con il governo di Sa lò, difesa della dignità di uomini e dell' onore di soldati furono gli ideali ai qua li ispirarono la loro scelta e la loro condo t ta gli inte rna ti milita ri. 11 ]oro fu un impegno morale per ]'affermazione di valori assoluti ed al tempo stesso un impegno politico, nell'accezione più ampia di q uesto
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termine, per contestare concretamente, senza riserve, una prass i di governo e di amministrazione ingius ta, violenta, di sop raffazione, di vendette. La resistenza fu, prima di tutto, un avvenimento di grande portata morale e politica in qua nto affermazione dei princìpi di libertà e di indipendenza e man ifestazione concreta di volontà di riscatto dall'oppressione straniera. Sotto tale duplice aspetto la si può, a ragione, considerare come un nuovo Ri sorgimento. Circa la riconquista dell'indipendenza e dell'unità della Patria vi fu assoluta identicità di vedute di tutte le parti, pur ispirantesi queste a concezioni diverse, e d anche opposte, dello Stato, aventi, peraltro, a denominatore comune il ripudio del fascismo. Bench é variamente idealizzata e motivata, l'adesione al la resistenza ebbe carattere nazionale perché non vi fu parte politica, a cominciare da l governo del re gno, che ne rimase estranea. Essa coinvolse le coscienze della grande m aggioranza degli italiani, tutti ugualmente desiderosi del ristabilimento di uno Stato nazionale unita1·io cht! riprendesse, di propria iniziativa, il suo posto nel consesso delle nazioni, con personalità politica e giuridica autonoma . La resistenza non fu monopolio di nessuna parte politica, ma risveglio della coscienza nazionale con tro l'occupazione tedesca e contro il fascis mo c he, in segui to a ll'a lleanza con il nazismo, aveva condotto il paese a lla rovina.
7. Prima a ncora ch e i p artiti politici 33 la o rganizzassero nelle sue varie forme e ne assumessero la direzione, la resis tenza ebbe le sue manifestazioni spontanee, nel paese e fuori, per merito delle unità delle forze armate che si ribellarono ai tedeschi e dei comuni citta dini c he si un irono a queste il 9 ed il 10 settembre a porta S. Paolo a Roma o che da soli furono i protagonis ti delle quattro giornate di Napoli (28 settembre - 1 ottobre). L'organizzazione politica della resistenza ebbe la sua origine embriona le ne l «comitato clandestino delle opposizioni » costituitosi in Roma nel febbraio 1943 e s uccessivamente nei «comitati d 'intesa dei partiti antifascisti » costituitisi dopo il 25 luglio in molte città della penisola. I Comitati di Liberazione Nazionale (C.L.N.) sorsero dopo 1'8 settembre e fu solo dopo tale data che cominciarono ad estendersi capillarmente con una gerarchia territoriale e funzionale e a d esercitare poteri decisionali in nome e per conto del governo italiano legittimo. Dal C.L.N. di Roma e dal C.L.N. dell'Alta
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Italia (C.L.N.A.I.) vennero via via a dipendere i C.L.N. regionali, da questi i C.L.N. provinciali che svolsero l'azione di coordinamento dei C.L.N. di comune, di categoria, di azienda e di fabbrica. In linea di principio i C.L.N. furono costituiti s u base paritaria - un rappresentante per ogni partito antifascista - e le loro decisioni erano vincolanti solo se adottate all'unanimità; l'opposizione o la riserva di un partito comportava il rigetto od il rinvio di esame di una proposta. Da qui le formule di compromesso che non sempre resero chiara e limpida la volontà unitaria e spesso risultarono contraddittorie e confuse, mentre non mancarono iniziative di partito non approvate preventivamente dagli altri. Il primo intervento di grande rili evo po litico fu quello del C.L.N. centrale di Roma che il 16 ottobre 1943 prese posizione ufficiale presso il governo del re perché venisse costituito un governo che assumesse tutti i poteri, conducesse la guerra contro i tedeschi a fianco degli alleati, si impegnasse al termine ùella gue rra a convocare un referendum sulla forma istituzionale dello Stato. Successivamente, il 28-29 gennaio 1944, si svolse in Bari il congresso nazionale dei C.L.N. che si proclamò espressione unica e vera della volontà delle forze della nazione, auspicò la formazione di un nuovo governo con pieni poteri, costituì una giunta permanente esecutiva, chiese l'abdicazione del re e l'intensificazione dello sforzo militare itali ano contro i tedeschi. Nell 'aprile successivo, la giunta esecutiva raggiunse un compromesso nei riguardi dell'abdicazione del re; questi s i sarebbe ritirato nominando luogotene nte generale il figlio Umberto dopo il rientro a Roma. Frattarito il re dette incarico al maresciallo Badoglio di costituire un nuovo governo (21 aprile 1944) del quale entrarono a fare parte cinque ministri senza portafoglio (uno per ciascuno dei sei partiti del C.L.N., ad eccezione del partito repubblicano), due mini stri militari, un ministro tecnico; il maresciallo Badoglio conservò la carica di presidente del consiglio e di ministro degli affari esteri. Il 5 giugno 1944, dopo l'entrata delle forze alleate in Roma, il re si ritirò, venne instaurata la luogotenenza e venne formato un nuovo governo, presieduto dall'on. Ivanoe Bonomi. Il 6 agosto il governo Bonomi affidò la delega della condotta della lotta nazionale nelle terre occupate dai tedeschi e dai fascisti al C.L.N.A.I. che il 7 novembre succesivo venne riconosciuto ufficialmente come organo dell'Italia combattente anche dalle autorità alleate sulla base dei protocolli di Roma, firmati dal generale Wilson 34 comandante del teatro del Mediterraneo e dal presidente del C.L.N.A.I. Alfredo Pizzoni. Il protocollo impegnò: il C.L.N.A.I. alla collaborazione militare con gli alleati ed al graduale trasferimento dei poteri alle autorità alleate a mano a mano che il territorio venisse
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liberato; gli alleati all'assistenza finanziaria e logistica delle formazioni paramilitari italiane combattenti contro i tedeschi ed i fascisti. Da parte sua, nel marzo 1945, il governo Bonomi fissò in maniera particolareggiata gli elementi della delega di potere al C.L.N.A.I.. I C.L.N., in particolare il C.L.N.A.I. e quelli delle grandi città Torino, Milano, Genova, Venezia, Bologna - ebbero gran parte, nonostante le divisioni interne, nel coordinamento della resistenza politica e militare contro i tedeschi ed i fascisti e riuscirono a coagulare intorno a loro le forze vive di tale resistenza e ad assicurarsi vastissima solidarietà in tutti i settori ed in tutte le attività delle popolazioni soggette all'occupazione tedesca. Essi esercitarono un ruolo determinante nella resistenza, organizzando le forme passive ed attive della lotta, una vasta opera d'infiltrazione negli organismi amministrativi della repubblica di Salò, una non meno vasta rete informativa ai danni dei tedeschi e dei fascisti, nonché l'assis tenza ai perseguitati, l'elusione alle requisizioni, la disobbedienza ai bandi di reclutamento, ecc. . Essi svolsero una vera e propria allività, ancorché clandestina, di governo e, forti del consenso che sapevano di raccoglie re nella gran parte della popolazione, resero costantemente dura la vita ai tedeschi ed ai fascisti, prepararono le sollevazioni generali de lle città nell'ultimo periodo della guerra e furono gli artefici del salvataggio di molte centrali idroelettriche e di impianti industriai i che altrimenti sarebbero andati dis trutti o sarebbero stati smantellati e trasferiti in Germania. Essi conferirono significato politico e giuridico di valenza nazionale alla resistenza, di cui furono gli animatori ed i registi, traendo autorità dalla delega ricevuta dal governo legittimo e dal riconoscimento ottenuto, non senza difficoltà, dalle autorità alleate , delle quali restarono consuJenti anche dopo il passaggio dei poteri a l gove rno militare alleato (Allied Military Government -A.M.G.). Essi restaurarono, prima ancora di quella territoriale, l'unità morale della nazione e tolsero ogni credito morale al governo di Salò, di per sé assai effimero anche sul piano politico. Unico punto di riferimento morale e politico, essi salvaguardarono l'unità spirituale della nazione che avrebbe potuto essere irrimediabilmente compromessa dai vari particolarismi di partito o regionali che qua e là cominciarono a manifestarsi durante la guerra. La resistenza fa anche guerra civile - la peggiore delle forme di guerra - ma ciò dipese dalla costituzione della repubblica di Salò. Non sono accettabili, a nostro giudizio, le tesi della divisione a metà delle responsabilità dell'insorgere di tale guerra. I valori ideali, morali, politici e soc iali della resistenza erano quelli della tradizione
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nazionale risorgimentale e perché tali inalienabili e solo su di essi sarebbero stati possibili il ritrovarsi degli italiani e la ricostruzione unitaria della Patria. Il fascismo era stato un fenomeno italiano, che aveva goduto, specialmente a cavallo della metà degli anni trenta, di larghissimo consenso, ma il suo successivo sposalizio con il nazismo lo aveva reso del tutto estraneo alla coscienza nazionale tanto che alla fine e ra stato ripudiato anche da una parte dei suoi gerarchi. Le infauste sorti della guerra lo avevano già irrimediabilmente condannato sul piano storico oltre che su quello morale. 11 tentativo di farlo rinascere, in più come strume nto de ll'egemonia nazista, era un delitto di lesa nazione ed allo stesso tempo un non s enso politico, un andare contro la legittimità dello Stato e, prima ancora, contro la volontà della grande maggioranza degli italiani che appunto si riconobbero ne i C.L.N . . Ecco il perché la resistenza fu un fenomeno spirituale e politico di carattere generale, m ent re il te n tativo di restaurazione fascista rimase un episodio minor ita rio, avulso dalla coscienza n a zionale. Ciò non vuol dire che anche tra coloro che furono con Mussolini non vi fossero, specialmente tra i giovani, individui in buona fede, ma solo che non esiste alcuna possibilità di confronto tra gli ideali ed i valori della resistenza e gli inte ndime nti de ll'a ltra parte.
8. Sul piano militare la r esistenza impegnò le forze regolari e le formazioni volontarie. Bande armate di volontari si organizzarono autonomamente fin dai primi giorni de ll'autunno 1943 lungo la dorsale appenninica e sulle Al pi e dive nnero insegne politiche. Accan to a lle iniziali formazioni apartitiche sorsero que lle che si ispiravano a giustificazioni ideologiche e, in particola re, le Garibaldi del partito comunista, le Giustizia e Libertà del partito d 'azione, attive soprattutto in Piemonte, le Mazzini del partito repubblicano, le Brigata del popolo della democrazia cristiana, avendo i cattolici preferito dapprima riconoscersi nell'appoggiare le formazioni autonome apartitiche. Sorsero poi accanto alle formazioni di montagna quelle, meno consistenti e proprie soprattutto del partito comunista, di pianura e di città e cioè i gruppi di azione patriottica (G.A.P.), specializzatisi nel terrorismo urbano e nel sabotaggio, e le squadre di azione partigiana (S.A.P.) operanti soprattutto nell 'ambito delle fabbriche. La caratterizzazione politica delle Garibaldi, spinta fino alla presenza di un commissario politico incaricato della formazione ideologica dei reparti, ed il
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fatto che fossero le più numerose e le meglio organizzate incisero in un qualche senso negativamente sul carattere unitario della lotta e fecero sì che il termine partigiano venisse spesso, a torto, inteso come sinonimo di comunista. La prevalenza numerica delle formazioni comuniste - determinata da vari fattori e, in particolare, dalla maggiore capacità di presa di un'ideologia rivoluzionaria su giovani educati e vissuti a lungo sotto un regime liberticida e dall'indulgenza di quel partito ad accogliere un po' tutti, anche coloro che vi si rifugiavano per cancellare o far dimenticare i loro precedenti fascisti - non giovò alle formazioni volontarie che furono guardate con sospetto da una notevo le parte della popolazione e soprattutto dalle autorità alleate. Queste ultime, infatti, esitarono non poco nel sostenere le varie formazioni alle quali concessero aiuti disuguali nel tempo (in relazione ai loro piani operativi) e differenziati nella consistenza (in relazione alle loro simpatie politiche). La Special Force inglese e lo Strategica[ Service statunitense provvidero, comunque, ad addestrare il personale alla ricerca delle informazioni eJ alle azioni di sabotaggio, ed a paracadutare o sbarcare propri ufficiali e sottufficiali nei territori occupati dai tedeschi, od anche ufficiali italiani, per l'addestramento e la guida delle varie formazioni, a rifornire le principali di armi, munizioni, apparati radio e materiali vari, cercando di controllare ]'impostazione politica oltre che quella militare, timorosi che anche in Italia potesse verificarsi quanto veniva accadendo proprio nella seconda metà del 1944 in Grecia, la lotta armata cioè tra formazioni politiche di opposte tendenze ideologiche. Segni di contrasto e atti di ostilità si manifestarono, difatti, nel Friuli e nella Venezia Giulia tra le Garibaldi e le Osoppo- queste ultime formazioni autonome prevalentemente di cattolici - le prime solidali con quelle iugoslave. le seconde gelose dell'italianità della zona. Le discordie tra le formazioni di diversa tendenza non favorirono la solidarietà e la partecipazione al la lotta armata degli italiani non comunisti. Si ebbero anche altrove episodi di sfogo di rancori e di vendette personali da parte di qualche commi ssario politico e di qualche comandante senza che vi fossero concreti e validi rif~rimenti alla lotta contro i tedeschi ed i fascisti, e ciò valse a conferire al movimento dei partigiani un'immagine particolaristica che in effetti non aveva sul piano dell'impostazione generale. Nell'autunno del 1943 e nel successivo inverno le formazioni di partigiani furono particolarmente attive a Teramo, sui monti Amiata e Protomagno, ad Ascoli Piceno, sui colli Albani, nel Cuneense, sull'altopiano di Asiago, sul monte Grappa, sull'Appennino ligure, sui monti di Lecco e di Varese ed in Emilia Romagna. Nel 1944 le forma-
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zioni crebbero di numero ed in efficienza - da 20 mila uomini in febbraio ad 80 mila in maggio - ma più attiva e costante divenne altresì l'attività di repressione tedesca e fascista. A Roma un'azione terroristica dei G.A.P. scatenò nel marzo 1944 una rappresaglia - eccidio delle fosse Ardeatine - nella quale le SS tedesche si macchiarono ancora una volta d'infamia oltre che per l'atto in sé anche per il modo disumano e barbarico con il quale lo mandarono ad effetto. Nel 1944 le formazioni partigiane furono talmente forti da porre sotto il loro controllo vere e proprie zone libere, quali la valle d'Ossola, Montefiorino, l'alta valle Ceno, Taniglia, parte del Monferrato e dell'Astigiano e alcuni territori del Friuli. Durante l'avanzata degli alleati da Cassino fino all'avanstruttura della linea gotica formazioni partigiane parteciparono direttamente alle operazioni militari, ma proprio nello stesso periodo, sulla base dell'esperienza che si veniva acquisendo, il C.L.N. avvertì la necessità di coordinarne l'attività istituendo un comando militare unitario che assunse la responsabilità globale de l loro impiego nel combattimento. Si costituì il Corpo volontari della libertà (C.V.L.) il cui comando venne affidato al generale dell'esercito Raffaele Cadorna 35, assistito da due vicecomandanti politici: Ferruccio Parri e Luigi Longo. Altri membri politici del comando furono Antonio Stacchi, Enrico Mattei e Mario Argenton. Quando le forze a lleate e italiane regolari furono arrestate dai tedeschi sulla fronte della linea gotica, il maresciallo Alexander 36, succeduto al generale Wilson nel comando del teatro operativo del Mediterraneo, invitò il C.V.L. a smobilitarsi desistendo, durante l'inverno, da ogni attività militare. Il C.V.L., cosciente del contributo dato alla liberazione de ll'Italia centrale e consapevole della notevole potenzialità militare con seguita, non aderì all'invito, d'altra parte palesemente politico, e si raccolse nuovamente sulle montagne ove sopravvisse per tutto l'inverno, scendendo spesso in pianura per vettovagliarsi e per continuare a mantener vivo il senso d'insicurezza e di pe ricolo che costringeva i tedeschi ad impegnare continuativamente consistenti aliquote delle loro forze a protezione dei loro obiettivi e dei loro movimenti. Esso si trovò, in tal modo, pronto nella primavera del 1945 per partecipare allo sforzo bellico finale. La ripresa in più larga misura dell'attività nella primavera fu resa possibile dai maggiori rifornimenti a mezzo di a violanci decisi dal comando alleato, resosi conto dell'inutilità del suo ordine di smobilitazione, e dal maggiore afflusso di volontari fattosi particolarmente intenso nelle ultime settimane di guerra. L'insurrezione generale, ordinata dal C.L.N.A.I. il 17 aprile 1945, trovò il C.V.L. pronto a scendere in campo, dando il via alla liberazione di alcune grandi
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città prima che vi giungessero le forze alleate e quelle italiane regolari, a bloccare dove possibile la ritirata dei tedeschi dalla Liguria e dal Piemonte verso il Veneto e l'Alto Adige, a realizzare con le proprie formazioni la liberazione di Modena, Torino (fine aprile) e ad impedire la dis truzione di fabbriche e di impianti di grande interesse industriale.
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NOTE AL CAPITOLO XLII I B.H. Liddcl Hart. Sloria mililare della seconda guerra mondiale. Arnoldo Mondadori editore, Verona, 1971, pg. 338. 2 H.A. Jacobsen-J. Rohwe. Ballaglie decisive della seconda guerra mondiale. Baldini e Castoldi, Milano, 1974, pg. 387. 3 Erich von Lewinski van Manstein (1887-1973), maresciallo ted esco. Nipote del generale Hindemburg e de l generale Georg vo n Manstein, di cui assunse il cognome, percorse una brillante carriera militare e come capo di stato maggiore del generale Rundstedt elaborò, nell'inverno 1939-40, il piano Falce che diede ai t edeschi la vitto ria sulla Francia. Creò l'artiglieria corazzata d'assalto che si rivelò <li estrema imp<H"la nza nella seconda guerra mondiale . Sfondò per primo ad Amien s e fu il primo ad a ttraversare la Senna. Promosso feldmaresciallo, conquistò la Crimea e ne l 1942, dopo un lungo assedio, prese Sebastopoli. Cercò invano di liberare Stalingrado dall'accerchiamento russo. Diresse la grande ritirata dal fronte sovietico, ma in disaccordo con Hil ler, che non voleva ripiegare, cadde in disg razia e perse il comando. Catturato dagli inglesi ne l 1945, giudicato e condannalo a 18 anni di carcere come criminale di guerra, fu libe rato nel 1953 per ragioni di salute. Liddel Hart lo giudicò il migliore generale tedesco della seconda guerra mondiale. 4 Hans Gunther van Klu ge (1882-1944), maresciallo tedesco. Dopo la prima guerra mondiale, alla quale aveva partec ipato come ufficiale di artiglieria, prestò servizio nella Reichswehr. Allo scoppio della seconda guerra mondiale assunse il comando della 4a armata in Polo nia. poi comand ò armate in Francia e in Russia; dal 1941 a l 1943 tenne il comando del g.-uppo di armale d e l Centro e si batté con grande perizia e valore davanti a Mosca. Nel 1943 contras tò ]'offensiva sovietica a Kursk e Orci. Ferito in un incidente aereo, riprese servizio nel 1944 e diventò comandante della fronte occidentale. Il fallimento della controffensiva su Mortain (agosto 1944) lo fece cadere in disgrazia presso Hitler, con il quale non era mai andato daccordo in materia strategica. Sospettato di complicità ne ll 'attentato a Hitler del 20 luglio 1944, preferì suic ida rs i ne ll'automobile che lo portava a Mctz. Lasciò una lettera per Hitler nella quale gli esponeva il suo punto di vista su lla guerra, consigliandolo di chie dere la pace per evitare lo sfacelo della Germania. s B.H. Liddel Hart. Storia m ilitare della seconda guerra mondiale. Op. cit., pg. 689. 6 Karl Doenitz (1891-1980), ammiraglio tedesco. Nel settembre 1916, con il grado di tenente della marina imperia le germanica, venne trasferito ne ll'arma dei sommergibili. Nell'ottobre 1933 fu nominato capitano di vascello e comandante di fl ottiglia subacquea. Nell'ottobre del 1939 an:hitettò la beffa di Scapa Flow. Nel 1943 venne nominato s uccessore dell'ammiraglio Erich Raeder (1876-1960) e il 30 aprile 1945 Hitler lo nominò proprio successore. Come capo de lla Germania nazista delegò il generale Jodl e l'ammiraglio Hans von Friedeburg a firmare la resa incondizionata. Il 23 maggio 1945 s i consegnò agli alleali che lo processarono a Norimberga condannandolo a IO anni di prigione per crimini di guerra, inerenti alla spietatezza della guerra sollomarina. Il I O ottobre 1956 finì di scontare la pe na. 7 La prima fase comprende il periodo dall'inizio della guerra al marzo 1940,
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durante il quale g li U.-Boote affondarono 750 mila tonnellate di naviglio (le navi di s upe rficie: 63 mila; la Luftwaffe: 36 mila; le mine: 281 mila); la seconda fase comprende il periodo dal giugno 1940 a l marzo 1941 (operazioni di gruppo di U.-Boote), durante il quale gli U.-Boote, le navi da battaglia, gli incrociatori, gli incrociatori ausiliari ed i bombardieri a grande autonomia affondarono nell'Atlantico settentrionale e negli altri oceani r is pettivamente: U.-Boote 2 042 027 t di naviglio, i sommergibili italiani 133 41 3 t, g li incrociatori au siliari 440 235, le forze navali pesanti 256 496, i bombardieri a grande a utonomia 207 889 t; la terza fase comprende il periodo dall'aprile a l dicembre 1941 , durante il quale vennero affondate I 860 000 t di naviglio nemico, del quale l 582 389 t dagli U.-Boote e 11 8 533 t dai sommergibili italiani, 125 550 t d agli incrociatori ausiliari, 79 877 t dai bombardie ri a grande autonomia; la quarta fase comprende il periodo dal gennaio all'agosto 1942 durante il quale g li U.-Boote affondarono nella costa orientale degli U.S.A., nel golfo d el Messico, ne l mare dei Caraibi, nelle Antille e nel nord Atlantico 3 186 602 t di naviglio nemico ed i sommergibili italiani 190 713 t; la quinta fase comprende il periodo dall'agosto 1942 al maggio 1943 durante il quale nel solo Atlantico vennero affondate 3 800 000 t d i naviglio nemico; la sesta fase comprende il periodo da l g iugno all'agosto 1943 e la settima il periodo d al settembre 1943 al maggio 1944 durante i quali le perdite inflitte a l naviglio nemico diminuirono in misu ra elevatissima e, benché la guerra dei somme1·gibili p roseguisse, era g ià segnato dal maggio 1943 il suo fallimento. 8 B.H. Liddel Hart.. S1oria m ilitare della seconda guerra mondiale. Op. cit., pg. 541-548. 9 Tbidcm, pg. 839. IO Il 7 dicembre 1941 il G iappone attaccò di sorpresa la flotta degli Stati Un iti a Pearl Ha1·bour. In quel mese le forze giapponesi presero terra a Malaya, nord Luzon. ne lle isole Gilbert, Guam, sud-Lu zon. Borneo del nord, Minda nao, nel golfo di Lin gaia e a Wake. Nel gennaio del 1942 sbarcarono a Cele bes, nella nuova Irlanda, a Bougainville, nuova B ritannia, Borneo Ambou ed iniziarono l'offensiva contro la Bi1·mania. Dall'8 a l 15 febbraio I 942 conquistarono Singapore e sbarcarono a Sumatra, Bali, Timo r. li 19 febbraio svilupparono un massiccio attacco di portaerei contro Port Darwin e alla fine del mese-primi di marzo ingaggiarono una grande battaglia navale nel mare di Giava, seguita d a uno s ba rco sull 'isola, che capitolò. Nell'aprile agirono con le portaerei contro Ceylon e il golfo del Bengala. Ancora nella prima metà de ll'a nno 1942 i g iapponesi interruppero la s trada della Birmania presso Lashiu, 5ù» lennem una ballaglia navale nel mare dei Cora lli, sbarcarono a Corrcgidor, sferrarono un'offensiva nel Chekiang contro le basi aeree statunitensi. Nella seconda metà del 1942 riportarono successi nella battaglia navale nollurna presso l'isola di Savo (9 agos to) ed in quella aeronavale d i Santa Cruz. La prima fase della gue rra nel Pacifico era st at a di iniziativa esclusivamente nipponica ed aveva visto la conqui sta di tutti gli a rcipelaghi del settore occidentale e sudoccidentale di quell'oceano, nonché dei paesi del s ud-es l a sia tico. La seconda fase aveva visto il tentativo giapponese, fallito, di estendere il controllo sulle basi s tatunitensi e inglesi nelle isole hawaiane e in Australia. A far fallire tale tentativo furono la battaglia aereonavale di Midway e la lunga lolla per il possesso di Guadalcanal, nelle isole Salomone, sulla direttrice di avvicinamento all'Australia. La terza fase vide i giapponesi sulla difensiva per conservare tulle le posizioni nelle Salomone e nella Nuova Guinea. In ta le fase essi svolsero azioni offen sive solo in Birmania dirette a prevenire l'eventuale con troffensiva inglese dall'India. La perdita di 4 portae rei a Midway, d i 2 corazzate e di m ol te altre unità navali a Guadalcanal e di centinaia di aerei nel corso di
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tali due cruciali campagne tolse al Giappone la capacità di ulteriori offensive e consentì agli alleali occidentali di riprendere le redini delle operazioni. Nel maggio del 1943 gli alleati occidentali decisero, nella conferenza Trident di Washington {12-25 maggio), il piano controffensivo contro il Giappone prevedendo un'ampia manovra strategica a doppia direttrice con un'avanzata simultanea nel Pacifico centrale e nel Pacifico sud-orientale; le due direttrici avrebbero avuto andamento con vergente in modo da incontrarsi al la rgo delle Filippine. La fase preparatoria della controffensiva fu necessariamente lunga e comportò una sosta delle operazioni d ella quale i giapponesi approfittarono per rafforzare le loro difese. Fino all'estate de l 1943 la situazione rimase a un punto morto e la linea difensiva giapponese venne s tabilita lungo la congiungente che partiva da Santa !sabei e Nuova Georgia nelle Salomone, a o vest di Guadalcanal. e arrivava a Lae, nella Nuova Guinea, coprendo l'area a ovest de lla penisola della Papuasia. Nel mese di giugno gli americani effettuarono i primi s barc hi su Rendora e su New Georgia {Salomone), in agosto su Yella-Lavella cd in novembre sulle isole Gilbert, Tarawa e Makin. Dall'agosto ebhe inizio il riflusso giapponese ne l Pacifico e in particolare d all'attacco sferrato da Mac-Arthur contro la penisola di Huon, iniziato il 5 settembre J 943, che costrinse i giapponesi ad evacuare Salama na e Lae {15 settembre). 11 Paolo Monelli. Roma /943. Arnoldo Mondadori, Verona, 1948, pg. 87. 12 B.H. Li<l<ld Harl. Sturia mi/i lare della secu»da guerra mondiale. Op. d i. , p f;. 685. 13 Ibidem, pg. 613. 14 Mini slero de lla dift:sa. Stato rnaggim·e de ll'esercito. Uffic io storico. /,e opt!ra· zioni delle unità italiane nel se ltembre-ottobre 1943. Tipografia Regionale, Roma, 1975, pg.
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Ibide m pg. 679. Ibidem, da pg. 52 a pg. 56 e pgg. 59 e 60. 17 Gerolamo Ramorino (1792-1849), generale. Entrato nell'esercito fran cese, partecipò nel 1809 a ll a campagna d'Austria, nel 1812 a quella di Russia e fu ufficiale di ordinanza di Napoleone I nei cento giomi. Agli ordini di Santorre di Santarosa comandò nel 1821 un nucleo degli insorti costituzionalisti. Fu a fianco dei ribelli polacchi a ntizaristi nel 1830-31. Nel 1834 fu a capo della spedizione mazziniana in Savoia. All'indomani dell'armistizio di Salasco (8 agosto 1848) l'esercito del regno di Sardegna accettò le sue offerte di collaborazione e<l il Rumorino alla lesla della s• divi:;io ne ebbe la responsabilità di impedii-e, alla ripresa delle ostilità nel 1849, la penetrazione in Piemonte degli austro-ungarici ..Attrave r sato il Ticino nel suo basso corso, non si attenne agli ordini e, intendendo prevenire un ipotetico tentativo nemico di passare il Po in corrispondenza di Voghera, spostò il grosso d elle sue forze. TI nemico riuscì così ad incunearsi nel settore di Pavia che la sa divisione a vrebbe dovuto difendere. Non fu questa l'unica causa della sconfitta, ma fu una buona occasione per trovare almeno un capro espiatorio sul quale scaricare le maggiori responsabilità della catastrofe. Giudicato da un consiglio di guerra e ritenuto colpevole d'in subordinazione di fronte a l nemico, fu condannato a morte e fucilato. 18 Carlo Péllion Conte di Persano {1806-1883), ammiraglio. Entrato nella marina militare sarda nel 1821, nel 1860 fu inviato al comando di una squadra navale a sorvegliare la spedizione di Garibaldi in Sicilia. Successivamente appoggiò dal mare le operazioni del Garigliano, l'assedio di Ancona (1860) e di Gaeta (1861). Fu deputato di La Spezia d al 1860 al 1865, ministro della marina nel governo Rattazzi {1862) e senatore dal 1865. Durante la terza gue1Ta d'indipendenza fu nominato comandante supremo 15
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della flotta. Fautore di una strategia difensiva per sfiducia nella prepara:done della marina, fu spinto a ll 'azione dal La Marmora e da l Dc Pretis che, dopo la sconfitta di Custoza, erano alla ricerca di un successo militare. Fu sconfitto a Lissa a causa di suoi errori e di quelli dei suoi suba lterni. Fu sottoposto a l giudizio del Senato, costituitosi in alta corte di giustizia (l867), e, ritenuto colpevole di inettitudine, fu degradato. 19 Ministero della d ifesa. Stato maggiore dell 'esercito. Ufficio Storico. Il I raggruppamento motorizzato italianu(I943-1944). Tipografia Regionale, Roma, 1949, pg. 8 e a llegato n. 1, pg. 135. 20 Ibidem, pg. 16 e a llegato n. IO, pg. 145. 2 1 Ibidem, pg. 10. 2 2 Ibidem, allegato n . 2, pgg. 135- 136. 23 Chiodo Agostino (1791-1861), genera le. Allievo nella scuola politecnica di Francia nel 1810, sottotenente del genio dell'esercito francese nel 1812, prigioniero a Dresda nel 1813, passò nell'esercito d el regno di Sardegna nel 181 5, e dal 1822 al 1826 insegnò geometria descrittiva e fortificazione all'accademia militare. Comandante in capo del corpo reale del genio nel 1838 e maggiore generale nel 1839 fu comandante superiore de l genio durante la campagna d e l l848. Promosso luogotenente generale per essersi distinto nell'assedio di Peschiera, fu incaricato del le funzioni di capo di stato maggiore dell 'esercito. Nel mini stero Gioberti tenne il portafoglio della guerra dal 9 febbraio al 27 man.o 1849, e per l'ultimo mese cli tale periodo fu anche presidente del consiglio. Nel 1848 era s tato nominato senatore. Rafforzò la fortificazione di Genova e progettò la costruzione dell'arsenale marittimo di La Spe1.ia. 24 Berardi Paolo (1885-1953), generale di corpo d'armata. Sottotenente di artiglieria nel 1906, partecipò da tenente alla gue r rn italo-turca del 1911-12. Durante la guerra 1915- IR comandò la batteria ed il gruppo. Frequentò negli anni 1920-21 i corsi della scuola di Torino e successivamente tenne a lungo, a varie riprese, i comandi di truppe inerenti ai gradi da maggiore a colonnello. Trasferito nel corpo di stato maggiore vi ricoprì importanti e delicati incarichi, t ra cui quello di sottocapo di stato maggiore della 1 • armata e di capo dell'ufficio ordinamento e mobilitazione del comando del corpo di stato maggiore. Da generale di brigata comandò l'artiglieria di corpo d 'armata e successivamente la guardia alla frontiera del I corpo d'armata. Allo scoppio della guerra 1940-43 fu assegnato al comando del raggruppamento alpino Varaita-Po. Da generale di divisione comandò la divisione Brennero durante le opcrnzioni sulla fronte grecoalbanese e la divisione Sassari nelle operazio ni in Balcania. Fu anche capo di s tato maggiore della 7a a rmata. Nel grado di generale di corpo d'a rmata comandò il XXI corpo in Tunisia. Rientralo dalla prigionia di guerra dopo l'arm is tizio dell '8 settembre 1943, venne nominato nel novembre successivo capo di stato maggiore dell'esercito (1943-1945) e come ta le contribui a ll a rinascita dell'esercito e, in particolare, alla costituzione del Corpo Ital iano di Liberazione (C.I.L.) e de i gruppi di combattimento. Dal 1945 al 1948 ricoprì dapprima la carica di comandante militare territoriale di Palermo e successivamente fece parte di commissioni di studio presso il ministero e lo stato maggiore. 25 Ministero della difesa . Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio Storico. Le operazioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943. Op. cit., pgg. 48-49. 26 Denominazione usata in riferimento a ll'arrivo in Italia (27 maggio l944) dall'Unione Sovietica di Palmiro Togliatti cd a lle implicazioni originate dalle scelte politiche del «leader • comunista che pose, prima della questione istituzionale, quella della liberazio ne dell'Italia dai tedeschi. Il compromesso sbloccò la fase di stallo in cui si trovavano i sci partiti del C.L.N.; esso tuttavia non fu ben accetto ad alcuni uomini politici della res istenza. contrari a l governo del maresciallo Badoglio ed alla monarchia.
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27 Karl Wolff (1900-1984), generale tedesco. Ufficiale delle SS e collaboratore di Himmler, nell 'estate del 1943 assunse il comando de lle SS e de lle fo,-i:e di polizia tedesche in Italia per controllare l'ordine de lle ret rovie e il gove rno di Salò e per d irigere la lotta antipartigiana. Il 29 apr ile 1945 firmò la resa delle forze tedesche in Italia insieme al generale Vietinghoff. Nel 1962 fu condanna to a 15 a nni di prigione per aver partecipato attivamente alla lotta contro gli ebrei. 28 Il 4 novembre 1943 vennero convocati a Verona per un congresso i delegali delle organizza zioni del partito fasc is ta repubblicano; in tale congresso venne approvato un manifesto politico conclus ivo, articolato in 18 punti, che s tabiliva tra l'altro: la convocazione di un'assemblea costituente per la d ichiarazio ne dell a decadenza della monarchia e la proclamazione della repubblica sociale; la nomina del capo dello Stato ogni cinque anni da pa rte dei cittadini; l'indipendenza della magistratura; il sistema misw per il meccanismo elettorale; la non obbligatorietà dell 'iscrizione al partito per gli impiegati de llo Stato; il non rico noscimento di c ittadina nza agli a ppartenent i a lla razza ebraica; la rea lizzazione di una «comunità e uropea» con la federaz io ne di lutte le nazioni che avessero accettato l'eliminazione degli intrighi britannici dal continente; l'aboli zione del sistema capi ta lis tico interno e la lotta contro le plutocrazie mondiali; la valorizzazione, a beneficio dei popoli europei e di que lli a utocto ni, delle risorse naturali de ll'Africa, nel rispetto assoluto d i que i popoli, in s pecie mussul mani , che, come l'Egitto, erano più c ivi lmente e nazionalmente o rganizzati; la messa a fond :1 m <"11to della repubblica de l lavoro manuale, tecnico e intelle ttuale con la garanzia da pa rte dello Sta to de lla proprietà privata, frutt o del lavoro e del risparm io individua le, integrazione della personalità u mana; la creazione della co nfede razione generale <lei lavoro; il mantenimento della ~Carta del lavorn• ; la socializzazione de lle fabbriche, e1.:c. . 29 Fredcr ick William Deakin. Storia della repuhh/ica di Salò. Giul io Einaudi, Torino, 1963, 2 • edizione , pg. 726. 30 Ibidem, pg. 590. 31 Ibidem, pgg. 707 e 708. 32 Ministero de lla difesa. S.M.E .-Ufficio Storico. Le operazioni delle u nitcì italiane nel settembre-ottobre 1943. Op. cit. , pg. 638. 33 Tali partiti furono gli stessi dell 'opposizione del 1924: il partito comunista (che non aveva pe rò aderi to a ll'Aventino); il partito socialista; la democrazia cristia na, e rede del partito popola re italiano; il par tito liberale, espressio ne dei gruppi differenziatisi da quelli della collaborazione o dcll "attcsa ; il nuovo partilo d'azio11è formatosi nella lotta clandestina a Firenze; il partito de lla de mocrazia del lavoro, costituitosi con elemcnt.i della vecchia democrazia liberale attorno a ll'o n. Ivanoe Bonomi; e, con funzioni e rappresentanze più limitate, il partito repu bblicano italiano riallaccian tesi ai repubblicani storici. Altri gruppi po lit ici furono: la sini st ra cristiana, il movimento cris tiano-sociale, il partito socialista inte rnaziona le, il partito anarchico libe rta rio, il partito riformista italiano. 34 llenrj Maitla nd Wilsvn (1881-1 954), maresciallo brita nnico. Durante il secondo conflitto mondiale tenne il comando de lle forze inglesi in Egitto nel 1940-41 e poi del corpo di spedizione in Grecia nella primavera del 1941. Comandante in capo delle forze britanniche nel Medio Orien te nel 1943, aJla fi ne dell 'anno s uccedette ad Eisenhower nel comando supremo delle fori:e a lleate nel Mediterraneo. Lasciò l'incarico a lla fine del 1944 per assumere la res ponsabilità de lla missione militare britannica presso gli stati maggiori unificati di Washington che tenne fino al 1947. 35 Raffaele Cu.do rna (1889-1973), generale di corpo d'armata . Ufficiale di cavalleria, partecipò alla guerra italo-turca ed alla I • guerra mondiale. Frequentò la scuola di guerra e, nel 0
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dopoguerra, svolse incarichi di stato maggiore sia in Jtalia che all'estero. Da colonnello comandò il «Savoia Cavalleria» e, successivamente, la scuola di applicazione di cavalleria. Nel 1943, facente le funzioni di comandante della divisione corazzala «Ariete » ebbe parte attiva nella difesa di Roma. Dal 1944 al 1945 assunse il comando d el corpo volontari della libertà. Promosso generale di divisione e, successivamente, di corpo d'armata, fu nominalo capo di stato maggiore dell'esercito nel maggio del 1945, carica dalla quale si dimise nel 1947, continuando, peraltro, com e pa rlamentare a svolgere attività a favore delle forze armate. 36 Vds. Voi. II, Tomo 2°, Cap. XXXVI, nota l4ter.
CAPITOLO
XLIII
LA CAMPAGNA D'ITALIA
1. L'inserimento dell'esercito italiano nella campagna degli alleati in Italia. 2. La campanga degli alleati. 3. La campagna dei tedeschi.
1.
Il governo del maresciallo Badoglio e il Comando Supremo italiano fecero del tutto - occorre darne atto - una volta a Brindisi, per ottenere il consenso alla partecipazione delle forze armate italiane alle operazioni militari alleate contro i tedeschi; il generale Eisenhower ed il maresciallo Alexander, da parte loro, neppure dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia alla Germania (atto preventivo necessario moralmente e giuridicamente), ora promettendo senza mantenere, ora opponendo veti, rifiuti e limitazioni, ostacolarono e ritardarono l'entrata di unità italiane in linea e successivamente razionarono numericamente e qualitativamente il loro impiego in misura da contenerlo entro dimensioni ristrette ed a livelli di unità inferiori a quello divisionale. L'atteggiamento ed il comportamento delle autorità militari inglesi e statunitensi - specialmente delle prime, più manifestamente ostili - non scoraggiò il maresciallo Badoglio e i generali Ambrosio e Roatta nella condotta di una vera e propria lotta diplomatica per affermare il diritto dell'Italia a non restare passiva spettatrice della liberazione del suo territorio 1. Malgrado le continue prove di sfiducia degli alleati, le autorità italiane di governo e militari, in mezzo a difficoltà e pastoie di ogni genere, non arrestarono frattanto, quasi clandestinamente, il lavoro di riorganizzazione organica e di preparazione 2 ma, nonostante la disponibilità di circa mezzo milione di uomini alle armi nel mezzogiorno e nelle isole, con i quali si sarebbero potute costituire più grandi unità, cui se ne sarebbero potute sommare parecchie altre se gli alleati avessero consentito l 'impiego a tale fine dei prigionieri italiani nelle loro mani, dovettero inizialmente limitarsi a far partecipare alla lotta contro i tedeschi soltanto un raggruppamento motorizzato. Constatato che per due mesi
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ogn i tentativo d'indurre il generale Eisenhower ed il maresciallo Alexander ad accettare una collaborazione maggiore era andato fallito, il generale Ambrosia il 31 ottobre rappresentò a l maresciallo Badoglio la necessità, per restare nella realtà, di mettere da parte decisamente ogni relazione tra il nostro contributo bellico ed il trattamento che ci sarebbe stato riservato a fine guerra, sostituendovi il concetto della collaborazione disinteressata, basata unicamente su concetti morali e su concetti di diritto; affermare decis amente il nostro diritto o dovere di combattere per liberare il nostro Paese, senza far dipendere la nostra collaborazione operativa dagli aiuti anglo-americani e tanto meno da compens i futuri ... Il nostro diritto a combattere ..... è basato sui fatti sèguenti: sarebbe illogico ed antipolitico che da parte degli anglo-americani (fau tori della libertà e del diritto) si impedisse agli italiani di collaborare alla redenzione del loro Paese, quando nel campo opposto si sollecitano in tutti i modi gli italiani a ricostituire un esercito da far collaborare attivamente coll'oppressore tedesco; assurdo ostacolare gli italiani del territorio libero nell 'ese rcitare un 'a llività bellica che viene poi esaltata ed additala ad esempio dagli alleati pe r i reparti e i civili italiani tuttora in azione contro i germanici nei territori occupati; assurdo imporre alle tm.ppe regolari di rimanere con le armi al piede quando si accettano volontari (Pavone, ecc.) per combattere nelle file degli alleati. Si tratta di questione fondamen tale... Questione quindi di Governo, che ritengo sarebbe opportuno fosse t rattata al più presto, all'infuori delle Missioni o Comandi alleati locali, con chi possa decidere 3. La lettera del generale Ambrosia faceva seguito al promemoria del 17 ottobre della miss ione militare alleata 4 ed alla comunic azione de l 28 ottobre del generale Umbe rto Utili, capo della missione italiana di collegamento con il com a ndo del XV gruppo armate alleate s, dai quali si rilevava c he: per il momento era previsto soltanto l 'impiego del raggruppamento motori zzato; veniva declinata dagli a lleati l'offerta di un battaglione arditi; era escluso qualunque trasporto di t ruppe e m ezzi dalla Sardegna; gli a lleati non erano interessati alle un ità costiere italiane; a N apoli non erano necessarie altre forze italiane pe r cui non esisteva il bisogno di farvi a ffluire il resto della divisione Mantova. Anche il generale Castellano, capo della missione militare ita lia na presso il com ando in ca po delle forze a lleate in Algeri, con una su a comunicazione del 30 ottobre 6, avava riferito in termini analoghi circa l'impiego di unità ita liane in oper azioni belliche, l'utili zzazione dei prigionie ri, le unità da t rasferire da lla Sardegna e l'impiego de lla divisione Nembo, suggerendo di procedere per gradi e di chiedere agli alleati il m eno possibile di mezzi nella considerazione che
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il generale Eisenhower, mercé i buoni uffici del generale Bedell Smith, che ci è sicuramente e sinceramente amico, aveva finalmente aderito alla costituzione di una divisione da montagna (oltre il raggruppamento motorizzato) da poter impiegare prima della fine dell'anno 1943. La nuova politica suggerita dal generale Ambrosio nella sua lettera del 31 ottobre al maresciallo Badoglio non ebbe lo sviluppo auspicato, né avrebbe potuto averlo, poiché, a parte l'ostilità dei capi politici e militari alleati, l'Italia non era in grado di prescindere, nell 'approntamento di grandi unità combattenti, dagli aiuti materiali degli angloamericani. Il nuovo capo di stato maggiore generale, maresciallo Giovanni Messe, che il 18 novembre sostituì il generale Ambrosio - lo stesso giorno anche il generale Roatta venne sostituito nella carica di capo di stato maggiore dell'esercito dal generale Paolo Berardi pur insistendo sulla volontà italiana di una collaborazione attiva, schietta e completa con le forze operanti anglo americane, accettò per il momento i limiti imposti a tale collaborazione dal promemoria del 1 ° ottobre della missione militare alleata: raggruppamento motorizzato ed eventualmente la divisione da montagna Legnano come truppe combattenti; dieci divisioni per la difesa delle grandi isole e la sicurezza interna e delle linee di comunicazione fino all'allineamento Pisa-Rimini; impiego su vasta scala di unità italiane per la difesa contrae rei, costiera e per i servizi vari. Nel prospettare al capo della missione alleata di controllo le questioni fondamentali da risolvere peÌ·ché l'Italia potesse fornire una collaborazione efficace e completa, da allargare successivamente nella sua entità, il maresciallo Messe richiese la disponibilità di tutto il materiale comunque di proprietà delle forze armate italiane esistente nel territorio già liberato, la cessazione della cessione di tale mate riale alle forze a lleate, la restituzione all'esercito italiano degli ingenti quantitativi di materiale di ogni genere (armi, quadrupedi, automezzi) dovuti lasciare in Corsica alle truppe frances i e il concorso diretto, in limiti ris tretti, di armi e mezzi alleati per potenziare le unità già di previsto impiego in combattimento, al fine di renderle moralmente e materialmente efficienti poiché non vi è nulla che più scoraggi gli uomini quanto il vedersi sprovvisti di ciò che è strettamente necessario per vivere e combattere 7. Sulla base di tale impostazione, il 20 dicembre, dopo che il raggruppamento motorizzato aveva offerto ottima prova di sé nei combattimenti di monte Lungo, venne tenuta una riunione in S. Spirito (Bari), presso la sede del XV gruppo armate anglo-americane, alla quale parteciparono da parte italiana i marescialli Badoglio e Messe e da parte alleata il generale Eisenhower, Alexander ed altri 8 , al fine di meglio
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chiarire i rispettivi punti di vista e di ribadire, come punto di base italiano, una più ampia partecipazione{...] alle operazioni avvenire. Nella riunione il generale Eisenhower ed il suo capo di stato maggiore, generale Bedell Smith, parvero animati da una comprensione maggiore di quella dimostrata in passato, m entre il generale Alexander si associò meno entusiasticamente alle conclusioni degli americani. Queste si concretarono nell'accettazione della più ampia partecipazione italiana alle operazioni, subordinata però al superamento della crisi alleata nei trasporti via mare che non consentiva di mettere le unità italiane in ordine come armamento ed equipaggiamento, ed alla precedenza, che gli alleati ritenevano si dovesse dare, ai bisogni della popolazione civile, specialmente in materia di alimentazione. In sede di precisazione venne stabililo c he: le truppe combattenti italiane avrebbero avuto armamento ed equipaggiamento non inferiore a quelli degli anglo-americani; le truppe italiane di occupazione sarebbero state armate ed equipaggiate con mezzi italiani mentre al vestiario avrebbero concorso gli anglo-ameri cani ; il vestiario per le truppe ausiliarie sarebbe stato fornito dagli anglo americani neUa misura necessaria a completare il fabbisogno (specialemente di scarpe); la divisione Legnano ed un battaglione arditi sarebbero stati al più presto approntati sotto tutti gli aspetti; il I raggruppamento motorizzato sarebbe stato mantenuto a numero ed in efficienza; sarebbe stata garantita la libera disponibilità alla parte italiana del vestiario ed equipaggiamento esistente nella penisola; il .nateriale esistente in Sardegna ed in Corsica, anche questò pienamente disponibile, sarebbe stato trasferito in ita]ia, ma sulla base dei risultati dello studio circa i trasporti, anco ra in difficoltà; sarebbe stata altresì studiata la questione dell'armamento in modo di soddisfare sia le necessità dei partigiani jugoslavi sia quelle, rappresentate dalla parte italiana, riguadanti l'armamento delle divisioni di occupazione, destinando un generale alleato presso il Comando Supremo italiano proprio per trattare le questioni dell'armamento e dell'equipaggiamento; sarebbe infine stato fatto tutto il possibile per facilitare il rientro in Patria dei prigionieri italiani già richiesti e di quelli che lo sarebbero stati in avvenire 9. La situazione politica, strategica e tecnico-militare generale degli alleati nell'autunno del 1943 poneva di per sé ostacoli e difficoltà obiettivi all'accoglimento delle offerte di collaborazione italiana, ma a monte vi era l'opposizione politica ad ogni forma di concorso che potesse dar luogo a richieste di alleggerimento delle clausole dell'armistizio lungo o di compensi. Non fu una politica intelligente e lungimirante, così come non lo era stata quella della resa senza condizioni.
t:AP. XLIII· LA CAMPAGNA D'ITALIA
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Non è verosimile che l'opposizione dipendesse dalla sfiducia verso la capacità e lo spirito combattivo delle forze armate italiane. Dopo i combattimenti di monte Lungo, che avevano meritato l'elogio alleato, tale r~mora sarebbe dovuta cadere, mentre invece gli anglo-americani attuarono, e non modificarono sostanzialmente, la loro linea di condotta preconcetta. Occorse ancora molto tempo prima che gli alleati autorizzassero l'impiego di più consistenti unità combattenti italiane sulla linea del fuoco. Essi, inoltre, fino al termine della guerra non accettarono mai la costituzione di un'armata o quanto meno di un comando di corpo d 'armata italiani. Irrigiditisi preconcettualmente sulla questione dell'entità della partecipazione italiana, i comandi alleati persero di vista l'interesse comune italo-alleato di affrettare la liberazione dell'Italia - la quale sarebbe stata certamente più rapida qualora la partecipazione italiana fosse stata più consistente - e dovettero subire la grande manovra di logoramento che i tedeschi imposero loro. La guerra in Italia avrà così fine più per la situazione s trategico militare creatasi sulle fronti occid enta le e orientale, che non per i successi delle operazioni locali sulla fronte meridionale (Italia). È indubbio che da parte italiana vi furono fin dall'inizio chiarezza di visione e fermezza <li posizioni, tenacia di propositi e sincerità di intendimenti. Si debbono peraltro ripetere le riserve sulla opportunità e convenienza di aver mantenuto dopo 1'8 settembre per 70 giorni , nelle cariche di capo di stato maggiore generale e di capo di stato maggiore dell'esercito, i generali Ambrosia e Roatta e non si può non restare perplessi circa le illusion~che i due si fecero nello stabilire i primi contatti con i comandi alleati a riguardo della partecipazione attiva italiana alla guerra contro i tedeschi, ma non si può non riconoscere che entrambi non difettarono nella circostanza di buona volontà nell'accingersi al compito di riorganizzazione e di ristrutturazione dell'esercito di campagna. La loro sostituzione con il maresciallo Messe e con il generale Berardi - evento troppo a lungo ritardato - facilitò le intese con gli anglo-americani, ma non segnò un avvicinamento dei due rispettivi punti di vista che permasero discosti: tendenza italiana ad accrescere l'apporto di unità combattenti, tendenza anglo-americana a contenerlo entro limiti angusti. Il prevalere di questa ultima fu di grave nocumento all'esercito italiano, in quanto gli impedì di emergere quanto avrebbe potuto e quanto gli sarebbe stato necessario per rifarsi sul piano morale, non già della sconfitta s ubita ad opera degli anglo-americani - che non poteva essere messa in discussione sotto nessun aspetto -, ma della disfatta dell'8 settembre, giacché era questa a scottare assai di più sia dal punto di vista morale e politico sia da quello tecnico-militare. Ma era
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proprio quanto gli anglo-americani non volevano, sia per un malaccorto calcolo dei loro interessi , s ia per non entrare in contrasto con i sovietici. Fu così che l'Italia, nonostante l'apporto assai rilevante offerto e dato alla causa delle Nazioni Unite in tutti i settori ed in tutte le circostanze - dai combattimenti dell'autunno contro i tedeschi nei vari scacchieri e settori operativi alla resistenza passiva degli internati militari, dalla lotta partigiana del corpo volontari della libertà alla partecipazione delle unità combattenti alla guerra di liberazione - rimase negli intendimenti e ne i comportamenti degli alleati una nazione vinta, da punire per il suo passato remoto più che da apprezzare per la sua nuova volontà di contribuire concretamente, nella misura più larga possibile, anche in prima linea, allo sforzo bellico comune. E sarà questo lo spirito con il quale gli alleati, nonostante l'apporto italiano, da loro stessi riconosc iuto, alla vittoria finale, presenteranno il trattato di pace che il rappresentante italiano firmerà a Parigi il 10 febbraio 1947, in forza de l quale l'Italia: cederà alla Jugoslavia parte della Venezia Giulia, Za ra l.: le isole dell'Adriatico, a lla Francia Briga e Tenda, alla Grecia il Dodecaneso; accetterà la creazione dello Stato del territorio libero di Trieste; rinuncierà alle antiche colonie ed agli acquisti compiuti durante il fascismo; s'impegnerà a pagare le indennità di guerra a i vincitrn-i, a smilitarizzare parte del proprio territorio ed a limitare i propri armamenti; conse rverà tuttavia sostanzialmente, non senza qualche dolorosa mutilazione, la sua integrità etni<.:oterritoriale. Può darsi che, anche senza la disfatta dell'8 settembre, le condizioni di pace sarebbero state le stesse e, comunque, non molto .più favorevoli, ma non si può non ipotizzare un trattamento meno duro nel caso che le forze armate avessero retto a ll'urto tedesco. Ciò non vuol dire, ben s'intenda, che la riscossa, la resistenza e la partecipazione alla guerra di liberazione siano state vane. La lotta contro i tedeschi ed i fascisti ebbe un profondo, inalienabile e sostanziale significato di portata nazionale che non può essere misurato con il metro dei guadagni materiali, ma con quello assai più prezioso e fondamentale dell'arricchimento spirituale del patrimonio culturale, politico e sociale della nazione. Senza la lotta ai tedeschi ed ai fascisti l'italia non sarebbe stata solo una nazione vinta , ma sarebbe rimasta an che una nazione allo sfascio, senza un proprio solido punto di riferimento, dal quale rimettersi con sicurezza in cammino. La resistenza e la partecipazione attiva a lla guerra di liberazione non fu rono atti per ottenere la benevolenza degli alleati, che non vi fu, ma in primo luogo per riconquistare agli italiani, che lì avevano smarriti, i valori perenni di libertà e di giustizia, senza i qual i possono anche vivere gli Stati, ma non le nazioni
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civili anelanti, nell a gelosa conservazione della loro identità spirituale e territoriale, al progresso politico, sociale, economico, culturale e morale. Se privi di significato a ppaiono i tentativi d'includere l'Italia tra le potenze vittoriose della seconda guerra m o ndiale, non meno vuoti di ogni senso morale e storico sono le tesi di quanti negano e cercano di ridurre il valore della resistenza e d ella partecipazione alla guerra di liberazione sulla base di considerazioni di carattere opportunistico, di quelle cioè che si prefiggono solo ciò che è materialmente utile. Che della resistenza e della partecipazione alla guerra di liberazione s iano sLati fatti successivamente usi s tr·umentali è incontestabile, m a , indipendentem e nte dalle interpretazioni di parte che ne possano essere state date, esse ebbero nel m omento, e conservano tuttora, il peso e la purezza di un movimento ideale di carattere nazionale spon taneo e pressoché unanime o quanto m eno maggioritario, ancorché molti cittadini non vi abbiano attivamente partecipato. Sebbene convinti e solerti fautori della riscossa nazionale e della ricostituzione delle forze armate ed attivi sostenitori della partecipazione di queste alla guerra di liberazione, i generali Ambrosio e Roatta, nonché gli altri capi militari responsabili più o meno direttamente della disfatta, non erano senza dubbio i capi più indicati davanti ai quadri, ai soldati ed a lla intera n azione pe r suscitare la volontà di ripresa. Essi ris ultavano oramai agli occhi della grandissima maggioranza degli appartenenti alle forze armale privi di ogni prestigio e di ogni a utorità morale. Il loro allontanamento dalle cariche che ricoprivano era un 'esigenza che invano il re ed il marescia llo Badoglio, nel timore di un personale coinvolgime nto, tentarono per oltre due mesi di eludere. Ma se la questione monarchica e del governo poteva essere differita a tempi meno perigliosi, e comunque la soluzione dipendeva in quel mom ento principalmente dagli a llea ti, quella d ei vertici militari avrebbe potuto e dovuto essere liquidata rapidamente. Quando finalme nte il 18 novembre venne d ecretata la sostituzione dei generali Ambrosio e Roatta, il provvedimento, sebbene variamente interpretato, riscosse il favore generale dell'opinione pubblica e ad esso furono favorevoli anche i comandi alleati che ne percepirono le induzioni positive sul morale delle forze armate italiane. Il generale Ambrosio, che era stato uno dei principali a rtefici della de fe nestrazione di Musso] in i e d el rovesciamento del regime fascista, aveva dimostrato successivamente scarsa intelligenza politica e diplom atica e non era stato all'altezza della sua carica, né nell'impostare e condurre le trattative con g li alleati, né nel pre disporre accorte ed efficaci contromisure preventive alla certa reazione tedesca alla notizia de ll 'arm istizio.
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Schizza n. 1 - Le operazioni militari m Italia (10 luglio 1943-8 aprile 1945)
LINEA INVERNALE (9ERNARD1 ----
MARGINE ANTER. POSIZ. DfLLA•LINEA GOTICA.•
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L'8 settembre - che l'avesse fatto su invito del re o del governo oppure di iniziativa, particolari allora del tutto ignoti alla pubblica opinione - egli aveva lasciato senza guida i comandi delle grandi unità operanti nei territori occupati e nell'Egeo e si era trasferito a Brindisi senza preoccuparsi di garantire in qualche modo la continuJtà dell'azione di comando. Lo stesso aveva fatto il generale Roatta nei riguardi delle grandi unità operanti nel territorio nazionale ed in Corsica. La posizione dei due era insostenibile. Di più, il generale Ambrosio non era, prima di assumere la carica di capo di stato maggiore generale, alla quale era stato chiamato da Mussolini su segnalazione di alcuni gerachi fascisti, molto conosciuto e tra le figure più prestigiose dell'esercito, diversamente dal generale Roatta, maggiormente noto e più popolare per la sua partecipazione alla guerra civile di Spagna. Le loro benemerenze passate non potevano comunque servire da scudo protettivo e da copertura delle loro deficienze caratteriali e professionali manifestate dopo il 25 luglio. Nessuno dei due, né gli altri, avevano dcliberatamertte tradito - questa è la nostra convinzione personale e nessuno è in grado, se non mediante illazioni, di dimostrare il contrario - ma avevano operato con estrema s uperficialità e leggerezza, si erano lasciati vincere dalla paura dei tedeschi, non avevano fatto nulla per evitare che si pensasse ad un tradimento, vale a dire ad un loro tacito accordo con i tedeschi. Avevano dato prove di somma inettitudine.
2. La campagna degli anglo-americani in Italia fu deludente sotto tutti gli aspetti. Discorde nei fini - ricerca di un successo di grandi proporzioni da parte inglese; perseguimento di obiettivi subordinati all'impegno prioritario dell'Overlord (sbarco in Normandia) da pa rte americana - essa conseguì risultati modesti, pagati ad un prezzo sproporzionato. Viziata all'inizio dalla scelta sbagliata delle località degli sbarchi - punta estrema della Calabria e spiaggia di Salerno - e dalla mancata realizzazione della sorpresa, la campagna fu lenta, frammentaria e indecisa. Ostacolata dalle asperità del terreno, favorevole alla difesa, e spesso anche dall'inclemenza metereologica - dalle quali i comandanti alleati sembrarono essere stati colti di sorpresa - fu condotta, fino alla fine, quasi secondo gli schemi tradizionali delle offensive della prima guerra mondiale, esasperati da una metodicità ancora più accentuata, del tutto lontana dalla ricerca di un rapido sbocco
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strategico. Con la loro insistenza nel sottolineare la necessità di consolidare ogni progresso e di stabilire una solida base prima di procedere oltre, con la loro costante preoccupazione di non attaccare prima di avere ammassato in prima linea forze e rifornimenti in grande quantità, i comandanti alleati si lasciarono sfuggire, l'una dopo l'altra, numerose occasioni favorevoli per accelerare l'avanzata. Ogni volta, per timore di avere troppo poco essi finirono con l'arrivare troppo tardi IO. Qualora gli alleati si fossero dati meno pensiero della reazione aerea tedesca - che, stante il numero di velivoli operativi nel teatro del Mediterraneo, non avrebbe potuto incidere decisivamenle sull'andamento delle operazioni-, non avessero conferito valore di dogma al principio di non tentare sbarchi su di una costa controllata dal nemico al di fuori della zona di copertura della caccia (290 km), non avessero insistito nella fisima della resa incondizionata e non avessero scelto la Calabria (anziché le Puglie) e Salerno (anziché una zona più settentrionale) per i loro sbarchi, il risultato stralegico di questi ultimi sarebbe stato ben diverso. Sia il maresciallo Kesse lring che il suo capo di stato maggiore, generale Westphal, ammisero che uno sbarco congiunto dal mare e dal ciclo a nord di Roma avrebbe provocato la caduta della cillà nel girn <li sellanladue ore ed avrebbe consenlilo agli alleati di interrompere i rifornimenti alla 10a armata del generale Vietinghoff 11 . Anziché tre giorni gli a lleati in piegarono otto mes i. La perdita della 10 3 armata avrebbe costretto Hitler o a rinunziare a difendersi in Italia o, secondo il suo intendimento iniziale, a limitarsi a proteggere il fianco meridionale del suo schieramento strategico in corrispondenza della linea gotica. Unico risultato positivo della campagna nella penisola italiana - benché da alcuni contestato fu il concorso indiretto offerto all'operazione Overlord mediante l'impegno di 22 divisioni (nominali) tedesche che qualora fossero state disponibili in Normandia avrebbero consentito ai tedeschi il rafforzamento di quelle difese, ma forse i hombardamenti di interdizione dell'aviazione alleata sulla rete fe rroviaria tedesca non avrebbero consentito il trasferimento di ingenti forze in Normandia 12. D'altra parte, nei primi cinque mesi del 1944, i tedeschi riuscirono egualmente ad aumentare la consistenza delle loro forze nella Francia settentrionale, a nord dell a Loira, e nei Paesi Bassi, da 35 a 41 divisioni. A nostro giudizio la campagna d'Italia un certo apporto alla Overlord lo diede, ma non era questo il risultato principale e prioritario che gli a lleati s i erano ripromessi: essa era s tata iniziata con la prospettiva di una rapida conquista di Roma e di una successiva rapida avanzata s ino a lla linea Pisa-Rimini. Prima di raggiungere Roma passarono 275
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giorni e prima di arrivare alla linea Pisa-Rimini ne trascorsero altri 80. Giustamente il Liddel Hart annota che gli alleati non avrebbero ingaggiato la campagna, impiegandovi 30 divisioni (reali), solo per alleggerire le difese tedesche della Manica e per dimostrare ai sovietici la buona volontà di concorrere in qualche modo ai loro sforzi offensivi. Se così fosse stato, si dovrebbe dedurre che i comandanti alleati tenessero in poco conto le vite dei loro soldati,mentre fu vero il contrario, tanto che fu proprio la loro parsimonia nello spendere vite umane a ritardare l'inizio delle offensive fino a quando non erano preventivamenLe assicurate le condizioni di massima sicurezza e di minima vulnerabilità dei loro dispositivi. Gli scacchi, come li qualifica il Liddel H art, subiti dagli alleati in Italia dipesero proprio anche dall'eccesso esasperato di prudenza, oltre che dall'insufficienza concettuale per la guerra su terreno montuoso, dalla modestia dell'utilizzazione del grande potenziale anfibio disponibile, dalla sottovalutazione della capacità difensiva e dell'abilità manovriera dei tedeschi e, soprattutto, dalla messa in non cale della manovra, quasi fosse un fattore secondario delle operazioni strategiche e tattiche. Degli insuccessi locali furono colpevoli singoli comandanti, ma dei grandi scacchi fu responsabile l'intera direzione strategico-militare della campagna e cioè i comandanti in capo delle forze alleate nel Mediterraneo (generale Eisenhower 13 fino alla fine del 1943; generale Wilson 14 fino quasi alla fine del 1944; generale Alcxander fino al termine della guerra), i comandanti del XV gruppo d 'armata (generale Alexander 15 fino al novembre 1944, generale Clark 16), e i comandanti dell'8a armata britannica (generale Montgomery 17 fino alla fine del 1943; generale Leese 18 fino a l giugno del 1944; generale Mc Creery 19 fino al termine della guerra) e della sa armata statunitense (generale Clark 20 fino al novembre 1944 e generale Truscott 21 fino al termine della guerra). La prima fase della campagna, dall'inizio delle operazioni Bayton e Ava/anche fino alla seconda m età de l gennaio 1944, fu caratterizzata dalla lenta avanzata d ell'8a armata britannica lungo la costa orientale della penisola e della sa armata s tatunitense lungo le direttrici di risalita occidentali. L'armata britannica, dopo l'occupazione <lei porti di Taranto, Brindisi e Bari, attese fino al 3 ottobre prima di a ttaccare la posizione difensiva intermedia imbastita dai tedeschi con 1300 uomini della malridotta, a ncorché agguerrita, 1a divisione paracadutisti, in corrispondenza del fiume Biferno. L'attacco del generale Montgomery - un'azione frontale ed un'azione aggiran te anfibia con sbarco sul rovescio della linea tedesca, a nord di Termoli
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- ebbe successo, nonostante il contrattacco della 16a divis ione corazzata tedesca che, sebbene giunta in ritardo, poco mancò non riuscisse ad interrompere l'asse delle comunicazioni tra le truppe inglesi avanzate ed il grosso dell'8a armata. Per attaccare successivamente la posizione intermedia del fiume Trigno (20 km a nord del Biferno) - dove i tedeschi brill a ntemente sganciatisi dal Biferno si erano portati - il generale Montgomery lasciò passare 2 settimane. L'attacco ebbe inizio la notte sul 22 ottobre, m a solo il giorno 27 il generale riuscì ad ampliare la testa di ponte affermatasi sulla r iva sinistra del fiume, quando cioè i tedeschi avevano ripiegato i loro grossi dal Trigno al Sangro (27 km più a nord). All'attacco di questa terza posizione il generale Mon tgomery s i decise dopo altri 18 giorni. Quest'ultima offensiva, iniziatasi il 20 novem b re, durò, sia pure intervallata da pause, fino al 28 dicemb re e si conclu s e con l'occup azione d a parte inglese della città di Ortona ( 16 km a nord del Sangro), a nord della quale frattanto i tedesch i avevano organizzato e sistemato l'a la sinistra del loro schieramento a prntczionc della sta ta le n. S (TiburtinaValeria) che, attraversando da est ad ovest gli Appennini, avrebbe consentito all'8a armata, qualora l 'avesse raggiunta , di minacciare alle spall e lo schieramento de ll e forze tedesche che bloccavano l'avanzata de lla sa armata statunitense. Meno lunga, ma non meno lenta, e comunque assai più sanguinosa, l'avanzata della sa armata da Salerno verso Napoli ed oltre, s ia lungo la fascia costiera, sia lungo le rotabili interne. La sa armata raggiunse Napoli il 1° ottobre, Benevento il 2 - 27-28 giorni dopo l'inizio dell'Avalanche - e solo il 12 ottobre sferrò l'attacco in forze contro la posizione intermedia del Vo lturno, sulla quale i tedeschi avevano schiera to 3 divisioni con il compito di resistervi fino al 16 novembre. Nonostante i successi ini ziali realizzati mediante la costituzione di teste di ponte sulla riva destra del fiume, le unità sta tunitensi non riuscirono a vincere la resiste nza dei tedeschi prima che questi cominciassero a ripiegare di loro iniziativa s ulla su ccessiva posizione, 25 km più a nord: una linea improvvisata che partendo dai pressi della foce del Garigliano si sviluppava poi attraverso il massiccio di impervie alture e che copriva la direttrice di avvicinamento, lungo la rotabile n. 6 e attraverso la stretta di Mignano, fino all'alto corso del Garigliano e alle vallate dei due suoi impo rtanti affl uenti, il Rapido e il Liri. Kesselring sperava di tenere ques ta linea, avente funzione di avampos to, finché non fossero s ta ti ultima ti i lavori di fortificazione di una linea accuratamente studiata in mo do da rendere possibile una difesa prolungata che si appoggiasse a i fiumi Garigliano
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e Rapido e fosse imperniata sulla strozzatura di Cassino. Questa posizione leggermente arretrata venne denominata linea Gustavo linea invernale 22_ Il primo attacco contro la linea del Garigliano sferrato il 5 novembre non ebbe successo; ripreso il 2 dicembre, consentì al X corpo d'armata inglese di conquistare il monte Camino ed al II corpo d'armata statunitense di affermarsi sui monti La Difensa e Maggiore, più bassi del monte Camino, ma più vicini alla statale n . 6 passante attraverso la stretta di Mignano. Il 7 dicembre il II ed il VI corpo statunitensi attaccarono su di una fronte più ampia, sperando di sloggiare il nemico dallo sperone montagnoso, ad est della statale n. 6, mediante un'avanzata in profondità su ambedue i versanti. Ma qui la resistenza tedesca si rivelò sempre più ostinata, e nel corso delle settimane seguenti gli attaccanti riuscirono a guadagnare soltanto pochi chilometri, avanzando metro dopo metro a prezzo di grandi sforzi 23_ Protrattasi fino alla metà di gennaio, ora più ora meno intensa, l'offensiva si esaurì quando la riva del Rapido e gli avamposti della Gustav erano ancora molto lontani. Eccezione fatta per l'azione su Termoli, la prima fase della campagna d 'Italia si concretò in una successione di attacchi frontali degli alleati contro le varie linee tedesche di arresto temporaneo, mantenute od abbandonate dai tedeschi quasi tutte a loro piacimento. Solamente in corrispondenza del crinale del Sangro i tedeschi, per il cedimento della 65a divisione, furono costretti a.ripiegare rapidamente fino al fiume Moro, 13 km al di là del Sangro. Senza dubbio concorsero a determinare la lentezza dell'avanzata le asperità del terreno, l'avversità atmosferiche, la mole dei lavori di demolizione ed interruttivi compiuti dai tedeschi, ma di converso gli alleati godettero del dominio del cielo e del mare e di una superiorità terrestre di 5 a l nella battaglia del Sangro e di 5 a 2 sulla fronte della sa armata statunitense. Il 2 dicembre gli americani scaraventarono 4 mila tonnellate di granate sulle posizioni tedesche e non meno generosa fu la copertura del fuoco aereo e di artiglieria a favore delle unità dell'8a armata britannica impegnate sul Sangro. Churchill non ebbe torto il 18 dicembre a definire scandaloso, in un telegramma inviato ai capi di stato maggiore inglesi, il ristagno delle operazioni sulla fronte italiana, benché non si rendesse conto che esso era provocato proprio dalla dottrina vigente negli eserciti alleati 24. Agli inizi del 1944 gli alleati, che avevano subito perdite pesanti 25 e che erano stati arrestati dai tedeschi molto lontano dagli obiettivi che si erano prefissi, decisero finalmente di avvalersi della loro
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grande potenzialità anfibia per tentare di scardinare da tergo la posizione della Gustav. Predisposero una grande offensiva da sferrare contro la fronte nemica ed una contemporanea operazione anfibia - Shingle - in corrispondenza del litorale Anzio-Nettuno. Il 20 gennaio la 5a armata avrebbe sviluppato: con il II corpo l'attacco al di là del Rapido e lungo la valle del Liri non appena il corpo francese, sulla destra del II corpo statunitense, ed il X corpo britannico avessero impegnato il XIV corpo d'armata tedesco; con il VI corpo avrebbe costituito una testa di sbarco ad Anzio non appena iniziatasi l'avanzala de l II corpo. Tale piano, elaborato dal generale Alexander e dal suo sta to maggiore, s'ispirava ad un'eccellenle concezione di manovra, ma esso incontrò nell'applicazione molte difficoltà dovute ai troppo corti ed affrettati tempi di preparazione, alle insufficienze di coordinamento ed alla tenacia e abilità della difesa, ottimisticamente sottovalutate da l generale Alexandcr. L'offensiva alleata dette inizio alla seconda fase dell a campagna, suddividibile in tre tempi: operazioni inve rna li comprendente la Shingle, operazione primaverile denominata Diadem , operazioni estivo-autunnali verso il nord Italia. L'inizio dell'offensiva ebbe luogo la notte fra il 17 e il 18 genn a io: il X co rpo riuscì a stabilire una solida testa di ponte ad oves t cJel Garigliano, ma non riuscì a raggiungere il Liri perché arrestato dall'eulrata in azione delle riserve tedesche; il corpo francese riuscì, verso la fine di gennaio, a conquistare il monte Belvedere, nel massiccio del monte Cairo, zona che domina la regione di Cassino; il II corpo, fra il 20 ed il 23 gennaio, nella prosecuzione dell'attacco al di là del Rapido, venne pesantemente battuto e i due suoi reggimenti di punta venne ro letteralmente annientati; il VI corpo riuscì a prendere terra di sorpresa e quasi senza incontrare resistenza ad Anzio il 22 gennaio, ma, sia per difetto di audacia da parte americana, sia per la rapidità e la decisione con le quali il maresciallo Kesselring 2 6 fece affluire in zona in 8 giorni elementi di 8 divisioni tedesche 27, dovette a rrestarsi e, in luogo di aiutare le forze impegnate contro la Gustav, ebbe bisogno che queste non desistessero dai loro sforzi al fine di alleggerire la pressione che i tedeschi esercitavano contro il triangolo della testa di sbarco. I tentativi alleati di spezzare la Gustav durarono per due mesi e si concretarono in tre battaglie - le tre b a ttaglie di Cassino - che s i conclusero in altrettanti insuccessi per gli a lleati e con gravi perdite per entrambe le parti. La prima - 24 gennaio-11 febbraio - condotta dal II corpo d'armata statunitense, con il sostegno del corpo francese, impegnò particolarmente la 34a divisione americana che, dopo alcuni successi locali, decimata ed esausta, fu costretta
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a ritirarsi dalla lotta. La seconda, iniziatasi il 15 febbraio con il bombardamento, tanto inutile quanto barbarico, dell'abbazia di Montecassino - i tedeschi che s i erano sempre astenuti dal prenderne possesso, ne utilizzarono poi le macerie come elementi fortificatori - fu sostenuta dal corpo neozelandese e, in particolare, dalla 4a divisione indiana che riuscì a impadronirsi di un terzo dell'abitato di Cassino, ma non fu in grado di andare oltre, anzi, conquistata la quota 593 a lungo contesa, dové abbandonarla in seguito alla reazione tedesca. Ciò accadde anche alla 2 a neozelandese che fu costretta da un contrattacco tedesco ad abbandonare la testa di ponte al di là del Rapido. La terza ebbe inizio con un grandioso bombardamento aereo e di artiglieria - 190 mila granate e 1000 tonnellate di bombe sulle posizioni tedesche - il 15 marzo e, per le perdite subite, venne sospesa il 23 marzo in quanto il corpo d'armata neozelandese, che aveva inizialmente atteso troppo a muoversi e che una volta giunto nell'abitato · non aveva potuto impiegarvi i carri armati perché il bombardamento aveva completamente sconvolto il terreno, si era ridotto agli estremi tanto che, appena ripiegato, fu sciolto e sostituito, nel settore d'impiego, dalla 7ga inglese e dalla 1 a brigata Guards della 6a corazzata. Nella terza battaglia di Cassino accade, infatti, che i difensori del settore, un reggimento (3 battaglioni) della scelta I a divisione paracaduti s ti, non solo sopportarono il duplice bombardamento senza allontanarsi di un metro dalle loro posizioni, ma ne uscirono in condizioni ancora abbastanza buone da respingere il successivo attacco della fanteria, aiutati, tra l'altro, dagli enormi cumuli di macerie creati dal bombardamento ..... Il colle del Castello cadde, ma gli ulteriori tentativi della 4a divisione indiana di risalire verso la cima dell'altura principale furono ostacolati da un violentissimo nubifragio che per i difensori costituì un aiuto davvero provvidenziale. Una compagnia gurkha si spins e fino alla collina del Boia, sotto l'abbazia, dove però rimase tagliata fuori... Il 19 i nuovi sforzi compiuti da ambedue le parti si dimostrarono vani, e il giorno dopo Alexander decise che, se entro tre ntasei ore non si fossero registrati sviluppi favorevoli, l'operazione sarebbe stata abbandonata ... 28_ Un'altra delusione fu per gli alleati la battaglia di Anzio dove essi riuscirono a resistere ai contrattacchi tedeschi del 3, del 7, del 16 e del 28 febbraio ed a restare come una spina nel fianco dello schieramento germanico, ma non furono in grado di rompere l'accerchiamento. L' operazione Diadem fu impostata sulla falsariga del piano Alexander fallito a metà gennaio: avanzata lungo la valle del Liri e simultaneo attacco da parte delle forze della testa di sbarco di Anzio. L'of-
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fensiva avrebbe dovuto iniziare tre settimane prima dell'Overlord ed avrebbe impegnato sia la sa armata, comprese le forze di Anzio, sia 1'8a armata che si sarebbe allargata verso ovest per schierarsi anche nel settore valle del Liri-Cassino, lasciando nel settore adriatico un solo corpo d'armata. L'operazione Anvil - sbarco nella Francia meridionale - sarebbe stata soppressa. Ma il generale Eisenhower non fu di questo parere e propose una soluzione di compromesso che venne accettata: priorità all'offensiva del generale Alexander, ma proseguimento dell'elaborazione dei piani dell'Anvil che sarebbe stata rinviata, ma non soppressa, malgrado che il rinvio le avrebbe sottratto la funzione di mossa diversiva destinata a favorire l'inizio dell'Ove rlord. L'l 1 maggio, dopo una violenta preparazione di artiglieria ed un massiccio intervento dell'aviazione, gli alleati dettero inizio alla grande offensiva primaverile: l'8a armata britannica si mosse con l'intento di rompere a Cassino, la sa s tatunitense con quello di attaccare e di avanzare al di là del Garigliano, il VI corpo di armata statunite nse con la volontà di rompere l'accerchiamento della testa di sbarco di Anzio e di effettuare una rapida avanzata su Valmontone per taglia re l'asse dei rifornimenti e degli sgomberi della 10a armata tedesca schierata sulla Gustav. A Cassino: il II corpo polacco del generale Anders 29, benché operasse con decisione e abilità, utilizzando direttrici meno frontali di quelle dei precedenti tentativi di sfondamento, dové lottare 6 gioni prima di occupare le macerie della città (17 maggio); il II corpo statunitense non fu in grado di guadagnare terreno fino a quando il corpo francese del generale Juin 30 non riuscì, rompendo s ugli Aurunci, a conquistare il monte Majo (13 maggio), ad avanzare verso il monte Oro e, piegando verso sud-ovest, ad occupare il monte Chiavica; il XII corpo d'armata inglese avanzò lentamente e realizzò scarsi guadagni di terreno; le truppe di Anzio dovettero sostenere aspri combattimenti a Cisterna dove i tedeschi lanciarono contro le forze del VI corpo americano ben sette contrattacchi consecutivi. La chiave del successo dello sfondamento della posizione Guslav fu la manovra del corpo francese del generale Juin. Questi, sfruttando il riuscito attacco iniziale, fece avanzare rapidamente le sue truppe da montagna marocchine - i goums - e, attraverso il varco aperto dai primi scaglioni, immise forze a tergo della Gustav e le spinse fino alla linea Hitler (una decina di chilometri oltre) prevenendovi i tedeschi, che avrebbero voluta utilizzarla come posizione di contenime nto. Fu, appunto, la manovra del generale Juin che, garantendo il fianco destro del II corpo statunitense, consentì a questo di procedere
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meno faticosamente lungo la costa tirrenica e di occupare Formia il giorno 18 e Terracina il giorno 24, dopo un combattimento durato in questa ultima località più di 3 giorni. L'occupazione della linea Hitler da parte dei francesi mise in grave difficoltà i tedeschi che furono costretti ad imbas tire in tutta fretta un'altra linea - la Caesar - appena a sud di Roma pe r consentire il ripiegamento verso il nord del maggior numero di forze possibile. Il 25 maggio gli alleati riuscirono ad effettuare il congiungimento a sud di Cisterna de lla truppe del II con quelle de l VI corpo. L'attacco successivo, in direzione nord-est contro Velletri e Val montone, per spezzare la linea Caesar, non raggiunse, invece, lo scopo voluto perché sferrato troppo debolmente. La 14 8 armata tedesca, rinforzata dalla divisio ne Goering, difese con successo le posizioni ed infranse l'attacco alleato del 31 maggio contro Velletri, ben ché la città fosse quasi interamente circondata da lle truppe americane che la isolavano da Valmontone e che avevano occupato a nord il m o nte Peschio. Valmontone e Velletri caddero in mano a lleata il 2 giugno, quando cioè i tedeschi avevan o già sganciato il grosso delle loro forze facendole ripiegare verso nord lungo le strade secondarie snodantesi attraverso le montagne dell'entroterra. L'operazione Diadem fu coronata comunque d a l successo dell'occupazione di Roma, avvenuta il 4 giugno, dalla quale i tedeschi si erano allontanati lascia ndola intatta. Essa però era costata 18 mila perdite agli americani, 14 mila agli inglesi, 1O mila ai francesi. I tedeschi persero 1O mila uomini in combattimento e 20 mila prigionieri 31_ L'avanza ta alleata a nord di Roma ebbe inizio fin dal giono successivo all'ingresso nella città , ma·non fu condotta con la necessaria energia nel momento in cui avrebbe potuto essere più pericolosa 32. Subì, durante il suo sviluppo, molte battute di arresto, determinate da un lato dalle contro manovre tedesche, dall'altro da l depauperamento, imposto a l XV gruppo di armate alleate, di 7 divisioni (3 del VI corpo USA e 4 del corpo francese) e di circa il 70% delle forze aeree dall'operazioneAnvil, più modestamente ribattezzata Dragoon, lanciata il 15 agosto contro la Francia meridionale. Il generale Alexander, malgrado tale diminuzione di potenza, divisò, per obbedire all'intendimento di Churchill, di portare avanti l'offensiva al fine di attaccare in a utunno la linea gotica, va le a dire l'ultima barriera naturle che insis te sull'Appennino tosco-emiliano, da Pisa a Rimini, 225 km a nord di Roma, a protezione della pianura padana dalle provenienze da sud. La conquista della linea gotica avrebbe, infatti, costretto i tedeschi a r itirarsi dall' Italia ed avrebbe consentito agli a lleati di lanciarsi in di rezione di Trieste e di Vienna sì da preven irvi i sovietici.
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Ma l'avanzata alleata ebbe uno sviluppo deludente. La sa armata progredì abbastanza rapidamente verso Livorno e Pisa, ma il X ed il XIII corpi d'armata inglesi vennero arrestati prima in corrispondenza del lago Trasimeno e successivamente di Arezzo, mentre il II corpo polacco dové combattere aspramente e lungamente fino al 18-19 luglio prima di entrare in Ancona. Firenze venne conquistata il 4 agosto: in due mesi gli alleati non riuscirono ad avanzare più di 250-300 km. Il piano iniziale alleato pe r la rottura de lla posizione gotica prevedeva una spallata di sorpresa contro la parte centrale, ma il generale Alexander, s u sollecitazione del generale Leese, lo modificò e s tabilì di trasferire 1'8a armata sul versante adriatico per lanciarla in direzione di Rimini e di far muovere, una volta ch e l'S a armata avesse attratto su di sé le riserve tedesche, la s a armata contro la parte sinis tra della fronte centrale tedesca puntando su Bologna. Quando poi Keselrin?, avesse tentalo di reagire a questa nuova minaccia, 1'8a armata sarebbe ripartita a/l'attacco in modo da sbarcare nella pianura padana, dove le sue /urze corazzate avrebbero trovato più spazio per manovrare di quanto ne avessero mai avuto dopo lo sbarco in Italia 33. Il nuovo piano - operazione Olive - teoricamente seducente, aveva il grave difetto e.li trascurare che i tedeschi disponevano di un grande asse di arroccamento - il tratto Bologna-Rimini della statale n. 9 per spostare le riserve c che la zona a nord di Rimini era paludosa e perciò tutt'altro che adatta alla manovra dei corazzati, spec ia lmente durante la stagione piovosa. L'offensiva ebbe inizio il 25 agosto e i tedeschi furono colti di sorpresa, in quanto le 5 divisioni del V corpo inglese e le 2 del I corpo canadese erano riuscite a mettersi in pos izione alle spalle del TI corpo polacco senza che essi se ne avvedessero 34, mentre il X corpo mglese aveva continuato a presidiare lazona montana adiacente alla parte centrale della fronte ed il XII corpo si era spostato più ad ovest per appoggiare l'attacco della 5 3 armata. L'8 3 armata sferrò l'offens iva su Rimini, ma il 6 settembre, perso lo slancio iniziale, dove tte arrestarsi dopo aver combattuto aspramente il giorno 4 in corrisponsenza delle alture di Cariano, a nord del fiume Ausa, anche a causa delle violente precoci piogge che impantanarono la zona. La 5 3 armata, passata anch'essa all'attacco, il 2 settembre occupò Pisa, il 3 Lucca ed a metà mese forzò il passo del Giogo. Il 21 settembre l'Sa armata riuscì ad entrare in Rimini, ma i tedeschi ripiegarono in ordine sul fiume Rubicone, a nord del quale vi sono altri 13 fiumi da attraversare prima di giungere al Po. Spostato, con un ritorno al progetto iniziale, l'asse de llo sforzo principale nuovamente in direzione di Bologna, la sa armata, operando lungo la sta-
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tale n. 65, non riuscì ad avanzare, in media, per più di 15 km al giorno, finché infine il 25 ottobre l'offensiva fu sospesa 35. Prima della fine dell'anno gli alleati lanciarono un'altra offensiva - fu l'ultima del 1944 - nel tentativo di conquistare Bologna e Ravenna, ma raggiunsero solo Ravenna (4 dicembre). Da quel momento la fronte si stabilizzò, si concluse la seconda fase della campagna italiana, non meno strategicamente deludente della prima, si passò ad una guerra di posizione, 80 km a sud del Po, che durerà fino alla primavera del 1945. Le grandi speranze alleate della primavera-estate 1944 erano andate in fumo e subentrò uno stato di malessere morale, di scontento, di abbattimento e di sfiducia che produsse, tra l'altro, un progressivo aumento del numero dei casi di diserzione nelle file delle armate alleate. La terza ed ultima fase della campagna alleata in Italia, iniziatasi al sopraggiungere dell'inverno 1944-'45, ebbe termine il 2 maggio 1945 con la capitolazione del gruppo di armate tedesche (10 3 e 14 3 ) del generale Vietinghoff. Essa fu caratterizzata da un lungo periodo di guerra di logoramento e da una rapida conclusione offensiva degli alleati sviluppata in una situazione di estrema rovina della Germania invasa da est dall'armata rossa e da ovest dalle armate del generale Eisenhower. All'inizio dell'offensiva alleata della primavera del 1945, il XV gruppo di armate era schierato con 1'8 3 armata all'ala destra e la 5 3 armata a sinistra; la prima fronteggiava la 10 3 armata tedesca 36 del generale Herr 37 e la seconda la 14 3 del generale Senger 38. Il piano della offensiva alleata ripeteva, nelle grandi linee, quello dell'operazione Olive dell'autunno precedente: 1'8 3 armata si sarebbe dovuta impadronire della zona Bastia-Argenta, appena ad ovest delle valli di Comacchio, per aprire la via di accesso alla pianura padana; la 5 3 armata avrebbe dovuto attaccare, qualche giorno dopo 1'8 \ in direzione di Bologna puntando celermente al Po per tagliare ai tedeschi le direttrici di ritirata e per intrappolarli con una manovra congiunta con quella dell'8 3 armata britannica. Questa ultima avrebbe esercitato lo sforzo principale al di là de l Senio con il V corpo inglese ed il II polacco; il primo avrebbe dovuto sfondare in una zona lontana dal mare al fine di realizzare la sorpresa tattica, poi si sarebbe mosso con un'aliquota piegando a destra per investire il fianco del corridoio Bastia-Argenta e con un'altra in direzione nord-ovest per portarsi alle spalle di Bologna; il secondo avrebbe attaccato a cavallo della via Emilia per puntare direttamente su Bologna. Sull'ala destra del V corpo, la 56 3 divisione aveva il compito di prendere d 'assalto il varco di Argenta con una mossa duplice: un attacco frontale e un'azione di aggiramento con i fantails attraverso le valli di Comacchio. L'ala
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sinistra dell'8a armata, consistente in due corpi ormai ridotti all'osso,jl X e il XIII, doveva premere verso nord, al di là del monte Battaglia, finché la sua direttrice di avanzata non fosse stata chiusa da quelle convergenti dei polacchi e degli americani; a questo punto il XIII corpo si sarebbe affiancato alla 6a divisione corazzata per sfruttare il successo in profondità 39. La sa armata avrebbe inizialmente manovrato lungo le catene di montagne che la dividevano dalla pianura con la l oa divisione del IV corpo USA che poi sarebbe piombato su Bologna, mentre le due divisioni corazzate in riserva, la 1 a USA e la 6a sudafricana, avrebbero raggiunto il Po. Le operazioni dell'8a armata sarebbero state precedute da uno sbarco simulato a nord del Po per attirare l'attenz ione e le riserve del generale Vietinghoff. L'offensiva dell'8a armata ebbe inizio nel pomeriggio de l giorno 9 aprile, dopo l'effettuazione dell'azione preliminare nelle valli di Comacchio, con il bomba rdamento aereo delle posizioni tedesche da parte di 800 bombardieri pesanti e 1000 bombardieri-medi e cacc ia bo mbardieri, mentre nello stesso tempo 1500 cannoni dettero il via a una serie di cinque concentrazioni di tiro della durata di quarantadue minuti ciascuna, con un intervallo di dieci minuti tra l'una e l'altra: per questa ragione esse furono denominate bombardamenti falso-allarme. Poi, al crepuscolo, mentre le forze aeree tattiche tenevano impegna ti i tedeschi, la fanteria cominciò ad avanzare 40, accompagnata da carri armati lanciafiamme 41.Il121'8a armata attraversò il Santerno, il 14 s'impadronì del ponte di Bastia, il 18 riuscì a portarsi al di là del va rco di Argenta. La sa armata cominciò la sua offensiva il 14 aprile; il gio rno 15 la sua avanzata fu sostenuta da 2300 tonnellate di bombe ; i I 17 l'armata riuscì a sfondare con la 10a divisione del IV corpo la fronte tedesca e si lanciò s ulla via Emilia raggiungendo il giorno 19 i sobborghi di Bologna e spingendo le avanguardie corazzate verso il Po. Il 271'8a armata attraversò l'Adige e scavalcò la linea ch e copre Venezia e Padova;il 26 la sa armata giunse a Verona. Il giorno precedente all'ingresso degli americani a Verona, e cioè il 25 aprile, ebbe luogo l'insurrezione generale delle forze partigiane, che cominciarono ad attaccare ovunque i tedeschi. Tutti i passi alpini furono bloccati entro il 28 aprile. Le truppe tedesche si stavano arrendendo in massa, e dopo il 25 aprile l'inseguimento alleato incontrò ovunque una resistenza pressoché nulla. Il 29 i neozelandesi raggiunsero Venezia e il 2 maggio Trieste, dove il principale motivo di preoccupazione si rivelò la presenza non dei tedeschi, b ensì degli iugoslavi 42.
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3. La campagna dei tedeschi in Italia, benché conclusasi con la capitolazione - da mettere peraltro in relazione con i contemporanei avvenimenti sulle fronti occidentale ed orientale - fu sotto il profilo tecnico-militare un vero saggio di bravura difensiva. Favorita inizialmente dagli errori dei comandi italiani ed alleati e successivamente dalle manovre alleate di corto respiro, essa non solo perseguì loscopo strategico che Hitler e l'OKW se ne erano ripromessi - tenere lontane dal territorio nazionale tedesco le forze alleate sbarcate in Italia e proteggere il fianco meridionale dello schieramento germanico ma andò oltre le aspettative. Impegnò, è vero, per 20 mesi oltre mezzo milione di uomini, che avrebbero potuto trovare impiego sulla fronte orienta le e su quella occidentale, ma essa si pose come esigenza strategico-militare irrinunciabile per la Gennania dopo la resa dell'Italia. Colta di sorpresa, non già dal distacco italiano dal quale si era cautelata, ma dall'annuncio dell'armistizio,la Germania si era trovata a dover fronteggiare simultaneamente l'avanzata dell'8a armata britannica in Calabria, gli sbarchi della stessa annata nei porti della Puglia,lo sbarco della 5 a armata a Salerno, la debole e breve reazione italiana . Le forze del_maresciallo Kesselring riuscirono: a ritardare l'avanzata dell'8a armata britannica fino a qua ndo necessario per portare in salvo la 15a divisione granatieri corazzati e la 16a divisione corazzata che ]'8 settembre si trovavano in Calabria; a impadronirsi quasi senza colpo ferire di Roma ed ad assicurarsene il possesso per circa 8 m esi; a contenere la testa di sbarco alleata di Salerno per il tempo necessario a costituire una posizione difensiva continua dall'Adriatico al Tirreno - la linea Reinhardt - che nel settore occidentale s'imperniava sulla stretta di Mignano; a disarmare, congiuntamente con le forze del maresciallo Rommel. la grandissima parte delle unità italiane dislocate nell'Italia centro-settentrionale. Ancora maggiori sarebbero stati i risultati posiviti qualora Hitler e l'OKW non avessero rifiutato al maresciallo Kesselrin g le due divisioni richieste fin dal mese di agosto e non avessero scisso il comando delle forze tedesche in Italia tra la giurisdizione del maresciallo Kesselring (Italia centromeridionale) e quella del maresciallo Rommel (Italia settentrionale), comandante del gruppo di armate «C». Hitler e l'OKW avevano considerato persa in partenza l'Italia centro-meridionale e con essa le forze del maresciallo Kesselring, tanto che fin dall'agosto avevano ridotto i rifornimenti ed i complementi alla 10a armata de l generale Vietinghoff. Se il maresciallo Kesselring avesse potuto disporre di altre 2
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divisioni, quasi certamente avrebbe evitato la perdita dell'importante base di Foggia, avrebbe potuto ributtare a mare le forze sbarcate a Salerno, le quali, indipendentemente dal mancato rinforzo delle unità tedesche, furono egualmente sul punto di doversi reimbarcare, ed avrebbe potuto aver ragione delle unità inglesi a Termoli, dove il fallimento del contrattacco della 16a divisione corazzata fu dovuto al fatto che questa giunse in ritardo e venne impiegata forzosamente alla spicciolata, come pure avrebbe potuto rimediare subito al cedimento della 15a divisione panzergrenadiere in corrispondenza di Mignano , senza essere costretto ad abbandonare prematuramente la linea Reinhardt. La caduta del passo di Mignano e della quota 1170 che lo comanda avrebbe potuto essere fatale ai tedeschi qualora il maresciallo Kesselring, nonostante la penuria delle forze, non si fosse premunito mediante l'allestimento della retrostante linea Gustav. Finalmente, di fronte all'evidenza dei fatti , Hitler si decise a creare in Italia un unico comando che affidò al marescia llo Kessel ring nominato comandante supremn d e l settore sud-ncr.identale-gruppn armate C. Del-
le forze già alle dipendenze del maresciallo Rommel, ben 4 divisioni (delle quali 3 corazzate) però vennero inviate sulJa fronte o rienta le e solo 4 (la 44a e la 334 3 di fonteria e la 5a a lpina) poterono su l momento affluire nell'Italia meridionale, oltre alla 90a granatieri corazzati a ppena recuperata dalla Corsica. Non ebbe torto il maresciallo Kesselring di lamentarsi di non essere stato ascoltato a suo tempo circa la costituzione del comando Rommel: l'esistenza di questo duplice comando in Italia e la strana soggezione di Hitler verso Rommel ebbero per conseguenza il continuo rifiuto delle mie ripetute richieste di un paio di divisioni di rinforzo 43 con le quali la portata dei successi iniziali avrebbe potuto assumere la dimensione strategica del reimbarco delle unità della saarmata statunitense a Salerno. Che cosa sarebbe avvenuto a metà gennaio, qualora il maresciallo Kesselring non avesse avuto la piena disponibilità di tutte le forze in Italia, dopo il cedimento avvenuto nella zona di Carloforte da parte della 94a divisione di fanteria - da poco tempo in linea - e non avesse potuto rinforzare la 10a armata con la 29a e la 30a divisione di granatieri corazzati e con formazioni dell'XI corpo di aviazione l'ala destra del suo schieramento minacciato dall 'offensiva della sa armata statunitense? L'afflusso di tali forze sulla fronte del Garigliano privò il maresciallo Kesselring di grandi unità organiche in riserva di scacchiere, ma gli consentì di tenere la linea fino a tutto aprile e di vincere le battaglie difens ive di Cassino. Gli mancarono le forze per ributtare a mare le unità del VI corpo statunitense sbarcate ad Anzio, ma gli riuscì tuttavia di
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contenerle impedendo loro d'impadronirsi di Roma. I contrattacchi che egli sferrò il 16 ed il 29 febbraio 44 non furono coronati da successo, ma valsero ad immobilizzare la testa di sbarco alleata. Eppure il maresciallo tedesco dichiarò di non essere rimasto soddisfatto di come erano andate le cose dal settembre del 1943 al maggio del 1944 45, ma mentre sotto il profilo strategico la sua insoddisfazione era fondata - il problema del teatro operativo del Mediterraneo non era mutato nei suoi termini d'impostazione - dal punto di vista tecnico-militare e tattico egli avrebbe avuto più motivi per compiacersi di sé stesso, stanti i numerosi successi difensivi acquisiti nei primo otto mesi della campagna. Per sfruttarli a fondo sarebbero occorse forze di cui il maresciallo Kesselring non disponeva e di cui l'OKW non poteva privarsi sottraendole dalle altre fron ti risolutive. Fu appunto la superiorità delle forze, dell'armamento e del munizionamento, in uno con l'aumento del valore combattivo delle unità alleate e l'adozione da parte di queste di una condotta di guerra più libera e meno legata agli schemi delle operazioni con obiettivi limitati 46, a determinare la sconfitta tedesca nella fase iniziale della battaglia della primavera 1944. Espressa in termini di potenza di fuoco la superiorità alleata fu da 5 a 10 volte più elevata di quella tedesca 47. Concorsero alla sconfitta: la dispersione delle forze tedesche costrette a sottrarre dalla fronte principale quattro divisioni ed una brigata per parare la minaccia di Anzio, mentre le armate alleate poterono devolvere tutto o quasi a favore dell'espugnazione della Gustav; l' isolamento iniziale, provocato dai bombardamenti aerei e di artiglieria, dei comandi di armata e di corpo d'armata tedeschi 48; il cedimento della 94a e della 71 a divisione di fanteria - ala destra del XIV corpo corazzato - che pur avendo combattuto valorosamente si dimostrarono troppo deboli di fronte alle forze avversarie preponderanti, m entre anche le loro posizioni si rivelarono meno robuste di quanto i tedeschi avessero immaginato 49; la debolezza della linea «C» - o Caesar - a sud di Roma, appena abbozzata e troppo estesa in quanto, dalle posizioni attorno alla testa di sbarco di Anzio-Nettuno, appoggiandosi al Tevere ed all'Aniene, si spingeva, oltre Avezzano, fino all'Adriatico 50; lo schieramento della riserva della 94a divisione di fanteria lungo il settore costiero anziché sul massiccio del Petrella, come aveva esplicitamente ordinato il maresciallo Kesse lring, sicché, operata la breccia, il corpo francese trovò via libera 51; il mancato intervento della riserva della 1 a paracadutisti - attardatasi a Cassino, nonostante il tempestivo ordine di ripiegamento - dietro l'ala della 90a divisione che aveva ceduto, nonché l'esecuzione tardiva della riti-
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rata del LI corpo alpino 52; il protarsi più a lungo di quanto la situazione tattica permettesse della permanenza delle forze del XIV corpo corazzato sulle posizioni intermedie per non perdere il contatto con le unità laterali, con la conseguenza che la 305a divisione di fanteria, la 26a divisione corazzata, i resti della 15a divisione granatieri corazzati, la 71 a e la 94a divisione di fanteria non furono in condizioni di mantenere le posizioni dell'ala destra dello sbarramento 53. La 10a armata segnò con le sue mani la propria sorte e, quando ques ta parve sfavorevolmente segnata, il maresciallo Kesselring decise di sottrarre la 29a divisione panzcrgrcnadiere alla 14a arma ta per darla in rinforzo alla 10a, ma per le obiezioni alla esecuzione dell'ordine sollevate dal generale Senger,la divisione iniziò il movimento troppo tardi e venne a trovarsi impegnata in un combattimento di esito dubbio su di un te rreno non adeguatamente preparato. In tal modo i tedeschi non solo persero una pos izione altrimenti quasi imprendibile, ma aprirono alla sa armata, fra Terracina e Fondi, la strada per il ricongiungimento con le forze della testa di sbarco di Anzio. La situazione della difesa divenne difficile, ancorché non irreparabile qualora fosse s tato possibile rinforzare in tempo la 14a armata, prima cioè c he contro di ques ta s 'iniziasse l'attacco del VI corpo d 'armata statunitense. L'attacco, invece, ebbe inizio il 23 maggio, prima che la divisione Goering, che aveva ricevuto l'ordine di accelerare l'avanzata contro la tes ta di sbarco di Anzio, giungesse in posto. È possibile che il comando d ella 14a armata abbia fatto un eccessivo assegnamento sulla riserva del gruppo di armate e abbia mancato di decisione e di rapidità nel ricorrere alle proprie forze; ma in ogni caso sarebbe stato necessario sfruttare il fatto che il VI corpo di armata ame ricano, operante in una zona troppo ristretta, si trovava in una posizione di svantaggio. Avvennero fra i comandi discussioni piuttosto penose, che ebbero per risultato la sostituzione del comandante della 14a armata, la quale non era riuscita a chiudere la breccia apertasi fra la 362a divisione di fanteria e la divisione corazzata Hermann Go ring. La breccia, che inizialmente avrebbe potuto esse re colmata da un solo battaglione, andò allargandosi fino al 31 maggio, provocando un aggiramento da parte del nemico al quale infine rimase libera la via di Roma. Fu veramente deplorevole che al comportamento esemplare delle divisioni combattenti all'ala destra e al centro (la 4a divisione panzergrenadiere, la 65a divisione di fanteria e la 3a divisione panzergrenadiere) non abbia corrisposto l'azione delle unità dell'ala sinistra 54. Delle.due armate tedesche, la 14a uscì dalla battaglia gravem ente battuta, mentre la 10a, sebbene costretta a ripiegare, lo fece con ordine, combattendo
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molto bene, senza perdere il contatto con la 14\ muovendo fino a Tivoli attraverso la strada disagevole di Subiaco e conservando un elevato coefficiente di capacità combattiva. La manovra in ritirata che fece seguito all'insuccesso della manovra di arresto fu un nuovo capolavoro di abilità tattica. Convinto che solo una difesa attiva riesce a ridurre gradatamente lo slancio dell'avversario 55, il maresciallo Kesselring, sfruttando tutte le possibilità offerte dal terreno, approfittando della lentezza della manovra degli alleati - che continuò ad essere esitante e guardinga quando avrebbe potuto essere rapida ed audace, che non si avvalse della superiorità anfibia e di quella aerea contro facili obiettivi sia di prima linea sia nelle retrovie 56, che non colse al volo tutte le numerose occasioni favorevoli che le si presentarono per una spinta a fondo -, utilizzando la piena libertà di azione regalatagli, impostò e condusse una manovra difensiva da manuale, adottando i procedimenti della difesa elastica mediante i quali riuscì a . bloccare l'avanzata degli alleati lungo le strade a noni <li Roma per il tempo giudicato necessario a rafforzare le posizioni della linea Gotica, a ricostituire e completare le unità provate, a far defluire verso le retrovie quelle non combattenti, a portare in linea nuove divisioni. Per tutto il mese di giugno fu lasciato pienamente libero di agire a suo modo ed anche quando, ai primi di luglio, Hitler lo invitò a sospendere i movimenti retrogradi ed a schierarsi su salde posizioni difensive per svilupparvi una resistenza ad oltranza secondo i criteri da Hitler stesso sanciti nei riguardi delle forze operanti sulla fronte orientale, egli riuscì a far prevalere la sua tesi ed a ricostituire alla fine una fronte unitaria e solida, nonostante gli fosse venuto a mancare quasi del tutto il sostegno delle forze aeree richiamate sulla fronte occidentale dagli sbarchi dell'Overlord e della Anvil. Le lotte sui due lati del lago Trasimeno e quelle, alle ali del dispositivo di ritirata, di Ancona ed a sud di Cecina, conseguirono dalla metà di giugno alla metà di luglio risultati tattici conformi alle necessità tedesche del momento 57, malgrado che il comportamento dell'ala destra del gruppo d'armata fosse stato poco soddisfacente e nel settore la fronte avesse tenuto solo mediante l'impiego della 16a SS panzergrenadiere. Anche le lotte a cavaliere della strada Siena-F irenze si risolsero a vantaggio dei tedeschi, che rallentarono l'avanzata del IV corpo d'armata statunitense. In prossimità degli Appennini il maresciallo Kesselring dispose: la continuazione della resistenza manovrata sui contrafforti appenninici, nell'intento di poter mantenere più a lungo le posizioni a sud dell'Arno e risparmiare Firenze; un diverso raggruppamento delle forze per economizzare il
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numero delle divisioni; il riordinamento delle unità e l'afflusso di nuovi reparti per poter occupare ed allestire subito la linea Verde o Gotica a titolo di sicurezza, continuando intanto a rafforzarla in base ai più recenti principi tattici 58. La rinuncia a difendersi sull'Arno per risparmiare Firenze ed il prolungamento della resistenza su di una testa di ponte a sud del fiume incisero negativamente sul principio dell'economia delle forze e ridussero il numero delle unità destinate al rafforzamento della retrostante posizione principale, che venne a ltresì a soffrire del forzoso disimpegno della 90a panzergrenadiere che il maresciallo Kesselring dové inviare a sostegno della 167a alpina venuta a trovarsi in una situazione diffic ile in un settore estremamente delicato (estrema ala destra del gruppo di armate «C»). Il successo di un attacco alleato sulle Alpi occidentali avrebbe consentito di prendere alle spalle lo schieramento delle forze del maresciallo Graziani a presidio della e.osta ligure e quello della 14a armata, per cui era indispensabile gadntire il saldo collegamento di tali forze con la divisione di estrema sinistra della 19a arma ta tedesca operante nella f'rancia meridionale. Verso la metà d i agosto le forze del marescia llo Kesselring entrarono in crisi in seguito alla offensiva sferrata dall'8a ar mata britannica. Il compito di arginare i primi assalti nemici - scrive il maresciallo Kesselring - spettò al LXXVI corpo corazzato che era alle dipendenze della 10a armata. Esso si batté splendidamente, ma non poté resistere su tutti i punti. La 278a divisione di fante ria, indebolita dalle gravi perdite, scomparve quasi interamente nei combattimenti sulle posizioni avanzale. Nella noLLe dal 25 al 26 agosto gli alleati lanciarono un forte attacco contro la ?la divisione di fanteria nel momento in cui veniva sostituita da un 'altra unità, cosicché l'Ba arm ata britannica poté conseguire la sorpresa. La 26a divisione corazzata, sopraggiunta di rinforzo, non riuscì a ristabilire la situazione e l'intera fronte venne a trovarsi in pericolo. Nella notte fra il 30 e il 31 agosto dovette venir abbandonata una parte della linea Verde die tro la quale non esistevano, nel settore adriatico, altre posizioni equivalenti. Dopo aver compiuto un nuovo raggruppamento di forze sulla fronte alpina e su quella ligure, si poté disimpegnare qualche unità per portarla a sostegno dell'ala sinistra della 14a armata che combatteva ancora oltre la linea Verde, a nord di Firenze. Inoltre, all'ala sinistra della 10a armata sulla fronte adriatica e rano state a ssegnate di rinforzo due unità già provate, la z9 a e la 90 3 divisione di granatieri corazzati 59. Con tali provvedimenti il m a resciallo Kesselring poté arrestare nei giorni 17, 21 e 29 settembre l'avanzata alleata su Rimini e, sebbene molto più faticosamente e solo ,
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momentaneamente, fra il 25 ed il 26 ottobre, quella in corrispondenza della zona di congiungimento delle ali estreme della 10a e della 14a armata e quella a sud di Bologna. In seguito i guadagni di terreno del nemico diminuirono costantemente, le perdite si accrebbero, i segni di stanchezza divennero evidenti, e l'offensiva si spense a poco a poco. Le lotte erano durate otto settimane; le divisioni alleate avevano combattuto con grande valore, ed erano state sostenute da mezzi tecnici e dall'aviazione in una misura inimmaginabile per noi tedeschi. L'abilità del comando e l'ammi revole comportamento delle truppe tedesche impedirono agli alleati di conseguire l'atteso successo. IL periodo d elle lotte sugli Appennini passerà quindi alla storia come una pagina di gloria per le armi tedesche 60, le quali, in definitiva, bloccarono per circa S mesi l'avanzata delle forze alleate. Ciò, nonostante che il XV gruppo di armate anglo-americane disponesse nuovamente di ingenti forze, avendo rimpiazzato con unità italiane e brasiliane quelle allontanate dallo scacchiere per l'operazione Anvil, avesse potuto rimettere in piena efficienza le unità aeree di sostegno, avesse migliorato la propria tattica conferendo alle manovre ampiezza e profondità maggiori rispetto al passato e adottando procedimenti e modalità di azione meno schematizzati. Dalla terza decade di ottobre alla prima quindicina di gennaio, il maresciallo Kesselring, in seguito ad un incidente automobilistico occorsogli lungo la strada Bologna-Forlì, dové rimanere lontano dal suo posto di comando e venne sostituito da] generale von Vietinghoff. Né questi né il maresciallo Kesselring, dopo il suo rientro, riuscirono a far recedere Hitler dalla monomania della difesa ad oltranza e della manovra d'arresto, divenute insostenibili specialmente dopo la conquista del monte Belvedere, verso la metà di febbraio, ad opera della 10a divisione da montagna statunitense sui fianco sinistro della 232 3 divisio ne di fanteria tedesca, ed in seguito all'ulteriore guadagno di terreno, agli inizi del mese d i marzo, da parte della 10 3 divisione di fanteria statun itense. Gli attacchi alleati avevano costretto il maresciallo Kesselring ad impiegare dapprima la 114 3 divisione cacciatoria sostegno della 232 3 divisione di fanteria e in un secondo tempo a sostituire la 114 3 , non dimostratasi all'altezza del compito, con la 334a panzergrenadiere e infine a immettere nel combattimento anche la 29a panzergrenadiere, da alcune settimane in riordinamento. Quando il 9 marzo il maresciallo Kesselring, destinato da Hitler ad assumere il comando della fronte occidentale, cedé il comando del gruppo armato «C» al generale von Vietinghoff, la fronte era ferma, ma i prodromi della imminente ripresa offensiva da pa rte degli alleati
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erano chiaramente avvertibili. Il generale von Vietinghoff propose all'OKW di passare dalla manovra di arresto a quella in ritirata da fiume a fiume, ma Hitler rifiutò la richiesta e successivamente si oppose decisamente al ripiegamento sul Po, proposto nuovamente il 14 aprile dal generale Vietinghoff. Quando questi, il 20 aprile, si assunse in proprio la responsabilità di ordinarlo, era troppo tardi. L'offensiva degli alleati, iniziatasi il 9 aprile, aveva già conseguito notevoli successi e non poteva più essere efficacemente contenuta, nonostante che le unità della 14a armata tedesca si battessero con grande energia e resistessero con forte tenacia. Tagliate fuori ed accerchiate dalle forze alleate e sconvolte nelle retrovie dalla insurrezione del corpo volontari della libe rtà, le unità tedesche, non più in grado di raggiungere il Po e di sistemarvisi efficientemente a difesa, non opposero dal 25 aprile nessuna resistenza consistente che, d'altra parte, non avrebbe più avuto alcun significato strategico in relazione alla situazione generale della Germania. Nel giorno in cui il gruppo di armate «C» deponeva le armi, le armate dei generali Eisenhower; Zukov 61 e Konev 62 erano rispettivamente sull'Elba e sulla Sprea. La sorte della Germania era segnata. A quale delle due parti la campagna d'Italia giovò? Per la Germania essa era stata una necessità assoluta. L'ahhandono dell'Italia avrebbe consentito piena libertà di movimento agli alleati sia in direzione della Francia che in quella dell'Austria e dei Balcani ed avrebbe offerto loro la disponibilità di basi aeree ravvicinate per bombardare la Germania meridionale e l'Austria e minacciare le vie di rifornimento e gli arroccamenti tra la fronte occidentale e quella orientale. Per gli alleati, la campagna d'Italia era stata una libera scelta per perseguire fini strategici rimasti però sulla carta. La tattica seguita dagli alleati fu del tutto inadeguata, nonostante che non mancassero loro forze e mezzi aerei, navali ed anfibi per dare vita a manovre ampie e profonde che eludessero o riducessero gli sforzi frontali. Sul piano tecnico-militare, perciò, mentre i tedeschi raggiunsero nel corso dell'intera campagna il massimo risultato conseguibile 63 in quella situazione, gli alleati non ottennero quanto virtualmente avrebbero potuto e offrirono, tutto sommato, un saggio scadente, non già del loro valore di soldati, ma della loro abilit'à manovriera. Gli alleati commisero errori strategici e tattici addirittura grossolani, e conclusero la campagna vittoriosamente solo per la loro schiacciante superiorità materiale. Il fatto stesso di essere salutati ed accolti ovunque come liberatori giovò non poco a mantenere alto il loro morale ed a moltiplicare la capacità combattiva della quale offrirono, come riconobbe
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lo stesso maresciallo Kesselring, una grande quantità di prove dalla linea Gustav alla linea Gotica. Prove non meno numerose e valide dettero le unità italiane che combatterono al loro fianco da monte Lungo ad oltre il Po, partecipando direttamente in linea alle operazioni sulle varie fronti di combattimento o disimpegnando compiti logistici o di lavoro non meno necessari allo svolgimento favorevole della campagna.
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NOTE AL CAPITOLO XLIII 1 Ministero della difesa. S.M.E.-Ufficio Storico. Il I raggruppamento motorizzato italiano. Narrazione - Documenti. Tipografia Regionale, Ro ma, 1949, pg. 18. 2 Ibidem: allegato n. 3 pgg. 136-137; allegalo n. 5, pg. 140; allegato n. 6, pgg. 140-141; allegato n. 7, pgg. 141-142; allegato n. 8, pgg. 142-144; a llegato n. 11, pg. 147; allegato n. 17, pgg. 147-148; a llegato n. 14, pgg. 150-151; a llegato n. 15, pgg. 15 1-154. 3 Ibidem, allegato n. 12, pgg. 147-148. 4 Ibidem, allegato n. 10, pgg. 145-146. 5 Ihidcm, allegato n. 11 , pg. 147. 6 Ibidem, a llegato n. 13, pgg. 148-150. 7 Ibidem, allegato n. 15, pg. 152. 8 Ibidem, allegato n. 16, pgg. 154-155. Vi parteciparono anche il genera le Bedell Smith, capo di stato maggiore del generale Eisenhower, il generale Richardson, capo di s tato maggiore <lei generale Alexander, il generale Joyce, presidente de lla commissione a lleata di contrnl lo, il generale Taylor, capo d i stato maggiore de lla commissione alleata di controllo, il generale Robertson, comandante dello scaglione amministrnLivo avanzato del comando in capo a lleato. 9 Ibidem, vd s. nota precedente. IO B.H. Liddcl Harl. Storia mililare della seconda guerra mondiale. Arnoldo Mondadori, Verona, 1971, pg. 665. 11 Heinrich von Vielinghoff Scheel (1887-1952), generale d 'armata tedesco. Cadetto nel 1906, lt:ncn tc ne l 1907, partecipò alla prima g uerra mondiale e prestò successivamente servizio ne lla Re ichsweh1·. Colo nnello nel 1933, maggior generale nel 1936, tenente gene ra le nel 1938, generale di corpo d'armata (truppe corazzate) nel 1940 e generale d 'armata nel 1943. Durante la seconda guerra mondiale comandò la sa divisione corazzata, il XIIJ corpo d'armata, il XLVI corpo d 'armata corazzato, la 9', la 15a e la 10a armata. Nel 1944 assunse il comando del gruppo arm ate «B » in Italia in sostituzione del maresciallo Kessclring. Mantenne tale comando fino alla capitolazione delle forze ted esche in Italia (3 maggio 1945). 12 Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., pg. 753. 13 Vds. capito lo XXXVI , nota n. 15. 14 Vds capitolo XXXII, nota n. 64 bis. 15 Vds. capitolo XXXV, no ta n. 14 tcr. 16 Vds . capitolo XXXVI, nota n. 25. 17 Vds. capitolo XXXV, nota n. 14 bis.
18 Oliver Leese (sir) (1894-1978), generale ing lese. Nel corso dell a seconda guerra mondiale comandò il XXX corpo d'a rmata britannico in Africa settentriona le e nella conquista della Sicilia. Assunse il comando dell'S• armata nel gennaio del 1944 in sostituzione de l maresciallo Montgomery e lo mantenne fino a l giugno de llo stesso anno, quando fu trasferito in Birmania e sostituito dal genera le Mc C1·eery. 19 Richard L.Mc. Creery (1898-1967), generale inglese. Durante la prima guerra mondiale combatté in Francia a l com ando del 12° lancieri. Frequentò successivamente lo Staff College negli anni 1928-'29. Da brigadiere generale comandò negli anni 1930-'32 la II a brigata di cavalleria. Dal 1932 a l 1939 comandò la 1a divisione G.S.O. Fu poi capo
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di stato maggiore delle forze britanniche nel Medio Oriente. Comandò 1'8 8 armata britannica e negli anni 1945-'46 comandò le forze inglesi in Austria e successivamente quelle in Germania. Fu infine rappresentante britannico nel comitato degli stati maggiori delle Nazioni Unite. 20 Vds. capitolo XXXVI. nota n. 25. 21 Lucian King Truscvll (1895-1965), generale statunitense. Tenente di cavalleria nel 1917 partecipò alla prima guerra mondiale e fu poi studente ed insegnante dal 1920 al 1930 nelle scuole d'arma. Durante la seconda guerra mondiale partecipò al raid di Dieppe (agosto 1942) e poi fu comandante di una brigata della Task /or-ce nel nord Africa (1941). Comandò la 3a divisione di fanteria in Sicilia ed il VI corpo d'armata sul Rodano. Ritornato in Italia nel dicembre del 1944 comandò la sa armala che guidò fino alla vittoria verso le Alpi. Scrisse Command Missions dedicato allo studio della guerra. 22 Liddcl Hart. Storia militar-e della seconda gue,-,-a mondiale. Op. cit., pg. 660. 23 Ibidem, pg. 664. 24 Ibidem, pg. 667. 25 La sola s• armata, dallo sbarco a Salerno fino all 'offensiva contro la stretta di Mignano, perse in combattimento quasi 40 mila uomini ed altri 50 mila per malattia. 26 Vds. capitolo XXXIV, nota n. 6. 21 B.H. Liddel Hart. Storia militar-e della seconda guer-ra mondiale. Op. cit., pg. 742. 2s Ibidem, pgg. 746-747. 29 Anders Wladislaw (1892-1970), generale polact.:u. Durante la seconda guerra mondiale comandò le truppe polacche inquadrate negli eserciti anglo-americani; in particolare 1.:omandò nella campagna d 'Italia il II corpo d 'armata polacco che si distinse a Cassino, nelle Marche e in Emilia. 30 Juin Alphonse (1888-1967), maresciallo di Francia. Fece le prime esperienze in Marocco. Capitano nella prima guerra mondiale, tornò in Marocco e fu consigliere del residente generale a Rabat. Generale nella seconda guerra mondiale, fu fatto prigioniero presso Lilla. Rilasciato per intervento del maresciallo Pétain, nel 1941 fu alla lesta delle fon.e dell'Africa settentrionale dove, dopo lo sbarco allealo, si schier ò con il generale Giraud, comandando prima le forze della Franc ia Libe ra in Tunisia e s u ccessivamente il corpo di spedizione in Ita lia fino all'entrnta in Siena. Nominato marescia llo e accademico di Francia ebbe fino a l 1956 il comando delle fone atlantiche d el Centro Europa. In polemica con De Gaulle sulla politica algerina, lasciò il servizio. 31 B.H. Liddel Hart. Storia militare della seconda guer-r-a mondiale. Op. cit., pgg. 752-753. Ibidem, pg. 755. Ibidem, pg. 757. 34 Ibidem, pg. 758. 35 Ibidem, pg. 760. 36 La 10 • armata tedesca, schierata nel settore orientale della fronte, comprend eva, nella primavera del 1945, il I corpo paracadutisti (S divisioni nominali) ed il LXXVI corazzato (4 divisioni nominali); la 14 3 armata, schierata nel settore occidentale, zona di Bologna inclusa, comprendeva il LI corpo da montagna (schierato sull'ala occidentale) su 4 divisioni nominali ed il XIV corpo corazzato su 3 divisioni (nel settore di Bologna). La riserva del gruppo d'arma te era costituita da 3 divisioni. Il XV gruppo d'arma te alleate comprendeva 1'8• a rmata britannica, schierata 32 33
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sull'ala orientale di fronte alla 10 3 armata tedesca, e la s• armata USA, schierata ad occidente della prima e fronteggiante la 14a armata tedesca. L'8a armata comprendeva il V corpo inglese (4 divisioni), il Il corpo polacco (2 divisioni), il X corpo inglese (ridouo a due gruppi di combattimento italiani ed a 2 brigate, ebraica e Lovat Scouts), il XIII corpo inglese (ridotto alla sola 10 8 divisione indiana), la riserva di armala (6 8 divisione corazzata). La sa armata USA comprendeva il li corpo (4 divisioni), il IV corpo (3 divisioni), la riserva d'armata (2 divisioni corazzate: 1 a USA e 6 3 sud-africana). 37 Herr Traugott (1890-1958), generale d'armata tedesco. Entrato nell'esercito nel 1911 , partecipò alla prima guerra mondiale e prestò poi servizio nella Reichswehr. Generale di brigata nel 1942 fu promosso generale di divisione nello stesso anno. Nel 1943 fu promosso generale di corpo d 'armata (truppe corazzate). Durante la seconda guerra mondiale comandò un reggimento, la XIII brigata, la 13" divisione corazzata, il LXXVI corpo d'armata corazza lo, la 14" armata e poi la to• armata fino al 15 febbraio 1945. 38 Vds. capitolo XXXVIII, nota n. 54. 39 B.H. Liddel Hart. Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., pg. 939. 40 Ibidem, pg. 940. 41 Ibidem, dove alle pagine 936 e 937 si legge: «Un quadro più vicino al vero si ottiene basando il raffronto sul numero di uomini. La sa e 1'8" armala ammontavano complessivamente a circa 536 mila uomini ed a questi si aggiungevano circa 70 mila italiani. T tedeschi dis ponevano in totale di 491 mila uomini, oltre ai 108 mila italiani, ma dei tedeschi 45 mila appartenevano a formazioni di polizia e contraerei. Ancora più significativo è il confronto in termini di truppe comba ttenti e di armi. In aprile, quando aprì l'offensiva, 1'8" armata godeva di una superiorità di circa 2 a 1 in artiglieria (1220 pezzi cont ro 665), di 2 a 1 in truppe combauenti (57 mila con lro 29 mila) e di oltre 3 a I in mezzi corazzati (1320 contro 400). Gli alleati erano inoltre avvantaggiati dall'allività di circa 60 mila partigiani che producevano molta confusione alle spalle dei tedeschi, costringendoli a distogliere truppe dal fronte per contrastarne l'azione. Ancora più importante era la supremazia aerea pressoché assoluta su cui ora gli Alleati potevano contare». 42 Ibidem, pg. 941. 43 Albert Kesselring. Memorie di guerra. Garzanti, Milano, 1954, pg. 203. 44 Ibidem, pgg. 215 e 216. 4 5 Ibidem, pg. 217. 46 Ibidem, pg. 218. 47 Ibidem, pg. 223. In nola: «Secondo fonti alleate, la superiorità sulle truppe tedesche non era considerevole, soprattutto in seguito ai preparativi per l'invasione in Francia. Per chiarire la situazione, ritengo opportuno indicare quali fossero le truppe in presenza 1' 11 maggio 1944, all'inizio della grande offensiva alleata: divisioni di ogni specie: tedesche 22, alleate 25; brigate di ogni specie: tedesche 1, alleate 10; gruppi di ogni specie (compresi paracadutisti, ecc.) tedeschi 3, alleati 11; in totale: tedeschi 26 unità contro 36 alleate. La differenza risulta anche più evidente quando si pensi che le divisioni tedesche (ad eccezione della 44• divisione di fanteria) avevano 6 battaglioni (le divisioni corazzate quattro o cinque), le divisioni alleate invece 9. Se si aggiunge il fatto che le unità tedesche erano per lo più ad effettivi ridotti, risulta che all'inizio le fone di fanteria alleate avevano una superiorità di 3 a I rispetto a quelle tedesche ... Infine l'aviazione alleata aveva il dominio assoluto del cielo... ». 48 Ibidem, pg. 224. 49 Ibidem.
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so Ibidèm, pg. 218.
Ibidem, pg. 224. Ibidem, pg. 225. Ibidem. 54 Ibidem, pgg. 226 e 227. 55 Ibidem, pg. 230. 56 Ibidem. La sproporzione fra le forze aeree tedesche e quelle alleate era di 300 apparecchi contro 4 mila e fino a 5 mila. 57 Ibidem, pg. 235. 58 Ibidem. 59 Ibidem, pgg. 239 e 240. 60 Ibidem, pgg. 240 e 241. 61 'Zukov Georgij Kostantinoviè (1896-1974). maresciallo sovietico. Comandante di cavalleria nella guerra civile, poi specialista di guerra corazzata, nel 1939 diresse le operazioni contro i giapponesi in Manciuria. Capo di stato maggiore generale nel 1940-'41 diresse la battaglia difensiva di Leningrado nell'autunno 1941 , la controffens iva invernale di Mosca nell'inverno, la preparazione e il coordinamento dell'offensiva di Stalingrado nel 1942. Ebbe successivamente il comando del gruppo di armate più importante dello schieramento sovietico, dall'inizio del 1943 all'ingresso in Berlino nel maggio 1945. Fu poi comandante d elle tmppe rnsse d'occupazione n ella Germania orientale; nel 1946 fu destinato a comandi meno importanti per contrasti con Stalin. Nel 1955-'57 fu ministro della difesa, ma dovette lasciare l'incarico nel 1957 per contrasti con Chrusèev. 62 Konev Ivan Stefanovil: (1897-1963), generale russo. Comandante di armata e poi di fronte, prese parte a tutte le maggiori battaglie della seconda guerra mondiale, dalla difesa di Mosca nel 1941 alla lotta per Stalingrado nel 1942, dalla liberazione dell'Ucraina nel 1943 all'offensiva finale contro la Germania. Fu poi comandante in capo dell'esercito sovietico dal I 946 al 1960, comandante delle forze del patto di Varsavia dal 1955 al 1960 e comandante in capo delle forze sovietiche in Germania dal 1961 al 1962. 63 Albert Kesselring. Memorie di guerra. Op. cit., pg. 250. 51
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CAPITOLO
XLIV
L'ESERCITO ITALIANO NELLA GUERRA DI LIBERAZIONE
1. Il raggruppamento motorizzato. 2 Il C.I.L. 3. Limiti operativi del I raggruppamento e del C.J.L. 4. I gruppi di combattimento. 5. Il gruppo Cremona. 6. Il gruppo Friuli. 7. Il gruppo Folgore. 8 . Il gruppo Legnano. 9 l gruppi Mantova e Piceno. 10 Consuntivo.
1.
«L'8 dicembre 1943 il T raggruppamento motorizzato italiano I entrò in linea alle dipendenze del II corpo d'armata statunitense 2, per occupare e mantenere monte Lungo» 3. La preparazione di artiglieria, a ll a quale concorsero i gruppi di artiglieria del raggruppamento, ebbe inizio alle 5,35 ed alle 6,20 la fanteria scattò ali 'attacco. Lo scarso grado di efficacia della preparazione, la mancanza di copertura del fianco sinistro del dispositivo del raggruppamento da parte del 142° reggimento di fanteria statunitense che avrebbe dovuto fornire appoggio con il fuoco, l'arresto prima del raggiungimento degli obiettivi assegnatigli da parte del 143° reggimento fanteria statunitense che avrebbe dovuto spingersi fino a minacciare dal fianco e dal rovescio le forze tedesche a difesa di monte Lungo, l'entità di queste ultime superiore a quelia prevista dal servizio informazioni dell II corpo d 'armata, le asperità del terreno, l'abilità tattica e tecnica dei tedeschi e, infine, lo scarso amalgama del raggruppamento stesso, i cui soldati in gran parte per la prima volta in linea ed ancora sotto l'effetto dell'8 settembre, furono i fattori che nel loro complesso determinarono il fallimento dell'attacco e costrinsero il raggruppamento aripiegare sulla base di partenza ed ivi sistemarsi a difesa. Fu un atto di fede azzardato del comandante del raggruppamento, generale Vincenzo Dapino 4, e degli stessi comandanti statunitensi, quello di lanciare in linea il reparto e di fargli ritentare subito la prova. Un nuovo scacco avrebbe poututo essere fatale non solo al raggruppamento, ma all'intero esercito italiano; i comandanti statunitensi si resero però conto che gran parte delle responsabilità dell'insuccesso ricadeva su di
00 00
M. Lun~o c .ltcz S.Giac.
M. Maggioriz
omo
Schizza n . 2 . I o attacco di M. Lungo - 8 d.icembre 1943 (ideogramma)
M. Sammucro
Schizzo n. 3 - 2° attacco di M . Lungo - 16 dicembre 1943 (ideogramma).
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loro stessi, per aver esposto troppo bruscamente in un'impresa difficile e dura un reparto da poco costituito, psicologicamente ancora convalescente, insufficientemente orientato s ul terreno d'impiego e che, azione durante, non aveva ricevuto dalle unità statunitensi il sostegno previsto. Il comandante del raggruppamento, da parte sua, pur nell'angoscia del dubbio, fece assegnamento sull'energia volitiva dei quadri e sulla volontà di rivincita dei soldati, pe rsu aso che il ritiro dalla linea della sua unità avrebbe avuto riflessi decisamente più negativi. Fidò in se stesso e nei suoi uomini ed ebbe ragione. Subito dopo l' insuccesso, mentre si affrettò a rappresentare alle a u torità italiane superiori l'urgente necessità di rinforzare la fanteria del raggruppamento con un intero battaglione organ ico ed un reparto arditi, attivò una serie di episodi di pattuglie per far superare ai suoi uomini l'impressione de moralizzante dell'insuccesso e rinfrancarne lo spirito combattivo. Alleore9,15 del 16 dicembre il I Raggruppamento motorizzalo ripa rtì all'attacc o di monte Lungo con obiettivo la conq uista della quota 343. La sua azione fu preceduta sulla destra da quelle, sviluppate il giorno 15, dal 141 ° fanteria statunitense, tendenti ad impossessarsi di S. Pie tro, e da quella del 143° fanteria s tatun itense, diretta ad occupare le alture a nord ed a est di S. Vittore, e, sulla sinistra, da quella, sviluppata la notte s ul 16, del 142° fante ria verso le alture a nord-est de lla quota 343. Il raggruppamento, articolato s u di una sola colonna 5, con gravitazione a sinistra, mosse da lla base di partenza dopo una preparazione di artiglieria durata 30 primi. Poco dopo mezzogiorno, nonostante la reazione di fuoco tedesca, occupò l'obie ttivo di attacco ed a sera presidiò il monte congiuntamente con truppe statunitensi, spingendo la linea di sicurezza della sistemazione difensiva fino alla strada nazionale n. 6 e localizzando la linea di resistenza s ulle posizioni di cresta, con funzione di cardine assegnata alla quota 343. Giovarono al su ccesso: la più equilibrata proporzione, r ispetto a quella del giorno 8, tra il dispositivo e l'obiettivo; la maggiore disponibilità di tempo avuta a disposizione per l'orientamento sul terreno e sul nemico; la migliore concatenazione della manovra con quelle delle unità laterali; l'ottimo collegamento tattico realizzato tra le uni tà operanti dei due eserciti; la migliore precisione ed efficacia della preparazione; la stretta cooperazione tra le fanterie e l'artiglieria; la volontà di rivalsa dei soldati italiani che meritarono il riconoscimento s incero, o ltre ch e dei comandanti della sa armata, del II corpo d'armata e della 36a divisione, dello stesso generale Eisenhower c he si recò a bella posta presso il comando del raggruppa mento per esprimere il s uo compiacime nto ;i viva voce al comandante
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ed all'intera unità. Il minor numero di dispersi della seconda a zio ne - 8 anziché I 51 - fu la prova migliore di come in una settimana i soldati de l raggruppamento avessero ritrovato sé s te ssi ed avessero fatto appello, nella particolare atmosfera di depressione mora le, alle loro migliori qualità militari. Monte Lungo fu un'istintiva manifes tazione di orgoglio nazionale e militare e, come tale, divenne un fatto storico emblematico. Esso valse a fugare, o quanto m eno a ridimensio nare, i falsi convincimenti e le speciose perplessità degli alleati, che tuttavia non dismisero del tutto il loro a tteggiamento sospettoso nei riguardi de lla collaborazione militare italiana, nonos tante il riconoscimento della cobelligera nza . D'altra parte il successo di monte Lungo non produsse nel paese, ne lle forze armate, nell'esercito e neppure a ll 'inter no dello stesso / raggruppamento motorizzato, che ne era stato il protagonista, il superamento dell a crisi morale e psicologica determinata dall'8 settembre. Ques ta continuava a manifes tarsi nel paese in tutta la sua ampiezza e gravità ed e ra resa palese dalle dispute politiche corrive che a rrivavano a mettere in discussione anche i valori civici e militari essenzia li della nazione, quando non a ridicolizzare, in sultare e vilipendere le is tituzioni militari . I soldati del raggruppamento vennero persino accu sati di neofascismo e di avven turism o mercenario al servizio di un re e di un governo che li avevano traditi, anziché con siderati comba ttenti a difesa de ll'unità della Patria ed a garanzia del risorgere di questa. Gli idea li di libertà e di de mocrazia non trovavano grande rispondenza nei giovani che e rano stati abituati da l fascismo a vilipenderli e deriderli e che non avevano alcuna esperienza personale del funzionamento de lle libere istituzioni che, oltre tutto, per intanto non esis tevano. Il ritorno a ll a lihe rtà di opinione li trovò impreparati e privi di qualsiasi a utonomia spiritua le, inclini perciò a d accettare ogni estremis mo. l soldati d el ragg ruppamento in particolare- come rife ri va il generale Da pino allo s tato maggiore dell'esercito - sentivano di costituire, in quell'ora di generale malesse re, una sparuta minoranza rimasta ancora in piedi, costretta per giunta a sopportare tutti i sacrifici della nuova guerra senza nemmeno avere alle spalle una unanimità di sentimenti e di propositi. Consegu iva da ciò una mal celata insofferenza, un oscuro e indefinibile disagio morale che inconsapevolmente portava all'ulteriore scadimento del senso del dovere e dello s tesso onore militare. La conclusione era che gran parte dei soldati del raggruppamento... non voleva più saperne di combattere contro chicchessia. Gli atti di inso fferenza e di indisciplina cominciavano già a farsi nnn infrequenti; lo stesso avveniva per le assenze arbitrarie 6.
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Il generale Dapino rappresentò l'impossibilità che il raggruppamento potesse continuare a rimanere in prima linea senza un adeguato periodo di riposo, necessario a riaccendere gli elementi che sorreggono lo spirito di una unità combattente: la consuetudine del dovere, il senso d e lla stabilità de i valori essenziali di un popolo, la rinascita della fede nell'avvenire della Patria. Anche la situazione organica del raggruppamento - che nelle due azioni su monte Lungo aveva avuto 57 morti (di cui 5 ufficiali), 132 feriti (di cui 9 ufficiali) e 159 dispersi - si era fatta tale da sconsigliarne l'ulteriore impiego in linea. Fucosì che il comandante rispose negativamente alla richiesta rivoltagli dal comando de l II corpo statunitense di sostituire in linea con un proprio battaglione un battaglione del 501 ° reggimento paracadutisti statunitense. Le autorità a lleate decisero allora di trasferire il raggruppamento nelle retrovie e di porlo sotto il controllo diretto del comando della sa armata. Dalla fine di dicembre ai primi giorni del successivo febbraio, ritirato dalla linea, il raggruppamento poté attendere al suo consolidamento morale, al s uo riordinamento organico ed all'attività addestrativa nel quadro d el le direttive fissate a questo ultimo riguardo dal comandante della 5a armata statunitense 7. Curare l'addestramento disciplinare, insistere sull'a ddestramento tecnico e tattico, eserci tare le pattuglie a lle azion i notturne ed abituarle a riferire fatti e non supposizioni, addestrare le unità a muove re in attacco sfruttando l'oscurità, insistendo sul controllo del movimento e sulla stretta disciplina delle luci e dei rumori, esercitare le unità di artiglieria alla rapida occupazione di nuove posizioni sia di giorno che di notte, diffondere in mezzo ai reparti una maggiore coscienza igienica: tali i punti principali delle direttive, non d iverse del resto da quelle già note, ma che il comando della 5 a armata sentì il bisogno di ricordare perché la loro applicazione o veniva disattesa o quanto meno non sufficientemente curata. Ma se il lavoro per elevare il tono morale e la preparazione professionale poté essere subito iniziato, non appena venne effettuato il trasferimento dalla prima linea alla zona di Venafro-Ceppagna 8, la risoluzione degli altri problemi - assegnazione di un battaglione di fanteria selezionato e di una compagnia bersaglieri pure selezionata.invio di quadri altamente qualificati, miglioramento della qualità del personale e dell'armamento, aumento del numero dei reparti, predisposizioni per il ripianamento delle perdite e per la rotazione in linea del personale - richiese molto più tempo, tanto che un'ispezione effettuata il I O gennaio da ufficiali alleati giunse alla conclusione che il raggruppamento non era in grado di combattere, e anche se
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messo in azione non poteva essere mantenuto in combattimento 9. Vi fu allora da parte del comando della 5a armata l'intenzione di conferire al raggruppamento la fisionomia di unità di lavoro e non di unità di combattimento, tanto che: 250 suoi artieri vennero inviati a prestare servizio presso unità statunitensi; una compagnia del 67° fu trasferita a Teano per il servizio di gua rdia e di scarico e carico di munizioni presso unità inglesi; il 67° fanteria fu posto alle dipendente del II corpo d'armata; la compagnia artieri del genio fu destinata all'impiego in lavori stradali nella zona di Venafro a favore degli americani. Poco mancò che tutto il lavoro per la partecipazione italiana alla guerra contro i tedeschi, mediante l'impiego di unità in prima linea, andasse perduto e che allo spirito di comprensione dei desideri italiani dimostrato a monte Lungo gli statunitensi sostituissero ancora una volta la freddezza e la diffidenza iniziali, anche perché veniva generalizzandosi tra di essi la convinzione che gli italiani fossero brava gente, ma incapace di grandi cose. Di fronte a tale pericolo lo stato maggiore dell'esercito, quasi a fare intendere che i ritardi nel riassetto del raggruppamento dipendessero dal generale Dapino - che, viceversa, aveva fatto tutto il possibile per l'efficienza del suo reparto - sostituì questo con il generale Umberto Utili che, lo stesso giorno (24 gennaio) in cui assunse il comando effettivo (era stato destinato a tale comando fin dal 9 gennaio, ma era stato trattenuto in Puglia per presenziare alle operazioni di approntamento di alcune unità destinate al raggruppramento), si recò al comando della sa armata dove, dopo aver rappresentato la situazione del momento, espose il programma di afflusso delle truppe dalla Puglia e gli intendimenti dei comandi italiani: ottenne che al raggruppame nto venisse nuovamente riserbato un compito di combattimento e fece riserva di comunicare quando effettivamente l'unità sarebbe stata pronta per riportarsi in linea. Al termine dei colloqui , il comando della sa armata redasse un m emorandum circa gli argomenti trattati dal generale Utili ed esso venne sottoposto al capo di stato maggiore dell'arma ta e da questi approvato. Il raggruppaménto avrebbe compreso: 1 reggimento di fanteria su 2 battaglioni (68° fanteria), 1 reggimento bersaglieri su 2 battaglioni (XXIX e XXXIII), 1 battaglione paracadutisti su 3 compagnie, 1 battaglione alpini comprendente anche una batteria someggiata da 75, 1 battaglione arditi, le unità di artiglieria e del genio già in organico. Esso da motorizzato sarebbe stato trasformato in normale. Le unità assegnate cominciarono a giungere verso la fine di gennaio, ma la nuova formazione ordinativa venne completata solo a metà febbraio. Frattanto era stata curata anche la branca logistica mediante la trasfor-
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mazione del nucleo di sanità e di quello di sussistenza in sezioni e la costituzione di due reparti trasporti (250° reparto salmerie e 250° autogruppo misto). Il 5 febbraio i] raggruppamento cessò di dipendere direttamente dal comando della 5a armata e venne posto agli ordini del corpo di spedizione francese e, in pa r·ticolare, del comando della 2a divisione marocchina. Esso gradualmente fece ritorno in prima linea schierandosi nella zona delle Mainard e con il compito di p rotegge re la strada di arroccamento Colli-Scapoli-Cerasuolo. Oltre che sbarrare le pendici est ed ovest del monte Castelnuovo, esso doveva assicurare il collegamento con la sinistra della divisione polacca dell'8 a a rmata britannica. Costituì in tal modo l'estremo limite orientale della fronte della 5a arm a ta e l'elemento di congiunzione tra le due armate. Nell'ambito della 2 a divisione marocchi na a rticolata in due sottosettori - nord e s ud - il raggruppamento fu inquadrato nel settore no r d che lo utilizzò per r inforzare la posizione di resistenza e per conferire maggiore profondità a l dispositivo. Il corpo francese, frattanto, ve-
niva preparandosi ad un 'azione offensiva ed in vista di questa i1 gruppo nord della 2 3 m arocchina ebbe l'ordine di rinforzare l'occupazione del terreno, di serrare il contatto con il nem ico e di tenersi pronto per sostenere l'azione offensiva e nel contempo di tenersi in misura di arrestare il nemico specialmente in corrispondenza della direttrice Passero-Rotolo, in modo da ampliare verso nord l'azione del settore sud, di assicu rare a nord il collegamento con la divis ione polacca Carpatica e di premere sul monte S. Croce ed in direzione del monte Mare. Il raggruppame nto ebbe il compito di difendere l'integrità de lle posizioni presidiate e, nello stesso tempo, di esercitare una robusta pressione verso nord. li 19 febbraio il generale Utili 10 eman ò l'ordine di operazioni per la difesa delle posizioni di CastelnuovoRocche tta 11, In tale ordine venivano precisati anche: la temporaneità dell'atteggiamento difensivo e le dire ttive generali per la difesa (articolazione in due sottosettori di battaglione); l'andamento dell a posizione di resistenza nei due sottosettori; l'esigenza d ella garanzia del possesso de ll'osservator io di q. 1250 del monte Castelnuovo a saldatura dei due sottosettori e que lla di un robusto collegamento materiale con le unità polacche sulla destra e con le unità m arocchine sulla s inis tra. Tale schieramento dové essere ritoccato in seguito ad un restringimento verso nord di quello del corpo francese 12. Il 10 m arzo il comandante del gruppo n ord 13 informò il ge nera le Utili che il corpo di spedizione francese avrebbe lasciato lo schiera mento in atto per essere impiegato in a ltro settore e che conseguentemente il rag-
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gruppamento, rimanendo in posto, avrebbe ampliato il suo settore con l'inclusione delle Mainarde, passando alle dipendenze del corpo d'armata polacco, al quale sarebbe stato affidato il settore tenuto dal corpo di spedizione francese. Dopo varie riunioni tenute nei giorni successivi, al livello del comando francese del gruppo nord, del comando della sa divisione polacca Kresowa e del comando del I raggruppamento italiano, venne concordato che la zona delle Mainarde sarebbe stata tenuta inizialmente dalle truppe polacche, che la sostituzione di queste con truppe italiane sai-ebbe avvenuta nei primi giorni di aprile, che il comando della sa divisione polacca si sarebbe impiantato a Montaquila, che l'ordinamento tattico dell'l I O artiglieria sarebbe stato opportunamente modificato mantenendo come massa di manovra un gruppo da 105/28 e un gruppo da 100/22 e, per la difesa del settore, un gruppo da 75/18 a favore del I battaglione del 68° 14_ Si chius e a llora il periodo di collaborazione de l raggruppamento con le forze francesi, cominciò quello di collaborazione con le truppe polacche; ebbe termine il ciclo operativo svolto nell' ambito della sa armata statunitense ed iniziò quello nell'ambito dell'8 8 armata britannica. Compito del raggruppamento res tava que llo di impedire ai tedes chi di di scende re dal colle dell'Altare-monte Mare in direzione sud e sud-est, di s barrare la valle di Mezzo ed il colle Gardini ; di ass icurar e la difesa nei punti di contatto: sulla destra con la 3 a divisione Carpatica, sulla sinistra con la va brigata polacca. Frattanto il raggruppamento aveva incessantemente continuato la sua attività sia nel campo ordinativo che in quello operativo-addestrativo. L' J l febbraio, proveniente dalla Sardegna, giunse il battaglione arditi su 3 compagnie (1 da sbarco e 2 sabotatori); a metà febbraio arrivarono il 68° reggimento fanteria e il XXXIII battaglione be rsaglie ri e rientrò la compagnia artieri già aggregata al II corpo d'armata statunitense per i lavori stadali; vennero poi effettuati i cambi in linea del XXIX battaglione bersaglieri (con il JI/68°); il V battaglione controcarri cessò di e ssere autonomo e si trasformò in III battaglione armi di accompagnamento del 68° reggimento fanteria 14. Alla fine di febbraio giunsero anche parecchi elementi per i servizi (due scaglioni del 250° reparto salmerie e 1'866° ospedale da campo); il 1° marzo venne costituito il CCL autogruppo misto (comando, 1 autoreparto comando, 1 autoreparto leggero, J autoreparto misto). Mancavano tuttavia per completare il raggruppamento parecchi reparti - alpini, guastatori, batterie di artiglieria - che lo stato maggiore dell'esercito aveva comunicato che presto sarebbero giunti nella zona e cioè il battaglione alpini Piemonte con relativa batteria da 75/ 13 ed il CLXXXIV bat-
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taglione guastatori. Entro i limiti di forza fissati dai comandi alleati si stava, inoltre, provvedendo ad approntare un altro battaglione alpini in Sardegna, un gruppo someggiato da 75/13 su 2 batterie e un gruppo da 149/19. Sotto il profilo operativo, i reparti in linea si erano andati temprando alla lotta svolgendo ripetute piccole azioni di pattuglia, quasi tutte conclusesi a favore delle armi italiane. Anche nel campo morale, le cose avevano cominciato ad andare meglio mediante l'ampia serie di provvedimenti adottati dal generale Utili, quali l'allontanamento dei reparti maggiormente scossi, il riodinamento dei reparti rimasti a far parte del raggruppamento, gli interventi disciplinari e giudiziari contro gli elementi riottosi, l'azione assidua di assistenza morale e materiale praticata a favore delle truppe. 11 24 marzo giunsero il 470° ospedale da campo e la 29 3 ambulanza radiologica ed il 14 arrivò il battaglione alpini Piemonte. Quanto al genio, constatatane l 'insufficienza in relazione alle progressivamente crescenti esigenze, il comandante del raggruppamento rappresentò allo sta to maggiore dell'esercito la necessità che gli fossero tempestivamente messi a disposizione un'altra compagnia artieri, due plotoni telegrafisti, un plotone idrici e gli elementi necessari alla istituzione di un posto di avviamento materiali del genio, dotato di materiale vario sufficiente a i primi bisogni in ogni campo di attività. Se il raggruppamento era s tato già, e continuava ad essere, ampliato e migliorato' in tutti i settori - la sua forza era stata raddoppiata, la sua articolazione razionalmente rimaneggiata, il suo morale notevolmente elevato - l'armamento e l'equipaggiamento erano rimasti, invece, quelli di sempre, o quasi, e lo stato maggiore dell'esercito non riusciva a superare le gravi carenze che riguardavano persino il vestiario e le calzature, resi particolarmente indispe nsabili dalla stagione e dal difficile ed aspro terreno montano. Ai primi di aprile il raggruppamento constava di 7 battaglioni (I e 11/68, XIX e XXXIII bersaglieri, battaglione paracadutisti, battaglione arditi, battaglione alpini Piemonte) e, sebbene avesse una consistenza di forze quasi pari a quella di una divisione e la fisionomia di una vera e propria grande unità elementare pluriarma, gli alleati non gli vollero riconoscere tale ruolo e lasciavano cadere tutte le proposte che lo stato maggiore dell'e sercito ed il Comando Supremo avanzavano al riguardo. Con il passaggio di dipendenza dalla 5a all'8a armata venne prendendo corpo un'operazione, che il generale Utili aveva studiata e concordata con il comando del corpo di spedizione francese, riguardante la conquista di monte Marrone, una pos izione di osservazione e di dominio tattico di notevole rilevanza che avrebbe potuto essere occu-
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Schiz"o '· n. .4 - L ' azione d'I M • M arrone . 31 marzo 1944
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pata dai tedeschi. Il 22 marzo, dopo l'arrivo del battaglione Piemonte, il generale Utili rappresentò l'opportunità dell'impresa 15, sottolineando come il monte Marrone in mano tedesca avrebbe potuto compromettere molto seriamente le condizioni della difesa nel settore di Castelnuovo e nel settore delle Mainarde e, una volta occupato dai tedeschi, sarebbe stata un'operazione di dubbio esito e comunque assai costosa tentarne la rioccupazione di forza. Per prevenire tale eventualità sarebbe stato perciò opportuno impradonirsene il più presto possibile di sorpresa, mediante pattuglie a ventaglio che giungessero pressoché contemporaneamente sulla linea di cresta e quivi attivassero un servizio di vigilanza leggera, mentre le unità destinate a presidiare la posizione, (nel complesso non più di 200 uomini) avrebbero dovuto iniziare l'ascesa dalla quota 1180 e dalla valle Petrara sì da potersi installare sul monte tra le 9 e le 10 del mattino. Al loro seguito colonne di portatori nella misura più. larga possibile. L'operazione, che già aveva ottenuto il 23 marzo l'approvazione de l comandante della 2a divisione marocchina, fu resa esecutiva dal comandante della sa divisione polacca Kresowa che si affrettò ad emanare un'istruzione orientativa 16 con la quale intese anticipare i tempi per prevenire l'occupazione del monte da parte tedesca prima dello scioglimento delle nevi. Il generale Utili affidò la direzione e la condotta dell'operazione al comandante della fanteria del raggruppamento, colonnello Ettore Fucci, che da parte sua emanò un ordine di operazione con disposizioni e modalità particolareggiate e minute, dirette a realizzare la sorpresa ed a sviluppare l'azione nel modo migliore sia dal lato tattico che da quello tattico-tecnico 17. L'operazione ebbe inizio alle ore 3,30 del 31 marzo, si svolse secondo il piano previsto con regolarità e precisione, si concluse con pieno s uccesso e senza perdite mercé la tenacia, la buona volontà e l'intellige nte concordia degli sforzi, come ebbe a sottolineare il generale Utili. Quanto ai tedeschi, la loro sorpresa fu grande, tanto che in un primo tempo si mostrarono disorientati, dando persino sull'azione notizie disparate e discordanti 18. Nei giorni seguenti, dal 2 al 10 aprile, essi svolsero un'intensa attività di pattuglie per prendere contatto con la nuova linea difensiva del settore del raggruppamento - rimaneggiata dopo l'occupazione del monte Marrone - ed accertarne la consistenza. Non ottenuto alcun risultato con le frequenti azioni di bombardamento e fallite tutte le piccole puntate esplorative, i tedeschi passarono ad azioni di pattuglie più consistenti ed alla fine, il 10 aprile, tentarono un attacco di compagnia contro le posizioni del monte. L'attacco preparato e sostenuto dal fuoco di artiglieria, di mortai, di tromboncini e armi automatiche pesanti
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fu respinto dagli elementi di manovra del battaglione Piemonte e del CLXXXV battaglione paracadutisti e gli attaccanti dovettero ripiegare sulla base di partenza. Tale successo, benché di proporzioni locali e modeste - in effetti si trattò del fallimento di un attacco nemico di compagnia - elevò il tono morale dell'intero raggruppamento e suscitò reazioni favorevoli presso i comandi alleati 19 che, subito dopo il fallimento dell'attacco tedesco al monte Marrone, ampliarono i compiti ed il settore assegnati al raggruppamento. Il 5 aprile il generale comandante dell'8a armata britannica preannunciò il passaggio di dipendenza del raggruppamento dal II corpo polacco del generale Anders al X corpo d'armata britannico - che avrebbe sostituito in linea appunto il II corpo polacco - e dispose che anche il settore tenuto da un battaglione della Carpatica passasse sotto la responsabilità del raggruppamento, che avrebbe dovuto provvedere a presidiarlo con proprie forze, ampliando così la propria fronte difensiva sulla d estra verso nord-est. Il generale Utili non mancò di rappresentare di venirsi a trovare, in caso di esecuzione dell'ordine, in una situazione che avrebbe potuto provocare gravi conseguenze stante l'assoluta sproporzione dell'ampiezza della nuova fronte rispetto alle forze disponibili 20, ma il comando del X corpo britannico mantenne fermo il suo intendimento. Il 15 aprile il raggruppamento passò alle dipendenze del X corpo d'armata britannico schierato su 4 settori, dei quali quello denominato « Y » venne assegnato al raggruppamento con il compito di stabilirvi basi salde 21_ Il 15 aprile ebbe termine il breve periodo di collaborazione con le forze polacche e dall'indomani ebbe inizio quello con le forze britanniche. Nell'occasione sia il generale Anders sia il generale Nicodemo Sulik, comandante della sa divisione polacca Kresowa , espressero, per iscritto, al generale Utili il proprio compiacimento 22 pe r i risultati ottenuti dalla collaborazione fra truppe italiane e truppe polacche. A metà aprile (giorno 18) il raggruppamento - divenuto oramai una vera e propria grande unità - mutò la sua denominazione in Corpo italiano di liberazione 23: un riconoscimento ed un premio per tutto quello che in una situazione morale, psicologica e materiale quasi senza speranze, con scarsezza di uomini e di mezzi, il/ raggruppamento motorizzato era riuscito a fare fino al te rmine del suo ciclo operativo, con il sacrificio di 93 morti e 315 feriti. Il mutamento di denominazione non fu un fatto formale. Il raggruppamento, che inizialmente aveva avuto una forza di soli 5000 uomini, nell' aprile del 1944 contava 9-1 O 000 uomini, era riuscito a pressoché raddoppiare la sua forza,
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superando tutti gli ostacoli sistematicamente frapposti dalla diffidenza degli anglo-americani al Comando Supremo ed allo stato maggiore dell'esercito. Furono comunque proprio gli sforzi del maresciallo Messe e del generale Berardi 24 ed il brillante comportamento in linea del raggruppamento a dischiude re all'esercito un campo di azione più vasto. I soldati del raggruppamento, al di là delle debolezze e degli errori di alcuni di loro, impartirono al Paese una lezione impareggiabile. L'insegnamento dei pochi - che pur maledicendo forse la loro sorte non vollero responsabilmente uscire dai ranghi - giovò ai molti che poi li raggiunsero. Senza quella sparuta minoranza la guerra di liberazione non avrebbe assunto il carattere di evento nazionale che ebbe. La partecipazione delle formazioni partigiane non sarebbe stata sufficiente da sola a fare della guerra di liberazione il punto di riferimento spirituale, politico e costituzionale per mezzo del quale, al di sopra di ogni ideologia di parte, il popolo italiano seppe ritrovare sé stesso. Malgrado lo scoraggiamento dal quale si sentiva oppresso, l'esercito non abdicò alla sua funzione di difesa dei valori tradizionali insos ti tu ibili - amore della patria, dedizione al dovere, spirito di sacrificio e di rinunzia - ai quali si era sempre ispirato nelle guerre passale, rimanendo estr·aneo ad ogni interesse che non fosse quello dell 'unità, della libertà e della sovranità dell'Italia.
2.
Negli intendimenti del comando del XV gruppo di armate alleate, il Corpo italiano di liberazione (C. l.L.) non avrebbe dovuto superare la forza di 14 mila uomini 25. Ben diverso l'intendimento delle autorità militari centrali italiane che venivano facendo tutto il possibile per aumentare l'e ntità della partecipazione dell'esercito alla campagna d 'Italia. Il Comando Supremo e lo s tato maggiore dell'esercito avevano divisato di costituire il C./.L. su 2 divisioni: la Legnano, mendiante la trasformazione del I raggruppamento, e la Nembo, rientrata per intero dalla Sardegna, che avrebbe mantenuto la preesistente costituzione organica. La Legnano avrebbe dovuto essere articolata su 2 brigate (in media 4-5 battaglioni per brigata con un gruppo di artiglieria). Con tale ordinamento tattico le autorità militari centrali si ripromettevano di passare, appena possibile, alla formazione di un corpo d'armata, che in quel momento non ritenevano opportuno proporre anche per evitare che alle unità italiane venissero affidati compiti e settori sporporzionati alle effettive possibilità morali e materiali
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delle unità stesse. Ma, come era avvenuto per il I raggruppamento motorizzato, anche per il C./.L.dovettero intercorrere numerose discussioni e riunioni prima che si addivenisse (26 maggio) all'autorizzazione da parte dei comandi anglo-americani ad assegnare la divisione paracadutisti Nembo per J'impiego in zona operativa alle dipendenze del comando del C.J.L. 27. Senza la costante pressione congiunta del maresciallo Messe e del generale Berardi, che seppero superare tutte le difficoltà che si paravano loro periodicamente davanti e seppero disbrigarsi da tutte le pastoie che le varie commissioni e sottocommissioni di controllo alleate riuscivano ad imbastire, la forza dei combattenti italiani sulla fronte non avrebbe potuto essere portata a 24 mila anziché 14 mila uomini. In seguito a tale provvedimenti il C.I.L. acquisì la fisionomia che il Comando Supremo e lo stato maggiore dell 'esercito avevano progettato sin dai primi di aprile. Il 2 giugno il generale Berardi ed il comandante del V corpo d'armata b r itannico, alle cui dipendenze era stato previsto il C.I.L. venisse costituendos i, concordarnno la creazione, nel territorio del V corpo inglese, di una delegazione dello stato maggiore italiano allo scopo di poter disporre di un organo regolatore e coordinatore delle attività disciplinari, logistiche e a mministrative delle unità del C.I.L. 28_Una organizzazione questa che avrebbe potuto servire, al momen to opportuno, a facilitare la formazione di un comando di corpo d'armata quando le truppe del C.l.L. fossero state completamente ordinate su due divisioni . A capo della delegazione venne nominato il generale De Stefanis 29 già comandante d el LI corpo d 'armata. Ma i comandi alleati continuarono ad opporsi alla creazione di un corpo d'armata italiano, per cui in luogo di procedere con le forze del I raggruppamento motorizzato alla costituzione della divisione di fanteria Legnano, lo stato maggiore d ell'esercito dové limitarsi a d articolare quelle forze in due brigate. Nel mese di giugno il C.J.L. si articolò su: un comando del corpo (comandante generale Umberto Utili, già comandante del I raggruppamento); comandi artiglieria e genio; divisione Nembo su: 2 reggimenti di fanteria (183 ° e 184 ° ) a formazione binaria, 1 reggimento artiglieria su 2 gruppi (1 da 75/27 ed 1 da 100/22) ed l batteria da 20, 1 batta glione guastatori, 1 compagnia motociclis ti, 1 compagnia mortai da 81, 1 compagnia minatori, I compagnia collegamenti, servizi; Ia brigata su: 4 ° reggimento bersaglieri (2 battaglioni: XXIX e XXXIII), 4 ° reggimento alpini (2 battaglioni: Piemonte e Monte Granero), 1 battaglione di paracadutisti (CLXXXV Nembo), 1 gruppo artiglieria someggiata da 75/13; na brigata su: 68 ° reggimento fanteria (2 battaglioni}, battaglione marina Ba/ile, TX reparto d'assalto, 1 gruppo d'artiglieria someggiata da 75/13. Inoltre:
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11 ° reggimento a rtiglieria su 5 gruppi e 1 batteria da 20 (I gruppo da 105/28, II da 100/22, III e IV da 75/ 18, V da 57/50 e.e.); 1 gruppo da 149/19; 1 battaglione misto del genio (LI); servizi (1 sezione di sanità, 4 ospedali da campo, 1 nucleo chirurgico, 1 ambulanza radiologica, t sezione sussistenza, 1 sezione panettieri, posto munizioni, posto ma-
teriali genio, 1 autogruppo misto, 1 reparto salmeria). La consistenza era dunque quella di un piccolo corpo d'armata, ancorché divis ioni e reggimenti fossero solo a formazione binaria e come tali di pe r sé incapaci di sforzi prolungati e di azioni manovrate ampie e profonde. Ma a parte la debolezza fi siologica e funzionale delle tre piccole grandi unità, le quali, tranne che per l'artiglieria, avevano una formazione che ricordava un po' alla lontana quella della divisione binaria, le gravi lacune del C./.L. e rano la scarsezza dell'artiglie ria, la deficie nza de i mezzi motorizzati, l'assenza assoluta di unità corazzate e la dotazione di armamento e di equipaggiam ento in buona parte superati . Da qui la preoccupazione delle autorità militari centrali perché il C./.L. venisse impiegato in montagna, in modo da sfruttarne il rendimento là dove le truppe a lleate sarebbero state meno in grado di combattere, e pe rché ne venisse evitata l'utilizzazione sui terreni di pianura, dove non avrebbe potuto non sfigurare rispetto a lle unità a llea te r iccamente dotate di m ezzi motorizzati e corazzati. In un periodo di poco più di quattro mesi. dall'ultima decade di aprile alla fine di agosto, il C.I.L., sempre al comando del generale Utili, partecipò a ll 'offensiva a lleata d ella primavera-estate 1944, risalendo la penisola dal Sangro al Metauro, ed affrontò una serie di duri combattimenti che possono essere ripartiti in tre cicli operativi riferiti alle zone d'impiego: il primo, dal 18 al 3 1 maggio, ne lla zona deile Mainarde; .il secondo, dal 1° giugno al 16 agosto, nel settore adriatico; il terzo, dal 17 a] 31 agosto, dalla zona di Sassoferrato a quell a di Urbino. Inizialmente il C./.L. mantenne i compiti, lo schieramento e le dipenden ze (X corpo d 'arma ta britannico) del/ raggruppamento motorizzato. Verso la fine del mese di a prile, il comando del X corpo d'ar mata britannico restrinse il settore difens ivo del C.I.L, 30 ma tale riduzione ebbe breve dura ta perc hé, il 17 m aggio, il comando del X corpo allargò nuovamente il settore difensivo. Un altro allargamento, questa volta sul limite occidentale, venne disposto verso la metà di m aggio 3 t ed il C./.L. assunse la responsabilità di un tratto del settore già della 2 a divisione neozelandese. L'attività operativa del C./.L. dal 18 aprile a l 27 m aggio fu cara tterizzata, oltre ch e dagli spostamenti di unità necessari a realizzare la difesa
(
28·29·30/V/1944 )
-..., o
Schizzo n. 5 . Operazione Chiant i (28, 29, 30 maggio 1944)
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della fronte difensiva secondo le varie modificazioni delle linee di responsabilità assegnate di volta in volta e necessari ad inserire nello schieramento le n.uove unità in afflusso 32, dalle operazioni proprie dell'atteggiamento difensivo (incursioni di pattuglie, colpi di mano, ostacolo del pattugliamento nemico, ecc.). Nel quadro dell'offensiva di primavera contro la linea Gustav, il comando del X corpo d'armata britannico manifestò l'orientamento, fin dall'ultima decade di aprile, ad affidare al C./.L. operazioni offensive nella zona del monte Mare e del monte Cavallo e, sulla base di quei primi orientamenti, il generale Utili preparò i suoi piani di azione ed il 9 maggio ne mise al corrente i comandanti in sottordine. Il generale McCreery prospettò al generale Utili l'opportunità di un'azione offensiva su Picinisco partendo dalla zona del monte a Mare-colle dell'Altare. L'azione frontale contro il monte Cavallo, che cala a pareti ripide su Valle Vena/rana, dove anche un aggiramento da sud sarebbe andato ad urtare contro difficoltà di terreno quasi insuperabili, venne subito contestata dal generale Utili che per una corretta impostazione Lallica dell'operazione propose l'aggirumeniu da nord. All'operazione fu dato il nome Chianti. Essa ebbe inizio la mattina del 27 maggio e cominciò con una avanzata generale su tutta la fronte. L'avanzata, in un primo tempo, tranne che nel settore del 68° fanteria, non im.:uulrù re~is lenza e gli obiettivi assegnati ve1mero raggiunti, tanto che il comandante del C./.L. dette subilo l'ordine di eseguire un'azione concentrica da nord e da sud in direzione dell'unico varco - la q. 1961 - di monte Cavallo, il quale venne conquistato, mentre reparti del Piemonte ne estendevano poi l'occupazione. Le due giornate di combattimento, ancorché il nemico fosse in corso di sganciamento graduale e progressivo, non furono prive di fatti d'arme di notevole rilievo e s0prattutto più che per l'azione degli elementi ritardatori tedeschi, esse richiesero, per le asperità del terreno che resero difficoltosissimo il movimento, un grande sforzo fisico che tutte le unità affrontarono e superarono brillantemente con slancio ed elevato spirito combattivo. Non meno faticosa fu l'avanzata del 68° fanteria e del CLXXXV battaglione paracadutisti nella giornata del 29, attraverso un terreno rotto, fittamente boscoso e per lunghi tratti minato. Particolarmente faticosa, a causa dell'asperità del terreno, l'avanzata del battaglione alpini Piemonte che, trovatosi nell'impossibilità di proseguire a cavallo della stre tta ed impervia valle, pernottò su posizioni idonee con l'intendimento di riprendere l'azione l'indomani, 31 maggio, agendo per l'alto e da entrambi i contrafforti fiancheggianti la valle, ma verso le 22 gli giunse l'ordine di raggiungere la base del C.I.L., che per intero doveva trasferirsi in altro settore. 1
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Ebbe così termine il primo ciclo operativo del C./.L. che in 4 giorni, dal 27 al 30 maggio, aveva raggiunto gli obiettivi assegnati. Vero è che l'ultima puntata offensiva del Piemonte non era riuscita a raggiungere l'obiettivo finale di Opi, nondimeno essa aveva adempiuto egregiamente la funzione di colpo di sonda esplorativo e chiarificatore, portando l'apprensione e l'aJlarme in un punto sensibile e delicato dello schieramento nemico sulla linea del Sangro. In definitiva il C.IL, nel ciclo operativo svolto nella zona delle Mainarde, aveva adempiuto in tutte le circostanze i compiti difensivi ed offensivi che gli erano stati affidati con risultati tattici remunerativi anche se non di grande rilievo e, soprattutto, si era guadagnato la fiducia ed il rispetto delle truppe alleate 35 a fianco delle quali aveva tenuto le posizioni e, negli ultimi giorni, aveva avanzato non dando tregua al nemico che ripiegava. Ottima era stata la ripresa dello spirito combattivo e del morale ai quali avevano giovato la riacquistata fiducia e consapevolezza delle proprie capacità operative contro gli ostacoli opposti dal nemico, uscito più volte battuto dagli scontri locali, e contro le difficoltà e le asprezze del terreno d'azione, brillantemente superate in ragione della capacità manovriera espressa sul particolare terrt!no montuoso non solo dagli alpini, ma da tutte le unità del C./.L.. Il ciclo operativo nel settore adriatico - dal 1° giugno al 16 agosto - divisibile in due fasi, ebbe caratteristiche del tutto diverse da quelle del ciclo precedente. Fu un ciclo nelle sue linee generali molto dinamico, éoncretatosi in un'avanzata profonda circa 350 km ed in una serie di combattimenti di tallonamento dei tedeschi in ripiegamento. Questi, in corrispondenza di talune località e di alcuni corsi d'acqua, opposero resistenze robuste ed accanite. Nei giorni 1, 2 e 3 giugno le unità de l C.J.L. si trasferirono su tre scaglioni dalla zona delle Mainarde e quella attorno a Lanciano e passarono dalle dipendenze del X corpo d'armata britannico a quelle del V corpo, comandato dal generale Allfrey 36.Entrò a far parte del C./.L. anche il battaglione della marina Ba/ile, già a disposizione del XIII corpo britannico. In questo modo ai primi di giugno tutte le forze nazionali combattenti poterono essere riunite sotto un unico comando, appunto quello del C.l.L.. Inquadrato tra la 4a divisione indiana a destra e la D. Force a sinistra, il C.l.L. si schierò a difesa con: a sinistra la IP brigata, a destra la divisione Nembo, rinforzata dal battaglione Bafile; rimase in riserva la 1a brigata. Per le operazioni furono assegnati in riforzo al C.l.L. il 2° reggimento thanks della vna brigata corazzata britannica, il 166° reggimento artiglieria campale inglese, il battaglione mitraglieri Raj Rif,
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Schizzo n. 6 - L'avanzata del C.I.L. (maggio-agosto 1944)
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i mortai da 4,2 del 9° Manche del 149° reggimento artiglieria, il DXIII gruppo artiglieria controcarri, il CL ed il CLI gruppo controcarri del 93 ° reggimento, la 651 a squadriglia da osservazione aerea. Dalla semplice enumerazione delle unità britanniche messe a disposizione del C./.L. si può facilmente arguire come il C.I.L. difettasse di carri armati e di armi controcarri e come altresì fosse necessario spostare a favore dell'artiglieria la proporzione fra questa e la fanteria. All'aumento dell'efficienza operativa, oltre l'assegnazione di unità britanniche in rinforzo, contribuì non poco il graduale miglioramento dello stato fisico e del tono morale delle truppe determinato dall'abbondanza e varietà del vitto, dal soddisfacente grado di rispondenza alle necessità del corredo e dell'equipaggiamento, dalla con siderazione che gli alleati dimostravano vieppiù di manifestare nei riguardi dei combattenti italiani che da monte Lungo alle Mainarde avevano dato prove di capacità combattiva e di abilità tattica conquistando successi in operazioni di graduale più ampio respiro. Si può dire che non era stato condotto ancora a ten11ine lo schieramente nel nuovo settore, quando si dovè dare inizio ad un'intensa attività di pattuglie diretta a saggiare le posizioni nemiche in vista di w1'avanzata generale della fronte nel caso che i tedeschi dessero inizio ad un loro ripiegamento. Il mattino del giorno 8, infatti, ebbe inizio l'azione offensiva sferrata dalla 4a divisione indiana, alla quale concorse fin dal primo momento una compagnia del XVI battaglione del 183° Nembo, una del 68° reggimento fanteria e una del IX reparto d'assalto. La divisione Nembo, che non incontrò resistenza, raggiunse in giornata tutti i suoi obiettivi; non così la IP brigata ed in particolare il 68° fanteria ed il XVII reparto d'assalto che, incontrata la reazione di fuoco dell'artiglieria e delle armi automatiche del nemico, furono attardati nei loro movimenti, ostacolati anche dalla presenza di campi minati, e raggiunsero i loro obiettivi solo il mattino del giorno 9. Alla sera del giorno 9, nonostante le interruzioni e i campi minati, la cui disattivazione aveva richiesto l'intera mattinata, le due colonne 37 raggiunsero le prime posizioni fissate e, ripreso il movimento all'alba del giorno 10, raggiunsero i loro obiettivi. Il comando del V corpo d'armata britannico,di fronte alla brillante azione della conquista di Chieti modificò i limiti di settore fra il C.l.L. e la 4a indiana, includendo la città di Chieti, già nel settore della 4a indiana, in quello del C.I.L.. Il giorno 11 venne raggiunta Sulmona stabilendo il contatto con elementi inglesi. Raggiunto il fiume Pescara con i reparti della Nembo, il generale Utili s'incontrò con il generale Allfrey per discutere i problemi operativi riguardanti la
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ripresa del movimento oltre il fiume Pescara. Sulla base di quanto concordato con il generale Allfrey, che tra l'altro mise a disposizione del C.I.L. un'altra batteria di semoventi inglesi, il generale Utili dispose che: la Nembo passasse il Pescara per occupare le alture a nordovest del fiume, la 13 brigata si schierasse a difesa del Pescara, la ua brigata sostasse per il momento sulle posizioni raggiunte. Il C.l.L. assunse così il giorno 12, dopo che la divisione Nembo ebbe effettuato il passaggio del fiume Pescara, uno schieramento profondo che gli consentiva di mantenere l'atteggiamento offensivo ed al tempo stesso di garantirsi da ogni eventuale ritorno controffensivo tedesco. Nel periodo dal 12 al 16 giugno il C./.L. venne impegnato in operazioni di rastrellamento delle zone occupate e di quelle antistanti. Durante tali operazioni: vennero raggiunte l'Aquila, Penne, Castiglione appena sgomberate dai tedeschi; la 1 a brigata si portò sulla sinistra del Pescara, mente lana brigata, per deficienza di mezzi di trasporto, dovette restare ferma s ulle posizioni attorno a Guardiagrele. Il 15 giugno reparti della 1" brigata raggiunsero Teramo, altri occuparono S. Valentino, Scafa e il bivio a nord-est di Popoli. Il giorno 16 il generale Utili impartì nuove direttive per la prosecuzione dell'avanzata verso nord e vers o ovest 38. Ebbe allora inizio la seconda fase del secondo ciclo operativo, la quale avrà il suo clou nei combattimenti di Filottrano e s i concluderà verso la metà di agosto sulle posizioni di riva destra del fiume Cesano, tra Corinaldo e Loretello. Il 17 giugno il C./.L. cessò dalle dipendenze del V corpo d'armata britannico e tornò alle dipendenze del II corpo polacco, il cui compito era quello d'inseguire il nemico e raggiungere Ancona 39 lungo due direttrici: la prima costituita dalla rotabile costiera n. 16 (adriatica) che sarebbe stata seguita dall e truppe polacche, la seconda costituita dalle rotabili Chieti-Teramo-Ascoli-Macerata che sarebbero state percorse dal C./.L. con il compito di protezione del fianco s inistro del corpo polacco. Il movimento avrebbe dovuto essere eseguito in parallelo con quello delle truppe polacche (3 a divisione Carpatica). In particolare, il generale Utili stabilì 40 che: la divisione Nembo gravitasse nella zona di Teramo spingendo le avanguardie su Ascoli Piceno ed elementi celeri alla ricerca del contatto con il nemico; la 1 a brigata mantenesse l'occupazione de L'Aquila, proteggesse i lavori di ripristino delle interruzioni stradali e costituisse al tempo stesso la riserva del C.l.L.; lana brigata e l'artiglieria seguissero il movimento della 1a per raggiungere Teramo; il genio, con il concorso della popolazione civile volontaria, provvedesse soprattutto ai lavori di ripristino delle interruzioni e di sminamento degli ostacoli minati che erano i veri grossi
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impedimenti al tallonamento dei tedeschi in ritirata. Salvo che nella fase iniziale il C./.L., infatti, non aveva sostenuto alcun combattimento, in quanto i tedeschi si erano sempre ritirati in anticipo, e le unità italiane, a causa della deficienza quantitativa e qualitativa dei mezzi di trasporto e delle innumerevoli interruzioni stradali provocate dai tedeschi, non erano mai state neJla possibilità, malgrado il rapido riattamento delle strade con mezzi di circostanza e con il concorso volenteroso delle popolazioni civili, di conferire al proprio movimento il carattere d'inseguimento così da travolgere le sporadiche resistenze delle retroguardie tedesche. Per gli stessi motivi, e soprattutto per la deficienza di automezzi, il C.I.L. alla fine di giugno venne a trovarsi frazionato e scaglionato in profondità oltre i limiti del reciproco sostegno tattico dei reparti (150-200 km). Il 23 giugno il comando del II corpo polacco ordinò che: la 3a divisione Carpatica proseguisse l'avanzata ve rso Ancona; la 5a divisione Kresowa s 'inserisse sulla sinistra tra la Carpatica ed il C.I.L. con il compito di raggiungere, per Fermo e Macerata, le posizioni di difesa a nord-est di Ancona; il C.J.L. occupasse la zona di Tolentino e muoves se da tale zona per Serra San Quirico-Castelbellino-passo Imperatore allo scopo di proteggere il fianco sinistro del corpo polacco. Il nemico schierato sulla riva sinistra del fiume Chienti reagì vigorosamente ad una puntata esplorativa in direzione di Macerata, effettuata il 26 giugno in collaborazione con le truppe polacche operanti più ad est, da unità del 183° Nembo che dovettero ritornare sulle posizioni di partenza. La puntata valse tuttavia a chiarire la consistenza delle difese tedesche a nord del parallelo di Tolentino e dette il via ad un'intensa attività di pattuglie da entrambe le parti, alla quale contribuirono, per la pa rte italiana e polacca, b ande di pat rio ti 4 1, in particolare la brigata Maiella. I tedeschi, nella notte sul 30 giugno, ripresero il movimento di ritirata. Il C.J.L. costituì aJlora, traendolo dalla Nembo, un gruppo tattico con il compito di puntare rapidamente sul fiume Potenza e incaricò la 1 a brigata, che era ancora indietro, di procedere con una compagnia all'occupazione di Tolentino e di inviare elementi celeri a prendere collegamento sulla sinistra con le unità britanniche del 12° reggimento lancieri. Passato il Chienti, il gruppo tattico della Nembo raggiunse nel pomeriggio del 30 giugno la città di Macerata. Il generale Utili, dopo un colloquio con il generale Anders, dispose 42 che: la Nembo, ad eccezione del gruppo tattico che aveva occupato Macerata e che avrebbe dovuto proseguire oltre il Chienti, si raccogliesse tra Urbisaglia e Abbadia di Fiastra; le bande di patrioti si dirigessero su Calda-
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rola, Belforte di Chienti e Borgiano; la 1a brigata occupasse Tolentino, distaccasse propri elementi dalla rotabile n. 77 per Foligno per prendere contatto con l'ala destra del X corpo d'armata britannico, raccogliesse il resto delle forze a S.M. di Pieca, tenendo presente che la zona di radunata della brigata sarebbe stata quella a sud di Tolentino; il resto della Nembo, ancora nella zona di Chieti, venisse caricato su autocarri ed avviato ad Abbadia di Fiastra. 111 ° luglio: il gruppo tattico della Nembo, operante su due colonne, raggiunse Villa Potenza ed il fiume Potenza; la 184a compagnia motociclisti si portò a sud di Teia; la 1a brigata si raccolse a Tolentino, mentre lana brigata continuò ad essere dislocata sulle vecchie posizioni arretrate. Frattanto la situazione logistica del C.J.L. si era notevolmente aggravata intralciando decisamente l'attività operativa. Il C./.L. era venuto diluendosi su di una profondità di 250-300 km. Data questa situazione, che costringeva a tarpare le ali del C.I.L., il generale Anders dispose che il corpo italiano passasse in 2 a schiera per poter provvedere a raccogliere e concentrare le proprie unità e poi tenersi pronto ad avanzare verso lesi. Il 2 luglio venne a determinars i una nuova situazione. Il gruppo tattico Nembo andò a d urtare, nella mattina, contro le unità tedesche sistemate a difesa della s inistra del torrente Fiumicello. Da qui ebbe inizio l'ultima fase del secondo ciclo operativo <lel C./.L. durante la quale i tedeschi, che fino ad allora non avevano opposto resistenze prolungate, misero in atto difese attive resistenti e contromanovranti mediante ritorni offensivi locali tendenti a guadagnare tempo ed a cogliere in crisi le punte avanzate delle colonne d'attacco alleate. Dall'Arielli al Chienti i tedeschi avevano eseguito un ampio sbalzo retrogrado affidando il guadagno di tempo soprattutto alle interruzioni stradali ed ai cam p i minati; sul Chienti avevano opposto una buona resistenza tanto che erano riusciti a ritardare di qualche giorno la liberazione di Macerata; sul Fiumicello 4 3 e, successivamente, più a nord, essi imposero all'avanzata degli alleati risolute e ripetute battute d'arresto che coinvolsero il C./.L. in un'alternarsi di difficoltose e sanguinose azioni offens ive e di temporanei schieramenti difensivi, quelle e questi superati con risultati di grande rilievo tattico. Dopo i combattimenti dei giorni 2-5 luglio a cavallo del torrente Fiumicello, durante i quali i tedeschi sull'albeggiare del giorno 4 attaccarono in forze le posizioni tenute dal XVI battaglione paracadutisti, il C.I.L., che nel frattempo aveva cercato di avvicinare alle posizioni di Fiumicello il maggior numero delle proprie forze - oltre la divisione Nembo, intervenuta direttamente a sostenere il gruppo tattico avanzato, anche la la brigata e l'l 1° artiglieria - ebbe l'ordine
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di continuare a proteggere il fianco sinistro delle truppe polacche e più precisamente della divisione Kresowa. Il 5 luglio i polacchi riuscirono a conquistare la città di Osimo e ad attraversare il fiume Musone, avanzando da est con proprie unità lungo la riva destra del fiume stesso in direzione di Filottrano robustamente difesa dai tedeschi 44. Le operazioni preliminari per l'attacco alla cittadina cominciarono il giorno 6 e vi venne coinvolto il gruppo tattico Nembo che mosse verso la cittadina su di una colonna: a destra il 183° fanteria paracadutista con il XV battaglione in primo scaglione, a sinistra il CLXXXIV battaglione guastatori, avanzante in posizione alquanto arretrata rispetto alla formazione di destra. La reazione tedesca, manifestatasi anche per via aerea con azioni di spezzonamento e di mitragliamento, rese particolarmente lenta e faticosa l'avanzata delle unità italiane, tanto che il pomeriggio del giorno 7 il comandante del C.J.L. ed il comandante polacco della divisione Kresowa vennero nella determinazione di rimandare all'indomani l'attacco contro Filottrano, per poterlo così più adeguatamente organizzare e sostenere. L'azione avrebbe compreso uno sforzo principale da est sulla destra e uno sforzo sussidiario concomitante da sud; sarebbe stata effettuata dall'intera divisione Nembo articolata in due colonne e una riserva; avrebbe avuto inizio alle ore 7 del giorno 8 dopo un'ora di preparazione di artiglieria; sarebbe stata appoggiata a favore della colonna di destra da un gruppo da 75/27 (ll) e da un gruppo (II) da 100/22 del 184° reggimento artiglieria, a favore della colonna di sinistra dal IV gruppo da 75/18 dell' l 1° artiglieria, mentre il I gruppo da 105/28, il II gruppo da 100/22, il III gruppo da 75/18 dell' 11 ° artiglieria ed il CLXVI gruppo da 149/19 avrebbero costituito la massa di manovra assumendo come direttrice di tiro quella determinata dall'abitato di Filottrano. All'azione avrebbe dato concorso, con due gruppi pesanti di medio calibro e due reggimenti leggeri da campagna, l'artiglieria polacca. Fu pure previsto il concorso di carri armati pesanti della sa divisione Kresowa 45. Filottrano risultava presidiata da due battaglioni di forza ridotta, ma al completo di armi automatiche e di mortai e rinforzati da 3 carri armati o semoventi, da 4-5 autoblindo e da pezzi controcarri da 75/40. L'8 luglio alle ore 6 ebbe inizio la preparazione di artiglieria che durò sino alle ore 7, ma le fanterie della Nembo, per contrattempi vari, scattarono all'attacco verso le ore 7,30 anziché alle 7. Dopo tre ore di combattimento di casa in casa 46, un contrattacco tedesco costrinse taluni reparti avanzati italiani a retrocedere, ma il caposaldo italiano del fabbricato dell 'ospedale, al cui soccorso si portarono due compagnie di paracadutisti appoggiate da 5 carri Sherman della 5 a divisione polacca, resisté fino a sera
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quando, in seguito ad una nuova azione degli elementi blindati germanici, dové ripiegare. Durante la notte sul 9 i tedeschi evacuarono Filottrano e si portarono sulla sinistra del fiume Musone. Filottrano venne liberata la mattina del 9 dal XVI battaglione paracadutisti che mise in fuga o catturò gli elementi ritardatori nemici. Dopo l'azione di Filottrano il C.J.L. si schierò difensivamente, a protezione del fianco sinistro delle truppe polacche attaccanti, sulle posizioni immediatamente a sud del fiume Musone. Venuto a conoscenza che i tedeschi avevano alleggerito il loro schieramento difensivo nella zona di Cingoli, il generale Utili dispose varianti al dispositivo che favorissero l'occupazione di Cingoli 47, la quale venne conquistata la mattina del giorno 13 dal IX reparto d'assalto che indusse i difensori, colti di sorpresa, a sgomberare frettolosamente l'abitato. Mentre la Nembo e la Ia brigala venivano schierandosi sulla d estra del fiume Musone, anche lana brigata fu fatta finalmente affluir e da Chieti nella zona a sud-est di Filottrano in maniera da poter partecipare alle operazioni di forzamento del fiume Musone. In vista di ciò, il C. I.L. era riuscito a raccogliere nuovamente tutte le sue forze.
Era questo un fatto importante sia perché il comandante poteva finalmente, nella economia operativa dell'azione, far sentire il peso tattico della totalità delle sue forze; sia perché poteva ora riuscirgli più agevole la manovra delle unità con la conseguenza inoltre di poter assicurare una efficace alimentazione della battaglia; sia perché gli si offriva infine, la possibilità, nel progredire dell'avanzata, di far rotare e di alternare nei gravosi compiti di prima schiera le unità dipendenti 48. Il forzamento del fiume ebbe inizio il mattino del 17 luglio. Il comando del corpo polacco impegnò il nemico con la destra (3a divisione Carpatica) e manovrò a fondo con la sinistra (Sa divisione Kresowa e IP brigata corazzata), affidando al C.J.L. il compito di attaccare lungo l'asse villa Spada-Rustico per conquistare questa ultima località a llo scopo di coprire e assicurare il fianco sinistro della massa di manovra polacca e di impegnare con il fuoco il nemico. Il comandante del C.J.L. intese adempiere i compiti impegnando il nemico con la sinistra (I a brigata) e m anovrando a fondo, in direzione di Rustico, con la destra (Ila brigata). L'azione si svolse con alterne vicende e fu durissima: soltanto verso le ore 13 vennero occupate Case Nuove, c he i polacchi avevano sopravanzato fin dal mattino, e fu possibile proseguire il movimento aggirante verso la zona di S. Filippo e raggiungere Rustico. Anche le unità della IP brigata, dopo ripetuti e vani tentativi, riuscirono alla rine a portarsi sulla riva sinistra del Musone ed a costituirvi, con il XXXIII bersaglieri, una robusta testa di ponte. Sulla destra, intanto, il corpo
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polacco aveva raggiunto in serata Agugliano e puntava su Falconara. Per la prosecuzione dell'azione nel giorno successivo, il generale Utili dispose che la divisione Nembo organizzasse uno schieramento protettivo sulle alture a sud del fiume Musone, la II 8 brigata sulla destra proseguisse l 'azione con un battaglione in direzione di S. Maria Nuova che risultava ben difesa dal nemico, la 1 8 brigata sulla sinistra olterpassasse al completo il Musone e raggiungesse la zona di S. Maria, continuando a costituire il fianco difensivo del C.I.L.. All'alba del 18 luglio le operazioni vennero riprese con l'azione combinata della 18 brigata da sud-ovest e della Ila brigata da est, la zona di S. Maria venne abbandonata dai tedeschi dopo strenua difesa nella notte sul 19 ed occupata dalle forse italiane nelle prime ore dello stesso giorno. Durante la giornata e durante la notte seguente, si svilupparono episodi cruenti specialmente sulla fronte della 18 brigata, ma entrambe le brigate riuscirono ad attestarsi in prossimità del fiume Esino. Il mattino del 20 le truppe della P brigata, entrarono nella città di l esi. Nel tardo pomeriggio del giono 20, dopo aver eliminalo numt:!rosi focolai di resistenza, il reggimento S. Marco occupò Belvedere Os trense. Qui il mattino del giorno 21 si manifestarono reazioni nemiche di movimento provenienti da nord e da est che vennero affrontate ed infrante dal battaglione Grado. I polacchi frattanto non riusciva no ad impadronirsi di Ostra e venivano arrestati davanti all'abitato dal fuoco e dai contrattacchi tedeschi. Ostra rimase in mano tedesca e costituì in conseguenza una minaccia potenziale per il fianco destro del C./.L. ; il fianco sinistro dello schieramento de l corpo italiano restò tuttallora scoperto; le posizioni raggiunte dalle unità avanzate del C.l.L., nella giornata del 21 vennero a costituire una specie di saliente nel se ttore di avanzata delle unità italo-polacche, determinando una situazione di schieramento assai delicata e carica di pericoli. In relazione alla nuova situazione 49, venne disposto uno schieramento avanzato dell'artiglieria in modo che, pur nella momentanea sosta, potesse essere in grado di appoggiare prontamente la ripresa del1'avanzata. A proposito di tale ripresa il giorno 22 luglio il comandante del corpo polacco ordinò al comandante de] C.l.L. di eseguire ricognizioni sulla riva destra de] fiume Misa per saggiare gli intendimenti tedeschi, mantenendo atteggiamento difensivo, ma mettendosi in condizione di riprendere rapidamente il movimento so. Il generale Utili ordinò 51 di: costituire una linea difensiva appoggiata a due pilastri (complesso Belvedere-Madonna del Sole a nord, costone S. Honorati-monte Schiavo a sud) raccordati da una linea di osservazione e da una bretella difensiva; costituire un fianco difensivo dominando col fuoco
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la valle Esino dal costone soprastante attraverso la valle Esino. Ma lo schieramento difensivo fu di breve durata, perché il 26 luglio il C.J.L. riprese su due colonne 52 l'avanzata verso il fiume Misa ostacolata dal fuoco dell'artiglieria e dei mortai e da elementi ritardatori di fanteria. La lotta, a seguito di un contrattacco concentrico tedesco da nordovest e da sud-est, durò fino a1l'alba del giorno 28, quando una compagnia del 68° attaccò le posizioni tedesche, riuscì a penetrare nell'abitato di Vaccarile ed a disimpegnare gli elementi italiani che, per il contrattacco tedesco, erano stati costretti ad asserragliarsi nei locali di un monastero dove avevano resistito per l'intera notte. In base all'evolversi della situazione si addivenne ad una nuova distribuzione delle forze del C.l.L. 53, il cui settore di azione venne ampliato estendendolo verso sinistra sino a comprendervi una parte del settore tenuto dalla brigata partigiana Maiella. Ciò diminuì la possibilità di una ripresa dell'attacco ed impose l'adozione di uno schieramento difensivo ed offensivo insieme che, collegandosi con lo schieramento polacco, comprendesse la dorsale Belvedere-Montecarotto c, per il poggio di S. Marcello, si collegasse a sud con l 'Esino, mantenendo sulla sinistra il contatto coi partigiani della Maiella. Da l 30 luglio alla notte sul 4 agosto i tedeschi effettuarono azioni di robuste pattuglie e puntate in forze, tutte respinte con perdite dell'attaccante. Nella notte sul 4 agosto, venuto a conoscenza che i tedeschi stavano ripiegando a nord del fiume Misa, il generale Utili ordinò la ripresa dell' avanzata e nel primo pomeriggio del giono 4 le pattuglie esploranti si spinsero in avanti per itinerari diversi fino al Misa. Il C./.L. fu costretto a sostare e ad adottare un nuovo provvisorio schieramento difensivo per la violenta reazione di fuoco del nemico che aveva, da p arte sua, assunto uno schieramento sufficientemente consistente. Anche questa volta, dunque, dopo una breve avanzata, le unità del C.l.L. dovettero assumere di nuovo atteggia mento difensivo con alla destra lana brigata, al centro la I 3 brigata, alla sinistra la Nembo 54. Nelle sue linee generali il nuovo schieramento difensivo ricordava, come scaglionamento e dosatura delle forze, lo schieramento che era stato adottato pochi giorni prima sulle alture di riva destra del fiume Misa: era quasi come se tutto il dispositivo difensivo si fosse, dopo un breve sbalzo offensivo, spostato integralmente in avanti. solo adattandosi alla plastica del terreno, in realtà non eccessivamente diversa nei riguardi dell'una e dell'altra displuviale. Il 9 agosto il corpo polacco lanciò un attacco per spezzare la resistenza nemica con obiettivo la conquista delle alture di riva destra del Cesano. Al C./.L. venne affidato il compito di assicurare il fianco sinistro
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dell'attacco contenendo il nemico nell'interno del settore CorinaldoCastelleone di Suassa. Accertato che i tedeschi stavano effettivamente ritirandosi a nord del Cesano, il generale Utili ordinò che tutto il dispositivo del C.J.L. si mettesse di nuovo in movimento. Raggiunta la displuviale tra il Cesano ed il Nevola-Fenella, il C.I.L., tra 1'11 ed il 12 agosto, in relazione al compito assegnatogli, assrmse nuovamente atteggiamento difensivo. Anche questa volta la dosatura delle forze nello schieramento difensivo non si differenziava da quella di prima, salvo un leggero aumento a favore delle forze destinate in primo scaglione (7 battaglioni anziché 6). Lo schieramento avanzato dalle artiglierie a55icurava un buon gioco nella manovra dei proietti pesanti contro le posizioni nemiche sulla sinistra del Cesano, rispetto aJJe quali le nuove posizioni occupate dal C./.L. venivano ad esercitare, malgrado ogni apparente aspetto difensivo, la funzione di una vera e propria pedana di lancio per gli sviluppi di una ripresa offensiva a breve scadenza ss. Anche contro il nuovo schieramento i tedeschi spinsero nei giorni 11, 12 e 13 agosto numerose puntate offensive, che vennero tutte stroncate, e non mancarono di martd-_ lare con le loro artiglierie e con i loro mortai le posizioni del C.J.L., dimostrando di voler continuare a guadagnare tempo mediante irrigidimenti difensivi favoriti dai solchi fluviali correnti nel senso dei paralleli. In entrambe le fasi del secondo ciclo operativo, e particolarmente da Filottrano a Belvedere Ostrense, il C.I.L. con truppe appiedate, sostenute da artiglierie scarse ed antiquate, povere di mezzi tecnici, prive di mezzi corazzati e blindati, adempì costanteme~te i compiti di attaccare e battere il nemico che incontrò sulla sua strada e di assicurare la protezione del fianco sinistro di tutte le truppe operanti sulla destra, compito questo ultimo reso particolarmente gravoso e delicato per il vuoto di circa 30 km che costantemente esistette fra il C.I.L. e 1'8 3 armata britannica. L'alternanza di brevi soste e di corte avanzate fu affrontata con grande capacità tattica ed effettuata a prezzo di gravi sacrifici con volontà inflessibile pur di raggiungere le mete di volta in volta fissate dal comando del corpo polacco. Il generale Anders non mancò di esprimere il 1O agosto al generale Berardi, capo di stato maggiore dell'esercito italiano, la sua grande soddisfazione per il brillante comportamento tenuto dalle unità italiane che, nonostante le immense difficoltà, erano state sempre all'altezza dei loro compiti. Egli sottolineò quanto grandi fossero stati gli sforzi fisici sopportati dal C.I.L. e mise in risalto come l'intero corpo italiano attraverso marce senza soste, quasi senza la possibilità di riprendere fiato fosse stato ugualmente sempre a fianco delle truppe motorizzate polacche 56. Eppure non pochi erano stati gli elementi di demoralizza-
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zione che avrebbero potuto fiaccare gli spiriti: l'insufficienza delle artiglierie e del munizionamento; il doversi aprire la strada da soli anche contro i mezzi corazzati tedeschi; il dover procedere quasi sempre a piedi; la povertà dei mezzi rispetto a quelli dei polacchi; la scarsa mobilità dei pezzi controcarri che non potevano intervenire tempestivamente contro i mezzi corazzati nemici; tante altre deficienze e lacune ordinative, organiche e di dotazioni. A controbilanciare tutto ciò valsero in primo luogo le qualità militari che il soldato italiano sa sfoggiare quando si convince della validità dei motivi del combattimento e quando deve impegnarsi in gara con altri eserciti, le alte qualità morali e professionali del generale Utili - dotato di spiccato senso tattico, di grande lungimiranza logistica, di forte sensibilità umana, di fine savoir /aire diplomatico - e l' alto apprezzamento vieppiù manifestato dai comandi alleati per gli sforzi compiuti e per il valore dimostrato dal C.l.L. fino a giungere a passare alle dipendenze dei comandi italiani intere unità organiche alleate. Nel primo ciclo operativo operarono, come abbiamo già ricordato, alle dirette dipendenze del C.l.L. il 2° reggimento carri della vna brigata corazzata britannica,il 166° reggimento artiglieria campale inglese, il battaglione mitraglieri Rajputana Rifles, i mortai da 4,2" del 9 ° Manch e del 149° reggimento artiglieria, il DXXXIII 0 gruppo artiglieria controcarri, il CL e d il C.L.I. gruppi controcarri del 93 ° reggimento, la 651 a squadriglia da osservazione; nel secondo ciclo, per l 'azione di Filottrano, il comando del corpo polacco passò alle dipendenze del C./.L.: 2 gruppi pesanti di medio calibro, 2 reggimenti leggeri da campagna ed un certo numero di carri armati Sherman della sa divisione Kresowa. Qualora gli alleati non si fossero a mano a mano convinti che il C./.L. veniva dando un contributo materiale sostanzioso alle loro operazioni e non avessero accertato la saldezza di spirito, la capacità operativa e combattiva delle truppe italiane e l 'alto livello di professionalità del comandante del corpo e dei comandanti delle varie unità maggiori, mai avrebbero consentito a fare operare loro unità alle dipendenze o nell'ambito di ,comandi italiani. Il comportamento del C.I.L. fece cadere a poco a poco tutte le remore di carattere psicologico, morale e tecnico dei comandi militari alleati nei riguardi dei comandi e delle unità italiani; rimasero purtroppo vive quelle di carattere politico che non solo impedirono fino al termine della guerra, nonostante le prove di capacità operativa e combattiva dei saltati e degli ufficiali italiani, la ricostituzione organica di una grande unità complessa esclusivamente italiana, ma non consentirono di dare l'appellativo di divisioni, anziché quello di gruppi di combattimento, alle unità italiane che
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verranno costituite dopo lo scioglimento del C.I.L. . Le autorità politiche alleate su questi punti furono irremovibili anche contro il proprio interesse tecnico-militare, rimanendo in esse costante il desiderio di umiliare l'Italia e di farle pagare a caro prezzo in sede di trattato di pace la sconfitta da loro infertale. In definitiva la concessione da parte alleata di far partecipare le unità italiane alle operazioni con 6 gruppi di combattimento in luogo del C./.L., se da una parte realizzerà l'aspirazione italiana ad una maggiore partecipazione attiva alla guerra di liberazione, dall'altra conserverà il significato, per le cautele, le limitazioni e le restrizioni che la circonderanno, di un gesto compiuto con ostentata magnanimità, senza nessun riferimento alla necessità che lo imporrà dopo l'allontanamento dallo scacchiere italiano dèlle forze incaricate dell'operazione Anvil (sbarco in Provenza). Il terzo ed ultimo ciclo operativo del C.l.L. - il più breve - fu caratterizzato: dallo spostamento sulla sini stra del settore di azione; dalla ripresa offensiva con la liberazione di Pergola (20 agosto), di Cagli (22 agosto) e <li Acqualagna (23 agosto); dal cambiamento nella dipendenza
d 'impiego (25 agos to) dal II corpo polacco al V corpo britannico; dall'avanzata sul Metauro con la liberazione di Urbino (28 agosto), di Urbania (29 agosto) e di Pegli (30 agosto); dal trasferimento in zona arretrata e infine dallo scioglimento del C.I.L.. Alle o re 6 del 17 agosto il comandante del C.l.L. assunse le responsabilità del settore Sassoferrata-Gubbio, ma mentre ancora le m1ità stavano completando il loro nuovo schieramento difensivo-offensivo, il coma::ido dell'8° armata britannica dispose che il C.l.L. si trasferisse a sud di Macerata, nella zona di Loro Piceno, allo scopo di riorganizzarsi, rimettersi in efficienza e riposare. Il comandante del C.l.L. dispose in conseguenza 57 che nel settor e Sassoferrato-Gubbio restassero: il comando tattico del C./.L., il com ando della na briga ta con il reggimento S. Marco, il battaglione alpini Monte Granero, il IX reparto d 'assalto, il IV ed il V gruppo da 75/13 someggiati, il V gruppo cannoni da -75/50 controcarri (men o una sezione), due compagnie salmerie del XXII gruppo, una compagnia motociclisti del reggimento bersaglieri come riserva del comando del C./.L., l' l 1° reggimento artiglieria con il I gruppo da 105/28, il II gruppo da 100/22 e il CLXVI gruppo d a 149/19 alle dipendenze del comando del C./.L. tramite comando artiglieria del C./.L. , tutti gli elementi del genio, tenendo presente che i plotoni telegrafisti della IP brigata dovevano essere portati a due. Erano stati appena diramati gli ordini per il nuovo schieramento, quando il comando del corpo polacco dispose il ritorno alle dipendenze del C.I.L. della divisione Nembo. Successivamente lo stesso comando polacco dis pose il trasferimento del-
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la Nembo, da effettuare nei giorni 21, 22 e 23 agosto, nella zona di riordinamento e di riposo. La densità di fuoco della linea tenuta dalle groppe del C.J.L. rimaste sulla fronte (5 battaglioni di fanteria e 6 gruppi di artiglieria oltre quello controcarri), rispetto all'ampiezza di 18 km circa del settore, risultò scarsa, benché quella della linea tenuta dai tedeschi fosse notevolmente inferiore. Il 18 agosto il corpo polacco dette inizio ad una nuova offensiva. Nella previsione che i tedeschi ripiegassero anche nel settore del C.l.L., il generale Utili dispose 58 che: l'ala destra del battaglione Monte Granero avanzasse lo schieramento prendendo sulla destra collegamento con la banda Maiella; lo squadrone di cavalleria del IX reparto d'assalto 59 muovesse, all'alba del 20 agosto, verso Pergola per occuparla nel caso risultasse sgombera; Ja 1 a compagnia bersaglieri motociclisti venisse subito svincolata dalle sue posizioni e passasse alle dipendenze del comando della na brigata per sostituire o rinforzare lo squ adrone di cavalleria nell'occupazione di Pergola; venissero effettuati colpi di mano per saggiare la consistenza dello schieramento nemico. Il giorno 20 venne occupata Pergola ed il comandante del C.I.L. stabilì di mantenere vivace l'esplorazione per non pe rdere il contatto con il nemico qualora ripiegasse e di procedere, in tale caso, per due direzioni di movimento restando in condizioni di rintuzzare gli eventuali ritorni controffensivi. Ne i giorni 21, 22 e 23 entrambe le colonne in cui il generale aveva articolato le forze ripresero ad avanzare e raggiunsero il 23 la zona di Acqualagna sistemandosi sulle a lture di riva desta del fiume Candigliano, a sud e a sud-est del paese, e spingendo posti avanzati al di là del fiume. Un tentativo tedesco di rioccupare Acqualagna venne stroncato dalle unità del S. Marco. Raggiunti gli obiettivi sul Candigliano, il comandante del C.J.L. dispose 60 nella giornata del 24 agosto che le due colonne, essendosi oramai fuse, venissero sciolte, che lana brigata provvedesse ad assicurare ii possesso della zona Cagli-Smirra e delle alture immediatamente a sud del fiume Candigliano nonché della testa di ponte di Acqualagna e completasse il possesso della cima del monte Paganuccio, che la compagnia bersaglieri motocidisti continuasse a svolgere i suoi compiti di esplorazione verso ovest. Il giorno 25 il C.J.L. poté spingersi verso il Furlo, di cui poté garantire il controllo quando una pattuglia del reparto d'assalto raggiunse il 26 agosto il monte Pietralata. Dal 25 agosto il C.l.L. passò alle dipendenze del V corpo d'armata britannico, ai cui ordini aveva già operato nel giugno, e precisamente della 4 ° divisione indiana. Il comandante di questa ultima divisione fissò a l C.l.L. il compito di combattere sul suo fianco sinistro e di proteggerlo, portandosi verso nord al più presto possibile per occupare Urbino 61.
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Allo scopo di garantire, fronte ad ovest, il fianco sinistro della 4 8 divisione indiana muovente all'a ttacco in direzione di Urbino, il C.I.L. si schierò, nella giornata del 27, nella zona di Cagli. Il 28 mattino, stante il favorevole andamento dell'attacco della 4 8 divisione indiana, il comandante del C.I.L. : fece muove re il S. Marco, il IX reparto d'assalto, il V gruppo da 75/13 someggiato oltre il Condigliano sulla displuviale tra il Condigli ano ed il Me tauro; lanciò la 1 a compagnia be rsaglieri motociclisti in puntate esplorative in direzione di Urbino, Urbania, e Piobbico. La pa rte più settentrionale della displuvia le tra il Condigli ano ed il Metauro fu raggiunta prima di sera, mentre alle ore 17 un plo tone della compagnia bersaglieri motociclis ti raggiunse Urbino ed un altro aveva già raggiunto, verso le 15,30, Piobbico prendendo collegamento a sinistra con eleme nti del 27° reggimento lanc ieri inglese. Urbania venne occupata il 29 agosto alle 7,30 Pegli il mattino del 30. Il C. l./,. giunse così, il 30 agos to, in vista d egli ava ncorpi della linea gotica verso il solco del Foglia dove fu raggiunto da ll 'ordine <li sosp endere ogni a ttività operativa e di trasferirs i per inlern nella zona di Sassoferrato a l fine di raggiungere success ivamente lazona di riordinamento. Nel momen to de llo scioglim ento del C./.L. il 24 settembre, il generale Utili scrisse tra l'altro n el s uo o rdine del giono n. 43: il C.I.L. si scioglie per necessità superiori. Non si scioglie né, credo, si scioglierà mai nei nostri cuori il patrimon io comune delle vice nde nobili e dure che abbiano vissute insieme e e.ella giustificata fiere zza pe r queste vicende che hanno un valore storico per il nostro Paese. lo sono certo ch e tutti noi che appartemmo al C.J.L. ci riconosceremo sempre fratelli e ci tenderemo sempre la mano incontrandoci, comunque la sorte materiale di ognuno possa essere nel futuro diversa e diverso il cammino spirituale di ognuno. E con ciò la nostra solidarietà istintiva e disinteressata sarà cemento pe r la vita civile della nostra Patria, come il comune ideale di renderla libe ra a prezzo del nostro sangue è stato cemento pe r la sua rinascita militare... Questo è l'ultimo ordine del giorno del C./.L.. Siano perciò in esso consac rati il mio affetlo e la mia gratitudine di Comandante per L'eroica Nembo, l'impetuoso reggimento S. Marco, per i gruppi 1 V e V som eggiati, e CLXVI, impavidi e tenaci, da cui de finitivamente mi separo. In allo i cuori di tutti! Nella certezza che aprendo un proprio ciclo nuovo, Legnano e Folgore saranno sempre e parimenti degne del comune ciclo antico 62. Un ciclo che dal 18 aprile al 31 agosto 1944 era costato 377 morti e 880 feriti ed aveva richiesto alle migliaia di combattenti del C./.L. sacrifici, rinunzie, fa. tiche morali e fisiche nel più tragico e disperato momento della storia
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nazionale. Sul piano storico il valore morale, politico, giuridico e militare del C./.L. supera quello delle altre componenti, sebbene anche queste determinanti - lotta delle formazioni partigiane e resistenza attiva e passiva degli internati militari - della guerra di liberazione e quello degli stessi gruppi di combattimento che non sarebbero stati creati se il C./.L. non ne avesse posto le premesse. Fu il C./.L., preceduto a sua volta dal/ raggruppamento motorizzato, a segnare il r ipristino del ruolo dell'Italia nel quadro della politica europea e mondiale, in quanto il contributo che esso seppe dare alle operazioni militari nella campagna degli alleati in Italia ebbe un peso decisivo nel ridurre la malevolenza, il disprezzo e lo spirito di vendetta dei vincitori. I capi militari alleati, dal maresciallo Wilson al generale Alexander, dal generale Leese ai generali Mc Creery e Anders, furono concordi nel riconoscere che il C./.L. aveva in ogni occasione combattuto bene e che si poteva contare senza più riserve sul contributo determinante c he le forze italiane potevano dare alla cau sa alleata 63. Senza tale contributo generoso, intelligenle, fattivo, sarebbe stato aleatorio, e comunque assai più lungo e difficoltoso, creare una base sicura per l'effettiva ricostruzione morale e politica del Paese, la cui premessa naturale e logica fu posta proprio dal / raggruppamento motorizzato e , in misura più consistente e salda, dal C.T.L.. Di tale realtà storica di quel periodo, troppi non tengono conto ignorandola o facendo finta di non conoscerla, indotti al silenzio da motivi ideologici o da interessi di parte. L'ossequio alla verità e l'obiettività storica esigono, invece, il riconoscimento della funzione prioritaria e primaria che l'esercito italiano svolse nella guerra di liberazione sul campo di battaglia vero e proprio, oltre che nell'organizzazione e condotta della lotta partigiana e della resistenza passiva nei campi d'internamento. Ai fini della partecipazione dell'esercito alla liberazione dell'Italia non è altresì da sottovalutare il contributo delle unità ausiliarie di lavoratori e di specializzati che già nell'ottobre del 1943 ascendevano a circa 63 mila uomini e gradualmente raggiunsero, nel 1945, l'impo· nen te cifra di 196 mila.
3. Le operazioni sviluppate dal/ raggruppamento motorizzato e dal C./.L., dal dicembre del 1943 al settembre del 1944, furono condizionate dai molti fattori negativi che non abbiamo mancato di mettere in risalto nel corso della breve narrazione. Il primo di essi fu la etero-
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geneità dei reparti e degli uomini messi insieme sia per la costituzione del I raggruppamento motorizzato sia per quella del C.J.L.. Il graduale miglioramento della situazione morale delle unità e dei singoli richiese lo sforzo sovrumano del Comando Supremo, dello stato maggiore dell'esercito, dei comandanti del raggruppamento e del C.J.L. e di quelli dei reparti dipendenti. Dalle varie autorità gerarchiche fu fatto tutto il possibile sul piano spirituale, disciplinare e materiale per migliorare l'amalgama tra le varie unità ed il tono morale dei singoli. Entrambi raggiunsero spesso, specialmente nel C.J.L. valori elevati, ma la situazione generale rimase costantemente delicata a causa delle sconfortanti considerazioni che ognuno non poteva non fare dentro di sé con riferimento al clima di tensione politica dell'intera nazione, alla condizione di privilegio di cui godeva la grande maggioranza dei giovani non chiamati in prima linea e neppure al servizio militare, al raffronto tra la povertà dell'esercito italiano e la ricchezza di mezzi degli altri eserciti, alla stanchezza fisica dovuta alla lunga permanenza in linea ed ai disagi dei ripetuti movimenti a piedi. Appare quasi incredibile che unità e combattenti singoli, in tali situazioni di spirito e di fisico, abbiano offerto prove di capacità operativa e di ardore combattivo altamente remunerative e tali da annoverarle tra le pagine più limpide della storia militare italiana, ancorché non siano mancate debolezze e defezioni temporanee. Gli elementi che valsero ad ottenere risultati di rilievo proprio sotto l'aspetto morale furono senza dubbio, oltre le provvidenze messe in atto dai capi e il buon esempio da questi offerto, la graduale presa di coscienza della giustezza della causa della lotta, lo spirito di emulazione nei riguardi delle forze alleate, il crescente odio per i tedeschi che venivano macchiandosi di efferati delitti che nuJla o quasi avevano a che fare con la guerra vera e propria. L'ordinamento e gli organici del I raggruppamento motorizzato e del C.I.L. non furono il risultato di aggiornamenti ordinativi derivanti dall'esperienza di guerra, ma di contingente messa insieme delle forze recuperabili dopo la disfatta. Il / raggruppamento motorizzato fu costituito d 'urgenza con quanto in quel momento il Comando Supre mo e lo stato maggiore dell'esercito avevano a portata di mano. Era indispensabile che l'esercito italiano partecipasse s ubito in qualche modo alle operazioni condotte dagli anglo-americani contro i tedeschi. Tale partecipazione avrebbe dovuto assumere, secondo gli intendimenti del Comando Supremo e dello stato maggiore dell'esercito, le dimensioni più vaste possibili. Al riguardo le aspirazioni iniziali andarono molto a l di là delle disponibilità concrete, giacché se gli
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uomini non mancavano - ne l mezzogiorno e nelle isole la forza alle armi raggiungeva i 420-450 mila uomini ed al tempo stesso molti altri avrebbero potuto essere recuperati dalla massa di prigionieri italiani in mano alleata - l'opera di ricostruzione dell'esercito era condizionata dalle disponibilità dell'armamento, dell'equipaggiamento, dei mezzi e dei materiali che sarebbero state assai misere ed inadeguate ancorché gli alleati avessero consentito il recupero di tutto quanto esisteva in Sicilia, in Calabria ed in Africa setténtrionale in quel momento in- loro possesso. Come sarebbe s tato possibile realizzare la proposta di costituire 10 divisioni operative fatta dal Comando Supremo nel convegno di Malta 64, ancorché gli alleati avessero concesso il recupero e la restituzione di tutti i materiali italiani dovunque ecomunque esistenti? Anche se fossero s tate appronta te la Nembo e altre due divisioni tratte dalla Sardegna e dalla Corsica e fossero state impiegate in linea le tre divisioni del LI corpo d 'armata (Mantova, Piceno e Legnano), mai le forze combattenti italiane avrebbero potuto raggiungere il numero di 10 divisioni, a meno che queste non venissero armate, equipaggiate e rifornite del tutto di mezzi e di materiali alleati. Vi fu da pa rte italiana una valutazione ottimistica che, se poté essere sensata com e m a nifestazione di volontà di partecipazione alla guerra, non poteva essere giustificata neppure come semplice ipotesi di progra mma organico e concre to realizzabile a lungo termine. D'altra parte i fatti dimostrarono subito, indipendentemente dall'altalena della politica milita re a lleata ne i riguardi dell 'Italia, come fosse difficoltoso, anche dopo l'autorizzazione anglo-americana all'approntamento, mettere in piedi il solo raggruppamento motorizzato che richiedeva un contingente di forze esiguo. L'operazione, ritenuta inizialmente di non difficile attuazione, si rivelò praticamente molto m eno facile, tanto che i b a ttaglio ni di fanteria ed i gruppi di artiglieria dovettero essere attinti da reggimenti di divisioni diver se e che per com pleta re le dotazioni di a utomezzi si dovette ricorrere alla marina ed all'aeronautica. Vero è che i com a ndi anglo-americani ostacolarono in tutti i modi l'azione dei comandi italiani, impedendo l'utilizzazione de ll'intera Legnano - così come questi ultimi avevano divisato - sottraendo a ll'unità mezzi e materia li, sollecitando le cessioni di a rmi ita liane a i partigiani jugoslavi, depauperando la forza di 250 a utisti e di una compagnia artieri, ma sta di fatto che il raggruppamento stentò non poco a migliorare la sua con sistenza mor a le e materiale e conservò fino alla fine una fisionomia piuttosto confusa, qualcosa di mezzo tra la divisione e la br igata: con caratteristiche organiche di una brigata pluriarma autonoma, con un rapporto fante ria-artiglieria scarsamente
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proporzionale, con un livello di amalgama e di affiatamento tra le unità costitutive piuttosto modesto, nonostante tutti i provvedimenti adottati per ridurre la promiscuità degli elementi formativi del raggruppamento stesso. I successivi riordinamenti e potenziamenti disposti dalle autorità centrali, anche sulla base delle proposte dei comandanti della unità, per conferire a questa ultima la consistenza organica di vera e propria divisione e metterla in grado di adempiere compiti operativi maggiori, ebbero uno sviluppo lento e graduale proprio per le difficoltà di reperimento di uomini e di mezzi, tanto che non fu possibile, ad esempio, per deficienza di munizionamento, ridare le terze batterie da 75/18 al III ed al IV gruppo dell'l 1° reggimento artiglieria. In conclusione, è fuori dubbio che il Comando Supremo e lo stato maggiore dell'esercito, mossi dallo slancio di far r isorgere l'esercito mediante la partecipazione al combattimento, nelle ripetute offerte di collaborazione presentate ai comandi alleati spesso dettero per fattibili proposte inattuabili, come quella di un raggruppamento da montagna e di una divisione alpina - utilis sime nelle operazioni su terreni di montagna quali quelli della zona appenninica ed accette alle autoritotà alleate - che, in pratica, si ridussero ad un battaglione (Piemonte) giunto nella zona delle operazioni solo il 19 marzo e successivamente ad un reggimento su due battaglioni (Piemonte e Monte Granero) costituito nell' ambito del C./.L. solamente il 20 giugno del J 944. È però altresì vero che le autorità militari italiane svolsero un intenso ed assiduo lavoro al fine di conferire una sempre maggiore consistenza ed efficienza alle proprie unità in linea tanto da elevare in un primo tempo la forza del raggruppamento da 5 mila a 9-10 mila uomini e da poter costituire successivamente il C./.L. su 2 divisioni (Legnano e Nembo), provvedimento che non fu potuto attuare per l'opposizione delle autorità alleate che rimasero ferme nel proposito di non consentire la costituzione di un corpo d'armata italiano, ancorché la consistenza e ]'articolazione delle forze 65 ]a rendessero non solo possibile, ma opportuna e conveniente ai fini di un migliore rendimento operativo. Tale costituzione avrebbe certamente giovato al prestigio della collaborazione italiana alla guerra di liberazione, avrebbe esaltato il morale della nazione e dell'esercito, avrebbe costituito il giusto riconoscimento dell'enorme sforzo di ricostituzione e di riorganizzazione compiuto dal Comando Supremo e dallo stato maggiore dell'esercito e del consistente contributo operativo fino ad allora offerto dal / raggruppamento motorizzato. Sul piano tattico e su quello ordinativo la costituzione di un comando di corpo d'armata binario avrebbe conferito maggiore autonomia tattica al complesso di forze,
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ne avrebbe esaltato lo slancio combattivo e migliorato il rendimento semplificando le procedure operative, ma i risultati delle operazioni non sarebbero stati molto diversi da quelli che furono nei tre cicli:le gravi debolezze del C.I.L. non furono di carattere ordinativo - settore nel quale in definitiva le cose andarono in maniera soddisfacente sia perché le tre grandi unità (divisione Nembo, 13 e 11 3 brigata) furono sempre all'altezza della situazione e aderirono di volta con prontezza e abilità ai concetti d'impiego del generale Utili, sia perché il fatto che le grandi unità fossero tre, benché di consistenza modesta, piuttosto che due, aumentò le possibilità di manovra dell'intero complesso - ma pressoché esclusivamente di natura organica e logistica (deficienza quantitativa e qualitativa del fuoco, insufficienza di mobilità tattica e logistica, eterogeneità dei mezzi di traslazione, assenza di mezzi corazzati e blindati, penuria di mezzi tecnici, scarsità di munizionamento per le artiglierie). Le autorità militari centrali si preoccuparono di dotare le unità di un armamento che, per quantità e qualità, non ponesse le truppe italiane in condizioni di grave inferiorità rispetto a quelle alleate, ma quello offerto dalle disponibilità - sul quale i comandi angloa mericani esprimevano le loro riserve senza pe1· altro fare nulla per sostituirlo almeno in parte con quello in dotazione alle loro unità era il vetusto e superato materiale già in servizio nei precedenti anni di guerra. I battaglioni di fanteria vennero dotati di 36 fucili mitragliatori, 8 mitragliatrici, 18 mortai da 45, 6 mortai da 81; i battaglioni bersaglieri di 19 fuci li mitragliatori, 13 mitragliatrici, 3 fuciloni controcarri; l'artiglieria divisionale di pezzi da 75/ 13, da 75/ 18, da 75/27, da 105/22, da 105/28 oltre che delle mitragliere contraerei da 20. L'artiglieria di corpo d'armata, inesistente nel / raggruppamento motorizzato, fu presente nel C.l.L. con un solo gruppo da 149/19. Per l'armamento controcarri si ricorse inizialmente ai pezzi da 47/32, m entre il C./.L. poté disporre anche di un gru ppo controcarri da 57/50. Fu quanto di meglio si poté fare, ma non fu certo sufficiente a dotare le varie unità di un volume di fuoco potente, rapido, di grande efficacia, di ampia gittata, adeguato alle esigenze del campo di battaglia del momento. L' insufficienza quantitativa e qualitativa del fuoco di artiglieria fu uno dei fattori negativi salienti comuni al/ raggruppamento motorizzalo ed al C.l.L., il quale ultimo solo per brevi periodi godè di un rapporto paritetico tra fanteria e a rt iglieria. Non si trattò di un fatto nuovo per l'esercito itali ano: ne lle formazioni organiche della divis ione binaria, e ancor prima in quelle della divisione ternaria, il rapporto proporzionale dell'artiglieria rispetto alla fanteria, no-
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nostante il criterio enunciato nella dottrina tattica del tempo per la quale senza fuoco non si avanza, era stato costantemente all'incirca di 1 a 2. Tale stato di fatto sarebbe bastato da solo a porre le unità italiane del raggruppamento motorizzato e del C.I.L. in evidente inferiorità di capacità operativa rispetto alle equivalenti unità alleate che, oltre a godere di un rapporto assai più favorevole all'artiglieria, basavano concretamente la loro tattica sulla preminenza assoluta del fuoco, tanto da non avanzare, anche quando avrebbero potuto, senza prima avere irrorato di bombe il terreno da percorrere e l'obiettivo da conquistare, anche a scapito della celerità del movimento e della snellezza ed elasticità della manovra. Nelle azioni più impegnative e più decisive, da monte Lungo a Filottrano ed oltre, le unità italiane ebbero bisogno di regola del concorso di fuoco delle unità alleate. Assai piu negativa dell'insufficienza del fuoco, fu per il C.J.L. la gravissima insufficienza di mobilità, la quale si ripercosse, oltre che sul piano stategico e tattico, soprattutto su quello logistico e morale. Ben altrimenti brillante e remunerativo avrebbe potuto essere l'operato del C.J.L. qualora questo avesse potuto avanzare, specialmente durante il secondo ciclo operativo (settore adriatico), contemporaneamente, o quanto meno in tempi su ccessivi ristretti, mediante il ricorso alla manovra dei mezzi a motore, con tutte le sue unità costitutive in misura da esercitare uno sforzo potente e costante lungo la direttrice operativa assegnatagli, senza essere costetto a rinunziare per non brevi periodi a non meno di un terzo delle sue forze, immobilizzate dalla mancanza di automezzi e costrette a rimanere disseminate in profondità a centinaia di chilometri dalla testa dell'unità. La 11 8 brigata rimase ferma ed inerte a Chieti per circa un m ese. Qualora i combattimenti di Filottrano non avessero avuto fine per l'abbandono della località da parte dei tedeschi, il C.J.L. sarebbe entrato in crisi per la mancanza di munizioni di artiglieria determinata daJla insufficienza dei mezzi di trasporto. La mancata motorizzazione dei pezzi controcarro rese spesso intempestivo il loro intervento contro i mezzi corazzati tedeschi. E che cosa dire dei lunghi estenuanti movimenti a piedi compiuti dalle fanterie per raggiungere le zone d 'impiego, per trasferirsi da un settore all'altro, per trasportare armi e rifornimenti? Stante l'insufficienza della mobilità tattica e logistica e l'eterogeneità dei mezzi di movimento disponibili (automotomezzi e muli), il grado di efficienza operativa del C.I.L. fu di gran lunga inferiore a quello di tutte le altre unità alleate con le quali cooperò, o comunque operanti nello scacchiere italiano. I comandi alleati spesso non tennero conto di tale realtà, non modificabile a cura delle autorità militari
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italiane centrali, e poco fecero per colmare una lacuna che tutto sommato si risolveva a danno del complesso delle operazioni. Di gran lunga maggiore, inoltre, sarebbe stata la capacità operativa del C.I.L. qualora questo avesse potuto disporre di mezzi corazzati, tanto più che il terreno d'avanzata del secondo e del terzo ciclo operativo ben si prestava all'impiego di unità carri minori. Ma circa l'assegnazione organica di carri armati, i comandi alleati, nonostante le richieste di quelli italiani, rimasero fermi nella decisione di carattere quasi punitivo di non concederli anche quando verranno costituiti i gruppi di combattimento, come s e fosse ancora concepibile sui terreni di pianura e collinari il combattimento delle fanterie e dell'artiglieria senza l'apporto dei carri armati. Riparò in una qualche misura a tale mediocre situazione di efficienza operativa, di gran lunga peggiore sotto l'aspetto materiale di quella di ogni altra grande unità a lleata e nemica operante nello scacchiere, il fattore morale inteso come il complesso delle qualità dei capi e dei gregari c de lla loro abilità tattica e tec nica che, congiunta con la volontà di non tirarsi indietro, sopravanzò la debolezza delle strutture ordinative ed organiche e le lacune dei mezzi di combattimento e logistiche. L'ispirazione conferita all'impiego dell'intero complesso diforze, a lle singole manovre tattiche ed alle varie azioni dai comandanti più elevati e soprattutto dal generale Utili, dota to di spiccate cap acità operative ed di grande ascendente, trascese la dottrina ufficiale ancora in vigore e fu costantemente aderente alla nuova fisionomia del combattimento. Da lla semplice lettura degli ordini di operazione stilati dal generale Utili - dei quali abbiamo segnato in nota i rife rimenti bibliogr afici necessari a rintracciarne i testi completi - risultano evidenti la chia rezza e la semplicità delle con cezioni, l'ade renza dei criteri con i quali queste si ispiravano alle situazioni ed ai terreni delle singole operazioni, l'ansia costante d'individuare nella manovra più che nell'azione di forza la risoluzione del combattimento. L'ampiezza di vedute, la ricchezza d' intuito tattico, il rigore della conseguenzialità logica e la lucidità del me todo di esposizione conferiscono a quelle concezioni ed a quegli ordini di operazione un valore didascalico tuttora attuale. Le operazioni, oltre che intelligentemente e razionalmente impostate, vennero altresì organizzate senza precipitazioni e con gradualità, e dirette con fermezza e serenità anche nei momenti di drammatica incertezza determinati dalla violenza de lla reazione di un n emico non meno valido e risoluto. Alla valenza del comandante si accompagnarono in tutto il loro r eale valore le qualità più profonde e solide de i capi subordinati e d ei soldati, sen za le quali, in quella
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situazione organica e di dotazioni, invano il J raggruppamento motorizzato ed il C./.L. avrèbbero inseguito il successo che invece quasi sempre raggiunsero. Nessuno può dire se guidati da altri comandanti il I raggruppamento motorizzato e il C./.L. avrebbero operato altrettanto bene'; si può invece senza dubbio affermare che non avrebbero in nessun caso potuto fare di più e di meglio.
4. La linea di politica militare italiana, tendente ad ottenere una sempre maggiore partecipazione delle unità italiane combattenti alla guerra di liberazione, fissala dal governo del maresciallo Badoglio s ubito dopo ]'8 settembre del 1943, non subì interruzioni e varianti né dal successivo secondo governo del maresciallo (aprile-giugno 1944), né dai due dell'onorevole Ivanoe Bonomi (giugno-dicembre 1944 e dicembre 1944-giugno 1945). Concordemente ed incessantemente le autorità politiche e militari centrali - di queste ultime in particolare il generale Taddeo Orlando 66 ministro della guerra dal febbraio a l giugno 1944, l'onorevole Alessandro Casati ministro della guerra dal giugno 1944 a I g iugno 1945, il generale Ambrosia prima ed il m a resciallo Messe poi, entrambi nella veste di capo di stato maggiore generale, ed i generali Roatta e Berardi in quella di capo di stato maggiore dell'esercito - chiesero e richiesero su tutti i canali possibili, fin da pochi giorni dopo l'armistizio, di essere autorizzati alla costituzione di unità combattenti da affiancare in prima linea a quelle a lleate e su ccessivamente di aumentare i contingenti autorizzati per conferire alla partecipazione italiana alla guerra un peso militare gradatamente crescente. Ogni richiesta venne accompagnata da proposte concrete, la cui attuazione era però subordinata alla fornitura di armamento e di equipaggiamento alleati secondo gli accordi intercorsi nella riunione te nuta nel pomeriggio del 20 dicembre 1943, presso la sede del comando del XV gruppo di armate anglo-americane in S. Spirito di Bari 67. Di tale riunione - alla quale, giova ricordarlo, parteciparono i generali Eisenhower ed Alexander ed i marescialli Badoglio e Messe - e dei molti alti passi compiuti dalle autorità italiane prima e dopo quella riunione, come pure delle manifestazioni di intenzioni di buona volontà, delle promesse e dei ripensamenti degli alleati, abbiamo trattato precede nteme nte. Le concessioni all'impiego in linea del I raggruppamen to motorizzato e successivamente alla costituzione ed impiego del C.J.L. si può dire che furono quasi estorte ai capi alleati dalla
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tenacia nell'insistenza di quelli italiani. Questi ultimi, pur di garantire la presenza di unità combattenti italiane, non attesero che i comandi alleati fornissero le armi e gli equipaggiamenti concordati, ma sollecitarono ed ottennero l'impiego in linea del I raggruppamento e poi del C.I.L. con il solo armamento ed equipaggiamento italiani. D'altra parte, attendere che gli anglo-americani si decidessero sarebbe equivalso a rinunziare alla partecipazione perché, come confessò nel giugno del 1944 il generale Alexander nella riunione di Napoli, il problema del riarmo delle unità italiane non era stato effettivamente affrontato fino a quella data come si sarebbe dovuto fare secondo gli accordi della riunione di S. Spirito. Una confessione che conferma esplicitamente quanto convinta e persistente era stata fino ad allora l'ostilità anglo-americana alla costituzione ed all'impiego di unità italiane combattenti e quanto scarsamente sincere e convinte erano state le promesse fatte al governo ed alle autorità militari circa la cessione di armi, di mezzi e di materiali. La verità è che gli anglo-americani avrebbero voluto che la collaborazione militare fosse rimasta relegata nelle retrovie, nei servizi connessi con lo sforzo bellico, ma che non venisse mai estesa al campo di battaglia. Altrimenti non si spiega il perché fecero di tutto, contro il loro stesso interesse, per frapporre ostacoli e remore alla formazione di unità combattenti e addirittura per sfasciare quelle che le autorità italiane riuscivano faticosamente a mettere in piedi, ed il perché lasciarono il I raggruppamento motorizzato ed il C.J.L. in costante situazione d'inferiorità, quanto ad armi e mezzi, rispetto alle unità alleate. Ancora nel febbraio del 1944, quando lo stato maggiore dell'esercito propose il riordinamento 68 delle divisioni Piceno e Mantova per l'impiego nelle operazioni previste per la primavera e richiese il materiale necessario per completarne l'armamento e l'equipaggiamento, i comandi anglo-americani e le commissioni e sottocommissioni di controllo non dettero nessun seguito alla questione, lasciando cade re nel nulla i provvedimenti già in corso di attuazione disposti dalle autorità italiane. Le divisioni Piceno e Mantova continuarono ad essere impiegate nelle retrovie. Se il discorso per una maggiore attiva partecipazione delle forze italiane alle operazioni venne ripreso nella riunione di Napoli del 3 giugno 1944 69 e venne concretato nella successiva riunione del 23 luglio presso la commissione alleata di controllo 70, dove fu decisa la nascita dei gruppi di combattimento, lo si dové principalmente, come abbiamo già rilevato, alla sottrazione di 7 divisioni del gruppo d'armate del generale Alexander dalla fronte italiana per l'effettuazione dell'operazione Anvil. Da quel momento si presentò agli anglo-americani l'esigenza di sopperire all'indebolimento della fronte
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italiana e, non potendo fare altrimenti, presero la duplice decisione di aumentare il contingente dei combattenti italiani e di provvedere nel contempo a dotarlo di armi e di mezzi alleati. Su tale decisione ebbero naturalmente il loro peso il brillante comportamento operativo da monte Lungo a Filottrano del / raggruppamento motorizzato e del C.I.L. e l'attenuarsi, con il passare del tempo e nella comunione di armi, della sfiducia, dei sospetti e della malevolenza iniziale - giustificabili sul piano dei risentimenti, non su quello dell'interesse operativo - ma la principale ragione della decisione stessa fu la necessità di rafforzare il dispositivo alleato. Diversamente, qualora c ioè il provvedimento fosse stato determinato dall'accoglimento delle ripetute e pressanti richieste italiane o dal riconoscimento del contributo notevole fino ad allora dato da1l 'Italia alla campagna alleata, non sarebbe s tato circoscritto da tante limitazioni e remore di carattere sostanziale e formale, talune addirittura umilianti. Dopo la riunione del 3 giugno 1944 tra il generale Alexander ed il maresciallo Messe ed i successivi incontri dei rappresentanti dei rispettivi stati maggiori generali, si ebbe quella del 23 luglio tra il generale Berardi ed il capo della missione alleata di controllo (A.C.C.). Essa ebbe per oggetto l'approntamento di due gruppi di combattimento italiani con armamento inglese. Da parte alleata venne sottolineato che quanto costituiva oggetto della riunione doveva intende rs i unicamente quale pensiero del generale Alexander e del di lui capo di stato maggiore, in quanto non era ancora giunta l'approvazione dei governi alleati alla richiesta loro inoltrata di costituire due gruppi di combattimento italiani, simili alla divisione di fanteria italiana (binaria). Richiesto quali divisioni avrebbero potuto essere trasformate in gruppi di combattimento, il generale Berardi elencò nell'ordine la Cremona, la Friuli, la Piceno, la Mantova, la Bari e la Granatieri. Per il momento la scelta cadde sulla Cremona e sulla Friuli, per la cui costituzione organica, dottrina d 'impiego e preparazione tattico-tecnica, venne presa a base la disponibilità di armi e di mezzi di una divisione britannica con l'intesa che, qualora fosse stato possibile ottenere di più dell'equipaggo di una divisione britannica, si sarebbe proceduto alla costituzione di altri gruppi di combattimento. Per l'addestramento si convenne che sarebbero stati svolti, presso le scuole d'istruzione inglesi, corsi per gli ufficiali italiani sul nuovo armamento, che tali ufficiali avrebbero successivamente provveduto a istruire gli specialisti e le unità minori e che sarebbero state tradotte in italiano e distribuite le varie pubblicazioni inglesi sull'impiego, la manutenzione e la conservazione dei vari materiali. Un nucleo di ufficiali inglesi
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avrebbe seguito l'istruzione ed avrebbe provveduto al collegamento con le singole unità italiane. Sull'argomento dei gruppi di combattimento venne poi tenuta una altra riunione, il 31 luglio, presso lo stato maggiore dell'esercito italiano, che venne presieduta dal generale Berardi, alla quale parteciparono ufficiali dello stato maggiore dell'esercito italiano ed un rappresentante della commissione alleata di controllo 71, Questi comunicò che per ragioni politiche le divisioni italiane non avrebbero potuto conservare tale denominazione,ma avrebbero dovuto assumere quella di gruppo di combattimento, e che i gruppi non sarebbero stati più due, come dagli accordi precedenti, ma sei: I raggruppamento motorizzato, Nembo - che sarebbero stati tratti dal corpo di liberazione del quale facevano già parte - Cremona, Friuli, Mantova, Piceno, derivati dalla trasformazione delle divisioni omonime. Il rappresentante alleato soggiunse di non sapere come il comando in capo alleato intendesse raggruppare le nuove unità, ma che queste o avrebbero potuto essere distribuite fra le divisioni a lleate, o costituire un corpo unico ed in parte distribuite tra le divis ioni alleate. Circa le divisioni di sicurezza interna il rappresentante alleato precisò che al riguardo sarebbero s tati sufficienti 45 mila uomini ordinati in altre 5 divisioni, della forza di circa 9500 uomini ciascuna, e, al pari dei 6 gruppi di combattimento,costituite su 2 reggimenti di fanteria di 3 battaglioni ciascuno in modo che sarebbe stato possibile, in avvenire, trasformarle ed impiegarle come grandi unità combattenti. Il generale Berardi non nascose il rincrescimento italiano per il mutamento della denominazione e sottolineò il desiderio del raggruppamento in un unico corpo dei 6 gruppi di combattimento o, in via subordinata, il loro ordiname nto in raggruppamenti di due o t re gruppi, in modo che si potesse successivamente tendere a raggrupparli in un unico corpo ita liano al quale affidare in proprio un settore del fronte. Le soluzioni proposte dal generale Berardi, sulle quali le autorità italia ne insisteranno ripetutamente anche nei tempi successivi, non vennero accolte pe r motivi politici, a riprova dell'intendimento dei governi alleati di non concedere evidenza e prestigio spiccati e remunerabili alla collaborazione militare italiana. Nella riunione venne altresì de ciso che i gruppi di combattimento avrebbero avuto uniformi alleate e che la gran parte del materiale sanitario, nonché 3 compagnie trasporti, 3 compagnie genio campali, il personale per 3 unità di equipaggiamento (lavanderie, bagni, forni), 1 unità articolabile in 3 aliquote per il recupero di materiali avrebbero dovuto essere forniti da parte italiana. Sulla base dei risultati delle riunioni del 23 e del 31 luglio, lo stato maggiore
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dell'esercito dette il via, ai primi di agosto, alla graduale attuazione del piano generale e dei programmi particolareggiati di organizzazione dei gruppi di combattimento, emanando prima di tutto le disposizioni per lo svolgimento, nel periodo fine agosto-settembre, di una serie di corsi intesi ad addestrare ufficiali e sottufficiali istruttori: corsi informativi di addestramento tattico, corsi sulle armi della fanteria, sul materiale di artiglieria, sui mezzi di trasporto 72. Alla diversità delle lingue si fece fronte con la costituzione presso le varie scuole di gruppi di interpreti e con la traduzione, stampa e diramazione della regolamentazione inglese concernente in particolare l'impiego delle armi e dei materiali inglesi 73. In materia di collegamenti venne impiantata una scuola italiana dei collegamenti a Nocera Inferiore. Per far conoscere la dottrina tattica dell'esercito inglese venne is tituito un corso informativo tattico al quale parteciparono, come frequentatori, ufficiali italiani di stato maggiore. Il programma generale di ris trutturazione d ell'esercito in tutte le sue branche - organi<.:a, a Jdestrativa, logistica, amministrativa - impegnò lo s tato maggiore dell'esercito in un'attività intensa, fervorosa e delicata che conseguì nel complesso buoni risultati in tutti i settori, nonostante le molteplici difficoltà pratiche, proprie di una siffatta ristrutturazione, da compiere sotto l'assillo dell'urgenza, e quelle di ordine morale e psicologico frapposte dagli organi alleati di collegamento - tra l'altro troppo numerosi e capillari - tendenti ad esasperare la loro azione di controllo e ad invadere la sfera delle attribuzioni specifiche de i comandi italiani, sui quali intendevano esercitare fino ai minori livelli una funzione ispettiva tale da compromettere il prestigio e da ferire la dignità dei comandanti e dei quadri ufficiali e sottufficiali italiani. Bisogna dire che, sotto ta le profilo, le nostre unità combattenti fecero un passo indietro rispetto alla maggiore libertà d'azione di cui avevano potuto godere in passato, di fronte agli alleati, tanto il I raggruppamento motorizzato quanto il Corpo italiano di liberazione 74, presso i quali i comandi alleati non avevano mai distaccato, con carattere continuativo, alcun organo di collegamento e di controllo come fecero per i gruppi di combattimento. Contro tale eccessiva ingerenza, spinta fino ad interventi nelle modalità esecutive, lo stato maggiore dell'esercito trasmise nel gennaio del 1945 al ministro della guerra un promemoria di lagnanze perché venisse consegnato all'ambasciatore italiano a Londra e questi ne facesse oggetto di illustrazione al governo inglese, approfittando della circostanza per rappresentare anche come a molti inconvenienti si sarebbe potuto ovviare raggruppando i gruppi di combattimento in corpi d'armata italiani, con il vantaggio di un mag-
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giare spirito combattivo e di emulazione dei gruppi stessi e di una maggiore affermazione, di fronte alla nazione, dello sforzo bellico italiano. Il passo diplomatico non sortì alcun effetto al pari di quello compiuto dallo stesso ministro della guerra, onorevole Casati, e diretto allo stesso scopo presso il capo della missione alleata di controllo. Questi infatti respinse, pur dicendosi dolente, la proposta della costituzione di corpi di armata italiani, affermando che il generale Alexander aveva deciso che nelle attuali circostanze la formazione di Corpi italiani o Quartieri generali dell'Esercito non era necessaria né desiderabile. Le autorità alleate non consentirono n eppure che all'entrata in linea dei gruppi di combattimento venisse emesso un bollettino di guerra italiano. Tanto più meritorio fu, dunque, l'immane sforzo compiuto dallo s tato maggiore dell'esercito e tanto più validi furono i sacrifici dei qua dri e dei soldati che, pur nella consapevolezza di una non equa corresponsione di trattamento, lavorarono e combatterono senza risparmiarsi, mossi solo dai sentimenti di amore della Patria e di dignità e onore militari. Il gruppo di combattimento venne costituito s ulla base dello schema organ ico del personale, delle armi e degli automezzi concordato inizialmente con gli organi alleati 75, fatti salvi alcuni r itocchi apportati in sede di attuazione, che no n modificarono le linee generali originarie. li gruppo di combattimento venne articolato su: un comando di gruppo, due reggimenti di fanteria, un reggimento di artiglieria, un b attaglione misto del genio, un servizio sanitario, una compagnia (poi reparto) trasporti e rifornimenti, un deposito mobile materiali artiglieria e genio (poi parco m obile), un'officina mobile per il comando del gruppo di combattimento, 6 officine mobili leggere, un plotone officina per compagnia (poi reparto) trasporti. Il comando del gruppo di combattimento fu a rticolato su: un quartier generale (28 ufficiali, 100 sottufficiali e truppa, 2 fucili mitragliatori), un nucleo inglese di collegamento (7 ufficiali). Il reggimento di fanteria fu costituito su: una compagnia comando di reggimento (1 plotone comando, 1 plotone servizi, autocarreggio: 21 moschetti a utomatic i e 2 mortai Pia t), 3 battaglioni fucilieri, una compagnia mortai da 76 (su 2 plotoni mortai di 4 squadre ciascuno: 8 mortai da 76, 19 moschetti automatici, 6 fucili mitragliatori), una compagnia cannoni da 6 libbre, calibo 57mm (su 1 plotone comando e 4 plotoni cannoni di 3 squadre ciascuno: 12 pezzi da 6 libbre, 22 moschetti automatici, 2 fucili mitragliatori, 1 mortaio Piat). Ogni battaglione fu costituito su: una compagnia com a ndo di battaglione (1 plotone comando, 1 plotone collegamenti, 1 plotone esploratori-guastatori : 56 moschetti automatici,
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6 fucili mitragliatori, 2 mortai Piat), 3 compagnie fucilieri (ogni compagnia su 1 plotone comando e 3 plotoni fucilieri di 3 squadre ciascuno: 71 moschetti automatici, 14 fucili mitragliatori, 3 mortai Piat, 3 mortai da 50), una compagnia armi di accompagnamento (su 1 plotone comando, 1 plotone pionieri, 1 plotone carrette cingolate, 1 plotone mortai da 76 di 4 squadre, 1 plotone cannoni da 57 di 2 squadre: 65 moschetti automatici, 16 fucili mitragliatori, 6 mortai Piat, 4 mortai da 76, 14 mortai da 50, 2 pezzi da 57). Il reggimento di fanteria comprendeva in totale: 127 ufficiali, 2584 sottuffic iali e truppa, 1064 moschetti automatici, 200 fucili mitragliatori, 63 mortai Piat, 40 mortai da 36, 64 mortai da 50, 36 pezzi da 56. Il reggimento di artiglieria fu ordinato su: un reparto comando (sezione comando e autocarreggio), 4 gruppi da 25 libbre (87 mm) ciascuno su 2 batterie di 4 pezzi (totale in ogni gruppo: 8 pezzi da 87, 56 moschetti automatici, 6 mitragliatrici, 6 mortai Piat), un gruppo controcarro da 17 libbre (76 mm) su 2 batterie di 4 pezzi ciascuna (totale del gruppo: 8 pezzi da 76, 56 m osch etti a utomatici, 6 mi t ragliatrici, 4 morta i Piat), un gruppo contraer ei da 40 mm su 2 batterie di 6 pezzi ciascuna (totale del gruppo: 12 pezzi da 40 mm, 108 moschetti automatici, 6 mitraglia trici, 4 m ortai Piat). Il reggimento di artiglieria comprendeva in to tale: 93 ufficiali , 1433 sottufficiali e truppa, 32 pezzi d a 87 mm, 8 da 76 mm, 12 da 40 mm, 388 moschetti automatici, 36 mitragliatrici, 36 mo rtai Piat . Il battaglione misto del genio fu costituito da 2 compagnie artieri (ciascuna s u 1 plotone operai, 2 plotoni, artieri, 1 plotone a rtieri di arresto) e su 1 compagnia teleradio (con 1 plotone teleradio per il comando del gruppo di combattimento, 2 plotoni teleradio per reggimento di fanteria, 1 plotone teleradio per il reggimento di a r tiglieria). Il tota le del battaglione compr endeva 23 ufficiali, 797 ufficiali e truppa, 34 fucili mitragliatori, 2 mortai da 50, 18 mortai Piat. Il servizio sanitario comprendeva una sezione di sanità (2 reparti a utocarreggiati, 1 reparto portaferiti su 2 plotoni, 1 plotone disinfezione e difesa antimalarica) e 2 ospedali d a campo, in totale: 26 ufficiali e 325 sottufficiali e truppa. La compagnia trasporti e rifornimenti fu costituita da 3 plotoni trasporti (5 sezioni ciascuno), 3 nuclei artieri di riserva (1 per ciascun plotone tras porti), 2 plotoni m isti, in totale: 13 ufficiali, 294 sottuffic iali e truppa, 20 fucili mitraglia tori, 20 mortai Piat. Il deposito mobile materiale artiglieria e genio comprendeva 4 ufficiali, 69 sottufficiali e t ruppa, 4 fucili mitragliatori. Le officine meccaniche - 1 pe r il comando de] gruppo <li <.:umba llimento, l p er ogni reggimento di fanteria, 2 per
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il reggimento di artiglieria, 2 per il battaglione del genio, 1 plotone officina per la compagnia trasporti - comprendevano, ciascuno, un totale di 7 ufficiali, 279 sottufficiali e truppa, 6 fucili mitragliatori, 1 mortaio Piat. Complessivamente il gruppo di combattimento contava: 432 ufficiali, 857 8 sottufficiali e truppa, 2516 moschetti automatici, 502 fucili mitragliatori, 201 mortai Piat, 40 mortai da 76, 140 mortai da 50, 36 pezzi da 57 mm, 32 da 87, 8 da 76, 12 da 40, 1183 automezzi, oltre autobotti, autoambulanze, rimorchi, motocicli, ecc. Successivamente furono apportate a tale formazione organica leggere varianti quali, ad esempio: la soppressione del plotone pionieri nella compagnia armi di accompagnamento di battaglione ed il suo trasferimento alla compagnia comando di battaglione nella quale fu soppresso il p lotone esploratori-guastatori ed alla quale furono assegnate una squadra tiratori scelti e una squadra informatori; la costituzione della compagnia artieri del genio su un plotone comando e tre plotoni artieri; la sostituzione del nominativo deposito mobile con quello di parco mobile A.G.A.; l'eliminazione dei mortai Piat dall'armamento dei reparti trasporti e rifornimenti e così via. La struttura organica fondamentale rimase però quella iniziale. L'esame comparativo della formazione organica ùel gruppo di combattimento con quello della divisione di fanteria inglese e statunitense di quel periodo pone in evidenza: la costituzione binaria del gruppo di combattimento (2 reggimenti• di fanteria) rispetto a quella ternaria (3 reggimenti di fanteria) della divisione inglese e di quella statunitense; l'inesistenza nel gruppo di combattimento, di un'unità esplorante presente negli altri due tipi di divisione (in quella inglese esisteva inoltre anche un battaglione mitraglieri); il migliore rapporto tra artiglieria e fanteria a favore d ell'artiglieria nella divisione inglese e nella divisione statunitense rispetto al gruppo di combattimento; la dotazione più considerevole di armi automatiche nella divisione statunitense ed ancora di più ne lla divisione inglese 76 rispetto al gruppo di combattimento. Meno dotato della divisione inglese e di quella statunitense e non assimilabile a nessuna delle due per la sua ridotta capacità operativa - minori possibilità di manovra stante la costituzione binaria - il gruppo di combattimento ris ultò subito di gran lunga più potente, più mobile e più armonico tatticamente e logisticamente di tutti i tipi di divisione binaria di fanteria (normale, autotrasportabile, motorizzata, tipo A.S.) impiegati dall'esercito italiano nei vari scacchieri operativi fino a quel momento. Esso, difatti,
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disponeva di: 502 armi automatiche (senza contare i 2516 moschetti automatici) rispetto a lle 350 della divisione binaria normale, alle 286 della autotrasportabile, alle 258 della motorizzata, alle 238 della A.S. 42; 381 mortai (201 Piat, 40 da 76, 140 da 50) rispetto a 156 (126 da 45, 30 da 81) della normale, ai 153 (108 da 45 e 45 da 81) dell'autotrasportabile, ai 68 (56 da 45 e 12 da 81) della motorizzata, ai 18 da 81 della tipo A.S. 42; 76 pezi di artiglieria (36 da 57, 32 da 87, 8 da 76) rispett<? ai 52 (24 da 75, 12 da 100, 8 da 65/17 e 8 da 47/32) dell'autotrasportabile, ai 48 (16 da 74, 8 da 100, 24 da 47/32) della motorizzata, ai 132 (dei quali 72 da 47/32) del tipo A.S.; 12 pezzi da 40 rispetto agli 8 da 20 della normale e dell'autotrasportabile, ai 16 della motorizzata ed ai 1O del tipo A.S. 42; 1183 automezzi (oltre autobotti, autoambulanze, rimorchi, motocicli , ecc.), rispetto ai 127 (63 autocarri, 6 autocarrette, 45 autocarri L. 39, 13 autovetture) della normale , ai 456 (426 autocarri e 30 autovetture) dell'autotrasportabile, ai 531 della motorizzata, ai 172 (23 autovetture, 60 a utocarri leggeri, 55 autocarri pesanti, 23 a utocarri dovunque, 11 autocarri L. 39) del tipo A.S. 42. Se s i tiene presente in particolare che nel computo dei pezzi di artiglieria dei vari tipi di divisione binaria italiana sono compresi i cannoni da 65/17 e da 47/32, del tutto superati come armi controcarri, la superiorità della potenza di fuoco del gruppo di combattimento diventa ancora più manifesta e rilevante. L'alto grado di potenza di fuoco, di mobilità e di autosufficienza logistica non furono tuttavia sufficienti a conferire al gruppo di combattimento la capacità di urto, di penetrazione, di reazione - in una parola di manovra propria della divisione di fanteria. Esso acquisì senza dubbio una fisionomia operativa assai meglio definita di quella della divisione italiana binaria, ma difettò della complettezza degli organi (terza pedina organica) e dei mezzi (formazioni corazzate) indispensabi li ad una grande unità pluriarma per condurre il combattimento sul campo di battaglia moderno. Sarebbe stato molto più remunerativo, nel quadro generale della condotta delle operazioni, se le autorità alleate non avessero a dottato il modello organico ridotto, di numero e di potenza, rispetto alle loro divisioni, ma avessero approntato, anziché 6 gruppi di combattimento, 3-4 divisioni strutturate organicamente, per ricchezza e per potenza di mezzi, alla stessa maniera della divisione inglese o di quella statunitense. Quali reparti ausiliari d ei gruppi di combattimento vennero costituiti: 3 compagnie parco campale del genio con un totale di 15 ufficiali, 456 sottufficiali e truppa, 21 fucili mitragliatori. 9 mitra-
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gliatrici, 161 automezzi, 9 trattori; 3 compagnie trasporti e rifornimenti, ciascuna formata da 4 plotoni trasporti, 2 nuclei antiaerei di riserva e I plotone officina con un totale di 27 ufficiali, 1026 sottufficiali e truppa, 84 fucili mitragliatori, 81 mitragliatrici, 552 automezzi vari; 6 squadre panettieri con 6 ufficiali e 186 sottufficali e truppa; I compagnia autoambulanze su 3 plotoni; 2 nuclei artiglieri di riserva e un plotone officina con un totale di 7 ufficiali, 276 sottufficiali e truppa, 3 fucili mitragliatori, 1 mitragliatrice, 116 automezzi vari; 12 ospedali da campo, 4 nuclei chirurgici, 2 ambulanze odontoiatriche, 2 depositi avanzati di materiale sanitario con un totale di 102 ufficiali, 402 sottufficiali e truppa, 34 automezzi vari; reparti vari (compagnia lavanderia, reparti complementi, reparti autobagni, tappa, ecc.) con un totale di 27 ufficiali, 402 sottufficiali e truppa, 76 automezzi vari; 3 sezioni di polizia (carabinieri) per le retrovie con 6 ufficiali, 105 sottufficiali e truppa, 3 fucili mitragliatori ciascuna. La costituzione di tali n:parti ausiliari - che si configurano come supporti di corpo d'armata - procedette in parallelo con l'approntamento dei gruppi di combattimento. Nella raccolta del personale per i 6 gruppi di combattimento e per i reparti ausiliari lo stato maggiore dell'esercito dovete affrontare e seppe superare non poche difficoltà derivanti: dalla selezione da operare tra il personale da assegnare ai gruppi ed ai reparti ausiliari e il personale da destinare alle unità in servizio presso gli enti alleati o da s mobilitare per vari motivi; dal numero elevato di specializzati da reperire tra ivari enti ed unità disseminati nei vari presidi; dall'esigenza di ripianare le continue perdite dipendenti dai ricoveri n ei luoghi di cur a, dalle assenze arbitrarie e da altri motivi; dalla necessità di dovere coprire le continue richieste di personale fatte dagli organi alleati per trasporti a salma, servizi ausiliari di rinforzo ai carabinieri, lavori vari; dallo scarso gettito dato dai richiami; dalle pastoie burocratiche nazionali ed alleate che intralciavano la pronta soluzione dei problemi organici. Per fronteggiare il problema del personale si attinse, oltre che dalle normali fonti, anche dal volontariato fino ad autorizzare l'immissione nelle unità combattenti di volontari reclutati sul posto dagli stessi comandanti di gruppo nel numero massimo di 500 uomini per ciascun gruppo. Venne altresì costituito un reggimento complementi 77 per la raccolta dei militari già appartenenti alle unità combattenti che fossero ridiventati disponibili essendo cessati i motivi dell'assenza, di quelli richiamati appositamente per i gruppi di combattimento e
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di quelli incondizionatamente idonei che si rendessero comunque disponibili. Il reggimento sotto la data del 25 novembre 1944 assunse la denominazione di deposito addestramento complementi forze italiane di combattimento con il compito di provvedere all'addestramento di tutti i complementi ad eccezione di quelli del genio artieri, per i quali fu dispos to che l'addestramento venisse svolto presso gli stessi gruppi di combattimento. Il deposito venne trasferito poi a Cesano di Roma, dove, 1'8 gennaio 1945, venne assorbito dal gruppo di combattimento Piceno che perse così tale denominazione per riassumere quella di divisione Piceno - centro di addestramento complementi per le forze italiane di combattimento - 78. Con la scomparsa del gruppo Piceno i gruppi di combattimento si ridussero a 5 e lo stato maggiore dell'esercito chiese subito agli organi alleati la ricostituzione del Piceno e la costituzione di quelche altro gruppo di combattimento mediante l'arruolamento di volontari, ma non ottenne nulla. Per assicurare nelle unità comba ttenti una rappresentanza dell'arma di cavaHeria, già presente nel C.I.L. , lo stato maggiore dell'esercito aveva disposto la creazione di un gruppo squadroni Cavalleggeri Aosta da assegnare, quale terzo battaglione, al Piceno, ma a seguito del mutamento di funzione di tale gruppo l'unità di cavalleria dové essere sciolta. Tra i motivi che determinarono la trasformazione del gruppo Piceno vi fu anche la difficoltà incontrata nel reperimento di personale selezionato. Non fu, infatti, facile coprire la cifra di 57 mila uomini, più il 10% per unità ausiliare e complementi (in totale 62 700 uomini). Alla fine de l mese di dicembre del 1944 mancavano, infatti, ai soli gruppi Friuli e Cremona 1400 uomini ciascuno per essere a pieno organico. Minori le difficoltà per mettere a numero le dotazioni di armi, di mezzi e di materiali e l 'equipaggiamento individuale e collettivo. Le autorità alleate ottemperarono in pieno agli impegni presi e sopperirono anche, al di là dei loro obblighi, alle deficienze di dotazioni determinate dalle indisponibilità italiane. La distribuzione di armi, di mezzi e di materiali rispondenti alle esigenze di vita e di combattimento concorsero a sollevale il morale delle unità e dei singoli che si sentirono trattati, sotto tale aspetto, come quelli delle altre unità alleate. Durante una visita ai gruppi di combattimento Friuli e Cremona, effettuata 1'11 novembre, il generale Alexander espresse il suo compiacimento con queste parole: Sono stato molto bene impressionato per quello che ho visto. Voglio che vi rendiate conto che da questo momento fate parte della mia famiglia. Sarete
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trattati come le altre divisioni alleate ricevendo lo stesso equipaggiamento e lo stesso armamento. I vostri dispiaceri saranno i miei dispiaceri. Desidero che ci consideriate come vostri amici. Siamo tutti sulla stessa barca. Da due anni stiamo vincendo dure battaglie: vinceremo anche quella finale 79. I riconoscimenti delle autorità alleate, il miglioramento dei vitto, del vestiario, delle calzature e dell'equipaggiamento, la dotazione di armi, mezzi e materiali rispondenti alle esigenze del combattimento, la motorizzazione di tutte le unità del gruppo di combattimento ad eccezione dei soli plotoni fucilieri - per i vari movimenti su lunghe distanze si cominciò a fare ricorso alle ferrovie od alla manovra degli automezzi evitando le lunghissime marce a piedi del passato furono provvidenze 80 che giovarono a migliorare il morale delle unità e dei singoli. Continuarono tuttallora a non mancare però elementi negativi di preoccupazione e di abbattimento degli spiriti. Il clima stesso della guerra civile, le polemiche politiche e la propaganda denigratrice e disfattista dei partiti di sinistra contro le forze armate, e in particolare contro l'esercito, che venivano additate come responsabili del fascismo, de lla guerra e della disfatta, addebitando ad esse quelle che erano stati gli errori, le accondiscendenze e le colpe dell'intero paese e l'accumunare nella giusta condanna di alcuni vertici militari l'intera istituzione erano motivi di rottura dell'unità morale, che mai piu che in quel periodo sarebbe stata necessaria, anzi indispensabile, giacché il Paese, nonostante la viva partecipazione alla guerra di liberazione, restava nella considerazione delle nazioni alleate un paese vinto con tutte le conseguenze politiche ed economiche che ne derivavano. Concorrevano altresì a deprimere l'animo dei soldati le assenze arbitrarie che rimanevano impunite, la mancata estensione a tutti gli uomini validi della partecipazione al servizio militare, il timore che le unità italiane, stante il prolungarsi della guerra, potessero essere avviate a combattere fuori del territorio nazionale, il continuo accumularsi di nuove distruzioni e macerie materiali e morali, l'incertezza economica del domani ed altri motivi particolari, quali la mancanza di notizie dei congiunti residenti nel territorio ancora occupato dai tedeschi e la mancata concessione di licenze a quelli aventi le famiglie nel territorio liberato. Nel novembre del 1944 le autorità militari proposero: la promozione, attraverso gli organi d'informazione, di un'intelligente valorizzazione d el contributo dell'esercito alla guerra di liberazione; l'intervento politico per porre fine alla campagna denigratrice dell'esercito; l'emanazione di provvedimen-
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ti severi e coercitivi contro i disertori ed i renitenti; l'aumento dei sussidi alle famiglie dei militari e l' istituzione di polizze assicurative; l'incremento dell'assistenza morale e materiale a favore dei combattenti da parte delle autorità politiche e della stessa popolazione. Le autorità militari dovettero tornare alla carica alla fine del mese di dicembre per ottenere qualcosa da parte del governo, mentre da parte loro provvidero a costituire una sezione assistenza e propaganda presso ciascun gruppo di combattimento, ad aumentare la distribuzione di premi ai soldati più meritevoli e bisognosi, ad inasprire le procedure disciplinari e penali per reprimere le assenze arbitrarie, ad intensificare l'azione morale. Il tono delle unità e dei singoli andò gradatamente migliorando e raggiunse valori sufficientemente soddisfacenti alla vigilia dell'impiego in linea. In stretta connessione con il programma di ristrutturazione generale dell'esercito e con quello organizzativo dei singoli gruppi di combattimento, vennero definiti i piani di approntamento e di a ddestramento. Venne previsto che i gruppi avrebbero potuto essere organizzati, addestrati e pronti per l'invio in linea in tempi diversi: il Friuli entro la fin e di ottobre, il Cremona entro la prima quindicina di novembre, il Legnano e il Folgore entro la prima quindicina di dicembre, il Mantova ed il Piceno entro la prima quindicina de l gennaio I 945. Tenuto conto che la gran parte dei quadri e dei soldati erano già in parte addestrati e che conseguentemente si trattava di riaddestrarli soprattutto all'impiego delle armi e dei mezzi nuovi, lo stato maggiore dell'esercito fissò l'iter addestrativo in una quindicina di settimane, ripartendolo in cinque fasi: addestramento degli istruttori reggimentali nelle scuole britanniche (2-3 settimane), addestramento dei quadri presso i gruppi di combattimento (1-2 settimane), addestramento tecnico-individuale delle unità (4-5 settimane), addestramento tattico e procedurale de i comandi e degli stati maggiori (4-5 settimane), addestramento tattico d'insieme (1-2 settimane). Allo scopo di coordinare l'attività addestrativa venne istituito, alle dirette dipendenze del capo di stato maggiore dell'esercito, un ispettorato dell'addestramento per i gruppi di combattimento con i compiti: di mantenere uno stretto collegamento con le autorità militari britanniche specificamente preposte all'addestramento; di seguire lo svolgimento dell'addestramento presso i gruppi di combattimento, anche se in linea, e presso il centro addestramento complementi, mediante frequenti ispezioni, avendo particolare riguardo alla preparazione tecnico-professionale dei quadri; di formu lare proposte intese a migliorare l'addestramento, specie per adeguare
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nel miglior modo i procedimenti britannici all'indole del combattente italiano; di dare suggerimenti intesi a perfezionare ]'addestramento per renderlo più aderente alle necessità di impiego. Gli organi inglesi, da parte loro, formarono la squadra britannica di addestramento, composta di ufficiali e sottufficiali, per controllare e seguire lo svolgimento dell'attività addestrativa. Reparti di collegamento britannici (British Liaison Units) furono incaricati, dal distretto alleato dell'addestramento (D.M.T. - District Military Training), di emanare le istruzioni necessarie e di controllare l'addestramento dei gruppi di combattimento che, nelle zone di addestramento, passavano alle dipendenze del D.M.T .. Il generale Alexander tenne a precisare che i gruppi di combattimento non sarebbero stati portati in linea se non ad addestramento veramente ultimato. Il generale inglese sovraintendente all'addestramento delle truppe nel teatro operativo del Mediterraneo espresse più volte il parere che nessun ufficiale deve recarsi al fronte se non conosce, oltre il suo dovere, il suo me~liere, incilan<lo alla severità nei riguardi degli istruttori con i quali occorre essere molto esigenti. La soluzione del problema addestrativo - mai praticamente raggiunta pienamente nei precedenti anni di guerra, nonostante gli sforzi compiuti al riguardo sul piano concettuale ed organizzativo dello stato maggiore dell'esercito e dallo stesso Comando Supremo - fu quanto mai difficile e laboriosa. Circa l'importanza dell'addestramento sul piano concettuale gli inglesi non dissero nulla di diverso di quanto non fosse stato già sancito da anni dallo stato maggiore dell'esercito italiano. Ma sia in tempo di pace che in tempo di guerra - fatta astrazione per questo ultimo periodo della preparzione tattica e tecnica molto approfondita conseguita dalle unità di previsto impiego nell'operazione C.3 l'esercito italiano, per i tanti motivi ricordati, non aveva quasi mai potuto dedicare all'addestramento la forza, i mezzi ed il tempo richiesti dall'eccellente metodologia didattica consacrata nei regolamenti d'istruzione elaborati dallo stato maggiore. In seguito alla distribuzione delle nuove armi e dei nuovi mezzi non fu necessario soltanto imparare l'uso, la manutenzione e l'impiego di essi, ma adattarsi al metodo di insegnamento e di apprendimento britannico, poco o nulla conforme e adatto all'indole italiana. Non si trattò solo di prendere dimestichezza con le nuove armi ed i nuovi mezzi, ma naturalmente anche con la tecnica d'impiego e procedurale che ne derivava, dando luogo a molteplici variazioni delle modalità di azione in vigore nelle unità minori. Fu necessario inoltre rivedere taluni criteri tattici acquisiti durante la guerra combattuta a fianco
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dei tedeschi stante, ad esempio, la maggiore disponibilità di fuoco di artiglieria e d'impiego dell'aviazione al livello di gruppo di combattimento. D'altra parte, dovendo i gruppi di combattimento operare agli ordini dei comandi di corpo di armata e di divisione alleati ed in stretta cooperazione con le unità alleate di livello inferiore, fu giocoforza apportare alla tattica fino ad allora utilizzata tutte le modifiche che si resero necessarie per renderla simile il più possibile a quella alleata. Per i comandi inglesi l'addestramento era un chiodo fisso. Che se ne fossero assunto la sovraintendenza generale ed il controllo fino alle minori unità fu senza dubbio un fatto alquanto umiliante per l'esercito italiano, ma tutto sommato positivo, perché valse a trarre fuori dell'oblio i saggi insegnamenti addestrativi della dottrina italiana ed a conferire loro valore applicativo intenso e costante. Dell'esperienza di quel periodo lo stato maggiore dell'esercito farà tesoro nel primo dopo guerra per impostare, organizzare e svolgere l'attività addestrativa delle unità del ricostituito esercito. Non tutti validi, invece, i criteri ed i procedimenti tattici alleati, ai quali i gruppi di combattimento dovettero forzatamente adeguarsi, perché taluni di essi risultarono, come vedremo, tatticamente meno remunerativi di quelli abbandonati. L'attività dell e autorità militari italiane nei riguardi dell'elevazione del tono morale, d ella pre parazione professionale e dell'approntamento materiale dei gruppi di combattimento fu intelligente, razionale, efficace. Il superamento delle tante e gravi difficoltà ebbe del prodigioso. Il Comando Supremo e lo stato maggiore dell'esercito dettero prova di una capacità di ripresa inimmaginabile solo qualche mese prima. Ogni paragone con situazioni tragiche e dolorose del passato non regge; così, ad esempio, dopo Caporetto il governo e la nazione intera concorsero senza riserve allo s forzo della ripresa militare. Il maresciallo Diaz, il Comando Supre mo e le unità combattenti non furono abbandonati a loro stessi, ma si sentirono sorretti dal paese e dai governanti. Il maresciallo Messe ed il generale Berardi ed i rispettivi s tati maggiori dovettero, invece, muoversi controcorrente, nella quasi impotenza del governo, nell'indifferenza di una parte del paese e nell'ostilità dell'altra, nel sospetto e nella sfiducia degli alleati, inclini a riconoscimenti a parole, restii a concessioni nei fatti. Essi ebbero come unico ausilio la loro coscienza morale e come guida di comportamento la fede nella indis truttibilità e indispensabilità degli ideali e dei valori nazionali contro ogni pretestuosa negazione. Fede che seppero infondere nei comandanti subordinati e questi nei soldati. La semplice, generica e sommaria
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indicazione dei tre principali settori nei quali i vertici militari di quel periodo profusero le loro energie intellettuali e fisiche e tutte le loro doti di capi non basta a dare l'idea della essenzialità dei contenuti della loro opera di recupero delle residue forze militari per reinserirle, dopo le traversie dell'8 settembre, nel contesto nazionale, quali garanti della continuità della coscienza morale degli italiani. Sarebbe necessaria una trattazione assai più vasta e d estesa che non ci risulta abbia finora visto la luce. Ciò rappresenta una gravissima lacuna della storiografia militare italiana perché quanto fu fatto per la ricostituzione e la ristrutturazione dell'esercito in quel periodo e pe r l'inserimento di unità combattenti italiane nel quadro di battaglia alleato ebbe sul momento e conserva un valore s torico fondamentale. Fu il primo passo concreto per la ricostruzione del paese, anzi ne fu la premessa indispensabile ed insurrogabile. All'in izio furono i 5000 soldati del I raggruppamento motorizzato, saliti dopo qualche mese a 10 mila, successivamente i 24 miia del C. I.L. e, infine, gli oltre 62 mila dei gruppi di combattimento, a dare sostanza alla resurrezione dello Stato. A ciò contribuirono in misura de terminante tutte le a ltre compo nenti della lotta di liberazione - forze politiche e sociali, formazioni partigiane, unità delle forze armate regolari ch e si ribellarono ai tedeschi 1'8 settembre, ufficia li e sottufficiali e soldati internati nei lager tedeschi - ma senza la partecipazione sulla linea del fuoco di unità combattenti dell 'esercito regolare, accanto a quelle degli eserciti alleati, lo Stato, come tale, sarebbe stato a ssente e la guerra contro i tedeschi non avrebbe assunto il significato naziona le e giuridico che ebbe ed il tono corale che la caratte rizzò. Dimentaricare, o passare sotto silenzio, o solo degnare di un breve cenno, la partecipazione dell'esercito regolare, quasi questa avesse un valore marginale, significa sottrarre alla g uerra di liberazione il carattere nazionale che le fu proprio in ragione appunto della dichiarazione di guerra alla Germania da parte del governo legittimo e dell'invio in linea del I ragg ruppamento m otorizzato, del C.l.L. e dei gruppi di combattim ento.
5. Il primo ad entrare in linea fu il gruppo di combattimento Cremona 81 che il 12 gennaio, dopo aver dato il cambio ad unità della 1 a divisione canadese, ass unse la responsabilità della difesa
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nella regione adriatica nel settore compreso tra la ferrovia Ravenna-Alfonsine e il mare, alle dipendenze del comando del I corpo d'armata canadese, questo inquadrato nell'8 3 armata britannica. Esso era stato costituito per trasformazione della divisione Cremona che, dopo aver combattuto contro i tedeschi in Corsica 82, era stata trasferita, nella seconda decade di ottobre del 1943, in Sardegna e da qui, ai primi del settembre del 1944, sulla penisola, dove era stata dislocata in un primo tempo in Campania ed ai primi di dicembre nella zona Ascoli Piceno-Teramo. La trasformazione della divisione in gruppo di combattimento aveva determinato l'assunzione della nuova struttura ordinativa e organica e la graduale distribuzione del nuovo armamento e dei nuovi mezzi, nonché lo sviluppo di un'inte nsa attività addestrativa che, iniziatasi alla metà di settembre del 1944, non aveva ancora raggiunto, nella prima decade del successivo gennaio 1945, il grado di completezza necessario, a causa dei ritardi verificatisi nella dis tribuzione d ei nuovi materiali e delle difficoltà incontrate nel reperimento degli uomini. La consistenza numerica, al momento dell'entrata in linea del gruppo, era ancora deficitaria ed i battaglioni di fanteria, in particolare, avevano una forza ridotta rispetto all'organico. Il generale Clemente Primieri 83, già comandante della divisione Cremona e, dal momento della trasformazione, dell'omonimo gruppo di combattimento, n el prendere contatto con i comandanti dell'8 3 armata britannica e del I corpo d'armata canadese non aveva mancato di rappresentare tali lacune organiche e addestrative - tra l'altro, non erano state potute effettuare le esercitazioni di cooperazione fanteria-artiglieria - ma i due comandi alleati, pressati dalle urgenti necessità operative, avevano egualmente sollecitato l'entrata in azione del gruppo. Questo venne peraltro rinforzato da parte alleata con il 1° reggimento della XXI 3 brigata carri armati, il 17° reggimento artiglieria campale, il 24° reggimento semoventi, un gruppo con troccarri del 7° reggimento canadese, un gruppo semovente controcarri dello stesso reggimento e 4 pezzi da 76 mm (17 libbre). Per la difesa a d oltranza del settore assegnatogli, il Cremona venne schierato 84~ con il 21 ° fanteria tra la ferrovia Alfonsine-Ravenna e la linea C. Lolli-C. Ghetti-podere Carrara; con il 22° fanteria tra la linea C. Lolli-C. Ghetti-podere Carrara e il mare; con uno squadrone della XXI 3 brigata carri armati in riserva a Ravenna per essere impiegato in azioni autonome o in rinforzo ai battaglioni in primo e secondo scaglione. L'artiglieria al comando di un tenente colonnello alleato - promosso provvisoriamente per l'incarico affidatogli brigadiere generale -
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Schizw n. 9 - Gruppo di comb attimento «Cremona». Situazione grafica a lla data 23 genn aio 1945.
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venne ordinata su: 24° reggimento semoventi di artiglieria campale con alle dipendenze 2 gruppi del reggimento e 2 gruppi del 7 ° reggimento Cremona; 17° reggimento campale canadese con alle dipendenze 3 gruppi del reggimento e 2 gruppi del 7° Cremona. La difesa controcarri fu articolata su di un'aliquota mobile e un'aliquota fissa. La difesa contraerei venne assicurata da un reggimento canadese con un gruppo nell'area di Ravenna e due gruppi nelle zone di schieramento delle artiglierie e delle fanterie, mentre il VI gruppo contaerei del 7° Cremona fu lasciato in zona arretrata per completare l'addes trame nto 85. L'eccessiva ampiezza del settore assegnato al gruppo di combattimento - 15 km - la quale poteva ritenersi adeguata allo schieramento di una divisione alleata, ma non certo a quello di un gruppo di combattimento, indusse il generale Primieri a rappresentare l'esigenza di un raccorciamento della fronte, ottenuto il 23 gennaio, mediante la sostituzione del 21 ° fanteria da parte della IP brigata della 1a divisione canadese. La nuova fronte, ridotta a ci rca I O km, venne suddivisa in due settori di reggimento, ciascuno con due battaglioni in primo scaglione ed uno in secondo. Tra il III ed il II battaglione del 21 ° fante ria rimasero inserite, come nello schiernmento precedente, le formazioni partigiane d ella XXVIIP brigata Garibaldi «Mario Cardini», direttamente dipendenti dal comando del I corpo d'armata canadese. Un primo mutamento a tale ordinamento tattico ed a tale schieramento venne apportato ne i giorni 19·22 febbraio allorché il I corpo d'armata canadese lasciò la linea per un periodo di riordinamento e di riposo e venne sostituito dal V corpo di armata britannico. La XXVIII a brigata partigiana fu passata il 19 febbraio alle dipendenze operative del Cremona ed il II battaglione del 22° venne sostituito, sulle posizioni che presidiava, da un'analoga unità del 12° reggimento lancieri inglese, il quale subentrò così, sulla sinistra del Cremona, alla 2 a brigata canadese. Tali provvedimenti 86 resero più organico e più ristretto il settore difensivo del Cremona perché tutte le forze italiane schierate dal canale di bonifica al mare fecero capo ad un unico comando e poterono essere schierati in primo scaglione solo 3 anziché 4 battaglioni di fanteria, destinando gli altri 3 al presidio di posizioni arretrate a vantaggio della profondità del dispositivo e della manovra. Alla fine di febbraio però il Cremona dovette nuovamente allargarsi verso ovest riassume ndo la difesa della zona appena ceduta a l 12 ° lancieri inglese 87. L'attività operativa 88 che si svolse s ulla fronte del Cremona d al 12 genna io alla fine di febbraio fu quella propria di opposte fronti
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Schizzo n. 10 · Gruppo di combattimento «Cremona ». L'operazione «Rino» (2 marzo 1945).
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difensive stabili, caratterizzata cioè da entrambe le parti da azioni di pattuglie, da attacchi e contrattacchi locali, da colpi di mano, dal fuoco, ora più intenso ora meno, delle artiglierie e dei mortai. Sia da parte tedesca che da parte italiana tale attività ebbe uno sviluppo movimentato e vivace, a sorti alterne. Il settore non rimase tranquillo che per brevi periodi intercalati da fasi operative assai più lunghe, tutte molto intense, che impegnarono talvolta reparti dell'entità di una compagnia. I tedeschi dimostrarono fin dal primo momento dell'entrata in linea del Cremona uno spiccato atteggiamento aggressivo che fu gradatamente, a mano a mano che i fanti del 21 ° e del 22° ebbero preso confidenza con l'ambiente di guerra e con il terreno d'impiego, sempre più e meglio contraccambiato e ripagato. I tedeschi si avvalsero nelle loro schermaglie tattiche della grande esperienza dei soldati della 710a divisione di fanteria e della 42a divisione lii.ger, veterane di guerra provenienti da altre fronti , e delle loro posizioni naturalmente più favorevoli alla difesa e meglio rafforzate, e riuscirono talvolta a costringere qualche posto avanzato italiano a ripiegare ed a produrre alcune modeste inflessioni della linea, quasi sempre di carattere temporaneo. I colpi di mano, i tentativi <l' infiltrazione e le puntate esplorative, indipendentemente dai risultati tattici, come pure la tempestività e l'aggressività delle reazioni alle mosse nemiche, oltre che a chiarificare la situazione servirono a forgiare lo spirito combattivo dei fanti del Cremona, a trarre ammaestramenti di ordine tecnico e tattico ed a confermare negli alleati la fiducia nella abilità e volontà combattive del gruppo di combattimento. Nella considerazione che l'attività delle pattuglie nemiche partiva quasi sempre dalla zona boscosa poco a nord del casale Borsetti, tenendo in continuo allarme i posti avanzati del gruppo di combattimento e ostacolando il movimento delle pattuglie del gruppo, mediante la continua posa di mine effettuata nei tratti boscosi del terreno, il generale Primieri ideò e decise un'azione offensiva locale per la conquista della zona dì Torre di Primaro. L'operazione 89 - denominata Rino - avrebbe dovuto essere effettuata di sorpresa ed appoggiata in forza ed a massa da parte dell'aviazione, delle artiglierie, dei mortai e dei carri armati, mentre azioni dimostrative avrebbero dovuto essere operate contemporaneamente su altri tratti della fronte al fine di mascherare l'azione principale. Questa ultima sarebbe stata condotta da un battaglione appoggiato da due gruppi di artiglieria e rinforzato da una compagnia mortai. Prevista per le ore 1O del 2 marzo, l'operazione Rino ebbe inizio alle ore 12,
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nella persuasione che per quell 'ora la nebbia incombente - che peraltro sarebbe stata favorevole alla sorpresa - si sarebbe diradata. La sorpresa venne così a mancare. Durante l'avanzata della colonna principale la 1 a compagnia del 21 ° perse la possibilità, in seguito all'inutilizzazione ad opera della reazione di fuoco tedesca degli apparati radio e del telefono, di far giungere in tempo le richieste di interventi con le necessarie indicazioni ai retrostanti comandi di battaglione e di reggimento; la formazione dei carri inglesi di sostegno fu costretta a sostare per la presenza di numerosi campi minati. Ottenne, invece, pieno successo l'attacco concomitante, tanto da consigliarne il proseguimento, previo il rinforzo di un'altra compagnia, su C. dell'Olmo. Fu n ecessario riprendere l'azione il giorno successivo 90. Durante la notte un contrattacco preventivo tedesco venne decisamente respinto. Dopo lunghi ed aspri combattimenti, durati dalle 11,15 del mattino alle 17,45, vennero conquistate le contrastate posizioni di Torre di Primaro. Si concluse così con successo la prima impegnativa azione a raggio limitato del gruppo di combattimento Cremona, risultata molto più dura di quanto non si fosse immaginato e durata due giorni anziché uno solo come era stato preventivalo. Concorsero ad impedire al gruppo di combattimento di cogliere il successo finale nella prima giornata, oltre che la reazione tedesca più vigorosa di quanto sarebbe stato legittimo attendersi, l'aver fatto gravare l'azione principale pressoché esclusivamente sulla 1a compagnia del 21 °, non tempestivamente alimentata di uomini e di mezzi e non favorita da manovre la terali che sarebbero state possibili ad opera di altri reparti del III/22°; la mancanza di un'idea direttrice centrale che regolasse e coordinasse gl i sforzi anche di fronte alia grande reattività del nemico e, una volta venuta meno la sorpresa, imprimesse a ll'operazione il carattere di manovra di forza impiegando rincalzi bene scaglionati in profondità ed in grado perciò di modificare prontamente la dosatura della prima linea; lo sfasamento tra l'azione dei fanti e quella dei carri intervenuti con ritardo; la mancata piena utilizzazione della schiacciante superiorità di fuoco. Determinarono il successo della giornata del 3: la razionale impostazione della manovra (attacco de lla fronte e avvolgimento di un fianco), la dosata proporzione delle forze agli ostacoli, la saggia preventivata alimentazione dei vari sforzi, la logicità del dispositivo bene equilibrato nel suo scaglionamento, le ben condotte e aderenti azioni di fuoco dei carri armati, il concorso del genio nelle operazioni di sminamento 91_ Ultimata
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Schizza n. 11 · Gruppo di combattimento «Cremona». Situazione grafica alla data 7 aprile 1945.
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l'operazione Rino - che r accolse il plauso del comandante del V corpo d 'armata britannico, di quello del XV gruppo di armate e dello stesso comandante in capo delle forze alleate ne l Mediterraneo 92 - sulla fronte del Cremona subentrò la calma, interrotta saltuariamente dai tiri delle artiglierie e dall'attività delle pattuglie tedesche. Dai primi di marzo ai primi di aprile la normale attività tattica sulla fronte del Cremona - scontri locali, colpi di mano, tentativi d'infiltrazione, posa di mine, ricerca di elementi informativi, ecc. - si manifestò in modo più accentuato solo in occasione di riusciti colpi di mano nell'ultima decade di marzo. Prima il 10 marzo 93, poi il 20 94 dello stesso mese, infine a i primi di aprile, il gruppo Cremona dové modificare tre volte , in base agli ordini del comando del V corpo d'arma ta britannico, il suo schieramento, spostandosi sempre più verso ovest talché, a lla fine, la direttrice mediana degli sforzi del gruppo di combattimento venne a coincidere con la direttrice di Alfonsine. Il 1O aprile prese il via l' azione offensiva, cui venne <lato il nomina tivo Sonia , mediante la quale il gruppo di combattimento Cremona forzò in quattro giorni il Senio, la Canalina, il canale di Fusignano e il Santerno, penetrò combattendo per circa 15 Km nel territorio occupato dai tedeschi c, aggirando le posizioni tenute da questi ultimi a cavallo della strada statale n ° 16, contr ibuì ad aprire la via verso Ferrara alle unità britanniche. L'operazione Sonia, infatti, era stata richiesta da l comando del V corpo d'armata britannico perché venisse sviluppata in parallelo con le azioni di più vasta portata affidate alle grandi unità alleate schierate alle ali del gruppo di combattimento. Il generale Primieri aveva presentato il 4 aprile al comando del V corpo brita nnico, che l'aveva approvata, una memoria 95 pa rticolareggiata circa il forzamento del Senio. Nell'approvarla il comandante del V corpo assicurò il concorso di uno squadrone carri armati Churchill, di otto gruppi di artiglieria divisionale e di due gruppi di artiglieria di medio calibro limita ta mente ad un periodo di 4 ore e precisamete dalle ore 5 alle ore 9 del giorno stabilito per l 'operazione. L'8 aprile il comandante del Cremona emanò l'ordine di operazione 96, nel quale dopo avere indicato i due principali ostacoli che si sarebbero incontrati nello sviluppo dell'azione - la linea fluviale del Senio potenziata e organizzata da l nemico e le mine sparse un po' dappertutto - il generale Primieri delineava una manovra semplice ed agile (rottura della fronte e penetrazione con 2 battaglioni: pressione frontale con il grosso sulle difese nel tra tto Fusignano-Alfonsine); conferiva a l
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dispositivo una snodatura molto ordinata, altrettanto agile e molto e lastica; poggiava il forzamento del fiume sull 'azione della massa schiacciante del fuoco di artiglieria (ra pporto iniziale di 1 a 8 a favore de ll'a rtiglieria; ra pporto generale di 1 a 2, 3/4 circa sempre a favore dell'artiglieria) e sull'azione del genio mediante il gitta mento di passerelle e di un ponte: entra mbe le azioni av rebbero dovuto consentire il rapido passaggio di uomini e di materiali ; inquadrava l'ope razione in una con s is tente cornice di sicurezza determinata dall'offensiva che sarebbe stata sferrata in anticipo da lle unità latera li contermini, dalla costituzione di un fianco difensivo rispetto alle provenienze da Fusignano, dalle puntate affida te a l 21 ° fanteria in direzio ne nord-oves t o rientate a fronteggiare le incognite di Al fons ine. L'operazione Sonia ebb e inizio il 10 aprile a lle ore 5,25, dopo una preparazione di artiglieria durata 25 minuti , con il passaggio a guado del Senio d a parte de i primi elemcnli del II/22°. Dopo il gittamento de lle passe relle, a ttraversarono il fiume nell 'ur<line stabilito e procedettero verso i loro obie ttivi il resto del 11/22° ed il I/21°, seguiti dal I e dal III del 22°, il quale ultimo occupò alle 11 ,30 l'abitato di Fusignano. Sulla destra, nel frattempo, a n che il 2 1° fanteria, pur ostacolato <lai frequenti campi di mine, a vanzò con il I ed il III battaglione occupa ndo Ma donna delle Grazie, Osteria, Bo rgo Garibaldi e, s uperato il Senio, Borghetto e Alfonsine. La mancanza di un ponte di portata u t ile - che venne approntato solo verso le o re 20 - impedì il trasferimento oltre il Senio delle armi pesanti e dei carri armati. La colonna di attacco dové p rocedere con le sole armi della fanteria e, una volta toccata la via Reale, riuscì a deviare in direzione nord-ovest protendendosi a sera verso la Canalina ch e non poté però raggiungere. Nella giornata d ell ' l 1 l'irrigidimento del nemico impedì il forzamento della Ca nalina e costrinse la colonna d 'attacco ad una battuta <l 'arresto. Il gene ra le Primieri, conside rato esaurito il comp ito della colonna d'attacco, la sciolse e passò la responsabili tà della linea al comandante d el 22° fante ria. Non r iuscita l'azione dell'l l a causa della robusta reazione tedesca, il forzamento della Canalina e del canale di Fusignano e la prosecuzione d el movime nto, a cavallo della strada n° 16, verso il Santerno furono affidat i a l II/22° che verso le ore 7, passata la Canalina sulle passerelle gettate dal genio, superò in più punti il canale di Fusignano dal quale il nemico fu costretto a r ipiegare. Rip reso il movimento a fatica, s tanti la reazione delle mitragliatrici e dei m o rta i e la res istenza del nemico, il II/22°
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riuscì solo nel tardo pome riggio ad a ttes ta rsi in vicinanza dell'argine del Santerno, non avendo tra l'altro potuto godere del sostegno dello squadrone carri armati non riuscito a passare sul ponte della Bassa. Lo sforzo compiuto da l 22° fanteria nella giornata del 12 era stato talmente dispersivo e la resistenza te desca talmente vigorosa che il comandante del Cremona, a nche per il fatto che al gruppo di combattimento era stato assegnato come nuovo compito il raggiungimento del ponte di Bastia per costituirvi una robusta testa di ponte a nord del Reno, dispose la sostituzione del 22 ° fanteria con il 21 °, al quale assegnò in rinforzo lo squadrone carri armati. Il giorno 13, completato lo scavalcame nto, dopo 20 minuti di p reparazione, alle ore 7,35 il 1/21 ° balzò all'attacco e, m a lgrado la vio le nta reazione di fuoco de l nemico, riuscì a raggiungere e a d espugnare le posizioni tedesche dell'a rgine m eridionale del Santerno. Nell'impossibilità di forzare il fiume a nord della rotabile n° 16, il 1/2 1° continuò sulla destra l 'azione fronta le ed il 111/2 1° manovrò sulla sinistra pt:1· forzare il fiume ad ovest de lla rotabile. Il St:l:unùo tempo dell'azione sul Santerno ebbe inizio alle 12,30 dopo mezz'ora di preparazione, ma fu necessario estendere la fronte di attacco s ulla sinistra perché la resis tenza che opponevano i tedeschi s ulla fronte troppo ristretta produceva perdite insostenibili. Alle ore 5 una compagnia <lel III/21 ° riuscì ad occupare e s uperare l'argine al ponte della ferrovia ed a costringer e i tedeschi a cedere. Il forzamento del Santerno divenne così un fatto compiuto. A sera, il comando d e l V corpo d'armata inglese ordinò che le unità del gruppo di combattimento sostassero sulle posizioni raggiunte. La manovra eseguita per il forzamento de l Santer no, nella quale trovarono impiego armonico tutte le varie a rmi, ris ultò nelle sue linee fondamentali semplice, e lastica, flessibile e di una conseguenzialità diremmo quasi lineare, così da poter offrire un verso esempio per l 'impiego di più battaglioni sul campo tattico in presenza di un ostacolo, quale il fiume Santerno, potenziato dal nemico 97. Un giudizio che condividiamo perché l'azione nel suo insieme, nonostante qualche lacuna, si concretò in una serrata e brilla nte successione di atti tattici - scavalcamento, preparazione, spostamento del centro di gravità dell'attacco, manovra latera le ne lla fase conclusiva del s ucce sso - c he dimostrarono l'abilità dei comandanti e dei soldati e dettero la prova di come gli italiani, posti in adeguate condizioni di a rmi e di m ezzi, sanno combattere con successo e con non minore p e rizia e coraggio di a ltri. In quel combattimento non vi fu nulla di rigido o di rigidamente preordina-
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S chizzo n. 12 - Gruppo di combattimento «Cremona». L'avanzata dal 23 al 29 aprile 1945.
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to e prestabilito, ma tutto si svolse con un adattamento scorrevole, elastico e strettamente aderente agli sviluppi contingenti della situazione 98. Merita di sottolinearlo, perché il forzamento del Santerno fu la più bella manovra, sul piano concettuale ed esecutivo, del gruppo di combattimento Cremona durante le quattro giornate degli aspri combattimenti sostenuti tra il Senio ed il Santerno, combattimenti che raccolsero per l' abilità e lo slancio che li avevano caratterizzati il sincero riconoscimento ed apprezzamento dei comandanti dell'8a armata e del V corpo d'armata inglese 99. Il riposo che fu concesso nella zona arretrata di Ravenna al gruppo dopo il forzamento del Santerno durò poco, perché nella notte del 23 aprile il comando del V corpo d'armata britannica dispose che il Cremona si raccogliesse nella zona di Portomaggiore e procedesse verso nord, affiancandosi alle altre grandi unità del corpo d 'armata, per riprendere l'offen s iva e raggiungere il Po, operando inquadrato tra la 56a divisione inglese a sinistra e la brigata partigiana Mario Cordini, passata d a l IO marzo alle dipendenze della IP brigata inglese commandos, a destra. La ripresa dell'avanzara verso nord, nel quadro dell'offens iva generale in corso <la parte alleata su tutta la fronte, ebbe inizio il giorno 23 aprile per il 21 ° reggimento fanteria, rinforzato da due gruppi di artiglieria e da unità del genio, ed il giorno 24 per il 22 ° reggimento fanteria ed il 7° reggimento artiglieria. Il movimento si svolse p er traguardi successivi - da Ravenna al Po, dal Po all'Adige, dall'Adige al Brenta e da qui a Venezia - e richiese una settimana di tempo a causa delle resistenze nemiche e delle difficoltà di superamento d ei numerosi corsi d'acqua. La colonna del 21 ° fanteria, superato il Po di Volano su traghetto, passerelle rinforzate e su di un ponte di circostanza allestito dalla popolazione civile, occupate Codigoro e Mezzogoro difese da nuclei ritardatori nemici, si attestò verso la sera del 23 nei pressi del Po di Gora in corrispondenza di Ariano, dove i tedeschi avevano organizzato una solida resistemza avvalendosi anche di cannoni da 88 e di artiglierie di medio calibro. La liberazione di Ariano impegnò dall'alba alle ore 12,30 del giorno 24 l' intera colonna del 21 ° fanteria che attaccò sulla fronte con un battaglione le resistenze tedesche e agì pe r entrambe le ali con gli altri due battaglioni. La manovra riuscì pienamente e la colonna potè costituire un'ampia testa di ponte. La colonna del 22° fanteria raggiunse, entro la giornata del 24, il canale Bentivoglio, dove prese contatto con unità autoblindo della
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56a divisione inglese, proseguì fino al canale Bianco a sud del Po e, superato questo con mezzi di circostanza, liberò Serravalle. La sera del 24 entrambe le colonne del gruppo di combattimento avevano raggiunto con i loro battaglioni avanzati il Po. Nella giornata del 25 il comando del V corpo d'armata britannico - nell'intento di irrompere attraverso l'Adige conquistando Padova ed attraversando il Brenta - dispose la effettuazione di una testa di ponte sul fiume Adige per continuare l'avanzata lungo la rotabile 16 ed ordinò al Cremona di occupare Adria in direzione nord verso il fiume Adige e di attraversare questo ultimo, ove se ne fosse presentata l'opportunità, mantenendo il contatto con la 56a divisione inglese. La massa dei materiali da ponte e dei mezzi anfibi del V corpo d'armata britannico erano stati messi a disposizione delle altre grandi unità del corpo d'armata incaricate dello sforzo maggiore lungo la direttrice Ferrara-Rovigo; il Cremona dové perciò fare affidamento, per il passaggio dei corsi d'acqua, solamente sulle proprie <lutazioni e su mezzi di cin..:oslanza. La notte
dal 25 al 26 aprile venne spesa nel lavoro di preparazione dei mezzi e nell'attraversamento del Po da parte delle prime pattuglie che non incontrarono resistenze. Durante la giornata del 26, in attesa che i mezzi cingolati, i pezzi di artiglieria e gli automezzi potessero attraversare il fiume su portiere, i battaglioni di fanteria del 21 ° iniziarono con mezzi di ci rcostanza il passaggio del fiume in corrispondenza di Mazzorno e della rotabile per Adria, località che venne raggiunta verso le ore 10 del mattino, mentre il battaglione del 22°, superato il Po in corrispondenza dell'isola del Mezzano, si a ttestò nella zonza del Bellombra in collegamento ad est con il 21 ° fanteria e ad ovest con la 56a divisione brita nnica. Il successivo movimento tra Po e Adige del 21 ° fanteria e di un battaglione del 22° - il II e III/22° rimasero momentaneamente sulla destra del Po - incontrò resistenze in varie località, ma proseguì, pur nelle difficoltà opposte del terreno intersecato da canali e canaletti, fino a lle vicinanze di Cavarzere. Superate le resistenze de i tedeschi in corrispondenza del Naviglio Adigetto e di Ca Labia, il 21 ° fanteria proiettò in avanti i tre battaglioni in primo scaglione e attaccò da est, da sud e da ovest Cavarzere che venne liberata verso le 17, dopo una strenua lotta sostenuta anche nell 'interno del centro abitato. Il 28 aprile, di primo mattino, il III/21 ° iniziò il passaggio dell'Adige ad occidente di Cavarzere; a sera, il 21 ° portò la sua testa al di là di ponte sull'Adige, mentre il 22° si raccolse nella zona di Rosolina e la brigata partigiana, superato l'Adige nella zona di Cavanella, si
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spinse verso il Brenta. Il mattino del 29 elementi della brigata partigiana e commando inglesi giunsero a Chioggia, il cui presidio tedesco (un migliaio di uomini) aveva offerto durante la notte la sua resa. Nella stessa giornata del 29 una colonna leggera cingolata del 21 ° e del 22° fanteria puntò su Mestre e, dopo avere aggirato le posizioni di Dolo e di Mira difese dai tedeschi, raggiunse la città verso le ore 16, 15. Un'aliquota della colonna, su ordine del generale Primieri, proseguì per Venezia dove prese collegamento con le unità giunte via mare e sbarcate poco prima. Dopo il raggiungimento di Padova d a parte della 56 a inglese e di Mestre-Venezia da parte del Cremona e delle unità inglesi arrivate via mare, il comandante del V corpo d 'armata inglese, giunto al comando del gruppo Cremona, espresse al comandante del gruppo il suo compiacimento e la sua soddisfazione per i risultati conseguiti.Nello stesso tempo comunicò che con il raggiungimento, da parte della 56a divisione, della città di Padova e l'occupazione di Mestre e Venezia, il corpo d'armata aveva ultima to il suo compito offensivo. Le unità dovevano perciò sostare sulle posizioni raggiunte, raccogliersi e riordinarsi in attesa di ulteriori ordini. Dal 12 gennaio alla fine di aprile, il gruppo Cremona aveva subito la perdita di 13 ufficiali e 165 sottuffic iali e soldati morti, 29 ufficiali e 576 sottufficiali e soldati feriti, 2 ufficiali e 78 sottufficiali e sol dati dispersi e aveva inflitto perdite assai gravi al nemico uccidendo e ferendo un numero imprecisato di uomini e catturando più di 3200 prigionieri, nonché un'ingente quantità di armi, di mezzi e di materiali. Incaricato di uno sforzo sussidiario nel quadro dell'azione complessiva, prima del I corpo canadese e poi del V corpo britannico, il gruppo di comba ttimento Cremona aveva saputo frustrare, nell a prima fase, gli attacchi e d i colpi di mano nemici e contraccambiarli con altri non meno energici; aveva poi portato brillantemente a termine le operazioni offensive Rino e Sonia che, sebbene tendenti a obie ttivi limitati, avevano perseguito risultati di notevole rilievo tattico; aveva compiuto infine un balzo ordinato e veloce dal Senio al Brenta superando le resistenze nemiche, eseguendo passaggi di fiumi senza m ezzi sufficienti e idonei, a ttuando una serie di manovre ordinate e agili, tutte costantemente mantenute su di una linea di unitarietà e di s tretta conseguenzialità da parte del comandante del gruppo di combattimento e dei comandanti subordinati. A ragione il generale Primieri attribuì il m erito dei successi alla ferrea volontà dei capi ed allo spirito di sacrificio dei gregari.
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6.
Il gruppo di combattimento Friuli 100 venne costituito per trasformazione della divisione omonima che, dopo avere combattuto come la Cremona i tedeschi in Corsica 101, si era trasferita prima in Sardegna e successivamente, verso la metà del mese di luglio, sulla penisola, dislocandosi prima nella zona di Afragola e poi in quelJa di S. Giorgio del Sannio (Benevento). Dalla metà di luglio al 10 settembre - data in cui assunse la denominazione di gruppo di combattimento Friuli - la divisione era stata impegnata nella rimessa in efficienza organica delle unità, nell'addestramento dei quadri e della truppa all'impiego delle nuove armi e dei nuovi mezzi e nel miglioramento del tono morale e delle condizioni di vita. Trasformatasi in gruppo di combattimento, dové affrontare difficoltà analoghe a quelle già ricordate per il gruppo di combattimento Crem o na, sia per assume re le nuove formazioni organiche, s ia per svolgere un intenso ciclo addestrativo, s ia per affiatare ed a malgamare moralmente e tecnicamente le unità. Alla fine di novembre il gruppo si trasferì dalla zona di S. Giorgio del Sannio a quella di Radda in Chianti e verso la fine del gennaio 1945 si portò più a nord, tra Bertinoro e Forlì, da dove il 5 fehbraio si mosse p er sostituire in linea la sa divisione polacca Kresowa, schierandosi a sud del Senio, alle dipendenze del V corpo britannico e, qualche giorno dopo, del II corpo polacco. Il 9 febbraio il generale di brigata Arturo Scattini 102, comandante del Friuli dal 21 ottobre J944, assunse la responsabilità del settore difensivo compreso tra il torrente Sintria e il Senio, inquadrato tra la 3 a divisione polacca Carpatica a destra e il XIII corpo britannico a sinis tra. Il comandante del gruppo di combattimento schierò 103 tre battaglioni (I e III/87 ° e I/88°) in primo scaglione ed uno (11/88°) in secondo scaglione a Brisighella, mentre mantenne in riserva a Modigliana due battaglioni (II e III/88°). Il 35 ° reggimento artiglieria venne rinforzato: dall'85 reggimento artiglieria da montagna inglese su 2 gruppi di 2 batterie ciascuno (1 da 94 e 1 da 75 mm), dal 10° reggimento artiglieria di medio calibro polacco, da 1 batteria contraerei leggera della sa divisione polacca Kresowa assegnata temporaneamente e cioè sino a quando non s i fosse schierato il VI gruppo del 35° a rtiglieria. Una squadriglia aerea polacca venne o rientata ad appoggiare il gruppo di combattimento. Il gruppo Friuli non agì durante il ciclo ope rativo alle dipendenze continuative di un solo comando, ma dapprima, per qualche giorno, fu agli
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ordini del V corpo britannico, poi dal 12 febbraio del II corpo polacco e infine dall' 11 marzo del X corpo d'armata britannico. Inizialmente il gruppo Friuli assunse il medesimo schieramento che aveva tenuto la Kresowa, nel cui ambito aveva operato anche la brigata partigiana Maiella. Avanti alla posizione di resistenza il Friuli presidiò una zona di sicurezza che ebbe anche il compito di prima resistenza. Le artiglierie si schierarono sul Lamone. Il settore difensivo del Friuli era importante e delicato in quanto, coincidendo con la sommità di un saliente tedesco, offriva al nemico la possibilità di un eventuale sfondamento al fine di aggirare le unità alleate laterali e di raggiungere la valle del Lamone. Esso era fronteggiato da unità della 715a divisione di fanteria tedesca e della 90a panzergrenadiere. Nel complesso però l'ampiezza del settore - poco più di 6 Km - risultava proporzionata alla capacità operativa del Friuli ed il rapporto dell'artiglieria rispetto alla fanteria (9 gruppi di artiglieria rispetto ai 3 battaglioni di fanteria in primo scaglione) era molto consistente. L'attività operativa 104 che il Friuli svolse dal 9 febbraio fin verso la fine di marzo ebbe come fini la ricerca di informazioni, la neutralizzazione del pattugliamento tedesco, il riordinamento graduale del settore e il graduale spostamento in avanti delle posizioni . Le unità avanzate del Friuli respinsero o stroncarono vari attacchi, dal 15 febbraio al 20 marzo, condotti dai tedeschi contro le posizioni. A tale attività di carattere difensivo si sommò quella di carattere offensivo che consentì alle unità avanzate del Friuli di occupare alcune posizioni delle quali il nemico si serviva come base per la sua attività di pattuglie e di spingere in avanti l'attività esplorativa fino negli abitati di Rivola e di Cuffiano. La notte sul 14 marzo i tedeschi riuscirono a rioccupare la q.92. che, alle ore 13, 15 del giorno 16, dopo un duro combattimento, iniziatosi alle ore 5,35 e condotto da tre pattuglioni del Il battaglione dell'88° fanteria, venne definitivamente riconquistata. L'azione su q.92, sebbene di modeste proporzioni, poiché condotta contro elementi della sceltissima 4a divisione paracadutisti tedesca - giunta in linea nella prima decade di marzo - valse a rinvigorire lo spirito combattivo ed aggressivo dei soldati ed a consolidare il prestigio del Friuli di fronte ai comandi alleati che vollero esprimere il loro compiacimento per la riuscita dell'azione 105. Intrecciate alle azioni più salienti, altre se ne svolsero su tutta la fronte sia da parte italiana che da quella tedesca e l'insieme di tali attività indusse il generale Scattini, dopo l'azione di q.92, a spostare in avanti la linea dei posti
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Schizzo n. 13 - Gruppo di combattimento «Friuli ». Schieramento alla data 10 febbraio 1945.
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avanzati nel tratto centrale del settore ed a dare così profondità alla posizione di resistenza, ottenendo nel contempo l'effettivo dominio diurno e notturno della sponda del fiume. Oltre che spostare in avanti la linea delle posizioni ereditata dalla divisione Kresowa, il generale Scattini decise di riordinare il settore per conferire a questo una maggiore densità di fuoco ed una duplice organicità anche in vista di un'azione offensiva e conseguentemente del rapido passaggio dalla difensiva all'offensiva dell'intero dispositivo. Il nuovo schieramento venne· assunto fra il 22 ed il 23 marzo, mentre l'operazione per spostare in avanti la linea ebbe inizio la sera del 24 marzo. Tale operazione - alla quale fu posto il nome convenzionale Ischia 106 - venne affidata a due plotoni dell'88° e ad una compagnia, rinforzata da un plotone di un'altra compagnia, dell'87° ed ebbe successo in quanto tutti gli obiettivi vennero raggiunti, ad eccezione della q.106, che rimase nella mani de i tedeschi, nonostante i ripetuti cruenti attacchi condotti dai reparti dell'87° fanteria la sera del 24 marzo e la sera del giorno seguente. Verso la fine di marzo, nella previsione dell'offensiva generale di primavera, il Friuli fu incaricato di predisporre la costituzione di una testa di ponte oltre il Scnio, da mantenere saldamente almeno per 24 ore sì. da consentire ad altre grandi unità a lleate, dopo aver scavalcato il gruppo, di avanzare verso nord. Il gruppo di combattimento frattanto aveva avuto assegnato in appoggio uno squadrone A di carri armati Churchill dell '8° reggimento corazzato britannico ed aveva ceduto al gruppo di combattimento Folgore - venuto a schierarsi al suo fianco - alcune posizioni perseguendo così un modesto raccorciamento della fronte . Per la costituzione della testa di ponte, il comandante de l gruppo di combattimento - valutato che il terreno offriva lati vantaggiosi all'attacco e considerato che le forze tedesche contrapposte, benché ancora combattive ed agguerrite, risultavano assottigliate negli organici e indebolite moralmente e m a terialmente - concepì l'operazione, alla quale venne dato il nome convenzionale di Pasqua, come una manovra di forza affidata soprattutto ad una poderosa massa di fuoco di artiglieria e di mortai, che avrebbe dovuto spianare la strada ad una modesta formazione di fanteria (2 battaglioni), incaricata dell'azione principale che sarebbe stata sostenuta anche da azioni dimostrative concomitanti di due battaglioni di primo scaglione schierati nei sottosettori contermini. A sostegno de ll'azione principale fu orientato anche un plotone carri Sherman il quale, qualora non avesse potuto cooperare con appoggio di fuoco diretto, sarebbe interve-
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Schizzo n. 14 - Gruppo cli combattimento «Friuli ». Operazione «Pasqua » (11-14 aprile 1945).
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nuto con azioni di fuoco a distanza contro gli obiettivi pm pericolosi per la fanteria attaccante. Fu concordato che alla preparazione partecipassero, oltre il 35° reggimento artiglieria italiano, il 2° reggimento artiglieria semovente inglese, il 75° reggimento artiglieria medio campale inglese, il II gruppo artiglieria pesante contraerei inglese ed aerei con azione di spezzonamento e possibilmente di bombardamento. A prescindere dagli interventi degli aerei, dal concorso di fuoco delle unità in linea - incaricate di assicurare la difesa del settore contro gli eventuali contrattacchi nemici e subordinatamente di dare sostegno alle unità attaccanti e di carri armati (non impiegabili senza l'esplicita autorizzazione del X corpo britannico, come da vincolo che era stato posto il 4 aprile) venne predisposto a favore dell'attacco l'impiego di circa 12 gruppi di artiglieria, dei quali 9-1 O a favore dei 2 battaglioni rinforzati, stabilendo in tale modo un rapporto di circa 5 a t . Mai le unità italiane, durante il corso di tutta la guerra, si erano potute avvalere di un rapporto artiglieria-fanteria così elevato, superiore anche a quello (4 a 1) realizzato per l'operazione Rino dal gruppo Cremona. Eppure nonostante ciò, l'ope r az ione Pasqua del 10 aprile, al pari di quella Rino del 2-3 m arzo, a causa de ll'abilità manovriera e della volontà combattiva dei due battaglioni tedeschi dell'l 1° reggimento paracadutisti che fronteggiavano il settore d'azione del Friuli, venne bloccata e respinta nella prima giornata di sviluppo quasi ovunque e raggiunse il successo solo durante la seconda giornata, quando il nemico aveva, dalla notte precedente, cominciato a sganciarsi lasciando sulle posizioni solo elementi ritardatori, sostenuti peraltro da intenso fuoco di artiglieria. L'operazione Pasqua ebbe inizio il 10 aprile verso le ore 2,30 con azioni dimostrative: una arrestata dal nemico, un'altra conclusasi con successo. L'azione principale ebbe inizio alle ore 3,45 con la preparazione di altiglieria della durata di 45 minuti ed ebbe nella giornata del 10 il mome nto saliente nel guado del Senio. Il nemico reagì vigorosamente e con un contrattacco costrin se la s inistra del dispositivo attaccante a ripiegare, mentre, nonostante i s uoi contrattacchi, non fu in grado di riconquistare la località di Fonte. La reazione di fuoco fu però tale da costringere le fante rie attaccanti a sostare sulle posizioni raggiunte per riordinarsi e montare un nuovo attacco. Questo, al quale p a rtec iparono anche le compagnie di rincalzo, sferrato dopo una poderosa preparazione di artiglieria 107, alle 14,15, si concluse purtroppo mezz'ora do po con il ripiegamento dei due battaglioni attaccanti sulle basi di partenza.
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Della testa di ponte sulla sinistra del Senio restarono in possesso del Friuli solo poche posizioni contro le quali, nonostante qualche inflessione, s'infranse il contrattacco tedesco sferrato verso le ore 21. Nella prima giornata, in definitiva, i tedeschi avevano bloccato l'azione concomitante su Imola e avevano respinto in gran parte l'azione principale, che soltanto verso la destra aveva conseguito un limitato s uccesso. Nella fondata previsione che il nemico, in seguito alla rottura della linea del Senio subita ad opera delle unità alleate, tra le quali il Cremona, nel settore del V corpo d 'armata britannico, avrebbe potuto ripiegare, nonostante il successo difensivo, anche dal settore del Friuli, il comandante del gruppo di combattimento 108 dispose l'attuazione di un intenso pattugliamento per mantenere il contatto, l'approntamento di elementi leggeri motorizzati pronti a muovere pe r tallonare il nemico, la raccolta del personale di fanteria e del genio specializzato nella rimozione dei campi minati - che tanto avevano ostacolato e rallentato l'avanzata dei due battaglioni durante l'intera giornata del 10 nonché la rapida riunione delle unità maggiormente efficienti. Dimostratasi fondata l'ipotesi del ripiegamento tedesco, alla ore 6 del giorno 11 il generale Scattini ordinò che venissero lanciate robuste pattuglie per accertare la presenza del nemico a cavaliere delle rotabili. Nelle prime ore del giorno 11 , elementi dei due reggimenti mossero al tallonamento dei tedeschi. Il forzamento del Senio e la costituzione di un'ampia testa di ponte sulla riva sinistra divennero così fatti compiuti, nonostante la reazione di fuoco d ell'avversario fattasi sempre più intensa con il progredire dell'avanzata. Nel pomeriggio del giorno 11, il comandante del Friuli intese trasformare l'avanzata in un vero e proprio inseguimento 109, ordinando che per l'alba del giorno 12 venissero occupati da forti pa ttuglie, sostenute da unità organiche arretrate, altre località d'importanza tattica. Ebbe così inizio l 'avanzata dal Senio al Santerno rallentata dalle retroguardie nemiche, dalla mancanza di comunicazioni longitudinali, dall'andamento quasi trasversale delle valli rispetto alla direzione di movimento, dalle interruzioni, dai copiosi campi minati e mine sparse organizzati e disseminati dai tedeschi. Poco dopo le ore 14, il comandante del Friuli affidò l'inseguimento I IO all'intero 88° reggimento fanteria, operante con due battaglioni in primo scaglione ed uno in secondo scaglione, con il compito di occupare per blocchi una nuova linea avanzata di una decina di chilometri rispetto a quella di partenza. L'avanzata dell'88° fanteria continuò, sempre ostacolata dalla reazione nemica
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e dalle mine, nella notte del 12 al 13 e nella giornata del 13 durante la quale vennero occupati tutti gli obiettivi assegnati 111, Ripresa l'avanzata, nella giornata del 14, 1'88° fanteria raggiunse molte altre località sulle sponde destra e sinistra del Santerno. Con il raggiungimento del Santerno, a cavallo del quale 1'88° fanteria si schierò la sera del 14 con un battaglione sulla destra ed uno sulla sinistra, si concluse l'avanzata di una quindicina di chilometri circa tra Senio e Santerno durata 4 intere giornate a causa delle difficoltà frapposte dall'orientamento delle comunicazioni, dalle interruzioni, dalle mine, ma anche in una certa misura dalla spiccata frenante preoccupazione di sicurezza del comandante del gruppo di combattimento che, per mettersi in condizioni di sventare o di parare in tempo eventuali ritorni offensivi dei tedeschi, forse senza volerlo, rallentò ulteriormente il ritmo dell'avanzata di per sé naturalmente lento. Il movimento che fino al Santerno aveva avuto il suo asse orientato verso nord (e in particolare verso Imola) subì, dalla linea del Santerno, una conversione verso nord-ovest e si volse sulla striscia di terreno immediatamente a sud parallela alla via Emilia, inquadrato tra quello della sa divisione Kresowa a destra e quello del gruppo di combattimento Folgore a sinistra. Il dispositivo del gruppo di combattimento Friuli per linea, che ne aveva caratterizzato il movimento dal Senio al Santerno, venne modificato in quello per ala 112 che consentì un ritmo di avanzata più celere ed assicurò una più rapida, elastica e serrata alimentazione della manovra. L'avanzata verso il Sillaro venne così effettuata ripartendo il settore di movimento del gruppo di combattimento in due settori reggimentali, entro ognuno dei quali ciascun re ggimento assunse un dispositivo profondo (un battaglione in primo, uno in secondo ed uno in terzo scaglione) sì da poter alimentare in profondità l'azione e da partecipare attivamente e tempestivamente all'inseguimento - in parallelo con la sa polacca a destra ed il Folgore a sinistra con i primi scaglioni e da dare, nello stesso tempo, ai battaglioni arretrati, più provati, la possibilità di riprendersi presto e di essere pronti a sostituire quelli avanzati. La nuova parola d'ordine fu: far presto e stringere i tempi. Poco prima delle ore 12 del giorno 15, il comando del X corpo britannico, in relazione alla situazione generale che veniva delineandosi, sottolineò l'urgenza di affrettare ulteriormente il movimento di avanzata. Alle unità del Friuli venne assegnato come nuovo obiettivo il Sillaro e venne ordinato di costituire, per compiti esploranti, celeri nuclei di motociclisti e,
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se possibile, di carriers, per occupare subito il monte Bello, in sostituzione degli elementi del Folgore che lo avevano già raggiunto sconfinando dal loro settore, e per muovere celermente su monte del Re (altra località compresa nel settore del Friuli), pure questo già raggiunto da elementi del Folgore. Superata la linea del Sallustra, il comandante del gruppo di combattimento fece proseguire 113 l'avanzata per raggiungere il torrente Sillaro con la maggior celerità possibile, lanciò avanti pattuglie fresche perché si infiltrassero attraverso i molti e vasti vuoti nemici, fece muovere i grossi più arretrati facendoli precedere a loro volta da elementi dei reparti cingolati da inserire appunto tra pattuglie e grossi, dispose che, una volta raggiunto il Sillaro, venissero utilizzati i passaggi agevoli sia a guado sia con barche e passerelle. Nella mattina del 16 aprile, le fanterie raggiunsero il Sillaro e riuscirono, sulla sinistra del settore del gruppo di combattimento, ad effettuare una testa di ponte c he, a tarda sera, venne investita da un contrattaccco tedesco e costretta in gran parte a ripiegare. La notte stessa i reparti dell'88° fanteria reagirono contrattaccando a loro volta e rioccuparono tutte le posizioni della testa di ponte andate perdute poche ore prima. All'alba del 17 il Friuli riprese il movimento per inseguire i tedeschi. L'avanzata delle fanterie procedé spedita fino al pomeriggio del giorno 17, quando, specialmente nel settore di sinistra, si fecero vive le resistenze nemiche, il cui centro era costituito dalle posizioni di Casalecchio de' Conti e della zona circostante, dominate dal rilievo di Case Grizzano che rientrava nel settore di competenza tattica del Folgore 114_ Il mattino del giorno 18 il Friuli riprese l'avanzata, ma elementi dell'88°, raggiunte le prime case di Casalecchio de' Conti, vennero a rrestati dal fuoco di armi automatiche e di mortai ed elementi dell'87° incontrarono forti resistenze particolarmente nella zona di palazzo Coccapane che, trovandosi sul limite destro del settore del Friuli, venne attaccato d'accordo con le limitrofe unità polacche che concorsero all'attacco anche con carri armati. L'attacco non ebbe successo, nonostante l'intervento dell'artiglieria e di una formazione di cacciabombardieri alleati che quasi distrussero la località. Quando elementi del 111/87° si avvicinarono verso le ore 16 nell'abitato semidistrutto, vennero ancora una volta respinti come era loro accaduto la mattina. L'intera giornata del 18 fu spesa in combattimenti preliminari che, mentre consentirono ai tedeschi un guadagno di tempo di 24 ore che facilitò il ripiegamento verso nord delle loro unità impegnate nella zona montana della fronte appenninica, valsero a chiarire al gruppo
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Schizw n. 15 - Gruppo di combattimento «Friuli ». Avanza ta sul Sillaro e sull 'Idice (15-20 aprile 1945).
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Friuli la situazione e ad accertare l'esistenza, sulla sinistra del Gaiana, di un consistente schieramento tedesco appoggiato ai caposaldi di case Grizzano, di Casalecchio de' Conti e di palazzo Coccapane. Per superare la resistenza nemica si rese necessario organizzare un attacco e, poiché case Grizzano sarebbero state attaccate l' indomani dai paracadutisti del Folgore, si rese opportuno prevedere lo sforzo sulla sinistra agendo, d'accordo con il Folgore, in direzione di Casalecchio de' Conti. Venne conseguentemente predisposta per il giorno J 9 un'azione del Friuli su Casalecchio de' Conti, armonizzata con una del Folgore su case Grizzano. Per l'azione su Casalecchio de' Conti - che fu l'ultimo attacco organizzato al livello di gruppo di combattimento dal Friuli - il generale Scattini dispose 115 che 1'88 fanteria provvedesse nel frattempo a mantere il contatto con il nemico contro le posizioni di Casalec<.:hio de' Conti battendole anche con i mortai e preparasse, d'intesa con il comandante del reggimento Nembo de l gruppo Folgore, l'attacco di Casalecchio. Il 19 aprile alle ore 5,45 dopo una preparazione di artiglieria durata 12 minuti e sviluppata oltre che dai gruppi del 35° anche da quelli del 200° reggimento artiglieria inglese - un complesso di 7 gruppi da 87 mm (4 italiani e 3 inglesi) oltre i gruppi controcarri e contraerei - il III/88, che nella notte aveva s cava lcato il II battaglione, attaccò le posizioni di Casalecchio, mentre un battaglione del Nembo attaccò Grizzano. Il primo attacco su Casalecchio fallì e un nuovo attacco, ritentato verso le 11,30, venne del pari arrestato· dalla reazione tedesca. Verso le 12,30 i tedesc hi contrattaccarono i paracadutisti del Nembo.ma questi rimasero aggrappati alle posizioni di Grizzano. Nel pomeriggio venne f atlu serrare sullo il I/88° con il compito - partendo dalle posizioni raggiunte sulla sinistra tenute dal battaglione de l Nembo e inserendosi tra questo ed il III/88° - di attaccare sul rovescio le posizioni che fronteggiavano il III/88° per tentare, con un'azione di forza, di far cadere Casalecchio de' Conti. L'azione esercitata dall'88° tanto sulla fronte quanto sul fianco di Casalecc hio, in concorso con que lle del Nembo sulla s inis tra e dell'87 ° e de l corpo polacco sulla destra, indussero i tedeschi a ripiegare nottetempo prima che all'alba del giorno 20 entrasse in azione anche il 1/88°. Il gruppo Friuli poté così all'alba de l giorno 20 riprendere la sua avanzata verso Varignana e poi verso l 'Idice ed oltre secondo le nuove dis posizioni impartite dal comandante del Fruili 116, integrate, alle 21 ,40 del giorno 20, da altre dirette a spingere i reparti sulla via di Bologna l 17. Raggiunto l'Idicc e costituitavi una testa di
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Gruppo di combattimento «Friuli». L'avanzata dal Senio a Bologna (10-2 1 aprile 1945).
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ponte - dopo aver messo in fuga le oramai stanche resistenze tedesche - i due reggimenti distaccarono subito verso il Savena una compagnia ciascuno, delle quali quella dell'87° riuscì ad avanzare sino a Bologna dove entrò alle ore 8 circa del 21 aprile, raggiunta, tra le ore 9 e le ore 10, dall'intero I/87° e verso le ore 12 dai bersaglieri e dagli alpini del gruppo di combattimento Legnano. Dopo l'occupazione di Bologna - dove entrarono anche reparti del corpo polacco e della sa armata statunitense - il gruppo di combattimento Friuli si raccolse nella zona ad est della città per un periodo di riposo e di riordinamento, concludendo una ininterrotta attività operativa durata 4 mesi e pagata con 242 morti, 657 feriti, 61 dispersi. Al gruppo non mancarono i riconoscimenti 118 dei comandanti del X corpo, generale Hawkesworth 11 9, dell'8 8 armata, generale Mc Creery, e del gruppo d'armata generale Clark e non dovrebbe mancare l'imperitura gratitudine dell'intera nazione per aver saputo compiere interamente il proprio dovere con slancio, abnegazione e spirito di sacrificio, superando gli ostacoli della natura e le insidie delle mine, duramente combattendo e vincendo contro un nemico che sino all'ultimo cercò di precludere sempre le vie della solatia Romagna al cuore dell'Emilia, come scrisse il generale Scattini 120. Dal Senio a Bologna non tutto e non sempre era andato nel migliore dei modi; alcune azioni offensive, benché bene impostate ed organizzate, erano fallite; alcune concezioni erano risultate alla prova dei fatti troppo ottimistiche, altre troppo prudenti; vi era stata anche qualche défaillance da parte di singoli; mai peraltro erano venute meno nelle unità di tutte le armi e nei reparti dei servizi le qualità e le virtù proprie dei bravi soldati. Il divario t ra le azioni bene impostate e programmate ed il loro reale sviluppo non incise mai negativamente, fino all'abbattimento morale, sul comandante, sui quadri e sui gregari che, manovrando abilmente e coraggiosamente, seppero sempre superare gli inevitabili imprevisti propri di ogni operazione bel1ica, grande o limitata che sia, e non si lasciarono mai scoraggiare dagli insuccessi temporanei, opponendo all'abilità tattica e tecnica ed alla volontà reattiva dei tedeschi - rimasta quest'ultima quasi inalterata fino ai combattimenti del 19 aprile intorno a Casalecchio de' Conti forse una perizia tecnica e tattica meno consolidata, ma certamente uno spirito offensivo ed una volontà combattiva elevatissimi. La pubblicazione dell'ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito così conclude il commento sulle operazioni per il forzamento del Senio: in sintesi, ad un'abile arte difensiva si contrappose una non m eno abile arte offensiva 121.
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S chizza n. 17 - Gruppo di combattimento «Folgore». Schieramento dei reparti alla data 7 marzo l 945.
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7. Il gruppo di combattimento Folgore 122 venne costituito il 24 settembre 1944 per trasformazione della divisione Nembo che aveva partecipato nella primavera-estate del 1944 alla guerra di liberazione come elemento costitutivo del C.l.L. 123. Il lavoro di trasformazione della divisione Nembo in gruppo di combattimento Folgore si presentò più complesso di quello di trasformazione delle altre divisioni, perché si dovettero sciogliere quasi tutte le unità di fanteria della Nembo (183° e 184 ° reggimento paracadutisti, battaglione guastatori, compagnia motociclisti, compagnia complementi) per formare un solo reggimento di fanteria paracadutisti secondo le formazioni organiche del reggimento di fanteria. Fu inoltre necessario riunire elementi di provenienza diversa e persino di forze armate diverse (esercito e marina), fondere personale d ella Nembo con a ltro personale proveniente da altre unità del C.l.L. e dalla divisione Sabauda per costituire il reggimento di artiglieria ed il battaglione del genio, creare ex novo reparti (es. battaglione Caorle) e servizi e trasformarne altri secondo i nuovi moduli organici. Tutto il lavoro organ ico inteso a ristrutturare le unità e ad inquadrare i complementi, come pure quello addestrativo e di elevazione del morale, si svolsero tra molte difficoltà che vennero superate in virtù dello sforzo volenteroso e appassionato dei quadri e della buona volontà dei soldati tanto che verso la fine del mese di gennaio la costituzione del Folgore poté dirsi ultimata dal punto di vista morale e materiale ed a buon punto sotto il profilo addestrativo. La organizzazione del gruppo di combattimento ebbe inizio nella zona di Piedimonte d' Alife, proseguì nella zona Talese, dove il gruppo si trasferì tra il 4 ed il 10 ottobre, ebbe ulteriore sviluppo e si completò nella zona delimitata dal triangolo Porto d'Ascoli -Mosciano S. Angelo-Ascoli Piceno, dove il Fulgore s i dislocò entro il 2 febbraio, passando a lle dipendenze operative del X corpo d 'armata britannico. Alla fine di febbraio il gruppo Folgore si spostò a nord per portarsi nella zona d'impiego e sostituire la 6 8 divisione corazzata britannica nel settore delimitato dal gruppo di combattimento Friuli a destra e dalla 10 8 divisione indiana a sinistra. Nella notte sul 1 marzo le unità del Folgore cominciarono a sostituire in linea, sulle posizioni tra il Senio e il Santerno, la grande unità inglese e alle ore 12 del 3 marzo la responsabilità del settore, già tenuto dalla 6 8 divisione britannica (riva destra del Senio - Figura di sotto) venne assunta dal generale di brigata Giorgio Morigi 124,
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già comandante della Nembo e, dal 24 settembre del 1944, del gruppo di combattimento Folgore. Il comandante del Folgore dispose 125 che: i reggimenti S. Marco e Nembo, rinforzati ciascuno da una compagnia artieri, schierassero due battaglioni in primo ed un battaglione in secondo scaglione; il settore del Folgore fosse suddiviso in due settori Val Senio (settore di destra) e Val Santerno (settore di sinistra); il reggimento artiglieria Folgore schierasse due gruppi da 87 mm a favore del settore di destra e due a favore di quello di sinistra, mantenendo per il momento riunito il V gruppo controcarri. Al Folgore vennero assegnati in rinforzo unità inglesi e cioè: uno squadrone carri Sherman 14/20 Hussards (meno due plotoni), un gruppo da 78 mm dell'85° reggimento artiglieria da montagna, un gruppo di 88 mm del 98° reggimento artiglieria da campagna, un gruppo da 90 mm del 1° reggimento artiglieria contrae rei pesante, due gruppi da 90 mm del 51 ° reggime nto artiglieria contraerei pesante, il 51 ° reggimento artiglieria contraerei leggero (4 gruppi da 76 mm di 3 batterie ciascuno), il tentacolo «B» della 655 3 squa driglia da osservazione, una sezione riflettori, un distaccamento meccanici del genio. La compartimentazione del terreno di azione - derivante dal contrafforte fra il Santerno ed il Senio - impose a l Folgore l'adozione di particolari provvedimenti di ordine tattico e di o rdine logistico. Le posizioni tenute dai tedeschi erano dominanti, ostacolavano il movimento dell'a ttacco, consentivano ai difensori la possibilità di concentrare il fuoco s u zone ris trette. Il terreno nell'insieme non si p restava alla manovra dei mezzi corazzati. A schieramento ultimato, il gruppo Folgore risultò suddiviso in tre blocc hi, schierati rispettivamente nella valle del Senio, n ella valle de l Santerno e nella zona Mo rrodiS. Lorenzo 126. L'ampiezza del settore ebbe uno sviluppo di circa 10 Km, non eccessivo per 4 battaglioni in primo scaglione, st anti le difficoltà ch e il terreno presentava al m ovimento e la molteplic ità degl i appigli tattici offerti a lla difesa, mentre la eccessiva profondità del dispositivo trovò la sua giustificazione sia nella necessità di sfruttare le limitate possibilità della zona per la costituzione di ba si logistiche idonee, anche se dista nti, sia nella corifigurazione plastica del terreno e nell'andamento delle poche comunicazioni stradali. Piuttosto modesto, rispetto a quello dei gruppi di combattimento Crem ona e Friuli, il rapporto tra artiglieria e fanteria (1 a I, 3/4) in quanto a favore di 4 ba ttaglioni in primo scaglione furono orientati ad agire solamente 7 gruppi (5 italiani dei quali 4 da 87 e l da 40 mm, 2 inglesi). Ove però si conside rino le a rt iglierie
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contraerei, i gruppi di artiglieria salgono a 14 (ai 7 vanno aggiunti 3 gruppi contraerei pesanti e 4 gruppi contraerei leggeri) determinando il rapporto di 1 a 3, 1/4. In sintesi, lo schieramento adottato che nei giorni successivi subì leggere rettifiche, ma che rimase sostanzialmente lo stesso almeno per il primo periodo di attività operativa - sebbene profondo, in relazione all'ampiezza della fronte oltre ogni limite normale, era in grado, avvalendosi del terreno, di assicurare una buona densità di fuoco. Molto più robusta la posizione difensiva nemica, che era penetrabile, con gravi difficoltà, solamente lungo due linee attraverso le soglie di Tossignano e di Rivola, la prima delle quali era dominata dal complesso fortificato di Tossignano e la seconda era molto angusta e per giunta anch'essa dominata dalle posizioni laterali. I tedeschi presidiavano la loro posizione nel tratto d'interesse del gruppo di combattimento Folgore con circa 6 battaglioni della 334a divisione di fanteria, una delle migliori tra quelle operanti in Italia, la quale era collegata a<l est cun la 278 8 e ad ovest con la 1 a paracadutisti. Alla fine di marzo i tedeschi sostituirono la 334a in linea con la 278\ ma poi ritirarono questa ultima e la sostituirono con la 1a paracadutisti 127, Durante l'intero mese di marzo le attività operative 128 predominanti furono l'attivazione del pattugliamento per scopi esplorativi e di ricognizione e la neutralizzazione dell'analoga attività nemica. Ad esse naturalmente si aggiunse l'azione di disturbo delle artiglierie la quale si mantenne sempre serrata e vivace. L'atteggiamento aggressivo ordinato dal comandante del gruppo di combattimento sin dai primi giorni dell'assunzione dello schieramento indusse i comandanti dei battaglioni in primo scaglione a dare vita ad un pattugJiamento molto intenso, che ben presto risultò troppo dispendioso e scarsamente remunerativo. Alla metà del mese, il comandante del gruppo di combattimento suggerì di evitare troppe e inutili pattuglie e di ricorrere invece a poche pattuglie organizzate e condotte bene, specialmente nel settore della valle Santerno, con l'intento di raccogliere il maggior numero possibile di notizie sulle
posizioni nemiche e sull'entità delle forze di presidio e di compiere qualche incursione nello schieramento nemico con la cooperazione dell'artiglieria. Così disciplinato, il pattugliamento dette ottimi risultati sul piano delle informazioni e dell'elevazione dello spirito combattivo ed aggressivo e valse altresì a frenare il pattugliamento avversario, che si fece più prudente che ne i primi giorni, ed a fare arretrare lo schieramento di sicurezza tedesco nella valle del
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Santerno. Di particolare rilievo fu il colpo di mano compiuto dai paracadutisti del Nembo nella notte dal 29 al 30 marzo sulle posizioni di C. Colonna. La sola possibilità che l'intenso pattugliamento tedesco potesse preludere ad un qualche attacco in forze, ancorché a raggio limitato, indusse il generale Morigi - pur nell 'assenza di sintomi concreti che facessero intendere prob abile un'azione offensiva nemica - a d emanare direttive perché, nel caso di attacco nemico, la difesa fosse orientata a mantenere le posizioni ad oltranza ed a ristabilire eventualmente la situazione in atto mediante l'impiego dei rincalzi e dei b a ttaglioni in secondo scaglione. Egli aggiunse c he qualora il nemico fosse riuscito a penetrare, nessun ripiegamento su posizioni arretrate sarebbe stato possibile senza l'ordine esplicito del com a ndante del XIII corpo britannico. Per l'eventua lità che venisse dato tale ordine, i comandanti di settore avrebbero dovuto studiare le posizioni adatte per gli eventuali successivi schieramenti, scegliendo quelle naturalmente forti e nun dominate ùa alture circostanti 129. Il comando del gruppo di combattimento dovette successivamente, su indicazioni del com ando del XIII corpo britannico, mettere a llo studio altri due piani: uno per l'eventual ità c he il Folgore dovesse conquistare e mantenere le posizioni di Tossignano e di Vena del Gesso 130 e l'altro per l'eventualità che dovesse sostituire le truppe della 10 3 divisione indiana nel settore monte del Ve rro-Spinello 131. Dei due piani, ebbe a ttuazione solo il secondo e cioè quello che prevedeva lo spostamento sulla sinistra di un'aliquota d elle forze de l Folgore nel settore della 10 3 indiana, schierata più a d ovest. A movimenti di sostituzio ne delle unità della f0 3 divisione indiana ultima ti con regolarità ed ordine e nei limiti di tem po fissati , il nuovo schieramento del Folgore risultò m eno denso ancorché potesse avva lersi anche del b a ttaglione britan nico H.L.I. (Higland Light Infantry). Il nuovo settore del Folgore risultò più ampio di 3-4 Km rispetto al precedente, ma l'aumento da 4 a 6 dei battaglioni in primo scaglione consentì una densità di fuoco sulla linea più o meno eguale a quella del vecchio settore . Il dispositivo attuato mise invece in sofferenza la reattività de lla difesa, stante la disponibilità di un solo battaglione in secondo scaglione, ma a ragione il generale Morigi ritenne che la possibilità di una offensiva nemica in forze contro il nuovo schieramento fosse nel fra ttempo divenuta quasi irrea le e che la preoccupazione m aggiore, nella definizione del nuovo d ispositivo, dovesse essere que lla di metterlo in condizioni di poter affrontare nel miglior modo possibile la
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Gruppo di combattimento «Folgore ». Oper azioni tra il
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imminente offensiva affidata alla 10 8 divisione indiana, come anche di poter sviluppare in proprio azioni concorrenti rispetto a tale offensiva. Per la grande offensiva di primavera, il comando del XV gruppo di armate aveva stabilito che la 5 8 armata americana, schierata sulla sinistra, dal Tirreno all'alto corso del fiume Idice, muovesse in direzione nord-est e la 8 8 armata britannica, schierata sulla destra, un po' ad angolo retto dall'alto Idice alla valle del Senio e quindi sino all'Adriatico, muovesse con direttrice parallela e ad est della via Emilia, affidando alle forze schierate sulle pendici nord-orientali degli Appennini il compito di esercitare una forte pressione sul fianco destro dell'avversario, per concorrere così allo sforzo principale dell'8 8 armata stessa svolto da altre grandi unità, più ad est, nella pianura romagnola. Il comandante del XIII corpo britannico, dal canto suo, decise di adempiere il suo compito predisponendo azioni offensive lungo le valli (Santerno, Sallustra, Sillaro) incidenti nel suo settore e gravitando a cavallo della valle del Sìllaro con uno sforzo affidato a lla 10 8 divisione indiana, schierata appunto in corrispondenza di tale valle. Al gruppo Folgore venne così riserbata una funzione concorrente e concomitante rispetto all'azione principale delle altre grandi unità del XII corpo d'armata. Il generale Morigi, d'accordo con il comandante del corpo d'armata, provvide 132 a mettere in atto molteplici accorgimenti per disorientare il nemico e dargli la sensazione di un attacco sviluppato nel settore del Folgore e per potenziare la minaccia organizzando un colpo di mano contro la posizione di Camaggio 133, azione che non ebbe poi luogo perché superata dagli avvenimenti. Nel frattempo continuò in tutto il settore un intenso pattugliamento da entrambe le parti ed una non meno spiccata attività delJe contrapposte artiglierie. Nel settore del Folgore furono schierate artiglierie inglesi poste alle dipend enze del Head Quarters Royal Artillery «Folgore» Group (57° da campagna su 3 gruppi da 87, 154° da campagna su 3 gruppi da 87, 158° contraerei trasformato su mortai da 76, CLIII gruppo contraerei leggero trasformato su mortai d a 120, compagnia «Z» del battaglione Northumberland su mortai da 120) e artiglierie inglesi dipendenti dal 6° A.G.R.A. (incaricato della contrabatteria e dell' interdizione lontana) del XIII corpo d'armata (66° reggimento medio su 2 gruppi da 120, 2 pezzi pesanti da 155, 2 pezzi da 190, 1 reggimento contraerei pesante su 2 gruppi da 90). Iniziatasi il 1O aprile l'offensiva alleata, venne intensificato iJ pattugliamento, venne eseguito un attacco dimostrativo, consisten-
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te in una violenta azione di fuoco di artiglieria e di mortai sul costone Forbicina-C.se Mescola sulla sinistra del Santerno, venne inviata a Tossignano, dove essa riuscì a penetrare ma non a mantenervisi, una grossa pattuglia di combattimento. Sulla base degli elementi raccolti nella giornata, il generale Morigi impartì alle ore 20,45 del giorno 11 l'ordine di occupare Tossignano con una compagnia del Nembo, di spingere forti pattuglie sul davanti, rinforzate da artieri, una lungo la riva destra del Santerno verso Codrignano e da qui su Casalfiumanese, un'altra da monte Penzola verso Figna di sopra, una terza verso Camaggio 134. Ebbe inizio cosi l'avanzata del Folgore che nella notte sul 12, con una compagnia de l III Nembo, raggiunse Tossignano. Elementi del II Nembo non riuscirono invece, in un primo tempo, ad occupare Camaggio dove entrarono solo una volta che la località fu abbandonata dai tedeschi. Il nemico sgombrò infine il settore compreso tra il Senio ed il Sallustra, lasciando forti nuclei ritardatori, e operò una conversione del suo schieramento portandosi sulla dorsale tra il Santerno e il Sallustra. Il comandante del Folgore impresse subito una nuova spinta in avanti agli elementi avanzati della val Santerno e della val Sallustra con il risultato che, nella prima valle, nella giornata del 12, vennero raggiunte Codrignano, Casalino, Casalfiumanese e Ponticelli e che, nella valle Sallustra, occupata Camaggio, l'avanzata proseguì su Parrocchia del monte Maggiore che venne anche questa occupata. A questo punto il generale Morigi, avuto l'ordine di avanzare, decise di tallonare il nemico lungo i costoni che dominano la val Sallustra travolgendo le eventuali resistenze di elementi ritardatori ed avanzando a cavallo della val Sallustra con colonne aventi ognuna un battaglione in primo scaglione, dopo essersi assicurato sul fianco destro il possesso delle posizioni dominanti, in particolare di Tossignano. I movimenti ebbero inizio poco dopo le ore 12 del giorno 12. Il II Nembo, superate le deboli resistenze incontrate, raggiunse il suo obiettivo e venne scavalcato dal Grado che fu però arrestato dal fuoco nemico. Il Bafile urtò frontalmente e di fianco, avanzando verso monte dei Mercati e il Castello, contro una forte reazione di fuoco. Di iniziativa il battaglione attaccò le due posizioni fuori settore e le occupò, proseguendo subito nell'azione contro la q. 262 che conquistò d'assalto, all'arma bianca e con bombe a mano, verso le ore 17. Dall'insieme dei combattimenti della giornata del 12 parve chiaro che il nemico, abbandonate le posizioni della valle Santerno, si sarebbe irrigidito su quelle a cavallo della valle Sallustra. Da qui il
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nuovo ordine del comandante del gruppo di combattimento ai battaglioni Bafile e Grado di riprendere all'alba del giorno 13 l'avanzata. All'alba del 13 entrambi i battaglioni mossero nuovamente all'attacco, ma mentre il Bafile, dopo un combattimento durato 4 ore e culminato all'arma bianca, espugnò il monte dei Mercati, il Grado venne ancora una volta arrestato. Una compagnia del I Nembo, inviata su ordine del generale Morigi a sostegno del Grado, riuscì a vincere d'assalto la resistenza tedesca di C. del Vento, ma non poté proseguire, a causa della reazione nemica, su Pieve di S. Andrea. In sostanza la giornata del 13 si chiuse, dopo il successo di monte dei Mercati e di C. del Vento, con un arresto tanto della colonna di sinistra su monte dei Mercati quanto della colonna di destra sul costone a nord-est di Roneo. Frattanto il comandante del Folgore aveva ricevuto l' ordine da parte del XIII corpo di premere tenacemente il nemico per cui, nella stessa mattina del giorno 13 il generale Morigi dispose 135 che: il S . Marco puntasse con il Bafile su monte del Re e con il Grado su monte Bello e impiegasse in secondo scaglione, dietro il Grado, il battaglione britannico H.l.l. in sostituzione del II Nembo che sarebbe rientrato a lle dipendenze del proprio reggimento; il Nembo si raccogliesse nella zona di Fontanelice pronto a muovere per altro impiego; il reggimento di artiglieria spostasse i gruppi in maniera da appoggiare l 'azione dei battaglioni in primo scaglione; il battaglione genio si tenesse in condizioni di poter facilitare il nuovo schieramento di artiglieria e provvedesse ad adeguare i collegamenti radio. Con queste disposizioni il gruppo di combattimento passò dallo schieramento per ala dei reggimenti di fanteria a quello per linea e le due colonne del S. Marco assunsero un conveniente scaglionamento in profondità. Ma nel pomeriggio dello stesso giorno 13 il comando del XIII corpo, a seguito di preavviso dato nei giorni precedenti, ordinò che il settore del Folgore venisse esteso sulla sinistra per sostituire forze della brigata indiana. L' intero settore del XIII corpo d'armata britannico, ad eccezione delle posizioni di estrema sinistra rimaste affidate ad un gruppo di battaglioni anglo-indiani - che prese il nome di Mac Force - venne presidiato dal Folgore, al quale venne anche assegnata la direttrice operativa della valle del Sillaro. Dallo schieramento per linea si tornò a quello per ala, con il S. Marco a destra ed il Nembo a sinistra e la profondità del dispositivo venne nuovamente ridotta, in quanto il S. Marco schierò i suoi tre battaglioni in primo scaglione e rimase senza riserva, mentre il Nembo impiegò due battaglioni in primo scaglione ed uno
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in secondo. Il 14 aprile il Fo lgore dalle ore 18 passò alle dipendenze de l X corpo d'armata britannico - che inquadrava già il gruppo di combattimento Friuli - il cui comandante, recatosi in visita presso il gruppo di combattimento, confermò che l'avanzata avrebbe dovuto proseguire lungo le direttrici e sugli obiettivi fissati dal comando del XIII corpo, dopo di che il Folgore si sarebbe dovuto orientare ad agire su monte Castellazzo. Durante la giornata del 14, nonostante le azioni del Bafile, del Grado e della compagnia del Nembo, la posizione di Pieve di S. Andrea rimase nelle mani dei tedeschi per cui, a tarda sera, il generale Morigi dispose che entro la giornata del 15 il Grado e la compagnia del I Nembo re iterassero l'attacco contro Pieve di S. Andrea e che, alle ore 8,30 de1la stessa giornata, avesse inizio l'attacco n el settore a cavallo della valle Sallustra, a sinistra del Santerno, con il concetto di gravitare con il grosso delle forze sulla des tra 136_ Tenuto presente che la città di Imola era stata occupala dalle forze a lleate e che ques te continuavano a progredire nella loro azione offensiva sulla destra, un ripiegamento del nemico più a nord sarebbe stato molto probabile, per cui, in tale caso, ogni battaglione avrebbe dovuto provvedere a d inseguire il nemico e a distaccare nella notte s tessa p attuglie allo scopo di non lasciarsi sorprendere. Difatti la notte sul 15, i tedeschi ripiegarono dalle posizioni più avanzate cosicché il Bafile poté raggiungere il Castello, il Grado Pieve di S. Andrea e success ivamente il monte Bello. Verso le ore 11 il Grado occupò il monte Catone e Dozza prendendo contatto con elementi del gruppo di combattimento Friuli ed il Bafile conquistò a ll'arma bianca, dopo aver piegato la forte resistenza tedesca, C. Cavalpidrio, proseguendo verso il monte de l Re per la cui conquista, stante l'accanimento della difesa, fu necessaria un'azione aggirante del Grado da Dozza verso il rovescio del monte de l Re, ch e venne conquistato verso le ore 17. Con la conquista di monte Bello e di monte del Re si conclusero le operazioni nella valle del Sallustra ed ebbe inizio l'avanzata a nord del Sillaro, per la quale il comanda nte del g ruppo di combattimento pose subito le premesse e dette i primi orientamenti 137 _ Alle 22,30 dello stesso giorno il comandante del Folgore aggiunse 138 ai suoi ordini precedenti quello che nella giornata del 16 i due reggimenti avrebbero dovuto perfezionare lo schieramento, mantenendosi pronti a tallonare il nemico qualora questo accennasse a ripiegare. La ripresa dell'attacco con azione convergente di ambedue i
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reggimenti su monte Castellazzo sarebbe avvenuta il giorno 17; nel frattempo il comandante dell'artiglieria e del genio avrebbero riesaminato e corretto le rispettive organizzazioni di comando, di ordinamento tattico e dei collegamenti. Il gruppo di combattimento Folgore fece conseguentemente ruotare il proprio dispositivo, compì sul Sillaro una conversione a nord-ovest con direzione monte Castellazzo-Varignana - direttrice coincidente con terreno ancora aspro e difficoltoso - e con obiettivo monte Castellazzo. Chiamato ad agire fra il gruppo di combattimento Friuli a destra e il Mac Force a sinistra, il Folgore si articolò su due colonne di reggimento, ciascuna con due battaglioni in primo ed uno in secondo scaglione, disposte ad angolo retto ed orientate entrambe a convergere sul monte Castellazzo. Nella notte sul 17 aprile il nemico ripiegò il grosso dalle posizioni fino ad allora tenute sulla dorsale della valle. Giunse dal comando del X corpo d'armata la comunicazione che l'obiettivo finale del gruppo di combattimento avrebbe dovuto essere Varignana e che, una volta conquistata tale località, il Folgore sarebbe stato trasferito in altro settore dell'8 3 armata. Da qui nuove disposizioni 139 del generale Morigi per la giornata del 17, tendenti a costituire anzitutto una solida base sulla dorsale abbandonata dai tedeschi ed a procedere, per Casalecchio de' Conti, su Varignana Superiore. Il persis tere della difesa tedesca su posizioni arretrate non interdisse l'occupazione della dorsale, ma arrestò l'ulteriore avanzata del !lembo verso Varignana Superiore e non consentì al Mac Force di adempiere il compito assegnatogli. I reparti del Mac Force, che avrebbero dovuto sostituire il Nembo sulle posizioni di Verdiano, non si mossero dalle loro posizioni limitandosi a prendere contatto con elementi del gruppo Folgore. Anche il Friuli, sulla destra, non riuscì nella giornata del 17 a compiere progressi rilevanti. Fu chiaro che i tedeschi intendevano irrigidirsi sulla linea del torrente Gaiana facendo perno soprattutto sulle posizioni di C.se Grizzano e di Casalecchio de' Conti, le quali incidevano sia sul settore Folgore che su quello Friuli. Un nuovo ordine del comando del X corpo d'armata britannico modificò il limite di settore tra il Folgore ed il Friuli, dispose che il Friuli conquistasse le posizioni di Casalecchio ed il Mac Force quelle del monte Castellaro e che il Folgore, dopo la conquista di tali posizioni da parte delle altre due unità, puntasse sul fiume Idice lasciando al Friuli la direttrice di Varignana Superiore. L'ordine di operazione del comandante del Folgore, emanato la sera del 18 140, orientò le uni tà a muovere verso il nuovo obiettivo
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Schizza n. 19 - GrupPo di combattimento «Folgore». Operazioni tra il Sillaro e l'Idice (17-21 aprile 1945).
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di Brecciola sull'Idice, dispose che il Nembo prendesse accordi con il Friuli per un'azione comune contro la linea del Gaiana e in particolare contro i due punti di forza contigui della difesa tedesca (C.se Grizzano e Casalecchio de' Conti), assegnò al Nembo in rinforzo il Caorle. Vennero presi accordi di massima tra i due comandi di gruppo di combattimento per un attacco conteporaneo delle due loca lità ad opera del Nembo (C.se Grizzano) e dell'88° Friuli (Casalecchio de' Conti) e accordi più particolareggiati intercorsero tra i due comandanti di reggimento. Le C.se Grizzano erano presidiate dai paracadutisti tedeschi della 1 a divisione, soldati saldissimi e dimostratisi sempre aggressivi fino a l fanatismo, ed erano apprestate a difesa con notevoli e robusti lavori di rafforzamento. Il comandante del II Nembo, d'accordo con il comandante del reggimento, volle conferire all'azione il carattere di un grosso colpo di mano con impiego perciò di reparti di fanteria modesti, ma organizzati, arditi e capaci di slancio. Fu deciso così di attaccare Grizzano con una sola compagnia (6 8 ) rinforzata, la quale, dopo aver serrato sotto dura nte la notte superando i campi minati, sarebbe al mattino, dopo la preparazione di artiglieria, balzata <li sorpresa sul nemico, mentre il resto del 11 battaglione si sarebbe tenuto pronto a seguirne l'azione ed il III battaglione, dalla sinistra, avrebbe dato il suo concorso di fuoco ed avrebbe eseguito puntate offensive a breve raggio. L'inte ra azione: sarebbe stata inquadrata nella cornice di sicurezza deterrr.inata sulla destra d alla contemporanea azione di forza dell'88° fanteria s u Casalecchio de' Conti e sulla s inistra dalla puntata dimostrativa del III battaglione; avrebbe avuto l'appoggio di almeno due gruppi di artiglieria, con un rapporto tra fanteria in attacco {una compagnia) e artiglieria in appoggio (due gruppi) di l a 4; sarebbe stata sostenuta dal concorso di fuoco delle armi pesanti di almeno due battaglioni (I e III Nembo). All'alba del 19 aprile, dopo 15 minuti di preparazione , la 6 3 compagnia attaccò Grizzano e s'impossessò, con azioni di assalto, della maggior parte dell'abitato. Contemporaneamente s ulla destra, 1'88° fanteria attaccò Casalecchio de' Conti. La reazione di fuoco ravvicinato, di fuoco di mort~i e di artiglieria, di ben quattro contrattacchi condotti da forze pari e due compagnie fra le ore 10 e le ore 16 non valsero a piegare i paracadutisti del Nembo - era accorsa nel frattempo un'altra compagnia con il comando del battaglione - che mantennero saldamente per tutta la giornata le posizioni conquistate. Restava da conquistare un edificio nel quale, a 30 m circa di distanza dagli elementi avanzati del Nembo, si erano
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asserragliati i superstiti paracadutisti tedeschi che continuavano a fare fuoco. All'imbrunire il II Nembo venne sostituito dal I battaglione dello stesso reggimento che riuscì a conquistare l 'edificio ed ad ampliare l 'occupazione della località fino al ciglio tattico più conveniente. Il confronto diretto tra paracadutisti italiani e tedeschi s i risolse così a favore dei primi. Al termine della giornata del 19 il nemico desistette dalla lotta e nella notte sul 20 ripiegò dalle altre posizioni. L'avanzata proseguì il mattino del 20 e frattanto anche sulla fronte del II corpo d'armata statunitense sulla sinistra del X corpo britannico - i tedeschi avevano rotto il contatto ed il gruppo di combattimento Legnano, all'estrema ala destra del II corpo statunitense, a contatto con 1'8a armata britannica, avanzava rapidamente verso nord e cavallo dell'Idice ed aveva raggiunto il 36° paralle lo. Con il raggiungimento dell'Idice ebbe termine l'avanzata del Folgore che s i era iniziata in val San terno i I 12 a prile e che si era conclusa cu11 la brillante azione su C.se Grizzano. Dal I marzo a l 21 aprile i paracadutisti del Nembo ed i m a rinai del S. Marco, gli a rtiglieri, i geni eri e gli addetti al supporto logistico avevano profuso ogni loro migliore energia ed avevano dato un contributo assai valido a lle operazioni offensive degli alleati che furono prodighi di riconoscimenti e di elogi 141. Il numero delle perdite del gruppo di combattimento Folgore fu di 164 morti (di cui 16 ufficiali) 144 feriti (di cui · 10 ufficiali), 14 dispersi. Ciò che ci sembra doveroso sottolineare è ch e il Folgore, benché costituito su di un ordinamento e di un organico meglio adatti all'azione s ui terreni di pianura e formato di uomini (paracadutisti e marinai) più portati per formazione e per addestramento a lle azioni offensive, seppe, malgrado ciò, vincere le asprezze del tormentato terreno di azione sul quale fu impiegato dall'ini zio alla fine ed adempiere i prolungati compiti difensivi con capacità, prontezza, elasticità e alto spirito aggressivo, non minori di quelli espressi nel pattuglia mento offensivo, negli attacchi di Tossignano, di Pieve di S. Andrea, di monte del Re e di e.se Grizzano ed in tutti i numerosi altri atti tattici aggressivi, minori e maggiori, compiuti dal Santerno all'Idice. La rispondenza delle previsioni, la razionalità degli ordini, la elasticità e tempestività nell'adattarsi alle situazioni e la prontezza degli interventi nella condotta de lle ope razioni furono le note costanti dell 'azione di comando del generale Morigi che non fu il solo ad esprimere tali qualità; esse furono altrettanto proprie agli ufficiali del suo stato maggiore ed a i comandi delle unità c he seppero
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collaborare con il loro capo, raccoglierne prontamente gli impulsi e tradurli con abilità e fervore in realizzazioni tattiche e logistiche di grande rilievo, che non sarebbero state conseguite se la grandissima maggioranza dei quadri e dei gregari, per non dire la totalità, non avesse operato con capacità, prontezza e coraggio e non avesse supplito con lo spirito a talune lacune addestrative. Nella lotta ravvicinata e negli assalti a corpo a corpo, i paracadutisti ed i marinai, anche negli insuccessi che pure vi furono, dimostrarono di possedere qualità combattive di primissimo piano. A riprova di ciò furono anche le azioni della centuria paracadutisti del Nembo 142 e della centuria paracadutisti dello squadrone di ricognizione «F» 143 effettuate la notte del 20 aprile a sud del Po. La centuria paracadutisti del reggimento Nembo, costituita su richiesta del comandante dell'8a armata britannica, generale Mac Creery, nel mese di marzo del 1944, venne aviolanciata la sera del 20 aprile, tra le ore 21,50 e le 23, su 4 zone distinte per compiere azioni di disturbo e di sabotaggio sulla strada n ° 12 (Modena-Mirandola-Pog-
gio) e sulla strada Poggio Rusco-Ferrara. Sebbene l'atterraggio fosse avvenuto in località molto distanti (persino 40 km) da quelle previste e nonostante la pronta reazione dei tedeschi, i paracadutisti, agendo d'iniziativa e là dove fu possibile unendosi ai partigiani locali, attaccarono il nemico dovunque, sabotando installazioni ed apprestamenti, bloccando autocolonne, precludendo o rendendo insidiose le vie della ritirata, creando ostacoli e confusione, diffondendo panico e sgomento, catturando prigionieri e materiali (perdite inflitte accertate: 63 morti, 60 feriti, 1131 prigionieri, cattura di mezzi e di materiali). Le perdite subite furono di 15 morti, 6 feriti e 4 dispersi. La centuria paracadutisti dello squadrone di ricognizione «F», costituita anche questa su richiesta del comandante dell'8a armata britannica, venne aviolanciata la sera del 20 aprile su 8 zone distinte, a sud del Po ed a sud-est di Ferrara, tra Ferrara e Mirandola, per creare confusione e panico tra i reparti nemici, cercando di renderne caotica la ritirata e facilitando lo sfondamento dello schieramento tedesco affidato alle unità dell'8a armata. Al momento dell'aviolancio gli aerei furono fatti segno al tiro contraerei delle unità tedesche; ciò non impedì alla centuria di prendere terra e di sviluppare un' azione complessiva che si concretò nel disseminare panico e confusione nelle retrovie nemiche, nell'attaccare colonne in movimento, centri logistici, comandi, postazioni, nel minare strade e nel disattivare interruzioni predisposte su ponti importanti per l'avanzata alleata. Le piccole
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pattuglie di 3-4 uomini combatterono d'iniziativa e senza collegamento fra loro. Due pattuglie riuscirono ad operare nella zona a nord di Nonandola e occuparono i paesi di Ravarino e di Stuffione riuscendo a mantenerne il possesso per 10 ore fino all'arrivo delle unità avanzate alleate. L'azione della centuria, che avrebbe dovuto durare solo durante la notte del lancio, si protrasse, in alcune zone, a nche il giorno seguente ed in altre addirittura per due giorni e due notti. Essa fu inoltre sostenuta dai partigiani locali. La centuria perse 6 morti e 6 dispersi, ma ottenne risultati complessivi di g rande rilievo: 481 morti nemici accertati, 1083 prigionieri catturati, 26 automezzi distrutti, 18 automezzi immobilizzati, 7 strade minate, 77 linee telefoniche distrutte, 3 ponti salvati, 1 deposito munizioni fatto saltare. Le due azioni riscossero l'ammirazione degli alleati della quale si fece interprete il comandante dell'8a a rmata britannica con due calorosi messa ggi indirizzati rispettivamente al reggimento Nembo ed al comandante dello squadrone di ricognizione « F ».
8. Il gruppo di combattimento Legnano 144, cos tituito come gli a ltri il 24 settembre t 944, lo stesso giorno in cui venne sciolto il C.l.L., nel cui ambito alcune unità Legnano avevano già partecipato a lla guerra di liberazione 145, fu l'ultimo a<l entrare in linea. _\.,a sua costituzione, al pari di quella del gruppo di combattimento Folgore , fu meno facile di quella dei gruppi Cremona, Friuli, Mantova e Piceno de riva ti dalle preesis ten ti d ivis ioni. Essa comportò lo scioglimento di alcune unità del C./.L., la formazion e di organismi nuovi raggruppandovi specialità diverse, la trasformazione di a lcune unità secondo le nuove tabelle organiche, la fusione di pe rsonale di diversa fonte e provenienza e l'amalgama di unità fino ad allora ignoratesi, Dislocato fino alla seconda metà di dicembre del 1944 n ella zona di Piedimonte d'Alife, venne trasferito in quella di Bracciano-Manziana-Oriolo Romano e da questa, verso la fine del gennaio 1945, in quella di Radda in Chianti-Castelnuovo Berardenga-Castellina in Chianti, passando alle dipendenze d'impiego e logistiche dell'8a armata britannica. Il 13 febbraio il Legnano passò a lle dipendenze della 5a armata statunitense ed il 15 marzo iniziò il s uo trasferimento verso la zona di raccolta, tenendosi pronto ad entrare in linea sulla fronte dell a 91 a divisione statunitense, della
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Schizza n. 20 - Gruppo di combattimento «Legnano». Schieramento alla
data del 23 marzo 1945.
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quale doveva sostituire due reggimenti nel settore dell'alto !dice. Il 18 marzo il gruppo passò sotto il controllo operativo del II corpo statunitense e fu aggregato a lla 91 a divisione 146 e dalla notte sul 19 marzo al giorno 23 dello stesso mese sostituì in linea i corrispondenti reparti americani e si schierò nel settore !dice, tra la 1oa divisione indiana a destra e la 19a divisione americana a sinistra. Al momento dell'entrata in linea il tono morale, la preparazione tecnico-professionale e l'efficienza organica e materiale erano soddisfacenti, benché persistessero alcune lacune nei vari settori. Nel pomeriggio del 17 marzo, il generale Umberto Utili, già comandante del C./.L. ed ora del gruppo di combattimento Legnano, impartì le disposizioni 147 per la sostituzione delle unità americane e per lo schieramento del gruppo. Il 68° reggimento fanteria, a destra, ed il reggimento di fanteria speciale, a sinistra, avrebbero sostituito, dal 18 al 23 marzo, rispettivamente il 302° ed il 363° reggimen to di fanteria americana, mantenendo per il momento in vigore tutte le disposizioni di carattere operativo valevoli per le unità da sostituire. Il 68° fanteria sarebbe stato rinforzato: da 1 plotone della compagnia «C» del C battaglione mortai chimico americano, dalla compagnia «A» del DCCLII battaglione carri armati amerit:anu <.:un aggregati elementi <.:unlru<.:arri e <.:onlraerei, da 2 gruppi da 25 libbre - 77 mm (I e II) - dell' ll O reggimento artiglieria in appoggio diretto, dalla 5 1 a compagnia artieri, da una squadra di polizia stradale; il reggimento di fanteria speciale: da un plotone della compagnia «C» del C battaglione mortai chimico americano, dalla compagnia «C» del DCCLII battaglione carri armati americano con aggregati elementi controcarri e contraerei, da 2 gruppi da 35 libbre - 77 mm (III e IV) - dell'l l O reggimento artiglieria in appoggio diretto, dalla 3 a compagnia artieri, da una squadra di polizia stradale . I due reggimenti di fanteria si sarebbero schierati ciascuno con due battaglioni in primo ed uno in secondo scaglione. Il comandante del II corpo d'armata assegnò in rinforzo all' l l O artiglieria il CXXV battaglione obici da 105 della 34a divisione ed un battaglione obici da 155 del 77° raggruppamento di corpo d'armata. L'ampiezza del settore Legnano fu di 8-9 Km a ll'incirca, ma le posizioni che vennero presidiate erano dominate quasi ovunque da quelle nemiche e non si prestavano bene né per una forte sistemazione difensiva né come basi di parte nza per un'azione offensiva. La linea di contatto 148 correva lungo la fronte de lla 305 a divisione di fanteria tedesca - inquadrata tra la 65 a divisione ad ovest e la 1a divisione paracadutisti ad est - ad
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una distanza da un massimo di 400 ad un minimo di 100 m. Nella sua configurazione plastica la fronte del Legnano si distingueva in due tratti distinti: a sinistra, la dorsale fra Zena e !dice con andamento sud-nord, a destra una serie di costoni con andamento parallelo da est ad ovest. La difesa vi venne organizzata a nuclei ampiamente distanziati. In sintesi, lo schieramento del Legnano: venne ad avere una dosatura di forze sufficienti, dato il terreno, a garantire sulla fronte una buona densità di fuoco; risultò sofferente in profondità, mancando una pedina di manovra nella mani del comandante del gruppo di combattimento, in quanto i due battaglioni in secondo scaglione rimasero alfe dipendenze dei comandanti di reggimento; godevano di un rapporto fanteria-artiglieria (1 a 2 circa) m eno favorevole all'artiglieria di quello normalmente realizzato dalle unità anglo-americane, ma pur sempre predominante rispetto a quello tedesco esistente nel settore (34 pezzi). Il punto di maggiore debolezza dello schieramento risultò il terreno che nd settore del Legnano comprendeva la zona a cavallo del fiume Idice e le dorsali tra Idice e Zena e tra Idice e Quaderna, era servito delle due rotabili della valle Zena e della valle !dice, presentava, nonostante il modesto svi luppo altimetrico, le caratteristiche morfologi. che della montagna, offriva al nemico il dominio tattico delle posizioni difensive. Alla robustezza ed alla solidità della sistemazione delle posizioni nemiche non si sommava peraltro una consistenza di forze adeguate, perché gli effettivi dei 4 battaglioni tedeschi in primo scaglione, che fronteggiavano il Legnano, erano molto ridotti e perché il nemico era poverissimo di riserve. L'attività operativa iniziale svolta dall'una e dall'altra parte si concretò, come sempre nelle s ituazioni analoghe, nel pattugliamento, nei tiri di artiglieria e di mortai con intensità sempre maggiore a cavallo delle valli dell'Idice e dello Zena, ne i tentativi di infiltrazione, negli agguati, nei piccoli colpi di sonda, al pari di quanto avveniva, come abbiamo messo in evidenza, nei settori degli altri gruppi di combattimento. Nella notte del 6 aprile avvenne uno scontro di rilievo tra pattu glie del Legnano e tedesche ne l quale queste ultime ebbero la peggio. Altri scontri di pattuglie si ebbero nelle prime ore del 9 aprile. Frattanto fin dal 24 marzo il comando del II corpo americano aveva emanato istruzioni operative per un progressivo aumento delle azioni di fuoco di artiglieria allo scopo di trarre in inganno l'avversario circa il giorno e l'ora dell'attacco principale. Nell'impartire le disposizioni a tutte le unità dipendenti 149, il comando del II corpo statunitense, per la pa rte d'interesse del gruppo di combattimento
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Legnano, stabilì che venisse simulato, il 10 aprile, un attacco mediante una puntata con una compagnia lungo le direzioni di q.459 e di C. Carrara, così come aveva proposto il generale Utili, al fine di dare l'impressione di voler aprire la valle dell'Idice da est. Il giorno 1 aprile il gruppo Legnano, che aveva agito sino ad allora «aggregato» alla 91 a divisione americana, passò alle dirette dipendenze del comando del II corpo, continuando a mantenere il settore iniziale, fatte salve alcune lievi modifiche del limite occidentale determinate dalla sostituzione delle truppe della 91 a divisione da parte di quelle della 34a (il 133° fanteria aveva sostituito il 361 °, ed era stato rinforzato con la compagnia «A» del DCCLII battaglione carri e con la compagnia «C» del DCCCV battaglione cacciacarri). Tale era la situazione del Legnano quando il comando del II corpo, il 7 aprile, decise la partecipazione del gruppo all'offensiva finale. Il concetto di azione del comando del II corpo fu quello di a ttaccare con 4 divisioni e il gruppo di combattimento Legnano in prima schiera, esercitando lo sforzo principale ad ovest della strada n ° 65 e sviluppando l'azione da ovest ad est. A scopo di riferimento e di controllo furono stabilite linee e fasi brune e nere. Il Legnano nella fase bruna avrebbe dovuto mantenere le sue posizioni, aiutare con il fuoco la 34a divi sione americana che avrebbe attaccato sulla sinistra, proteggere la destra del II corpo, assicurare il collegamento tattico tra la sa e 1'8 3 armata; nella fase nera avrebbe dovuto impadronirsi dell'altura di q.363 sul costone tra Idice e Zena rettificando la linea difensiva tra quella altura e il costone di Pizzano, continuare a mantenere le altre posizioni e assicurare l'adempimento di altri compiti della fase bruna. Frattanto il generale Utili venne perfezionando l'azione d 'inganno o dimostrativa, prevista per le ore 6 del giorno IO, mediante due, anziché un solo colpo di mano, affidati entrambi al 68° fanteria 150. All'operazione - alla quale venne dato il nome convenzionale di Beta - furono destinate due compagnie arditi del IX reparto d'assalto sostenute dai 4 gruppi da 87 dell'l l O artiglieria e dal CXXV F.A.B. (Field Artillery Batallion) con il concorso di due battaglioni dell'artiglieria della 34a divisione americana, di un numero vario di batterie del 77 ° reggimento artiglieria di corpo d'armata, dell'85° reggimento artiglieria da montagna del XIII corpo d'armata inglese schierato sulla destra. Alle ore 6 del 10 aprile, dopo 20 minuti di preparazione, due compagnie del IX reparto d 'assalto attaccarono le posizioni di Parrocchia del Vignale. L'azione Beta fu coronata da successo, nonostante la reazione di
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fuoco ed il contrattacco di una compagnia tedesca sulla posizione di Parrocchia del Vignale. Verso le ore 7, dato il carattere dimostrativo dell'azione che non prevedeva il mantenimento delle posizioni conquistate, le due compagnie rientrarono nello schieramento del Legnano, avendo però riportato complessivamente il 26% di perdite rispetto alle forze effettivamente impiega te (132 uomini) e precisamente 7 morti, 37 feriti e 1 disperso. Dall 'll al 15 aprile non vi furono sulla fronte del Legnano avvenimenti di particolare r ilievo all'infuori di qualche azione di pattuglia. Pe r il concorso all'attacco che la 34 3 divisione americana avrebbe sferrato il giorno D + 1 (fase bruna) con obiettivo il poggio dei Mori e che avrebb e prosegui to successivamente (fase nera) sull 'obiettivo di q. 299 - azione complessiva a lla quale fu data la denominazione di azione «V» - il generale Utili divisò 15 1 di aiutare la 34 3 innanzitutto con dimostrazione di fuoco, di sviluppare un attacco locale in 4 tempi mediante l'impiego dei due b attaglioni in secondo scaglione, di spingere, ad avvenuta conquista degli obiettivi di pr imo tempo, pattuglie fino alla confluenza del rio di Fano con il torrente Idice, di potenziare infine la difesa delle posizioni raggiunte raccordandole alla linea difensiva in atto. All'azione «V » venne a ssicurato il sostegno di fuoco dcll'l 1° artiglieria e del CXXV battaglione obici da 101 (unità alla dirette dipendenze), con il concorso di quello di un gruppo su 2 batterie da 87 mm, di un gruppo di 2 batterie da montagna, di una batteria di medio calibro della 10 3 divisione indiana schierata sulla destra e di un gruppo obici da 155 del II corpo di armata a mericano. Venne garantito pertanto un rapporto tra la fanteria attaccante (2 battaglioni) e l'artiglieria di sostegno di 1 a 4. Ma il 14 aprile pervennero al gruppo Legnano nuove direttive che prevedevano che, nel caso il XIII corpo britannico schierato sulla destra avanzasse a nord di monte Grande, il Legnano si sarebbe dovuto spingere in avanti per mantenere il passo con quel corpo d 'armata. A questa direttiva se ne aggiunsero altre per cui al gruppo Legnano, nella notte d al 17 al 18 aprile, rimase affidata una deJle tre missioni ch e il general e Utili aveva predisposto 152: azione «V», azione «S» (puntata della forza di una compagnia del r eggimento di fanteria speciale con obiettivo Ca Merla da occupare temporaneamente), azione «C» (ricognizione aggressiva multipla). De lle tre operazioni proge ttate, tutte bene imposta te, organizzate e preparate, venne effettuata solame nte la «S», c ioè la puntata su Ca Me rla affidata a reparti del battaglione L'Aquila. Questi ultimi si mossero il 16 a p rile alle ore 3 ed alle 3,30
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Schizw n. 21 - Gruppo di combattimento «Legnano». L'azione offensiva
dal 18 al 21 aprile 1945.
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raggiusero Ca Merla che trovarono sgombera. Verso le ore 5 i reparti alpini rientrarono nelle linee. Ma il concorso maggiore del Legnano all'attacco della 34a divisione americana, iniziatosi alle ore 3 del 16 aprile, fu il fuoco dell' 11 ° artiglieria che, nelle tre giornate dal 16 al 18, svolse a favore delle fanterie americane un'azione precisa, tempestiva ed efficace che molto contribuì al successo dell'attacco conclusosi con l'occupazione di entrambi gli obiettivi assegnati. I progressi dell'offensiva alleata rendevano vieppiù probabile il ripiegamento verso nord dei tedeschi, per cui il comandante del Legnano, ricevuto l'ordine di tenersi pronto a tallonare aggressivamente il movimento retrogrado nemico in colle: gamento con i progressi delle grandi unità alleate laterali, predispose, sin dal 17, cioè ancora prima che la 34 a divisione raggiungesse i suoi obiettivi, l'avanzata verso nord ed in tale quadro un attacco per la conquis ta della q.363 (già previsto nell'ambito della non effettuata operazione «V») ed uno per la conquista della q.459 153. Venne intensificato il pattugliamento per non ]asciarsi sorprendere dal ripiegamento nemico e venne predisposta l'operazione - operazione « Y » - da eseguire non appena si fosse avuto sentore dello sganciamento nemico. Alle ore I 0,40 circa del 19 aprile, giunta la notizia che elementi della 34a americana avevano oltrepassalo il poggio dei Mori, il dispositivo del Legnano cominciò ad avanzare sulJa fronte sia del 68° fanteria sia del reggimento fanteria speciale. Reparti del battaglione Piemonte occuparono C. Carrara senza incontrare resistenza. La giornata si chiuse con il pressoché completo successo del Legnano che ricevé l'ordine di sostituire all'albà del giorno 20 gli elementi della 34a divisione schierati a cavallo del torrente Zen<1 , este ndendo la fronte sino al rio Campale, nuovo limite di sinistra del Legnano. Di tale sostituzione venne incaricato il IX reparto di assalto che venne passato temporaneamente alle dipendenze del reggimento di fanteria speciale e si schierò, nella notte sul 20, tra C. Nuova e C. di Sotto. Dei 6 battaglioni solo uno rimase in secondo scaglione. Alle 22,30 dello stesso giorno 19 il generale Utili dispose la prosecuzione dell'avanzata e dell'attacco 154 ordinando che anche durante la notte venisse continuata la pressione sul nemico e non venisse perso in nessun caso il contatto. Nella giornata del 20, nonostante le reazioni prevalentemente di fuoco e le resistenze delle retroguardie tedesche, peraltro affievolitesi rispetto a quelle dei giorni precedenti, tutte le unità raggiunsero gli obiettivi fissati dall 'ordine impartito dal generale Utili alla ore 22 ,30 del 19. Lo
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stesso giorno 20, il comandante del Legnano ordinò al comandante del reggimento di fanteria speciale di proseguire su Bologna, puntando all'alba dell'indomani con il Coito e con il /X reparto d'assalto sul monte Calvo, impadronendosi dei passaggi sul Savena, tra S. Lazzaro di Savena e S. Ruffillo 155_ Tra le 9,30 e le 10 del 21 aprile i bersaglieri del Coito e gli arditi del IX reparto d'assalto entrarono in Bologna, seguiti dagli alpini del Piemonte che era stato lanciato, su automezzi, direttamente sulla città. Dopo la liberazione di Bologna, il Legnano inizialmente si concentrò nella zona a sud-est della città, poi il giorno 22 si raccolse nella zona a nord-ovest della città e passò in riserva di corpo d'armata. Il 23 passò alle dirette dipendenze del comando della 5 3 armata americana con il compito del mantenimento dell 'ordine nella città in sostituzione del 135° reggimento di fanteria americana; il 27 fu sostituito in tale compito da un battaglione del 371 ° fanteria americana e si radunò ad ovest del fiume Reno lungo la rotabile n ° 9 156; il 29 costituì un raggruppamento tattico che la stessa sera raggiunse Brescia unitamente al I ed al II gruppo dell' 11 ° artiglieria. Nei giorni successivi i reparti del Legnano vennero irradiati su Bergamo, Milano, sulla strada PaviaAlessandria-Asti-Torino, su Como, su Edolo, su Sarnico in val Sabbia. Il 30 aprile elementi del IX reparto d'assalto intervennero contro un'ottantina di tedeschi sistemati a difesa sul monte Casale, circa 500 m ad est di Ponti sul Mincio, e li sopraffecero. Il 1° maggio una compagnia del battaglione L'Aquila, in unione con il 91 ° squadrone di cavalleria americana, sbaragliò un forte nucleo nemico verso la confluenza del Ticino con il Po, a sud-est di Pavia. Un'altra compagnia del battaglione L'Aquila il 2 maggio occupò il passo del Tonale, rastrellando e di sa rma ndo numerosi nuclei tedeschi sbandati. Bersaglieri del Coito catturarono a Sarnico il 2 maggio nuclei tedeschi non volutisi arrendere ai partigiani. L'ultimo combattimento fu sostenuto, sempre il 2 maggio, da una compagnia del II/68° in val Sabbia contro elementi tedeschi disposti sui contrafforti occidentali del monte Nozzolo. Il gruppo di combattimento Legnano non ebbe la ventura di sostenere grandi combattimenti; nondimeno, nel breve ciclo operativo di 40 giorni, non perse una posizione e non mancò un obiettivo. Il suo contributo operativo, pagato con 55 morti e 279 feriti, alle operazioni prima difensive e poi offensive del II corpo d 'armata americano non fu di poco conto. Negli atti tattici di cui fu protagonista dette dimostrazione costante di peculiare perizia tattica e tecnica e di elevate doti di spirito. Il comandante e la gran
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parte dei quadri e dei gregari avevano già combattuto con il / raggruppamento motorizzato e con il C.I.L. e, avendo fatto tesoro di quelle esperienze, non ebbero mai attimi d'incertezza e tanto meno di smarrimento e in tutte le occasioni, dal pattugliamento agli attacchi locali e limitati, come pure nella neutralizzazione delle azioni nemiche di disturbo, operarono in sede concettuale ed organizzativa e nella fase di condotta e di esecuzione, con grande sicurezza di sé stessi. Lo sbalzo del Legnano non fu meno agile, manovrato e rapido di quelli delle altre grandi unità del II corpo d'armata americano e i comandi alleati gliene dettero più volte atto 157.
9. Il gruppo di combattimento Mantova 158 fu costituito il 1° ottobre del 1944 per trasformazione della divisione omonima. Il lavoro di organizzazione del gruppo e l'attività addestrativa dei quadri e della truppa furon o non meno impegnativi di quelli degli altri g ruppi di combattimento, sebbene m eno difficoltosi perché per la ristrutturazione ordinativa t!d organica s i poté utilizzate in gran parte il personale appartenente alla divisione. Il gruppo venne costituito inizialmente in Calabria, dove si trovava dall'armistizio dell'8 settembre la divisione; completò i suoi organici nel Sannio nalla zona di S. Giorgio del Sannio - dove si trasferì tra la fine di novembre ed i primi di dicembre 1944. Nella primavera del 1945, in vista di un possibile impiego, il Mantova lasciò la zona del Sannio e si avvicinò a lla fronte, dislocandosi nella zona del Chia nti, dove passò alle dipendenze operative del comando dell'8a armata britannic a. Non ebbe però il tempo ed il modo di raggiungere la prima linea per la sopravvenuta fine della guerra. Il gruppo di combattimento Piceno 159 venne costituito il 10 ottobre del 1944 per trasformazione della divisione omonima in quel periodo dislocata nelle Puglie. Non aveva ancora completato la sua organizzazione quando, alla fine di novembre, gli vennero sottratti 2500 uomini per esigenze di ordine pubblico ed il 23 dicembre altri 1400 per fornire salmeristi alle unità a lleate . A poco a poco il gruppo venne o rie ntato verso un impiego diverso d a quello operativo, fintanto che 1'8 gennaio 1945 fu ritrasformato in divisione e t rasferito nella zona di Cesano di Roma con il compito di inquadramento del centro addestramento complem enti per le forze
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italiane di combattimento. Il 26 gennaio lo stato maggiore dell'esercito fissò le nuove formazioni del centro complementi che risultò costituito di un comando (con un reparto servizi e una compagnia carabinieri), un reggimento raccolta e smistamento complementi (2 battaglioni complementi di fanteria, ciascuno su 3 compagnie), e 1 battaglione complementi misto pure su 3 compagnie (una di artiglieria, una del genio, una servizi), un reggimento complementi di fanteria (su 3 battaglioni di 5 compagnie ciascuno), un reggimento complementi misto (1 scuola e 1 gruppo complementi artiglieria, 1 scuola e 1 battaglione complementi genio, 1 battaglione complementi misto su 3 compagnie), scuole di addestramento (formate da 1 comando scuole, 1 scuola istruttori varie armi, 1 scuola di fanteria, l scuola artieri, I scuola meccanici e operai di artiglieria); distolta dai compiti operativi, la divisione Piceno fu assorbita esclusivamente da compiti addestrativi. Da essa deriveranno in tempo successivo le varie scuole <l'arma e <lei servizi ancora oggi in essere.
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La dottrina e gli or<linamenti negli anni I 9 38-1942 - <li mostratisi privi di validità e addirittura irreali fin dalle campagne delle Alpi occidentali e di Grecia - vennero posti definitivamente, durante la guerra di liberazione, in non cale e l'impiego, la tecnica d'impiego, le articolazioni tattiche, mediante l'utilizzazione di un armamento e di un equipaggiamento adeguati per prestazioni al campo di battaglia di quel periodo, fecero un salto di qualità. Non si trattò dell'improvvisa scoperta di un mondo nuovo o di una folgorazione concettuale rivoluzionaria. Molti dei criteri d'impiego, dei procedimenti, delle modalità di azione tecnico-tattiche, ai quali ispirarono l'impostazione e la condotta del combattimento le medie e minori unità dell'esercito durante la guerra di liberazione, erano stati chiaramente esposti e uffic ialmente sanciti dalla regolamentazione precedente l'involuzione dottrinale del 1938. L'esercito italiano non è nato durante la guerra di liberazione. La d ata di registrazione anagrafica (1861) risale a più di 80 anni prima; quella della sua presenza storica nelle vicende italiane a circa 130 anni prima. Centrare la storia dell'esercito italiano sulla guerra di liberazione, quasi che l'esercito non fosse stato il protagonista nazionale delle guerre risorgimentali e di quelle coloniali e non si fosse battuto fino alla vittoria nella grande guerra, non avesse
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lottato fino all'estremo con lealtà e coraggio, accanto all'esercito tedesco, per uscire vittorioso dal secondo conflitto mondiale, è un modo di tentare di falsare la storia. Le contraffazioni offendono la coscienza morale, prima ancora dell'obiettività storica. La realtà del passato non si distrugge ironizzandola o ignorandola e neppure la si può nascondere inorpellando ed enfatizzando le vicende meno remote. L'esercito italiano benemeritò della Patria nella guerra di liberazione come aveva fatto nelle guerre precedenti. La sua ridiscesa in campo, dopo le sconfitte subite in Africa settentrionale, in Russia ed in Sicilia e dopo la disfatta dell'8 settembre, non sarebbe stata neppure immaginabile, qualora l'esercito non avesse avuto dietro di sé una lunga tradizione di obbedienza all'autorità legittima, di disciplina, di spirito di sacrificio, di dedizione al dovere e di fede nella funzione storica del paese, maturata in più di un secolo di successi e di insuccessi. La partecipazione dell'esercito alla guerra di liberazione fu un fatto di portata morale, politica e giuridica essenziale per la sopravvivenza dell'unità e dell'indipendenza dello Stato. Il contributo dell'esercito italiano alla lotta comune fu, sul piano spirituale e materiale, -più che apprezzabile e senza di esso il XV gruppo di armate alleate avrebbe incontrato e dovuto superare difficoltà molto più pesanti sulla linea e nelle retrovie e impiegare tempi assai maggiori per conseguire la vittoria finale. Ciò non vuole dire che senza l'esistenza e la partecipazione dell'esercito italiano nella guerra di liberazione gli anglo-americani non avrebbero vinto la campagna. Il I raggruppamento motorizzato, il C.I.L. e gli stessi gruppi di combattimento svolsero unicamente operazioni di concorso, ancorché indispensabili, alle manovre tattiche delle grandi unità alleate, ora nel quadro degli sforzi principali, o ra in quello delle azioni sussidiarie. L'idea direttrice centrale che regolò l'impiego delle unità italiane da parte dei comandi alleati fu di affidare loro la tenuta di posizioni o l'effettuazione di attacchi locali a raggio limitato. Non si trattò, come abbiamo messo in evidenza, di compiti di poco conto; il loro adempimento richiese sempre grande impegno concettuale, organizzativo ed esecutivo, oltreché morale. Nell'esplicarlo comandanti, stati maggiori e unità manifestarono quasi sempre abilità tattica e non meno spiccata perizia tecnica. Ciò dipese anzitutto dalla disponibilità di armi, mezzi e materiali quantitativamente e ancora di più qualitativamente moderni e adeguati. Anche quando i compiti fissati andarono al di là dell'abituale, come, ad esempio, quando vennero assegnate fronti difensive troppo ampie rispetto alla capacità operativa dei reparti, il ricorso a sagge dosature tattiche valse a
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conferire solidità all'insieme dei dispositivi. La potenza di fuoco e il discreto grado di mobilità conferiti alle formazioni organiche ed ai complessi tattici consentirono ai reparti italiani prestazioni operative di alto rendimento tattico pari, quando non anche migliori, di quelle degli alleati. Sarebbe avvenuta la stessa cosa anche nella fase precedente del conflitto, qualora le unità italiane operanti in Africa settentrionale ed in Russia fossero state armate ed equipaggiate in misura ed in maniera diverse. La guerra di liberazione smentisce la favola delle scarse qualità militari del soldato italiano che, quando armato ed equipaggiato convenientemente e razionalmente guidato, regge ogni confronto. I comandanti, gli ufficiali, i sottufficiali, i soldati della guerra di liberazione non avevano origine e formazione diverse da quelle dei combattenti delle campagne precedenti; erano solo - e non era poco - meglio armati ed equipaggiati, perché gli alleati, quando ne ebbero bisogno, non esitarono a dotarli dei loro mezzi e materiali, certi che in tale caso avrebbero reso non meno delle loro stesse unità. La prassi d 'impiego che ne derivò fu il r isultato della confluenza della ripresa in considerazione di taluni criteri e procedimenti ai quali era stato dato l'ostracismo nel 1938, della tesaurizzazione di quelli collaudati sulle varie fronti dall'esperienza di guerra e dell'adesione ad altri del tutto nuovo portati alla ribalta dal progresso scientifico e tecnico che veniva trasformando il campo di battaglia. Sul piano strategico, la campagna degli alleati in Italia offrì insegnamenti di segno negativo - mise in evidenza cioè come non si sarerbbe dovuta impostare e condurre una campagna siffatta - ma sul piano tattico dette modo all'esercito italiano di sperimentare in proprio la validità di criteri e di procedimenti fino ad a llora visti applicare dagli altri, in particolare dai tedeschi, mai potuti collaudare mediante l'esperienza diretta per il divario progressivamente crescente tra l'evoluzione delle dottrine di guerra ed i progressi incessanti degli armamenti e degli equipaggiamenti da una parte, l'insufficienza, anzi l'inefficienza, materiale dello strumento bellico italiano dall 'altra. Coperto in parte il divario, furono unità tattiche di livello medio e minore a dare saggi molto positivi di applicazione dei nuovi criteri, dei nuovi procedimenti e delle nuove tecniche. Da qui l'opportunità della narrazione, forse anche troppo estesa, che abbiamo fatto dei combattimenti offensivi e difensivi del/ raggruppamento motorizzato, del C.l.L. e dei gruppi di combattimento, giacché fu proprio la guerra di liberazione a segnare uno dei momenti più significativi dell'evoluzione dottrinale, sia come ri-
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tomo ai criteri ed ai procedimenti tattici tradizionali ancora validi - primo fra tutti l'estenzione della manovra ai livelli inferiori a quello di corpo d'armata - sia come accettazione di quelli nuovi ricavabili dalle esperienze altrui che, pur essendo molteplici e variformi, non avevano proprio per questo il valore di modello a rchetipo. Naturalmente, nell'impiego delle armi e dei nuovi mezzi e nell' applicazione delle procedure operative, le direttive dei comandi e degli istruttori inglesi ebbero valore di legge; quanto alla tattica ed alla tecnica d'impiego l'adesione alla dottrina inglese fu molto meno rigida. La prova é negli stessi ordini di operazione emanati dai comandanti più elevati - ordini dei quali abbiamo a bella posta indicato in nota gli estremi delle pubblicazioni in cui ne vengono riportati per intero i testi - i quali espressero le loro concezioni, sempre operativamente aderenti agli intendimenti dei comandi americani o inglesi n el cui ambito operavano, nondimeno altrettanto conformi agli indirizzi generali della dottrina tattica tradizionale italiana ed alla indole propria dei quadri e dei gregari italiani. D'altra parte non si potevano accantonare gli insegnamenti tattici raccolti dalle esperienze di guerra fatte accanto ai tedeschi che, in materia d'impiego e di tecnica d'impiego delle unità in guerra, erano grandi maestri. Dove invece gli inglesi esercitarono un'influenza determinante fu nel settore addestrativo. Essi pretesero ed ottennero che la preparazione tecnica e tattica degli istruttori, delle unità e dei s ingoli fosse costante, intensa e approfondita. Abbiamo già ricordato come non vi fosse ·granché di nuovo concettualmente circa quanto gli inglesi praticavano in fatto di addestramento. La novità fu che i gruppi di combattimento vennero sottoposti ad uno sforzo a ddestrativo del tutto inusitato nell'esercito italiano. Senza il completamento della preparazione teorica e pratica, fatto conseguire mediante ripetute esercitazioni di tiro e 'di campagna, eseguite spesso su terreni aspri ed in condizioni stagionali avverse, nessun gruppo di combattimento, ad eccezione del Cremona - l'unico che venne impiegato quando ancora non aveva potuto compiere le esercitazioni d'insieme delle unità di fanteria e di artiglieria venne inviato in linea prima di avere completato l'addestramento e di aver dimostrato di aver conseguito un livello soddisfacente di preparazione, giudicato tale dalle stesse autorità militari alleate. Il controllo dei B.L.N. e dei rappresentanti del D.M.T. fu senza dubbio un fatto umilitante, anche perché esercitato con scarso tatto, ma non per questo non giovevole. Concorse a diffondere in tutti, quadri
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e gregari, anche in ragione dello spirito di emulazione e di orgoglio che accese, una mentalità addestrativa, una responsabilità addestrativa, una pressione addestrativa, prima più teoriche che pratiche. Ancorché la pignoleria dei metodi didattici inglesi non fosse consona all'indole degli italiani - che in più mal sopportavano di sedere dalla parte dei banchi di scuola davanti ad ufficiali e sottufficiali inglesi istruttori che insegnavano con sussiego e sufficienza dalla cattedra, quasi avessero come discenti soldati digiuni di ogni nozione militare - diede tutto sommato ottimi risultati. L'addestramento individuale ed al tiro, sviluppato senza risparmio di tempo e di mezzi fino all'esasperazione, gli esercizi tattici e tecnici d'insieme ripetuti e curati nei particolari fino ad ottenere un solidissimo amalgama dei reparti minori di arma, le esercitazioni tattiche di cooperazione interarma eseguite spesso su terreni aspri e in condizioni stagionali avverse consentirono di mettere in linea soldati e reparti professionalmente preparati. Nessun comandante di gruppo di combattimento e di unità subordinata ebbe mai a lamentare insuccessi attribuibili a scarso addestramento. Da qui la modestia delle perdite, anche nei combattimenti più accaniti e cruenti, contro un nemico oramai in difficoltà di uomini e di mezzi, ma tenace, volitivo e di impareggiabile professionalità. A poco sarebbe valso il nuovo armamento, qualora a questo non si fossero sommati uno spirito delle truppe elevato e una media di preparazione tecnica e tattica superiore alla sufficienza. Nella campagna di Grecia, in particolare, dove tutti i canoni dell'arte militare erano stati violati, a cominciare da quelli strategici - sottrazione delle forze a llo scacchiere principale (Africa settentrionale); apertura improvvisa di una fronte eccentrica, strategicamente poco remune rativa, situata oltremare; valutazione dell'avversario prefabbricata, assurda più che errata, voluta credere nonostante gli elementi informativi in deciso contrasto; ecc. - l'impreparazione spirituale e addestrativa, oltre la scarsità di forze e di mezzi, aveva seminato di morti l'impervia regione ed aveva sommato insuccesso ad insuccesso. Sarebbe errore grave dimenticare od estrapolare dal contenuto della guerra di liberazione l'importanza determinante che vi ebbe il grado di addestramento dei singoli e delle unità, grado che concorse anche ad elevare il morale dei combattenti. Il merito di ciò spetta agli organi di comando italiani centrali e locali, ma anche - è doveroso riconoscerlo - in non poca misura, alla giusta frenesia addestrativa degli inglesi. Pressioni politiche e psicologiche impedirono la costituzione di corpi d'armata e di divisioni italiani. Non è necessario insistere su
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quanto sarebbe stata operativamente remunerativa la costituzione di organi di comando italiani del livello di corpo d'armata. L'esigenza, sempre sentita durante il ciclo operativo nel quale furono in linea i gruppi di combattimento, divenne ancora più palese durante l'offensiva finale del Friuli e del Folgore trovatisi a combattere fianco a fianco, il primo alle dipendenze del X corpo d'armata britannico e il secondo a quelle del XIII.e successivamente, dal 14 aprile, del X, cosicché vennero alla fine inquadrati sotto lo stesso comando ed entrambi operarono ad ovest della via Emilia, in direzione di Bologna. La costituzione di gruppi di combattimento binari, anziché di divisioni ternarie, sottrasse a priori ai gruppi stessi la possibilità di sforzi manovrati di ampio respiro e ne ridusse le funzioni operative. Non fu consenguentemente per malvolere dei comandanti di armata e dj corpo d'armata alleati che ai gruppi di combattimento nell'azione offensiva finale non vennero assegnati sforzi da condurre in proprio in profondità, ma solo azioni concorrenti e concomitanti e di sostituzione delle unità alleate chiamate ad agire offensivamente. Va riconosciuto che i comandanti alleati si comportarono dal punto di vista operativo lealmente e correttamente e fin dal loro primo apparire in linea vale a dire dai combattimenti di monte Lungo - impiegarono le forze italiane quasi sempre in funzione delle loro possibilità operative. I rapporti tra i comandi operativi italiani e quelli americani e inglesi, come pure, quando vi furono, con quelli polacchi e francesi, furono improntati a reciproca considerazione e comprensione. Essi migliorarono vieppiù nel tempo con la comunione di vita e di combattimento. L'atmosfera tra vincitori e vinti, oramai intenti ad uno scopo immediato comune, fu più limpida e respirabile di quanto non lo fosse stata quella tra comandi operativi italiani e tedeschi. Il merito maggiore fu dei comandanti e delle unità italiane che seppero gradatamente imporsi per la loro capacità professionale e combattiva, ma anche i comandanti alleati fecero, in genere, buon uso delle loro qualità diplomatiche e psicologiche. Non mancarono naturalmente diversità di vedute ed anche attriti, ma mai si determinarono stati di tensione, se non locali e temporanei, e tanto meno di conflitto. La frequenza dei mutamenti di dipendenze, di collegamento tattico con le unità laterali, di sostituzione delle unità in linea, di ampliamento e di restringimento delle fronti, di messa in atto di nuove reti di trasmissioni - operazioni difficoltose e delicate anche nell'ambito di unità della stessa nazionalità - non incise mai sulla efficienza
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~perativa che venne salvaguardata dall'ordine e dalla regolarità con le quali entrambe le parti mandarono ad effetto gli ordini dei comandi superiori. I comandi alleati non lesinarono i concorsi di fuoco e l'assegnazione di rinforzi, non esitando a passare alle dirette dipendenze operative dei comandi italiani unità carri e di artiglieria alleate. La cooperazione tra unità italiane ed alleate sul campo di battaglia non fu soggetta a riserve mentali. I ripetuti riconoscimenti, gli apprezzamenti, gli elogi del comandante supremo delle forze armate alleate nel Mediterraneo e dei comandanti del XV gruppo di armate, della sa armata americana e dell'8a armata britannica, dei corpo d'armata americani, inglesi, polacco e francese non furono dettati dal dovere di cortesia e di cameratismo, o solo quale incitamento a fare di più e di meglio, ma furono espressione di convincimenti maturati nel tempo, sinceri e sentiti. Non tutto, come abbiamo sottolineato nel riassumere lo sviluppo dei combattimenti. giunse a segno - a cominciare dalla prima azione contro monte Lungo - ma la guerra é di per sé sempre complessa, difficile, piena di imprevisti. Le previsioni ed i calcoli sbagliati sono all'ordine del gio rno. Le difficoltà dei combattenti diventano maggiori quando essi debbano operare agli ordini di comandanti stranieri, fianco a fian co di unità di altri paesi. Se la partecipazione di unità combattenti dell'esercito italiano fu merito soprattutto del Comando Supremo e dello stato maggiore dell' esercito, la cui volontà di riscossa e tenacia di propositi non possono essere poste da parte, la traduzione di tale partecipazione in un apporto tecnico-militare di tutto rilievo, operativamente assai remunerativo pur nel quadro delle restrizioni quantitative e ordinative volute dalle autorità politiche alleate, va segnata a merito d ei comandanti, degli stati maggiori e delle unità che si batterono con successo da monte Lungo ai piedi delle Alpi, sulla scia di quanto avevano fatto altri soldati italiani nelle guerre e campagne precedenti, affrontate spesso in situazioni d 'inferiorità materiale inibenti. Tali ci sembrano i limiti invalicabili, ma anche ineludibili, dell'interpretazione storica sul piano tecnico-militare della partecipazione delle unità combattenti italiane alla guerra di liberazione.
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NOTE AL CAPITOLO XLIV t
Ministero della difesa. Stato Maggiore dell'esercito. Ufficio storico. Il I
raggruppamento motorizzato italiano (1943-1944). Narrazione-Documenti. Tipografia
Regionale, Roma, 1949, pgg. 27-40 e allegati 17, 18 e 19. Il raggruppamento venne inizialmente così costituito: l reggimento di fanteria (67° fanteria) su 2 battaglioni; 2 battaglioni bersaglieri; 1 reggimento di artiglieria (11 ° reggimento artiglieria) su 3 gruppi; l compagnia mista del genio; servizi (compresa autofficina mobile). Sulla base di tale ordinamento di massima del Comando Supremo italiano, il raggruppamento venne concretamente composto da: - comando (stato maggiore e quartier generale) costituito dal comando della fanteria della divisione Legnano con il capo di stato maggiore della divisione stessa; - I reggimento di fanteria motorizzato formato dal comando del 67° fanteria, da un battaglione (I) del 67° fanteria, dal LI battaglione d'istruzione bersaglieri, da un battaglione (I) del 93° fanteria, dalla 281" compagnia fuciloni «S», da una sezione salmerie; - 1 reggimento di artiglieria motorizzato formato dal comando 11 ° reggimento artiglieria della divisione Mantova, 2 gruppi da 75/ 18 T.M. dello stesso reggimento, da 1 gruppo (CCCXIV) da 100/22 T.M., d a l gruppo d a 105/28 (XII gruppo), da una batteria contraerei da 20 del reggimento artiglieria Mantova; - V battaglione controcarri con comando di baltaglione, 2 compagnie da 47/32 (16" e 56•) e I compagnia carri L 35; - l compagnia mista del genio con I plotone artieri, 1 plotone telegrafisti, l plotone marconisti; - 1 sezione carabinieri; - servizi con I nucleo di sanità, l nucleo sussistenza, 1 autofficina mobile. Comandante: generale di brigata Vincenzo Dapino. Forza iniziale: circa 5000 uomini. Ben presto vennero apportate al raggruppamento alcune modifiche e varianti: non vennero più assegnate la 281 • compagnia fuciloni «S • e la sezione salmerie; al posto del 1/93° fanteria venne assegnato il II/67 ° fanteria; la compagnia carri L 35 cessò di far parte del V battaglione controcarri il quale, in conseguenza, rimase costituito soltanto su 2 compagnie cannoni da 47/32; successivamente furono sottratte al reggimento di artiglieria le terze batterie del me del IV gruppo da 75/ 18 e I' 11 ° reggimento rimase su 2 gruppi di 3 batterie (I da 105/28 e li da l 00/22) e 2 g ruppi su 2 batterie (Ili e IV da 75/18); furono assegnati 1 ufficio postale, 1 nucleo chirurgico (34°), 1 ospedale da campo (244°); furono costituiti 1 nucleo movieri e l autoreparto pesante. Nel novembre fu disposta la costituzione di un battaglione complementi (comando, 2 compagnie di fanteria di 100 uomini, 1 compagnia be rsaglieri, 1 batteria di artiglieria, 1 plotone del genio). La compagnia genio venne portata ad un battaglione (LI battaglione misto del genio). Gli enti interessati alla formazione del raggruppamento furono lo stato maggiore dell 'esercito, il comando della 7a armata, i comandi del LI e IX corpo d'a rmata, le divisioni di fanteria Legnano, Mantova e Piceno, la 210• divisione costiera, la legione carabinieri di Bari.
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Quale comandante del raggruppamento fu nominato il generale di brigata Vincenzo Dapino, già comandante interinale della divisione Legnano. Particolare cura fu posta nella preparazione morale, tecnica e lattica del raggruppamento. (Veds. pgg. 35-40 della pubblicazione). 2 Ibidem, allegati n° 19, 20, 21, 22, 23. 3 Ibidem, pgg. 42-48 e allegati n ° 23, 24 e 25. 4 Ibidem. s Ibidem, pgg. 61-70, allegati n ° 20, 28, 29 e 30. La colonna di attacco fu così costituita: 11/67° fanteria, LI bersaglieri, V battaglioni controcarri, 2 sezioni da 20 contraerei, plotone artieri. li battaglione del 67° mosse lungo la direzione costone di monte Lungo-q. 253-q. 343-q.351; il LI bersaglieri lungo la direzione ponte SecondoPeccia-q. 343. 6 Ibidem, pg. 72. 7 Ibidem, pg. 84 e allegato n° 36. 8 Ibidem, pg. 83 e allegato n° 35. 9 Ibidem, pg. 86. 10 Utili Umberto (1895-1952), generale di corpo d'armata. Uscito dall'accademia di artiglieria e genio nel gennaio del 1914, prese parte a lla 1 a guerra mondiale. Nel 1920-1 922 frequentò la scuola di guerra. Dal 1922 a l 1927 assolse incarichi di stato maggiurt: p1·t:ssu il l:umaudu <lella <livisium: te1Titu1iale di Livorno. Dal 1927 al 1929 comand ò un gruppo di artiglieria. Da l 1929 al 1939 assolse incarichi di stato maggiore presso il corpo dello S.M.E_ Dal 1937 al 1938 prestò servizio in Eritrea, presso il «Regio Corpo Truppe Coloniali». Comandò poi il 19° reggimento artiglieria, la scuola di artiglieria, l'artiglieria del VI e poi del XXVI corpo d'armata. Prese parte alla campagna di Russia come capo ufficio del comando artiglieria del C.S.I.R. prima. e come capo di stato maggiore del XXXV corpo d'armata poi. Rimpatriato il I novembre 1942 ed assegnato alla S.M.E. fu poi capo del I reparto (Operazioni). Nella notte dall'8 al 9 settembre 1943 tentò invano d'indurre il generale Ambrosio a far diramare l'ordine di applicazione della «memoria 44». Per ordine del generale Ambrosio dovette seguirlo a Brindisi, dove cercò subito di ricostituire il l 0 reparto dello S.M.E .. Dal 29 settembre assunse la funzione di capo della missione di collegamento con il comando del gruppo armate del maresciallo Alexander. L'8 dicembre entrò in linea a monte Lungo. li 24 gennaio 1944 sostituì il generale Dapino nel comando del / raggruppamento motorizzato. Fu poi comand ante del C. l .L. e del gruppo di combattimento Legnano. Solto il s uo comando, brillantemente esercitato in guerra. al termine di questa, il gruppo di combattimento Legnano tornò ad essere dal 15 ottobre 1945, la divisione Legnano. Successivamente, prima vice-comandante, poi comandante militare territoriale di Milano. Fu un condottiero quasi «emblematico• di tutta la rinascita dell'esercito, dalle cenel"i dell'8 settembre fino al ritorno in combattimento per la liberazione della Patria. 11 Il raggruppamento motori1.1.ato italiano. Op. cit., allegato n° 37. 12 Ibidem, pg. 88 e allegato n° 37. 13 Ibidem, pgg. 88-90. 14 Ibidem, allegato n° 40. 15 Ibidem, allegato n° 45. 16 Ibidem, allegati n° 48 e 49. 17 Ibidem, allegato n° 50. 18 Ibidem, pgg. 120 e 121. 19 Ibidem. allegati n° 51 e 52.
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Ibidem, allegato n° 53. Ibidem, pg. 131. 22 Ibidem, allegati n° 51 e 55. · 23 Ibidem, allegato n° 56. 24 Vds. capitolo XLIV, nota 24. 25 Ministero della Difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico. Il corpo italiano di liberazione (aprile-settembre 1944) Poligrafica e Cartevalori, Ercolano (Napoli). 1971, pgg. 12-13. 26 Ibidem, pg. 13 e seguenti: Foglio G-6-1-35 della sottocommissione di controllo per l'esercito: fissò in 341 170 uomini la forza complessiva dell'esercito italiano ed in 14 000 uomini la «divisione di combattimento». Riunione del 16 aprile, nella sede del capo di stato maggiore dell'esercito italiano, alla quale parteciparono ufficiali della sottocommissione A.C.C. con a capo il generale Duchesne. Riunione del 23 aprile tra il generale Berardi e il generale Browning, capo della sottocommissione alleata di controllo. Vds. allegato n° 2 alla pubblicazione di cui trattasi. Conferma di limitare in termini modesti la partecipazione italiana alla guerra da parte degli alleati. Vds. allegato n° 3 alla pubblicazione di cui trattasi. Concessione da parte alleata d 'includere la divisione paracadutisti Nembo, rientrata dalla Sardegna, nel C.l.L. portando la forza dei combattenti italiani a 24 000 uomini. Vds. pg. 15 e allegati 4, 5 e 6 della pubblicazione di cui trattasi, nonché allegato I. 21 Ibidem, pg. 15. 28 Ibidem, pg. 16 e allegato n ° 7. 29 Vds voi. II, Tomo 2°, Cap. XL, nota 64. 30 Ibidem, pg. 17 e allegati n° 8 e n° 9. 31 Ibidem, pg. 19 e allegato n ° 11. 32 Ibidem, pg. 19: IV gruppo di artiglieria da 75/ 13 del 58° reggimento artiglieria che entrò provvisoriamente a far parte dell ' l l O reggimento artiglieria come IV gruppo sommeggiato da 75/13; gruppo del 541 ° reggimento artiglieria, non destinato a compiti operativi, ma a lavori; 184 ° reggimento paracadutisti Nembo; 332° ospedale da campo; 61 • sezione autoambulanze. 33 Ibidem, pgg. 32 e 33 e allegati n° 13 e 14. 34 Ibidem, pgg. 53-57 e allegato n° 18. 35 Ibidem, allegati n° 19 e 20. 36 Charles Walter Allfrey (1895-1964). Generale inglese. Da capitano partecipò alla 1 a guerra mondiale in Francia e nel Belgio. Fu promosso maggior generale nel 1940 e tenente generale nel 1944. Aveva prestato servizio nell'Iraq c nel Kurdistan. Comandante di divisione dal 28 febbraio 1941 a ll'8 marzo 1942; assunse, quindi, il comando del X corpo d'armata. 31 Il corpo italiano di liberazione ecc .. Op. cit., pg. 71, allegato n° 22. La I" brigata si articolò su: - colonna Picone (4° bersaglieri, IV gruppo someggiato da 75/13, elementi del genio) che avrebbe dovuto muovere lungo la direttrice Guardiagrele-S.Martino-casa Canditella-Bucchianico-casa Fagioli; - colonna Briatore (battaglione alpini Piemonte, batteria alpina da 75(13, elementi del genio) che avrebbe dovuto muovere lungo la direttrice Madonna dell' Addolorata-S. Eufemia-Terranova-Casalincontrada-colle Petrano; 20 21
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- forze alle dipendenze del comandante della brigata: squadrone carri pesanti inglesi, II gruppo da 100/22 e IV gruppo motorizzato da 75/18, compagnia artieri ed altri elementi del genio. 38 Ibidem, pgg. 80 e 81 e allegati n ° 24 e 25. 39 Ibidem, allegato n° 26. 40 Ibidem, allegato n° 27. 41 Sul fronte del C.J.L. operarono la brigata partigiana Maiella agli ordini del tenente colonnello polacco Lewicki, la banda Ferri e la banda Janko. La brigata Maiella che, da una forza iniziale di un centinaio o poco più di uomini raggiunse gradatamente il migliaio, operò con funzioni informative, esplorative e di combattimento con il II corpo polacco e rese servizi molto importanti sulla fronte adriatica, specialmente quando si tratlò di coprire il vuoto tra il C./.L. ed il X corpo britannico operante più ad occidente. 42 Ibidem, allegato n° 35. 43 I tedeschi si avvalsero nella loro manovra di np1egamento di linee di riferimento o di attestamento e di vere e proprie linee difensive intermedie. A sud di Ancona predisposero la linea Frieda sul fiume Chienti della quale si valsero come linea di riferimento, la linea Elfriede all 'altezza del fiume Potenza anche questa utilizzata come linea di riferimento, la linea Machthild tra il Musone e l'allinemento Fiumicello-Filottrano-Os imo... sulla quale svilupparono una difesa a tempo determi-
nato, la linea Edi1h, più a nord, da Castelbellino a S . Maria del Piano e ad Agugliano. I corsi d 'acqua con andamento parallelo alla fronte, numerosissimi nel settore adriatico, furono quasi tutti utilizzati dai tedeschi per imporre battute d 'arresto, come appigli difensivi-offensivi per soste temporanee e per la ripresa dell'azione offensiva (Musone, Esino, Misa, Cesano, Candigliano, Metauro ed altri). 44 Il corpo italiano di liberaz.ione ecc. Op. cit., pgg. 103 e 104 e allegati n ° 35 e 37_ 45 Ibidem, pg. 108. 46 Ibidem, allegato n° 38. Relazione sommaria sull'occupazione di Filottrano (8-9 luglio 1944) redatta dal comandante del C.I.L.. 47 Ibidem, pg. 123. 48 Ibidem, pg. 124 e allegato n° 45. Ordine di operazione per le operazioni sul fiume Musone. Vds. anche allegato n° 45 riguardante l 'organizzazione ed il funzionamento dei se,·vizi. per le stesse operazioni. 49 Lo schieramento attuato fu: XXIX battaglione bersaglieri circa 2 km a nord-ovest di Jesi; battaglione alpini Monte Granero in zona Tabano; battaglione alpini Piemonte in borgo Costiera; CLXXXIX battaglione guastatori a sud di S. Maria del Piano; 184° reggimento paracadutisti tra la villa Honorati e C. Vitali (a s ud di Jesi); 183° reggimento paracadutisti in zona S. Maria del Colle; 1/68° fanteria nella zona di Belvedere Ostrense; Il/68° fanteria nella zona di S. Marcello; XXXIII battaglione bersaglieri nella zona <li C. Montesecco (a nord-ovest di J esi) a sostegno del IX reparto d'assalto . L'artiglieria si schierò: IV gruppo da 75/13 someggiato a villa Carotti (sud di Jesi); V gruppo da 75/ 13 someggiato in zona C. Montesecco; 11 ° reggimento artiglieria con il I gruppo da 105/28 a C. Giannini (nord di Jesi), II gruppo da 100/22 a C. Ortansi (nord di Jesi), III gruppo di 75/18 a ovest di C. Giannini, TV gruppo da 75/18 a villa Guglielmi (nord di Jesi), CLXVI gruppo da 149/19 a C. Rocc hi; 184° reggimento artiglieria Nembo con I gruppo da 75/27 e II gruppo da 100/22 in zona C. Carotti (nord di Jesi). 50 Il corpo italiano di liberazione ecc. Op. cit., allegato n° 48.
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5 1 Ibidem, pgg. 143-146 e allegalo n° 50. Schieramento sulla posizioni di Belvedere Ostrense - q. 245 - M. Schiavo. 52 Ibidem, pgg. 148-149 e allegato n ° 51. 53 Ibidem, pgg. 154-158 e allegalo n° 52 Schieramento fra Montecarotto e Belvedere. 54 Ibidem, pg. 164 e allegati n° 54 e 55. Schieramento difensivo suTTe alture riva destra fium e Nevo/a-fosso delle Ripe. 55 Ibidem, pg. 174. 56 Ibidem, pg. 169. 57 Ibidem , pgg. 181-1848 e allegato n° 59. Rio rdinamento del C.I.L. - Riduzione delle forze nel settore di Sassoferrato. 58 Ibidem, allegato n° 60 ed allegato n° 61. 59 In data 27 gi ugno giunse nella zona d'impiego del C./.L. uno squadrone volontario del I raggruppamento Guide che fu posto alle dipendenze del IX reparto d'assalto. Questa ultima unità si trasferì da Chieti in linea il 15 luglio, cessando di far parte della na brigala e passando, insieme con lo squadrone Guide, alle dirette dipendenze del comando del C.1.L.. Con l'arrivo dello squadrone anche l'arma di cavalleria venne ad essere rappresentala lra le unità combattenti d el C./.L. . 60 Il corpo italiano di liberazione ecc. Op. cit ., p g. 192 e allegalo n° 62.
Schieramento Ordinamento Direttive.
Ibidem, allegato n ° 65. Ibidem, allegato n ° 68. Ordine del giorno n° 43. 63 Moltissimi furono i riconoscimenli dei comandanti alleati per l'operato del 1 raggruppamento motorizzato e del C.1.L.. Ricordiamo tra i più significativi: - lettera del maggiore generale comandante del la 36a divis ione di fanteria americana al generale Dapino in data 10-12-1943 (allegato n ° 27 della p,1bblicazione. Il 1 raggruppamento motorizzato italiano. Op. cit.,); - lettera del maggiore generale comandante delal 36• divisione di fanteria americana al generale Dapino in data 19- 12-1943 (a llegato n ° 31 della pubblicazione sopraci lata); - lettera del com andante della 5° armata americana al genera le Umberto Utili in data 31-3-1944 (allegalo n° 47 della pubblicazione sopracitata); - lettera del comandante d el II corpo polacco al generale Umberto Utili in data 11-4-1944 lallegato n e 51 della pubblicazione sopracitata); - messaggio del II corpo polacco al comandante <lei / raggruppamento motorizzato in data 11-4-1944 (allegato n ° 52 della pubblicazione sopracitata); - lettera del comandante <lell'Sa armala b.-itannica a l comandante d el C.I.L. in data 30-5-1 944 (allegato n ° 19 della pubblicazione «Il Corpo ita liano di liberazione», Op. cit.); - lettera del comandante del X corpo britannico al comandante de l C.I.L. in data I-Vl-1944 (allegato n ° 20 della pubblicazione sopracitata); - lettera del comandante de ll'Sa armata al comandante del C.J.L. in data 11-7-1944 (allegato n ° 40 de lla pubblicazione sopracitata); · - le ttera del comandante del II corpo polacco al comandante del C. /.l. in dala 24-8-1944 (allegato n ° 63 della sopracitata pubblicazione); - lettera del comandante dell'8a armata britannica al comandante del C./.L. in data 24-8-1944 (allegato n ° 64 della pubblicazione sopracitata); - lettera del capo della sottocommissione alleata per l'esercito al comandante del C.l.L. in data 30-8-1944 (allegato n° 67 d ella pubblicazione sopracitata). 6l 62
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li I raggruppamento motorizzato ecc.. Op. cit., pg. 13. Il 16 giugno 1944 l'ordinamento del C.I.L. venne cosi fissato: - comando: uffici vari, comando artiglieria, comando genio, quartier generale, carabinieri; - truppe direttamente dipendenti dal comando: - tramite il comando artiglieria: 11 ° reggimento artiglieria su: I gruppo da 105/28, II gruppo da 100/22, III gruppo da 75/18, IV gruppo da 75/18, gruppo controcarri da 57/50, 363° batteria da 20 mm, gruppo da 149/19; - tramite comando genio: LI battaglione misto genio su 51 ° campagna artieri, 51° compagnia collegamenti; - divisione Nembo: comando, 183° reggimento fanteria (XIII e XIV battaglione), 184° compagnia motociclisti, 184a compagnia mortai da 81, 184° reggimento artiglieria (I gruppo da 75/27, II gruppo da 100/22, 184° batteria da 20 mm), 184 8 compagnia collegamenti, servizi divisionali; - 1• brigata: comando, 4° reggimento bersaglieri (XXIX e XXXII battaglioni), 3° reggimento alpini (battaglioni Piemonte e Monte Granero), 185° reparto arditi paracadutisti Nembo, IV gruppo someggiato da 75/ 13; - n• brigata: comando, 68 ° reggimento fanteria (I e II battaglione), battaglione della regia marina Bafile, XVII reparto d'assalto, V gruppo someggiato da 75/ 13; - servizi direttamente dipendenti dal comando del C.I.L.: sanità (51 a sezione; 332°, 244°, 470°, 866° ospedali da campo; 34° nucleo chirurgico; 29" ambulanza radiologica); commissario (SI• sezione sussistenza, 35 8 squadra panettieri); artiglieria (posto avviamento munizioni); genio (posto avviamento materiale genio), 17" officina collegamenti; trasporti (CCL autogruppo misto, CCL reparto salmerie); postale (ufficio posta militare 155). I reggimenti di fanteria avevano tutti formazione binaria. Il gruppo cannoni controcarri da 57/50 era su 3 batterie. I gruppi di artiglieria erano in totale IO rispetto ai 14 battaglioni di fanteria; il rapporto fra fanteria e artiglieria era all'incirca di 1-1/2 a 1. Il gruppo da 149/19 (CLXVI} era su 3 batterie. Il 3° reggimento alpini venne in realtà costituito il 1 luglio. li 1 luglio venne costituito anche il reggimento di marina «S. Marco• su 2 battaglioni (Ba/ile e Grado}. Il 1 luglio fu ricostituito il V battaglione cannoni da 47/32 così formato: comando, 2 compagnie su 3 plotoni ciascuna (2 pezzi per plotone}. Il 19 luglio il XXI gruppo salmerie cambiò la denominazione in quella di XXII gruppo autonomo salmerie. Sempre in luglio vennero assegnati al C.l.L. uno «squadrone volontari del I raggruppamento Guide che venne posto alle dipendenze del IX reparto d'assalto. In data 31 luglio fu sciolto il LXXI battaglione bersaglieri motociclisti proveniente dalla Sardegna e che si trovava nella zona di Chieti a disposizione del 4° reggimento quale battaglione complementi. In sua vece, sotto la data del 1 agosto fu costituita, alle dirette dipendenze del 4 ° bersaglieri, la 1 • compagnia bersaglieri motociclisti (l plotone comando, 3 plotoni motociclisti, 1 plotone motomitraglieri} dotata di 116 moschetti automatici, 18 fucili mitragliatori, 4 mitragliatrici, 3 mortai da 45. 66 Taddeo Orlando (1885-1950), generale di corpo d'armata. Frequentò il collegio militare di Napoli e quindi l'accademia militare di artiglieria e genio. Sottotenente nel 1906, tenente nel 1908. Fu in Libia nel 1911. Frequentò la scuola di guerra dal 1912 al 1914 e partecipò alla 1 • guerra mondiale con una batteria di 65
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artiglieria di armata prestando poi servizio di stato maggiore presso comandi di alto livello. Nel 1919 venne trasferito presso lo stato maggiore del regio esercito dove ricopri anche le funzioni di direttore capo divisione. Da colonnello fu destinato nel 1936 in Tripolitania e nominato comandante dell'artiglieria della zona. Da generale di brigata prestò servizio presso il ministero dell'Africa italiana e, successivamente, comandò l'artiglieria del XX corpo d 'armata. Sottocapo di stato maggiore per le operazioni nel 1939, nel 1940 fu incaricato delle funzioni di comandante della divisione «Granatieri di Sardegna», che comandò, nel g rado di generale di divisione, fino al novembre del 1942 quando venne incaricato delle fun zioni di comandante del XXXI corpo d 'armata. Promosso generale di corpo d'armata, fu catturato in Tunisia e rimpatriato nel novembre 1943. Venne nominato ministro della guerra, carica ché lasciò nel luglio del 1944 per assumere quella di comandan te generale dell'arma dei carabinieri. 67 Il 20 dicembre 1943, in S. Spirito (sobborgo di Bari), presso la sede del XV g ruppo di armate anglo-americane, ebbe luogo una riunione alla quale parteciparono: da parte italiana, i marescialli Badoglio e Messe; da parte anglo-americana, i l generale Eisenhower, in quel momento comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo, il generale Alexander comandante del XV gruppo di armate, il generale Smith capo di stato maggiore del gene rale E isenhower, il generale Richardson capo di stato maggiore del generale Alexander, il generale J oyce, presidente della commissione alleala di controllo, il generale Taylor capo di stato maggiore della commissione alleata di controllo, il generale Robertson comandante dello • scaglione a mministrativo avanzato » del comandante in capo alleato. In tale riunione venne accettato il principio di una più ampia partecipazione italiana alle operazioni. In sede di precisazione si stabili che le forze italiane destinate a combattere avrebbero avuto a cura degli alleati «armamento ed equipaggiamento non inferiore a quello anglo-americano», mentre le fone ita liane incaricate del p residio del territorio nazionale e delle retrovie sarebbero state arm ate ed equipaggiate con materiali italiani ed a cura delle autorità italiane. 68 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio storico. l gruppi di combattimento. Tipografia Regionale, Roma, 1973. pgg. 7 e 8. 69 li 3 g iugno 1944 fu tenuta una riunione in Napoli a lla quale intervennero da parte alleata il generale Alexander, comandante del XV gruppo di armate, ed il generale Mac Farlane, ca po della missione alleata di controilo, da parte italiana il generale Messe, capo di stato maggiore generale, l'ammiraglio De eourten ministro della marina, il generale Infante sottocapo di stato maggiore generale. lbidem, pgg. 9-10. 70 Il 23 luglio 1944 venne tenuta, presso la commissione alleata di controllo (A.e.e. Allied Contro/ Commission), una riunione a lla quale intervennero da parte italiana il generale Berardi, capo di stato maggiore dell'esercito, assistito da ufficia li generali e su periori dello stato maggiore, e da P,a rte a lleata il generale Browning, capo della missione alleata di controllo, assistito a sua volta da vari ufficiali s uperiori. Ibidem, pgg. 10-13 e allegato n ° 1. 71 Altra riunione ebbe luogo il 31 lug lio presso l'ufficio del capo di stato maggiore dell'esercito italiano e da questi presieduta. Ad essa intervennero un generale e due colonnelli dello stato maggiore dell'esercito italiano ed il colonne llo Pisdley quale rappresentante del comando alleato. Ibidem, pgg. 13-15 e allegato n° 2. 72 Ibidem, pg. 17. 73 Ibidem.
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Ibidem, pg. 25. Ibidem, pgg. 27-28. 76 Ibidem, pgg. 26 e 28. L'artiglieria della divisione di fanteria inglese comprendeva (1944): 3 reggimen.ti di artiglieria da campagna, ciascuno su 3 gruppi da 87 (25 libbre) di 3 batterie su 4 pezzi (24 pezzi per reggimento per un totale di 72 pezzi); 1 reggimento artiglieria controcarro su 4 gruppi da 76 (17 libbre) di 2 batterie ciascuna su 6 pezzi (48 pezzi); 1 reggimento artiglieria contraerei su 4 gruppi di 3 batterie ciascuno su 6 pezzi (72 pezzi da 20 o 40 mm). L'artiglieria della divisione di fanteria americana comprendeva (1944): 3 gruppi obici da 105 su 3 batterie ciascuna su 4 pezzi (36 pezzi), l gruppo obici da 155 di 3 batterie su 4 pezzi (12 pezzi in totale). Vi erano inoltre obici da 105 in dotazione a unità di fanteria. 77 Ibidem, pg. 30. 78 Ibidem, pgg. 31-32. 79 Ibidem, pg. 43. 80 Ibidem, pgg. 34-36. Ai primi di novembre del 1944, le autorità militari italiane proposero di: promuovere, attraverso la stampa, la radio, ecc., una intelligente valorizzazione del contributo d ell'esercito alla guerra di liberazione; sancire il principio che gli aventi obblighi di leva, chiamati alle armi, dovessero anteporre il dovere verso la Patria a qualsiasi interesse particolaristico e personale; emanare severi provvedimenti coercitivi contro renitenti e disertori; aumentare i sussidi alle famiglie e istituire polizze assicurative; promuovere e incrementare l'assistenza mora le e materiale dei combattenti da parte delle autorità politiche e militari e della stessa popolazione. Il 5 dicembre venne costituita una sezione assistenza e propaganda presso ciascun gruppo di combattimento. Alla fine di dicembre, poiché poco era stato fatto circa le proposte dei primi di novembre, le autorità militari tornarono a presentare al governo altre proposte: aumento dell'indennità giornaliera di miglioramento rancio da 5 a 20 lire; aumento degli assegni per le famiglie dei combattenti da 8 a 16 lire; istituzione di una polizza assicurativa di 50 mila lire per ogni combattente che avesse almeno 6 mesi di linea; raddoppio della razione sigarette; assegnazione di un milione al mese ad ogni comandante di gruppo di combattimento da distribuire in premi ai soldati più meritevoli ed in sussidi a quelli più bisognosi. 81 Il gruppo C,-emona venne costituito su: comando (con 2 sezioni miste di carabinieri e un nucleo ing lese di collegamento tra comando del gruppo e comando inglese); 21 ° e 22° reggimento fanteria, ciascuno, su: 1 compagnia comando di reggimento, 3 battaglioni, 1 compagnia mortai da 76 e 1 compagnia cannoni da 57 mm; 7° reggimento artiglieria su: 4 gruppi da 87 mm di 2 batterie ciascuna di 4 pezzi (32 in totale), 1 gruppo controcarri da 76 mm su 2 batterie di 6 pezzi (12 pezzi), 1 gruppo contraerei da 40 mm di 2 batterie di 6 pezzi (12 pezzi); battaglione misto del genio su 2 compagnie artieri e l compagnia teleradio; servizi (sa nitario: 1 sezione di sanità e 2 ospedali da campo; compagnia trasporti e rifornimenti; deposito mobile materiali artiglieria e genio; officine meccaniche). Successivamente vennero istituiti presso il comando del gruppo: un «ufficio tecnico automobilistico» (con funzioni ispettive sulle officine e sugli autodrappelli e di cura di tutte le questioni tecniche automobilistiche) ed una sezione assistenza e pmpaganda. Successivamente, in base alle disposizioni emanate dalle autorità centrali, vennero adottate ulteriori lievi varianti delle formazioni organiche. 2 8 Vds. precedente capitolo XL. 74 75
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83 Clemente Primieri (1894-1981), generale di corpo d'armata. Allievo dell'accademia militare, fu nominato sottotenente di artiglieria nel 1914. Partecipò alla l • guerra mondiale durante la quale fu promosso capitano per merito di guerra. Negli anni 1922-23 frequentò la scuola di guerra. Da maggiore comandò un battaglione del I O reggimento artiglieria da montagna. Ricoprì vari incarichi di stato maggiore e, da colonnello, comandò il 28° reggimento di artiglieria. Fu in A.O.I. capo _di SM della divisione Assietta e dell'intendenza dell'A.0.1.. Dopo aver comandato l'a rtiglieria dell'XI corpo d'armata, fu capo di stato maggiore della 2• armata. Dall'aprile 1943 al maggio 1946 fu comandante della divisione Cremona e poi del gruppo di combattimento omonimo durante la guerra di liberazione. Durante la prima fase della 2• guerra mondiale era stato capo di SM della divisione Ravenna e del V corpo d'armata. Fu comandante militare territoriale di Bolzano, del IV corpo d'armata (luglio 1952-luglio 1954) e, infine, comandante delle forze terrrestri alleate del sud-Europa dal luglio 1954 al lulgio 1957. 84 / gruppi di combattimento. Op. cit., pagg. 62-64 e allegato n° 3. 85 Ibidem, pg. 64 nota n° I. 86 Ibidem, allegati n° 4 e 7. 87 Ibidem, pgg. 80-82 e allegato n° 8. 88 Ibidem, pg. 64-65, pgg. 68-71, pgg, 112-114. Inizialmente erano schierate di fronte al g1·uppo Cremona la 710• divisione tedesca, giunta sulla fronte italiana nell'ottobre del 1944 e cost ituita dal 730° e dal 740° reggimento di fanteria, dal 650° reggimento artiglieria, da un battaglione del genio e da compagnie controcarri pesanti; dietro la 110• era in riserva la 114• Jeage r. Questa, sembra, che venne poi sostituita dalla 42• Jeager, costituita in prevalenza di austriaci e formata dal 25° e dal 40° reggimento Jeager, dal 142° artiglieria, dal CIXII battaglione genio e dalla 16 a compagnia controcarri. Successivamente, sulla lingua di terra tra la laguna di Comacchio e il mare, fu schierato il CXLII battaglione da ricognizione, rinforzato da elementi della 162• divisione di fanteria, il quale venne sostituito, verso la metà di febbraio, da unità della 114• divisione Jeager che risultò schierata più a nord, mà in grado di rinforzare il CXLII battaglione a sud . Il CXLII battaglione di ricognizione e ra formato da 3 squadroni ed aveva una forza effettiva di 300 uomini: due squadroni come fanteria motorizzata ed uno, con mitragliatrici, Panzerfaust e mortai, rinforzato altresl da 4 pezzi d a 205 e da 2 pezzi da 149 italiani. Con gli spostamenti successivi, il gruppo di combattimento si venne a trovare di fronte la 362• divisione tedesca schierata per ala: 1060° reggimento granatie ri a sinistra e 956° reggimento granatieri a destra. La 362a divisione di fanteria risultava costituita: dal 956° granatieri su 2 battaglioni (ciascuno su 3 compagnie leggere e 1 compagnia pesante con 6 mitragliatrici e 3 mortai da 81), 1 compagnia cannoni (6 leggeri e 2 pesanti), 1 compagnia controcarri; dal 1059° reggimento granatieri (stessa formazione del 1060°); dal CCCLXII battaglione fucilieri da ricognizione formato, secondo notizie raccolte da prigionieri, su 3 compagnie ciclisti (9 mitragliatrici e 2 mortai da 81 ciascuna) e I compagnia pesante (3 cannomi leggeri di fanteria e I cannone controcarri da SO); dal 362° reggimento artiglieria (3 gruppi campali e l batteria media); CCCLXII battaglione controcarri su 3 compagnie (con semoventi italiani da 75, da 37 e da 20). Gli organici delle unità erano molto ridotti: plotoni di 10-15 uomini, compagnie di 50-60 uomini, battaglioni di 300-400 uomini. Il terreno di azione del gruppo di combattimento inizialmente fu la pianura romagnola a nord di Ravenna, compresa fra il meridiano di Fusignano e il mare. Corsi d'acqua principa li: il Senio ed il Reno. La viabilità è molto sviluppata. La zona
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ha in sé gli elementi necessari per adempiere, fronte a sud, una buona funzione difensiva. La potenzialità logistica è abbastanza buona. 89 Ibidem, pg. 86 e allegato n° 10. 90 Ibidem, allegato n° 11. 9 1 Ibidem, pgg. 94-97. 92 Ibidem, allegato n° 12. 93 Ibidem, allegato n° 13. 94 Ibidem, allegati n° 14 e 15. 95 Ibidem, allegato n ° 16. 96 Ibidem, pgg. 107-110 e allegato n ° 17. 9 7 Ibidem, pg. 127. 98 Ibidem, pg. 128. 99 Ibidem, pgg. 130 e 13 I. IOO Ibidem, pgg. 162-163. Il gruppo Friuli venne costitui to su: comando (con 2 sezioni miste di carabinieri e un nucleo inglese di collegamento tra il comando del gruppo di combattimento ed il comando inglese); 87° e 88° fanteria, formati ciascuno da compagnia comando di reggimento, 3 battaglioni (di cui l di granatie ri), 1 compagnia mortai da 76 e 1 compagnia cannoni da 57 mm; 35° reggimento artiglieria: stessa formazione del 7° del Cremona (Vds. precedente uola n° 16); I hattaglione misto Jel genio; servizi con le stesse formaz ioni delle analoghe unità del Cremona (Vds. precedente nota n ° 16). I servizi del gruppo d i combattimento vennero comple tati nel tempo con l'assegnazione di: 2 ospedali da campo (il 960° e il 519°), I autombulanza odontoiatrica (113 3 ) , I nucleo chirurgico (130°), I autombulanza radiologica (133a), I squadra panettieri (3 16 3 ), 2 compagnie parco campale del genio, 2 a utofficine careggiatc (13 ") riorganizzata poi in sezione tecnica e 181 •, I sezione carabinieri (316 ") ausiliaria, officine meccaniche e 1 deposito mobile. Il 5 dicembre fu pure costituita la sezione assistenza e propaganda. 101 Vds capito lo XL. 102 Arturo Scattini (1890-1970), generale di corpo d 'armata. Partecipò d a ufficiale dei bersaglieri a lla 1 • guerra mondiale s ulle fronti albanese e della Macedonia . Frequentò la scuola d i g ue rra e successivamente fu assegnato a l corpo truppe coloniali della Cirenaica, da dove rimpatriò ne l 1936 per assumere l'incarico di capo delegazione trasporti del dipartimento di Firenze. Prese pa rte a ll'occupazione dell'Albania nel 1939, dove partecipò anche alla campagna di Grecia . Vice comandante d ella divisione la Spezia nel 1942, tornò in Libia ed assunse le funzioni d i comandante della divisione stessa. Rie n trato da lla prig ionia di guerra nell'aprile del 1944, venne destinato al ministero della guerra per incarichi specia li e, s uccessivamente, presso lo stato maggiore generale. Durante la guerra di liberazione comandò il gruppo di combattimento Friuli. Da generale di corpo d'armala comandò il comando militare territoriale di Bari. 103 Gruppi di combattimento. Op. cit., allegato n ° 31. 104 Ibidem, pg. 168, pgg. 170-1 71. Il gruppo - schierato ne l settore corrispondente alla sommità di un saliente tedesco - ebbe inizialmente d avanti a sé reparti della 7 15° divisione di fanteria e della 90a divisione panzergrenadiere. Nella prima decade d i mano andò in linea, di fronte a l gruppo Friuli, la 4a divis ione tedesca paracadutisti, composta di e lemen ti arditi e specializzati nei colpi di mano. Tale divisione fu d efinita dal generale Alexander la migliore divisione dell'esercito tedesco. Nell'azione di forzamento de l Senio il gruppo Friuli u rtò contro 2 battaglioni dell' 11 ° paracadutisti della 4 • divisione schierati ciascuno con 2 compagnie avanzate ed f di rincalzo.
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Il terreno d'azione su cui fu chiamato ad agire il Friuli era compreso tra il Lamone ed il Senio e più particolarmente tra il Sintria ed il Senio, mentre il nemico era schierato a difesa, più a nord, tra il Senio ed il Santerno. Il terreno di azione era costituito dalle ultime propaggini del contrafforte che, separando le acque del Senio da quelle de l Lamone, si stacca dalla cresta appenninica e termina sul piano interposto fra i due fiumi, a breve distanza dalla via Emilia. Il contrafforte si divide in due rami, separati dalla profonda valle del Sintria, che va a gettarsi nel Senio poco a valle di Riolo. Il ramo di sinistra, fra il Sintria ed il Senio, si mantiene e levato sino all'altezza del vallone di Pagnano, dopo di che la cresta si fa tondeggiante, scoperta, praticabile. Poco a nord del monte della Volpe, un sollevamento roccioso, che dal Senio si spinge sino al Sintria, attraversa in direzione normale il contrafforte, costituendo una specie di barriera elevata. Verso Riolo, il terreno è r ipido, franoso, poco praticabile, ha poche comunicazioni e mantiene tali caratteristiche sin quasi al piano di Limisano, dove si presenta leggermente ondulato. Fra il Senio ed il Santemo il terreno è vario e accidentato, ricco di buone posizioni tattiche. In corrispondenza di Rivoli-Riolo il terreno si presenta ad anfiteatro, con la parte più alta rappresentata dalla dorsale che ad ovest si diparte da Vena del Gesso. L'anfiteatro è solcato da numerosi rivi. A nord della linea di cresta della dorsale principale vi sono piccole dorsali secondarie degradanti verso la valle del Santemo. In corrispondenza di Riulo-Cuffiano il terreno sale dolcemente e poi si alza di colpo sulle pendici del monte Scastello e del monte Ghebio per poi degradare a nord sul monte Grerzola e sul colle Pineta. A monte ·del Ghebbio il terreno è mosso da calanchi orientati nel senso dei paralle li. Il Senio in estate ha pochissima acqua, mentre il Santemo ha acque perenni, scarse però in estate. La viabilità del settore di azione è limitata: due rotabili uniscono la valle del Lamune con que lla del Sintria; due rotabili uniscono la valle del Scnio con Imola; una sola rotabile percorre la valle del Sintria. Le mulattiere si prestano all'utilizzazione. Nell'insieme, tenendo contro della stagione ancora invernale, la zona si presentò al Friuli molto difficoltosa. Sulla s inistra, soprattutto, il terreno, rotto da calanchi fangosi e franosi e attraversato da borri profondi, rese assai faticosi i movimenti e i disagi e le fatiche vennero aumentati dalle quinte montuose che si distaccano dalla catena del monte Mauro (516 m) e dal monte della Volpe (497 m) in senso parallelo a quello della linea del fronte. I tedeschi godevano di un terreno che bene si prestava alla difesa. Il limitato sviluppo altimetrico delle alture, tutte in mano ai tedeschi, non deve ingannare: i monti erano colline, ma offrivano ai tedeschi ottimi appigli tattici. La zona per la costituzione della testa di ponte al di là del Senio favoriva l'operazione (settore di riva destra fra Riolo e Cuffiano). 105 Ibidem, pgg. 175 e 176. 106 Ibidem, allegati n° 33 e 34. 107 Ibidem, pg. 191. Nella giornata del 1O aprile il solo 35° reggimento a rtiglieria sparò complessivamente 11 700 colpi da 87 mm e poco meno di 1000 colpi da 40 mm in appoggio, prevalentemente, delle fanterie attaccanti. 108 Ibidem, allegato n° 38. 109 Ibidem, pgg. 196 e 197 e allegato n° 39. 110 Ibidem, pgg. 199-200 e allegato n° 40,. lll Ibidem, pg. 202. 112 Ibidem, pgg. 206-207 e allegato n° 42. 113 Ibidem, pg. 210 e allegato n° 43. 114 Ibidem, pg. 213.
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Ibidem, allegato n ° 44. Ibidem, pg. 221, allegalo n ° 46. 117 Ibidem, pg. 222, allegato n° 47. 118 Ibidem, pgg. 224-225. 11 9 John Ledlie Inglis Hawkeswarth (1893-1945) generale inglese. Partecipò alla 1a guerra mondiale dal 1914 al 1916. Nel 1940 era capo del reparto di addestramento militare presso il minis tero de lla guerra. Da generale di divisione comandò la 4a (1942-1943) e la 46" (1943-1944). Dal 1944 fino alla morte comandò il X corpo dell'8 3 armata britannica. 120 Ibidem. 12 1 Ibidem, pg. 198. 122 Ibidem, pgg. 238-240 e allegato n ° 48. Il gruppo di combattimento Folgore venne costituito su: coma ndo (con due sezioni carabinieri e I nucleo inglese d i collegamento); reggimento paracadutisti Nembo s u: 1 compagnia comando di reggimento, 3 battaglioni, 1 compagnia mortai da 76, I compagnia cannoni da 57. li reggimento fu formato con la fusione e con il concorso dei due reggimenti - 183° e 184° - del CLXXXIV battaglione guastatori, della 184" compagni a mortai , della 184• compagnia motociclisti e della 184a compagn ia complementi: uni tà già appartenen t i alla divisione Nem bo; reggimento marina S. Marco, anche ques to su: 1 compagnia com ando reggimentale, 3 battaglioni (Grado, Ba/ile, Cuurle), compagnia mortai da 76 e 1 compagnia cannoni da 57 (il Grado ed il Bafile già esis tenti ; il Caorle costituito «cx novo»); reggimento di artiglieria Folgore su 4 g ruppi da 87, 1 gruppo controcarri da 76, 1 gruppo contraerei da 40 (ciascun gruppo su 2 batterie); battaglione misto del genio, su 2 compagnie a rtieri e I compag nia teleradio; servizi (sanitario: sezione sanità e 2 o spedali da campo); compagnia t raspor ti e rifornimenti; deposito mobile materiali a rtiglieria e genio; offici ne m eccaniche. 123 Vds. capitoli XLI e XLJI. 124 Giorgio Morigi (1889-1972) generale di divisione. Sottotenente di cavalleria dal 1913, partecipò alla 1 • guerra mondiale con il 23° ed il 30° reggimento artiglieria da campagna e , successivamente, nel corpo degli aviatori quale ufficiale osservatore. Combatté in Francia d al dicembre 1917 fino a lla fine de lla guerra. In tempo successivo, prestò servizio nel «Genova Cavalleria » e nei «Lancieri di Novara ». Fu in Tripolitania d a l 1925 al 1926 e vi ritornò d a l 1928 al 1929 anno in cui tornò a prestare servizio ne l reggimento «Cavalleggeri Firenze». Prestò poi servizio in Africa Orientale. Prese parte a lla campagna di Grecia comandando il reggimento «Lancieri di Milano •. Comandante d el centro paracadutisti, assunse poi il vice comando de lla divisione «Nembo». Durante la guerra di liberazione assunse la funzione di com andante del gruppo di combattimento «Fo lgore•. Lasciò il servizio nel 1947. 125 I gruppi di combattimento. Op. cit., pgg. 245-248 e allegato n ° 49. 126 Ibidem, pg. 248. 121 Ibidem, pg. 250. 1 28 Ibidem, pg. 250, pgg. 253-254, pg 365. Il gruppo di combattimento Folgore era fro nteggiato da circa 6 battaglioni della 334• divisione tedesca, considerata una delle migliori tra quelle d islocate sulla fronte italiana. La 334• era collegata ad est con la 278• e ad ovest con la 1 a pa racadutisti. Alla fine di m a rzo il settore fu rilevato, per breve tempo, dalla 278 3 divisione, la qua le , però, fu ben presto ritirata e sostituita dalla l a paracadutisti. La 334• divis ione di fanteria tedesca comprendeva: I battaglione fucili eri su 4 squa droni della forza di 60-70 uomini ciascuno; 3 reggimenti di fanteria, formati ognuno da I compagnia cannon i. .1 compagnia 116
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controcarri, 2 battaglioni (su 3 compagnie fucilieri e I compagnia armi di accompagnamento), 1 reggimento di artiglieria (3 gruppi da 105 e 1 da 150), 1 battaglione controcarri (1 compagnia da 75, I compagnia semoventi da 75, 1 compagnia mitragliere da 20), 1 battaglione genio, I battaglione complementi, servizi. For.ta delle compagnie: 80 uomini circa. Organici ridotti, sebbene gli effettivi della 334• fossero in misura superiore a quelli delle altre divisioni di fanteria. Buoni l'armamento e lo spirito combattivo delle truppe. Il terreno del settore del Folgore aveva una plastica tormentata e costituita dalle ultime propaggini appenniniche degradanti verso il piano fra il Senio ed il Sillaro. Solcato da corsi d'acqua a regime torrentizio, presenta nell'insieme zone aspre e difficoltose al movimento. L'altimetria è modesta, ma la natura argillosa del terreno presenta le asperità caratteristiche dei terreni ad altimetria maggiore. Nel settore vi è come uno sbarramento , giacché il contrafforte fra Santemo e Senio, all'altezza di Tossignano, è come sbarrato da un alto gradino roccioso, detto Vena del Gesso, che si propaga al di là delle valli laterali del Sanlerno e del Senio, rompendo la praticabilità delle creste e dei versanti in senso longitudinale. A sud il terreno è rotto da frane a lte e frequenti che si possono attraversare solo per lo s tretto sentiero di cresta; a nord si presenta con speroni meno disagevoli, terminando verso il Santerno con un ciglione alto 12-18 m. Nella zona della valle Salluslra gli speroni sono a dorsale molto s tretta, con fianchi profondamente incisi da calanchi non percorribili, i quali da una parte ostacolavano l'avanzata del Folgore e dall'altra davano buon gioco alla difesa nemica. Le scarse comunicazioni risentivano delle condizioni stagionali. Infine sotto il punto di vista tattico, le posizioni nemiche erano dominanti; quelle del Folgore dominate. In sintesi: facile ed agevole la difesa tedesca, ardua e difficoltosa per il Fulgore sia l'azione offensiva che quella difensiva. Dopo lo spostamento per la sostituzione della 10" divisione indiana nel settore monte del Vero-Spinelo, il Folgore si trovò di fronte, schierate lungo il costone Figna di Sotto e Figna di Sopra - Parrocchia di Monte Maggiore - Camaggio - Scansola - q. 205 - C. Ortica - q. 236 - Monte Merlo - C. Tromba - C. Nuova - C. il Sillaro, unità della 278a divisione di fanteria - costituita in modo analogo alla 334• - e della 1 a paracadutisti. La I a divisione paracadutisti comprendeva: 1 compagnia esplorante (circa 200 uomini), 3 reggimenti paracadutisti (ciascuno su I compagnia mortai, 1 compagnia controccarri, 2 battaglioni paracadutisti su 3 compagnie fucilieri e I compagnia armi di accompagnamento), I reggimento di artiglieria (2 gruppi da 105 e I gruppo armato variamente), 1 battaglione mortai da 120, 1 battaglione controcarri da 75, I gruppo contraerei con 1 batteria da 88 e 2 d a 20, 1 battaglione genio, I battaglione collegamenti, servizi. Forza delle compagnie: 100 uomini circa. 129 Ibidem, pg. 257. 130 ibidem, pgg. 258-261. 13 1 Ibidem, allegato n° SO. 132 Ibidem, allegato n° 51. 133 Ibidem, allegato n° 52. 134 Ibidem, pgg. 271-272. 135 Ibidem, pg. 297 e allegato n° 54. 136 Ibide m, pgg. 282-283 e allegati n° 56. 137 Ibidem, allegato n° 57. 138 Ibidem, allegalo n° 58. 139 Ibidem, pg. 290 e allegato n ° 59.
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Ibidem, pgg. 292-294 e allegato n° 60. Ibidem, pg. 277, pg, 285, pgg, 302-303. I ripetuti riconoscimenti ed elogi vennero da parte dei comandanti del XIII corpo di armata britannico (generale sir John Harding), del X corpo d'armata britannico (generale sir Hawkesworth), del comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo (generale Alexander) e da altri generali e ufficiali superiori tra i quali il brigadiere generale Green, comandante dell'artiglieria britannica H.Q.R.A. e il colonnello Brooks capo del 53° B.L.U. 142 Ibidem, pgg. 304-306. 143 Ibidem, pgg. 306-311. 144 Ibidem, pgg. 322-323. Il gruppo di combattimento Legnano venne costituito su: comando (con 2 sezioni di carabinieri e 1 nucleo inglese di collegamento); 68° reggimento fanteria su 1 compagnia comando reggimentale, 3 battaglioni (di cui 2 di fanteria denominati Palermo, Novara e un battaglione Co/ Moschin già IX baltaglione d'assalto), 1 compagnia mortai da 76 e I compagnia cannoni da 57. Le unità furono formate con la fusione ed il concorso del 68° fanteria, del IX reparto d 'assalto e del V battaglione da 47/32 già appartenenti al C./.L.; reggimento di fanteria speciale su: 1 compagnia comando reggimentale, 3 battaglioni (di c ui 2 alpini - Piemonte e Abruzzi - e 1 bersaglie1·i - Goilo), 1 compagnia mortai da 76 e I compagnia cannoni da 57. Le unità furono formate con la fusione ed il concorso del 3° reggimento alpini, del 4° n::ggimeulu bersaglieri e del V battaglione da 47/32 già appartenenti al C.T.T,. F.x novo vennero costituiti il battaglione Abruzzi e la compagnia mortai da 76; 1' 11 ° reggimento artiglieria su: 4 gruppi da 87, I gruppo controcarri da 76 e 1 gruppo contraerei da 40, tutti i gruppi su 2 batterie; LI battaglione misto del genio su 2 compagnie artieri e I compagnia teleradio: servizi (sezione di sanità, 2 ospedali da campo, compagnia trasporti e rifornimenti, deposito mobile materiali artiglieria e genio, officine meccaniche). Successivamente, fuomo costituiti: il 2 novembre 1944, un ufficio automobilistico; il 5 dicembre una sezione assistenza e propaganda; il 25 novembre il battaglione alpini Abruzzi assunse il nominativo di battaglione alpini L'Aquila, mentre il 1 dicembre la 250• compagnia trasporti e rifornimenti prese il nominativo di 250° r e parto trasporti e rifornimento e il 19 dicembre il deposito mobile quello di pa rco mobile di artiglieria, genio e auto. 145 Vds. capitoli XLI e XLll. 146 / gruppi di combattimento. Op. cit. pgg. 327. 147 I gruppi di combattimento Op. cii., allegati n ° 65 e 66. 148 Ibidem, pg. 333 p gg. 336-338, Di fronte al gruppo Legnanu era schierata la 305 3 divisione di fanteria tedesca, inquadrata fra la 65 3 divisione di fanteria ad ovest, la I• divisione paracadutisti ad est. La 305" divisione aveva i suoi tre reggimenti - 578° 576° e 577° - schierali rispettivamente da ovest ad est . Vi er a inoltre il CCCV battaglione fucili eri nella zona di Croara. A nord del para llelo 34 era schierata l'artiglieria, la quale nel settor e del Legnano risultava di 34 pezzi (17 leggeri, 4 m edi, 1 pesante, 6 contraere i e 6 semoventi). Facevano pure parte della divisione il CCCV battaglione del genio, il CCCV battaglione controcarri, il CCCV battaglione collegamenti ed il CCCV battaglione complementi. Il settore d'azione del g ruppo comprendeva la zona a cavallo dell'Idice, le dorsali tra ldice e Zena e tra Zena e Quadema . Il confrafforte tra Idice e Zena si s tacca, sul versante settentrionale dell'Appennino, fra Loiano e Monghidoro, correndo poi fino al monte delle Formiche. Da qui, abbassatasi ripidamente, la dorsale corre fino all'altezza di Gorgognano senza grandi variazioni di altitudine e con versanti ripidi s ia verso il Zena che verso l'Tdicc. Dopo una depressione 141
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all'altezza del monte Armato, la cresta si solleva di nuovo e corre orizzontalmente e pianeggiante fino a Ronzano. Il contrafforte muore con dolci falde nella pianura. Nell'ultimo tronco i versanti sono più dolci. L'altro contrafforte, quello fra l'Idice e il Sillaro, si stacca dai tre Poggioli con versanti da entrambe le parti ripidi e spogli. A Monterzio esso presenta come una strozzatura e, prima della testata del Quaderna, s i scinde in due rami che formano la valle Quaderna. Il ramo di sinistra si solleva di alquanto verso il monte Armato con versanti rotti, poi si abbassa fino all'altezza di Cignano dove s i risolve in piccoli speroni dolcemente inclinati verso la pianura, abitati e coltivati. Il ramo di destra si solleva fino al monte Calderano (600 m circa), offre in sommità un piccolo ripiano su cui sorge la chiesa omonima e quindi si risolve in propaggini coltivate, dolcemente inclinate verso il piano, praticabili. Il terreno d'azione è solcato al centro dall'Idice, la cui valle è aperta, con letto largo e bacino a mpio. L'alveo, ciottoloso e percorribile in estate fino sotto Campeggio, occupa quasi tutto il fondo della valle dalle origini fin sotto Casola Canina, dove esso lambisce il piede del versante sinistro e lascia fra il le tto ed il pied e del versante destro una striscia di pianura, che va sempre più allargandosi verso lo sbocco in piano. I ver santi alti, frastagliati, però sempre percorribili fin sotto il monte Armato, si fanno più bassi e più dolci a valle del monte. L'Idice abbond a di acqua ed è impetuoso d 'inverno. Minore importanza h anno lo Zena e il Quaderno. La zona è servita dalle due rotabili della valle Zena e ddla valle Idice, nonché da mulattiere (una in cresta sul contrafforte tra la Zena e l'Idice). In complesso il terreno, pur avendo uno scarso sviluppo altimetrico a carattere collinoso, presenta le caratteristiche morfologiche della montagna: d eclivi ripidi, incisione profonda d elle valli e dei calanchi, creste assottigliate, prese nza di intrusi topografici in roccia a pareti verticali. li nemico, organizzato a difesa sulla linea Poggio Scampo - monte Armato, dominava Lutto attorno ed era in grado di respingere le azioni di attacco a cavallo dell'ldice. Più a nord poteva organizzarsi sulle alture d i Ciagnanu - Casola Canina monte Grandizzo a sba rramento delle penetrazioni a cavallo dell'Idice e dello Zena. Dall 'altra parte, le posizioni del costone di q. 622-q. 459 costituivano, rispetto al monte Grande, tenuto sulla destra dalla truppe indiane, com e delle quinte fianche gg ianti di sicurezza e, come tali, elmenli lattici fondamentali del settore affidato a l Legnano, tanto più impo rta nte in quanto coincidente con il tratto di sutura tra la 5a e 1'8 8 armata a lleata. 149 Ibidem, allegato n ° 69. 150 Ibidem, pg. 343 e allegato n° 70. 15 1 Ibide m, a llegati n° 72 e 73. 152 Ibidem, pgg. 346-353 e allegati n ° 74 e 75. 153 Ibidem, pgg. 355-356 e allegato n ° 76. 154 Ibidem, pgg. 358-361. 155 Ibidem , allegali n° 77. 156 Ibidem, allegato n° 81. 157 Ibidem , pg. 347, pg. 364, pg. 367. Riconoscimen ti ed elogi particolari furono espressi d al com a ndante del II corpo d 'armata americano (generale Keycs) e d a l comandante del XV gruppo di armate (generale Clark). 158 Il gruppo d i combattimento Mantova fu costituito su: comando (con 2 sezioni m iste di carabinieri e l nucleo inglese di collegamento); 76° reggimento fanteria su I compagnia comando reggimentale, 3 battaglioni, I compagnia mortai da 76 e 1 compagnia controcarri da 57; 114° reggimento fanteria: stessa costituzione del 76°; 1S.'i 0 r eggimen to a rtig lieria: stessa costituzione del reggimento artiglieria
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Folgore (Vds. precendente nota n° 70); CIV battaglione misto del genio su 2 compagnie artieri e l compagnia teleradio; servizi (sezione sanità e 2 ospedali da campo, compagnia trasporti e rifornimenti, deposito mobile artiglieria e genio, officine meccaniche). Successivamente vennero istituiti l'ufficio automobilistico e la sezione assistenza e propaganda. A comandare il gruppo Mantova rimase il generale Guido Bologna, che aveva comandanto sino allora la divisione. 159 I gruppi di combattimento. Op. cit., pgg. 386-387. Il gruppo di combattimento Piceno fu costituito come il gruppo Mantova. Reggimenti di fanteria: 235 e 236; reggimento di artiglieria: 152°; battaglione genio: CLII. Comandante del gruppo: generale Emanuele Berardo di Pralorno. Quando il gruppo di combattimento tornò ad essere la divisione Piceno: il 235° fu trasformato in reggimento raccolta e smistamento complementi; il 336° in reggimento complementi di fanteria; il 152° artiglieria in reggimento complementi misti e scuola di artiglieria; il CLII battaglione genio in battaglione complementi e scuola del genio.
CAPITOLO
XLV
GLI ULTIMI DUE ANNI DI GUERRA NEGLI ALTRI TEATRI OPERATIVI
1. Gli avvenimenti politici e diplomatici. 2. La sconfitta tedesca nella battaglia dell'Atlantico. 3 L'offensiva strategica aerea degli alleati in Europa. 4. Le operazioni in Russia: la controffensiva sovietica dell'estate, l'offensiva autunnale del 1943, la «campagna del fango» dell'inverno-primavera 1944, l'offensiva sovietica dell'estate-autunno dello stesso anno e la liberazione dell'Unione Sovietica. 5. L'«Overlor<l» e la liberazione della Francia. 6. La contro ffensiva tedesca delle Ardenne. 7. La guerra nel Pacifico. 8. L 'epilogo della guerra nell'Europa occidentale. 9. L'epilogo della guerra nell'Europa orientale e nei Balcani. 10. L 'epilogo della guerra nell'Estremo Oriente.
1.
Elencare, sia pure solo per memoria, gli avvenimenti politici e militari degli ultimi due anni di guerra (settembre 19_43 - settembre 1945) nei vari teatri operativi è impresa quanto mai difficoltosa, stanti la loro molteplicità, complessità, vastità e portata, nonché le loro interconnessioni. Il doverlo fare, senza omettere di ricordare quanto meno le principali novità dottrinali e ordinative derivate dall'esperienza dei primi quattro anni di guerra e dall'appa rizione sul campo di battaglia di altre armi e di altri mezzi tecnici che trovarono la loro applicazione negli ultimi due anni, è una operazione ancora più ardua, quasi impossibile, senza incorrere in lacune, esemplicazioni e schematizzazioni che potrebbero essere addirittura fuorvianti. Può sembrare che siamo già andati fuori tema con l'intrattenerci a lungo sulle operazioni militari del teatro operativo del Mediterraneo e che, allargando la digressione, continuiamo a perdere di vista l'oggetto principale del nostro discorso che è la narrazione della storia della dottrina e degli ordinamenti dell'eserc ito italiano. Siamo del tutto consapevoli di aver potuto offrire tale impression e e di continuare a farlo a maggior ragione in questo
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capitolo, nel quale trattiamo le esperienze altrui, ma siamo altrettanto convinti che tornare al nostro argomento senza ricordare quanto avvenne altrove, ancorché al di fuori della presenza italiana, non consentirebbe di valutare in tutti i suoi aspetti il lavoro di sintesi dottrinale, ordinativa e organizzativa compiuto nel dopoguerra dallo stato maggiore dell'esercito italiano. Fu infatti negli ultimi due anni, e proprio negli scacchieri operativi diversi da quello del Mediterraneo, che la seconda guerra mondiale: da una parte, confermò la linea evolutiva generale della strategia, della tattica, della logistica, dell'ordinamento e dell'organizzazione delle forze armate messa in luce nei quattro anni precedenti; dall'altra, mutò, ora esaltandola ora diminuendola, l'importanza di taluni fattori correlativi e la scala delle loro priorità, introdusse elementi del tutto nuovi circa l'impiego delle forze, accentuò il carattere di fenomeno totale e globale della guerra stessa, peraltro gradualmente manifestalo fin dal primo conflitto mondiale, trasfigurò i lineamenti della sua fisionomia tradizionale. La guerra divenne più cattiva e crudele non solo al di là di ogni remora etica, ma dalla stessa convenienza politica, strategica e tecnico-militare. Ciò a prescindere dall'impiego dell'arma atomica che rivoluzionerà non solo l'arte e la scienza militare, la strategia, la politica, il modo d'intendere la pace e la guerra, ma il corso della storia del genere umano, del quale metterà in forse la possibilità di sopravvivenza come consorzio sociale organizzato. Entro i limiti del circoscritto intendimento appena enunciato - del cui perseguimento dubitiamo noi stessi - proviamo in primo luogo a tracciare l'abbozzo dei fatti politici e diplomatici che più incisero sugli sviluppi delle grandi operazioni degli ultimi due anni di guerra. Nell'ambito delle potenze occidentali, le linee fondamentali della strategia politica e militare furono il risultato dei compromessi - spesso confusi e insoddisfacenti - raggiunti al livello dei vertici nelle conferenze, nelle riunioni e negli incontri che fecero seguito alla conferenza di Casablanca del 14-25 gennaio 1943 1 ed a quella di Algeri del successivo 2 febbraio tra Churchill, i generali Eisenhower 2, De Gaulle 3 e Giraud 4. Dalla primavera del 1943 a tutto il 1945 le conferenze e gli incontri tra i capi politici e militari degli Stati Uniti e del Regno Unito - riunioni spesso allargate ai vertici ed ai rappresentanti delle altre potenze occidentali ed a quelli della Cina - ebbero le loro sedi a Washington s, Quebec 6, il Cairo 7 ed altrove 8, mentre i rapporti tra gli Stati Uniti e il Regno Unito da una parte e l'Unione Sovietica dall'altra ven-
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nero regolati, oltre che attraverso i normali canali diplomatici, mediante le visite effettuate dal premier inglese e dal rappresentante personale del presidente degli Stati Uniti a Stalin 9 e mediante i convegni bilaterali e trilaterali al livello dei ministri degli affari esteri IO. La prima volta nella quale s'incontrarono congiuntamente Roosevelt, Stalin e Churchill fu a Teheran il 28 novembre del 1943. La conferenza di Teheran, durata fino al 1 dicembre, dette modo ai tre di intendersi sui piani per il futuro della Germania e per l'organizzazione delle Nazioni Unite e di coordinare le operazioni per distruggere le forze armate tedesche. Stalin ottenne che gli alleati occidentali non avrebbero stipulato separatamente la pace con la Germania e, con l'appoggio di Roosevelt, fece prevalere la tesi che la nuova fronte sul continente europeo avrebbe dovuto essere aperta in Francia, in concomitanza con una grande offensiva sovietica, piuttosto che nei Balcani secondo la tendenza di Churchill. Appena poco più di un anno dopo, i tre tornarono a riunirsi a Jalta tra il 4 e l'll febbraio ùel 1945 e qui vennero discussi i grandi problemi relativi all'immediato dopoguerra, quali quello dell'organizzazione delle Nazioni Unite che, a grandi linee, era stato tracciato nella conferenza di Dumbarton Oaks nell'ottobre del 1944 ed in quella di Teheran del novembre-dicembre, e quello dell'occupazione e della spartizione della Germania. A questo ultimo riguardo fu deciso che dalle zone di occupazione americana e inglese sarebbe stata ricavato un territorio da assegnare alla Francia, che avrebbe fatto parte della commissione di controllo interalleata con diritto di voto. Come frontiera orientale della Polonia venne fissata la cosiddetta linea Curzon I I e venne stabilito che il governo polacco installato a Lublino d ai sovietici sarebbe stato a llargato con l'immissione di rappresentanti del governo polacco in esilio a Londra. Come principio generale venne concordato che nei paesi dell'Europa orientale, liberati dai tedeschi o dai governi fantocci da questi imposti, si sarebbero svolte libere elezioni in modo da assicurare il ritorno della democrazia. L'U.R.S.S. comunicò che, dopo la capitolazione della Germania, avrebbe attaccato il Giappone purché le venissero assegnate le isole Curili, l'intera isola di Sakhalin ed una posizione di predominio in Manciuria. Successivamente i vertici delle tre grandi potenze s'incontrarono nuovame nte a Potsdam dal 17 luglio al 2 agosto 1945, con un'interruzione tra il 25 e il 29 luglio per le e lezioni inglesi che vennero vinte dal Labour party e che portarono alla sostituzione nella carica di premier del leader del partito conservatore, Churchill, con quello del partito
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laburista, Clement Richard Attlee. Alla conferenza di Potsdam parteciparono: per gli Stati Uniti, il presidente Harry Truman, subentrato a Roosevelt deceduto il 12 aprile di quell'anno, ed il segretario di Stato James Francis Byrnes; per l'Unione Sovietica, Stalin ed il ministro degli affari esteri Vjaceslav Michailovic Molotov; per il Regno Unito, in un primo tempo Churchill ed il ministro degli affari esteri sir Antony Eden, poi Attlee ed il nuovo ministro degli esteri Ernest Bevin. Le conversazioni misero in chiara luce le divergenze di vedute, che erano contrasti d ' interesse, sempre esistite come sottofondo durante tutto il corso delle guerra tra gli Stati Uniti ed il Regno Unito da una parte e l'Unione Sovietica dall'altra. Si cercò di fare fronte alle varie inconciliabilità devolvendone il componimento ad un consiglio dei ministri degli esteri dei cinque grandi (le tre potenze partecipanti alla conferenza, più la Francia e la Cina) che avrebbe dovuto definire nel futuro le decisioni lasciate in sospeso. Vennero comunque stabilite le modalità per la conclusione della guerra contro il Giappone alla quale anche l'Unione Sovietica avrebbe partecipato, la ripartizione delle riparazioni di guerra, il perseguimento giudiziario dei crimini di guerra. La linea di confine tra la Germania e la Polonia venne spostata all'Oder-Neisse in attesa di un trattato di pace; venne deciso che la Germania, nonos tante la suddivisione in distinte zone di occupazione, sarebbe stata amministrata con criteri e obiettivi comuni di democratizzazione; venne concordato che alla redazione dei trattati di pace con l 'Italia, l'Ungheria, la Romania, la Bulgaria e la Finlandia sarebbero stati ammessi solo gli Stati firmatari della resa e perciò non la Cina e la Francia, alla quale ultima venne pe rò riconosciuto il diritto di partecipazione alla elaborazione del trattato di pace con l'Italia. Alcune delle deliberazioni di quelle conferenze e riunioni furono talmente prive di lungimiranza, di buon senso politico, strategico e tecnico-militare, di fondamento storico e giuridico, oltre che etico, che dopo circa quarant'anni gli Stati Uniti, il Regno Unito e l'Europa occidentale in genere ne soffrono ancora le conseguenze. Soffermarvisi significherebbe d avvero u scire dai binari del discorso intrapreso, ma dopo averne sottolineato le più assurde sottintesi circa le zone d 'influenza, rottura delJa unità spirituale e politica della Germania, mandato ai vincitori di giudicare penalmente i vinti, ecc. - non possiamo sorvolare su quella che servì solo a prolungare inutilmente di molti mesi la durata della guerra.
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La decisione della richiesta della resa incondizionata alla Germania ed al Giappone fu uno dei più gravi errori di Roosevelt e di Churchill. I tedeschi e i giapponesi ne trassero motivo per moltiplicare le loro energie morali e materiali. In Germania servì a dare maggiore sostanza e validità al dilemma di Goebbels vittoria o bolscevizzazione, e la bolscevizzazione non terrorizzava soltanto i detentori del potere e le categorie privilegiate. L'intendimento di non consegnarsi alla mercé dei vincitori, tra i quali per i tedeschi vi erano anche i sovietici, non era solo di Hitler. Per evitare l' avvento del comunismo occorreva, dunque, continuare la lotta tanto più che il Fuerher prometteva armi segrete, metteva in linea aerei, sommergibili e carri armati di nuovo tipo e di prestazioni operative eccellenti e, malgrado l'offesa aerea, riusciva ad aumentare la produzione industriale. Arrendersi senza condizioni avrebbe potuto, tra l'altro, provocare il libero sfogo all'odio ed alla vendetta dei paesi invasi ed assoggettati, di cui milioni di cittadini si trovavano all' interno del Reich come lavoratori, prigionieri, internati. La difesa di Berlino, protratta di casa in casa, dai veterani della Wehrmacht, dai giovanissimi della Hitlerjungend e dai giovani e vecchi della Volkssturm può apparire paradossale, ma fu un fatto reale di fronte all'armata rossa già arrivata a Bernau, Straussberg, Filrstenwald, Koenigswilsterrhausen, Beelitz e Jassen. Attribuirlo solamente all'inflessibile determinazione di Hitler e non anche - anzi, in primo luogo - a quella non meno rigida di Rooselvet e di Churchill è un po' confondere l'effetto con la causa. Una minore intransigenza ed una maggiore ragionevolezza circa la futura sorte non bolscevica del pqpolo tedesco sarebbero bastate a spingere i tedeschi, primi fra tutti i piu alti comandanti militari, ad arrendersi in massa, e perciò a provocare il rapido crollo del fronte e, con questo, del regime nazista, cosicché Hitler non avrebbe avuto più alcuna possibilità di persistere nella lotta 12. L'attentato del 20 luglio 1944 a Rastenburg, dal quale Hitler uscì quasi illeso, rese manifesta la disponibilità di molti generali importanti 13 a porre fine alla guerra. Il complotto prevedeva: di sbarazzare dalla scena di un solo colpo Hitler ed Himmler, di far assumere a Berlino il potere dai militari arrestando i capi nazisti più in vista ed i ministri in carica e schiacciando la scontata reazione delle SS, di iniziare immediate negoziazioni con gli alleati. L'attentato fu il segnale lampante della falla profonda che si era aperta da tempo tra Hitler ed una parte notevole dei suoi generali. Gli alleati utilizzarono l'episodio ai fini della propaganda, ma restarono fermi
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nella richiesta della resa incondizionata. Hitler fece fucilare od impiccare oppure costrinse al suicidio 4980 congiurati o presunti tali; umiliò la Wehrmacht nominando Himmler, ministro degli affari interni e comandante supremo delle SS, anche comandante in capo dell'esercito interno, sostituendo i generali tiepidi con nazisti fanatici, introducendo nella Wehrmacht il saluto nazista al posto di quello militare tradizionale; incaricò Goebbels di realizzare la mobilizzazione totale in tutta la Germania e negli Stati occupati; lasciò mano libera alle SS ed alla polizia politica segreta perché stringessero ulteriorm~nte il cerchio attorno a tutti i settori della vita nazionale. · Anche in Giappone il nodo gordiano della resa incondizionata impedì il raggiungimento della fine delle ostilità con l' anticipo di parecchi mesi. Voci fondate di una disponibilità dell'imperatore Hirohito a trattare erano giunte negli Stati Uniti fin da prima de l Natale del 1944. Dopo lo sbarco dei soldati statunitensi a Okinawa (l aprile 1945) e la nota diplomatica sovietica (5 aprile 1945) che annunciava la decandenza del patto di neutralità sovietico-nipponico stipulato nell'aprile del 1941, l'imperatore, quasi per rendere chiaramente manifesta la sua disponibilità alla pace, dette la direzione di un nuovo governo all'ammiraglio Suzuki, noto per le sue tendenze pacifiste che lo avevano reso inviso ai militaristi accesi, tanto che nel 1936 gli avevano attentato la vita. Nel nuovo ministero i membri favorevoli alla pace erano in maggioranza, ma essi non sapevano come procedere perché la resa incondizionata sarebbe apparsa a tutto il paese come un tradimento fatto alle forze armate impegnate nei vari scacchieri e ancora disposte a battersi, le quali probabilmente non avrebbero obbedito all'ordine di cessare il fuoco qualora le condizioni poste fossero state troppo umilianti e avessero previsto anche la detronizzazione dell'imperatore, che per loro era il sovrano e al tempo stesso una divinità. Già dal febbraio, per iniziativa dello stesso imperatore Hirohito, erano stati effettuati approcci verso l'URSS, (dapprima attraverso l'ambasciatore russo a Tokio, poi attraverso l'ambasciatore giapponese a Mosca), per convincerla a svolgere, nella sua qualità di paese neutrale un'attività di mediazione fra il Giappone e gli Alleati occidentali. Ma i russi non avevano passato parola dei tentativi di sondaggio giapponesi 14. Solo alla fine di maggio Stalin, incontrando a Mosca Harry Hopkins, inviato personale del presidente Truman, accennò per la prima volta agli intendimenti del Giappone, suggerendo un'attenuazione dell'intransigenza circa la resa incondizionata, perché diversamen-
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te i giapponesi si sarebbero battuti ad oltranza, mentre invece un atteggiamento un poco più conciliante li avrebbe incoraggiati a cedere le armi, dopo di che gli alleati avrebbero potuto egualmente imporre la loro volontà e ottenere in sostanza gli stessi risultati 15_ A Tokio l'imperatore convocò il 20 giugno i sei membri del Consiglio Supremo per la direzione della guerra e li invitò ad esaminare la necessità di porre termine alla guerra il più presto possibile. Dei sei membri, tre si dichiararono disposti alla resa incondizionata (il primo ministro, il ministro degli esteri e quello della marina), tre sostennero la tesi di continuare la guerra finché non si fosse riusciti a strappare condizioni di resa meno pesanti (il ministro dell'esercito ed i capi di stato maggiore dell'esercito e della marina). Alla fine il Consiglio Supremo decise d'inviare a Mosca il principe Konoye, al quale l'imperatore segretamente dette istruzioni di ottenere la pace a qualsiasi costo. L'annuncio del desiderio di pace dell'imperatore e la richiesta del benestare per la missione Konoye formarono oggetto di un messaggio del ntinislro degli esleri nipponico, inlercellalo dal
servizio segreto statunitense, giunto a Mosca il 13 luglio, mentre il maresciallo Stalin era sul punto di partire per Potsdam. Dopo aver subito risposto che la proposta così com'era stata formulata mancava di chiarezza e non gli consentiva né di prendere iniziative né di accogliere la missione Konoye, Stalin partì per Potsdam dove non poté fare ameno di parlare della cosa con Truman e con Churchill, il quale ultimo suggerì al presidente americano di modificare un po' la richiesta della resa incondizionata. Due settimane dopo il primo messaggio, il governo giapponese si rivolse nuovamente a Stalin per meglio chiarire lo scopo della missione Konoye, ma il 25 luglio - 4 giorni prima - gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Cina avevano già inviato a Tokio un ultimatum con il quale erano stati intimati la evacuazione di tutti i territori occupati, il disarmo totale, l'inizio di un processo di democratizzazione guidato dalle autorità di occupazione, il passaggio del controllo di tutta l'economia nipponica alle potenze alleate. Il governo nipponico respinse l'ultimatum ma, con l'invio del secondo messaggio, fece intendere che sarebbe stato possibile trovare una via di uscita che gli avesse consentito di salvare la faccia. La verità è che il presidente Truman aveva già deciso dal giorno 18 luglio - cioè dal giorno successivo alla notizia dell'esito positivo del primo collaudo sperim e ntale della bomba atomica effettuato ad Alamogordo il 16 luglio - d'impiegare la nuova arma contro il Giappone, sia perché gli scienziati e altri
volevano fare questa prova in quanto alla realizzazione della bomba
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erano state devolute somme immense: due miliardi di dollari 16 , sia perché l'impiego della bomba avrebbe in pratica reso superfluo l'intervento dei sovietici, in quanto la fine della guerra giapponese non sarebbe dipeso più dall'immissione delle loro armate. Scrisse Churchill: «Noi avevamo bisogno di chiedere loro (ai sovietici) favori. Pochi giorni dopo dalla notizia dell'esito positivo del collaudo mandai a Eden questo promemoria: È chiarissimo che gli Stati Uniti non desiderano attualmente una partecipazione russa alla guerra contro il Giappone» 17. Non vi possono essere dubbi sul fatto che la guerra contro il Giappone avrebbe potuto finire prima che: il 6 agosto venisse sganciata la bomba atomica su Hiroshima; 1'8 agosto il ministro degli esteri sovietico Molotov notificasse all'ambasciatore nipponico a Mosca l'entrata in guerra dell'U.R.R.S. al fine di ridurre il numero delle vittime e facilitare un rapido ritorno alla pace universale; il 9 agosto tre armate sovietiche facessero il loro ingresso in Manciuria e lo stesso giorno venisse sganciata una bomba atomica su Nagasaki. Sarebbe bastato quanto meno che al più tardi nell'ultimatum di Potsdam del 26 luglio vi fosse stato un cenno al principio della salvaguardia della posizione sovrana dell'imperatore, una clausula che venne accettata una ventina di giorni dopo dal presidente Truman. Per arrivare a questo risultato gli alleati non avrebbero avuto alcun bisogno di impiegare la bomba atomica. Con i nove decimi del naviglio mercantile affondato o messo fuori uso, le forze aeree e navali paralizzate, le industrie distrutte e le scorte di viveri in rapida diminuzione, il Giappone era già condannato, come lo stesso Winston Churchill ammise 18. È vero che la richiesta di pace venne inoltrata dal Giappone soltanto il 10 agosto - c ioè dopo il lancio delle due bombe atomiche e l'ingresso delle forze sovietiche in Manciuria - ma lo è altrettanto che almeno fin dal mese di maggio (incontro Stalin-Hopkins) gli alleati, in particolare gli americani, sapevano della disponibilità giapponese alla pace. La formazione del governo Suzuki, la richiesta di aprire un discorso rivolta agli alleati nel febbraio tramite gli ambasciatori nipponico a Mosca e sovietico a Tokio, il messaggio del 14 luglio e la missione Kenoye, il successivo messaggio del 29 luglio furono fatti che avrebbero dovuto incoraggiare il presidente Truman a cercare un punto di convergenza, se la volontà di porre fine alla guerra e di risparmiare davvero centinaia di migliaia di vite umane avesse prevalso rispetto alle altre considerazioni, oltretutto errate sul piano degli interessi politico-strategico-militari degli stessi Stati Uniti. I due olocausti di Hiroshima e di Nagasaki non furono di alcun concreto aiuto nella guerra contro il
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Giappone 19, come ebbe a dichiarare l'ammiraglio William Leahy 20 che era s tato uno dei più ascoltati consiglieri del presidemte Roosevelt. Questa è la cosa più straordinaria della storia, avrebbe esclamato esultante Truman nell'apprendere la notizia dello scoppio atomico su Hiroshima, mentre via mare stava rientrando negli Stati Uniti da Potsdam 21 . Nulla si può obiettare circa la straordinarietà del fatto, ma non si può non restare interdetti davanti all'esultanza, anche perché non erano mancate negli Stati Uniti autorevoli voci di scienziati, di capi miliari e di consiglieri politici e militari che avevano espresso con vigore e con incontestabili valutazioni politiche e militari. oltreché etiche, quanto fosse sconsigliabile l'impiego della bomba atomica per un immediato attacco al Giappone. La richiesta della resa incondizionata, in luogo di provocare il crollo morale dei soldati e delle popolazioni, tedeschi e giapponesi, ne rinforzò lo spirito combattivo e di resistenza. In Germania la determinazione di Hitler di combattere fino all'ultimo uomo fu gatantita anche dagli apparati delle SS e della polizia segreta nazista, ma fattori decisivi furono altresì i valori ideali, le tradizioni nazionali, il ripudio del bolscevismo. le doti e le qualità peculiari del soldato germanico, i sentimenti del dovere, dell'onore, della disciplina e la ancora intatta fiducia dei soldati verso i loro ufficiali. Vi furono nella Wehrmacht defezioni di singoli e cedimenti di unità, ma la grandissima maggioranza delle unità e dei soldati, malgrado le deficienze organiche e delle dotazioni e l'inevitabile abbassamento del tono morale davanti alla constatata impotenza a prevalere sul nemico, continuarono a battersi fino all'ultimo. Lo stesso, e addirittura fino all'incredibile, accadde in Giappone, dove l'esercito, la marina e le rispettive aviazioni trassero la loro volontà di combattere dalla fede nelle convinzioni religiose e nazionali alle quali l'intero paese era stato educato da sempre. Da qui: i contrattacchi suicidi condotti nello spirito del Banzai; le resistenze durissime opposte nel Pacifico centrale ed in quello sud-orientale, in Birmania ed in Cina; gli attacchi dei kamikaze che si votavano volontariamente alla morte per distruggere una nave nemica gettandovisi contro con il proprio aereo carico di esplosivo e di carburante. Nella difesa dell'isola di Iwo Jima, dei 26 mila combattenti giapponesi, ben 25 mila caddero combattendo e solo un migliaio fu catturato vivo. Durante i tre mesi di combattimenti nella primavera del 1945 nell'isola di Okinawa, i giapponesi persero 111 000 uomini, dei quali solo un decimo arresosi nella fase del rastrellamento americano, mentre gli a ltri o morirono, o furono
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feriti, o si suicidarono, ufficiali e soldati, per non cadere prigionieri. Gli attacchi di kamikaze individuali furono più di 1500 e quasi altrettanti furono gli analoghi attacchi suicidi da parte di altri aerei. Comportamenti collettivi siffatti - che sembrano mitici non sono imitabili; probabilmente i giapponesi di oggi non li ripeterebbero. Ma se da una parte il fanatismo ideologico - sia questo di derivazione religiosa, o politica, o militaristica - benché controbilanciato in una qualunque misura da atti individuali o collettivi di eroismo, non si addica alla guerra, dall'altra ancora meno lo è proprio l'agnosticismo o l'indifferenza delle idee e dei sentimenti. Obsequiun vestrum rationabile sit, diceva San Paolo; l'aforisma è valido anche nella strategia e nella tattica. Non furono poche le operazioni nelle quali i giapponesi, più forti sul piano dell'abilità tattica e della tenacia combattiva, sprecarono il vantaggio a causa della loro cieca osservanza di una dissennata tradizione militare 22 e pagarono prezzi assai alti sullo stesso piano della tecnica di combattimento. Date per scontate tali considerazioni, resta il fatto che senza volontà di combattere e di resistere la guerra non è praticabile. Che cosa sarebbe stato dell'Inghilterra se avesse ceduto nella battaglia aerea dell'estate del 1940 e dell'Unione Sovietica se avesse fatto la stessa cosa nella battaglia di Mosca dell'inverno del 1941-42? Il morale di un esercito e di una nazione non s'improvvisa, come non si possono allestire all'ultimo momento gli altri mezzi bellici. Esso è il risultato di una formazione sociale e individuale di lunga data, basata sulla fede nella giustizia della causa, sulla convinzione del dovere da compiere, sulla fiducia in sé stessi, nei commilitoni, nei capi, nei mezzi che devono essere perciò idonei e adeguati, sull 'autocontrollo, sulla disciplina, sul senso della dignità umana, della responsabilità e dell'onore militare. Tali qualità e doti non fecero difetto a nessuna delle parti in conflitto; essi si resero più necessari e si manifestarono più evidenti dove e quando l'insufficienza numerica e qualitativa dei mezzi dové essere coperta, in una certa misura, da una maggiore solidità della preparazione professionale e spirituale.
2. Il capovolgimento delle sorti della battaglia dell'Atlantico si verificò, come accennato nel precedente capitolo XLI, nel periodo 7-24 maggio 1943, durante il quale i tedeschi persero 31 U-Boote ed
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il rapporto tra sommergibili perduti dall'Asse e tonnellate di naviglio alleate scese repentinamente, da 1 a 100 mila dei mesi precedenti, da 1 a 10 mila. L'ammiraglio Doenitz 23 - nominato comandante della Kriegsmarine in sostituzione dell'ammiraglio Raeder 24 - dispose l'interruzione della battaglia dopo averne esposto i motivi a Hitler: la travolgente reazione aerea alleata in connessione con l'impiego di nuove apparecchiature di rilevamento. Occorreva perciò aumentare la produzione degli U-Boote, costruire nuovi tipi con velocità d'immersione più elevata, estendere a più largo raggio la ricognizione aerea, garantire la copertura aerea alle rotte di transito, assicurare una maggiore e migliore cooperazione sommergibiJi-aerei alla quale il mareschiallo Goering 25 era stato sempre riluttante. Durante il periodo giugnoagosto 1943 - appunto quello dell'interruzione - gli U-Boote affodarono complessivamente in tutti i mari del globo, escluso il Mediterraneo, non più di 58 mercantili alleati, più della metà dei quali sorpresi al largo del Sud-Africa e nell'oceano Indiano. Questo modestissimo risultato, per altro, costò ai tedeschi la perdita di 78 U-Boote, ben 58 dei quali affondati da aerei 26. Ripresa nel settembre del 1943, la battaglia venne nuovamente sospesa nel maggio del 1944 perché nei mesi di settembre e ottobre i tedeschi erano riusciti ad affondare solo 9 navi delle 1468 che avevano attraversato l'Atlantico settentrionale, mentre avevano perso 25 U-Boote e nei primi tre mesi del 944, ne avevano persi altri 36 contro l'affondamento di sole 3 navi mercantili delle 3360 che, riunite in 105 convogli, avevano attraversato l'Atlantico in tale periodo. La battaglia contro i convogli avrebbe potuto essere ripresa solo quando fossero stati disponibili nuovi tipi, nuovi dispositivi di difesa ed una ancora più efficace ricognizione aerea. Eppure dal 25 agosto 1943 erano state date in dotazione agli U-Boote le bombe teleguidate, impiegate per la prima volta nel golfo di Biscaglia, e dal 20 settembre i siluri acustici autoguidati verso le eliche della nave-bersaglio; inoltre, nel mese di febbraio, era sceso in mare il primo U-Boote dotato di Schnorkel, il dispositivo che consentiva al sottomarino di aspirare aria e di scaricare i gas della combustione rimanendo a profondità di periscopio. Ma proprio nello stesso mese di febbraio - tra il 14 e il 18 - era anche fallito il tentativo di una grande operazione di gruppo realizzata nell'Atlantico settentrionale da U-Boote e da unità aeree da ricognizione cooperanti. La battaglia venne ripresa nel giugno del 1944, ma a tale data gli alleati l'avevano vinta da tempo. Nel 1943 i tedeschi avevano
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colato a picco solo la metà (3 611 000 t) del naviglio mercantile alleato affondato durante l'anno precedente, mentre gli alleati avevano raddoppiato la produzione dei loro cantieri (14 585 000 t). Nel riprendere l'offensiva, i tedeschi riunirono gli V-Boole nei porti del golfo di Biscaglia per operare sotto costa nell'eventualità dell' invazione alleata deJl'Europa occidentale e successivamente, ad invasione avvenuta, nei porti della Norvegia e della Germania per operare a ridosso delle coste inglesi. Lasciarono nell'Atlantico settentrionale solo 3 V-Boole con compiti d'informazione meteorologica. Le nuove misure adottate - dotazione a tutti gli V-Boote dell'apparecchio Schnorkel; messa in mare di V-Boole più moderni e più avanzati, del tipo XXI oceanici da 1600 te XXIII costieri da 230 t, in grado di sviluppare maggiore velocità di emersione e fruenti di maggiore autonomia di crociera; aumento nel primo trimestre del 1945 da 18 a 30 della media mensile dei sommergibili che uscivano dai cantieri; entrata in azione degli E-Boole (piccole motosiluranti) operanti fino alle acque territoriali inglesi e in grado di trasferirsi con estrema rapidità da una rotta dei convogli ad un'altra; - se da un lato conseguirono il risultato della diminuzione delle perdite dei mezzi, tornate ad essere più che compensate dal nuovo volume della produzione, dall'altro non produssero gravi danni alla navigazione mercantile alleata. Durante l'intero 1944 il naviglio affondato dai tedeschi fu di 1 422 000 t, ma quello costruito dagli alleati raggiunse i 13 349 000 tonnellate; nell'ultimo quadrimestre dell'anno gli UBoote mandarono a picco solo 14 navi nelle acque costiere ingles i, nonostante che nel mese di dicembre un gruppo di V-Boole, mettendo in opera una nuova tattica, avesse scatenato un'ultima grande offensiva. Nei primi 4 mesi del 1945 la perdita del naviglio alleato fu pari ad una nave su mille, nonos tante che nel marzo la flotta subacquea tedesca avesse raggiunto la consistenza di 463 V-Boole, mai toccata negli anni precedenti, di 30 E-Boole e di oltre 200 sommergibili tascabili (dei 700 messi in mare, 500 furono distrutti dagli alleati, soprattutto dagli inglesi). In sintesi, dal maggio del 1943 la Kriegsmarine non fu più in grado d'impensierire gli alleati. Essa, dopo la sconfitta del maggio di quell'anno, né subì un'altra in dicembre in seguito all'affondamento della Scharnhorst che fino ad allora era stata in grado di attaccare i convogli che, doppiando il capo Nor d, navigassero verso Murmansk ed un'altra ancora nell'aprile del 1944, ad opera di 42 aerosiluranti Barracuda della Fleet Air Arm, che attaccarono la corazzata Von Tirpitz, all'ancora nell'Alten Fiord, mettendola fuori combattimento per parecchi mesi.
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Perché nell'estate del 1943 l'ammiraglio Doenitz volle riprendere la battaglia dell'Atlantico dalla quale si era dovuto ritirare nel maggio? Alla domanda dà risposta la relazione ufficiale della Royal Navy: non poteva esservi dubbio che la vittoria o la sconfitta della Germania sarebbe dipesa dalla possibilità di colare a picco navi mercantili alleate in un arco di tempo inferiore a quello necessario agli alleati per rimpiazzarle. Venuta meno la speranza di successo nella guerra del tonnellaggio, la continuazione della lotta sottomarina avrebbe potuto quanto meno differire l'assalto al continente europeo occidentale e avrebbe potuto tenere impegnato un numero rilevante di forze alleate che diversamente avrebbero potuto e ssere impiegate nella battaglia aerea strategica contro la Germania ovvero contro le linee marittime di comunicazione. Vi fu forse, da parte tedesca, una sopravvalutazione del valore delle nuove apparecchiature tecniche e dei nuovi tipi si sommergibili - anche perché nessuno di questi ultimi venne affondato al largo delle coste orientali e no rd-occidentali inglesi - ma la decisione dell'ammiraglio Doenitz rispose a criteri di corretta strategia. Se i risultati della lotta negli ultimi 20 mesi di guerra delusero le speranze, c iò dipese dalla grande capacità tattica e tecnica alleata di mettere in essere difese tanto improvvise, ardite, intelligenti, quanto imprevedibili almeno nella misura realizzata. Qualora i 463 U-Boote del marzo 1945, costretti ad operare quasi esclusivamente al largo delle coste orientali e nord-orientali della Gran Bretagna con risultati inferiori ad ogni aspettativa, fos sero stati disponibili nel 1939, come aveva richiesto l'ammiraglio Doenitz, e quanto meno non fossero state poste remore e limi tazioni - determinate da divergenze e gelosie nell 'ambito della Kriegsmarine e tra questa e la Luftwa ffe - a l programma di sviluppo del naviglio subacqueo, le sorti della battaglia dell 'Atlantico avrebbero potuto-essere favorevoli alla Germania, in quanto la difesa alleata non era allora numericamente e tecnicamente forte e soprattutto l'industria navale alleata difficilmente avrebbe potuto vincere la corsa di crescita della produzione con il tempo. Anche dalla battaglia sulle rotte artiche la Germania uscì sconfitta. La mancata conquista per via terra di Murmansk fu un altro gravissimo errore strategico di Hitler. L'occupazione di tale posto avrebbe strozzato l'importante direttrice di rifornimento settentrionale del teatro operativo de ll'Europa orientale. Murmansk è l'unico grande porto settentrionale dell'Unione Sovietica libero dai ghiacci anche nei mesi nei quali non lo è quello di Arcangelo. Contro i convogli alleati di rifornimenti per l'Unione Sovietica lungo le vie
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artiche i tedeschi operarono, non senza successi iniziali, con forze navali ed aeree dislocate nella Norvegia. Nei mesi della primavera e dell'estate del 1942 sferrarono una serie di attacchi contro i convogli alleati fino a conseguire vittorie strepitose, della quali la più famosa fu quella del 4 luglio 1942 che si concluse con la distruzione pressoché completa, ad opera di aerei, di navi di superficie e di sommergibili, dell'intero convoglio (delle 49 navi riuscirono a salvarsi solo 13 che portarono a destinazione 87 dei 287 aerei imbarcati, 164 dei 594 carri armati, 894 dei 4246 automezzi, un terzo scarso delle 99 316 tonnellate dell'altro materiale trasportato). Con il passare del tempo anche lungo le rotte artiche gli alleati resero più consistenti e valide le misure di protezione, tra le quali, dalla fine del 1943, la messa in mare delle portaerei di scorta. Delle 811 navi, che dal 1941 in poi fecero rotta, raccolte in 40 convogli artici, verso le coste settentrionali dell'Unione Sovietica, ben 720 giunsero a destinazione, scaricando circa 4 milioni di tonnellate di materiali comprendenti, tra l'altro, 5 mila carri armati e 7 mila aeroplani. Nella battaglia lungo le rotte artiche la Germania perse, affondati dagli alleati, 38 V-Boole, 3 cacciatorpediniere e la Schamhorst. La mancata conquista, o costante neutralizzazione, di Malta fu la causa prima della sconfitta dell'Asse nel teatro operativo del Mediterraneo; l'insuccesso tedesco nella gara con il tempo propria della battaglia dell'Atlantico consentì agli alleati lo sbarco in Normandia e la liberazione della Francia, del Belgio e dei Paesi Bassi; la rinunzia tedesca alla conquista via terra di Murmansk permise l'invio all'Unione Sovietica, che li sollecitava con insistenza, di ingenti rifornimenti alleati proprio nei periodi di maggiore crisi. Vedremo più avanti come anche la vittoria alleata nell'Estremo Oriente provenne dal mare. Fu dunque la guerra sul sotto e sopra il mare a condizionare gli sviluppi di quella sulla e sopra la terra ferma. Le potenze del Tripartito valutarono in difetto la funzione strategica decisiva del potere marittimo o di questo ebbero, chi per un verso chi per un altro, un concetto angusto e settoriale, tendente cioè a conferire preminenza ad una o ad un'altra delle componenti anziché a stabilire il giusto peso di ciascuna nella determinazione del valore complessivo. Il potere marittimo è il prodotto, non la somma, dei valori reali della flotta di guerra di superficie e subacquea, della flotta aerea operante in simbiosi con la prima, del tonnellaggio di naviglio mercantile quantitativamente e qualitativamente adeguato alle necessità dei rifornimenti. Nessuna delle potenze maggiori del Tripartito entrò in guerra con una visione !ungimi-
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rante e corretta di quella che sarebbe stata la guerra in mare. Agli errori concettuali d'impostazione strategica si sommarono quelli di condotta. L'Italia, ad esempio, a parte il problema di Malta, aveva puntato sulle grandi navi da battaglia - che poi, per la mancanza di nafta o per il timore di perderle, lasciò a lungo inoperose nei porti - ed aveva trascurato la componente aerea, non solo nel settore della costruzione degli apparecchi specifici per l'impiego al di sopra della superficie marittima e del loro munizionamento, ma anche in quello della preparazione professionale e della normativa procedurale per l'impiego congiunto naviaerei. La Germania, che aveva bene individuato il bersaglio prioritario (naviglio mercantile) ed il mezzo più appropriato per colpirlo (sottomarini), perseguì inizialmente risultati eccellenti, ma non riusci a mantenersi a l passo con i tempi né sul piano numerico - il cui fabbisogno coprì quando era troppo tardi - né su quello della stretta cooperazione sommergibili-aerei. Il Giappone aveva a ffrontato avventurosamente la guerra in mare, dal quale dipendeva in tutto e per tutto quale unica via di alimentazione del suo sforLo bellico, con una marina mercantile che ammontava a d appena 6 milioni di tonnellate di stazza lorda, meno di un terzo della consistenza del naviglio mercantile inglese del 1938 (21 milioni di tonnellate), e che lasciò poi, pe r circa due anni, in balia delle navi di superficie e soprattutto dei sommergibili nemici concentrando i suoi attacchi contro le navi da guerra degli alleati i cui sommergibili, invece, s i occuparono prevalentemente delle navi da trasporto nipponiche. Quando alla fine il Giappone si decise di intraprendere un serio s forzo per porre rimedio alle deficienze, la sua marina mercantile era oramai decimata 27. Gli alleati - benché non mancassero tra loro e nell'a mbito delle loro forze armate, e conseguentemente degli s tati maggiori combinati e di quelli nazionali interforze, divergenze di opinioni, incertezze concettuali, ritardi operativi, tendenze ad esclusivismi, ad affermazioni di priorità e di preminenza, - afferrarono molto prima e molto meglio la tattica e la tecnica di protezione del traffico marittimo (riunione delle navi in convogli protetti, creazione di gruppi specifici di forze aero-navali operanti in simbiosi contro le insidie dei sommergibili nemici, assegnazioni ai convogli di portaerei di scorta, sviluppo delle a pparecchiature tecniche ad hoc, ecc.) ed ebbero fin dall'inizio chiaro il concetto che non solo la vecchia distinzione fra potere terrestre, navale ed aereo aveva perso ogni attua lità, ma che anche la divisione delle ope razioni militari nei
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tre settori era del tutto superata, tanto venivano dimostrandosi intime e strette le connessioni tra i tre poteri, i tre ambienti, le tre forze armate.
3. L'offensiva strategica aerea degli alleati sull'Europa seguì la regola del crescendo. Nel 1943 gli aerei alleati sganciarono sulla Germania duecentomila tonnellate di bombe, cinque volte più di quelle del 1942. Le massicce incursioni aeree su Amburgo del periodo 24 luglio - 2 agosto 1943, durante le quali vennero impiegati tremila bombardieri, furono sul punto di creare una crisi tedesca che avrebbe potuto essere fatale tanto che il ministro tedesco della produzione bellica, Albert Speer, ebbe a dichiarare che altre sei di quelle incursioni avrebbero potuto mettere definitivamente in ginocchio la Germania 28. Eppure gli attacchi della Royal Air Force (RAF) su Peenemiinde (17-18 agosto 1943), sulla costa baltica, dove i tedeschi venivano effettuando ricerche ed esperimentazioni di nuove armi, e della ga armata aerea della United States America Air Force (USAAF) su Ploejsti (J agosto), su Schweinfurt (17 agosto e 14 ottobre) - per citarne solo alcuni - e l'impiego di ben 3546 bombardieri dell'8a USAAF durante il solo mese di dicembre del 1943 non riuscirono a conseguire i risultati materiali e psicologici preventivati. Nell'incursione del 14 ottobre sulle fabbriche di proietti di Schweinfurt, 1'8a USAAF perse 60 dei 228 bombardieri impiegati ed in quella del 17 agosto sugli impianti di Peenemiinde la RAF perse, perché abbattutti, 40 dei 597 bombardieri quadrimotori, mentre altri 32 vennero seriamente danneggiati. I nuovi sistemi di localizzazione Oboe e H2S, l'impiego dei Lancaster e dei Mosquito in luogo dei bombardieri di vecchio tipo, la scorta notturna affidata ai Beau fighter, le nuove ta ttiche e tecniche del bombardamento selettivo e di precisione adottate dall'aviazione statunitenze non valsero a rendere notevolmente remunerativa l'offensiva aerea strategica degli alleati. Dopo i disastri di Peenemiinde e soprattutto di Schweinfurt, gli alleati dettero il via ad una massiccia produzione di Mustang in grado di scortare i bombardieri fino a 1000 chilometri dalle basi di partenza ed il primo lotto di tali apparecchi entrò in azione nel dicembre del 1943. Da tale mese l'impiego dei caccia Mustang, Lightining e Thunderbolt a grande autonomia operativa, fatti operare su due ondate - una prima, di accompagno dei bombardied fin
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sopra l'obiettivo e una seconda giunta direttamente dalle proprie basi per scortare i bombardieri lungo la rotta del ritorno - fece scendere il tasso delle perdite alleate dal 9, 1 per cento (ottobre 1943) al 3,4 per cento. Ciò che nel 1943 aveva reso meno remunerativa l'offensiva aerea strategica degli alleati erano state: la dispersione sul territorio dell'apparato produttivo industriale tedesco operata da Speer e le contromisure tattiche e tecniche della Luftwaffe e della Flieger Abwehr Kanonen (FL.A.K.), questa ultima portata ad un milione di effettivi, compreso il personale addetto ai proiettori ed ai palloni di sbarramento. Delle contromisure tattiche e tecniche ebbero particolare efficacia i1 potenziamento ed il raffittimento delle reti di individuazione, di segnalazione e di fuoco della FLAK, le tecniche (comuni anche agli alleati) tendenti a trasformare la notte in giorno, l'impiego dei Messerschmidt 09 e dei Focke Wulf 190 muniti di razzi di grande portata con i quali attaccare gli aerei nemici, mantendosi fuori del tiro di questi ultimi. Nell'inverno 1943-'44 l'obiettivo prioritario dell'offensiva aerea strategica divenne la distruzione della Luftwaffe e delle sue sorgenti di produzione. Nel mese di gennaio vennero attaccate Oscsersleben, Braunschweig, Halberstadt; in febbraio Lipsia, Gotha, Furth, nuovamente Braunschweig, Hannover, Stoccarda, Schweinfurt, Regensburg, Steyr; in marzo nuovamente Lipsia, Regensburg, Steyr (fabbriche di monomotori), Braunschweig, Gotha e Furth (fabbriche di bimotori), Scheinfurt e Stoccarda (fabbriche di cuscinetti a sfera). Nei giorni 22 e 23 marzo, inoltre, la RAF effettuò incursioni potenti su Francoforte sul Meno e nella fase c ulminante dell'offensiva ultima settima na di febbraio-prima decade di marzo -1'8 8 e la 15 8 USAAF (la 15 8 da lle basi dislocate in Italia) sganciarono 70 mila tonne llate di bombe e abbatterono centinaia di aerei da caccia tedeschi, perdendo, a loro volta, 414 bombardieri, 121 caccia e o ltre 4 mila uomini (2 mila dei quali prigionieri). Ma la produzione tedesca di aerei, calata a 1734 unità nel dicembre del 1943, salì nel giugno del 1944 a 3626 unità (delle quali 2449 aerei da caccia) e proprio durante l'offensiva aerea condotta contro di essa la Luftwaffe migliorò i suoi mezzi, installando una più progredita rete radar sopra il territorio tedesco e adottando la tattica Landfall interception consistente nell'introdurre aerei da caccia in mezzo alla massa dei bombardieri e nel farli volare di conserva con questi sia nel viaggio di andata verso l'obiettivo sia in quello di ritorno. Nuove contromisure adottate dagli a lleati - uso di caccia notturni Mosquito di scorta ai bombardieri e maggiore ricorso a falsi attacchi - non valsero ad impedire la
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perdita di 96 aerei su 800 nel bombardamento di Norimberga del 30 marzo. Nell'approssimarsi della data di effettuazione dell'Overlord una buona parte delle forze aeree strategiche furono chiamate a dare un contributo più diretto all'operazione stessa, concentrando i loro sforzi per paralizzare il sistema di trasporti e comunicazioni tedesco 29. Le forze aeree strategiche vennero poste, al pari di quelle tattiche, sotto la direzione del generale Arthur Tedder 30, nominato vicecomandante della Overlord, della quale era stato nominato comandante supremo il 14 febbraio il generale Eisenhower. Mentre 1'8a USAAF continuò ad attaccare gli obiettivi dell'industria aeronautica e gli obiettivi petroliferi, a partire da aprile gli aerei alleati e soprattutto i bombardieri della RAF concentrarono gli attacchi contro la rete ferroviaria francese ed il sistema di comunicazioni franco-tedesco paralizzandoli e spianando così il successo allo sbarco in Normandia e alla penetrazione delle forze alleate nel territorio francese. La precisione raggiunta nel colpire gli obiettivi, grazie alla tecnica introdotta nella individuazione e determinazione degli obiettivi a bassa quota da parte dei Mosquito, fu molto elevata e l'errore medio del bombardamento aereo scese dal valore di 620 a quello di 260 metri. Entro il mese di maggio la sola RAF sganciò più di 65 mila tonnellaLe <li bombe contro la rete ferroviaria francese, senza produrre gravissime perdite alla popolazione civile delle città bombardate. Nel primo semestre del 1944 l'aviazione alleata conseguì, nel suo insieme, il dominio del cielo, il blocco del sistema ferroviario francese, la distruzione di impianti petroli[eri e di carburanti sintetici. Il dominio dell'aria conquistato prima dello sbarco in Normandia fu sempre più consolidato durante la battaglia di Francia, il passaggio del Reno e la campagna di Germania. Nelle ultime settimane di guerra, la maggior parte della Luftwaffe sopravvissuta agli scontri precedenti fu quasi completamente distrutta a terra 31. La Strategica! Air Force e la Tactical Air Force conseguirono, nella loro azione congiunta, un tale successo nel blocco delle comunicazioni nemiche che i tedeschi furono messi nell 'impossibilità di spostare riserve e rinforzi e di mandare a esecuzione con rapidità e ordine neppure movimenti modesti per consistenza e per braccio di azione. L'arrivo dei bombardieri alleati sui campi petroliferi della Romania e le distruzioni degli impianti per la produzione di benzina sintetica non determinarono inizialmente una riduzione delle fonti e delle riserve di carburante, che nel maggio del 1944 raggiunsero addirittura il massimo di produzione. Furono i bombardamenti lanciati su tali impianti dal giugno del 1944 che non tardarono a far sentire i
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loro effetti. Il quantitativo di benzina prodotto in aprile venne dimezzato nel giugno e ridotto ad un quarto in settembre, quando la produzione di benzina avio precipitò a 10 mila tonnellate contro un quantitativo prefissato di sole 30 mila tonnellate, mentre il fabbisogno minimo mensile della Luftwaffe era di 160 mila tonnellate 32_ Dal maggio in poi la produzione non riuscì più a tenere il passo con i consumi e questi dovettero essere ridotti diminuendo le ore di volo. Durante la Overlord l'aviazione stategica e tattica riuscì ad isolare il campo di battaglia e favorì l'accerchiamento di blocchi di forze tedesche che si trovarono inchiodati sul luogo del martellamento aereo, effettuato con bombe leggere, e furono obbligati ad arrendersi in massa, come si verificò, ad esempio, a Falaise, lungo la Senna, lungo la Loira e nella Ruhr. Gli stessi bombardieri pesanti intervennero sul campo di battaglia, per preparare l'offensiva terreste, con il lancio di una quantità di esplosivo tale da distruggere molte installazioni difensive tedesche. Il successo degli attacchi contro le vie di comunicazione prima del giorno «D» cu:.tituì per Tedder una ennesima riconferma dell'opportunità di estendere alla rete delle comunicazioni della Germania quel tipo di campagna, assegnadole la massima priorità_ Egli riteneva che il crollo del sistema ferroviario della Germania, oltre a rendere molto più difficili i movimenti delle truppe tedesche (cosa che avrebbe agevolato il compito dei russi), avrebbe anche comportato il crollo della sua intera economia, costituendo così un'alternativa al bombardamento generalizzato di Harris 33 e alla campagna contro gli obiettivi petroliferi di Spaatz 34. Certo è, comunque, che esso avrebbe esercitato sull'esercito e sull'aviazione tedesca ripercuss ioni più rapide del bombardamento a tappeto generalizzato 35, Questo ultimo, infatti , nonostante le bombe da 5 tonnellate (la prima volta impiegate 1'8 febbraio 1944 contro le officine Gnome-Rhòne di Limoges), sostituite poi dalle Tollboy (che univano ad una grande capacità di penetrazione una considerevole forza esplosiva), non aveva dato e non continuò a dare risultati materiali e psicologici decisivi. Le città di Mannein, Duisburg, Essen, Colonia, Francoforte, Hannover, Kassel, Stoccarda, Lipsia, Berlino e tante altre si può dire che vennero quasi letteralmente distrutte, ma non per questo i tedeschi cessarono la resistenza. Il 3 febbraio 1945 Berlino venne bombardata per la millesima volta dall'inizio della guerra: dal novembre del 1943 al marzo 1944 erano stati sferrati su di essa sedici grandi attacchi e impiegate per la sua distruzione più di 20 mila missioni di volo, ma il fatto stesso che, dopo un anno dal clou delle incursioni (novembre 1943-marzo 1944), fosse ancora necessa-
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rio bombardarla stava a significare che l'intera campagna era stata un fallimento, del quale dovettero prendere atto sia Churchill che l'aveva voluta, anche per far piacere a Stalin, sia il generale Harris che l'aveva condotta con grande ostinazione nella speranza che, distruggendo Berlino, si potesse piegare l'intera Germania. Nel trimestre che seguì il giorno «D», l'aviazione strategica alleata tornò a battere una più vasta gamma di obiettivi, con priorità quelli petroliferi, contro i quali vennero impiegati nuovamente i bombardieri pesanti inglesi in incursioni notturne, dirette nella gran parte, dall'aprile al giugno, a paralizzare la rete ferroviaria francese. Particolarmente fruttuosa fu l'azione della RAF la notte del 9 luglio su Gelsenkirchen, altre lo furono molto meno e produssero perdite di apparecchi a lleati elevate (es. 93 bombardieri su 832). L'aviazione strategica inglese si cimentò anche in attacchi diurni, la grandissima maggioranza dei quali era stata fino ad allora compiuta dalla USAAF. I danni apportati agli impianti petroliferi e di benzina s intetica furono tali che dal mese di luglio i n uovi ac::rei ed i nuovi carri armati messi in linea dal ministro Speer non poterono operare che parzia lmente per mancanza di carburante. Verso la fine del settembre del 1944 il generale Tedder richiamò all'osservanza delle priorità la Strategica/ Air Forces: obiettivi petroliferi, altri obiettivi. Ai primi di novembre ribadì tale priorità ed a scanso di equivoci fissò due soli tipi di obiettivi: impianti petroliferi e comunicazioni. Non c'è dubbio che il perseguimento di questi due obiettivi, divenuto tutt'altro che impossibile, avrebbe contribuito ad accelerare il crollo della Germania più di quanto potesse fare il bombardamento a tappeto. L'attuazione del piano fu però impedita ancora una volta dall'ostinazione di Ha rris, il quale, per contrastarlo, arrivò perfino a minacciare di dimettersi 36. Dall'ottobre del 1944 al maggio del 1945, comunque, l'offensiva aerea s t rategica non ebbe sosta e andò incontro a difficoltà sempre minori con il risultato che alla lunga paralizzò l'intera Germania e quasi essiccò tutte le fonti di energia. La precisione raggiunta nei bombardamenti e la modesta reazione dell'aviazione tedesca, in gran parte immobilizzata dalla scarsezza del carburante, consentirono alle aviazioni a lleate la piu grande libertà d'iniziativa e di movimente e conseguentemente di scelta di rotte. Alla diminuzione del numero effettivo di aerei tedeschi, fece riscontro il continuo aumento delle forze aeree a lleate. I bombardieri di prima linea della RAF salirono da 1023 dell'aprile 1944 a 1513 in dicembre ed a 1609 nell'aprile del 1945; quelli dell'8a
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USAAF, alle stesse date, da 1049 a 1826 e infine a 2085 37. Nel dicembre la situazione si fece più complessa per effetto della controffensiva tedesca nelle Ardenne, l'impiego dei caccia a reazione, la presenza di Schnorkel in tutti i sommergibili tedeschi. Dalla parte alleata riemerse così il problema delle priorità, e con esso divergenze di opinioni che sembravano superate.... L 'aspetto controverso della situazione di compromesso raggiunta fu il deliberato ripristino della politica di terrorismo aereo la quale, soprattutto per compiacere i russi, fu riportata ai primi posti della graduatoria 38. Il 3 febbraio venne compiuta, come abbiamo già ricordato, la millesima incursione su Berlino e nei giorni 13 e 14 dello stesso mese gli aerei alleati, con il deliberato proposito di se minare la strage ed il terrore fra la popolazione civile ed i profughi rifugiati e in transito, attaccarono i quartieri centrali abitati della città di Dresda, lasciando integro il quartiere oltre fiume - Neustadt - e c ercando di danneggiare il meno possibile le ferrovie e gli stabilimenti industriali che avrebbero poi dovuto venire utilizzati dai sovietici. Nel quadro di desolazione in cui l'intera Germania versava oramai nel febbraio del 1945, il bombardamento di Dresda, città di cultura e arte, ebbe una certa ripercussione sul morale dell'intera nazione, oltre che per il numero elevatissimo (decine di migliaia di persone) delle vittime, anche, forse soprattutto, per il fatto che venne inteso come la manifestazione di un odio feroce e di una volontà tenace di vendetta non contro Hitler ed il nazismo, ma nei riguardi del popolo tedesco come tale. Il morale scese di tono, ma la volontà di arrendersi non ancora prevalse, forse proprio per la crudeltà dell'atto terroristico. Dove invece l'offensiva strategica alleata venne, dall'estate del 1944, cogliendo risulta ti s empre più remunera tivi ed a deguati agli s forzi effettuati, nonostante le perdite alle quali continuò ad andare incontro 39, fu nell'opera di distruzione delle sorgenti dei prodotti petroliferi e dei carburanti sintetici, delle reti delle comunicazioni ferroviarie e stradali e degli stabilimenti industriali 40. Ta li distruzioni concorsero, sul finire della guerra, in misura determinante alla sconfitta della Germania. L'offensiva aerea diversamente impostata e condotta fin dall'inizio avrebbe potuto abbreviare la durata della gue rra. Nonostante gli errori di strategia e il più totale disprezza di ogni etica, non si può negare che la campagna di bombardamento svolse un ruolo di primissimo piano nella disfatta della Germania hitleriana 41. Di per sé non assicurò la vittoria, ma aprì la s trada per conseguirla. La teoria del Douhet 42 e degli altri sos te nitori del bombardamento a e r eo strate gico, se bbene ridimen-
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sionata, offrì una convincente prova della sua validità, quando la si intese però come applicazione del potere aereo per la conquista del dominio del cielo sulle superfici terrestri e marittime e come impiego delle forze aeree al di là del campo di battaglia vero e proprio per colpire il cuore del potenziale bellico del nemico. Era stata la Germania ad iniziare per prima, il 13 agosto del 1940, la guerra aerea terroristica. Dopo averla intensificata nel resto di quell'anno e nel primo semestre (in particolare nei mesi di marzo, aprile e maggio) dell'anno successivo, aveva dovuto porle fine per le gravi perdite subite ad opere della caccia contraerei inglese e per i nuovi compiti da affrontare nel teatro operativo del Mediterraneo e soprattutto in quello dell'Europa orientale e balcanica. Costretta a difendersi dal 1942 dall'offensiva aerea strategica degli alleati, la Luftwaffe dové impegnare il grosso degli apparecchi da caccia a protezione del suo territorio, delle sue città, delle sue fonti energetiche e delle sue industrie e non fu più in condizioni di perseguire risultati decisivi, se non temporanei e locali, in nessuno dei teatri operativi dove fu impegnata. Il 14 giugno del 1944 la Germania tornò all'offensiva aerea mediante l'impiego delle Vergeltungs- Waffe n ° 1 (arma di rappresaglia n ° 1) che aprirono molte speranze nei tedeschi e sollevarono molti timori negli alleati 43. Inizialmente i tedeschi spedirono 200 V.l al giorno contro l'Inghilterra, successivamente, fino al dicembre del 1944, la media delle V.l lanciate fu di 40-50 al giorno. Nell'ottobre del 1944 i tedeschi misero in campo le 1"..2 e ne spedirono quotidianamente una media di 25 su Londra e di 8-1 O su Anversa. Anche tale offensiva fallì per ché le bombe volanti vennero presto parzialmente neutralizzate: le V.I dai caccia veloci Tempest, Spitfire, Mustang e Meteor che le intercettavano in volo, dall'artiglieria contraerei munita di radar, dallo sbarramento dei palloni, dai bombardamenti delle rampe; le V.2 dagli attacchi aerei contro le rampe di lancio. Gli attacchi produssero nondimeno danni ingentissimi, specialmente al patrimonio edilizio inglese44, ma analogamente ai bombardamenti del 1940-41' non determinarono il crollo del morale degli inglesi che era lo scopo principale al quale i bombardamenti tedeschi miravano. Apertasi con grandi speranze, l'offensiva si concluse per i tedeschi con ancor più grandi disillusioni: l'impiego delle bombe volanti fu conseguentemente abbandonato fino all'inizio del febbraio 1945, quando l'Inghilterra del sud e le regioni di Liegi e Anversa furono nuovamente bombardate con quelle armi. Il ritmo dei lanci era di quindici al giorno ma, secondo le stesse statistiche
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Schizzo
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23 - La controffensiva sovietica (luglio-agosto 1943).
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tedesche, soltanto il 40% delle V.I e delle V.2 colpiva l'obiettivo, il 20% esplodeva in volo, il 20% era distrutto dalla difesa alleata e il 20% cadeva lontano dall'obiettivo. Negli ultimi tempi, grazie all'impiego di nuove spolette radar (Proximity fuse), nove su dieci delle bombe V.I. potevano essere distrutte. Alla metà di febbraio: 9600 V.I erano state lanciate contro Londra (sia facendole partire dalle rampe di lancio, sia per mezzo di aerei Heinkel), 4000 contro Liegi e 6000 contro Anversa 45.
4. Nel teatro operativo dell'Europa orientale, il fallimento dell'operazione Zitadelle (5-15 luglio 1943) determinò il passaggio definitivo dell'iniziativa delle operazioni dai tedeschi ai sovietici. Senza quasi attendere il fallimento di Zitadelle, l'armata rossa passò il 12 luglio alla confroffensiva sferrando l'attacco contro il fianco settentrionale del saliente tedesco di Orel ed estendendolo poi al fianco meridionale del saliente di Kursk. I sovietici dettero vita ad un processo di continua ed energica spinta verso ovest che investì le forze tedesche del gruppo annate centro del maresciallo von Kluge 46 e del gruppo armate sud del maresciallo von Manstein 47. La controffensiva, tendente a sfondare verso Charkov, Poltuva e il Dnepr di Kremencug per rivolgersi poi a sud al fine di intrappolare gli 800 mila uomini del maresciallo von Manstein tra Nikolajev e il mare di Azov, si articolò in 4 manovre: una a nord di Brjansk, una a sud di Charkov, una su Smolensk ed una quarta su Donec, in direzione di Stalino. Sulla controffensiva estiva s'innestò poi, quasi senza soluzione di continuità, la grande offensiva autunnale che durò fino a dicembre. Il ritmo della progressione sovietica non fu uniforme e monocorde e spesso fu regolato dalle contromanovre tedesche che resero ora dispendiosa ora lenta l'avanzata sovietica. Questa peraltro raggiunse obiettivi territoriali molto importanti strategicamente, ma non riuscì ad infliggere ai tedeschi le perdite di personale e di materiale che i sovietici si erano ripromessi e che Stalin gonfiò come acquisite nei suo comunicati. La controffensiva sovietica su Orel, nonostante i contrattacchi tedeschi, consentì alle forze del maresciallo Timoscenko 48 di rompere la fronte tedesca su di un tratto ampio 40 km e di procedere subito in profondità per circa 50 km con i carri T3A che attaccavano in massa seguiti dall 'artiglieria motorizzata. I sovietici
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Schizza n. 24 - L'offensiva sovietica dell'autunno 1943. LCGl:Mb-. :
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Schizza n. 25 - La controffensiva tedesca al saliente sovietico di Zhitomir.
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continuarono ad avanzare e, una volta occupata Orel (5 agosto) e Belgorod (5 agosto), dopo che tre giorni avanti erano entrati in Znamenskaja (2 agosto), cominciarono a dilagare su tutto lo scac chiere centrale della fronte e attaccarono a nord di Brjansk ed a sud verso Charkov. Tagliata il 10 agosto la ferrovia di Sumij, scatenarono un terzo attacco su Smolensk, mettendo così in movimento tutta la fronte da Smolensk al mare d'Azov. A questo punto il passaggio alla difesa elastica sarebbe stato per i tedeschi una decisione tanto necessaria quanto urgente, ma Hitler vi si oppose e ordinò di tenere il bacino del Donec nonostante il rischio dello accerchiamento. Caddero così in successione nella mani dei sovietici Charkov (23 agosto), Taganrog sul mare d'Azov (30 agosto), Yelmia nella zona di Smolensk (31 agosto), Sumij (2 settembre), Stalino (7 settembre) costringendo i tedeschi a ripiegare dietro il Dnepr. Successivamente, di fronte all'avanzata sovietica, i tedeschi persero Novgorod-Severskij e Neghin (16 settembre), Novorossijsk, Lozovaja, Brjansk (17 settembre) a nord di Berdjansk sul mare di Azov, Poltava (22 settembre) e Smolensk (25 settembre). A metà settembre i sovietici erano a 60 Km da Smolensk, a 70 da Kiev ed a 60 dall'ansa del Dnepr tra Dnepropetrovsk e Zaporozje; a fine settembre si erano sistemati sulla riva sinistra del Dnepr tra Kiev e l'ansa del fiume, avevano liquidato la testa di ponte di Kuban, avevano conquistato Temrjuk ed il 9 ottobre costrinsero i tedeschi a ritirarsi dall'altra parte dello stretto di Kerc. Solo allora la controffensiva sovietica ebbe termine e la calma subentrò su tutta la fronte, m~ntre continuava la guerriglia d e i partigiani. La calma durò poco, così la speranza del tedeschi di poter resistere sul Dnepr. Il 7 ottobre i sovietici occuparono Nevel' a nord e costituirono tre teste di ponte sul Dnepr (una a nord di Kiev, una a sud di Pe rejaslav, una a sud-est di Kremencug) ed il 6 novembre, dopo averla attaccata da tergo, conquistarono Kiev, mentre già il 14 ottobre avevano occupato Zaporozje e il 25 Dnepropetrovsk. Raggiunsero Fastov il 7 novembre, 65 km a sud-ovest di Kiev, poi, coprendo altri 100 km, il nodo ferroviario di Zitomir ed il 16 novembre anche quello di Korosten. L'offe nsiva sovietica iniziata il 6 novembre, avente come obiettivo l'accerchiamento del gruppo di armate del maresciallo von Manstein, dopo la conquista di Zitomir e di Korosten, ebbe una seria battura di arresto in seguito alla controffensiva tedesca sferrata contro il fronte del generale sovietico Vatutin 49 che aveva spinto troppo avanti il suo cuneo. Il maresciallo tedesco, dopo aver raccolto 0
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150 mila uomini e un migliaio di carri armati, il 17 novembre attaccò il saliente sovietico ad ovest di Kiev con una manovra a tenaglia da nord-ovest e da sud e rioccupò Zitomir (20 novembre) e Korosten (30 novembre), ma non riuscì a riprende re Kiev. La controffensiva evitò comunque l'accerchiamento del gruppo di : armate. Essa si esaurì a poco a poco nel mese di dicembre impantanata nel fango. Frattanto l'offensiva autunnale sovietica avava conseguito altrove altri risultati: nell'ansa del Dnepr il 14 dicembre i sovietici si erano impadroniti di Cerkassy e il 17 si erano congiunti con le forze provenienti da Kremencug, ma non erano riusciti a conquistare il campo trincerato di Krivoj Rog; nel settore di Gomel, fra il Pripjat e il Beresina, il 25 novembre le truppe del maresciallo Rokossowskij so e rano entrate a Gomel; più a nord, nella regione di Neve!, le truppe sovietiche a vevano sfondato le difese per inserire un nuovo cuneo nello sch ieramento tedesco e isolare Le ningrado e i paesi b a ltici ed avt:vano occupato (24 dicembre) Godorok, 38 km a nord di Vitebsk dove pe rò non erano riuscite ad entrare. Al termine d ell'offensiva autu nnale sovietica la fronte si stabilizzò, sia pure per breve tempo, grosso modo lungo l'a llineam ento Leningra<lu-Cago Limen-Velikije Luki-Smolensk-Mozyr-Zitomir-Fastov-Kirovograd-Zaporozje-Kherson-penisola di Crimea. La confroffensiva estiva e l'offensiva autunnale dei sovietici si conclusero dunque vittoriosamente con il risultato della riconquista di una fascia del territorio nazionale ampia e profonda centinaia di chilometri, di oltre 150 città, tra le quali Smolensk, Ore!, Kursk, Kiev, Charkov, Dreepropetrovsk, Stalino, Zaporozje, Melitopol, di 38 mila località e con l'annientamento di un centina io di divisioni tedesche. La strategia del maresciallo Sta lin e degli altri marescialli sovietici protagonisti de.Ile due operazioni - in particolare Vasilevskij 51 , Voronov 52, .Zukov 53, Timoscenko, Vatutin, Rokossowskij fu un modello di semplicità, di chiarezza e di e lasticità di impostazione e di condo tta. Forse fu una manovra anche troppo elementare, ma comunque conforme a ll'esigen za di tornare a l più presto in possesso del'Ucraina ricca di prodotti agricoli e minera ri (carbone, ferro, manganese, m e rc u rio, salgemma, petroli, gas naturale). Il sistema de lla successione alternata di attacchi in punti diversi, già applicato nel 1918 dagli alleati sulla fronte occidentale, ora dai sovietici in versione aggiornata e migliorata, fu reso possibile dalla grande disponibilità sovietica di forze e dalla scarsa cons istenza delle riserve tedesche. In un processo offensivo s iffatto - ciascun a ttacco temporaneamente sospeso non appena il suo slancio veniva
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meno al rafforzarsi della resistenza nemica, ciascuno attuato in modo tale da preparare il terreno per il successivo e tutti distribuiti nel tempo in modo da sviluppare una specie di reazioni a catena 54 - fu naturale che i sovietici subissero perdite molto elevate, con la differenza però, rispetto ai tedeschi, che essi avevano pieni i serbatoi dai quali attingere, mentre i tedeschi, dopo il dispendioso fallimento della Zitadelle, li avevano quasi vuoti. Tale strategia sovietica avrebbe dovuto distogliere Hitler e l'Alto Comando tedesco dall'idea della manovra di arresto e indurli alla manovra in ritirata secondo le richieste del maresciallo von Manstein e degli altri generali della Wehrmacht. Un'eccellente tattica venne, invece, messa al servizio di una sbagliata s trategia difensiva. Fu solo grazie alla perizia dei capi e delle truppe che i tedeschi riuscirono: a sventare il pericolo di restare accerchiati a Poltava chiamando in soccorso, dal fiume Mius, il III corpo corazzato per consentire l'evacuazione di Charkov prima che Ja città cadesse in mano dei sovietici; a mantenere in proprio possesso le linee ferroviarie e i punti di dominio tattico, che coprivano il fianco del corridoio di Stalino, fin quasi al completamento de l ripiegamento delle forze minacciate di avvolgimento da tergo; ad effettuare il lento ripiegamento sulla catena de lle città-bastione lungo }'allo corso del Dnepr (Zoblin Rogacev, Mogilev Orsa) trattenendo l'avanzata sovietica in modo da sottrarsi alla cattura; a ritirarsi combattendo dalla testa di ponte sul Kuban e attraverso lo stretto di Kerc sulla penisola di Crimea; ad arrestare temporaneamente l'avanzata sovietica da Kremencug per sganciare le unità che correvano il pericolo di essere sopraffatte nell'ansa. Ad Orsa 55 la 4 8 armata tedesca del generale Heinrici 56 dette una chiara dimostrazione di come sarebbe stato tutt'altro che impossibile prolungare la guerra fino ad esaurire l'immensa forza numerica dei russi se soltanto la strategia difensiva fosse stata all'altezza della tattica 57. Anche a Kiev i tedeschi riuscirono a sfuggire all'accerchiamento, grazie ad un disperato contrattacco della 7 8 divisione corazzata del generale Manteufell 58. Nell 'ins ieme delle due offensive sovietiche le perdite tedesche furono elevatissime, ma furono ben distanti dal milione di uomini preventivato dai sovietici per non dire dai 4 milioni di uomini dichiarati da Stalin il 4 novembre come risultato conclusivo delle battaglie dell'estate e dell'autunno. Se ciò fosse stato vero, o anche soltanto vero per metà, non ci sarebbe stato alcun bisogno di combattere ulteriormente 59.
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Durante il 1944 i sovietici dettero il via a due grandi nuove offensive, una invernale ed una estiva, connessa questa ultima alla Overlord e agli avvenimenti politici e militari che si verificarono in Finlandia, in Romania, in Bulgaria, in Grecia, in Ungheria, nonché al mutato atteggiamento della Svezia che, nell'agosto del 1944, chiuse il suo territorio alle truppe tedesche che si recavano in Finlandia ed al rifiuto della Svizzera al passaggio del San Gottardo da parte di forze tedesche dirette in Italia. Delle due offensive entrambe vittoriose, la seconda ottenne risultati politici non meno importanti di quelli militari. La Finlandia che, durante lo sviluppo della prima offensiva, aveva iniziato sondaggi per la pace con l'Unione Sovietica ed aveva rifiutato in aprile le condizioni proposte - in verità molto moderate - da Stalin, il 19 settembre abbandonò la lotta e capitolò. La Romania il 23 gennaio rovesciò il governo Antonescu e il 25, dopo aver accettato le condizioni di armistizio sovietiche, dichiarò guerra al Reich, sicché il maresciallo von Manstein si vide costretto ad abbandomare rapidamente il paese per evitare di trovarsi completamente accerchiato e la Germania perse uno dei satelliti più importanti che si era battuto mollo bene e che disponeva ancora di una trentina di divisioni. La Bulgaria, che in conseguenza dell 'armistizio romeno aveva dichiarato il 26 agosto la propria neutralità e veniva ritirando dalla Serbia le sue 7 divisioni di occupazione, colta il 6 settembre dalla dichiarazione di guerra dell'Unione Sovietica, che aveva interpretato la neutralità come un modo di permettere ai tedeschi di evacuare il paese senza che le forze sovietiche potessero inseguirli, chiese un armistizio che pe rmise ai sovietici di occupare 1'11 settembre Sofia, mentre i tedeschi disarmarono le divisioni bulgare rimaste in Serbia. In Jugoslavia, dove la rivolta ai tedeschi era scoppiata fin da dopo la resa dell'Italia dell'8 settembre del 1943, i guerriglieri si congiunsero il 12 settembre alle forze sovietiche del maresciallo Tolbuhin 60 . In Grecia i tedeschi, una volta che i sovietici entrarono in Bulgaria, dovettero accelerare l'abbandono del paese. L'Ungheria tentò il 16 ottobre di scuotersi dal gioco tedesco, ma non vi riuscì. In tutta la regione balcanica e in a ltri paesi dell'Europa occidentale occupati dai tedeschi, i movimenti della resistenza accentuarono la loro attività militare, costringendo la Wehrmacht ad un ulteriore dispersione del suo apparato. Ciò che regolò il ritmo delle due offensive sovietiche, che raggiunsero il loro acme rispettivamente a metà inverno ed a metà estate, e determinò la pausa fra le due, fu il problema logistico più
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della resistenza tedesca. Questa infatti venne facendosi sempre meno dura a mano a mano che la fronte si ampliava e le forze tedesche diminuivano, mentre l'avanzata sovietica rallentava il ritmo a mano a mano che le sue linee di alimentazione si aJlungavano. Hitler e l'Alto Comando Tedesco - in particolare l'Ober Kommando des Heeres (O.K.H.) agli ordini del generale Zeitzler 61, che dopo Stalingrado aveva sostituito il generale Halder62 nella carica di capo di stato maggiore dell'esercito, sul quale, a partire dal 1943, ricadde la responsabilità della condotta delle operazioni nel teatro operativo dell'Europa orientale e balcanica, mentre all'O.K.W., agli ·ordini del maresciallo Keitel 63, era stata attribuita quella riguardante tutte le altre fronti - non seppero trarre vantaggio da tale difficoltà dei sovietici ed in luogo di ordinare, almeno allora, la manovra in ritirata su di una linea più economica, che avrebbe potuto essere quella raggiunta verso la fine dell'anno sotto la costante pressione sovietica, insistettero sulla manovra di arresto, priva oramai di ogni prospe ttiva, benché minima, di successo. Vero è che il maresciallo Keitel ed il generale Zeitzler furono esecutori di ordini e che Hitler accettava le loro proposte e<l i loro suggerimenti e consigli solo quando erano conformi alle sue vedute - il geneale Zeitzler aveva a suo tempo proposto l'abbandono di Stalingrado, ricevendone come risposta che il soldanto tedesco doveva restare dovunque avesse messo piede - ma questa volta la strategia di Hitler era al di là dell'assurdo più delle volte precedenti e l'assecondarla un vero tradimento alle spalle della Wehrmacht. Il maresciallo von Manstein, certo della sconfitta, contestò in termini decisi l'ordine che ogni metro di terra doveva essere difeso a tutti i costi, ma proprio per questo venne messo i disparte, prendendo a pretesto un suo lieve disturbo agli occhi, sanato in breve tempo con un intervento chirurgico, e l'esercito tedesco venne privato, battaglia durante, di uno dei migliori strateghi che godeva la fiducia dei capi e dei soldati. All'inizio del gennaio 1944 sia le forze sovietiche sia quelle tedesche, in relazione alle mutazioni deJl'andamento della fronte determinatesi al termine della campagna autunnale del 1943, vennero riordinate e raggruppate in nuovi ordini di battaglia 64. L'inizio della offensiva invernale può essere fatto coincidere con la manovra sviluppata all'inizio di dicembre dal maresciallo Konev 65 mediante l'attacco mosso dalla testa di ponte di Cremencug verso Kirovograd e il concomitante attacco mosso dalla testa di ponte di Cerkassy, entrambi arrestati dal maresciallo von Mans tein impie-
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Schizzo n. 26 - Le operazioni sulla fronte orientale genn aio-aprile 1944.
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gando una parte considerevole delle già scarse riserve. Ma l'inizio vero dell'offensiva invernale - denominata successivamente campagna del fango - fu l'attacco sferrato, con l'aiuto della nebbia, la vigilia di Natale del generale Vatutin dal saliente di Kiev in direzione ovest e sud-ovest. In tre giorni i sovietici ruppero la posizione tedesca su di un tratto di 75 km e per una profondità di 38 km rioccupando Korosten (29 dicembre) e Zitomir (31 dicembre) ed estendendo la loro penetrazione verso i caposaldi tedeschi di Berdicev e Belaja Cerkov. Il disegno strategico sovietico risultò subito chiaro: eliminazione della sacca del Dnepr e nuovo tentativo di accerchiamento delle forze del maresciallo von Manstein, non senza impegnare gradualmente anche gli altri settori. Il 3 gennaio il I fronte ucraino del maresciallo Vatutin conquistò il nodo ferroviario di Novograd-Volynskij, 80 km al di là di Korosten; il 4 oltrepassò la frontiera prebellica con la Polonia; venne quindi arrestato temporaneamente d avanti a Vinnitsa dalle truppe di von Manstein interessate a proteggere l'importante linea ferroviaria di arroccamento Odessa-Leopoli. Frattanto il I fronte bielorusso del maresciallo Rokosovskij si era mosso a nord delle paludi del Pripjat, aveva raggiunto Sarny e, dopo aver avanzato per circa 200 km, il 14 gennaio conquistò Mozyr e Kalinbovici; il 5 febbraio, aggirato l'ostacolo di Sepetovka, occupò Rovno; si spinse quindi fino a Luck, quasi 80 km a nord-ovest di Rovno e 150 km al di là della vecchia frontiera con la Polonia; conquistò poi il nodo ferroviario di Zdolhunov sulla ferrovia Leopoli-Sarny e Kowel-Berdicev. Per liquidare la sacca tedesca tra la testa di ponte sovietica di Kiev e quella di Cerkassy, dopo aver attirato le riserve germaniche a nord del fiume Pripjat, il maresciallo Vatutin, anziché riprendere l'offensiva in direzione sud-ovest verso Vinnitsa e Zmerinka, dove i tedeschi se l'as pettavano, rovesciata la fronte, si diresse ver so sud-est e qui, dopo il congiungimento della sua ala sinistra con l'ala destra del II fonte ucraino del generale Konev, investì nella zona di Korsun la sacca dalla quale solo 30 mila d ei 60 mila tedeschi accerchiati riuscirono a trarsi fuori. Ai primi di febbraio i sovietici furono in attacco su sette settori differenti tra il golfo di Finlandia e il lago Ilmen, a nord di Nevel, tra il Priopjat e la Beresina, a ovest e sud-ovest di Novograd-Voljnsk, a sud di Kirovograd e di Bjala-Tserkovnoc, a sud-ovest di Dnepropetrovsk, nella testa di ponte di Nikopol. Il centro di gravitazione dell'offensiva rimase comunque nello scacchiere sud - nei settori dei 4 fronti ucraini - m en tre dalle offensive negli scacchieri cen t rale e setten-
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trionale i sovietici si ripromettevano soprattutto di evitare ripiegamenti tedeschi indisturbati, d'impegnare forze tedesche e, nel settore settentrionale, di liberare Leningrado dall'accerchiamento, fine che poi raggiunsero quasi pienamente. Entro febbraio le forze del III e del IV fronte ucraino portarono a compimento l'occupazione dell'ansa del Dnepr, conquistando il centro ferroviario di Apostolovo (5 febbraio), Znamenka e Nikopol (8 febbraio) e il campo trincerato di Krivoj Rog (22 febbraio), terre queste ultime ricchissime di giacimenti di manganese e di ferro dalle quali i tedeschi furono costretti a ripiegare, nonostante la volontà di resistenza, per non incorrere in un accerchiamento di proporzioni ancora più gravi di quello di Korsun. In marzo, sempre nello scacchiere meridionale, una nuova manovra del I, II e III fronte ucraino investì lo schieramento tedesco su di un tratto ampio 600 km. Il I fronte, al comando del maresciallo Zukov, che aveva sostituito il maresciallo Vatutin caduto in un'imboscata, giunse davanti a Tarnopol, il l/ davanti a Uman e il III a Kirovograd. Il I fronte, scendendo da lungo la linea Tarnopol-Proskurov, il 23 marzo occupò Kopycutsy, il 25 Proskurov e Kamenetz-Podolskij, il 29 Kolomac e Cunauti; il 1° aprile raggiunse con le avanguardie il passo di Jablonica (il passo dei ta rta ri) dove dovette fermarsi, dopo aver combattutto a lungo fra il 16 ed il 20 aprile fra il Dnestr e il passo, per esaurimento della spinta offensiva perché il flusso dei rifornimenti non aveva tenuto il passo con la lunga e rapida avanzata 66. Le forze tedesche schierate nel triangolo Tarnopol-Proskurov-Hatin vennero completamente accerchiate e distrutte o catturate. Il II fronte ucraino, entrato di sorpresa a Uman, s'impadronì del grosso dell'armata moto rizzata tedesca immobilizzata nel fango; il 15 marzo attraversò il Bug nella regione di Zmerinka, il 19 superò il Dnestr a Soroki, una ventina di chilometri a sud di Jampol, il 20 occupò Mogilev-Podolskij, il 26 raggiunse il Prut nella regione di Zaicani, da dove progredì lentamente tra il 1 ed il 14 aprile fino alla linea J assy-Pascani e quivi dovette fermarsi di fronte alla decisa e tenace resistenza tedesca. Il III fronte ucranio il 13 marzo occupò Nikolaev e Kherson isolando la Crimea, il 30 raggiunse il Bug dopo aver occupato Pervomajsk (22 marzo) e Voznesesk (24 marzo), il 10 aprile, dopo tre giorni di assedio, attaccandola da nord, da nordovest e da est, conquistò Odessa la cui guarnigione venne catturata al completo; il 13 aprile raggiunse il Dnestr nel tratto fra Tiraspol e Ovidiopol dove si arrestò. Il IV fronte ucranio 1'8 aprile attaccò frontalmente le difese dell'istmo di Perekop e con una manovra
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CAP. XLV - GLI ULTJ,MI DUE ANNI DI GUERRA NEGLI ALTRI TEATRI OPERATIVI
Schizza n. 27 - L'offensiva sovietica nello scacchiere settentrionale gennaio-marzo 1944.
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aggirante attraverso la laguna di Sivas si dislocò a cavallo dell'istmo, alle spalle dei difensori, aprendo la via settentrionale di accesso alla Crimea, dove il 17 si ricongiunse con l'armata sovietica autonoma proveniente da Kerc. Le forze sovietiche convergenti raggiunsero poi i sobborghi di Sebastopoli catturando 37 mila prigionieri tra tedeschi e romeni. Un mese dopo circa (9 maggio) Sebastopoli cadde in seguito ad un attacco sostenuto da 1000 bocche da fuoco e condotto fino alla lotta corpo a corpo. Nello scacchiere centrale il /, il II, e il III fronte bielorusso, durante l'offensiva invernale, impegnarono la linea tedesca Vaterland (Vitebsk-Orsa-Mogilev), ma i tedeschi riuscirono a garantirne la tenuta e solo il I fronte del maresciallo Rokosovskij poté avanzare fino a Rogacev e, aggirando Zilobin, marciare su Bobrujsk dove accerchiò una divisione tedesca. Nello scacchiere settentrionale il fronte di Leningrado e quello di Volchov, nell'intento di spezzare la stretta tedesca su Leningrado, il 14 febbraio dettero inizio ad una grande offensiva che colse di sorpresa i tedeschi che la considerarono inizialmente una diversione di poca importanza. Il fine dell 'offensiva era invece di portata strategica in quanto mirava a liberare Leningrado che i tedeschi assediavano da due anni, a travolgere il saliente tedesco del lago Ilmen ed a minacciare i paesi baltici. L'offensiva in parte frustrata dalla ritirata tedesca, sia pure con l'abbandono delle robuste fortificazioni che essi avevano costruito con criteri e mezzi modernissimi, perseguì quasi interamente i suoi scopi. Il fronte sovietico di Leningrado attaccò dalla costa, appena ad ovest della città, il fianco sinistro del saliente tedesco, mentre il fronte di Volchov agì in direzione di Novogorod. Gli attacchi vennero preceduti da formidabile preparazione di artiglieria alla quale concorsero i cannoni di Kronstadt e queJJi della flotta sovietica operante nel Baltico. Le truppe del fronte di Volkhov tagliarono la ferrovia Leningrado-Novgorod, forzarono la punta nord del lago Ilmen e conquistarono la città di Novgorod; quelle del fronte di Leningrado, in seguito alla battaglia di Cudovo, sottrassero al controllo tedesco la ferrovia Leningrado-Mosca e isolarono la Finlandia. Nel mese di febbraio gli sciatori del fronte di Leningrado occuparono Luga (12 febbraio) ed alla fine del mese le forze di tale fronte, con un nuovo attacco, costituirono una testa di ponte sulla sponda occidentale del fiume Narva, tra il mare e il lago Peipus. Il gruppo di armate tedesche nord del generale von Kuchler 67 riuscì, dopo gravi perdite, ad arrestare i sovietici davanti a Pskov. Durante il mese di marzo la linea di contatto si stabilizzò lungo l'allineamen-
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to Narva-lago Peipus-Pskov-Ostrov-Polotsk il cui estremo orientale distava solo 15 km dalla frontiera dell'Estonia; i salienti tedeschi di Leningrado e del lago Ilmen erano stati eliminati. I sovietici immisero nello schieramenro un nuovo fronte - il fronte nord-occidentale - a sud del lago Ilmen e, stante la loro grandissima disponibilità di forze, lo fecero senza difficoltà, mentre i tedeschi, che al termine dell'offensiva sovietica si schierarono su di una fronte molto piu corta di quella tenuta all'inizio dell'anno - da Narva a Pskov correvano solo 200 Km, 150 dei quali coperti dai due grandi laghi di Peipus e di Pskov - avendo largamente consumato le forze delle due armate (16a e 18a) del generale Kiichler non trassero grandi vantaggi dall'accorciamento della linea. Dei gruppi di armata tedeschi schierati il l gennaio 1944 nel teatro operativo orientale, i più impegnati nella campagna del fango furono il gruppo armate nord del generale von Kiichler, s chierato da Leningrado a Velikie Lucki e il gruppo di armate del mare sciallo von Manstein - poi sostituito dal generale Model 68 nonché la 4a e la 17a armata del generale Jaenecke 69 schierate in Crimea. Le forze tedesche durante l'intera offensiva sovietica furono tormentate dal dilemma tra l'ordine di non fare passi indietro e il rapporto forze-spazio. Questo rapporto non consentiva di garantire ai sistemi difensivi né la densità di fuoco necessaria sulla fronte, né la profondità di schieramento, né la disponibilità di riserve per conferire ai sistemi stessi l'elasticità e la reattività indispensabili. Hitler forse ignorava quanto aveva affermato il maresciallo Radetzki 70 dopo aver abbandonato la Lombardia: la mia ritirata è riuscita in pieno: uno dei più tristi capolavori dell'arte della guerra. Altrimenti la risposta tedesca all'offensiva invernale sovietica avrebbe potuto avere una ben diversa efficacia. La controffen~iva sferrata dal maresciallo von Manstein contro le forze del maresciallo Konev partite dalle teste di ponte di Kremenèug e di Cerkassy arrestò gli attacchi sovietici davanti a Kirovograd, ma assottigliò le riserve del maresciallo tedesco, già scarse. La controffensiva sferrata per mantenere il possesso della ferrovia OdessaVarsavia risultò troppo debole, fermò temporaneamente l' avanzata sovietica sulla fronte, ma mancò delle forze necessarie a impedire il dilagamento ai lati delle truppe del maresciallo Vatutin. Gli sforzi dei corpi corazzati tedeschi salvarono dalla sacca di Korsun 30 mila dei 60 mila tedeschi rinchiusivi, ma consumarono le riserve e le forze aeree della Luftwaffe a danno delle difese di Nikopol, che i tedeschi dovettero abbandonare in seguito all'irruenza dell'azione
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delle truppe del maresciallo Malinovskij . I contrattacchi tedeschi nelle vicinanze di Tarnopol, stante l'esiguità delle forze, s'infransero contro le difese subito allestite dal maresciallo Zukov. Abbiamo ricordato gli esempi più noti e piu importanti, ma i contrattacchi dei tedeschi, anche quando ebbero es ito positivo, oltre non sortire effetti decisivi e dissipare inutilmente forze, risultarono addirittura dannosi perché da quelli che si concludevano con successo Hitler traeva motivo di convincersi ancora di più della validità della sua strategia, la cui inefficacia addebitava solo all'insipienza dei suoi generali. I ritardi con i quali Hitler cedeva all'evidenza produssero l'usura delle forze, costrette a resistere oltre i limiti delle possibilità di sganciamento, e furono causa delle numerose sacche Vitebsk, Minsk, Brobrujsk, Rovno, Korosten, Skala, Nikolaev, Odessa, ecc. - che i sovietici annientarono nella campagna del fango o nella successiva offensiva dell'estate. La lotta per liberarne alcune - Korsun e Skala durante l 'offen siva invernale - fu lunga e dispendiosa sia per le forze terrestri sia per quelle aeree. Quando, ritiratisi in Galizia, i tedesc hi raccorciarono la fronte ed ebbero a disposizione per l'alimentazione il fascio di comunicazioni di Leopoli, il contrattacco lungo entrambe le sponde del Dnestr per liberare le forze della 1 a armata corazzata rimaste isolate nei pressi di Skala riuscì a trarne in salvo un'aliquota, ma il sacrificio de ll'altra costò la perdita degli effettivi di 1O divisioni. L'unica decisione saggia di Hitler, durante la campagna del fango, fu quella di non evacuare la Crimea, in modo da costringere i sovietici ad impegnarvi molto forze per espugnarla distogliendole così dalla fronte principale in un momento che avrebbe potuto essere decisivo 71; ma l'abitudine dei capi tedeschi di osservare il rigido dogma di Hitler della resistenza ad oltranza indusse i comandi a difendersi a sud d ell 'istmo di Perekop anziché ripiegare subito su Sebastopoli. Con i suoi carri armati Tolbuchin non ebbe infatti difficoltà a sfondare una linea difen s iva improvvisata, che era di gran lunga troppo estesa in rapporto alle forze tedesche disponibili, e a travolgere una larga parte di queste prima che avessero il tempo di ripiegare su Sebastopoli 72. Anche qui accadde in conclusione quanto si e ra verificato con frequenza a ltrove e due a rmate tedesche andarono distrutte pressoché interame nte . Epilogo della campagna invernale e preludio di quella d 'estate furono l'attacco sferrato nella prima settimana di maggio dal II fronte ucranio ad ovest di Jasi e l'attacco iniziato il 10 giugno contro la linea Mannerheim 73 sferrato dal fronte sovietico di
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Leningrado nell'istmo di Carelia tra il lago Ladoga e il golfo di Finlandia. Il primo dei due attacchi, nel quale i sovietici impiegarono i nuovi carri armati Josif Stalin, dopo uno s fondamento iniziale della fronte tenuta dalle truppe del generale Schorner 74, venne arrestato dalla cospicua riserva corazzata agli ordini del generale Manteuffel che, applicando un'accorta tattica difensiva ba sata sugli intrinsechi vantaggi del contrattacco e sfruttando abilmente la maggiore mobilità dei suoi carri armati per compensarne l'inferiorità in termini di a rmamento e di corazzatura 75, costrinse le truppe del marescia llo Konev al ripiegamento, dopo una battaglia alla qua le presero parte circa 500 mezzi corazzati, e ristabilizzò la fronte. Il secondo attacco, dopo aver travolto una serie di successive posizioni difensive, conseguì la conquista di Viipuri e conseguentemente il controllo dell'imboccatura de ll'i s tmo, inducendo i finlandesi a d accettare le condizioni sovietiche di armistizio respinte in aprile. L'offensiva d'estate vera e propria ebbe inizio il 23 giugno, quando cioè le fo rze alleate s i erano già saldamente consolidate in Normandia. Durante la pausa sia i sovietici sia i tedeschi avevano procedu to a d un nuovo raggruppame nto deJle forze 76, ma mentre i primi e r ano stati in grado di ammassare una quantità impressionante di carri armati medi, pesanti e pesantissimi, di veicoli e di artiglierie meccanizzate e semoventi , o rdinate queste ultime in grandi unità capaci di concentrazioni di fuoco che poteva no superare addirittura il limite di un cannone al metro sugli enor mi spazi da investire, i tedeschi, che avrebbero potuto approfiuare della pausa per organizzare una posizione meno a mpia e dispendiosa e per recuperare le forze degli scacchieri ora mai chiaramente minaccia ti e che tutto lasciava prevedere che sarebbero andati persi - Stat i baltici e Stati della penisola balcanica, Lapponia, Creta, Egeo furono obbligati ancora una volta da Hitler a restare a difesa delle posizioni sulle quali erano stati respinti dall'offensiva del fango . Il successo del generale Manteuffel della prima decade di maggio aveva rafforzato, benché non ve ne fosse bisogno, la decisione di Hitler di non retrocedere di un m etro non solo nella zona di ]asi, ma neppure tra il Prut e il Dnestr cosicché le forze in Bessarabia furono costrette a restare in una posizione esposta, molto ad est d ella barriera montuosa dei Carpazi e del Varco di Calati, m entre · alle loro spalle le retrovie si andavano sfaldando sotto la pressione del popolo romeno 77. Il piano strategico dell'Al to Comando tedesco si concretò nell 'oppo rre, al centro, la massa delle forze corazzate a ll'avanzata sovietica e nel tenere ferme le a li con le forze si sito,
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che tutt'al più avrebbero potuto ripiegare lentamente, contendendo il terreno a palmo a palmo, senza attuare evacuazioni in massa. La lotta per il possesso delle strade ferrate, delle grandi vie e dei grandi nodi delle comunicazioni avrebbe dovuto avere in ogni caso il carattere proprio della manovra di arresto. Il maresciallo Stalin ed i suoi generali impostarono il piano strategico dell'offensiva di estate su di una manovra che investisse, in successione di tempo, tutta la fronte dal Baltico al Mar Nero, partendo dallo scacchiere centrale che era il più arretrato (come avevano fatto i tedeschi nel 1942) e che godeva di due cunei (imposti precedentemente dai sovietici sui fianchi dello schieramento tedesco rispettivamente nei pressi di Vitebsk e di Zlobin), per poi estendere la manovra stessa allo scacchiere nord ed allo scacchiere sud. Si trattava di una scelta ponderata con cura. Poiché il settore settentrionale - che noi abbiamo chiamato scacchiere centrale - era quello meno avanzato, qui i russi avevano alle spalle un sistema di vie di comunicazione più sviluppato e perciò più idoneo ad assicurare all'attacco il · necessario slancio iniziale 78. Il programma si mantenne aderente alla tendenza di far succedere nello spazio e nel tempo, anche sul piano strategico oltre che s u quello tattico, gli attacchi p er poi mettere in movimento l'intero teatro operativo sì da impedire al nemico il trasferimento di forze da uno scacchiere all'altro. Tale piano poté fare assegnamento, molto più di quanto non era stato possibile durante la campagna del fango, sul binomio grandi unità corazzate-artigliere semoventi e meccanizzate, per il quale fu previsto il compito di puntare diritto davanti a sé, aggirando i centri di maggiore resistenza, con l'obiettivo di tagliare le linee di comunicazione tedesche. in particolare le grandi linee ferroviarie. I centri di resistenza di maggior peso sarebbero stati liquidati dalle divisioni di fanteria. In breve, il binomio carri armati-artigliere avrebbe dovuto vedersela da solo in profondità guardandosi naturalmente dai contrattacchi sui fianchi, mentre il binomio fanteria-artiglieria avrebbe operato la rottura iniziale e, muovendo poi a distanza dietro le truppe corazzate, avrebbe annientato le sacche. Come ora vedremo, richiamando alla memoria soprattutto la battaglia principale ed elencando la successione delle conquiste sovietiche, la strategia del maresciallo Stalin conseguì grandissimi successi, facili tati dalla enorme superiorità di forze terrestri ed aeree, dalla migliorata capacità di manovra sul piano strategico e su quello tattico dei comandanti e dei comandi sovietici, dalla rusticità e primitività della logistica 79, dalla decisa determinazione
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dei capi e dei soldati sovietici di liberare la loro patria - un sentimento fortissimo come fu dato rilevare dalle migliaia di lettere di semplici soldati indirizzate ai loro parenti - e last but not least dalla folle strategia dell 'antagonista, ta nto presuntuosa, saccente e tenace, quanto fuori della realtà e della logica de lla guerra, rimasta attaccata ad una visione unilaterale e illusoria dello stato di salute della Wehrmacht. Durante l'offensiva d 'inverno il fango ed il progressivo allungarsi degli assi di rifornimento erano stati gli impedimenti maggiori alla rapida avanzata sovietica nello scacchiere meridionale. In giugno essi vennero meno ed il Comando Supremo sovietico si sentì s icuro di quanto veniva preparando. È difficile stabilire se mediante la grandiosa manovra a tenaglia - che rassomigliò in modo sorprendente a quella che i tedeschi avevano eseguito tre anni prima nella direzione opposta 80 - diretta contro lo scacchiere centrale della fronte, il Comando Supremo sovietico si fosse ripromesso a priori il ri sultato che poi ottenne o questo sia stato la conseguenza dello sviluppo degli avvenimenti. Non solo il maresciallo Montgomery, m a molti generali furono indotti a sostenere a posteriori la tesi di aver previsto con esattezza la portata dei loro successi e di averli pianificati in partenza nella misura e nel modo corrispondenti allo svolgimento dei fatti. Ma previsto o non a priori, l'esito dell'iperbolica manovra contro il centro d e llo schieramento tedesco, che e ra stato il punto forte della r esisten za della Wehrmacht nella campagna del fango - per cui i sovietici questa volta ricorsero a l metodo del punto forte contro il punto forte - ebbe carattere decisivo nei riguardi della guerra ne l teatro operativo orientale e non solo in questo. Il crollo, nell'estate del 1944, del gruppo di armate ted esche del centro ebbe, nel quadro genera le della guerra in Europa, uno sbocco risolutivo, non meno importante di quelle delle battaglie di e l Alamein e di Stalingrado, della battaglia dell'oceano Atlantico e dello sbarco in Normandi a . Congiuntamente all'Overlord, accentuò l' agonia irreversibile della Germania di Hitler. Questi aveva misurato, e continuava a farlo, l'esito delle battaglie in relazione ai territori conquistati o abbandonati, anziché alle perdite di uomini e di materiali inflitte e subite, mentre la forza delle unità della Wehrmacht era già diminuita oltre il limite minimo di tolleranza e delle 207 divisioni tedesche, di cui 25 corazzate, con le quali era stata affrontata la campagna del fango, più di 30 avevano dovuto essere sciolte, ovvero vicendevolmente integrate, mentre parte delle restanti avevano perduto più di m età
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Schizza n. 28 - L'offensiva sovietica dell'est ate 1944.
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degli effettivi e quelle di fanteria ancora in vita erano, sotto ogni profilo, esauste. Nello scacchiere centrale il gruppo di armate del maresciallo Busch 81 - che aveva preso il posto del maresciallo Kluge 82 rimasto ferito in un incidente aereo - constava di 4 armate (2\ 3a corazzata, 4a e 9a), ciascuna su 3 corpi d'armata, dei quali 2 corazzati, con un totale di circa 40 divisioni. Le armate - in particolare la 3a corazzata, la 9a e la 4a - dovevano tenere una fronte pari complessivamente a circa 700 km e le divisioni in prima schiera dovevano coprire ampiezze frontali di 25-;- 30 km. A ciò si aggiungeva il fatto che Hitler aveva disposto che Bobrujsk, Mogilev, Orsa e Vitebsk fossero considerate piazze forti, da presidiare con una divisione (Vitebsk con tre), impegnando i comandanti, con vincolo personale di giuramento, a non abbandonare il campo per propria autonoma decisione ed a combattere fino all'ultimo sangue. Un ordine che il ma resciallo Busch aveva condiviso, nonos tante le proteste dei comandi delle armate, contrar i a tale dispersione di forze letale per la densità dello schieramento e vantaggiosa per i sovietici ai fini del crollo completo dell'arco difensivo proteso verso oriente e dell'isolamento delle piazzafotti stesse. Infine, ancora il 20 giugno, nonostante che fossero chiari i preparativi dell'offensiva sovietica lungo l'intera fronte tra il Baltico ed i Carpazi, il maresciallo Keitel, riferendo il pensiero suo, di Hitler, dell' O.K.W. e dell'O.K.H. chiarì che i russi avrebbero attaccato solo quando le potenze occidentali avessero conseguito più no tevoli successi - il che si dimostrò vero - e che il punto di forza dell'azione era da prevedersi a sud e non in corrispondenza del gruppo di armate centro 83, mentre invece tutto il peso dell'offensiva sovietica ricadde inizialmente proprio sul gruppo di armate centro. Sulla base di tale ultimo preconcetto non venne dato ascolto al maresciallo Busch .c he il 14 giugno aveva segnalato i chiari indizi di un'offensiva sulla fronte del suo gruppo di armate e non aveva mancato di rappresentare l'opportunità di arretrare la fronte sulla Beresina, 150 km indietro: un simile passo indietro avrebbe messo fuori squadra la grande offensiva russa 84. L'offensiva sovietica ebbe inizio nella Russia Bianca, a nord delle paludi del Pripjat, sotto la direzione dei marescialli Vasilevskij, capo di stato maggiore generale, e Zukov, quale esponente del quartiere generale del Comando Supremo, che concordarono tra loro le ope razioni dei fronti, assumendo in proprio la direzione operativa e tecnica: il primo del / fronte baltico (complessivamente 29 grandi unità di fanteria ed 8 corazzate) e del III fronte bielorusso
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(complessivamente 43 grandi unità di fanteria e 20 .corazzate); il secondo del Il fronte bielorusso (complessivamente 16 grandi unità di fanteria e 2 reparti corazzati) e del I fronte bielorusso (complessivamente 50 grandi unità di fanteria e 13 corazzate). Inoltre, nel settore di Kovel da nord verso sud e rano scherati: l'XI corpo d 'armata corazzato, la 47 8 e la 70 3 armata, la 1a armata polacca, la .59a armata, 1'8 8 armata della guardia e la 2 8 armata corazzata. Delle forze tedesche la prima ad essere investita fu la 3 8 armata, poi fu la volta della 4a e infine de lla 9a. Vitebsk fu tagliata fuori dalle manovre convergenti del / fronte baltico e del III fronte bielorusso, operanti rispettivamente tra Polotsk e Vitebsk e tra Vitebsk e Orsa. Vitebsk venne occupata il 20 giugno e sulla fronte della 3 3 a rmata tedesca venne ape rta una breccia di 40 km, a ttraverso la qua le i sovietici penetrarono s ubito in profondità occupando il 28 Lepel, minacciando a lle spalle lo schieramento della 4a armata te desca impegnata sulla fronte dal Il fronte bielorusso e sul fianco dall'attacco del / fronte bielorusso contro la 9a annata tedesca. Questo ultimo fronte, sfondate le difese tedesche di Zlobin occupata il 26, aggirò quelle di Bobrujsk, a ttraversò la Beresina e il 2 luglio raggiunse con le sue forze mobili Stolbtsij, 65 km ad ovest di Minsk, interrompendo così la ferrovia e la stra da per Varsavia. Su Minsk intanto convergeva da nord-est il III fronte bielorusso che minacciava altresì la strad a per Vilna, mentre la 5 a armata corazzata della guardia, immessa successivamente ne l settore di sfondamento, scese fulmineamente lungo la strada Mosca-Minsk e, dopo aver coperto in due giorni quasi 130 km, il 3 luglio entrò in Minsk 85. Il 27 giugno la piazzaforte di Orsa era caduta nella mani del Il fronte bielomsso ed il 28 quella di Mogilev era s tata occupa ta dalle truppe del Il fronte bielorusso. In una settimana 30 mila uomini della Wehrmacht caddero prigionieri nel settore di sfondamneto del I fronte baltico e del III fro nte bielorusso e 24 mila in quelli del I e de l Il fronte bielorusso. Delle 4 divisioni circondate a Minsk (100 mila uomini) ben poco riuscì a sfuggire alla distruzione o alla cattura. Dopo la caduta di Minsk, l'avanzata sovietica in direzione del corso s uperiore del Niemen e d ella Polonia n on ebbe più freni in quanto i tedeschi, nonostante i tentativi praticati, non furono più in grado di contenerla. Il 5 luglio i sovietic i raggiunsero Baranovic, Molodeczno e Glubokoe, mentre dal giorno avanti il I fronte baltico aveva iniziato a risalire lungo la sinistra del Duna occupa ndo Polotsk e dirigendosi verso Dvinsk che, nonosta nte la difesa tedesca, venne conquistata. Il 12 luglio il / fronte baltico entrò in Lituania. I marescialli
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Vasilevskij e Zukov e i comandanti dei 4 fronti (generali Bagrancjan, Cervniakovskij, Sacharow, Rokosovskij) in meno di due settimane avevano liberato la Russia Bianca e messo le loro forze in condizioni di proseguire l'avanzata nel settore nord, oltre Molodeczno, su Vilna e in quello sud, oltre Baranovici, in direzione di Brest-Litovsk. Verso il 15 luglio anche la metà della Polonia nord-orientale, oltre la Russia Bianca, era già stata occupata dall'armata rossa, mentre il gruppo di armate tedesche del centro era stato praticamente distrutto. La catastrofe, nella quale furono "travolte 28 divisioni tedesche ed in cui l'esercito tedesco subì la perdita di 350 mila uomini, surclassò nella misura del doppio quella di Stalingrado 86 e produsse effetti, tanto sotto il profilo militare quanto sotto quello politico, assai più disastrosi: compromise lo schieramento tedesco nell'intero teatro operativo orientale. Nella prima decade di luglio, infatti, il Comando Supremo sovietico estese la sua offensiva a nord facendo entrare in azione il Il e il III fronte baltico e il fronte di Leningrado ed il 15 luglio estese l'offensiva anche a sud, dove il J fronte ucraino investì i settori dei gruppi di armate tedesche Ucrania nord e Ucrania sud. Nello scacchiere nord: il Il fronte baltico si lanciò a nord del Duna lungo la ferrovia Mosca-Libau e occupò Iditza (12 luglio) e Vilna (19 luglio); il III fronte baltico conquistò d 'assalto Opocka, a sud del lago Peipus, ed il J fronte bielorusso , continuando nella sua avanzata, dopo aver conquistato Kowel (7 luglio) e Pinsk (14 luglio), cominciò ad accerchiare da sud la fortezza di Brest-Litovsk. L'offensiva del 14 luglio si sviluppò in direzione di Leopoli e di Cracovia: l'ala destra scavalcò il Bug e si diresse verso Lublino e il Vistola, conver gendo con l'avanzata del I fronte bielorusso che stava marciando a sud di Brest-Litovsk, e l'ala sinistra sfondò la difesa tedesca ne i pressi di Luck e aggirò da nord Leopoli dove le truppe del J fronte ucranio entrarono il 27 luglio quando le loro avanguardie si trovavano già sul fiume San, circa 100 Km ad ovest della città. L'offensiva sovietica si sviluppò, dunque, dal Baltico ai Carpazi su di una fronte di 1000 km ed alla fine di luglio-primi di agosto essa e ra progredita di 400-500 km a seconda dei vari scacchieri. Nello scacchiere settentrionale, i sovietici il 21 luglio avevano occupato Ostrov e il 23 Pskov sulla ferrovia Varsavia-Leningrado; il 27 a vevano tagliato la ferrovia Riga-Tilsit a Savli, avevano conquistato Dvinsk e, a ttraversando il Duna e aggirando a sud Riga, erano arrivati davanti a Mitau dove erano stati arre stati da una controffensiva tedesca di 15 divisioni fresche, intorno a Savli, lungo la linea
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Riga-Mitau-Savli. Tukums e Kaunas, la capitale lituana, erano nelle mani sovietiche e forze del III fronte bielorusso erano vicine alla Prussia orientale, in corrispondenza del varco di Insterburg, mentre altre forze avevano costituito una nuova e grande testa di ponte sul Vistola, 220 km a sud di Varsavia, nei pressi di Baranovici, a nord de1la confluenza del San e del Vistola. Nello scacchiere centrale il / fronte bielorusso era entrato di slancio a Lublino (24 luglio), aveva raggiunto in più punti il Vistola e s tava piegando verso n o rd su Varsavia, dalla quale distava una sessantina di chilometri quando ve nne temporaneamente arrestato. Sopraffatta la resis tenza tedesca il giorno 31, le avanguardie del / fronte bielorusso poterono arrivare il 1 agosto nei sobborghi di Varsavia, la cui conquista, però, venne rinviata. Quando scese la notte del 1° agosto quasi tutta la ciltà era nelle mani degli abitanti insorti. Ma proprio quando s i aspettavano di vedere i russi attraversa re il fiume e accorrere in loro aiuto, essi udirono il rombo dei cannoni scemare via via d'intensità e si ritrovarono soli coi loro dubbi in un silenzio carico di funesti presagi. Poi il 10 il silenzio fu rotto da un massiccio bombardamento dal ciclo e dalla terra: i tedeschi stavano tornando, decisi a riprendere il controllo della c ittà. All'interno di Varsavia, le forze clandestine polacche, agli ordini del generale Bor, continuarono a battersi con grande tenacia, ma furono ben presto isolate in tre piccole zone; nessun aiuto provenne dall'altra sponda del fiume. È naturale che essi avessero l'impressione che i russi si astenessero deliberatamente dall'aiutarli. D'altra parte è anche comprensibile che il governo sovietico fosse tutt'altro che felice di vede re i polacchi assumere la guida della lotta per la liberazione della loro capitale dai tedeschi, e quindi sentirsi incoraggiati ad adottare un atteggiamento di maggiore indipendenza 87 . A fermare i sovietici fu forse soprattutto il sopraggiungere a Varsavia di 3 divis io ni corazzate SS fatte arrivare una dall'Italia e due dallo scacchie re meridionale. In questo ultimo scacchie re le forze sovietiche, a i primi di agosto, avevano occupato Sta nis lav e continuavano a marciare ai piedi dei Carpazi. L'offensiva sovietica dell'estate, dopo una qua rantina di giorni dall'inizio e dopo aver coperto fino a 700 km - quella che era, senza con fronti, la più lunga e rapida avanzata che i russi avessero realizzato fino a quel momento 88 - venne gradatamente spegnendosi a causa dell'allungamento delle linee di comunicazione proprio mentre i tedeschi s tavano attraversando un periodo di gravi crisi su tutte le fronti, da quella interna (allentato del 20 luglio) a quella
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esterna occidentale (apertura del breccia di Avranches) ed a quella meridionale (avanzata degli alleati in Italia). All'arresto dell'avanzata contribuì anche la ripresa dei tedeschi che, proprio dalla gravità della crisi, trassero forza per sviluppare contrattacchi e per irrigidire le resistenze. Nello scacchiere settentrionale un contrattacco della divisione corazzata del generale. Manteuffel , nell'ultima decade di agosto, si spinse da Tauroggen fino a Tukums, nel golfo di Riga, riaprendo il corridoio di ritirata del gruppo armate nord; nello scacchiere centrale, i contrattacchi tedeschi, ordinati dal nuovo comandante del gruppo armate centro, generale Model, che aveva sostituito il marescialo Busch - caduto sotto la pressione congiunta del russi di fronte e di Hitler alle spalle 89 - stabilizzarono la fronte sul Vistola e fecero fallire gli attacchi sovietici tendenti ad aprire nuovi varchi di penetrazione; nello scacchiere meridionale, invece, il 20 agosto il II fronte ucraino riprese la marc ia da J asi verso sud, lungo le due sponde del Seret in direzione di Galati, minacciando il fianco e il tergo del saliente tedesco della Bessarabia mer idiona le e il III fronte ucraino, procedendo dal basso corso del Dnestr, attaccò il saliente frontalmente. Il 27 i sovietici raggiunsero Galati, il 30 occuparono i pozzi petroliferi di Ploesti e il 31 entrarono a Bucarest, coprendo in dodici giorni 400 km ed altri 300 km nei sei giorni successivi fino alla frontiera jugoslava in corrispondenza di Turnu-Severin sul Danubio. La 6a armata te desca con un totale di 20 divisioni rimase intrappolata nel saliente della Bessarabia. Durante il mese di settembre i tre fronti ucraini - Il, III e IV (questo ultimo di nuovo inserimento) - svolsero un'ampia manovra di aggiramento, mediante la conversione dell'ala sinistra dell'intero schieramento sovietico, tendente, attraverso gli ampi spazi dell'Europa sud-orientale e centrale, ad un approccio indirett_o verso il cuore della Germania. I tedeschi sopperirono alla esiguità del rapporto forze-spazio sviluppando una manovra ritardatrice favorita dalla povertà d elle linee della penetrazione sovietic a e dalla ricchezza di ostacoli naturali. Ai tre fronti sovietici i tedeschi opposero il gruppo d i armate «E» del generale Weichs 90 e il gruppo di armate «F» del generale Loehr 91 con un totale di appena 21 divisioni, che dovettero fronteggiare, oltre le forze sovietiche e i loro rinforzi bulgari, anche le formazioni partigiane jugoslave e greche. Durante il mese di s ettembre il II fronte ucraino riuscì ad occupare la parte meridionale della Trans ilvania: da Ploesti risalì su Brasov e da Craiova su Petroseni; il 19 se ttembre arrivò a Timersvàr, mentre più ad est di Pitèst attraversò il passo di
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Cainoni nei Carpazi, raggiunse Alba-Iulia e da Brasov arrivò a Targu-Mures; 1'11 ottobre riuscì a sloggiare i tedeschi da Cluj, capitale della Transilvania, dove questi avevano combattuto tenacemente. A metà ottobre il IV fronte ucraino, forzati i passi carpatici nel tratto compreso tra il passo dei Tartari e Lupk6v, calò in Rutenia e piegò poi ad ovest per portarsi in Slovacchia. Nello stesso periodo, il III fronte ucraino, sorprendendo i tedeschi che si aspettavano di essere attaccati da sud, occupò, congiuntamente con i partigiani del maresciallo Tito, Belgrado (20 ottobre). L'occupazione di Belgrado e l'arrivo dei sovietici nella pianura ungherese coronarono la prima fase della grande conversione dell'ala meridionale dello schieramento sovietico. Il 30 ottobre il II fronte ucraino si lanciò all'attacco in direzione di Budapest muovendo con una quarantina di divisioni (comprese quelle romene) ancora distanti dalla capitale ungherese un'ottantina di chilometri. Il 4 novembre le avanguardie del II front e ucraino raggiunsero i sobborghi di Budapest, ma qui vennero bloccate dai tedeschi, che dal 16 ottobre avevano occupato militarmente il paese mettendo a capo del governo il capo del partito delle croci frecciate. Il primo novembre, partendo dai Carpazi nella zona del colle di Dukla, la linea della fronte passava ad ovest di Ungvar (occupata il 27 ottobre), a Csépe, dove i tedeschi ancora resistevano, poi correva fino a Szolnok lungo il corso del Tibisco, raggiungeva il Danubio a Dunavecse e, passando per Cegled, seguiva il Danubio fino alla confluenza con il Drava e lo attraversava ad est di Novi Sad (conquistata dai sovietici il 27 ottobre). In Jugoslavia la progressione sovietica verso ovest, dopo l'occupazione di Belgrado, era stata arrestata dalle truppe tedesche dell'armata «F» sulla linea dell'Iber (Skoplje-KraljevoValjevo-Sabac-Mitrovica) con la ferrovia Skoplje-Kraljevo e la strada di Zagabria nella mani dei tedeschi. In Grecia, le truppe del gruppo di annate «E», evacuate Atene (14) e Salonicco (21 ottobre), si trovavano nella valle del Vardar, nella regione di Veles, in fase di ripiegamento su Skoplje e in ripiegamento erano altresì i presidi della costa dalmata costretti dai partigiani del maresciallo Tito ad abbandonare Spalato (30 ottobre), Cattaro (1 novembre) e via via gli altri abitati. Dal 1 novembre in poi i tre fronti ucraini (IV, II e III) inflissero nuovi colpi ai tedeschi, ma la loro avanzata venne alla fine arrestata. Il IV fronte ucraino dette aÌlora inizio ad una difficile marcia in Slovacchia per raggiungere le valli del Vah e del Hron e per sfociare nella piana di Bratislava alle spalle delle difese occidentali di Budapest. Il I I fronte si rafforzò sul Tibisco fino a
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Szolnok e tentò l'attacco frontale di Budapest (40 divisioni, comprese quelle romene) dopo aver congiunto a Dunafoldvar la sua ala sinistra con l'ala destra del III fronte ucraino. Questo ultimo, schierato sul Danubio fino a Novi Sad, · tentò, con un largo movimento, di avanzare in direzione del lago Balaton per aggirare Budapest da sud, mentre contemporaneamente continuò, insieme alle forze del maresciallo Tito ed alle unità bulgare, la conquista della Jugoslavia. L'offensiva convergente per l'accerchiamento di Budapest ed i tentativi di occupazione della città durarono circa 2 mesi (1 novembre-25 dicembre) per effetto della resistenza opposta dalle 30 divisioni (1 O tedesche di fanteria, 14 ungheresi, 6 corazzate tedesche) del generale Friessner 92. Queste divisioni riuscirono a blocca~e gli attacchi frontali del II fronte ucraino ed i tentativi di aggirare la città sui due lati fino alla fine di novembre ed a resister e poi, accerchiate nella città, fin verso la metà del mese di febbraio del t 945. Mentre il II fronte ucr4ino del maresciallo Malinovskij attaccava frontalmente Budapest, con l' ala destra procedeva al taglio della ferrovia Budapest-Leopoli, attraverso la quale passavano i rifornimenti per le forze tedesche in Slovacchia, occupando Mezokoves d (il 13 novembre), Iaszberenj (il 15), Jaszarokszallas (il 18), Gyongyos (il 20), Diosgyo, (il 22), Miskolc (il 25). Il IV fronte ucraino il 22 novembre riuscì ad occupare Csép e il 26 Minailovce e Hummene. Il III fronte ucraino del maresciallo Tolbukhin, passato il Danubio a Dunafoldvar, Batina, Apatin, il 29 novembre sferrò una grande offensiva su di una fronte di 1SO km ed avanzò di 40 km, conquistando Pécs, Mahacs, Kaposvar, Paks e giunse il 6 dicembre al lago Balaton. Il 10 dicembre il II ed il III fronte ucraino, dopo che il II ebbe conquist ato Va.e (9 dicembre) e Balassagyarmat (10 dicembre), si congiunsero presso il lago Veleunitò. La -Werhrmacht a questo punto si trovò nell'assoluta necessità di sbarrare all'armata rossa la strada di Vienna, di mantere la disponibilità delle vie di ritirata dall'Italia e dalla Jugoslavia e di evitare l 'attacco da sud delle Boemia e il conseguente accerchiamento d elle forze in Slovacchia. Per il consolidamento della linea Szekesfehérvar-Nagykanizsa e per l'imbastitura di una posizione arretrata sui monti del Bakonyér-vald, l'O.K. W. dispose subito l'invio di nuove forze che trasse dall'Italia, dalla Germania e dalla fronte occidentale. Nel pressi di Szekesfehérvan si svolse dall'8 al 21 dicembre una grandissima battaglia, forse la più dura di tutta la campagna di Ungheria, che si concluse ;con l'occupazione da parte sovietica di Szekesfehérvar e Biczke (25 dicembre), con il
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raggiungimento del Danubio nella regione di Esztergom e con l'accerchiamento completo della guarnigione di Budapest costituita da più di 100 mila uomini. Accerchiata Budapest, sia il Il che il IV fronte sovietico tentarono di sboccare nelle piane di Bratislava e di Vienna, ma la Wehrmacht con tre divisioni corazzate impedì loro di uscire dalla valle del Garem, mentre più a nord, con altre forze, difese con successo sui monti Matras i nodi di Kassa e di Zloven. L'arresto dell'offensiva del lii fronte ucraino fu dovuto dunque alle forze del generale Weichs - gruppi di armate «E» e «F» fusi in un solo - che, ritiratesi faticosamente lungo la valle dell'Ibar, erano riuscite a passare con il grosso attraverso le valli del Lim, del Bosna e del Drina ed a mantenere, davanti all'attacco del maresciallo Tolbukhin, prima le posizioni di Vinkoci e Vukovarv e poi quelle di Nagykanizsa, ed a contrattaccare quindi i sovietici partiti dal Drava di Barks arrestandone ogni ulteriore tentativo di inseguimento e di occupazione di località che tagliassero le vie della ritirata. Il generale Weichs riuscì alla fine a concentrare 10 divisioni a Zagabria ed a schierarne altre 5 lungo la linea del Bosal per mantere il controllo della valle del Bosna fino a sud di Serajevo e di altre località tatticamente importanti dell'Erzegovina e dell'Istria. L'offensiva sovietica dell'estate, con le sua appendici autunnali nello scacchiere nord (fianco baltico) e su.d (fianco balcanico), si concluse, in definitiva, con una somma di successi sovietici, sulla intera fronte, senza precedenti nella storia militare di quelle regioni. La manovra che determinò il crollo del gruppo di annate tedesche del centro, per la sua grandiosità ed estensione, oltre che per il suo carattere decisivo, fece passare in secondo piano le manovre condotte nello scacchiere settentrionale · ed in quello meridionale che, invece, sotto il profilo politico ebbero conseguenze di maggiore rilievo e sotto il profilò militare, specialmente quella realizzata dai tre fronti ucraini, furono di ottima fattura strategica e tattica. L'avanzata delle ali non fu determinata solo dalla peculiare tendenza del Comando Supremo sovietico ad alternare nel tempo e nello spazio i movimenti offensivi, ma innanzi tutto dalla logica propria del principio della sicurezza strategica, quella cioè di ridurre i rischi ai quali sarebbe stato esposto il cuneo centrale conficcato in profondità fino al Vistola. La conquista di Dvinsk in Lettonia, di Siauliai sulla ferrovia Riga-Rastenburg, di Bialystok nella Polonia settentrionale e di Stanislav ai piedi dei Carpazi garantì il consolidamento della penetrazione centrale. L'utilizzazione, il 20 agosto, della direttrice indiretta di approccio da parte del Il fronte ucraino
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(in quel momento comandato dal maresciallo Malinovskij) e del III fronte ucraino (in quel momento comandato dal maresciallo Tolbuchin), favorita dagli avvenimenti romeni, aprì a ll'armata rossa un varco di ampiezza senza precedenti nella storia della guerra moderna attraverso il quale le fu possibile una manovra di aggiramento, mediante un' iperbolica conversione della sua ala sinistra, nella quale in quel momento venne inserito anche il I V fronte ucraino, inserimento che resta anch'esso un avvenimento senza precedenti nella storia delle guerre europee 93. A parte i grandiosi risultati politici, la m a novra dell'ala sinistra sovietica, tendente come ultimo fine alla conquista della Boemia, dell'Ungheria e dell 'Austria, mise in chiaro pericolo l'ultima speranza tedesca di guadagnare quanto meno altro tempo, perché, se il cuore dell'economia bellica tedesca ancora dava qualche pulsazione, e ra proprio in virtù di quelle regioni ch e r appresentavano le estreme risorse industriali (Boemia e Vienna) e petrolifere (Ungheria nella regione del Ba laton e Austria), dell 'arsenale di guerra tedesca 94. Non per niente l' O.K. W. aveva provveduto fin dal 1944 a costrui re a loro-copertura il Vallo sud-orientale. Non ci sembra perciò che s i debba allungare la lista degli errori strategici di Hitler inserendovi a nche l'occupazione militare dell'Ungheria, la battaglia di Budapest e quella di Vienna del marzo-aprile 1945. È vero che per liberare la guarnigione di Budapest la Wehrmacht spese in contrattacchi un numero rilevante di forze indebolendo in misura decisiva il suo fronte orientale 95, ma nel valutare il danno ch e Hitler provocò alla Wehrmacht obbligandola a difendere Budapest, occorre tenere presente anche quanto grande sarebbe sta to il vantaggio che la Germania ne avrebbe tratto se il contrattacco delle due divisioni corazzate sottratte a llo scacchiere centra le fosse riuscito ed avesse costretto i sovietici a ripiegare dalla regione ungherese. A cose fatte è fuori dubbio che la battaglia di Budap est fu un errore, ma non erano manca ti esempi , durante la stessa offensiva sovietica di estate, di contrattacchi tedeschi condotti con poche forze che avevano perseguito grandi successi: l'intervento delle 3 divis ioni corazzate «SS» di fronte a Varsavia a lla fine di luglio, le quali pe netrarono in profondità nel s aliente sovietico, resero inevitabile un ripiegamento de lle forze del saliente stesso e arginarono l'avanzata sovietica dalle teste di ponte; l'azione della divisione corazzata del generale Manteuffe l alla fine di agosto sulla frontiera della Prussia orientale, mediante la qua le venne bloccata l'avanzata sovietica verso il varco d 'Ystenburg e venne riaperto il corridoio di ritirata del gruppn di armate n nrd. La
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messa in campo nei punti critici di piccole e complete unità corazzate non aveva forse avuto, proprio durante la campagna d'estate, da entrambe le parti, un peso di gran lunga più determinante delle masse di fanteria 96? Errore più grave della sottrazione delle 2 divisioni corazzate alla riserva mobile del maresciallo Guderian 97 fu la decisione di Hitler contraria ad ogni ripiegamento sostitutivo della linea del Vistola prima dell'offensiva del maresciallo Zukov: anziché attutire la forza dell 'urto - parliamo di quello del 12 gennaio 1945 - con un tempestivo passo indietro, quella linea indebolita fu così costretta a incassare il ·colpo in tutta la sua potenza 98. Il contrattacco tedesco a favore di Budapest realizzò inizialmente notevoli progressi, poi di fronte alla rafforzata resistenza dei sovietici perse di slancio; l'errore fu protrarlo oltre tempo, risolvendolo così in un sanguinoso fallimento. In sintesi , quanto era accaduto nelle campagne precedenti nel teatro operativo dell'Europa orientale e altrove si ripeté esattamente con cronometrica precis ione anche in quella de1l'estate-autunno del 1944; la st rategia della resistenza a ogni costo, senza la disponibilità del minimo strategico e dei minimi tattici di forze e di mezzi indispensabili a realizzare il minimo di densità, di profondità e di reattiv.ità degli schieramenti difensivi, generali e settoriali, fu la causa delle cause della completa sconfitta tedesca, con conseguenze questa volta ancora più gravi in ragione del maggiore scompenso, da parte tedesca, del rapporto forze-spazio, dell'accresciuta capacità di manovra dei comandi sovietici, dell'inesauribilità delle fonti di alimentazione dell'armata rossa, ricchezza dovuta all'apporto dei grossi quantitativi di mezzi e di materiali inviati nel teatro operativo dagli alleati occidentali . Vero è che a rafforzare le monoma nie strategiche di Hitler concunsero questa volta il pericolo di perde re territori essenziali per la prosecuzione dello sforzo bellico germanico e il timore che l 'abbandono volontario di porzioni del territorio conquistato potesse produrre effetti psicologici disastrosi sulla Wehrmacht e sull'intera nazione. Ma Hitler sopravvalutò tali effetti perché malgrado tutto i tedeschi lottarono fino dentro la cinta de ll'abitato di Berlino. La loro volontà di resis tere e la loro capacità combattiva non sarebbero certamente venute meno, come di fatto non accadde in circostanze assai più tragiche, in seguito ad una o più ritirate tecnicamente giustificatissime ed effettuabili senza l'incalzare della pressione nemica: la politica della resa incondizionata e la paura della bolscevizzazione avrebbero esercitato ugualmente, se non di più, la loro incidenza positiva sul tono morale della
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intera Germania. Quando infatti l'avanzata sovietica si avvicinò e poi penetrò nel territorio nazionale e il rapporto forze-spazio divenne meno squilibrato, la Wehrmacht dette ulteriore prova della sua capacità di resistenza tanto da prolungare la guerra in Europa fino al 9 maggio del 1945.
5. L'Overlord non fu soltanto la più importante operazione anfibia mai fino ad allora intrapresa, ma innanzi tutto la manovra strategica meglio ideata e preparata di tutta la seconda guerra mondiale. Conforme ai principi tradizionali della strategia - dei quali nessuno venne trascurato - e moçlellata tenendo conto delle esperienze dei grandi condottieri del passato, la sua concezione fu tanto immaginifica, ricca cioè di feconda immaginazione, e geniale, piena cioè di talento, quanto ardita e solida, avente cioè un legame particolarmente stretto con la realtà, tanto artistica quanto scientifica e tecnica della guerra. Una concezione neJla quale la fusione dell'arte e della scienza della guerra fu tale da non consentire l'analisi diretta e separata dei due aspetti. Peculiarità, senza precedenti di eguale misura, della concezione fu di non essere il parto della mente di un genio, ma la sintesi indovinata e brillante della pluralità di idee di più capi politici e militari. La peculiarità derivò dal fatto che i capi politici del momento, in particolare il premie r inglese Wiston Churchill, avevano un'inclinazione per la strategia militare oltre che almeno fino ad allora - poi le cose mutarono - una quasi identità di vedute circa i fini politici , economici e sociali della guerra e circa la combinazione di tali fini. Nessuna -divergenza iniziale s ulla necessità di avviare un'offensiva strategica contro la Germania; molte però le discussioni circa due distinte concezioni: quella statunitense, della via diretta e breve al cuore della Germania; quella britannica, del graduale approccio indiretto previa eliminazione delJ 'Asse dal teatro opera tivo del Mediterraneo. Il presidente Roosevelt si trovò aJla fine d'accordo con il premier Churchill circa il duplice attacco nell'Africa settentrionale dando inizio, nello stesso tempo, ad un'offensiva aerea contro la Germania e alla costituzione, in Inghilte rra, di una forza terrestre-nava le-aerea da impiegare in un secondo tempo sul continente europeo. L'intesa generale raggiunta generò poi nuove divergenze circa la strategia da seguire ne ll'attacco all'Europa nell'ambi-
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to del The Combined Chiefs of Staff, costituito dai rappresentanti del Chiefs of Staff Commitee inglese e del Joint Chiefs of Staff americano, incaricato della condotta globale della guerra. Nella conferenza di Casablanca prima (14-25 gennaio 1943) ed in quella di Washington poi (12-25 maggio 1943), dopo che la conquista dell'Africa settentrionale fu conclusa ed il Medio Oriente risultò salvo, venne raggiunta, non senza l'opposi zione del Joint Chiefs of Staff americano, una intesa circa lo sfruttamento della vittoria in Africa mediante l'invasione dell'Italia come primo passo di quella dell'Europa nord-occidentale, operazione quest'ultima, alla quale fu attribuito il nome di Overlord, da effettuare nella primavera del 1944. Vari organi di comando inglesi 99, al lavoro da subito dopo il reimbarco da Dunkerque del 1940, incaricati di elaborare progetti per il ritorno delle forze inglesi nell'Europa continentale, avevano studiato a fondo per oltre due anni le reali possibilità ta ttiche e tecniche dell'attuazione del disegno strategico d'invasione del continente europeo, giungendo alla conclusione che la Normandia fosse la zona che meglio si sarebbe prestata alla fase iniziale, alla quale fu dato il nome Neptune. Fu nella conferenza di Quebec (14-24 agosto del 1943) che il presidente Roosevelt ed il premier Churchill dettero via libera alla Overlord fissandone la data per il 1° maggio del 1944. La scelta della Normandia per l'operazione Neptune, vale a dire ancora una volta di una via di a pproccio indiretto rispetto a quella di Calais e di altre, tutte più brevi e dirette, fu dovuta principalmente agli inglesi che riuscirono a far prevalere la loro tesi nel confronto con quella americana di un'offensiva che, muovendo dalla Gran Bretagna, investisse il territorio della Ruhr dopo aver preso terra nei pressi di Le Havre. Questa ultima zona venne scartata al p a ri di altre perché, sebbene segnasse la via più breve per il raggiungimento della Ruhr, non offriva le possibilità strategiche e tattiche e le condizioni topog rafiche e tecniche della Normandia. La Normandia, infatti, malgrado la sua eccentricità e distanza, offriva le migliori garanzie di realizzazione dei princ ipi strategici e contemporaneamente soddisfaceva le più importanti esigenze tattiche e tecniche dell'operazione. Era lontana dalla maggiori concentrazioni delle forze tedesche, dai punti di confluenza delle direttrici controffensive e dalle principali basi della Luftwaffe; era vicina alle coste ingles i e consentiva così l 'ampia copertura dei convogli e la costante protezione da parte della caccia sia delle forze aeree da bombardamento e da trasporto sia delle forze navali da sbarco; possedeva un grande porto - Cherbourg - ricco di attrezzatura
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moderna e capace di alimentare le forze sbarcate dal mare e dal cielo; era facilmente isolabile mediante la distruzione degli impianti ferroviari, delle vie di comunicazione, dei ponti sulla Senna e sulla Loira; consentiva di realizzare il massimo della sorpresa tattica perché i tedeschi molto verosimilmente non avrebbero valutato come azione unica e principale lo sbarco sulla penisola del Cotentin. A tali vantaggi di ordine strategico si sommavano quelli di ordine tattico, riguardanti la facile difendibilità della penisola, per la sua forma di rettangolo allungato, da parte di chi riuscisse ad attestarsi lungo l'allineamento Isigny-Lessay, l'esistenza di zone adatte alla presa di terra di paracadutisti ed all'atterraggio di truppe aviotrasportate, la minore robustezza della difesa rispetto al resto del vallo atlantico, l'agibilità della fascia costiera per i mezzi anfibi e la peculiarità delle baie per le forze mecanizzate e motorizzate. Dalla scelta della Normandia come base di partenza per lo sviluppo della manovra strategica offensiva tendente a riportare le forze alleate nella parte nord-occidentale del continente europeo, derivarono tutte le dete rminazioni successive relative a ll a pianificazione tattica e tecnica dell'intera operazione. Dopo l'ideazione, fu il lavoro di strutturazione e di organizzazione a costituire una seconda peculiarità eccezionale della Overlord, tanto molteplici, complessi, variegati e in rapporti di stretta reciprocità le variabili della parametrizzazione. Per rendere possibile l'operazione là dove gli strateghi la volevano, gli stati maggiori m ilitari chiamarono a raccolta scienziati , tecnici e industriali e la pianificazion fu il risultato dello sforzo collettivo di un'infinità di gruppi di lavoro che operarono in parallelo con l'elaborazione del piano strategico d ei capi militari. Di pari passo procedettero sia lo sviluppo dei programmi a ddestrativi delle unità destinate all'operazione in un quadro unitario interforze, sia la ricerca di applicazione de i nuovi progressi scientifici e tecnici 100 necessari a limitare al minimo i margini del rischio di uno sbarco in massa di forze motorizzate e meccanizzate sotto il fuoco nemico e in una zona minata e fortificata. L'intelligente ed accurato lavoro di preparazione concettuale, organizzativa, logistica e tec nica ridusse, m a non neutralizzò, il pericolo del fallimento, perché la fase iniziale dell 'operazione conservò le caratteristiche di difficoltà e d 'insicurezza determina te dall'attraversamento del mare e dal limitato, ancorché grandioso, numero di m ezzi da sbarco di sponibili ch e con sentivano p erciò la messa a terra di un numero limitato di divi s ioni e richiedevano il tempo di una settimana prima di poter raddoppiare questo numero. In un p rimo momento il margine t ra vittoria e disfatta fu pericolosamente ridotto 10 1.
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Il piano definitivo della Neptune - Neptune lnitial Joint Pian previde lo sbarco sulle spiagge del Calvados e della costa orientale del Cotentin, l'accerchiamento di Cherbourg, la prosecuzione della penetrazione in direzione est o sud a seconda della reazione tedesca. Per la realizzazione integrale della Overlord - raggiungimento della Senna - furono previsti tre mesi. Il primo scaglione dell'invasione fu ragguagliato in 5 divisioni via mare e in 3 via cielo, queste ultime destinate a lanciarsi nella zona periferica di Caen e nell'immediato entroterra della baia. Perché l'operazione, che comportava l'attraversamento del mare, gli sbarchi sulla costa, l'atterraggio delle truppe aviotrasportate, potesse avere luogo erano necessarie per il giorno d'inizio (D=X) condizioni meteorologiche ottimali, mentre l'ora H - momento dalla presa di terra delle truppe doveva corrispondere ad uno stato di marea moderata, al fine di poter avvistare le mine e gli altri impedimenti subacquei. L'operazione doveva godere del chiaro di luna nelle ore della notte per la migliore realizzazione dei lanci dei paracadutisti e degli atterraggi delle truppe aviotrasportate e di luce solare da mezz'ora dopo l'alba, per un'efficace bombardamento aereo e navale, della durata da 30 a 60 minuti, al fine di ammorbidire ulteriormente le difese. La zona d 'invasione venne ripartita in 5 settori: 2 per gli americani, 2 per gli inglesi, 1 per i canadesi. L'organizzazione dei movimenti e dei rifornimenti venne articolata mediante l'impiego di un complesso sistema di controlli, il quale funzionò molto bene al momento dell'azione 102, I requisiti essenziali della Neptune avrebbero comunque dovuto essere la sorpresa e la fulmineità. Il non riuscire a prendere terra o l'essere ricacciati in mare sarebbe stato fatale: non meno lo sarrebhe stato ripetere lo sbarco di Anzio, r imanere cioè sulla battigia. Principali obiettivi perciò avrebbero dovuto essere quelli di cogliere di sorpresa le difese costiere e di penetrare rapidamente in profondità, occupando contemporaneamente Cherbourg nel più breve tempo possibile. Naturalmente la Ove rlord avrebbe richiesto il suo tempo. Venne previsto che Cherbourg non avrebbe potuto essere occupata prima di 15 giorni e che il possesso di una testa di ponte estesa e profonda più di 100 km non sarebbe stato consolidato prima di 45 giorni; mentre a lla Loira si sarebbe potuti giungere solo dopo 60 giorni ed alla Senna non prima di 90 giorni. Qui si sarebbe conclusa la Overlord. Fissato a l 5 giugno il giorno D, il generale Eisenhower fu costretto a rinviarlo prima di 7 ore richiamando agli incoraggi, per le cattive condizioni meteorologiche. i con'vogli già in movime nto, poi di 24 ore, ancorché il tempo
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fosse anche questa volta tutt'altro che ideale, ma un ulteriore ritardo avrebbe obbligato a rimandare il tutto al 19 giugno o addirittura agli inizi di luglio. La decisione de l generale Eisenhower fu un atto di responsabilità coraggiosa, degno di un grande capitano di eserciti, il quale, senza mandare allo sbaraglio le proprie for.te, accetta un margine maggiore di rischio calcolato conoscendo bene l'efficienza spirituale e materiale delle sue forze. Preparata da lungo tempo dall'azione coordinata delle forze aeree strategiche e lattiche (5500 bombardie ri e 5000 caccia) che dal 1 maggio in particolare avevano martellato i centri ferroviari della Francia settentrionale e del Belgio, e, nei giorni immediatamente precedenti l'invasione, le strade e i ponti, rovesciando complessivamente più di 5 mila tonnellate di bombe sulle difese costiere del vallo atlantico, la Overlord divenne realtà concreta quando ci rea 5 mila navi da trasporto e da sbarco presero il m are da tutti i porti inglesi tra Bristol e Felixtowe e s i misero in rotta verso i punti di concentramento nella Manica, protetti da una flotta navale di 7 corazzate, 13 incrociatori, innume revoli forze leggere, fra cui 200 dragamine, e da una flotta aerea potenziale di 11 mila a pparecchi: uno spiegame nto di forze mai fino ad a llora realizzato. Prima che le forze del XII corpo d'armata statunitense (4a divisione di fanteria) nella zona Utah, del V corpo d'armata statunitense (29a e la divisione di fanteria) nella zona Omaha, del XXX corpo d'armata britannico (50a divisione di fanteria) nella zona Gold, del J corpo d'armata britannico (3 a divisione di fanteria canadese e 3a divisione di fanteria inglese) nelle zone luno e Sword prendessero terra, 1'82 a divisione paracadutisti statunitense, la 101 a divisione paracadutista statunitense e la 6a divisione paracadutista britannica erano già atterrate, con aliquote consistenti dei loro organici, rispettivamente le prime due nella zona a nord di Carentan e quella britannica nei pressi Caen per assicurare i fianchi della testa di ponte. Tra le 6.30 e le 8 unità giunte via mare, precedute da commando, iniziarono a sbarcare nelle baie sabbiose incontrando resistenze dove modeste dove tenacissime. Il comando supremo alleato si trovò in condizioni di particolarissima tensione e il D-Day fu il gio rno più critico dell'intera battaglia. Una volta avviata, la sorte dell'operazione dipendeva indubbiamente dalla condotta dei ge nerali e degli ammiragli, ma certo in maggior misura da quella dei soldati e dei sottufficiali. Il D-Day fu il giorno delle truppe, non quello dei comandi. Solo se i reparti da sbarco e quelli di paradutisti avessero potuto impegnare il nemico, sarebbe stato possibile concen-
Schizzu n. 29 - Operazione Overlord - Fase «Neptune»_
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Linea del tronte al JO Giu9no ,, ,,
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trarsi, in un tempo successivo, verso gli obiettivi più importanti, secondo concezioni direttive più alte 103. Gli alleati presero terra e non ne vennero più ricacciati, ma la tabella di marcia non fu aderente ai programmi preventivati se non per il raggiungimento della Senna che avvenne, come previsto, il 0 +90. L'inizio della battaglia delle spiagge fu promettente perché alle ore 9 dello stesso giorno dello sbarco, il 5 giugno, la difese costiere erano già state sopraffatte, ma degli obiettivi di primo tempo - Carentan, Bayeux, Caen - solo Bayeux venne occupata il 6 giugno come previsto dal piano, mentre Carentan venne conquistata solo il 12 giugno e Caen più di un mese dopo lo sbarco. Cherbourg venne conquistata il 26 giugno, cinque giorni dopo il termine previsto dal piano riveduto, e Villers-Bocage cadde definitivamente nelle mani degli alleati due mesi dopo lo sbarco. Che cosa impedì agli alleati di vincere ne i tempi previsti la battaglia delle spiagge? Naturalmente la resistenza tedesca e l'entrata in scena, nella zona di Caen, dell'unica divisione corazzata tedesca presente nell'intera Normandia al momento dello sbarco; ma l'arrivo di tale divisione fu reso possibile dal ritardo con il quale il maresciallo Montgomery, comandante del XXI gruppo di armate, dette il via alla penetrazione verso Caen e dal paralizzante ingorgo di traffico che si produsse sulle spiagge. Ancora una volta la cautela del maresciallo Montgomery fu eccessiva perché, superate brillantemente le difese costiere, le sue truppe non avrebbero incontrato nessuna resistenza ad ovest di Caen, in quanto a presidiare un tratto della fronte ampio 15 chilometri c'era solo un battaglione esplorante tedesco. Nonostante i due porti artificia li - Mulherry A a Saint Laurent e Mulberry Ba Arromanches - che consentirono di far sbarcare sulle spiagge una media di 37 mila uomini al giorno durante il mese di giugno, oltre al grosso de lle truppe che avevano toccato terra il 6 giugno - la lotta per la conquista del Cotentin e di Caen fu lunga e lenta, ma, a ennesima conferma del proverbio che non tutto il male viene per nuocere, il prolungamento della battaglia della testa di ponte tornò a loro (degli alleati) vantaggio. Infatti i tedeschi finirono col profondere in questa battaglia quasi tutte le forze di cui disponevano nel teatro occidentale, ma a causa delle divergenze di opinioni esistenti all'interno del loro Alto Comando e della costante azione di disturbo e di neutralizzazione svolta dall'aviazione alleata (che ormai operava virtualmente indis turba ta) lo fece ro in modo frammentario. Le divisioni corazzate, arrivate per prime e impiegate per turare l e falle, furono anche le prime ad essere messe fuori
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combattimento, e ciò privò i tedeschi di quell'arma mobile che sarebbe stata loro indispensabile più tardi, quando si trattò di cominciare a combattere su terreno aperto. La caparbia resistenza che ritar-dò in misura così rilevante l'attacco degli alleati dalla testa di ponte fu proprio il fattore che, una volta scattato l'attacco, spianò loro. la vta per- una rapida avanzata attraverso la Francia 104: una sintesi tanto stringata quanto completa dell'andamento della intera battaglia di Francia fino alla mancata battaglia della Senna, nonché delle ragioni di fondo della sconfitta tedesca in Normandia. Il successo della Overlord fu determinato, oltre che dai fattori che abbiamo ricordato - paralisi dei trasporti e dei movimenti tedeschi da parte delle forze aeree alleate, larghezza della concezione strategica, minuziosità della preparazione, ardimento strategico dello SHAEF e del suo comandante, generale Eisenhower, do minio navale e aereo, ricchezza di forze e di mezzi peraltro limitata inizialmente quanto al numero dei mezzi da sbarco, eccellente meccanismo della Neptune , preminenza dei valori intellettuali e morali rispetto a quelli materiali e tecnici , peraltro valorizzati al massimo, grado di addestramento delle truppe molto e levato, costituzione dei porti artificiali, a zioni dei partigia ni francesi, ecc. - anche, e in misura dete rminante, dalla realizzazione della sorpresa tattica, che sarebbe mancata se non fosse stato mantenuto il segreto più impenetrabile, e dagli errori d'impos tazione di organizzazione di condotta - taluni derivanti proprio dal segreto saputo mantenere dagli alleati e dal continuo timore tedesco di un secondo sbarco - della manovra strategica difensiva dell'O.K.W .. Il successo alleato nel realizzare la sorpresa fu un capolavoro di serietà, di professionalità, di inventiva e di astuzia. A p arte l'enorme vantaggio derivato dall'aver saputo mentenere il segr eto circa la zona prescelta per l 'invasione, le diversioni di più specie, iniziate qualche tempo prima del giorno De continuate durante la maggior parte dell'operazione, centrarono pienamente lo scopo e valsero a tenere lontani dalla Normandia, durante le prime settimane della Ove rlord, i maggiori nuclei di forze ted esche presenti n el teatro occidentale. Le appariscenti concentrazioni di forze, reali e fittizie, nei porti inglesi sud-orientali, le frequenti azioni esplorative nella zona di Calais, l 'ancoraggio nei porti sud-orientali invece che in quelli sud-occidentali delle installazioni portuali artificiali, il mutamento dei nomi di alcune organizzazioni per lascia r crede re che ve ne fossero a ltre analoghe per il settore del p asso di Calais, la sostituzione della sigla del / gruppo di armate con quella di XII gruppo di armate per d a re
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l'impressione che in Inghilterra fossero presenti due e non un solo gruppo di armate americane (uno per la Normandia e uno per Calais), l'utilizzazione del traffico radio per ingannare gli operatori delle radio-intercettazioni tedesche con fittizie divisioni e inesistenti comandi su territorio inglese, l'impiego dei commando anche s u spiagge diverse da quelle dell'invasione, le altre diversioni sulle spiagge di Calais e del Belgio, il lancio di fantocci con paracadute, ecc. costituirono i mezzi fondamentali per conservare il segreto e per ingannare i tedeschi. Gli alleati riuscirono così anche a convincere i tedeschi che lo sbarco in Normandia costituiva solo un'azione diversiva di alleggerimento e non il centro operativo fondamentale di gravità che si sarebbe invece manifestato in qualche giorno di luglio in corrispondenza del passo di Calais. Gli unici dei capi tedeschi a intuire che lo sbarco sarebbe avvenuto in Normandia furono Hitler ed il maresciallo Rommel. Hitler ammonì fin dal mese di marzo i generali circa la possibilità di uno sbarco tra Cherbourg e Caen sulla base della disposizione generale delle forze alleate in Inghilterra, della presenza del porto di Cherbourg e del rapporto inviato da alcuni osservatori che avevano assistito ad un'esercitazione nel Devon, nel corso della quale le truppe erano sbarcate su di un tratto di costa aperto e pianeggiante con caratteristiche, molto analoghe a quelle della costa normanna 105, Il maresciallo Rommel, incaricato ai primi del 1944 di effettuare una ispezione di tutte le installazioni difensive realizzate dalla costa della Danimarca fino al confine spagnolo sulla base degli ordini impartiti da Hitler nel settembre del 1943, diede un forte impulso a tali installazioni che erano andate avanti con grande lentezza, ma non fece in tempo a portare a compimento l'intero progetto di ostacoli subacquei, fortini a prova di bomba, campi minati, reticolati ecc. per cui in giugno, pur essendo le opere molto più folte e robuste di quanto non lo fossero state alla fine dell'inverno, non avevano raggiunto il grado di sviluppo di quelle del settore della Senna. Al momento d'inizio della Overlord le forze tedesche, dai Paesi Bassi ai Pirenei, comprendevano 58 divisioni, delle quali 10 corazzate. Il comando del teatro operativo occidentale era stato affidato al maresciallo Rundstedt 106, che aveva ai suoi ordini il maresciallo Rommel 107 per lo scacchiere nord ed il generale von Blaskowitz 108 per lo scacchiere sud (con sede del comando a Tolosa). Il maresciallo Rundstedt disponeva di 4 armate: la 15 a in corrispondenza della costa franco-belga della Manica, la 7a in Normandia e Bretagna, la 1 a sulla costa atlantica della Francia
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occidentale, la 19a sulla costa francese della riviera. La 7a e la 15a erano raggruppate nel gruppo di armate «B», la 1a e la 19 3 nel gruppo di armate «G». Delle 58 divisioni, metà erano di tipo statico, ancorate cioè a determinati settori dei 5 mila chilometri di costa; l'altra metà era costituita da divisioni da campagna. Il gruppo corazzato Ovest costituiva riserva dell'O.K.W. e l'impiego delle sue unità era perciò vincolato al preventivo benestare di Hitler. Le truppe di sicurezza, le unità SS e le forze di polizia dipendevano direttamente dall'O.K.W. ovvero dal Reichsfii.hrer SS. La marina da guerra era inquadrata nel Marine-Gruppenkommando Ovest dal quale dipendevano le forze navali, le batterie costiere e le installazioni su terraferma della marina. La Luftwaffe compredeva 4 corpi d'armata aerei e un corpo d'armata di artiglieria contraerei inquadrati nel III Luftwaffe-Kommando. Nell'ambito del comando operativo esercitato dal comandante supremo Ovest e delle divisioni subordinate alle armate si determinarono altre difficoltà per il fallo che le unità SS dipendevano militarmente dall'ufficio superiore SS e quelle del II corpo paracadutisti dalla Luftwaffe. La difesa costiera costituiva del pari una questione assai complicata, perché le batterie dipendevano in parte dai comandanti dell'artiglieria delle unità dell'esercito dislocate lungo la costa, in parte dai comandanti della marina cui erano affidati i settori costieri, in parte dalle unità contraerei della Luftwaffe. Nell'ambito della marina d'altro canto gli U-Boote del comandante dell'arma subacquea Ovest, predisposti per la difesa contro l'invasione dei porti di Brest, Lorient e Saint Nazaire, non ricevevano gli ordini dal gruppo Ovest, bensì direttamente dal comando supremo dell'arma subacquea presso il comando della guerra navale 109. Un vero guazzabuglio! Le divergenze di vedute circa l'impostazione della manovra difensiva strategica - il maresciallo Rundstedt prevedeva una controffensiva generale dopo lo sbarco; il maresciallo Rommel riteneva che una tale controffensiva sarebbe stata tardiva ed aleatoria stante la supremazia aerea degli alJeati e che perciò occorreva sventare lo sbarco sulla costa, prima che gli invasori avessero il tempo di organizzarsi e rafforzarsi - portò ad un compromesso che non fu una soluzione se non del tipo di quella dell'asino di Buridano I 10. Il maresciallo Rommel ebbe comunque a disposizione inizialmente una sola divisione corazzata che trasferì nelle vicinanze di Caen e con la quale riuscì a bloccare l'avanzata inglese nel settore il giorno D. Invano egli aveva chiesto che gliene fosse concessa un'altra da schierare nei pressi di Saint-Lo, vicino
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alle spiagge sulle quali sarebbero poi sbarcati gli americani. Nel D-Day i tedeschi sprecarono ore preziose in lunghe discussioni. La più vicina unità disponibile della riserva generale era il I corpo corazzato SS che si trovava a nord-ovest di Parigi, ma Rundstedt non poteva spostarlo senza il preventivo consenso del quartier generale di Hitler 111, Oltre tutto ciò e a ltri contrattempi 112, furono l'incertezza generale in ordine a llo effettivo obiettivo dell'ope razione alleata - a ttesa di un ulteriore sbarco nel settore tra Boulogne e le foci della Senna - e l'irriducibile avversione di Hitler all'abbandono dei territori occupati a facilitare il successo della Neptune e dell'intera Overlord. Quando i marescialli Runds tedt e Rommel, convinti dell'inutilità della difesa di una linea situata così ad ovest, pregarono Hitler di andare da loro in Francia pe r uno scambio di vedute, questi si recò a Soisson e il 17 giugno, 17 giorni dopo lo sbarco, confermò l'ordine - dovete restare dove vi trovate - di restare aggrappati ad una linea oramai in sfacelo e negò ogni libertà d'iniziativa nello spostare le riserve, pretendendo di continuare lui a dirigere le operazioni da Berchtesgaden. Successivamente, quando la pressione alleata si fece incontenibile e dal quartier generale di Hitler venne chiesto al maresciallo Rundstedt che cosa si potesse fare, il maresciallo tedesco replicò: far cessare la guerra. Cos'altro potreste fare?. Il maresciallo Rundstedt venne esonerato e sostituito dal maresciallo von Kluge che, caduto in sospetto in seguito all'attentato de l 20 luglio, venne esonerato dopo il fallito tentativo tedesco di chiudere la fall a di Avranches e si uccise qualche giorno dopo inghiottendo una capsula di veleno, convinto di venire a r res tato non appena rientrato in Germania. Le contromosse iniziali tedesche riuscirono a bloccare gli inglesi davanti a Caen, Troarn, Caumont, Tilly-sur-Seulles ed il 25 giugno la linea di contatto tra le opposte forze si s nodava grosso modo lungo Portbail-sud ovest di Carenton-sud di Is igny-CaumontLivry-Tilly sur Se ulles-Bretteville sur Odon-nord di Caen-Ranvillema re. Un mese dopo, il 25 luglio, gli alleati erano riusciti ad avanzare fino all'allinea mento sud di La H aye du Puits-nord di Périers-St. Lò-Caumont-Lyvry-Bretteville su r Odon-Troarn-ma re. La seconda battaglia di Caen era durata da l 28 giugno al 9 luglio e, diversa mente da lla prima dura ta dal 7 al 16 giugno e conclusasi con il fallimento degli a lleati, con seguì l'occupazione della parte della città di riva sinistra de ll 'Orne. Frattanto entrambe le parti avevano r icevuto cospicui rinforzi e, mentre gli alleati venivano apprestandosi per tenta re lo sfondamento delle posizioni te desche al fine
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di sortire dalla testa di sbarco, i tedeschi, che si aspettavano il colpo ad est di Caen, venivano rafforzando le loro posizioni in profondità, ma furono poi costretti a trasferire da Caen a Saint-Lo una divisione corazzata per parare la minaccia che gli americani vi esercitavano tendendo a Périers e a Lessay. Nel settore di Caen l'operazione di sfondamento cominciò il 18 luglio con un attacco delle forze inglesi e canadesi della 2a armata del generale Dempsey 113, preceduto dal bombardamento di 1700 bombardieri che investirono le posizioni tedesche, frastornandone i difensori con la più massiccia incursione a bassa quota che fosse mai stata realizzata fino ad allora; tale azione di fuoco precedette il violento attacco dei mezzi corazzati del VII corpo d'armata britannico (tre divisioni corazzate) contro la zona critica a sud di Caen, appoggiato in corrispondenza delle ali dal / corpo d'armata britannico e dal II canadese 114. Si trattò del più massiccio attacco di carri armati dell'intera campagna dato che vi parteciparono ben tre divisioni corazzate 11 5. Il formidabile attacco, apertosi con brillanti prospettive per i successi riportati contro la fascia avanzata delle difese tedesche, venne arrestato fin dal pomeriggio nelle fasce arretrate e si risolse in un grave insuccesso, cui fecero subito seguito burrascose polemic he nell'ambito dello SHAEF tra il maresciallo Montgomery ed il generale Dempsey da una parte cd il generale Eisenhower ed il marescillao Tedder dall'altra e tra comandi inglesi e comandi statunitensi. Il maresciallo Montgomery negò a posteriori che la sua intenzione fosse stata quella di uno sfondamento, ma sostenne che il suo scopo era stato solo quello di ingaggiare una battaglia di logoramento 116. Nella realtà tale ultimo obiettivo venne conseguito perché sebbene gli inglesi e i canadesi riportassero perdite superiori a quelle tedesche, ad uscire più logorata dalla battaglia di Caen fu certamente la Wehrmacht in quanto non in grado, diversamente dagli alleati, di ripianare le perdite umane e di reintegrare quelle dei mezzi e dei materiali 117. Il giorno prima dell'inizio della battaglia, il maresciallo Rommel era stato ferito durante un'azione aerea effettuata dagli inglesi presso il villaggio di Sainte Foy de Montgomery. Sebbene conclusasi con l'insuccesso più evidente, l'offensiva della 2a armata inglese funzionò da piano di copertura - come disse a posteriori il generale Dempsey - all'offensiva della 1 a armata statunitense del generale Bradley 118, armata articolata in quel periodo su 4 corpi d'armata (V, VII, VIII e XIX, questo ultimo in riserva) con un totale di 4 divisioni corazzate e 11 divisioni di fanteria. La 1 a armata il
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25 luglio sferrò ad ovest di Saint Lò una grande offensiva, il cui inizio venne segnato da un bombardamento aereo di 1500 bombardieri pesanti dell'8a USAAF e 1000 bombardieri leggeri che lanciarono più di 4 mila tonnellate di bombe. Frattanto la 3a armata (XV e XX corpo d'armata) del generale Patton 119, da poco sbarcata, si tenne pronta a lanciarsi a sua volta in avanti. Le truppe della 1 a armata, il 27 luglio conquistarono Lessay e Périers ed il 28 Coutànces cosicché il marersciallo Kluge fu costretto a ridurre al minino le difese della linea Granville-Vire, abbandonando il Cotentin, ed a parare la minaccia di accerchiamento della sua 7a armata, che tra il 27 ed il 28 luglio egli dové ritirare verso sud-est. Le tre divisioni di fanteria del VII corpo d'armata americano avevano rotta la fronte in corrispondenza delle difese del LXXXIV corpo d'armata tedesco e due divisioni corazzate della 3a armata del generale Patton, infilatesi nella brecia, si erano spinte audacemente in profondità, senza neppure preoccuparsi della sicurezza del fianco sinistro, raggiungendo il 31 luglio Avranches, il 1° agosto Pontaubault e dilagando nella Bretagna verso Rennes (occupata il 2 agosto), Nantes e Brest. Rotta la fronte, la 1 a armata aveva subito intrapreso l'inseguimento con il V corpo all'ala sinistra a contatto con l'VIII corpo britannico che si era mosso contro le Beny Bocage, il VII corpo al centro verso Villedieu e Brecey, l'Vlll corpo all'ala destra verso la costa occidentale della penisola del Cotentin. Per permettere al generale Patton d'inserirsi con le due divisoni corazzate nello schieramento avanzato, la 1a armata, dopo l'occupazione di Avranches, aveva effettuato una conversione verso est, su Vire, Mor ta io e Domfront. Il 1 agosto anche l'V/// corpo d'armata americano della 1a armata passò all'azione alle dipendenze della 3a armata e poi, come unità indipendente, accerchiò Brest e Lorient. La diversione per conquistare i porti della Bretagna non comportò alcun beneficio. Infatti a Brest i tedeschi resistetteto fino al 19 settembre (quarantaquattro giorni dopo che Patton ne aveva prematuramente annunciato la conquista), mentre Lorient e St. Nazaire rimasero nelle mani dei tedeschi fino alla fine de lla guerra 120. Quando la situazione si fece critica per i tedeschi, a causa dell'impegno frontale e del lento movimento verso sud del XXI gruppo di armate inglesi e, soprattutto, della fluida avanzata lungo il fianco sinistro dello schieramento tedesco da parte della 1 a e della 3a armata americane, e quando si prospettò il pericolo di una nuova trappola , il maresciallo Kluge dec ise d'impiegare la 5a armata corazzata del generale Eberbbach 12 1 - con 4 divisioni
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Schizzo n. 31 - Linee di contatto sulla fronte occidentale dal 15 settembre
al 15 dicembre 1944.
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corazzate - contro la 1 a armata americana nel settore di Mortain allo scopo di riconquistare Avranches e di spezzare la fronte alleata. Il 6 agosto i tedeschi dettero il via alla controffensiva mediante lo sviluppo di una manovra di sorpresa, audace e brillante, che poco mancò non travolgesse le forze del XXII gruppo di armate del generale Bradley 122 spintesi troppo spericolatamente in profondità con il fianco sinistro scoperto. Se le avanguardie tedesche fossero riuscite ad avanzare per un'altra ventina di chilometri, gli alleati sarebbero andati incontro ad un disastro, mentre le divisioni del generale Bradley riuscirono invece, con l'ausilio dei cacciabombardieri Typhoon, ad arrestare l'avanzata delle divisioni corazzate tedesche. Il maresciallo Montgomery ordinò allora alla 1 a armata canadese, inseritasi sulla sinistra della 2 a armata inglese, di muovere verso sud in direzione di Falaise ed al XV corpo d'armata americano della 3° armata di effettuare una s tretta conversione verso nord. Il 19 luglio unità della 1 a armata canadese provenienti da Falaise e unità della 1 a armala americana provenienti da Argentan si congiunsero presso Chambois chiudendo in un una sacca la 7 3 armata tedesca ed una parte della 5a armata corazzata tedesca. È evidente che le forze tedesche avrebbero avuto tutto il tempo di ripiegare sulla Senna e organizzarvi una solida barriera difensiva, se non fosse stato per la folle ostinazione di Hitler, il quale continuava ad ordinare che non ci doveva essere nessun ripiegamento 123. La battaglia della sacca di Falaise, come la denominarono gli alleati, costò ai tedeschi dai 100 ai 125 mila prigionieri, ma il danno maggiore subito dalla Wehrmacht fu che da quel momento fino al mese di settembre non ·fu più in grado di opporsi efficacemente e con qualche risultato positivo all'avanzata degli alleati che, entro l'estate, riuscirono a liberare gran parte del territorio francese ed a coronare vittoriosamente la ben più importante battaglia di Francia. Mentre i tedeschi combattevano strenuamente per mantenersi a perta la via di ritirata dalla sacca di Falaise: la 3° armata americana raggiunse la Senna e occupò la riva sinistra del fiume a nord di Parigi; la 1 a armata americana, una settimana dopo la chiusura della sacca di Falaise mosse in direzione di Rouen e il 25 agosto raggiunse la Senna congiungendosi con la 1 a armata canadese che andava aprendosi .l a strada combattendo lungo la costa della Manica; la 2° armata inglese nel tardo pomeriggio del 3 settembre entrò in Bruxelles e il giorno dopo occupò Anversa. Il 25 agosto il comandante tedesco della guarnigione di Parigi consegnò la città
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agli alleati; il 30 agosto l'ala sinistra della 1a armata canadese, dopo la conquista di Rouen, effettuò una conversione in direzione di Le Havre e del passo di Calais, mentre l'ala destra mosse verso Abbéville e Gand. La J a armata americana, sulla linea della fronte tra la 3 a armata americana e la 2 a inglese, muovendo da Parigi, il 3 settembre mise anch'essa piede nel Belgio centrale e meridionale e nel Lussemburgo. Il 15 agosto, frattanto, aveva avuto inizio l'invasione della Francia meridionale - operazione Anvil, la cui effettuazione fu del tutto superflua per cui sarebbe stato molto meglio non sottrarre le forze e i mezzi che vi vennero impiegati dallo scacchiere italiano o utilizzarli altrimenti 124 - con lo sbarco di forze nel tratto di costa compreso tra 50 e 65 chilometri ad est di Tolone. Precedute dagli attacchi aerei preparatori e dal lancio di oltre 2000 paracadutisti nei dintorni di Cannes e appoggiate dal cielo dalle forze aeree di 7 portaerei inglesi e 2 americane - questa fu una novità assoluta nelle operazioni tattiche alleate in Europa 125 - le forze anfibie sbarcarono senza incontrare una grande resistenza, in quanto i bombardamenti delle navi da guerra ed il fuoco di copertura di queste attuarono un'efficace neutralizzazione delle tre divisioni tedesche schierate nella zona degli sbarchi. Le forze anfibie procedettero quindi verso l'entroterra rapidamente e senza gravi difficoltà in seguito alla ritirata della 19a armata tedesca ordinata, una volta tanto, dall'O.K.W .. Le 3 divisioni del VI corpo d 'armata americano risalirono la valle del Rodano; le divisioni del II corpo d'armata francese, a sinistra del VI corpo americano, il 22 agosto liberarono Tolone. Il 3 settembre venne liberata Marsiglia e da qui le forze francesi si mossero verso Avignone. Il 7 settembre la 7a armata americana si congiunse con la 3a ed occupò le posizioni non ancora presidiate in corrispondenza del confine franco-svizzero. Dal particolare momento in cui gli alleati avevano superato la Senna l'esito della battaglia di Francia, indipendentemente dall'Anvil, era segnato. I tedeschi sull'intera fronte investita dal XXI gruppo di armate inglesi e dal XII gruppo d'armate americane disponevano, dopo l'annientamento della sacca di Falaise, di un centinaio o poco più di carri armati in condizioni di combattimento e di 570 aerei contro rispettivamente i 2 mila carri armati ed i 14 mila aerei degli alleati che perciò godevano di una superiorità effettiva di 20 a 1 in carri e di 25 a 1 in aerei 126. Wehrmacht e Luftwaffe avevano gettato quasi tutto nella battaglia della Normandia, del cui esito disastroso il vero responsabile era stato Hitler che ne volle, invece, addebitare la colpa al maresciallo Kluge sostituen-
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dolo con il maresciallo Model. L' arrivo degli alleati a Bruxelles, Anversa, Namur sulla Mosa, Metz a 60 km ad est di Verdun ed alla Mosella - in località insomma distanti dal 150 ai 160 km dal Reno e appena 50 km dalla Saar - segnò il termine della loro avanzata. Ciò dipese soprattutto da tre fattori: insufficienza strategica nella condotta delle operazioni in tale fase; cattiva organizzazione dei rifornimenti, specialmente dei carburanti; un certo rilassamento delle unità affaticate dalla lunga rapida marcia e sicure di avere già vinto. La pausa di circa 2 settimane concessa fino verso l'inizio dell'ultima decade di settembre ai tedeschi - in particolare la pausa dal 4 al 7 settembre del XXI gruppo d'armate - dette modo ai tedeschi stessi di riorganizzarsi sia a nord sia a sud e li mise in grado di difendersi lungo l'intera fronte, addirittura di passare alla controffensiva e comunque di ritardare la fine della guerra di altri nove mesi. Una condotta strategica accorta non si sarebbe lasciata sfuggire l'occasione irripetibile di un varco indifeso, largo 160 km, apertosi alla fine di agosto davanti al XXI gruppo di armate inglesi, attraverso il quale sarebbe stato possibile puntare sul Reno, sul cui tergo non c'erano in quel momento forze tedesche, e penetrare nella Ruhr la cui occupazione avrebbe impedito l'ulteriore alimentazione dello sforzo bellico Leùe::sco. L'improvvisa penetrazione fino ad Anversa delle divisioni corazzate inglesi Guardie e 11a aveva colto di sorpresa l'O.K.W. che in quel momento non aveva riserve. Hitler, che il 4 settembre era presso il quartier generale del teatro operativo orientale, telefonò al generale Student 127 e gli ordinò di prendere il comando del settore scoperto tra Anversa e Maastricht e di costituire una linea difensiva lungo il canale Alberto, raccogliendo quante truppe gli fosse possibile dalle guarnigioni dei Paesi Bassi e dalle unità paracadutiste in addestramento in Germania. Il generale tedesco riuscì a raccogliere sì e no la forza di una divisione (18 mila uomini circa) e 25 mezzi corazzati tra carri armati e semoventi 128. A sud, nel tratto di 130 km tra Aquisgrana e Metz, i tedeschi riuscirono a schierare non più di 8 battaglioni disseminandoli nelle boscose colline delle Ardenne. Sarebbe bastato poco per sfondare ed arrivare al Reno dove frattanto, nonostante l'enorme inferiorità delle loro risorse, i tedeschi cominciavano ad ammassare uomini e mezzi. Quel poco mancò anche per il dissidio apertosi tra il maresciallo Montgomery ed il generale Bradley durante la fallita offensiva sferrata dal maresciallo inglese nel luglio e mai più composto successivamente. Alla metà di agosto le divergenze di vedute tra i due si erano fatte ancora più acute in merito alle
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direttrici che le armate avrebbero dovuto seguire dopo il superamento della Senna. Il 17 agosto Montgomery - che anche dopo la costituzione dei due gruppi di armate (XII americano e XXI inglese) continuava ad esercitare, per delega del generale Eisenhower, il controllo operativo e il coordinamneto tattico di ambedue i gruppi - aveva detto al generale Bradley: una volta auraversata la Senna, il XII e il XXI gruppo di armate dovrebbero restare uniti, in modo di formare una massa compatta di 40 divisioni che non avrebbero più paura di nessuno. Queste forze dovrebbero avanzare verso nord, in direzione di Anversa e Aquisgrana appoggiando il fianco destro sulle Ardenne... Già da tempo, però, Bradley stava discutendo con Patton l'idea di una puntata verso est, che, attraversando la Saar, raggiungesse il Reno a sud di Francoforte. Bradley avrebbe volulo che questo fosse l'attacco principale e che ad esso prendessero parte ambedue le armate americane. Ciò avrebbe ridotto ad un ruolo secondario l'attacco settentrionale, e naturalmente la cosa non piaceva a Montgomery. Inoltre questa direttrice d 'avanzata non avrebbe condotto direttamente alla Ruhr 129. La decisione di compromesso del generale Eisenhower fu c he in un primo tempo venisse data la precedenza all'avanzata in Belgio del XXI gruppo di armate inglese il cui fianco sarebbe stato protetto dalla 1 a armata americana la quale avrebbe così proceduto di pari passo e che, una volta conquistata Anversa, s i sarebbe tornati al piano inizia le dell 'avanzata generale verso il Reno su di una fronte molto ampia s ia a nord sia a sud delle Arde nne. La precedenza ne i rifornimenti venne data conseguentemente al XXI gruppo di armate e, nell'ambito de l XII gruppo, alla 1a armata del generale Hodges, sacrificando quella del generale Patton 130 che il 31 agosto res tò con i serbatoi dei carri a rmati e degli automezzi vuoti. Ma le cause del mancato sfruttamento della favorevolissima occasione furono, secondo il Liddel H art, da l quale veniamo attingendo la gran parte de i da ti, anche a ltre, quali: le predisposizioni per un piano di lancio di ingenti forze a viotrasportare nei pressi di Tournai, a sud di Bruxelles, in appoggio all'offensiva verso nord, a causa del quale piano vennero sospesi pe r 6 giorni i rifornimenti pe r via ae rea d elle armate in avanzata (il piano non venne poi effettuato pe rché le forze di terra procedettero rapida mente da sole alla conquista di Bruxelles); l'elevata quota di tonnellaggio dei traspo rti assegna ta alle munizioni m e no necessarie in quel momento del carbura nte; l'improvviso manifestarsi di difetti nei pistoni di 1400 a utocarri da 3 tonnellate come pure la scarsezza de i ricambi, con la riduzione di 800 tonnella te di rifornimenti quotidiani; l'a bitudine
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dei comandi inglesi e americani a supervalutare il gravame dei rifornimenti (700 t giornaliere per ogni divisione, delle quali 520 per la prima linea) e lo spreco di materiali da parte dei loro soldati; l'inspiegabile inerzia dell'Ha divisione corazzata inglese che, dopo la liberazione di Anversa, attese due giorni prima di procedere verso i ponti sul canale Alberto che i tedeschi ebbero il tempo di far saltare; il mancato inseguimento dei resti della 15a armata tedesca, i quali furono lasciati liberi di ripiegare verso nord, di traghettare oltre l'estuario dello Schelda e, messisi in salvo attraverso l'istmo della penisoletta di Beveland, di rafforzare la fronte tedesca in Olanda, concorrendo così al fallimento dell'offensiva sferrata il giorno 17 settembre dal maresciallo Montgomery. A tale offensiva prese parte la 1a armata aviotrasportata, da poco costituita, con il lancio della 1a divisione paracadutisti inglese nella zona di Arnhem. La divisione rimase tagliata fuori e costretta ad arrendersi in seguito all'arresto, per la resistenza tedesca, dell'avanzata della 2a armata inglese. L'offensiva del maresciallo Montgomery fallì, inoltre, perché si era di ffuso un po' in tutti lo stato d'animo di chi è sicuro di avere già vinto e perché la 1 a armata americana, impaniatasi nella ragnatela di fortificazioni e di miniere di carbone intorno ad Aquisgrana non fu in grado di <lare alcun concorso all'azione delle truppe inglesi e canadesi in quanto, voluta impiegare dal maresciallo Montgomery a nord de lle Ardenne, non trovò spazio per manovrare e per aggirare lo scoglio di Aquisgrana 131. La Overlord resta, nonostante il mancato completo sfruttamento del successo, la più grandiosa e brillante manovra degli alleati nella seconda guerra mondiale e, per quanto ha tratto alla concezione, preparazione e organizzazione degli uomini e dei mezzi, l'operazione strategica e logistica più complessa e difficoltosa e, ma lgrado ciò, la più ricca di risultati decisivi. Fu in altissimo grado ricca di genio scientifico, come d'idee, tanto in campo operativo, come in quello tattico. Indubbiamente nel quadro della valuta zione storica, occupa un posto alla pari con le più note battaglie della storia dell'umanità 132_ Il dominio dell'aria e del mare fu determinante, ma non meno lo fu la superiorità numerica degli uomini e dei mezzi per il combattimento sulla terraferma. La battaglia di Normandia fu vinta dagli alleati perché la loro tempo ranea inferiorità di forze terrestri fu compensata dalla loro schiacciante superiorità aerea. Tale battaglia ebbe momenti critici e poco mancò che avesse un esito diverso; l'impiego a spizzico delle divisioni corazzate tedesche e, soprattutto, il mancato ripiegamento a l momento dovuto della
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7a armata e della 5a armata corazzata tedesche tradussero in disastro quella che avrebbe potuto essere solo una sconfitta, sia pure molto grave. Dopo il superamento della Senna, il tono della condotta strategica delle operazioni da parte dei comandi alleati calò, sia per la sopravvalutazione della vittoria ottenuta che • se le armate alleate avessero conquistasarebbe stata completa solo to la Ruhr, sia per le divergenze di opinioni - che erano in realtà contrasti di interessi nazionalistici e spesso addirittura conflitti di gelosia e di prestigio personale - tra i comandi inglesi e americani e, in particolare, tra il maresciallo Montgomery ed i generali Bradley e Patton. Forse, dal punto di vista della pura teoria strategica, il piano della spallata unica e concentrata a nord del maresciallo Montgomery sarebbe stato più valido di quello dei generali Bradley e Patton dello sforzo principale a sud attraverso la Saar, ma con riferimento alla situazione tedesca del momento il disegno strategico dei generali americani teneva molto più conto della realtà. Non si può dire che cosa sarebbe avvenuto qualora la tesi degli americani fosse prevalsa, mentre è chiaro che l'avere rallentato il ritmo e la pressione dell'inseguimento - può bastare
un giorno di pausa a far sì che l'occasione favorevole svanisca del tutto 133 - prolungò di 9 mesi la guerra, come riconobbero successivamente anche molti generali tedeschi 134. Commentò il generale Patton: non si fanno i piani per poi tentare di adeguare a essi le ci rcostanze: si cerca di adeguare i piani alle circostanze. Io penso che a livello di Alto Comando la differenza tra successo e fallimento consista proprio in questo: nella sua capacità, o incapacità, di osservare questo principio 135. Un principio sempre ignorato da Hitler, anche durante la battaglia di Normandia, con la conseguenza che tutto il peso dei combattimenti, una volta che gli alleati ebbero superato la Senna, ricadde principalmente a nord di Parigi sulla 5a armata corazzata tedesca o meglio sui suoi resti, mentre a sud di Parigi operò la 1 a armata, e piu ad est ed a nord, nella regione dello Schelda, combatterono i resti della 15 3 armata. I comandanti tedeschi - il maresciallo Model, comandante supremo del teatro Ovest e contemporaneamente del gruppo armate «B» venne poi sostituito dal maresciallo Rundstedt reeimpiegato quale comandante supremo Ovest - e le grandi unità tedesche fecero quanto potevano con le loro sparute forze contro le 38 divisioni alleate 136, ma l'assenza di una riserva centrale e di unità non provate da immettere nella lotta non lasciò loro alcun consistente margine per opporre valida resistenza, ancorché tentassero di farlo
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con tenacia. Alla conclusione della Overlord le perdite tedesche di personale, di mezzi da combattimento e da trasporto, di equipaggiamento raggiunsero valori catastrofici: solo quelle di personale furono di 400 mila uomini tra caduti, feriti, dispersi e prigionieri. Malgrado ciò la Wehrmacht dopo aver arrestrato l'avanzata degli alleati - lungo la linea che, grosso modo, dai dintorni di Ostenda per Gand, Anversa, Bruxelles, Namur, nord di Sedan, Verdun, Nancy proseguiva in direzione del Mosella e da qui lungo il corso del Loira, verso occidente, raggiungeva la costa mediterranea riuscì, passati due mesi, a sferrare una imponente controffensiva, la controffensiva delle Ardenne, che Hitler ebbe l'abilità di trasformare in un nuovo disastro, distruggendo le residue possibilità della Germania di opporre ancora un'efficace resistenza.
6.
Dalla metà settembre alla metà dicembre la linea di contatto tra le opposte forze operanti nel teatro operativo occidentale quasi si cristallizzò. Il tentantivo di aggirameno da nord della linea Sigfrido - effettuato congiuntamente il 17 settembre dalla 2 a armata britannica, partita da Eindhoven in direzione di Arnhnem, dalla } 4 armata aviotrasportata (92 3 e 101 a divisione paracadutisti americane e 1a divisione paracadutisti inglese) in Belgio ed in Olanda - non riuscì; i tedeschi respinsero gli alleati diero il Lek, fecero 6450 prigionieri, stabilizzarono la fronte nella zona di Nimega dove si formò uno stretto saliente che attraversava la Mosa e il Wall a Nimega e raggiungeva il Lek in direzione di Arnhem. I tedeschi occupavano a sinistra del saliente una testa di ponte a sud della Mosa - da Bois-le-Duc fino alle bocche dell'Escaut - che impediva agli alleati di utilizzare il porto di Anversa e, a destra, un'altra testa di ponte sulla sinistra della Mosa, da Maesyck e Gennep. Il tentativo della 1 a armata americana, iniziato il 2 ottobre, per sfondare la linea Sigfrido in corrispondenza di Aachen, nonostante la conquista della città, avvenuta il 21 ottobre dopo. una lotta durata 20 giorni, andò egualmente fallito perché i tedeschi erano riusciti a stabilire alla spalle di Aachen una nuova posizione difensiva appoggiata su Geilenkirchen, Eschweiler e sulla foresta di Hlirtgen. Avevano, invece, poi avuto esito positivo per gli alleati: l'eliminazione della sacca dell'Escaut intrapresa dai canadesi il 6 ottobre e condotta a termine il 3 novembre; la conquista delle isole
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di Beveland e di Walcheren iniziata dagli inglesi e dai canadesi il 10 ottobre e portata a compimento il 10 novembre, aprendosi così la strada per l'utilizzazione del porto di Anversa; la conquista della riva sinistra della Mosa per la quale era stata necessaria una grande battaglia durata dal 12 ottobre al 9 nove mbre, poi protrattasi fino al giorno 30 contro la testa di ponte tedesca di Venlo, battaglia in seguito alla quale venne liberato tutto il Belgio e una parte dell'Olanda e venne pressoché annientata la 15a armata tedesca (40 mila morti e 40 mila prigionieri). Dal 20 settembre a l 20 novembre era stata combattuta in più riprese anche un'altra grande battaglia di logoramento - la battaglia di Lorena - tra la 3a armata americana e la 1 a armata tedesca. A base di questa battaglia era stato il disegno del generale Eisenhower - che dal 16 ottobre, in seguito alla costituzione del VI gruppo di armate affidato al comando del generale Devers 137 (comprendente la 1a armata francese al comando del generale de Lattre de Tassigny 138 e la 7a armata americ:una al comando del generale Patch) l3Q, aveva assunto il comando diretto di tutte le forze alleate operanti nel teatro operativo occidentale - di attuare una larga manovra di accerchiamento <la sud nella vallata del Saar. Vani erano stati i tentativi della 3a armata americana di rompere prontamente e di aggirare le difese di Metz e non meno vana la manovra congiunta della 3a e della 7a armata americane dell'8 ottobre tra Nancy e Metz. Solo l'attacco a tenaglia iniziato 1'8 novembre dalla 3a armata americana, che aveva puntato su Metz da sud e da nord, aveva avuto successo avendo costretto i tedeschi ad evacuare Metz ed a cedere i forti Verdun, Driant, Jeanne d'Arc, Gambetta e Déroulède, ma s i era dovuto a rrestare davanti alla Sigfrido e al Saar. Successivamente, il I dicembre, il generale Patton era riuscito a penetrare nelle difese esterne della Sigfrido, conquistare Hundling e Serreguemines (8 dicembre), Forbach (9 dicembre), attraversare il Blies e Bliesbrilch e superare il Saar in più punti, nei pressi di .Saarlouis, ma poi s i era dovuto fermare. La 7a armata americana aveva compiuto modesti progressi sulle pendici occidentali dei Vosgi. Mediante la brillante manovra del VII corpo, che comprendeva la 2 a divisione corazzata francese, la 2a armata era riuscita a lla fine a impadronirsi dei valichi di Schirmeck (25 novembre), Sainte-Marie-aux-Mines (27 novembre) ed a ricongiungersi nei pressi di Oberehrnheim con le truppe francesi -provenienti da Strasburgo, conquistata di sorpresa il 23 novembre dalla 2a divisione corazzata francese. I tedeschi, difendendosi sui colli della Sc hlucht e del Bonhomme, avevano però
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Schizzo n. 32 · Controffen siva tedesca d elle Ardenne.
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impedito la caduta degli ultimi bastioni dell'Alsazia. Vittorioso era stato anche l'esito della manovra della 1a armata francese contro Belfort che il 19 novembre era stata conquistata; da tale conquista le forze del I e del II corpo d'armata francese avevano tratto vantaggio per accerchiare le truppe tedesche del Siindgau. In 14 giorni di combattimenti la J a armata francese aveva fatto 17 500 prigionieri, distrutto più di t 00 carri armati e 100 cannoni, liberato l'Alta Alsazia, ma non si era potuta togliere la spina sul fianco rappresentata dalla sacca tedesca di Colmar. A nord, l'offensiva lanciata il 2 novembre dalla J a armata americana in direzione del fiume Roer ordinata dal generale Eisenhower che aveva divisato, nell'attesa di essere pronto all'attraversamento del Reno, di logorare e d'impegnare i tedeschi un po' dovunque, dopo alcuni successi iniziali, era stata costretta da contrattacchi tedeschi, a fermarsi e non aveva potuto proseguire oltre la foresta di Hartgen. Anche l'offens iva di una nuova armata inseritasi tra la 1 a e la 3 3 - 9a armata americana agli ordini del generale Simpson 140 - iniziatasi il 16 novembre su di una fronte di 15 km tra Geilenkirchen e Eschweiler in direzione di Diissedorf e di Colonia, non era riuscita a sfondare per l'intervento nella battaglia della 7a armata corazzata tedesca e la lotta anche in tale settore aveva preso l'aspetto del logoramento ed alla fine si era affievolita a causa del fango e delle cattive condizioni meteorologiche. Alla data del 15 dicembre la linea di contatto era la seguente: costeggiando il Mosa per tutto il suo corso, dalla foce fino a Grave, essa formava verso nord un saliente triangolare che toccava Nimega col vertice e seguiva di nuovo il Mosa da Gennep a Maeseyck. La fronte partiva da qui verso occidente passando da Sittard per raggiungere il Roer a Iiilich e seguirlo fino alla sua confluenza con l'Ur. Successivamente passava per Montjoie, Butgenbach e SaintVith, costeggiava la frontiera tedesco-lussemburghese per raggiungere la confluenza del Mosella con il Saar a sud-ovest di Treviri, seguiva poi il Mosella fino a Remich e il Saar da Merzig fino a Saveguemires. Infine, nella Bassa Alsazia, passava per Bitche e per gli avamposti della linea Maginot, lungo la frontiera per Wissemburg e infine per Lauterburg 141 . I risultati conseguiti dagli alleati in tre mesi di duri combattimenti lungo quasi tutta la fronte erano stati, com'é dato da rilevare dalla linea di contatto, poco entusiasmanti sul piano psicologico e pressoché nulli su quello strategico. I miglioramenti di talune posizioni tattiche erano stati pagati molto salati ed il logoramento imposto ai tedeschi era stato minore di
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quello subito, comunque non tale da modificare in una qualche maniera significativa il corso delle operazioni. La conquista di Metz e di Strasburgo aveva consentito l'acquisizione dell'Alsazia meridionale, ma l'insuccesso di Arnhem e la mancata conquista del Roer e dell'Urft avevano impedito di arrivare al Reno. L'O.K.W. era riuscito a trarsi fuori da una situazione disperata, a bloccare l'avanzata, a costituire prima una barriera e poi un baluardo difensivo in corrispondenza della frontiera occidentale germanica. L'essere riuscito ad arrestare l'avanzata alleata grazie alla fermezza delle sue truppe e l'aver constatato l'attenuazione della pressione nemica spinsero Hitler, d'intesa con l'O.K.W. ed in particolare con il generale Jodl, ma senza neppure sentire il parere del comandante supremo dell'Ovest, maresciallo von Rundstedt, e del comandante del gruppo d'armate «B», generale Model, ad ideare una grande controffensiva da condurre nel teatro operativo occidentale in corrispondenza del settore debo le degli a lleati, individuato nell'altopiano delle Ardenne, tra Eupen e Treviri, per provocare una svolta risolutiva in tale teatro di gue rra ovvero, pe rsino, del con flitt o. In una riunione tenuta il 3 novembre presso il quartier generale del maresciallo Model, il generale Jodl illustrò ai comandanti Ovest, gruppo di armate «B» e 5a armata corazzata i lineamenti del piano: settore d ' investimento e di sfondamento al centro tra Monschau (Eifel) ed Echtemach, penetrazione in profondità con obiettivo Anversa, avvolgimento verso nord e distruzione dei gruppi d'a rmata alleati che tenevano la fronte del Mosa e que lla del Roer. Se da parte tedesca tale obiettivo sarebbe stato raggiunto, e rano conseguite le premesse per intraprendere da tutti i lati la lotta contro le forze della 1 a armata am ericana, tagliata fuori dai rifornimenti e contro il XXI gruppo di armata britannico. In tal modo da 25 a 30 divisioni sarebbero state battute e la riuscita azione avrebbe dovuto portare inoltre al possesso, ovvero all'annientamento, di notevolissimi quantitativi di materiali di tutti i tipi che erano concentrati nel settore per ogni esigenza ed in particolare per l 'o ffensiva alleata verso il vallo occidentale, verso il Reno, che si doveva attendere per me tà dicembre. 142 Il generale Jodl precisò i compiti de lle armate da impiegare nella controffensiva: la 6a armata corazzata SS (LXVII corpo d 'annata, I e II corpo d'armata corazzato SS: 9 divisioni delle quali 4 corazzate), agli ordini del generale Dietrich 143, avrebbero dovuto lanciarsi sui due passaggi del Mosa ai due lati di Liegi e costituire, avvalendosi delle fortificazioni ad est della città, una fronte di resistenza per poi
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raggiungere in successione il canale Alberto tra Maastricht e Anversa e il territorio a nord di questa ultima città; la sa armata corazzata (LXVI e LVIII corpi d'armata e XLVII corpo d'armata corazzato: 7 divisioni delle quali 3 corazzate), agli ordini del generale von Manteuffel, promosso generale d'armata, avrebbe dovuto superare il Mosa tra Amay (ad ovest di Liegi) e Namur e, in corrispondenza della linea Anversa-Bruxelles-Dinant, impedire l'azione delle riserve nemiche contro il fianco e il tergo della 6a armata corazzata SS; la 7a armata (LXXXV, LXXX e LIII corpo d'armata: 7 divisioni tra le quali una unità celere), agli ordini del generale Brandenberger 144, avrebbe assicurato il fianco delle punte di attacco di entrambe le annate corazzate verso sud e sud-ovest con il fine di raggiungere anzitutto il Mosa ed il Semois e poi, nei pressi di Lussemburgo, stabilire il contatto con la fronte del Mosella. La grande unità, inoltre, avrebbe dovuto guadagnare tempo tanto da consentire la creazione di una fronte di resistenza più arretrata. Quali riserve generali per l'offensiva sarebbero state disponibili 6-7 divisioni, per la maggior parte corazzate e motorizzate. Sotto il profilo concettuale il disegno della controffensiva fu strategicamente corretto, anzi brillante. Perché il piano suscitò allora sorpresa e stupore nei partecipanti alla riunione del 3 novembre? I marescialli Rundstedt e Model, come pure gli altri generali, valutarono che l'eccellente disegno di manora non avrebbe potuto avere successo per l'insufficienza delle forze, che sarebbe rimasta tale anche se fosero state messe a disposizione tutte le grandi unità promesse, e per lo stato delle grandi unità da impiegare in fatto di organici, di dotazioni, di mobilità, di addestramento, di equipaggiamento, di rifornimenti . Le forze non sarebbero bastate per investire e sfondare una fronte di 200 km e per costruire un robusto fianco difensivo fronte ovest da mantenere per il tempo necessario al completo annientamento delle 25 + 30 divisioni alleate tagliate fuori dall'operazione. I comandanti responsabili suggerirono di limitare gli scopi della controffensiva alla respinta dell'arco della fronte alleata proteso verso Aquisgrana ed alla restituzione in integrum del vallo occidentale; tutto al più alla cacciata degli alleati dal Roer sul Mosa ed alla riconquista di Liegi. Essi proposero una soluzione ridotta: rinunzia a muovere inizialmente sul Mosa con le due armate corazzate e, invece, a sfondamento riuscito, effettuare con entrambe le armate una conversione verso nord-ovest e verso nord in modo tale che l'ala sinistra della sa armata corazzata risultasse coperta dal Mosa. Anche il successo della soluzione
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ridotta sarebbe comunque dipeso dal fatto che, una volta cessate le condizioni armosferiche avverse, di proposito scelte per l'inizio della controffensiva, fosse possibile avere disponibili unità aeree della Luftwaffe nel numero sufficiente a garantire nei giorni decisivi quantomeno una locale e transitoria superiorità aerea nei settori interessati. Model e Manteuffel dubitarono anche del fatto che le armate d 'attacco sarebbero riuscite a sfondare ... 145. È superfluo dire che tutte le vie tentate per indurre Hitler ad accettare la soluzione ridotta furono vane, ivi compreso l'ultimo tentativo esperito durante il rapporto tenuto da Hitler il 2 dicembre a Berlino al maresciallo Model , ai generali Dieppe, Manteuffel e Westphal 146, questo ultimo capo di stato maggiore generale del comando supremo Ovest. L'l 1 e 12 dicembre Hitler riunì tutti i comandanti delle unità partecipanti alla controffensiva fino ai responsabili delle divisioni nel suo quartier generale avanzato sul Ziegenberg presso Giessen (Assia). La grande maggioranza dei generali rimase delusa dai discorsi del comandante supremo della Wehrmacht, poiché non una sola parola egli spese per illustrare ciò che in tale fase dei preparativi interessava sopra ogni altra cosa i comandanti delle unità: come avrebbe eliminato il comando supremo i difetti e le lacune che allora caratterizzavano ancora l'opera di allestimento? Il postulato di Hitler, che egli stesso aveva posto come condizione preliminare per la positiva realizzazione di tale operazione - predisposizione di sole unità fresche, con integrale capacit_à combattiva, - non si era concretato fino a quel momento nella misura promessa. Il previsto impiego di paracadutisti e del gruppo Skorzeny 147 , Operazione Greif, nel settore di attacco non fu nemmeno citato. Il comandante della 5 a armata corazzata ricevette solo il 15 dicembre una concisa comunicazione sull'intervento di tale unità speciale; forze, luogo ed ora d'impiego dei paracadutisti rimasero un'incognita fino all'inizio dell'offensiva 148. Così si espresse il generale Manteuffel dopo la fine della guerra in sede di resoconto della controffensiva delle Ardenne, il cui piano di sviluppo aveva subito molte e opportune modifiche tecniche dallo stesso generale Manteuffel proposte ad Hitler e da questi accolte senza fiatare. Il fatto è significativo. Si direbbe che egli (Hitler) fosse ben lieto di ascoltare i suggerimenti che gli venivano proposti da quei pochi generali nei quali riponeva ancora fiducia - un altro era Model - mentre diffidava istintivamente di quasi tutti i generali più anziani. Ciò che queste modifiche tattiche fecero per aumentare le prospettive di successo dell'offensiva fu assai male controbilanciato dalla riduzione delle forze desti-
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nate a prendere parte all'operazione. Infatti non dovette passare molto tempo perché i comandanti ricevessero la scoraggiante notizia che parte delle forze promesse non sarebbe stata disponibile a causa della minacciosa pressione degli attacchi russi a est 149. Non solo le forze preventivate e promesse erano state giudicate assolutamente insufficienti in relazione agli scopi ed agli obiettivi della controffensiva, ma i comandanti della fronte Ovest, del gruppo di armate «B», della 5a e della 6a armata corazzata, della 7a e della 15a armata furono spesso costretti a fronteggiare in novembre le iniziative alleate nel settore ad est di Aquisgrana, tra Wi.irselen e Stolberg, ed in quello Geilenkichen-Eschweiler-Stolberg, impiegando unità di riserva destinate alla controffensiva e ritardando lo svincolo di altre unità dalla linea. Malgrado che ogni giorno che passava il dispositivo della confroffensiva venisse indebolendosi, anziché rafforzandosi, Hitler non si scostò di una virgola dal suo iniziale disegno di manovra che, nonostante i miglioramenti tattici e tecnici apportativi, venne aderendo sempre di meno alla realtà operativa. Il maresciallo Rundstedt, che era stato fin da principio contrario al grande disegno di Hitler e fautore della soluzione ridotta, quasi si chiamò fuori, lasciando al maresciallo Model ed al generale Manteuffel la più grande libertà d 'iniziativa e limitandosi in proprio a svolgere la funzione di collegamento tra l'O.K.W. ed il comando del gruppo di armate. Circa le forze della Luftwaffe il maresciallo Goering aveva promesso un migliaio di velivoli dei più diversi tipi, ma Hitler, oramai scettico sugli impegni che il maresciallo del Reich prendeva perché poi non li manteneva, assicurò a Rundstedt l'appoggio di 800 -,- 900 apparecchi. In realtà anche questa stima prudenziale si rivelò giusta solo un giorno e per ' di più quando la battaglia terrestre era già decisa 150. Del tutto infondata risultò anche l'assicurazione del generale Jodl circa la sufficienza del carburante. Il generale Manteuffel aveva richiesto una disponibilità di carburante 5 volte superiore a quella standard ragguagliata al quantitativo convenzionalmente ritenuto necessario a spostare una divisione di 100 km. Venne invece assegnata una disponibilità pari soltanto a una volta e mezzo quella standard e, per di più, le autocisterne vennero tenute, battaglia durante, molto indietro provocando ritardi dei rifornimenti, ostacolati, nelle giornate di sereno, anche dall'aviazione alleata. La riduzione delle forze preventivate, il logoramento subito nella fase della preparazione della controffensiva da alcune grandi unità in linea, le lacune organiche e di dotazioni di molte unità (le divisioni corazzate
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disponevano in media di non più di 90 + I 00 carri armati ciascuna), l'insufficienza delle scorte di carburante, l'inadeguatezza delle riserve e delle munizioni, la sproporzione delle forze aeree (800+900 apparecchi rispetto ai 5000 bombardieri alleati), il rinvio dell'inizio della controffensiva da novembre a dicembre e il peggioramento delle condizioni generali che ne derivò accrebbero ]'aleatorietà del piano che, infatti, fallì. Due furono le condizioni di favore dell'inizio dell'operazione: la sorpresa e la nuvolosità del cielo. La controffensiva fu per gli alleati un fulmine a ciel sereno: nessuno dei comandanti se l'aspettava e neppure aveva prospettato a sé stesso tale eventualità. Parve quasi che le divisioni tedesche fossero sbucate all'improvviso da sottoterra come per incantesimo. Alla sorpresa si sommò la confusione gettata al di là della linea dalla quarantina di jeep con soldati tedeschi che indossavano giacche a vento americane, infiltratisi e riusciti a passare attraverso lo schieramento per tagliare cavi elettrici, spos tare cartelli segnaletici, appendere tabelle di divieto di transito, indicando per zone minate terreni che non lo erano, esercitare controlli inquisitori devianti, ecc. Il tempo n ebbioso, seppure diminuì l'efficacia del tiro di preparazione dell'artiglieria, favorì nei primi giorni l'infiltrazione e l'alimentazione delle unità tedesche impedendo agli alleati di far levare in volo la loro potente aviazione che, solo dal giorno 23, dissoltasi la cappa delle nubi, riuscì a far sentire tutto il suo peso, imponendo all'avanzata dei tedeschi un pedaggio alla lunga insostenibile, anche perché la Luftwaffe non fu in grado di contrastare sensibilmente la schiacciante superiorità del generale Eisenhower. Le condizioni a favore - riuscita dalla sorpresa strategica e tattica, scelta appropriata del settore di sfondamento, validità della tattica d'infiltrazione utilizzata 151, ecc. - non compensarono quelle di svantaggio, in particolare l'insufficienza del dispositivo, e il risultato fu che l'attacco convergente su Maastricht da parte della 15 3 armata, ora comandata dal generale Blumentritt 152, dovette essere annullato, lasciando così liberi gli alleati di far affluire da nord riserve nelle zone de ll'attacco. Inoltre la 7a annata (del generale Branderberger), che avrebbe dovuto avanzare per fungere da copertura laterale dell'ala meridionale dell'offens iva, fu lasciata con poche divisioni, nessuna delle quali corazzata 153. Il mancato apporto de lla 15 3 a nnata a favore della m anovra della 6 3 armata corazzata SS del generale Dietr ich e quello della 7 3 a favore della sa armata corazzata del generale Manteuffel costituirono in partenza un ulteriore grave handicap
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dell'intera operazione, quasi non bastassero le altre debolezze e lacune. Il generale Manteuffel, nel rendicondo che dette dalla controffensiva, divise questa in varie fasi: 16-;-] 7 dicembre, successi iniziali, meno accentuati nel settore della 6a armata corazzata SS; 18-;-19 dicembre, intervento delle riserve locali alleate in particolare contro il fianco nord della 6a armata corazzata SS ed il fianco sud della 7a armata; 20 dicembre, peggioramento della situazione nei settori della 6a armata corazzata SS e della 7a armata, mentre nel settore della 5a armata corazzata vengono realizzati altri progressi fino a 5 km ad est da Dinant, la fronte della penetrazione tedesca s'indebolisce per l'impegno di forze nell'accerchiamento di Bastogne; 21-;-22 dicembre intensa azione dell'aviazione alleata in seguito al miglioramento delle condizioni atmosferiche; 24-;- 25 dicembre, mutamento della situazione: i mali si capovolgono e gli aggressori diventano aggrediti; anche la 5a armata si pone sulla difensiva; 26 dicembre, Bastogne viene svincolala dall 'assedio. La battaglia ha perso la sua ragione di essere. Hitler ordina tuttavia la continuazione della lotta e l'attacco su Bastogne: ogni arretramento è da escludere; 3 gennaio, inizio del contrattacco degli alleati c forte pressione di ques ti sui fianchi della punta della controffensiva minacciati di accerchiamento; IO gennaio, la situazione si fa critica e la controffensiva delle Ardenne si trasforma per i tedeschi in una serie di violenti scontri in cui sono impegnate le retroguardie 154. La 6 3 armata corazzata SS, che esercitava lo sforzo principale, non poté avanzare tanto rapidamente quanto sarebbe stato necessario e la sua manovra non venne favorita nella misura preventivata dall'azione delle aviotruppe lanciate nella regione di Verviers-Malmed y 155. Essa, inoltre. incontrò sulla sinistra a Monschau una forte resistenza, mentre riuscì a penetrare dopo aver aggirato Malmedy per una cinquantina di chilometri entro il giorno 18 raggiungendo l'Ambkeve al di là di Stavelot, dove si arenò anche per il fango e la scarsità del carburante, oltre che per la resistenza delle riserve fatte affluire dalla 1a armata statunitense. La sa armata corazzata dette un buon avvio all'azione e, dopo aver superato il fiume Our, nonostante il difficile passaggio della strettoia di Clervaux, riuscì il giorno 18 a giungere a ridosso di Bastogne dopo essere penetrata in profondità su tutta la fronte per oltre 50 Km. Dopo aver impiegato 2 giorni ad attaccare inutilmente Bastogne, la sa armata corazzata puntò verso il Mosa e le sue avanguardie quasi raggiunsero Dinant, dove vennero sopraffatte dalla reazione alleata. A partire dal 22 dicem-
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bre le forze alleate, con il possente sostegno della loro aviazione tornata con lo sparire delle nubi a dominare il cielo, tennero via via sempre più duro sui fianchi della breccia aperta dalla 5 a a rmata nella zona Stavalot-Malmedy-Bullanges e s ui fianchi di quella minore aperta dalla 6a armata corazzata SS nella zona di Martelange-DiekirchEchternach. Di fronte a lla minaccia rappresentata dalle truppe americane che resistevano nel triangolo Vielsalm-Houffalize-Oure m, i tedeschi persero tempo prezioso nel preparare il 24 un attacco ch e, partendo dalla regione di La Roche, era diretto verso nord-est in direzione di Grandmesnil e di Liemeux. Le truppe alleate riuscirono a ritirarsi senza perdite e la fronte si stabilizzava tra Hotton, Granmensil, Lieneux, Stavelot, Ma lmedy, Ballanges 156. Nel settore della 6a armata corazzata tedesca, Bastogne venne liberata il 28 dice mbre da un a ttacco sferrato dall'armata del gen er ale Patton su di una fronte di 40 km tra Bullanges, a sud di Bastogne, e Waldbilling, mentre Celles, località a d 8 km da Dinant, venne riconquistata il 26 dalle truppe inglesi. L'avauzala ùd gruppo armale «B », spintasi <.:un la sua punta fin oltre 100 km dalla base di partenza, ebbe termine; ad essa fecero seguito un lento ripiegamento sotto la stessa pressione nemica conclusosi il 20 gennaio in corrispo ndenza dell'Our ed un 'offensiva di rivalsa in Alsazia e Lorena a llo scopo di riconquistare Strasburgo, di disimpegnare la Saa r e di res pingere gli alleati al di là dei Vosgi, approfittando della dilatazione fatta subire dal generale Eisenhowe r alle fronti della 3 a e della 7a armata americana e della 1 a armata francese, che avevano dovuto dis tendersi verso sini stra complessivamente per più di 100 km, rarefacendo così la densità dei loro schieram e nt i, specialmente davanti a lla Saar e al Palatinato. Destinata a fallire in partenza a causa della inadeguatezza dei mezzi, la controffensiva tedesca delle Ardenne ebbe come unico risultato un ulteriore logoramento de lle risorse tedesche: più di I 00 mila uomini, 600 carri armati e semoventi, più di un miglia io di aerei, due mi glia ia di ·au toveicoli a ndarono perduti. Nel dirigerla persona lme nte Hi t ler commise due gravissimi errori: non trasferire in tempo la gravitazione dello sforzo dalla 6a a lla 5a armata corazzata pe r sfruttare il su ccesso di questa ultima riuscita a progredi re più spedita mente in p rofondità; non sospendere la controffensiva quando parve chiaro che no n av rebbe potuto con seguire il suo obiettivo. Quando Hitler s i decise a spostare il baricentro dell a ma novra dal settore nord a quello s ud era troppo ta rdi: il resto delle riserve non mi fu accordato che il 26 - osservò con a marezza il generale Manteuffe l - quando ormai esse non erano
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Schizzo n. 33 - La reazione alleata alla controffensiva tedesca delle Ardenne.
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Linea del fronte il 25 dic. l 944 -- - " ,, ,, iH89'nn.t,45 _ , . Attacchi americani
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più in grado di muoversi. Proprio quando sarebbero state indispensabili, si scoprì che sparpagliate lungo un arco di oltre 150 km esse erano immobilizzate dalla mancanza di carburante 157. Quando il maresciallo Rundestedt chiese ad Hitler ed il generale Manteuffel al generale Jodl, non appena ebbero inizio i grandi e robusti contrattacchi alleati, di ritirare le forze avanzate delle punte più esposte dei salienti si sentirono rispondere che la strategia del nessun ripiegamento non andava in nessun caso violata. Nel decidere la controffensiva Hitler si era ripromesso anche un preciso scopo politico: dare gli alleati occidentali un potente colpo prima che essi potessero raggiungere e superare il Reno, al fine di spezzare la coalizione occidente-oriente che dava evidenti segni d'instabilità e di attrito. Con la controffensiva delle Ardenne sarebbe stato possibile, secondo Hitler, produrre una caduta psicologica degli alleati e sperare così di scuotere la fiducia alleata in una vittoria totale, con le conseguenze della rinunzia alla richiesta della resa senza condizioni e dell'accettazione di una pace negoziata. Con una battaglia difensiva si potrebbe solamente rinviare un fatto decisivo, ma non cambiare totalmente la situazione generale 158_ Considerato che ciò sarebbe stato possibile solo puntando tutto quanto restava sulla controffensiva in occidente piuttosto che in oriente, perché in occidente tutto sarebbe s tato più facile (distanze minori, coste disponibili per l'alimentazione degli alleati più limitate, vicinanza maggiore degli obiettivi strategici, minorn tenacia e capacità di resistenza degli alleati occidentali rispetto ai sovietici, ecc.), e, una volta raggiunta su tale teatro una posizione di stallo, sarebbe stato altresì possibile inviare forze negli scacchieri più minacciati del teatro operativo orientale, Hitler volle portare alle estreme consenguenze il dogma militare che l 'attacco è La migliore difesa. In questo caso l'attacco si dimostrò la peggiore difesa 159. Anche la dogmatica aderenza al piano originario, in ordine agli obiettivi ed al dispositivo, portata alle estreme conseguenze, produsse effetti disastrosi, mentre una ragionata flessibilità circa le nuove decisioni da prendere in conseguenza del fallimento della manovra della 6a armata corazzata SS avrebbe consentito un diverso risultato della manovra complessiva favorevolmente avviata dalla 5 a armata corazzata. La controffensiva, malgrado ciò, non solo mise in crisi per alcuni giorni lo SHAEF, il comando del XII gruppo d 'armate del generale Bradley, l'intera 1a armata americana e parte della 3a, ma giunse vicina a determinare un grave disastro per l'intero schieramento alleato, del quale i generali
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avevano trascurato, all'inizio della battaglia delle Ardenne, di guardare il fianco. La disponibilità di forze e di mezzi e la padronanza del cielo consentirono ai comandi alleati di rimediare alla svista tanto inspiegabile quanto gravida di pericoli. Ma la reazione dei comandi alleati oltre che potente fu rapida e strategicamente indovinata. Allorché i tedeschi sferrarono l'inaspettata controffensiva, ancorché inizialmente gli alleati fossero stati colti dalla più completa delle sorprese, le contromisure adottate furono quanto mai rispondenti e tempestive: sospensione di ogni altra azione nei settori non investiti, invio di 2 divisioni di fanteria contro la 6a armata corazzata SS e di 2 divisioni corazzate per attaccare i fianchi della sa armata corazzata (la 7a divisione corazzata presso Saint Vith, la 10a divisione corazzata presso Boulogne), rinforzo della 101 a divisione aviotrasportata al presidio di Bastogne, improvvisazione da parte della 1a armata e dell'VIII corpo d'armata americani di un'azione ritardatrice che rallentò l'avanzata tedesca, tenace resistenza a Saint Vith ed a Bastogne per ritardare l'attacco al Mosa, affidamento al maresciallo Montgomery, per la realizzazione di una manovra difensiva unitaria, del comando di tutte le forze dislocate s ul fianco nord della sacca, riunendo al XII gruppo di armata la 1 a e la 9a armata americane e una parte della 9a USAAF. Il ruolo che giuocò il maresciallo Montgomery nei giorni che esercitò tale comando - 19 dicembre - 17 febbraio - fu di grande rilievo. Egli comprese subito come la situazione sarebbe potuta divenire pericolosissima qualora i tedeschi fossero riusciti a sfondare tra Malmedy e Marche, perché in tale caso avrebbero avuto le porte aperte verso nord-ovest, in direzione di Bruxelles e di Anversa, e provvide ad estendere e rinforzare da Stavelot a Marche tale fronte ed a predisporre il contrattacco di un intero corpo d'armata. L'opportuno intervento nella strutturazione gerarchica alleata giunse non un solo minuto troppo presto, considerato che il comando era sul punto di perdere il controllo dell'azione. Tranne che in corrispondenza dei fianchi nord e sud del settore di sfondamento non era più il caso di parlare d'un front e unito ed organico - nel settore attaccato - cosicché le operazioni della 1 a armata USA si erano presentate come una serie di azioni isolate di contenimento. L'apporto di Montgomery fu costituito dal fatto che egli trasformò una serie di azioni disarticolate in un'organica positiva battaglia condotta secondo un piano ben definito. Fu inoltre il suo rifiuto a condurre contrattacchi isolati ed intempestivi ad impegnare gli americani a riunire le proprie riserve per frustrare i tentativi tedeschi di estende-
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re l'infiltrazione. C'era tuttavia voluta la maggiore parte di sei divisioni americane - la metà delle forze della 1a armata - per mantenere tale settore nord del fianco di resistenza in un momento in cui il Comando Supremo andava cercando riserve per costituire il proprio fianco ovest !60. Il maresciallo Montgomery, invece, si dimostrò poco tempista nello sferrare il contrattacco del 3 gennaio: lo lanciò troppo presto perché potesse conseguire l'annientamento delle forze tedesche. Di fallo venne solo conseguita una vittoria, una semplice vittoria e l'avversario [gli alleati] dovette conquistare, contendendolo in aspri combattimenti, il territorio che gli stava innanzi 161. Hitler aveva sottovalutato la capacità dei comandi e delle unità che aveva di fronte. Vero è che i comandi alleati avevano dato prove d'insufficienza operativa subito dopo la battaglia di Normandia: tale sottovalutazione può perciò in un certo senso trovare una qualche giustificazione. Ma Hitler aveva proprio il vizio di sopravvalutare le proprie forze e di sottovalutare quelle degli avversari. Nella controffensiva delle Ardenne sbagliò tutti i suoi calcoli, da quelli politici a quelli strategici, da quelli tattici a quelli tecnici. Dimostrò di non avere ancora compreso: quale fosse l 'incolmabile disparità tra le sue risorse e quelle degli anglo-americani e dei sovietici; come non fosse più possibile vincere una grande e lunga battaglia - eppure da el Alamein in poi ne aveva avuto molti esempi - senza disporre di forze aeree sufficienti ad assicurare almeno pro tempore una certa libertà di movimento alle forze di superficie; come le prestazioni della Wehrmacht 1944 non potevano essere più eguali a quelle del 1939-'40. Anche se fosse riuscito a prendere Anversa, ciò avrebbe rappresentato per le armate alleate solo un contrallempo e non certo una sconfitta 162_ L'unica cosa che era rimasta quasi uguale era l'impegno del soldato tedesco: la sua dedizione al dovere era ancora senza riserve. Tale premessa sussisteva anche il 16 dicembre del 1944, ma proprio perché d 'insostituibile valore sarebe stato necessario non utilizzarla in una controffensiva priva, sul piano della logica strategica, di ogni prospettiva di successo. Con il fallimento dell'offensiva nelle Ardenne - così ancora il generale Manteuffel - le ultime energie erano state bruciate. Ciò che era rimasto non bastava più nemmeno per un'azione diversiva d'una qualche efficacia. Per un po' di tempo tuttavia valsero ancora lo spirito del dovere e della solidarietà, alla fine però s'incrinò anche l'ultima velleità di resistenza 162 davanti allo scoperto inganno delle armi segrete e soprattutto allo strapotere degli alleati in terra, in mare, in cielo.
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7. Nell'Estremo Oriente, i giapponesi, dopo le vittorie-lampo dei primi sei mesi di guerra, ottenute molto a buon mercato con perdite complessive di non più di 15 mila uomini, di 380 aerei e di 4 cacciatorpendiniere, e dopo aver spinto la loro offensiva fino a 6 mila chilometri dalle loro isole, avevano dovuto segnare il passo in seguito all'esito della battaglia di Midway del 4 giugno 1944 163, ma non per questo, pur non potendo piu contare sulla squadra portaerei messa fuori combattimento dai bombardieri statunitensi, avevano rinuziato all'offensiva ed anzi avevano deciso di proseguirla lungo due direttrici : nella nuova Guinea, mediante un attacco sulla terra ferma attraverso la penisola della Papuasia; nelle Salomone, mediante una serie di balzi di isola in isola, allestendo via via campi di aviazione per proteggere i balzi successivi. Il Giappone, infatti, nonostante le strabilianti occupazioni e invasioni di terre 164, non aveva ancora perseguito i due obiettivi decisivi prefissati: il controllo dell 'oceano Indiano e la conquista dell'Australia. Ma appunto in seguito alla vittoria americana di Midway, sia il generale MacArthur 165 sia l'ammiraglio Nimitz 166 avevano deciso un rapido passaggio dalla difensiva alla controffensiva nel Pacifico e tale loro volontà e ra stata condivisa ad Washington dal generale Marshall 167 e dall'ammiraglio King 168 nella misura in cui tale passaggio non ostacolasse la linea strategica generale, stabilita con gli inglesi nell'incontro di Washington tra il presidente Roosevelt ed il premier Churchill nel gennaio del 1942: battere prima la Germania. Primo obiettivo della controffensiva alleata sarebbe stato la sottrazione definitiva dell'Australia dal pericolo di un'invasione nipponica. Non senza contrasti, divergenze e conflitti di competenza tra esercito e marina e tra i capi di Washington e quelli del teatro operativo del Pacifico, era stata alla fine raggiunta una soluzione di compromesso circa il passaggio alla controffensiva nel Pacifico sud-occidentale e circa la scelta del capo al quale affidare l'impresa. La soluzione ispirata dal generale Marshall aveva previsto che la controffensiva s i sarebbe svolta in 3 fasi: la prima sarebbe consistita nell'occupazione delle isole di Santa Cruz e deJJe Salomone orientali e in particolare di Tulagi e di Guadalcanal; la seconda nella conquista della restante parte delle Salomone, nonché della costa della nuova Guinea fino aJJa penisola di Huon, appena al di là di Lué; la terza nell'occupazione di Rabaul e della restante parte dell'arcipelago delle Bismarck. Il limite di divisione
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tra la zona di giurisdizione del generale MacArthur e quella dell 'ammirag lio Nim itz fu stabilito in modo da assegnare a quest'ultimo la direzione della prima fase ed al generale MacArthur quella delle altre due fasi. L'attuazione del piano, nell 'alternarsi di successi e di insuccessi 169, aveva ric hiesto un periodo assai più lungo di quello preventivato, ma all'approssimarsi della primavera del 1944 la situazione del Pacifico volgeva oramai da tempo a favore degli alleati: le forze del Pacifico centrale, a lle dipendenze dell'ammiraglio Nimitz, avevano riconquis tato le isole Gi lbe rt e Marsh a ll , devastando nel contempo con incursioni aeree la base giapponese di Truk, nelle isole Caroline, intaccando così quella che i giapponesi
avevano definito la barriera principale della loro zona di difesa arretrata 170. Le forze del Pacifico s ud-occidentale, a lle dipendenze del generale MacArthur, avevano riconquis tato quasi intera mente l'arcipelago delle Bismarck e le isole dell'ammiragliato, sfondando anche qui la barriera difensiva e neutralizzando ne llo stesso tempo la base avanzata gia pponese di Ra baul ed avevano esteso la loro avanzata verso ovest nella Nubva Guinea, preparandosi inoltre a l grande h alzo che le avrehbe dovute portare nelle Fi lippine. Passali a ll a dife n s iva nel marzo del 1943 s u quasi tutta la fronte aereo-navale, nella primavera del 1944 i giapponesi con servavano ancora l'iniziativa nella Birmania d ove, per preven ire l'offensiva inglese che si riprometteva di sloggia rli dalla regione settentriona le e di riaprire le vie di comunicazione terres tri con la Cina, sferrarono un nuovo attacco con il quale, sebbene infe riori sul piano numerico, giun sero molto vicini a d un pieno successo tattico che alla fine venne loro a m a ncare, pur avendo conseguito lo scopo di costringere gli in glesi a rinviare a l 1945 la liberazione della Birmania. La battaglia decisiva p e r la vittoria alleata nel Pacifico fu q uella nota sotto il nome di Leyle; più c he d i una b a llag lia si trattò, anche per la sua dura ta, di una campagna vera e propria ch e si inserì t ra quella di Cina e quella di Birmania. Prem esse della riconquista delle Filippine da parte a lleata furono : la occupazione di Guam, di Tinia n (20-31 luglio 1944) e di Morotai, piccola is ola d elle Molucch e, nonché d i Pe le liu (15-17 settembre), sì da garantirsi il controllo dell'arcipelago de lle Pa la u e, dopo l' occupazione dell'isola di Ngulu (17 ottobre), di tutte le Caroline occidentali; la neutralizzazione della forza aereo-navale nipponica in modo da perseguire il completo dominio del mare e del cielo 171. Per lo sbarco ne lle Filippine il genera le MacArthur scelse, come primo obiettivo, l'isola di Leyte, sia per la posizione centrale che occupa
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S chizza n. 35 - La battaglia di Leytc.
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nell'arcipelago, sia perché il golfo che racchiude il suo mare interno è di facile sorveglianza. Il 19 ottobre due forze d'attacco si presentarono davanti al golfo di Leyte ed il 20 le forze statunitensi sbarcarono in due punti della costa orientale, vicino alla capitale dell'isola, Tacloban, e più a sud, occupando nel contempo le isole Homonhon, Suluan e Dinagat che proteggono l'entrata del golfo di Leyte. La forza da sbarco - la 6a armata - era composta da 6 navi di linea, 18 portaerei, 746 navi da sbarco. La battaglia del golfo di Leyte (23-25 ottobre 1944), nella quale i giapponesi decisero di puntare tutte le loro carte, si concretò in 4 scontri separati e distinti e fu la più grande battaglia navale di tutti i tempi. Essa vide impegnate, oltre centinaia di aerei, ben 282 navi contro le 250 (con 5 idrovolanti) che nel 1916 avevano preso parte a lla battaglia dello Jutland. Se la battaglia del mare delle Filippine, in giugno 172, era stata in un certo senso più decisiva, assestando danni irreparabili alle forze aereonavali giapponesi, fu nei quattro atti della battaglia del golfo di Leyte che gli americani raccolsero i frutti della precedente vittoria, assicurandosi in modo definitivo un'incontrastata supremazia del mare 173. Ai giapponesi la battaglia costò 4 portaerei, 3 corazzate, 6 incroc iatori pesanti, 3 incrociatori leggeri, 9 cacciatorpediniere, mentre gli americani persero 1 portaerei leggera, 2 portaerei di scorta e 3 cacciatorpediniere. Il risultato più remunerativo, conseguito dagli americani nella battaglia del golfo di Leyte, fu l'affondamento delle 4 portae rei nipponiche, perché da quel momento venne a mancare alla flotta nipponica un'adeguata protezione dagli attacchi dal cielo: le 6 restanti corazzate giapponesi divennero inattive e non svolsero più azioni di rilievo. In realtà l'inte ra marina da guerra giapponese era oramai ridotta in uno stato di virtuale impotenza... [L'esito della battaglia] dimostrò inoltre che la corazzata non era più il terribile spauracchio del passato, e che era stata pura follia continuare e fare affidamento su questi mostri antiquati. Se nella seconda guerra mondiale la corazzata servì a qualche cosa, fu come arma per cannoneggiare installazioni difensive costiere: un ruolo per il quale, paradossalmente, le precedenti generazioni l'avevano giudicata inadatta in quanto troppo vulnerabile 174. La conquista di Leyte - ancorché la maggior parte dell'isol~ fosse stata occupata in tre settimane - durò mesi, impegnò 7 divisioni americane e si concluse il 21 dicembre. Il 15 dicembre, quando la conquista di Leyte era virtualmente terminata, gli americani sbarcarono a Mindoro, isola situata a sud di Luzon; il 3 gennaio a Mariduque, tra Luzon e Mindoro. Alla fine del 1944, ad
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eccezione di Mindanao, tutte le isole importanti delle Filippine meridionali erano nella mani del generale MacArthur che ora era nelle condizioni di poter attaccare Luzon dove, dopo un bombardamento dal mare e dal cielo durato 3 giorni, la 6a armata americana sbarcò il 9 gennaio del 1945 prendendo terra sulla costa nord-occidentale dell'isola in tre punti del golfo di Lingayen. La sconfitta nipponica nella battaglia del golfo di Leyte decise la permanenza degli americani nelle Filippine e ciò significò per i giapponesi il taglio delle ultime risorse e significò anche la fine della flotta giapponese come mezzo bellico, il che rese inevitabile la sconfitta finale del Giappone. Ben altro spazio avrebbe occupato una sintesi completa della guerra in Estremo Oriente, qualora la si fosse voluta estendere alle campagne di Cina e di Birmania e qualora si fossero voluti solamente ricordare i lineamenti essenziali delle varie battaglie aeronavali. Ci siamo limitati a qualche ricordo sommario riportando in nola la cronologia degli avvenimenti più importanti che costellarono quella guerra. Ai fini della completezza del discorso ci sembra necessario tuttavia aggiungere alcune considerazioni di carattere generale che valgano a rendere meglio chiara la fisionomia di quella guerra che ebbe preminente carattere aeronavale e anfibio. La prima di tali considerazioni non può non essere rivolta al quadro della lotta che fu costituito essenzialmente dall'oceano Pacifico e dalle isole che vi si immergono. La superficie di tale oceano è di 171 milioni di chilometri quadrati, pari cioè ad un quarto della superficie del globo. Le linee di comunicazione sono straordinariamente lunghe: da S. Francisco alle Salomone corrono 9500 chilometri. Da qui l'importanza delle basi navali ed aeree, per cui la lotta nel Pacifico fu lotta per il possesso delle basi, dei rifugi e dei porti per le navi, degli aeroporti e delle piste per gli aerei. Le operazioni si svolsero perciò di preferenza nelle zone costiere e gli aeroporti furono al centro dei combattimenti. Delle quattro zone nelle quali può essere suddiviso l'oceano Pac ifico, rispettivamente dal meridiano 180° e dall'Equatore, quelle interessate alle operazioni furono la zona nord-occidentale (Giappone, Cina, Indocina, Filippine, parte settentrionale delle isole della Sonda e la Micronesia) e la zona sud-occidentale (parte meridionale delle isole della Sonda con Giava), la Melanesia, la Nuova Guinea, oltre alla nuova Zelanda e a ll'Australia. Questa ultima regione costituì l'obiettivo essenziale dell'attacco giapponese. Nel dicembre del 1941 esisteva un sostanzia le equilibrio tra le forze navali degli alleati e quelle
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nipponiche 175 ad eccezione delle portaerei: 10 giapponesi contro 3 alleate. Nella prima fase della guerra - quella dell'espansione nipponica - i giapponesi non impiegarono mai forze di notevole entità. Per quanto riguarda le forze di terra, alle operazioni nel Pacifico sud-occidentale i giapponesi adibirono solo 11 delle loro 31 divisioni: un totale di circa 400 mila uomini, dei quali meno di 250 mila rappresentati da truppe di combattimento 176. Per le operazioni aeree impiegarono solo 700 dei 1500 aerei da combattimento dell' aviazione dell'esercito, ma impiegarono quasi per intero gli 840 aerei dell'aviazione della marina. A tale aviazione gli alleati potettero opporre solo i 307 aerei americani di base nelle Filippine, i 158 aerei inglesi della Malacca e i 144 aerei olandesi di base nelle Indie orientali. Il punto debole del Giappone era soprattutto rappresentato dalla relativa esiguità della sua marina mercantile (6 milioni di tonnellate di naviglio). La strategia iniziale dei giapponesi fu imperniata sul duplice obiettivo, difensivo e offensivo, di assicurarsi con una fulminea campagna le risorse petrolifere necessarie per completare l'occupazione della Cina, che quella stessa operazione avrebbe tagliato fuori dalle fonti di approvigionamento 177. Costituito un anello difensivo dalle isole Aleutine alla Birmania, i giapponesi sarebbero divenuti padroni di tutta l'area che avrebbe dovuto formare la s fera di coprosperità della grande Asia Orientale. La tattica nipponica degli sbarchi comprendeva: la ricognizione preve ntiva da parte di aerei e di sommergibili; il bombardamento degli aereoporti e delle installazioni aeronautiche; la presa di terra in prossimità degli aereoporti, su mezzi speciali, di forze di superiorità locale schiacciante aventi al seguito carri armati e artiglierie, protette da incrociatori e da siluranti. Appena messo piede a terra, la fanteria si precipitava all'attacco dell'aereoporto, spesso con l'aiuto di truppe paracadutiste, e poi procedeva alla conquista del resto del territorio, utilizzando la tattica d'infiltrazione con risultati eccellenti, specie nella Malesia e nelle Indie olandesi. I giapponesi passarono così di isola in isola, a sbalzi di centinaia di chilometri, e fu così che la blitzkrieg giapponese potè conseguire dei risultati straordinari, quasi senza colpo ferire, a cau sa delle debolezze iniziali degli alleati nell'intero teatro del Pacifico; ma, nonostante ciò, non raggiunse il suo obiettivo 178. Le vittorie iniziali de i giapponesi furono notevolmente favorite dalla lunga catena di errori e di negligenze di valutazione e di preparazione commessi a Londra e a Washington, ma è fuori dubbio che la decisione di ripiegare e di ritirarsi da molte isole e, in particolare
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dalle Filippine, adottata dal generale MacArthur davanti all'incontenibile avanzata nipponica, fu la premessa per poter poco tempo dopo ritornarvi e scacciarne i giapponesi. Al contrario, il disastro subito dagli inglesi in Birmania nel febbraio del 1942 fu provocato dal ritardo con il quale essi si decisero alla ritirata strategica. La lunga ritirata (300 km}, decisa dal generale Alexander il 26 aprile dopo l'abbandono di Mandalay, fu invece un provvedimento saggio e tempestivo, che consentì agli inglesi, pur perdendo buona parte del loro equipaggiamento, compresi tutti i carri armati, di portare in salvo la massima parte degli uomini. Nel condurre mosse aggiranti e infiltrazioni nei combattimenti terrestri, i giapponesi dettero prova di saper attuare alla perfezione il principio dell'approccio indiretto. Nella riconquista della nuova Guinea, come già delle isole Salomone, gli americani contrassegnarono le loro operazioni da una riedizione su più ampia scala del metodo della cavalletta e del salto di montone che avevano utilizzato i giapponesi nella fase di espansione. Acquisita la superiorità aerea grazie ai Liberator, Mitchell, Boston e Lightning della 5° USAAF, gli alleati, invece di avanzare linearmente attaccando i caposaldi giapponesi l'uno dopo l'altro, sbarcarono a centinaia di chilometri dalle retrovie della più vicina guarnigione nemica, lasciando all'aviazione il compito di neutralizzarla con bombardamenti giornalieri e di privarla dell'alimentazione e stabilendo intorno ad essa un blocco aereonavale. Fu, insomma, la superiorità aereonavale che permise agli alleati una condotta sempre più ardita e remunerativa delle operazioni e che decise la sconfitta definitiva del Giappone su tutte le fronti, da quelle insulari a quelle della Cina e della Birmania.
8. Alla fine del 1944 l'esito della guerra risultava, dunque, incontrovertibilmente segnato in tutti i teatri operativi. La potenza degli alleati occidentali e dei sovietici era giunta all'apogeo e la loro superiorità materiale era divenuta irresistibilmente travolgente. La guerra ciononostante durò ancora quattro mesi in Europa ed otto in Giappone. A tale prolungamento concorsero, come abbiamo già messo in evidenza, molto più gli alleati che non i tedeschi ed i giapponesi. La volontà di non arrendersi incondizionatamente, il terrore del futuro che li aspettava e la concenzione del dovere e dell'onore sostanziarono la resistenza tedesca fin dentro la cinta
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Schizza n. 36 - L'avanzat a sovie tica in Po lonia e Prussia.
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dell'abitato di Berlino e quella giapponese di Okinawa, durata 52 giorni_ In nessuno dei due paesi accadde quanto si era verificato in Germania alla fine della prima guerra mondiale, quando il crollo morale aveva anticipato e favorito quello materiale. Le forze dello spirito - una delle componenti essenziali dell'efficienza operativa e della capacità combattiva di un popolo e di un esercito - questa volta cedettero solo quando sovrastate e sopravanzate dal rombo e dal frastuono di migliaia di aerei e di carri armati. Più che per la progressione strategica delle operazioni e per la validità delle grandi manovre tattiche che la resero possibile, l'epilogo della seconda guerra mondiale riveste importanza storica perché, mentre sottolinea l'incidenza del fattore spirituale, ne segna al tempo stesso i limiti. L'epilogo, naturalmente, pone in evidenza a ltre verità e realtà politiche e militari, ma queste s'inquadrarono nel contesto delle operazioni precedenti delle quali costituirono il corollario. Nel teatro operativo dell'Europa orientale e sud-orientale, l'armata rossa dette il via ad una grande offensiva tendente a spingere in avanti le forze dello scacchiere centrale cercando però di liquidare al più presto anche le posizioni tedesche sui fianchi (a nord la Prussia orientale, poi la Pomerania; a sud il bacino della Slesia e il varco della Morava). Al generale Guderian - dal luglio del 1944 nominato capo di stato maggiore generale - che gli aveva chiesto di far evacuare un gruppo di armate (26 divisioni) rimasto isolato ne lla sacca baltica, Hitler aveva risposto negativamente e, in più, aveva sottratto due divisioni corazzate dalle 14 in riserva sulla fronte orientale, per spedirle in Ungheria in soccorso delle forze combattenti a Budapest. Questo ulteriore indebolimento della fronte, tenuta da 50 mal ridotte divisioni di fanteria, stese a difesa lungo 1200 km, e della riserva mobile ridotta a sole 12 divisioni, re se ancora più aleatoria la manovra ideata dal generale Guderian di bloccare l'offensiva sovietica nello scacchiere centrale, di resistere sui fianchi, di contrattaccare da sud e da nord per tagliare il grosso dell'armata rossa. Fedele alla strategia della resistenza a ogni costo Hitler fu, inoltre, decisamente contrario ad un ripiegamento dalla Vistola prima che i sovietici dessero inizio all'offensiva. Questi ultimi, riordinate le loro forze 179 e garantitisi i rifornimenti 180, attaccarono il giorno 12 gennaio alle ore 10 dalla testa di ponte di Baranov, che i tedeschi non erano riusciti ad eliminare, con 10 armate (70 divisioni), 2 delle quali corazzate, appoggiate da 2 armate aeree, del I fronte ucraino del maresciallo Konev 181 e, dopo avere sfondato la fronte in corrispondenza di Pincz6w, dilagarono
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nella pianura polacca minacciando alle spalle le forze tedesche che fronteggiavano il I front e bielorusso del maresciallo Zukov 182. Questi, a sua volta, partito all'offensiva il giorno 14 dalle teste di ponte intorno a Magnuszev e Pulawy, dopo averle aggirate su ambedue i fianchi, mentre le sue avanguardie corazzate si erano spinte sino quasi a L6dz, il giorno 17 occupò Varsavia. Il giorno 14 anche il JJ fronte bielorusso del maresciallo Rokossovskij 183 si mise in movimento dalle due teste di ponte sul Narew e si aprì la strada meridionale di accesso alla Prussia orientale, mentre alle due estremità del dispositivo offensivo anche il IV fronte ucraino ed il Ili front e bielorusso avevano cominciato ad avanzare: il primo in direzione di Konigsberg, l'altro pe r penetrare in Cecoslovacchia da nord minacciando così il fianco sinistro delle forze tedesche in Slovacchia e in Ungheria. L'offensiva sovietica, ideata con ampiezza di concezioni strategiche, prepara ta minuziosamente e condotta con grande abilità di manovra delle immense quantità di fanterie, di carri armati, di artiglierie e di a erei a di sposizione, si abbatté
come un'ondata di piena sull'intero schieramento difensivo tedesco 184, di cui una parte riuscì a mettersi in salvo verso l'Oder, grazie ad un contrattacco nei pressi di Kietz ordinato dal generale Guderian. Dal 12 gennaio al 3 febbraio, forzato in più punti l'Oder, i sovietic i giunsero a circa 80 chilometri dai sobborghi di Berlino . Entrati il 20 gennaio, dopo avere attraversato la frontiera della Slesia, sul suolo tedesco, essi furono temporaneamente arrestati dalla barrie ra costruita dalla Wehrmacht a nord in Pomerania, al centro sulla linea Oder-Neisse tra Kiistrin e Lauban, a sud in corrispondenza della porta morava. L'avanzata sovietica fu travolgente 185 e potè avvalersi di una forza di urto e di penetrazione maggiore de l passato, mercé l'impiego dei nuovi carri armati Stalin che montavano un pezzo da 122 mm contro 1'88 mm dei Tigre tedeschi e che avevano una corazza più spessa di quella dei Ti gre, sebbene non di quella del Tigre reale. La strategia tedesca obbedì ancora una volta a d dogma hitleriano della resistenza in sito ad ogni costo e del dovere di ogni uomo di combattere dove si trova. Il generale Guderian non potè contrattacarre in forze con risultati decisivi, come avrebbe voluto, perché gliene mancarono le forze e dovette accontentarsi degli alleggerimenti di pressione ottenuti mediante l'impiego delle scarse riserve mobili, in più ostacolate nei loro movimenti in avanti dalla marea di profughi in fuga verso ovest. I contrattacchi, là dove poterono svilupparsi, consentirono di guadagnare tempo per porre in salvo con s istenti aliquote di forze ,
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specialmente nella prima settimana di combattimento. Il ricorso a lla lattica dei complessi mobili - riunione delle forze accerchiate e superate da lle formazioni corazzate nemiche in consistenti raggruppamenti dotati di mobilità per guadagnare le nuove posizioni difensive arretrate, aprendosi la strada con azioni di forza - fu meno remunerativo di quanto lo era s ta to per i sovietici nel 1941 , perché le unità di formazione tedesche dovette ro difendersi non solo d alle . forze sovietiche regolari, ma anche dalle grosse b ande partigiane perfettamente organizzate, bene armate e dotate di mezzi di comunicazione moderni e rapidi per mezzo dei quali informavano i comandi operativi sovietici. La tattica degli istrici 186 - occupazione dei g randi nodi di comunicazione, con l'ordine di resis te re fino in fondo, da parte di guarnigioni destinate a sacrificarsi - sebbene dispendiosa, valse a rallentare l'avanzata sovietica, a r ita rda re l'afflusso dei rifornime nti , a de term inare la pa usa dell 'Oder. Questa fu a lt resì favorita dalla ridotta capacità sovietica a premere contro le di[ese tedesch e a cau sa dell'eccessiva estensione delle linee di comunicazione a llungatesi in 40 giorni di oltre 400 chilometri, dalla riduzione d ella fro n te tedesca a poco più di 300 chilo metri dal Baltico a lla frontiera m ontagnosa de lla Boemia, da l breve pe riodo di disgelo della prima settimana di febbraio durante la quale le s trade si trasformarono in pantani e l'Oder accr ebbe la s ua efficacia di ostacolo difens ivo. Le pesanti perdite s ubite dai tedeschi nel corso dell'offensiva sovietica furono così compensate dalla riduzione dello spazio da coprire, ta nto che in questa fase i tedeschi si trovarono a godere di un rapporto forze-spazio assai più ragionevole di quanto fosse mai s tato dopo che la bila ncia aveva cominciato a pendere dalla parte dei sovietic i. Alle spalle della fronte sovietica, Breslavia resisteva ancora esercitando sull 'avanzata di Konev la s tessa azione frenante c he Poznan - che cadde il 23 febbraio - aveva in precedenza esercitato su quella di Zukov. Kunev fu fermato sul N iesse, mentre l'avanzata più frontale di Zukov e ra ancora bloccata sul basso Oder. Nella terza settimana di febbra io con l'aiuto di rinforzi fatti affluire dalla fronte occidentale e dall' interno della Germania, i tedeschi riuscirono a s tabilizzare la fronte o rientale. Lungo quella linea i sovietici dovettero rimane re finché a decidere definitivamente l'esito della guerra non sopraggiungesse il crollo del Reno. Tuttavia era stata proprio la crisi provocata dalla minaccia sovietica che aveva spinto i tedeschi a prendere la fata le decisione di sacrifica re la difesa del Reno per fare fronte alle esigenze poste dalla d ifesa dell'Oder, ossia per tenere a bada i russi 187,
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Si era appena stabilizzata la situazione del teatro operativo orientale, non però nello scacchiere sud-orientale del teatro dove continuava la battaglia di Ungheria nella regione posta fra Léva e il Drava 188, quando ebbe inizio una nuova grande offensiva a lleata nel teatro operativo occidentale. Fatta fallire la controffensiva delle Ardenne, sventata la mina ccia della manovra tedesca per la riconquista di Strasburgo, ridotta la sacca tedesca di Colmar e liquidato il saliente tedesco di Slittard sulla sponda sinistra del Roer, fra Geilenkirchen e Roermonl, il gen erale Eisenhower deci se di dare inizio alla battaglia per il Reno, il giorno 8 feb braio 1945, mediante un attacco della 1 a armata canadese al quale avrebbe fatto seguito, il 10 febbraio, il movimento in avanti della 2a armata inglese e della 9a e 1a a rmata americane per attraversare il Roer in direzione di Colonia e di Diisseldorf, l'attacco della linea Sigfrido da parte della 3a, della 7a armata americane e della 1a armata francese 189_ L'operazione principale sarebbe stata quella del XXI gruppo di armate che avrebbe dovuto avvolgere la Ruhr da nord in direzione generale di Miinster e Osnabruck. La 1 a armata canadese, conformemente al disegno di manovra del generale Eisenh ower, a ttaccò la mattina del giorno 8, ma dovette su ccessivamente arrestarsi in seguito a d un pesante contra ttacco tedesco nella zona di Moyland sulla strada da Clé nes a Calcar, dove i tedeschi avevano fatto affluire forze da lla linea del Roer. Qui, infatti, avevano fatto salta re le dighe di Ha mbach e di Urfctalsperre e danneggia to le paratie di que lla di Schwa mmenauel provocando la piena del Roer che ritardò, dall'S a l 23 febbraio, l'entra ta in azione della 1 a e della 9a armata americane. Entra mbe questa armate poterono muovere all'attacco solo la mallina del 23 feb braio l 90 e riuscirono a costituire 3 teste di ponte s ulla riva destra de l fiume. Il giorno dopo le due a rmate s i congiunsero in un 'unica testa di ponte a mpia 30 chilometri. Il giorno 25 la 9a armata esegui una conversione a sinistra per uni rsi a nord al1a 1a armala canadese e la 1a armata si spiegò a ventaglio nella foresta di Hambach cd a sud di Diiren. Il giorno 25, la 9a armata, dopo aver proseguito il movimento con rapidità e successo, accerchiò la città industria le di Miinchen-Gladbach e il 2 marzo raggiunse il Reno a s ud di Diisseldorf; la 1a armata il 5 marzo raggiunse i sobborghi di Colonia ed il 6 entrò nella città. Ne lla prima decade di m a rzo gli alleati furono sul Reno per tutta la lunghezza de l tratto Co lonia-estuario, a d eccezione c he nella zona di Wesel dove i te deschi mantenevano una loro testa di ponte sulla riva s inistra. L'8 marzo la 1a armata americana poté
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CAP. XLV - GLI ULTIMI DUE ANNI DI GUERRA NEGLI ALTR I TEATRI .O PERATIVI
Schizza n. 37 - La battaglia alleata per la conquista della Germania.
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impadronirsi del ponte di Remagen, vicino a Bonn occupata appunto 1'8 marzo, prima che i tedeschi potessero distruggerlo. Il generale Bradley, d'intesa con il geneale Hodges, avrebbe voluto sfruttare la fortuna parataglisi inaspettatamente davanti e, costituita una solida testa di ponte, avrebbe voluto lanciars i in profondità, quando invece ricevette l'ordine di non impegnare forze rilevanti nella testa di ponte e di fermarsi dove era giunto. Questo ordine restrittivo suonò tanto più irritante alle orecchie degli americani, in quanto quattro giorni prima, quando già aveva raggiunto il Reno nei pressi di Dtisselford, la 9a armata USA era stata fermata da Montgomery, nonostante c he il s uo comandante, generale Simpson 19 1, a uspicasse e sollecitasse un immediato tentativo di attrave rsare il fiume. La insofferenza nei confronti di simili restrizioni conformi al piano cresceva di giorno in giorno, dato che il grandioso a ttacco di Montgomery sul Reno non era previsto che per il 24 marzo, tre settimane dopo 192_ Dopo aver completamente riassorbi to il saliente delle Ardenne, la 3a armata americana del generale Pa tton, che dall'8 febbraio aveva attaccato la linea Sigfrido fra la foresta di Gemtind e Treviri e l'aveva sfondata nella regione dello Schnee-Eifel, il 26 febbraio passò il Prtim nella regione di Bettingen cd il l O marzo raggiunse il Kyll fra Bretzweiler (5 chilometri a sud di Treviri) cd il nodo di comunicazioni di Bitburg, sulla strada di arroccamento Treviri-Colonia. Occupata Treviri (2 marzo), attraversato il Kyll, puntò sul Reno ed il 7 marzo continuando la sua audace incursione costeggiò il campo trincerato di Magonza e giunse in vista del Reno. Più a nord una seconda colonna corazzata partita da Ge rolste in, avanzò verso Adenau e Laachcr See spezzando l'unitarietà della difesa tedesca. L'ala sinistra dell'armata risalì quindi verso nord per unirsi nella valle dell'Ahr all'ala destra della 1a armata, dopo aver circondato numerose truppe tedesche nella regione dell'Ahrgebirge. Il 14 marzo tutta la riva s inistra del Mosella e la riva sinistra del Reno, a nord di Coblenza, furono nelle mani de l generale Patton che il 22 marzo attraversò il Reno a Oppenheim tra Magonza e Mannheim. Frattanto, non appena raggiunto il Mosella la 3a armata e la 7a armata ebbero l'ordine di chiudere con una manovra a tenaglia le forze del triangolo Mosella-linea Sigfrido-Reno e di cadere sul tergo della Sigfrido. Il 15 marzo: la 3a armata con la sua ala sinistra isolò Coblenza e con la sua ala destra sfondò la posizione chiave di Weiskirchen, a sud-est di Treviri; la 7a armata attaccò nella Saar su di una fronte di 30 km e sfondò le posizioni
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tedesche disarticolando l'intero sistema. Il giorno 18 vennero occupate Coblenza, Phillippsburg, Worth, Runtzenheim e nei giorni successivi le forze avanzate della 3a armata si congiunsero con quelle avanzate della 7a armata nella zona di Kaiserlautern. Lo sfondamento della Sigfrido nella Saar divenne un fatto irreversibile e i tedeschi si ritirarono oltre il Reno in una situazione di autentico caos. Il 25 marzo, ad eccezione di qualche sacca di resistenza isolata, non vi erano più tedeschi ad occidente del Reno. La tanto attesa offensiva del maresciallo Montgomery ebbe finalmente inizio la notte del 23 marzo dopo un bombardamento di più di tremila cannoni e di una poderosa serie di ondate successive di centinaia di bombardieri. Essa impegnò 25 divisioni alleate e migliaia di quintali di munizioni (nei depositi allestiti sulla sponda occidentale del Reno il maresciallo Montgomery aveva fatto ammassare ben 250 mila tonnellate di munizioni e di materiali vari). Alle prime luci del giorno, due divisioni paracadutiste, trasportate da aerei e da alianti, si lanciarono sul davanti delle fanterie operanti da terra c he, appoggiate da carri armati anfibi, mossero in contemporaneità a ll'attacco. Quanto esigua fosse la resistenza tedesca è dimostrato da l fatto che la 9a armata USA, alla quale apparteneva la metà della fanteria impiegata, ebbe appena 40 morti. Anche gli inglesi s ubirono perdite trascurabili . Entro il 28 la testa di ponte era profonda più di 30 km e larga una cinquantina. Ma Montgomery, che ancora sopravvalutava la capacità di resistenza dell'esercito tedesco, dec ise di non sanzionare un'avanzata generale verso est prima di aver ammassato nella testa di ponte una forza di 20 divisioni e 1500 carri armati (193). Con l'entra ta in azione d elle forze del maresc ia llo Montgomery, le armate alleate impegnate nella battaglia pe r il Reno salirono a 8, ma lo sforzo principale, anziché da nord, come avrebbe voluto Churchill che aveva chiesto che la conquista di Berlino fosse assegnata alle truppe alleate, venne esercitato dal centro. Fu infatti dal centro che ebbe inizio, ad opera della 1a, 3a e 9a armata americane, l'irruzione verso il cuore della Germania, mentre a nord ed a sud corrisposero spinte laterali rispettiva mente da parte della 1a armata canadese, della 2a armata inglese, della 7a armata americana e della 1 a armata francese. La spinta settentrionale del XXI gruppo d'armate fu effettuata in direzione di Groningen, d( Emden e di Brema: la 1a a rmata canadese conquistò l'Olanda dove la lotta fu du rissima; la 2a armata inglese conquistò Bre ma, Lubecca e il Magdeburgo. Dall' 11 a l 26 aprile le due a rmate proseguirono la loro avanzata
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verso il mare del nord e il ridotto olandese incontrando resistenze accanite specialmente in corrispondenza de lla linea di difesa di Grebbe (Olanda), di Groningen (nord dell'Olanda), del canale di Ktisten che collega l'Ems a Oldenburg, di questa ultima località, di Leer, di Brema che si arrese il 27. La marcia su Amburgo fu anch'essa molto rapida. Dopo la conquista di Celle sull'Aller, il 12 aprile, furono stabilite sul fiume numerose teste di ponte e i mezzi corazzati della 3a armata de l generale Patton, che era stata la prima ad addentrarsi in Germania, dopo aver attraversato il Reno ad Oppenheim, avanzò senza soste verso la valle del Meno, penetrò in Baviera, attaccò Francoforte sul Meno e prese contatto con la 1a armata del generale Hodges a Lanastein. Ricevuto l'ordine di coprire il fianco della / a armata e di lasciare la conquista della Baviera alla 7a armata, la 3a armata raggiunse Casse! superando 80 chilometri in 48 ore. Giunta poi a Fulda, eseguì un nuovo balzo verso Wessel e l'autostrada Eisenach-Chemnitz che era divenuta il suo asse di penetrazione. Aggirato da nurd il Thiiringerwald, il 2 aprile invase la Turingia ed il 5 si portò sull'allineamento Mtihlauscn, Gotha, Ohrdruf, Sunl. A questo punto, tra i due massicci del Rarz e del Thtiringerwald, l'esercito tedesco tentò ancora un'ultima resistenza per proteggere la Sassonia. Ne risultò, nell'avanzata di Patton, un rallentamento che per mise a Hodges e a Simpson di affiancarglisi rapidamente pe r poi riprendere, dopo ]'organizzazione dell'attacco concentrico della Ruhr, la corsa verso est: la 1a armata in direzione di Lipsia e la 9a armata in direzione del Magdeburgo. La 3a armata il 26 aprile entrò in Cecoslovacchia e occupò Eger e dal 27, discendendo la valle del Naab, marciò in direzione del Danubio, occupando Tngolstadt e Ratisbona, forzando il 30 aprile la linea dell' Isar, raggiungendo il 1 maggio l'Inn, occupando il 4 Linz e congiungendosi il 5 con le truppe sovietiche del maresciallo Tolbukhin. La 7a armata dové combattere duramente dal 4 al J 2 aprile davanti a Heilbronn, poi poté avanzare verso Bamberg, mentre la 1 a armata francese, attraversando il Reno il 31 marzo a sud di Spire, occupò nella prima decade di aprile Karlsruhe e Pforzheim, dirigendosi verso Stoccarda. Dall 'll al 25 aprile il VI gruppo di armate del generale Dovers combatté la battaglia per il Danubio. La 7a armata, scendendo verso sud tra il Neckar e il Rednitz, su di una fronte di 145 chilometri, superò le Alpi sveve e le Alpi della Franconia, si lanciò verso Heilbronn che cadde il 12 aprile e mosse poi con l'ala destra verso Stoccarda e Ulm e con l'ala sinistra verso Norimberga che occupò il 20 aprile,
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dopo una lotta di parecchi giorni contro la 17a divisione Panzergrenadiere e parecchie migliaia di soldati delle unità SS. L'armata del generale Patch raggiunse il Danubio a Dallingen il 21 aprile e stabilì una testa di ponte sulla riva destra del fiume; prese Ulma il 23, dove erano già giunte unità della 1a armata francese . Questa ultima era nel frattempo avanzata nella foresta Nera ed aveva occupato Rastatt e Baden-Baden il 12 aprile, Offenburg il 17, Stoccarda il 22. Sul canale dell'Iller, in direzione di Augusta, il VI gruppo di armate sostenne un'ultima dura lotta . L'eliminazione delle armate tedesche accerchiate nella Ruhr 300 mila uomini, vale a dire gli effettivi di una ventina di divisioni - aveva impegnato nella prima quindicina di aprile parte della 1 a e della 9a armata e forze della 1sa armata in riserva strategica, per un totale di 17 divisioni appoggiate dall'aviazione della 9a Air Force USA. Dopo il congiungimento a Lippstadt tra la 9a e la 1a armata, avvenuto il 1 aprile, duri combattimenti si erano svolti nella regione di Lippstadt, Brilon, Paderbon e soprattutto nei pressi di Winterburg. Dal 3 aprile la cintura di fuoco intorno alla Ruhr era stata tale da ostacolare ogni evasione delle forze assediate che erano poi state tagliate in due. Hamm, Soest, Dortmund, Essen, Gelsenkichen, Wuppertal, Iserlohn erano cadute l'una dopo l'altra nelle mani degli alleati. Dopo gli ulteriori congiungimenti tra le unità della 9a e della 1a armata del giorno 11 presso Hagen e del giorno 17 tra Diisseldorf e Wuppertal non era rimasto che rastrellare le sacche secondarie, operazione che era stata dichiarata quasi conclusa il giorno 19 dopo la caduta di Diisseldorf avvenuta il giorno prima. La perdita della Ruhr aveva significato per la Germania l'indisponibilità della princ ipale sorgente di carbone e di gran parte della industria pesante oltre l'eliminazione dalla lotta organizzata di 21 divisioni, di cui 3 corazzate: 1 Panzergrenadiere e 3 paracadutisti. La Germania aveva subito una schiacciante sconfitta in una campagna logorante. I record di Tunisi, Stalingrado, Budapest erano stati battuti, poiché il computo finale dei prigionieri aveva raggiunto l'impressionante cifra di 350 mila ... 195. Tra il 26 aprile e i primi giorni di maggio quando era già avvenuto sul ponte distrutto di Torgau l'incontro di una pattuglia della 69a divisione di fanteria americana del V corpo della 1 a armata e una pattuglia sovietica della 58 4 divisione di fanteria, incontro al quale fece seguito lo stesso giorno quello a Riesa egualmente sull'Elba - si svolsero le ultime battaglie che riguardarono soprattutto l'eliminazione delle sacche ancora esistenti a nord e a sud: sacche dell'Olanda, del mare del Nord e del
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triangolo Amburgo-Torgau-Stettino e sacche meridionali della Boemia, della Baviera del s ud, dell'Austria e dell'Italia del nord. La lotta si mantenne viva, sebbene frazionata ed episodica, dal 26 aprile all'8 maggio un po' dovunque. La 1° armata canadese combatté fino al 3 maggio a Delfzijl ed a Oldemburgo; la 2° armata inglese, attraversato l'Elba a Lauenburg il 29 aprile, lottò a Lubecca per tagliare lo Schleswig e la Danimarca dalla Germania e per impedire la fuga verso la Danimarca stessa e la Norvegia delle forze tedesche della Germania occidentale; la 9° armata americana costrinse alla resa il 4 maggio i resti della 9a e della 12 3 armata tedesche e i] giorno 7 abbandonò la testa di ponte sull'Elba, a sud di Magdeburgo, per lasciare il posto, conformemente agli accordi presi, ad unità sovietiche; la 3° armata sostenne combattimenti brevi ma mollo aspri per la conquista dell'Austria e per a prirsi i] passo in direzione della Boemia verso Pilsen, Praga, Budejovice; la 7° armata combatté a lngolstadt il 28 aprile, il 29 occupò Monaco e, scendendo verso sud lungo il Lech, raggiunse la frontiera austriaca a Fi.issen il 29, e ntrò a Garmisch-Partenkirchen e a Oberammergau il 30, occupò Innsbruck il 2 maggio e s i congiunse il giorno 4 a Vipiteno con la 5° armata americana che aveva risalito l'Italia. La grandiosa manovra strategica, mediante la quale si concluse la fase finale delJ'atlacco alla Germania da occidente e dal meridione, era stata nel complesso bene ideata, ma non condotta con scioltezza. Soltanto nella prima fase, ad ovest del Reno, e ra stata conforme al piano iniziale dello SHAEF; poi il generale Eisenhower aveva dovuto trasferire da nord al centro l'operazione principale, non senza qualche esitazione determinata dall'esigenza di mantenere !"armonia lra americani e inglesi. Il s uo pronto adattamento a lla situazione creatasi dopo l'arrivo, 1'8 marzo, della / a armata americana davanti a Remagen, fu un atto di grande intuizione strategica e di grande ideazione di manovra. Quando il 24 marzo il maresciallo Motgomery, che aveva appena attraversato il Reno, lanciò la sua offensiva contro la Ruhr, la 9° e la 15° armata americane tenevano impegnate le ultime riserve tedesche sulla testa di ponte di Remagen da dove poi, una volta collegatesi a Lippstadt, chiusero in una sacca invalicabile il gruppo di armate "B· e una parte del gruppo di armate "H" della Wehrmacht. Dal 24 marzo all'l l aprile, giorno dell'arrivo all'Elba della 9° armata americana, gli alleati riuscirono così ad infrangere gli ultimi sforzi tedeschi per mantenere in piedi una resistenza coordinata. Dall'l 1 al 26 aprile, giorno d el primo congiungimento con i sovietici a Torgau, la resistenza te-
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desca fu definitivamente infranta al centro, dove le armate alleate si fermarono all'Elba conformemente agli ordini. Le armate del nord e del sud manovrarono contemporaneamente nello stesso periodo per accerchiare le forze tedesche che miravano soprattutto a tenere i porti e a difendere la Baviera: dal 26 aprile all'8 maggio infine furono combattute le ultime battaglie delle sacche, contraddistinte dalle capitolazioni in massa della Wehrmacht 196. Non tutto, dunque, andò secondo i piani prestabiliti - ad eccezione dell'arresto dell'avanzata alleata sull'Elba, al quale non senza ragione si era opposto Churchill - ma ciò che accadde di diverso sul piano strategico e tattico fu assai più e assai meglio di quantò era stato previsto e programmato. La fortuna propiziò le operazioni alleate offrendo intatto il ponte di Remagen, ma afferrare al volo l'occasione e sfruttarla a fondo fu merito indiscusso del generale Eisenhower. Il passaggio del Reno a Wesel, da parte delle armate del m aresciallo Montgomery, infli sse ai tedeschi il colpo finale in quanto consentì il congiungimento delle armate del nord e del centro. La grande manovra che ne seguì perm ise di respingere contemporaneamente le ali estreme dello schieramento tedesco sui porti del mare del nord e, a sud, in direzione dell'Austria e della Baviera, e di schiacciare le resistenze te d esche del centro contro l'Elba. La tattica degli alleati si basò sull'impiego di raggruppamenti composti di unità corazzate e di artiglierie semoventi (appoggiati da forze aeree tattiche), che venivano lanciati in profondità, a distanza dalle grandi unità di fanteria autoportate, e travolgevano le zone di resistenza, in genere localizzate sui fiumi e ne i centri urbani, frantumandole con la loro potenza di fuoco e di urto.L'avanzata a lleata fu facilitata dall'eccellente rete stradale tedesca in particolare dalle autostrade - e dal fatto che il nemico, salvo che in certe regioni (Baviera, porti del nord), non riuscì mai a riprendere il controllo delle proprie truppe ed a coordinare la difesa. Le maggiori difficoltà per gli alleati riguardarono i rifornimenti. I depositi avanzati di carburante si trovavano dietro il Reno, fuori della portata delle artiglierie tedesche. Il numero dei ponti gettati sul fiume era scarso e un autocarro poteva fare al massimo una tappa di 450 chilometri, cioè portare il carburante a 225 c hilometri e ritornare alla base. Gli alleati superarono ques te difficoltà utilizzando grosse formazioni di aerei da trasporto Dakota pe r mezzo dei quali rifornirono le loro divisioni corazzate 197. In quanto ai tedeschi: fecero ciò che poterono con quel che possedevano. Il maresciallo Kesselring, trasferito 1'8 marzo dall'Ita-
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lia alla fronte occidentale quale comandante supremo in sostituzione del maresciallo Rundstedt, si rese subito conto degli intendimenti alleati e, in particolare, delle possibilità che la testa di ponte del Reno-Palatinato offriva agli alleati. Divisò di portare nella zona rinforzi e riserve ma, a parte la scarsità delle forze disponibili, il trasporto fu ostacolato dalla mancanza di mezzi e dal disordine della rete ferroviaria. Egli tuttavia decise di tenere la linea del Reno ed il bastione Saar-Palatinato e di eliminare o ridurre la testa di ponte di Remagen. Le ragioni per le quali non riuscì a fare nulla di tutto ciò furono più o meno le stesse, sia per la perdita del Palatinato, sia per il fallimento dell'arresto dell'avanzata alleata ad Oppenheim, a Remagen e sul Basso Reno: arditezza e, talvolta addirittura temerarietà, delle forze attaccanti; dominio degli alleati nel cielo; spossatezza delle unità tedesche, nonostante che ancora prevalesse un elevato spirito combattivo; insufficienza delle provviste di munizioni e di carburanti e irregolarità dei rifornimenti. Le nostre truppe (tedesche) erano diventate lente nei movimenti e mancavano di riserve organizzate; il nemico ci era superiore in
tutto, specialmente per quanto riguardava la mobilità e la disponibilità di forze aeree 198. Il contrattacco sferrato contro la penetrazione alleata da Oppcnheim fallì, nonostante l'impiego di un'unità scelta e l'appoggio sufficiente del fuoco di artiglieria: ciò rese ineluttabili le conseguenze della manovra alleata, alle quali però i comandi della 1 a e della 7a armata tedesche 199 cercarono di porre riparo costituendo una nuova fronte difensiva, dopo avere riordinate le forze ripiegate dal Reno. Anche tale nuova fronte, stante l'insufficiente consistenza, venne travolta e tra il 27 e il 29 marzo la 7a armata ripiegò in disordine fino a Fulda e nello Spessart. Dal 18 al 20 marzo la sorte del gruppo armate ·n· tedesco venne segnata dal rapido ampliamento della testa di ponte alleata di Remagen; le forze inviate dal maresciallo Kesselring non furono sufficienti per colmare le brecce e per effettuare contrattacchi decisivi; i numerosi contrattacchi locali conseguirono tutt'al più successi temporanei e d'importanza limitata. L'avanzata alleata dalla testa di ponte di Remagen venne in un certo senso favorita dal fatto che il maresciallo Model, nonostante gli avvertimenti del maresciallo Kesselring, continuò fino all'ultimo ad essere convinto che l'attacco a lleato si sarebbe svolto in direzione nord e non verso est. Quando la falla si aprì anche le più ardile improvvisazioni non avrebbero più potuto otturarla, tanto più in quanto le posizioni difensive fra il Lahn ed il Meno venivano a trovarsi minacciate sul fianco 200. Quando il
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gruppo armate "B", alla fine di marzo, tentò di arretrare verso sud, il progetto non era più attuabile, come non lo fu neppure, data la rapidità dell'avanzata alleata, quello di mantenere la zona fra il Lahn ed il Meno. / successi ottenuti dal nemico contro il gruppo di armate ·B· ebbero la loro origine nella conquista del ponte di Remagen, avvenuta con un colpo di sorpresa, nonché nello sfruttamento rapido ed energico di tale regalo 201_ L'ultimo tentativo del gruppo di armate "B" per sottrarsi all'accerchiamento venne frustrato da Hitler che il 1 aprile ordinò di sospenderlo e di costituire nella Ruhr una specie di fortezza da difendere ad oltranza sotto gli ordini diretti dell'O.K.W. Il 17 aprile la lotta attorno al bacino della Ruhr si concluse con la capitolazione tedesca. Le truppe tedesche dimostrarono però di sapere ancora combattere, infliggendo gravi perdite ad una divisione americana nella regione di Siegburg. Il 17 aprile pose termine alla tragedia del gruppo di armate ttB" e diede origine ad una guerra di altro genere per il possesso della Ruhr e delle sue ricchezze 202. All'annientamento del gruppo di armate "H" da parte delle armate del maresciallo Montgomery non furono estranei un certo fatalismo del comandante del gruppo d'armate e la decisione di questi di voler porre rimedio alle rotture della fronte mediante ripetuti contrattacchi che consumarono rapidamente le poche riserve. Se il gruppo di armate avesse risparmiato le sue riserve il 23 ed il 24 marzo ... la situazione alla sera del 25 sarebbe stata certamente migliore. La s_c elta di un metodo e rrato, che io (Kesselring) avevo omesso di correggere, e l'imperfetta esecuzione delle azioni ebbero come conseguenza la ·p erdita della battaglia del R eno ed il seguito sfortunato delle operazioni 203_ I combattimenti successivi delle forze della Wehnnacht sul teatro operativo occidentale, sia quelli nella Germania centrale s ia quelli nella Germania meridionale, in Austria e nella Cecoslovacchia, valsero solo a dimostrare che i soldati tedeschi, anche dopo una guerra durata circa sei anni, sapevano ancora combattere egregiamente in situazioni disperate.
9. Nei teatri operativi dell'Europa orientale e dei Balcani l'epilogo della guerra fu contrassegnato principalmente dalla b att aglia di Vienna e dalla battaglia di Berlino. Appena fallita la controffen siva tedesca verso il Danubio, i marescialli Malinovskij e Tolbukhin
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ripresero l'offensiva mediante un'ampia manovra diretta verso Vienna. L'operazione cominciò il 23 marzo e fu condotta inizialmente dal maresciallo Tolbukhin che attaccò fra il Balaton e il lago Velenczei, su di una fronte ampia 100 km. Il giorno dopo entrò in azione il maresciallo Malinovskij fra il lago Velenczei ed Esztergom. Lo sfondamento del sistema difensivo tedesco consentì ai sovietici di dilagare nella pianura. Perso il controllo della ferrovia Gyor-Szombathely, i tedeschi spostarono la difesa sul lago Neusield, ultima posizione possibile per sbarrare ai sovietici WienerNeustadt e la capitale austriaca. Ma la valanga russa non dette tregua. Il 29 la presa di Koszeg e di Kapuvar iniziava l'accerchiamento del lago Neusiedl, mentre l'occupazione di Szombathely completava la conquista del territorio ungherese. La frontiera austriaca era raggiunta a Koszeg nel Buergenland. E tutto questo fu soltanto l'inizio 204_ Il 30 marzo sia il maresciallo Tolbukhin sia il maresciallo Malinovskij continuarono ad avanzare, ma mentre le forze marcianti su Vienna e su Bratislava procedettero con una rapidità fulminea, tanto che il 3 aprile conquistarono la città industriale di Wiener-Neustadt ed il 4 Bratislava, capitale della Slovacchia, che do mina le strade di Vienna da oriente, le forze dell'ala destra del maresciallo Tolbukhin, dopo aver cacciato i tedeschi dai campi petroliferi di Nagykanizsa, caduta il 2 aprile, furono arrestate in direzione di Graz sul Roab, all'uscita di Szentgotthard. L'attacco su Vienna ebbe inizio dopo la conquista del sobborgo di Modling (5 aprile) ed il raggiungimento del Danubio nella regione di Tulln (8 aprile). Le forze dei marescialli Malinovskij e Tolbukhin si congiunsero il 7 aprile nei sobborghi sud-orienta li di Vienna, strinsero il cerchio attorno alla città della quale 1'8 aprile vennero occupati l'arsenale e le stazioni ferroviarie ovest, sud, est. La lotta nella città durò fino al giorno 13 e si svolse nei viali, nel parco di Schoenbrunn, nelle colline di Leopoldsberge e di Kahle nberg, mentre le forze del maresciallo Malinovskij, fra il Morava e Vienna, conquistavano Wagram (10 april_e). Dopo la conquista di Vienna, le avanguardie sovietiche si fermarono sul Danubio a 50 km a occidente della città, mentre il grosso dell e forze si rivolse verso Praga. La p enetrazione sovietica nei Carpazi era ferma il 26 marzo davanti al varco della Moravia, dove Ratibor e Rybnìk avevano validamente resistito agli attacchi sovietici, davanti a Rufomberok nelle valli del Vah e dell'Hron. I sovietici continuarono a premer e da tutti i lati fino a quando l'arrivo delle forze del maresc iallo
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Malinovskij a nord di Vienna consentì alle truppe del generale Eremenko 205 di forzare la barriera e, dopo avere forzato i Carpazi bianchi, di conquistare Moravska-Ostrava e di aprirsi la strada verso sud. Il 6 maggio la Boemia venne completamente accerchiata, ma il gruppo d'armate tedesco del maresciallo Shoerner lottò fino a quando, spezzato in 5 tronconi, dovette arrendersi ai fronti russi. Praga venne occupata il 10 maggio dai carri armati del maresciallo Konev venuti da Dresda e sboccati dai passi della Moldavia. Il 16 aprile alle ore 3,45 ebbe inizio l'ultima grande offensiva sovietica nel teatro operativo orientale avente per obiettivi Berlino e Dresda. Nel mese di marzo il maresciallo Zukov aveva ampliato la sua testa di ponte sull'Oder, ma non era riuscito a rompere le difese tedesche. Era invece riuscito al maresciallo Rokossovskij di vincere la battaglia di Pomeriana e di rastrellare il fianco nord della fronte, prende ndo Gdynia il 28 marzo, Danzica il 30 e il 9 aprile Konisberg, isolando così i porti orientali dal resto della Germania. A sud la vittoriosa conclusione della b attaglia di Ungheria e l'imminente caduta di Vienna garantirono alle armate del / fronte bielorusso (Zukov), tra Schwedt e Fiirstenberg, e a quelle del / fronte ucraino (Konev), da Forst a Gorlitz, il fianco meridionale. Alla stessa data, come abbiamo ricordato, la fronte occidentale tedesca era crollata e dal Re no le armate alleate stavano procedendo verso est senza incontrare più resistenze insormontabili, essendosi ridotte le forze tedesche ad una ventina di divisioni in tutto, in più stremate e non in condizioni di operare in un quadro unitario. Dove, invece, i tedeschi erano ancora in grado di res istere efficacemente era proprio sulla fronte orientale, in corrispondenza della quale Hitler aveva deciso di tentare l'ultima prova pe r dividere sul piano politico le potenze occidentali dall 'Unione Sovietica. La vittoria degli alleati ad occidente era stata, infatti, facilitata da l trasferimento da quel teatro operativo a quello orientale di grandi unità e di rinforzi che sarebbero stati quanto mai utili per la battaglia del Reno. Quando Stalin fece muovere i fronti dei marescialli Zukov e Konev per rompere la posizione Oder-Neisse era certo de lla robustezza delle ali settentrionale e meridionale del suo schieramento e , pur nella consapevolezza che Hitler aveva irrobustito per quanto aveva potuto il dispositivo difensivo orientale, non aveva e non poteva nutrire dubbi sull'esito vittorioso della sua avanzata su Berlino. L'unico dubbio avrebbe potuto derivargli dall'eventualità che gli alleati venissero meno alla parola da tagli circa il rifiuto da opporre ad una richiesta tedesca per un armistizio separato. Stalin,
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però, oltre che sospettoso, era anche freddo ragionatore e calcolatore delle situazioni, per cui non poté non attribuire ad un'ipotesi siffatta un grado di probabilità quasi nullo. Preparata da massicci bombardamenti aerei dell'aviazione alleata e sovietica, l'offensiva venne sferrata su di una fronte di 80 km tra Schwedt e Francoforte sull'Oder e venne poi estesa su 250 Km di fronte fino a Gorlitz, lungo tutta la linea del Neisse. Precedute dal fuoco di 20 mila cannoni, che lanciarono proietti da 75 a 305 mm di calibro, le fanterie sovietiche uscirono con impeto travolgente dalle loro teste di ponte, ma s'imbatterono in una resistenza tanto vigorosa e tenace, quanto epica e disperata. Per i tedeschi si trattava di salvare Berlino e insieme tutto il terzo R eich dal dominio sovietico. Forse l 'O.K .W. sperava segretamente in una intesa finale con gli anglosassoni. Ad ogni modo, anche in caso di sconfitta, desiderava che gli alleati dell'ovest occupassero la maggior parte della Germania e facessero il maggior numero possibile di prigionieri 205_ La lotta fu durissima; le divisioni tedesche espressero una resistenza impareggiabile. Le teste di ponte sovietiche vennero sottoposte a robusti contrattacchi tedeschi che inizialmente quasi misero in forse la riuscita della offensiva. Il passaggio dell'Oder da parte dei carri armati pesanti Stalin e Superstalin (60 tonnellate) e dei semoventi <la 152 rese lento il ritmo dell'operazione. Il 18 aprile, ampliando ulteriormente la fronte di investimento, Stalin fece muovere, tra Schwedt e Stettino, il fronte di Rokossovskij. Alle 140 divisioni dei marescialli Z.ukov e Konev s i raggiunsero le 40 del maresciallo Rokossovskij. Il sistema difensivo tedesco venne sfondato ed i sovietici passarono il Neisse e l'Oder in più tratti aprendosi larghe hrecce, ch e vennero via via a llargando a nord e a sud per farvi infilare le colonne corazzate lanciate a tutta velocità verso Berlino. I tronconi tra Francoforte sull'Oder e Guben e attorno a Wriesen resistettero a lungo, ma il 20 aprile forze del / fronte bielorusso occuparono Bad-Freienwald, S eelow e Wriezen sfondando la linea di difesa improvvisata di Berlino e forze del / fronte ucraino, continuando ad avanzare su Dresda, giunsero a Spremberg, a Hoyersowerda ed a Kameng, 25 km a nord-est di Dresda. A partire dal 21 aprile i sovietici eseguirono con una rapidità straordinaria l'accerchiamento di Berlino. Il maresciallo Zukov attaccò frontalmente la città da est, mentre la sua ala destra l'aggirò a largo raggio da Oranienburg a Nauen e, da parte sua, l 'ala destra del maresciall o Konev, trascurando le forze tedesche al centro tra l'Oder e lo Sprea, risalì verso nord-ovest in direzione di Luc ken-
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walde e di Potsdam per aggirare Berlino da sud-ovest. Il 21 aprile tutti i dintorni della capitale vennero investiti ed il 23 l'armata rossa entrò in Berlino impadronendosi del quartiere di Pankow. Si iniziò allora la lotta nell'abitato che durò 17 giorni, fino cioè al 2 maggio, durante la quale venne impiegato circa mezzo milione di uomini de lla Wehrmacht, delle Waffen SS, della Hillerjungend e del Vvlkssturm per contendere ai sovietici palmo a palmo il terreno. La lotta non era ancora cessata, quando Hitler, Goebbels ed il generale Krebs 206 si suicidarono e l'ammiraglio Doenitz prese la successione di Hitle r.
10.
Per aprirsi la porta di accesso al Giappone - rappresentata dalla isola di Okinawa - gli americani impiegarono circa 3 mesi. Sbarcati sulla parte meridionale della costa occidentale dell'isola il I O aprile, riuscirono a diventarne completamente padroni il 21 giugno, dopo aver impiegato 5 divisioni e riportato la perdita di circa 48 mila uomini (12 120 morti e 35 905 feriti). Il Comando Sup1·emo nipponico si era reso ben conto che la perdita di Okinawa avrebbe significato avvicinare la base di partenza dell'invasione alleata del Giappone di 1000 chilometri e perciò non esitò: a s pendere, fra il 13 aprile ed il 17 maggio, 248 aerei-suicidi per tentare di impedire la conquista completa de ll'isola da parte a mericana; ad impiegare i Baka - bombe volanti propulse da tre razzi e che, lanciate da un bimotore a una trentina di chilometri dall'ohiettivo, vi piombavano a una velocità di oltre mille chilometr i a ll'ora, guidate da un pilota votatosi alla morte-; a protrarre la resistenza fino a sacrificarvi 11 O mila uomini. La vittoria a mericana di Okinawa e la vittoria inglese in Birmania dopo la grande offensiva su Rangoon, conclusasi il 3 maggio, indussero il Comando Supremo nipponico a ritirare il grosso delle forze in Cina a nord dello Yang-tze ed a lasciare nella Cina m eridiona le soltanto le guarnigioni dei grandi porti (Canton, Amoy, Swatow) trasformati in campi trincerati, abbandonando le forze che si trovavano a sud (Indocina, Birmania, Malesia, Indie olandesi, Nuova Guinea, isole del Pacifico) a l loro destino, essendo dive nuto impossibile rafforzarle e rifornirle. La ritirata giapponese favorì la rioccupazione d a parte cinese della c ittà di Nan-ing ed il raggiungimento del fiume con la c on seguenza di tagliare definitivamente il co rridoio giappo-
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nese. Ma l'eliminazione delle forze giapponesi rimaste isolate molt~ delle quali sarebbero state recuperabili - tenne impegnata un'aliquota ingente delle forze cinesi, alle quali i nipponìci resero cruente e lente le operazioni nel Kwang-si, nel Che-kiang, nel Fu-kien e nel Kien-shih. Al momento in cui i giapponesi chiesero la pace: nella Cina del sud conservavano il porto di Amoy e una fascia costiera fra Swatow e Macao; nell'interno erano in ripiegamento da Kwei-lin verso Heniang, da Uchow verso Canton, da I-feng verso Nan-chang; controllavano completamente la ferrovia Hankow-Canton benché questa fosse di continuo soggetta a intensi bombardamenti delle forze aeree alleate 207. Nella Cina del nord e nei territori dello Yang-tze, la situazione era molto incerta e problematica per la presenza in quelle regioni sia di forze cinesi nazionaliste di Chang Kai Shek sia di quelle comuniste di Mao Tse tung, stante la tensione dei rapporti esistenti tra il Kuomitang del primo ed il Kung c ·hang Tang del secondo. Le operazioni di rastrellamento delle Filippine - Mindanao, dove gli americani erano sbarcati il 12 maggio; Luzon, dove la campagna per la conquista cominciata con lo sbarco del 9 gennaio 1945 ebbe termi ne solo il 28 giugno - furono un insieme di manovre aereonavali, aereoterrestri e , prima ancora, anfibie durate otto mesi e mezzo che richiesero complessivamente l'impiego di 17 divisioni articolate in 2 armate (8a e 6a) le quali persero un totale di 60 mila uomini, di cui 12 300 morti 208, ma distrussero 23 divisioni nipponiche. Meno grandiose, ma non per questo meno determinanti ai fini della sconfitta giapponese, furono le operazioni americane nel Borneo. Dall'inizio della controffensiva nel Pacifico l'ammiraglio Nimitz e il generale MacArthur avevano continuato ad avanzare implacabilmente, seguendo due direllrici parallele, alla volta di Formosa e Shangai, senza mai deviare dal loro cammino. Essi avevano così raggiÌmto: l'uno Okinawa, partendo dalle Gilbert, l'altro Luzon, partendo da Port Moresby, e avevano percorso parecchie migliaia di chilometri malgrado l'accanita resisten za giapponese. L'attacco al Borneo fu la prima operazione eccentrica che non avvicinava gli alleati al cuore dell'impero nipponico. Ebbe, tuttavia, un grosso interesse strategico ed economico 209. Sotto il profilo strategico permise di separare dalla metropoli i territori conquistati dai giapponesi nell 'Insulindia e costituì la premessa di un eventuale offensiva alleata concentrica contro la base di Singapore; sotto il profilo economico sottrasse ai giapponesi i più grandi giacimenti di petrolio e risorse di oro, argento, manganese e car-
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bone. Le operazioni per la conquista del Borneo ebbero inizio il 1 maggio con una serie di sbarchi nell'isola di Tarakan, la cui conquista richiese 25 giorni; furono proseguite il 1 giugno con uno sbarco nell'isola di Laburan al quale fecero seguito, il 10 giugno, altri tre sbarchi nella baia di Brunei; si conclusero con uno sbarco a Balikpapan il 1 luglio e con la battaglia di Manggar per il possesso dei campi petroliferi di Sambodja e di Samarinda. In pratica, 1'8 agosto l'isola del Borneo era quasi tutta nelle mani degli alleati ad eccezione delle guarnigioni di Celehes, di Halmahera e del gruppo Timor-Flores rimaste però tagliate dal resto delle forze nipponiche. La campagna del Borneo condotta dalla 7° flotta americana, dalla 14a Air Force e da 2 divisioni australiane fu una delle più ardue per le difficoltà presentate dalla natura del terreno e dalla durezza del clima (paludi, umidità, giungla equatoriale, sabbie mobili, fiumi melmosi, ecc.) e fu conclu sa con successo dalle forze alleate solo in ragione della accurata organizzazione logistica e sanitaria con la quale era stata preparata. La fine della guerra nel Pacifico fu caratterizzata dalla campagna del Giappone (21 giugno-14 agosto) comprendente le grandi operazioni aeronavali del mese di luglio e le operazioni di attacco diretto alla flotta ed alle città dell'impero di Hirohito. A tali operazioni fondamentali e decisive si accompagnarono quelle che continuarono a svolgersi in Birmania fino al 14 agosto 210 e quelle intraprese in Manciuria, sotto il comando supremo del maresciallo Vassilievskij, dalle forze sovietiche articolate su 3 fronti: fronte della Transhaikalia, II fronte dell'Estremo Oriente, I fronte dell'Estremo Oriente 211. Dall'inizio del mese di luglio, il Giappone venne sottoposto ad attacchi combinati da parte de lle flotte navali ed aeree ancora più violenti di quelli abbattutisi sulla Germania fino agli ultimi giorni della guerra in Europa. Riorganizzato, dopo la fine della guerra nei teatri operativi europei, il comando e raggruppate diversamente le forze 212, il 2 luglio le superfortezze d ettero inizio, dalle basi di Okinawa, all'attacco finale mediante continue massicce incursioni aeree, diurne e notturne, di centinaia di bombardieri pesanti e medi, partenti da Saipan e da Okinawa, scortati da caccia che si levavano in volo da Jwo Jima e dalla stessa Okinawa, contro le bas i degli aerei suic idi, le raffinerie di petrolio, i grandi agglomerati industriali, i porti e le unità da guerra giapponesi. Il 17 e il 18 luglio più di 1500 aerei volarono sul Giappone e, attaccando le basi di Yokosuka e di Kare, distrussero quasi completamente, dal 18 al 28 luglio, i resti dell 'intera flotta
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giapponese: 4 corazzate, 2 portaerei d'attacco, 2 incrociatori pesanti, 1 leggero furono mandati a picco o gravemente danneggiati. Una nuova offensiva aeronavale venne lanciata il 24 luglio: Nagoya, Osaka, Sakai, Nagasaki furono attaccate da duemila aerei. Dal 28 luglio cominciarono i bombardamenti sulle città avvertite. Migliaia di aerei - da bombardamento (B-24, Liberator, Superfortezze B-29, Dominator B-32, Mosquito, Mitchel[) e da caccia (P-61 Black Window, Mustang, Thunderbolt) e di altri tipi - devastarono e incendiarono intere città, rasero al suolo industrie, fecero saltare in aria polveriere, -resero impossibile la circolazione dei mezzi di trasporto, vuotarono le città (Tokio venne evacuata e vi rimasero solo 200 mila persone). Davanti a tale valanga di disastri e di lutti l'aviazione giapponese ridotta a quasi nulla e la difesa contraerei del tutto neutrali zzata non furono in grado di esprimere nessuna reazione. Dal 1 gennaio al 14 agosto 1945 le forze aeree alleate dell "Es tremo Oriente avevano mandato a picco o gravemente danneggiato 2 700 000 tonnellate di navi, distrutto 11 375 aerei e sganciato sul Giappone 100 mila tonnellate di bombe. Al punto in cui era giunta la catastrofe del Giappone alla fine de l mese di luglio del 1945, ci sembra del tutto infondata la tesi che fosse necessario lo sgancio della bomba atomica su Hiroshima e su Nagasaki per porre fuori causa l'impero del Sol Levante. La guerra iniziata nel 1939 quasi nell'incredulità generale e quasi pigramente, esplosa nel 1940 in tutta la sua crudezza e totalitarietà, estesasi a quasi tutto il mondo nel 1941, salita d'intensità e di furia negli anni successivi, terminò formalmente sei anni dopo l'aggressione di Hitler alla Polonia e quattro mesi dopo la resa incondizionata della Germania 213 con la firma dello strumento di resa da parte dei rappresentanti del Giappone 214, il 2 settembre 1945, a bordo della corazzata americana Missouri all 'ancora nella baia di Tokio. La fine vera era già avvenuta 18 giorni prima, quando il 14 agosto l'imperatore Hirohito aveva dichiarato di accettare le condizioni poste dagli alleati. Durante sei anni, la guerra non solo si era mossa costantemente lungo la linea di tendenza a diventare un fenomeno totalitario e globale, già evidente sin dall'inizio del secolo XX, ma aveva perso del tutto la sua fisionomia tradizionale, non tanto in ragione della rivoluzione apportata alla strategia, alla tattica, agli ordinamenti, alla logistica dal progresso della scienza e della tecnica, quanto dal superamento da parte dei belligeranti di ogni vincolo e limite di ragionevolezza politica oltre che etica.
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NOTE AL CAPITOLO XLV 1 Alla conferenza parteciparono il presidente Roosevelt, il premier Churchill, genera li s ta tuniten si e inglesi, nonché i generali francesi De Gaulle e Giraud. Fu preso, tra gli altri, l'impegno di continuare la g uerra fino alla r esa incondizion ata dell e potenze d e ll 'Asse e fu deciso lo sbarco in Sicilia. Venne fissata la natura s ussidiaria del bombardamento aereo strategico come tipo di azione preliminare dell'invasione terrestre. Pe r la succession e dell'ammiraglio francese Darlan quale capo del la Francia libera, si giunse ad un accordo tra francesi di Londra e di Algeri ed il comando del comitato fran cese di liberazione nazionale venne affid a to con giuntamente ai generali De Gaulle e Giraud. 2 Veds. Voi. II Tomo 2°, Cap. XXXVlll, nota 15. 3 Veds. Voi. Il, Tomo 1°, Cap. XX, nota 9. 4 Giraud Henri, (1879-1949), gen erale francese. Combatté ne lla prima guerra mondiale e fu poi in Tunisia ed in Marocco. Comandante di armata allo scoppio della seconda guer ra mondiale, fu fallo prigio11iero dai tedeschi (1940). Evaso nell'aprile 1942, assunse il comando milita re e civile dell'Afri ca del nord. Fu copresidente d el comitato di liberazione francese d a l febbraio a ll'ottobre 1943; comandante in capo delle forze francesi unificate, fu rimosso da De Gaulle nell'aprile del 1944. 5 Conferenza di Washington Tri.dent - del 12-25 maggio 1943. La prima conferenza di Washington - Roosevelt Churchill - aveva avuto luogo dal 22 dicemb1·c 194 1 a l 14 gennaio del 1942 e durante il s uo svolgimento era s tato firmato da 26 n azioni il Patto di Washington s ulla base della Carta Atlantica redatta da Roosevelt e da Churchill il 14 agosto del 1941. Un'altra conferenza, la seconda, ebbe luogo a Washin gton con la parteci pazion e d i Roosevelt e di Churchill dal 18 al 26 giugno del 1942. 6 La prima conferenza di Que bec s i svolse dall'l 1 al 24 agosto 1943 e vi presero parte Roosevelt, Churchill, il premier canadese Mackenzie King e un rappresentante del governo cinese. L'argomento centrale fu la pre parazione delle operazioni Overlord e Anvil. Fu a nc he deciso di affidare il comando de lle operazioni in Estremo Oriente a lord Moun t batten . La seconda conferenza e bbe luogo dal l' l 1 a l 16 settembre 1944. Roosevelt , Churchil e Mackcnzic King dibaLterono soprattutto i problemi del d opoguerra in Germania. Questa seconda conferenza fu seguita in ottobre dalla seconda conferenza di Mosca. 7 La prim a conferenza di Il Cairo fu tenuta d al 22 al 26 novembre del 1943 e vi parteciparono Roosevelt, Churchill e il generale Chiang-Kai-Shek. Venne deciso di continuare la g uerra al Giappone fino alla resa incondizionata, ma di rispettarne in sede del t rattato di pace l'integrità territoriale ad eccezione dei te rritor i tolti alla Cina e delle isole del Pacifico occupate d opo il 1914. La seconda conferenza di Il Cairo ebbe luogo pochi giorni dopo, d a l 3 a l 6 dicembre 1943, per mettere a punto il piano Matterhom per l'incurs ione contro il Giappone muovendo d a lla Cina. 8 Altre conferenze: Atlantic Covoy del I marzo 1943; con ferenza di Bretton Woods (USA) del 1-22 luglio 1944 alla quale parteciparono 44 paesi. Fu la prima conferenza finan ziaria e monetaria delle Nazioni Unite ed essa s fociò negli accordi che crearono il Fondo Mo netari.o Internazionale e la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo; conferenza di Dumbarton Oaks (USA) d al 21 agosto a l 9 ottobre del 1944.
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Colloqui di Churchill a Mosca con Stalin dal 9 al IO ottobre 1944. Un precedenle inconlro Stalin-Churchill era a vvenuto a Mosca dal 12 al 15 agosto 1942 e ad esso aveva partecipato anche il rappresentante personale di RoosevelL (Harriman). lO La prima conferenza di Mosca ebbe luogo dal 19 otlobre al 1 novembre del 1943; vi parteciparono i rappresentanti d ell'Union e Sovietica, d egli Stati Uniti, della Gran Bretagna e l'ambascialore cinese a Londra. Venne stabilita un a politica comune (resa incondizionata della Germania, indipendenza dell'Austria enlro i confini precedenti all'Anschluss, basi più democratich e pe r il governo Badoglio, is liLUzione di un s islema di sicurezza collettiva). La seconda conferenza di Mosca d el 9-18 ottobre 1944 discusse il problema della Polonia; v i parteciparnno sovielici, inglesi e, come osservalore, l'ambasciatore statunitense, e d a l 13 ottobre una delegazione del governo polacco in esilio. Vennero decisi il futuro confine po lacco e la fu sione d ei due governi polacchi di Londra e di Lublino. L'U.R.S.S. e la Gran Bretagn a stabilirono le reciproche zone d 'influenza pe r il dopo conflitto. Una terza conferenza venne tenuta a Mosca lra il 16 e il 26 dicembre del 1945 a l livello dei minislri d egli este ri statunitense, sovietico e britannico per preparare i t rallati di pace con l'ILalia, la Romania, la Finlandia, l'Unghcrià e la Bulgaria. 11 Curzon of Kedleston George Nathaniel (1859-1925), uomo politico inglese ch e, delegalo a Spa (1920), diede il nome alla linea proposta come frontiera p rovvisoria tra Polonia, Russia e Lituania. 12 B.H. Liddel Hart. Storia militare della seconda guerra mondiale, Mo ndadori, Verona, 1971 , pg. 950. 13 Ricordiamo i genera li Beck. Olbrichl, Hoppner, il maresciallo Witzleben, generali Stulpnagcl, Falkennausen, il maresciallo Rommel, il gen erale Fromm. 14 Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. Cit. , pgg. 966-967. 15 Ibidem, pg. 967. 16 Ibidem, pg. 973. 17 Ibidem, pgg. 972-973. 18 Ibidem, pg. 972. 19 Ibidem, pg. 972. 20 Leahy William Daniel, (1875-1 959) ammiraglio e diplomatico statunitense. Percorse tutta la carriera nella marina sino al grado di ammiraglio (1936) e di capo delle operazioni navali (1937). Ritiratosi nel 1939. l'anno seguente Roosevelt lo nominò ambascialore presso il governo francese di Vichy, dove restò fino al 1942. Tornato in patria fu capo di s tato maggiore del comandante supremo delle forze armale che era lo stesso presidente. 2 1 Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit. pg. 970. 2 2 Ibidem, pg. 731. 23 Doenilz Karl, (1891-1980), a mmiraglio tedesco. Il 1 settembre 19 16, con il grado di ten ente della marina imperiale germanica, venne trasferito nella sp eciali tà dei sommergibili. Nel 19 18 cadde prigioniero degli a lleati con]' V.Boot 68. Nel 1933 fu promosso cap itano di vascello e comandante d ella flotti glia subacqu ea. Nel 1939 architellò la beffa di Scapa Flow. Nel gennaio 1943 venne nominato successore del grande ammiraglio Raeder e il 30 aprile 1945 Hit ler lo designò come suo su ccessore. Il 7 maggio 1945, come capo della Germania nazista, delegò il generale J odl e l'ammiraglio Hans von Friedeburg a firmare la resa incondizion ata e il 23 maggio si con segnò agli alleati. Venne processato a Norimberga e condannato a dieci anni di prigione (1946) per c rimini di guerra inerenti a lla spietatezza della guerra soUomarina. Tornò in libertà il 1 ottobre 1956. Patrocinò e diresse lo sviluppo dell'arma sottomarina duranle tutta la seconda guerru mondiale.
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2 4 Raeder Erich (1876- 1960), ammiraglio tedesco. Entrato nell'accademia militare della marina nel 1894, fu ufficiale di rotta dello yacht del Kaiser (1910), partecipò alla battaglia dello Jutland come capo di stato maggiore dell'ammiraglio Franz Hipper, fu nominato capo della Kriegsmarin~ nel 1928. Fautore di uno sviluppo equi libralo della flotta, impostò le corazzate tascabili e diresse con abi lità e decisione le operazioni navali contro la Norvegia (1940). Convinto della superiorità della fl o tta inglese, si oppose allo sbarco in Inghilterra e preferì puntare tutti i s uccessi sull'arma sottomarina. Allo inizio del 1943 fu sostituito dall 'ammiraglio Doenitz, comandante della flotta sottomarina e fautore del suo impiego senza limitazioni. Catturato dai sovietici a Potsdam-Babelsberg, fu processalo a Norimberga e condannato all'ergastolo. Fu graziato e dimesso dal car cere il 26 settembre 1955 in libertà vigilata. 25 Goering Hermann (1893- 1946), maresciallo del Reich. Dis tintosi come ufficiale di aviazione nella prima guerra mond iale, aderì a l nazionalsocialismo nel 1922 e fu il primo capo delle S.A. Con Hitler accumulò un numero straordinario di cariche: ministro senza portafoglio e commissario dell'aviazione, capo del governo prussiano, ministro delle foreste e della caccia, comandante s upremo della Luftwaffe, sovrintendente al piano economico quadriennale per la preparazione alla guerra (1936). Promosso generale (da capitano) nel 1933, divenne feldmaresciallo nel 1938 e maresciallo del Reich nel 1940 (grado crealo apposilanu:ule per lui). Nel 1939 assunse la funzione di predesignato successore d i Hitler e di presidente del consiglio di guerra. La sconfitta nella battaglia d 'Inghilterra e la scarsa efficienza della difesa contraerei segnarono un primo declino delle sue fortune. Negli ultimi giorni d el Terzo Reich tentò di assumere il potere supremo e Hi tler lo privò di ogni carica e lo fece arrestare. Fu poi condannato a morte dal tribunale di Norimberga; riuscì ad avvelenarsi alla vigilia dell'esecuzione. 26 Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., pg. 549. 21 Ibidem, pgg. 951-952. 28 Ibide m, pg. 849. 29 Ibidem, pgg. 850-852. 30 Tedder Arthu.r (1890-1967), maresciallo dell'aria inglese. Comandante dell 'aviazione britannica nel Medio Oriente e in Africa settentrionale nel 1941, poi delle forze aeree an g lo-americane nel Mediterrnneo nel 1943. Vicecomandante su premo, s ubo1·dinato solo al generale Eisenhower, e comandante in capo delle forze aeree alleate, s i distinse in parti colare nell 'organizzare la preparazione aerea allo sbarco in Normandia, concentrando l'aviazione strategica s ulla distruzione della ret e di .:urnunicaziuni ferroviarie della Francia e della Gennania. Nel dopoguerra fu capo di s tato maggiore dcll'aerconautica britannica dal 1946 al 1950. 11 Gen . LM. Chassin. SLoria mililare della seconda guerra mondiale. Sansoni editore, Firenze, 1964, pg. 468. 32 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hart. Op. cit., pg. 857. 33 Harris sir Arthur Travers (1892-1984), maresciallo dell'aria inglese. Fu pilota in Francia nella prima guerra mondiale; durante la seconda guerra mondiale, dal febbra io 1942, fu a capo d el comando bombardieri e sviluppò su vastissima scala l'offensiva aerea indiscriminata contro la Germania. 34 Cari Spaatz (1891-1974), generale statunitense. Con il grado di generale a ll'inizio della seconda guerra mondia le fu posto a capo de ll 'Air Force CombaL Command. Nel 1942 diresse 1'8 ° forza aerea americana in Inghilterra, nel 1943 le forte aeree a lleate nell'Africa settentrionale e nel 1944 le forze aeree strategiche
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U.S.A. in Europa, organizzando i bombardamenti americani sulla Germania. Fu inviato poi a dirigere l'attacco finale sul Giappone e dopo la guerra fu capo di stato maggiore dell'USAF fino a l 1948. 35 Storia militare della seconda guerra mondiale di Liddel Hart. Op. cit., pg. 852. 36 Ibidem, pg. 855. 37 Ibidem, pgg. 853-854. 38 ibidem, pgg. 855-856. 39 Nel m ese di giugno il tasso delle perdile rela tivo a lle inc ursioni su obiettivi petroliferi raggiunse l' 11 per cento. In agosto e settembre la RAF effettuò metà delle missioni di giorno anziché di notte, ma nel frattempo anche le incursion i notturne divennero meno dispendiose. 40 Nel mese di settembre le forniture di carburante destinate alla Lu/twaf/e si ridussero, per effetto d ei bombardamenti a lleat i, a 10 000 tonnellate di ottano, contro un fabbisogno mens ile minimo di 160 mila tonnellate. Gli attacchi su PloesLi ridussero la produzione di quel g iacimento d alle 155 700 L. del marzo 1944 alle 15 400 dell'agoslo dello stesso anno. Nell 'aprile 1945 la p roduzione di carburante risultò talmente diminuita che non esisteva più la convenienza economica nel distribuirla: ci sarebbe voluta troppa bem.ina per traspor tare i cari chi nei centri <l'impiego. Il 22 feb braio 1945, IO mila apparecchi a lleati effettuarono l 'operazione Claison contro la rete di comunicazioni tedesca: il traffico diminuì del 90 per cento. Il 14 marzo 1945 la bomba di 10 t Crand Slam fu utilizzata pe r la prima vita sul viadoLLo ferroviario di Bielefeld. ALLacchi con aerei isolati, attacchi concentrati su di un unico obiettivo con l'impiego d i 800 apparecchi a ll'ora, a ttacchi di saturazione che duravano dai 15 a i 20 mi nuti con l'impiego di 1800 a ppa recchi all 'ora, attacchi con i metodi Puth/inder e ,\ 1aster Bomber a base di radar: misero a terra sorgenti di energia , comunicazion i e industrie. Dal gennaio a l marzo 1945 la RAF lanciò 146 500 t di bombe; l'USAAF, dal dicembr e del 1944 a l maggio del 1945 540 000 t. Quando tutte le fabbri che di benzina sintetica della Ruhr furono messe fuor i uso, l'offens iva s tra tegica aerea si abbatté sulle installazio ni di carbone cokc e su quelle di d istillazione del catrame, sui depositi di petrolio, benzina, o lii lubrificanti, carburanti s intetici. 41 Storia militare della seconda ~uerra mondiale. Op. cit., pg. 860. 42 Veds. capitolo XX, nota n . 8. 4 3 La V. 1 - bom ha volante Fieseler Fi 108 o F2G 76 realizzala nel 1944 in due versioni molto simili - era un piccolo aereo senza pilota, con circa 250 km di autonomia, lungo circa 8 metri, con un'apertura a lare attorno ai 5 m, pesante poco più di 2 t e nel cui muso era install ata una carica di 850 kg di alto esplosivo. Potenziato da un pulsoreattore d a 350 kg di s pinta, che poi consentiva una velocità di 650 km/h, veniva lanciata a quote attorno a i 1000 m. La V. 2 - o A4 - era un grosso razzo, pesante all'istante d el lancio quasi 13 t, d i cui circa 9 erano co stituite dai prope llenti (ossigeno liquido e alcool) e poco meno di 1 t dalla cari ca dirompen te piazzata nell'ogiva. Lunga 14 m e con un diametro massimo di poco più di 1,5 m, la V. 2 ern propulsa da un motore a razzo capace di una spinta massima di circa 27 t, che le assicurava una g ittata tra g li 80 e i 500 km facendole raggiungere una velocità m assima di 5600 km/h e quote sui 100 000 m. Fu il primo missile balistico e anticipò, sollo molti aspetti, i missili balistici moderni. 44 Il numero delle case danne ggiate fu di parecchi milioni : sui 13 milioni di case del Regno Unito, 202 mila furono totalmente distrutte, 255 mil a d anneggiate al punto da essere inabitahili e oltre 4 milioni e 73 mila danneggiate seria mente.
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L.M. Chassin. Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., pgg.
562-563.
Ved s. Voi , II, Tomo 2°, Cap. XXXVlll, nota 91. Veds. Voi. II, Tomo 2°, Cap. XXXVIII, nota 143. 48 Temoshenko Semin Kostantinovic (1895-1970), maresciallo sovietico. Comandante di una divisione di cavallt:ria nell'armata cli Budennyj nella guerra civile 1918-'20, ne lla t:state del 1941 comandò le armatt: sovietiche s ulla fronte centrale e poi quelle d ella fronte meridionale, che guidò alla riconquista di Rostov nel novembre. Nel maggio del 1942 fallì nell'offensiva di Ha rkov. Nell'estate <lei 1943 diresse la controffensiva s u Ore) c he concluse vittoriosamente nell'autunno successivo fino al Dnepr. 4 9 Veds. Voi. II, Tomo 2°, Cap. XXXVII, nota 10. so Veds. Voi. li, Tomo 2, Cap. XXXVII, nota 9. s 1 Veds. Voi. II, Tomo 2 °, Cap. XXXVIIT, nota 137. 52 Veds. Voi. Il, Tomo 2°, Cap. XXXVIII, nota 138. 53 Veds. Voi. II, Tomo 2 °, Cap. XXXVIII, nota 13 6. 54 Storia militare della seconda guerra m ondiale, Liddcl HarL Op. cit., pgg. 690-691. 55 Nella zona di Orsa passava la ferrovia M osca-Minsk. Com e settore di attacco - una v"otinn cli chilomeL1·i - quello sovietico presentava il vantaggio tiella fa cile a limentazione e notevoli possibilità di sfrutta mento d e ll 'even tuale successo; ma il vantaggio della facile a limentazione g iocava anche a favore d ei tedeschi che fecero a ffluire in zona forze sufficienti al contenimento. Il generale Hcin rici - che dispom:va di IO divisioni s u 150 km cli fronte - impiegò s u questo ristrett issimo settore 3 divi sioni e mezzo, laseianclo alle a ltre 6 <' m ezzo il compito cli coprire tutto il resto della s ua estesissima fronte. Nel punto vitale egli riuscì dunque a realizzare un rapporto forze-spazio abbastanza elevato. La sua artiglieria era quas i intatta ed egli ammassò, a copertura del settore cruciale, ben 380 cannoni. Grazie al fatto di dipendere da un unico comandante (presso il quartier generale d ella 4a armata), l'artiglieria poteva concentrare il s uo fuoco su quei punti del settore in cui di volta in volta la minaccia appariva più grave. Nello stesso tempo Heinric i introdusse il sistema di mungere le divi sioni che si trovavano nella parte tranquilla della fronte per fornire ogni giorno, ne i giorni di ba ttaglia, un battaglione fresco alle divisioni più impegnate. Questo rinforzo bastava <li ~olito a I impiazzare le pcr<litc del giorno pri:cedente, mettendo inoltrt: a disposizione della divisione interessata una riserva locale intatta, poten zia lmt:nte utilizzabile per contrattaccare. Gli inconvenienti connessi a l fatto di frammischiare unità di diversa provenienza erano ridotti da un funzionale sistema d i rotazione all 'interno delle divisioni (formate su 3 reggimenti, ciascuno di 2 battaglioni). Per il secondo giorno di battaglia il battaglione di rinforzo, accompagnato dal quartier generale di reggimento, veniva affianca to a quello schierato in prima linea il giorno precedente; entro il quarto giorno il punto minacciato veniva a essere presidiato da un reggimento completamen te nuovo. Entro sei giorni dall 'inizio d ella battaglia l'intera <livisione che aveva subito il primo urto era stata rilevata e trasferita nel settore tranquillo, dal quale erano s tate tratte gradualmente le unità di rimpiazzo (Storia militare della seconda guerra mondiale di Liddel Hart. Op. cit., pgg. 697-698). 56 Gotthard Heinrici (1886-1971), generale tedesco. Arruolato nel 1905, fu nominato sottotenente nel 1906 e partecipò alla I a g uerra mondiale. Successivamente fece parte della Reichswt:hr. Tenente colonne llo ne l 1930, colonnello nel 1933, generale di brigata nel 1938, generale di divisione nel 1940 e generale di corpo 46 47
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d'armata nel 1943. Durante la 2• g uerra mondiale comandò la 16° divisione, il VII corpo d'armata, il XllI corpo <l'armata, il XLIII corpo d'armata, la 4° armata, la l a armata corazzata cd il gruppo di fone terrestri Whichsel. s7 Storia militare della seconda guerra mondiale. Lidde l Hart. Op. cit .. pg. 698. 58 Hassoon Manteuffel (1897-1978), generale tedesco. Arruolato nel 1916, partecipò a lla l • gue rra mondiale e fece parte della Reichswchr. Frequentò un cor so <li perfezionamento presso la scuola t ruppe corazzate nel 1939. Tenente colonnello nel 1939, colonnello nel 1941 , generale di brigata nel 1943, generale di divisione nel 1944. Du rante la 2 • guerra mondiale comandò il III battagli one d i fanteria corazzata, il I battaglione del 7° reggimento di assalto, il 6 ° reggimento di fanteria corazzata, la 7• brigata di fant eria corazzata "G. D." e s uccess ivamente la s• e la 3° armata corazzata. 59 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hart. Op. cit., pg. 694. 60 Tolbuhin Fedor Tvanovic (1894-1949), maresciallo sovietico. Combatté a Stalingrado come comandante di armate. Nel 1943 ebhe il comando <lei IV fronte ucraino. Ballé ripetutamente le forze germaniche, liberò la Crimea. entrò in Bulgaria nell'autunno del 1944. Aiutò le forze di Tito in Jugos lavia, liberò poi l'Ungheria e l'Austria. 61 Kurt Zeitzler (1895-1963), generale di armata ted esco. Sollotencntc di fan tP.ria nel 19 14, partecipò alla 1° guerra mondiale. Colonnello nel 1939, generale di divisione nel 1942 ed alla fine dell'anno gener~le di armata. Durante la 2° guerra mondiale capo di stato maggiore d e l 22° corpo di armata e, successivamente, <lei gruppo armate 'A", quindi del gruppo di armate ·o·. Da l 20 settembre 1942 a l 1° luglio 1944 capo di s tato maggiore dell'esercito. 62 Franz Haldcr (1884-1972), generale tedesco. Tenente di artiglieria 11el 1904 , partecipò alla 1 • guerra mondiale. Nel 1933 comandò il 7° artiglieria e, quindi, la 7a divisione nel 1935. Addetto a llo stato maggiore generale da tenente colonnello, da colonnello e da generale di brigata. P romosso generale di corpo d'armata ne l 1938 e generale d'armata nel 1940. Capo di s tato maggiore dell'esercito dal 1° setlemb re 1939 al 24 settembre 1942. 63 Veds. Voi. TI, Tomo 2, Cap. XXXTV, nota 3 1 bis. 64 Le forze sovietic he il I gennaio 1944 erano raggruppate in 12 fronti per un totale di 460 divisioni di fanteria, 234 brigate, 34 divisioni di cavalleria, 174 briga te corazzate, 87 reggimenti corazzati: - da Murman sk al lago Ladoga: fronte di Carelia; - dal lago Ladoga a sud di Lening rado: / ronte di Leningrado (Gorov); - da Leningrado al lago di Sleen: fronie di Volkov (Meretzkov); - dal lago Ilmen a Velikic Luki: JJ fronte baltico (Popov); - da Vdikic Luki as Vitebsk: T fronte baltico (Bugramyan); - da Vitebsk a Mogilev: fil fronte della Bielorussia (Cerniakovskj); - da Mogilev a Bolornisk: I/ fronte della Bielorussia (Zacharov); - da Bo lorni sk a l Pripj at: / fronte della Bielorussia (Rokossovskij); - dal Pripjat a sud di Kiev: I fronte dell'Uc raina (Vatutin); - da Kiev a Dnepropctrovsk: Il fronte de/l'Ucraina (Koniev); - da Dneprepetrovsk a Vikopol: JJJ fronte dell'Ucraina. (Malinovskij); - da Nikopol a l mare: IV fronte dell 'Ucraina (Tolbuhin). Lo schieramento tedesco a l l O gennaio 1944 comprendeva 19 a rmate t edesche di cui 3 coraZ7..ate, 2 armate romene, l finlandese, I ungherese e l di visione spagnola, ossia 207 divi sioni tedesche di cui 25 corazzate, 10 romene, 6 ungheresi, 1 spagnola.
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Le forze erano così schierate: - in Finlandia: 20a armata tedesca e armata finla ndese (maresciallo von Mannrheim); - da Leningrado a Velikie Luki: gruppo d'armate nord (generale von Ki.ichler) comprendente 16 a e 18" armata; - da Velikie Luki al Pripjat: gruppo d'armate centro (generale von Kluge) comprendente 2a, 4a e 9• a rma ta e 3• a rmata corazzata; - da l Pripjat a Kazatin: vuppo d'armate sud (generale von Manstein) compre ndente 1• e 4a armata corazzata e 1 • armata ungherese: - da Ka7,atin a Cherson: gruppo d'armate 'A· (genera le von Kleist) comprendente 6• e 8" armata tedesche e 3• armata romena; - in Crimea: 4 • e 17a armata (generale J aenecke): - in riserva: 4• arma ta romena. 65 Veds. Cap. XUTl, nota 62. 66 Storia militare della seconda guerra mondiale di Lid<lel Hart. Op. cit., pg. 803. 67 Veds. Voi. II, Tomo 2°, Cap. XXXVIII. nota 92. 68 Walter Model (189 1-1945), generale tedesco. Arruo lato nel 1909, partecipò a lla I• guerra mondiale e, successivamente, fece parte della Reichswehr. ru capo di stato maggiore <lei IV corpo <l'armata. Tenente colonnello nel 1932, colonnello nel 1934, generale di hrigata nel 1938, generale di divisione nel 1949, generale <li corpo <l'armata nel 1941, maresciallo ne l 1944. Durante la 2• guerra mondia le fu nuovamente capo di S. M. <lei IV corpo d'arma ta, capo <li S.M. della 16 3 armata, comandanter della 3• divisione corazzata, del XLl corpo d 'am, a ta corazzato, della 9• armata. del gruppo di a1mata <lei nord Ucraina, del gruppo di a rmat a ·a· ed infine, comandante della frontt: Ovest. 69 Erwin Jalnecke (1890-1960), generale tedesco. Arruolato nel 19 11, partecipò a lla guerra 1914-19 18. Fece parte successivamente della Rcichswehr. Tenente colonnello ne l I934, colonnello nel 1936, generale di brigata ne l 1939, generale di divisione nel 194 1, genera le d i corpo <l'a rmata nel 1944. Durante la 2• guerra mondia le pres tò servi:i:io presso il quartier generale delle forze di occupazione in Belgio, a Parig i e nella fron te Ovest; comandò, altresì, la 389" divisione di fanteria, il rv corpo d 'armata, il LXXXTT corpo d'armata e la 17• a rmata. 70 Veds. Voi. I, Cap. 1. no ta 28. 7 1 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddc l Harl. Op. cit., pg. 806. 72 Ibidem. 73 Mannerheim Cari Gusta/ Emi/ (1867-195 1), maresciallo e uomo poli tico fin landese. Generale nell'ese rc ito zarista durante la prima guerra mond ia le, dopo la rivoluzione del 19 17 guidò la lotta de lla borghesia finlandese contro i bolscevichi e fondò la repubblica di Finlandia (17 luglio 1919). Nel 1931 d ivenne presidente del consiglio su premo di difesa e progettò la linea difensiva di fortificazioni la qua le <la lui derivò il nome. Al comando dell 'esercito fin landese guidò prima la resistenza contro l'aggressione sovietica del 1939-'40, poi, alleatosi con la Germania, d ichiarò g uerra a ll'Unione Sovietica (1941-'44). Presidente dell a repubblica nel settembre del 1944 firmò la resa a ll 'Unione Sovietica; poi dichiarò guerra alla Germania per un tentativo da questa compiuto di s barcare nell'isola di Hogland. 74 Ferdinand Sch6rner (1892-1973), gent:rale tedesco. Arruolato nel 19 I 1, partecipò alla 1• guerra mondia le, successivamente, fece pa rte della Reichswehr. Tenente colonnello nel 1937, colonne llo nel 1939, generale di brigata nel l 940,
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generale di divisione nel 1942, generale di corpo d'armata nel 1944, Feld maresciallo nel 1945. Durante la 2 3 guerra mondia le comandò il 98° Reggimento truppe da montagna, la 6° divisione da montagna , il 19° corpo da montagna. Assunse quindi il comando del 40° corpo corazzato, su ccessivamente della 17" armata e, quindi, dei gruppi di armate Sud, poi Nord e, infine, del gruppo d'armate cen~ralc. 75 Storia militare della seconda guer-ra mondiale. Liddel Hart.Op. cit., pg. 805. 76 Alla fine di aprile del 1944 la Wehnnacht raggruppò le forze della rronte orientale in 4 gruppi di armate: nord (generale Lindemann}, centro (generale von Bus h), Ucraina nord (generale Model), Ucraina sud (generale Schorner). A fine luglio 1944 le forze vennero raggruppate in soli 3 gruppi di a rmate: nord (generale Schorner}, centro (generale von Buseh), Ucraina sud (generale Friessner). Entrarono poi successivamente in azione anche il gruppo di annate 'E' in Jugoslavia (generale Loehr) e il gruppo di arma te ' F' in Grecia (maresciallo von We ichs). 77 S toria militare della seconda guerra mondiale. Lidclel Hart. Op. cit., pg. 805. 78 Ibidem, pg. 8 10. 79 Le schiere sovietiche durante la campagna del fango avevano proceduto, malgraclo tutto, come un torrente in piena, o un'orda nomade, quasi fossero immuni dal problema elci rifornimenti . TI soldato russo poteva sopravvivere in condizioni in c ui un soldato di uno qualsias i degli eserc iti dell'Europa occidentale sarebbe morto di fame e continuare ad avanzare quando chiunque altro si sare bbe seduto ad aspettare che qualcun altro provvedesse a ria prire le vie di comunicazione ... Così Manteurfel, uno dei più audaci tra i comandanti de lle forze mobili, riassumeva l'impressione s uscitata nei s uoi uomini dai soldati russi: «l'avanzata di un'armata russa è qualcosa che un occidentale non può neppure immaginare. Queste schie re si solleva vano come onclatc dalla linea del Dnepr alle spalle delle avanguardie corazzate russe, erano compos te in larga parte cli fante ria a cavallo e, a differenza di quanto accadeva negli eserciti occiclentali, non dipendevano dai rifornimenti. Il soldato portava sulla schiena un sacco nel quale non aveva altro che croste di pane secco e quello che gli riusciva di raccogliere nei villaggi e nei campi a mano a mano c he procedeva: per lo più un po' di verd ura c ruda.I cavalli mangiavano la paglia che riuscivano a strappare d a i tetti delle case. I russi sono abituati a vivere anche per tre settimane in questo modo primitivo, poi vanno ancora avanti • (Storia mili lare della seconda guerra mondiale Liddel Hart. Op. cit., pgg. 799 e 780). 80 Ibidem, pg. 812. 8 1 Emst Busch (1835-1945), generale tedesco. Arruolato ne l 1904, partecipò alla 1 • guerra mondiale e fece parte della Rei chsw~hr. Tenente colonnello nel 1930, colonnello ne l 1932, generale di briga ta nel 1935, generale di divi sio ne nel 1937, generale di corpo d'armata nel 1940 Fcld-maresciallo nel 1943. Durante la 2 • guerra mondiale comandò l'Vlll corpo di armata, la 16a armata ne l 1940, il gruppo di armate centrale nel 1943 ed il gruppo cli armate Nord-Ovest nel 1945. 82 Veds. Voi. 11, Tomo 2° , Cap. XXXVIII, nota 91. 83 H. A. Jacobren · J. Rohwe. Battaglie decisive della seconda guerra mondiale. Bald ini e Castoldi, Milano, 1954, pg. 544. 84 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hart. Op. cit., pg. 811. ss Ibidem, pg. 812. 86 Ballag/ie decisive della seconda guerra mondiale. Op. cit., pg. 570. 87 Storia militare della seconda guerra mondiale. Lidde l Hart. Op. cil., pg. 817. 88 Ibidem, pg. 818. 89 Ibidem. pg. 816.
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Vds. Voi. Il, Tomo 2°, Cap. XXXVIII, nota 130. Alexander Loehr (1885-1947), generale di armata tedesco. Sottotenente nel 1906, maggiore nel 192 1, colonnello nel 1928, generale di brigata nel 1934, generale di armata nel 1941. Cadetto all'accademia militare di Vienna, frequentò nella stessa c iuà la scuola di guerra dal 1910 al 1913. Partecipò alla 1 a guerra mondiale. Nel 1938 fu comandante in capo delle forze aeronautiche aust riache. Nel 1939 fu a capo della flott a aerea tedesca. Nel 1942 coma ndò la 12• armata, nel 1943 fu comandante in capo del gruppo di armate "E" e, nel 1945, fu nominato comandante in capo dello scacchiere sud-orientale. Prigioniero degli jugoslavi, fu condannato a morte e fucilato a Belgrado. 92 Jol,annes Priessner (1892-1971), generale tedesco. Arruolato nel 1911, parteciò alla 1• guerra mondiale e fece parte della Rcichswehr. Tenente colonnello nel 1935, colonnello nel 1938, generale di brigata nel 1940, generale di corpo di armata nel 1943 e generale di armata nel 1944. Durante la 2• guerra mondiale comandò la 102" divisione di fanteria, il XXlll corpo d'armata, il g ruppo di armate ' Friessner·, il reparto dell'esercito "Narwe", il gruppo di annate nord ed il gruppo di annate dell'Ucraina d el sud. 93 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hart. Op. cil., pg. 819. 94 Storia militare della seconda guerra mondiale. Gen. L.M. Cha ssin. Op. c it., pgg. 536 e 537. 95 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hart. Op. cit. , pg. 824. 96 Ibidem, pg. 818. Ci sembra di cogliere a questo punto in Liddel Hart w1a contraddizione tra l'esa ltazione delle azioni dei complessi corazzati e l'addebito a Hitler dell'errore della difesa di Budapest. 97 Heinz Guderian (1888- IQ"4), generale tedesco. Arruolato nel 1907, partecipò alla I • guerra mondiale e, successivamente, fece parte della Reichswehr, dove occupò importanti incarichi, anche come capo delle truppe celeri. Tenente colonnello nel 193 1, colonnello nel 1933, generale di brigata nel 1936, generale di divisione nel 1938, generale delle truppe corazzate nel 1938, generale d 'armata nel 1940. Durante la 2a guerra mondiale comandò il XIX corpo d 'armata, il gruppo corazzato "Guderian·, la 2• armata corazzata; fu generale ispettore delle forze corazzate e, infine, capo di S.M . gene rale dell'eserc ito (Ches Gen. St. d. H. - m . w. d. G. b.). 9 8 «Storia milita re della seconda g uerra mond ia le ». Liddel Hart. Op. cit., pg. 928. 99 Concorsero agli studi e all'elaborazione d ei piani: il Chiefs of Staff Commitee; il Combined Operations Commands sotto l'impulso di Lord Lo uis Mountbatle n che ne fu nominato capo e fu allo s tesso tempo membro del Chiefs of Staff Commitee. Nei primi mes i del 1942 venne creato un nuovo s ta to maggiore Combined Commande rs - che ereditò dal Joint Planning Staff la responsabilità dell'elaborazione del piano d'invas ione dell'Europa, mentre il Joint Planning S taff poté cosi d edicarsi a ll'elaborazione d ei piani per tutti g li a ltri teatri di guerra, escluso appunto quello d ell 'Europa nord-occidentale. la scelta d ella Normandia come zona iniziale dell'invasione fu dovuta a l Combined Commanders. Nella conferenza di Casablanca fu decisa la costituzione di un quartier generale superiore - Supreme Headquarters - avente una vera fis ionomia a lleata (fino a quel momento nel Combined Commanders erano prevalsi pressoché esclusivamente g li ingles i). li generale Frede ric F. Morgan de ll'esercito inglese venne nominato Chief o/ Staff to the S upreme Allied Cummander e il generale dcll 'esecito s tatunitense Ray W. Barker ebbe le fun zioni di comandante. Il nuovo quartie r generale divenne presto noto con 91
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il titolo abbreviato di COSSAC. Un anno dopo, da tale organismo nacque il Supreme Headqua rtier Allied Expeditionary Forces (SHAEF) e nella conferenza di Il Cairo (22-26 novembre 1943) l'autorità di comandante supremo fu conferita al generale americano Eisenhower, la carica di vice-comandante al maresciallo dell'aria inglese s ir Arthur Tedder e quella di capo di stato maggiore al generale americano Walter Bedell Smith. Il generale Bernard L. Montgomery dell'esercito inglese fu no minato comandante delle unità di terra, l'ammiraglio inglese sir Bertram Ramsay comandante delle forze navali, il maresciallo dell'aria inglese sir Trafford Leigh-Mallory comandante delle forze aeree. Il comandante supremo venne subordinato al Combined Chiefs of Staff, mentre i Joint Chiefs of Sta/f vennero esclusi dalla scala gerarchica. Le forLt: aeree americane - ga armala di stanza in Inghilterra e 5a armata di stanza in Italia - furono poste alle dipendenze del quartier generale operante in Inghilterra, sotto il nome di United Sta/es Strategie Air Force in Europe comandato dal generale dell'aviazione americano Cari Spaatz, che venne affiancato dal maresciallo dell'aria inglese Charles Postal, capo di stato maggiore delle forze aeree britanniche, come intermediario del Cumbined Chiefs o/ Staff. La forza aerea strategica inglese - Royal Air Force Bomber Command -, agli ordini del maresciallo dell'aria inglese s ir Arthur Harris, fu anch'essa subordina ta, ad eccezione del periodo vero e proprio dell 'invasione, al controllo operativo del Cumbined Chie/s o/ Staff. Per il periodo dell'invasione tale stato maggiore trasferì la competenza del controllo operativo al generale Eisenhower e la coordinazione delle operazioni aeree s trategiche e tattiche venne attribuita a l maresciallo dell'aria Tedder (Vds. Ba tlaglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. cit., pgg. 485-486 e pgg. 491-492). lOO Vennero costruiti una quantità di apparati tecnici di potenziamento dei sistemi radar, diversi tipi di mezzi di assalto, nuove armi, dotazioni speciali per la neutralizzazione di determinati tipi di installazioni difensive, navi e mezzi da sbarco idonei a sbarcare direttamente sulla costa carri armati e autocarri. Vennero via via prendendo forma speciali carri d 'assalto, sui carri speciali sovrastrutture cave destinate a contenere carburante per particolari esigenze in situazioni critiche, navi con piani caricatori per il superamento di asperità costiere da parte di automezzi e carri anfibi. I piu notevoli di tutti i ritrovati erano tuttavia i porti artificiali con i quali doveva essere tecnicamente risolto il problema dei rifornimenti; ciò poteva avvenire dovunque e non v'era certo da supporre che i tedeschi avrebbero abbandonato i porli agli a lle:iti. Non meno rilevante era la realizzazione di una linea di 1·ifomimento sollomarina, dall'Inghilterra a lla Francia, che garantiva un costante flusso di carburante alle annate (Ba/taglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. cit., pg. 491). 101 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hart. Op. cit., pg. 763. 102 L'organizzazione andò sotto il nome di Build-up Contro[ Organization. A mezzo di un organismo ausiliario - Mo vement Contrai Organization - vennero regolati i movimenti di navi dall'Inghilterra a lla Francia e di un altro organismo Tournround Contro[ Organization - quelli dalla Francia all'Inghilterra, mentre tutti i rimorchiatori furono pos ti sollo il controllo di un altro organismo Contrai Tug Organization ed il ripristino delle navi in avaria venne affidato al Contro! Repair Organization (Batlaglie decisive della seconda gue rra mondiale. Op. cit., pg. 495). 103 Ballaglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. cit., pg. 508. 104 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hart. Op. cit., pgg. 766 e 767. 10s Ibidem, pg. 769.
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Veds. Voi. II, Tomo 1°, Cap. XX, nota 24. Veds. Voi. Il, Tomo 2°, Cap. XXXIU, nota 3. Joames von Blaskowitz (1883-1948), generale tedesco. Arruolato nel 1901, partecipò alla 1• guerra mondiale; fece parte della Reichswehr e, nel 1938, comandò il 3° gruppo di forLe terrestri. Generale di brigata nel 1932, di divisione nel 1933, di fanteria nel 1936 e generale d'armata nel 1939. Durante la 2• g uerra mondiale, comand ò 1'8" e la 2• armata, quindi la 9" armata. Fu comandante delle forze di occupazione della Francia settentrionale, comandò necessivamente, la 1• armata, il gruppo di armate «G•, il gruppo di armate «H • e la riserva generale del Comando Supremo. 109 Battaglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. c it. , pg. 502. 110 Storia militare della seconda guerra mondiale. Lidde l Hart. Op. cit., pg. 770. 111 Ibidem. 112 Hitler fu messo al corrente dello sbarco solo nella tarda mattina perché il generale Jodl non volle svegliar lo, mentre J odl stesso si affrettò a respingere la richiesta del maresciallo Rundstedt di avere subito a disposizione le riserve. Il maresciallo Rommel la mallina dello sbarco era in Germania dove si era recato per il compleanno dell a moglie e per rapprersen tare a Hitler l'urgente necessità d'inviare in Normandia altre divisioni corazzati=; rientrò al suo quartier generale solo verso sera. Anche il comandante della 7• armata il giorno avanti si era a llontanato dal suo posto comamlu pe1· dirigere un 'esercitazione in Bretagna. 11 3 Miles Dempsey (1896-1969), generale inglese. Durante la 2• guerra mondia le comandò il 13° corpo d'armata nello sbarco in Sicilia e durante la campagna d'Italia e, successivamente, la 2• armata nell 'invasione dell'Europa. Fu ufficiale di cavalleria e durante la 1 • g uerra mondiale, dal 1916 al 19 18 aveva comandato una compagnia. Nel periodo fra le due guerre si rn.:cupò di storia militare e, nel 1939, fu in Francia al comando della IJ• brigata di fanteria e, dopo Dun kerque, fu capo di stato maggiore del corpo canadese e comandante della 40° e, successivamente, della 42 3 divisione corazzata. Fu nominato comandante del XTII 0 corpo d'armata dopo la battaglia di EI-Alamein. 114 Ba11aglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. c it., pg. 5 1O. 11 5 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hart. Op. cit., pg. 775. 116 Ibide m , pgg. 778-780. Liddel Hart sostiene che il maresciallo Montgome ry non fu interamente sincero, negando di non avere neppure pensato all'eventualità di uno sfondame nto, perché sarebbe s tato sciocco da parte sua non tenere conto della possibilità di un crollo tedesco in seguito ad un attacco così poderoso. Anche il generale Dempsey aveva pensato a d un rapido crollo tedesco ed ad una possibile avanzata fino ad Argentan. 117 Le perdite di entrambe le parti d a l g iorno D a l 23 luglio fu rono di circa 117 mila uomini. Da parte tedesca il vuoto creatosi poté essere coperto solo nella m isura di IO mila uomini; gli alleati, invece, non solo reintegrarono le loro perdite, ma aumentarono le loro forze. 118 Veds. Voi. II, Tomo 2° Cap. XXXVII, nota 101 . 1 19 Veds. Voi. II, Tomo 2° Cap. XXXVII, nota I 02. 120 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Ha rt. Op. cit., pg. 781. 121 Heinrich Eberhhach (1895), generale tedesco. Arruolato nel 1914. Tenente colonnello nel 1937 colonnel lo nel 1940, generale di brigata nel 1942, generale di divi sione ne l 1943 e, nello stesso anno, generale delle truppe corazzate. Nella 2 a guerra mondiale comandò il 35 reggimento corazzato, la 5a brigata corazzata, la 4 3 divisione corazzata, il XLVIII corpo corazzato, la 5• arm ata corazzata e la 7• armata. 106 101 108
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122 Le a rmate americane I• e 3• furono inquadrate nel Xll gruppo di armate, comandalo dal genera le Bradley, che fu operativamente impegnato il I agosto. I n lale giorno il comando della I a a rma la, già lenulo dal generale Bradley, venne affidato al generale Courtney H . Hodges. 123 Storia militare della seconda guerra mondiale. Lidde l Hart. Op. cit., pg. 78 1. 124 Battaglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. ciL., pgg. 517 e 518. 12s Ibidem, pg. 518. 126 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hard. Op. cit., pg. 784. 127 Studenl Kurl, (1890-1965), generale tedesco. Entrò ne ll 'aviazione mililare nel 1914. Terminala la prima guerra mondiale, organizzò segretamente i primi reparti paracadutisti dell 'esercito tedesco. Nel 1940 comandò la 7 3 divisione paracadu tisti in Ol anda. La sua azione più famosa fu la conquista di Creta nel maggio del 1941. Nel 1943 organizzà con Skorzeny la liberazione di Mussolini. Nel 1944 difese l'Olanda. Nel 1945 cadde prigioniero e fu liberato poco dopo. 128 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddcl Ha rt. Op. cit., pg. 783. 129 Ibidem, pgg. 786 e 787. 130 Veds. precedente nota n. 11 9. ni Storia militare della seconda guena mondiale. Liddel Hart. Op. cit., pg. 791. 132 Ballaglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. cit., pg. 519. 133 Storia militare della seconda guerra mondiale. Lidde l Ilart. Op. cit., pg. 794. 134 Ibidem, veds. pgg. 792 e 793. 135 Ibidem, pg. 795. 136 In quel momento le divisioni alleale operanti erano 38: 20 americane, 13 inglesi, 3 canades i, I francese, I polacca. 137 Devers Jacob Loucks, (1887- 1959), generale statunitense. Addetto a llo stato maggiore del generale Eisenhower ne l 1943-'44. Nel settembre del 1944 fu messo a capo del VI gruppo di armate americano. 138 Lattre de Tassigny Jean-Marie-Gabriel, (1889- 1952) maresciallo di Francia. Com battente della prima guerra m ondiale in cavalleria, dal I 921 a l 1926 prestò servizio in Marocco. Allo scoppio della seconda guerra mondiale fu capo di s tato maggiore della 5 a a rmata in Alsazia e, nel 1941, comandante superiore in Tunisia. Organizzatore della resistenza nella Francia meridionale, arrestato nel 1942, l 'anno dopo si rifugiò a Londra e quindi in Algeria. Nel 1944-'45 combatté in Italia, poi a capo dclii, 1 • armala francese sba,·cù a Sainl-Trupet., liLeran<lu il su<l d ella Franùa e l'Alsazia e avanzando con le fo rze americane fino al Danubio. Capo di stato maggiore generale dal 1945, fra il 1950 e il 1952 diresse in Indocina le operazioni contro i Victminh, riuscendo a fermare l'offensiva a Hoa-Binh (novembre 1951). Morì poco dopo il ritorno in patria e dopo la morte ebbe il titolo di maresciallo di Francia. 139 Parch Alexander McCarre/, (1899-1945), generale statunitense. Dopo essersi dist into a Guadalcanal (1942-'43) fu posto a capo della 5a armala s ulla fronte italiana. Con l'appoggio d ella I • armata francese operò nell'agosto del 1944 lo sbarco in Provenza. Alla testa della 7• armala penetrò in Alsazia e in Lorena. Occupata la B aviera (aprile-maggio 1945), si ricongiunse a Vi pi teno con la 5• armata del generale Clark. 140 Simpson William H., (1888-1985), generale statunitense. Nella seconda guerra mondia le guidò la 9• a rmata a mericana nella marcia al Reno e nella battglia difensiva delle Ardenne. Forzalo il Reno a nord della Ruhr (febbraio 1945), occupò Hannç,ver e il Magdeburgo e I' 11 aprile 1945 oltrepassò l'Elba fino a congi ungersi con l'armata rossa.
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141 Storia militare della seconda guerra mondiale. L.M. Chassin, Op. cit., pgg. 413-414. 142 Battaglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. cit., pgg. 641-642. 143 Dietrich Joseph, generale tedesco (1892-1966). Uomo di fiducia di Hitler nelle SS attuò il 30 giugno del 1934 l'eliminazione dei capi della S.A. Durante la seconda guerra mondiale comandò un corpo d 'armata in Russia, poi il I corpo corazzato in Normandia, e, nel dicembre del 1944, la 6a armata corazzata nella controffensiva delle Ardenne. Incaricato della difesa della linea dell'Oder e di Vienna, venne catturato dagli americani, condannato all'ergastolo per crimini di guerra nel 1946 e liberato dieci anni dopo. 144 Erich Braudenberger (1892-1955), generale tedesco. Arruolato nel 1911, partecipò alla I a guerra mondiale e fece parte della Reichsewehr. Tenente colonnello nel 1934, colonnello nel 1936, generale di brigata nel 1940, generale di divisione nel 1945, generale delle truppe corazzate nel 1943. Nella 2• guerra mondiale fu capo di S.M. del XXlll corpo d'armata, quindi comandante della 20• divisione corazzata, del LIX corpo d'armata, del VII e del XXIX corpo d'armata. Nel 1945 comandò prima la 7• e poi la 19• armata. 14 5 Battaglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. ciL., pg. 644. 146 Veds. capitolo XXXIX, nota n. 39. 147 Skorzeny Ouo, (1908-1975), colonnello tedesco. Noto in Italia per aver liberato Mussolini, prigioniero a Campo Imperatore (settembre 1943), fu anche il protagonista della cattura del reggente ungherese ammiraglio Horty (ottobre 1944). Nella controffensiva delle Ardenne, da poco nominato colonnello, comandò i sabotatori tedeschi che agirono sui rovesci delle linee americane. Nel dopoguerra fu assolto dal tribunale alleato, ma condannato in patria; fuggi dal carcere e riparò in Spagna (1948). · 148 Battaglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. cit., pgg. 647-648. 149 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hart Op. cit., pg. 910. Per le modifiche tattiche e tecniche proposte dal generale Monteuffel, vds. ibidem pg. 909. I SO Ibidem, pg. 911. 151 Ibidem, pg. 909-913 e Battaglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. cit. , pgg., 652-653. TI generale Manteuffel nella riunione del 12 dicembre presso il quartier generale di Ziegenberg, presieduta da Hitler, propose varie modifiche al piano di attacco, tra le quali quella della costituzione, all'interno di ciascuna divisione di fanteria, di un battaglione d'assalto composto degli ufficiali e degli uomini più esperti. Questi battaglioni di assalto sarebbero avanzati nell'oscurità alle 5,30 senza nessuna copertu ra di artiglieria infiltrandosi tra gli avamposti difensivi americani. Se a ppena fosse stato possibile, essi avrebbero dovuto evitare di battersi fino a quando non si fossero spinti abbastanza in profondità . Riflettori messi a disposizione dalla contraerei avrebbero illuminato la strada per l'avanzata delle truppe d'assalto proiettando i loro fasci di luce sulle nubi, in modo che queste li riflettessero verso il basso. Circa l'ora d'inizio dell'attacco stabilita da Hitler per le ::>re 11, con inizio della prepazione dell'artiglieria alle ore 7,30, il generale Manteuffel ottenne che venisse anticipata alle 5 ,30 guadagnando così oltre 5 ore e mezzo per realizzare lo sfondamento e diventando così possibile far scattare i carri armati al calare dell'oscurità, in modo che sarebbero avanzati di notte ed entro l'a lba d el giorno dopo sarebbero stati in grado di sferrare il loro attacco contro la posizione principale, lungo una direttrice oramai sgombera.
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Veds. Voi. II, Tomo 2°, Cap. XXXVIII, nota 117. Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hart. Op. cit., · pgg. 910 e 911. 154 Battaglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. cit. , pgg. 651-652. 15 5 Furono messi insieme un migliaio di paracadutisti, ma metà degli equipaggi degli aerei assegnati all'operazione di lancio non aveva alcuna esperienza al rigµardo. Le migliori unità paracadutisti erano state spese nei precedenti combattimenti difensivi terrestri. In più, gli automezzi promessi per il trasporto delle compagnie di paracadutisti ai campi di aviazione non arrivarono in tempo e il lancio fu dovuto rinviare alla notte seguente, dopo l'inizio dell'attacco terrestre. 156 Storia militare della seconda guerra mondiale. L.M. Chassin. Òp. cit., pg. 417. 157 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hart. Op. cit., pgg. 923-924. 158 Battaglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. Cit., pgg. 649-650. 159 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddcl H a rt. Op. cit., pg. 924. 160 Ballaglie decisive della seconda guerra mondiale. Op. cit., pg. 665. 161 Ibidem. 11,2 Ibidem, pg. 674. 163 Fra il 3 e il 4 giugno 1942 un tentativo giapponese per impadronirsi dell'isola di Midway, posta a 1300 miglia a nord-est delle Hawaii, venne sventato. I giapponesi ebbero 4 portaerei affondate (Akagi, Kaga, Soryu, Hiryu) , 2 corazzate danneggiate, un incrociatore pesante affondato e uno danneggiato, un incrociatore leggero danneggialo, 4 trasporti u·uppe o navi da carico colpiti da bombe, 206 aerei abbattuti. Gli americani persero 1 portaerei (York-Town). Come durante la battaglia del mare dei Coralli, le navi da guerra non entrarono in contatto balistico. 164 Occupazione del Siam, delle Gilbert, di Guam, di Wako e di Hong Kong, delle Filippine, del Borneo, di Singapore, di Sumatra, Giava, Ra ngoon. 165 MacArthur Douglas, (1880-1964), genera le statunitense. Generale di brigata al termine della prima guerra mondiale, fu capo di stato maggiore dell'esercito dal 1930 al 1935, poi, lascialo il servizio attivo, consigliere militare presso il governo delle Filippine. Richiamalo in servizio nel luglio del 1941, come comandante in capo americano in Estremo Oriente, non poté evitare la rapida conquista giapponese delle Filippine dalle quali si d ovette ritirare. Assunto il comando delle forze alleate de l Pacifico sud-occidentale, organizzò e diresse la controffensiva liberando tutti i te rritori occupali dai giapponesi e imponendo la resa senza condizioni al Giappone il 2 settembre 1945. Fu poi comandante delle truppe americane di occupazione del Giappone dal 1945 al 1950 ed esercitò un forte influsso sulla vita g iapponese. Scoppiata la guerra di Corea nel luglio del 1950, gli fu affidato il comando generale delle truppe dell'O.N.U. contro la Corea del nord. Assertore dell'allargamento del conflitto direttamente nel territorio della Cina popolare, venne destituito il 9 aprile 1951 dal presidente Truman e sostituito dal generale Ridgway. 166 Nimitz Chester Wi/liam , (1885-1966), ammiraglio statunitense. Nella prima guerra mondiale fu capo di stato maggiore delle forze . sottomarine dell'Atlantico. Dopo l'attacco giapponese del dicembre 1941 a Pearl Harbour, succedette all'ammiraglio Kimmel nel comando della flotta del Pacifico. Fermata l'espansione nipponica nel maggio del 1942 con la battaglia del mare dei Coralli e riconquistata la supre152
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mazia sul mare con la vittoria di Midway del giugno seguente, diresse abilmente l'offensiva statunitense nel Pacifico in collaborazione col generale MacArtur. Assieme a questo ultimo sottoscrisse la capitolazione giapponese il 2 settembre 1945. Fra il 1945 ed il 1947 fu capo di stato maggiore della marina americana. Nel 1949 fu inviato speciale dello O.N.U. nel Kashmir. 167 Marshall George Catlett, (1880-1959), generale e uomo politico statunitense. Frequentala la scuola di guerra, partecipò alla prima guerra mondiale; fu poi inviato in Cina (1924-'27). Tornato in patria ebbe numerosi incarichi presso le scuole militari; nel 1938 gli fu affidato il compito di elaborare i piani di guerra come capo dell'apposita commissione dello stato maggiore. Diventato capo di stato maggiore (1939-'45), s i distinse per la sua abilità diplomatica nei rapporti con gli alleati. Al termine del conflitto (dicembre 1945) fu inviato in Cina per un tentativo di mediazione tra Chiang Kai-shek e Mao, che però fallì. Fu poi segretario di stato di Truman (1947-'49). In tale veste lanciò l'European Recovery Program (E.R.P.) più noto come Piano Marshall: un programma di aiuti per la ricostruzione dell'economia europea. Nel 1950-'S 1 fu segretario di stato alla difesa. Nel 1953 ottenne il premio Nobel per la pace. 168 King Ernest Joseph, (1878-1956), ammiraglio statunitense. Comandante della flotta americana dell'Atlantico nel 1941 , dopo l'ingresso degli Stati Uniti nella guerra mondiale fu comandante in capo delle forze navali americane e capo delle operazioni navali. A lui si dové il grandioso sviluppo d ella flotta americana. Diresse egregiamente le operazioni nell'Atlantico e nel Pacifico. 169 Principali insuccessi alleati; Pearl Harbour (7.XII.41), Malaya (8.Xll.41), nord Luzon (8-10 Xll-'41), isole Gilbert (9.XII.'41), Guam (10.XII.'41), sud Luzon (ll.XII.'41), Borneo del nord (17.XII'41), Mindanao (20.XII.1941), golfo di Lingayen (21.XH.'41), Wake (22.XII.-'41) Cclebes (gennaio 1942), Nuova Irlanda (idem), Boungainville (idem), Nuova Britannia (idem), Borneo Ambon (idem), inizio dell'offensiva contro la Birmania (idem). Singapore (8-15 febbraio 1942), Sumatra (febbraio 1942), Bali (idem), Timor (idem), attacco aereo giapponese contro Port Darwin (19 febbraio 1942), s barco a Giava e battaglia navale vittoriosa per i giapponesi (27 febbraio - 1 marzo 1942), capitolazione delle forze inglesi e olandesi e Giava ( 1 marzo 1942), azione giapponese di portaerei contro Ceylon e H golfo del Bengala (4-9 aprile 1942), interruzione della strada per la Birmania presso Lashio ad opera dei giapponesi (29 a prile 1942), sbarco giapponese a Corregidor (5 maggio 1942), offensiva giapponese nel Che-Kiang (15 maggio - 1 luglio 1942), successo giapponese nella battaglia navale notturna presso l'isola di Savo (9 agosto 1942), battaglia aereo-navale presso Santa Cruz conclusasi con il successo giapponese (26-27 ottobre 1942), offensiva giapponese in Birmania (4 febbraio 1944), attacco giapponese contro il nodo di -traffico a lmphal in Birmania (8 marzo 1944), inizio dell'offensiva giapponese diretta alla conquista delle basi aeree americane in Cina (17 aprile 1944), arrivo dei giapponesi a lle basi aeree degli Stati Uniti di Kwei-lin e Lin-kou in Cina (10-11 novernnre 1944). Principali successi alleati: vittoria nella battaglia aeronavale presso le isole Midway (3-7 giugno 1942), sbarco americano sull'isola delle Salomone Guadacanal (7-8 agosto 1942), battaglia navale presso Cape Esperance tra gruppi di incrociatori g iapponesi e americani conclusasi con successo degli americani (11-12 ottobre 1942), evacuazione giapponese di Guadalcanal (febbraio 1943), sbarchi su Rendova e su New Georgia (30 giugno 1943), sbarco su Vella-Lavella (15 agosto 1943), sbarco sulle isole Gilbert, Tarawa e Maklin (20 novembre 1943), sbarcò a Kwajalein (31 gennaio 1944), sba rco delle truppe neozelandes i nella Nuova Irlanda (15 febbraio 1944),
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azione in forze della Flotta portaerei USA contro la base principale giapponese di Truk (17 febbraio 1944), sbarco di due divisioni statunitensi su Eniwetok (18-19 febbraio 1944), azione delle portaerei contro le Marianne (23 febbraio 1944), inizio dell 'impiego dei «Long Range Penetration Groups» del generale Wingate in Birmania, più di 9 mila uomini aviotrasporlati e rifornili dal cielo (5 marzo 1944), sbarco su Emirau nell'arcipelago delle Bismarck (20 marzo 1944), la 58 8 Task force USA di undici portaerei attacca Palau, Yap e Woleai (30 marzo · 1 aprile 1944), azione anglo-americana di portaerei contro Sabang nell'isola di Sumatra (IO aprile 1944), sbarco presso Hollandia nella Nuova Guinea (22 aprile 1944), sbarco americano a Saipam nelle Marianne (15 giugno 1944), battaglia aeronavale nel mare delle Filippine (19-20 giugno 1944), ripresa dell'offensiva alleata in Birmania (22 giugno 1944), sbarco delle forze americane a Guam (21 luglio) e a Tinian (24 luglio 1944) nelle Marianne, sbarco americano a Palau e Morotai (15 settembre 1944), battaglia aerea di Formosa tra la flotta di portaerei americane e l'aviazione navale e dell'esercito giapponese (10-13 ottobre 1944), inizio dell'offensiva del generale MacArthur per la riconquista delle Filippine e sbarco a Leyle ( 19 ottobre 1944), battaglia inlorno a l golfo di Leyle e rovinosa sconfitta della flotta giapponese (23-26 ottobre 1944), primo attacco delle superforlezze volanti da Saipan contro la regione di Tokio (24 novembre 1944), sbarco americano a Mindoro (15 dicembre 1944), sbarco della 6• a rmata USA nel golfo di Lingayen nella regione di Luzon (9 gennaio 1945), riaperlura della strada della Birmania (28 genaio 1945), occupazione di Manila (4 febbraio 1945), prima grande azione di portaerei contro Tokio (16-17 febbraio 1945), sbarco sull 'isola di Jwo Jima (19 febbraio 1945), riconquista di Corregidor (28 febbraio 1945), massiccia incursione aerea con bombe incendiarie conlro Tokio (9-10 marzo 1945), sbarco ad Okinawa (l aprile 1945), prima incursione USA con coperlura della caccia da Jwo Jima su Tokio (7 aprile 1945), sbarco di truppe australiane al Borneo (1 maggio 1945), sbarco brilannico presso Rangoon (2 maggio 1945), bombardamenti aerei incendiari cotro Tokio e Yokohama (23-29 maggio 1945), primo bombardamento costiero del Giappone da parte di navi da guerra USA e britanniche ( 16-17 luglio 1945). 170 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hart. Op. cit., pg. 861. 171 Attacco dell'8 settembre su Mindanao: distrutte o danneggiate 89 navi giapponesi, 68 aere i, 5 campi di aviazione. Attacco del 21 settembre di Manila: 110 aerei abbattuli, 96 distrutti al suolo, 1 silurante affondata, 6 petroliere e 5 altre navi da carico o da trasporto affondate. Attacco nei pressi delle Visayan, a nord di Panay, del 23 settembre: affondamento di 22 unità e abbattimento di 36 aerei. Attacco nella baia di Manila del 24 settembre: affondamento di 105 tra navi e imbarcazioni di vario tonnellaggio e abbattimento o distruzione al suolo di 405 aerei. Attacco della flotta americana del 10 ottobre al largo delle Ryu-Kyu: affondamento o danneggiamento di 58 unità navali tra cui 3 piccole navi da guerra e distruzione di 89 aerei. Battaglia al largo di Formosa del 12 ottobre: 100 navi affondate o danneggiate e 650 aerei abbattuti contro 76 aerei americani perduti e 3 unità navali danneggiate. 172 Storia militare della seconda gue"a mondiale. Liddel Hart. Op. cit., pg. 881. La battaglia del mare delle Filippine si risolse in una grandissima sconfitta per i giapponesi, spalancò le porte delle Filippine e assicurò l'esito favorevole della battaglia terrestre, delle Marianne. I giapponesi vi persero 480 aerei e 2 portaerei (la Shokaku e la Taiho), 1 portaerei di squadra; altre 2 portaerei di squadra, 2 portaerei leggere, 1 corazzata e 1 incrociatore pesante subirono danni rilevanti.
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173 Ibidem, pg. 881. Ai giapponesi la battaglia costò 4 portaerei, 3 corazzate, 6 incrociatori pesanti, 3 incrociatori leggeri, 8 cacciatorpediniere, mentre gli americani persero l portaerei leggera, 2 portaerei di scorta, 3 cacciatorpediniere. 174 Ibidem, pg. 882. 17 5 Forze alleate: 11 corazzate (2 della Gran Bretagna, 9 degli Stati Uniti d'America). 3 portaerei degli Stati Uniti, 14 incrociatori pesanti (1 della Gran Bretagna, 13 degli Stati Uniti), 22 inc rociatori leggeri (7 della Gran Bretagna, 11 degli Stati Uniti, 3 dell'Olanda, I della Francia libera), 100 cacciatorpediniere (13 della Gran Bretagna, 80 degli Stati Uniti, 7 dell'Olanda), 69 sommergibili (56 degli Stati Uniti e 14 dell'Olanda). Forze giapponesi: 10 corazzate, 10 portaerei, 18 incrociatori pesanti, 18 incrociatori leggeri, 113 cacciatorpediniere, 63 sommergibili. 176
Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddcl Hart. Op. cit., pgg.
289-290. 177
Ibidem, pgg. 291 e 292.
178
Storia militare della seconda guerra mondiale. L.M. Chassin. Op. cit.,
pg. 201. 179
Le forze sovietiche - 167 divisioni e 27 corpi corazzati - erano state raggruppate in 5 fronti, da sud a nord: il IV fronte ucraino (generale Petrov) d alla pianura ungherese a lla ferrovia Cracovia-Leopoli, il / fronte ucraino (maresciallo Konev) dai contrafforti dei Beskid a Lublino, il / fronte bielorusso (maresciallo Zukov) fra Dublino e Varsavia, il // fronte bielorusso (maresciallo Rokossovskij) da Varsavia a Ossoviecz, il III fronte bielorusso (maresciallo Ccrnjahovski) da Osso viecz a Mernel. 180 La rete ferroviaria alle spalle del dispositivo era stata nel frattempo ripristinata e riconvertita d a llo scartamento normale a llo scartamento più lungo; erano stati ammassati grandi quantitativi di rifornimenti in corrispondenza dei terminali ferroviari; era stato organizzato un gigantesco servizio munizioni sfruttando le crescenti forniture alleate di autocarri militari; era stato previsto di utilizzare autocarri e slitte a elica d'aereo per il passaggio dei fiumi ghiacciati senza bisogno di fare ricorso ai ponti. l&I Konev }van Stepanoviè (1897-1973), maresc iallo sovietico. C.omandante di armata e poi di fronte, prese parte a tutte le maggiori battaglie, dalla difesa di Mosca del 1941 alla lotta per Stalingrado del 1942, d alla liberazione dell'Ucraina nel 1943 all'offensiva finale contro la Germania nel 1945. Fu poi comandante in capo dell'esercito sovietico dal 1946 al 1960, comandante delle forze del Patto di Varsavia dal 1955 al 1960 e comandante in capo delle forze sovietiche in Germania dal 1961 al 1962. 182 Vcds. Voi. II, Torno 2° cap. XXXVIII, nota 136. 183 Veds Voi. II, Tomo 2° , cap. XXXVII, nota 9. 184 Al l O gennaio del 1945 le forze tedesche erano così raggruppate: fronte della Curlandia agli ordini del generale Gunter; gruppo di armate Vistola agli ordini di Hirnrnler poi del generale Heirinci; gruppo di armate Centro agli ordini del generale Harpe (poi del maresciallo Schoerner, poi del generale von Vietinghofl); gruppo di armate Sud agli ordini del generale Woehler (poi del maresciallo Shoerner), gruppo di armate «E» agli ordini del maresciallo von Weichs. Il 28 marzo il generale Guderian cadde di nuovo in disgrazia e venne sostituito dal generale Krebs.
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185 L'avanzata del maresciallo Zukov a l centro fu davvero impressionante per potenza, decisione, rapidità. Mediante l'effettuazione di una manovra obliqua il maresciallo sovietico t rasferì sulla destra de l suo schieramento iJ g rosso de lle forze corazzate che lanciò lungo il corridoio tra il Vi stola e il Warta sfruttando l'effe tto-sorpresa per superare la catena di laghi a d est di Gniezno, la parte più s tretta del corr idoio, prima che i tedeschi avessero tempo di presidiare i passaggi. Proseguendo nello slancio le forze sovie tiche si porta rono alle spalle della famosa fortezza di Torun, sul Vis to la, e il 23 entra ro no a Bydgoszcz (Bronberg). Altre colonne corazzate stava no converge ndo sull'ancor più importa nte centro di comunicazione di Poinan. Imbattendosi in una più energica resistenza, esse aggira ro no la città, procede tte ro verso ovest e no rd-ovest ed entro la fine della settimana raggiunsero le fro ntie re del Brandeburgo e della Po merania, a 359 km da Va rsavia e appena a ISO da Berlino. Intanto, d o po ave r attraversato il Warta e conquis tato Kalis, l'a la sinistra d i Zukov si era a llineata con l'ala dest ra di Konev (Storia m ilita re della seconda guerra mondiale. Lidde l Ha rt. Op. cit., pg. 933). Ne lla terza settima na dell'offensiva l'ala s inistra de l generale Konev occupò Katovice e altri centri industria li della Slesia e l'a la destra si assicu rò una nuova testa di ponte sull 'Oder, a Steina u, 65 K m a nord-ovest di Bres lavia, ment re le fo rLe avanzate del maresciallo Zukov a uraversarono le front ie re d d B ~ann~hurgo e della Po meriana, travolsero la linea di resistenza tedesca del corso gela to delf'Odcr, raggiunsero il basso corso dell'Oder ne i pressi di Klistrin, 60 K m d a i sobborghi d i Berlino e poco più di 600 Km dalle posizioni avanzate de lle a rma te alleate operan ti nell'Europa occidentale. 186 Venne a ttua ta a Posen, Schneidemiihl, Tho rn, Graude nz, Glogau, B reslavia : alcuni is trici resistettero per settimane , a ltri per mesi. 187 Storia militare della seconda guerra m ondiale. Lidde l Hart. Op. cit., pg. 935. 188 Dopo l'accerchiamento di Budapes t, compiuto il 25 dicembre d a lle forze riunite dei ~ arescialli Malinovskij e Tolbukhin, i tedeschi erano riusciti a frena re il movimento in avanti dei sovietici sulle posizioni di Nagyka ni zsa, de l Ba laton e della linea di alture (mont i Vé rtes e Pilis) che copre Mo r e Fe lsocgalla per raggiungere il Danubi~a o vest di Esztergom. Dal I gennaio al 24 ma r"o 1945 i tedeschi si ba tte rono in ta le zona continuamente e accanitam ente riversandovi incessantemente unità corazzate e t ruppe fresche. La difesa della s trad a d i Vienna venne condo tta senza badare a spese di uomini e di materiali. Un p rimo tent ativo d i liberare la g uarnigione di Budapest (9 d ivisio ni : 5 tedesche, 4 ungheresi), che r esisteva energicamente, venne condo tto il 2 genna io, a s.ud del Danubio, da 7 Panz.erdivisionen fra cui la 3° SS Tulenkopf e la 7° SS Viching, ma venne bloccato d a un contrattacco sovietico. Un secondo tent ativo venne effettuato da i tedeschi il 19 genna io, partendo da l Balaton e punta ndo ad est. E sso raggiunge risultati territoria li pressoché nulli sul piano s trategico, me ntre su que llo tattico si risolse in un grave logora mento di forze. I sovietici nei g io rni successivi riconquis ta rono a popo a poco il terreno perduto e fina lmente, dopo SO giorni d i assedio, r iuscirono ad occupare -Budapest (13 febbraio 1945). La presa di Budapest rese disponibili numerose divis ioni sovie tiche che si prepararono ad attaccare Vienna e Bratis lava. 189 Lo schieramento delle fo rLe a lleate prima dell'offensiva fina le era il seguente, da sud a no rd: VI gruppo di armale (Devers): I • armata francese (de Tassigny) su I e Il corpo di a rmata (3 divis ioni ciascuno) e I divisione di riserva: 7 ° armata USA (Patch) su VI. XV, XXI corpo d'armata (ciascuno su 3 divisioni) e 3 divisioni di riserva; Xli gruppo d'armale (Bradley): 3a a rmata USA (Pa tton) su VllJ (3 divis ioni), Xli (4 divisioni), XX (4 divisioni) corpo d 'armata e I divisione in riserva;
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1 a armata USA (Hodges) su III corpo d'armata (5 divisioni), 1 divisione di riserva; 15a armata USA (Gerow) su XXII (3 divisioni) corpo d'armata e 3 divisioni di riserva, comando del XXIII corpo d'armata; 9a armata USA (Simpson) su XIII (3 divisioni), XVI (6 divisioni), XIX (3 divisioni) corpo d'armata e I divisiont: di riserva; XXI gruppo di armate (Montgomery) 2a armata inglese su I, VIII, XII e XXX corpo di armata inglese (complessivamente 10 divisioni) e I divisione di riserva; 1 • armata canadese (Crerar) su I (2 divisioni) e II (4 divisioni) corpo d 'armata. Inoltre alle dipendenze di rette del generale Eisenhower: I• armata aeroportata alleata (1 divisione), IX Troop Carrier Command (3 Troop Carrier Wing), 1 • Tactical Air Force (XII TacticaJ Air Command e I° Corpo aereo francese), 9• Air Force USA (9°, 19° 29° Tactical Air Command e 9• divisione da_ bombardamento), 2• Taclical Air Fo1·ce britannica (6 gruppi). 190 L'offensiva d ella 9° e della 1° armata era stata preparata da parecchie settimane dalle forze aeree, strategiche e tattiche, che avevano disorganizzato completam ente il sistema ferroviario tedesco ad ovest di Hannover. Per consentire una migliore condotta d elle operazioni la 9a armata e la 2a. forza aerea tattica erano state poste alle dipendenze del XXI gruppo di armate del maresciallo Montgomery. L'attacco venne inoltre preceduto da una preparazione di 45 minuti da parte di 1000 cannoni. Le fanterie americane attraversarono il Rocr su di una fronte di 23 chilometri , protette da una densa cortina di fumo e, malgrado le mine e le distruzioni, si stabilirono solidamente s ulla riva destra mentre i tedeschi, che inizialmente si opposero al forzamento delle 2 armate americane con sole 5 divisioni di fant eria, non riuscirono ad impedire la riunione delle tre teste di punk iniziali stabilite a Gevenich, Selsgerdorf e Birkesdorf. 19 1 Vds. precedente nota n. 140. l92 Storia militare della seconda guerra mondiale. Liddel Hart. Op. cit., pg. 945. 193 Ibidem, pg. 946. 94 1 Scoria militare della seconda guerra mimdiale. L.M. Chassin. Op. cit., pg. 532. 195 Ibidem, pg. 522. 196 Ibidem, pg. 515. 197 Ibidem, pg. 496. 198 Albert Kesselring. Memorie di guerra. Gar.tanti, Milano, 1954, pg. 283. · 199 I gruppi di armate tedeschi erano da nord a sud: « H », «B », «G». 200 Memorie di guerra. Op. cit., pg. 285. 201 Ibidem, pg, 287. 202 Ibidem , pg. 289. 203 Ibidem, pgg. 289-290. 204 Storia militare della seconda guerra mondiale. L.M. Chassin. Op. cit., pg. 538. 205 Ibidem, pg. 543. 2 06 Haus Krebs (1890-1945), generale tedesco. Arruolato nel I 914, partecipò alla ·1• guerra mondiale e successi,vamente appartenne alla Reichswe hr con incarichi presso il Comando Supremo dell'esercito. Tenente colonnello nel 1939, colonnello nel 1940, generale di brigata nel 1942, generale di divisione, nel 1943, generale di fa nteria nel 1944. Durante- la 2a guerra mondiale fu capo di S.M. del Vll corpo d'armata, della 9• armata, del gruppo di armate centrale, del g ruppo di armate «B»; s uccessivamente capo di stato maggiore interinale dello stato maggiore dell'esercito e, quindi, capo di staio maggiore dell'esercito.
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207 Le forze terrestri ed aeree a mericane nel Pac ifico nel lug lio del 1945 erano cosi articolate e schierate: - comandante in capo delle forze terrestri ed aeree nel Pacifico: generale Douglas Mac Arthur (sede Manila); - forze te rrestri: • 6a armata (generale Walter Kruege r, sede Luzon): •• 2 divisioni in riserva; •• I corpo d'armata su 3 divisioni di fanteria; •• IX corpo d'armata su 2 divisioni di fanteria; •• Xl corpo d'armata su 2 divis io ni di fanteria e 1 di cavalleria; • g• armata (generale R.L. Eichelberger, sede Leytz): •• 2 divisione di fanteria in riserva; •• X corpo d'armata su 2 divisioni di fanteria; •• XIV corpo d'armata su 4 divisioni di fanteria; • 10a armata (generale J .W. Stilwe ll, sede Okinawa); •• XXIV corpo d'armata su due divisioni di fanteri a; • forze terrest ri nel Pacifico centrale (sede Oahu): 1 divisione di fanteria; • forze aeree nel Pacifico occidentale (sede Luzon): •• Air Force dell'est; •• 5° Air Force; •• 7° Air Force; •• 13° Air Force; • Forze ae ree strategiche: •• 8° Air Furce Okinawa; •• 10° Air Force Guam . • 208 Le perdite g iapponesi ammontarono a 317 mila uomini, di cui 174 mila uccisi a Luzon. 209 S toria militare della seconda guerra mondiale L.M. Chassin. Op. cit., pgg. 600 e 601. 21 0 Conquista di Rangoon da parte alleata: 3 maggio 1945; dura ta de lla campagna: 3 mesi; occupazione alleata di Sandoway il IO m aggio e di Gwa il 15 maggio; termine de l rastrellamento del delta dell'lrawadi: fine maggio; congiungimento delle truppe britam1iche: il 15 maggio a Thakrawady: sacche di accerchiamento dei giapponesi: I nella Araka n e 1 fra il Sittang e l'Irawadi; tenta tivi giapponesi di sfondamento: nella regione a sud di Pyu con polarizzazione della lotta dal 4 luglio nell'ansa del Sittang; contrattacco delle forze di lord Mo untba tten: 14 luglio; perdite giapponesi alla data del 12 agosto: 10 500 morti, 700 prigionieri; fine della campagna di Birmania: 14 agosto. 21 1 Inizio della campagna di Manciuria: 9 agosto; compiti dei fronti: il fronte della Transbaikalia (maresciallo Malinovskij) doveva sfondare le difese giapponesi sui due lati del lago Dalai Nuur, attraversare le montagne della catena del grande Kningan e a vanzare quindi verso la pianura centrale ma ncese su d ue colonne dirette · rispettivamente su Harbin e Sin-ching; il II frome dell'Estremo Oriente (generale Purkaiev) doveva passare l'Amur e l'Ussuri fra Blagove tschensk e la regio ne di Khabarovsk per puntare su Harbin e Tsitrikar, risalendo il corso de l Sungari e del Nonni, e conquistare, con l'ausilio della flottiglia del Pacifico settentrionale, la parte meridionale de ll'isola di Sakha lin, nonché effettuare sbarchi nelle Curili; il / fronte dell'Estremo Oriente (maresciallo Moretzkov) doveva conquis tare Hsin-ching e Ha rbin dopo aver forza lo il passaggio dc ll'Ussurri c sfondato il sistema difensivo
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giapponese lungo la frontiera della provincia marittima; la flotta sovietica doveva effettuare sbarchi nei porli coreani del nord (Yu ki, Rashin, Seishin); forze contrapposte: 1 milione di uomini sovietici, 700 mila giapponesi. La manovra del marescia llo Vassilievskij comportò un· movimento a tenaglia che da est e da ovest simultaneamente si diresse sulla ferrovia Harbin-Hsin-ching-Mukden seguito da una conversione a sud verso la penisola del Kwa-Tung e i porti Dalnij e Port-Arthur. Da l 9 al 14 agosto i sovietici sfondarono le difese nipponiche; dal 14 agosto procedettero all'occupazione territoriale. Durante gli ultimi giorni del mese di agosto tutti i 700 mila giapponesi si arresero alle forze sovietiche che occuparono la parte me ridionale dell'isola di Sakhalin, la Corea del nord fin& al 38° parallelo , le isole di Shumshu, di Paramusi r e le Curili meridionali. 2 12 Il generale MacArthur ebbe il comando di tutte le forze terrestri e l'ammiraglio Nimitz di tulle le forze navali. Le forze aeree vennero divise in forLe aeree s trateg iche e forze aeree tattiche. Le prime, agli ordini del generale Spaatz, dipendevano direttamente dal comitato dei capi di stato maggiore di Washington e comprendevano 1'8" e la 20• Air Force con basi rispettivamente a Okinawa e a lle Maria nne. Le forze aeree ta ttiche, agli ordini del generale Kenney, erano assegnate a i diversi scacchieri: s• Air Force a Okinawa e J wo Jima, 13• Air Force a Leyte, 7• Air Force e Saipan, 14a Air Force e 10a Air Force in Cina. A tali forze aeree, vanno aggiunti i 1200 velivoli d elle portaerei della Task Force dell 'ammi r~glio Mac Cain. 213 La prima resa fu quella che pose fine alle ostili tà nell 'Ita lia d el nord. I preliminari vennero firmati il 29 aprile dai rappresen tanti del genrale Vietingoff e dall'Obergruppenfiihrer Karl Wolf com andante in capo delle SS in Italia . .L'atto di resa riguardò tutte le truppe dipendenti dal generale Vietingoff, nell'Italia del nord fino a ll'Isonzo, nelle province austriache del Vorarlberg, Tirolo, Salisburgo Carinzia e Stiria. Il 4 maggio i plenipotenziari tedeschi, che comp rendevano l'ammiraglio von Friederburg, comandante supremo della flotta, il vice-ammiraglio Wagner e il generale Kienzl, firmarono l'atto di resa al maresciallo Mo ntgomery di tutte le forze tedesche terrestri, navali e aeree dell'Olanda, della Germania nord-occidentale e della Danima rca. Il 5 maggio il gruppo di annate «G», agli ordini del generale Schulz, si arrese al generale Devers comandante del VJ gruppo di armate. Il gruppo comprendeva la 1 • e la 19" armata che tenevano la fronte fra Linz e la frontiera svizzera. La resa fu firma ta al q uartier genrale del generale Devers dal generale Hermann Foertsch, comandante la 1• armata tedesca. Lo s tesso giorno, a Wageningen, il generale Blaskowitz, comandante in capo tedesco in Olanda, si arrese al generale Foulkes, comandante il I corpo d'armata canadese. Il 7 maggio 1945, alle ore 2,41, gli emissari del grande ammiraglio Doenitz - il generale Jodl e l'ammiraglio von Friedeburg - firmarono a Reims la resa sen za condizioni di tutte le forze militari tedesche, a lla presenza del generale Bedel-Smith capo di s tato maggiore del generale E isenhower, del generale Spaatz capo d elle forze aeree a mericane in Europa, dell 'ammiraglio s ir Harold Burrough , del generale Juan Susloparov capo della missione militare sovietica in Francia e del generale François Sevez rappresentante dello stato maggiore francese. Il 9 maggio, a mezzanotte e 16, presso l'Istituto militare di Berlino, il maresciallo Wilhelm Kaitel, capo di stato maggiore generale della Wehrma cht, il colonne llo generale P.F. Stumpf delegalo del maresciallo Ritter von Grein, coman-
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ilante in capo della Luftwaffe, e l'ammiraglio Hans-Georg von Friedeburg, comandante della Kriegsmarine, firmarono la resa totale e definitiva delle forze armate germaniche. Il maresciallo Gregorij Zukov firmò per l'URSS, il maresciallo Tedder per gli alleati dell'Ovest, i generali Spaatz e le Lattre de Tassigny firmarono come testimoni. 214 Il 2 settembre, a bordo della corazzata Missouri, i giapponesi firmarono la resa. Alla cerimonia per la parte alleata parteciparono il generale MacArthur, l'ammiraglio Nimitz, l'ammiraglio Frase per la Gran Bretagna, il generale Derevyanco per l'URSS, il generale Blamey per l'Australia, l'ammiraglio Helfrich per l'Olanda, il generale Hsu-Yan-Chang per la Cina, il generale Ledere per la Francia.
CAPITOLO
XLVI
EREDITA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
1. Gli errori strategici del Tripartito. 2. Guerra mondiale e guerra totale. 3. La direzione politica e militare della guerra nei vari Stati belligeranti e l'organizzazione del comando. 4. Principali fattori che influenzarono la strategia. 5. L'offensiva e la difensiva in campo strategico e tattico. 6. Il ritorno all'età degli imperi, il bipolarismo politico, il processo di decolonizzazione. 7. L'avvento dell'era nucleare.
1.
All'origine della seconda guerra mondiale fu prima di tutto la politica estera della Gran Bretagna e della Fracia durante gli anni trenta. Le due grandi potenze, per evitare la guerra alla quale non erano preparate, tollerarono tutte le iniziative revanciste ed espansionistiche di Hitler, spinte molto al di là della revisione del trattato di Versailles. Non sempre Hitler aveva torto. Nella questione dei Sudeti, ad esempio, il trattamento che il governo di Praga riservava ai tedeschi della regione era tutt'altro che rispettoso dei diritti della minoranza costituita da oltre 3 milioni di tedeschi. Quando però, dopo sei anni di rassegnazione passiva anche alle pre potenze, la Gran Bretagna e la Francia, quasi svegliandosi di soprassalto dal lungo torpore, decisero nell'aprile del 1939, tanto estemporaneamente quanto improvvidamente, di garantire l'indipendenza della Polonia e della Romania - senza prima preoccuparsi di ottenere qualche assicurazione dalla Russia, la sola potenza in grado di prestare loro un completo aiuto l - commisero un atto provocatorio, o che si prestava ad essere così interpretato, più che un gesto ammonitore e dissuasivo, tanto più che le due potenze oggetto della garanzia avevano lasciato intendere di non gradire l'aiuto sovietico, senza il quale quella garanzia era priva di ogni efficacia operativa. Hitler rispose con l'accordo germanico-sovietico del 23 agosto che comprendeva la clausola segreta della sparti·zione della Polonia tra la Germania e l'Unione Sovietica. A quel
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momento non fu senza logica che Hitler scartasse l'eventualità di una discesa in campo delle due potenze occidentali in difesa dell'indipendenza polacca. La Gran Bretagna e la Francia per garantire tale indipendenza avevano disponibili due sole armi: il blocco economico e la propaganda. Erano due armi insufficienti a perseguire scopi risolutivi e, in più, la prima risultò s.p untata proprio dall'accordo tedesco-sovietico e la seconda surclassata dall'apparato di guerra psicologica preparato dal ministro tedesco della propaganda, Joseph Goebbels, e dalla disponibilità delle quinte colonne predisposte dalla Gestapo. Gran Bretagna e Francia, sbalordite dalla Blitzkrieg, dovettero trincerarsi dietro la Maginot e lungo la frontiera belga assistendo passivamente alla conquista tedesco-sovietica della Polonia, portata a termine in tre settimane, e successivamente trastullandosi nella guerra fasulla o crepuscolare o strampalata fino a ll a tarda primavera del 1940, quando la Danimarca cedette senza colpo ferire, il Lussemburgo cadde in un giorno. l 'Olanda in cinque, il Belgio in meno di tre settimane e la Francia in sei. Non furono solo gli Stuka ed i Panzer gli artefici di quelle vittorie, ma anche gli atti di sabotaggio, la sovversione e.lei collaborazionisti, le operazioni dei paracadutisti lanciati oltre le linee di contatto, i mitragliamenti e gli spezzonamenti sulle colonne dei profughi, le tecniche avanzate di guerra psicologica, le operazioni delle quinte colonne. Se Hitler avesse tentato l'operazione Seelowe (leone marino o invasione delle isole britanniche) e questa gli fosse riuscita, l'Europa occidentale, comprese le tre potenze neutrali (Spagna, Portogallo, Svizzera), sarebbe caduta per intero sotto la dominazione nazista e nessuno può dire se e quando gli Stati Uniti sarebbero venuti a liberarla. Fortunatamente Hitler commise il suo primo grave errore di valutazione strategica: rinunziò all'invasione delle isole britanniche - un'operazione non impossibile - e pensò di poter piegare l'Inghilterra mendiante la sola offensiva aerea. Uscito sconfitto da tale battaglia, il cui esito fu decisivo per la prosecuzione della guerra, Hitler commise un nuovo errore, il più grave di tutti: aggredì l 'Unione Sovietica. Nel giugno del 1941 Hitler nulla sapeva di quanto venissero progettando·i giapponesi e non immaginava che cinque mesi dopo sarebbe stato costretto dal patto che lo legava all'impero del Sol Levante a dichiarare guerra agli Stati Uniti, m a non poteva ignorare che questi ultimi erano passati dalla neutralità alla belligeranza passiva mediante la promulgazione del Lend Lease Act (legge Affitti e Prestiti) dell' 11 marzo 1941 ed avevano in corso,
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al livello dei rispettivi stati maggiori, colloqui segreti di carattere militare con la Gran Bretagna. Egli fece affidamento sull'esito vittorioso della battaglia dell'Atlantico, fino ad allora piena di successi, e sottovalutò il potenziale demografico e produttivo dell 'Unione Sovietica, della quale minimizzò anche la capacità di resistenza morale e materiale. Non volle dare ascolto ai generali che gli rappresentarono le difficoltà e i rischi dell'operazione Barbarossa e, sebbene costretto dalle campagne di Grecia e di Jugoslavia a posticipare di cinque settimane l'inizio dell'operazione, lanciò all'offensiva lungo tre direttrici il sessanta per cento delle sue forze perché raggiungessero, prima dell'inverno, la linea congiungente la città di Arcangelo con il fiume Volga. Volle far credere allo stesso Mussolini che se non avesse preso l'iniziativa sarebbe stato prevenuto da Stalin il quale, in verità, in quel momento non era in condizioni di scendere in guerra. L'Italia si decise alla guerra, o meglio vi si decise Mussolini non c ontrastato né dal re né dagli organi politici costituzionali. Mussolini volle che l'Italia entrasse in guerra nell'illusione della brevità del conflitto e nel timore della strapotenza tedesca cui nessuno sembrava più potesse resistere. Egli conosceva benissimo l' impreparazione morale e materiale del paese e delle forze armate. Il maresciallo Badoglio gli aveva rappresentato il grado d 'impreparazione delle forze armate che erano al di sotto del 40% della loro efficienza operativa, un dato oltre tutto scarsamente indicativo e forse fuorviante perché alcuni settori erano del tutto scoperti. Nessuna minaccia, all'infuori di quella potenziale del dominio tedesco sull'intera Europa, incombeva sull'Italia. Il fatto che lo stesso Mussolini nello scendere in guerra avesse ordinato la difensiva su tutte le fronti testimonia la sua consapevolezza dell' impreparazione militare·. L'Italia non aveva nessun motivo valido per entrare in guerra; anzi, oltre l'a ssoluta impreparazione bellica e l'altre ttanto assoluta dipendenza dall'estero per le materie prime e le fonti energetiche, tutto le avrebbe imposto di restarne fuori, stante la delicata posizione geo-strategica di penisola immersa in un bacino chiuso, le cui porte d'ingresso e di uscita erano nelle mani degli inglesi che, con il possesso di Malta, ne dominavano anche tutte le rotte. L'Etiopia, non ancora pacificata, e la Libia si sarebbero venute a trovare entrambe tra due fuochi e, inoltre, la prima pressoché completamente isolata e priva di ogni rifornimento, la seconda con le rotte marittime ed aeree di comunicazione con la penisola quasi interamente soggette alle iniziative inglesi. D'altra parte, Gran
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Bretagna e Francia non solo non minacciavano l'Italia, ma si dichiaravano disposte a negoziare per comprarne la neutralità. L'unica minaccia era costituita dalla Germania che, dopo l'Anschluss del 1938, confinava direttamente con l'Italia ma, a parte che le Alpi non erano le Ardenne, in caso di aggressione tedesca l' Italia probabilmente non sarebbe rimas ta sola a dove rla fronteggiare e ben diversi sarebbero stati il sentimento e l'atteggiamento del popolo italiano in una guerra difensiva contro l'aggressione germanica. Neppure il Patto di Acciaio, vera sorpresa pasquale della primavera 1939, obbligava l'Italia ad affiancarsi militarmente alla Germania che, nella sostanza, aveva violato l'intesa anticipando di tre anni la guerra. Lo stesso legame di affinità ideologica tra fascismo e nazismo era meno vero e meno forte di quanto Mussolini intedesse farlo apparire. Sebbene entrambi i regimi fossero totalitari, antidemocratici e liberticidi, le loro ispirazioni ideali, politiche e sociali non coincidevano. Il nazional-socialismo era una dottrina razzis ta, imperialista. pagana, basata sul mito del sangue che determina il carattere fisico e morale della persona, sulla liberazione dell'anima tedesca da tutti gli influssi estranei e sui valori nordici che soli possono reintegrare la civiltà germanica ge nuina, contaminata nel tempo dall'ebraismo e dallo stesso cristianesimo per le sue sovrastrutture ebraiche. Da qui la riunione di tutti i tedeschi in una grande Germania :_ una nazione, un impero, un popolo - il demagogismo anticapitalistico, il totalitarismo dello Stato, il motivo hegeliano-bismarckiano del potere centrale regolatore di tutto. Il fascismo era ideologicamente un confuso pasticcio di romanità, di sciovinismo, di populismo, di cristianesimo, di statalismo, di socialismo e di altre variabili, dall'idealismo di Giovanni Gentile alla contraddittorietà dei temi di Wilhem Friedric Nietzsche, utilizzati anche dal nazismo nell'interpretazione di esito ultimo dell'irrazionalismo borghese. Nulla, in conclusione, spingeva alla guerra, ma tutto viceversa a restarne fuori, compresa la diffidenza e l'antipatia degli italiani verso la prepotenza e l'arroganza naziste, sentimenti non estranei allo stesso Mussolini. La dichiarazione italiana di guerra alla Gran Bretagna ed alla Francia fu, dunque, un non senso politico e militare, tanto più che nulla era stato predisposto e nulla venne tentato per occupare e sterilizzare, come diceva il maresciallo Badoglio, Malta. L'errore più grave nella condotta della guerra, dopo quello di Malta, fu la campagna di Grecia decisa anche questa, ancorché vi fosse un qualche motivo strategico-militare, sotto impulsi emotivi e in un confuso groviglio di intrighi politici e militari.
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Il Giappone nel 1941 era pervenuto alla convinzione che la guerra in Europa, avendq messo fuori combattimento la Francia e l'Olanda e i~debolito la Gran Bretagna quasi fino al limite del collasso, avesse determinato le condizioni favorevoli all'avvento di un impero nipponico, economicamente autosufficiente e militarmente protetto da un cordone difensivo spinto sul davanti fino a comprendere le posizioni del sud-est asiatico segnate dalle Midway, Aleutine e Salomone, per la cui conquista sarebbe bastato nella visione nipponica eliminare la flotta statunitense del Pacifico. Nonostante che in sei mesi fosse riuscito a raggiungere i suoi obiettivi iniziali, il Giappone, mutato nel giugno del 1942 il rapporto aereo-navale a favore degli Stati Uniti, dové abbandonare tutte le conquiste fatte e subire un processo di asfissia economica che lo portò alla fine alla resa incondizionata. Il Giappone impostò male e condusse peggio la guerra. L'impero giapponese era fondamentalmente un impero marittimo, che ancora più di quello inglese dipendeva dalle importazioni dai paesi d'oltremare. La sopravvivenza stessa del suo potenziale bellico dipendeva dalle importazioni di ferro, petrolio, bauxite, carbone da cokeria, nichel, manganese, alluminio, stagno, cobalto, piombo, fosfati, grafite, potassa, cotone, sale e gomma. Per far fronte al suo fabbisog no di generi alimentari doveva inoltre importare quasi tutto lo zucchero e i semi di soia, nonché il 20% del grano e il 17% del riso. Eppure entrò in guerra con una marina mercantile che ammontava appena a 6 milioni di tonnellate di stazza lorda: meno di un terzo della consistenza della marina m e rcantile inglese all'inizio del 1939 (circa 9500 navi per più di 21 milioni di tonnellate). Inoltre, nonostante gli insegnamenti di anni di guerra sul mare e nonostante i suoi piani espansionisti, il Giappone fece ben poco per organizzare adeguati sistemi di prote zione del suo naviglio mercantile: né convogli, né gruppi specificamente adibiti a dare la caccia ai cacciatori, né portaerei di scorta. Quando infine si decise a intraprendere un serio sforzo per porre rimedio a queste deficienze, la sua marina m e rcantile era oramai decimata 2. Tale condotta di guerrà, in particolare l'impiego dei sommergibili e degli aerei contro il naviglio da guerra degli Stati Uniti e degli alleati anziché a protezione del proprio traffico mercantile, fu il più grave errore della condotta di guerra giapponese, in quanto lasciò agli alleati lo spazio libero per agire nel settore della maggiore vulnerabilità nipponica. La non tenuta del cordone difensivo nipponico dipese, in sostanza, dall'errore iniziale di sottovalutazione della potenza aero-navale americana e dall'errore
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di condotta nella determinazione della priorità degli obiettivi da colpire o da difendere. La sconfitta fu, prima di tutto, di carattere economico. . Errore comune alle tre potenze totalitarie fu, infine, la mancanza di una direzione politico-militare unitaria. Ognuna fece la guerra per proprio conto e le intese politico-militari tra i paesi dell'Asse da una parte e il Giappone dall'altra furono poche, saltuarie, superficiali, senza vere conseguenze operative. La Germania e il Giappone non operarono secondo un piano strategico concordato. L'Italia, da parte sua, dopo il velleitario tentativo della guerra parallela, dové sottomettersi in tutto e per tutto alla strategia politica e militare dell'alleato, anche per quanto riguardava il teatro operativo del Mediterraneo. Sul piano nazionale: in Germania la direzione politico-militare della guerra fu nelle mani di Hitler, in Italia di Mussolini, in Giappone del Consiglio supremo per la direzione della guerra, organo politico-militare presieduto dall'imperatore. Una direzione politico-militare veramente unitaria non venne però realizata neppure nel campo opposto, stanti la diversità delle concezioni etiche e politiche, delle strategie e la reciproca diffidenza tra gli Stati Uniti e la Gran Bretagna da una parte e l'Unione Sovietica dall'altra. Le uniche potenze che riuscirono a realizzare, non senza gravi contrasti, l'unitarietà di condotta furono gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, ricorrendo a frequenti incontri e scambi epistolari tra il presidente Roosevelt ed il primo ministro inglese Churchill e dando vita alla creazione, al livello plurinazionale, di un'organizzazione di direzione modellata su quella nazionale inglese. Il comitato interalleato dei capi di stato maggiore 3 determinò, sulla base delle direttive politiche concordate tra Roosevelt e Churchill, le linee della strategia militare generale e provvide alla coordinazione delle attività operative comuni; i comitati nazionali dei capi di stato maggiore - quello americano istituito per la prima volta durante la guerra - sovrintesero alle attività di guerra della rispettiva nazione.
2. La guerra 1939-1945 fu assai più mondiale di quella 1914-'18 e in più fu davvero totale. Il mondo già d'allora era divenuto singolarmente piccolo per un conflitto armato tra le potenze europee che, stante la vastità delle implicazioni ideologiche, politiche, sociali, economiche e strategico-militari che conteneva, non avrebbe potuto
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non estendersi a tutti i continenti. Il carattere di fenomeno totale le derivò dal fatto di essere una guerra di materiali, la quale impegnò non solo i grandi eserciti, ma tutte le risorse demografiche e produttive dei belligeranti, dall'estensione delle offese all'intero territorio delle nazioni in guerra e dal ricorso, senza vincoli etici e giuridici, a forme e mezzi di vera barbarie e di crudele spietatezza che l'umanità si era illusa fossero stati banditi per sempre dalla prassi bellica. La mobilitazione non fu più un'operazione solamente militare, ma abbracciò tutti gli aspetti della vita nazionale. Le nazioni che non l'avevano predisposta in tali termini furono costrette a farlo e il ritardo protrasse la durata della guerra. Le attività industriali, agricole, terziarie, in un certo senso prima ancora di quelle puramente militari, dovettero essere rigidamente inquadrate nello sforzo bellico e regolate a tale fine. Agli inizi della guerra tale esigenza, nonostante i segni premonitori della prima guerra mondiale, non aveva trovato, ad eccezione che nel Giappone e in misura minore in Germania, soddisfacimento adeguato sul piano delle strutture giuridiche e istituzionali . Naturalmente negli Stati totalitari - Unione Sovietica, Germania, Italia - e nel Giappone, regime paramilitare, la mobilitazione generale fu più facile e rapida. In Italia non vi fu una mobilitazione generale, sia perché il potenziale demografico era esuberante alle possibiità di assorbimento da parte delle forze armate e delle industrie di guerra - le prime condizionate dalla scarsa disponibilità di anni e di equipaggiamenti, le seconde dalla insufficienza delle materie prime da trasfprmare in manufatti e delle risorse energetiche per far funzionare gli stabilimenti produttori - sia perché Mussolini intenzionalmente cercò di modificare il meno possibile la routine nazionale del tem po di pace, per smorzare l'insofferenza italiana nei riguardi della guerra hitleriana. Tutti gli Stati, guerra durante, furono costretti a conformarsi in fatto di mobilitazione generale agli schemi degli Stati totalitari, quando non anche ad andare oltre. Nel Regno Unito, ad esempio, le attività economiche vennero integrate nello sforzo bellico in misura maggiore, sotto certi aspetti, che non nell'Unione Sovietica o nella Germania. In tutte le grandi potenze belligeranti, più o meno: la coscrizione obbligatoria fornì all'esercito, alla marina e all'aeronautica grandi masse di uomini che vennero sottoposti ad un severo addestramento; i lavoratori vennero registrati, arruolati, istruiti come fossero soldati; beni p rivati vennero requisiti; l'industria e la produzione in genere vennero rapidamente
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poste sotto controllo; i viaggi e i trasporti contingentati; i viveri ed il vestiario furono razionati. Dappertutto divenne delitto diffondere voci allarmistiche o disfattistiche o false; organi di propaganda diretti dallo Stato cercarono di condizionare il modo di pensare della gente. La mobilitazione generale delle risorse demografiche fin quelle delle donne, dei giovanissimi, degli anziani - si rese gradualmente necessaria ovunque, a mano a mano che crebbero le dimensioni d egli eserciti e i consumi dei mezzi e dei materiali. La guerra totale costrinse le democrazie ad adottare taluni metodi e strumenti dei loro avversari. L'esposizione dei centri abitati alle offese terroristiche impose problemi di difesa attiva e di protezione passiva di vastità enorme. Non esistono statistiche ufficiali aggiornate delle vittime civili della guerra nei vari paesi, tanto il numero di queste fu elevato e difficilmente definibile. Di Londra, Berlino e Tokio si salvò poco o nulla. La guerra senza fronti, nel senso che ogni città e ogni paese poteva essere oggetto di un bombardamento terroristico ancorché non vi fosse ospitato nessun comando o nessun reparto o nessuna industria militare, fu il fatto più evidete di che cosa significasse la guerra totale. Tutti da un momento all'altro, nei paesi raggiungibili dai bombardieri aerei, potevano morire, per cui la tradizionale distinzione tra soldato e civile perse buona parte del suo significato ed anche quella tra soldato di prima linea e soldato delle retrovie perse d'importanza. Nessuno poté più sentirsi, dovunque fosse e qualunque posizione anagrafica e lavorativa occupasse, al sicuro, giacché di certo non esisteva che l'incombere della morte su tutti. Ciò stravolse completamente la fisionomia della guerra. Questa fu rivolta a distruggere, prima ancora dell'apparato militare vero e proprio, l'intera economia e l'identità culturale e fisica del nemico, senza nessun riguardo né per gli esseri umani né per le testimonianze di civiltà espresse da monumenti, musei, opere d 'arte. La consegna data ai bombardieri fu di distruggere tutto, uomini e cose, senza risparmiare nulla. L'esempio fu dato dalla Germania, ma fu contagioso; venne infatti subito seguito dagli alleati. Londra e altre città del Regno Unito furono le tteralmente massacrate dai bombardieri della Luftwaffe e dalle Vl e V2 che mieterono migliaia e migliaia di vittime civili. I bombardamenti anglo-americani sulle città tedesche e, per ricordare il più famoso di quelli condotti solo a scopo terroristic0, il bombardamento di Dresda del febbraio 1944, ebbero effetti disastrosi sulla popolazione c ivile tedesca e sulle migliaia di civili stranieri costretti a lavorare in Germania. A Hiroshima su 340 mila
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abitanti, 100 mila morirono d'un colpo, molti dei sopravvissuti subirono gli effetti disastrosi della radioattività che ne prolungò l'agonia per anni e il 70% della città andò completamente distrutta. A Nagasaki, per la conformazione collinare della città, morì d'un colpo solo un sesto dell'intera popolazione, vale a dire 40 mila civili, e la distruzione della città riguardò solo il 40% degli edifici. L'occupazione tedesca, giapponese e italiana di territori stranieri dette vita a movimenti clandestini di resistenza e di liberazione, per la cui repressione le forze di occupazione ricorsero ai metodi drastici della rappresaglia, consistenti in deportazioni in massa, in spoglio di beni e in fucilazioni e decimazioni indiscriminate. Là dove operarono le SS e la Gestapo tedesche vennero compiute efferatezze che surclassarono quelle dei popoli più barbari dell'antichità. A Cefalonia furono unità della Wehrmacht a macchiarsi d'infamia; a Katyn erano state precedute da quelle dell'armata · rossa. L'adozione su larga scala della guerriglia, ad integrazione e in sostituzione delle forme di guerra proprie delle forze regolari, concorse in una certa misura ad accentuare il carattere totale della guerra. Nessuna delle due parti ricorse all 'impiego delle armi chimiche e biologiche, ma ciò non dipese tanto da remore di ordine morale, quanto da considerazioni di ordine tecnico-militare, forse dal timore dei danni della ritorsione. Non si spiegherebbe altrimenti perché nulla trattenne i belligeranti dall'impiegare tutti gli altri procedimenti e mezzi per estendere ed esaltare il carattere totale della guerra.
3. La direzione al massimo livello di una guerra siffatta non poteva non essere propria dell'autorità politica. Roosevelt, Stalin, Hitler, Churchill, Mussolini non erano militari di professione, eppure furono chiamati a prendere decisioni di strategia militare. La direzione strategica della guerra nel suo duplice aspetto, politico e militare, appartenne alle autorità politiche ed oggi è del tutto impossibile lasciare ogni decisione bellica ai militari e ogni decisione politica agli statisti 4. La difficoltà fu allora, ed è oggi, nel tracciare la linea di demarcazione tra le due sfere che non solo si toccano, ma per un certo spazio si sovrappongono. L'interdipendenza tra decisioni politiche e decisioni militari è tale, al massimo livello, che sarebbero fuori della realtà sia la suprema autorità
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politica che volesse definire le linee strategico-militari prescindendo dal parere tecnico della suprema autorità militare, sia questa ultima nel caso che non intendesse sottoporre i suoi piani strategico-militari al benestare politico. La mancanza di un'esperienza professionale militare da parte del vertice politico fu nella seconda guerra mondiale, e lo sarebbe ancor di più oggi, una remora ad una condotta corretta della guerra. Roosevelt, che dei capi della seconda guerra mondiale fu il meno provveduto in materia di strategia militare, era secondo il dettato costituzionale il comandante supremo delle forze armate, ma per l'esercizio di tale comando egli si avvalse del comitato dei capi di stato maggiore, al quale lasciò grande autonomia nel quadro delle direttive politiche che gli impartiva. Egli poté utilizzare un sistema militare quanto altri mai grandioso, attivo e funzionale. Ebbe il merito di convincere il suo paese ad entrare in guerra. Anche senza l'aggressione di Pearl Harbour, Roosevelt sarebbe riuscito a superare le non deboli r esistenze isolazioniste del paese. Nel corso della guerra dette l'impressione di non avere idee chiare sui motivi per i quali combatteva 5, ma il giudizio del maresciallo Montgomery 6 è eccessivo, anche se è vero che Roosevelt si lasciò ingannare da Stalin. Egli si guadagnò il rispetto dei suoi generali ed ammiragli perché non invase mai il campo della condotta delle operazioni militari. Al live llo di teatro operativo, le operazioni strategico-militari degli Stati Uniti vennero affidate alla guida di un solo comandante, appartenente ad una delle forze armate, operante alle dipendenze, ma con grande autonomia, del comitato dei capi di stato maggiore. Il capo che meglio degli altri ebbe chiaro e luc ido il fine politico da perseguire fu Stalin, che fu anche ll:IlO stratega. Egli fu un grande capo, spietato e opportunista finché si vuole, ma se non era per lui i sovietici sarebbero probabilmente stati sconfitti all'inizio del 1942... Stalin non commise praticamente errori; la sua strategia politica era estremamente lucida ed egli la perseguì inflessibilmente. Ebbi modo di conoscerlo alla conferenza di Potsdam che si tenne nel luglio 1945 e, due anni dopo, fui suo ospite a Mosca. Posso dire che era provvisto di un senso strategico incredibile e durante le nostre discussioni su questioni strategiche non ricordo di averlo sentito dire qualcosa di sbagliato ... 7• Fu lui ad esercitare la direzione unitaria politico-militare della guerra e delle operazioni militari. Lo fece con saggezza e capacità avvalendosi dello Stavka Verhovnavo Glavnojo Komandovanija (Stavka), il Comando Supremo, nel cui ambito vennero
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elaborati i principali piani operativi difensivi e offensivi. Egli, nonostante la sua grande diffidenza verso tutto e verso tutti, si fidò dei suoi marescialli e generali. Hitler, si può dire da solo, esercitò sia la direzione politica sia quella militare. Il suo organo di comando militare fu l'Oberkommando der Wehrmacht (0.K.W.), da lui creato nel 1938, attraverso il quale esercitò direttamente il comando delle forze armate e diresse molte delle operazioni sulle varie fronti. Nel 1941 si attribuì anche il comando dell'esercito. Egli non fu un personaggio che si possa semplicisticamente liquidare relegandolo nella categoria dei pazzi. Ebbe una notevole lucidità di pensiero e un 'estrema coerenza. A volte in fatto di strategia militare fu nel giusto, a volte commise errori madornali. La sua cocciutaggine nel respingere le proposte o le obiezioni dei suoi generali ed ammiragli dipendeva dal suo egocentrismo, dal fanatismo delle sue idee, dalla convinzione di possedere un carisma personale donatogli dal destino per portare la Germania al ruolo di dominatrice dell ' Europa. Quando si opponeva, contro ogni logica strategica e tattica, alle ritirate, spesso lo faceva perché queste avrebbero sì prolungato la guerra, ma avrebbero condo tto ad una perdita di prestigio a cui il regime hitleriano non sarebbe forse sopravvissuto B. Egli fu il capo politicomilitare che più di ogni altro soffocò il suo stato maggiore, i comandi di gruppo di armate e di armata e spesso, sovrapponendosi a tutti gli organi di comando intermedi, volle intervenire personalmente persino nel dirigere le manovre tattiche dei corpi d'armata e delle divisioni. La grande e cieca fiducia in sé stesso e la sicurezza nelle s ue intuizioni politiche e militari produssero la distruzione del formidabile strumento militare tedesco e la rovina della Germania, che non erano certo i fini che egli si era proposto. Churchill fu un uomo politico di statura eccezionale. Egli ragionava in materia di politica in termini di globalità e di concretezza, non comuni in quel periodo a nessun a ltro uomo politico del mondo occidentale. Fu durante la gu erra il degno capo dell'impero più vasto che fosse m a i esistito nella storia, ridette fiducia al popolo inglese, ne animò la resistenza nel momento della disperazione e dell'imminenza della catastrofe, seppe invocare ed ottenere l'aiuto degli Stati Uniti; non sempre però uscì vicente dai confronti politici con Roosevelt che tuttavia accettò spesso la posizione britannica. Non poche furono le frizioni con lo stesso presidente Roosevelt specialmente in materia di rapporti degli alleati con l'Unione Sovietica, de lla quale Churchill aveva compreso
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a pieno, diversamente da Roosevelt, le linee di strategia politica, le tendenze espansioniste e gli intendimenti di dominio sull'Europa orientale e balcanica. Non si fidò di Stalin, del quale però apprezzò la capacità politica e militare. Churchill, che era anche ministro della difesa, oltre che dirigere lo sforzo bellico generale dell'intero impero britannico, intervenne anche sul piano strategico-militare e frequentemente anche sulle questioni di ordine puramente tecnicomilitare, ma poiché aveva doti militari, oltre che politiche, i suoi interventi furono quasi sempre molto appropriati. L'organo di comando di cui si avvalse fu il comitato dei capi di stato maggiore nel cui ambito non mancarono grosse di".ergenze che Churchill riuscì a comporre e a superare. Rispetto al comitato dei capi di stato maggiore degli Stati Uniti, appena istituito, quello dell'impero britannico si giovò della lunga consuetudine al lavoro congiunto, ancorché la tendenza di ciascuna delle tre forze armate e dei comandi elevati all'indipendenza ed all'autonomia non fosse affatto sopita. Mussolini, al pari di Stalin e di Hitler, assunse da solo la direzione politica e militare della guerra, ma la perse ben presto di fatto costretto a cederla a Hitler, dal cui sostegno dipendevano pressoché in assoluto sia l'intero sfort.0 bellico produttivo de ll'Italia, sia le stesse operazioni militari nel teatro operativo del Mediterra neo, dove senza l'apporto delle forze armate tedesche, soprattutto della Wehrmacht e della Luftwaffe, l'Italia sarebbe stata messa fuori combattimento in tempo assai breve. In Italia il comandante supremo delle forze armate era il re che, alla vigilia della guerra, delegò il comando a Mussolini, il quale era ad un tempo, oltre che capo del governo, anche ministro della guerra, della marina, dell'aeronautica. Autopromossosi da caporal maggiore a maresciallo dell'impero dopo la vittoriosa campagna di Etiopia, Mussolini non aveva conoscenza teorica e pratica della strategia, sebbene non gli mancassero talvolta felici intuizioni strategiche, riguardanti però più la previsione delle mosse nemiche che non l'ideazione delle proprie. Non aveva pensato o voluto d'altra parte non gli era stato neppure richiesto - istituire fin dal tempo di pace un Comando Supremo, magari embrionale che, in base alle direttive del comandante, in caso di guerra impostasse, organizzasse e dirigesse le operazioni strategico militari in uno stretto contesto interforze. L'ufficio del capo di stato maggiore generale era organo di consulenza del capo del governo e di collegamento degli stati maggiori di forza armata, non organo di comando. L'unico Stato, che decise d'iniziativa d'entrare in guerra
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senza avere precostituito l'organo interforze di stato maggiore di cui potesse avvalersi il comandante supremo per la pianificazione delle operazioni sul piano strategico e della grande tattica, fu ]'Italia. Il 5 giugno 1940, cinque giorni prima de ll'entrata dell 'Italia in guerra, il capo di stato maggiore generale, al termine di una riunione dei capi di stato maggiore di forza armata e dei sottosegretari di Stato dei tre dicasteri militari, comunicò testualmente: Vi sarà consegnata una lettera che spiega il funzioname nto dello Stato Maggiore Gene rale, il quale, coi suoi venti Ufficiali, non vuole sostituirsi a nessuno. Esso ha l'alta direzione strategica ed ha bisogno dell'intimo collegamento coi vari Stati Maggiori e dell'unione di tutti gli sforzi per compie re un lavoro proficuo. Attendo che mi si dia sempre la situazione precisa. Venite pure da me ogni volta che ne ave te bisogno. Io vi chiamerò spesso. Jl Duce è molto sere"no, ed il popolo tranquillo. Non badate a lle lettere anonime. Sua Maestà mi ha detto che anche nel 1915 ricevette fasci di lettere contro la gue rra 9 . Il maresciallo Graziani
IO
chiosò: Quundu il cunnune !;pare-
rà, tutto si sistemerà automaticamente 11. Il Comando Supremo cominc iò a funzionare com e tale dopo un an no dall 'entrata dell'Italia in guerra e cioè dopo il rientro del maresciallo Cavallero 12 dall'Albania. Malgrado il ritardo con il qua le venne istituito, le lacune, le insufficienze, l'inabitudine degli stati maggiori alla subordinazione a l capo di stato maggiore generale, l'inesperienza del personale nel lavoro interforze, la dive rsità di me nta lità, di metodo di lavoro e addirittura di linguaggio degli ufficiali delle tre forze armate e la tendenza all'accentramento del generale Cavallero, lo stato maggiore generale svolse in genere in maniera adeguata i suoi compiti e, nei limiti imposti dalla dipendenza da Mussolini e dalle decisioni d a questi adottate in base agli orientamenti-direttive di Hitler, i s uoi interventi furono quasi sempre conformi alla logica strategica, rispondenti alle situazioni operative, intonati a lla globalità dei pròblemi esaminati. Il modo di essere e di agire del Comando Supremo, da quando il maresciallo Cavallero poté prenderne la guida effettiva, non è neppure paragonabile a quello del periodo precedente. Il salto di qualità che il maresciallo Cavallero fece compiere al Comando Supremo dipese anche dalla nuova legge, da lui stesso promossa, circa le attribuzioni, le responsabilità, le funzioni di comando del capo di stato maggiore gen erale nei riguardi dei capi di stato maggiore di forza armata. A parte il fatto che non si spiega il perché tale legge non fosse stata promossa a suo tempo dal maresciallo Badoglio, l'elevazione del livello di efficienza e di fun-
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zionalità fu il risultato soprattutto del grado superiore di vivacità d'intelligenza, di vastità di cultura, di professionalità aggiornata del maresciallo Cavallero, messosi in grado di stare alla pari con i tell\" pi, rispetto al maresciallo Badoglio rimasto, tra l'altro, attaccato a concezioni, a modelli ed a schemi del tutto superati. Mussolini, diversamente da Stalin e da Hitler che vissero la guerra all'interno dei rispettivi Comandi Supremi, rimase, non solo fisicamente, fuori dal suo stato maggiore generale. Egli aveva contatti quotidiani diretti due volte al giorno il capo di stato maggiore generale si recava da lui per sottoporgli proposte, provocare decisioni, tenerlo informato di tutto - e telefonici continui con il maresciallo Cavallero, di cui apprezzò la diversità di statura intellettuale, culturale, professionale, rispetto al predecessore, ma rimase a palazzo Venezia e non volle immergersi nell'atmosfera agitata e ansiosa, ma anche attenta e capace di più efficace collaborazione, di palazzo Vidoni, sede del Comando Supremo. Se si fa eccezione per la campagna di Grecia, durante la quale, nella speranza di venirne fuori il meno malconcio possibile, consapevole che la sconfitta avrebbe compromesso definitivamente ogni suo già vacillante prestigio, intervenne anche su questioni tattiche, abitualmente lasciò fare al capo di stato maggiore gene rale coarlan<lone gli orienlamenli solo quando erano in gioco interessi politici (es. trasformazione del C.S.I.R. in A.R.M.I.R.) o quando si trattava di idee e di suggerimenti di Hitler (es. rinunzia all'operazione C3) al quale Mussolini non sapeva opporsi. Nessuno dei modelli di direzione politica e militare della guerra funzionò senza intoppi, né dall'una né dall'altra parte, sia al livello nazionale, sia al livello plurinazionale. Il carattere mondiale e totale della gue rra rese più a rduo il problem a già dimos tratosi di diffic ile soluzione nella prima guerra mondiale. Un'intesa politica e un coordinamento politico-militare più stretti e continui avrebbero giovato a tutti i fini, sia nel quadro dell' alleanza tra le potenze occidentali e l'Unione Sovietica, sia in quello delle potenze del Tripartito. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna riuscirono a realizzare reciprocamente un grado d'intesa notevole in ragione della identicità di vedute sugli scopi della guerra e dell'analogia dei loro regimi democratico-liberali. Anche nell'ambito militare l'intesa tra le due potenze occidentali risultò complessivamente soddisfacente, nonostante le molteplici e gravose difficoltà che dovettero essere affrontate e superate; il comitato interalleato dei capi di stato maggiore dei due paesi svolse un lavoro congiunto di alta strategia militare e di pianificazione della guerra nei vari teatri operativi di grande rilevanza. Era la prima
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volta che un comitato militare di così alto livello veniva esperimentato con carattere di organo permanente ed il risultato fu in definitiva positivo. Circa la suprema direzione militare nell'ambito di ciascun paese belligerante si può dire che negli Stati totalitari, in particolare nell'Unione Sovietica e nella Germania, essa appartenne agli stessi dittatori che spesso decisero - almeno Hitler e Mussolini - contro il parere degli organi tecnico-militari di comando, mentre negli Stati Uniti e nel Regno Unito essa fu esercitata da organi collegiali presieduti dal capo di stato maggiore generale e comprendenti tutti i capi di stato maggiore di forza armata. Nell'impero nipponico la direzione suprema delle operazioni militari fu propria del Consiglio Supremo per la direzione della guerra, un organo collegiale misto, a carattere politico-militare, presieduto dall'imperatore, in grado di assicurare l'unitarietà della direzione politica e militare della guerra, ma di fatto operante al servizio dell'oligarchia militare che accentrava anche il potere politico. La guerra Lutale, coinvolgente cioè l'intera vita nazionale, pose in termini nuovi e più complessi il vecchio problema dei rapporti tra i capi civili e quelli militari, sia sul piano plurinazionale che su quello nazionale. Nell'ambito delle operazioni militari la comparsa di una nuova forza armata, l'aeronautica, capace di agire anche in modo autonomo e nello stesso tempo destinata a cooperare strettamente con l'esercito e con la marina, accrebbe l'importanza e simultaneamente l'inviluppo delle questioni dell'unicità di comando e del coordinamento delle forze a tutti i maggiori livelli, a cominciare da quello supremo. I problemi connessi all'esercizio del comando operativo-militare divennero, dunque, nella seconda guerra mondiale molto più delicati di quanto non fossero mai stati in alcun conflitto precedente. A ciò concorsero molte cause, ma la trasformazione delle battaglie terrestri e navali in scontri aeroterrestri e aeronavali fu senza dubbio la causa determinante. L'esperienza circa la delicatezza del problema del comando congiunto era già stata fatta prima della seconda guerra mondiale nelle operazioni anfibie. Ma le operazioni anfibie condotte in passato avevano sofferto spesso dell'incapacità di comandanti di pari rango, di forze terrestri e navali, a collaborare, e quando l'operazione era stata affidata al comando dell'uno o dell'altro, il comandante prescelto non aveva spesso capito a fondo i problemi dell'altra arma. La comparsa dell'aviazione rese più difficili, e forse più pericolosi, i problemi connessi all'esistenza di più comandanti a pari livello; poteva infatti accadere che i rappresentanti di due armi s'impones-
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sero al comandante della terza, costringendolo in virtù della loro maggioranza numerica a un 'azione che la sua esperienza gli dimotrava irrealizzabile 13. Meno che nel Giappone, - e inizialmente negli Stati Uniti - dove l'aeronautica non era una forza armata a sé stante, ma divisa in due aliquote, una alle dipendenze dell'esercito e l'altra della marina, negli altri Stati belligeranti il problema venne risolto, al massimo livello, nei termini già illustrati. Ai livelli di comando di teatro e di scacchiere operativo prevalse generalmente il principio qell'unità assoluta di comando espressa da un solo ufficiale, appartenente ad una delle forze armate operanti nel teatro o nello scacchiere, di norma a quella incaricata dell'a_zione principale; mai comunque il comando unitario venne affidato ad un comitato. Là dove le forze operanti appartenevano a più nazioni, il comando supremo di esse venne affidato ad un ufficiale di una delle nazioni partecipanti, di solito a quella che forniva il maggior numero di forze. Ciò non si verificò all'interno dell'Asse nello scacchiere dell'Africa Settentrionale, dove il comando delle forze mobili venne assunto da un ufficiale tedesco nonostante le forze germaniche fossero numericamente inferiori di quelle italiane. La soluzione dello specifico problema non risultò spesso agevole né nell'ambito nazionale, né tanto meno in quello internazionale, ma il generale Eisenhower, ad esempio, riuscì, malgrado le molteplici insofferenze dei comandanti subordinati, a raggiungere una pressoché piena unità tra le forze statunitensi e quelle dell'impero britannico e tra le forze di terra, di mare e del cielo poste alle sue dipendenze. L'ordinamento delle grandi unità terrestri degli opposti schieramenti non si discostò granché da quello della prima guerra mondiale: gruppo di armate, armata, corpo d'armata, divisione. Il carattere davvero mondiale del conflitto rese peraltro neces~ario creare un nuovo livello di comando intermedio, quello di teatro operativo. La manovra strategica di teatro si articolò così in . manovre strategiche, contemporanee o in successione, di scacchiere o di gruppo di armate o di armata autonoma; le manovre strategiche di gruppo di armate in manovre di armata, queste in manovre tattiche di corpo d'armata e queste ultime in manovre tattiche di · divisioni. La grande unità fondamentale della manovra strategica supetio~ rimase l'armata, la quale fu chiamata ad operare con maggiore o minore libertà di iniziativa secondo che operasse inquadrata o non nel gruppo di armate. Sulla fronte orientale l'armata rossa si articolò in fronti anziché in gruppi di armate. Il fronte aveva un ruolo talvolta pari a quello di un gruppo d'armate, talvolta
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meno importante e più vicino a quello di un grosso corpo d'armata, gradino ordinativo questo non presente nell'ordinamento tattico sovietico, eccezione fatta per le truppe corazzate e meccanizzate. I comandi di corpo d'armata, eccezione fatta per i corpi d'armata corazzati o meccanizzati e per quelli operanti in un'armata autonoma, svolsero di norma un compito di coordinamento delle azioni delle grandi unità elementari dipendenti ed ebbero un rilievo minore che nelle guerre precedenti, nonostante la maggiore ampiezza delle fronti loro assegnate, o forse proprio per tale motivo, e la maggiore dinamicità delle operazioni. Furono conservati soprattutto quali organi demoltiplicatori del comando e controllori delle azioni divisionali. La divisione conservò l'antica fisionomia e gli antichi compiti e restò l'unità di misura degli sforzi strategici e tattici. Fu la grande unità fondamentale della manovra tattica, come l'armata di quella strategica, e, a sua volta, la vera regista del combattimento manovrato delle brigate o dei reggimenti. Le unità minori, costrette a diradare ulteriormente le loro formazioni a causa dell'aumento della loro vulnerabilità, utilizzarono la maggiore disponibilità di spazio pe'r e saltare le possibilità di manovra, si articolarono in complessi minori pluriarma di entità e di dosatura di volta in volta variabili secondo le situazioni ed i terreni, adottarono la tattica d'infiltrazione. Nell'ordinamento tattico delle unità intermedie e minori, accanto .alle brigrate pluriarma, ai reggimenti, ai battaglioni, comparvero i raggruppamenti ed i gruppi tattici, vale a dire complessi di forze pluriarma - al livello di reggimento, di battaglione, di compagnia - ai quali fecero ricorso .prima di tutti i tedeschi, specialrp.ente quando furono costretti a difenders i su fronti molto ampie. Le formazioni organiche cominciarono a non corrispondere più a quelle tattiche e questa . fu una delle novità maggiori, nel campo dell'ordinamento tattico, della seconda guerra mondiale.
4. Molti i fattori che concorsero alla rivoluzione della strategia durante la seconda guerra mondiale. Di essi i principali furono: l'aumento della mobilità strategica e della velocità operativa a valori fino ad allora quasi impensabili, la maggiore speditezza dell'esercizio del comando, l'ampiezza del ricorso a forme particolari di lotta ed a tecniche speciali. I principi tradizionali della
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strategia militare rimasero quelli di sempre, ma le possibilità di applicarli si moltiplicarono e si estesero quasi senza limiti. La manovra non mutò le sue forme tradizionali d'impostazione e di sviluppo - manovre di rottura, di avvolgimento, di accerchiamento, di aggiramento, questa ultima anche sotto l'aspetto di aggiramento verticale - ma moltiplicò l'ampiezza del suo respiro, la sua velocità di progressione, la r emuneratività dei suoi risultati. A prescindere dall'arma atomica - utilizzata alla fine del conflitto e non sul campo di battaglia vero e proprio - l'arma che più di ogni altra rivoluzionò la strategia e cambiò la fisionomia stessa della guerra fu l 'aeronautica. L'aviazione non acquistò il ruolo pressoché esclusivo preconizzato dal Douhet 14 e da altri, ma fu il fattore che più di altri rese la guerra totale, estendendola nello spazio e in profondità a territori vastissimi e coinvolgendo per intero le popolazioni civili, tutte le fonti di energia e le strutture della vita economica del paese belligerante. Il potere aereo entrò nel computo della potenzialità bellica generale e dell'efficienza operativa specifica dell'apparato militare con un coefficiente di valore così elevato da superare tutti quelli degli altri fattori costitutivi. I principi della massa e della sorpresa trovarono nell'aviazione un campo di applicazione senza precedenti. Non furono più concepibili battaglie solo terrestri o navali, ma so.lo battaglie aero-terrestri e aero-navali. Non solo sul piano generale della guerra, ma su quelo della strategia militare e della tattica, della grande e persino della piccola tattica, il velivolo si impose come mezzo insostituibile per la distruzione o neutralizzazione delle forze avversarie, per la ricerca e l'individuazione degli obiettivi , per l'esercizio del comando, per l'alimentazione della battaglia e del combattimento, per i trasporti di sgombero. Il crescendo dell'impiego dell'aviazione, a mano a mano che venivano perfezionati i velivoli e aumentate le loro prestazioni, oltreché moltiplicata la loro disponibilità, sia in compiti strategici autonomi s.ia in compiti di cooperazione con le forze di terra e di mare, non conobbe soste. L'intero potenziale demografico e produttivo delle zone raggiungibili dall'aereo divenne soggetto a distruzioni, neutralizzazioni, riduzioni impressionanti; le vie di comunicazione poterono essere paralizzate e rese inagibili per tempi molto lunghi; il morale del fronte interno divenne anch'esso soggetto ad abbassamenti tali da poter virtualmente determinare veri e propri collassi di un 'intera nazione. Nel quadro delle grandi operazioni strategiche l'aviazione da combattimento e da trasporto fu spesso la protagoni-
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sta del successo. L'Air Trasport Command dell'aeronautica statunitense convogliò attraverso l'Atlantico più di 42 mila aerei con percorsi medi quotidiani coprenti 7 volte il giro del mondo. Nel 1944 vennero trasportate, solo attraverso l'Atlantico, 560 mila tonnellate di materiale, 525 mila feriti, 3 milioni e 500 mila litri di benzina. In Birmania, un'intera divisione di fanteria alleata fu aerotrasportata per molte centinaia di chilometri con armi, munizioni, bestie da soma. La città di Chun king per due anni e mezzo fu collegata col mondo libero solo dagli aerei americani della 14a forza aerea 15. È superfluo ricordare la sorte subita dai grandi centri urbani e dai grandi complessi produttivi raggiunti dall'offesa aerea. Nel quadro delle battaglie aero-terrestri e aero-navali, l'aeronautica moltiplicò la potenza e l'efficacia del fuoco, allungò quasi senza limiti il braccio delle artiglierie terrestri e navali, individuò e colpì obiettivi lontani o resistenti o defilati o irraggingibili dalle altre armi, bloccò l'afflusso di riserve, di rinforzi e di rifornimenti del nemico e assicurò l'alimentazione tattica e logistic a di intere grandi unità amiche. Durante l'offensiva alleata in Europa del marzo 1945, le formazioni corazzate statunitensi vennero rifornite per via aerea fino al centro della Germania. Nella guerra sul mare, l'aviazione modificò i ruoli delle singole classi di navi oltre che la fisionomia delle battaglie navali. La battaglia del mare dei Coralli nel maggio del 1942 fu la prima battaglia nella storia navale combattuta dall'inizio alla fine senza che le due squadre contrapposte si vedessero l'un l'altra, a una distanza che era stata portata dai circa 30 Km che rappresentavano il limite massimo per le corazzate a 150 o più chilometri. Di li a poco si sarebbe avuta una replica di proporzioni ancora maggiori 15: b battaglia di Midway del giugno 1942. L'arma aerea impose la strategia, la tattica e le tecniche della guerra sul mare nell'Atlantico, nel Pacifico e n ei bacini chiusi. Nel Pacifico gli aeroplani trasportati d a portaerei furono usati in misura· tale che la guerra del Pacifico viene talvolta considerata principalmente una guerra aerea 16. Ovviamente si tratta di un'esagerazione perché le navi di superficie rimasero elemento fondamentale, congiuntamente ai sottomarini, del pote re marittimo, con il loro armamento e con i nuovi mezzi di cui vennero dotate (radar e spolette di prossimità, in particolare). Nel mare dei Coralli furono, infatti, le navi di superficie a sbarrare le strade ai giapponesi; al largo di Gudalcanal furono in buona parte gli incrociatori degli Stati Uniti a costringere i giapponesi a ritirarsi dall'isola; nel golfo di Leyte navi americane e giapponesi si
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batterono in una delle più grandi battaglie navali della storia. È però fuori di dubbio che l'aviazione rivoluzionò la guerra, le battaglie e le manovre tattiche terrestri e navali e che il suo sempre maggiore sviluppo quantitativo e qualitativo esercitò in ogni teatro ed in ogni tempo un'influenza determinante sui successi. Un secondo fattore, che concorse a fare della guerra un fenomeno totale, fu il largo ricorso alle forme e a11e tecniche della cosiddetta strategia indiretta - guerra non tradizionale, guerra territoriale, guerra sovversiva, guerra psicologica, ecc. - e, in particolare, ,alla guerriglia. In tutti i paesi occupati dal Tripartito la resistenza all'occupazione ebbe uno sviluppo generalizzato e creò problemi strategici e tattici alle forze di occupazione con riflessi diretti sull'andamento della guerra e delle operazioni. Il 25 luglio del 1943, 34 delle 47 divisioni italiane di fanteria erano impegnate esclusivamente o quasi nei compiti di sorveglianza, di sicurezza e di repressione della resistenza e della guerriglia in Grecia, nel Montenegro. nell'Erzegovina, nella Croazia, nella Slovenia, nella Provenza e nella Corsica. Non ci è dato di stabilire - le fonti consultate sono troppo discordi - quante forze i tedeschi dovettero sottrarre dalle fronti di contatto con gli eserciti regolari nemici per impiegarle per la repressione dei movimenti patriottici nei territori occupati, a cominciare da quelli dell'Unione Sovietica. Nonostante che i tedeschi si servissero di procedimenti e di mezzi assai sbrigativi e feroci per neutralizzare la resistenza dei paesi occupati, essi furono costretti ad indebolire notevolmente i loro dispositivi offensivi e difensivi per fronteggiare le lotte patriottiche che · minacciavano la stabilità della loro occupazione e soprattutto insidiavano le grandi vie di comunicazione, i centri di produzione industriale, le stesse retrovie delle fronti e spesso l'andamento delle stesse manovre strategiche e tattiche. Integrativa di quella diretta, la strategia indiretta durante la seconda guerra mondiale ebbe uno sviluppo senza precedenti, sia nei paesi europei, sia in quelli extraeuropei e perseguì il fine prioritario di depauperare o addirittura di azzerare le riserve centrali strategiche degli eserciti che dovettero subirla. A tale risultato di portata strategica non sempre viene dato dagli storici e dagli studiosi il rilievo che merita, mentre la mancanza o la esiguità di riserve strategiche adeguate spesso fu la causa determinante di molti insuccessi offensivi e difensivi. Avremo modo di approfondire il problema della strategia indiretta quando daremo uno sguardo fugace agli avvenimenti politico-militari del dopoguerra, ma nel contesto del discorso sui
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principali fattori che incisero sulla strategia della seconda guerra mondiale, la lotta patriottica delle popolazioni occupate non è un argomento eludibile (o comunque da non sottolineare vigorosamente), in quanto essa ampliò i confini delle zone di operazioni, coinvolse attivamente le popolazioni civili in un ruolo integrativo di quello delle forze armate regolari e pose chiaramente in luce un altro elemento che rendeva la guerra totale. Il ricorso alla strategia indiretta non fu una ideazione deJJa seconda guerra mondiale, ma esso assunse, quanto ad obiettivi, a procedimenti, a tecniche di applicazione, ad intensità ed estensione, dimensioni mai raggiunte nel passato. I tedeschi, per volerlo combattere con metodi spietati, impiegando intere grandi unità della Wehrmacht e delle SS, oltre ingenti forze di polizia, anziché debellare il fenomeno, . lo accesero, lo alimentarono e lo estesero. Neppure la guerra anfibia, altro fattore che incise in misura determinante sulla strategia politica e militare, fu un'invenzione della seconda guerra mondiale, ma furono le possibilità di ricorrervi su vastissima scala che consentirono inizialmente al Giappone di costituire la cosidetta sfera di co-prosperità della grande Asia orientale, agli Stati Uniti di distruggere tale sfera, agli alleati occidentali di sloggiare l'Asse dall'Africa settentrionale, di rimettere piede sul continente europeo attraverso la Sicilia, d'invadere l 'Europa occidentale e di penetrare nel cervello e nel cuore della Germania. Questa ultima non tentò l'invasione delle isole britanni" che proprio per l'esiguità del suo potere anfibio e ciò le fu fatale. Potere anfibio vuol dire prima di tutto potere_navale e potere aereo. La Germania era troppo debole quanto a navi di superficie ed evitò le grandi battaglie navali, preferendo utilizzare la flotta di ·superficie nell'attività corsara che, pur imponendo un severo logoramento alle risorse navali britanniche, dimostrò alla lunga di non essere decisiva. I tedeschi fecero un ricorso assai limitato alle operazioni anfibie. L'unica di queste fu la conquista della Norvegia realizzata mediante un attacco congiunto dal mare e dal cielo, agevolato dalla quinta colonna interna. La superiorità britannica iniziale in navi di superficie non bastò a far fronte alla superiorità iniziale tedesca in aviazione. La conquista tedesca di Creta fu il risultato di un'operazione condotta in prevalenza da paracadutisti e .da alianti ed ebbe successo, nonostante la superiorità alleata sul mare, ma valse a dimostrare che un'invasione attuata disponendo di sole forze aeree impone perdite proibitive. Le grandi operazioni anfibie degli alleati furono possibili quando questi possedevano una decisa superiorità
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aerea e navale. Il carattere prevalentemente continentale della prima fase della guerra in Europa non fece dimenticare e sottovalutare agli alleati l'importanza decisiva delle operazioni anfibie, le uniche dimostratesi risolutive in Europa e in Asia. Il potere anfibio degli alleati, inoltre, costrinse il Tripartito ad un'enorme dispersione delle forze lungo le frontiere marittime. L' Italia dové costituire 20 divisioni e 10 brigate costiere per la difesa dei litorali della penisola e delle isole; la Germania, al momento di marciare contro l'Unione Sovietica, valutò necessario lasciare 57 divisioni a guardia delle zone vulnerabili dagli attacchi dal mare e dei territori rivieraschi occidentali, riducendo a 120 (il 60% della disponibilità totale) il numero delle divisioni d'urto ed a 26 (il 13%) quello della riserva strategica centrale. Talune operazioni anfibie, comprese la stessa Overlord e la sua fase iniziale Neptune, poco mancò che non fallissero; altre non. sortirono i risultati sperati o impiegarono tempi molto lunghi per realizzarli; qualcuna, come l'attacco anfibio contro Dieppe, fu un vero grande insuccesso. Ciò dipese in Europa, secondo il Liddel Hart, dalla mancanza di conoscenza e di esperienza dei problemi anfibi e dai differenti punti di vista dei comandanti delle tre forze armate, mentre nel Pacifico, dove operarono comandanti, stati maggiori, unità specializzate come i marine statunitensi, le operazioni anfibie andarono quasi sempre diritte allo scopo 17 . Degli stessi requisiti di flessibilità e di mobilità strategica delle forze anfibie godono anche le aviotruppe, con in più quello della maggiore celerità operativa, ma tale tipo di forze è più costoso, vulnerabile, soggetto alla servitù delle basi, delle rotte, del terreno di aviolancio e di aviosbarco. Le aviotruppe, inoltre, hanno un'autonomia operativa, tattica e logistica, assai minore e di più difficoltosa tenuta a livello. Esse trovarono impiego generalmente, eccezione fatta per Creta - una delle più sbalorditive e audaci imprese dell'intera guerra - in operazioni congiunte o legate a quelle delle grandi unità terrestri e anfibie, ancorché con il ruolo di ca-protagoniste, come nello sbarco in Normandia. Anche le aviotruppe concorsero a determinare la «distrazione» di forze del difensore dalle fronti principali; ma la minaccia potenziale da esse rappresentata non fu quasi mai di per sé di carattere strategico; mentre il potere anfibio degli alleati paralizzò gruppi di armate tedeschi. Al principio del giugno 1944, il 45% (133 divisioni) dell'esercito tedesco era schierato ad ovest e a sud per parare eventuali sbarchi anglo-americani, mentre il 55% era impegnato sulla fronte orientale 18. Il m ezzo che rivoluzionò la strategia terrestre, ridando all'azione offensiva il predominio perduto durante la prima guerra mon-
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diale, fu il carro armato, che già durante tale guerra si era dimostrato la più importante delle innovazioni apparse sul campo di battaglia tra il 1916 ed il 1918. Non tutti ne avevano capito la portata e non pochi si erano limitati solo ad esaminarne gli aspetti tattici. I primi a valutare il valore strategico del carro armato non furono i tedeschi, ma gli inglesi ed i sovietici, seguiti poi in Francia dal generale De Gaulle 18bis. La Blitzkrieg non fu un'invenzione dello stato maggiore tedesco, ma un'intelligente e abile realizzazione degli insegnamenti raccolti nella ultima fase della prima guerra mondiale e delle teorie circa l'incidenza dei corazzati sulla strategia fiorite altrove. Lo stato maggiore tedesco inventò la formula applicativa per il conseguimento dei principì della massa, della sorpresa e della sicurezza in campo strategico, mediante l'impiego combinato dei nuovi mezzi (carro armato, velivolo, fante meccanizzato o quanto meno motorizzato). Ciò non avvenne senza contrasti nell'ambito dello stesso stato maggiore tedesco, ma alla fine prevalsero le curreuli progressiste, Lulle lese a ro111pere l'inunobili-
smo della prima guerra mondiale, sicure che il binomio carro-velivolo avrebbe potuto ridare all'offensiva tutte le possibilità di sicura riuscita. Il carro armato, sostenuto dal fuoco dell'aereo, poteva andare all'attacco a circa 20 chilometri l'ora, la sua corazza lo rendeva invulnerabile ai proiettili delle mitragliatrici, il rapporto tra la sua velocità di avanzata e la celerità di tiro delle armi controcarro era pari a uno (20 Km/h - 20 colpi al minuto), un rapporto uguale a quello delle guerre napoleoniche 19. Nel passato uno sfondamento della linea era delimitabile e tamponabile, disponibilità delle forze perme ttendolo, entro una profondità massima di una ventina di chilometri, che era la distanza limite superabile in una giornata da truppe appiedate che non avessero incontrato alcuna resistenza. Ora tale distanza era divenuta dalle 3 alle 4 volte più grande (60 -;- 80 Km) per cui in una sola grande battaglia sarebbe stato possibile in pochi giorni superare più di qualche centinaio di chilometri e liquidare così una nazione che non avesse un territorio molto profondo. Cadeva la necessità di cadenzare in fasi la battaglia; rottura e sfrultamento del successo diventavano un'azione unica. Anche la suddivisione delle fasi in tempi, necessaria nel passato per cadenzare i numerosi scavalcamenti tra le unità a ll'offe nsiva, si riduceva di frequenza e si trasferiva ai livelli minori. Non v'era più bisogno di procedere di un passo alla volta e s i poteva subito puntare verso obiettivi strategici decisivi, quali i g randi centri urbani e industriali, i grossi nodi delle comunica-
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zioni, i porti e gli aeroporti importanti. Nella battaglia contro la Francia, la Wehrmacht operò con 128 divisioni di cui 17 meccanizzate contro 133 divisioni alleate di cui 25 meccanizzate, ma fece massa di quelle meccanizzate sul punto decisivo e perciò sfruttò molto saggiamente la nuova mobilità strategica e la nuova velocità operativa. Se Hitler non avesse fermato l'avanzata, non vi sarebbe stato il reimbarco di Dunkquerque. Ogni grande offensiva riuscita della seconda guerra mondiale si spinse in profondità per centinaia di chilometri (300 o 400) e ciò fu dovuto più che alla potenza del fuoco, alla mobilità e velocità strategica. Se la Russia avesse avuto solo la superficie della Polonia sarebbe stata interamente occupata fin dal primo urto. Il maresciallo Stalin, di fronte al primo blitz del 1941 fu costretto a schierare le sue riserve strategiche nelle regioni di Leningrado, Mosca e Kiev. Analogamente nel 1945, il generale Guderian 20, quando il fronte tedesco fu sfondato sulla Vistola, appostò le sue riserve dietro l'Oder 21. Nella seconda fase della guerra i soli metodi difensivi validi presupposero anche questi l'impiego di carri armati, per cui il grande protagonista della guerra e delle operazioni, sui terreni che ne consentirono l'impiego, fu anche nella difensiva il carro armato. Non a torto si disse fin d'allora che l'unica strategia va lida nella battaglia terrestre era la strategia del binomio carro armato-aereo, in quanto consentiva di realizzare di sorpresa rapide concentrazioni di potenza, di sferrare attacchi o contrattacchi fulminei in settori relativamente ristretti e di procedere velocemente in profondità proprio come avevano insegnato Napoleone e il Clausewitz. Da ultimo, ma non per ordine d 'importanza, un altro elemento che influenzò decisamente la s trategia fu il progr esso scie ntifico e tecnico che incise del resto anche sulle sempre maggiori capacità sia degli aeroplani che dei carri armati 22. I progressi architettonici, meccanici, aerodinamici e di tecnica costruttiva riguardarono per gli aerei soprattutto l'aerodinamica, la potenza dei motori, la velocità, le quote di tangenza, i raggi d'azione, l'armamento ed i carichi, mentre per i carri armati, oltre la potenza dei motori, la velocità, l'armamento, lo spessore della corazza e l'autonomia. Non vi furono né luogo né tempo che rimasero interdetti agli aerei; non vi furono operazioni terrestri, sui terreni che ne consentivano l'impiego, dove i carri armati non fossero presenti con funzione autonoma od in appoggio alle unità di fanteria. La scienza e la tecnica, oltre che estendere la guerra alla terza dimensione, consentirono miglioramenti nell'efficienza delle armi, crearono
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la possibilità di vedere il nemico a distanza assai più grande della portata ottica e di combattere le battaglie in spazi quanto mai profondi. Il più importante cambiamento rispetto al passato fu l'assurgere della forza aerea ed elemento fondamentale della guerra, in quanto rivoluzionò la strategia e la tattica sia nel mare sia sulla terraferma, ma il radar, sviluppato dapprima per segnalare tempestivamente l'avvicinarsi di aerei o di navi nemici e trasferito poi in una grande pluralità di altri usi, non ebbe un'influenza minore di quella di altri nuovi o più perfezionati mezzi sulla strategia e sulla tattica. Il progresso dei mezzi di comunicazione (radiotelegrafia, radiotelefonia, radar) trasformarono l'esercizio del comando, rendendo possibile conoscere sul momento, o quasi, ogni situazione operativa e decidere quasi immediatamente come fronteggiarla. Applicato all'avvistamento degli aerei nemici, il radar salvò l'Inghilterra al momento del blitz. Nel campo navale permise alle navi di scorta dei convogli di sferrare gravi colpi ai sommergibili attaccanti. Nell'ambito dell'attacco aereo consenti i bombardamenti senza yisione diretta, comandati a distanza. Infine nella battaglia terrestre, le comunicazioni resero possibile la costituzione di raggruppamenti omogenei di armi diverse: carri, artiglieria, fanreria e aeroplani, sempre in grado di scambiarsi reciprocamente informazioni e di coordinare nel modo più efficace la propria azione 23. L'arrivo dell'elettronica sul campo di battaglia aprì la strada ad una nuova rivoluzione che non si compì che embrionalmente nella seconda guerra mondiale: l'assunzione sempre maggiore da parte delle macchine di compiti prima adempiuti empiricamente da soldati e la conseguente incidenza dell'elemento umano nella lotta. Non è questa la sede, troppo vasto l'argomento, per approfondire l'estensione dei ritrovati scientifici e tecnici entrati in linea durante la seconda guerra mondiale; di molti abbiamo del resto fatto cenno, di altri no - mina magnetica, Vl e V2, bombe plananti, carri telecomandati, gli stessi aerei a reazione di cui il ME 262 tedesco fu il primogenito, dispositivi di radiolocalizzazione e di televisione, spoletta di prossimità, la RDX (trimetilentrinitroammina), un esplosivo più potente del tritolo di circa il doppio, la penicillina - ma ai fini della battaglia terre stre è necessario s ottolineare che fu proprio nell'ambito dei corazzati che la corsa al migliorame nto delle prestazioni dei carri armati e delle armi controcarri proseguì senza respiro durante tutti i sei anni. La gara corazza-cannone divenne uno degli aspetti fondamentali del nuovo campo di battaglia, caratterizzata nell'ambito dei carri armati dalla
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ricerca di valori ottimali della equazione armamento-velocità-corazzatura-manovrabilità ed in quello delle armi controcarro dei valori ottimali dell'equazione calibro-capacità di perforaziop.e-celerità di tiro-manovrabilità. Un confronto tra i carri armati e le armi controcarro con i quali ebbe inizio la seconda guerra mondiale e quelli con i quali essa si chiuse - ciò anche per gli aeroplani e per i mezzi navali, in particolare i sommergibili, come pure un po' per tutte le armi, gli equipaggiamenti, i mezzi di trasporto e di comunicazione, ecc. - dà l'idea dei colossali progressi compiuti in un così breve periodo di tempo dalla scienza e dalla tecnologia, oltreché dall 'industria bellica c he se ne avvalse. Alla fine del conflitto fecero la loro comparsa scoperte non meno rivoluzionarie, quali gli aerei a reazione, i missili teleguidati e, più importante e rivoluzionaria di tutte, la bomba atomica. La bomba atomica segnò l'inizio di un'era nuova, del tutto diversa da quelle precedenti, l'era nucleare, nella quale addirittura il concetto espresso dal termine guerra risulta completamente superato, in quanto o questa non è più totale o equivale alla distruzione di entrambi i belligeranti e di gran parte del re s to del mondo ancorché non direttamente partecipante al conflitto. La guerra totale diventò un non senso.
5. I nuovi valori di mobilità e di velocità ne l campo strategico e in quello tattico consentirono all' azione offensiva di riacquistare il suo primato, in quanto essi aprirono vasti spazi a lla manovra a t utti i livelli. L'azione offensiva rimase p eraltro soggetta a due condizioni fondamentali: la superiorità delle forze; l'adeguatezza dell'alimentazione logistica, specialmente in fatto di munizioni, di carbolubrificanti e di viveri. La grande ampiezza e soprattutto la grande profondità degli spazi interessati alla manovra delle grandi unità corazzate e meccanizzate, se da un lato m o ltiplicavano le possibilità di sviluppo della manovra stessa, dall'altra ponevano rigidi vincoli alle penetrazioni in profondità in ragione dell'autonomia tattica e logistica. Non mancarono offensive vittoriose sferrate con un rapporto tra forze aeree e terrestri attaccanti e forze aeree e terrestri in difesa pari . a uno o addirittura inferiore e offensive conclusesi con insuccesso benché fossero state iniziate in condizioni di notevole superiorità aerea è terrestre. Si è c he nelle grandi e
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piccole operazioni militari entrano in giuoco fattori non quantificabili, quali ad esempio il grado di sorpresa r ealizzabile e l'abilità del comandante, che lasciano sempre larghi margini d'incertezza sulla riuscita delle manovre. Abbiamo già ricordato come la Germania non disponesse, all'inizio della battaglia contro la Francia, della superiorità di forze terrestri, neppure di quelle corazzate e meccanizzate, e come, malgrado ciò, avesse vinto superbamente quella battaglia facendo massa sul punto voluto e operando di sorpresa. Quando il 26 maggio del 1942 il generale Rommel 24 partì a ll'offensiva delle posizioni di Ain el Gazala e travolse l'armata del generale Ritchie 25 disponeva di 560 carri armati contro gli 850 degli inglesi, di un terzo di artiglierie in meno e di 530 aerei tra italiani e tedeschi contro i 600 inglesi e se i Me 109 tedeschi erano qualitativamente s uperiori agli Harricane ed ai Kittyhawk, i carri armati Valentine e Grant erano assai meno vulnerabili dei carri medi italiani e tedeschi. Nell'operazione Bluecoat, la 2a armata inglese godeva di una superiorità di forze terrestri di 1O a 1 e del dominio del cielo, eppure essa riuscì a battere la difesa - costituita da una sola divisione tedesca provata, schierata su di una fronte di 15 km - solo nel tratto occidentale del settore investito e tre giorni dopo dovette fermarsi perché la divisione tedesca aveva ricevuto nel frattempo un debole rinforzo di carri armati. In precedenza, nella battaglia di el Alamein dell'ottobre 1942, l'8a armata britannica, nonostante la superiorità numerica di forze (3 a 1) e qualitativa dei mezzi, impiegò 13 giorni prima di rompere la difesa italo-tedesca e perse il triplo dei carri armati, distrutti o messi fuori combattimento, rispetto a quelli dei difensori. Quale il nuovo rapporto ottimale tra attacco e difesa e quale quello, nell 'ambito del dispos itivo d'a ttacco, tra forze avanzate e in riserva? La seconda guerra mondiale non fu in grado di offrire valori significativi. La ricerca operativa, la cibernetica, l'informatica e gli elaboratori elettronici possono forse oggi sopperire all'insuffienza dei dati che risultano dalla seconda guerra mondiale. Qui ci limitiamo a tener conto solo di dati empirici dai quali si ricava che, se nella prima fase de lla guerra l 'azione offensiva mieté i grandi su ccessi di Polonia, di Francia e di Russia, nella seconda fase potenti offensive tedesche - battaglia di Orel-Kiirks del 1943 - e alleate furono soffocate sul nascere, nonostante la superiorità aero-terrestre di cui godevano all'inizio. D'altra parte, le vittoriose offens ive alleate e sovietiche della seconda fase della guerra dipesero dalla schiacciante superiorità, specialmente aerea, degli
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attaccanti. Nel 1944-'45 gli alleati vinsero le loro battaglie offensive perché poterono avanzare sotto la protezione di un immenso ombrello aereo. Senza la superiorità, o quanto meno la parità aerea, almeno locale e temporanea, l'azione offensiva e controffensiva non ebbe successo, come nel caso della controffensiva tedesca delle Ardenne, nel dic"embre del 1944, che fallì non appena migliorate le condizioni meteorologiche l'aviazione aJleata tornò a dominare il cielo della battaglia. Occorre aggiungere che quando l'offensiva, nonostante la s uperiorità del rapporto di forze aeree e terrestri nei confronti della difesa, non ebbe successo, spesso la causa fu che i comandanti, legati a tattiche del passato, non valorizzarono con sufficienza le caratteristiche di rapidità e di adattabilità delle unità corazzate, le quali sono fattori essenziali, sia sul piano strategico che su quello tattico, per il successo delle azioni. Furono inoltre molto spesso d 'inciampo alla strategia dei corazzati, le tendenze a tenere le unità sulle strade anche quando sarebbe stato possibile farle muovere su terreno vario, a mantenerne in riserva aliquote molto elevate, a impiégarle con troppa parsimonia e spesso a spizzico per appoggiare la fanteria . Inoltre, i capi militari non avevano ancora valutato pienamente le caratteristiche di maneggiabilità e adattabilità di una forza corazzata che, anche quando si trova impegnata in un settore, può essere facilmente disponibile come riserva potenziale per un intervento in altra zona in caso di necessità 26. L'azione offensiva ebbe successo, in definitiva, quando vennero bene utilizzate la mobilità strategica, la velocità operativa e il forte po te re d'urto offerti dal carro armato e dall'aereo. La dottrina strategica tedesca della Blitzkrieg consisté nel r ealizzare, mediante grandi unità corazzate appoggiate dall'aviazione, una breccia nel dispositivo difensivo nemico con conseguente penetrazione in profondità. Agli aerei il compito di distruggere o neutralizzare per il tempo necessario le vie di comunicazione e le installazioni, di cooperare con l'artiglieria nella distruzione o neutralizzazione degli obiettivi terrestri, di rifornire le forze penetrate in profondità; ai carri il compito di creare la breccia e, una volta apertala con l'aiuto della fanteria e del genio e con l'appoggio dell'artiglieria e dell'aviazione, di procedere velocemente su obiettivi strategici senza troppo curarsi delle superstiti resistenze laterali; alla fanteria appoggiata dall'artiglieria il compito di chiudere in sacche le forze superstiti e di annientarle. Segreto della riuscita: la concentrazione degli sforzi, la sorpesa, la rapidità di a zione, la determinazione nel sopraffare e
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distruggere il nemico. Sul piano tattico: azione delle grandi unità corazzate generalmente su due ondate, la prima incaricata di aprire la breccia e di ampliarla, accerchiando o avvolgendo le forze nemiche a destra ed a sinistra della breccia stessa, la seconda spinta avanti a tutta velocità, scansando le resistenze non espugnabili. Naturalmente strategia e tattica siffatte erano valide per i terreni d 'impiego de lle grandi unità corazzate e meccanizzate; nell'ambiente alpino, sui terreni montani o comunque non praticabili dalle unità corazzate e meccanizzate ope ranti a massa, protagonista dell'azione offensiva rimase il binomio fanteria-artiglieria, ma la fanteria ogniqualvolta possibile fu appoggiata dai carri armati ed il criterio-base dell'azione offensiva fu la necessità di realizzare un'ottima ed intima cooperazione del trinomio fanteria-carri armati di sostegno-artiglieria. La cura particolareggiata della cooperazione fra la fanteria, l'artiglieria, i carri armati, l'aviazione e le altre unità particolari, in uno con la conoscenza della sistemazione difensiva del nemico, la ricognizione del terreno di azione, la garanzia de lla CQntinuità dell'azione di comando e del flusso logistico, il ricorso alla sorpresa continuarono a costituire, come nel passato, la chiave del successo. Compito dei primi scaglioni: l'apertura della breccia medianlt: la simultanea combinazione e armonizzazione del fuoco dell 'aviazione, dell 'artiglieria, delle armi della fanteria e dei carri armati; compito dei secondi scaglioni: la progressione in profondità, mediante il ricorso all'infiltrazione impiegando i carri armati, quando presenti, all'improvviso ed a massa, previa neutralizzazione delle difese controcarri nemiche. La questione della fanteria avanti ai carri o viçeversa non seguì nessuna-regola fissa; contro sistemazioni difensive ricche di ostacoli anticarro e di armi controcarri: precedenza all'azione del binomio fanteria-artiglieria; negli altri casi, avanti i carri s imultaneamente alla fanteria; l'importante era che i carri non venissero mai lasciati soli, che la loro azione venisse appoggiata per tutta la profondità dall'aviazione e dall'artiglieria, che la fanteria raggiungesse i carri il più presto possibile o procedesse di conserva, c he prima di far muovere in avanti i carri venissero neutralizzate le difese controcarri nemiche. La presenza dei carri armati fu, in conclusione, premessa sine qua non per il successo dell'azione offensiva, ma non di per sé s ufficiente. Nei mesi di aprile-maggio 1941 gli attacchi del generale Rommel contro la piazzaforte di Tobruch, condotti con 5 divisioni (2 tedesche e 3 italiane) delle quali 3 corazzate, furono respinti da una divisione australiana, da una briga ta di fanteria inglese e da
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due reggimenti di carri armati. Il terreno di Tobruch non presentava all'attacco difficoltà maggiori di quelle de lle grandi offensive di Polonia e di Francia e non aveva le asperità di quello delle Ardenne . Eppure, nonostante la superiorità delle forze, la percorribilità del terreno del tutto praticabile , la esilità della cinta fortificata non certo paragonabile alla Magi not, il maresciallo Rommel andò incontro all'insuccesso. Ma i fino ad allora sui terreni di pianura e di collina un attacco in forze e ra fallito; solamente sulle Alpi e sulle montagne di Albania l'offensiva non era riuscita a prevalere e la guerra aveva conservato la fisionomia di quella del 1914-' 18. Forse perché coperto dal fragore che pochi giorni dopo suscitò la grande offensiva tridirezio na le tedesca contro l'Unione Sovietica, non fu prestato orecchio al suono del campanello di allarme di Tobruch. Lasciatosi sorprendere dal blitz tedesco - e questo fu un errore s trategico - e costretto ad abbandonare la pa rte più ubertosa del proprio territorio nazionale, Stalin decise di schierare le sue riserve strategiche nelle regioni di Leningrado, di Mosca e di Kiev e di trasferire in aree s icure, oltre gli Urali, le fabbriche della produzione di guerra. Poté farlo in ragione della grande di sponibilità di spazio operativo e fu aiutato da lla stagione del gelo e dagli errori di Hitler, ma ebbe grande fiducia nella forza dell' azione difensiva valutando nella giusta misura la importanza del parametro spazio-tempo. Si organizzò p er una lotta lunga e totale, nonostante che in 5 mesi le forze congiunte della Wehrmach t e della Luftwaffe avessero circondato Leningrado, raggiunto la cinta di Mosca, fossero penetrate in Crimea e nella valle del Don . Riuscito a salvagu ardare un certo grado di capacità difensiva, nella estate successiva superò la crisi della nuova avanzata tedesca mediante un'ulteriore ritirata strategica fino alle propaggini del Caucaso e a Stalingrado, cedendo spazio per guadagnare tempo; verso la fine del 1942 e nei primi mesi del 1943 passò a lla controffensiva liberando Leningrado e accerchiando e distruggendo a Stalingrado la 6a a rma ta tedesca del generale von Paulus 27. Le ritirate strategiche de l 1941 e del 1942 consentirono all'Unione Sovietica la ripresa del 1943 e la soffocazione sul nascere dell'ultima grande offensiva tedesca di Orel-Kiirsk. Da l 1943 la Blitzkrieg divenne un ricordo per i tedeschi e un'aspirazione irraggiungibile per gli alleati occidentali e per i sovietici . Se nella pr ima fase della guerra la sorpresa più che la massa aveva garantito il successo dell 'a zione offensiva, nella seconda fase per gar antirsi tale successo l'azione offensiva dové far ricorso, pressoch é esclusivamente,
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alla massa intesa come schiacciante superiorità aerea e terrestre. Le battaglie offensive fallite o sul punto dell'insuccesso - quelle cioè delle quali la difesa avrebbe potuto aver ragione con poco - furono più numerose di quelle conclusesi vittoriosamente. Si è che nella prima fase della guerra, secondo il pensiero del Liddel Hart, l'offensiva nuovo stile ideata dai tedeschi aveva incontrato la difensiva vecchio stile. Maestri dell'offensiva nuovo stile, i tedeschi furono anche maestri della difensiva nuovo stile. Obbligata da Hitler a rinunziare alle grandi ritirate strategiche e a difendere a palmo a palmo le posizioni precedentemente conquistate, la Wehrmacht impostò l'azione difensiva sull'impiego fluido delle grandi unità corazzate e meccanizzate. La divisione corazzata fu incaricata di difendere una fronte ampia fino a 30 chilometri, utilizzando la tattica delle vespe e non quella dell'ariete e c ioè la ripartizione della divisione corazzata e meccanizzata in piccoli gruppi flessibili, ognuno completamente mobile. Le Lalliche difensive tedesche in Normandia e nelle battaglie successive furono un misto di staticità e dinamismo, e si fondarono sull'impiego di unità da combattimento disperse, incaricate di spingersi brevemente nelle linee avversarie. Questi sistemi impegnarono a più riprese le colonne alleate e le arrestarono gradualmente... Contrariamente all'effetto prodotto dalle sortite tedesche, i contrattacchi massicci fallirono a più riprese e invariabilmente sotto il doppio e ffetto dell'artiglieria e dell'aviazione alleata. Sul fronte russo, la capacità di difesa delle piccole forze mobili, divise in unità di combattimento e comandate abilmente, fu ancora più notevole. Le divisioni Panzer riuscirono a tenere fronti di circa venticinque miglia per lunghe settimane, con scarse possibili-là a loro favore o cedendo pochissimo terreno al nemico... Riassumendo, l'esame delle esperienze dell 'ultima guerra è più incoraggiante per la difesa di quanto lascino supporre gli avvenimenti. L'analisi dimostra che una resistenza prolungata può essere compiuta da forze numericamente inferiori, se la tattica di difesa mobile, combinando il contrattacco con il ritardo dell'azione, è compresa perfettame nte e bene applicata, e se l'organizzazione è sviluppata secondo questa falsariga 28_ Sul piano tattico la controformula per neutralizzare l'azione offensiva fu quella del trimonio arma controcarro-ostacolo anticarro-carro armato. Tale controformula rese possibile il ritorno alla manovra difensiva di arresto anche sui terreni praticabili dai mezzi corazzati e meccanizzati purché naturalmente fosse disponibile questo tipo di forze. Chi aveva pensato, dopo le fulminee avanzate tedesche in Polonia,
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in Francia e nell'Unione Sovietica, che la difesa avesse fatto il suo tempo, dové ricredersi. Mai la difesa era uscita sconfitta sui terreni di scarsa o nulla praticabilità da parte dei mezzi corazzati e meccanizzati. Nella campagna delle Alpi occidentali, l'offensiva italiana s i era infranta contro le fortificazioni e le forze dell'Armée des Alpes; in quella di Grecia nessuna delle due parti era riuscita ad effetture uno sfondamento strategico e la battaglia d'arresto italiana, guidata dal generale Cavallero in circostanze disperate, era risultata vittoriosa mercé la forza del terreno e il valore dei soldati italiani; nel Caucaso per due volte i tedeschi avevano tentato invano di scavalcare la barriera montana. Nella seconda fase della guerra, durante la campagna d'Italia, gli alleati rimasero inchiodati per o ltre sei mesi di fronte a Cassino e poi per altri sei mesi sull'Appennino tosco-emiliano. Successivamente la difesa tornò ad essere più forte dell'attacco anche sui terre ni ad alto indice di scorrimento. Per riconquistare il terreno c he avevano pe rduto in poche settimane, sia i sovietici sia gli a lleati occidentali dovettero impiegare, i primi poco meno di due anni e i secondi circa un anno. Abbandonato il criterio della continuità della linea, aumentata la profondità del sistema, sostituita la rigidità delle pos izioni con l'elasticità di condotta e con la fles sibilità e la fluidità del dispositivo, assunta a valore decisivo la reattività a tutti i livelli anche a scapi lo della densità degli schieramenti, avvalendosi per quanto possibile dell'ostacolo naturale - in particolare dei corsi d'acqua - come posizioni di riferimento, di attestamento, di resistenza ad oltranza, adottando i procedimenti di difesa mobile mediante il ricorso a caposaldi ed a schieramenti controcarri potenziati soprattutto da campi minati, tendendo alla paralisi dell 'attacco più d1e all'annientamento d e lle forze che lo conducevano, la difesa tornò ad avere il suo predominio anche sui terreni di pianura e collinari. Le operazioni offensive divennero più lente, più cruente e di esito più incerto; la prudenza sopravanzò l'audacia, la preparazione minuziosa la speditezza, la sis tematicità dell'azione la corsa in avanti a tutta velocità. Piegate a proprio vantaggio la mobilità s trategica e la velocità operativa, sostituendo l'impiego a massa delle grandi unità corazzate e meccanizzate - divenuto tra l'altro impossibile nella situazione d'inferiorità aerea nella quale si erano venuti a trovare - i tedeschi, mediante l'impiego di complessi minori di forze corazzate e meccanizzate, agenti per infiltrazione e reagenti con contrattacchi locali nei momenti favorevoli 29, spezzarono l'unitarietà delle manovre offensive nemiche, ne frenarono quando non ne azzerarono il ritmo di progressione, costrinsero gli
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attaccanti ad interrompere più volte la loro avanzata verso la vittoria e, per ottenere questa, ad impiegare forze da cinque a dieci volte più consistenti delle loro. I successi offensivi degli alleati occidentali e dei sovietici derivarono infatti principalmente dalla schiacciante superiorità aerea e terrestre. Qualora il rapporto tra attacco e difesa si fosse mantenuto entro il valore tradizionale di 3 a 1 quei successi non sarebbero stati conseguiti o comunque non assolutamente in quei termini di tempo. Se nella prima fase la seconda guerra mondiale dimostrò il successo de1le offensive sferrate con rapporto di forze tra attacco e difesa molto inferiore a quello tradizionale di 3 a 1, nella seconda fase non offrì esempi di vittorie offensive conseguite con forze attaccanti che non fossero molto superiori a tale rapporto. Questa constatazione non può non esprimere un orientamento a non fidarsi delle vecchie ricette. La seconda guerra mondiale non ha definito numericamente il valore ottimale né del rapporto tra l'attacco e la difesa, né quello tra aliquota d ' urto e aliquota in riserva nel quadro del dispositivo offensivo, né quelli tra forze e terreno e tra aliquota in linea ed aliquota in riserva nell' ambito dell'azione difensiva. Essa ha offerto, cionondimeno, a tale riguardo a conferma, integrazione, modifica delle esperienze passate, una serie di verità s trategico-militari, tattiche e ordinative che, pur tenuto conto delle diverse realtà, segnano un passaggio evolutivo dell'arte e della scienza militare di ampiezza senza precedenti in così breve arco di tempo. Il tradizionale rapporto di 3 a 1, ancorché lo si volesse ancora accettare come semplice dato orientativo, va calcolato in aerei, carri armati, bocche da fuoco di artiglieria, armi controcarri, armi contraerei, ecc. e non più in numero di uomini e di divis ioni, stante tra l'altro l'eterogeneità degli armamenti, degli ordinamenti e degli organici d ei vari eserciti. Il confronto quantitativo tra attacco e difesa va riferito al grado di potenza di fuoco, di mobilità strategica, di velocità operativa dei due opposti schieramenti, fermo restando il valore determinante dei fattori non quantificabili, primi fra tutti il morale del combattente, l 'addestrame nto delle unità, l'abilità e la capacità del comandante. La ripartizione delle forze dell'offensiva in aliquota d 'urto e in aliquota in riserva è, anche questa, un'operazione non facilmente traducibil e in valori aritmetici; l'essenziale è che chi muove all'offensiva disponga di una riserva tanto più consistente e robusta quanto maggiore la vulnerabilità dell'aliquota d'urto e quanto minore il grado della sorpresa realizzabile. Quanto maggiori furono la mobilità strategica e la velocità operativa della riserva,
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tanto minore fu la sua consistenza quantitativa. Sta di fatto che nei casi nei quali la riserva non fu disponibile, o fu inadeguata, o venne male impiegata, o giunse in ritardo, il successo venne a mancare sia nell'azione offensiva che in quella difensiva. Il rapporto forze-terreno - che non riguarda solo l'azione difensiva, ma anche quella offensiva, nella quale l'adeguatezza delle forze rispetto alla fronte da investire non è meno importante - continuò a segnare per il primo termine valori crescenti. Il Liddel Hart ne La prossima guerra tracciò una storia sommaria di tale rapporto mettendo in evidenza che se ai tempi di Napoleone erano necessari 13 mila uomini (riserve comprese) per tenere efficacemente una fronte difensiva ampia un chilometro e che se nella prima guerra mondiale ne occorsero 2300-2500, nella seconda ne furono sufficienti solo 1200-à--1500, ed anche molti di meno, comprese anche qui le forze in riserva 30. Ciò che risultò determinante nel fissare il valore del rapporto non fu più il numero degli uomini e delle armi in assoluto, ma ancora una volta il grado di mobilità strategica e tattica, di velocità operativa e di potenza controcarri, questa intesa non solo come capacità di penetrazione dei proietti, ma anche come celerità di tiro, oltre che come densità realizzabile su di una determinata fronte. L'azione offensiva, che nella prima fase della guerra aveva trovato il suo limite di penetrazione solo nelle possibilità di alimentazione e si era potuta avvaler~ in prima schiera di grandi unità corazzate e meccanizzate, nella seconda fase incontrò i più gravi ostacoli nell 'azione controcarri della difesa, affidata alle armi controcarri, agli ostacoli minati e agli stessi carri armati, e fu costretta, per aprirsi la strada, a disporre nuovamente in prima schiera le divisioni di fanteria operanti c0n l'appoggio di carri armati pesanti per neutralizzare le sorgenti di fuoco e gli ostacoli. Un altro fattore che concorse a ridurre, nella seconda fase della guerra, la profondità delle penetrazioni offensive fu che le forze in difesa, superate dai carri armati dell'attacco e accerchiate in sacche di resistenza, anziché abbattersi moralmente e arrendersi com'era accaduto dal 1939 al 1941, cominciarono a ripiegare compatte verso le loro linee arretrate o soccombettero solo dopo lunghi assedi che, impegnando un gran numero di unità dell'attaccante, finivano con il rendere assai pericoloso lo spingersi in profondità delle grandi masse corazzate, minacciate a loro volta di accerchiamento e soggette ad un'alimentazione che diveniva assai aleatoria. Al rapido processo evolutivo della dottrina d'impiego e degli ordinamenti tattici segnato dalla guerra, il Comando Supremo e lo
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stato maggiore dell'esercito italiano cercarono di far fronte nel migliore dei modi possibile entro i limiti invalicabili dell 'insufficienza produttiva dell'apparato industriale, di quella del concorso dell'aiuto tedesco e dell'apporto ricavabile dalla preda bellica. Nei riguardi della dottrina d'impiego lo stato maggiore dell'esercito si astenne, come abbiamo messo in evidenza nel capitolo XXII, guerra durante, dal modificare ufficialmente le direttive della regolamentazione in vigore prima dell'entrata in guerra. A nulla sarebbe valso elaborare una nuova normativa tattica che rimediasse in qualche modo al fallimento completo, anche in pura sede concettuale, di quella vigente, senza procedere contemporaneamente all'ammodernamento delle armi e degli equipaggiamenti ed all'adeguamento alla nuova realtà della guerra degli ordinal!lenti e degli organici. D'altra parte il nulla di fatto nell'offensiva delle Alpi occidentali e l'insuccesso della campagna di Grecia erano derivati rispettivamente dall'affrettato passaggio dallo schieramento difensivo a quello offensivo e ti.ali 'assoluta insufficienza delle forze, assai più che dall'inadeguatezza della dottrina e degli ordinamenti. In Africa settentrionale ciò che più di tutto pesò furono l'insUfficienza della potenza controcarri e la mancanza di mobilità strategica e tattica dell'intero complesso di forze. Una nuova dottrina non sarebbe valsa a modificare tale situazione di fatto. Lo stato maggiore dell'esercito valutò che era più opportuno lasciare ai comandi superiori di scacchiere piena libertà di adeguare criteri e procedimenti alla esigenze locali, tenendo conto nei limiti del possibile della opportunità di armonizzarli con quelli dell'alleato che combatteva fianco a fianco. Era, infine, da tenere presente che, per quanto riguardava )'impiego delle grandi unità corazzate, la pubblicazione del 1940 era già sufficientemente intonata alla nuova realtà della guerra ed al ruolo assegnato a tale tipo di grande unità. Ciò che mancava erano i carri armati e le armi controcarri quantitativamente e qualitativamente adeguati. Se paragonata all'abbondante produzione dottrinale in materia di tattica e di tecnica d'impiego del Comando Supremo italiano durante la prima guerra mondiale - da noi ricordato nel primo volume del nostro excursus - il silenzio pressoché assoluto, mantenuto per tutta la durata della seconda guerra mondiale dal Comando Supremo e dallo stato maggiore dell'esercito sui proble mi tattici di fondo, e la limitatezza degli interventi sulle questioni riguardanti i procedimenti e le tecniche d 'impiego potrebbero indurre a considerazioni negative sull'operato dottrinale dei due
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organi direttivi che, invece, fecero quanto era nelle loro possibilità per cercare di ridurre l'ampiezza delle lacune messe in luce dall'esercito italiano fin dai primi giorni di guerra. Questo, verso la metà del 1941, aveva ampiamente dimostrato la sua incapacità costituzionale all'azione offensiva sia sul piano strategico che su quello tattico. La campagna delle Alpi occidentali e quella di Grecia, l'avanzata su Sidi el Barani, i tentativi di penetrazione verso il Sudan e la stessa conquista della Somalia britannica in Africa orientale erano sostanzialmente falliti. L'offensiva di metà marzo 1941 in Albania, condotta sotto gli occhi di Mussolini, che ne afferrò subito i lati deboli, aveva dato l'esatta misura di tale incapacità costituzionale, nonostante la dedizione e lo spirito di sacrificio delle unità e dei singoli e le indicazioni concettuali del comandante superiore e dei comandanti di grande unità che non avevano mancato di adeguare criteri e procedimenti d'impiego alla realtà contipgente e si erano prodigati senza limiti per la riuscita dell'azione. Tra le cause determinanti dei vari fallimenti erano stati senza dubbio anche l'insufficienza della cooperazione interforze ed interarmi e il basso livello di addestramento al combattimento e all'impiego ottimale delle armi e dei mezzi da parte delle unità e dei singoli, due aree depresse che nei periodi successivi il Comando Supremo - che giunse ad occuparsi direttamente persino della formazione professionale dei comandanti di squadra - e lo stato maggiore dell'esercito si preoccuparono di colmare nel migliore dei modi; ma né l'uno né l'altro avrebbero potuto mai. surrogare in misura accettabile la mancanza di mobilità strategica e tattica e il basso grado di velocità operativa connaturali alla costituzione ed all'ordinamento tattico delle unità disponibili, nonché l'impreparazione concettuale e organizzativa dei quadri e della truppa alla tattica d'infiltrazione, indispensabile nei terreni aspri e montani più della stessa mobilità e velocità operative. D'altra parte, conclusasi la campagna di Grecia, l'esercito italiano non dovè più condurre da solo, senza cioè l'intervento dell' alleato tedesco, nessun'altra operazione offensiva. Da tale momento in poi l' esercito, eccezione fatta per le grandi unità corazzate, motorizzate e celeri, venne impiegato pressoché esclusivamente in operazioni difensive, in quanto la fanteria appiedata, pure partecipando ad operazioni offensive, ebbe solo il compito di occupazione e di difesa di posizioni conquistate in precedenza, compiti evidenti nelle battaglie dell'Africa settentrionale e, nell'impossibilità di creare nuove grandi unità mobili, gli organi di comando centrali furono costretti a
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rinunziare a modificare le divisioni di fanteria per renderle idonee all'impiego così nell'attacco come nella difesa, in quanto si sarebbero ottenute unità non adatte né all'uno né all'altro compito. Si cercò di esaltarne; invece, soprattutto la potenzialità difensiva, tanto più che il combattimento non aveva più come scopo principale la conquista del territorio, ma la distruzione della massa mobile nemica, distruzione da ricercare mediante la manovra delle proprie unità corazzate e motorizzate appoggiantesi a perni di manovra saldi. Da qui la costituzione delle divisioni di fanteria tipo A.S.42 con: l'aumento da 48 a 92 delle mitragliatrici e da 24 a 72 dei cannoni controcarri da 47/32; l'inse rimento di 72 fuciloni controcarri e l 'eliminazione dei 135 mortai da 45; la riduzione da 216 a 146 dei fuc ili mitragliatori e di 6 mortai da 81 (18 in luogo di 24); l'aumento da 36 a 76 dei pezzi di artiglieria (compresi i 16 cannoni da 20 mm non previsti nella divisione binaria de l 1940) 31. Sebbene l'armamento controcarri fosse qua litativamen te del tutto s upe rato ed esercitasse addirittura un'azione morale deprimente perché, nonostante i colpi a segno, i carri armati nemici continuavano ad avanzare stante la scarsa capacità di perforazione dei proietti, le divisioni A.S.42 si difesero molto bene sia in Libia sia in Tunisia, specialmente in questo ultimo scacchie re, <love ebbero spesso dalla loro parte il favore d el terreno. Molto, in conclusione, venne fatto dagli organi operativi ed a mministratici centrali, particolarmente dal 1941 in poi, per conferire all'esercito un grado di operatività meno scadente di quello iniziale e in ma teria di cooperazione forze terrestri-forze aeree, di cooperazio ne interarma, di preparazione professionale e di adeguamento dei criteri e dei procedimenti d 'i mpi ego a lla nuova realtà del comba ttimento furono conseguiti risultati notevoli, se si tiene conto della disperata carenza di armi, di mezzi e di equipaggiamenti. Dalle a rmi e dai m ezzi in dotazione fu ottenuto in Africa, in Russia e in Sicilia il massimo delle prestazioni consentito dalle caratteristiche operative e tecniche, essendo molto migliorato il livello di preparazione professionale, ma la potenza di fuoco, il grado di mobilità s trategica e tattica, il coefficiente di velocità oper a tiva non solo non s ubirono nel complesso incrementi di sorta, m a vennero gradualmente diminuendo a mano a mano che le armi e i m ezzi dell'a vversario crescevano di numero e soprattutto miglioravano in qualità e in prestazioni. Nelle battaglie dell'Africa settentrionale, di Russia e di Sicilia l'elemento dominante e decis ivo fu la potenza del fuoco e di conseguenza il numero e il tipo de lle artiglie rie e delle armi contro-
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carri, la gittata, la celerità di tiro, la prec1s1one, la capacità di penetrazione del colpo singolo ed in tali settori, nonostante gli accorgimenti escogitati e la cura adoperata sul piano tecnico - della quale è testimonianza inconfutabile l'enorme numero di pubblicazioni che abbiamo citato nel capitolo XXII per intero, proprio per sottolineare quanto tale cura fosse costante e intensa - dagli organi centrali per sopperire in qualche modo all'impossibilità di costruire artiglierie, armi controcarri e carri armati più potenti e più mobili, i passi in avanti furono troppo corti perché il divario esistente tra esigenze e disponibilità, non diciamo venisse coperto, ma non aumentasse rapidamente fino a divenire fatale. Quando, ad esempio, risultò che il vero nemico del carro più dello stesso carro era il semovente, lo stato maggiore dell'esercito ricorse all'allestimento di semoventi, utilizzando gli scafi dei carri L40 ed M, ma i pezzi da 47/32 non perforavano più i nuovi carri armati nemici e, successivamente, i semoventi da 75 e da 90 furono troppo pochi per esercitare un peso decisivo nelle battaglie tra carri armati. Nel caso di attacco da parte di unità corazzate contro fanterie organizzate su posizioni difensive: l'attacco era normalmente preceduto dalla preparazione d'artiglieria intesa a creare varchi nei campi minati ed a disorganizzare la difesa e dall'azione dei guastatori che completavano il disarmo delle mine e rimuovevano o rendevano transitabili gli ostacoli anticarro; avveniva poi l'irruzione dei carri; infine completavano l'opera le fanterie meccanizzate o autoportate che prendevano possesso delle posizioni occupate e accerchiavano le difese superstiti, mentre i carri procedevano in profondità. Contro attacchi siffatti le armi controcarri, le artiglierie, gli ostacoli anticarro, il grado di mobilità del le fanterie schierate a difesa erano i fattori decisivi del successo difensivo. Le armi controcarri e le artiglierie italiane rispondenti alle esigenze della controbatteria e del tiro contro bersagli mobili erano numericamente esigue e qualitativamente scadenti e le fanterie, per essere appiedate, correvano costantemente il rischio dell'accerchiamento e dell' invischiamento in combattimenti episodici dai quali era per loro impossibile sganciarsi. L'ampio sviluppo degli schieramenti difensivi, la corta gittata delle artiglierie, il ricorso all'impiego, con tiro a puntamento diretto e a distanza utile in funzione controcarri, di batterie e di pezzi singoli portavano al disseminamento delle artiglierie su vaste zone, alla loro proiezione in avanti fin quasi a serrare sotto i caposaldi avanzati, costringevano a rinunziare all'organizzazione del tiro e alla manovra del fuoco. Infine, la mancata completezza della trasformazione delle divisioni di fanteria in divisioni desti-
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nate prevalentemente all'arresto, anche là come in Africa settentrionale dove era stata prevista, costringeva a costituire caposaldi di battaglione e di compagnia che dovevano coprire, nell'insieme di una divisione, fronti ampie 30-35 chilometri e più, abbracciando sistemi difensivi privi di densità, di profondità, di elasticità e di reattività, tali insomma da essere attaccabili da ogni parte dai mezzi corazzati e meccanizzati e facilmente annientabili o superabili. Le accuse rivolte agli organi tecnico-operativi centrali di aver voluto, contro ogni evidenza, mantenere in vigore una dottrina tattica smentita fin dai primi fatti d 'arme e un ordinamento tattico anchilosatore della manovrabilità non hanno alcuna consistenza, quando si prendano in considerazione i fattori che non consentivano nessuna innovazione reale e cioè i condizionamenti derivanti dall ' insufficienza della produzione bellica nazionale e dallo strapotere politico e militare dei comandi tedeschi, non solo sordi ai suggerimenti circa l'impiego e l'ordinamento delle forze avanzati dal Comando Supremo, dagli stati maggiori e dai comandi superiori italiani, ma a ddirittura pronti a creare, così in Africa e in Sicilia come in Russia e nei Balcani, i maggiori ostacoli all'applicazione di ogni proposta italiana, anche quando l'evidenza dei fatti ne dimostrava l'esigenza o l'opportunità. Forse l'unico provvedimento attu ahil e su l piano teorico sarebbe stato il ritorno alla divisione ternaria da molti, a cominciare dal maresciallo Cavallero, desiderato, ma esso, dopo la campagna di Grecia, non sarebbe stato di nessuna utilità pratica, se non addirittura maggiormente da nnoso, perché in Africa settentrionale e in Russia di fanterie appiedate ve ne furono anche troppe, mentre mancarono le armi e i mezzi per renderle mobili e potenti.
6. In s intesi le nuove caratteristiche di fenomeno mondiale e totale diedero alla guerra 1939-1945 una fisionomia del tutto nuova e diversa rispetto ai conflitti del passato, compreso quello del 1914-' 18 dove tali caratteristiche erano già state presenti, ancorché in dimensioni assai meno ampie. Guerra mondiale significò guerra di grandi coalizioni, guerra totale volle dire soprattutto guerra di materiali. Da qui l'esigenza di affidarne ai politici, più che ai militari, la direzione suprema e di mobilitare tutte le risorse umane e materiali per il raggiungimento della vittoria. Sul piano della strategia militare il carattere interforze delle operazioni pose l'esigenza del coman-
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do unico al livello plurinazionale, nazionale, di teatro operativo e di scacchiere. L'alto grado di mobilità strategica e tattica e di velocità operativa conferito alle forze terrestri dal binomio aereo-carro armato restituì alla azione offensiva, specialmente nella fase iniziale, la capacità di rottura e di penetrazione persa durante la prima guerra mondiale. Ridottosi l 'effetto della sorpresa conseguito dai tedeschi nella prima fase della guerra, l'azione offensiva riuscì vittoriosa solo quando e dove poté r ealizzare la superiorità aerea e una schiacciante massa di fuoco. L'azione difensiva, una volta trovata la nuova formula d'impostazione - arma controcarri - ostacolo anticarro - armi contraerei - carri armati - continuò a dimostrarsi più forte de ll 'azione offensiva tanto da poter diluire ulteriormente la dens ità del proprio schieramento, pur nell'esigenza di una maggiore profondità, e lastic ità e reattività del proprio dispos itivo. Tale, secondo noi, la principale eredità politico-militare della seconda guerra mondiale nei riguardi della batlaglia aeroterrestre nella quale assunsero il ruolo di protagonis ti delle operazioni strategiche e tattiche gli aeroplani e i carri armati. Eppure considerata sul pia no meramente politico, la seconda guerra mondiale fu una guerra inutile come ebbe a riconoscere Wiston Churchill che vi aveva svolto un ruolo primario. Ciò dipese soprattutto dal fatto che i capi politici da ll 'una e dall 'altra parte, compreso lo stesso Churchill, avevano dimenticato nel corso del conflitto che l'obiettivo fondamentale di una guerra non è esclusivamente quello della vittoria militare. Churchill e Roosevelt pretesero la resa incondizionata prolungando inutilmente la guerra; Hitler, pur di non arrendersi, condusse la Germania a lla completa distruzio ne m ateriale e alla fine non seppe fare di meglio che suicidarsi; Mussolini, per non confessare a Feltre la s ua sconfitta, ridu sse l'Itali a ad una colonia tedesca scegliendo per sé la funzione del Gauleiter. L'altra cau sa c he determinò il mancato raggiungimento di un vero obiettivo politico d ella guerra fu la mancanza di un contenuto ideologico e spiritua le ch e fosse comune a lle potenze occidentali e all' Unione Sovietica. L'alleanza tra le potenze occidentali e l'Unione Sovietica fu quanto di più contraddittorio, ibrido ed equivoco potesse esistere. Hi tler ch e, pur non avendolo mai incontra to, conosceva Stalin assai meglio di Roosevelt e di Truman per le affinità che esistono tra i dittatori indipendentemente dal c r edo ideologico, era stato sempre convinto, e profetizzò sul punto di morte, che l'intesa tra le democrazie e il regime sovietico si sarebbe presto disgregata. Egli aveva sperato che la rottura avvenisse gu erra durante e a t ale riguardo s i
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illuse fino all'ultimo momento, quando decise di rinunziare alla difesa del Reno e di fare m assa sulla fronte orientale per impedire ai sovietici, che ne distavano ancora 80 chilometri, di entrare a Berlino. La decisione di Hitler consentì agli alleati occidentali di oltrepassare i limiti della zona concordata a Jalta, ma, dopo la capitolazione tedesca, le truppe alleate indietreggiaro no dalla linea Wismar-Dresda su que lla Lubecca-Kassel-Coburgo-Planen. L'e rrore alleato non fu quello di mantenere, ma di aver preso tale impegno. La guerra avrebbe dovuto segnare, secondo la dic hiarazione dei tre Grandi nella conferenza di Teheran, il sorgere di un mondo in cui i popoli sarebbero vissuti liberi, fuori dal pericolo della tirannia, con formemente alle loro particolari esigenze e secondo la loro coscienza. Il risultato fu che non solo la Polonia, per la cui in.dipendenza la Gran Bretagna e la Fra ncia erano scese in guerra, ma l' Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Cecoslovacchia, l 'Ungheria, la Bulgaria, la Romania, l'Albania, per un certo periodo la Jugoslavia, un terzo e più della stessa Germania persero in breve l' indipendenza e la libertà e furono ridotte a Stati vassalli. Alla fine della guerra nessuno degli Stati europei, compreso l'impero britannico, e ra più tanto forte da poter assicurare da solo la difesa dei propri interessi. Dissoltasi, dopo l'eliminazione di Hitler e del nazismo, l'alleanza Occidente-Unione Sovietica, Stalin comprese subito di essere l'unico vincitore europeo della g uerra. Gli a ltri Stati europei avevano perduto per sempre il ruolo egemone di guida della politica eu ropea che per secoli si erano contesi l'un l'altro scontrandosi sui campi di battaglia. Il loro decadimento lasciava uno s pazio vuoto che l'Unione sovietica fu pronta ad occupare. Può darsi ch e inizialmente, a lla fine della guerra, l'aggressività sovietica sia dipesa dal timore di un nuovo isolamento o da lla paura dello strapo tere po litico, economico e militare degli Stati Uniti, ma essa rispondeva anche a lla natura de l marxismo-leninismo e d a lla tendenza imperialista già propria della stessa Russia zarista. Stalin capì che stava per rinascere l'età degli imperi. D'altra parte la guerra era s tata conclusa con dettati. La forza stava ovunque prevalendo sul diritto. Nessuno aveva trovato nulla da ridire sulla cancellazione dei tre Stati baltici; intere popolazioni venivano cacciate dalle loro terre e dovevano emigrare ver so nuove regioni; Stati, paesi, agglomerati urbani - etnicamente, geograficamente, storicamente unitari - venivano spaccati a metà e divisi come preda be llica; i vincitori si autonom ina vano giudici morali e pena li dei vinti. Se la pace di Versailles era s ta ta, come p rofetizzato dal m a resciallo Foch 321, un armistizio di
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vent 'anni, quella delle conferenze di Teheran, di Jalta e di Potsdam sarebbe durata ancora meno se non avessero fatto la loro comparsa le armi nucleari. Il ritorno all'età degli imperi fu l'eredità politica più significativa de lla seconda guerra mondiale. Non è che alla fine della guerra l'Unione Sovietica fosse molto forte, anzi era quasi strema ta, ma fu il mondo occidentale, e soprattutto gli Stati Uniti, ad essere molto debole sul piano politico e diplomatico. Gli Stati Uniti, ch e durante la guerra avevano interpretato alcune mosse tattiche e s trumentali dell'Unione Sovietica come atti concreti di volontà politica di un mutamenLo di rotta dello s ta linismo, accortisi dell'inganno, non furono in grado per molte ragioni, tra le quali, la più valida, il rifiuto del ricorso alla maniera forte, di arrestare l'ascesa dell ' impero sovietico. Essi s i accontentarono di contene rla. L'altra eredità politica s ignifica tiva d e lla seconda guerra mondia le fu l'avvio del processo di deconolizzazione, il cui sviluppo fu in un secondo tempo condiziona to in larga misura, direttamente o mediatamente, da l bipolarismo. Le origini e le motivazioni di tale processo esistevano fin da prima della seconda guerra mondiale, perch é la libertà esiste nell a natu ra s tessa degli uomini e delle nazioni. La seconda guerra mo ndiale accele rò, là dove erano già in via di svi luppo, e susci tò, là dove non avevano ancora assunto forme concrete, i movimenti d'indipendenza dalla dominazione straniera, i quali del resto trovavano nella stessa dichiarazione di Teh eran la loro giustificazione morale e giuridica. La Cina, che da anni aveva lottato contro le mire espansionistiche d el Giappone e che aveva partecipato a lla guerra a fianco degli Stati Uniti per liberare i territori occupati dall'esercito dell'imperatore Hirohito, riacquistò la sua tota le indipendenza e potè assidersi a buon diritto tra le nuove grandi potenze, ancorché an cora dilianata dalla guerra c ivile tra le milizie di Chiang-Kai-Shek e quelle di Mao Tse-tung. Queste ultime, sostenute dall'Unione Sovietica, interve nuta nell'ultimo momento della guerra contro il Giappo ne , erano riuscite a battersi sia contro il Kuomintang sia contro l'invasore giapponese e ne erano uscite vitto riose, affermandosi come regime politico de lla Cina continenta le e cos tringendo Chiang-Kai-Shek a ridursi n e ll' isola di Formosa, frattanto occupata dagli Stati Uniti che gli garantirono la continuità del loro appoggio e gli consentirono di assume re la pres idenza della repubblica della Cina nazionale in opposizione a quella della repubblica popolare di Mao Tse-Tung. L'India, d ove il grande messaggio morale del mahatma Mohaudus Karemeand Gandhi aveva da tempo prepa rato il paese alla rivolta pacifica contro la domina-
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zione dell'impero britannico, aveva combattuto a fianco di questo ultimo durante la guerra ed ebbe la sua indipe ndenza nel 1947. Nell'Indonesia, nella Mal esia, nelle Filippine, nella Birmania e altrove l'occupazione giapponese aveva risvegliato il sentimento nazionale delle varie popolazioni che, dopo aver combattuto contro l'invasore, s i batterono contro il ritorno della dominazione bianca. Nel Medio Oriente e in Africa, dove quasi pacificamente, dove cruentemente, tutte le colonie de lle nazioni europee si liberarono nel tempo dal dominio dei bianchi e acquistarono o riacquistarono la loro indipendenza, l'Unione Sovietica, divenuta nel frattempo il secondo impero del mondo, trovò facile estende re la sua influe nza ideologica, politica, economica e militare anche per l'insipienza del mondo occidentale. L'America Latina, inizialmente risparmiata dalle conseguenze dirette della guerra, divenne più tardi anch'essa teatro di lo tte anticolonia li dirette a liberare i vari paesi dalla dominazion e economica degli Stati Uniti e da l potere politico di regimi, tanto corrotti quanto tota lita ri e spietati. più o meno pa lesemente sostenuti dall'improvvida politica della vicina repubblica stell a ta. Il processo di decolonizzazione seguito a ll a seconda guerra mondiale, r isponden te di per sé a motivazio ni e giustificazioni valide sotto tutti gli aspetti, a cominciare da quella del diritto di ogni popolo di vivere libe ro fuori dal pericolo della tirannia e conformem ente alle proprie particolari esigenze, incontrò fin dal.l'inizio l'os tilità del mondo occidentale e se alcune delle potenze coloniali direttame nte ad esso interessate lo accettarono, loro ma lgrado, come una conseguenza inevitabile de l decadimento d el loro potere reale - prima di tutte la Gran Bretagna che lo intralciò e lo ritardò il più possibile senza però quasi mai ricorrere alle armi - a ltre vollero opporvisi direttam ente con la forza senza peraltro riuscire ad arrestarlo, mentre gli Stati Uniti poco o nulla fecero per impedire c he la decolonizzazione s i trasformasse in una sovietizzazione. L'assenza di una strategia comune del mondo occid entale circa il processo di decolonizzazione e la miopia politica della g ran parte de lle potenze colonia li concorsero ad accrescere le difficoltà obiettive ins ite nel processo stesso, consentirono all'Unione Sovietica di apparire la paladina di ogni aspirazione, movimento e lotta d 'indipendenza, finirono con il determinare il caos politico ed economico in cui ancora oggi il mondo intero continua a vivere. Il non aver compreso fin dall'inizio che l 'aspirazione dei popoli asiatici, africani e la tino-americani a sottrarsi dalla dominazione
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politica ed economica, diretta o indiretta, dei popoli stranieri o dei regimi da questi appoggiati - come nel caso dell'America Latina non andava né osteggiata né compressa, ma al contrario favorita e addirittura sollecitata secondo lo spirito della dichiarazione di Teheran, si risolse nel mandare in rovina l'unico patrimonio potenzialmente ricco di valori di civiltà lasciato in eredità dalla seconda guerra mondiale. Non inquadrato in un programma organico unitario che tenesse debito conto non tanto la realtà del passato, quanto i fattori fondamentali di ordine geografico, etnico, storico, culturale, sociale ed economico che concorrono a definire l'identità e l'individualità di uno Stato nazionale, il processo di decolonizzazione accentuò, anziché annullare, gli squilibri preesistenti e favorì il nascere del neocolonialismo sovietico a base politica ed economica più tirannico e nefasto del vecchio colonialismo politico-economico.
7.
L'eredità più sconvolgente della seconda guerra mondiale fu senza dubbio l'avvento dell'arma atomica. Non furono le esplosioni di Hiroshima e di Nagasaki a determinare la sconfitta del Giappone, contrariamente alla tesi sostenuta fin dal primo momento dagli Stati Uniti che intendevano così trovare una giustificazione umanitaria risparmio di vite umane americane - alle spaventose e tremende distruzioni delle due città giapponesi. L'impero del Sol Levante aveva già perso la guerra e la ragione principale della sconfitta era stata di natura economica: il Giappone non era più in grado di mantenere il potenziale militare necessario a proseguire lo sforzo bellico, in quanto la sua produzione industriale, che dipendeva in gran parte dagli approvvigionamenti d'oltremare, era già crollata. Tagliato fuori da i suoi insostituibili traffici d'oltremare, il Giappone, che non possedeva una potenza industriale tale da poter tenere fronte a quella degli Stati Uniti, specialmente quando la fine della guerra contro la Germania permise agli alleati di concentrare tutte le loro risorse nel Pacifico, era già stato virtualmente debellato. Di c iò, d 'altra parte, erano consapevoli gli stessi dirigenti politici e militari nipponici che da più di cinque mesi tentavano approcci per porre fine alla guerra. Se il desiderio di risparmia re vite umane fosse stato sentito e sincero, sarebbe stato sufficiente correggere· in tempo l'errore politico della resa incondizionata. Ciò non toglie che la comparsa delle bombe atomiche abbia segnato nella storia del-
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l'umanità l'inizio di una nuova era e nella storia della guerra la svolta del fine stesso del ricorso alle armi. Fino ad allora la strategia militare si era spesso proposta l 'obiettivo di evitare la guerra, ma la decisione di evitare la guerra per il fatto che essa può essere un mezzo indesiderabile, inefficace o antieconomico per conseguire un determinato fine è molto dive rsa dalla prevenzione della guerra nel timore che essa si dimostri totalmente distruttiva 33. La guerra 1939-1945, con le sue masse di uomini, le sue macchine per uccidere , il suo logorante sforzo indus t riale, le sue perdite e di struzioni, la sua esten sione a quasi tutti i continenti, il suo parossismo ideologico si era già dimostrata un ca taci isma assoluto ed aveva messo già in dubbio il concetto secondo il quale la gue rra fosse ancora da considerarsi come un mezzo normale di ricorso della politica internazionale. Fu allora che scoppiarono le due bombe di Hirochima e di Nagasaki, ma per alcuni anni si continuò a credere che, nonostante gli sconvolgimenti provocati dall'atroce guerra appena terminata, la gue1Ta stessa avrebbe potuto conservare anche per l'avvenire il fine ed il carattere sempre avuti , nonostante l 'esistenza dell'a rma atomica. Non furono pochi nell'immediato dopoguerra a sostenere la lesi che la bomba a tomica, malgrado la sua enorme potenza distruttiva, altro non era che una nuova arma ed a non comprendere l'inversione da questa provocata dei concetti tradizionali di pace e di guerra, di strategia politica e di s trategia militare. Fu quando comparvero le bombe termonucleari o H e soprattutto quando cessò il monopolio nucleare degli Stati Uniti che la realtà nucleare venne intesa in tutto il suo valore rivoluzionario e sconvolgente dei concetti etici, politici e militari ai quali fu necessario dare nuove d efinizioni e, prima ancora, nuove classificazioni di categoria. Questa verità s i fece luce a poco a poco e tardò m olto ad essere compresa. L'ampi ezza s traordinaria delle distruzioni provocabili mediante l'impiego delle armi nucleari indusse alla fine a pensare, sul piano della logica comune, che la guerra nucleare non fosse assol utamente praticabile né come m ezzo normale della politica, né come mezzo ecceziona le . Eppure gl i sviluppi della politica internazionale dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi dimos trano che non è stata ancora fatta la scelta tra l'abolizione della guerra e l'autodistruzione de lla gran parte del genere uniano. Ma, come vedremo in seguito, le armi nucleari proprio perché hanno posto sul piano de ll a perentorietà il dilemma sono valse a d evitare finora lo scontro diretto tra le s upe rpotenze nucleari, ancorch é abbiano moltiplicato il numero delle guerre conven zionali limitate che in meno di quarant'anni hanno s upe rato le centinaia.
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NOTE AL CAPITOLO XLVI 1 B.H. Liddel Hart. Storia militare della seconda guerra mondiale, Mondadori, Verona, 1971, pg. 980. 2 Ibidem, pg. 951. 3 Richard A. Preston e Sydney F . Wise. Storia sociale della guerra. Mondadori. Verona, 1973. pg. 395. 4 Ibidem, pg. 398. 5 Feldmaresciallo B. Law Mo ntgomery. S1oria delle guerre. Rizzoli, Milano, 1970, pg. 578. 6 Vds. Vol. II, Tomo 2°, Cap XXXVI, nota 14bis. 7 Storia delle guerre. Op. cit., pgg. 577-578. 8 Storia sociale della guerra. Op. cit., pg. 398. 9 Stato Maggiore dell'esercito. Ufficio storico. Verbali delle riunioni tenute dal capo di statn maggiore generale. Atena, Roma, 1983, pg. 58. IO Vds. Vol. 11, Turno I 0 , Cap. XXIV, nota 45. Il Verbali delle riunioni ecc. Op. cit., pg. 58. 12 Vds. Voi. II, Tomo 1°, Cap. XXJ, nota 40. 13 Preston e Wise. Storia sociale della guerra. Op. ci!., pgg. 394-395. 14 Vds. Voi. Il, Tomo I 0 , Cap. XX, nota 8. 15 Liddel Hart. Storia militare della seconda ecc. Op. cit., pg. 488. 16 Preston e Wisc. Storia sociale della guerra. Op. dt., pg. 384. 17 B.H. Liddel Harl. La prossima guerra. Edizioni del Borghese, Mi Iano, 1962, pg. 201. 18 Il I 0% (32 divisioni) delle forze tedesche er a schierato a settentrione del Loira; il 6% sulla fronte italiana; il 45 % era schierato in Norvegi a e in Danimarca (18 divisioni), nei Paesi Bassi (9 divisioni), nel s ud-ovest della Francia (8 divisioni), nel s ud-est della Francia a guardia delle coste mediterranee (IO divisioni), sulle coste ad1;atiche dell'Italia del nord (IO divisioni), nel sud-est dell'Europa, altra zona ch e presentava terreni favorevoli ad un'invasione dal mare (28 divisioni). Tn totale, 83 furono le divisioni tedesch e sottratte alla fronte ru ssa, principalmente in seguito alle possibilità di un attacco dal mare degli alleati occidentali... Un tale sparpagliamento di quas i il trenta per cento d elle risorse totali tedesche, è una prova dell'efficacia d elle possibilità anfibie inglesi e americane (Liddel Harl. La prossima guerra. Op. cit., pgg. 199-200. 18bis Vds. Voi. II, Tomo 1°, Cap. XX, nota 9. 19 L.M. Chassin. Storia militare della seconda guerra mondiale. Sansoni, Firenze, 1964, pg. 6. 20 Vds. precedente Cap. XLV, nota 97. 2 1 Chassin. Storia militare della seconda guerra mondiale. Op. cit., p g. 7. 22 Principali carri armati della seconda guerra mondiale. Germania: Panzerkampfwagen Ili A USF N (peso 21 t, armamento I cannone da 75 e 2 mitragliatrici cal. 7,62, corazza da 50 a 1O mm) fu il principale carro tedesco d al 1939 al 1942; Panzerkampfwagen N AUSF F2 (23 t, 1 cannone da 75 e 2 mitragliatrici cal. 7,92, corazza da 50 a 1O mm) fu il modello tedesco più importante d ella guerra;
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Panzerkampfwagen «Panther» AUSF D (43 t, I cannone da 75 e 1 mitragliatrice 7,92 coassia le corazza, da 110 a 15 mm) fu il miglior carro pesante tedesco; Panzerkampfwagen «Tiger» AUSF E (57 t, 1 cannone da 88 e 2 mitragliatrici 7,92, corazza <la 110 a 26 mm) aveva scarsa mobilità e autonomia; Panze rkampfwagen « Tiger Il » (69 t, 1 cannone da 88 e 3 mitragliatrici cal. 7,92 corazza, da 185 a 25) aveva scarsa potenza del motore e fu il carro più pesante della guerra. Gran Bretagna: Tank Cruiser MKV/ll «Cromwell» -A27M (27 t, 1 obice da 95 e 2 mitragliatrici ca!. 7,92 corazza, da 76 a 8 mm) fu il principale carro inglese della guerra: Tank Cruiser «Cornei / » -A-34 (35 t, l cannone da 77 a tiro rapido e 2 mitragliatrici cal. 7,92, da 101 a 14 mm) fu l'unico carro inglese in grado di competere con il Panther tedesco; Tank infantry MK!l/ Va!entine (17 t, l cannone da 2 libbre e I mitragliatrice cal. 7,92 coassiale corazza, da 65 a 8 mm) fu il carro più consono all'inizio deJla guerra; Tank infantry MK I V Churchill A 22 (39 t, I obice da 76 o 95 o cannone da 6 libbre MK 6 e l mitragliatrice coassiale corazza, da 152 a 16 mm) fu il carro inglese più versatile e venne prodotto fino al 1943; Tank Cruiser Centurion I A-41 (48 t, 1 cannone da 76 a Liro rapido e 1 mitragliatrice ca!. 7,92 o cal. 20, corazzada 152 a 17 mm), entrò in linea nel 1945. Stati Uniti d'America: Light Tank M2 A4 (10 t, 1 cannone da 37 e 3 mitragliatrici ca!. 7,62 cornzza, da 25 a 6 mm), fu usato per addestramento e nel Pacifico; Ligi// Tank M24 Chaflee (17 t, 1 cannone da 75 e 2 mitragliat1·ici ca!. 7,62, corazza <la 25 a 6 rnm), fu usato per a<l<lestramcnto e nel Pac ifico; Dight Tank M24 Chaffee (17 t, I cannone da 75 e 2 mitragliatrici cal. 7,62 corazza e 1 ca!. 12,7 corazza, da 25 a 9 mm) fu largamente impiegato anche dalla Gran Bretagna; Medium Tank /-13 A.5 Grani Lee (t 27, 1 cannone da 75 e mitragliatrici cal. 7,62, da :n a 12 mm) fu il primo carro costruito in grande serie; Medium Tank M4 Sherman (t 31, l cannone da 75 e 2 mitrag liatrici ca!. 7,62 e 1 mitrngliat1·ice cal. 12,7, corazza da 75 a 12 mm) fu il più importante carro degli Stati Uniti della guer ra; 1-leavy Tank M 26 Pershing T26-E3 (42 t, 1 cannone da 90 e 2 mitragliatrici cal . 7,62 e l cal. 12,7, da 102 a 13 mm) fu il miglior carro pesante statuniten se. Unione Sovietica: T 26 A(7 t, l cannone da 47 e 2 mitragliatrici ca!. 7,62, corazza d a 15 a 6 mm); T 34 (8 t, 1 cannone da 57 e da 45/56 e 2 mitragliatrici cal. 7,63, corazza da 70 a 10 mm); T 34/85 (32 t, l cannone da 85 e 2 mitragliatrici ca!. 7,62, corazza da 75 a 20 mm) fu il carro più impegnato dei sovietici; T 32 (40 t, I cannone da 76 e 2 da 37 nonché 6 mitragliatrici, corazza da 25 a 11 mm); KVJ (43 t, 1 cannone da 76,2 e 3 mitragliatrici, da 75 a 30 mm) fu il migliore e più impegnato carro pesante sovietico. Velocità: carri tedeschi da 38 a 40 Km/h; inglesi <la 24 (Valentine) a 64 Km/h (Cromwell); statunitensi da 32 (Pershing) a 56 Km/h (Chaffee); sovietici da 29 (T32) a 50 Km/h (T 34185). Autonomia: carri tedeschi da 75 (Pz. III 7 a 200 Km (Pz: IV); inglesi d a 96 (Cemurion I) a 278 (Cromwe/1); statunitensi da 148 (Pershing) a 257 (Grant-Lee); sovietici da 140 (T 26 A) a 360 (T 34). Principali aerei della seconda gue rra mondiale. Durante g li anni del conflitto le necessità belliche richiesero rapidi e continui mig lioramenti dei propulsori e dell'architettura d ei velivoli da guerra, che garantissero la s upremazia dei singoli tipi di aereo sia da combattimento (caccia, aerei da assalto) sia da bombardamento (caccia-bombardieri, bombardieri). La potenza dei motori. sia lineari, sia stellari, venne sfruttat a al mass imo adottando sovralimentatori e s upcrcompressori. li miglioramento delle doti aerodinamiche dei mezzi e la diminu zione del rapporto peso-spinta fecero grandi passi; verso la fine della guerra entrarono in azione aerei propulsi da motore a turbina idonei al volo ad alta quota e aven ti velocità superiori ai 700 Km/h, limite a l di sopra d el quale nel volo ad alta quota in aria rarefatta la curva di potenza degli aerei a motore normale diminuiva . Fra i tentativi riusciti <li
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miglioramento delle prestazioni tecniche ed operative si possono ricordare per la caccia: il Supermarine Spitfire XXI e l'Hawher Tempest V (inglesi), il Focke Wulf F W 190 ITA (tedesco), lo Yakovlev Yak (sovietico), il Ma cchi MC 205 Veltro e il Caproni Reggiane RE 2005 Sagittario (italiani), il North American P 51 H Mustang (statunitense). Giappone e Stati Uniti, potenzi a ndo e sfruttando al massimo le doti de i m o tori s tellari, fabbricarono: il Mitsuhihi, il Nakajima, il Kawasaki (come pure i bombardieri delle stesse case), tutti giapponesi; i Chance Vought F4U Corsair e il Republic P 47 Thunderbolt, caccia statunitensi, e i bombardieri Boeing B 17 Flying Fortresse, B 29 Superfortresse, i Consolidated B 24 Libera/or e i B 32 Domina/or. Gli Stati Uniti costruirono anche eccellenti bombardieri leggeri, con velocità di 550/Km/h e i Douglas A 20 e A 26, g li l nvander Nurth American B 25. Nd 1944 enlrù in linea il caccia inglese Gloster Meleor I propulso da 2 turbogetti (12 000 m di altezza e 600 Km/h), il caccia tedesco Messerschmitt ME 262 (11 500 m di altezza e 870 Km/h) propulso da 2 turbogetti, il Messerschmitt ME 163 Komet (960-100 Km/h). 2 3 Chassin. Storia militare della seconda. .. Op. cil., pg. 11 e 12. 24 Vds. Voi. II, Tomo 2°, Cap. XXXIII, nota 3. 2 5 Vds. Voi. II, Tomo 2°, Cap. XXXV, nota 86bis. 26 Li<l<le l Hart. l,a prossima guerra. Op. cit., pg. 319. 27 Vds. Voi. II, Tomo 2°, Cap. XXXVII, nota 8. 26 Liddcl Ha rt. J,a prossima gue rra. Op. cit., pgg. 307-308 29 Nel 1944-'45 i tedeschi condussero resistenze prolungate impiegando divisioni corazzate e meccanizzate, in generale al di sollo degli organici, articolate: s ulla fronte orientale in gruppi costituiti da un battaglione carri, da un battaglione <li fante ria m eccanizzata e da unità di artiglieria semovente; sulla fronte occidentale in gruppi ancora meno robusti, costituiti da una compagnia carri, da una compagnia di fanteria meccanizzata e da una o due batte rie semoventi. 30 Li<lde l Ha rt. La prossima guerra. Op. cit., cap. X. 31 L'organico definitivo prevedeva i 2 reggimenti di fanteria su 3 battaglioni di 4 compagnie e il reggimento di artiglieria s u 5 g ruppi di 3 batterie. Esso non fu mai raggiunto <la nessuna <lelle divisioni di fanteria c he, generalmente, rimasero costituite su 2 reggimenti di fanteria su 2 battaglioni di 2 e 3 compagnie e su di 1 reggimento di artiglieria su 3 gruppi di 2 batterie e 2 batterie da 20. 32 Vds. Voi. I, Cap. xvm, nota 7. 33 Richard A. Preston e Sydney F. Wise. Storia sociale della guerra. Op. cit., pg. 435.
CAPITOLO
XLVII
INIZIO DELL'ERA NUCLEARE SPAZIALE (1945-1959)
1. La po rtata delle nuove armi. 2. L'O.N.U. 3. Politica e strategia sovietica dal 1945 al 1960. 4. Politica e strategia americana dal 1945 al 1960. 5. L'Europa occidentale. 6. Le principali operazioni militari del periodo. 7. Quindici anni di logica della guerra.
1.
Si può far coincidere l'inizio dell'era nucleare con uno dei seguenti avvenimenti: esplosione del prototipo della prima bomba americana a fissione nucleare il 16 luglio 1945 ad Alamagordo o esplosione della bomba «A» di 20 chilotoni su Hiroshima il 6 agosto 1945. Sul piano de lle premesse teoriche l'era nucleare era stata preparata dagli s tudi di Albert Einstein, dalla serie di scoperte compiute da numerosi scienziati nel decennio precedente a cominciare da quella di Enrico Fermi risalente al 1934 e, sul piano delle realizzazioni pratiche, dalle prime esperimentazioni di laboratorio della bomba atomica da parte di numerosi scienziati e tecnici quali Leo Szilard, Julius Robert Oppenheim, Arthur Holly Compton, Harold Clayton Urcy, ecc. Ma fu necessario un sensibile lasso di tempo prima che gli uomini, compresi i capi politici e militari, si rendessero conto di essere entrati in un'era storica nuova che implicava una lettura diversa del mondo. Inizialmente sfuggì a molti la portata globale dell'evento e non furono pochi quelli che ritennero la bomba atomica essere non altru che un'arma normale potenziata. Lo stesso Stalin, stando alle sue dichiarazioni, valutò la bomba «A» solo come un forte incremento della potenza di fuoco degli eserciti. Si dové attendere la cessazione del monopolio atomico americano, avvenuta nel 1949 in seguito all'esplosione della prima bomba «A» sovietica, e la esplosione della prima bomba termonucleare americana, sperimentata nel 1950 e portata alla potenza di 7 megatoni nel 1952, e di quella sovietica del 1953 perché divenisse chiaro che non esisteva nessun rapporto valido tra le
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nuove armi e quelle preesistenti. Ancorché i razzi ed i missili fossero già una realtà della seconda guerra mondiale, quando all'utilizzazione dell'energia nucleare fu possibile sommare il dominio assoluto dello spazio per il viaggio dei missili intercontinentali e s'iniziò l'e ra nucleare-spaziale non vi fu più punto della superficie terrestre che non fosse raggiungibile dall'offesa nucleare. Il 4 ottobre 1957 l'Unione Sovietica lanciò in orbita intorno alla terra il primo Sputnick ed il 31 gennaio 1958 l'impresa venne eguag.l iata dagli Stati Uniti; i primi uomini a compiere un volo spaziale furono il maggiore Yuri Gagarin - il primo uomo messo in orbita attorno alla terra - ed il maggior Guman Titov che compì 17 orbite. Gli Stati Uniti d a pprima fecero compiere voli suborbitali al comandate Alan B. Shepard ed al capitano Virgil S. Fri ssom, poi, il 20 febbraio 1962, lanciarono nello spazio da Cape Canaveral il tenente colonnello John H. Glen che compì 3 orbite e, infine, il 6 luglio 1969 spedirono i cosmonauti Neil Armstrong e Edwin Altain sulla luna dove misero piedi il giorno 21 luglio. L'avvento dell'era nucleare-spaziale mutò profondamente il rapporto s trategico dei fa ttori spazio e tempo e pose all'intera umanità il dilemma dell'abolizione della guerra o dell'abolizione di sé stessa. Anche nel voler prendere con qualche beneficio d ' inventario le previsioni catastrofiche degli scienziati sui risultati di una guerra nucleare illimitata, non vi possono essere dubbi che questa si concluderebbe con la sconfitta di entrambe le parti contendenti. L' impossibilità di una vittoria militare sottrae alla guerra la natura e la funzione di mezzo ordinario od eccezionale della politica. Sotto le macerie di Hiroshima e di Nagasaki non vennero sepolte soltanto migliaia e migliaia <li essere viventi, ma millenni di storia de! genere umano. Hiroshima segnò un vero e proprio spartiacque tra il prima e il dopo. Sotto quelle m acerie vennero sepolte concezioni antiche quanto l'uomo; la politica si trovò all'improvviso circoscritta entro limiti assai ristretti; la st rategia divenne l'arte e la scienza di evitare la guerra e da capacità attiva s i trasformò in capacità negativa. Le tesi e le antitesi che nacquero da quelle esplosioni nel pensiero e nell'azione non trovarono - non trovano tuttora e forse non troveranno mai - il momento superiore di una sintesi unitaria per stabilire una volta per s empre il primato della coscienza sullo stesso sapere scientifico e tecnico. L'uomo, che nel corso dei secoli, anzi dei millenni, non era molto cambiato, continuò, malgrado tutto, a consumare in sé stesso l'antinomia tra pace e guerra. Sebbene i tradiziona li parametri della p o litica e della strategia
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avessero perduto, quasi d'incanto, la loro validità, gli uomini, pur accettando le inversioni e le modificazioni di concetti e di linguaggio imposte dalla nuova realtà, si dettero da fare più nella ricerca di nuove armi maggiormente devastatrici e di nuove strategie maggiormente sofisticate che non in quella di una nuova e diversa metodica della pace. Il grande dibattito sull'avvento della nuova era e delle conseguenze che ne derivavano per la politica e per la s trategia si estese vieppiù in ampiezza ed in profondità e pervenne di fatto, più che sul piano dialettico, alla conclusione che nell'era nucleare l'unica strategia praticabile è la dissuasione. La dissuasione non è strategia di pace, ma solamente di non-guerra, in quanto si basa sulla minaccia, con la quale si spera di ottenere un risultato psicologico che è la combinazione di un calcolo dei dati materiali e dei fattori religiosi, morali, politici, sociali e umanitari validi nell' insieme ad evitare il ricorso alla forza. Ma appunto per la variabilità degli elementi c.:he c.:onc.:orrono a determinarla, la situazione di non-guerra, l'equilibrio del terrore, in uno con la presenza delle nuove armi, non dà garanzia di stabilità. È vero che tale situazione dura da anni, ma non furono pochi i momenti nei quali poco mancò che si verificasse la catastrofe. Le guerre limitate e locali, c.:ome pure le tensioni molto acute, sono potenzialmente suscettibili di trasformarsi in conflitto generale, anche perché nessuno è in grado di conoscere con sufficiente attendibilità le vere capacità e, soprattutto, i ve ri intendimenti della parte avversa. È vero che tutti sembrano oramai persuasi del non senso, anzi de ll'assurdo, di una guerra nucleare, ma le nuove armi esistono e scarse, per non dire nulle, sono le previsioni che si giunga ad una loro abolizione globale, oltretutto tecnicamente poco praticabile perché, anche se venissero distrutte tutte que lle esistenti, ne potrebbero sempre essere costruite altre nel momento ritenuto necessario o conveniente. L'avvento dell'era nucleare-spaziale rese molto più ingarbugliato il già abbastanza complesso, anche dal semplice punto di vista tecnico, problema del disarmo ed il primo tentativo degli Stati Uniti - unici possessori nella seconda metà degli anni quaranta insieme alla Gran Bretagna ed al Canada di armi atomiche - di porre sotto un efficace controllo internazionale l'energia atomica fallì. Nel 1945 i tre Stati proposero, infatti, d'istituire nell'ambito dell'O.N.U . un comitato che studiasse come mettere sotto controllo la nuova energia e, nel gennaio 1946, l'Unione Sovietica si associò alla proposta, accolta a ll'unanimità dall'assemblea generale dell'O.N.U .. Venne costituito
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il comitato ad hoc e questo prese a base dell'indagine un piano elaborato dall'americano Bernard Baruch che prevedeva l'istituzione di un organismo internazionale, sotto l'egida dell'O.N.U., per la produzione, l'acquisto ed il controllo dell'uranio e degli altri materiali fissili da cedere ai vari Stati solo per scopi pacifici: medicina, industria, fonte di energia. Il piano Buruch metteva in particolare evidenza l'importanza del controllo e suggeriva modalità accettabili per esercitarlo al fine di evitare la costituzione di scorte destinate alla costruzione di armi. Alla fine del 1946 la Commissione per l'energia atomica dell'O.N.U. presentò al Consiglio di Sicurezza la sua relazione, nella quale si sosteneva la possibilità tecnica del controllo richiesto sulla base di un accordo generale che avrebbe implicato la rinunzia di una fetta di sovranità da parte di tutti gli Stati. Nel febbraio 1947 l'Unione Sovietica si dichiarò d'accordo sulla proposta della commissione purché: l'inizio del controllo fosse fissato ad avvenuta ratifica della convenzione generale, le armi atomiche esistenti venissero distrutte prima di tal e ratifica, venisse mantenuto il diritto di veto dei 5 grandi nell'ambito del Consiglio di sicurezza. Fu un espediente per guadagnare tempo, e, infatti, poco dopo l'Unione Sovietica manifestò il suo ripensamento ed il ministro degli esteri sovietico dichiarò all'O.N.U. che il suo paese non poteva rinunziare alla fabbricazione ed al possesso delle armi atomiche. A quel punto la commissione dichiarò la sua incapacità di trovare una via d'uscita dal vicolo cieco in cui la questione era stata posta dall 'Unione Sovietica ed il 17 maggio 1948 il problema venne accantonato. Neppure un anno dopo esplose la prima bomba «A» sovietica. Fallito il primo tentativo di disarmo atomico, le bombe «A» prima e quella «H» dopo vennero incamerate dagli Stati Uniti e dall'Unione Sovietica come strumenti di pressione ed entrambe le due super-potenze continuarono inizialmente ad esprimersi con i concetti ed il linguaggio abituali, quasi fossero ancora validi i principi della politica e della strategia convenzionali. Finché gli Stati Uniti possedettero il monopolio della nuova arma o una schiacciante superiorità nucleare, vale a dire per quasi tutti gli anni cinquanta, il discorso, con riferimento al solo piano del rapporto di potenza, poteva ancora avere una sua validità tecnica. La situazione cominciò a mutare dal momento in cui l'Unione Sovietica fece esplodere nel 1949 la sua prima bomba a fusione nucleare e nel 1953 la prima con carica a fusione nucleare. Da allora cominciò gradualmente a perdere credihilità la strategia
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americana della rappresaglia massiccia (massive retaliation) e si fece, seppure con ritardo e lentamente, strada la convinzione che la guerra nucleare illimitata avrebbe avuto come risultato la certa reciproca distruzione (mutuai assured destruction) alla quale non sarebbe scampato neppure chi avesse attaccato per primo. Nonostante la crescita del potere nucleare e missilistico sovietico - anzi si parlò di un divario missilistico americano (missile gap) che in realtà non esisteva - gli Stati Uniti per tutti gli anni cinquanta continuarono ad attenersi al piano Radford l della rappresaglia massiccia, una strategia difensiva, come indicava il termine retaliation, che rinunziava perciò all'iniziativa del primo attacco (fi rst strike). Il tema principale riguardò contro chi rivolgere la risposta: contro forze ed obiettivi esclusivamente militari (counter-force) o contro le popolazioni (counter-city). Per chi avesse attaccato per primo, la strategia contro - forze sarebbe stata la più vantaggiosa perché avrebbe di per sé indebolito la risposta, ma per chi avesse dovuto solo rispondere essa sarebbe risultata poco efficace perché
diretta, almeno in parte, contro postazioni già vuote. La strategia contro-città nel contrattacco (second strike capability), data l'enormità della posta messa in giuoco, non solo avrebbe annientato l'attaccante, ma avrebbe di per sé esercitato proprio per questo una forza dissuasiva assai più forte. Difficilmente l'attaccante, ancorché privo di scrupoli, sarebbe ricorso all'impiego per primo delle armi nucleari. Una risposta diretta esclusivamente contro obiettivi militari, inoltre, non avrebbe prodotto risultati decisivi e se i due avversari avessero cominciato l'attacco quasi contemporaneamente e si fossero limitati ai soli obiettivi militari, entrambi, dopo il primo scambio. ne sarebbero venuti fuori straordinariamente indeboliti, ma non annientati. Alla fine avrebbe avuto la meno peggio chi avesse avuto la disponibilità di una maggiore riserva di armi nucleari. Si continuò, in sostanza, a ragionare secondo i concetti della guerra convenzionale, come se dopo l'inizio dell'era nucleare-spaziale fossero ancora validi e non fosse, invece, nato qualcosa di profondamente nuovo e diverso che rendeva assai condizionata l'applicazione della strategia del passato alla guerra nucleare. L'incompleta ed imperfetta conoscenza della portata della nuova era concorse non poco a determinare avvenimenti insensati, anacronistici, taluni addirittura paradossali, ma la paura delle nuove armi impedì lo scoppio di una nuova guerra generale globale ed evitò lo scontro armato diretto fra le potenze nucleari, nonostante i numerosi e gravi motivi che in altri tempi lo avrebbero certa mente prodotto.
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2. Già prima che terminasse la seconda guerra mondiale, il presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosvelt, e il capo del governo inglese, Wiston Churchill, anzi ancora prima che gli Stati Uniti entrassero in guerra, concordarono, nel loro incontro sulla baia di Argenta, una politica comune per mettere per sempre la Germania in condizioni di non nuocere e per compiere un nuovo tentativo sulla strada della solidarietà internazionale ideando un organismo che, a guerra finita, esprimesse un sistema di sicurezza collettiva più valido di quello della Società delle Nazioni miseramente fallito. Il 14 agosto 1941 2 essi n;sero pubblici i loro intendimenti e poco più di 4 mesi dopo, il 1 gennaio 1942 3, 26 Stati, tra i quali l'Unione Sovietica, conclusero il Patto delle Nazioni Unite o Patto di Washington contro le potenze selvagge e brutali che vogliono opprimere il mondo. Nella conferenza di Teheran del dicembre 1943, Roosevelt avanzò nuove proposte per le Nazioni Unite e congiuntamente con Churchill e Stalin - amici nell'azione, nello spirito e negli obiettivi - concordò natura, operatività e struttura del nuovo organismo internazionale, le quali vennero successivamente definite più particolareggiatamente nella conferenza allargata di Dumbarton Oaks durata dal 21 agosto al 7 ottobre 1944. Fu durante questa conferenza che l'Unione Sovietka chiese ed ottenne per sé e per altre 4 grandi potenze - Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina - il diritto di veto nell'ambito del progettato Consiglio di sicurezza, divenuto poi l'organo decisionale di maggior potere della nuova organizzazione. A conclusione di un'altra conferenza, tenutasi a San Francisco dall'aprile al giugno 1945, 51 paesi, membri fondatori, firmarono (21 giugno) la Carta delle Nazioni Unite 4 e queste si riunirono per la prima volta in Assemblea generale il 10 gennaio 1946. Nel preambolo e nell'art. 1 della Carta sono indicati gli obiettivi da perseguire, tra i quali i più importanti sono: impedire la guerra, assicurare la pace ed il buon vicinato fra gli Stati, provvedere alla sicurezza internazionale mediante il ricorso a misure collettive per impedire l'aggressione e le altre infrazioni alla pace. L'O.N.U. avrebbe dovuto provvedere a comporre le vertenze, a favorire le relazioni amichevoli tra i popoli sulla base della parità dei diritti, compreso quello dell'autodecisione, a promuovere la collaborazione internazionale nel campo economico, sociale, culturale, umanitario, ad incrementare il progresso sociale e la libertà, a garantire a
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tutti gli individui i diritti e le libertà fondamentali. Nell'articolo 11 è scritto: «L'assemblea generale deve studiare i principi generali di
cooperazione per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, ivi compresi i principi che disciplinano l 'armamento e il disarmo, e deve fare le raccomandazioni in merito». L'art. 26 aggiunge: «Allo scopo di promuovere il ristabilimento ed il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale con la minima diversione delle risorse umane ed economiche mondiali, il Consiglio di sicurezza è incaricato di formulare, con l'assistenza del Comitato degli stati maggiori citato nell 'arL 47, i piani da sottoporre all'esame dei membri dell'O.N.U. per l'istituzione di un sistema di regolamentazione degli armamenti». L'art. 51 stabilisce espressamente il diritto alla difesa, individualmente e collettivamente, ed autorizza le alleanze difensive, mentre viene dato mandato al Consiglio di sicurezza di prendere misure, anche militari, per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza. Il Consiglio di sicurezza, costituito inizialmente dai rappresentanti dei 5 grandi, venne poi allargato con l'immissione di altri membri non permanenti, scelti dall'assemblea generale, in carica, ciascuno, per due anni. Nel Consiglio si votano le proposte e perché ognuna di queste possa essere approvata occorrono almeno due terzi di voti favorevoli, tra cui quelli dei 5 grandi, essendo sufficiente un solo voto contrario di questi ultimi per far cadere qualunque proposta. Roosevelt, che aveva lavorato con energia ed entusiasmo, anche se con poco senso del reale, premorì alla firma della Carta e Churchill, che vi si era dedicato con non minore impegno ma con maggiore prudenza, si rese subito conto che, nonostante l'universalità del nuovo organismo, la quale invece era mancata alla Società delle Nazioni, la conciliazione delle contrastanti concezioni della sovranità nazionale e della sicurezza collettiva restava ancora un s ogno. Nell'autunno del 1945 Churchill denunziò - riprendendo, sembra, un'espressione del conte Schwerin von Krosigk, ministro degli esteri del governo Donitz 5 - l'erigersi della cortina di ferro ed il recidersi dei legami che avevano consentito la lotta e la vittoria contro il fascismo, il nazismo e l'imperialismo nipponico. L'O.N.U., nonostante l'universalità, nacque debole e cominciò a funzionare in un'era profondamente diversa da quella della sua gestazione. Il diritto di veto concesso ai 5 grandi ne aveva già minato in partenza la robustezza e la cortina di ferro ne aggravò la debolezza originaria. Quando la Carta era stata redatta vi era ancora la guerra, le potenze occidentali da una parte e l'Unione
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Sovietica dall'altra, malgrado la reciproca diffidenza, tendevano ad uno scopo immediato comune, l'avvento dell'arma atomica non era ancora una realtà. Quando l 'O.N.U. cominciò a funzionare, la contrapposizione ideologica, politica, sociale ed economica tra il mondo occidentale e quello sovietico era già manifesta ed i veri poli di rotazione della politica internazionale venivano fissandosi a Washington ed a Mosca, il cui irresistibile magnetismo di attrazione condizionava il resto del globo. Stavano nascendo e prendevano corpo due imperi, vicendevolmente ostili, che avrebbero facilitato il crollo di quelli europei preesistenti in Asia ed in Africa ed avrebbero finito con il sopraffare l'universalità dell'O.N.U. Di fronte al ritorno all'età degli imperi, all'avvento dell'energia atomica ed al problema della decolonizzazione dei paesi aspiranti alla libertà ed all'indipendenza, l'O.N.U. perdette rapidamente la concretezza dell'essere e del fare e divenne ben presto una semplice cassa di risonanza delle antinomie che travagliavano i rapporti internazionali e, non avendo la forza sufficiente - pur provandosi ad esercitarla - d 'imporre la legalità internazionale per preservare la pace, chiuse quasi sempre in passivo il bilancio dei suoi interventi nei problemi della sicurezza e del disarmo, riducendosi a spettatrice di molti conflitti, che le sue raccomandazioni non erano riuscite ad evitare o comporre ed a garante di tregue e di armistizi conclusi quasi sempre al di fuori del palazzo di vetro. Con il passare del tempo, l'inserimento di un gran numero di nuovi Stati, che entrarono a far parte dell'O.N.U. a mano a mano che ottennero l' indipendenza ed il riconoscimento, se da un lato accrebbe il carattere di universalità dell'organizzazione, dall'altro ne rese più complesso e delicato il funzionamento per il sommarsi a quella est-ovest della conflittualità nord-sud. Ancora oggi l'O.N.U. continua ad essere lo specchio della bipolarità più che l'immagine della universalità, benché l'inserimento in posizione preminente s ulla scena internazionale di altre nuove grandi potenze - Cina, India, Giappone - tenda a ridurre il potere assoluto dei due imperi. Ma i tempi di conversione da potenziale a virtuale del peso dell'intervento di tali potenze sono ancora larghi. La Cina, malgrado le difficoltà che incontra, è sulla strada di diventare il baricentro della politica internazionale nel teatro del Pacifico, ma occorreranno decenni prima che possa svolgere appieno il suo ruolo. L'India è molto più indietro e, sebbene provvista di grandi risorse potenziali materiali e spirituali, non è in grado - e non lo sarà in tempi brevi e neppure medi - di esprimere un potere determinante. Il Giappone ha
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conservato sul piano geo-strategico la sua importanza tradizionale e ha, sul piano economico e tecnologico, una posizione di sviluppo che lo pone al terzo posto delle entità politico-industriali del mondo, ma, privo com'è della benché minima autosufficienza di materie prime, il suo ruolo dipende dai legami che allaccia e mantiene con le altre grandi potenze, in particolare con gli Stati Uniti, la Cina e l'Unione Sovietica. Al momento non esistono, dunque, segnali della prossima fine della bipolarità che resta per ora - e verosimilmente per un tempo assai lungo - il fulcro sul quale ruotano tutte le altre potenze, comprese quelle nucleari (Cina, Gran Bretagna, Francia, India, verosimilmente Israele) e quelle che possono diventare tali, come pure gli stessi Stati non allineati. L'O.N.U., peraltro, continua a godere di un certo prestigio morale che le deriva dalla sua universalità e la sua sopravvivenza, malgrado le apparenze contrarie, non è del tutto inutile, neppure ai fini della pace, sia perché consente incontri ed anche scontri dialogici tra i grandi e i piccoli, sia perché opera in tanti altri settori indirettamente concorrenti alla costruzione della pace. Impari al ruolo sognato, sede di scontri più che d 'incontri, l'O.N.U. rende peraltro possibile la dialettica politica e consente di conoscere le diverse opinioni dei singoli Stati, il che costituisce pur sempre un monito ed una remora anche per le superpotenze, che naturalmente non aspirano a trovarsi isolate. Se scarsa o quasi nulla, eccezione fatta per qualche particolare circostanza, fu fin dall'inizio - e lo è tuttora - la sua influenza sulle grandi questioni della pace, della sicurezza collettiva e del disarmo, su tutti i problemi cioè che comportano una rinunzia benché parziale della sovranità nazionale, non pochi furono, e sono, i risultati positivi ottenuti dai numerosi organismi specializzati ad essa affiliati od aggregati. L 'Organizzazione per l'alimentazione e l'a gricoltura (F.A.O. - Food and Agriculture Organization), l'Organizzazione per l'educazione, la scienza, la cultura (U.N.E.S.C.O. - United Nations Educational Scientific and Cultural Organization), il Fondo internazionale per l'infanzia (U.N.I.C.E.F. - United Nations International Children Emergency Fond), l'Organizzazione mondiale della sanità (W.H.O. - World Health Organization), la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (A-LO. - Association International Development), il Fondo monetario internazionale, e i tanti altri enti specializzati per l'aviazione civile, la metereologia, le telecomunicazioni, la navigazione marittima, ecc. svolsero, e svolgono, funzioni d'importanza esistenziale per l'intera umanità, pur nelle
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limitazioni alle quali furono e sono costretti dalle remore politiche, economiche e finanziarie. L'O.N.U., in definitiva, è il tentativo più concreto compiuto nella storia dell 'umanità per emancipare la politica internazionale dal condizionamento delle singole politiche nazionali. Essa, in conclusione, nonostante le sconfitte e gli insuccessi, resta tuttora la sede non disertata dalle potenze grandi e piccole per i dibattiti interlocutori sui grandi problemi. Circostanze particolarmente favorevoli - assenza dell'Unione Sovietica che aveva ritirato il suo rappresentante, astensione della Jugoslavia - consentirono al Consiglio di sicurezza, convocato dal segretario generale Trygve Lie, il 25 giugno 1950, di votare la risoluzione che dichiarava la violazione della pace da parte della Corea del nord, che aveva aggredito quella del sud, ed imponeva l'immediata cessazione del fuoco ed il rientro a nord del I 8° parallelo dei nordcoreani. Due giorni dopo il Consiglio di sicurezza approvò un'altra risoluzione che richiedeva agli Stati membri dell'O.N.U. di dare assistenza militare ai sudcoreani . La guerra di Corea durò circa tre anni ed a sopportarne il peso, nonostante l'intervento di soldati di altre 15 nazioni, furono quasi da soli gli Stati Uniti, che subirono la perdita di 135 mila uomini tra morti e feriti e che, alla fine, non volendo allargare il conflitto, il 27 luglio 1953 firmarono l'armistizio di Punnunjom e di Munsan ottenendo il ritiro dei nordcoreani e dei volontari cinesi a nord del 18° parallelo. La guerra di Corea impartì numerose lezioni di carattere politico, strategico e tecnico-militare, ma la principale fu che l'O.N.U .. nonostante la sua forza morale - la risoluzione dell'aiuto militare alla Corea del sud era stata approvata da 53 Stati su 59 non era stata in grado di preservare la pace ed era cioè venuta meno al suo compito principale. La guerra di Corea concorse a sviluppare una diversa concezione dell'O.N.U .. facendo prevalere l'idea, che venne sposata dal nuovo segretario generale, Dag Hammarskjold, di un'organizzazione internazionale neutrale che dovesse interporre la sua forza militare occasionale - quella permanente non si riusciva a costituirla - nelle zone del continente travagliate da conflitti e da disordini per una funzione mediatrice di composizione dei contrasti armati. Si trattò di una concezione assai riduttiva dei compiti iniziali, ma ispirata al senso del reale. Non in grado di preservare la pace e d'imporla, mancandole la forza coercitiva, l'O.N.U. si assunse il compito di un qualche controllo delle crisi per ridurne la portata. Quando Hammarskjold assunse nel 1953 la carica di segretario generale: la divisione del
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mondo in blocchi era già un fatto compiuto, gli Stati Uniti avevano già perduto il monopolio atomico, si erano succedute e sviluppate talune erano ancora in corso - guerre e rivoluzioni 6 in quasi tutti i continenti, la sede delle grandi decisioni per effetto della bipolarità si era già trasferita da New York a Washington e Mosca, era fallito il tentativo per il controllo dell'energia atomica e da 8 anni la guerra fredda, iniziata ancora prima che cessasse quella calda, era il dato di fatto che incombeva sui rapporti tra le due superpotenze.
3. Nell'estate-autunno del 1945 le potenze occidentali mmarono la smobilitazione dei loro costosi apparati militari, lasciando alla fine in Europa 391 mila soldati americani e 488 mila inglesi, mentre l'Unione Sovietica, benché stremata dalla guerra, limitò la riduzione delle sue forze convenzionali e mantenne nei paesi occupati dell'Europa, oltre che nel proprio territorio, un ingente quantitativo di forze militari da utilizzare per il consolidamento della grande vittoria militare e per l'ampliamento della sfera d'influenza del nuovo impero. Stalin, alla fine della guerra, si sentì circondato da nemici interni ed esterni e nutrì una vera e propria ossessione che si avverasse quello che era stato l'ultimo sogno di Hitler: la guerra delle potenze occidentali, o capitaliste nel linguaggio comunista, contro il comunismo e l'Unione Sovietica. Egli ebbe la mentalità dell'assediato e per fronteggiare un eventuale attacco delle potenze occidentali, delle quali conosceva la potenza economica, ricorse a nuove repressioni interne (purghe nel partito, ne lle forze armate, negli ambienti intellettuali, nelle minoranze etniche) e non limitò il concetto di sicurezza alla protezione diretta dell'Unione Sovietica, ma in obbedienza ai postulati dell'imperialismo militare e della rivoluzione mondiale, questa ultima pianificata da Marx, Engels e Lenin, fu intento a creare un vasto e profondo avancorpo di sicurezza tutto intorno all'Unione Sovietica ed al tempo stesso ad indebolire, dovunque fosse possibile, la potenza degli Stati Uniti e del mondo occidentale in genere, che lo attaccavano sul piano ideologico e psicologico. Egli, in sostanza, ebbe cura di sfruttare fino ai limiti del possibile la vittoria riportata e dette subito il via ad un piano di espansionismo che soddisfacesse ad un tempo il nazionalismo russo e l'ideologia comunista, contando, tra l'altro, sulla scarsa propensione degli Stati Uniti ad usare per primi la
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forza per il raggiungimento di obiettivi limitati, sulla presenza delle correnti isolazioniste ancora forti nella repubblica stellata e, soprattutto, sulla generale smobilitazione degli animi, prima ancora di quella degli apparati militari, nei paesi occidentali stanchi di guerre. Favorita dalla presenza delle forze di occupazione, l'Unione Sovietica si annetté, senza neppure interpellare le potenze occidentali e l'O.N.U., gli Stati baltici e porzioni della Finlandia, procedé con disinvoltura e spregiudicatezza alla graduale distruzione del pluralismo politico nei paesi dell'Europa orientale e nei Balcani nonostante si fosse impegnata a Yalta ad aiutare, con una condotta unitaria e concorde, i popoli liberati dal dominio della Germania nazista ed i popoli degli Stati ex-satelliti dell'Asse a creare istituzioni democratiche di loro propria scelta - e cominciò in Europa ed in Asia a fare ricorso alla strategia indiretta, combinando tutte le forme non militari di guerra (politica, psicologica, economica) per sostenere i partiti comunisti di altri paesi e per alimentare i movimenti rivoluzionari e le lotte per l'indipendenza delle colonie francesi , inglesi, olandesi, portoghesi e belghe. Tra il 1945 ed il 1948 l'Ungheria, la Romania, la Bulgaria e la Polonia, con metodi similari, furono ridotte a cuscinetti poliLici e militari dell'Unione Sovietica, nonostante che i partiti comunisti locali non raggiungessero, dove poco più dove molto meno, il 20% delle adesioni. I partiti non comunisti furono dovunque eliminati con ogni mezzo possibile, dall'imbroglio alla sopraffazione, dalla sottrazione per motivi speciali del diritto di voto ad una gran parte della popolazione all'assassinio dei capi dei partiti non comunisti. Nella parte della Germania occupata dalle forze sovietiche, il partito socialdemocratico fu costretto ad unirsi con il partito comunista per dare vita al partito socialista unificato tedesco che da allora in poi fu il partito più forte e, per dire così, ufficialmente protetto, con percentuali scrupolosamente fissate per gli altri partiti e con le liste dei candidati imposte prima delle elezioni 7. A Berlino, che avrebbe dovuto essere amministrata unitariamente sotto il controllo del comando alleato, i sovietici, il 6 settembre 1948, sciolsero l'assemblea dei delegati, nella quale i comunisti avevano raccolto solo il 19% dei voti, e divisero l'amministrazione della città assumendo da soli il controllo della zona orientale. Le proteste delle potenze occidentali non sortirono effetto e molte non furono neppure degnate di una risposta. Anche l'impegno assunto a Parigi, il 20 giugno 1949, a normalizzare la vita
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della città rimase lettera morta. In Cecoslovacchia, dove subito dopo la fine della guerra il partito comunista, pur non avendo raggiunto la maggioranza assoluta, era risultato dalle elezioni il più forte, i sovietici formarono un governo di coalizione assicurando ai comunisti le posizioni politiche chiave, ma nel febbraio 1948, dopo che le tante ingerenze l'legli affari interni del paese e l'imposizione al governo di rifiutare il piano Marshall 8 avevano alienato loro gran parte della popolazione, i sovietici agirono di forza ed instaurarono un regime comunista assoluto, costringendo il presidente Edward Benes a dimettersi e facendo fare una fine misteriosa al ministro degli esteri Jan Garrigue Masaryk. Nell'ottobre del 1947 Stalin procedé alla creazione del Kominform - ressurezione del Komintern sciolto durante la guerra per motivi di opportunismo 9 - con il compito principale, secondo il testo del comunicato ufficiale, della distruzione dei regimi politici non comunisti e, nella seconda metà degli anni quaranta, stipulò alleanze bilaterali con i paesi comunisti sancite in 23 trattati dietro i quali vi era una forza mili tare di almeno 200 divisioni. Egli inoltre, dal 1945 al 1949, bloccò all'O.N.U. con ben 30 veti tutti i tentativi di avvio di una politica mondiale di sicurezza, di controllo dell'energia atomica, di riduzione degli armamenti e di costituzione di una forza militare internazionale. L'unico obiettivo non raggiunto da Stalin nella sua ondata di espansionismo in Europa fu il possesso di basi marittime nei mari caldi del sud. Il 24 giugno 1945 l'Unione Sovietica chiese alla Turchia di concederle basi sugli stretti per la comune difesa, ma di fronte al deciso rifiuto turco non insisté. Un altro rifiuto, assai più grave, perché opposto da uno Stato comunista, fu quello del maresciallo Tito 10 alla costituzione di una federazione unitaria bulgaro-jugoslava. La Jugoslavia aveva un governo comunista ed era alleata dell'Unione Sovietica, ma quando questa cercò con mezzi analoghi a quelli impiegati negli altri paesi dell'Europa orientale e dei Balcani di sottomettere il paese politicamente ed economicamente, il maresciallo Tito si rifiutò di diventare un satellite e preferì la scomunica del Kominform. Il fallimento del tentativo compiuto nei riguardi della Jugoslavia impedì ai sovietici anche l'accesso all'Albania, particolarmente importante dal punto di vista della strategia navale per la sua posizione sul Mediterraneo, specialmente dopo il rifiuto della Turchia all'insediamento di basi sovietiche sugli stretti. L'Unione Sovietica si dové accontentare in Albania di una base per sommer-
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gibili, alla quale poi dové rinunziare in seguito al passaggio del piccolo paese dall'obbedienza m oscovita all'intesa con la Cina. Un altro tentativo nella stessa direzione fu l'aiuto concesso ai comunisti greci, sostenuti da quelli dei paesi confinanti (Albania, Bulgaria, Jugoslavia), perché s'impadronissero del potere arricchendo così la colonna dei paesi satelliti dell'Unione Sovietica e soprattutto consentendo a questa ultima la disponibilità di numerose e potenti basi navali per l'interruzione della vie marittime di collegamento tra l'Europa occidentale ed il Medio Oriente. Anche in questa ultima regione i sovietici non ebbero successo. L'Unione Sovietica, che nell'agosto del 1941 aveva occupato parte dell'Iran settentrionale, costituì, alla fine della guerra, governi comunisti nelle provincie dell'Azerbaigian e del Kurdista n che impedirono l'ingresso nei rispettivi territori alle truppe del governo centrale incaricate di ristabilire la sovranità nazionale iraniana. L'intervento dell'O.N.U. indusse l'U nione Sovietica a ritirare le proprie truppe, ma i sovietici riuscirono a costringere . il governo iraniano ad accettare ministri comunisti ed a riconoscere l'autonomia delle due provincie, dalle quali però alla fine i governi locali, malvisti dalle popolazioni, dovettero fuggire quando le truppe nazionali entrarono nelle due province. In direzione dell'Asia orientale la spinta espansionista sovietica ebbe inizio nell'agosto 1945 quando, dopo la denunzia da parte dell'Unione Sovietica del trattato di non aggressione con il Giappone, Stalin fece occupare dall'armata rossa la Manciuria, Sachalin, le Curili, la Corea a nord del 38' parallelo ed altre isole minori dopo avere concluso un accordo con il governo cinese di Chiang Kai-Skek che, oltre con i giapponesi. era in guerra con i comunisti cinesi di Mao Tse-tung. L'accordo di Stalin con Chiang Kai-Skek fu una chiara dimostrazione di come egli privilegiasse gli interessi del nazionalismo e dell'imperialismo politico-militare nei confronti di quelli dell'ideologia. La guerra civile in Cina, che durava fin dagli anni venti, raggiunse il culmine nella seconda metà degli anni quaranta ed ebbe termine il 21 gennaio 1949 con l'entrata delle truppe di Mao in Pechino ed il trasferimento di quelle superstiti di Chiang a Taipei, nell'isola di Taiwan (Formosa). Il 1 ottobre 1949 nacque la Repubblica popolare cinese ed il comunismo assunse il potere nel paese più popoloso del mondo. Durante la guerra civile Stalin si era preoccupato soprattutto di non venire ai ferri corti con gli Stati Uniti e, solo quando questi ritirarono la maggior parte delle loro truppe, verso la fine del 1946, egli cessò di interporsi
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quale intermediario di un accordo fra Chiang e Mao e sostenne la vittoria di Mao, seppure con molta prudenza e non senza riserve. Essi (i comunisti cinesi) combattevano per conto della Russia contro un fantoccio degli americani. La loro vittoria (che secondo i russi doveva essere solo parziale) sarebbe servita da assicurazione contro un Giappone riarmato.... Per quanto riguarda i sovietici, il sospetto di venire allevando una specie di Frankstein non dovette venir loro in mente fino alla fine del 1949, quando cioè Mao, ormai padrone di tutta la Cina continentale, arrivò a Mosca e cominciò quei lunghi negoziati al termine dei quali i sovietici accettarono di rinunciare ai loro diritti ed alle loro basi in Cina, (cioè a quegli obiettivi che erano stati inseguiti per più di mezzo secolo dalla politica estera russa) 11 . L'intesa finale con Mao, l'appoggio alla rivoluzione malese contro l'Inghilterra, 12 quello alla rivoluzione indocinese contro la Francia 13 ed infine la guerra di Corea, probabilmente concordata con Mao a Mosca nell'inverno 1949-50, costituirono i centri di gravità dell'espansionismo comunista in Asia, dove il blocco cinosovietico negli anni cinquanta conobbe un solo vero insuccesso, vale a dire il ripiegamento in Corea a nord del 18 parallelo. La strategia globale di Stalin - nella chiarezza del duplice obiettivo che intendeva perseguire e con l'utilizzazione di tattiche diverse e dosate, ma rudi e spietate, in Europa ed in Asia - risultò vittoriosa ai punti e si aggiudicò la prima ripresa dello scontro est-ovest. Alla sua morte, il 5 marzo 1953, Stalin, vincitore della guerra calda prima e di quella fredda poi, lasciò in eredità ai suoi successori un impero da lui creato in poco più di trent'anni comprendente: circa mezzo milione di chilometri quadrati di territorio e 25 milioni di abitanti in più annessi alla sovranità nazionale; c irca un milione di chilometri quadrati con 90 milioni di abitanti costituiti da Stati europei satelliti; il paese più popoloso del mondo dominato da un regime comunista che riconosceva all'Unione Sovietica ed al partito comunista sovietico la funzione di guida della rivoluzione mondiale; posizioni di forza esterne ai paesi comunisti, intese come basi di partenza per ulteriori conquiste o come baluardi di difesa dagli attacchi ideologici e psicologici che potesero venire dall'esterno; un'organizzazione del comunismo internazionale - il Kominform - unitaria, compatta ed in grado di dirigere e coordinare l'attività dei partiti comunisti operanti nei paesi occidentali, in particolare in Italia ed in Francia, nei domini coloniali dei fatiscenti imperi europei e negli altri Stati retti da regimi democratici o dittatoriali di tendenza filoccidentale. L'impero che Stalin lasciava ai suoi
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successori era costato milioni e milioni di vite umane ed immensi sacrifici di ogni genere al popolo dell'Unione Sovietica e a tanti altri popoli del mondo e non era una costruzione effimera, caduca e priva di ulteriore carica espansiva, ma una grande e possente realtà politica e militare, che occupava il secondo posto nel concerto di tutti gli Stati, dei quali condizionava, direttamente o mediatamente, le mosse di politica estera ed interna. Alla politica possibilista della metà degli anni trenta, Stalin aveva alternato una politica estera puramente realistica. Nel 1939 egli aveva preferito alla fine alle tergiversazioni occidentali la concretezza tedesca (patto russo-tedesco del 23 agosto 1939), sperando di assicurare almeno al suo paese la pace che s tava venendo meno nel resto dell'Europa. La guerra alla Germania non rientrava nei suoi calcoli immediati; vi era stato costretto; ne era uscito trionfatore non solo bloccando, ma respingendo e ricacciando le armate tedesche sino a Berlino. Egli, che all'interno aveva raggiunto il dominio assoluto mercé le repressioni e le purghe, si era dimostrato nel condurre la guerra, oltreché eccellente stratega, un abile diplomatico, un negoziatore rigoroso, logico, tenace, non privo di ragionevolezza. Era s ta to stimato da Roosevelt, meno da Churchill, e, a sua volta, aveva stimato Chiang Kai-Shek più di Mao Tse-tung e solo con riluttanza aveva smesso di pensare che la Cina non potesse essere governata dal Kuomin-tang con la collaborazione dei comunisti. Alla fine della guerra si trovò impegnato nella ricostruzione interna e nella gestione di un impero di cui si preoccupò soprattutto di garantire al massimo le frontiere, spostandole il più avanti possibile e creando attorno un cuscinetto militare di sicurezza. La presenza della bomba atomica non l'aveva fortemente impressionato, od almeno aveva dato a credere che non lo fosse, e dette così il via alla guerra fredda che lo portò ad irrigidire ancora di più il suo atteggiamento dentro e fuori i confini dell 'Unione Sovietica mediante nuove repressioni e nuove sopraffazioni e violenze. La creazione de l Kominform fu però una mossa inopportuna e gli procurò una maggiore ostilità da parte degli occidentali, anche se gli valse a riaffermare il monolitismo comunista. L'errore più grave che commise durante la condotta della guerra fredda fu la scomunica della Jugoslavia, che da quel momento cessò, tra l'altro, di sostenere la rivoluzione de i comunisti greci, aprendo la strada a nuovi futuri deviazionismi. Nella sua politica espansionista del dopoguerra seguì una linea spregiudicata, disinvolta e violenta in Europa ed una linea prudente, circospetta e guardinga in Asia, entrambe peraltro coerenti e realistiche. La
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creazione di un avancorpo di sicurezza ai confini occidentali dell'Unione Sovietica e la questione della Germania e di Berlino erano di primissima priorità e per questo non esitò di rischiare anche uno scontro diretto con l'Occidente durante il blocco di Berlino, nella consapevolezza della sua superiorità di forze convenzionali e nella speranza che prima o poi, così come si erano stancati in Asia di Chiang Kai-shek, gli Stati Uniti, ne avrebbero avuto abbastanza di continuare a mantenere le loro truppe in Germania ed avrebbero perseguito la loro politica antisovietica solo per mezzo degli altri paesi e degli aiuti economici 14. In Asia, invece, dove gli interessi americani, secondo la sua valutazione, erano molto più importanti e risalivano a data più lontana, in un primo tempo aveva ritenuto impossibile che gli Stati Uniti non avessero difeso le loro posizioni, magari all'ultimo momento, per salvare Chiang, al quale venivano fornendo aiuti - basti ricordare l'imponente trasporto aereo e marittimo americano di circa mezzo milione di soldati nazionalisti nei porti delle città dell'est e del nord - oppure (ipotesi anche peggiore dal punto di vista sovietico) che non avessero riarmato il Giappone 15. Quando si accorse che entrambe le ipotesi non erano, almeno per il momento, negli intendimenti americani, si spinse all'aggrt!ssiune armata, in termediaria la Corea del nord, contro la Corea del sud facen,dola invadere da truppe nordcoreane armate, equipaggiate ed addestrate dall'armata rossa. Forse prima di morire, si rese conto di aver raggiunto i limiti dell'espansionismo sia in Europa, dove il piano Marshall ed il patto atlantico gli si erano parati davanti come efficace barriera di contenimento, sia in Asia dove la guerra di Corea gli aveva confermato l'esattezza della sua prima previsione. La guerra fredda gli fruttò moltissimo ed egli la utilizzò tutto sommato, e nonostante qualche insuccesso, sapientemente ai fini dell'imperialismo russo e dell'espansionismo ideologico de lla rivoluzione comunista; lo avevano però favorito il momento psicologico del dopoguerra, l 'incertezza iniziale della politica occidentale, gli errori di condotta degli Stati Uniti. Egli fu un dittatore assoluto, prepotente, violento, spietato, disumano, privo del benché minimo scrupolo morale, ma fu anche un uomo politico, uno stratega ed un diplomatico estremamente coerente con l' aspirazione imperialista del suo paese e con la dottrina marxista-leninista che professava. Alla sua morte la sua popolarità dentro e fuori dell'Unione Sovietica era ancora intatta e dovettero passare tre anni prima che i suoi crimini e le sue crudeli deviazioni venissero pubblicizzati dai suoi
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successori che, dopo la sua morte, iniziarono a regnare in un'atmosfera di profonda diffidenza e di sospetto reciproco, ma che in definitiva, pur essendo molto meno dotati d'influenza personale, riuscirono non solo a mantenere saldo l 'impero, ma ad espanderlo e ad accrescerne ulteriormente la potenza nel mondo intero. I successori immediati di Stalin, di fronte alla grande e pesante eredità lasciata loro dal dittatore, capirono che occorreva. dare al mondo un'impressione di forza e di unità, nonostante che l'apparato direttivo del paese fosse dilaniato da lotte interne, e di dover condurre, senza deviare dagli obiettivi di fondo, la politica interna e quella estera con metodi diversi da quelli di Stalin, ma per il perseguimento degli stessi fini. Un primo accomodamento fu l'insediamento al vertice de l triunvirato costituito da Georgij Maksimilianovic Malenkov, Laurentij PavJovic Berja, Vinceslav Michailovic Molotov, rispettivamente primo ministro, ministro della polizia, ministro degli esteri. La <.:arica di segretario del partito, a nche se ufficialmente non ancora definita come tale, fu assunta da Nikita Sergevic Chruscev. li capo dello Stato, Nikolaj Michailovic Svernik, venne sostituito da l vecchio maresciallo Kliment Efremovic Vorosilov 16. Il maresciallo Georgij Kostantinovic Zukov 17, confinato da Stalin al comando di una guarnigione di provincia, fu ri<.:hiamato a Mosca e nominato viceministro della difesa per dare l' impressione che l'esercito, rappresentato dal comandante sovietico più prestigioso della seconda guerra mondiale, appoggiasse anch'esso il nuovo gruppo dirigente. Tale accordo, più apparente che reale, circa la suddivisione del potere fu imposto dal grave timore che i nuovi dirigenti ebbero di disordini interni e di rivolte popolari, che avrebbero potuto fare seguito alla morte di Stalin, ma ognuno dei nuovi capi , pur consapevole di non possedere le qualità carismatiche e magnetiche del dittatore defunto, aspirava a dare la scalata al potere supremo ed assoluto. L'esigenza di una certa destalinizzazione del sistema era condivisa da tutti, ma non pochi furono i dubbi, le perplessità ed i contrasti, anche violenti, circa i limiti dell'operazione di cui a nessuno sfuggiva la delicatezza e la pericolosità nei riguardi della situazione interna e di quelle degli altri paesi comunisti, dei partiti comunisti delle nazioni non comuniste e del resto del mondo. Il primo a cimentarsi nella scalata al potere assoluto fu Berja, ma gli andò male; poi ci provò Malenkov che nel 1955 fu costretto a dimettersi e nel 1957 fu escluso dal governo e dal Politburo sotto l'accusa di aver fatto parte, con Molotov e con Lazar Moisevic Kaganovic, di un gruppo antipartito. Malenkov nel 1955 venne sostituito nella carica
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di capo del governo da Niko]aj Aleksandrovic Bu]ganin e ]a diarchia Bulganin-Chruscev durò fino al 27 maggio 1958, quando Chruscev, estromesso Bulganin, assunse anche la carica di capo del governo e conservò quella di primo segretario del partito, accentrando in sé potenzialmente un potere quasi pari a quello di Stalin. Eliminati via via dalla scena politica tutti i contendenti - Berja, Molotov, Malankov, Kaganovic, Dmitrij Trofimovic Sepilov, Bulganin ed alla fine lo stesso maresciallo Zukov, che l'aveva tanto aiutato a vincere l'opposizione interna al partito - Chruscev assunse il controllo integrale della politica estera ed interna sovietica, ma non riuscì a risolvere nessuno dei problemi cruciali sorti alla morte di Stalin o determinati dagli avvenimenti successivi. Favorì un certo disgelo interno restando attento a non indebolire le basi del partito e del regime e determinò un miglioramento delle condizioni sociali, abitative e di vitto, alternando liberalizzazioni a giri di vite, con la conseguenza di scontentare sia gli ortodossi s ia gli aperturisti; tentò di salvare l'agricoltura mettendo a coltivazione le terre vergini, ma quando l'esperimento fallì, perché tali terre s i dimos trarono improduttive ed antieconomiche, fu pronto a fornire la soluzione di aumentare gli investimenti a ll 'indust ria chimica per accrescere così la produzione dei fertilizzanti che avrebbero dovuto re nde re quelle terre più fertili. Promosse un più alto sviluppo industriale con maggiori consumi individuali, ma conservò il primato di produzione all'industria bellica per raggiungere la parità e tentare la superiorità militare rispetto agli Stati Uniti. Seguì la politica di distensione iniziata fin da dopo la morte di Stalin dagli altri capi sovietici, ma fu anche troppo chiaro e preciso nello spiegarne il significato: la coesistenza pacifica andava intesa come un matrimonio di un giovane occidentale che sposi una donna anziana e ricca. Il giovane si comporta gentilmente e rispettosamente con la moglie mentre questa invecchia progressivamente. Egli può essere impaziente, ma non uccide la moglie per non correre pericoli, perché gli è più conveniente assistere, senza rischi, al declino progressivo della sua sposa. Durante il suo viaggio negli Stati Uniti ebbe a dire di essere sicuro che i nipoti degli americani di quegli anni avrebbero vissuto in futuro in regime comunista. Anche in regime di coesistenza pacifica, alla lunga, il comunismo avrebbe trionfato dovunque. La coesistenza pacifica, era, dunque, uno stato di necessità de ll'era nucleare-spaziale, ma l'Unione Sovietica non poteva comportarsi diversamente dal giovane che aveva sposato la vecchia ricca, mostrarsi cioè affabile con questa, senza cessare in cuor suo di desiderarne la morte.
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La gentilezza e la generosità del giovane non potevano, d'altra parte, impedirgli di continuare a vivere la sua vita ed a compiere tutte le evasioni possibili ai danni della reputazione e del patrimonio della moglie, pronto a fare marcia indietro ed a farsi perdonare qualora la moglie se ne risentisse ed intendesse rompere il matrimonio. Per tentare di ristabilire il monolitismo comunista corteggiò il maresciallo Tito e, con mossa ben calcolata e fruttuosa, riuscì a stabilire, almeno apparentemente, un buon collegamento tra l'Unione Sovietica e la Jugoslavia tanto che, nel 1956, il viaggio trionfale del maresciallo Tito nell'Unione Sovietica sembrò dimostrare che un regime comunista non dovesse necessariamente essere fondato sulla repressione, sul sospetto e sul predominio assoluto di Mosca. Anche nei riguardi della Cina si comportò in modo da evitare lo sgretolamento ideologico e, soprattutto, l'indebolimento del potere sovietico, ma nel corso del 1960 il conflitto fra l'Unione Sovietica e la Cina, onnai già molto grave, divenne di pubblico dominio ed in coincidenza con tale fatto, ma non indipendentemente da questo, si verificò il fallimento dell'incontro al vertice con il presidente degli Stati Uniti e venne meno la speranza di risolvere il problema tedesco mediante negoziati. Gli avvenimenti internazionali più importanti verificatisi da dopo la morte di Stalin all'inizio degli anni sessanta, nei quali l'Unione Sovietica fu coinvolta, o ne fu la protagonista o l'ispiratrice, furono di ordine vario e talvolta di segno opposto, ma riconducibili in gran parte al comun~ denominatore delle conflittualità di fondo esistenti tra l'Unione Sovietica e gli Stati Uniti e l'Occidente e di que lle del pari esi'sfenti tra l'Unione Sovietica, la Cina e gli altri paesi comunisti. Nei confronti degli Stati Uniti e dell'Occidente i successori di Stalin adottarono posizioni più flessibili, almeno in apparenza, senza in pratica venire meno a nessuno dei caratteri sostanziali dell'imperialismo russo, dell'espansionismo comunista e neppure del potere totalitario. L'anno 1955 in particolare fu caratterizzato da trattati, viaggi, conferenze che a m olti osservatori sembrarono giustificativi di un certo ottimismo circa l'attenuazione della tensione internazionale e la possibilità di un accordo est-ovest. A poco più di due anni dalla morte di Stalin, si riunì a Ginevra, nel giugno 1955, una conferenza dei vertici di governo degli Stati Uniti, dell' Unione Sovietica, della Gran Bretagna e della Francia 18. Essa era stata preceduta da alcuni atti distensivi da parte dell'Unione Sovietica, quali lo sgombero di territori e di basi in
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Finlandia e la firma del trattato di pace con l'Austria (15 maggio 1955). Qualche mese prima l'allontanamento di Malenkov dalla carica di primo ministro era stato effettuato senza dare luogo ad accuse infamanti, ad un processo segreto, alla sua liquidazione fisica. La conferenza, che solo qualche anno prima sarebbe stata inconcepibile, si svolse in un clima di correttezza, anzi di quasi ostentata cordialità, tanto che si parlò dello spirito di Ginevra, non per sottolineare la ripresa di un dialogo, ma l'inizio di un'intesa. La conferenza però non produsse risultati veramente importanti. L'Unione Sovietica avanzò proposte che, se da un lato mettevano in evidenza una nuova flessibilità dialettica, dall'altra non concedevano sufficiente spazio ad una discussione costruttiva. Gli Stati Uniti sostennero che per quanto riguardava la limitazione delle forze armate delle grandi potenze e la graduale riduzione delle armi nucleari, nessun accordo avrebbe raggiunto l'effetto desiderato senza un'adeguata possibilità d'ispezione e di controllo reciproci, ai quali, invece, i sovietici si opponevano obiettamlu che w1 sislema molto esteso di ispezioni nel campo della ricerca e della produzione nucleare in specie avrebbe costituito un'intollerabile violazione delle sovranità nazionali. Ambedue le posizioni erano perfettamente logiche da un loro punto di vista. Inoltre la triste verità era che, se anche tutte le difficoltà pratiche fossero state superate, era molto improbabile che il grado di fiducia reciproca esistente fra gli Stati Uniti e l 'URSS avrebbe permesso che si prendessero provvedimenti per un genuino e contemporaneo disarmo generale nucleare (a prescindere da accordi su problemi secondari, quale quello del bando degli esperimenti nucleari) 19. Un altro argomento spinoso fu quello del movimento comun ista mondiale e dei regimi dei paesi europei orientali, ma con correttezza e fermezza i sovietici sottolinearono che la conferenza era riunita per discutere i probl emi internazionali e non le attività dei partiti politici e che le quattro potenze non avevano nessun diritto d'intervenire negli affari interni della Polonia, della Romania e degli altri paesi in cui i governi erano stati costituiti dalle popolazioni locali e riguardavano solo queste ultime. Anche sul terzo problema di fondo - Germania e Berlino - le posizioni delle due superpotenze si mantennero distanti. L'URSS s i offrì di sciogliere il patto di Varsavia in cambio dello scioglimento della NATO e del ritiro delle truppe straniere dai territori dei paesi europei. Questo significava che una discussione sulla riunificazione tedesca avrebbe avuto luogo solo dopo lo scioglimento dell'Alleanza Atlantica e il ritiro delle truppe ameri-
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cane dall'Europa. I sovietici sapevano probabilmente che queste proposte sarebbero risultate inaccettabili per gli Stati Uniti, come del resto lo era altresì la variante di esse che prevedeva un patto di s icurezza europea, che in due o tre anni avrebbe dovuto sostituire tanto la NATO che il Patto di Varsavia, cui avrebbero dovuto partecipare tanto la Germania occidentale che quella orientale. Il risultato di questa accettazione, anche temporanea, di discutere le proposte sovietiche, sarebbe stato il rinvio del riarmo tedesco e questo gli occidentali, e in particolare Washington, non erano disposti ad ammetterlo 20. Alla conferenza dei vertici fece seguito nell 'autunno quella dei ministri degli esteri delle quattro potenze che si svolse, anche questa, in un clima molto cordiale e ragionevole, ma essa non realizzò nessun progresso sui problemi fondamentali del disarmo e della Germania 21. Non si può dire che a Ginevra i capi sovie tic i non si comportassero con chiarezza e sincerità e, sebbene la rigidità legalitaria e m oral istica del presidente Eisevhower 22 e del segretario di Stato Foster Dulles non giovasse a i fini della ricerca di un qualche accordo, le cose non sarebbero andate altrimenti neppure con interlocutori american i diversi . Ginevra consacrò, se così si può dire, la bipolarità: il dialogo si svolse soprattutto tra i capi americani e sovietici; la Gran Bretagna e la Francia furono semplici spettatrici o poco più, nonostante che la prima fosse già potenza nuclea re . Le due grandi potenze europee occidentali, già da dieci anni sulla via del tramonto, continuavan o oltretutto a perdere colpi nei rispettivi impe ri coloniali. La Gran Bretagna aveva già concesso, fin dal 14 agosto 1947, l'indipendenza alla regione india na, dove e rano s tati costituiti due Stati - l' Unione Indiana e d il Pakislan - dei quali il primo venne visitato da Bulganin e Chruscev proprio nel 1955. I due, corteggiando J awaharla Nehru, fecero larghe promesse ed offerte di aiuti tecnici ed economici, stringendo così con quel paese un'amicizia che sopravvive rà a lungo. La Francia, l'anno avanti, con gli accordi di Ginevra del 1954, aveva posto fine a lla guerra di Indocin a , dalla qua le era u scita sconfitta, nonostante l'ultima stre nua resistenza opposta a Dien Bien Phu, ed era già impegnata nella rivoluzione a lgerina inizia tasi il 1 novembre 1954. Il governo, i coloni europei ed i nazionalisli a lgerini, persegu endo scopi differenti, avevano dato inizio ad una vera e propria g uerra che durerà otto anni con lotte selvagge, a mmutinamenti dell'esercito e grande confusione politica ne lla stessa Francia, ancora sotto lo shock della sconfitta in Indoci na. Ma a p arte il riconoscimento ufficia le della bipolarità,
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ben altra fu l'importanza di Ginevra che mise chiaramente in luce tre punti fondamentali della politica sovietica: difesa della sovranità nazionale assoluta e conseguente rifiuto di ogni reciproco controllo sul disarmo; rivendicazione della piena libertà all'espansionismo dell'influenza sovietica e del comunismo nel mondo; accettazione dell'unificazione della Germania, previo ritiro delle truppe americane dall'Europa. Lo spirito di Ginevra sopravvisse per qualche tempo al fallimento della conferenza; anzi, dopo qualche mese, il XX congresso del P.C.U.S., durante il quale Chruscev lesse il rapporto segreto sui crimini di Stalin e sui guasti del culto della personalità, ravvivò le speranze di un allentamento della tensione internazionale ed accrebbe gli ottimismi sulla sincerità degli intendimenti sovietici circa i cinque principi della coesistenza pacifica. Se Stalin era stato un uomo molto pratico, non di meno lo furono i suoi successori, i quali, alla s ua morte, malgrado le lotte intestine, seppero contener e su tutte e tre le fronti sulle quali si trovarono ad essere impegnati - rapporti interni, con l'Occidente, con gli altri Stati e partiti comunisti - le conseguenze della gravi ssima crisi aperta dalla scomparsa del dittatore. Il rapporto di Chruscev fu un vero capolavoro di politica interna ed estera e<l un allo attentamente studiato, considerato e calcolato. Sul piano della politica interna fu un atto dovuto ed inevitabile. Dopo tre anni di cauto disgelo e di soffice destalinizzazione, e r a necessario riacquistare la fiducia della popolazione e dare un nuovo impulso ideologico al partito, precisando la causa e la responsabilità degli abusi passati, diversamente la destalinizzazione s tessa avrebbe finito con il tradursi in uno sgretolamento dell e basi del p a rtito che, invece, occorreva mantenere salde. Nell' interno dell'Unione Sovietica il rapporto produsse gli effetti voluti dai dirigenti sovietici: non vi furono reazioni violente o gesti clamorosi; partito e popolazione nella grandissima maggioranza accettarono le spiegazioni e si accontentarono delle prome sse, eccezione fatta di una trascurabile aliquota di intellettuali, dell'intellighe ntsia, facilmente controllabile, anche perché i limiti della destalinizzazione e del dissenso rimase ro del tutto sfumati. Nei riguardi della politica estera con gli Stati Uniti e con l'Occidente, la distensione fu un'esigenza irrinunciabile del particolare momento, sia per non sommare a quelle interne altre difficoltà o pericoli, sia per guadagnare tempo ai fini del raggiungimento di una robusta posizione di forza mediante i progressi che s i venivano compiendo
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nella fabbricazione delle armi nucleari e dei missili, sia per ottenere il riconoscimento da parte degli Stati Uniti dei vantaggi sovietici acquisiti nell'Europa orientale - il che in pratica avvenne a Ginevra - sia per alimentare le correnti pacifiste e neutraliste occidentali, diminuendo così i rischi ed i pericoli di una guerra ed aprendo nuove opportunità all'espansionismo ideologico. I dirigenti sovietici erano convinti che le possibilità di un'ulteriore avanzata dell'influenza sovietica e del comunismo in direzione dell 'Europa occidentale e dell'Asia si erano oramai ridotte e che perciò una politica di distensione con l'Occidente, mentre non avrebbe compromesso nessuna possibilità reale, avrebbe accresciuto quelle potenziali, pur in un margine d ' incertezza. I dirigenti sovietici giustificarono la distensione con il mutamento delle condizioni oggettive che si era verificato dai tempi di Stalin, ma non mossero a questo nessun appunto in materia di politica estera, la cui sostanziale continuità confermarono a Ginevra senza nessuna doppiezza. Quali sarebbero state le conseguenze della politica del disgelo, della distensione, della destalinizzazione nei paesi satelliti, negli altri Stati comunisti e nei partiti comunisti delle nazioni nelle quali questi non erano al potere ? I dirigenti sovietici non poterono non porsi la domanda, tanto più che in tutte le loro iniziative c'era sempre la più o meno esplicita preoccupazione della reazione del mondo comunista e in particolare della Cina. Essi perciò sapevano che la nuova politica avrebbe potuto suscitare reazioni profonde, ma erano del pari coscienti che i paesi satelliti non potevano più essere governati con i sistemi impiegati da Stalin e speravano che gli eventuali effetti negativi della loro mossa nel mondo comunista potessero essere contenuti senza subire gravi lacerazioni. Il XX congresso fu un atto politico di rischio calcolato, le cui conseguenze: nella politica interna ed in quella dei rapporti con l'Occidente furono sostanzialmente positive per i dirigenti sovietici; nei riguardi dei rapporti con la Cina non furono inizialmente granché influenti; sui paesi satelliti dell'Europa orientale furono invece addirittura esplosive e sconvolgenti; sui partiti comunisti dei paesi nei quali tali partiti non erano al potere furono gravi, ma non univoche, comunque non ta li da indebolire in modo immediato e significativo i partiti comunisti che ben presto superarono il disorientamento iniziale e si ripresero, nonostante, ad esempio in Italia, la rottura del patto di unità d 'azione con il partito socialista e le defezioni , particolarmente numerose specialmente dopo i fatti di Ungheria dell'autunno del 1956. La crisi ideologica e politica che
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l'Unione Sovietica dovette affrontare negli anni 1953-56 sul piano interno ed estero, specialmente nei rapporti con i satelliti, fu di portata estremamente grave; il suo superamento, ancorché non senza danni assai rilevanti, fu merito dei dirigenti sovietici di quegli anni e, in particolare, di Chruscev, ma anche il risultato d'incomprensioni, di debolezze, di errori e di omissioni del mondo occidentale che, mentre l'emisfero sovietico era tormentato da tensioni e contrasti interni e da quelli dei paesi satelliti, offrì la peggiore immagine di sé stesso nell'autunno del 1956 con la spedizione franco-inglese sul canale di Suez. La destalinizzazione non fu, dunque, senza gravi conseguenze immediate nei paesi satelliti e un po' dovunque, ma in particolare in Polonia ed in Ungheria, dove i fermenti degli intellettuali e degli studenti e le lotte e le incertezze all'interno degli stessi partiti comunisti al potere si tradussero in rivolte e rivoluzioni popolari d'importanza nazionale, quali la rivolta di Poznam 23 dell'estate 1956 e la rivoluzione ungherese dell'autunno dello stesso anno 24, la prima repressa con l'intervento delle forze armate polacche - che offrirono segnali di allarmante inquietudine per i sovietici - e la seconda con l'intervento dell'armata rossa. Ma mentre nel caso della Francia e della Gran Bretagna il declino della loro posizione di grande potenza era irrimediabile - e Suez ne· fu la più ampia conferma - e il conflitto (o almeno la divergenza) fra l'Occidente e il mondo sottosviluppato continuava ad accrescersi, il sistema comunista riuscì a riacquistare il suo equilibrio alla fine dell'anno ed a conservare una unità almeno apparente nei cinque anni successivi. Le tragedie che si verificarono nel campo delle relazioni internazionali dopo il 1956 furono dovute soprattutto alla necessità dell'U.R.S.S. di contrastare le tendenze centrifughe che esistevano nel proprio sistema, sfruttando in modo sempre più energico il caos crescente e il disordine politico nel mondo sottosviluppato, dovuti del resto in gran parte al declino degli imperi occidentali . La debolezza delle posizioni sovietiche produceva la conseguenza di spingere l'U.R.S.S. ad adottare una politica estera aggressiva. L'impresa di Suez doveva impedire che ci si rendesse pienamente conto del significato dello scoppio della rivoluzione unghere se e de lla repressione che ne seguì; non solo, ma i dirigenti sovietici divennero sempre più ansiosi di trovare nel Medio Oriente 25, a Cuba 26, ecc. dei compensi per il controllo sempre minore che riuscivano a esercitare sul blocco comunista 2 7. A parte che la s pinta espansionista non si sarebbe fermata neppure nel caso che
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l'Unione Sovietica avesse potuto conservare il dominio assoluto sui satelliti di cui aveva goduto ai tempi di Stalin, ci sembra che la sintesi di Adam B. Mam spieghi molto bene il nesso che legò la politica estera sovietica dalla seconda metà del 1956 in poi, secondo una linea di fondo di sostanziale stabilità e continuità, rispondente ad una interpretazione ortodossa, sostanzialmente staliniana, degli interessi imperialistici dell'Unione Sovietica e di quelli espansionistici della rivoluzione comunista. I fatti del 1956 e quelli success ivi consentirono all'Unione Sovietica, nonostate gli errori, di riconquistare completamente ìa posizione di potere precedente e di raggiungere nuovi obiettivi, anche se la crisi polacca e quella ungherese ebbero come conseguenza lo stabilirsi di un diverso tipo di rapporti fra l'Unione Sovietica ed i paesi satelliti. Questi nuovi rapporti costituirono un netto progresso rispetto ai tempi di Stalin, ma non comportarono mai, come era sembrato talvolta possibile nel 1956, una vera indipendenza dei paesi satelliti: una indipendenza che si estendesse anche alle questioni di difesa e di politica estera, che lasciasse sussistere, come unico legame, una ideologia comune ed una certa comunità di interessi ... 28. E qui ci sembra opportuna una qualche anticipazione ed allo stesso tempo un passo indietro. Per l'Unione Sovietica la concezione manichea del bene solo nel comunismo e del male in tutte le altre dottrine è un dogma fideistico che ispira anche la sua politica estera. Guerra calda, guerra fredda, distensione, coesistenza pacifica sono momenti e mezzi di una stessa politica. L'O.N.U. può essere uno strumento talvolta utile, ma la guerra per i dirigenti sovietici, che pure subiscono l'influenza del Clausewitz, non è la continuazione della politica con altri mezzi, ma la condizione permanente tra gli Stati comunisti da una parte e quelli non comunisti o capitalisti dall'altra, come e ssi semplicisticamente classificano tutti i regimi politici e sociali dei paesi che non sono comunisti. I russi sono maestri nel combinare e mettere in atto varie forme non militari di guerra: politica, psicologica, economica. Essi, se la cosa fa loro comodo, danno il loro sostegno a partiti comunisti di altri paesi, fomentano il risentimento contro il capitalismo imperialista, incoraggiano i loro satelliti a combattere la lotta a favore del comunismo mediante l'aggressione e possono addirittura (come avvenne nella lotta russo giapponese s ul confine tra la Manciuria e la Mongolia fra il 1934 e il 1939) scendere in campo essi stessi, pur senza considerarsi impegnati a tutti gli effetti: tutta questa attività che non arriva al livello della guerra totale, è par-
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te di qùella che è stata chiamata guerra fredda 29_ Ed anche, aggiungiamo, è parte della coesistenza pacifica, come i dirigenti sovietici ebbero a fare chiaramente intendere nella conferenza di Ginevra del 1955. Il ricorso alla strategia indiretta è per i sovietici il mezzo necessario alla continuazione della guerra quando l'intervento diretto non sia possibile o conveniente o sia troppo rischioso, come appunto accade nell'era nucleare-spaziale. È scritto nella nuova Costituzione del 1977 che, nonostante la lunghissima gestazione, non ha apportato grandi mutamenti di sostanza a quella staliniana del 1936: tra i vari fini cui è diretta la politica este ra dell'Unione Sovietica, c'è (nell'articolo 28) il consolidamento del socialismo mondiale ed il sostegno alla lotta dei popoli per la liberazione nazionale ed il progresso sociale. Il ruolo, che si associa inevitabilmente alla fisionomia di grande potenza mondiale, comporta perenne scontro o confronto con il mondo occidentale, che ne rappreenta l'antitesi storica e culturale 30_ La distensione, che è. solo una pausa della guerra fredda, trova fondamento nella visione meccanica, nella dottrina a contenuto ideologico che supera i confini del Paese e dello Stato per coinvolgere l'intero pianeta. In tale contesto l'ideologia è il primo pilastro della politica sovietica, quello che in ultima analisi ne giustifica la ragione d 'essere come Stato leader del comunismo mondiale, mentre il secondo pilastro della politica di potenza sovietica è lo strumento militare che rappresenta il prodotto più perfezionato e credibile dell'intero sistema 31. Dal 1956 in poi, fino ai giorni nostri, mediante la ricerca sistematica dell'iniziativa, la scelta appropriata degli obiettivi intermedi, secondo un disegno coerente ed organico, l'Unione Sovietica ha conseguito grandi successi ed è stata presente, direttamente o indirettamente, talvolta dando in appalto le varie imprese, ne lla maggior parte delle guerre limitate e locali, d elle rivoluzioni, dei colpi di Stato e delle sommosse, tendendo costantemente ad estendere la propria influenza a danno dell 'Occidente. Essa ha, spesso, d'iniziativa moltiplicato le aree di conflittualità 32 talché il mondo intero è divenuto teatro di contrasti e le linee strategiche per l'approccio indiretto quasi non si contano più. Si è trattato di una strategia ora prudente, ora azzardata, ma che le ha consentito di ritirarsi, al momento del bisogno, senza perdere la faccia. Non tutta la conflittualità dall'immediato dopoguerra ad oggi è dipesa esclusivamente dall'Unione Sovietica, ma questa ha saputo fare buon uso di tutte le occasioni e bene impiegare il tempo e le distanze secondo il pri nci pio strategico di Napoleone. L'abban-
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dono da parte sovietica di una strategia siffatta significherebbe la rinunzia al principio marxista-leninista della rivoluzione mondiale ed essa non è possibile, o almeno non lo sembra per ora, per cui il ricorso alla strategia indiretta continua ad essere utilizzato fino al limite della soglia nucleare, che i dirigenti sovietici non hanno peraltro nessun desiderio di varcare. Il pericolo è nell'errore di calcolo che essi possono commettere ora che l'esportazione della loro dottrina investe aree essenziali per l'occidente, quali il Medio Oriente e l'America latina.
4. Alla fine della seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti , e le altre poten ze occidentali si affrettarono a smobilitare il più possibile dei loro a pparati milita ri in Europa ed in Asia, fiduciosi nell'opera di sicurezza e di pace c.lell'O.N.U. e supratlutlu furti del possesso della bomba atomica. Il Presidente Harry Spencer Truman, che era succeduto il 12 aprile 1945 a Roosevelt venuto a mancare e che venne riele tto, quale candidato del partito democratico, a lla carica di presidente degli Stati Unì ti nel 1948, dové affron tare durante il lungo mandato decisioni militari molto gravi - dall' impiego della bomba atomica contro il Giappone a quello delle forze armate americane nella Corea del sud - ed operare scelte di politica inte rna ed estera non meno impegnative. Sul piano interno lanciò il programma Fair Dea!, una versione aggiornata ed a ttenuata del New Deal rooseveltiano, me ntre sul piano della politica estera si trovò a dover combattere la prima fase d ella guerra fredda avendo come avversario Stalin. La guerra fredda non fu in'invenzione di Stalin e di Truman, ma l'intreccio di motivi ideologici (avversione ideologica e morale degli Stati Uniti nei confronti del comunismo) e p olitici (l'ur to inevitabile tra gli imperi) conna turali alla dive rsi tà tra due mondi: Stalin, includendo l'Europa orientale nella sfera d'influenza dell 'Unione Sovietica, mirò in primo luogo alla sicurezza, anche se l'operazione obbediva al tempo s tesso a l duplice postulato dell'imperialismo russo e de ll'espansionismo comunista; gli Stati Uniti, da parte loro, valutarono la politica sovietica come espressione di sopraffazione - e lo era - e, come tale, ostacolo reale a ll' espansione del libero mercato mondiale e degli interessi economici americani. Di fronte alla situazione che si venne a creare, Truman decise di
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attuare una politica di contenimento (containment), diretto ed indiretto, dell'espansionismo sovietico, della quale indicò scopi e limiti nella dottrina del marzo 1947 (dottrina Truman) e ne fissò i mezzi di attuazione nel piano Marshall del giugno dello stesso anno. Nella politica di contenimento s'inquadrarono l'efficace risposta che venne data dagli Stati Uniti al blocco sovietico di Berlino del 1948-49 e la stipulazione del Pallo Atlantico del 4 aprile 1949, con il quale per la prima volta nella loro storia gli Stati Uniti strinsero un'alleanza permanente con paesi fuori del continente americano. Dall'isolazionismo all'alleanza atlantica Truman operò un vero capovolgimento storico della tradizionale politica estera americana e da quel momento, come conseguenza dell'ascesa a prima potenza mondiale del paese, gli sviluppi della politica estera degli Stati Uniti - e non solo della politica estera - entrarono a fare parte sostanziale della storia gene rale de ll'umanità e fu rono tutt'uno con le vicende mondiali. La scelta di una politica difensiva - tale fu la politica del contenimento - nonostante il monopolio de ll'arma atomica, fu influenzata da molte motivazioni di ordine morale e giuridico alle quali si sommarono altre di ordine pratico, quali, ad esempio, l'insufficiente conoscenza ùella dottrina di Marx e di Lenin, l'ingenua fiducia di poter conservare per lungo tempo il monopolio atomico, l' inadeguata maturità a svolgere il ruolo di prima potenza mondiale, il timore di una nuova guerra generale totale e la tradizionale repulsa a far ricorso per primi alla forza. Se gli Stati Uniti avessero saputo di più dell'Unione Sovietica e se questa non fosse stata un mistero racchiuso in un enigma 33 forse la scelta avrebbe po tuto essere dive rsa, ma resta il fatto che Truman non esitò a togliere al generale Douglas Mac Arthur 34 il comando delle forze de ll'O.N.U. in Corea, perdendo, secondo alcuni, la grande occa s ione di andare fino in fonde per sconfiggere il comunismo alla radice quando ciò era ancora possibile , rifiutando, secondo altri, l'avventura di un nuovo conflitto di proporzioni mondiali molto probabile qualora gli Stati Uniti avessero impiegato tutte le loro risorse disponibili, inclusa la bomba atomica. Truman non voleva distruggere il comunismo là dove esso era già al potere, ma limitarsi a fermarne l'avanzata utilizzando l'arma atomica come strumento di dissuasione. Che i sovietici sarebbero riusciti ben presto a venire a conoscenza dei segreti atomici avrebbe dovuto essere una previsione di facile congettura e fu puerile pensare il contrario, sia perché è impossibile nazionalizzare
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la scienza, sia perché i dirigenti americani conoscevano l'esistenza delle diffuse reti di spionaggio stese in Occidente ·d all'Unione Sovietica. Il passaggio dalla tradizionale politica di isolazionismo, che contava tuttallora moltissimi sostenitori, a quella di a pertura alle alleanze con i paesi europei fu repentino ed imprevisto e comportò un mutamento profondo della forma mentis degli americani, mutamento che non poté non essere che molto lento. Non in modo diverso procedé il processo conoscitivo dell'influenza della nuova arma sulla politica e sulla strategia, anche perché si conoscevano solo parzialmente gli effetti fisici e biologici delle deflagrazioni atomiche, mentre Truman ed i suoi collaboratori conoscevano che cosa sarebbe stata una nuova guerra mondiale, anche a prescindere dalla bomba atomica, per lo sviluppo che veniva assumendo il progresso tecnologico. Una terza conflagrazione mondiale avrebbe prodotto devastazioni ancora maggiori di quelle del secondo conflitto mondiale appena terminato, le c ui ferite erano ancora tutte da rimarginare. Fallito il tentativo d'internazionalizzare e di porre sotto controllo l'evol uzione atomica e decisa la politica d'isolazionismo atomico mediante l'Atomic Energy Act del 1° agosto 1946 - che pose fine alla collaborazione con il Regno Unito - Truman si sentì ancora di più impegnato e responsabilizzato ad evitare una nuova guerra totale e valutò sufficiente a tale scopo la strategia difensiva del contenimento. Truman, in definitiva, comprese che lo status quo, creatosi subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, non poteva essere alterato nemmeno con la forza, salvo correre il rischio della guerra generale ed egli, che aveva autorizzato con molta disinvoltura la distruzione di Hiroshima e di Nagasaki mediante l'esplosivo atomico, non intese farvi nuovamente ricorso per costringere l'Unione Sovietica entro i suoi confini nazionali abbandonando i paesi dell'Europa orientale soggiogati e rinunziando all'espansione della rivoluzione. Egli si accontentò, pur essendo un anticomunista convinto, di vincere la battaglia difensiva senza spingersi a lla riconquista del terreno perduto. Nessuno può dire con sicurezza quale sarebbe stato l'esito di una battaglia controffensiva, m a non pe r questo sono in errore coloro c he sostengono avere gli Stati Uniti, nella seconda metà degli anni quaranta, stabilizzato prima del tempo la situazione di bipolarità che da allora regola l'intera politica internazionale. A succedere al democratico Truman, il popolo americano chiamò il repubblicano generale Dwight David Eisenhower che, eletto una p rima volta nel 1951 , venne rieletto nel 1955, restando
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così in carica per 8 anni, cioè fino alla fine del I 959. Questi ispirò la sua politica interna ad un conservatorismo illuminista, riuscendo a salvaguardare la prosperità economica del paese malgrado la minaccia di crisi degli anni 1957-58 e cogliendo qualche successo anche nella politica di liberalizzazione dei negri. Nel 1957 non esitò ad inviare le truppe federali a Little Rock per combattere la segregazione scolastica che la popolazione bianca voleva mantenere ad ogni costo. In politica estera il suo primo atto fu, nel luglio 1953, la firma dell'armistizio di Munsan che ristabilì in Corea la situazione modificata dall'aggressione nordcoreana dell'estate del 1950. Egli nei fatti non si discostò dalla politica e dalla strategia di :ontenimento del suo predecessore, nonostante la proclamata volontà di svolgere una politica ed una strategia di liberazione 1liberation) dei paesi satelliti e di spinta all'indietro (roll back) dell'Unione Sovietica. Amante della pace e convinto dell'inconcludenza della guerra fredda, non esitò a tentare la strada della coesistenza pacifica che i successori di Stalin dichiararono di voler anch'essi seguire. Forse scelse male il suo segretario di Stato, che in pratica divenne quasi più potente di lui, perché John Foster Dulles, forse non rendendosi esattamente conto della portata della fine del monopolio atomico americano e neppure della lezione strategica della guerra di Corea, sosteneva la tesi che, pur di mantenere la pace, i paesi devono camminare sull'orlo della guerra. Foster Dulles era uomo di fredda rigidità ideologica e di nessuna duttilità diplomatica. La crociata anticomunista e l'avversione al Fair Deal di Truman da parte di Foster Dulles - che in sostanza, quasi in contrapposizione del presidente, fu più per la guerra fredda c he per la coesistenza pacifica - non impedirono al generale Eisenhower di accettare la conferenza al vertice di Ginevra e la visita di Chruscev negli Stati Uniti del 1959 (quando Foster Dulles non era più segretario di Stato). La politica estera dell'amministrazione Einsehower fu molto meno vivace di quella programmata, ma ebbe peraltro come obiettivi prioritari il rafforzamento degli Stati Uniti in Asia e nel Pacifico, l'appoggio all' integrazione dell 'Europa occidentale, la riabilitazione del Giappone e la creazione di un potente arsenale nucleare che desse credibilità alla strategia della rappresaglia massiccia. Di fronte alla repressione della rivoluzione ungherese, gli Stati Uniti reagirono con molta cautela, m entre poi non esitarono a far intervenir nel luglio 1958 nel Libano i marines, in aiuto del presidente libanese Camille Shamun che si era rivolto loro per mantenere l'ordine. La politica
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estera dell 'amministrazione Einsenhower non fu, dunque, granché diversa da quella dell'amministrazione Truman, almeno nei risultati concreti, e non riuscì ad avviare a soluzione nessuno dei grandi problemi di fondo della pace - Berlino, questione tedesca, disarmo, rapporti degli Stati Uniti con la Cina, Medio Oriente - mentre fu inefficace ai fini del ristabilimento della pace là dove aveva ereditato conflitti già in essere (Indocina e Malesia) e dove se ne svilupparono altri in quegli anni (rivolta del Kenia, Cipro, rivoluzione algerina). Molto dipese anche dal fatto che gli Stati Uniti, in quel periodo, si alienarono la simpatia del terzo mondo per la loro ostentata indifferenza verso i problemi politici e sociali di tali paesi e per la loro ostilità alle tendenze neutraliste che venivano affermandosi nei paesi in via di sviluppo, che già avevano ottenuto o avevano conquistato l'indipendenza. Dove poi l'amministrazione Einsenhower chiuse addirittura in rosso il suo bilancio di politica estera fu nei riguardi della vicina isola di Cuba. L'instaurazione, il 1 gennaio 1959, nella r epubblica di Cuba - Stato indipendente dal 1898, ma sotto la tutela degli Stati Uniti che avevano il diritto, in base al cosiddetto emendamento Platt 35, d 'intervenire direttamente negli affari politici e finanziari della giovane repubblica - di un regime rivoluzionario, l:he venne poi progressivamente spostandosi, fino ad identificarvisi, verso l'Unione Sovietica, non fu un fulmine a ciel sereno. La tempesta maturava da anni sotto le dittature di Gerardo Malehado prima e di Fulgenzio Batista poi, entrambe sostenute dagli Stati Uniti. Cuba dive nne il primo paese marxista-leninista o, se si vuole, socialista dell'emisfero americano per l'abbandono nel quale la popolazione era stata lasciata vegetare per decenni, con le tragiche conseguenze dell'analfabetismo, della miseria e della fame. Fide! Castro trovò l'humus fertile e poté facilmente soffocare nel sangue, con processi e fucilazioni in massa, i tentativi di opposizione alla svolta che egli impresse all'assetto socio-economico del paese. Il primo atto di Castro fu la cancellazione del latifondo e l'avvio di un sistema di proprietà collettiva. Il provvedimento e l'insieme della nuova politica economica e sociale, che in campo internazionale avvicinò Cuba all'Unione Sovietica, colpirono anche gli interessi stranieri e soprattutto quelli degli Stati Uniti con i quali si determinò un attrito sempre più forte, finché nel gennaio 1961, pochi giorni prima di lasciare la carica, il presidente Eisenhower decise di rompere i rapporti diplomatici tra i due governi. Nel primo quindicennio del dopoguerra la politica estera degli Stati Uniti - lasciatisi cogliere di sorpresa dalle prime mosse
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strategiche dell'Unione Sovietica tanto da perdere ai punti la prima fase dello scontro - fu costantemente intonata, di fatto, al principio difensivo del contenimento, nel cui quadro di condotta le iniziative adottate - piano Marshall ed alleanza atlantica - ebbero pieno successo nell'Europa occidentale e nell'area dell 'Atlantico del nord_ Lo sbarramento anticomunista messo in atto arrestò ogni ulteriore passo in avanti dell'influenza sovietica in Europa, nonostante la presenza in alcuni dei paesi occidentali - Italia e Francia - di forti partiti comunisti. Gli Stati Uniti si aggiudicarono in Europa la seconda ripresa del match e da allora la situazione politica si cristallizzò, nonostante alcuni ricorrenti sussulti minacciosi, mentre quella militare andò progressivamente volgendosi a favore dell 'Unione Sovietica. La priorità conferita all'area atlantico-europea, rispetto a quella asiatica e del Pacifico, fu in quel momento una decisione intelligente e remunerativa, una scelta della zona di applicazione dello sforzo difensivo indovinata sollo luLLi gli aspelli, ùa qudlu politico a quello economico. Nell'Asia nord orientale gli Stati Uniti riuscirono a salvaguardare lo status quo della fine della guerra, ma la loro polilica di quasi disconoscimento di paesi grandi ed importanti come la Cina e l'India fu priva di senso del reale. Il più grave errore della politica estera degli Stati Uniti in quegli anni fu senza dubbio la mancanza d ' incisività di una linea di condotta consona al ruolo di prima potenza mondiale assunto alla fine della guerra. L'impreparazione a recitare la parte di protagonista, o quanto meno di comprimario, fu evidente in molte circostanze anche se, occorre aggiungere, i dirigenti americani non furono sufficientemente a iutati, quando addirittura non furono ostacolati, come avvenne, ad esempio, nell'autunno 1956 a Suez, dai loro alleati occidentali. In occasione del blocco di Berlino e dell 'aggressione dei nordcoreani, gli Stati Uniti furono all'altezza del loro compito, ma altrove, ed in particolare a Cuba durante i quattro anni della rivoluzione di Fide} Castro, commisero errori ed omissioni d' impostazione e di condotta assai gravi. dai quali derivarono a loro stessi ed all'occidente - e non solo a questo, ma quasi a tutto il resto del mondo - conseguenze dolorose e pericolose. Basti pensare all'indifferenza della loro politica nei riguardi del continente africano. Essi ebbero, in sostanza, una visione troppo angusta e ristretta della loro parte e soprattutto non approfondirono sufficientemente i segni dei tempi, restando troppo ancorati ad impostazioni e
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schemi superati che non potevano risolve re i nuovi problemi. L'era nucleare-spaziale aveva reso la politica un mare vastissimo ed aveva moltiplicato le forme della strategia per cui le risposte alle tante ed importanti nuove domande non si trovavano scritte nei libri del passato. La coerenza della politica estera sovietica e la continuità e stabilità di condotta dei dirigenti di Mosca avrebbero dovuto facilitare ed accelerare il processo intellettivo dei tempi nuovi, perché l'Unione Sovietica era rimasta fideisticamente fedele alle teorie ottocentesche di Marx ed a quelle di Lenin, le quali, d'altra parte, tenevano ancora meno conto della nuova realtà. Mancò, insomma, agli Stati Uniti la capacità d'inventare una con trostrategia efficace da opporre alla strategia indiretta. La risposta della rappresaglia massiccia aveva senza dubbio, indipendentemente dalla sua progressivamente decrescente credibilità, un'efficacia dissuasiva notevolissima, ma solamente ai fini di evitare lo scontro diretto. Era peraltro priva di ogni valore, anche nel periodo del monopolio o della assoluta superiorità atomica americana, contro la strategia indiretta. La contromanovra di salvaguardia dello status quo, affidata esclusivamente alla forza delle armi, non era inoltre sufficiente perché lasciava troppi spazi liberi all 'iniziativa sovietica, che non avrebbe, invece, trovato respiro qualora gli Stati Uniti avessero agito per coprire i vuoti con una grande controffensiva sociale ed economica diretta ad eliminare arretratezze culturali, inumane condizioni di sottosviluppo, regimi dittatoriali e feudali che invece continuarono ad appoggiare o ad ignorare.
5. L'Europa occidentale fu la prima, dopo la fine della guerra, a sentirsi minacciata molto da vicino dalla politica di Stalin e la prima a cercare di ricorrere ai ripari mediante un impegno di difesa comune che venne sanzionato con la firma del Trattato di Bruxelles, il 17 marzo 1948, in coincidenza dei fatti di Cecoslovacchia. Francia, Inghilterra e Benelux (Belgio, Olanda, Lussemburgo) decisero di unire le loro forze militari per fronteggiare la minaccia sovietica, ponendole sotto il comando del maresciallo Montgomery 36 che installò il suo quartier generale in Francia, a Fontainebleau. Fu il primo passo verso un'organizzazione militare unitaria, ma risultò subito evidente ch e i mezzi messi insieme dai
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cinque Stati non sarebbero stati in nessun caso sufficienti al perseguimento dello scopo, se non mediante il sostegno degli Stati Uniti che soli avrebbero potuto coprire il divario determinatosi alla fine della guerra tra l'Europa occidentale e l'Unione Sovietica. Gli Stati Uniti, da parte loro, mediante il piano Marshall, venivano già contribuendo in misura determinante alla ripresa economica dell'Europa occidentale, alla cui indipendenza, autonomia e buona salute economica erano direttamente interessati. Da qui l'impegno preso dal governo di Washington, il giorno stesso della firma del trattato di Bruxelles, di appoggiare tutti gli sforzi che l'Europa libera avesse fatto per la propria difesa. La piena partecipazione degli Stati Uniti ad un sistema comune di difesa impose una vera e propria alleanza militare fin dal tempo di pace alla quale, come abbiamo già rilevato, era contraria la tradizione politica americana, aliena da ogni legame politico-militare con gli Stati europei; una tradizione fortemente radicata nella coscienza nazionale di quel popolo. Ma il senato degli Stati Uniti non esitò a mettere da parte la tradizione e ad operare una vera e propria rivoluzione della politica estera approvando, l'll giugno 1948, con 64 voti favorevoli e 4 contrari, la risoluzione proposta dal senatore Vendenberg con la quale si autorizzava il governo ad associarsi agli accordi di difesa che avessero potuto contribuire alla sicurezza del paese. Subito dopo ebbero inizio i negoziati fra i 5 Stati del trattato di Bruxelles e gli Stati Uniti e il Canadà per l'elaborazione di un patto di alleanza al quale furono invitati a partecipare l'Italia - non senza forti obiezioni trattandosi di uno Stato exnemico - l'Islanda, la Danimarca, la Norvegia, il Portogallo. Il 4 aprile 1949 i rappresentanti dei 12 paesi firmarono a Washington il Patto Atlantico o North Atlantic Treaty Organization (N.A.T.O.) che entrò in vigore, dopo la ratifica da parte dei parlamenti degli Stati firmatari, il 24 agosto dello stesso anno 37. Il 28 ottobre 195 I ne entrarono a far parte la Grecia e la Turchia e nel 1955, dopo la firma degli accordi di Parigi del 23 ottobre 1954 38, anche la Repubblica federale della Germania. Il Patto Atlantico non fu l'unica alleanza contratta dagli Stati Uniti con paesi fuori del continente americano. Ad essa fecero seguito nel 1954 l'alleanza del sud-est asiatico o South-Est Asia Treaty Organization (S.E.A.T.O.) e nel 1956 l'alleanza del Medio Oriente o Middle East Treaty Organization (M.E.T.O.) ricostituita poi nel 1959 come Centrai Treaty Organization (C.E.N.T.O.) 39_ Delle tre alleanze ,l'unica ad esercitare nel prosieguo del tempo un ruolo prioritario stabile fu quella atlantica che, nonostante le crisi che
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dové successivamente superare 40, le difficoltà incontrate, i sussulti ai quali ogni tanto venne sottoposta, restò il baricentro della politica occidentale per tutti gli anni cinquanta e successivi fino ai giorni nostri. La N .A.T.O. ebbe carattere meramente difensivo 41 e, sebbene sorta da uno stato di necessità, riunì paesi ideologicamente e culturalmente vicini, democrazie pacifiche ed aliene da mire espansionistiche territoriali, Stati decisi a difende re i valori fondamentali di libertà e di giustizia sui quali essi poggiano i propri ordinamenti e ad evitare di cadere sotto un nuovo totalitarismo non meno spietato e distruggitore di quelli annientati con la guerra. L'adesione dei vari Stati all 'alleanza fu e resta un atto di libera scelta e di autonoma decisione nazionale, senza nessuna costrizione se non que lla del timore di cadere vittima dell'espansionismo sovietico. La N .A.T .O. fu, ed è , diversa dalle alleanze militari , di vecchio tipo perché si basa sull'affinità ideologica dei suoi membri e perché include forme di cooperazione politica ed economica che superano quella strettamente militare. È altresì diversa perché mantiene in piedi fin dal tempo di pace un insieme di organi civili e militari funzionanti costantemente sotto l 'egida del Consiglio dell'allt!anza, che ne è l'organo supremo, dove sono presenti come Stati sovrani tutti i firmatari del patto. Nel consiglio gli Stati sono rappresentati da uno o più ministri - ministro degli affari esteri, della difesa, delle finanze, degli affari economici, ecc. - che si riuniscono generalmente due volte l'anno sotto la presidenza del segretario generale e che hanno i loro rappresentanti permanenti, con il rango di ambasciatori, presso la sede stabile del Consiglio al fine di consentire la continuità e l'immediatezza del potere decisionale del Consiglio stesso. Nel dicembre del 1957 il Consiglio si riunì per la prima volta a l livello dei capi di governo. All'organizzazione militare sovrintende il Comitato militare costituito dai capi di stato maggiore della difesa dei paesi membri, presieduto a turno per un anno da uno dei capi di stato maggiore dei vari paesi che si succedono secondo l'ordine alfabetico inglese. Per assicurare la continuità di funzionamento del comitato militare, ciascun capo di stato maggiore nomina un suo rappresentante permanente, il quale, nell'intervallo tra le riunioni del comitato, tratta le varie questioni da risolvere, eccettuate quelle che debbono essere necessariamente sottoposte, per la loro delicatezza e importanza, agli stessi capi di stato maggiore. Le forze militari assegnate alla N.A.T.O. fin dal tempo di
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pace dipendono da un comando unico che ha un proprio stato maggiore internazionale - Supreme Headquarters Allied Powers in Europe (S.H.A.P.E.) - al quale fanno capo operativamente le varie articolazioni di comando subordinate e le forze che queste inquadrano dislocate in Europa. L'Unione Sovietica che volle interpretare la N.A.T.O. come un patto di aggressione rivolto contro di essa e una violazione della Carta dell'O.N.U. - che invece prevede le alleanze regionali decise in contrapposizione di formalizzare le relazioni già esistenti con i paesi comunisti dell'Europa orientale mediante un'alleanza politico-militare più stretta e comunitaria che venne concretata a Varsavia il 14 maggio 1955, prendendo il nome di Patto di Varsavia 42_ Di tale alleanza entrarono a far parte tutti i paesi a regime comunista dell'Europa orientale e balcanica ad eccezione dell'Albania e della Jugoslavia. Le forze milita ri del patto vennero riunite sotto un comando unico retto da un generale sovietico. La differenza di fondo tra le due alleanze fu, ed è, che le nazioni del patto di Varsavia sono veri e propri satelliti che debbono necessariamente orbitare intorno all'astro sovietico e non sono libere né di modificare i loro regimi interni né tanto meno di uscire dall'alleanza, in base alla teoria della sovranità limitata che sarebbe più appropriato chiamare della libertà vigilata. Uomini politici illuminati e grandi statisti - Alcide De Gasperi, Luigi Einaudi, Randolfo Pacciardi, Carlo Sforza, Robert Shuman, Jean Monet, Konrad Adenauer, Paul Henry Spaak e molti altri ebbero subito chiaro e nitido il nuovo panorama politico che la seconda guerra mondiale aveva determinato e furono coscienti che i poli della politica internazionale si erano spostati da Londra, Parigi, Berlino e Roma a Washington e Mosca. Essi individuarono con altrettanta immediatezza che, per contare, l'Europa avrebbe dovuto unificarsi. Veri statisti, come tali ricchi d'immaginazione, di realismo, di concretezza, di senso e d'intuito strategico, essi si resero conto delle difficoltà esistenti nell'imboccare la via diretta, tanto più gravi in quel momento per le recentissime esperienze della guerra, che per tre volte in 75 anni si era ripetuta tra la Germania e la Francia, e scelsero la strada dell 'approccio indiretto, ideando la costituzione di una Comunità Europea di Difesa (C.E.D.) che, unificando le forze armate dei singoli Stati, avrebbe di per sé comportato un primo temperamento della sovranità nazionale ed avrebbe inciso parallelamente ed affrettato il processo di unificazione politica 43. Prima ancora della C.E.D., vi erano stati altri
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tentativi di approccio indiretto mediante la costituzione della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (C.E.C.A.)44, alla quale avrebbero dovuto far seguito una Comunità europea dell'energia nucleare (EURATOM) 45 e una Comunità economica europea (C.E.E.) 46. Nella seconda metà degli anni quaranta vi erano molte, anche se non tutte, le condizioni favorevoli perché l'idea Europa vecchia di secoli - cominciasse a diventare un edificio da costruire, sia pure lentamente, secondo un modello nuovo, che avrebbe avuto in quel momento accoglienza favorevole da parte di paesi stremati dal conflitto ed alla ricerca disperata di sicurezza e di benessere dopo tanti anni di sacrifici, di rinunzie, di lutti. Dal 1948 al 1954, dalla nascita dell'Unione economica del Benelux, prese l'avvio il processo di ricerca dell'unificazione politica attraverso la creazione dell'Organizzazione europea per la cooperazione economica (O.E.C.E.), del Consiglio europeo (articolato in un Comitato dei rappresentanti dei governi, in un'Assemblea consultiva e in un Segretariato), della Comunità del carbone e dell'acciaio e la firma di due trattati: uno per la creazione di una Comunità politica europea (C.P.E.) e una per quella delJa Comunità europea di difesa (C.E.D.). Il rifiuto della ratifica di questo u ltimo trattato da pane dell'Assemblea nazionale francese, con uno scarto di 10 voti, segnò in pratica la sospensione di tutti i lavori di costruzione del nuovo edificio. Il fallimento della C.E.D. non scoraggiò però l'ardore degli europeisti che, nella conferenza di Messina del 1955, fermo restando l 'obiettivo finale dell'unificazione politica, prepararono i Trattati di Roma, firmati poi appunto in Roma il 25 marzo 1957 dal Belgio, Fra ncia, Repubblica federale della Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e in forza dei quali ebbe vita la Comunità Economica Europea (C.E.E.) che entrò formalmente in funzione il 1° gennaio 1958. Vedremo più avanti la storia tormentata degli organismi unitari europei e come questi nel tempo, anzichè fortificarsi e convalidarsi, perde ranno gradatamente di consistenza, si burocratizzeranno e si degraderanno in lotte intestine per la difesa ad oltranza di interessi nazionali egoistici, tanto che l'allargamento della C.E.E. ad altri paesi aumenterà, anzichè diminuire, la conflittualità intestina tra le economie complementari ed ancora più tra quelle concorrenziali. Negli anni cinquanta l'Europa occidentale perse l' autobus e s'imbarcò su di una diligenza che fin dal primo momento cominciò a procedere lentamente e faticosamente, a sobbalzi, arrancando più che marciando. Sarebbe molto semplicistico far ricadere esclusivamente sulla mancata ratifica francese
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dell'accordo C.E.D. le responsabilità del fallimento dell'unificazione europea. È indubbio che si trattò di un colpo duro, ma ci sembra poco attendibile e probabile che la ratifica unanime della C.E.D. da parte dei parlamenti interessati sarebbe stata sufficiente ad aprire la strada all'unificazione politica. La verità è che l'Europa intera, non solo la Francia, non seppe interpretare i tempi e non comprese appieno l'importanza del contenuto innovatore dell'evento che avrebbe obbedito ad una ragione pratica, oltre che storica e spirituale, di carattere politico, militare, sociale ed economico, e che sarebbe stato potenzialmente capace di segnare un corso diverso delle vicende mondiali della seconda metà del secolo XX, nonché di costituire un vero e proprio spartiacque tra il passato ed il futuro.
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Il periodo compreso tra la seconda metà degli anni quaranta e l'intero decennio degli anni cinquanta ebbe come elemento caratterizzante l'inizio dell' era nucleare-spaziale. L'evento impedì il ritorno alla normalità, dopo una guerra devastatrice durata poco meno di sei anni, in quanto acuì la difformità di interessi fra le potenze vincitrici e, in particolare, tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, i due nuovi imperi mondiali ostili, come tutti gli imperi del passato, l'uno l'altro ed in più diversi e contraddicentisi sotto tutti gli aspetti, da quello ideologico e spirituale a quello politico- socio-economico e militare. A questo ultimo riguardo esisteva tra i due imperi un equilibrio assai instabile: l'Unione Sovietica era una grande potenza continentale, il cui esercito era ipoteticamente in condizioni di occupare l'intera Europa; gli Stati Uniti avevano la possibilità di distruggere, con i loro bombardieri e missili vettori di ordigni atomici, i principali gangli industriali e demografici dell'Unione Sovietica, mentre erano relativamente invulnerabili - e lo furono fino agli ultimi anni cinquanta - ad una rappresaglia sovietica. Gli Stati Uniti, inoltre, possedevano una potente forza navale e potevano estendere il loro potere su gran parte del mondo, dove venivano frattanto dissolvendosi gli imperi coloniali europei. Essi disapprovavano l'esistenza degli imperi coloniali europei, ma al tempo stesso temevano che i vari paesi potessero cadere sotto il controllo dell'Unione Sovietica, come accadde, ad esempio, nel 1954 per il Vietnam del nord. La politica estera di Stalin si manifestò
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subito come un misto di imperialismo e di marxismo anche là dove rispondeva soprattutto a motivi di sicurezza. Sia Stalin ed i suoi successori, sia i dirigenti de lla politica americana guardarono al mondo nell'ottica di un possibile scontro armato tra le due parti e cercarono perciò d i elevare a l massimo la loro rispettiva efficienza militare. La reciproca minaccia deter minò la guer ra fredda che fortunatamente e fortunosamente non divenne mai calda, nonostante la indiscutibile superiorità americana, ed alimentò un live llo costante di tensione che non solo frus tò ogni tentativo di risolvere i problemi de lla pace, ma de tte origine ad uno stato di incubo genera le che le conferenze, i viaggi e gli incontri non riuscivano ad attenuare. La minaccia comunista indusse l'Occidente ad unirsi costituendo ne l 1949 una forza militare dife nsiva integra ta alla quale l 'Unione Sovietica oppose, nel m aggio 1955, il Patto di Varsavia che fu sì una ri sposta a lla N .A.T.O., in cui era già entrata an che la Repubblica federale di Germania, ma anche il mezzo per potenziare il blocco comunista, già in vita dalla seconda metà degli anni quaranta, con più strette ed organiche relazioni. Il blocco di Berlino spinse gli Stati Uniti a da re priori tà a lla difesa de ll 'Europa ed a formalizzare la divisione della Germania, creando la repubblica federale tedesca, operazion e alla quale la Francia, nel r iesame della su a politica tradizionale, dovette acconsentire. La priorità conferita all'Europa non impedì però alla politica americana di diventare più a ttiva anche in Asia e nel Medio Oriente. La vittoria comunis ta de l 1949 in Cina risvegliò l'a ttenzione degli Stati Uniti e il presidente Truman non esitò ad invia re, a protezione del governo nazionalista di Taiwan, la 7 3 flotta americana subito dopo lo scoppio della guerra in Corea. In realtà durante i qui ndici a nni vi furono diversi momenti in c ui la terza guerra mondiale fu assai vicina a scoppiare e furono attuate da ll 'una e da ll'altra pa rte mosse piene di rischi , ma nessuna di queste ultime, pur alimentando gli incubi, fu va lutata meritevole di uno scontro a rmato diret to fra le due superpotenze. La guerra fredda fece da sfondo a lle guerre limitate di quegli anni, tutte più o meno collegate al conflitto est-ovest, m a la contesa fra le due superpotenze si mantenne al livello della minaccia, della propaganda e dello spionaggio. Sul piano tecnico-militare le guerre limitate e le azioni di forza sviluppatesi durante i primi quindici anni del dopoguerra esercitarono un'influenza determinante sull 'evoluzione della strategia, della ta ttica e degli ordinamenti. La guerra civile in Cina dal luglio 1946 oppose due strategie diverse e due eserciti ancora più
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profondamente diversi. Le forze nazionaliste o del Kuomintang, pari a circa 3 milioni di uomini, ricercarono il controllo di tutte le vie di comunicazione del nord e del sud, dallo Yangtze Kiang a Pechino ed alla grande muraglia, nell'intento di frazionare le armate comuniste dell'esercito di liberazione del popolo e di spingerle ad ovest per poi distruggerle. Le forze comuniste, pari a circa un milione di uomini, puntarono, da parte loro, ad espandersi verso est, dalla provincia dello Shaanxi al mare cinese, per tagliare il paese in due. Le forze nazionaliste, inizialmente (1946) superiori nel rapporto di almeno 3 ad 1 rispetto a quelle comuniste e soprattutto assai meglio armate ed equipaggiate con materiali americani (fucili, artiglierie fino al calibro 155, automezzi), uscirono sconfitte dal lungo scontro - che ebbe i suoi momenti culminanti nella battaglia vinta dalle forze comuniste per la conquista di Changchun e di Shenyang e per l'occupazione del nodo ferroviario di Xujhou - sul piano politico e su quello militare per una lunga serie di motivi di ordine vario dei quali ci limitiamo ad elencare i principali. A monte degli avvenimenti bellici del quadriennio 1946-1949 vi erano l'esperienza di guerriglia accumulata dalle forze di Mao Tse-tung dal 1940 al 1945 nel contesto dei dieci princìpi 47 e l'impostazione ideologica e politica conferita alla lotta dallo stesso Mao durante il periodo di riflessione coincidente con quello della coalizione del partito comunista cinese con il Kuomintang negli anni 1924-27. Mao aveva dato, fin da tali anni, grande importanza alla natura politica della guerra del popolo, conferendo grande rilievo all'indottrinamento dei capi ed accentuando l'assunto fondamentale della direzione proletaria della Tivoluzione, vale a dire la preminenza assoluta del partito comunista. Mao aveva sottolineato che la guerriglia, così impostata, aveva in sé valore strategico tale da poter assicurare la sconfitta finale dell' avve rsario. La guerriglia maoista era stata una guerra strategica, non tattica. I procedimenti della guerriglia erano noti ed erano stati utilizzati da tempo immemorabile, ma Mao aveva insegnato che essi senza il supporto di una chiara strategia politica sarebbero stati insufficienti al conseguimento della vittoria finale. Dopo il fallimento dei passi compiuti alla fine della seconda guerra mondiale, anche dagli Stati Uniti, per l'unificazione del paese con mezzi pacifici e democratici, nel luglio 1946 le ostilità tra Chiang e Mao ripresero in tutta la Cina segnando l'inizio della guerra civile globale. Questa non fu più uno scontro tra guerriglia e controguerriglia, ma tra due eserciti impegnati in una gu erra avente quasi i
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caratteri delle guerre tradizionali, l'uno armato dagli Stati Uniti, l'altro dall'armata sovietica in Manciuria, dal bottino di armi giapponesi catturato nel nord e nel centro della Cina alla fine della seconda guerra mondiale e da armi cinesi-americane via via recuperate durante l'offensiva strategica del 1947 perché abbandonate dalle forze nazionaliste in rotta. Alla fine della guerra civile i 20 mila uomini sopravvissuti alla lunga marcia del 1927-1935 erano diventati un esercito di 4 milioni di soldati, la maggiore forza militare di tutta l'Asia, capaci di condurre una brillante guerra di movimento. Ciò fu possibile prima di tutto per il carattere popolare e nazionale che il partito comunista aveva saputo conferire alla lotta, per l'eccellente impostazione e condotta politica e strategica delle operazioni, per le insufficienze e gli errori di Chiang Kai-shek e per la scarsa convinzione dei soldati nazionalisti. Le truppe di Chiang erano malcomandate perché i migliori ufficiali erano caduti durante il conflitto cino-nipponico degli anni 1937-45 nel numero di oltre 100 mila; erano scarsamente addestrate in quanto avevano poco tempo per impratichirsi delle armi e dei mezzi forniti loro dagli Stati Uniti dopo la fine della seconda guerra mondiale; erano state disperse e frazionate per occupare nel 1946-47 le città della Manciuria <love rimasero immobilizzate. L'errore di disperdere le forze in Manciuria non fu il solo. Chiang chiuse nelle città della Cina del nord e della Manciuria gran parte delle sue forze impegnandole in una guerra di posizione che, in quella situazione, non avrebbe mai potuto vincere e rifiutò l'alternativa strategica, suggeritagli dagli Stati Uniti, di riunire le forze a sud dello Yanktse. Inoltre egli volle dirigere direttamente le operazioni da Nankino, lontano dai campi <li combattimento, e conservare una rigida struttura centralizzata di comando non sostenuta da collegamenti rapidi ed efficienti. Le sue interferenze, durante le battaglie decisive del 1948, sui comandi locali ed il conseguente impiego a spizzico delle divisioni accelerarono il crollo finale delle sue forze, che avevano da tempo perso la cieca fiducia riposta inizialmente in lui, si erano andate via via assottigliando a causa delle numerose diserzioni, erano ridotte ad un livello morale bassissimo per la confusione generale a mano a mano crescente nell'intero paese. L'aver tradito i principi strategici della massa e della concentrazione degli sforzi, specialmente in territorio già di per sé dispersivo delle forze, fu, dunque, un errore fatale per Chiang, la causa delle cause della sua sconfitta, ma questa dipese anche da una pessima condotta delle operazioni e ,
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prima ancora, dalla debolezza morale, politica e tecnica dell'esercito nazionalista. La guerra civile greca degli anni 1945-49 si concluse, invece, con la sconfitta della guerriglia. I fattori determinanti di tale sconfitta furono gli errori strategici compiuti dai comunisti, ma soprattutto i massicci aiuti americani al governo legittimo di Atene e la progressiva diminuzione dell'appoggio fornito alla guerriglia dagli Stati comunisti confinanti. La preparazione alla ripresa della guerriglia, cessata agli inizi del 1945 per l'intervento dei soldati inglesi, venne effettuata dai comunisti nel periodo successivo (1946) e già nel 1947 le forze dell'esercito democratico greco (D.S.E.) ammontavano a circa 23 mila uomini, con una riserva di altri 8 mila uomini in addestramento oltre frontiera. L'arrivo di un gruppo di consiglieri militari americani e dei primi rifornimenti al governo del re Giorgio, rientrato in Grecia dopo un plebiscito a lui favorevole, nel settembre 1946, costrinse il partito comunista ad accelerare i suoi programmi. Costituito un libero governo democratico greco il D.S.E. tentò la conquista di Konitsa per fame la sede del nuovo governo in te rritorio greco. L'operazione fallì, ma il 1948 fu un anno di alterne vicende tra l'esercito regolare e la guerriglia che estese le sue azioni dalla montagna alle zone popolate, uccidendo filogovernativi, rastrellando nuove reclute e deportando oltre frontiere più di 10 mila bambini sotto i 10 anni. Fu questo il primo errore di strategia politica commesso dai comunisti che si alienarono le simpatie di tutto il mondo e andarono incontro a misure più severe da parte del governo nazionale. Quando nel 1949 il maresciallo Aléxandros Papagos 48 fu nominato comandante in capo dell'esercito nazionale, con assoluta libertà d'iniziativa nell'impiego delle forze, la situazione volse ben presto a sfavore dei comunisti che, agli altri errori di comportamento, aggiunsero quello strategico di sostituire i metodi propri della guerriglia con quelli della guerra tradizionale, costituendo grandi unità combattenti e decidendo di difendere le loro basi invece di ritirarsi di fronte a forze preponderanti. L' usc ita della Jugoslavia da l blocco sovietico privò gradatamente il D.S.E. del più valido sostegno fino ad allora goduto e quando, nel . 1949, il maresciallo Tito chiuse definitivamente al D.S.E. la frontiera concorse ad accelerare la vittoria del maresciallo Papagos ormai già quasi scontata. Il generale Papagos, nella lotta contro il D.S.E., utilizzò inizia lmente il minimo delle forze per contenere i comunisti entro le loro basi montane, mentre si preoccupò subito della distruzione delle reti
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d'informazione e delle forme di controllo dei comunisti sulle popolazioni e concentrò il grosso delle sue forze nel Peloponneso che, nella primavera 1949, venne completamente liberato. Subito dopo egli portò la sua offensiva nelle zone centrali del paese e nell'agosto lanciò un attacco contro le basi comuniste del monte Vernon. I comunisti decisero di difendersi con i metodi tradizionali della guerra di posizione e l'insistere su di una strategia inadatta o quanto meno prematura segnò la loro sconfitta finale. Alla metà di agosto i resti del D.S.E . furono in rotta ed alla fine del mese la guerra civile ebbe il suo epilogo. Se la guerriglia perde l'appoggio popolare, se - diversamente da quanto fece Mao - si trasforma prematuramente, cioè prima del momento della maturazione dei tempi, in guerra impostata e condotta secondo la strategia e la tattica degli eserciti regolari, diventa vulnerabile e destinata alla lunga alla sconfitta. La guerra di Corea, come già accennato, influì moltissimo sull'evoluzione strategica e tattica. Il primo fattore che giocò a favore dei nordcoreani fu la sorpresa. L'aggressione si sviluppò lungo quattro direttrici: una verso l'ovest, una lungo il corridoio che adduce alla capitale Seul, la terza contro le montagne centrali, la quarta lungo la costa orientale contemporaneamente ad uno sbarco a sud del 38° parallelo. La situazione divenne subito critica per la Corea del sud e nonostante l'arrivo dal Giappone di tre divisioni statunitensi - peraltro stanche per il lungo soggiorno in Giappone ed insufficientemente armate ed equipaggiate - fu quasi un miracolo che le poche unità sudcoreane ancora integre e le forze dell'O.N .U. riuscissero ad arrestare l'avanzata nordcoreana sulle posizioni a sud e ad est del fiume Nag<long formando il perimetro fortificato dal campo trincerato di Pusan, dove tennero duro e respinsero l'offensiva nordcoreana di settembre. Passate alla controffensiva ed effettuato uno sbarco anfibio ad Incheon sulla costa occidentale, le forze dell'O.N.U. tagliarono le linee di rifornimento dei nordcoreani che furono costretti a rititarsi ed in ottobre riattraversarono il 38° parallelo e si diressero verso il fiume Yalu, al confine con la Cina. Fu allora che, quasi inaspettatamente, i volontari del popolo dalla Cina entrarono in scena e sommersero le forze dell'O.N.U. costringendole a ritirarsi a sud del 38° parallelo. Il generale Matthew Banker Ridgway 49, nuovo comand.ante dell'8 3 armata degli Stati Uniti in Corea, riuscì a mantenere la situazione sotto controllo fino a quando fu in grado di costringere alla ritirata i nor<lcm·eani ed i cinesi già obbligati a fermarsi, sia per il
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massiccio intervento del fuoco della difesa, sia per essersi troppo allontanati dalle basi logistiche. Il presidente Truman volle limitare la guerra al territorio coreano e proibì al generale MacArthur di attaccare obiettivi in Cina. Nell'aprile 1951 il generale Mac Arthur venne allontanato e due mesi più tardi ebbero inizio le trattative per un armistizio, mentre le operazioni ristagnavano a cavallo del 38° parallelo. Una delle poche operazioni brillanti della guerra di Corea fu senza dubbio lo sbarco di Incheon, effettuato il 15 settembre 1950, ideato e voluto dal generale Mac Arthur che riuscì a strappare il consenso del comitato dei capi di stato maggiore inizialmente molto scettico sull'operazione. Questa, più che su di una stretta valutazione dei fattori militari, si basò sulla intuizione del generale Mac Arthur, come egli stesso ebbe a dichiarare nella conferenza del 23 agosto presso il suo quartiere generale di Tokio ai suoi collaboratori ed ai rappresentanti del comitato dei capi di stato maggiore che gli venivano opponendo tutte le nume rose difficollà che l'uperaziune avrebbe pululu implicare. Malgrado l'affrettata preparazione, l'operazione ebbe pieno successo e raggiunse, secondo le modalità ed i tempi previsti, tutti gli obiettivi voluti. Il 22 settembre venne riconquistata Seoul ed i resti demoralizzati dell'esercito nordcoreano si ritirarono, dopo che il 26 settembre era avvenuto il ricongiungimento dei vari contingenti americani sbarcati. La guerra di Corea fu una guerra convenzionale, che si espresse con battaglie aventi caratteristiche diverse da quelle della seconda guerra mondiale. In una prima fase fu guerra di movimento, nella seconda fase fu una guerra di trincea, non senza che anche durante tale fase avvenissero da entrambi le parti combattimenti di entità considerevole ch e miravano a logorare il nemico, a migliorare le situazioni tattiche locali, ad acquisire mezzi di scambio da utilizzare successivamente nelle trattative. Di tali combattimenti, i più noti furono quelli che si svolsero nella zona di sicurezza in corrispondenza delle colline Pork Chop (braciola di maiale) e di Old Baldy (vecchio calvo), dove gli attacchi ed i contrattacchi per il possesso di Park Chop assunsero un interesse politico ed anche addirittura strategico, che la posizione non meritava, per il fatto di essere condotti in zona di sicurezza e per la scarsa importanza tattica e topografica. La fase di stallo costò, peraltro, alle due parti perdite maggiori di quelle subite nel primo movimentato e drammatico anno di guerra. Una delle differenze maggiori, rispetto alla seconda guerra mondiale, riguardò l'impiego dei carri armati. In Corea vennero impiegati da parte delle forze
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dell'O.N.U. carri medi M4A3E8, M26 Pershing e M46 Patton e da parte delle truppe nord-coreane e cinesi soprattutto carri sovietici T34/85 so, mai a massa, ma o come mezzi d'urto negli attacchi in cooperazione con la fanteria o come mezzi di fuoco di arresto nelle azioni difensive. Le aspre montagne, gli angusti passi ed i campi di riso allagati limitarono notevolmente l'impiego dei carri, ma nel primo anno di guerra - fase di movimento - i carri recitarono un ruolo importante nelle avanzate e nelle ritirate. Durante tutta l'avanzata a sud verso Pusan i nordcoreani impiegarono i loro carri quasi sempre con la medesima tattica: i carri avanzavano lungo una strada o pista in colonna, uno dietro l'altro, e si dirigevano direttamente sulle posizioni tenute dalle fanterie nemiche, superandole e giungendo alle loro spalle; contemporaneamente la fanteria superava le posizioni nemiche su entrambi i fianchi e si riuniva con i mezzi corazzati alle spalle del nemico in modo da precludergli ogni possibilità di ritirata. I carri facevano fuoco mentre attraversavano le posizioni nemiche per L:ausare il massimo disordine e panico. Questi procedimenti, che avevano ottenuto buoni risultati anche contro le unità sudcoreane, furono impiegati contro le truppe americane e inglesi al loro arrivo al fronte, in luglio e agosto 51_ ·Gli americani giunsero in Corea con pochi carri armati e soprattutto con fanterie insufficientemente dotate di armi controcarri. Quando vennero assegnati i bazooka da 88 mm, la fanteria riuscì a mettere fuori combattimento un buon numero di carri T34/85. Alla fine del settembre 1950 i nordcoreani avevano perduto 239 carri, mentre le forze delle Nazioni Unite ne avevano perduti soltanto 60. La guerra di Corea pose, appunto, in primo piano le questioni dell'a rmamento controcarri della fanteria e dell'addestramento alla caccia dei carri. Un'ulteriore riflessione indotta dalla guerra di Corea è quella della relazione tra uomini e mezzi: nella prima fase, le forze nordcoreane, numericamente superiori e meglio equipaggiate ed armate, sopraffecero con il numero ed i mezzi le truppe sudcoreane; poi le artiglierie, i carri armati e gli aerei delle forze dell'O.N.U. ebbero ragione dei nordcoreani; in un terzo tempo, le grandi masse cinesi, modestamente armate ed equipaggiate, misero in fuga le forze dell'O.N.U.; in un quarto tempo, e durante la intera seconda fase della guerra, la massiccia potenza di fuoco di cui disponevano consentì alle forze dell' O.N.U. di avanzare verso nord e di distruggere sistematicamente le difese cinesi. Alla fine, dunque, la potenza del fuoco sopraffece il numero, ma fu una vittoria di stretta misura 52_
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La maggiore vittoria della guerriglia negli anni cinquanta fu quella riportata in Indocina (Vietnam - già Cocincina, Annam e Honchin - Laos, Cambogia) dove, quando la Francia, dopo la seconda guerra mondiale, inviate le sue forze per riprendere iJ controllo del suo vecchio possedimento, si scontrò con l'organizzazione nazionalista e comunista di Ho Chi Minh che negli anni trenta aveva fondato il partito comunista indocinese e, nella prima metà degli anni quaranta, aveva riunito i vari movimenti nazionalisti per combattere l'occupazione giapponese nel Viet-nam Doc Lap Dong Minh Hoi (lega per l 'indipendenza del Vietnam) o Vietminh. Il consigliere militare di Ho Chi Minh, Vo Nguyen Giap 53, al ritorno dei francesi, ritirò le truppe regolari del governo nazional-comunista nella capitale del Tonkino, Hanoi, tra le montagne del nord-est e nelle paludi a sud del delta del fiume Rosso, concentrando le in basi sicure. Le ostilità vere e proprie ebbero inizio nell'inverno del 1950, dopo circa quattro anni dal ritorno dei francesi. La guerra del Vietminh ricalcò, in formato ridotto, la guerra condo tta in Cina da Mao Tse tung. Ma fin dal 1946-47 Ho Chi Minh e Giap avevano organizzato le basi politiche e militari della lo tta, suddividendo tutta l' Indocina in regioni od interzane, ciascuna controllata da un comitato dipendente direttamente da Ho Chi Minh , che ridussero poi a quelle interessanti i territori nord-occidenta li e nord-orientali del Tonc h ino, il delta del fiume Rosso, il nor d ed il sud dell'Annam e la Cocincina. Elemento di base de ll'organizzazione militare era la milizia di villaggio reclutata tra la gente delle interzone controlJate dai comunisti. I m embri della milizia, una volta indottrinati e a ddestrati, venivano spesso trasferiti nelle truppe regionali, controllate dai . comitati di zona, le quali erano una specie di forze te rritoriali responsabili della protezione dei territori delle interzone ed incaricate de lle azioni di guerriglia. Vi erano poi le forze regolari (60 battaglioni inquadrati in 6 divisioni), un esercito di tipo tradizionale, destinate ad affrontare le forze francesi in campo aperto e bene armate con materiale giapponese, cinese e francese (catturato). Il Vietminh non dis poneva di forze nava li ed aeree, ma contava sull'appoggio della Cina, che costituiva il retroterra e la base dei rifornimenti dell' intera organizzazione militare di Giap. Il Vietminh seguiva le teorie della guerra rivoluzionaria di Mao Tse tung: conquistare terreno per guadagnare tempo, utilizza re il tempo per mobilitare la volontà politi ca del popolo. La lotta per la conquista del potere doveva passare a ttraverso tre fasi: preparazione e costituzione di area di base sicura, guerriglia a puntura di
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spillo per abbattere il morale del nemico e costringerlo a disperdere e frazionare le forze, guerra aperta secondo i metodi tradizionali. Alla base della guerriglia le infiltrazioni e le imboscate. Non tutto andò sempre per il meglio per il Vietminh che conobbe insuccessi e sconfitte - tavolta per il prematuro passaggio, come avvenuto in Grecia, dalla guerriglia alla guerra aperta - ma le contromisure francesi, valide per la lotta in campo aperto, dove la superiorità militare francese si fece molto spesso sentire, non valsero ad evitare la sconfitta fina le segnata dalla resa del campo trincerato di Dien Bien Phu che i francesi avevano scelto per la costituzione di una base aereo-terrestre - un punto di appoggio - per condurre incursioni nelle retrovie del Vietminh. Dien Bien Phu, dove la battaglia venne condotta da entrambe le parti con forze regolari e secondo i procedimenti tradizionali dell'attacco e della difesa, fu per i francesi una sconfitta in campo aperto, ma in realtà il corollario di una serie di errori e di deficienze politico-milita ri da loro compiuti fiQ dal momento del ritorno in Indocina. La Francia o, meglio, i capi politici e militari francesi avevano affrontato la guerra in Indocina come se si fosse trattato di reprimere una delle tante ribellioni delle colonie verificatesi nel passato. Essi si erano trovati, invece, a dover fare fronte ad una guerra di nuovo tipo alla quale erano del tutto impreparati. A Dien Bien Phu fallì un piano militare, le cui lacune considerate a posteriori sono evidenti: Dien Bien Phu dista da Hanoi 275 Km; è un terreno estremamente difficile, isolato, vulnerabile; il rifornimento aereo non vi poteva essere garantito per lo sch ieramento delle armi contraerei cinesi; le forze ed i mezzi francesi non erano sufficienti per rendere inespugnabile la vallata; le forze del Victminh furono sottovalutate; il fuoco di artiglieria francese ottenne scarsi risultati sulle forze nemiche appostate sulle colline circostanti; le stesse fortificazioni per il loro eccesso finirono con il rendere più vulnerabili i vari caposaldi. Ma i francesi avevano già perduto la guerra per averne insufficientemente va lutato l'aspetto politico e per averne impostato la condotta strategica e tattica secondo schemi inadeguati a togliere al Vietminh, che la conservò per la maggior parte della guerra, l'iniziativa. La superiorità tecnica non era valsa per imporsi ai metodi propri di una rivoluzione comunista. Vi fu, dunque, da parte francese una limitatezza di vedute politiche e militari nei riguardi dell'intero problema indocinese, aggravata dall'impopolarità della guerra in Francia e dalla instabilità dei governi della terza repubblica. Questi ultimi interferirono ripetutamente con
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remore e limitazioni, tra le quali quella della composizione del corpo di spedizione solamente con elementi a lunga ferma o volontari. Le unità di fanteria francesi erano dotate del normale armamento e di mezzi semicingolati per gli spostamenti rapidi, appoggiate da reparti corazzati (M3 Sherman, M24 Chaffee, autoblindo), sostenute da artiglierie (cannoni da 75 e 105, obici da 155, mortai da 120) e da unità del genio. I reparti paracadutisti comprendevano battaglioni di fanteria, gruppi di artiglieria e unità del genio, ma dipendevano per il trasporto e per i rifornimenti dalle forze aeree. Gli aerei da trasporto erano insufficienti. Per l'appoggio ai reparti terrestri furono impiegati largamente i bombardieri B-26 Marauder, i caccia F8F Beareat, gli apparecchi da ricognizione Morane 500 Cricket, i bombardieri ed i caccia della marina Privateer e F4U Corsair ed i primi elicotteri americani. Furono inviate in Indocina anche truppe coloniali di altre zone dell'Unione francese ed elementi della legione straniera, venne arruolato anche personale vietnamita che costituì l'armata nazionale del Vietnam sotto comando francese e furono costituite unità locali antiguerriglia, che non vennero però mai impiegate per la scarsa fiducia che si riponeva in loro. Nel maggio 1953 le forze francesi erano pari a 189 mila uomini circa (54 mila francesi, 20 mila legionari, 30 mila nordafricani, 70 mila vietnamiti, 10 mila soldati dell'aeronautica e 5 mila marinai), ma 100 mila erano immobilizzati in difese statiche e presidi. La tattica della macchia d'olio - occupazione di punti chiave da allargare progressivamente mediante azioni locali offensive - assorbì molte forze e mezzi nella difesa statica (linea di presidi per la difesa esterna), riducendo la disponibilità delle forze mobili. Queste, oltre ad essere insufficienti, ricorrevano ad una tattica inadeguata: legate alle strade, perché derivavano la loro mobilità dai veicoli, erano facile preda delle imboscate e non erano idonee alla guerra nella giungla. Così, quando la battaglia aperta tanto ricercata ebbe finalmente luogo a Dien Bien Phu, il morale francese, specialmente in patria, era già logorato. Le scarse informazioni sulle capacità del Vietminh venivano ignorate dai comandanti pieni di fiducia; la dipendenza tecnologica rendeva inadeguati i sistemi di rifornimento; l'assegnamento sul supporto aereo crollò di fronte ai mezzi contraerei comunisti. In tali circostanze la vittoria del Vietminh, politica e militare, era del tutto inevitabile 54. Uno dei punti di grosso vantaggio, per il Vietminh, fu la logistica sostenuta da un'ottima organizzazione nel retroterra cinese dal quale giungevano indisturbati i rifornimenti che, una volta in territorio vietna-
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mita, venivano smistati con autocarri che muovevano di notte. Nel 1953 il Vietminh disponeva di 600 autocarri, quasi tutti Molotovas forniti dall'Unione Sovietica. La distribuzione dei rifornimenti fu effettuata anche da portatori a piedi ed in bicicletta disponibili in larghissima misura, capace ognuno di portare 20 chilogrammi' se appiedato, 70 se con bicicletta. Le forze francesi, invece, dipendevano dalla lontana madrepatria e spesso i rifornimenti giungevano in ritardo od in quantità insufficienti; esse inoltre dovevano utilizzare per gli smistamenti o la via terra o quella fluviale; estremamente vulnerabile il trasporto aereo, per il quale non esistevano mezzi quantitativamente sufficienti e qualitativamente adeguati (vennero utilizzati per la maggior parte della guerra i vecchi Junker Ju-52 e solo nell'ultima fase i capaci C-47 e C-119 americani). Favorita da una situazione gene rale assai diversa da quella della Francia in Indocina, la Gran Bretagna uscì vincitrice dalla emergen za in Malesia quando il partito comunista malesiano tentò, con inizio dal giugno 1948, di assumere il controllo del paese. L'armata di liberazione delle razze malesi (A.L.R.M.), figliata dal partito comunista cinese riconosciuto nel 1945 come partito politico legale dal governo inglese, era costituita in elevatissima percentuale dai cinesi immigrati fin da prima dell'occupazione giapponese della Malesia, cioè da stranieri diversi per razza e religione, ed aveva come obiettivo dichiarato l'indipendenza del paese già promessa dagli inglesi che, del resto, l'avevano già concessa all' India, al Pakistan ed alla Birmania. L'organizzazione nazionale della Malesia unita (O.N.M.U.), nella quale i comunisti non riuscirono a penetrare appunto perché in maggior parte costituita da cinesi, si raccolse intorno al governo sicura che prima o poi gli inglesi avrebbero concesso l'indipendenza. La lotta dei comunisti fu perciò palesemente una lotta per il potere. La risposta che gli inglesi dettero alla violenza ed alle prime azioni di guerriglia dei comunisti fu prima di tutto di carattere politico. Essi ricorsero a leggi e misure di emergenza molto efficaci, eguali per tutti, gestite dai tribunali ordinari, anche se la decisionè ultima di trattenere o rilasciare gli indiziati apparteneva al governo. Gli inglesi misero in atto una struttura mista, civile e militare, a tutti i livelli, fino ai distretti, con compiti e responsabilità ben definiti: tra i compiti, quello della costruzione di nuovi villaggi per raccogliere i 500 mila cinesi abusivi sparsi nel paese; crearono un efficiente servizio informazioni ed un'altrettanta efficiente organizzazione di guerra psicologica; aumentarono notevolmente le forze di polizia che
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risultarono di due terzi superiori a quelle dell'esercito (90 mila uomini di polizia rispetto a 30 mila dell 'esercito); costituirono la milizia territoriale di villaggio. Quando nel 1951 il governatore, s.ir Henry Gurney, cadde ucciso in un'imboscata, lo sostituirono con il generale, poi maresciallo, sir Gerald Templer 55, il quale, abbinando doti eccellenti di comandante militare e di uomo politico, in tre anni riuscì a sconfiggere i comunisti. Egli annetté grande importanza alla conquista del cuore e della mente della gente e basò su tale convinzione la sua azione di governo, dimostrando di voler proteggere la popolazione, garantendo benefici sociali ed economici attraverso le normali s trutture amministrative, persuadendo all'ordine ed alla pace sociale e combattendo seriamente la corruzione. Si adoperò a favore della riconciliazione, incoraggiò la formazione di un partito di alleanza sotto la guida di Tunku Abdul Rahaman che raccolse l'O.N.M.U., l'associazione cinese-malesiana e il congresso malesiano e promise ulteriore benessere sociale ed economico. Nel 1955 alle elezioni l'alleanza ottenne una vittoria schiact:ìante ed il partito comunista, cacciato dalle zone popolate, fu costretto a disperdersi in gruppi nella giungla che, poco pe r volta, vennero annientati od obbligati alla resa per fame. Il 31 agosto 1957 l'Indonesia ottenne l'indipendenza ed il 12 luglio 1960 fu proclamata la fine dell'emergenza. -In Malesia la giungla, che in un primo tempo era stata il punto di forza della guerriglia, alla fine ne fu la tomba. L'A.L.R.M. aveva costituito le sue basi logistiche ed i suoi campi di addestramento nella giungla, accessibile solo mediante le piste della selvaggina ed i corsi d'acqua navigabili con canoe; dalla giungla, che oltretutto rendeva difficilmente individuabili anche dagli aerei le loro strutture, essi erano in grado di avvicinarsi a qualsiasi obiettivo, senza essere visti, per portare a compimento imboscate e azioni di forza contro abitati ed installazioni milita ri, mentre le forze governative non potevano avvicinarsi ad esse e tanto meno pene trarvi senza fare rumore, dando così modo ai guerriglieri di potersi sottrarre trasferendo altrove la base individuata o, se questa fosse stata attaccata e distrutta, di costruirne subito un'altra in una zona diversa. I guerriglieri dovevano però necessariamente rifornirsi nei villaggi ed erano perciò costretti ad utilizzare le poche piste ed i pochi sentieri esistenti. Gli inglesi, attraverso il loro servzio informazioni, venivano a conoscenza sia dei villaggi che fornivano i viveri ed il s upporto logistico sia delle strade che venivano utilizzate e adottarono anche es si la tattica delle imboscate, servendosi di stratagemmi vari, tra i quali i lunghi
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appostamenti silenziosi che resero aleatori tutti i movimenti dei guerriglieri. Respinta dalle zone abitate, con sempre maggiori difficoltà di rifornimento a causa delle misure d'impenetrabilità adottate utilizzando le forze di polizia nei villaggi, vulnerabile alla tattica flessibile delle unità dell'esercito incaricate della difesa esterna dei villaggi e della reazione alle imboscate, la guerriglia dové a poco a poco rinchiudersi nel folto della giungla separando le forze in piccoli gruppi, non più numerosi di una squadra, e combattere per la sopravvivenza anziché per molestare le forze governative. I segreti del grande successo inglese in Malesia furono, dunque, in primo luogo la saggia e misurata politica di conquista della popolazione, in secondo luogo l'impostazione della lotta, da ultimo l'efficacia della tattica di controguerriglia adottata. Un'altra guerra di cui è necessario dare un cenno fu quella di Israele contro l'Egitto, iniziatasi il 29 ottobre 1956 in concomitanza con le operazioni effettuate dall'Inghilterra e dalla Francia per riguadagnare il controllo del canale di Suez. Per l'Inghilterra e la Francia la campagna di Suez, osteggiata da quasi tutte le Nazioni Unite, con in testa gli Stati Uniti, fu soprattutto un fiasco politico umiliante, che ebbe come conseguenza la fine del potere europeo sul Medio Oriente, mentre dal punto <li vista militare il piano adottato, d 'impostazione inglese e assai diverso da quello suggerito dai francesi, mancò della rapidità di effettuazione indispensabile in quella situazione per evitare che ne venisse soffocata l'attuazione dal deterioramento della situazione politica. Non altrettanto si può dire della campagna israeliana nel Sinai conclusasi vittoriosamente per Israele, anche se la vittoria fu notevolmente favorita dalla ritirata egiziana dalla penisola, ordinata dal presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, per fronteggiare l'invasione dell'Egitto da parte delle forze anglo-francesi. L'esercito israeliano, armato in gran parte con materiale che risaliva alla seconda guerra mondiale, era di rapida mobilitazione, composto in maggioranza da riservisti, bene addestrato ed orientato ad agire di sorpresa e d'iniziativa. Era previsto che la campagna nel Sinai sarebbe cominciata con un'in· cursione di paracadutisti alla quale avrebbe fatto seguito un attacco terrestre. Se questa prima fase avesse avuto successo, sarebbe stata effettuata un'offensiva con azione principale contro il concentramento di forze egiziane nella zona di Aba Aweigila; successivamente sarebbe stata sviluppata un'azione contro la striscia di Gaza per distruggere le basi della guerriglia; infine sarebbe stata conquistata la base di Sharm el Sheikh con un attacco su due direzioni
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lungo le coste occidentale e orientale del Sinai. L'esercito egiziano era dotato di armi inglesi ed americane della seconda guerra mondiale ed anche di armi ed equipaggiamenti sovietici (carri T34 e cannoni SUlOO, nonché di qualche velivolo M.G.). Il piano d'impiego prevedeva la tenuta di forze notevoli vicino alla frontiera, con il grosso ad ovest del canale, e faceva assegnamento sulla capacità difensiva della fanteria e dell'artiglieria. L'Egitto non aveva voluto accettare il consiglio di disporre un leggero velo di forze lungo le frontiere e di concentrare la fanteria sui passi montani del centro, perché secondo gli egiziani era necessario guardare bene tutta la frontiera per impedire le incursioni israeliane. Le forze terrestri contrapposte che vennero impegnate nel Sinai quasi si equilibravano, mentre gli israeliani disponevano di forze aeree più che doppiç (130 aerei contro 60). Il 29 ottobre, poco prima del tramonto, un battaglione paracadutisti israeliano prese terra sullo sbocco orientale del passo di Mitla, mentre il resto della brigata, occupato il posto di frontiera di el Kuntilla, proseguì via terra verso il passo ùi Mitla, che raggiunse la tarda sera del giorno 30. Il giorno 31 l'intera brigata tentò di attraversare il passo, ma non vi riuscì. Frattanto l'attacco alle posizioni di Aba Aweigila aveva trovato ostacoli, ma una brigata corazzata aveva raggiunto la posizione ed era riuscita a circondare la posizione stessa che, attaccata di nuovo per due volte di fronte, resisté. Una brigata israeliana di fanteria, il 31 ottobre, cominciò a concentrarsi a el Kuntilla per dirigersi su Sharm el Sheikh. Nello stesso giorno l'attacco israeliano su Rafah, tra Gaza ed el Arish, venne arrestato dalla difesa egiziana. La mattina del 1° novembre Nasser ordinò la ritirata, ma frattanto erano cadute le difese di Rufah, mentre era fallito un altro attacco israeliano contro Aba Aweigila. Il 2 novembre le forze aeree israeliane non dettero tregua alle colonne egiziane in ripiegamento. Nella stessa giornata Aba Aweigila, abbandonata dagli egiziani, venne occupata dagli israeliani; vi fu uno scontro di carri nelle vicinanze di Bir Gifrgala dal quale gli egiziani si sganciarono ripiegando sul canale; gli israeliani conquistarono nel nord el Arish e proseguirono lungo la strada costiera fino a 16 chilometri dal canale; una brigata di fanteria israeliana attaccò Gaza che, dopo qualche resistenza da parte di una brigata palestinese, cadde nelle mani israeliane. Dal 3 al 5 novembre l'attività si ridusse e l'unica operazione importante fu la conquista di Sharm el Sheikh da parte di una brigata paracadutisti e di una brigata di fanteria israeliane. Il 7 novembre entrò in vigore il cessate il fuoco ed un co~tingente di 6000 uomini
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dell'O.N.U. fu incaricato di controllare il rispetto della tregua ed il ritiro delle forze israeliane. Degli insegnamenti che si poterono trarre dalla brevissima guerra israeliana-egiziana del 1956, i più importanti furono la conferma delle priorità delle forze mobili paracadutisti e carri armati - e della tuttalJora validità delle concezioni offensive e delle armi della seconda guerra mondiale. Per Israele la guerra ebbe due risultati positivi: la cessazione delle incursioni arabe, l'aumento di fiducia del paese nelle proprie forze armate. Ebbe anche una terza conseguenza positiva solo a metà: il capo di stato maggiore dell'esercito israeliano, generale Moshe Dayan 56 - che era stato l'artefice della preparazione militare del suo paese e che aveva trasformato l'esercito da strumento meramente difensivo in una potente macchina anche offensiva, con una propria dottrina d'impiego e con un particolare sistema di mobilitazione e ordinativo - scettico fino ad allora sull'importanza delle unità corazzate e che aveva considerato i carri quasi esclusivamente come mezzi di appoggio per la fanteria, si ricredè e dalla fine della guerra dette priorità assoluta alla costituzione di molte brigate corazzate, trascurando la fanteria e l'artiglieria che, invece, specialmente da parte egiziana, avevano svolto un ruolo determinante. I cenni tracciati sulle principali operazioni militari del periodo 1945-1959, ancorché sommari e lacunosi, oltre che non comprensivi di tutte le campagne combattute in quegli anni, sono sufficienti a mettere in rilievo che: là dove la guerra si espresse nella forma tradizionale di scontro tra opposte forze armate regolari, non vi fu nessun mutamento significativo delle concezioni strategiche e t a ttiche e degli ordinamenti validi nell'ultima fase della seconda gu erra mondiale, a meno di un certo ridimensionamento circa l'impiego delle grandi unità corazzate e per contro di un'esaltazione del ricorso a unità corazzate minori del livello divisionale e dell' utilizzazione dei carri armati quali mezzi di sostegno della fanteria; là dove la guerra assunse la forma di guerriglia o la forma combinata di guerriglia e di impiego di forze regolari, la superiorità tecnologica non fu sufficie nte ad assicurare il successo, anzi, talvolta, fu d'intralcio, quando non anche origine della sconfitta. Il problema più difficile da risolvere fu per molti eserciti la guerriglia, ovvero la strategia e la tattica per combatterla efficacemente. Gli eserciti che si trovarono a doverlo risolvere dettero generalmente l'immagine di un gigante assalito all'improvviso da un nuvolo di vespe velenose. La strategia e la tattica tradizionali uscirono quasi ovunque per-
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denti, sia perché la guerriglia prima che tecnico è problema politico, sia perché non è tanto la potenza del fuoco dei carri armati e delle artiglierie che la può annientare, quanto la forza di resistenza morale e fisica, la mobilità tattica delle formazioni di controguerriglia, l'addestramento individuale al combattimento ed al tiro, la flessibilità dei piccoli e grandi reparti, la destrezza, l'abilità consumata nell'inganno, l'inventiva dei capi e dei gregari e, fast but no least, la convinzione profonda e persuasa della giustizia della causa per la quale si combatte. D'altra parte, perché la guerriglia possa avere ragione dell'apparato di polizia e militare che le si oppone, ha assoluto bisogno di una forte convinzione morale e di un'efficiente organizzazione politica, dell'appoggio della popolazione, del sostegno logistico che le garantisca il rifornimento di viveri, di vestiario e di munizioni. Quando questo ultimo le venne a mancare, come in Grecia, o non fu mai significativamente disponibile, come ne ll'Indonesia , la gue rriglia soccombelle. Se la guerriglia dispone di santuari inaccessibili od inviolabili pe r motivi politici o per altre ragioni - come accadde in Cina e in Indocina - non corre grandi rischi d'insuccesso, perché può agire, per tempi lunghi: un fattore, il tempo, che è quasi sempre a suo favore.
7. I primi quindici anni della nuova era furono coperti dalla nube dell' incertezza che sempre si accompagna ine luttabilmente ai grandi sconvolgimenti determinati da nuove scoperte. La scoperta dell'ene rgia nucleare e del volo umano nell'infinità dello spazio supe rò, per portata e in dimensioni, tutti i progress i scientifici e tecnici del passato. La disponibilità delle armi nucleari e dei missili aprì alla politica ed alla strategia orizzonti igno ti ed insospettati. Gli uomini, compresi i capi politici e militari e gli s tes~i sc ienziati, tardarono a comprendere il vero significato dei tempi nuovi ed in luogo di rinunziare per sempre alla guerra, che stava diventando sinonimo di autodistruzione delle società organizzate, minarono alla base l'organizzazione internazionale c he avevano ideato per il mantenimento della pace e della sicurezza dei popoli. I nuovi imperi dettero inizio, in ragione delle profonde diversità spirituali, ideologiche, morali socio-politiche e di sistema economico che li dividevano, alla gara del braccio di ferro. La sfida partì dall'Unione
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Sovietica e dal comunismo - occorre non dimenticarlo - che in quel periodo erano i più deboli ed appunto per questo motivo i più inclini a fare la voce grossa. La complessità della nuova era divenne subito più pericolosa a causa delle ideologie, i cui aderenti si sentono sempre dalla parte del diritto e pongono l'avversario sempre dalla parte del torto. Non importa se l'Unione Sovietica agì all'inizio più per motivi di sicurezza che non per il potere materiale, se Stalin si preoccupò più di creare un cuscino protettivo intorno alle frontiere del suo paese che non di occupare una base di partenza per 1a espansione successiva, resta il dato di fatto che né Stalin, né i suoi successori, che lo lasciarono di nuovo chiaramente far intendere a Ginevra, rinunziarono all'obiettivo marxista-leninista della rivoluzione mondiale. La guerra fredda fu nella realtà della nuova situazione europea ed asiatica. La risposta degli Stati Uniti fu di carattere difensivo ed improntata a grande prudenza nei riguardi sia del blocco di Berlino sia dell'aggressione alla Corea del sud, due avvenimenti che portarono il mondo sull'orlo di una nuova conflagrazione mondiale. Gli Stati Uniti si accontentarono di salvaguardare lo status quo determinatosi negli ultimi anni quaranta, accettando di fatto la satellitizzazione dei paesi dell'Europa orientale e balcanica ed il trionfo del comunismo in Cina. Peccarono d'ingenuità nel credere di poter conservare a lungo il monopolio atomico, d'imprevidenza politica ed anche economica nel sostenere la dittatura di Batista y Zaldivar a Cuba fino al 1958 con la conseguenza di portare i comunisti sull'uscio di casa, d'insipienza nel restare indifferenti, talvolta addirittura ostili, di fronte al grande processo di decolonizzazione in Asia ed in Africa, che avrebbero dovuto invece sostenere ed appoggiare anche a costo di alienarsi la simpatia di qualche potenza occidentale. Si dimostrarono pronti, prudenti e coraggiosi ad un tempo, nei loro interventi a Berlino, in Corea ed in Libano. Quando il 14 luglio 1958, un sanguinoso colpo di stato di sinistra depose la monarchia hascemita nell'Iraq, nell'area del patto di Baghdad 57, reagirono con immediatezza, insieme con gli inglesi, sbarcando lo stesso giorno i marines in Libano, mentre i paracadutisti inglesi vennero lanciati su Amman in aiuto del re di Giordania Husayn. Sul piano tecnico-militare, delle considerazioni già esposte va sottolineata quella del grande dilemma posto fin dall'inizio dell'avvento della nuova era, tra la rinunzia all'impiego delle armi nucleari e perciò alla guerra e l'autodistruzione delle società
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organizzate. Nessuna delle due superpotenze - neppure gli Stati Uniti che forse avrebbero potuto farlo in quel periodo senza gravissimi danni - ricorse all'impiego delle nuove armi, ma entrambe non poterono impedire che l'inizio della nuova era coincidesse con quello di un periodo di terrore per loro stesse e per il resto dell'intera umanità. Da quel momento lo stato di non guerra tra le due superpotenze poggiò sull'equilibrio del terrore. La strategia indiretta sopraffece quella diretta ed il ricorso alle guerre limitate, alle rivoluzioni, alla guerriglia, alle aggressioni per procura, alle armi psicologiche ed economiche, ecc. divenne il mezzo ordinario di lotta tra est ed ovest, non volendo e non potendo, se non con il rinnegare sé stesso, il comunismo rinunziare alla distruzione dei paesi cosidetti capitalisti. Il possesso delle nuove anni, pur costituendo una forte tentazione nelle mani di chi ha per obiettivo il dominio assoluto del mondo - Chruscev ebbe a dichiarare che avrebbe potuto distruggere la Germania occidentale con otlo bombe all'idrogeno - ebbe fin d'a llora un potentissimo potenziale dissuasivo, ma non tale dal trattenere da forme di guerra diverse. L'Unione Sovietica, nella seconda metà degli anni quaranta e negli anni cinquanta, giocò più volte d'azzardo, prima bluffando e poi con elevate atout in mano, e quasi sempre le andò bene o, quanto meno, si alzò dal tavolo senza perdere il prestigio di abile giocatrice. In realtà essa poté utilizzare senza vincoli la strategia indiretta nelle varie forme, scansando la risposta della rappresaglia massiccia. Non altrettanto poterono fare gli Stat i Uniti per non contraddire sé stessi, il loro sistema, che inibisce il ricorso alla guerra offensiva. In più essi non erano preparati per fronteggiare la strategia indiretta e quando vi si provarono lo fecero in modo maldestro od in ritardo o comunque in situazioni già compromesse (es. Indocina). Quando talvolta si mossero, vincendo il loro puritanesimo ideologico, raccolsero d'altra parte un profluvio di dissensi dai loro stessi alleati. Come alla guerriglia non si può opporre che una controguerriglia che poggi su di una dottrina, su forze, su ordinamenti e armi diversi da quelli della guerra intesa nel senso tradizionale, così alla strategia indiretta non si può rispondere che con una controstrategia che utilizzi gli stessi mezzi: iniziativa, sorpresa, rapidità, sicurezza - questa intesa come capacità di prevenire l'avversario - principi che valgono nella guerra tradizionale ed in tutte le altre forme di lotta, nella strategia diretta e in quella indirett~, come pure nella controstrategia. Il ricorso alla strategia ed alla controstrategia
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indiretta rende difficile distinguere l'aggressione dalla difesa dall'aggressione, ma è evidente che in un mondo che basa i rapporti sulla logica della forza, le armi della strategia - che non sono solo quelle che uccidono, ma anche quelle ideali, psicologiche, politiche e diplomatiche e soprattutto economiche - vanno utilizzate per prevenire le conflittualità, senza attendere i fatti compiuti. L'inizio della nuova era segnò una linea di tendenza inversa a quella che le avrebbe dovuto essere connaturale sul piano del senso comune. In luogo di ridurre le armi convenzionali, ne moltiplicò il numero ed i tipi e ne elevò le prestazioni fino quasi all'incredibile; anzichè abolire quella nucleare e porre sotto controllo internazionale la nuova energia, la nuova era dette il via ad una gara per venire in possesso delle armi nucleari ed aumentarne la potenza, il numero e la precisione. Delle nuove armi le superpotenze fecero uno strumento di reciproca dissuasione, ma al tempo stesso non dichiararono fuori servizio le vecchie armi, che continuarono ad impiegare nelle guerre limitate e locali, favorendone l 'ulteriore sviluppo e perfezionamento. Si può dire che l'inizio della nuova era lasciò tutto sommato indifferenti gli uomini che continuarono a preoccuparsi della misurazione dei valori dei parametri della guerra, piuttosto che mettersi a riflettere su quelli della pace. Sarebbe stato difficile pensare che avrebbe potuto essere l'inverso, perché Lutto era cambiato o stava per esserlo, eccetto l'uomo, più o meno rimasto eguale ad Adamo. Non vi fu esperto che non riconoscesse che l'enorme costo finanziario delle nuove armi e di quelle convenzionali sarebbe andato a gravissimo detrimento dello svilllppo culturale, economico e sociale di tutti e che non fosse convinto che una nuova guerra, sia pure convenzionale, avrebbe imposto un tasso di logoramento altissimo di vite umane e di materiale bellico e che le difficoltà, se non l'impossibilità, di colmare le perdite sarebbero state enormi. La prima guerra convenzionale combattuta su vasta scala, dopo il secondo conflitto mondiale - la guerra di Corea - dimostrò che gli stessi Stati Uniti non avrebbero potuto sopportare, per un periodo di tempo indefinito, l'onere di una serie di guerre di contenimento attorno alla periferia dell'Unione Sovietica. La guerriglia si dimostrò quasi più costosa della guerra degli eserciti regolari, perché senza l 'appoggio di un esercito regolare raramente ottenne effetti decisivi. La dottrina di Mao sulla guerriglia, la cui strategia ebbe il suo primo vero banco di prova nel Vietnam dove fu vittoriosa, venne inseguita e diffusa in tutto il mondo ed affascinò i movimenti nazionali d'indipendenza ed i
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movimenti insurrezionali rivoluzionari, ma non sempre si rivelò quella formula magica sostitutiva della guerra tradizionale, nonostante i successi ottenuti. Là dove la popolazione non era omogenea, non esisteva un sufficiente stato di malcontento, non vi era un certo livello di coscienza politica, la guerriglia fallì. Eppure di tutte queste lezioni di strategia militare né le s uperpotenze né gli altri Stati si resero bene conto. I conflitti locali rischiarono di essere la causa scatenante di una terza guerra mondiale; la logica della pace, in verità più difficile, sottile e delicata di quella della ·guerra, non riuscì ancora a prevalere.
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NOTE AL CAPITOLO XLVII 1
Radford Arthur, (1896-1973) ammiraglio statunitense. Esperto di portaerei, dopo una lunga attività nell'aviazione navale, operò nel Pacifico prendendo parte alle battaglie di Jwo-Jima e di Okinawa. Nel dopoguerra ebbe il comando della flotta del Pacifico e partecipò alla campagna di Corea. Dal 1953 al 1957 fu presidente del comitato dei capi di stato maggiore. 2 La dichiarazione nota come Carta Atlantica sancì sul piano formale la fine della neutralità statunitense ed enunciò otto principi comuni alla politica nazionale degli USA e della Gran Bretagna sui quali essi fondano, si legge nella Carta, le loro speranze di un avvenire migliore per il mondo: rinuncia dei due paesi firmatari a ingrandimenti territoriali, opposizione a mutamenti non conformi ai voti liberamente espressi dai popoli interessati, diritto di tutti i popoli a scegliersi la forma di governo preferita, accesso in condizio ni di parità fra vincitori e vinti al commercio e alle materie prime. collaborazione più completa nel campo economico, stabilimento di una pace che assicuri agli uomini di tutti i paesi migliori condizioni di vita. libera navigazione s ui mari per tutti, disarmo delle nazioni che allentano alla pace, come premessa all'instaurazione di un sistema di sicurezza collettiva. 3 Il proposito della istituzione di un sistema intcrstatale di sicurezza colle ttiva espresso nella Carta atlantica venne ribadito nella Dichiarazione di Washington emessa <la 26 Nazinni Unite il I gennaio del 1942. La progettazione della nuova organizzazione ebbe inizio, dopo la conferenza di Mosca, 19 ottobre - 1 novembre del 1943 (Stati Uniti, Unione Sovietica, Gran Bretagna, Cina). In tale conferenza venne s tabilita e accettata l'istituzione del principio di sicurezza collettiva, il cui sistema organizzativo e funzionale venne studiato durante il 1944 a Washington dalle delegazioni statunitense, sovietica, ing lese e cinese. Le proposte delle riunioni conclusive di Washington dell'ottobre· 1944 vennero completate e approvate durante la conferenza di Jalta del febbraio 1945 da Roosevelt, Stalin e Churchill c he, tra l'altro, deliberarono il diritto di veto dei 5 grandi in seno all'istituendo Consiglio di sicurezza, un diritto che prnticamente ren<l..:va inoperante ogni decisione che non avesse riscosso l'approvazione di lutti i 5 grandi. Dal 25 aprile al 26 giugno 1945 si riunì la Conferenza di San Francisco, a lla quale parteciparono 51 Stati per l'approvazione della Carta delle Na zioni Unite, testo costituzionale della nuova organizzazione che entrò in vigore il 24 ottobre dello stesso anno. L'organizzazione avrebbe dovuto perseguire le seguenti finalità: attuazione del principio di uguaglianza nell'attdbuzione dei diritti agli individui; enunciazione e tutela dei diritti dell'uomo; vigilanza s ull'osservanza delle norme di diritto internazionale fondate sulla giustizia; promozione del progresso sociale, del tenore di vita dei popoli e della libertà individuale; repressione dello spirito di intolleranza e di aggressività; comunione di sforzi per il mantenimento de lla pace e per la sicurezza collettiva; preclusione dell'uso della forza annata da parte degli Stati, salvo nel comune interesse; definizione delle istituzioni e delle procedure internazionali dirette a incrementare il progresso economico e sociale di tutti i popoli. Gli organi principali d ell'ONU sono sei: Assemblea generale, costituita d a lle delegazioni di tutti gli Stati membri, che s i riunisce annualmente o in sessioni speciali ed ha una
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competenza generale su tutte le questioni rientranti nei fini dell'organizzazione, a meno che non si tratti d i una controversia o situazione pericolosa di cui si stia già occupando il Consiglio di sicurezza: Consiglio di Sicurezza, costituito di 15 membri di cui 5 permanenti (USA, URSS, Regno Unito, Cina, Francia) e 10 temporane i eletti, per un periodo di due anni e non immediatamente rieleggibili da parte dell'assemblea gene rale. Le decis ioni del Consiglio sono prese con voto favorevole di 9 membri, compreso il voto favorevole di tutti i 5 m embri permanenti , dimodoché ciascuno di questi ultimi può impedire il formarsi di una delibera. Il Consiglio ha la responsabilità primaria di provvedere al mantenimento della pace e della sicurezza internaziona le; Consiglio Economico e Sociale: Consiglio di Amministrazione Fiduciaria; Corte Internazionale di Giustizia; Segretariato. Collegati all 'O.N.U., oltre la F.A.O. e l'U.N.E.S.C.O., sono: l'Organizzazione Internazionale del Lavoro, l'Organizzazione Mondiale della Sanità, la Banca Internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, il Fondo Monetario Internazionale, l'Organizzazione Internazionale dell'Aviazione Civile, l'Organiz.zazione meteorologica mondiale, l'Unione Postale Universale, l'Unione Internazionale delle Comunicazioni, l'Organizzazione Intergovernativa consultiva della navigazione marittima e a ltri numerosi enti internazionali. Il Consiglio di sicurezza può fare raccomandazioni o prendere decisioni per mantenere o ristabili re la pace e la sicurezza inte rnazionale, richiedendo, al limite, c he gli Stati membri dcll 'O.N.U. , o alcuni di essi, adottino misure c he non implicano l'uso della forza a danno dello Stato responsabile del turbamento oppure o anche misure di tipo militare. Pe r ques te ultime misure non si è più verificala la premessa: la costituzione di un esercito internazionale formato da contingenti militari messi a disposizione dell'O.N.U. dai suoi membri secondo accordi con il Consiglio. Tutto quello che J'Q.N.U. puù in pratica fare, su decisione del Consiglio o dell'Assemblea, è costituire con effettivi offerti dagli Stati membri nuclei di for.te armate - i cosiddetti caschi blu - con il compito di cuscinello o di isolante fra le forze armate delle parti contendent i, o di garanti della sospensione di atti bellici in situazioni di tregu a d'armi o di armistizio, o di tutori dell'ordine pubblico in paesi turbati da gravi crisi interne. 4 La conferenza si tenne dal 25 aprile a l 26 giugno 1945 e fissò lo Statuto delle Na zioni Unite già elaborato a Dumburto n Oaks da l 2 1 agosto al 7 ottobre 1944. 5 Vds. precedente Cap. XLV, nota 23. 6 Franco A. Casadio. Con/lilli e quadro strategico. Rivista Militare n. 5, settembre - o ttobre 1982, pgg. 51-70. Idem. La conflittualità mondiale nel periodo 1945-1953. Rivista Militare n . 5, settembre-ottobre 1983, pgg. 10-24. Idem . Conflitti e quadro strategico. Rivista Militare n. I , g.:nnaio-febbraio, 1983, pgg. 13-32. Francesco Lovino e Guido Caruso. / confliui nel mondo. Rivista Militare n. 1, gennaio-febbraio 1982, pgg. 15-25. 7 Fricdrich Oska r Ruge. Politica e strategia. Firenze, Sansoni, 1969, pg. 83. 8 Di fronte alla situazione inte rnazionale creatas i dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel clima della guer ra fredda il preside nte americano Harry Spencer Truman si a ttenne a lla politica del containment, diretto e indirello, del comunismo e dell 'espan sionis mo sovietico. Misura indiretta del containment fu la cosidde tta dottrina Truman che trovò la sua applicazione mediante il Piano Marshall e successivamente il Patto Atlantico (col qua le per la prima volta nella loro storia gli Stati Uniti si legarono con un'alleanza permanente ad a ltri paesi). Direttamente invece Truman si impegnò con l'intervento militare in Corea nel 1950.
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Komintern abbreviazione russa di Kommunisticevskij Inlernacional, Interna· zionale Comunista o III " Internazionale. Kominform , termine usato in Occidente per indicare l' Ufficio di informazione dei partiti comunisti creato a lla conferenza di Bialystock nel settembre 1947 dai rappresentanti dei partiti comunisti di 9 paesi (Unione Sovietica, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Romania, Jugoslavia, Bulgaria, Francia, I talia) durante gli anni della guerra fredda. La sede d a Be lgrad o, dopo la sconfessione (28.Vl.1949), su ordine di Stalin, della Jugoslavia, venne trasferita a Bucarest dove l'organizzazione sop ravvisse per soli tre anni alla morte di Stalin. Venne sciolto ufficialmente il 17.IV.1 956, a poche settimane dal XX con gresso del partito comunista dell'Unione Sovietica. 10 losip Broz, (1892-1980), altrimenti nolo con lo pseudonimo rivoluzionario di «Tito » (1892- 1980). Prigioniero in Russia durante la prima gu erra mondiale, aderl al comunismo, e rientrato in patria venne arresta to e condannato per le su e idee politiche. Riparò nel 1934 nuovamente nell'Unione Sovie tica e nel 1937 tornò in Jugoslavia dove assunse la direzione del partito comunista del suo paese. Riuscì ad organ izzare un gruppo di uomi ni fede li e risoluti e nel 1942, durante l'occupazione italo-tedesca dell a Jugoslavia, r iunì 8 divisioni (35 7 40 000 uomini) in un Esercizo popolare di liberazione e radunò un'assemblea di tutti i delegati dei terrilol'i dove si combatteva, creando il Consiglio antifasciMa di liberaziurie pupo/are della Jugoslavia. (AVNOJ). Apoggiato dagli a lleati , condusse una grande offen siva inseguendo c roati e tedeschi sino nel tenitorio austriaco, occupò l'Is tria e s pin se le sue truppe fino a Trieste, che non potè annelter·si perc hé gli alleati non glielo consentirono. Finita la guerra, si adoperò a ricostruire il suo paese secondo un modello comuni sta. Egli s i impose pe1· l'attuazione di un regime d'impegno sociale;, ma ch e aveva soprallullo alla base un carattere patriottico. Quando ruppe con Stalin, nel 1948, fu sostenuto dall'enorme maggioranza del paese. Morto Stalin, si riconciliò parzialmente con Mosca, ma non atLenuò l'autonomia del s uo paese e d el suo comunismo. Governò il paese per oltre un tre ntennio e potè vantare importanti successi sia in politica interna che in quell a estera, guadagnandosi grande prestigio, in quan to, pur informando la s ua azione ad un costante spi rito comunista, difese sempr·e la su a via nazionale al socialismo e la non ingerenza degli Stati egemoni nelle scelte politiche dei singoli paes i. 11 Adam B. Ulam. Storia della politica estera sovietica (1917-1967). Rizzali editore, Milano, 1970, pgg. 697 e 693. 12 L'em ergenza in Malesia durò dal 1948 al 1960. 13 La g uerra in Tndocina d u rò dal 1946 al 1954. 14 Adam B. Ulam. Op. cit. pg. 696. 15 Ibidem. 16 Vorosilov Kliment Efremovi'é, (1881-1969) maresciallo e uomo politico sovietico. Militante rivoluziona rio d a l 1903 ebbe una parte di r il ievo ne ll 'ins urrezione bolscevica a Pi etrogrado n el 1917 e nella costituzione dell'armata rossa. Commi ssario alla guerra dal 1925 al J 940, garantì a Stalin, al quale fu molto legato, la fedeltà dell'armata rossa malgrado le purghe d el 1937-38. Comandante delle arm a le di Leningrado nel 1941 fu esonerato per i ripetuti ins uccessi e destinato a compiti organizzativi, con servando un ruolo politico di rilievo. Fu capo della miss ione sovietica in Ungheria nel 194 5-'47 e presidente del Presidium de l Soviet Supremo d a l 1953al 1960. 17 Vds. Voi. II, Tomo 2°, Cap. XXXVII1, nota 136.
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18 La delegazione sov1et1ca era capeggiata da Chruscev, Bulganin e Zukov; quella americana da Tisenhower che aveva al seguito il segretario <li Stato Foster Dulles: quella francese da Edgar Faure; quella inglese d a Antony Eden. 19 Adam B. Ulam. Op. cit., pg. 812. 20 Ibidem, pg. 811. 21 Ibidem, pp. 815. 22 Vds. Voi. Il, Tomo 2°, Cap. XXXVII, nota 45. 23 Nel giugno 1956 nella città polacca di Poznan un grande sciopero n el settore dell'industria si trasformò in una rivolta d'importanza nazionale. Il governo polacco, presieduto da Edward Ochab, fu costretto a fan: ricorso alle forze armate che stroncarono la insurrezione. Nel luglio, dopo la sommossa, si svolse una riunione del comitato centrale del partilo comunista polacco, alla presenza di Bulganin e del maresciallo Zukov, nella quale fu deciso di riammeLLere nel partito Waldislaw Gomulka, già segretario generale del partito, che era stato espulso ed imprigionato sotto la accusa di Titoismo e che, di conseguenza, s i era conquistato una grande popolarità in tutto il paese. 24 Nell'ottobre del 1956 la popolazione di Budapest insorse contro il regime dispotico di Matyas Rakosi, rigido stalinista e capo del governo dal 1952. Dopo la morte di Stalin Rakosi divenne segret ario d el partito c lasciò la carica di capo del governo a Imre Nagy, critico nei confronti dello stalinismo, c he s i fece promotore cli una politica liberalizzatrice nella situazione economica fallimentare nella qualt! si trovava il paese. Fu destituito per tale motivo n ell'aprile 1955 e tornò a capo del governo, dal 24 ottobre al 4 novt!mbrt! 1956, durante la rivolta, costituendo un gabinetto di compromt!sso, ma fu liquidato dall'intervento sovietico, imprigionato e impiccato. Dopo l'intervento armato sovietico che represse la rivoluziont! il nuovo governo venne presieduto d a Janos Kàdàr. 25 La creazione dello Stato d'Israele, il 14 maggio 1948, dalle rovine del mandato inglest! sulla Palestina, per il modo come venne effettuato, rinfocolò fin dagli inizi un incendio non ancora estinto. Se era giusto dare ad un popolo errante da circa duemila anni, fatto oggetto alla fine di genocidio da parte di Hitler, una patria stabile e sicura, Cl;!~tamente fu un atto disumano ed ingiusto scacciare di fatto dalla stessa regione un'altra popolazione installatavisi da secoli e disperderla senza speranze e prospettive. Da quando nel 1949 Israele sottoscrisse gli armistizi con i paesi confinanti dopo aver conquistato un'area più vasta di quella concessagli dal piano <ldi'O.N.U., l'intero Medio Oriente non godé più un pt!riotlo di vera pace. Nel 1956 Israele, d'intesa con la Gran Bretagna e la Francia, interessate a riprendersi il controllo del canale di Suez sottratto loro dal presidente egiziano Gamàl Abd al Nàsir (Nasser), attaccò l'Egitto invadendo la penisola del Sinai e la striscia di Gaza. 26 Da a nni Cuba viveva sollo regime dittatoriale , prima di Gerardo Malchado e poi di Fulgenzio Batista, con il pieno sostegno degli Stati Uniti. L'abbandono nel quale era stata lasciata la popolazione dell'isola da decenni, in tragiche condizioni di analfabetismo, di miseria e di fame, preparò il terreno favorevole alla predicazione ed alla rivoluzione di Fide! Castro. 27 Adam B. Ulam. Op. cit., pg. 832. 28 Ibidem, pg. 846. 29 Richard A. Preston e Sydney F. Wise. Storia sociale della guerra. Mondadori, Verona, 1973, pg. 415. 30 Umberto Cappuzzo.La componente militare nella politica sovietica verso l'Europa. Inserto del fascicolo n. 2, marzo-aprile 1982, della «Rivista Militare».
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Ibidem. Vds. precedente nota n. 6. 33 Richard A. Preston e Sydney F . Wise. Op. citata, pg. 414. 34 Vds. Cap. XLV, nota 165. 35 Dopo la guerra degli Stati Uniti contro la Spagna (I 898), venne riconosciuta agli Stati Uniti la tutela su Cuba, che venne proclamala repubblica indipendente. La presenza delle truppe statunitensi s ull'isola, l'agganciamento della costituzione cubana all'emendamento Platt - che con cedeva agli USA l'uso d ella base navale di Guantanamo e il diritto d 'intervenire direttamente negli affati politici e finanziari della nuova repubblica - furono le manifestazioni più appariscenti di tale tutela. Il succedersi di dittature - generale Gerardo Machado 1924-'33, Fulgen zio Batista y Zaldivar 1940-'44 e 1952-'58 - e di giunte provvisorie rese endemica la tensione politica espressa da sommosse e complotti periodici, senza che gli Stati Uniti intervenissero per sostenere riforme che dessero giustizia e libertà ai cubani. Contro la dittatura di Fulgezio Batista esplosero attentati e rivolte e il 26 luglio 1953 alcuni rivoluzionari, fra i quali il giovane Fide! Castro Ruz, tentarono di prendere d'assalto la caserma «Moncada» a Santiago. La rivolta fallì e Castro, processato e in seguito amnistialo, nel novembre del 1956 rientrò dal Messico e diede inizio alla guerriglia che in breve si estese dalle campagn e alle città tanto da costringere nel 1958 Batista a fuggii-e dall'isola. Il I O gennaio 1959 fu istituito un regime rivoluzionario. All'inizio il castrismo sembrò assumere la connotazione di una democrazia progressista, poi il sistema si spostò sempre più a sinistra fino a identificarsi con quello comunista. Dal luglio del 1964, dopo il compromesso Mosca-Washington per il ritiro dei missili sovietici dall'isola e il congelamento dello status quo allora determinatosi, Cuba è divenuta un vero e proprio satellite sovietico. Nel 1972 la repubblica eul1"Ò a fa1·e parte del Comecon (Sovet Ekomiceskoj Vzaimopomosci), organizzazione intergovernativa economica istituita a Mosca nel 1949. 36 Vds. Voi. II, Tomo 2°, Cap. XXXVI, nota 14 bis. 37 L'organizzazione del trattato atlantico del nord o Patto atlantico sorse il 24 agosto del 1949 dopo la firma del trattato, avvenuta a Washington il 4 aprile dello stesso anno, allo scopo di assicurare - in conformità e a integrazione delle finalità e dei principi d ella Carta d ell'O.N.U. - la sicurezza internazionale e il benessere dei rispettivi paesi. Nella sostan za il trattato mirò, attraverso la collaborazione tra gli Stati firmatari, a fronteggiare ogni eventuale ulteriore espansione dell'Unione Sovietica verso l'Europa occidentale. Stati firmatari furono: il Belgio, il Canadà, la Danimarca, la Francia, l'Isl anda, l'Ita lia, il Lussemburgo, la Norvegia, i Paesi Bassi, il Portogallo, il Regno Unito e gli Stati Uniti. Ne l 1952 aderirono la Grecia e la Turchia e nel 1955 la Repubblica Federale Tedesca. L'Organizzazione del Trallato de/l'Atlantico del Nord - North Atlantic Treaty Organization (N.A.T.O.) - ha come organo s upremo il Consiglio atlantico al quale compete la direzione politica dell'alleanza. Esso è costituito dai rappresentanti degli Stati membri, che sono sovrani ed eguali e che prendono le decisioni all'unanimità. Per garantire la continuità delle funzioni del Consiglio, ogni Stato ha un suo rappresentante permanente con il rango di ambasciatore. Il Consiglio può riunirsi s ia a l livello ministe riale - capi del governo, ministri degli esteri, della difesa, delle finanze, degli affari economici, ecc. - sia al livello dei rappresentanti permanenti. Al primo livello si riunisce in linea di massima due voJte ·aU'anno; al livello d ei rappresentanti permanenti una o più volte alla settimana. Dal consiglio dipendono molteplici comitati e gruppi di lavoro (comitato politico, comitato per l'informazione 32
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e le relazioni culturali, comitato economico, comitato del bilancio civile, comitato di revisione annuale, comitato del bilancio militare, comitato degli armamenti, comitato scientifico, ~omitato del coordinamento dello spazio aereo europeo, comitato delle infrastrutture, comitato per gli oleodotti e alto comitato per lo studio dei piani di emergenza nel settore civile), dal quale ultimo dipendono molti altri comitati (telecomunicazioni civili, protezione civile, trasporti oceanici, industria, coordinamento dei piani di emergenza, ecc.). Al Consiglio è affiancato un Segretario Generale; il segretario generale assume la presidenza del Consiglio e dirige il segretariato generale: in questo ultimo lavoro è affiancato da un Segretario generale delegato. Dal Segretario generale dipende tutta una serie di uffici (giuridico, esecutivo, di sicurezza, amministrazione del personale, controllo finanziario, operazioni del consiglio delle telecomunicazioni) e di divisioni (affari scientifici, sostegno della difesa, pianificazione e politica della difesa, affari politici) articolati a loro volta in direzioni e servizi che, nell'insieme, danno vita ad un'organizzazione permanente alla quale, di volta in volta, si aggiungono uffici o gruppi di lavoro ad hoc. - L'organizzazione militare comprende il: Comitato militare (MC) che dipende dal Consiglio atlantico (DPC) ed al quale è affiancato lo Stato Maggiore Internazionale Integrato (IMS). Il Comitato Militare è la più alta autorità militare della NATO ed è costituito dai capi di stato maggiore della difesa di ciascuno dei paesi membri; si riunisce regolarmente almeno due volte all'anno. I Comandanti che dipendono dal Comitato Militare sono: il comandante in capo alleato della Manica (CINCHAN) con sede nel Regno Unito, il comandante supremo alleato in Europa (SACEUR) con sede nel Belgio, il comandante supremo alleato dell'Atlantico (JACLANT) con sede negli Stati Uniti, il gruppo di. pianificazione strategica del Canadà e degli USA (CUSRPC) con sede negli Stati Uniti. Dal comandante supremo alleato in Europa dipendono: il comandante in capo delle forze alleate del nord Europa (CINCIVORTH), il comandante delle forze mobili (ACE) terrestri (COMAMF) con sede in Germania, il comandante in capo delle forze alleate del centro Europa (CINCENT) con sede in Olanda, il comandante della regione della difesa aerea NATO del Regno Unito (COMUKADR) con sede nel Regno Unito, il comandante in capo delle forze alleate del sud Europa (CJNCSOUTH) con sed e in Italia. Da questo ultimo dipendono: il comandante delle forze aeree del sud Europa (COMMAIRSOUTH) con sede in Italia, il comandante delle forze terrestri alleate dell'Europa sud-orientale (COMLANDSOUTHEAST) con sede in Turchia, il comandante delle forze terrestri alleate dell 'Europa meridionale (COMLANDSOUTH) con sede in Italia, il comandante della forza di attacco del sud Europa (COMSTRIKFORSOUTH) con sede in Italia, il comandante delle forze navali alleate del sud Europa (COMNAVSOUTH) con sede in Italia. Il rapporto tra Comitato milita re e i comandi operativi è diretto. 38 Il 23 ottobre 1954 a Parigi venne firmato un accordo tra la Francia e la Repubblica federale della Germania che stabiliva che gli abitanti della Saar avrebbero avuto il diritto di manifestare mediante plebiscito la loro volontà politica, fermo restando che i rapporti economici franco-saaresi sarebbero stati mantenuti inalterati e quelli tedcsco-saaresi si sarebbero a questi adeguati. - Lo stesso giorno venne firmato un trattalo tra gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia da un lato e la repubblica federale della Germania dall'altro, in base al quale questa ultima entrava nella N.A.T.O .. 39 L'organizzazione dell'Asia sud orientale - Jonth-East Asia Treaty Organizatio11, SEATO - fu istituita nel I 956 in seguito al Trattatn di Manila• (concluso
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1'8 sellembre 1954 ed entrato in vigore il 19 febbraio 1955) fra l'Australia, le Filippine, la Francia (che dal 1965 si estraniò dall'organizzazione), la Nuova Zelanda, il Pakistan (uscito dall'organizzazione nel I 972), il Regno Unito, gli Stati Uniti e la Thailandia allo scopo di assicurare la difesa collettiva degli Stati membri contro aggressioni armate nella zona, di risolvere pacificamente le eventuali controversie tra di essi e di garantire la cooperazione economica. - L'organizzazione del trattato centrale - Centra[ Treaty Organization (CENTO) - sostituì nel 1959 quella del trallato del Medio Oriente (METO) che era un'organizzazione intergovernativa costituita. su sollecitazione degli Stati Uniti, in seguito all'adesione della Gran Bretagna (5 aprile I 955), del Pakistan (23 settembre 1955) e dell'Iran (4 novembre 1955) al Pallv di Baghdag. L'Iraq ne uscì in seguito alla rivoluzione del luglio del 1958. Oggi la CENTO in pratica non esiste più. 40 Il I O marzo 1966 la Francia u scì dall'organizzazione atlantica, ma non denunciò il lrallalo, restando membro dell'alleanza. La decisione comportò il ritiro delle forze militari francesi già messe a disposizione della NATO, l'evacuazione delle installazioni, basi, forze militari stran iere dalla Francia e il ritiro delle rappresentanze francesi dagli organi della NATO (eccettuato il Consiglio), nonché lo spostamento delle sedi che alcuni dei vari organi avevano in Francia nel territorio di altri Stati membri. Una nuova crisi interna sopravvenne nel I 974 allorché, a seguito dell'attacco turco a Cipro, la Grecia assunse una posizione analoga a quella della Francia. 41 Testo del Trallato del Nord Atlantico. Gli Stati partecipanti al presente trattato, nel riaffermare la loro fede negli scopi e nei pl'Ìm:ipi dello Statuto dell.:: Nazioni Unite ed il loro desiderio di vivere in pace con tutti i popoli e con tulli i Governi; decisi a salvaguardare la libertà dei loro popoli, il loro retaggio comune, e la loro civiltà, fondat i sui principi della democrazia, sulle libertà individuali e sul predominio del diritto; preoccupali di favorire nella zona dell'Atlantico settentrionale il benessere e la stabilità; decisi a riunire i loro sforzi per la loro difesa collettiva e per il mantenime nto della pace e della sicurezza; s i sono accordati sul presente trattato del Nord Atlantico: art. l. · Le parti si impegnano. com'è s tabilito nello Statuto d elle Nazioni Unite, a comporre con mezzi pacifici qualsiasi controversia internazionale nella quale potrebbero essere implicate, in modo che la pace e la sicurezza internazionali e la giustizia non vengano m esse in pericolo, e ad astenersi nei loro rapporti internazional i dal ricorrere a ll a minaccia o all'impiego della forza in modo incompatibile con gli scopi d elle Nazioni Unite. art. 2. · Le parti contribuiranno a llo sviluppo delle relazioni internazionali pacifiche ed amichevoli, rafforzando le loro libere istituzioni, assicurando una migliore comprensione dei principi su cui tali istituzioni sono basate e sviluppando le condizioni atte a garantire la stabilità e il benessere. Esse si sforzeranno di eliminare tutti i contrasti nella loro politica economica internazionale ed incoraggeranno la collaborazione economica reciproca. art. 3. - Allo scopo di conseguire con maggiore efficacia gli obiettivi del presente Trattato, le parti. agendo individualmente e con g iuntamente, in modo continuo ed effettivo, mediante lo sviluppo delle loro risorse e prestandosi reciproca assistenza, manterranno e svilupperanno la loro capacità individuale e collettiva di resistenza ad un attacco armato.
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art. 4. - Le parti si consulteranno ogni volta che, nell'opinione di una di esse, l'integrità territoriale, l'indipendenza politica o la sicurezza di una di esse siano minacciate. art. 5. - Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell'America settentrionale sarà considerato quale attacco diretto contro tutte le parti e, di conseguenza, convengono che se tale attacco dovesse verificarsi ognuna di esse, nell'esercizio del diritto di legittima difesa individuale o collettiva riconosciuto dall 'articolo 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate, intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l'azione che giudicherà necessaria, ivi compreso l'impiego della forza a rmata, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella zona dell'Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure p rese in conseguenza di esso saranno immediatamente segnalati al Consiglio di Sicurezza. Tali mi su re verranno sospese quando il Consiglio di s icurena avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza inter nazionali. art. 6. - Agli effetti dell'a rt. 5 per attacco armato contro uno o più parti si intende un attacco armato contro il territorio di una di.esse in Europa e nell'Amer ica settent riona le, contro i dipartimenti francesi d 'Algeria, contro le forze di occupazione di una delle pa1·ti in Europa, contro le isole poste sotto la gimi sdizione di una delle parti nella zona de ll 'Atlantico settentrionale a nord del T ropico de l Cancro o contro le navi e gli aeromobili di una d elle parti nella stessa zona. art. 7. - ll presente Trattato non pregiudica e non dovrà essere consid erato come pregiudicante in alcun modo i diritti e gli obblighi de rivanti dallo Statuto alle parti che sono membl"i delle Nazioni Unite, o la responsabilità primaria del Consiglio di sicurezza per il mantenimento d ella pace e della sicurezza internazionali. art. 8. - Ogni parte dichiara che nessuno degli impegni internazionali ora in vigore tra Stati è in contraddizione con le disposizioni del presente Trattato e s i obbliga a non assumere alcun impegno internaziona le in contrasto con il presente Trattato. · art. 9. - Con la presente disposizione le parti istituiscono un Consiglio, nel quale ciascuna di esse sarà rappresentata, che avrà la funzi one di esaminare le question i concernenti l'applicazione del trattato. Il Consiglio sar à organizzato in modo da poter riunirsi rapidamente in qua lsiasi momento. Il consiglio istituirà gli organi sussidiari che risulteranno necessari, in particolare is tituirà immediatamente un comitato di difesa, che raccomanderà le misure da adottare per l'applicazione d egli art. 3 e 5. art. 10. - Le parti potranno, con accordo una nime, invitare ad accedere al presente tratta to qualsiasi altro Stato europeo capace di favorire lo sviluppo dei principi de l presente Trattato e di contribuire alla sicurezza della zona dell'Atlantico settentrionale. Ogni Stato così invitato potrà divenire m embro del trattato depositando il proprio strumento di accessione presso il governo degli Sta ti Unit i d'America. li governo degli Stati Uniti d 'America informerà ciascuna delle parti dell'avvenuto deposito di ogni strumento di accessione. art. 11. - Il presente Trattato sa rà ratificato e le s ue disposizioni saranno applicate dalle parti in conformità con le rispettive procedure costituzionali. Gli strumenti di ratifica saranno depositati, appena possibile, presso il governo d egli Stati Uniti d 'America, che informerà tutti gli altri firmatari dell'avvenuto deposito di ciascuno strumento di _ratifica. Il trattato entrerà in vigore tra gli Stati che
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l'avranno ratificato appena saranno state depositate le ratifiche della maggioranza dei firmatari, ivi compresi il Belgio, il Canadà, la Francia, la Gran Bretagna, il Lussemburgo, i Paesi Bassi e gli Stati Uniti ed avrà effetto per gli altri Stati dal giorno del deposito della loro ratifica. art. 12. - Trascorsi dieci anni dall'entrata in vigore del trattato, od in un qualsiasi momento successivo, le parti, a richiesta di una di esse, si consulteranno allo scopo di rivedere il Trattato prendendo in considerazione i fattori che a quell'epoca riguardaranno la pace e la sicurezza nella zona dell'Atlantico settentrionale, ivi compreso lo sviluppo di accordi universali e regionali conclusisi nell'ambito dello Statuto delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali. art. 13. - Trascorsi vent'anni dall'entrala in vigore del Trattalo, ciascuna delle parti potrà cessare di essere membro un anno dopo la notifica della propria denuncia al governo degli Stati Uniti d'America, il quale informerà i governi delle altre parti del deposito di ciascun strumento di denuncia. art. 14. - Il Trattato, i cui testi inglese e francese fanno egualmente fede, sarà depositato negli archivi del governo degli Stati Uniti di America. Copie debitamente a utenticate del Trattato saranno trasmesse da tale governo a quelli degli altri Stati firmatari. 42 Il Patto di Varsavia venne finnato il 14 maggio del I 955 da tutti gli Stati comunisti dell'Europa orientale - Bulgaria, Cecoslovacchia, Polonia, Romania, Ungheria, Unione Sovietica - eccezione fatta dell'Albania e della Jugoslavia, ed ebbe il carattere di una vera c propria lega militare, il cui comando spetta all'Unione Sovietica che mantiene in posizione subordinata - teoria della sovranità limitata le altre potenze firmatarie del patto. 43 La Comunità Europea di Difesa C.E.D. - era stata concepita come un'organizzazione intergovernativa progettata dai membri della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio - e.E.e.A. - nel 1951 - '52 per rafforzare militarmente l'Europa nel quadro della N.A.T.O. e promuovere mediante la creazione di un esercito comune l'unione, non solo economica, ma anche politica dell'Europa. 44 La Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (e.E.C.A.) fu ideata come un'organizzazione intergovernativa e venne costituita il 25 luglio 1952 con l'ultima ratifica necessaria per l'entrata in vigore del Trattato istitutivo firmato a Pa rigi il 18 aprile 1951 da sei Stati europei: Belgio, Francia, Repubblica Federale Tedesca, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi. La C.E.e.A. doveva avviare a concreta soluzione il problema dell'unificazione politica europea, iniziando un organico coordinamento delle economie dei sei paesi nel settore della industria pesante. In particolare mirava ad eliminare un presupposto materiale della rivalità franco-tedesca già causa di due guerre mondiali. Essa doveva costituire un mercato comune centro-europeo settoriale, cioè per il carbone e l'acciaio. Con la· creazione della Comunità · Economica Europea (C.E.E.) e della Comunità Europea dell'Energia Atomica (C.E.E.A. o EURATOM) si è poi avuto un processo di graduale fusione degli organi delle tre comunità - CECA, CEEA, CEE - poi, anche formalmente, portato a compimento. 45 La Comunità Economica Europea dell'Energia Atomica (C.E.E.A.) fu costituita il l gennaio 1958 con l'entrata in vigore del Trattato di Roma, concluso il 25 marzo 1957 fra Belgio, Francia, Repubblica Federale Tedesca, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, per coordinare e sviluppare l'attività scientifica e industriale dei sei p aesi memhri nel settore dell;i ricerc;i e òell ';ipplic;i7.ione p;icifica dei me7.7.i e delle
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tecniche nucleari. La struttura prevista dal trattato istitutivo corrispondeva sostanzialmente a quella della e.E.E. con un'assemblea, un consiglio dei ministri, una commissione, una corte di giustizia. Fin dal costituirsi della e.E.E.A.• l'assemblea e la corte operarono come organi della stessa e.E.E.A., della e.E.E. e della e.E.e.A.. Inoltre, dal l luglio 1967 (quando entrò in vigore l'accordo dell'8 marzo 1965) il processo di fusione degli organi comunitari fu esteso agli esecutivi e cioè al Consiglio dei ministri e alla Commissione. Il Comitato Economico e Sociale è stato fin dall'inizio unico per la C.E.E. e la e.E.E.A., ma comprendeva per questa ultima un apposito Comitato consultivo scientifico e tecnico. Successivamente la composizione degli organi fu variata e il comitato esecutivo della C.E.E.A. fu composto di un maggior numero di membri. Il programma della comunità è ora predisposto e svolto dal Centro Comune delle Ricerche il quale opera sotto il controllo della Commissione e secondo le decisioni del Consiglio, occupandosi anche della standardizzazione de lla terminologia e delle misure nel campo nucleare e può istituire centri d'istruzione professionale per specialisti. 46 La Comunità Economica Europea (C.E.E.), organizzazione intergovernativa costituita il I gennaio 1958 dopo l'ultima ratifica necessaria per l'entrata in vigore del trattalo istitutivo (firma to a Roma il 25 marzo 1957 da Belgio, Francia, Repubblica Federale della Germania, Italia, Lussemburgo e Paesi Bassi). Nel quadro del programma di unificazione europea, avviato con la creazione della C.E.e.A. e interrotto dal fallito tentativo di costituire la C.E.D., gli Stati della C.E.C.A. in una serie di conferenze (1956-'57) concordarono la creazione fra di esse di una Comunità Economica. Il 22 gennaio 1972 furono firmati i trattati per l'ampliamento della comunità ad altri 4 paesi: Danimarca, Irlanda, Gran Bretagna, Norvegia. Nel 1979 è e ntrata a far parte della comunità anche la Grecia. Nel settembre del 1972 la Norvegia l'inunciò ad entrare nella C.E.E., mentre la Danimarca, l'Irlanda e la Gran Bretagna entrarono a farne parte il I gennaio 1973. Organi principali della e.E.E. sono: l'Assemblea, il Consiglio, la Commissione, la Corte di giustizia. Il Consiglio e la Commissione sono assistiti da un Comitato economico e sociale con funzioni consultive. L'assemblea ha poteri deliberativi e di controllo sull 'operato della Commissione. Il Consiglio, che cura il coordinamento d ella politica economica generale e che delibera, di regola, a maggioranza è composto dai ministri degli Stati membri. Dal 19 marzo 1958 la e.E.E. e la C.E.C.A. dispongono della stessa Assemblea d enominata Parlamento Europeo - con sede a Stras burgo, modellata su que lla iniziale della C.E. e dal 1 aprile 1958 di una unica Corte (la Corte di giustizia della Comunità Europee) con sede a Lussemburgo. Infine in virtù del trattato per la fusione degli esecutivi (Bruxelles, 8 marzo 1965) vennero istituiti un Consiglio unico c una Commissione unica per le tre comunità a partire dal I luglio 1967. Il Consiglio della C.E.E. subentrò al Consiglio dei Ministri della C.E.C.A. e a que llo dell'EURATOM e la Commissione della C.E.E. all'Alta Autorità della C.E.C.A. e alla Commissione dell'EURATOM. 47 1. Attaccare per prime le forze nemiche disperse e isolate, successivamente quelle riunite. 2. Per prima cosa ottenere il controllo di estese aree rurali e di piccole e medie c ittà, conquistare poi le città maggiori. 3. Il principale obiettivo è quello di sgominare l'effettiva potenza del nemico. 4. In ogni singolo combattimento, impiegare un numero superiore di uomini rispetto al nemico: con questo sistema alla fine un nume ro complessivamente inferiore di uomini potrà trionfare lo stesso.
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5. Non entrare in battaglia impreparati. 6. Non temere sacrifici o difficoltà. 7. Usare una condotta mobile della guerra per sconfiggere il nemico. 8. Impadronirsi delle città scarsamente difese. 9. Usare le armi e i soldati catturati per compensare le perdite. 10. Impiegare le pause tra un combattimento e l'altro per riposare, r iordinarsi e addestrarsi. 48 Papàgos Aléxandros, maresciallo greco (1883-1955). Ministro della guerra nel 1935 e capo di stato maggiore dell'esercito dal 1936 al 1940 comandò le truppe greche durante la guerra contro l'Italia. Fu deportato in Germania ne l 1943. Nominato maresciallo dopo la fine del conflitto, diresse le operazioni nel corso della guerra civile contro le forze comuniste di Markos e schiacciò la ribellione. Creò successivamente il raggruppamento ellenico, movimento conservatore e monarchico, e dopo il successo e lettorale del 1952 divenne capo del governo greco con poteri molto estesi. 49 Matthew Bunker Ridgway (1895), generale statunitense. Nel 1917 fu allievo dell'Accademia militare di West Point e prima della 2• guerra mondiale svolse parecchi incarichi di comando e di stato maggiore. Durante la 2a guerra mondiale pianificò e condusse la più grande operazione di assalto aereo della storia nell'attacco alla Sicilia. Successivamente, comandò 1'82a divisione aerotrasportata e si paracadutò con le sue truppe in Normandia nel 1944 e, successivamente, comandò il XVIII corpo di armata aerotrasportato nelle azioni in Olanda, Belgio e Germania. Assunto il comando della 8 3 armata americana in Corea durante la guerra, fu comandante delle forze dell'O.N.U . e condusse la controffensiva per cacciare dalla Corea del sud le forze comuniste. Assegnato nel I 9S 1 al Comando Supremo dell'Estremo Oriente, succedendo a l genera le Mac Arthur, continuò a presiedere alla difesa della Repubblica di Corea e fu consulente per la ricostruzione del Giappone. Nel 1952 successe al generale Eisenhower nella carica di Comandante Supremo delle forze alleate in Europa. Fu poi promosso capo di S.M. dell'esercito americano, carica che tenne per sei anni. 5 Carro armato M4A3E8 Super Sherman: peso 37,5 t; lunghezza 7,53 m; altezza 2,93 m; armamento 1 cannone da 76 mm, 2 mitragliatrici cal. 7,62 e 1 ca!. 12,7; dotazione di munizioni 71 colpi per cannone, 4750 cartucce da 7,62, 600 cartucce da 12,7. Carro armalo 734185: peso 32 t; lunghezza 7,53 m; altezza 2,38 m; armamento 1 cannone da 85 mm e 2 mitragliatrici ca!. 7 ,o2; dotazione di mumzioni 56 colpi per il cannone, 2745 cartucce per mitragliatrici. 51 Guerre in lempo di pace dal 1945. De Agostini, Novara, 1983. F.A. Godfrey. Crisi in Corea, pg. 52. 52 Ibidem, pg. 58. 53 Giap, Vo Nguyen, generale cd uomo politico vietnamita (1912). Collaboratore dal 1933 di Ho Chi Min, organizzò nel 1941 la resislenza contro i giapponesi ed i francesi del governo di Vichy nel Tonchino, rivelandosi stratego di guerriglia di grande valore. Nel 1945 passò a capo dell'esercito di liberazione (vietnamita); dal 1947 fu ministro della difesa e capo dell'esercito della repubblica democratica del Vietnam. Artefice della vittoria di Dien Bien-Phu nella guerra contro i francesi, fu non meno abile condottiero nella successiva guerra contro gli americani. 54 Guerre in lempo di pace dal 1945. Op. cit. John Pimlott, pg. 78. 55 Gerald Walter Robert Templer (1898-1979), maresciallo britannico. Fu educato nel collegio di Wellington. Partecipò alla 1 a guerra mondiale, operando in Francia. Nel 1936 partecipò a lle operazioni in Palestina. Nel 1939-40 prestò servizio
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presso il quartier generale inglese in Francia. Nel 1943 comandò la 1,• e la 56a divisione di fanteria e, successivamente, la 6" divisione corazzata nella campagna in Italia. Nel 1945 fu direttore degli affari civili nel governo militare di occupazione della Germania. Un anno dopo divenne direttore del servizio militare d'informazione del Ministero della guerra e, quindi, vicecapo dello stato maggiore imperiale. Nel ·1950 fu promosso generale di corpo d 'armata. Fu famoso per il successo riportato contro le forze ribelli e terroristiche della Malaysia. Dal 1955 al 1958 fu capo dello stato maggiore imperiale. 56 Dayan Moshe, generale e uomo politico israeliano (1915-1981). Dal 1939 al 1941 fu incarcerato dagli inglesi per avere preso parte ad un'organizzazione terroristica ehraica . Nel 1941 partecipò alla campagna di Siria, dove perse un occhio combattendo contro i francesi di Vichy. Capo di stato maggiore dal 1953 al 1958, fu nel 1956 il protagonista della breve campagna del Sinai contro l'Egitto. Abbandonò l'esercito nel 1959 e fu eletto membro del Parlamento e nominato ministro dell 'agricoltura. Nel 1967, alla vigilia della guerra dei sei giorni, fu nominato ministro della difesa. 57 Trattato di mutua difesa tra Turchia e Iraq, stipulato il 24 febraio 1955. Con l'adesione avvenuta lo stesso anno di Iran, Pakistan e Gran Bretagna, diede luogo all'Organizzazione del Traila/o del Medio Oriente, trasformatasi nel 1959 in C.E.N. T.O..
CAPITOLO
XLVIII
LA STRATEGIA E LA TATTICA NELL'ERA NUCLEARE E SPAZIALE: DAL DOPOGUERRA AL DUEMILA
1. La strategia della risposta massiccia. 2. La credibilità della risposta massiccia. 3. La strategia delle risposta flessibile. 4. La strategia compensativa. 5. La situazione di stallo della strategia politica e militare. 6. La visione del nuovo ambiente operativo della guerra convenzionale e la nuova dottrina d'impiego delle forze convenzionali aeroterrestri. 7. Le armi spaziali. 8. Le nuove armi convenzionali aeroterrestri.
1.
Dal 1945 al 1953 la bomba atomica fu monopolio esclusivo degli Stati Uniti che, neppure di fronte alle aggressioni sovietiche di quel periodo in Europa ed in Asia, ne previdero l'impiego, paghi di sentirsi al riparo da ogni pericolo diretto. Gli Stati Uniti scelsero fin da allora la strategia del contenimento, vale a dire una strategia difensiva. È un dato storico che non dovrebbe essere negletto da coloro che, per sembrare obiettivi, pongono sullo stesso piano morale le due superpotenze. Anche dopo lo scoppio nel 1950 della prima bomba termonucleare ed il raggiungimento della potenza di 7 megaton (1952) e di 14 megaton (1954) gli Stati Uniti non deflessero dalla loro strategia difensiva. Durante la campagna per l'elezione del presidente Eisenhower nel 1952 venne pubblicizzato un primo abbozzo di tale strategia che venne poi meglio precisata nel New Look del 1953. L'assoluta superiorità nucleare americana, peraltro minacciata proprio nel 1953 dallo scoppio del la prima bomba termonucleare sovietica, condizionò il pensiero strategico del Pentagono e del Dipartimento di Stato che, nella speranza di poter conservare anche nel futuro la superiorità nucleare, idearono la strategia della risposta massiccia (massive retaliation) che venne ufficialmente accettata dalla N.A.T.O. nel 1957, quando cioè essa era già stata superata virtualmente dal lancio del primo veicolo spaziale sovietico
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S-1 che pesava 87 chili (4 ottobre 1957), seguìto meno di un mese dopo dall'S-2 (recante a bordo la cagnetta Laika) che pesava 500 chili. È facile rilevare a posteriori che la strategia della rappresaglia massiccia era piuttosto rozza, superficiale, semplicistica più che semplice, ma l'avvento delle armi nucleari aveva all'improvviso sconvolto le idee e i criteri della strategia tradizionalmente intesa e determinato uno smarrimento intellettuale generale. Le armi nucleari non erano un 'altra arma che si era aggiunta alla ricca panoplia di quelle preesistenti, ma un'arma nuova assoluta che sembrava rendere superflue tutte le altre e togliere alla guerra ogni significato politico. La teoria della rappresaglia massiccia, annunciata dal segretario di Stato Foster Dulles nel 1953, prendeva atto della nuova realtà e fidando sul carattere assoluto della nuova arma sosteneva, in sostanza, che, sebbene non si potesse realizzare una protezione adeguata contro l'aggressione sovietica tutto attorno al territorio dominato dai sovietici, si potesse dissuadere l'aggressione mediante la minaccia di un attacco atomico devastatore da basi avanzate disposte attorno al perimetro dell'Unione Sovietica; che un tale attacco non sarebbe mai stato probabilmente necessario, come l'a ntico principio della flotta di riserva, il bombardamento potenziale avrebbe avuto la funzione di porre un freno all'azione del nemico 1. Una strategia siffatta si basava su di un modesto schieramento di forze convenzionali con compiti di sorveglianza e di allarme e sull'impiego immediato delle armi nucleari contro obiettivi strategici sovietici, anche non militari, quale risposta a qualunque aggressione. L' incertezza circa la validità della strategia della rappresaglia massiccia derivava principalmente del fatto che nessuno poteva dire se i sovietici si sarebbero convinti che gli Stati Uniti avrebbero veramente sfruttato il loro vantaggio nucleare. A parte il fatto che la teoria poteva andare bene solo fino a quando gli Stati Uniti avessero goduto di una schiacciante superiorità nucleare, restava la questione della evidente sproporzione dei mezzi rispetto al fine, avendo le anni nucleari un potere distruttivo apocalittico. La forma di dissuasione appariva poco credibile giacché essa è, secondo la giusta definizione datane successivamente dal ~egretario di Stato americano Henry Alfred Kissinger, il prodotto della potenza militare per la credibilità, la quale ultima, a sua volta, è il prodotto dei coefficienti dei fattori spirituali e materiali che concorrono alla formulazione del giudizio dell'avversario circa la rispondenza tra intendimenti dichiarati o supposti e realtà strategica della controparte. La dissuasione e la
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credibilità sono i valori categoriali dell'intero ragionamento strategico: il potenziale bellico è dissuasivo solo se credibile. Se la strategia che s'intende seguire è una montatura, o perché i mezzi non sono adeguati o perché sono sproporzionati per eccesso al fine, che è sempre un fine politico, essa fallisce in partenza. La strategia della rappresaglia massiccia conteneva in sé elementi di debolezza tale che già nel 1954 Liddel Hart l'aveva dichiarata insostenibile, mentre due anni dopo Kissinger dimostrò l'assurdità di fidare nella sola dissuasione nucleare e sostenne che la guerra limitata era ancora possibile, esprimendo la convinzione che si potesse ricorrere ad un impiego tattico di armi nucleari 2. La risposta massiccia non forniva alcuna alternativa militare tra il mantenimento della pace a costo della resa e le devastazioni della guerra totale 3. Ma anche la guerra limitata ipotizzata da Kissinger veniva giudicata da molti scarsamente realis tica, specialmente in Europa, perché si sarebbe subito trasformata in guerra totale per effetto dell'escalation e avrebbe potuto indurre l'aggressore a controbilanciare la sua inferiorità nucleare sferrando il primo colpo (first strike). Alcuni cominciarono a sostenere la tesi della guerra preventiva e cioè che per difendersi occorreva colpire per primi prevenendo l'avversario che si riteneva stesse accingendosi a fare altrettanto. Autori sovietici e occidentali si accusarono reciprocamente di aver coltivato questo tipo di ragionamento fin dal 1954 o dal 1955 4_ Nell'Unione Sovietica, durante il periodo del monopolio e poi dell superiorità nucleare degli Stati Uniti, i capi politici e militari continuarono a tenere per buoni i fattori permanentemente operanti della guerra fissati da Stalin nel 1942: stabilità delle aree di retrovia, alto morale militare e civile, ammassamento di uomini e di materiali, qualità delle truppe e delle armi, abilità dei comandanti sul campo 5. L'assunto implicito era che il successo in guerra andasse al sistema politico e sociale superiore e perciò, grazie all'intima superiorità delle struttura socialista degli Stati comunisti, l'Unione Sovietica avrebbe sempre vinto. La guerra era concepita come una guerra di logoramento, in cui gli Stati si contrapponevano, con tutte le loro risorse, in una lotta prolungata. Un attacco di sorpresa aveva perciò in sé un 'importanza trascurabile, e l'insuccesso di Hitler nella sua invasione della Russia sembrava confermare questa tesi; fu negato che itn attacco di sorpresa condotto con armi nucleari potesse essere decisivo sempre che entrassero in gioco fattori sociali e politici 6. Dopo la morte di
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Stalin cominciò a farsi strada, non senza contestazioni, la tesi che i princìpi della guerra nucleare non potevano non essere identici per l'Oriente e per l'Occidente e che i fattori permanenti operanti di Stalin, compreso quello che uno Stato comunista avrebbe sempre la meglio contro uno Stato capitalista andavano rifiutati nell'era nucleare-spaziale. Nel 1957 Chruscev riconobbe l'importanza del potenziale nucleare ai fini di un vittoria e, nella considerazione che la grande estensione dell'Unione Sovietica la rendeva invulnerabile alla guerra nucleare, proclamò anch'egli la dottrina della risposta massiccia, pur affermando la necessità della s uperiorità anche di forze convenzionali. Al XX congresso del partito comunista sovietico Chruscev aveva già sostenuto che la guerra tra il comunismo e il capitalismo non era fatalisticamente inevitabile e, pur non avendola esclusa, aveva dato l'avvio alla distensione, ripetendo, anche in tempi successivi, che il comunismo avrebbe trionfato in virtù della sua forza intrinseca e della forza economica delle potenze comuniste, senza la necessità di una guerra apocalittica che sarebbe una calamità per tutti i popoli del mondo, in quanto le .bombe non avrebbero fatto differenza tra comunisti e non comunisti. Tali revisioni della dottrina comunista tradizionale - inevitabilità finale della guerra contro l'imperialismo - e della strategia stalinista, imposte in grande mis ura dalle applicazioni delle nuove armi e suggerite dal1a situazione di superiorità nucleare degli Stati Uniti di quel periodo, ebbero effetti pratici di grande rilievo. Da essi ebbe origine il dissidio ideologico cino-sovietico, in quanto i cinesi ritennero assurdo che, proprio quando il blocco comunista s tava marcia ndo verso l'equilibrio nucleare con gli Stati Uniti, il comunismo r inunziasse ad una politica avanzata che ne segnasse il progresso nelle parti del mondo che stavano emergendo da11a fase coloniale e che non si credesse più alla inevitabilità finale della guerra contro il capitalismo. Negli Stati Uniti e negli altri paesi occidentali la dottrina di Chruscev portò al ristagno delle concezioni strategiche e dello sviluppo degli ordigni e dei vettori nucleari, anche in ragione dei negoziati intrapresi tra le varie parti per mettere al bando gli esperimenti nucleari. Tra il 1958 e il 1961 l'Unione Sovietica, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna osservarono di fatto la sospensione degli esperimenti di scoppi nell'atmosfera e la moratoria venne rotta, solo nel settembre 1961, dai sovietici che fecero esplodere nell'atmosfera una serie di potenti bomhe nucleari.
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2. In Occidente la contestazione della dottrina della rappresaglia massiccia, vivace fin dall'inizio, venne gradatamente aumentando verso la fine degli anni cinquanta e nei primi anni sessanta, a mano a mano che venne restringendosi il margine della superiorità nucleare americana, quasi cessata del tutto verso la fine degli anni '60. Nel frattempo coloro che erano stati i sostenitori della politica del contenimento e che avevano favorito così la nascita del Patto atlantico si erano pentiti delle loro idee e, nella considerazione che avendo la NATO determinato uno stretto contatto in Europa tra le opposte forze, suggerivano di sottoporre ad un 'esame pubblico un compromesso, realizzabile e accettabile da entrambe le parti, per ridurre tale contatto al fine di diminuire i pe ricoli di attrito tra i due blocchi. Il diplomatico e storico americano George Kennan, già fautore nel 1947 del contenimento, si fece promotore nel 1957 alla televisione britannica di un accordo bilaterale per distanziare gli opposti schieramenti, dimenticando, come ebbe a fargli notare il segretario generale della NATO Paul Henry Spaak, che: ogni ulteriore rinunzia allo spazio, già esiguo, avrebbe accresciuto la pericolosità della situazione delle forze NATO in Europa; un ulteriore arretramento di queste ultime avrebbe favorito l'infiltrazione sovietica; la dissuasione nucleare non avrebbe potuto blocca- . re l'avanzata ed avrebbe indebolito il morale dei tedeschi occidentali. Prevalsero le considerazioni sul rischio del disimpegno o del semplice arretramento rispetto a quelle che vedevano in tali operazioni il conseguimento di un disarmo controllato parziale, quale preludio di un disarmo generale più vasto. Ciò naturalmente non pose fine ai grandi dibattiti sulla strategia aperti dall'avvento delle armi nucleari e neppure a quello sulla validità della rappresaglia massiccia, alimentati da affermazioni categoriche non dimostrate, più che da prove, da contraddizioni e polemiche più che da incertezze. La strategia dell'era nucleare e spaziale che aveva avuto una nascita travagliata continuò a vivere anche negli anni sessanta una fanciullezza incerta e debole e neppure oggi, che ha quasi superato i quarant'anni, si dimostra matura e solida. Figlia di punti di vista passionali o politici, più che di ragionamenti scientifici e tecnici, anche quando si adorna di analisi matematica e di ricerca operativa, è costretta a farsi faticosamente strada in un grande disordine e smarrimento intellettuale, che è la conseguenza inevitabile della complessità e dei capovolgimenti concettuali determinati
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dall'avvento della nuova era. Essa ha proceduto attraverso adattamenti successivi alle varie situazioni contingenti, riferite ai progressi degli armamenti nucleari delle due parti, tanto che l'impalcatura intellettuale, alla quale si è di volta in volta appoggiata, ha subito mutamenti di struttura e di caratteristiche contraddittori e fuorvianti. D'altra parte, negli anni cinquanta e nel primo lustro degli anni sessanta, venne facendosi sempre più drammatica la contraddizione tra il non-senso di una guerra nucleare, che non sarebbe più secondo l'assunto clausewitziano la continuazione della politica con alti mezzi, ma la fine della politica stessa in quanto equivarrebbe alla distruzione di una società organizzata, e la necessità di continuare a pianificare per l'eventualità che la follia sopravanzi la ragionevolezza. L'arma nucleare non è dicroica perché non si presenta variamente colorata a seconda della direzione di provenienza della luce incidente e non è pure dicotoma in quanto non è divisibile in concetti contrari che ne esauriscano l'estensione. È assoluta ed ha in sé il potere irreversibile di abolire la guerra totale generale almeno fino a quando non verrà inventata una controarma altrettanto assoluta. Gli uomini però non hanno voluto prendere atto di tale realtà e da ciò è nata la strategia della dissuasione con tutta la letteratura che ne è fiorita secondo un vocabolario molto complesso e quasi anarchico. La dissuasione si contrappone alla guerra soprattutto in quanto la prima mira ad impedire la decisione d'intervento, mentra la seconda mira a costringere ad accettare "te condizioni che si vogliono imporre 7_ La dissuasione presuppone perciò l'esistenza reale di forze e mezzi che costituiscano una minaccia sufficiente a far pensare possibile ciò che di per sé dovrebbe essere impensabile. È dunque un risultato psicologico che si ricerca attraverso una minaccia. Questo risultato psicologico scaturisce dalla combinazione di un calcolo, il quale pone a confronto il rischio con la posta in palio, e dal timore causato dai rischi e dalle incognite del conflitto. Il calcolo emerge dallo studio di dati materiali, il timore nasce da complessi fattori psicologici di ordine politico, sociale, morale, ecc .. Spesso questi fattori sono legati al calcolo materiale, ma a volte ne sono indipendenti B. La strategia della dissuasione non è nuova e nemmeno unica, ma ha di particolare che mentre nel passato, prima dell'era nucleare-spaziale, presupponeva una capacità positiva capacità d'imporre la propria volontà o di raggiungere tale risultato nel modo meno oneroso possibile - nella nuova era tende a raggiungere l'obiettivo politico non più attraverso l'impossibile
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vittoria militare, ma attraverso l'azione indiretta che mira a paralizzare l'avversario (capacità negativa) sì da evitare la prova di forza. La dissuasione deve mantenere la pace o lo stato di non-guerra, ma le si chiederà anche d'impedire tale o tal'altra manovra nemica, di limitare l'estendersi o l'intensità dei conflitti, di fare in modo eventualmente di paralizzare ogni resistenza nemica di fronte ad un'a zione dell'avversario. Questa molteplicità di funzioni svolte dalla dissuasione ... costringe a una revisione e a una delimitazione quanto più esatte possibili dei vari poteri della dissuasione stessa 9, operazioni che non appartengono solo alla sfera di competenza dei politici e dei militari, ma coinvolgono gli scienziati ed i tecnici di una grandissima parte dei vari rami dello scibile umano. Le riunioni degli scienziati mondiali ad Erice ed altrove non sono meno importanti, per la definizione della strategia, di quelle deg li stati maggiori di Washington, di Mosca, di Bruxe lles, e di Varsavia. Non per nulla il grande dibattito degli anni cinquanta e sessanta ebbe come uno dei suoi protagonisti il matematico, fisico, insegnante di strategia presso lo Hudson lnstitute Herman Kahn, che fu addirittura definito il Clausewitz de ll 'era nucleare e anche il mercante di terrore 10. L'arma nucleare ha un valore qualitativo assoluto tanto che un modesto numero di ordigni e di vettori sarebbe sufficiente a determinare la dissuasione oppure sarebbe indispensabile un arsenale nucleare vasto, completo, diversificato? È preferibile ai fini della pace, della sicurezza, della dissuasione, la cristallizzazione del mondo nel sistema bipolare od il plura lismo nucleare e cioè la disponibilità per ogni paese di propri mezzi nucleari sia pure in misura limitata? La dissuasione per essere efficace dovrebbe prevedere la pianificazione d'impiego indiscriminato delle armi nucleari contro le popolazioni civili, esaltando così il potere distruttivo e dissuasivo delle armi stesse, o l' impiego selettivo contro i soli obiettivi milita ri? Qual'é la funzione delle armi nucleari tattiche? Qual'é il ruolo delle forze convenzionali? L'accresciuta vulnerabilità degli Stati Uniti, in relazione alla sempre maggio re potenzialità nucleare e missilistica sovietica, rende ancora credibile che la loro forza di dissuasione verrebbe davvero impiegata in difesa de ll'Europa ? Queste ed altre le domande che furono oggetto del grande dibattito sviluppatosi nei paesi dell'occidente negli anni cinquanta e sessanta e, in particolare, nei tre paesi nucleari: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia. De i tanti che vi presero parte ricordiamo Liddel Hart, Henry Kissinger, Lester Pearson, George Kennam , André Beaufre,
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Joseph Alsop, Pierre Gallois, Hensen Baldwin, Bernard Brodie, Oskar Morghenstern, Klaus Knorr, John Grant, Malcolm Hoag, sir John Slessor, Philip Noel Baker, Herman Kahan. Le discordanze di fondo circa la stabilità dell'equilibrio del terrore, il calcolo di ciò che sarebbe accaduto nello stadio successivo agli attacchi nucleari ed alla relativa risposta, l'accettabilità o il rifiuto della semplice prospettiva di una guerra nucleare e così via furono tali e tante da generare una grande confusione concettuale ed intellettuale e le divergenze che dividevano i teorici si riflettevano continuamente sugli organi politici e militari decisionali, per cui il problema della strategia dell'era nucleare-spaziale finiva con il manifestarsi quasi senza sbocchi . Agli inizi degli anni sessanta, la previsione che l'Unione Sovietica avrebbe presto avuto disponibili 100 miss ili balistici intercontinentali più degli Stati Uniti introdusse nuovi elementi d 'incertezza e rese quasi vacillante la stessa teoria della dissuasione, per il repentaglio nel quale vennero a trovarsi le bas i terrestri dei missili intercontinentali americani. Da qui l'esigenza di: rafforzare le basi, disperderle, occultarle; allestire basi mobili terrestri e navali; inc rementare il settore d ei missili antimissili; rendere insomma di nuovo c redibile il potere di dissuasione dell'Occidente e ristabilizzare l'equilibrio del terrore in un sistema di mutua dissuasione 11. Senza ammorbidimenti della sua rigidità ed automaticità, la dottrina della rappresaglia massiccia - che veniva perdendo sempre più la sua credibilità agli occhi di molti - prevalse nella strategia della NATO fino al 1967, un pe riodo piuttosto lungo durante il quale tre furono i momenti di maggiore rilievo. Dalla sua nascita ed accettazione fino al 1961, la pianificazione operativa conside rò come obiettivi de lla r a ppresaglia sia i grandi centri urbani ed economici sovietici sia le forze e le installazioni militari. Dal 1961 al 1965 - periodo durante il quale sopravvisse una certa superiorità nucleare americana - la pianificazione scartò gli obiettivi non militari e concretò le azioni della rappresaglia nucleare pressoché esclusivamente sul potenziale militare . Quando p e rò apparve che gli Stati Uniti avessero quasi perduto del tutto il margine di superiorità goduto nel passato, gli obiettivi della rappresaglia nucleare tornarono ad essere, dal 1965, le città, in quanto tornò a farsi strada il concetto che o gli Stati Uniti sarebbero stati in grado sul piano politico di colpire per primi - e in ques to caso gli obiettivi avrebbero potuto essere le basi missili~ stichc e gli aeroporti - o, qualora ave ssero dovuto limitarsi a
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rispondere ad un'attacco di sorpresa, il bersaglio della ritorsione non avrebbe potuto non essere l'intera Unione Sovietica, senza distinzione alcuna di obiettivi civili o militari, perché dopo che la capacità americana di ritorsione sarebbe stata probabilmente ridotta dalle conseguenze del precedente attacco, l'attacco nemico sarebbe già una cosa compiuta, o in corso, non varrebbe più la pena di cercare di neutralizzarlo all'origine 12. Il ritorno alla strategia della rappresaglia massiccia, senza discriminazione dei bersagli, non lasciando margini alla manovra politico-diplomatica e non offrendo altra alternativa alla guerra totale, parve ancora più sproporzionato che nel passato, in quanto una guerra nucleare totale avrebbe significato solo la reciproca sicura distruzione (MAD=Mutual Assured Destruction), sarebbe stata cioè una guerra suicida in difesa di interessi non più meritevoli di un tale evento. Risultò, inoltre, ancor meno credibile che gli Stati Uniti avrebbero messo a repentaglio automaticamente la loro sopravvivenza per la difesa di un paese della NATO aggredito. Sia agli occhi dei paesi dell'Europa occidentale, sia a quelli dell'Unione Sovietica, tale automatismo parve assurdo e conseguentemente una strategia del genere avrebbe potuto indurre i sovietici a compiere colpi di testa settoriali in Europa senza che dovessero temere una reazione nucleare globale, alla quale si poteva credere solo nel caso di un attacco diretto al territorio della repubblica stellata. Nacque così la ricerca di una nuova strategia, meno rigida e più credibile, la quale senza nulla togliere alla fiducia nella forza di dissuasione delle armi nucleari strategiche fosse caratterizzata da un certo grado di flessibilità. Questa venne individuata nel non rigettare a priori l'eventualità di una guerra limitata - che avrebbe però potuto trasformarsi improvvisamente in una guerra nucleare - e nel prevedere una maggiore varietà di armi nucleari sino al livello tattico. Le forze convenzionali, con armi nucleari tattiche in riserva 13, sostenute dal deterrente strategico, variamente articolato e meglio disperso e difeso di quanto non lo fosse stato fino ad allora, avrebbero conferito alla strategia della dissuasione il mezzo idoneo a far rientrare un'aggressione locale e limitata. Le linee fondamentali della nuova strategia della dissuasione vennero tracciate tenendo nel debito conto le varie tesi del lungo dibattito e vennero abbozzate fin dal 1961 dal generale Maxwell Davemport Taylor 14, presidente del comitato dei capi di stato maggiore delle forze armate statunitensi. Esse vennero illustrate al Congresso dal ministro della difesa Robert Stange Mc Namara nel 1962, ma solo
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nel dicembre del 1967, dopo anni di lavoro complesso e difficile al quale partecipò attivamente anche lo stato maggiore della difesa italiano, formando una serie di elaborati specifici, sulle varie questioni connesse con la nuova visione del problema strategico, che vennero molto apprezzati dalla NATO che ne recepì alcuni nella stesura del documento definitivo - la strategia della risposta flessibile divenne operante.
3.
La strategia della risposta flessibile ebbe come premesse l'esistenza di un adeguato arsenale nucleare completo e diversificato e la disponibilità costante di un apparato convenzionale di pronto impiego, consistente, valido e idoneo ad elevare la soglia del ricorso alle armi nucleari strategiche. Essa resta perciò intonata ad unu scopo esclusivamente difensivo, intende preseguire la dissuasione ed evitare la guerra totale, ripudia l'automaticità delle decisioni, presuppone inoltre ed esige che i paesi della NATO esprimano manifestamente, cuncrelamente, pragmaticam ente la loro coesione fin dal tempo di pace e la loro determinazione di agire insieme. La nuova dottrina parte dall'analisi e valutazione di tutte le opzioni possibili per l'avversario, elencate in un apposito documento che abbraccia tutte le eventualità credibili anche nel settore non convenzionale, e comprende non solo le minacce militari contro l'area della NATO, ma anche quelle provenienti da posizioni acquisite dall'Unione Sovietica in altre r egioni , nonché le pressioni politiche, economiche, psicologiche che i sovietici potrebbero esercitare per il perseguimento dei loro fini. Ispirata al principio di evitare la sorpresa, uno dei punti di forza della strategia sovietica, la risposta flessibile fu ritenuta credibile solo se in grado di arrestare l'aggressione convenzionale nemica sui confini esterni dell'area atlantica; da qui la necessità della difesa avanzata e di reagire con immediatezza a tutte le aggressioni possibili. L'aggressore avrebbe dovuto avere la certezza di una risposta, ma non avrebbe dovuto conoscere quale sarebbe stata, in modo da venire posto di fronte ad un rischio inaccettabile qualunque fosse il tipo di aggressione intenzionato a compiere. Nel caso che lo scopo della dissuasione non venisse raggiunto, la risposta avrebbe potuto consistere: nella difesa diretta allo stesso livello dell'aggressore
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(difesa avanzata e eventuale impiego di armi nucleari tattiche); nella spiralizzazione deliberata (allargamento o intensificazione delle operazioni convenzionali anche mediante )'apertura di nuove fronti, impiego di armi nucleari d'interdizione o di difesa, quali le mine, di armi nucleari a scopo dimostrativo, di armi nucleari selettive su obiettivi d'interdizione o tattici o su altri obiettivi militari); nella guerra nucleare generale. Incrementare, o minacciare d'incrementare, gli sforzi dissuasivi aumentando l'intensità del conf1itto, ed estendendone l'area, rendendo più complessa la escalation: queste le possibilità della nuova strategia, per la cui attuazione fu ritenuta indispensabile la cosiddetta triade di mezzi: il deterrente nucleare strategico, il deterrente tattico per la credibilità dell'escalation, l'apparato convenzionale. Quest'ultimo costituito da forze consistenti, mobili, flessibili, schierate il più avanti possibile ed in profondità, in grado di occupare rapidamente le posizioni difensive, di fronteggiare sbarchi e aviosbarchi, di neutralizzan:: la guerriglia, pronte fin dal tempo di pace, suscettibili di rinforzi esterni, alimentabili con riserve addestrate mobilitabili in tempi brevissimi. Alla valorizzazione delle forze convenzionali ed all'esigenza di neutralizzare la sorpresa avrebbero dovuto corrispondere l'efficienza, la prontezza, la rapidità di decisioni degli organi politici e militari responsabili in condizioni di valutare con continuità la situazione, d'identificare tempestivamente il tipo di minaccia, di decidere con immediatezza le misure di allarme; avrebbero dovuto altresì corrispondere: l'assegnazione delle forze; l'inizio delle azioni convenzionali; la protezza nel ricevere l'autorizzazione necessaria all'impiego delle armi nucleari, qualora si rendesse indispensabile l'impiego di queste. La strategia de lla risposta flessibile, che è tuttora sostanzialmente in vigore nella NATO, lega strettamente il livello nucleare tattico alla forze convenzionali, conferendo a queste ultime la stabilità che fa loro difetto ai fini della dissuasione 15. Essa è una strategia; h a di particolare che non mira ad una vittoria; affida la dissuasione più alla paura della reazione o, meglio, dell'eccesso di reazione che non alla indesiderabilità od al costo dell'escalation; non prescinde dall'equilibrio del te rrore, ma anzi ne ricerca la stabilità. Essa, infine, è consona alla logica dell'era nucleare-spaziale che ha posto all'umanità la scelta tra abolire la guerra o essere abolita da questa. È valida solo qualora si possieda un'adeguata capacità di second strike, vale a dire di rappresaglia, da calcolare non tanto in base alla consistenza degli arsenali nucleari. quanto in
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riferimento alla propria vulnerabilità, alla propria capacità di sopravvivenza, alla previsione di penetrabilità e dei tempi di reazione che sono i fattori che attenuano od esaltano il valore dei numeri puri e quello del raffronto tra i numeri contrapposti. L'equilibrio de] potere deterrente è la conditio sine qua non della risposta flessibile, ma non sono le oscillazioni, ancorché ampie, della consistenza della triade a modificarlo a meno di varianti quantitative e qualitative radicali o dell'introduzione di nuovi sistemi di armi, offensive o difensive, che annullino o riducano significativamente il valore deterrente di quelle esistenti. Quando gli arsenali contrapposti sono capaci del second strike non è più necessaria la superiorità, anzi questa non ha più senso in una situazione di reciproca dissuasione. Essenziale è invece la credibilità del deterrente, la quale dipende non solo dai fattori materiali e tecnici, ma anche dal complesso di quelli morali, politici, economici, psicologici. La strategia della risposta flessibile venne subito contestata da molte parti, ma nessuno finora ha saputo contrapporle alcunché di altrettanto solido e valido, all'infuori della rinunzia a qualsiasi difesa e conseguentemente l'accettazione della resa. La contestazione dell'Unione Sovietica, di contenuto dogmatico, mirò a demolire la credibilità della strategia delle risposta flessibile ricorrendo alla tesi, priva di ragionevolezza, secondo la quale l 'esplosione di una sola arma nucleare, a qualsiasi titolo provocata, avrebbe costituito da sola automaticamente l' innesco della guerra nucleare totale. Nello stesso tempo tuttavia l'Unione Sovietica intraprese la via del negoziato per la limitazione delle armi nucleari strategiche. Durante gli anni settanta, le vicende della politica interna americana e il rallentamento dei vincoli Stati Uniti-Europa occidentale tolsero una buona porzione di credibilità alla nuova strategia e l'Unione Sovietica ebbe l'impressione che, tutto sommato, la risposta flessibile era solo una teoria, alla quale l'occidente non sarebbe stato mai in grado di far seguire la pratica, come dimostravano la scarsa unità di intenti tra i membri dell'alleanza atlantica e la modestia degli sforzi economici dei paesi europei a favore della difesa in generale e del potenziamento delle forze convenzionali in particolare. Tale situazione, concretamente esistente, indusse l'Unione Sovietica a rivitalizzare la sua politica espansionista, a rafforzare nel frattempo l'apparato offensivo in Europa mediante lo schieramento di nuovi missili a media gittata - SS-20 - ad invadere l'Afghanistan e ad inserirsi con la presenza di suoi consiglieri e con il
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rifornimento più consistente di materiale bellico nel Medio Oriente, approffittando anche della rivoluzione dell'Iran dove la caduta e la cacciata (16 gennaio 1979) dello scià tolsero all'Unione Sovietica una grossa spina sul fianco perché, se Khomeini non era un individuo del quale l'Unione Sovietica potesse fidarsi, era peraltro un sicuro acerrimo nemico degli Stati Uniti. I rapporti est-ovest cominciarono gradatamente a peggiorare - rifiuto del senato americano alla ratifica del SALT 2, invasione sovietica dell' Afghanistan, sconfitta dell'amministrazione del presidente Carter in Iran, debolezza generale della politica americana dopo il Vietnam e il Watergate, oscillazioni tra il neoisolazionismo e la politica di superpotenza che privilegiava ora l'area del Pacifico ora quella dell'Atlantico, fatti di Polonia, linea arrendevole del presidente Carter durante il primo biennio del suo mandato - e la sola a beneficiare di tale degrado fu l'Unione Sovietica che tornò alla politica della prepotenza e dell'arroganza, certa di poterla condurre impunemente e senza rischi per la pace mondiale_ Il mutamento
della linea d'indirizzo del presidente Carter durante il secondo biennio del suo mandato e la nuova politica impostata su criteri di fermezza e di forza del nuovo presidente Ronald Reagan furono giudicati dai sovietici un bluff; quando si accorsero che tali non erano, la loro irritazione non conobbe più limiti e fecero di nuovo ricorso alla guerra psicologica e ad atti di vera e propria pirateria, come l' abbattimento del jet Jumbo sudcoreano - anche se questo potrebbe essere dipeso da un errore tecnico più che da una deliberazione operativa - per tentare di dividere l'Europa dagli Stati Uniti, che dalla fine del 1979 avevano ripreso a dare credibilità alla strategia della risposta fles sibile mediante la decisione di incrementare i bilanci militari a favore delle forze convenziona li e quella dello schieramento dei missili da crociera e dei Pershing II nel teatro operativo europeo per controbilanciare lo schieramento degli SS-20 sovietici. La rottura dei negoziati di Ginevra e di Vienna e il gelo che ne seguì nelle relazioni est-ovest furono la conseguenza della grande disillusione provata dai sovietici di fronte alla unità dimostrata dai paesi della NATO nei riguardi del problema della sicurezza e della difesa dell'Europa. I sovietici s anno che l'avere spostato a loro favore l'equilibrio nucleare del teatro operativo europeo non ha un grande significato operativo nel quadro dell'equilibrio nucleare generale, sul quale la prevalenza dei missili intermedi non ha un'influenza dete rminante , ma sono consapevoli che lo schieramento dei nuovi missili americani toglie loro un'arma
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potentissima di pressione psicologica sulle popolazioni dell'Europa dell'ovest, arma sulla quale facevano grande conto per rompere l'intesa fra le due rive dell'Atlantico senza bisogno di sparare un sol colpo di fucile. Ciò che rese intrattabili i sovietici fu proprio lo sforzo compiuto dalla NATO per rendere più valida e credibile la strategia della risposta flessibile fatta oggetto di verifica e di riscontro dal 1979, dopo tre anni di ricerche e di analisi, rivitalizzata nel 1980 mediante la dottrina della strategia compensativa (counterveiling strategy) tendente a conferire, nel suo insieme, maggiore credibilità al ruolo di superpotenza degli Stati Uniti ed al tempo stesso maggiore coesione alla NATO, nonché maggiore forza dissuasiva alla stessa strategia della risposta flessibile. Riconoscere la validità di questa ultima costa all'Unione Sovietica una sconfitta cocente perché tale è in concreto. Da qui le grandi difficoltà di superare l'attuale impasse, dal quale è molto verosimile che i sovietici decidano prima o poi di uscire salvando in un modo appropriato la faccia, come sempre hanno fatto, non senza comunque trame un qualche vantaggio.
4. La strategia compensativa definita in una direttiva di carattere segreto - P.D. 59 - prende a base tre criteri fondamentali: mantenere l'equilibrio nucleare s trategico al più basso livello possibile; attenersi ad una dottrina ed elaborare una pianificazione che convincano l'Unione Sovietica della inaccettabilità del prezzo di uno scambio nucleare generale; approntare forze capaci di soprav- · vivere al primo colpo conservando capacità distruttive di effetto risolutivo. Essa in sostanza continua a rice rcare selettività gradualità flessibilità di risposta e dà a questa un grado maggiore di credibilità agli occhi dell 'Unione Sovietica, rivalorizzando la deterrenza e lasciando all'ultimo gradino l'escalation, il ricorso cioè alla sicura distruzione reciproca. E ssa appare più credibile agli stessi paesi dell'Europa proprio perché conferisce valore prioritario agli obiettivi militari. L'eventualità dello scontro nucleare illimitato permane, ma ne vengono assai ridotte le probabilità. La garanzia dell'intervento delle armi nucleari statunitensi in difesa dell'Europa - stante la presenza in sito di quelle di media gittata - non diventa assoluta, ma è molto meno incerta. L'Europa continentale,
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in particolare, rimane minacciata - diversamente dagli Stati Uniti, dal Canada e dallo stesso Regno Unito - più dalle forze convenzionali sovietiche che non da quelle nucleari, ma la presenza di altre forze americane in Europa segnata dal dislocamento dei missili di gittata intermedia rende meno credibile il disimpegno delle forze convenzionali di oltre oceano. La validità della nuova strategia sul piano del ragionamento tecnico dipende dall'efficenza della triade, le cui componenti non sono vicendevolmente sostitutive. Le armi nucleari debbono essere presenti a tre livelli: lunga, media, corta gittata, o strategico, di teatro, tattico. Le forze convenzionali debbono essere tali da imporre da sole una battuta di arresto dell'aggressione il più avanti e la più lunga possibili. Il potenziale nucleare e quello convenzionale sono dunque un tutto inscindibile. Il miglioramento quantitativo e qualitativo delle forze convenzionali è essenziale, ma non equivale alla rinunzia al potenziale nucleare che resta il vero deterrente. Il ricorso all'arma nucleare anche all'inizio dell'aggressione resta un'eventualità possibile, ma tanto meno probabile quanto maggiori l'efficienza e la validità del potere convenzionale, che è il solo in grado di aumentare il numero delle opzioni, comprese quelle de! piano politico-diplomatico, e di elevare il livello della soglia nuclea-. re. Sul piano del ragionamento logico la validità della nuova strategia si basa sul fatto che questa è una strategia difensiva e cioè che risponde e non dà inizio ad un'aggressione. Chi dà luogo ad una aggressione può rinunciare ad impiegare le armi nucleari; l'aggredito, se in condizioni di schiacciante inferiorità, non può impegnarsi a non ricorrere per primo all'impiego delle armi nucleari. L'Unione Sovietica deve essere creduta quando s'impegna solennemente a non ricorrere per prima a l fuoco nucleare; non può pretendere che l'occidente esprima un'a naloga promessa che equivarrebbe, nell'attuale rapporto di forze convenzionali, ad una dichiarazione di resa. Il passaggio previsto dalla strategia della risposta flessibile dalla prima fase (impiego limitato a scopo dimostrativo e di riflessione) all'ultima (guerra nucleare illimitata) non dipende dalla NATO, ma dall'Unione Sovietica. Nella prima fase resta margine al negoziato, nell'ultima c'é solo la risposta suicida di entrambe le parti. Vero è che un con to è prefigurare gli eventi sul piano delle ipotesi, un altro individuare quale ne sarà lo sviluppo reale; ma se decidere la prima esplosione è atto di gravissima responsabilità morale e politica, rispondere con la guerra nucleare totale è pura follia. Se l'impiego limitato e selettivo
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dell'arma nucleare diventa l'innesco della guerra totale, non è per una necessità ineluttabile sul piano della razionalità e della ragionevolezza, ma la manifestazione di una volontà suicida dei dirigenti del Cremlino. La strategia della risposta flessibile è dunque valida sul piano tecnico e su quello d ella logica comune, mentre la sua credibilità rimane direttamente proporzionale all'adeguatezza della triade. Restano, nonostante tutto, dubbi, ma per eliminarli non c'é che il rafforzamento delle intese politiche, economiche e militari dei paesi dell'occidente europeo tra di loro e tra questi e gli Stati Uniti. Più l'Europa è unita e forte, minori sono le probabilità che prevalgano negli Stati Uniti le correnti isolazioniste o quelle che privilegiano l'area del Pacifico rispetto a quella europea. La credibilità dipende, in ultima analisi, più dall'Europa che dagli Stati Uniti. L'affidabilità della triade dipende esclusivamente dagli Stati Uniti per il primo elemento (armi nucleari strategiche), dagli Stati Uniti, <lal Regno Unito e dalla Francia per il secondo elemento (armi nucleari di teatro), assai più dal1'Europa che dagli Stati Uniti per il terzo elemento (armi convenzionali più, in riserva, armi nucleari tattiche). I grandiosi programmi di sviluppo delle armi strategiche nucleari degli Stati Uniti - che prevedono tra l'altro il nuovo missile MX, nuovi bombardieri strategici, nuovi missili con basi su sommergibili, nuovi sistemi antisatelliti (es. il sistema Asat di prossima sperimentalizzazione) - costituiscono un deterrente impressionante che dovrebbe accelerare la ripresa dei negoziati est-ovest per nuovi accordi limitativi e riduttivi della corsa alle armi nucleari e orbitali. 11 dislocamento in Europa dei missili da crociera e dei Pershing 2, per ristabilire un certo equilibrio nucleare regionale alterato dagli SS-20 e dai Bakfire sovietici, rappresenta di per sé la volontà dell'Europa di non lasciarsi intimidire e di difendersi dalla guerra psicologica come da quella delle armi vere e proprie. La sollevazione di buona parte dell'opinione pubblica contro tale dislocamento, promossa dall'Unione Sovietica e assecondata più o meno in buona fede - molto meno che più - da un coacervo di movimenti pacifisti, non resterà sen za conseguenze, ma almeno finora non ha indotto i responsabili politici a ritrarsi dagli impegni presi: taluni di tali movimenti, rifacendosi alle teorie di Bertrand Russel, arrivano a predicare l'abolizione di tutte le armi nucleari occidendali sostenendo che l'Unione Sovietica seguirebbe l'esempio e che in ogni caso è meglio vivere sotto il comunismo che sparire nella catastrofe nucleare,
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senza badare che non vi può essere pace dove non vi siano libertà e giustizia. Le forze convenzionali, tornate alla ribalta nella strategia della risposta flessibile, restano il punctum dolens della NATO e l'unico dei tre elementi che abbassa il livello di credibilità della risposta flessibile. I comandanti supremi alleati in Europa, succedutisi negli ultimi anni, non hanno fatto che insistere a proposito dell'aumento dei bilanci militari nazionali per lo sviluppo di piani a medio e lungo termine che coprano le lacune più vistose della componente convenzionale, ma nonostante gli impegni presi fin dal 1975 per l'incremento del 3% in termini reali il bilancio - l'attuale comandante ha chiesto che l'incremento sia elevato al 4% - la risposta alle promesse è risultata scarsa, per cui la validità e la credibilità della strategia compensativa sono, nonostante i progressi compiuti, tuttora inficiate dalla debolezza del sistema convenzionale.
5. Quali che siano le strategie, caratteristiche comuni a tutte sono l'incertezza e l'angoscia. L'era nucleare-spaziale ha tolto ogni significato alla guerra totale, eppure nessuno può essere sicuro che questa non scoppi. L'eventualità dovrebbe essere un'ipotesi irreale, ma il fatto stesso che sia pensabile pone l'umanità in uno stato di estremo sconforto morale e di smisurato terrore fisico. Le armi nucleari sono un'arma politica più che militare in quanto servono a dissuadere dalla guerra non a vincerla. Il loro potere dissuasivo poggia su fondamenta scientifiche e tecniche, oltre che morali e politiche, ma nonostante che sia così non esiste una strategia che garantisca il mondo dalla guerra totale. La strategia della risposta flessibile e della coun ter vailing basano il potere dissuasivo sull'escalation, ma non nascondono che la stessa scalata potrebbe essere un mezzo usato, o un obiettivo perseguito, dall'uno o dall'altro dei contendenti proprio per il fatto che una parte potrebbe mostrarsi disposta all'escalation per minacciare l'altra parte di guerra totale, per provocarla, per dimostrare impegno e temerarietà, e cosi via 16_ L'escaltion in sostanza rientra nella logica della forza che, d 'altra parte, finora è stato un elemento permanente della società umana, usato da popoli e nazioni buoni, cattivi e indifferenti l7_ Vi sono altri fattori che intervengono nella determinazione dei comportamenti, quali i comandamenti religiosi, i codici morali di azione, le
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consuetudini, i precedenti, il senso di lealtà, i sentimenti di nobilità e di onestà e altri ancora. Il comportamento di ciascun uomo, anche del più cinico e depravato, è sottoposto a forti influenze di questo tipo, normative e ideali e questi valori possono essere più. forti anche dei più disperati ed aspri conflitti 18, ma purtroppo non sempre le regole, non importa quanto sacre, razionali e ragionevoli, sono stato osservate da tutti e in ogni tempo. In una più completa discussione dell'importanza della forza negli affari internazionali, bisognerebbe porsi domande come la seguente... chi dissuade, influenza, costringe o blocca e chi è dissuaso, in fluenzato, costretto o bloccato, da quali azioni (o possibilità di scelta), per m ezzo di quali minacce o controazioni? E perché avviene questo? Questa è una perifrasi di un commento di Raymond Aron che tentava di illustrare la ricchezza e la complessità del concetto di dissuasione... Soltanto esaminando tutti questi aspetti si possono spiegare molte situazioni reali. Per esempio si possono considerare varie situazioni recenti nelle quali una parte godeva di una chiara superiorità militare sull'avversario, che per varie ragioni, politiche o di altra natura, non poté, o non volle, usare per imporre la propria volontà, sebbene uno stretto calcolo delle relazioni di forza ne indicasse chiaramente la reale possibilità 19. Kahn sviluppò la filosofia della guerra nucleare con argomentazioni solide concettualmente e storicamente, ma talvolta si lasciò trascinare dall'opportunità di dare alla pubblica opinione e alle forze armate il morale necessario per mantenere un atteggiamento risoluto e al tempo stesso spe ranzoso dinanzi all'eventualità di una guerra termonucleare. Fece bene perché solo la fermezza nella determinazione di eseguire la strategia della pace può consentire di evitare la guerra. Egli accennò anche alle eno rmi difficoltà di mantenere la pace nell'età nucleare, non nascose che una grande guerra nucleare potrebbe distruggere la civiltà e l'umanità e giunse a scrivere: può darsi che anche un cattivo governo del mondo sia preferibile a una corsa accelerata e incontrollata agli armamenti. Dobbiamo sperare che questa ultima non sia la sola scelta a disposizione 20. La filosofia e la strategia pura aiutano a comprendere l'essenza della rivoluzione nucleare, ma non spiegano perché gli uomini non abbiamo abolito la guerra e non rinunzino alla corsa agli armamenti, quasi che gli attuali arsenali non bastassero e non sopravvanzassero per la distruzione dell'intero pianeta. La realtà storica è che le energie intellettuali e materiali come pure il tempo, spesi per accrescere quantitativamente e migliorare
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qualitativamente anni di per sé non impiegabili sul piano della logica politica e militare, hanno finora superato di gran lunga gli sforzi per prevenire la guerra. Il mancato accordo su di una qualche misura quanto meno rallentatrice della corsa alle armi costringe a pianificare la guerra, sia pure per tentare di prevenirla. L'equilibrio del terrore è intrinsecamente precario, perché può essere improvvisamente distrutto o rovesciato da una nuova arma, da un nuovo sistema difensivo, da un nuovo modo di sferrare un attacco 2 1 o da qualsiasi altra simile innovazione radicale che dia un vantaggio decisivo ad una delle due parti. La stessa estensione del potere nucleare ad altri Stati o lo spostamento in senso superlativo degli attuali allineamenti politic i potrebbe provocare la guerra più che consolidare la pace. Se la Cina, ad esempio, in luogo di condurre la politica di assoluta indipendenza dagli Stati Uniti e dall'Unione Sovietica che è intenzionata a seguire - è illusorio oltre che pregiudizievole per la pace intendere diversamente la politica cinese e sforzarsi di accattivarsi la simpatia dei cinesi per portarli dall'una o dall'altra parte - indirizzasse la sua politica estera per favorire l'est o l'ovest, il contraccolpo che ne conseguirebbe potrebbe indurre l'est o l'ovest a sentirsi così forte da sfidare sul campo l'antagonista. La guerra ci appare oggi capace di distruggere la società; eppure i mezzi adottati per scongiurarla consistono nel costruire i mezzi per intraprenderla 22. Si possono esprimere le condanne più severe circa tale situazione, ma esse non valgono a mutarla. Ciò non vuol dire che non si debbano moltiplicare ed intensificare gli sforzi per un muta~ento radicale, che non si debba ricercare o inventare un sistema nuovo di convivenza umana, che non si debba stare dalla parte dei pacific i, ma non dei pacifisti, non si d ebba invocare Dio perché scongiuri la catastrofe, fare di tutto insomma a favore della pace, ma significa solo che occorre per ora tenere una via di mezzo tra la catastrofe e la capitolazione, una via piena di incertezze, di rischi, di trabocchetti e di voragini, ma l'unica che consenta di evitare la resa e la sottomissione e che non voglia la pace a spese della libertà, ma pace e libertà insieme. La libertà ha sempre avuto un prezzo molto alto. Esiste naturalmente una grande frustrazione di fronte alle spese militari, ma essa non è propria dell'occidente, ma anche dell'Unione Sovietica, la cui economia e le cui finanze subiscono, sia pure in ritardo, gli stessi traumi di quelle occidentali. Sembra incredibile che almeno la realtà economica non induca l 'est e l'ovest a colloquiare permanentemente sulle modalità più necessarie alla pace. Non si deve
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peraltro dimenticare che fu l'accelerazione della corsa agli armamenti a costringere le due superpotenze nel novembre del 1969 ad aprire per la prima volta nell'era nucleare-spaziale negoziati per la limitazione delle armi nt,1cleari. Il sistema di bombardamento orbitale frazionato dei sovietici e il velivolo di rientro multiplo indipendente (MIRV) degli americani fecero risorgere ancora una volta lo spettro di una guerra totale preventiva, ma il costo di queste armi, e, ancor più, del sistema difensivo che esse avrebbero ben presto superato, aveva raggiunto proporzioni inaccettabili 23. Oggi tale costo è spaventoso e preclude la soluzione di tutti gli altri problemi per cui la ripresa dei colloqui, durati fra pause interruzioni revivals fino al novembre-dicembre 1983 in tre sedi diverse, poi nuovamente ancora una volta riallacciati, non ha il significato di un auspicio o di un atto di fede nella ragionevolezza degli uomini, ma s'impone come stato di necessità senza alternativa. Il disarmo nucleare resta allo stato dei fatti del tutto impossibile. La distruzione di tutte le armi nucleari non azzererebbe la conoscenza del modo di produrle e la probabilità di ricorrervi in una guerra inizialmente solo convenzionale. Su questo punto dovrebbe esistere assoluta concordanza di vedute tra est ed ovest. Non ha perciò senso raggiungere o negoziare un accordo del genere. Un'intesa di limitazione e di riduzione è molto più proponibile e più ricca di fattibilità e potrebbe costituire la premessa per una trattativa più ampia che includa anche le armi convenzionali, il cui costo ha raggiunto livelli altrettanto insostenibili e la cui capacità potenziale di distruggere uomini e beni è assai maggiore di quella, già smisurata, raggiunta durante la seconda guerra mondiale. Alla base del processo di de-escalation - che inizialmente potrebbe essere limitato ai due blocchi, ma che nel tempo dovrebbe coinvolgere tutte le potenze nucleari o in grado di diventare tali è in primo luogo, come abbiamo già scritto, lo stabilirsi di un minimo di reciproca fiducia. Senza di questa è vano pensare al disarmo, che è problema politico e psicologico prima che tecnico. La strategia politica condiziona e s ubordina, nell'era nucleare-spaziale molto più che nelle epoche precedenti, quella militare. Là strategia della dissuasione non è la strategia della pace, ma solo della non-guerra. È tuttavia uno strumento potente, molto potente, del quale le armi nucleari e convenzionali sono elementi importantissimi, ma non più di quelli politici e psicologici. Essa ha natura e caratteristiche diverse dalla strategia tradizionale. La prima di tali diversità è il non impiego delle armi grazie all'esistenza delle armi;
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la seconda è che presuppone le armi nucleari, le sole che, per gli esorbitanti pericoli che presentano, tolgono significato alla guerra. La strategia diventa così privilegio esclusivo delle potenze e dei blocchi di potenze nucleari. Sebbene non nel senso della teoria di Breznev, le potenze non nucleari, o non in possesso di un potenziale nucleare credibile per forza dissuasiva, non godono di una sovranità assoluta. La proliferazione di Stati nucleari accresce d'altra parte i rischi della guerra totale fino a quando ogni nazione resta giudice sovrano del valore giuridico e pratico della propria causa e dei metodi e dell'intensità con cui scegliere di tutelare i propri interessi 24. Tutto ciò che destabilizza lo status quo, mentre non serve a rivitalizzare le sovranità nazionali, segna il regresso della civiltà e della ragionevolezza. La strada da seguire non è quella dello sviluppo della cosiddetta proliferazione verticale (incremento quantitativo e qualitativo delle armi nucleari e orbitali per effetto del progresso tecnologico) e neppure quella della cosiddetta proliferazione orizzontale (aumento <lei numero degli Stati con potenza nucleare bellica). L'inseguire la superiorità nucleare è follia. La propaganda sovietica ha sempre attribuito agli Stati Uniti i ripetuti fallimenti dei negoziati s ul disarmo, ma l'Unione Sovietica ha sempre mirnto alla conquista del mondo per cui al di là d ell'opzione in termini operativi, che è certamente quella estrema cui la stessa dirigenza sovietica non ritiene di dover ricorrere a cuor leggero, la componente militare sovie tica risponde ad altri scopi 25 che non sono solo quelli della difesa dell'impero. Diversamente non si spiegherebbe il continuo potenziamento, in termini numerici e qualitativi, d el potenziale nucleare e convenzionale, mediante l'incremento della potenza del fuoco nucleare e convenzionale, della mobilità st rategica, della prontezza operativa e della consistente presenza operativa sovie tica su tutti i mari. L'intransigenza sovietica nei riguardi dello schieramento dei missili da crociera e dei Pershing 2 in Europa dimostra la ricerca della superiorità di teatro, non già della pa rità, intesa sia in senso militare sia, ancor più, in senso psicologico. La storia dell'umanità e di per sé dinamica, come pure quella del progresso scientifico e tecnico. L'attuale posizione di stallo della strategia politica e militare non è destinata a durare in eterno. È peraltro difficile prevedere come e quando essa muterà pur nella certezza del cambiamento, questo tanto più p roficuo quanto più graduale. Non possiamo attenderci che le relazioni politiche e diplomatiche restino immutate, sebbene i due poli attuali di attrazione a bbiano ancora davanti a sé un lungo periodo di vita.
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Durante la guerra 1939-'45 i progressi della scienza e della tecnica rivoluzionarono le concezioni strategiche politiche e militari e anche quelle tattiche. Nessuno può prevedere ciò che gli scienziati ed i tecnici scopriranno, inventeranno, realizzeranno nel futuro, del quale sarebbe arbitrario ed anche pericoloso profetizzare lo sviluppo. È tuttavia molto verosimile che l'umanità entrerà nel nuovo millennio in una situazione politica e militare, almeno parzialmente mutata, se non del tutto rivoluzionata, rispetto a quella presente. L'indicazione ci è data proprio dalle difficoltà che continua ad incontrare il disarmo e dalle ricerche, studi e progetti in corso sugli armamenti, quali, ad esempio, quelli sullo scudo spaziale. Finora l'apporto della scienza e della tecnica alla guerra è stato tale da rendere molto improbabile, ma non impossibile, la guerra totale con l'impiego da parte di entrambi i contendenti di armi nucleari. Il modo più s icuro per arrivare alla catastrofe consiste nel proiettare nel futuro il passato e nel non rendersi conto che l'era nucleare-spaziale ha rivoluzionato il tema strategico. Sotto il profilo tecnico-militare si rende indispensabile una strategia a lungo termine - un'esigenza che contrasta con la difficoltà d'immaginare il futuro basata sui progressi in corso della scienza e della tecnica e perciò molto flessibile. L'armonica combinazione della potenza nucleare e convenzionale nel quadro di un'alleanza politico-militare di più Stati resta per ora l'unica chance per evitare la guerra totale. Requisiti fondamentali per l'efficienza e la credibilità dell'apparato militare convenzionale sono e restano la mobilità strategica e tattica e la prontezza operativa, prioritari rispetto alla consistenza numerica e, e ntro certi limiti, alla stessa qualità sofisticata dei mezzi. Ma tutto considerato, bisogna tenere presente che la vera e decisiva forza di una nazione - e di un blocco <li nazioni - non è racchiusa nelle sue armi, e nemmeno nelle sue riserve di oro e di dollari. Essa è racchiusa nelle sue caratteristiche nazionali, nel suo popolo, cioè nella virilità di questo popolo, nella sua volontà di lavorare, nella sua consapevolezza che se esso vuole prosperità e forza economica deve procurarsela da sé oppure farne a meno 26. L'elemento più importante nelle guerre passate è s tato il morale, senza il quale la macchina bellica non ha mai funzionato a dovere. Oggi il morale conta ancor più che nel passato e conta il morale del tempo di pace forse più di quello del te mpo di guerra. Nessuna strategia, tanto meno quella della dissuasione , che è una strategia del tempo di pace, può avere successo senza un morale elevato, cioè senza la consapevolezza e la volontà intime e ferme della difesa ad oltranza d e i propri valori. Se
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il morale è basso, o quasi non esiste, la strategia della dissuasione, come ogni altra strategia, fallisce e la sconfitta politica e militare diventa fatalmente inevitabile. L'Unione Sovietica non vuole la guerra, ma la resa dell 'occidente. Fino a quando non sarà possibile un pacifico rapporto tra est ed ovest, la sola strategia valida, almeno fino ad oggi, è il mantenimento dell'equilibrio del terrore che, tutto sommato, è finora riuscito ad evitare lo scontro totale. La possibilità di prevenire, non solo la guerra totale, ma tutta la miriade di guerre convenzionali limitate che da 40 anni continuano ad insanguinare il mondo, starebbe nella creazione di un'autorità sovranazionale o di un governo mondiale che controllasse i rapporti tra gli Stati e disponesse di forza coercitiva, ma una soluzione di questo genere si è dimostrata irraggiungibile e tale finora resta. Il massimo traguardo può essere il disarmo graduale, bilanciato, controllabile. Auspicare la pace è un conto, realizzarla è un altro. Lavorare a favore della pace è un dovere, ma accettare la realtà, pur sforzandosi di modificarla in meglio, e fronteggiarla per evitare
almeno la guerra totale è un'esigenza esistenziale.
6. La strategia della rappresaglia massiccia aveva creato l'illusione, nella quale l'Europa si era cullata per circa quatto lustri, che per la difesa fosse sufficiente fare affidamento pressoché esclusivamente sull'ombrello nucleare americano e che le spese militari degli altri Stati membri dell'alleanza potessero essere contenute in limiti modesti, tanto più che le forze convenzionali erano state ridotte ad un ruolo scarsamente significativo. La strategia della risposta flessibile con la conseguente rivalutazione delle forze convenzionali - la cui inadeguatezza invaliderebbe da sola la credibilità dell'intera strategia - ha posto l'Europa di fronte ad una realtà nuova e scomoda. La situazione della componente convenzionale era giunta ad un punto di degrado tale da farne escludere la rispondenza ai nuovi compiti, mentre l'Unione Sovietica nel frattempo aveva cercato insieme il potenziamento quantitativo e qualitativo del potenziale nucleare e di quello convenzionale, portando questo ultimo ad un livello di potenza e di efficienza tale da surclassare di molte lunghezze il corrispondente apparato della NATO. È parsa chiara la necessità di riesaminare la dottrina d'impiego, di rivedere le articolazioni tattiche e i sistemi di
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comando - controllo - comunicazioni - C3 I - e di potenziare ed ammodernare l'armamento e l'equipaggimanto. A metà degli anni settanta, l'allora comandante supremo alleato in Europa, generale Alexander Meijs Haig 27, propose, ed il con$iglio atlantico accettò, di incrementare del 3% in termini reali i bilanci militari nazionali e in seguito l'attuale comandante, generale Bernard W. Rogers 28, ha caldeggiato l'elevazione al 4% di tale incremento. La richiesta del generale Rogers ha tratto motivo dalla consistenza sempre maggiore raggiunta dagli arsenali nucleari dei due blocchi, che esige di elevare il più possibile la soglia nucleare, e dal procedere vertiginoso del processo tecnologico e della sofisticazione degli armamenti ed equipaggimanti convenzionali che, nonostante gli elevati costi di produzione, è necessario introdurre in servizio per rendere credibile l'intervento delle forze convenzionali della NATO. Ad ostacolare lo sviluppo dei programmi a medio e lungo termine di potenziamento e di ammodernamento delle forze sopraggiunse fin dagli anni settanta la grande crisi economica per <.:ui fu possibile solo in minima parte colmare le aree depresse, mentre la distanza dall'obiettivo da raggiungere per conferire al convenzionale il grado di efficienza dovuto, in luogo di raccorciarsi, si è fatta più lunga. Oggi le forze convenzionalì del patto di Varsavia sono in grado, secondo le valutazioni del Comando Supremo alleato in Europa, di sferrare una potente azione offensiva contro l'Europa, realizzando la sorpresa nel tempo e nello spazio e sviluppando una manovra ampia e profonda, improntata a grande dinamismo. Esse dispongono di massive formazioni corazzate e meccanizzate, di poderoso fuoco di sostegno aerotattico, di artiglieria e missilistico, ed hanno grande disponibilità di riserve, anche queste corazzate e meccanizzate, tenute a distanza dalle forze di prima schiera in condizioni però di poter tempestivamente intervenire per alimentare la manovra strategica in profondità. Non mancano loro né una robusta difesa aerea né il supporto di armi nucleari tattiche e di sofisticate armi chimiche, il cui impiego può essere subordinato a considerazioni politiche oltre che operative. La potenza di fuoco e il grado di mobilità strategica e tattica sono tali da sovravvanzare di gran lunga quelli espressi dai tedeschi nella prima fase della seconda guerra mondiale. Si tratta, in sostanza, di un apparato convenzionale disteso e diradato, appena al di là delle frontiere tra i due blocchi, in stato_di costante prontezza operativa, con elevato grado di capacità offensiva, pronto a trasformare la pressione psicologica che esercita sull'Europa occidentale in una pressione militare devastatrice.
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Rientra nelle previsioni della NATO mettere in piedi uno strumento operativo convenzionale che, nella proporzione adeguata alla sua natura difensiva, sia in grado, nel quadro della strategia della risposta flessibile, che è tuttora la strategia operativa dell'alleanza atlantica, di condurre un'azione che crei le condizioni per porre termine all'aggressione senza il ricorso alle armi nucleari tattiche, peraltro, potenzialmente disponibili. Ma, prima ancora, tale strumento difensivo deve possedere in sé la capacità operativa e la credibilità dissuasiva necessarie perché l'aggressione non si verifichi. Si tratta di un ruolo nuovo e diverso da quello assegnato alla componente convenzionale dalla strategia della rappresaglia massiccia, molto più impegnativo ed incisivo, addirittura determinante al fine di evitare la guerra. Si tratta di previsioni a medio e lungo termine, la cui traduzione nel concreto è subordinata in primo luogo alla volontà politica dei paesi alleati ed alla loro capacità finanziaria. Al riguardo i precedenti non sono certamente incoraggianti. Gli impegni, presi dagli Stati membri dell'alleanza su richiesta del generale Haig alla metà degli anni settanta, non hanno avuto il seguito dovuto; la nuova proposta del generale Rogers non è stata ancora vagliata e già questo è significativo. La crisi economica generale che ha investito in particolare i paesi dell'Europa occidentale - e non solamente questi - e che, come abbiamo accennato, permane tuttora ancorchè assai meno acuta in taluni Stati, in primo luogo l'Italia, spiega il perché molti degli impegni presi a favore del potenziamento e dell'ammodernamento delle forze convenzionali non siano poi stati mantenuti. L'aumento, da una parte, dei costi di produzione in relazione alle sofisticazioni tecnologiche sempre più avanzate e, dall'altra, dell'inflazione che aveva raggiunto negli anni appena passati tassi annui insostenibili ai fini della salute dell'economia europea hanno pesato negativamente sui processi di ristrutturazione e di rinnovamento delle forze convenzionali. A tale duplice ordine di difficoltà, obiettivamente riconoscibili ed innegabili, si sono sommate e continuano ad aggiungersi notevoli remore di carattere psicologico determinate: dall'attrazione esercitata, e tuttora viva, dall'ombrello nucleare americano, che in definitiva consente all'Europa non nucleare risparmi notevoli sulle spese militari; dalla riluttanza di molti paesi a sacrificare, sia pure in parte, il benessere materiale a favore della sicurezza e della difesa che peraltro costituiscono l'unica garanzia del benessere stesso. L'attuale mobilitazione generale dei pacifisti delle varie chiese - un fenomeno suscettibile di conseguenze gra-
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vissime non ancora, per pigrizia o per paura, attentamente vagliato e sul quale gli stessi governi, democratici, timorosi di perdere il favore degli elettori, non illuminano sufficientemente l'opinione pubblica o addirittura ne assecondano demagogicamente le illusioni, lasciando credere éhe la pace sia davvero dietro l'angolo allontana ulteriormente le prospettive intrinsecamente incerte del raggiungimento nel settore del convenzionale del minimo strategico indispensabile a rendere più improbabile di quanto non lo sia la guerra nucleare e la stessa guerra convenzionale senza dover scegliere in cambio la resa dell'Occidente. Come sarebbe possibile alla NATO opporsi convenzionalmente ad un'eventuale azione offensiva sovietica che si sviluppasse secondo le linee generali sopra sintetizzate? L'impostazione strategica della difesa affidata alle forLe convenzionali, pur con la disponibilità potenziale delle armi nucleari tattiche, dovrebbe aderire, fatte salve le particolarità dei vari scacchieri operativi, alle linee generali della nuova dottrina, tuttora in corso di elaborazione da parte dei comandi operativi della NATO e in particolare del Comando Supremo di Bruxelles. Tale dottrina si basa sul criterio di opporre la qualità alla quantità, nel senso di sfruttare l'attuale presumibile superiorità dell'occidenle sul piano della tecnologia delle armi e dei mezzi bellici per creare un dispositivo difensivo di alto rendimento, ancorché inferiore al tradizionale - peraltro assai approssimato e in definitiva poco conveniente sul campo di battaglia odierno rapporto numerico di l a 3 della difesa rispetto all'attacco, un rapporto spesso smentito durante la seconda guerra mondiale. La dottrina d'impiego delle forze convenzionali aeroterrestri che va sotto il nome de l generale Rogers, ma che rispecchia il pensiero di molte correnti militari di oltre oceano - introduce tre novità di grande rilievo: la contemporaneità della risposta difensiva sia contro le forze a contatto e comunque schierate nella tradizionale area della battaglia, sia contro quelle dislocate in profondità e a grande distanza pronte ad ampliare o ad alimentare la manovra strategica offensiva; il largo impiego in tutte le fasi della manovra strategica difensiva dei mezzi elettronici; la rivalutazione delle reazioni manovrate a largo e stretto raggio, rispetto alle azioni di arresto pure e semplici, al fine di riprendere al più presto l'iniziativa delle operazioni forzatamente lasciata all'inizio all'aggressore per effetto dell'impegno morale, politico e giuridico di rinunzia ad ogni azione preventiva oltre la linea di demarcazione delle forze contrapposte. Il grado di prontezza operativa da conferi-
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re alle forze dovrebbe essere tale da garantire l'immediatezza della reazione di fuoco aereo, terrestre, missilistico nel tempo e nello spazio, mediante un'azione poderosa sferrata simultaneamente contro l' intera profondità del dispositivo offensivo nemico, resa possibile dai mezzi elettronici di individuazione e di rilevamento degli obiettivi e dall'impiego delle nuove armi di precisione a lunga gittata. Le unità incaricate della manovra dovrebbero essere caratterizzate da elevata mobilità strategica e tattica, da grande flessibilità, da autosufficienza, da elevata potenza di fuoco, soprattutto controcarri. Requisiti essenziali delle formazioni tattiche dovrebbero essere l'agilità, la snellezz~, la capacità di rapida dispersione e di altrettanto rapida riunione. L'appoggio di fuoco aereo e terrestre dovrebbe essere poderoso e tempestivo e basato su sistemi di tiro elettronici. Due elementi indispensabili per il successo della manovra sono un efficientissimo C 3I a tutti i livelli e il larghissimo ricorso alla guerra elettronica attiva e passiva. Tale dottrina delinea una visione reale e concreta della manovra strategica difensiva, aderente a quelli che possono essere gli sviluppi dell'azione offensiva: sovietica, valida in prospettiva e perciò da intendere come orientamento a muovere gradualmente lungo le grandi direttrici concettuali che essa traccia, ma non è per ora applicabile che in misura a ssai ridotta perché, anche a voler prescindere dalle difficoltà e dalle remore già considerate, non sono ancora disponibili i nuovi mezzi sui quali essa fa conto: alcuni tuttora nello stadio iniziale di produzione, altri addirittura ancora nello stadio di progettazione. Essa inoltre indica implicitamente la necessità di una riorganizzazione delle forze terrestri ed aerotattiche, che non è realizzabile in tempi brevi e che è attuabile solo gradualmente ed in parallelo con la disponibilità delle armi e degli equipaggiamenti, e la necessità di un nuovo specifico addestramento, in particolare d ei quadri ufficiali e sottufficiali, che va molto al di là del periodico aggiornamento professionale. Siamo infatti di fronte ad una vera e propria svolta nell'evoluzione della dottrina d'impiego delle forze aeroterrestri e degli ordinamenti tattici, brusca, ma non inaspettata, i cui segnali di avvertimento erano già contenuti in molte delle ultime battaglie de lla seconda guerra mondiale. A bruciare i tempi di percorrenza per arrivare alla svolta è stato l'incessante e vorticoso procedere del progresso scientifico e tecnico, che ha già tracciato chiaramente, e viene tuttora completando, il nuovo quadro della guerra convenzionale. Questa conserva naturalmente alcune delle caratteristiche del passato, ma ne intro-
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duce altre del tutto nuove e rivoluzionarie, la cui combinazione con le prime pone problemi di preparazione psicologica e professionale per la quale non esistono modelli sperimentati di riferimento né sul piano dell'organizzazione delle forze, né su quello della condotta delle operazioni strategiche e tattiche. La velocità del progresso scientifico e tecnico ha superato in meno di quattro decenni ogni più ottimistica previsione ed aspettativa e l'eventuale malaugurata guerra convenzionale di domani non somiglierà che assai pallidamente a quella di ieri, mentre chi dovrà condurla e combatterla sarà sempre l'uomo che troverà nei nuovi mezzi ausili inimmaginabili nel passato, ma solo se disporrà di risorse fisiche, morali, intellettuali e professionali di gran lunga superiori a quelle impiegate dalle generazioni precedenti sui vari campi di battaglia. L'uomo con la sua intelligenza, le sue capacità psicofisiche e soprattutto come espressione di volontd, resta ancora la sola forza propulsiva del combattimento... Dovrà cioè essere capace di seguire la velocità delle informazioni che i computer gli forniranno con continuità, dovrà essere capace di prendere decisioni rapidissime in un quadro di spiccata autonomia di comando, derivante dalla dispersione delle unità sul campo di battaglia, dovrà essert:: capace di sfruttare il successo nel momento e nel luogo opportuni, con iniziativa, immaginazione e altissimo senso di responsabilità, utilizzando con il massimo rendimento gli strumenti bellici realizzati dalla scienza e dalla tecnica. E ciò richiederà ancora molti, molti anni: forse solo le generazioni post-duemila saranno mature per questa nuova dimensione umana 29. Ciò equivale a dire che è indispensabile fin da questo momento dare mano alla nuova impa lca tura concettua le, ordinativa, addestrativa per la costruzione del nuovo edificio dalle linee strutturali ed architettoniche inusitate, la cui armonizzazione può essere soltanto il risultato di approfondite ricerche e di appropriati calcoli. La nuova dottrina in elaborazione è molto costosa; richiede disponibilità economiche e finanziarie che forse per ora solo gli Stati Uniti possiedono; non è di immediata applicazione, ma ogni sforzo, modesto che sia, rivolto ad avvicinarsi al traguardo da essa indicato equivale ad allontanare ulteriormente l'eventualità d 'impiego delle anni nucleari che fino ad allora resteranno la sola possibilità concreta di difesa e di dissuasione. D'altra parte l'autorizzazione politica all'impiego delle sole armi nucleari tattiche non può essere data per scontata nelle prime fasi dell'aggressione, per cui ai paesi che non vogliono che il loro territorio diventi teatro di
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combattimenti convenzionali e poi zona di esplosioni nucleari non resta che fare ogni sforzo per applicare la nuova dottrina e soprattutto per adeguare a questa il proprio strumento convenzionale.
7. La strategia della risposta flessibile ha come base di riferimen· to la situazione degli arsenali nucleari mondiali quale oggi è. Ogni mutamento di rilievo soprattutto qualitativo o di diversa aggregazione politica delle potenze nucleari può, in tempi più o meno lunghi, ridurre o azzerare la validità di tale strategia e porre il problema strategico in termini parzialmente o del tutto nuovi. Appare poco probabile che ciò si possa verificare nel futuro prossimo in seguito ad ulteriori progressi dell'armamento nucleare vero e proprio - ordigni e vettori - che in meno di quaranta anni si può ritenere abbia perseguito la massima capacità operativa raggiungibile. Sebbene ulteriori miglioramenti e perfezionamenti del rendimento degli attuali sistemi di armi nucleari siano possibili, specialmente in materia di precisione, di tempi di traslazione e di minore vulnerabilità delle basi e delle apparecchiature elettroni· che connesse ai vari sistemi, non sono per ora prevedibili rivoluzioni tecnologiche tali da sconvolgere la logica dell'attuale ragionamento tecnico. Sotto tale profilo dunque la strategia della risposta flessibile non ha granchè da temere dai progressi che scienza e tecnica vengono compiendo nel campo delle armi spaziali e dell'elettronica. Alla metà di agosto del 1983 il capo del Cremlino Yuri Andropov prese l'impegno unilaterale di non mettere per primo in orbita un qualsiasi tipo di arma antisatellite - secondo i servizi d'informazione americani l'Unione Sovietica sarebbe già da tempo in possesso di un satellite da combattimento e tutto il programma spaziale sovietico avrebbe carattere prettamente militare - mentre fin dal marzo dello stesso anno il presidente americano Reagan aveva prospettato la posibilità di una nuova dottrina strategica basata sull'impiego di un sistema di difesa efficace contro un attacco missilistico nucleare tale da rendere obsolete e impotenti le armi nucleari, aggiungendo però che ciò richiederà un formidabile e lungo forzo di ricerca tecnologica che potrà realizzare i suoi obiettivi non prima della fine di questo secolo. Il presidente si è espresso in termini generali, ma a quanto si sa egli si sarebbe
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riferito all'impiego di raggi laser o di raggi a microonde lanciati da veicoli spaziali in grado di intercettare e distruggere i missili attaccanti prima che questi raggiungano il bersaglio. Le dichiarazioni di Andropov e di Reagan non possono essere interpretate come mosse retoriche e tattiche di propaganda, perché nessuno scienziato ha negato la fattibilità di un programma di difesa antimissilistica, e lo scienziato americano Edward Teller, che fu il padre della bomba termonucleare, viene sostenendo da tempo la tesi della possibilità di perfezionare la tecnologia di difesa antimissilistica attraverso l'impiego dei raggi laser. È comunque fuori dubbio che studi al riguardo siano già da tempo in corso presso istituti e laboratori degli Stati Uniti tra i quali quello di Livermore in California, di cui lo stesso Teller fu in passato direttore. Il giorno in cui le armi s paziali dovessero veramente rendere inutili e superate le armi nucleari, l 'attuale strategia politica e militare non avrebbe più significato e andrebbe sostituita con altra tulla ancora da inventare. L'evento è possibile, ma racchiude tuttora elementi d'incertezza e comunque non è immediato. La gara tra lancia e corazza dura dall' inizio della storia militare e il duello tra carro armato e arma controcarro - tuttora in corso - ne è la conferma più recente e più nota. Sta di fatto che nel 1972, in sede di SALT I, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica s'impegnarono a non procedere nella direzione degli antimissili, perché il possesso di un dispositivo antimissili rispondente e ampiamente sviluppato avrebbe consentito a chi lo raggiungesse per primo un margine di sicurezza tale da modificare l'equilibrio delle forze e avrebbe perciò potuto indurlo nella tentazione di lanciare un attacco di sorpresa - first strike - contro l'avversario. Il colmo di una tragica ironia sarebbe che le armi spaziali costruite per evitare una poco probabile catastrofe nucleare promuovessero invece l'evento a danno di una delle due parti. Lo stesso presidente Reagan ha riconosciuto tale possibilità, sebbene abbia vigorosamente negato ogni intendimento offensivo del genere ed abbia sostenuto che lo obiettivo è di eliminare la minaccia nucleare e di creare una situazione che consenta di proteggere i paesi della NATO e gli altri da essa. Nel clima di reciproca sfiducia esistente tra le due superpotenze, assicurazioni e impegni unilaterali siffatti non hanno naturalmente nessun effetto tranquillante, tanto vero che l'Unione Sovietica ha reagito alle affermazioni del presidente Reagan, circa la messa al servizio delle ultime conquiste della scienza e della tecnica nello spazio per la creazione di un sistema difensivo
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antibalistico, sostenendo che il piano è irrealistico e contraddittorio perché nello stesso momento il presidente americano ha confermato che gli Stati Uniti continueranno ad intensificare il programma relativo agli armamenti strategici e a rafforzare e modernizzare le armi convenzionali sulla base di una nuova tecnologia. L'Unione Sovietica, da parte sua, non può certo in buona fede fare la voce grossa contro il sistema difensivo spaziale americano - al di là delle esigenze della propaganda interna e internazionale - se essa già ne dispone o è avanti su tale strada. Nel convegno degli scienziati di tutto il mondo svoltosi ad Erice nell'agosto 1983 lo esperto americano Antony Battista ha dichiarato che i sovietici avrebbero già due sistemi di armi orbitanti nello spazio, mentre gli americani non ne avrebbero nessuno. Il fatto che i numerosi scienziati" e esperti sovietici presenti al convegno, compreso il vicepresidente dell'Accade mia delle scienze di Mosca, non abbiano replicato e reagito può essere interpretato come conferma della notizia oppure come espediente per far credere ciò che non esiste
ancora, inducendo a supervalutazioni della potenza tecnologica e militare sovietica. È del resto comportamento abituale dell'Unione Sovietica prima acquisire posizioni di forza e poi alzare la bandiera della distensione, cercando di rafforzare presso l'opinione pubblica mondiale un'immagine di sé come paese disponibile ad ogni sacrificio pur di assicurare la pace. La promessa di Andropov di non impiegare per primo le armi orbitanti nello spazio potrebbe sottintendere l' acquisita disponibilità di tali armi e costituire un monito agli Stati Uniti perché si astengano dal costruirle, oltre che avere il contenuto propagandistico che senza dubbio la caratterizza. Nell'incertezza della situazione reale, ma nella certa convinzione che le armi spaziali avranno molto da dire sulla strategia degli inizi del XXI secolo, trova comunque conferma il contrasto di fondo tra le filosofie delle due superpotenze e i diversi orientamenti strategico-militari dei due blocchi anche in fatto di armi spaziali. La divisione è tra chi pensa in primo luogo alla difesa e chi quanto meno non esclude, se non a parole, l'eventualità di muoversi per primo. Da quanto risulta alla luce del sole e limitatamente ai segni più chiari, nel corso degli ultimi quindici anni l'Unione Sovietica ha schierato 360 SS-20 a tre testate, di cui un terzo in Asia, ha varato 60 nuovi sommergibili armati di missili balistici, ha introdotto nella linea di volo 200 bombardieri Backfire e continua a costruirne 30 all'anno, mentre gli Stati Uniti sono rimasti fermi ai vecchi
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numeri. Fino al dicembre 1983 Ja NATO non disponeva in Europa di nessun missile a media portata lanciato da terra, eccezione fatta dei 18 missili terrestri S-2 francesi non inseriti nel piano difensivo comune, ma di esclusiva autonoma decisione d'impiego della Francia. Nello stesso periodo gli Stati Uniti hanno messo allo studio e continuano le ricerche e le sperimentazioni intorno a 3500 progetti di difesa ed hanno realizzato, rimandandone peraltro la produzione, la bomba a neutromi - che è un'arma soprattutto difensiva in quanto destinata ad essere impiegata su territori della NATO invasi dai carri armati delle forze del patto di Varsavia - e armi laser a lunghezza di microonda. In moltissimi istituti e laboratori, in particolare in quelli di Los Alamos e di Livermore, si continua a lavorare intorno a molteplici progetti, quasi tutti molto complessi, riguardanti nuovi sistemi di difesa, intendendo con tale specificazione i sistemi che entrano in funzione solo appena sono in corso le aggressioni. I sovietici sostengono la tesi che ogni sistema di difesa è anche un sislema di offesa ed in certi limiti, specialmente per qualche tipo di arma, essi hanno ragione, ma l'impostazione concettuale e l'atteggiamento mentale dell'alleanza atlantica sono esclusivamente difensivi e la strategia della risposta flessibile ne rappresenta la prova concreta, convincente e pubblica. Quali che potranno essere gli sviluppi delle armi spaziali - es istono negli Stati Uniti correnti di pensiero minoritarie che ne prevedono l' impiego principalmente come tetto protettivo del solo territorio del nord America - per ora, e fino almeno ai primi anni duemila, le forze nucleari strategiche sono e resteranno la base fondamentale del deterrente globale e perciò la sostanza della strategia politica e militare.
8. La nuova dottrina statunitense d ' impiego delle forze aeroterrestri convenzionali - air-land battle 2000 - copre una prospettiva che non va oltre i primi tre lustri degli anni duemila. Sebbene alcuni armamenti ed equipaggiamenti che essa considera non risultino ancora operativi, altri hanno già ricevuto il loro collaudo nelle guerre locali più recenti - conflitti arabo-israeliani e conflitto delle Falkland - che hanno funzionato da banchi di prova ed hanno aperto prospettive ad ulteriori sviluppi e perfezionamenti. La scienza e la tecnica non solo hanno segnato l'avvento dell'era
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nucleare-spaziale, ma hanno rivoluzionato altresì i sistemi della guerra convenzionale, moltiplicando le capacità operative delle armi, dei mezzi e delle apparecchiature già impiegati nella seconda guerra mondiale, eliminandone alcuni per sostituirli con altri di rendimento centuplicato, introducendo sistemi e moduli di guerra fino a pochi anni addietro inimmaginabili. Forza scatenante e trainante della rivoluzione è stata e rimane l 'elettronica e non v'è stato settore che non se ne sia avvantaggiato. Le conseguenze della rivoluzione sono state di ordine vario ed hanno inciso sulle concezioni strategiche, tattiche, ordinative e logistiche come anche sulle tecniche d'impiego delle unità dei vari livelli. Una de lle conseguenze più notevoli è stata la diminuzione del personale e del numero delle unità combattenti e, in contrapposizione, del correlativo aumento del personale delle unità logistiche in generale e di quello addetto ai servizi nell'ambito delle s tesse unità di prima linea. Gli eserciti tendono a ridurre le dimensioni del passato in ragione: della maggiore capacità di fuoco conseguibile con mezzi più potenti, prec isi;'rapidi, di braccio più lungo; dell'automazione di molte operazioni affidate nel passato a gruppi di lavoro numericamente molto più consistenti; della grande potenzialità dei mezzi di esplorazione, ricognizione, sorveglianza del campo di battaglia nonché dei mezzi di visualizzazione delle operazioni e di quelli di trasmissione e ricezione delle notizie e degli ordini; della velocità di ritmo delle manovre strategiche e tattiche. In un eventuale scontro convenzionale tra i grandi blocchi, la durata della lotta sarebbe di necessità relativamente breve, dovendosi ritenere del tutto improbabile il ritorno alla guerra di logoramento nella prospettiva della strategia della rispos ta flessibile che ricerca la soluzione del conflitto mediante l' intervento politico-diplomatico prima che la guerra convenzionale degeneri in quella nucleare. Di qui l'importanza preminente assunta dalla prontezza operativa di un complesso di forze quantitativamente e qualitativamente adeguato ai compiti, in grado di entrare subito efficacemente in azione, rispetto all'entità del complesso stesso ed al numero delle riserve istruite. Concorrono infine, non in scarsa misura, a contenere l'entità degli eserciti in limiti meno ampi che nel passato, il costo e la sofisticazione dei nuovi armamenti e d equipaggiamenti divenuti oramai quasi insostenibili per le stesse ruperpotenze, tanto che si è già alla ricerca di mezzi bellici meno costosi e meno raffinati e delicati, che siano accessibili alle casse degli Stati, non esasperino la richiesta di personale estremamente specializzato, di difficile reperimento e di
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troppo lunga qualificazione, e che siano compatibili con le condizioni di asprezza e di ruvidità del campo di battaglia, senza andare soggetti a troppe limitazioni d'impiego ed a troppi black-out di funzionamento. Diventa così molto più difficile che nel passato conciliare l'esigenza morale,- politica e sociale della partecipazione di tutti i cittadini alla sicurezza ed alla difesa del paese con quella di carattere tecnico di forze armate di dimensioni misurate, con personale di grande specializzazione, pronte in ogni momento ad entrare in azione senza preavviso. Un'altra conseguenza di grande significato tattico ed organizzativo è la estensione della manovra e del carattere pluriarma ai gradini meno elevati della scala ordinativa tattica, di cui si pone la necessità del riesame globale ai fini di determinarne la rispondenza alla nuova fisionomia della lotta; rispondenza, sia del numero che del tipo delle articolazioni tradizionali (dalla squadra al gruppo di armate), sia delle tabelle organiche del personale e dei mezzi. Una terza conseguenza è l'appesantimento logistico degli eserciti che, nonostante l'elevato grado di mobilità strategica e tattica, rischiano di diventare macchine sempre più complesse e lente per il numero e la varietà dei mezzi di cui debbono costantemente disporre nel corso della battaglia e per la serie di servitù che:: d a tali mezzi derivano. Forse mai nel passato gli eserciti convenzionali, che pure hanno vissuto lunghi periodi di transizione da un tipo di armamento e di equipaggiamento ad un altro radicalmente diverso dal preesistente, si sono trovati a dover fronteggiare con tanta rapidità una rivoluzione così dinamica, profonda ed integrale da sconvolgere un po' tutto il passato, senza peraltro concedere molto tempo alla pur necessaria riflessione pe r il riordinamento delle idee e l'aggiornamento dell'intero apparato militare, i cui fattori tecnici continuano ad essere in costante e rapida evoluzione, talché armi ed equipaggiamenti nuovi entrati oggi in servizio, domani saranno già superati. Il progresso scientifico e tecnico, in conclusione, ha moltiplicato per cento la potenza, la tempesitività e la precisione del fuoco, la mobilità strategica e tattica, la flessibilità e la duttilità delle formazioni tattiche, la velocità delle manovre, ma ha anche creato una vera e propria crisi di identità delle forze armate convenzionali, che stentano ad assumere una nuova fisionomia stabilizzata circa i ruoli armonizzati delle tre componenti e circa il carattere e la dosatura interarma delle varie articolazioni ·tattiche. In linea generale si può tuttavia affermare con fondamento, anche sulla base delle indicazioni già ricavate dall'esperienza della seconda
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guerra mondiale, che è essenziale ed indispensabile porre alla base delle soluzioni dei vari problemi il criterio di perseguire il massimo di unificazione possibile al livello nazionale delle forze armate e quello di modellare su schemi unitari le dottrine, gli ordinamenti, i procedimenti d'impiego, possibilmente anche gli armamenti, e gli equipaggiamenti, le logistiche delle forze armate delle varie nazioni dell'alleanza atlantica. Non esistono più problemi di preminenza e di priorità di una forza armata rispetto alle altre, ma un unico problema di equilibrata dosatura di uno strumento unico risultante di varie componenti, come pure non possono esistere, se non parzialmente, problemi d iversi di sicurezza o di difesa tra le nazioni europee della NATO, ma il problema è unico e quanto più unitariamente viene risolto, tanto più remunerativa e meno costosa è la soluzione stessa. I mezzi corazzati hanno accentuato il ruolo di protagonisti che avevano assunto durante la seconda guerra mondiale sui terreni che ne consentano l'impiego. I progressi compiuti dai mode lli di quel tempo a quelli di oggi hanno riguardato la potenza di fuoco, la capacità d'urto e di penetrazione, la diminuizione della vulnerabilità, la maggiore idoneità a superare ostacoli, affrontare pendenze , superare guadi. Il carro armato da combattimento più moderno sembra essere l'Abram MI di progettazione americana 30, ma il carro di combattimento degli anni duemila sarà ancora più avanzato, in quanto sono già in corso studi per ridurre la sagoma del m ezzo, conferire completa automazione al caricamento, montare la bocca di fuoco direttamente sullo scafo, ridurre ulteriormente il numero dei componenti dell'equipaggio, sottrarre il mezzo al rilevamento notturno, visualizzare i dati per il tiro rapido e d efficace, conferire al m ezzo capacità di difesa dal fuoco degli elicotteri. Sa rà, in definitiva, un Abram Ml migliorato e pe rfezionato di cui l'elettronica continuerà ad essere una delle componenti essenziali. Sebbene oggi esistano molti altri mezzi per l'esplorazione strategica e ta ttica (satelliti, aerei, elicotteri, velivoli telepilotati, mezzi elettronici, ecc.), alcuni eserciti della NATO e del patto di Varsavia continuano ad essere dotati di carri armati leggeri e di autoblindo che, nonos tante a lcune obiezioni, non sembra no destinati a scomparire dal campo di battaglia, se: negli Stati Uniti sono tuttora in esame le soluzioni per la creazione d el sistema di cannone protetto mobile secondo progetti concettua lmente nuovi, tendenti alla costruzione di veicoli molto mobili, dotati di cannone a tiro rapido, agili, a nfibi, in grado di sostenere il comhattimento
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ravvicinato; nell'Unione Sovietica è tuttora in vigore - e nulla lascia pensare che le cose muteranno - una particolareggiata dottrina circa l'impiego delle unità esploranti (battaglioni e compagnie) ed è tutt~ra in distribuzione una larga serie di veicoli specificamente idonei all'esplorazione ed al combattimento d'incontro. Accanto alle unità di carri armati, in rapporto di simbiosi, c'è la fanteria meccanizzata per combattere con e per i carri amici e contro i carri nemici. Senza rinunziare alle armi automatiche portatili, individuali e di reparto - delle quali peraltro si tende ad alleggerire il peso riducendone il calibro a 5,56 mm o addirittura a 4,7 mm e ricorrendo a munizioni senza bossolo - l'armamento principale della fanteria è ora quello contro carri, la cui evoluzione, in parallelo con quella dei carri armati, procede a ritmo sostenuto verso nuovi sistemi missilistici leggeri, con portata dai 500 ai 4000 m, grande capacità di colpire il carro nemico al primo colpo, completa autoguida del missile. Oggi, e più ancora domani, a tutti i livelli delle unità della fanteria meccanizzata l'armamento contro carri costituirà il nerbo · della capacità offensiva e difensiva delle unità stesse che, qualora non dotate di elevata potenzialità controcarri, perderebbero ogni possibilità di sopravvivenza. La stretta relazione tra carri e controcarri non appartiene solo all' azione difensiva, nella quale spetta alla fanteria meccanizzata rallentare, logorare ed arrestare l 'impeto delle formazioni corazzate nemiche, ma anche all'azione offensiva nella quale il ruolo della fanteria meccanizzata, che combatte dai mezzi o appiedata, resta essenziale ed insostituibile per snidare le insidie e disarmare le trappole tese dal nemico all'avanzata dei carri attaccanti. L'importante è che la fanteria meccanizzata abbia mobilità pari a quella dei carri armati ed essa si può ottenere unicamente se la fanter-ia è trasportata su mezzi che le consentano di accompagnare da vicino i carri armati e di eliminare rapidamente gli ostacoli attivi e passivi che bloccano il cammino dei mezzi. La fanteria che combatte appiedata per poi risalire sui mezzi è una necessità tattica alla quale non si può rinunziare, ma sui terreni che ne consentano l'impiego la preponderanza numerica resta quella delle unità di fanteria corazzata e di artiglieria semovente, in quanto l'esperienza della seconda guerra mondiale e delle guerre successive ha dimostrato che una compagnia di fanteria meccanizzata che entri in azione al momento giusto può sgominare una difesa meglio e prima di un intero battaglione appiedato. Il fattore tempo è quanto mai decisivo nella lotta tra formazioni corazzate. Tutti gli eserciti concordano sul futuro dei
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carri armati; l'armamento controcarri missilistico non ha segnato la morte del carro armato, ma ne ha solo reso più difficile la vita. Nessun esercito ha rinunziato, ed è orientato a rinunziare, ai carri armati per combattere i carri armati nemici, affidandosi solo ai missili, ai cannoni ed ai razzi controcarri ed agli ostacoli attivi e passivi. Sull'ostacolo minato, in particolare, tutti fanno affidamento ed anche in tale settore sono allo studio nuovi sistemi di posa, ma anche di sminamento, e nuovi tipi di mine ad effetto controcingolo e sottoscafo con elevato potere distruttivo, come pure dispositivi antirimozione, o autoneutralizzantisi, ed anche mine telecomandate. Tale straordinario sviluppo dei mezzi controcarro 31 ed anticarro, che può riserbare ulteriori soprese, ha orientato gli eserciti a migliorare l'adattabilità alle varie situazioni e la prontezza alla azione di fuoco dei carri armati. La storia futura del combattimento aeroterrestre è nelle previ s ioni attuali tutta imperniata sulla lotta tra carri e controcarri, comprendendo in questa ultima non solo le armi controcarri di superficie e gli ostacoli anticarro passivi e attivi, ma anche le armi controcarri aria-superficie sparate dagli aeromobili e, in particolare, dagli aerei tattici e dagli elicotteri di attacco. Sebbene riorganizzate su basi più maneggevoli e meno vulnerabili rispetto alla seconda guerra mondiale, le forze corazzate (carri armati e mezzi meccanizzati di traporto e di combattimento della fanteria) tendono ad alleggerire il peso dei loro supporti logistici che restano ancora troppo ingombranti ed a ridurre la loro vulnerabilità alle offese aeree. Le due esigenze sono peculiari d egli eserciti dellà NATO che, a causa del loro maggiore bisogno di rifornimenti, sono più suscettibili di essere paralizzati di quanto lo siano gli eserciti del patto di Varsavia e che, a causa delle loro inferiorità aerea numerica, non sono in grado, diversamente dalle armate corazzate alleate durante la seconda fase della seconda guerra mondiale, di muoversi sotto la protezione di un potente sicuro ombrello aereo. Da qui l'orientamento, gli studi e le realizzazioni per ridurre i servivi e i pesi morti in genere e per accrescere la mobilità strategica e tattica al fine di poter diradare il più possibile le formazioni e di poter disperdere le unità sul terreno, incrementando al tempo stesso la loro capacità di trasferirsi da un settore all'altro e di raccogliersi rapidamente in modo da spezzare lo slancio nemico. La realizzazione di nuove corazze, di maggiore mobilità tattica mediante nuovi veicoli di grande affidabilità e versatilità, di sistemi e di tecniche maggiormente protettivi dalle offese missilistiche terrestri ed aeree costituiscono i traguardi
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ravvicinati dell'evoluzione dei carri armati e della fanteria meccanizzata, mentre l'ulteriore espansione dell'elettronica e il perfezionamento dell'avionica dei velivoli con armamento controcarri tendono a conferire ai carri armati ed all'armamento controcarri del futuro maggiore precisione di fuoco sì da quasi azzerare l'errore probabile. Dove la grande rivoluzione tecnologica ha già inciso, ed è sul punto di incidere ancora più radicalmente, sul passato - in misura assai maggiore di quanto abbia già fatto nei riguardi dei carri armati e della fanteria meccanizzata e corazzata - è nel settore dei missili e delle a rtiglierie. L'artiglieria, che già durante la seconda guerra mondiale aveva ceduto all'aviazione la sua funzione strategica e in parte era stata sostituita o integrata anche nel suo ruolo tattico, non solo ha ripreso quasi per intero questo ultimo, ma prossimamente sarà in grado di operare efficacemente in profondità a distanze inimmaginabili fino a qualche anno fa, prendendosi in un certo senso la rivincita sull'aereo tattico. La microelettronica e la componentistica hanno conferito ai missili ed ai proietti di artiglieria una guida di precisione quas i assoluta e tempi d'intervento così ridotti che non sarebbe mai stato poss ibile raggiungere con la sola mente umana. Affidate al calcolatore elettronico, le operazioni per la determinazione dei dati di tiro meteobalistici, per l'individuazione e il riconoscimento degli obiettivi, per la scelta più conveniente tra i diversi mezzi di fuoco disponibili, vengono compiute quasi simultaneamente e comunque in tempo reale. Tra l'identificazione e l'esatta determinazione topografica degli obiettivi, l'elaborazione e la trasmissione dei dati agli organi decisionali, l'emanazione degli ordini e il giungere del fuoco sui bersagli passano intervalli di tempo misurabili in secondi ed in frazioni di secondo. I nuovi sistemi di rilevamento, che consentono di operare in qualsiasi condizione meteorologica, di giorno e di notte, possono basarsi sulla macrostruttura dei bersagli (forma e dimensioni), sulla loro microstruttura (molecolare o chimica), sulla emissione di gas propri di ogni sostanza, sullo spettro delle vibrazioni proprie dei vari oggetti, sulla loro temperatura, sulle orme lasciate dai corpi mobili, ecc. Ognuna di queste caratteristiche può essere rilevata da sensori elettronici opportunamente dislocati e collegati con le postazioni di lancio o con le stesse armi 32. In alcuni complessi la traiettoria dei proietti viene esattamente programmata e si lascia eventualmente alla loro intelligen za, costituita da sistemi elettro-ottici tipo laser ·o di sensori all'infrarosso, la decisione finale
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sull'obiettivo da colpire 33. Le realizzazioni circa il controllo e la guida dei missili, dei razzi e dei proietti di artiglieria ed i perfezionamenti apportati agli esplosivi ed alle munizioni hanno già rivalutato in pieno ed esaltato come mai prima di ora il ruolo dell'arma di artiglieria, sia contro le forze nemiche terrestri sia contro quelle aeree, settore questo ultimo - artiglieria contraerei, missilistica e tradizionale - dove l'elettronica, così come nel campo della controbatteria, ha superato ogni più ottimistica previsione in fatto di precisione, di probabilità di colpire al primo colpo e di immediatezza d'intervento del fuoco. In materia di azione in profondità e di saturazione del campo di battaglia - due aspetti essenziali al fine di rendere attuabile e remunerativa l'applicazione della nuova dottrina d'impiego delle forze aeroterrestri convenzionali della NATO - esistono due progetti statunitensi alla cui realizzazione sono già impegnate numerose industrie. Dei due progetti , il più rivoluzionario ed il più significativo è senza dubbio quello del f runtumatore dell 'attacco (assault breaker) che è un sistema missilistico con gittata di qualche centinaia di chilometri, capace di portare l 'offesa in profondità in maniera assai meno onerosa e costosa di quanto sia in grado di fare l'aviazione tattica 34. L'altro progetto riguarda il lanciarazzi multiplo med_io (M.L.R.S.) che è un'arma fondamentale per la saturazione del campo di battaglia, caratterizzata da elevata celerità di tiro, da alta precisione, da gittata fino a 40 Km 35_ Sono in corso studi di nuovi cannoni a canna liscia, di cannoni magnetici, di proiettori di raggi ad alta energia (fotoni o particelle) e di altri apparecchi simili, ma realizzazioni del genere non riguardano il futuro immediato ed esulano dalla nuova dottrina d'impiego delle forze convenzionali della NATO. Nonostante il grande balzo compiuto dal sistema di comando, controllo e comunicazioni informazioni rispetto al periodo della seconda guerra mondiale, l'elettronica apre jn questo campo nuovi orizzonti di sviluppo come testimoniano i più recenti conflitti convenzionali e come conferma la grande operosità progettuale e realizzatrice che possiamo considerare sintetizzata nel sistema CATRIN 36,che affida la sorveglianza del campo di battaglia ai piccoli velivoli radiotelecomandati, successori dei drone; nel nuovo sistema di allarme aereo per ammodernare il NADGE 37. Si tratta di tre progetti importanti validi fino al 2000, in quanto è già allo studio la creazione di sistemi ancora più avanzati. Inseritasi nella guerra con il radar e subito manifestatasi elemento importante e
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decisivo nell'impiego e nella tecnica di impiego di tutte le forze convenzionali di terra del mare e del cielo, l'elettronica è divenuta successivamente l'imperatrice del campo di battaglia moderno, esercitando su11'impostazione, organizzazione e condotta delle operazioni un potere di condizionamento così elevato da non trovare riscontro in altri mezzi. L'elettronica ha modificato la fisionomia della battaglia e del combattimento più di quanto fece nel passato l'aviazione tattica, dando vita ad una vera e propria forma di guerra - la guerra elettronica appunto - che da sola, qualora non efficacemente fronteggiata, può determinare l'esito favorevole o sfavorevole di una manovra strategica e tattica. Essa è tuttora in corso di rapida e sfrenata evoluzione in una gara tra misure e contromisure di cui per ora non è dato prevedere i traguardi, benché non vi possano essere dubbi sulla creazione di nuove più sofisticate apparecchiature operative, capaci di modificare ulteriormente aspetti e caratteristiche della lotta convenzionale. I progressi compiuti dall'artiglieria missilistica e tradizionale - entrambe in costante evoluzione - non hanno estromesso dal campo di b a ttaglia l'aviazione tattica, il cui impiego continua a soddisfare l'esigenza di integrare e di estendere la capacità del fuoco erogato dalle sorgenti terrestri. Al fine di meglio rispondere a tali esigenze, l'aviazione tattica viene orientandosi verso nuovi velivoli caratterizzati da un più armonico equilibrio tra cellula avionica e armamento, da una maggiore manovrabilità, da una minore influenzabilità e soprattutto da minori servitù di decollo e di atterraggio. L'aereo V STOL (Vertical Takz-Off and Landing), cioè a decollo verticale o corto, offre vantaggi notevoli rispetto agli aerei tradizionali. Il conflitto delle Falkland ha dimostrato in pieno la grande versatilità di questo velivolo. Tuttavia, considerato soprattutto il suo elevatissimo costo, sono in corso studi per una nuova generazione di aerei con ala a doppia delta, dotati di sofisticatissime attrezzature elettroniche. L'Italia sta portando avanti lo sviluppo del nuovo caccia-bombardiere-ricognitore AMX, che dovrebbe prevedere la minimizzazione dei pesi, l'aumento della vita a fatica, l'esaltazione della capacità di sopravvivenza nel campo di battaglia, la riduzione dei costi ed un armamento aria-terra atto a garantire la massima efficacia 38_ Analoghi gli orientamenti di molte altre aviazioni, ma nel quadro dell'economia generale dell'ammodernamento delle forze aeroterrestri convenzionali, il grado di priorità di un nuovo aereo tattico è inferiore a quello dello elicottero di attacco, che è il mezzo più flessibile e più tempestivo
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per intervenire laddove i mezzi terrestri non possano giungere. A parte gli importanti ruoli che l'elicottero può svolgere per incrementare la mobilità delle forze terrestri, per il celere cambiamento di posizione di armi e di mezzi, per favorire l'attività dei comandi anche nel campo delle telecomunicazioni, per il concorso nella sorveglianza del campo di battaglia, l'apporto di fuoco, specialmente controcarri, che esso è in grado di offrire alle unità di superficie, l'apparecchio ad ala rotante si colloca su di un piano di rilevante importanza e di notevole efficacia nel quadro del combattimento ravvicinato. Nonostante l'elevato costo dell'apparecchio ed il notevole grado di vulnerabilità, la sua presenza sul campo di battaglia, anche come mezzo erogatore di fuoco, è oggi considerata necessaria da tutti gli eserciti che hanno realizzato e continuano a studiare misure attive e passive tendenti a conferirgli maggiore protezione e ad assicuragli la sopravvivenza 39. Tale panoramica degli sviluppi più recenti e delle tendenze evolutive degli armamenti e dei mezzi bellici non è né completa né esauriente; dovrebbe però essere sufficiente a mettere in evidenza che la guerra convenzionale futura sarà molto diversa dalla seconda guerra mondiale e che la nuova dottrina d 'impiego delle forze aeroterre stri convenzionali potrà essere applic ata nel giro di qualche anno, in qua nto in tale lasso di tempo potrà venir meno l'attuale distanza tra teoria e realtà. Resta però il fatto che il costo delle nuove armi e dei nuovi mezzi supererà in misura notevole quello delle armi e dei mezzi attuali già difficilmente sopportabil e. Esiste un'alternativa: la messa in comune delle possibilità finanziarie degli Stati europei della NATO per la integrazione militare mediante la creazione di uno strumento difensivo unitario e unico. Tale inve rsione di rotta aprirebbe la via verso un porto di approdo sicuro, ma è illusorio pensare che la ragionevolezza sopravvanzi gli egoismi nazionali. Eppure allo stato attuale delle cos e l' Europa non sembra abbia altra scelta per salvaguardare la sua identità, il cui degrado continua incessantemente a crescere . L'Europa denunzia tuttora sbandamenti e incertezze e conta poco nell'ambito della NATO ed ancora meno fuori di questa ultima, comunque meno di quanto non contasse una sola delle sue maggiori potenze nel periodo prebellico. Sembra che ancora non abbia deciso se diventare, unificandos i, uno dei due perni dell'alleanza atlantica o se, restando divisa, proseguire lungo la strada della decadenza culturale, tecnologica e politica. È tuttora, da qualche parte tentata di svolge re un ruolo di terza forza tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovie-
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tica, da qualche altra parte sollecitata al disarmo unilaterale, totale o parziale, rinunziando così per sempre ali 'unificazione ed al rango di grande potenza. Se l'Europa divenisse una potenza mondiale rappresenterebbe un importante fattore di stabilità. Un'Europa coerente e personalizzata consentirebbe alla NATO di trovare una formula più efficace e più equa nel quadro di un coordinamento delle strategie che porrebbe fine all'ordine sparso con il quale queste si sono mosse finora. È difficile pensare, dopo gli ultimi vertici della C.E.E., che l'Europa riesca a rafforzare la sua solidarietà difensiva, a perseguire una maggiore coesione politica, a realizzare una sua potenza militare credibile. È facile prevedere che, se l'Europa non sarà in grado o non vorrà accollarsi sul serio l'onere che deriva dalla nuova dottrina NATO d'impiego delle forze aeroterrestri convenzionali e dei nuovi armamenti e mezzi bellici che la renderanno operante, l'alleanza atlantica entrerà in crisi e, mentre riprenderanno vigore le corre nti neoisolazioniste americane, l'Europa disarmata e sola non potrà più sottrarsi alle pressioni politiche e psicologiche dell'Unione Sovietica.
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NOTE AL CAPITOLO XLVIII 1
Richard A. Preston e Sydney F. Wise. Storia sociale della guerra. Milano, Arnoldo Mondadori editore, 1973, pg. 437. 2 Ibidem, pg. 438. 3 Ibidem. 4 Ibidem, pg. 439. s Ibidem. pg. 450. 6 Ibidem, pg. 451. 7 Generale Beaufre. Difesa della bomba atomica. Milano, edizioni Il Borghese, 1965, pg. 23. 8 Ibidem. 9 Ibidem, pg. 22. 10 Gli scritti di Hcrman Kahn apparvero in numerosi periodici ed ebbe ro ovunque vasta risonanza, sollevando approvazioni e proteste. 1 suoi libri più importanti furono: On Theannonuclear War (1960), Thinking About the llnthinkable, On escalation Metaphors and S emarios (1965). Kahn, oltre che direttore del Hadson Instilute, un'organizzazione di ricerc he politiche, lavorò dal 1948 al 1961 in qualità di fisico per la RAND Corporation, e fu poi consulente della Commissione per l'energia atomica, del Laboratorio nazionale di Osk Ridge, del gabinetto del segretario di Stato per la difesa, d i varie ditte priva te. 11 Il più volte citato volume Storia della gue rra sociale di Richard Pre ston e di Sydney Wise, nel capitolo XX. dal quale abbiamo tratto alcune delle notizie riportate e delle considerazioni che veniamo facendo, offre unii lucida sintesi di tutta la problematica nucleare degli anni cinquanta e se ssanta, dando spazio anche a quelli che furono i contrasti interni nell'ambito delle forze armate statunitensi. 12 Ibidem, pg. 442. 13 Sia gli Stati Uniti sia l'Unione Sovietica lavoravano da tempo per l'impiego tattico delle armi nucleari. Inizialmente gli Stati Uniti effettuarono numerose sperimentazio ni di cannone atomico, poi si o rienta rono verso la propulsione a razzo. Armi come il Sergeant e il Corpora! - gittata di 300 Km a testa e splosiva di un massimo di 20 kiloton - furono presto sostituite dai razzi Honest John e Laerosse più adatti all'appoggio ravvicinato e caratterizzati da una gittata di una cinquantina di chilometri. Venne poi il mortaio Davy Crockett con carica esplosiva di potenza inferiore a 1 kiloton. Anche gli Hon est John e i Laerosse vennero poi rimpiazzati da nuove armi come il Lance e la sofisticazione delle armi nucleari tattiche continua tuttora. 14 Veds . cap. XXXIX, nota n. 23. 15 Generale Beaufre. Difesa della bomba atomica. Op. cit., pg. 129. 16 Herman Kahn . Filosofia della guerra atomica. Milano, Le . edizioni del Borghese, 1966, pg. 22. 17 Ibidem, pg. 34. 18 Ibidem, pg. 35. 19 Ibidem. pg. 43. 2 0 Richard Preston e Sydney Wise. Storia della guerra sociale. Op. cit., pg. 449.
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Il generale francese Pierre Galloise in due successive conferenze tenute a Roma nell'autunno del 1982 ha ipotizzato il ricorso della Unione Sovietica per l'aggressione all'Europa alla ·strategia della precisione". L'Europa potrebbe essere sconfitta in pochi minuti da lla Unione Sovietica che, sfruttando la grande precisione dei missili a media gittata, agendo d'iniz.i.a tiva, realizzando la sorpresa, potrebbe con un'unica salva di missili distruggere o neutralizzare tutte le forze convenzionali della NATO, escluse le forze convenzionali statunitensi schierate in Europa per evitare la ritorsione nucleare massiccia degli Stati Uniti. In tale ipotesi, l'Europa non potrebbe che accettare il fatto compiuto della sconfitta e capitolare, dovendosi ritenere improbabile il passaggio da parte della NATO allo scontro nucleare illimitato. L'attacco simultaneo in massa e in profondità mediante l'impegno iniziale ed imprevisto delle armi nucleari di teatro rovescia il concetto strategico finora proprio dell'Unione Sovietica affidando a lle forze convenzionali sovietiche il ruolo di forze di d issuasione e di occupazione ed a quelle nucleari il ruolo di forze di rottura. 22 Richard Preston e Sydney Wise. Storia sociale della guerra. Op. cit., pg. 460. 23 Ibidem, pg. 460. 2 4 Ibidem , pg. 457. 25 Generale Umberto Cappuzzo. La componente militare nella politica sovietica verso /"Europa. Conferenza tenuta a Venezia il 6-Xl-1981 presso la fondaz ione Cini. Inserto del n. 1 'Rivista militar('° 1982. 26 Feldmaresciallo Montgomery. Storia delle guerre. Rizzoli , Milano, 1970, pg. 605. 27 Alexander Meies Ilaig (1924), generale statunitense. Freque ntò l'accademia militare di West Point e ne uscì come tenente carrista. Conseguì molti titoli accademici c come tenente di cavalleria, negli anni 1948 e 1949, prestò servizio presso la 1• divisione di cavalleria in Estremo Oriente. Comandò successivamente, battaglioni carri ed assolse vari incarichi di stato maggiore, tra i quali quello di assistente speciale del segretario della difesa. Fu anche ufficiale di collegamento con la Casa Bianca. Durante il conflitto vietnamita fece parte, inizialmente, dello stato maggiore della 1 • divisione di fanteria. Successivamen1e, comandò il 1° battaglione del 26° fanteria. Con il grado di tenente colonnello assunse il comando della 2a brigata della divisione di fanteria. Ne l giugno 1967 fu promosso comandante del 3° reggimento e, successivamente, dell'accademia m ilitare di West Point. Nel 1969 fu assegnato, come ' Senior Miìitary Advisor·, all'assistente per la sicurezza nazionale del presidente degli Stati Uniti di America e, nel 1970, fu promosso assistente presso il presidente della sicurezza nazionale. Nel 1974 fu assegnato al comando delle forze alleate in Europa e, successivamente fu nominato comandante supremo delle stesse, carica che te nne d al 1974 al 1979. Fu poi segretario di Stato. 28 Be rnard W. Rogers (1921), generale statunitense. Uscito dalla scuo la militare nel 1933, servi nella guardia nazionale e frequentò successivamente, nel 1940, l'accademia militare di West Point. Fra il 1947 ed il 1950 frequentò l'università di Oxford. Nel 1952 coma ndò in Corea, durante la guerra, il 3° battaglione del 9° reggimento fan1eria. Nel 1952 fece parte dello s tato maggiore del comandante in capo delle Forze dell'O.N.U. e del comando in Estremo Oriente. Tornò a comandare, dopo aver frequentato i regolari corsi di stato maggiore, un battaglione di fanteria. Nel 1956 fu assegnato a ll'ufficio del capo di S.M. dell'esercito e, nel 1960, alla 24a divisione di fanteria in Germania Occidentale della q uale, per 14 mesi, fu capo di s tato magg iore. Nell'estate del 1962 fu per breve tempo capo della b ranca operativa della divi sione operativa del q uartie r generale USAREUR e poi assegnato a ll'ufficio
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del presidente del comitato dei capi di stato maggiore. Dal novembre 1966 all'agosto 1967 fu assistente del comandante della 1 a divisione di fanteria, nel Vietnam e successivamente comandante dell'accademia militare di West Point. Dal 1969 al 1970 comandò la s• divisione di fanteria, successivamente, assolse altri incarichi di responsal?ilità presso gli alti comandi americani. Il 1° ottobre 1976 fu nominato capo di stato maggiore dell'esercito, carica che tenne fino al 27 giugno 1979, quando divenne Comandante Supremo delle forze alleate in Europa. 29 Centro di studi strategici. Politica estera e di difesa. L.U.I.S.S. Roma, ed. 1983, pg. 93. 30 Il carro di combattimento Ml Abrams ha le seguenti caratteristiche: equipaggio 4 uomini; peso: 54,432 t; motore: turbina a gas AGT-1500 da 1500 hp dell'Avco Lycoming; dimensioni: lunghezza (cannone avanti) 9,766 m, lunghezza (solo scafo) 7,918 m, larghezza 3,655 m, altezza 2,895 m; prestazioni: velocità max. su strada 72,5 km, autonomia 450 km, guado 1,2 19 m, pendenza superabile 60%, gradino superabile 1,244 m, trincea superabile 2,743 m. Il primo carro 'fu prodotto nel 1980 dalla Lima Army Tank Plant. La sua corazza è a strati multipli di acciaio e materiale plas tico, resistente anche alla carica cava. È dotato di sistema di puntamento a raggio laser e divisore all'infrarosso. J dati di tiro sono determinati da un calcolatore elettronico. 31 Sono in studio nuovi sistemi missilistici leggeri, con portate da 500 a 4000 m, grande capacità di primo colpo, completa autoguida del missile mediante vari sistemi. In ambito NATO è altresì in studio una nuova arma missilistica a lunga gittata, della 3• generazione, con possibilità di impiego, in alternativa o in combinazione, di razzi da 70 mm. di concezione avanzata. 32 Centro di studi strategici. Op. cit.. pg. 86. 33 Ibidem. 34 Il frantumatore dell 'attacco è dotato di un motore di lancio e di un motore di volo integrati. È armato da un numero più o meno rilevante di piccoli razzi dotati di paracadute, i quali vengono espulsi dalla testata al momento voluto e si dirigono sugli obiettivi prescelti guidati da particolari sensori. Un solo missile dovr-ebbe poter distruggere una intera compagnia di carri armati ad una profondità di oltre SO Km. I piccoli razzi potrebbero anche essere dispersi lungo le possibili direttrici di penetrazione ed entrare in funzione all'approssimarsi dei mezzi corazzati n emici. È l'arma che dovrebbe rendere operante la nuova dottrina d'impiego N.A.T.O. delle forze acrotcrrcstri convenzionali. 35 Il lanciarazzi multiplo medio (M.L.R.S.) è un sistema costituito da una rampa con dodici tubi di lancio, calibro 227. Impiega di massima 3 tipi di munizioni o proietti razzo. Questi utilizzano lo stesso motore a propergolo solido, ma hanno testate di caricamento diverse: una di bombette contro personale allo scoperto o contro bersagli poco protetti; una contenente mine anticarro; una terza con subproietti capaci di dirigersi automaticamente sull'obiettivo, in particolare su formazioni corazzate. 36 Il sistema CATRIN è un sistema campale per trasmissioni a livello tattico, articolato in tre sottosistemi: SOTRIV per le tras missioni integrate, SORAO per la sorveglianza del campo di battaglia, SOATCC per l'avviamento tattico, il comando e il controllo della difesa aerea campale. È previs to che il CATRIN conservi la sua validità fino al 2000. Sono già in studio sistemi più avanzati. Fra i m ezzi per la sorveglianza del campo di battaglia vi sono i minuscoli velivoli a d a la fissa con propulsione ad elica, o ad ala rotante, s imili a elicotteri miniaturizzati; velivoli di difficile individuazione per le loro ridottissime dimensioni.
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Sono dotati di telecamere che trasmettono le immagini in tempo reale. Illuminano i bersagli con apparati laser o infrarosso termico, realizzati secondo il concetto della modularità. Sono veri e propri elaboratori elettronici volanti che possono essere impiegati anche per contromisure elettroniche. 37 Dispositivo a terra per la difesa aerea dei paesi della NATO (NATO-Air Defence Ground Environment). 38 Centro studi strategici. Op. cit., pg. 91. 39 Nella stesura della parte riguardante la nuova dottrina d'impiego delle forze convenzionali aeroterrcstri della NATO e circa gli sviluppi degli armamenti e mezzi bellici di più recente realizzazione o progettazione, ci siamo avvalsi oltre che della citata pubblicazione Politica estera e di difesa edita dal Centro Studi Strategici della L.U.l.S.S. (Libera Università Inte.m azionale degli Studi Sociali - Roma, Via Pola 12, anche e soprattutto di due conferenze del generale di C.A. Giuseppe Vaccaro, già comandante delle Forze Terrestri Alleate Sud Europa, tenute rispettivamente in sede di corso di studi promosso d a ll 'ISTRID (Istituto Studi Ricerche Difesa) nel 1983 e in sede di un convegno promosso dall'ISTRID e da ll'ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d 'Italia) in occasione del quarantennale della Resistenza.
CAPITOLO XLIX
L'ESERCITO NELL'IMMEDIATO PERIODO POSTBELLICO
1. La Repubblica, la Costituzione, il trattato di pace. 2. La colpevolizzaz.ione del corpo di stato maggiore dell'esercito, dello stato maggiore generale, dei marescialli d'Italia e dei generali d'armata. 3. La politica militare dei governi determinati dalla coalizione del C.L.N. 4. L'esercito di transizione. 5. L'esercito del trattato di pace. 6. La ripresa dell'attività culturale e i grandi dibattiti del dopoguerra. 7. La nuova regolamentazione. 8. L'esercito al momento dell'adesione dell'Italia al "Patto atlantico".
1.
L'Italia uscì dalla seconda guerra mondiale spiritualmente e materialmente a pezzi. Il 25 luglio 1943 non era stato una rivoluzione, una rivolta e neppure un colpo di Stato, ma una congiura di palazzo sui generis. Il re aveva atteso l'approvazione da parte del Gran Consiglio del fascismo dell'ordine del giorno proposto dall'onorevole Dino Grandi, presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni, per sbarazzarsi di Mussolini; in sostanza, si era limitato ad accettare il ristabilimento delle sue preroga tive che si era lasciato sottrarre assistendo per un ventennio inerte alla distruzione dello Statuto albertino. Il governo di tecnici presieduto dal maresciallo Badoglio, per il suo comportamento assai ambiguo, aveva fin dal primo momento suscitato diffidenze e insoddisfazioni dentro e fuori d 'Italia, nei partiti, nelle potenze alleate che avevano continuato a bombardare la penisola, in Hitler che in pochi giorni aveva occupato militarmente l'Italia settentrionaler. L'8 settembre il re, il governo, i vertici militari avevano gettato il paese e le forze armate nel caos morale e materiale e provocato la divisione del territorio nazionale in due tronconi: il regno d'Italia con capitale a Brindisi, la repubblica sociale italiana con sede del governo a Salò, sul lago di Garda. Dopo aver consentito ai tedeschi di occupare impunemente de facto l'Italia settentrionale, essi erano corsi al sud
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senza aver preso nessuna misura seria ed efficace per la difesa di Roma e per la custodia di Mussolini che divenne così, forse suo malgrado, il Quisling di Hitler in Italia. Era poi stata combattuta un'aspra guerra civile che aveva insanguinato le città, le campagne, gli Appennini e le Alpi. L'insurrezione generale dell'alta Italia del 25 aprile 1945 era stata un fatto storico che aveva segnato la riconquistata unità della Patria. Il 25 aprile però non aveva potuto d 'un tratto rimarginare le ferite e le lacerazioni spirituali prodottesi durante 20 mesi di guerra civile, dissipare il fumo e la polvere degli incendi e delle rovine di 58 mesi di guerra, mutare il desolante panorama dell'occupazione militare straniera. I danni materiali, pur inferiori a quelli di altre nazioni europee, risultavano gravissimi se rapportati a lla povertà di materie prime, di fonti energetiche e di risorse naturali del paese. Dovunque erano rovine. Le comunicazioni erano quasi inesistenti; le strade statali distrutte o danneggiate per il 60%, le ferrovie per il 40% del mate riale rotabile; la marina mercantile era ridotta al 10% del naviglio del 1940, le a\trezzature portuali al 50% e gli edifici funzionali dei porti al 10%. I viveri scarseggiavano e spesso mancavano del tutto od erano reperibili esclusivamente al mercato nero abbondantemente rifornito dai soldati anglo-americani. I danni al patrimonio produttivo agricolo ascendevano al 20% e la capacità produttiva del settore era scesa al 40% rispetto a quella anteguerra. Le abitazioni distrutte erano più del 10% e i danni al patrimonio produttivo industriale superavano il 20%, mentre la capacità produttiva industriale era scesa al 40% di quella del 1941. L'inflazione e la disoccupazione flagellavano il paese: nel 1944-'45 i prezzi al consumo erano da 20 a 30 volte maggiori rispetto ai livelli anteguerra, mentre le remunerazioni erano solo da 3 a 5 volte superiori di quelle del 1938. I disoccupati erano 2 milioni e centomila ed il fenomeno era in crescita per la rinnovata pressione demografica sul mercato del lavoro in seguito alla smobilitazione dei militari, al rientro dei profughi dalle ex-colonie ed a lla mancata emigrazione nel periodo bellico. L'apparato amministrativo dello Stato era ridotto al lumicino, mentre la sua attività trovava continui inceppi nella pesante tutela dell'amministrazione militare alleata (Allied Military Government - A.M.G.). Le entrate statali coprivano appena il 28,4% della spesa pubblica, mentre nullo era il
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rapporto commerciale con l'estero vietato dalle autorità di occupazione fino al febbraio 1946. La presenza delle truppe di occupazione incentivava il degrado morale e la corruzione. Centinaia di migliaia di soldati italiani erano ancora nei campi di prigionia e di molte migliaia di coloro che avevano combattuto nell'Unione Sovietica non si conosceva la sorte. Quelli che venivano rimpatriando trovavano un paese diverso nel quale stentavano a riconoscersi ed a reinserirsi, anche perché si sentivano, ed erano, guardati con diffidenza, quando non anche con disprezzo, quasi fossero stati i promotori della guerra ed i responsabili della sconfitta e si dovessero vergognare del dovere compiuto. Molti di loro trovavano le case rase al suolo, i loro cari sepolti, le loro famiglie divise e scombinate. Odi, vendette, rancori continuavano episodicamente ad esplodere. mentre disonesti e violenti, spinti dalla vocazione ancestrale alla guerra civile ed alla pesca nel torbido, continuavano a compiere eccidi, assassini, rapine e violenze, talora facendosi forti di w,a vantata partecipazione alla lotta partigiana, partecipazione che o non v'era affatto stata o era stata dell'ultimo momento. Il governo intrinsecamente debole e condizionato dall'A.M.G. tentava di fare il possibile per ristabilire l'ordine e fronteggiare i problemi imponenti e pressanti che gli si paravano davanti ma, a parte le gravi discordie interne, non sempre aveva la materiale possibilità d'inte rvento. Il futuro politico e territoriale dell'Italia era nelle mani dei ministri degli esteri americano, sovietico, inglese e francese che si riunivano in conferenza non facendo mistero di voler trattare l'Italia come paese sconfitto ed arresosi senza condizioni, senza tenere conto del contributo che l'esercito regolare e la resistenza avevano offerto alla vittoria alleata. Vittorio Emanuele 111 era ancora il re d 'Italia. Dopo J'8 settembre non aveva voluto abdicare e solo nel giugno del 1944 si era deciso a nominare il figlio luogotenente del regno. La questione monarchica divideva gli italiani a metà ed i partiti di sinis tra ne facevano il problema numero uno da risolvere minacciando il caos (sic) nel caso che il responso del previsto referendum fosse stato favorevole alla corona. La questione acuiva le divis ioni e le tens ioni nell'ambito dello stesso schieramento antifascista, di per sé già numerose .e gravi anche a cagione dei continui ricorsi alla piazza da parte dei comunisti e dei socialisti, questi ultimi legati ai primi dal patto di unità d'azione. Tutto insomma concorreva a creare un'atmosfera d'incertezza, di paura, di disagio. Il cemento dell'unità antifascista, che era stata la ragione d'essere del Comitato di
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Liberazione Nazionale (C.L.N.) e che continuava a costituire la base d'intesa dei governi espressione appunto del comitato I, veniva vieppiù sgretolandosi, sia perché il fascismo come forza politica organizzata era ormai estromesso dalla vita nazionale, sia perché i socialcomunisti, di stretta osservanza staliniana, si manifestavano _all'interno e fuori del governo come i portavoce, più o meno discreti, dell'Unione _Sovietica che, viceversa, aveva già riconosciuto l'Italia come pertinente alla sfera d 'influenza delle potenze occidentali in quanto a queste ideologicamente ed economicamente vicina. I governi del C.L.N. riuscirono peraltro a reggere, pur nelle divergenze e diffidenze dei partiti che li componevano - le quali non erano solo di carattere ideologico, ma riguardavano anche i metodi di azione da seguire nel risolvere i problemi contingenti di conduzione della cosa pubblica, di riassetto provvisorio del paese, di defascistizzazione delle istituzioni, di ripresa dell'economia fino al maggio del 1947. Era sembrato ad un certo momento che le cose sarebbero andate meglio per il governo di unità antifascista quando era stato chiamato a presiederlo Ferruccio Parri - una delle figure più significative dell'antifascismo e delle più prestigiose della resistenza, combattente della prima guerra mondiale, uomo politico di probità e di coerenza di vita esemplari - ma il suo programma di governo, necessariamente vago, non resse all'impatto con la difficilissima realtà del momento. Il tentativo di Parri di conciliazione, almeno temporanea, tra il liberalismo ed il socialismo - segnato dall'attribuzione degli incarichi di vice-presidente del consiglio dei ministri al liberale Manlio Brosio ed al socialista Pietro Nenni - fallì, sia perché i sei partiti di governo erano già su posizioni divaricate, sia perché Parri era troppo onesto, leale ed aperto per prestarsi a giochi di potere subdoli ed avventuristici. A fianco del governo era stata posta la Consulta di cui facevano parte personalità designate pariteticamente dai partiti del C.L.N. e parlamentari antifascisti degli anni 1922-'25, ma essa era priva di potere reale e non rispecchiava la situazione politica del paese. Al governo Parri fecero seguito altri tre governi del C.L.N. presieduti da Alcide De Gasperi. Il primo di essi presiedé le elezioni per l'Assemblea Costituente ed il referendum istituzionale, due fatti di somma rilevanza storica che ebbero protagonista, per la prima volta nella sua storia, l'intero popolo italiano senza distinzione di censo e di sesso. Il 2 giugno 1946 gli italiani decretarono la fine della monarchia e la nascita della repubblica con 12 717 923 voti a favore e 10 719 284
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contrari. L'abdicazione del re Vittorio Emanuele III a favore del figlio Umberto II, avvenuta il 9 maggio di quell'anno, non era valsa ad evitare la condanna morale ed il ripudio definitivo della monarchia sabauda da parte di oltre la metà del paese. La repubblica avrebbe probabilmente raccolto maggiori consensi qualora le sinistre non ne avessero monopolizzato la causa, inducendo così cittadini che monarchici non erano a votare per il re solo per il timore della vittoria delle sinistre. Le elezioni per la Costituente rivelarono il seguito effettivo dei partiti del C.L.N. assegnando il maggiore numero dei seggi nell'ordine: alla democrazia cristiana, al partito socialista, al partito comunista. A capo provvisorio dello Stato venne eletto l'onorevole Enrico De Nicola che reincaricò l'onorevole De Gasperi di formare il nuovo governo, del quale entrarono a far parte la democrazia cristiana ed i partiti socialista, comunista, repubblicano. Il nuovo governo durò meno di otto mesi e quello successivo, nel quale non entrò il partito repubblicano, appena tre mesi. Ogni tentativo di ulteriore coabitazione tra democristiani e socialcomunisti, questi vieppiù arroccati su posizioni marxiste-leniniste, fallì e nel maggio 1947 De Gasperi procedette alla formazione di un nuovo governo dal quale estromise comunisti e socialisti. L'estromissione fu consentita dalla frattura che si era verificata nell'ambito del partito socialista nell'aprile del 1947 tra la frazione riformista guidata dall'onorevole Giuseppe Saragat e quella di maggioranza che faceva capo all'onorevole Pietro Nenni. Nacque così un secondo partito socialista (Partito Socialista Democratico Italiano - P.S.D.I.). L'estromissione dei socialcomunisti assunse subito anche un significato internazionale: nello stesso anno l'Italia aderì al Piano Marshall, nel 1948 all'Organizzazione Europea di Cooperazione Economica (O.E.C.E.) 2e nel 1949 al Patto Atlantico. La Costituente, frattanto, dopo avere affidato ad una commissione ristretta di 75 membri il compito di preparare il progetto di Costituzione, ne veniva discutendo in sedute plenarie i vari argomenti e, dopo lunghi ed appassionati dibattiti, giungeva ad approvarne il testo definitivo nella storica seduta del 22 dicembre 1947. La Costituzione entrò in vigore il 1 gennaio 1948. Sebbene risultato di molteplici compromessi fra i programmi e le forze rappresentate nell'assemblea - precipuamente sulla scuola, sui rapporti StatoChiesa cattolica, sulla posizione giuridica del sindacato, sull'ordinamento regionale, ecc, - la Costituzione risultò essere una delle più moderne, democratiche ed aperte all'ordinato sviluppo della società di tutte quelle in vigore negli Stati a democrazia parlamentare. Vi
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furono sancite tutte le libertà - di religione, di associazione, di opinione, di parola, di stampa - e tutti i diritti della persona umana a cominciare da quello del lavoro. A garanzia dell'osservanza della Costituzione venne prevista la Corte Costituzionale. La Costituzione non sanzionò ovviamente una realtà acquisita, ma segnò la strada per conseguire la pienezza democratica dello Stato. I punti fondamentali in materia militare furono: il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà di altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; l'accettazione delle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento di garanzia della pace e della giustizia fra le nazioni; la sacralità della difesa della Patria; la democratic ità dell'ordinamento delle forze armate; l'attribuzione del comando delle forze armate al presidente della repubblica; l'istituzione del Consiglio Supremo di Difesa presieduto dal presidente della repubblica; la facoltà del legis latore di stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici per i militari in servizio attivo; la limitazione d ella giurisdizione dei tribunali militari in tempo di pace ai reati militari commessi da appartenenti a lle forze armate. La Costituzione stabilì, dunque, una profonda trasformazione politica e sociale del paese, appagando così le aspettative di un popolo di alta e antica civiltà che, in un contesto unitario ed armonico, voleva migliorare e progredire dando ampio spazio all'attività pluralistica della sua gente. Durante i lavori della Costi.uente, il 10 febbraio 1947, venne firmato a Pa rigi il trattato di pace, il c ui testo era stato steso durante i lavori della conferenza di Parigi durati dal luglio all'ottobre 1946. Il testo venne sottoposto al rappresentante italiano, che era De Gasperi, senza concedergli la facoltà di presentare proposte di modifiche e senza consentirgli di presenziare alle riunioni conclusive della conferenza . Il trattato fu un vero e proprio Diktat punitivo pieno di sanzioni economiche e di limitazioni militari 3, L'Italia dové impegnarsi al regime democra tico, rinunziare a lle colonie africane, riconoscere l'indipendenza de ll'Etiopia, cedere alla Grecia il Dodecaneso, alla Jugoslavia l'Istria e la Venezia Giulia (esclusa Gorizia), alla Franc ia Briga e Tenda. Trieste ed il territorio adiacente vennero configurati come uno Stato libero diviso in due zone: ttA", comprendente la città, di occupazione anglo-americana; ttB" occupata dagli jugoslavi. L'Alto Adige rimase all'Italia, ma questa dovette impegnarsi, con un accordo bilaterale con l'Austria, a d assicurare alla regione l'autonomia amministrativa, linguistica, culturale. La firma dell'accordo per una sostanziale autonomia degli alloglotti venne
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firmato nel settembre 1946 e prese il nome dai firmatari che furono De Gasperi per l'Italia e il ministro degli esteri austriaco, Gruber, per l'Austria. Esso servì per svuotare in parte le rivendicazioni tirolesi. Un accordo simile non fu invece possibile raggiungere con la Jugoslavia per la definizione di una sistemazione definitiva concordata del territorio di Trieste. De Gasperi, nelle settimane a cavallo tra il 1946 e il 1947, si recò a Washington per un ultimo tentativo di mitigazione delle dure clausole del trattato di pace e per un appello di soccorso finanziario ed alimentare, ma mentre ricevette larghe promesse di aiuti immediati e di prospettiva, tornò a mani vuote circa l'ammorbidimento del trattato. La guerra fredda, i cui prodromi risalivano all'autunno del 1945 e che dai primi mesi del 1946 si era fatta molto aspra, aveva creato un'atmosfera del tutto sfavorevole ad ulteriori intese tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Non restò a De Gasperi che firmare il trattato chiudendo così la parentesi storica del fascismo e ponendo fine all'occupazione militare alleata. L'Italia subì e soffrì l'ingiustizia e ribollì di dolore e di sdegno, consapevole e cosciente dì non meritare un trattamento così duro, specialmente nei riguardi della Venezia Giulia, ma non poté andare oltre le plebiscitarie manifestazioni di protesta che si svolsero ovunque, alle quali parteciparono anche le sinistre che peraltro nulla o quasi avevano fatto per ottenere dall'Unione Sovietica un allegerìmento delle clausole più rigide ed umilianti. D'altra parte, la situazione politica internazionale continuava a farsi più tesa e nel mese di maggio del 1947 falliva la conferenza di Mosca tra i ministri degli esteri americano, sovietico, inglese e francese segnando, se così si può dire, l'inizio ufficiale della guerra fredda già in corso di fatto dall'autunno del 1945.
2. L'esercito, come del resto la marina e l'aeronautica, era ridotto dal trattato di pace ad un complesso privo non solo di ogni capacità offensiva, ma inadatto e inadeguato a garantire la difesa del territorio nazionale che, in sostanza, veniva lasciato alla mercé dei paesi finitimi. Ispirato al principio della resa incondizionata, il trattato volle soprattutto umiliare l'Italia in tutti i modi possibili per distruggere ogni efficienza operativa dello strumento militare italiano colpendone il morale, prima e più ancora che l'armamento e l'equipaggiamento. Non furono peraltro solo le potenze vincitrici a
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debilitare le forze armate, in particolare l'esercito, giacché ad abbassarne il morale ed a ridurne la funzionalità di comando erano già intervenuti alcuni provvedimenti legislativi adottati di gran fretta dai governi del C.L.N. prima ancora della firma del trattato di pace: lo scioglimento del corpo di stato maggiore dello esercito, il declassamento delle attribuzioni e funzioni del capo di stato maggiore generale, la soppressione del grado di maresciallo d'Italia e la cessazione dal servizio dei generali d'armata. Nessuno dei tre provvedimenti fu motivato da concrete ed urgenti esigenze di ordine morale, politico, tecnico-militare e funzionale, tanto che i primi due dovettero essere quasi subito corretti, sia pure parzialmente: il primo tacitamente vanificato di fatto mediante il ricorso ad un compromesso formale, il secondo con un successivo esplicito intervento legislativo. Il terzo, rimasto in vigore, non ebbe altro scopo che l'umiliazione delle alte gerarchie militari, senza nessuna distinzione tra i marescialli d'Italia e i generali di armata che avevano costantemente servito la Patria con competenza, capacità, coraggio - basti citare il maresciallo Giovanni Messe 4 - e coloro che erano venuti meno ai loro doveri o si erano dimostrati inetti. Alla radice dei tre provvedim_e nti vi furono soltanto o l'insipienza e l'insufficienza politica, o l'incompetenza e l'insofferenza dei problemi militari, o la demagogia propria degli antimilitari e degli amilitari sempre disponibili alle richieste più insensate, o l'insieme di tutte queste ragioni con preminenza di quelle demagogiche. Diversamente non si spiegherebbero la fretta con la quale i tre provvedimenti vennero decisi proprio nel momento di suprema incertezza di quale sarebbe stato il futuro dell'Italia e delle sue forze armate ed il fatto che vennero adottati nella situazione di sovranità più che limitata in cui erano i governi rispetto alle autorità militari alleate, alle quali i provvedimenti stessi dovettero essere sottop9sti per il preventivo beneplacito. In luogo di ridurre i numerosi e pesanti interventi delle autorità di occupazione, i governi del C.L.N. ne sollecitarono altri su questioni che per la importanza e delicatezza d'interesse esclusivamente nazionale che avevano sarebbe stato più che mai opportuno e conveniente esaminare senza intromettere estranei ed in situazione di certezza di prospettive e di sovranità assoluta. I tre provvedimenti, in particolare il primo ed il secondo, non furono senza gravi conseguenze negative, talune delle quali perdurano tuttora, per cui cade opportuno esaminarli subito compiutamente anche al fine di meglio renderne evidente e chiarirne l'inconsistenza morale, politica e tecnica.
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Lo scioglimento del corpo di stato maggiore dell'esercito venne disposto nel novembre del 1944 dal primo governo Bonomi 5, nel quale la carica di ministro della guerra era tenuta dall'onorevole Alessandro Casati, liberale, che dal giugno precedente aveva sostituito il generale Taddeo Orlando 6, che fu l'ultimo titolare militare del dicastero. Il Casati era stato ministro della pubblica istruzione nel 1924, dopo il delitto Matteotti, nel secondo governo Mussolini ed aveva perciò anche motivi personali per tentare di acquisire presunte benemerenze antifasciste, in quanto lo spirito del provvedimento era di colpevolizzare lo Stato Maggiore dell'esercito per essere stato strumento inetto della guerra fascista. Il corpo di Stato Maggiore nel 1944 contava 130 anni qualora si voglia far risalire la sua nascita all'armata sarda dove era stato costituito, sull'esempio dell'esercito prussiano, nel 1814. La necessità di tale corpo particolare era parsa manifesta fin dalle guerre napoleoniche ed era divenuta sempre più pressante ed urgente nel prosieguo del tempo a mano a mano che erano aumentate e si erano fatte più complesse le tante variabili del processo decisionale strategico-militare e tecnico-operativo. Diversamente dall'esercito prussiano, nel quale era stato s tabilito che si poteva accedere allo stato maggiore solo dopo la frequenza dell'Accademia di guerra, nell 'armata s arda la appartenenza al corpo era stata regolata su vaghi criteri di origine - non vi erano ammessi, ad esempio, gli ufficiali di fanteria e di cavalleria - e non di merito. Ancora nel 1848, dopo 34 anni dalla costituzione del corpo, gli ufficiali che vi appartenevano venivano descritti, non senza fondamento, come privi di nozioni strategiche e tattiche, ignari del Paese, non usi a convivere con le truppe, non induriti alla fatica, alle privazioni, che detestavano e dalle quali rifuggivano, avulsi dalla realtà politica e militare del Paese, privi di cultura e dissociati dai reparti che avrebbero dovuto dirigere 7. Gli ufficiali di stato maggiore dell'armata sarda non c ostituivano un corpo di specializzati, ma piuttosto una casta di privilegiati, con tutti i vizi ed i difetti propri delle caste, primi di tutti lo spirito di separazione, la presunzione e l'arroganza. Fu solo dopo qualche anno dalla sconfitta subita a Custoza che venne finalmente costituita, nel 1882, la Scuola superiore di guerra e vennero radicalmente mutati i criteri di selezione degli ufficiali delle varie armi per l'ammissione al corpo di stato maggiore. Questo da allora in poi venne a configurarsi come una élite professionale aperta a tutti i volenterosi che, se godevano di facilitazioni di carriera, se le erano guadagnate mediante la partecipazione ed il superamento di appo-
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siti concorsi, la frequenza di specifici corsi, il superamento di esami annuali, il compimento con successo dei previsti periodi di comando nei vari gradi e di esperimento nel servizio di stato maggiore. La scuola di guerra risentiva naturalmente del clima comune a tutti gli istituti d'istruzione del tempo: provincialismo, teoricità degli studi, dissociazione fra la realtà effettuale e la realtà immaginaria. Essa inoltre poteva favorire il pierinismo ed il conformismo, gli arrivismi, le gelosie e spesso offriva un insegnamento di carattere quasi dogmatico ed autoritario; ma con tutti i suoi difetti e le sue manchevolezze - compresa quella di alcuni insegnanti talvolta improvvisati e mediocri - era pur sempre una sede di studi severi ed approfonditi che consentivano di preparare ufficiali qualificati culturalmente e professionalmente, i quali elevavano il tono d' istruzione dell'intero esercito e davano vita ad un corpo di stato maggiore che reggeva il confronto con quelli di altri eserciti. Messo infatti alla prova del fuoco durante il primo conflitto mondiale, il corpo di stato maggiore dell'esercito italiano aveva dato ottima prova di sé anche se vi erano stati, come sempre avviene dappertutto, casi di povertà intellettuale e spirituale. Se vi fu un momento in cui lo stato maggiore operò come un corpo unitario a favore dell'esercito fu durante la prima guerra mondiale. Gli esempi di arrivismo, che non mancarono anche in quel momento, non alterarono il fatto che, alla prova del fuoco, ci furono eccellenti ufficiali di stato maggiore e che la maggior parte dei comandanti di successo di grado elevato proveniva dai ranghi dello stato maggiore 8. Anche durante la guerra contro l'Etiopia il corpo di stato maggiore aveva offerto un'eccellente dimostrazione di capacità direttiva ed organizzativa, anche nel settore della logistica, dove nel passato non aveva brillato, e aveva lasciato sorpresi ed ammirati molti stati maggiori di altri paesi, compreso il tedesco, che non fecero mistero della loro meraviglia e del loro sincero apprezzamento. Immediatamente prima e durante la seconda guerra mondiale, il corpo di stato maggiore venne a trovarsi in una situazione di estrema difficoltà e delicatezza. Gli era stato assicurato che in nessun caso ]'Italia sarebbe scesa in guerra prima del 1943, mentre si trovò quasi repentinamente a dover fronteggiare l'evento con più di due anni e mezzo di anticipo e mentre: era in corso la crisi di riorganizzazione conseguente all'ordinamento disposto nel dicembre del 1938 (crisi di trasformazione organica delle divisioni ternarie in binarie); non erano state ripianate le perdite di mezzi e di materiali e riportate a numero le scorte consumate nella
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guerra contro l'Etiopia e nella guerra civile spagnola; la produzione del nuovo armamento della fanteria procedeva, per l'insufficiente capacità industriale, con ritmo inadeguato e lento; l'attuazione dei programmi di potenziamento e di ammodernamento - in particolare quelli di rinnovamento di tutte le artiglierie di medio e grosso calibro - lasciati ingiallire da anni per il mancato finanziamento, era appena avviata. Il corpo di stato maggiore era del tutto al corrente del grado d'impreparazione dell'intero paese e dell'esercito alla guerra. Già dal lontano 1936, l'allora capo di stato maggiore dell'esercito, generale Baistrocchi 9, come abbiamo ricordato, aveva rappresentato per iscritto a Mussolini lo stato di impreparazione dell'esercito ed i suoi successori avevano fatto altrettanto in un susseguirsi di inequivocabili precisazioni e di esatte indicazioni fino a quella del 25 maggio J940 del maresciallo Rodolfo Graziani 10 che aveva giudicato la situazione in senso nettamente sfavorevole alla r_wstra entrata in guerra. Non si può non ritenere insufficiente quanto fecero i capi di stato maggiore delle tre forze armate per tentare di evitare la guerra - al riguardo ci siamo già espressi molto severamente - ma accusare di corresponsabilità l'intero corpo di stato maggiore come tale, sia per la entrata dell'Italia in guerra, sia per la cattiva condotta delle operazioni, sia per gli stessi fatti dell '8 settembre è un non senso morale, storico e giuridico. Gli ufficiali di stato maggiore della seconda guerra mondiale ed i generali che provenivano dal corpo non erano culturalmente e professionalmente meno validi dei loro predecessori della prima guerra mondiale, anzi dettero prova di saper fronteggiare situazioni disperate quali non si erano presentate nelle guerre precedenti. Essi non furono impari ai compiti, ma non ebbero modo di esercitare un ruolo significativo perché non vi sono competenze e capacità che tengano qualora non sostenute ed avvalorate da elementi e da mezzi reali e concreti e il sistema in cui si deve operare non sia rispettoso delle varie competenze e responsabilità. Stati maggiori e comandanti si trovarono, infatti, spesso ridotti a mere funzioni esecutive degli ordini impartiti dal Comandante Supremo e dal suo stato maggiore generale. Occorre, infine, non dimenticare l'interdipendenza che esiste fra uno stato maggiore militare ed il suo capo per cui se questi non è all'altezza dei suoi compiti, il suo stato maggiore, valido che sia sotto il profilo professionale, subisce un notevole decadimento in fatto di rendimento. I capi di stato maggiore dell'esercì to dal 1936 al 1943 provenivano tutti, ad eccezione del maresciallo Graziani, dal corpo
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di stato maggiore, ma erano stati insediati nella carica da Mussolini che li aveva scelti, secondo criteri personali, tra quelli che reputava più legati alla sua persona anche in ragione dei privilegi, delle promozioni, dei titoli nobiliari ed accademici di cui li aveva gratificati. Alcuni di loro godevano di grande prestigio più o meno meritato, altri avevano reso servizi al fascismo, altri infine erano stati spinti avanti per avere frequentato i Ciano ed i Farinacci; tutto ciò era proprio del sistema fascista. Non era una peculiarità dell'ambiente militare, ma un fatto comune a tutto l'apparato amministrativo, tecnico e burocratico dello Stato. Degli avvenimenti svoltisi fra il 25 luglio e 1'8 settembre grandi e gravi responsabilità ricaddero senza dubbio sui generali Ambrosio 11, Roatta 12 ed altri, ma non per questo lo scioglimento del corpo di stato maggiore ebbe una sua logica conseguenziale e non fu un'immoralità ed un'errore politico, una manifestazione d'ignoranza storica e tecnica ed un atto di pura e semplice acquiscenza alla demagogia imperversante. L'abolizione del corpo non cancellò l'esigenza delle sue funzioni direttive ed organizzative, che continuarono difatti ad essere espletate dagli ufficiali già appartenenti al corpo e, in tempi successivi, da coloro che frequenteranno i corsi della scuola di guerra, che sarà indispensabile richiamare in vita. Il corpo di stato maggiore e il servizio di stato maggiore vennero sostituiti dalle funzioni di stato maggiore. Il singolare fu che venne prescritto che tali funzioni potessero essere assolte da chi possedeva i requisiti del superamento dei corsi della scuola di guerra e dei periodi di comando prescritti, già previsti per il disciolto corpo. Viene fatto di chiedersi a che cosa, se non ad uno scopo di comodo politico e di sfogo demagogico, potesse servire un provvedimento che, pur mutando le dizioni formali, in pratica lasciava le cose nello statu quo ante, tanto che fu necessario poco dopo ripristinare discreta mente il servizio di stato maggiore. Il provvedimento, in sostanza, non sembrò perciò avere altro fine che quello di colpevolizzare un organismo, senza distinguere fra buoni e cattivi. Le gravissime responsabilità dello stato maggiore generale e di quello dell'esercito, ambedue alimentati con ufficiali del corpo di stato maggiore, non possono essere negate ed erano state gravissime. Addossarne la colpa al corpo di appartenenza significa, però, eludere il problema, assolvendo così i veri responsabili. Le lotte fra i generali e la collusione dei vertici con il fascismo vi erano state, così come era stata drammatica la condotta della guerra agli ordini di un capo di governo, stratego improvvisato, ma anche incontestato. A intaccare seriamente la credibilità degli Stati Maggiori, furono la
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fragilità morale dei capi, la loro deprofessionalizzazione maturata in un contesto retorico che ad essi offriva, in cambio della complicità, ambiti e sostanziosi riconoscimenti e privilegi 13. Un giudizio codesto che coincide solo parzialmente con il nostro, come quello circa l'improvvisazione strategica del capo del governo, in quanto è vero che il capo del governo, nonostante alcune felici intuizioni, non fosse certo uno stratega e tanto meno uno stratego, ma è vero anche che molti errori di condotta più che a lui devono essere attribuiti a Hitler ed all'O.K.W. dai quali l'Italia era dipesa in tutto e per tutto. In quanto agli Stati Maggiori, come tali, non furono colpevoli di drammatiche disfunzioni, ma furono privati dei mezzi necessari a far operare e manovrare le unità. Non la sola, ma neppure l'ultima e la meno determinante, delle tante cause dell'impreparazione dell'Italia alla guerra e della pessima condotta delle operazioni nella prima fase, era stata la posizione giuridica e gerarchica nella quale Mussolini aveva posto con la legge del 1927 il capo di stato maggiore generale 14. L'acquiscenza del maresciallo Badoglio 15 di fronte a tale posizione, che in pratica gli faceva comodo perché vaporizzava le sue responsabilità, aveva determinato, tra l' altro, l'entrata dell'Italia in guerra senza un disegno strategico unitario e senza che esistesse un vero Comando Supremo, che cominciò a funzionare solo dopo un anno dall'inizio delle operazioni e cioè quando il maresciallo Ugo Cavallero 16 assunse di fatto la carica di capo di stato maggiore generale, che fece regolare dal regio decre to n. 661 del 27 giugno 194117 convertito nella legge n. 1507 del dicembre successivo 18. Mussolini, assecondato dalle lotte fra i generali e dallo spirito d'indipendenza e di autonomia dei tre stati maggiori di forza a nnata insofferenti di un vincolo gerarchico di dipendenza da un vertice militare unitario, pentito di quanto concesso al capo di stato maggiore generale con il regio decreto legge n. 866 del giugno 1925 19, aveva svuotato la carica di ogni potere reale per poter mantenere il controllo diretto ed assoluto delle forze armate e per comandare a suo piacimento mediante tre sottosegretari di Stato, che abbinavano anche la carica di capo si stato maggiore della rispettiva forza armata, scelti tra generali ed ammiragli che egli era sicuro di poter facilmente manovrare. Mai, come durante il periodo fascista, il potere militare era stato tanto esclusivamente nelle mani del potere politico e mai nei periodi passati il vertice militare era stato tanto vanificato, Se al termine della guerra, nel quadro delle riforme necessarie al ristabilimento di un ordinamento democratico dello Stato, vi era un
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pericolo da evitare sarebbe stato proprio quello, una volta necessariamente cessato il funzionamento del Comando Supremo, di riprodurre la situazione prebellica nei riguardi dei vertici militari. Il secondo governo Bonomi, invece, ministro delJa guerra il Casati, poche settimane prima delle dimissioni varò il decreto legge luogotenenziale n. 346 del 31 maggio 1945 20 che ridimensionò in misura maggiore rispetto alla legge del 1927 le attribuzioni del capo di stato maggiore generale riducendole ad una pura e semplice consulenza del presidente del consiglio dei ministri e sottraendogli ogni funzione di comando sui capi di stato maggiore di forza armata. L'indebolimento dello stato maggiore generale, anziché il suo rafforzamento che sarebbe stata conseguenza logica per un apparato militare di dimensioni assai ridotte e per una stretta coordinazione delle tre forze armate che la guerra aveva dimostrato su tutte le fronti e presso tutti gli eserciti indispensabile, fu un atto d 'insensatezza politica che obbedì alle stesse sconsiderate e malvagie motivazioni del precedente decreto legge luogotenenziale n. 409 del 16 novembre 1944 con il quale era stato sciolto il corpo di stato maggiore dell'esercito. Non vi potevano essere dubbi circa la necessità di stabilire un efficace controllo politico sulle forze armate, che del resto vi era sempre stato, prima e durante il fascismo, ma per continuare ad esercitarlo i mezzi meno adatti erano la deresponsabilizzazione del vertice militare e l'annullamento di ogni concreta influenza militare negli orientamenti politici del governo. L'attribuzione di precise responsabilità dirette di coordinamento e di comando al capo di stato maggiore generale, coadiuvato da uno stato maggiore generale responsabilizzato efficiente funzionale, avrebbe tra l'altro consentito di ridurre le spinte corporative delle tre forze armate. Le conseguenze dell'insano decreto furono gravissime e resero successivamente molto difficoltose ai governi la formulazione e la valorizzazione di una politica della difesa coerente, concreta ed economica ed alle gerarchie militari un lavoro armonico e coordinato svolto sotto una direzione unica come l'evoluzione dell'arte e della scienza militare, il progresso scientifico-tecnico, la fisionomia interforze della guerra e delle operazioni ed il progressivo aumento della spesa militare avrebbero rigorosamente imposto, in misura peculiare all'Italia. Il generale Claudio Trezzani 21 , che dal 1° maggio 1945 aveva sostituito nella carica di capo di stato maggiore generale il maresciallo Giovanni Messe che l'aveva tenuta dal 18 novembre 1943, si adoperò a lungo per la revisione del decreto del
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31 maggio 1945 e per la restituzione al capo di stato maggiore generale di attribuzioni e di responsabilità che gli consentissero di esercitare concretamente la sua carica e trovò nel ministro della difesa (i tre ministeri militari erano stati frattanto unificati), l'onorevole Cipriano Facchinetti, repubblicano, un debole sostegno. Costretto dall'evidenza delle argomentazioni a correggere in qualche modo il grossolano e malevolo errore del maggio 1945, il governo De Gasperi, istituendo la carica di capo di stato maggiore della difesa in sostituzione di quella di capo di stato maggiore generale, mediante il decreto legge n. 955 del 21 aprile 1948 22, decise di mantenere l'autonomia delle tre forze armate lasciandole alle dipendenze dirette del ministro, limitare il più possibile i poteri del capo di stato maggiore della difesa, spostare la dipendenza di questi dal presidente del consiglio dei ministri al ministro della difesa, attribuire al capo di stato maggiore della difesa, nonostante la sovraordinazione gerarchica, l'emanazione di direttive ai capi di stato maggiore di forza armata nelle questioni interforze e il controllo della loro esecuzione, ristabilire insomma un certo ruolo del capo di stato maggiore della difesa, ma sempre ridotto e senza fissarne le responsabilità dirette nei riguardi né del governo né delle forze armate. Il governo n on volle, in conclusione, risolvere il pro blema dell 'alta direzione in pace e del Comando Supremo in guerra e finì con il determinare una situazione, che in gran parte perdura, di grave difficoltà per la valorizzazione della politica militare e p er la gestione tecnico-opera tiva unitaria dell'amministrazione della difesa. Nello stesso spirito de i provvedimenti adottati circa lo scioglim ento del corpo di stato maggiore ed il declassamento del ruolo del capo di stato maggiore generale, furono la soppressione del grado di maresciallo d'Italia, fatta in odio ai viventi in quanto la promozione a tale grado era p revista dalla legge solo per fatti di guerra (la guerra era finita da p iù di un anno e mezzo), e la cessazione dal servizio pe rmanente dei generali di armata, pur non sopprimendo il loro grado e conservando loro il trattamento economico ad personam. Il decreto del capo provvisorio dello Stato n . 66 del 18 gennaio 1947 23 - secondo governo De Gasperi, ministro della difesa l'onorevole Cipriano Facchinetti - non ebbe pe rciò altro fine, come abbiamo già sottolineato, che quello di umiliare la gerarchia militare come tale, quasi che a questa non appartenessero in quel momento anche capi che avevano dato eccellenti prove di sé in guerra.
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A parte le conseguenze negative sul piano della capacità e dell'efficienza operativa delle forze armate, i tre provvedimenti legislativi, per lo spirito che li informò e l'animus che li guidò, crearono una vera e propria frattura spirituale tra politici e militari, istradando i rapporti reciproci su di un antagonismo dialettico tacito e muto, ma non per questo meno reale. L'esasperazione della teoria della separazione fra politici e tecnici determinò il distacco fra le due categorie, l'incomprensione reciproca ed il sospetto. I militari si rinchiusero in sé stessi e non misero per lungo tempo il naso fuori dalle caserme; i vertici militari, per lo meno alcuni, trovarono spesso comoda la mera funzione esecutiva; i politici da parte loro, soddisfatti di essersi assicurati tutto il potere e di avere ridotto i vertici militari a organi meramente burocratici estranei alla formazione della politica di sicurezza nazionale ed alla stessa concezione della strategia militare, poco o nulla badarono alle esigenze morali e materiali dell'apparato militare che si sentì così sempre più separato ed estraniato dal contesto nazionale. I militari, in particolare quelli di carriera, maturarono la convinzione di essere tollerati più che accettati dal potere politico, che ne vanificava in pratica, nonostante le ricorrenti esaltazioni di circostanza nei discorsi di presentazione dei governi alle Camere od in occasione delle celebrazioni delle varie festività nazionali, la funzione prioritaria ed era sempre pronto ad enfatizzare gli episodi poco edificanti e le eventuali negligenze dei singoli o i semplici errori, ad accrescere insomma anziché ridurre lo stato di disagio. L'esercito, malgrado ciò, non pensò mai neppure alla lontana di deviare dal solco della Carta costituzionale, allo spirito ed alla lettera della quale rimase costantemente fedele e leale secondo il giuramento prestato. Ad esempi emblematici della considerazione dei politici del dopoguerra nei riguardi dell'esercito, sarebbero sufficienti l'ordine impartito da un ministro della difesa per l'impiego dei soldati nella mungitura delle vacche in occasione di uno sciopero del personale addetto alle stalle - ordine a cui il sottocapo di stato maggiore dell'esercito, generale Edmondo De Renzi 24, rifiutò di dare esecuzione - e la risposta che un altro ministro della difesa avrebbe dato ad un amico che gli manifestava meraviglia per la designazione di un certo generale ad uno dei vertici militari. Il ministro avrebbe risposto che ai vertici militari andavano posti uomini non di spicco, magari anche mediocri, perché più facilmente manovrabili. Mussolini aveva cercato uomini a lui fedeli, tanto meglio se fossero stati anche capaci; uno dei
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mm1stri della difesa che gli succedette, li voleva soprattutto di scarso prestigio per poterli avere più succubi. Si spiegano così alcune scelte ed anche gli arrivismi, i personalismi, le piaggerie che non sono stati estranei alla vita dell'esercito nel dopoguerra ed i tentativi di strade diverse esperiti da alcuni quadri per giungere a gradi ed incarichi che non avrebbero mai potuto conseguire con le sole loro forze.
3. L'indegno trattamento riservato alle forze armate, ed in particolare all'esercito, pur ferendo profondamente il morale dei quadri, colpito anche dal comportamento degli alleati che non volevano dare nessun riconoscimento concreto al contributo delle forze regolari e delle formazioni partigiane a lla guerra di liberazione ed alla resistenza, non fiaccò la loro volontà ed essi, quasi ignorando quanto si veniva facendo ai loro danni, si dedicarono anima e corpo alla ricostruzione dell'esercito in una situazione moralmente drammatica e materialmente disastrata in tutti i settori. Si può capire come tra i tanti gravi urgenti prohlemi della ricostruzione del paese, i governi ponessero quello militare in secondo piano, tanto più che nulla potevano fare senza il preventivo benestare della Commissione Militare Alleala (MNIA). Esistevano tuttavia esigenze impellenti che non consentivano rinvii, quali la parziale smobilitazione delle forze armate regolari (oltre 300 mila uomini in servizio nell'aprile 1945), il rientro dei prigionieri di guerra (circa 200 mila uomini), il mantenimento o non dell'obbligatorietà del servizio militare. Ognuno di tali problemi presentava aspetti morali, politici, giuridici, sociali, finanziari e burocratico-amministrativi di grande peso, la cui soluzione avrebbe in ogni caso prodotto effetti duraturi nel futuro, non solo nell'ambito delle singole forze armate, ma in quello dell'intero corpo nazionale. Vi erano poi i problemi pressanti del concorso dell'esercito regolare al mantenimento dell'ordine pubblico e dell'approntamento delle forze di copertura che avrebbero dovuto rilevare le unità alleate una volta cessata l'occupazione militare. La smobilitazione parziale dell'esercito avvenne secondo le direttive di volta in volta emanate dalle autorità alleate e si svolse con sufficiente ordine e regolarità. Alla fine del conflitto le forze dell 'esercito in servizio erano ripartite in tre blocchi in relazione alle dipendenze ed all'impiego: il primo - 66 591 uomini esclusi i
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carabinieri comprendeva: 3 divisioni di sicurezza interna (SI), delle quali i in Sicilia ed 1 in Sardegna e truppe dei comandi degli enti territoriali e dei servizi alle dipendenze dell'autorità militare italiana; il secondo - 162 776 uomini - comprendeva i 5 gruppi di combattimento (ciascuno su 9000 uomini circa) e le divisioni amministrative alle dipendenze delle autorità militari britanniche; il terzo - 92 079 uomini - costituito da un comando equivalente a quello di corpo d'armata e 2 divisioni amministrative alle dipendenze delle autorità militari statunitensi. Un complesso di 320 mila uomini, dei quali 180 mila da congedare e tra questi 43 mila di classi anteriori al 1914. Alla fine del 1945 dei 200 mila ausiliari solo 20 mila erano ancora in servizio e vi rimasero fino all'ottobre 1947. Anche il rientro dei prigionieri di guerra si svolse abbastanza ordinatamente; più convulso ed immediato quello dei provenienti dai Lager tedeschi, più graduale e regolato quello degli ex prigionieri in mani alleate. I tentativi di contrapporre gli s mobilitati delle forze regolari e coloro che avevano combattuto con il C.V.L. o con le formazioni partigiane caddero nel nulla. A tale fine fu molto importante anche l'azione svolta dal ministero dell'assistenza postbellica che tra il 1945 e il 1947 ottenne importanti risultati sul piano della solidarietà nei riguardi dei combattenti e dei reduci. La smobilitazione del C.V.L. presentava aspetti morali, politici e tecnici di estrema delicatezza. Essa venne imposta dalle autorità di occupazione che ordinarono l'immediato scioglimento del corpo come forza armata, senza nessuna contropartita per coloro che vi avevano militato, a meno della reimmissione in servizio per gli ufficiali ed i sottufficiali già appartenenti alle forze armate regolari. Le conseguenze del provvedimento del governo militare alleato, soprattutto per la forma con la quale venne adottato e per il carattere d ' urgenza che gli venne dato, avrebbero potuto essere addirittura drammatiche fino a determinare lo scoppio di una nuova guerra civile qualora non avessero prevalso da parte del governo italiano, dei partiti politici, dei comandanti e dei gregari del corpo il senso del reale ed il senso di responsabilità. Gli appartenenti al corpo vennero a trovarsi da un giorno all'altro in una situazione di avvilimento morale, per il misconoscimento del contributo che avevano dato alla lotta contro il fascismo ed il nazismo, e di gravi difficoltà materiali perché privi di un posto di lavoro. Il governo promise immediatamente la corresponsione di un'inde nnità di smobilitazione nella misura di 5 mila lire per tutti, di 10 mila per i feriti e di 20 mila per le famiglie dei caduti, ma non
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era solo questo che gli smobilitati avrebbero voluto, tanto più che alcuni di loro non ricevettero neppure il sussidio per l'insufficienza dei fondi messi a disposizione. L'ultimo proclama del comando generale del C.V.L. diceva, tra l'altro: «All'atto della smobilitazione si è fatto ogni sforzo pe r ottenere il giusto riconoscimento del vos tro sacrificio, per ridare ad ognuno di voi la possibilità di riprende re la vita nelJa pace e nel lavoro. Non sempre questi sforzi sono s tati coronati dal successo. Circostanze indipendenti dalla nostra volontà lo hanno spesso impedito ». Evidentemente l' impedimento era venuto dalla commissione alleata, che non aveva autorizzato neppure la spesa per l'indennità di smobilitazione, alla quale si fece parzialmente fronte con i soli fondi del C.V.L. che si rivelarono insufficienti. Le autorità di occupazione dettero un'altra prova d'insensibilità mora le e p sico logica e non si resero neppure conto ch e ciò avrebbe potuto comportare l'ammu tinamento dell'intero corpo o comunque lo sbandamento e il disorientamento generale dei 200 mila combattenti licenziati in tronco. Esse agirono di forza, senza riguardi, con precipitazione, mosse esclusivamente da motivazioni politiche: la minimizzazione del concorso italiano a lla guerra contro i tedeschi in m odo da non dover modificare la s ituazione politica e giuridica della resa senza condizioni in sede del trattato di pace; l'eliminazione di una forza armata politic izzata il cui controllo, già difficile guerra durante, avrebbe potuto ora sfuggire del tutto dalle loro mani. Questa ultima ragione non era senza fondamento, ma non giustificava n é l 'atto d 'imperio, n é la fretta, né tanto meno la mancata predisposizione di misure assistenziali adeguate. Allo scioglimento del C.V.L. sarebbe necessariamente giunto lo stesso governo italiano, in qu a nto era cessata la ragione di essere di una forza armata distinta e separata da ll'esercito regolare, oramai tornato presente su tutta la penisola. Non si sarebbero potuti tenere in piedi due esercit i com'era avvenuto nel periodo fascista, né si sarebbe potuto p rendere a base de ll'esercito nuovo il C.V.L., prima di tutto perché l 'esercito es isteva ed aveva anch'esso preso parte a lla guerra d i libe razione con più di 300 mila uomini (comprese le unità ausiliarie a l servizio degli anglo-am ericani), in secondo luogo perché il C.V.L. non possedeva l'istruzione professiona le, la form azione disc iplinare, la s truttura ordinativa di una forza regolare . Il C.V.L., inoltre, era estremame nte polit icizzato, a nzi partiticizzato, e le forze armate di uno Stato, che non sia uno Stato di partito, non possono non basarsi su di uno spirito unitario immune da ideologie di parte e non possono essere ch e al
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servizio della Costituzione, la quale è il risultato della libera volontà popolare di una nazione pluralistica. La tendenza dei partiti della sinistra a monopolizzare la resistenza togliendole il carattere nazionale che aveva avuto ed a fare del C.V.L. una cosa propria ed esclusiva alimentò la diffidenza delle autorità di occupazione e delle altre forze politiche nazionali, le quali ultime in tempo successivo raccoglieranno i loro combattenti dell e formazioni partigiane in un'associazione diversa e distinta dall'Associazione nazionale partigiana d'Italia (A.N.P.I.), nella quale non si riconosceranno perché monopolizzata dalle sin istre. Per compénsare in qualche modo l'ingiusto trattamento subito dal C.V.L., il comandante del corpo, generale Raffaele Cadorna 25, divenuto il 4 luglio 1945 capo di stato maggiore dell'esercito, avanzò, sia pure facendo presente qualche perplessità, proposte per la parità del trattamento economico per il servizio prestato nelle formazioni del C.V.L. con quello prestato nelle forze armate regolari, per l'immissione di elementi del C.V.L. nelle scuole di reclutamt:uto dell'esercito, per la promozione nel servizio permanente delle forze regolari degli elementi del C.V.L. particolarmente meritevoli segnalati dai comandi regionali delle formazioni partigiane. Tali proposte non ebbero segu ito da parte del governo, così come era già rimasta quasi priva di efficacia pratica la risoluzione del governo Parri che stabiliva l'immissione nelle unità dell'esercito regolare di forze partigiane e di quei militari, tratti dal C. V.L. , che avessero dato prova di capacità, di valore, di amor patri.o, nella lotta di liberazione nazionale. Tale immissione fu limitata ad alcuni ufficiali e sottufficiali trasferiti nel servizio permanen te per meriti di guerra acquisiti durante la lotta partigiana. Se la questio ne de l C.V.L. non ebbe una soluzione soddisfacente dipese dalle autorità a lleate di occupazione e dai governi del C.L.N., ma anche dall' impostazione che le sinistre dettero alla proposta d 'immi ssione del C.V.L. nelle forze regolari e cioè quale garanzia di orientamento democratico del nuovo esercito, quasi quello esistente fosse reazionario e fascista e nutrisse una vera idiosincrasia per la democrazia. Il che era del tutto infondato e falso come dimostreranno i successivi 40 anni di storia. I punti di segno positivo d e ll a politica militare sui quali vi fu concordanza d i vedute nell'ambito dei governi espressi dal C.L.N. furono: il mantenimento del servizio militare obbligatorio; la messa in piedi con priorità uno di un 'efficiente organizzazione addestrativa; la strutturazione dell'esercito in funzione della copertura delle frontiere e del concorso a l mantenimento dell'ordine pubblico,
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accantonando fino alla definizione del trattato di pace l'ordinamento della marina e dell'aeronautica; la riduzione delle dimensioni dell'apparato militare e lo sfoltimento dei quadri prendendo a base l'ordinamento dell'esercito regolare esistente (5 gruppi di combattimento, divisioni di scurezza interna, truppe dei comandi ed enti territoriali e dei servizi); l'unificazione della branca tecnico-amministrativa delle tre forze armate in un unico ministero; la riforma della Commissione suprema di difesa. In una situazione armistiziale di resa senza condizioni, appena modificata dal riconosciuto stato di cobelligeranza, e di occupazione militare alleata, nell'incertezza di quali sarebbero state le clausole del trattato di pace, non sarebbe stato realistico fissare obiettivi più ampi. D'altra parte, qualora anche l'avessero voluto, i governi di coalizione del C.L.N. non avrebbero potuto andare più in là, oltre che per lo stato di sovranità limitata in cui agivano, anche perché il problema dei problemi che avevano davanti era la lotta contro la fame e la paralisi economica che essi poterono vincere mercé gli aiuti del mondo occidentale e la politica di massicce importazioni di materie prime, di combustibili e di viveri. Allorché dalle enunciazioni di principio si dové passare alla definizione pratica delle modalità di azione per risolvere i problt:mi <li politica militare, i partiti di governo dovettero accontentarsi di compromessi e di arrangiamenti ambigui, contraddittori e scarsamente funzionali, come accadde per lo sfoltimento dei quadri e per l'unificazione dei ministeri. Lo sfoltimento dei quadri venne regolato da una serie di provvedimenti di legge 26 confusi e disorganici e si svolse in un'atmosfera di pregiudizi e di sospetti moltiplicatrice delle difficoltà insite nell'operazione. Vi era grande incertezza ne i quadri, specialmente ai livelli bassi ed intermedi, circa la convenienza di restare o di andarsene, di rientrare o di restare fuori. Le prospettive di carriera apparivano quasi nulle sia sotto il profilo economico sia sotto quello del prestigio sociale. I quadri ufficiai i e sottufficiali erano avviliti; molti erano ancora traumatizzati per la disfatta dell'8 settembre; tutti si sentivano oggetto di ostilità. Le unità, ad eccezione di quelle di prima linea, erano male armate ed equipaggiate. La disciplina già compromessa dall'8 settembre stentava ad essere ristabilita ed in tale situazione si era quasi costretti a passare sopra a reati ed a mancanze anche gravi. Il trattamento economico era divenuto irrisorio a causa dell' inflazione e non rappresentava certo un incentivo a restare in servizio: esso non raggiungeva la metà di quello di un impiegato di pari livello di una qualsiasi azienda
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industriale. I quadri provenivano da esperienze assai diverse: guerra di liberazione con il C.I.L. e con i gruppi di combattimento, servizio nelle unità territoriali o ausiliarie, lotta nelle formazioni partigiane, prigionia in Germania (alcuni puri da ogni cedimento ai tedeschi, altri che avevano accettato di lavorare), prigionia nei campi degli alleati (alcuni avevano accettato la collaborazione con gli alleati, altri l'avevano rifiutata). I tribunali e le commissioni di disciplina non sembravano ispirare il loro operato a criteri univoci. Accusati in blocco di essere monarchici e reazionari, demonizzati dai socialcomunisti, colpevolizzati, o quanto meno non difesi, dagli altri partiti e dallo stesso partito di maggioranza relativa, i quadri ufficiali e sottufficiali trovarono esclusivamente in sé stessi la forza di volonta di ripresa. Non furono pochi quelli che decisero di restare o di rientrare. Taluni di questi ultimi avevano già trovato sistemazioni di carriera ed economiche vantaggiose, eppure non esitarono a tornare a vestire l'uniforme quando vennero interpellati. Molti erano monarchici - più per tradizione che per ragionata convinzione - ma nessuno di loro, dopo il 2 giugno 1946, antepose il re alla Patria . L'aliquota che dopo il referendum chiese ed ottenne di lasciare il servizio fu scarsamente significativa. Esistevano naturalmente nei quadri preoccupazioni conservatrici, come del resto esistevano in elevata percentuale nella nazione, ma esse non si riferivano al mantenimento di trattamenti privilegiati di categoria e neppure alla salvaguardia di un ordine economico e sociale del quale erano le prime vittime, ma alla conservazione dei valori ideali e del patrimonio di civiltà nazionale dei quali l'esercito era stato uno dei fattori determinanti durante il Risorgimento e nella prima guerra mondiale. l quadri non volevano la scomparsa di tale patrimonio e non volevano la rivoluzione minacciata dai socialcomunisti. Nonostante la eterogeneità delle esperienze e delle provenienze, essi non tardarono a riamalgamarsi e s i può dire che la loro coesione fu cementata anche dagli atteggiamenti antimilitari e amilitari di cui s i sentivano circondati. La conquistata armonia venne invece incrinata qualche tempo dopo, quando cioè si cominciò a reimmettere in servizio quadri ufficiali e sottufficiali che avevano prestato giuramento di fedeltà al governo di Salò o che a ddirittura avevano prestato servizio nelle forze armate della repubblica sociale italiana. La graduale e quasi clandestina riassunzione in servizio di tali quadri - in un primo tempo tenuti fuori dalle forze armate regolari - venne s uccessivamente sanzionata <lalla legge n. 93 del 23 febbraio 1952 27ch e concesse loro il
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riconoscimento giuridico del servizio prestato sia agli effetti della carriera sia dell'anzianità di servizio. Si trattò di un errore molto grave determinato da scarsa sensibilità morale e politica del penultimo governo De Gasperi (DC e PRI) e delle supreme gerarchie militari del momento, ancorché diretto a sanare una situazione di fatto già esistente. Esso nel tempo si risolse a danno degli stessi beneficiari. Mai, a nostro parere, i quadri di Salò avrebbero dovuto essere reimmessi in servizio, non fosse altro per rispetto di coloro che avevano combattuto la guerra di liberazione o avevano lottato nella Resistenza o avevano sofferto la dura prigionia nei Lager tedeschi; ma una volta fatti rientrare nei ranghi, avrebbero dovuto essere liberati da ogni discriminazione di carriera. Accadde invece che alcuni, i più furbi e fortunati, proseguirono indisturbati la loro carriera fino a raggiungere senza difficoltà anche gradi elevati perché giudicati da commissioni di avanzamento molto benevole e permissive; altri, negli ultimi anni, verranno fermati nelle promozioni <la commissioni di avanzamento tardivamente rigide. La conclusione fu che ufficiali superiori delle forze armate di Salò pervennero ai gradi di colonnello e di generale, mentre i sottotenenti e i tenenti di quelle forze armate pagarono dopo trent'anni il fio della colpa che era stata loro perdonata. Questa, rispetto a quella di coloro che 1'8 settembre 1943 erano in età più matura, era stata molto minore, perché molti di coloro, appunto i più giovani, avevano agito in buona fede e, privi di un punto di riferimento certo, avevano continuato a stare a fianco dell'antico alleato di cui avevano avuto modo di constatare la perizia ed il valore. In molti erano prevalsi un malinteso senso dell'onore e della fedeltà e una mendace illusione di continuare a servire la Patria, più che l'attrazione verso l'ideologia ed il sistema politico. Non pochi si erano comportati in quelle forze armate con onore, bravura e coraggio, senza mai compiere atti contrari all'etica militare, anche se ciò non sarebbe dovuto bastare per indurre i vertici militari e politici a decidere il loro rientro nel servizio attivo delle forze regolari. Al massimo la generosità del perdono avrebbe potuto coprire solo i giovani ed in questo caso il passato avrebbe dovuto essere cancellato interamente e per sempre. Il comportamento diverso si concretò in una duplice ingiustizia: da una parte si equipararono i combattenti della libertà con quelli che avevano servito fino all'ultimo la dittatura; dall'altra si ingannarono i riammessi perché, dopo avere loro promesso la parità di trattamento, si finì con il ghettizzarli. Resta comunque fuori discussione che
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la condotta dei vertici politici e militari nei riguardi dei reduci di Salò costituì un errore gravissimo e rappresentò per circa 30 anni una turbativa notevole del morale dell'esercito, della quale i primi a sopportare il disagio furono quei reduci stessi. L'interruzione della spirale degli odi nata dalla guerra civile fu un atto morale e politico dovuto alla serenità della ripresa di un'ordinata convivenza civile, ma la s i sarebbe potuta conseguire ugua lmente senza incidere negativamente sui meccanismi delicati dell'esercito, la cui efficienza poggia in primo luogo sulla rigidità di valori ideali e morali che non ammettono eccezioni, deroghe e tanto meno manipolazioni di comodo. Agli ufficiali e sottuffiéiali di Salò, qualora si fosse voluto, si sarebbero potute offrire sistemazioni diverse ne ll'apparato amministrativo dell'organizzazione civile dello Stato, mentre il reimmetterli nei ranghi militari non giovò all'esercito ed a loro stessi. La fusione dei tre dicasteri militari - guerra, marina, aeronautica - nel Ministero della Difesa 28 fu un'innovazione tanto radicale quanto razionale e necessaria. Il primo ministro della difesa fu l'onorevole Luigi Gasparotto. Il governo De Gasperi (DC. PSI. PCI.) deci se l'operazione per meglio a ssicurare il controllo governativo sulle forze armate e sugli stati maggiori più che per soddisfare le esigenze di coo rdinamento della politica militare e più che per realizzare l'unità di comando e l'unificazione delle s trutture . L'aspetto di unitarietà concettuale ed organizzativa della difes a fu lasciato in ombra e si tenne soprattutto presente che l'affidare la gestione politica delle forze armate ad un solo dicastero, retto da un solo ministro, rispondeva a lla logica della preminenza del potere politico e dell'ulteriore declassamento dei vertici militari, orientamento costante <lei governi del C.L.N. e di quelli che seguirono. Il prowedimento, inoltre, nell'intenzione di chi lo adottò avrebbe dovuto porre fine alle rivalità interministeriali ed alle spinte corporative delle tre forze armate. L' unificazione in pratica fu poco più che simbolica, perché il nuovo ministero conservò integre gran parte delle vecchie s trutture, talché il ministro venne a trovarsi nella impossibilità materiale di gestire realmente il ministero, stante il nume ro spropositato di pedine che facevano capo direttamente a lui. Al fine di a lleggerire il lavoro de l ministro, vennero previsti tre sottosegretari di Stato ai quali il ministro aveva la facoltà di delegare il controllo e la gestione di alcune bra nche amministrative e tre segretari generali militari di forza armata per il coordinamento dell'attività delle numerose direzioni generali i c ui capi, peraltro, non dipendevano gerarchicamente dal segretario
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generale di forza armata, ma direttamente dal ministro, dal quale dipendevano anche il capo di stato maggiore della difesa e direttamente anche i capi di stato maggiore di forza armata. Di tutto fu reso responsabile il ministro a cui facevano capo direttamente sia la branca tecnico-operativa (i 4 capi di stato maggiore) sia quella tecnico-amministrativa (i 3 segretari generali, tutti i direttori generali e tutti i capi degli uffici autonomi del ministero). Un vero iabirinto nel quale sarebbe stato pressoché impossibile a chiunque di raccapezzarsi, ancorché fossero cessate le spinte settoriali, risultato che si sarebbe potuto raggiungere solo conferendo al capo di stato maggiore della difesa quella preminenza sui capi di stato maggiore di forza armata che gli era stata invece sottratta con il DLL n. 346 del 31 maggio 1945 e che non gli venne restituita, se non parzialmente, con il DL n. 955 del 21 aprile 1948. Ognuno degli aventi causa accedeva al ministro per rappresentare le sue giuste esigenze, il cui soddisfacimento simultaneo non era consentito peraltro dalle disponibilità di bilancio, ed ognuno doverosamente tentava di essere ascoltato più dell'altro, aumentando l'incertezza e l'indecisione del ministro che, non essendo competente in materia, si trovava spesso in imbarazzo. Questo diventava ancora maggiore quando ai contrasti tra le tre forze armate si sommavano le divergenze di opinioni e le suscettibilità tra il capo di stato maggiore ed il segretario generale della stessa forza armata. Il ministro venne messo nella condizione di non poter far fronte ai suoi compiti con la conseguenza che anche uomini politici, che alla direzione di altri dicasteri avevano già offerto od avrebbero dato successivamente prove di buona capacità di direzione politica, messi a gestire un dicastero così complesso, delicato, importante, svolsero il loro lavoro al di sotto di un livello accettabile, lasciando scontente le forze armate e non ricavando essi stessi prestigio e soddisfazione dal loro lavoro. Ultimo, non in ordine di tempo in quanto adottato nel maggio del 1945, dei provvedimenti rispondenti alla logica del controllo governativo fu la istituzione del Comitato di difesa, in sostituzione della Commissione Suprema di difesa, disposta con il decreto legge luogotenenziale del 31 maggio 1945 29. Il comitato di difesa, previsto transitoriamente ebbe il compito dello studio di particolari questioni militari e comunque riguardanti la difesa nazio nale e, come funzione specifica, la consulenza tecnico-politica del governo alla cui collegialità doveva spettare la definizione della politica militare. Furono designati a farne parte il presidente del consiglio
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dei ministri, presidente altresì del comitato, assistito dal capo di stato maggiore generale, i ministri per gli affari esteri, per il tesoro, per la guerra, per la marina, per l'aeronautica, gli ultimi tre assistiti dai rispettivi capi di stato maggiore. Potevano essere chiamati dal presidente del Consiglio a farne parte altri ministri per questioni attinenti alla loro rispettiva competenza. Il segretario doveva essere un sottosegretario di Stato militare designato dal presidente del consiglio. Le conclusioni del Comitato di difesa dovevano essere sottoposte dal suG presidente al Consiglio dei ministri. Anche se gli si volle attribuire l'aspetto di novità, il comitato fu una riedizione corretta della preesistente commissione suprema per la difesa che, per la verità, aveva funzionato poco e male. Si trattò in pratica di un ritorno alla legalità violata da Mussolini, il quale mai aveva utilizzato concretamente e funzionalmente l'organismo da lui stesso creato. Il nuovo organo comunque avrebbe potuto essere quanto mai utile e sarebbe stato molto più appropriato del Consiglio Supremo di Difesa 3 0, con il quale lo si sostituì poi a norma della Costituzione. Il Consiglio, presieduto dal presidente della repubblica, comandante delle forze armate, infatti, diversamente dal comitato, risultò poi un organismo di difficile interpretazione costituzionale - c.lella vecchia commissione suprema di difesa non faceva parte il re che pure era il comandante delle forze armate - ed alla prova dei fatti non si dimostrò in grado di svolgere la funzione di organo propulsore della politica militare del governo, ma finì con l'essere la sede di rassegna dei problemi militari più che quella di orientamento delle decisioni da prendere poi nell'ambito del consiglio dei ministri. La politica militare dei governi del C.L.N . non poteva certamente essere una politica di prospettiva; mancavano le condizioni base perché lo fosse. Avrebbe dovuto essere esclusivamente una politica di emergenza e là dove fu tale raggiunse i suoi scopi e pose le basi per la ricostruzione dell'apparato militare. Il mantenimento dell'obbligatorietà del servizio militare, la priorità conferita all'organizzazione addestrativa, l'approntamento delle forze necessarie al concorso al mantenimento dell'ordine pubblico ed alla ripresa in proprio, da parte dell'esercito, del compito di copertura delle frontiere, la riduzione della troppo vasta intelaiatura ereditata dal periodo prebellico furono atti decisionali di rilievo politico e tecnico-militare. La decisione di salvaguardare la natura tradizionale dell'esercito, costruendo il nuovo su quanto di valido c'era nel vecchio e prendendo a base le unità regolari che avevano partecipa-
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to alla guerra di liberazione, valse ad evitare il trauma di una soluzione di continuità tra il passato ed il futuro ed al tempo stesso a dare grande rilievo ai valori ai quali era stata ispirata la partecipazione dell'esercito alla guerra di liberazione. La tesi della maggiore convenienza a sciogliere, sull'esempio di quanto avveniva in quel momento in Germania, le forze armate per poi ricostruirle in futuro ex fundamentis non appare sostenibile, sia perché la situazione politica italiana era ben diversa da quella tedesca e tale da rendere inaccettabile da parte delle stesse autorità di occupazione un 'opzione siffatta, sia perché, nonostante le traversie subite e sebbene sotto tutela degli alleati, un esercito era in piedi ed aveva offerto prove convincenti da monte Lungo a Bologna di essersi ripreso e di sapersi battere con perizia e valore. Accanto a tali senza dubbio importanti e determinanti risultati positivi della politica militare dei governi del C.L.N., stanno i gravissimi errori già messi in evidenza, riconducibili dove più dove meno a preconcetti e pregiudizi, ad insipienza ed incompetenza, a scarsa obiettività di giudizio e serenità di animo, a paure e timori infondati ed anche ad interessi di parte anteposti a quelli nazionali. Nei provvedimenti legislativi di politica militare dei governi del C.L.N. si rispecchiarono le contraddizioni e la crisi esistenziale degli stessi governi, per costituzione incapaci di un disegno politico unitario.
4. L'8 novembre 1945 la commissione militare alleata per le forze terrestri (Land Forces M.M.I.A.) fissò in 140 mila uomini, esclusi 65 mila carabinieri, le forze dell'esercito italiano, ripartendole in quattro blocchi: il primo costituito dalle riserve mobili e locali, di circa 90 mila uomini, comprendente 5 divisioni di fanteria binarie (già gruppi di combattimento), 3 divisioni di sicurezza, 10 reggimenti di fanteria non indivisionati di cui 3 alpini; il secondo di 9 mila uomini, comprendente l' organizzazione centrale ed i comandi militari territoriali; il terzo di 31 mila uomini, raggruppante gli organi e le unità dei servizi; il quarto di 1O mila uomini, costituito dall'organizzazione addestrativa (scuole, enti, complementi). Un apposito Comitato degli organici studiò i particolari del nuovo ordinamento che, discusso in seno alla L.F.M.M.I.A. e da questa approvato, venne sanzionato dallo stato maggiore dell'esercito nel marzo del 1946 31. L'esercito venne suddiviso in tre, anziché in
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quattro, blocchi, dei quali: uno operativo, uno territoriale, uno addestrativo. Del primo facevano parte lo stato maggiore dell'esercito, 5 divisioni di fanteria binarie (Cremona, Folgore, Friuli, Legnano, Mantova}, 3 divisioni di sicurezza interna (Aosta, Calabria, Sabauda}, 7 reggimenti di fanteria non indivisionati (2°, 3°, 6°, 7°, 8° e 10°), 3 reggimenti alpini non indivisionati (1 °, 4° e 5°). Il secondo comprendeva gli organi centrali, 11 comandi militari territoriali, 99 distretti militari, 90 depositi, 11 compagnie servizi del genio, 2 compagnie ponti metallici scomponibili, 9 compagnie collegamenti territoriali, 2 compagnie rastrellamento mine, il tribunale supremo militare, 12 tribunali militari territoriali, 23 ospedali militari, circa 120 magazzini e depositi, 1 autogruppo, 16 autoreparti, 1 compagnia motociclisti per il servizio di staffetta. Il terzo blocco raggruppava l'accademia militare di Lecce, il comando scuole militari centrali con alle dipendenze 10 scuole delle varie armi e servizi, 11 centri di addestramento reclute (C.A.R.}, 1 scuola <li applicazione di sanità, 1 istituto geografico militare. Questa la base di partenza della ricostruzione dell'esercito. I condizionamenti imposti dagli alleati e la priorità da conferire sul momento alla esigenza del concorso al mantenimento dell'ordine pubblico ed a quella della riassunzione al termine dell'occupazione militare alleata della responsabilità della copertura non impedirono al generale Cadorna di realizzare un'intelaiatura potenzialmente suscettibile, senza rivoluzioni e neppure gravi scosse, di ampliamenti o di ridimensionamenti, contenendo essa in nuce tutti gli elementi di base necessari all'organizzazione dell'esercito, ad eccezione di una seppure embrionale componente corazzata, alla quale gli alleati si erano opposti guerra durante anche nell'ambito dei gruppi di combattimento. Notevole la componente addestrativa che veniva ampliata e completata rispetto a quella derivata, nel febbraio 1945, dalla ·trasformazione del gruppo di combattimento Piceno in centro addestramento complementi che aveva sostituito i depositi di addestramento inglesi dislocati nell'Italia centro-meridionale, e che dava vita a sei scuole (istruttori varie armi, sottufficiali e specializzati di fanteria, artiglieria; genio artieri e collegamenti, autieri, meccanici}. La novità senza precedenti fu la costituzione dei C.A.R., uno per ciascuna circoscrizione territoriale, derivati dal modello inglese ed avente il compito di conferire alla recluta l'istruzione militare preliminare secondo una precisa unità d'indirizzo, sgravando di tale onere le unità operative. La messa in piedi di una valida organizzazione scolasticà fu la maggiore preoccupazione del
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generale Cadorna, il quale non aveva bisogno di andare a scuola da altri, ma sembrandogli il modello inglese bene rispondente allo scopo - dopo l'esperimento della preparazione del personale dei gruppi di combattimento guerra durante - volle adottarlo con le opportune modifiche stante anche il perdurare dello stretto rapporto con le forze britanniche. Il retaggio degli inglesi si dimostrò infatti del tutto positivo per un esercito che, durante tutto l'arco della sua storia, era stato continuamente costretto a posporre per i noti motivi l'esigenza addestrativa alle altre che, se potevano dare talora maggiore lustro o erano comunque insopprimibili, vanificavano la ragione d'essere dell'esercito in tempo di pace. La componente operativa presentava sul piano dell'ordinamento tattico carenze e disequilibri assai notevoli e gravi e non rispondeva a quelle che erano state le chiare indicazioni della guerra. La divisione binaria non era per costituzione e definizione in grado di manovrare; le mancava appunto l 'elemento di manovra, vale a dire la riserva, priva com'era del terzo reggimento di
fanteria_ Creata per l'azione offensiva, per la quale si era dimostrata del tutto impari su tutti i tipi di terreno, le mancava il sostegno dei carri armati la cui disponibilità si era palesata irrinunciabile nei combattimenti sui terreni di pianura e di collina . Costituzionalmente assai debole fin dalla nascita per l'azione difensiva, aveva accusato, specialmente su questi ultimi tipi di terreno, la sua assoluta inadeguatezza in armi controcarri e contraerei. Il rapporto fanteria-artiglieria (2 reggimenti di fanteria, ciascuno su 3 battaglioni, e 1 reggimento di artiglieria da campagna su 4 gruppi da campagna) era rimasto press'a poco quello dell'anteguerra, mentre in tutte le varie campagne la potenza del fuoco, congiuntamente alla mobilità, era parsa strettamente condizionatrice del successo. Infine la divisione binaria dell'esercito di transizione non possedeva né un elemento mobile esplorante né una benché minima autonomia logistica. I primi ritocchi che il generale Cadorna poté apportare all'ordinamento dell'esercito di transizione furono soprattutto di cai-attere formale, tendenti in particolare a riaffermare la presenza di due delle tre specialità di fanteria rimaste fino ad allora escluse dal quadro ordinativo: quella dei bersaglieri e quella dei granatieri. Le divisioni di sicurezza inte rne vennero trasformate in brigate (Aosta, Calabria e Reggio in luogo di Sabauda); il 3° e 1'8° reggimento fanteria divennero rispettivamente il 3° reggimento bersaglieri ed il 1° reggimento granatieri di Sardegna; le compagnie servizi del genio cambiarono la denominazione in compagnie
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artieri e la numerazione da 101 a a 111 a in da I a a 11 a 32. Nel gennaio 1947 il generale Cadorna, poco tempo prima di dimettersi dalla carica, varò il piano di riordinamento dell'esercito di transizione (33) prevedendo per la componente operativa un notevole potenziamento delle divisioni di fanteria che, pur restando binarie, ricevettero un notevolissimo incremento della capacità di fuoco e furono dotate di un proprio elemento esplorante e di un proprio apparato logistico. Vennero costituiti: 5 reggimenti di artiglieria da campagna (5°, 17° , 8°, 33° e il reggimento a cavallo), 5 reggimenti di artiglieria controcarri (9°, 27 ° , 18°, 41 ° e 52 ° ), 5 reggimenti di artiglieria contraerei (1 °, 2°, 3°, 4°, 5°), 5 battaglioni collegamenti, che vennero assegnati alle 5 divisioni di fanteria nel numero di uno per ognuna delle specialità. Vennero altresì costituiti 5 gruppi esploranti divisionali (G.E.D.), uno per ciascuna divisione (I dragoni alla Cremona, II cavalleggeri alla Friuli, III cavalleggeri alla Legnano, IV dragoni alla Mantova, V lancieri alla Folgore), e d a ciascuna J.i 4ueste ultime furono assegnati 1 sezione di sanità, 2 ospedali da campo, I sezione sussistenza, l reparto trasporti, 1 officina mobil e, t parco mobile. Il notevole aumento della potenza di fuoco, l'accrescimento della mobilità mediante l'assegnazione del reparto trasporti, l'inc remento delle possibilità di esercizio del comando mediante l'assegnazione del battaglione collegamenti ed il conferimento della capacità di esplorazione e di una certa autonomia logistica dettero alla divisione di fanteria, benché binaria, una fisionomia operativa ben diversa da quella del 1938 e degli anni di guerra, ancorché mancasseto ancora la componente carrista e l'elemento di manovra. Vennero costituiti al di fuori delle divisioni: 3 reggime nti di fanteria (17° , 46° e 60° ). 2 reggimenti di artiglieria da campagna (il 13° per l'VIII C.M.T. di Roma ed il 22° per la brigata Aosta), 2 gruppi di artiglieria da montagna (Be rgamo e Belluno), I gruppo misto (Calabria). Anche la componente te rritoriale, progettata fin dal gennaio 1945 34, subì lievi aume nti e sensibili miglioramenti soprattutto ai fini dell' esercizio del comando. Gli 11 C.M .T. ebbero sede a Torino (n, Genova (Il), Milano (III), Bolzano (IV), Udine (V), Bologna (VI), Firenze (VII), Roma (VIII), Bari (IX), Napoli (X), Palermo (XI). I loro compiti consistevano: nell'esercitare l'azione di comando su tutte le unità, i reparti, gli enti ed i servizi dislocati nella rispettiva zona di giurisdizione; nel sovrintendere alle operazioni di mobilitazione e di smobilitazione; nel presiedere alle attività territoriali; nel provvedere alla organizzazione ed al funzionamento dei servizi; nel-
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l'esplicare in genere le attribuzioni già devolute ai comandi di difesa territoriale; nel mantenere i collegamenti con le autorità politiche e civili italiane e con i rappresentanti delle autorità militari alleate. L'organizzazione territoriale era entrata in funzione, sia pure embrionalmente, fin dall'autunno 1943 ed era venuta prendendo forma ed estendendosi a mano a mano che le vicende della guerra lo avevano consentito e le autorità alleate avevano restituito le varie regioni all'autorità italiana. Essa aveva segnato il graduale ripristino dell 'autorità italiana - precedendo talvolta il ristabilimento dell'organizzazione politico-civile - e la ripresa di funzionamento delle strutture militari tecnico-amministrative, interrotto dalla guerra, indi spensabili peraltro alla smobilitazione, alla mobilitazione ed al reclutamento. L'organizzazione territoriale fu la piattaforma per la ricostruzione dell'eserc ito della quale fu, congiuntamente con gli organi centrali e con lo stato maggiore dell'esercito, la vera artefice. Vennero costituiti, sempre nel gennaio 1947, 1 ballagliune collegamenti speciali per lo stato maggiore
dell'esercito, 1 compagnia (8a) collegamenti per il C.M.T. di Bologna, 2 compagnie P.M.S. (1 a e 2a). Nell'organizzazione scolastica venne inserito un centro di addestramento avanzato per le reclute di artiglieria (C.A.A.R.) e vennero aperte nuove scuole e modificate alcune di quelle preesistenti. Il riordinamento portò alla fine alla istituzionalizzazione di: una scuola di fanteria, una per la cavalleria blindata, una di carrismo, una di artiglieria, una del genio artieri e collegamenti, una della motorizzazione, una dei servizi e del governo del personale, una di educazione fisica. Tale organizzazione h a conservato nelle linee fondamentali la sua validità fino ai giorni nostri, fatte salve la costituzione successiva d ella scu ola alpina, di quella paracadutisti e di quella per l'artiglieria contraerei 35 e l'unificazione della scuola dei servizi e del governo del personale. Nell'aprile del 1948 venne costituita, inoltre, la scuola allievi sottufficiali 36. Altre modifiche, alcune di queste di carattere formale, riguardarono la trasformazione dei battaglioni misti del genio in battaglioni artieri ed il cambio di denominazione di 5 reggimenti di fanteria e precisamente del 9° in 9° Bari, del 6° in 6° Bologna, de l 10° in 75° Napoli, del 7° in 78 ° Toscana, del 2° in 157° Liguria. Per giungere all'ordinamento Cadorna del gennaio 1947 si era dovuta percorrere una strada lunga ed ardua sulla quale l'esercito si era avviato da quando nel dicembre 1943 il I raggruppamento motorizzato era comparso in prima linea a monte Lungo. I capi di
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stato maggiore generale Paolo Berardi 37 e generale Ercole Ronco 38 - che avevano preceduto il generale Cadoma, avevano dovuto fronteggiare difficoltà enormi di ogni genere, di carattere interno ed esterno, e lo stesso generale Cadorna aveva ereditato nel maggio del 1945 una situazione meno disperata di quella dei suoi predecessori, ma altrettanto difficile e delicata. Essi non riuscivano a risolvere un problema che non se ne presentasse un altro ancora più spinoso. Dei tanti, quello ordinativo era stato senza dubbio il più intricato, mancando ogni certa indicazione di prospettiva. Alla base dello sforzo di ricostruzione fu posto il recupero del livello mo rale abbassatosi a valori senza precedenti 1'8 settembre e costantemente insidiato dalla propaganda demolitrice delle sinistre, e non solo di queste, e dalla sfiducia e dal quasi malvolere dei governi nei riguardi delle istituzioni militari. Si era dovuto cominciare dalla raccolta del personale rimas to privo di vincoli organici, dal reimpiego dei soldati sbandati ancora soggetti ad obblighi di servizio, dalla smobilitazione di una massa enorme di reduci . Si era dovuto procedere gradualmente al ripristino degli organi e degli en ti che l'invasione e l'occupazione s traniera avevano declassato o fatto scomparire ed alla rimessa in essere dell' intera organizzazione statale del tutto sconquassata. Era stalu necessario creare quasi dal nulla i gruppi di combattimento e la pletora di unità ausiliarie da porre a disposizione dei comandi alleati, ricostituire i comandi territoriali, i distretti e i depositi, effettuare reclutamenti, recuperare gli immobili milita ri che avevano subito una diversa destinazione, tornare in possesso di mezzi e di materiali abbandonati e depredati, riorganizzare i servizi rimettendo in funzione più di un centinaio di stabilimenti e magazzini che costituiva no la base indispensabile di qualsiasi possibilità di sopravvivenza. Uno dei grossi problemi fu proprio quello del reclutamento che gli alleati avrebbero voluto fosse basato sul volontariato, mentre lo s tato maggiore dell 'esercito volle a giusto titolo mantenere a tutti i costi l'obbligatorietà del servizio. Anche il sistema di chiamata alle armi delle reclute non fu senza contrasti in quanto gli alleati lo avrebbero voluto mensile, mentre lo stato maggiore dell'esercito lo volle quadrimestrale perché meglio rispondente alle possibilità materiali di recezione, di selezione e di addestramento. La durata della leva venne fissata in un anno al fine di conciliare le esigenze di efficienza professionale dell'esercito con quelle della minore durata d'impiego del personale di leva nel servizio militare. L'istituzione dei C.A.R. e dell'organizzazione per la selezione attitu-
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dinale del personale arruolato sulla base di esami psico-tecnici, oltre di quelli tradizionali di idoneità fisica, furono le due novità più importanti ai fini della remuneratività dell'assegnazione degli uomini alle varie armi, corpi ed incarichi e dell'efficienza addestrativa. Il generale Cadorna non riuscì, nonostante gli sforzi fatti, a trovare rispondenza da parte politica per la soluzione del problema dell'esclusione dal servizio del personale di leva esuberante alla forza consentita e quello dell'incentivazione all'arruolamento di specializzati a lunga ferma: il primo presentava un delicatissimo aspetto di giustizia sociale che i governi non sensibilizzarono, il secondo assumeva una rilevanza economica che non poteva essere soddisfatta nel quadro degli stanziamenti ordinari. Questi, negli esercizi finanziari 1945-'46 e 1946-'47, assommarono per tutte e tre le forze armate a 272.080 lire, vale a dire al minimo della spesa per il mantenimento delle forze armate di transizione, per il debito vitalizio e per una serie di spese che furono fatte gravare sul bila11ciu militare, quali i servizi permanenti transitori di carattere non militare, le opere assistenziali per gli ex-prigionieri e i partigiani, il mantenimento in servizio di un rilevante numero di operai e diurnisti esuberanti, trattenuti per non aggravare la tragica situazione del me rcato del lavoro. L'esercito di transizione che il generale Cadorna riuscì a programmare aderì, malgrado tutto, ai criteri che egli si era proposto di un esercito a base principalmente di leva, piccolo ma di qualità, ricco di istituti scolastici ed addestrativi e fondato moralmente e ordinativamente in misura precipua sui gruppi di combattimento della guerra di liberazione. Egli ebbe il merito di non lasciarsi prendere solo dai problemi tecnico-militari, ma di considerare anche gli aspetti politico-militari, riscontrando però a questo ultimo riguardo poca rispondenza nei tre governi e insufficiente comprensione nei tre ministri - Stefano Facini, Manlio Brosio, Cipriano Facchinetti che si succedettero nei circa 19 mesi della sua carica, tanto che presentò le dimissioni, anche per il fatto che non si sentì efficacemente sostenuto dal generale Claudio Trezzani, capo di stato maggiore generale, questi tutto preso dal problema tecnico-militare e poco curante di quello politico-militare. I) generale Trezzani aveva subìto, senza dimettersi, il declassamento delle sue attribuzioni e funzioni operato dal governo con il decreto legislativo luogotenenziale del 31 maggio 1945. Il generale Raffaele Cadorna, al pari del nonno e del padre, operò con alto senso del dovere e fu un benemerito della Patria e dell'esercito. Egli tenne la carica con
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capacità, competenza, autorità, prestigio e, malgrado le difficoltà della situazione armistiziale ed i continui mutamenti dei ministri della guerra, riuscì a risolvere i grossi problemi contingenti ed a porre le basi per la ricostruzione futura. Curò la fusione dei quadri provenienti dalle varie esperienze; restaurò la disciplina; esaltò l'addestramento; garantì il passaggio tranquillo dell'esercito dalla monarchia alla repubblica; salvaguardò la coesione dell'esercito; fu leale con il potere politico; pretese il rispetto delle proprie prerogative come aveva fatto il padre in una situazione diversa. Migliorò nei limiti del possibile l'efficienza operativa dell'esercito, creando una organizzazione scolastica e addestrativa di primissimo piano, potenziando fino ai limiti del possibile le divisioni, migliorando le dotazioni delle armi e degli equipaggiamenti; strutturò l'esercito in modo tale da conferirgli la capacità potenzia le per una rapida trasformazione senza scosse. Dové tenere necessariamente conto delle necessità contingenti - in particolare dei fenomeni di banditismo e di separatismo e delle ricorrenti manifestazioni di piazza turbative dell'ordine pubblico e dell'autorità dello Stato - e per questo dové aumentare il numero delle unità di fanteria e dislocare le forze in relazione al compito del concorso al mantenimento dell'ordine pubblico, ma non si limitò certo alla risoluzione dei problemi del momento; guardò invece al f uluro prevenendo il ruolo che l'esercito sarebbe s tato chiamato da lì a poco ad esercitare per la difesa delle frontiere nazionali e salvaguardandone la posizione futura in un nuovo già allora probabile contesto internazionale.
5. La firma del trattato di pace, avvenuta il 10 febbraio, e cioè 9 giorni dopo le dimissioni del generale Cadorna che venne sostituito dal generale Efisio Marras 39, rese definitiva la cifra di 185 mila uomini riguardante la forza dell'esercito, compresi le guardie di frontiera ed il personale dei comandi e dei servizi, con l'esclusione dell'arma dei carabinieri la cui forza venne fissata in 65 mila unità. Le cifre avrebbero potuto variare di 10 mila uomini purché gli effettivi globali non oltrepassassero le 250 mila unità. L'esercito avrebbe, inoltre, potuto essere dotato di 200 carri armati medi e pesanti, mentre il suo armamento e la sua -dislocazione avrebbero dovuto essere concepiti in maniera da rispondere esclusivamente a compiti di carattere interno ed ai bisogni della difesa locale delle
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frontiere e della difesa antiaerea. Fu alla luce di tale nuova situazione che il generale Marras riconsiderò l'ordinamento dell'esercito di transizione tenendo conto, in particolare, dell'aumento di 45 mila uomini rispetto al numero della situazione armistiziale e delle esigenze della copertura che sarebbe subito tornata alla competenza delle autorità italiane. I criteri ai quali il generale Marras ispirò la sua azione, furono quelli: di non creare frattura tra quanto era stato fatto dal suo predecessore e quanto di più e di meglio si sarebbe potuto realizzare nella nuova situazione, di portare da binarie a ternarie le divisioni di fanteria, di ridare cittadinanza alle unità carriste assenti da circa 4 anni dalla componente operativa, di potenziare la componente scolastica riguardante il reclutamento degli ufficiali e dei sottufficiali. Il divenire sempre più inquieto della situazione politica interna e la pressione sempre maggiore dei vari governi De Gasperi perché l'esercito si mettesse in condizione di fronteggiare le esigenze del concorso al mantenimento dell'online pubblico indussero il genera-
le Marras a posporre il potenziamento della componente operativa rispetto a quella territoriale. Tra i vari provvedimenti adottati 40 a tale riguardo rientrarono la costituzione della divisione di fanteria ternaria Aosta (in luogo delle tre brigate di fanteria Aosta, Reggio, Calabria, c he vennero sciolte 41), e quella della divisione ternaria di fanteria Granatieri di Sardegna 42_ Circa la componente operativa, venne avviata la trasformazione in ternarie delle divisioni binarie con inizio dalla Mantova e venne costituito il raggruppamento corazzato A rie te presso la scuola di carrismo di Roma 43. Nel campo dell'organizzazione scolastica: venne istituito il corso di stato maggiore a premessa della resurrezione della scuola di guerra; venne creata in Civitavecchia la scuola cooperazione varie armi (S.C.O.V.A.); vennero istituite 16 scuole per allievi ufficiali di complemento, per allievi sottufficiali di complemento, di specializzazione; venne riportata da Lecce a Modena l'accademia militare unica; vennero creati altri 5 centri di addestramento avanzato. L'arma dei carabinieri ebbe un primo aumento nel 1945 44, quando vennero modificati l'ordinamento e l'organico stabilito con la legge 368 del 9 maggio 1940, e la sua forza organica venne portata a 65 mila uomini, una cifra senza precedenti. Le unità che crebbero di numero furono i battaglioni mobili che salirono da 4 a 12 e vennero inquadrati in 4 comandi di raggruppamento. L'arma venne ordinata su: 1 comando generale, 3 divisioni, 6 brigate, 21 legioni, 1 scuola centrale, 1 legione allievi, 4 comandi di raggruppa-
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mento di battaglioni mobili, uno squadrone guardie del re, 1 gruppo squadroni, 1 banda, per un totale, esclusi gli ufficiali, di 63 238 sottufficiali, appuntati, carabinieri ed allievi. Un ulteriore aumento di 10 mila uomini seguì nel settembre del 1947 45 in seguito al quale i marescialli maggiori salirono a 2706, i marescialli capi e di alloggio a 4357, i brigadieri a 5473, i vice brigadieri a 3764, gli appuntati a 7836, i carabinieri a 49 .102 per un totale, esclusi gli ufficiali, di 73.238 uomini. Entrambi gli aumenti furono la conseguenza delle gravi preoccupazioni per l'ordine pubblico nutrite sia dal governo Parri sia, più tardi, dal quarto gabinetto De Gasperi e dalle stesse autorità alleate di occupazione. Al riguardo particolarmente significativa la crescita dei battaglioni mobili. Un aumento analogo, anzi assai più consistente e vistoso, fu quello della pubblica sicurezza che in quegli anni quasi raddoppiò gli organici del 1938 e costituì 20 battaglioni mobili e 3 battaglioni celeri. Una forza di polizia così rilevante che, sommando insieme carabinieri e guardie di pubblica sicurezza, quasi raggiungeva quella dell'esercito non poteva non pesare fortemente sul bilancio dello Stato e non far sentire i suoi effetti negativi sugli stanziamenti di bilancio per le restanti forze militari, anche ques te intese dai governi più come strumento di difesa interna che non di difesa esterna. D'altra parte, le preoccupazioni dei governi nazionali e delle autorità alleate non erano senza fondamento, stanti l'esistenza del separatismo e del banditismo e la minaccia costante delle sollevazioni di piazza, talvolta spontanee e giustificate dalla disastrosa realtà socio-economica dei ceti popolari, altre volte aizzate dai socialcomunisti per fini non sindacali, ma di partito. L'esercito, che avrebbe voluto essere tenuto lontano da un impiego pericoloso e sgradito, dové anteporre l' incremento delJa componente territoriale - in questa rientrarono infatti la gran parte dei provvedimenti adottati dal generale Marras dei quali abbiamo fatto cenno - a quello della componente operativa. Si dovette attendere il giugno del 1948 per sottoporre al ministro della difesa, onorevole Randolfo Pacciardi del partito repubblicano, il nuovo ordinamento elaborato dall'apposita Commissione consultiva dell 'e sercito 46. Sebbene raffrontate alle assegnazioni di bilancio degli esercizi finanziari 1945-' 46 e 1946-'47 quelle dell'esercizio finanziario 1947-'48 avessero subito un notevole incremento - 126,5 miliardi per l'esercito per una forza bilanciata di 150 mila uomini - esse non aprirono nessuna prospettiva per il raggiungimento dell'esercito consentito dal trattato di pace. Il governo non era nella possibilità materiale di
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compiere uno sforzo finanziario maggiore ed anche alcuni miliardi in più non avrebbero migliorato granché la situazione. Di fronte a tale realtà sarebbe stato necessario esasperare la concezione del piccolo esercito di qualità propria del generale Cadorna e mantenere l'esercito sul livello di consistenza di quello di transizione, dedicando tutte le poche risorse disponibili al potenziamento delle componenti operativa e scolastica, trasformando le divisioni binarie in ternarie, mettendo in piedi una forza corazzata e migliorando l'armamento e l'equipaggiamento delle unità esistenti, rimandando a tempi migliori la costituzione di altre unità. Probabilmente erano questi gli intendimenti dei generali Trezzani e Marras, ma le pressioni dell'autorità politica italiana e alleata circa la priorità da conferire al compito di concorso nel mantenimento dell'ordine pubblico, le preoccupazioni che essi stessi forse nutrivano a tale riguardo, l'atavica tendenza dello stato maggiore dell'esercito italiano alle grandi intelaiature deviarono i fatti dalle intenzioni ed entrambi i capi accettarono le proposte della citata commissione consultiva prevedendo: il ristabilimento della durata della ferma a 18 mesi, la semestralità in luogo della quadrimestralità della chiamata alle armi, la costituzione dell'esercito di campagna su 8 divisioni di fanteria (delle quali una d'immediato impiego, 3 di pronto impiego e 4 da completare all'atto della mobilitazione), 3 divisioni di fanteria motorizzata, 3 brigate corazzate, 3 brigate alpini, truppe varie di corpo d'armata e di armata. Anche a voler considerare che vi possano essere state promesse da parte degli Stati Uniti circa il loro concorso per armare ed equipaggiare un complesso così consistente di forze - il nuovo ordinamento venne proposto al ministro nel giugno del 1948 e cioè dopo la scelta occidentale e l'adesione dell'Italia al piano Marshall il progetto tradisce la tendenza del passato alla grande intelaiatura ed alla grande mobilitazione all'atto dell'emergenza, tanta era ancora la suggestione della potenza del numero, nonosta nte le tragich e esperienze della guerra, per la quale non avevano tanto fatto difetto il numero delle unità e degli uomini, quanto le armi, i mezzi, i materiali, vale a dire la potenza di fuoco e la mobilità. Che il programma superasse la fattibilità finì con il doverlo implicitamente ammettere lo stesso capo di stato maggiore dell'esercito meno di un anno dopo, quando nel prospettare le esigenze per l'esercizio 1949-'50 fece presente che gli stanziamenti dell'esercizio 1948-'49 (pari a 130 miliardi a consuntivo) non avevano consentito l'attuazione del programma del 1948 e che quelli previsti per l'esercizio 1949-'SO avrebbero aggravato la crisi. Egli suggerì di liberare il
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bilancio della difesa dalle spese di carattere non militare, di ridurre gli effettivi della marina e dell'aeronautica ai limiti previsti dal trattato di pace eliminando le eccedenze tuttallora in atto, di aumentare la consistenza dell'esercito di 10 mila uomini portando la forza bilanciata da 170 mila a 180 mila uomini, di stanziare per l'esercito 160 miliardi in luogo dei 141 previsti, di procedere ad un riassetto della carriera economica dei quadri divenuta insostenibile. Di tutte le richieste l'unica parzialmente soddisfatta fu l'aumento della forza bilanciata portata a 175 mila uomini. Il bilancio a consuntivo fu di 142,4 miliardi per cui gli stanziamenti risultarono così tirati non solo da mettere in discussione la fattibilità del programma vasto ed ambizioso del 1948, ma di indurre a ripensamenti anche circa quanto era già stato realizzato, come, ad esempio, l'istituzione dei C.A.R .. Contro i C.A.R., con il pretesto che erano un lusso che l'esercito italiano non si sarebbe potuto permettere, vi fu negli ultimi mesi del 1947 e nei primi del 1948 una campagna piuttos to vivace che trovò eco anche nella Rivista Militare 47, ma fol"lunatamente non ebbe successo. Alla base dell'ostilità verso i C.A.R. erano anche, e forse soprattutto, motivazioni personalistiche e di carriera - i colonnelli comandanti dei C.A.R. si sentivano posposti ai colleghi comandanti <lei reggimenti operativi - e l'invocare la priorità della componente operativa ri spetto a quella scolastica, in quanto tutte le scarse disponibilità esistenti avrebbero dovuto essere spese a favore <l~lla copertura delle frontiere senza dispersioni di sorta (e i fondi destinati ai C.A.R. erano ritenuti dai contestatori una dispersione), altro non era che il modo di mimetizzare interessi molto meno nobili. Contro i C.A.R. erano anche i nazionalisti ad oltranza: i C.A.R. erano stati una trovata inglese e proprio per questo andavano aboliti, quasi la lezione della seconda guerra mondiale sull'importanza primaria dell'addestramento dovesse essere dimenticata. Che cosa era accaduto a quelle unità inviate in fretta ed in furia in Albania con soldati appena chiamati o richiamati alle armi e comunque digiuni <li addestramento al combattimento, quando non anche neppure ambientati o riambientati nella vita militare? Avevano riempito i cimiteri di guerra.
6.
Altra questione chefu oggetto di dibattito sulla Rivista Militare fu quella riguardante la dottrina d'impiego. La Rivista Militare, riprese ad essere pubblic;;tta dal gennaio 1945 su iniziativa del
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generale Berardi. Nella generale situazione di crisi di disorientamento essa tornò ad offrire un quadro di riferimento, mai indispensabile come in quel periodo, per esaminare i problemi del momento e quelli del futuro e per sollecitare idee e proposte per la ricostruzione dell'esercito sul piano morale e materiale. La guerra veniva lasciando una ricca eredità di esperienze e un abbondante materiale di studio che andava analizzato non soltanto per rintracciarvi le Jinee maestre degli avvenimenti, ma anche per attingervi gli elementi necessari per la rielaborazione della dottrina. Nel primo numero del gennaio 1945 si leggeva: «Il programma della rivista si caratterizza, questa volta, per tre aspetti particolari: la libertà di pensiero e di espressione, per consentire ai collaboratori di esporre, attaccare, sostenere e approfondire le idee sulle pagine della Rivista; il desiderio che dagli articoli della Rivista possa trarne spunto l'agitarsi sulla stampa quotidiana dei problemi concernenti le forze armate e diffondere nel pubblico italiano la troppa ignorata materia militare; l 'auspicio di una collaborazione dei giovani, dei non militari e dei patrioti, questi ultimi quali detentori di un sistema di guerra che riporta il mondo a forme di lotta di spontaneità popolare dense di contenuto, le quali avranno immancabile ripercussione sulla materia organica e tattica del futuro ». Naturalmente non fu possibile, da un giorno all'altro, mantenere le promesse e realizzare gli auspici; anzi nella prima fase gli scritti che comparvero riguardarono essenzialmente la tattica e l'organica delle unità dell'esercito 48, ma non mancarono anche interventi e dibattiti su problemi politico-militari e di strategia militare quali, in particolare, quelli dell'alto comando nelle guerre di coalizione, del comando dell'esercito in pace, dell'eventualità di un conflitto tra occidente ed oriente, del panorama della guerra moderna e così via 49. Qui interessa soprattutto sottolineare che, ancor prima che finisse la guerra, lo stato maggiore dell'esercito sentì preminente il bisogno di trarre dalle esperienze tutti gli elementi validi per l'elaborazione della nuova dottrina. La ripresa della pubblicazione della rivista, sospesa nel 1933 so, ebbe prima di tutto il significato di un atto di fede e il valore di un programma di rinnovamento culturale per il cui sviluppo vennero chiamati a raccolta tutti indistintamente coloro che fossero animati dalla volontà di risorgere ed a tale fine intendessero applicarsi con rinnovato vigore. Tra i tanti motivi d'impreparazione dell'esercito alla guerra vi era stata anche l'inadeguatezza del dibattito culturale e professionale, reso asfittico dal fascismo, che aveva ridotto la Rivista Militare ad uno strumento di
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propaganda con contenuto di puro e semplice conformismo, privo di ogni forma di discussione, tanto da farla morire per asfissia per la mancata partecipazione della base militare alla linea imposta al periodico. Il generale Berardi, appena gli fu possibile, volle sottolineare che alla base del ricostruendo esercito era necessario porre l'elevazione e il rinnovamento culturale e professionale in un clima di libera critica e discussione, sicché la dottrina in elaborazione non discendesse dall'alto, ma fosse il risultato di un dibattito aperto a tutti. Non si può dire che i fatti assecondarono i programmi, perché dovettero passare ancora alcuni anni prima che la rivista raggiungesse, sia pure solo parzialmente, gli scopi voluti, ma non per questo può essere trascurato il contributo spirituale culturale professionale che essa dette fin da allora ad una visione più ampia ed approfondita di tutta la fenomenologia militare e delle correlazioni di questa con i problemi umani e sociali che contraddistinguono la società dei nostri tempi. Nel 1945 lo stato maggiore dell'esercito e gli organi centrali del ministero ripresero l'attività di rielaborazione, revisione e aggiornamento della regolamentazione di carattere generale e di quella relativa alle varie armi e servizi. In materia d'impiego e di tecnica d'impiego, nonché di impiego delle varie armi e dei vari mezzi in distribuzione, lo stato maggiore dell'esercito si limitò inizialmente a diffondere le traduzioni delle pubblicazioni edite dall'esercito inglese e non avrebbe potuto regolarsi diversamente in quanto i gruppi di combattimento erano armati ed equipaggiati con materiali inglesi ed erano stati istruiti e addestrati sotto la guida dei comandi militari britannici. Naturalmente, a guerra finita, lo stato maggiore dell'esercito avvertì la necessità del riesame di tutta la regolamentazione in vigore, grandissima parte della quale risaliva a prima dell'inizio della guerra, e nel porsi il problema dové procedere ad una scelta tra il rifacimento e l'aggiornamento della vecchia regolamentazione tattica, mai ufficialmente abolita, il rifacimento e l'adattamento deHa regolamentazione tattica inglese e l'elaborazione ex novo di una regolamentazione tattica che, senza escludere l'apporto della dottrina inglese, fosse per impostazione contenuto e forma originalmente italiana. Non mancarono i sostenitori della prima soluzione, i quali su posizioni nostalgiche giunsero a sostenere nella Rivista Militare 51 , che la dottrina italiana dell'anteguerra era una dottrina ancora valida, perché ciò che era mancato in guerra non era stata una saggia regolamentazione tattica, ma le armi ed i mezzi. Vi furono anche molti su posizioni pragmatiche i
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quali si pronunciarono a favore del mantenimento della regolamentazione britannica, sia perché aveva conseguito risultati positivi, sia perché in un'eventuale guerra futura l'Italia avrebbe certamente fatto parte di una coalizione europea occidentale della quale gli inglesi sarebbero stati ancora gran parte 52. Molti chiesero di far tesoro di tutte le esperienze, ma di conservare al pensiero militare italiano la propria originalità e autonomia senza accodarsi pedissequamente alle concezioni di altri 53. Lo stato maggiore dell'esercito scelse questa ultima soluzione e negli anni 1947-'Sl dette vita ad un nuovo corpus dottrinale, che esamineremo particolareggiatamente più avanti, nel quale si avverte la ispirazione britannica, ma prevalgono elementi genuini propri della forma mentis italiana. Un altro dibattito di grande rilievo, sul quale peraltro vi fu piena concordanza di vedute, riguardò la posizione che l'Italia avrebbe assunto nel contesto della politica internazionale oramai già caratterizzata dalla guerra fredda tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica e dai primi tentativi di reciproca intesa tra le potenze dell'Europa occidentale. Non vi furono dubbi da parte dei militari di carriera circa il rifiuto di un' organizzazione militare del tipo di quella elvetica per motivi di carattere etnico, politico, sociale, finanziario e tecnico. Non meno deciso nell'ambiente militare il rigetto dell'opzione della neutralità armata in quanto, sebbene allettante, era da considerare insostenibile in rapporto alle risorse naturali ed economiche ed alla potenzialità industriale ed agricola del paese. Addirittura priva di ogni remuneratività la neutralità disarmata che avrebbe lasciato il paese alla mercé del primo venuto, in quanto ]a posizione geo-strategica della penisola non avrebbe consentito in nessun caso a ll'Italia di essere ignorata in un eventuale conflitto nel Mediterraneo, dove essa costituisce raccordo tra la Europa e l'Africa e divide il mare in bacini distinti tra loro comunicanti solo attraverso lo stretto canale di Sicilia. L'eco di questo e degli altri dibattiti ospitati dalla Rivista Militare e nei periodici delle altre forze armate - come ad esempio, quello riguardante l'ordinamento delle tre forze armate e l'autonomia o no di ciascuna di queste dalle altre - non superò di molto le mura d elle caserme se non pe r interpretazioni malevole. Sebbene buona parte delle questioni riguardasse essenzialmente il processo di riforma delle strutture militari ed alcune di esse avessero contenuti squisitamente politico-militari, né i governi né i partiti politici vollero farne oggetto di approfondita e serena disanima e continuarono a guardare con sospetto gli slanci morali ed intellettuali delle forze armate.
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Se queste poi si raggomitolarono su sé stesse fu colpa anche delle formazioni politiche nazionali che, neppure quando entrò in funzione il nuovo Parlamento, si dettero pena di prendere vivo e costante interesse alle questioni militari che poi erano in sostanza questioni di estremo interesse nazionale. Invano negli atti parlamentari degli ultimi anni quaranta e, in verità, anche degli anni successivi fino ai giorni nostri, abbiamo cercato la testimonianza di un qualche dibattito di politica militare simile a quelli numerosi, vivaci ed appassionati, svoltivisi dall'unità alla prima guerra mondiale, quando il Parlamento non si occupava solo del reclutamento, della durata della ferma, dello stato ad avanzamento dei quadri, del trattamento economico, ma dedicava alla politica militare, all'organizzazione della difesa e financo all'ordinamento tattico delle unità non minore attenzione e cura di quelle rivolte agli a ltri problemi della politica.
7. La revisione, l'aggiornamento e la rielaborazione della regolamentazione ebbero inizio nel 1945 quando la guerra era ancora in corso. Fu un processo che riguardò tutta la regolamentazione, non solo quella relativa all'impiego e alla tecnica d'impiego, per le quali era stato dato vigore alle pubblicazioni dell'esercito britannico tradotte in lingua italiana 54. Alcune di tali pubblicazioni e di quelle riguardanti le istruzioni tecniche sull'impiego, la manutenzione e la conservazione delle armi, dei mezzi e dei materiali tecnici avevano visto la luce fin dal 1944, quasi contemporaneamente alla costituzione dei gruppi di combattimento. Diversamente da quanto praticato fino all'inizio della seconda guerra mondiale, non di tutte le pubblicazioni edite dagli organi centrali venne data notizia sul Giornale Militare ma, in compenso, nel 1951 venne edito dall'ufficio del segretario generale de l!'esercito un catalogo delle pubblicazioni militari 55 contenente l'elenco di tutti i regolamenti in vigore, compresi quelli dei periodi prebellico e bellico. Il catalogo è diviso in due volumi: nel primo sono indicate le pubblicazioni di carattere generale (disciplina e giustizia militare, personale, reclutamento, ordinamento, equipaggiamento, amministrazione e contabilità, trasporti, mobilitazione e servizio in guerra, pubblicazioni comuni alle varie armi, annuari ufficiali e ruoli di anzianità, raccolta disposizioni permanenti, pubblicazioni varie); nel secondo, le pubblicazioni relative alle varie armi e servizi.
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Dal catalogo si rileva come gli organi centrali in genere, e in particolare lo stato maggiore dell 'esercito, abbiano curato, quasi senza soluzione di continuità, l'aggiornamento professionale dei quadri in tutti i settori d'interesse ed al tempo stesso siano prontamente intervenuti per innovare, modifica re, completare la regolamentazione in relazione al mutare dei tempi e della legislazione ed al progresso degli armamenti e dei mezzi. Nel periodo bellico e nei primi anni del dopoguerra, la produzione maggiore riguardò soprattutto le istruzioni di carattere tecnico 56, il cui lungo elenco basta da solo a dimos trare il rinnovato fervore con il quale si tendeva a sottolineare l'importanza del corretto impiego tecnico dei mezzi, non meno determinante,ai fini del successo, della tecnica d 'impiego individuale e di reparto, alla quale vennero peraltro dedicate numerose pubblicazioni 57. Inte rventi meno copiosi e frequenti si ebbero anche nella regolamentazione riguardante il reclutamento 58, l'amministrazione e la contabilità dei corpi 59, la disciplina 60, la logistica 6 1 e il servizio terriluriale e di caserma 62. Nel 1946, come abbiamo già ricordato, lo stato maggiore dell'esercito impostò il lavoro di ampio respiro per la rie laborazione ex fundamentis della regolamentazione tattica, con inizio da quella delle minori unità, e trn il 1947 e il 1948 videro la luce le prime tre pubblicazioni - squadra fucilieri, plotone fucilieri, pattuglie - della serie dottrinale 2000, che venne poi completata, entro il 1950 63, con le pubblicazioni riguardanti la compagnia, il . battaglione e la divisione di fanteria, le quali ultime fecero seguito alla pubblicazione di base circa l'azione difens iva che aveva visto la luce nel giugno del 1948.
8. Alla vigilia dell'a desion e de ll 'Ita lia al Patto Atlantico (4 a prile 1949) la struttura ordinativa dell'esercito era, nelle sue grandi linee, que lla del luglio 1948 64, alla qua le erano state apportate alcune modifiche miranti soprattutto a l potenziamento della componente operativa. N el quadro del programma di completamento della brigata corazzata Ariete, trasferita da Roma a Pordenone, era stato costituito il 132° reggimento artiglieria su di un gruppo semovente da 105/22, un gruppo contraerei da 40 ad una batteria semovente cont rocarri da 75/50, mentre il 1° reggimento carristi aveva assunto il nominativo di 132° reggimento carristi 65. Nel
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mese di marzo 1949 era stata decisa la progressiva trasformazione dei gruppi esploranti divisionali (G.E.D.) di cavalleria in reggimenti di cavalleria blindata (R.C.R.) comprendenti, ciascuno, due gruppi squadroni ed uno squadrone armi di accompagnamento 66 ed era stato stabilito che la trasformazione stessa avesse inizio dal G.E.D. della divisione Friuli il quale avrebbe dato vita al 2° reggimento Piemonte cavalleria. Era altresì proseguita la riorganizzazione delle unità di campagna e per la difesa del territorio mediante la costituzione: del battaglione San Marco con sede in Villa Vicentina alle dipendenze della divisione di fanteria Mantova in corso di trasformazione da binaria a ternaria; del 14° reggimento artiglieria da campagna su due gruppi da 100/ 17 con sede in Foggia alle dipendenze del C.M.T. di Bari 67. Frattanto era anche giunto a buon punto l'avvicinamento delle unità operative verso la frontiera nord-orientale mediante l'insediamento delle unità in sedi stanziali del Friuli, del Veneto e del Trentino-Alto Adige. Il V C.M.T. era stato trasferito da Udine a Padova, dove era stato anche trasferito da Civitavecchia l'XI gruppo artiglieria pesante campale alle dipendenze dello stesso C.M.T .. Notevolmente potenziati erano stati a ltresì i reparti collegamenti della divisione Granatieri di Sardegna c del lii, V, VII C.M.T. trasformando in battaglioni le compagnie già in organico. Nell'aprile del 1949, eccezione fatta per la componente scolastica quasi completata, l'esercito non solo era lontanissimo dalla realizzazione del progetto di ricostituzione del luglio del 1948 68, ma continuava a vivere una fase di ordinaria amministrazione, cui lo costringeva l'insufficienza delle assegnazioni finanziarie che per l'esercizio finanziario 1949'50 furono di 141 miliardi, cifra che lo stato maggiore dell'esercito aveva invano chiesto di elevare a 160 miliardi per cercare di superare la c risi di arresto della ricostruzione. Nel 1948 aveva avuto inizio il lavoro di riorganizzazione della mobilitazione che, per effetto dei vincoli posti dall'armistizio del 1943, che vietava tra l'altro di attuare predisposizioni di mobilitazione, era stato un settore del tutto abbandonato fino a dopo la firma del trattato di pace, quando finalmente poterono essere emanate le prime disposizioni per assicurare l'ordinata tenuta a ruolo delle classi più giovani di recente congedamento. Nel 1948 lo stato maggiore dell'esercito sancì i nuovi criteri sui quali avrebbe dovuto, da allora in poi, basarsi la mobilitazione: mobilitazione regionale, mobilitazione qualitativa. L'esigenza si concretava nell'avere pronte immediatamente, o in orevissimo tempo, le unità
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occorrenti per contrastare l'eventuale primo urto dell' avversario con personale con elevato grado di addestramento. La mobilitazione regionale avrebbe consentito l'impiego, da parte di ciascun C.M.T., del personale in congedo residente nella circoscrizione territoriale per destinarlo alle unità in vita da completare od ai centri di costituzione - depos iti - di quelle da costituire; la mobilitazione qualitativa sarebbe cons istita nell'impiego del personale richiamato dal congedo - ufficiali, sottufficiali, militari di truppa - nello stesso incarico per il quale era stato addestrato durante il servizio di leva. Circa la chiamata semestrale e la riduzione della durata dell a ferma un nuovo approfondito studio, condotto dallo stato maggiore dell'esercito tra la fine del 1948 ed i primi mesi del 1949, mise in evidenza l'inattualità di entrambi i provvedimenti. Per la chiamata semestrale e l'adozione di ferme ridotte la con clu sione dello studio fu che non sussistevano le condizioni di base per l'attua bilità di tali provvedimenli e che uccurreva perciò riesaminarli quando sarebbe
stato possibile trasferire la selezione attitudinale in sede di leva. Analogamente s i constatò che anche per la riduzione della durata della ferma di leva m ancavano de l tutto le premesse necessarie e, in particolare, la disponibilità finanziaria n ecessaria a coprire il maggiore onere di spesa derivante da una durata più breve. Continui erano stati, come abbiamo messo in evidenza, prima della guerra i ritocchi alle leggi sul reclutamento; essi continuarono anche negli anni 1944-1947 69 e vennero poi riassunti nel Testo Unico del 1947 approvato con D.L.C.P.S. n. 1624 del 22-XI-1947 70_ Altre modificazioni vennero apportate nello stesso anno 1947 e nel . 1948 7 1_ T ra i vari provvedimenti, di particolare rilievo fu l'abrogazione dell'obbligatorietà della frequenza dei corsi allievi uffic iali di complemento voluta a suo tempo dal regime fascista e che non era s tata di giovamento all'esercito, in quanto, p e r esercitare le funzioni di capo sono sì necessarie cultura e competenza, ma ancor prima sono indispe nsabili fed e nella g r andezza e nella bellezza del proprio compito e autorevolezza che sono qualità che non si conseguono con la laurea. Il primo ufficio del capo è infatti: ordinare cioè creare l 'ordine e l 'unità fissando il posto di ciascuno e precisandogli le direttive che gli pe rme ttano di svolgere la sua missione a servizio dell'i nsieme 72_ La fermezza del capo è garan zia dell'ordine ed antidoto contro le tentazioni de ll'opportunism o che prospera tanto nella vita civile come in quella militare se appena l'autorità rallenta; l'autorità, non intesa nel senso fascista, ma quella che
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più è forte e meno fa ricorso alla forza. Il dono dell'autorevolezza è frutto di temperamento e di carattere, forse di felice eredità, e più un capo è padrone di sé stesso, più si dedica al suo compito con intensità e disinteresse ed ama gli uomini che deve guidare, sui quali cresce la sua autorità morale che, lungi dall'infrangere le
volontà, gli permette di decuplicarle in favore del compito affidatogli 13. Per completare il quadro della situazione dell'esercito alla viglia dell'adesione dell'Italia al Patto atlantico va ricordato che nel 1948 venne decretato un nuovo organico provvisorio degli ufficiali dell'esercito 74, a modifica di quello del 1940 ancora in vigore, per effetto del quale vennero ridotte le tabelle graduali e vennero soppressi il ruolo del servizio tecnico del genio (istituito nel 1940), il ruolo mobilitazione (istituito nel 1934), il ruolo degli ufficiali in servizio ai centri di rifornimento quadrupedi (istituito nel 1940), il ruolo dei geografi militari dell'istituto geografico militare (istituito nel 1935), i ruoli dei direttori di banda e dei maestri di scherma (isLiLuiLi ud 1940), il ruolo transitodo per i servizi del commissariato per la mobilitazione civile e degli osservatori industriali (istituito nel 1934), i ruoli degli ufficiali inferiori di fanteria, cavalleria, artiglieria e genio con carriera limitata fino al grado di capitano (istituiti nel 1938), i ruoli degli ufficiali mutilati e invalidi di guerra riassunti in servizio (istituiti nel 1939). Vennero, inoltre, riordinati i servizi dell'amministrazione centrale della guerra 75, fissato l'organico dell'ufficio del capo di stato maggiore della difesa 76 ed istituita una commissione per lo studio e la compilazione di un regolamento di disciplina unificato per le tre forze armate 77. Venne ripresa in pieno anche l'attività tecnico-amministrativa riguardante la compilazione e l'aggiornamento dei cataloghi dei mate riali di gruppo C, degli inventari, dei nomenclatori, dei prontuari, degJi annuari, dei ruoli di anzianità 77 bis, ecc. in conseguenza del rinnovamento pressoché totale ùei materiali di dotazione e dello sconvolgimento, non meno significativo, determinato negli avanzamenti e nella definizione dei ruoli dalle vicende della guerra, dall'epurazione, dalle molteplici e farraginose, spesso contraddicentisi, disposizioni legislative riguardanti lo stato e l'avanzamento dei quadri. Dopo lunghi studi circa la fattibilità e verifiche sperimentali venne sanzionata altresì, dal segretario generale dell'esercito, la duplice dipe ndenza degli stabilimenti militari: di comando dai C.M.T. nei cui territori di giurisdizione gli enti e rano dislocati; tecnico-amministrativa dalle corrispondenti direzioni generali 78. Queste , anche dopo l'unificazione dei tre ministeri, rimasero quelle già fissate nel
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luglio del 1945, essendo appena avviato lo studio congiunto da parte dei tre segretari generali per cercare di fondere e concentrare nei limiti del possibile, anche ai fini di una m aggiore economia, gli enti e gli uffici centrali delle tre forze armate. Abbiamo già più volte accennato come i capi di stato maggiore che si susseguirono negli anni 1945-1950 s i fossero posti quali obiettivi prioritari la professionalità dei quadri e l'elevazione della loro cultura e de l loro morale, nonché la tec nicizzazione dei soldati e delle unità. In tali settori furono compiuti in brevissimo tempo passi giganteschi, indubbiamente favoriti dalle esperienze della guerra ed ancor più d ai contatti con gli altri eserc iti, in particolare con quello inglese. Il provincialismo, che era stata una delle caratteristiche dell'armata sarda, trasmesso sotto forma di piemontesismo all'esercito italiano, che fino ad allora se ne era libe rato solo parzialmente, ebbe il destino segnato. Ovviamente non sparì d'un colpo. Abbiamo accennato ai n ostalgic i ed agli ultranazionalis ti, molti dei quali si rifacevano ancora alle esperienze <ldla loro giovinezza vissuta durante la prima guerra mondiale e da loro ritenute valide per il r isultato vittorioso di quel conflitto, ma prevalsero saggezza ed equilibrio e furono seguite idee e concezioni innovatrici e prudenti ad un tempo. Dell'enorme mole di lavoro compiuto dallo stato maggiore dell'esercito in quel periodo - del quale non sarà ma i sufficiente sottolinea r e le difficoltà e le asprezze - se non vi fosse altro da apprezzare, basterebbe la creazione dell'imponente apparato scolastico e addestrativo e l'elaborazione del nuovo corpus dottrinale a testimoniarne l'altissimo grado di validità, di efficacia e di remuneratività. Un'impostazione diversa, c he avesse dato in quel periodo preminenza e priorità alle esigenze operative, senza prima creare la solida base per la formazione e l 'istruzione de i quadri e l'addes tramento individuale e di reparto dei solda ti, oppure avesse concesso più di quanto non fece alle istanze dei governi di ordinare l'esercito in ragione soprattutto del concorso al mantenimento dell'ordine pubblico, avrebbe quasi certam ente snaturato pe r sempre l 'identità stessa dell'esercito. Per quanto concerne la dottrina d 'impiego lo stato maggiore dell'esercito con rapidità sorprendente diede alla luce una p ropria dottrina che non fu il prodotto culturale di un'élite, com e e ra quasi sempre avvenuto nel passato, e particola rmente ne l periodo immediatamente precedente la seconda guerra mondi ale, quando era stata persino soppressa l'unica palestra dove se ne potesse discutere, ma il r isultato di un ampio dibattito e di un
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approfondito confronto di opinioni che la resero assimilabile ed applicabile senza gravi difficoltà e ritardi nei limiti, s'intende, della concreta disponibilità delle armi e dei mezzi di dotazione. Questi non erano l'ultimo grido della tecnica, ma erano pur sempre qualitativamente quelli dell'esercito inglese che aveva vinto la guerra. Costretto a muoversi con grande cautela nei riguardi della preparazione degli ufficiali di stato maggiore per la preconcetta osti lità del potere politico, che aveva abolito il corpo di stato maggiore, lo stato maggiore aveva mutato la denominazione dell'Istituto Superiore di guerra in Scuola di guerra 79 ed aveva abolito la qualifica di ufficiali con funzioni di stato maggiore so. Il generale Marras, quasi in sordina, ripristinò ne l 1947 i corsi della scuola di guerra 81 - il primo si svolse nell'anno accademico 1947-'48 - e ridiede cittadinanza, con disc rezione, al servizio di stato maggiore, un servizio di cui nessun decreto legge o legge può sopprimere la funzione. In sintesi, al momento dell'adesione dell'Italia a l Patto atlantico, l'esercito non era una forza armata operativa nel significato pieno dell'espressione, non era neppure una forza armata ricostruita ed ammodernata adeguatamente, tanto meno completa di comandi tattici funzionali (le unità operative dipendevano dai comandi territoriali) e di grandi unità dotate della potenza di fuoco e della mobilità indispensabili nel quadro di guerra convenzionale delineato dal secondo conflitto mondiale, ma era già un organismo suscettibile di diventare in breve tempo uno strumento operativo credibile, purché vi fosse stata la volontà politica di renderlo tale, non solo dedicandogli le necessarie risorse finanziarie, ma prima ancora esaltandone il ruolo primario di garante del nuovo ordine costituzionale che l'Italia si era data il 2 giugno del 1946 ed il 1° gennaio del 1948 e della inviolabilità del territorio nazionale. Non fu così: dell'esercito si continuò a parlare poco e male ed a ritenerlo un peso da tollerare e non un bene da preservare e di cui vantarsi. Vi furono voci diverse, ma poco asco Itate. Da qui la scarsa comunione tra esercito e paese, della quale abbiamo già fatto cenno e che durerà fino ai nostri giorni.
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NOTE AL CAPITOLO XLIX 1 Dal giugno 1944 i governi che si succedettero furono: l O Bonomi dal giugno al dicembre 1944; 2° Bonomi dal dicembre 1944 al giugno 1945; Parri (P. d'a.; DC; PCI; PSI; PLI: PRI) dal giugno al dicembre 1945; l O De Gasperi (DC; PCI; PSI; PLI; PRI; P. d'a.) dal dicembre 1945 al luglio 1946; 2° De Gasperi (DC; PSI; PCI; PRI) dal luglio 1946 al febbraio 1947; 3° De Gasperi (DC; PSI; PCI} dal febbraio al maggio 1947. 2 L'O.E.C.E. fu costituita a Parigi il 16 aprile 1948 per promuovere la ricostruzione economica dei p aesi europei, utilizzando anzitutto gli aiuti assicurati dagli Stati Uniti con il Piano Marsha/1 (European Recovery Program - E.R.P). Vi parteciparono l'Austria, il Belgio, la Danimarca, la Francia, la Gran Bretagna, la Grecia, l'Irlanda, l'Islanda, l'Italia, il Lussemburgo, la N orvegia i Paesi Bassi, il Portogallo, la Svezia, la Svizzera, la Turchia, nonché le tre zone della Gennania sottoposte al regime di occupazione americana, francese, inglese. Il 31 ottobre 1949 vi aderì la repubblica federale di Germania. L'O.E.C.E. venne poi sostituita, il 30 settembre 1961 , dall'Organizzazione di Cooperazione e di Sviluppo Economico (0.C.D.E . designazione francese; O.E.C.E.D. designazione inglese). Ne entrarono a far parte: Austrnlia, Austria, Belgio, Canadà, Danimarca, Francia, Germania ovest, Giappone, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, I s landa, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Portogallo, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia. La Finlandia partecipò solo ad alcune attività; la Iugoslavia fu presente solo con osservatori. 3 Tra le limitazioni militari imposte dalla parte IV" del trattato di pace le più pesanti furono: la distruzione di tutte le fortificazioni permanenti per una profondità di 20 chilometri ai confini con la Francia e la Jugoslavia; il congelamento delle installazioni aeronavali esistenti in Puglia; l'asportazione di tutte le fortificazioni del nord della Sardegna; il depotenziamento ed il congela m ento d elle attrezzature bellich e permanenti nel resto de lla Sardegna e in tutta la Sicilia; la totale smilitarizzazione di Pantelleria, delle isole Pelagie e di Pianosa; la proibizione di scambi di materiali bellici con la Germania cd il Giappone; limiti vari alla disponibilità delle forze terres tri, nav~li ed aeree e degli armamenti. L'articolo 51 s tabiliva: L'Italia 11011
possiederà né fabbricherà. né sperimenterà: I) alcuna arma atomica; 2) nessun proiettile automotore o comandato, né alcun dispositivo impiegato per il lancio di tali proiettili (escluse le torpedini facenti p a rte dell'armamento normale delle navi autorizzate dal presente trattato); 3) alcun cannone di una portata superiore a 30 chilometri; 4) alcuna
mina marina o torpedine fun zionante per meccanismo ad influenza; 5) alcuna torpedine umana. L'articolo 154 precisava: Il numero dei carri armati pesanti e medi delle forze annate italiane non potrà superare i 200. L'articolo 52 stabiliva: L 'Italia non potrà fabbricare né possedere, a titolo pubblico o privalo, materiale da guerra eccedente o di tipo diverso da quello che è necessario alle forze annate autorizzate. L'articolo 61 recitava: L 'esercito italiano, comprese le guardie di frontiera, sarà limitato ad una forza di 185 000 uomini ivi compreso il penunale di comando, le unità combattenti e i servizi, ed a 65 000 carabinieri; tuttavia l'uno e l'altro di questi due elementi potrà variare di 10 000 uomini, purché gli effettivi globali non oltrepassino i 250 000 uomini. L'organizzazione e l'armamento delle forze terrestri italiane, così come la loro dislocazione sul territorio italiano, saranno concepiti in maniera da rispondere esclusivamente a
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compiti di carattere interno ed ai bisogni della difesa locale delle frontiere italiane e della difesa antiaerea. In modo analogo, a pesanti restrizioni venivano sottoposte la marina (67 000 mila tonnellate di naviglie e 25 000 uomini) e l'aeronautica (200 apparecchi da combattimento e da ricognizione, 150 d a trasporto, da salvataggio e da is truzione e 25 000 uomini). 4 Vcds. Voi. II, Tomo 2°, Cap. XXXVI, nota 167. 5 DLL n° 409 del 16-Xl-1944, ci rc. n. 30, G.M. 1945, pg. 96. Governi italiani dal 1943 al 1947: 1 ° Badoglio, dal luglio 1943 all'aprile 1944; 2° Badoglio dall 'aprile al g iugno 1944; Bonomi dal dicembre 1944 al giugno 1945; Parri dal giugno al dicembre 1945 (P. d'A. - O.C. - P.C.I. - P.S.I. - P.L. I. - P.R.1.); De Gasperi dal dicembre 1945 al luglio 1946 (O.C. - P.S.l. - P.C.I. - P.L.I. - P.R.I. - P.d 'A.); De Gasperi dal luglio 1946 al febbraio 1947 (D.C. - P.S.I. - P.C.I. - P.R.I.); De Gasperi d al febbraio al magg io 1947 (D.C. - P.S.I. - P .C.I.). 6 Veds. Cap. XLIV, nota 66. 7 Ferdinando Pinelli, S toria militare del Piemonte. Vo i. li, De Giorgis, Torino, 1854. 8 Piero Ostellino e Luigi Caligaris. l nuovi militari. Mondadori, Milano, 1983, pg. 124. 0 9 Veds. Voi. II, Tomo l , Cap. XXIV. nota l l. 10 Vcds. Voi. II. Tomo 1° Cap. XXIV, nota 45. 11 Veds. Vo i. 11, Tomo 2°, Cap. XXXVI, nota 167. 0 12 Veds. Voi. II, Tomo l , Cap. XXV, nota 45. 13 Piero Ostellino e Luigi Caligaris. Op. cit., pg. 138. 14 R.D.M. n . 68, 6-11-1927; circ. n . 89, G.M. 1927, pg. 273. 15 Veds. Voi. II, Tomo l 0 , Cap. XXI, nota 8. 16 Veds. Voi. Il, Tomo l 0 , Cap. XXI. no ta 40. 17 R.D.L. N. 66 1, 27-Vl-1941; circ. n. 576, G.M. 1941 , pg. 1926. 18 Legge n. 1507, S-XII-1941 ; circ. n. 89, G.M. 1942, pg. 237. 19 R.D.L. n . 866, 8-VI-1925, circ. n. 299, G.M. 1925, pg. 1276. 20 D.L.L. n . 346, 31-V-1945, circ. n. 287, G.M. 1945, pg. 1223. Il decreto della definizione delle attribuzioni del capo di stato maggiore generale stabilì tra l'altro: art. l. «Il capo di Stato Maggiore generale ha funzioni consultive presso il Presidente del Consiglio d ei minis tri, presidente del Comitato di difesa, per le principali questioni tecn iche rig uardanti in comune due o più forze armate, nei riflessi della situazione contingente e dei possibili sviluppi avvenire; sottopone studi e proposte relative a dette questioni, d'iniziativa o s u richiesta, a l presidente del Consiglio de i ministri • ... art. 2. •Per l'esecuzio ne d elle attribuzioni sopra indicate il capo di Stato Maggio re Generale dipende dal Preside nte del Consiglio dei ministri, presidente del Comitato di Difesa•. art. 3. «Il capo di Stato Maggiore Generale corrisponde con i capi di Stato Maggiore delle singole forze armate per il t ramite dei rispettivi ministri. I Capi di Stato Maggiore di ciascuna forza armat a hanno l'obbligo di tenerlo informato, tramite i rispettivi ministri, sulla materia da essi trattata che possa comunque interessare la sua attività »... art. 7. «Il presidente del Consiglio d ei ministri può incaricare il capo di Stato Maggiore Generale di presiedere o sovraintendere a commissioni di qualsiasi natura che t rattino argomen ti in teressanti due o più forze armate». 21 Claudio Trezzani (1881 -1955), generale designalo d 'a rmata. Sottote nente d egli alpini nel 1901. Frequentò la scuola di g uerra e partecipò alla guerra ita lo-turca. Partecipò alla 1 • guerra mondiale con la 34• divi sione e, durante la
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guerra, fu promosso maggiore (1916), te~ente colonnello (1917) e colonnello (1918). Dal 1919 al 1926 fu insegnante titolare presso la scuola d i guerra di Torino. Fu, quindi, capo de ll 'ufficio addestramento del corpo di stato maggiore e comandante del 90° reggimento di fanteria. Da generale di brigala, comandò la vua brigata di fanteria di Brescia e fu, quindi, capo di stato maggiore del comando designalo d 'armata di Bologna. Da generale di divisione comandò la 2 a divisione celere Emanuele Filiberto Testa di fe"o. Nel novembre 1938 assunse il comando del corpo d 'armata celere di Padova e nel maggio 1939 fu inviato ad Addis Abeba quale capo di stato maggiore del governo generale dell'Africa Orientale, e gli fu conferito il rango di vice governatore generale. li 1° maggio 1945 assunse la carica di capo di stato maggiore generale, che lasciò il l O dicembre 1950. 22 DL n. 955, 21-IV-1948; c irc. n. 375, G.M. 1948, pg. 1103. Art. I. «Il Capo di Stato Maggiore Gen erale assume la denominazione di Capo di Stato Maggiore della Difesa, con le attribuzioni indicate n egli articoli su ccessivi»... Art. 2. «Il Capo di Stato Maggiore per la Difesa coordina l'organizzazione, la preparazio ne e l'impiego delle Forze Armale dello Stato. In p articolare, uditi i Capi di Stato Maggiore d elle Forze armate interessate: a) propone a l ministro pe r la difesa le linee genernli dell'm·dinamenlo di ciascuna forza annata; b) traccia, sulla base delle direttive del ministro per la difesa, le linee fondamentali dei piani operativi e definisce i criter i generali per la difesa delle frontiere terrestri e marillime, per la difesa del territorio contro le offese aeree e per la difesa d el traffico mar ittimo; c) impartisce le direttive per l'addestramento in cooperazione delle forze armate, definisce i programmi delle esercirazioni combinate fra più forze armate e quelle riguardanti la preparazione dei quadri più elevati e degli s tati maggiori, per la parte re lativa a ll'impiego coordinato delle forze armate; d ) coordina l'attività dei servizi di informazion e. Il capo di Stato Maggiore segue le direttive impartite d 'ordine del ministro per la difesa e, ne ll'ambito delle proprie attribuzioni, le impartisce a i capi di stato maggiore delle s ingole forze armate. Egli, inoltre, esercita, per incarico del ministro per la Difesa, funzioni ispettive su tutti i comandi, scuole, reparti ed enti de lle tre forze armale, per quanto riguarda l'assolvimento dei compili specificati ne l presente articolo». Art. 3. «Il Capo di Stato Maggiore della Difesa dipende direttamente dal Mini stro per la Difesa cui risponde delle direttive ricevute. I capi di Stato Maggio re delle tre forze annate dipendono direttamente d al Capo di Stato Maggiore della Difesa, nell'ambito delle attribuzioni e dei poteri a lui conferili dal presente decreto». Ar l. 4. «Il Capo di Stato Maggiore d ella Difesa viene consulta to dal ministro per la difesa sulle principali ques tioni relative all'organizzazione e alla preparazione delle singole forze armate n onché sull'impiego deg li ufficia li generali ed ammiragli di g rado più elevato». 23 DLCPS n. 66, 18-1-1947; circ. n. 78, S.M. 1947, pg. 173. 24 Edmondo De Renzi (1896-1961) generale di corpo d 'armata. Frequ entò la scuola m ilitare e fu nominato sottotenente nell'arma di fante ria. Compiuto il corso presso la scuola di guerra, disimpegnò molti incarichi di s ta to maggiore. Partecipò alla guerra italo-turca, a lla 1 • ed alla 2• gu erra mondiale. Fu capo sezione della delegazione militare ita liana di controllo dell'armistizio con la Francia; comandò il 41 ° reggimento di fanteria e, successivamente, il 68° reggimento fanteria del g ruppo combattimento Legnano. Dopo la fine della 2• g u erra mondiale fu a capo della delegazion e per la delimitazione del confine italo-jugos lavo. Successivamente: comandò la fanteria de l comando militare territoriale di Mila no, la zona di Milano, la
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divisione Friuli. Fu sollocapo di stato maggiore presso il comando delle forze a lleate del sud Europa e, successivamente, sottocapo di stato maggiore dell 'esercito; infine, fu comandante del V corpo d 'armata e comandante del Nato Defence College. li 24 ottobre 1954 fu alla testa delle truppe italiane che entrarono in Trieste, città della q uale fu governatore per un giorno. 25 Veds. precedente Cap. XLII, nota 35. 26 Decreto ministeriale 8-Vl-1946 (circ. n. 211, G.M. 1946, pg. 671). D.L.-C.P.S. n. 402, 18-lll-1947 (circ. n. 173, G.M. 1947, pg. 557). D.L. n. 543 3-V-1948 (circ. n. 252, G.M. 1948, pg. 370). Legge n. 445, 14-VI-1949 (circ. n . 252, G.M. 1949, pg. 698). Legge n. 446, 14-VI-1949 (circ. n. 253, G.M. 1949, pg. 700). Decreto del Presidente della Repubblica n. 687, 8-VII-1949 (c in.:. n. 325, G.M. l949, pg. 848). 27 Legge n. 93, 23-11-1952; ci rc. n. 112, G.M. 1952, pg. 279. 28 D.C.P .S. n. 17, 4-H-1 947; circ. n. 46, G.M. 1947, pg. 104. Art. l. «l mini steri della Guerra, de lla Marina Militare e dell'Aeronautica sono riuniti in un unico Ministero che ass ume la denominazione di Ministero della Difesa. Art. 2. «Con s uccessivo decreto sarà stabilito l'ordinamento del Ministero della Difesa». 29 D.L.L. n. 354, 31-V-1945; circ. n . 287, G.M . 1945, pg. 1223. 30 Art. 87 della Costituzione: «(Il Presid ente della Repubblica) ha il comando delle Forze Armate, presiede il Consiglio Supremo di Difesa, costituito secondo la legge , dichia ra lo sta to di guerra delibera to dalle Cam ere». 31 La s ituazione di parten za - 10 mano 1946 - dell'esercito di transizione era la seguJ!lte: I Divisioni di fanteria: f.!i..uli (-87 ° ed 88° fant eria, 35° artiglieria da campagna, CXX battaglione mis to genio); Cremona (21 ° e 22° fanteria, 7° artiglieria, CXLIV battaglione misto genio); Legnano (67 ° e 68° fan teria, 11 • artiglie ria, LI battagliol}C;: mist_Q..genio);..Folgore (reggimento paracadutisti Nembo, reggimento fanteria Garibaldi, 184° artiglieria, CLXXXIV ~ glione misto enio), Mantova (76° e 114° fanteria, 155° artiglieria, CIV ba~glione mis to genio). 2. pivisioni di sicurezza interna (D.S.I.): Aosta (5 °, 6 ° e 139° reggimento di sicu rezzà interna, 22° artiglic ria7o"n armamento di fanteria, xxvnLbattaglione misto genio), Sabauda (45 °, 46° e 145° reggimento di s icurezza interna, 40° artiglieria con armamento di fanteria, CXX X battaglione misto genio), Calabria (59°, 60° e 236° reggimento di sicurezza interna, 40° artig lieria con a rmamento di fanteria, XXXI battaglione mi sto genio). 3. 1,Jnità~ n [ndivisiona~ 1°, 4° e 5° reggimento a lpini; 2°, 3 °, 6°, 7°, 8°, 9° e 10° reggimentodifanteda; 1°, 2°, 3°, 4°, 5 ° , 6°, 7 ° , 8°, 9 °, 10°. 11° centro di addestramento reclute; 101", 102•, 103", 104", iosa. 106", 101•, 108 ", 109", 110• e lii" compagnia servizi_genio: 101 • . 102•, 103 •, 104". 105 8 , 106•, 101•, lOB " e 110• com_pagnia collcga_!Ilenti territoriali; I~ e 2• compagnia ponti._m~t~ lici sc~po~; 516° e 562 a compagnia rastrella mento mine; 1° , 2°, 3 °, 4°, 5°, 6 °, 7 °, 8°, 9°, 10°, 11 °, 14°, 21 ° , 22°, 23° e 24° autoreparto; 1a compagnia motociclisti per servizio s taffetta. 4. lfnità alle dipendenze d 'impiego degli alleati: 20sa divisione: 711°, 713 °, 714° , 71 5°, 717 ° e 7T8° raggruppamento; 2° e 6 ° gruppo battaglioni. 32 In d a ta I luglio 1946: - vennero sopp ressi i 6 raggruppamenti alle dipendenze degli a lleati; - vennero trasformate in brigate le divisioni di sicurezza interna e in pnrticolare: la brigata Aosta venne costituita su 5° e 6° fa nteria e s u di un gruppo
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misto di artiglieria (vennero sciolti il 139° fanteria e il 22 ° artiglieria); là brigala Reggio (già Sabauda) venne costituita su 45° e 46° fanteria e s u di un gruppo misto di artiglieria (vennero sciolti il 145° fanteria e il 16° artiglieria); la brigata Calabria venne costituita su 59° e 60° fanteria e il 4° artiglieria); - vennero trasformati: il 1 ° reggimento alpini in 4°, il 4° in 6°, il 5° in 8°; 1'8° fanteri a in I O Granatieri di Sardegna; il 3° fanteria in 3° bersaglieri; - venne cambiata la denominazione delle compagnie servizi genio in compagnie artieri e la numerazione da 101 a a 111 a a 1 a, 2a, 3", 4a,·5:,~....Z.\ J!a, 9", 10•, 11 •; furono soppresse~pagnie r;strellamento mine; - fu costituito il Centro Colombieri presso il C.M.T. di Roma; - furono trasformati il 22° autorep; ;to i;.;- 22° autoreparto speciale; il 24° autoreparto in autoreparto del Ministero per la Guerra; - fu sciolto il 23° autoreparto. 33 Nel gennaio 1947: - vennero trasformati : il 9° reggimento fanteria in 9° reggimento fanteria Bari, il 6 ° in 40° Bologna, il 10° in 75° Napoli, il 7° in 78° Toscana, il 2° in 157° Liguria; - furono costituiti il 7° reggimento fanteria Acqui, il 46° ed il 60°; - furono costituit i i seguenti gruppi esploranti: 1° dragoni per la divisione Cremona, 2° cavalleggeri per la Friuli, 3° cavalleggeri per la Legnano, 4° dragoni per la Mantova, 5 ° lancieri per la Folgore; - venn ero costituiti: 5 reggimenti di artiglieria da campagna (5° per la Manlova in aggiunta al 155°; 17° per la Cremo= in aggiunta al 7°; 8° per la Friuli in aggiunta a l 35°; il reggimento a cava llo per la Legnano in aggiunta all'l l 0 ; 33° per la Folgore in aggiunta al 184°; 5 reggimenti artiglieria conlrocarri (9° per la Friuli, 27° per la Legnano, Ì8° per la Mantova, 41 ° per la Folgore, 52° per la Cremona); 5 reggimenti di a rtiglieria contraere i (1 ° per la Cremona, 2 ° per la Legnano, 3° per la Friuli, 4 ° per la Mantova, 5° per la Folgore); 2 reggimenti di a rtiglieria da campagna: il 13° pe r il C.M .T. di Roma e il 22° per la Brigata Aosta; 2 gruppi artiglieria pesante campale (XI CAAR e XXI CAAR); 2 gruppi artiglieria d a montagna (Bergamo per il C.M.T. di Bolzano e Belluno per il C.M.T. di Padova); - venne riordina lo il genio: i battaglioni misti del genio furono trasformati in battaglioni artìeri; vennero costituit i 5 battaglioni collegamenti per divisione di fanteria (1 per ciascuna divisione), 1 battaglione collegamenti speciali per lo stato maggiore dell'esercito, 1 battaglione F.M.S. per il C.M.T. di Bo logna e 2 compagnie P.M.S.;
..,- vennero costituiti 11 centri artieri (da l I O a li' 11 °); - vennero riordinati i servizi: 5 sezioni di sanità (1 per divisione), 10 osped ali da campo (2 per divisione) numerati da 1 a 10; 5 sezioni di sussistenza (1 per divisione), 5 reparti trasporti (1 per divisione), 5 officine mobili divisiona li, la 16" offi cina riparazione automezzi (per la Folgore); 5 parchi mobili (1 per divisione). 3 4 Circ. 300450/CA-317-IT-24 d el 13-1-1945 de l ministro per la Guerra, on. Casati. Vennero istituiti, in via provvi soria e per la durata della guerra: 11 Comandi Militari Territoriali (C.M.T .), 99 distretti, 90 depositi. Ai C.M.T. vennero attribuiti tre d iversi tipi di organico: «A» (Torino, Bolzano, Roma, Napoli), «B » (Udine, Bologna, Ba ri), «C» (Genova, Milano, Firenze, Palermo). 35 La Scuola di artiglieria contraerei venne costituita con foglio SME 1750/ o rdn. de l 24-VT-1 948. 36 Foglio SME n. 1130/ordn. 20-IV-1948.
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3? Paolo Berardi (1885-1953) generale di corpo d'armala. Sottotenente dell'arma d'artiglieria nel 1905, partecipò da tenente alla guerra italo-turca. Frequentò il corso superiore tecnico di artiglieria e venne comandato presso l'arsenale di costruzioni d'artiglieria di Torino. Partecipò alla 1 • guerra mondiale come comandante di batteria e, da maggiore, frequentò la scuola di guerra e l'istituto di guerra marittima di Livorno. Prestò, poi, servizio presso il comando designato d 'armata di Firenze e, successivamente, presso il comando di corpo d'armata di Torino. Fu insegnante presso la regia accademia navale di Livorno. Da colonnello comandò il 20° reggimento artiglieria da campagna e, successivamente, prestò servizio presso lo stato maggiore dell'esercito. Da generale di brigata comandò l'artiglieria del corpo d'armata di Torino e successivamente la guardia alla frontiera dello stesso corpo d'armata. Partecipò alla 2• guerra mondiale quale comandante della divisione Brennero e, successivamente, ricoprì la carica di capo di stato maggiore della 7 a armata. Comandò la divisione di fanteria Sassari. Da generale di corpo d'armata, comandò il XXI corpo d'armata in Tunisia. Rientrato dalla prigionia, fu nominato capo di stato maggiore dell'esercito, carica che tenne dal 18 novembre 1943 al 10 febbraio 1945. Dal 18 febbraio 1945 fu comandante del comando militare territoriale di Palermo fino al 16 febbraio 1946. Lasciò il servizio il 21 giugno 1948. 38 Ercole Ronco (1890-1967) generale di corpo d'armata. Frequentò la scuola militare di Modena e, nel 1911, da sottotenente partecipò alla guerra italo-turca. Con il grado di capitano e maggiore, prese parte alla grande guerra. Negli anni 1919-1921 frequentò la scuola di guerra. Fu nuovamente in Cirenaica negli anni 1929-1931, partecipando alle operazioni di grande polizia coloniale. Assolse vari incarichi di stato maggiore presso lo stato maggiore centrale. Comandò il 94° reggimento fanteria scuola allievi ufficiali di complemento. Durante la 2• guerra mondiale fu capo di stato maggiore del comando superiore forze armale dell'Egeo. Nel settembre 1942, assunse il comando della divisione Nembo. Dal dicembre 1944, fu comandante della divisione Sabauda ed operò in Sicilia contro i moti insurrezionali separatisti. Nel gennaio 1945, assunse la carica di capo di stato maggiore dell'esercito, carica che lasciò nel maggio 1945, per ragioni di opportunità politica, al generale Cadorna. • 39 Efisio Marras (1888) generale di corpo d'armata. Frequentò l'accademia militare e, nel 1908, fu nominato sottotenente d'artiglieria. Da tenente prestò servizio in Egeo e, da capitano, durante la 1 • guerra mondiale, dal marzo 1916 all'aprile 1917, e in Albania, prima presso il 37° reggimento artiglieria da campagna, poi quale addetto all'ufficio operazioni del corpo di occupazione. Negli anni 1920-1921 frequentò la scuola di guerra e poi anche l'istituto di guerra marittima di Livorno. Assolse successivamente, diversi incarichi di stato maggiore anche presso t' ufficio del capo di stato maggiore generale. Dal 7 settembre 1933 al 1 ° settembre 1936 comandò il 6 ° reggimento artiglieria pesante campale. Da generale di brigata a generale di corpo d'armata, fu prima addetto militare a Berlino, poi capo della missione militare italiana di collegamento presso il comando supremo tedesco. Il 9 settembre 1943 venne internato in Germania, successivamente, tradotto in Italia per essere consegnalo alle autorità della repubblica di Salò che lo rinchiusero in carcere, dal quale evase per rifugiarsi in Svizzera. Dal 20 maggio 1945 al 31 gennaio 1947 ricopri la carica di comandante del comando territoriale di Milano. Il 1° febbraio 1947, fu nominato capo di stato maggiore dell'Esercito ed il 1 ° dicembre 1950 fu nominato capo di stato maggiore della difesa, carica che lasciò il 15 aprile 1954.
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4 Costituzione Centro Addestramento Avanzato Reclute Genio Collegamenti: foglio S.M.E. n. 1728/ordn. del 20-VII-1948. Costituzione del «Centro Esperienze e Addestramento di Commissariato» (C.E.A.C.): foglio S.M.E. n. 2060/ordn. del 28-VII-48. Costituzione del comando raggruppamento corazzato Ariete: foglio S.M.E. n. 1430 del 23-V-1948. 41 La trasformazione della brigata Aosta in divisione venne attuata inserendo il 45° fanteria, rivitalizzando il disciolto 22° reggimento artiglieria da campagna, inserendo l' 11 • compagnia artieri e l'l 1 • compagnia collegamenti. 42 La divisione Granatieri di Sardegna fu costituita s u: I O reggimento granatieri, 17° reggimento fanteria Acqui, 46° reggimento fanteria, 13° reggimento artiglieria da campagna, 8" compagnia artieri, 8 8 compagnia collegamenti. 43 Veds. precedente nota n. 40. 44 D.L.L. n. 445 del 28-Vl-1945, (circ. n. 332, G.M. 1945, pg. 1367) e DLL n. 603 del 3 l-Vlll-1945, (circ. n. 603, G.M. 1945; pg. 1661). 45 D.C. P.S. n. 1181 del 9-IX-1947 (circ. n. 368, G.M. 1947, pg. 994). 46 F. n. 1122 C.S.M.M. del 5-VII-1948. Struttura dell'esercito su: 8 divisioni di fanteria, delle quali I di immediato impiego (reggimenti di fanteria su 3 battaglioni anziani), 3 di pronto impiego (reggimenti di fanlt:ria su 2 battaglioni anziani e 1 battaglione reclute), 4 da completare a/J'atto della mobilitai:ione; 3 divisiuui di fanteria motorizzata; 3 brigate corazzate; 3 brigate alpine; truppe di corpo d'armata e di armata; - ferma di leva: 18 mesi; - chiamata semestrale anziché quadrimestrale. Nel progetto del nuovo ordinamento venne anche sottolineata la convenienza, per eliminare le 1;ause incidenti sull 'addestrame nto, soprattutto i numerosi servizi di guard ia e territoriali, di costituire un apposito corpo civile ausiliario sottoposto a disciplina militare, per la custodia dei magazzini, immobili, ecc. e per concorrere a tutti quei servizi svolti a contatto dei reparti e dei comandi (ordinanze di ufficio, datti lografi, cuochi, ecc.). 47 Rivi sta Militare - 1947 - X - pg. 1031 Centri di addestramento reclute del ten. col. Mario Torsiello; ibidem A proposito dei C.A.R. del gen . Giuseppe Mancinelli. Rivi sta Militare - 194S - I - pg. 59 Ancora sui Centri Addestramento reclute del magg. Antonio Severoni; ibidem I centri addestramento reclute del magg. Pio Salvioli Mariani. 48 Rivista Militare - 1945 - I - pg. 25 Il nuovo reggimento di fanteria di Miles Brutus; 1946 - I - pg. 88 Il plotone fucilieri nell'attacco del magg. Alberico Ali; 1946 - I - pg. 120 Note sulle pattuglie del s. ten. Ciro De Martino; 1946 - II - pag. 187 Le pattuglie e il loro impiego del magg. Vittorio Pensabene; 1946 · Vll - pg. 763 Fanteria e assaltatori del ç:ol. Guido Boschetti; 1946 - Xl - pg. 1945 Organici e Modalità d'impiego del plotone fucilieri del col. Guido Bosc hetti; 1947 - VIII-IX - pg. 928 Impiego dei minori reparti di fanteria nell'attacco del col. Guido Boschetti; 1947 VIII-IX - pg. 967 Pattuglie di fanteria di esplorazione e di ricognizione tre asterischi; 194S - II - pg. 372 La squadra fucilieri e la circolare 2100 tre asterischi; 1949 - I - pg. 142 Il plotone fucilieri e la circolare 2200 tre asterischi; 1949 - VI - pg. 432 Il plotone fucilieri del cap. Giuseppe Grassi; 1949 - Xll - pg. 1050 La compagnia fucilieri e la circolare 2300 tre asterischi; 1949 - I - pg. 51 Alpini e fanti del col. Angelo Corrado; 1945 - VIII-IX - pg. 936 Problemi organici delle artiglierie divisionali e loro riflessi s ull'impiego del cap. Andrea Cucino; 1949 - II - pg. 161 Gruppo su tre batterie o balleria su sei pezzi? del cap. Mario Quarto; 1949 - VI - pg. .'i78 // reggimento di
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artiglieria da campagna divisionale del mag. Enzo Fasanotti; 1949 • VIII-IX · pg. 832 l me:z.:z.i controcarri del magg. Andrea Cucino; 1949 · Xl · pg. 1099 L'ordinamento dell'artiglieria da campagna del ten. col. Luigi Forlenza; 1945 ·VII · pg. 737 L'arma del genio e i nuovi tempi del ten. gen. Luigi Sacco; 1947 · VI · pg. 663 Gli artieri della divisione di fanteria del magg. Sergio Giuliani; 1949 ·VIII-IX · pg. 816 Consideraz.ioni sul battaglione artieri divisionale del ten. col. Ottavio Di Casola. 4 9 Rivis ta Militare, 1946 . V . pg. 510 Riflessione e conside razioni sulla seconda guerra mondiale del ten. col. Alberto Landi; 1946 · X· pg. 1109 L'Alto comando nelle guerre di coalizione del col. Alberto Landi; 1946 · X . pg. 1109 L'Alto comando nelle guerre di coalizione del col. Luigi Mo ndini; 1946 · Xl · pg. 1209 Dare un Capo all'esercito in pace del ten. col. Mario Torsiello; 1946 - XI - pg. 1219 e XII · pg. 1361 L'Alto Comando delle Forze Armate Italiane del gen. Fernando Gelich; 1947 · I · pg. 16 Il problema del comando unitario e l'autonomia delle tre forze armate del gen . Taddeo Orlando; 1947. IV . pg. 369 Il problema dell'Alto Comando del gen. Taddeo Orlando; 1947 · V . pg. 568 Comando Supremo Unico del ten. col. Enrico Giaccone; 1947 - Xl - pg. 1201 Arte e Tecnica della guerra moderna del magg. Lazzaro Dessy; 1948 · VII - pg. 787 e VIII-IX · pg. 936 Sintesi di strategia militare del gen . Gaetano Cardona; 1946 - III · pg. 255 L'Alto Comando delle forze armate del gen. Quirino Armellini. 50 La Rivista Militare dovette cessare le pubblicazioni nel 1933 per la mancata partecipazione della base alla linea imposta al periodico <lai regime fa scista, in quan10 mo lti scrittori militari non intesero collaborare a rimorchio della filosofia del regime c la gran parte dei lettori non intese abbeverarsi a lle fonti retoriche che propagan<lavanu l'ind ispensabilità della guerra e l'identificazione dello spirito militare con quello dell'avventura e irridevano la pace. Il riserbo dei primi e l'astensionismo dei secondi costituiscono un segnale indicativo del distacco che al riguardo ci fu tra esercito e regime fascista. SI Rivis ta Militare 1947 · VII · pg. 284 Lineamenti della dottrina britannica nella o ffensiva: principali analogie e di/ ferenze con la dortrina italiana d 'anteguerra del ten. col. Guido Vedovato. 52 Rivis ta Militare 1947 . II · pg. 160 La regolamentazione inglese e quella italiana del magg. Franco Ang ioni. 54 Regolamenti e istruzioni varie. Addestramento fisico elementare e di combattimento. Par te prima . Principi generali dell 'addestramento fisico, elementare e di comballimento. m etodi di istruzione, ediz. 1946. Idem Parte Seconda. Tavole di educazione fisica elementare e prove di e fficienz.a raggiunta. ec.liz. 1946, idem Parte Quarta . Addestramento alla resistenza ediz. 1946. Idem. Pa rte Nona. Pugilato e lotta, ediz. 1946 Idem . parte Decima Sparare per uccidere ediz. 1946. Pubblicazioni varie. li Morale e l'ufficiale ediz. 1946. Camerati alle armi ediz. 1945. Consigli per l'istruzione sulla lettura delle carte topografiche, ediz. 1947. Tecniche addestrative e varie. Addestramento armi portatili. Voi. 1. Addestramento armi ediz. 1946. Idem. Voi. 1 Lezioni di tiro al poligono, ediz. 1946. Addestramento armi leggere. Vo i. I. Applicazione del fu oco, ediz. 1946. Armi di plotone, ediz. 1945. Im piego tattico del tiratore isolato di battaglione, ediz. 1946. Addestramento armi portatili. Voi. I. Fase. 6 - Azione contraerea, ediz. 1947. Addest ramento della fanteria. Voi. I. Fase. IO. Telemetro n. 12, ediz. 1947. Addest ramento armi leggere. Voi. 1 Bombe (l O ristampa aggiornata), ediz. 1946. Addestramento armi leggere. Voi. I. Baionetta, ediz. 1946. Addestramento armi leggere. Voi. I Pistola calibro 9,5, cdiz. 1946. Addestramento armi portatili. Voi. I Fucile, ediz. 1944. Idem 1° serie di aggiunte e varianti, ediz. 1946. Add~ lramento armi portatili. Voi. I Moschetto automatico Thompson, ediz. 1946.
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Idem. Esame e riparazione del fucile, della pistola cal. 9,5, del moschetto automatico Thompson, del fucile mitragliatore Bren, ediz. 1945, Carabina automatica Sten da 9 mm. MK Il · Istruzioni generali: maneggio, smontaggio, pulitura, montaggio, ediz. 1946, Addestramento per la fanteria - Cannone controcarro da 6 libbre (57 mm), ediz. 1945. Addestramento armi leggere. Vol. I Fase. 24°. Lanciabombe anticarro per fanteria, ediz. 1945. Addestramento armi portatili. Voi. I. Fucile mitragliatore, ediz. 1946. Addestramento armi leggere. Voi. I. Mortaio da 51 (2 pollici), ediz. 1945. Istruzione sulla mitragliatrice Browning cal. 7,62, HB, M 1919. A4 (installata sui veicoli corazzati), ediz. 1948. Carretta cingolata, ediz. 1946. Addestramento dell'artiglieria. Voi. I. Impiego tallico gene rale. Fase. 9°. Tattica anticarro, ediz. 1945. Addestramento dell'artiglieria. Voi. Il. Fase. 5°. Impiego del reggimento controcarro ediz. 1947. Addestramento dell'artiglieria, Voi. 11. Fase. 17°. Impiego del reggimento controaerei, ediz. 1948. Addestramento de/l'artiglieria. Voi. I. Impiego tallico generale. Fase. 9° . Tallica anticarro, ediz. 1947. Addestrame nto dell 'artiglieria. Voi. 111. Artiglieria da campagna. Fase. 2°. Preparazione per l'apertura del fuoco, ediz. 1947. Addestramento de/l'artiglieria. Manutenzione del materiale cannone e.e. da 6 libbre (57 mm) Mod. Il e IV supporto da 6 libbre Mod. I e Ili, ediz. 1944. Addestramento dell'artiglieria. Istruzione per la manutenzione del cannone e.e. da 17 libbre (76/55). Mod. I su affusto Mod. I, ediz. 1947. Addestramento dell'artiglieria. Cannone da 17 libbre (76 mm) e cannone da 6 libbre (57 mm). Servizio del pezzo e cundutta del fuoco, ediz. 1944. Addestramento dell 'artiglieria. Norme per la manutenzione del cannone da 25 libbre (8&'27). Mod. Il su affusto da 25 lb. Mod. I, edizione 1944. Addestramento dell'artiglieria. Norme per la manutenzione del cannone da 25 lb. (88/27) Mod. li e lii su affusto da 25 lb. Mod. II e III, ediz. 1945. Cannone da 25 lb. (88127) Mod. li. Tavole di tiro. Parte prima. Granata H.E., Mod. ID rastremata, con spole/la l17 o l19 (senza cappuccio), peso 25 lb., ediz. 1948. Gas di guerra, ediz. 1946. Il motocompressore autoportato inglese. Descrizione generale, fun zionamento, manutenzione, ediz. 1947. Manuale tecnico. Apparati rivelatori SCR-625 B, SCR-625 C, SCR-625 D ed SCR-625 E (portatili per mine anticarro) e rivelatore portatile per mina anticarro M-1, ediz. 1947. Istru zione su/l'apparato cerca mine AIV-PRS-1, ediz. 1949. Il ponte Bailey. Impieghi regolamentari ediz. 1946. Ponte d'equipaggio MK III e barche pieghevoli. Impieghi regolamentari, ediz. 1947. L 'andametro classe D. n. 1, MKI e MK!l. Istruzioni sul funzionamento, ediz. 1946. Addestramento dell'uso dei mezzi di collegamento. Voi. lll Apparecchi telefonici F tipo I e tipo / 0 , ediz. i 946. Addestramento del genio (collegamenti). Voi. III. Pubblicazione n. 22. Complesso telefonico D. Mark V, ediz. 1947. Addestramento del genio (collegamenti). Istruzione per la messa a punto e l'impiego del tele fono, ediz. 1946. Addestramento del genio (collegamenti). Istruzioni per la messa a punto e l'impiego de/l'apparato telefonico tipo D. V. ediz. 1945. Addestramento del genio (collegamenti). Istru zione per la m essa a punto e l'impiego del centralino tele fonico a IO linee con chiamata universale S.B.U.C., ediz. 1946. Addestramento del genio (collegamenti). Telegrafo acustico Fuller, Mark TV, ediz. 1946. Addestramento del genio. Voi. IIJ. Impianto radio 18. Parte prima. Istruzione sul funzionamento, ediz. 1946. Addestramento del genio (collegamenti). Impianto radio n. 18 Mark I, Mark li, Mark III. Istruzione per il funzionamento, ediz. 1946. Idem. Apparecchio radio n. 19 Mark l e Mark II. Istruzione per il funzionamento. Parte Seconda. Descrizione teorica. Manutenzione e riparazione sul posto, ediz. 1946. Idem Impianto radio n. 19. Parte prima. Fun zionamento, ediz. 1946. Idem. Impianto radio n. 22. Parte prima. istruzioni per il funzionamento, ediz. 1946. Idem. Istruzioni per la messa a punto e l'impiego della
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stazione radio n. 18, ediz. 1947. Idem. Istruzione per la messa a punto e l'impiego della stazione radio n. 22, ediz. 1946. Addest ramento del genio. Gruppo elettrogeno da 550 Watt IV. 2. Apparato J.A.P. Garner. Tipo 48. Descrizione e istruzioni per il funzionamento, ediz. 1946. Idem . Gruppo elettrogeno da 1260 Watt N. 1. Apparato Norman. Tipo T 300. Descrizione, istruzioni per il funzionamento ed elenco delle parti di ricambio, ediz. 1946. Idem. Gruppo elettrogeno da 1260 Watt N. 3. Apparato Petter. Descrizione. Istru zioni per il funzionamento, ediz. 1946. Idem. Gruppo elettrogeno mobile da 4/5 KW. Apparato Lister. Tipo ACL4. Istruzioni per il fun zionamento ed elenco delle parti di ricambio, ediz, 1945. Istruzione per l'impiego del gene ratore a mano da 10 Watt Mark II, per l 'alim e ntazione delle stazioni radio n. 18 e 48, ediz. 1946. Addestramento armi portatili. Voi. V. Supplemento di guerra. Poligoni per armi portatili. Schemi, sicurezza. materiali, ediz. 1948. 55 Ministero d ella Difesa. Esercito. Ufficio del Segreta rio Generale. Pubblicazioni Militari. Catalogo delle pubblicazioni Militari. Roma, istituto Poligrafico dello Stato, 1951. 56 A rmi di plotone (numero categorico 4656),. ediz. 1945. Istruzioni sulla pistola mod. 34 (n.c. 3122), ediz.. 1945. Istru zione provvisoria sul moschetto automatico Berretta ca/. 8, 8, Mod. 38 A (n. c. 4292), ediz. 1943. Istruzione provvisoria sul cannone da 25 mm., Mod, 1934, (n.c. 4165), ediz. 1943. Istruzione provvisoria sul lanciarazzi da 60 mm Ba ,uuka, (n.c. 4802) i=<liz. 1949. l stru"liurte sulla mitragliatrice Breda mod. 37, (n.c. 4746), ediz, 1947. Appendice alla istruzione sulla m itragliatrice Breda mod. 37. Programma addestrativo per mitraglieri ed allievi capi squadra (n.c. 4746 bis), ediz. 1947. Ta vole di tiro per mitragliatrice Breda 37 (n.c. 2905), ediz. 1947. Istruzioni sul mortaio da 81, mod. 35, (n.c. 4748), ediz. 1947. Tavole di tiro per mortaio da 81, mod. 35, (n.c. 3924), ed iz. 1947. Tavole di ti ro per mortaio da 81 mm, mod. 35. Impiegando munizionamento di origine americana (n.c. 3924 bis), ediz. 1949. Istruzione sull'impiego tecnico e la manutenzione dell'autoblindata T 17 E I (Staghound) (n.c. 4759), ediz. 1948. Istruzione sull 'impiego tecnico e la m anutenzione dell'autoblindata T 17 E I (Staghound) (n.c. 4759), ediz. 1948. Istruzione sull'impiego teorico e la manutenzione della cingoletta (Universal Carrier) (n.c. 4772), ediz, 1948. L 'artiglieria della divisione di fanteria (Notizie sommarie), (n.c. 4716), ediz, 1946. Cannone e.a. da 4lY56 mod. III. Addestramento dell'artiglieria. Voi. I. Addestramento del pezzo. Fa se.: cannone e.a. da 4lY56 m od. TI/. Pa rte Prima. Istruzione sul mate riale e sulle munizioni (n.c. 4810), ediz, 1949. Idem. 1° Serie di aggiunte e varianti (n.c. 4810 bis), ediz. 1950. Addestramento dell'artiglieria. Voi. I. Addestramento del pezzo. Fase. cannone e.a. da 4lY56. Mod. III. Parte seconda. Servizio del pezzo. (n.c. 4810/1), ediz. 1950. Addestramento dell'artiglieria. Voi. I Addestramento del pezzo. Fase. cannone e.a. da 4lY56, m od. TII. Parte seconda. Appendice al servizio del pezzo. (n.c. 48/10/2), ediz, 1950. Cannone da 75137 M3 e mitragliatrice Browning da 0,30 poli. Mitragliatrice Besa da 7,92 mm montate su carri armati Sherman. Tavole di tiro (n.c. 4788), ediz, 1948. Cannone e.e. da 7(/55 (17 lb.). Addestramen to dell'artiglieria. Cannone da 76 mm e cannone da 57 mm. Servizio del pezzo e condotta del fuoco (n .c. 4615), ediz. 1944. Cannone da 88187 25 lb.). Addestramento dell'artiglieria. Cannone da 25 lb (88/27). Servizio del pezz.o (n.c. 4614), ediz: 1944. Cannone da 25 lb (88127). Tavole di tiro provvisorie. Granata H.E. da 87, 6 MK. I. D. (n.c. 4611 ), ediz. 1944. Cannone da 25 lb. (88/27). Granata li.E. da 87,6 mod. ID. Tabelle e il loro uso da parte degli ufficiali italiani (n.c. 4612), ediz, 1947. Idem Tavole di tiro. Pa rte prima. Granata fumogena, mod. ID e m od. VID, rastremate, e m od. Vll B, non rastremate, con spoletta a d.e. 221, peso 9.900 k g. (n.c. 4782). ediz. 1948. Obice da 105122 M4 Obice da 105122 M4 su carro
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amiato Sherman M4 ed M4 A3. Tavole di tiro. Granala ordinaria Ml. Granata fumogena M 84. Granata controcarri M67 (n.c. 4784), ediz, 1948. Obice da 149119. Istru zione sommaria sul materiale e sulle munizioni. Servizio del pezzo (n.c. 4269), ediz, 1949. Cannone da 47/32. Ia Serie di aggiunte e varianti all'istruzione provvisoria (ediz. 1941) sul materiale, sulle munizioni e sul servizio del cannone da 47/32 (testo tavole) (n.c. 3278/1), ediz, 1949. Cannone da 76145. Cannone da 76145 tavola di tiro grafica. Granata da 7614045, mod. 36 con spoletta a tempo mod. 36 (n.c. 4325), ediz, 1945. Cannone da 105128. Tavole di tiro sommarie. Granata di ghisa acciaiosa con caricamento speciale per scuola di tiro. 2° carica (n.c. 2660), ediz. 1944. Obice da 155/14 P.B. Is1ruzione sommaria sul materiale e sulle munizioni. Obice da 155114 P.B. (n.c. 4438), ediz, 1943. Idem. Tavole di tiro. Granata d'acciaio. mod. 914 (n.c. 4432), ediz. 1943. Maschera antigas T. 35. Circolare n. 3600 del 31-X-1950. Norme per l'impiego, la manutenzione e la conservazione della maschera antigas T. 35, ediz. 1950. Mine e campi minati. Mine e bonifica dei campi minati. Voi. I Mine, ordigni esplosivi e congegni vari di accensione (n.c. 4709), ediz, 1946. Idem 1° Serie di aggiunte e varianti (n.c. 4736), ediz, 1947. Idem. voi. li. Campi minati e loro bonifica da ordigni esplosivi. (n.c. 4710), ediz. 1946. Istruzione sui lavori di mina e sugli esplosivi. Voi. I. Esplosivi e mezzi di accensione (n.c . 4264), ediz, 1949. Idem. Voi. III. Impiego degli esplosivi nei lavori di mina (n.c. 2724). ediz. 1949. Idem. Voi. II lavori di mina (n.c. 2723) era stato puhbli cato nel 1942. Genio ferrovieri. Istruzione sui piani caricatori militari scomponibili (n.c. 2894), ediz. 1949. Genio collegamenti. Come stanno le vostre balleria (n.c. 4675), ediz, 1946. Norme di precedenza p er i collegamenti che impiegano segnali Morse (n.c. 4745), ediz, 1947. Idem. 1° Serie di aggiunte e varianti (n.c. 4745/1), ediz. 1950. Norme di procedura radiofonica (n.c. 4765), ediz, 1948. Idem 1a Serie di aggiunte e varianti (n.c. 4765/1), ediz, I 950. Elementi di elettricità, magnetismo, elettromagnetismo (guida per gli istruttori) (n.c. 4773), ediz. 1948. Istruzioni provvisorie sul frequenziometro SCR-211 (n.c. 4776), ediz, 1948. Idem·. 1° Serie di aggiunte e varianti (n.c. 4776/1) ediz. 1948. Istruzioni tecniche sui materiali e loro impiego. Elementi di telefonia e materiale telefonico (n.c. 4780), ediz, 1949. Istruzione sul telefono tipo L (n.c. 4799), ediz, 1949. Istru zioni sul centralino tipo V.C. a spine a 10 linee (n.c. 4823), ediz, 1950. Istruzioni sulle telescriventi Olivetti (n.c. 4813), ediz, 1950. Istruzione per l'impiego delle stazioni radio 38 MK II Fase. I 0 del Manuale sui materiali radiotelegrafonici ad uso dei marconisti (n .c. 4729), ediz, 1946. Idem. 1• Serie di aggiunte e varianti (n.c. 4729/1), ediz, 1948. Manuale sui materiali radiotelegrafonici ad uso dei marconisti. Pasc. 2° · Sta zione 48 (n.c. 4730), ediz, 1948. Idem. I 0 serie di aggiunte e varianti (n.c. 4730/1), ediz. 1948. Manuale sui materiali radio telegrafonici ad uso dei marconisti. Fase. 3°. Stazione 19 MK Ili canadese (n.c. 4731), ediz. 1948. Manuale sui materiali radiotelegrafonici ad uso dei marconisti. Fase. 4° Stazione 9 MK I (n.c. 4732), ediz. 1948. Manuale sui materiali radiotelegrafonici ad uso dei marconisti. Fase. 6°. Comando a distanza n. 1. Antenne verticali in acciaio a cannocchiale n. 1 (n.c. 4734), ediz. 1947. Idem. Fase. n. 7. Stazione 19 MK Ili. Appendice alla istruzione sulla stazione 19 (pubblicazione 4731) (n.c. 4735), ediz, 1948. Istruzione sull'autostazione SCR 299 (n .c. 4775), ediz. 1948. Elementi di radiotelegrafia e radiofonia per marconisti (n.c. 4779), cdiz, 1949. Istru zione sulla stazione SCR-522 ME (VHF) (n.c. 4800), ediz, 1949. Istruzione provvisoria sulle stazioni SCR-508, SCR-528, SCR-538 (n.c. 4812), ediz, 1949. Sen.dzi. Specchio di caricamento dello zaino di sanità (n .c. 3925), ediz, 1943. Nuovi elenchi delle imperfezioni e delle infermità riguardanti l 'attitudine fisica al servizio militare (n.c. 4783), ediz, 1948. Tariffa dei medicinali e prodotti accessori, degli
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oggetti di medicatura, dei reagenti, ecc. (n.c. 4820), ediz, 1950. Automobilismo. Istruzione sull'impiego e la manutenzio ne dell'autocarro Dodge 3T 4 per 4 (n.c. 4763), ediz, 1948. Istruzione sull'impiego e la manutenzione dell'autovettualta Ford e Willys G.P. W. Jeep 1/4 t 4 x 4 (n.c. 4764), ediz. 1948. Norme riguardanti la contabilità dei lavori per le officine automobilistiche (n.c. 4831), ediz. 1950. 57 Pubblicazioni varie. Manuale di nozioni varie per il comandante delle minori unità isolate (n.c. 471 l), ediz, 1946. Uso delle carte quadrettate con reticolato chilometrico (n.c. 4787), ediz. 1948. Norme provvisorie per l'addestramento ai lanci con paracadute. Circ. 500/S/6/A del 10-V-1950. Addestramento della fanteria. Parte VIII. Sfruttamento del terreno. Addestramento al combattimento. Impiego tattico della squadra e del plotone (n.c. 4641), ediz, 1945. Addestramento della fanteria. Voi. I Istruzione formale (individuale e di reparto) (n.c. 4789), ediz, 1949. Manuale per l'artiglieria da campagna. Fase. 1°. Il sottocomandante di batteria (n.c. 4835), ediz. 1950. Generalità all'impiego dell'artiglieria da campagna e pesante campale Circolare n. 5000/Reg. di prot. del 24-VIl-1948. Forme di intervento della arliglieria da campagna Circolare n. 5300 del l-Ill-1949. Comandi avvertimenti e comunicazioni per il puntamento e ['esecuzione del fuoco. Circolare n. 5700 del 15-VII-1950. Addestramenlo dell'artiglieria. Vol. IV. Istruzione sul tiro. Parte quinta. S1rumenti e mezzi tecnici per il tiro. Fase. 1°. Strumenti e mezzi tecnici per il tiro contro obiettivi terreslri (allegato al reticolo di aggiustamento) (n.c. 4757). ediz. 1951. Addestramento della artiglieria. Voi. IV. /siru zione sul tiro. Parte quinta. S1rumenti e mezzi tecnici per il tiro. Fase. / 0 • Strumenti e mezzi tecnici per il tiro contro obiettivi terrestri (allegato I-Istruzione sulla tavoletta 1opografica mod. 39) (n.c. 4475), ediz. 1950. La nebbia artificiale nel combattimento (Lineamenti d'impiego e addestramento). Ci1·colare n. 3800 del 30-IV-1949. Impiego dei campi minali. Circolare n. 8200 del 21-III-1951. Collegamenti per la cooperazione aereo-terrestre. Circolare n. 450/0/9/B del 15-V-1950. Metodo nell'addestramento militare (Vademecum per l'islrullore), ediz. 1947. Norme per la difesa dell'osservazione (n.c. 4786), ediz. 1949. Segni convenzionali e abbreviazioni (islruzione provvisoria) (n. 4750), ediz. 1947. 58 Testo unico delle disposizioni legislative sul reclutamento dell'esercilo (n.c. 3363), ediz, 1947. Idem. J• Serie di aggiunte e varianli (n.c. 3363/1), ediz, 1948. Regolamento per l'esecuzione del T.V. delle disposizioni legislative sul reclutamento dell'esercito approvato con decreto n. 329 del 24-11-/938. Parte Seconda (n.c. 2641 bis). La parte prima era stata pubblicata nel 1940 (n.c. 2641). R elazione sull'ispezione passata allufficio di leva (n.c. 3136), cdiz. 1948. Corsi allievi ufficiali di complemento (Norme generali per l'ammissione e lo svolgimento). Circolare 210-11-1 del 10-11-1949. 59 Regolamento per l'amministrazione e la contabilità dei Corpi, Istituti, Stabilimenti militari (n.c. 4436), ediz, 1945. 60 Regolamento di disciplina militare pe r l'esercito, ediz. 1949. 6 1 Regolamento per i trasporti militari delle cose sulle fe rrovie dello Stato (n.c. 481 l), ediz, 1949. Istruzione per il trasporto degli esplosivi (n.c. 2542), ediz. 1949. Regolamento per i trasporti militari delle persone e dei bagagli sulle ferrovie dello Stato (n.c. 4825), ediz, 1950. Concessioni speciali per determinati trasporti di persone e di cose sulle ferrovie dello Stato (n.c. 4826), ediz, 1950. Trasporti in conto corrente di cose di proprietà dell'amministrazione militare (n.c. 4830), ediz, 1949. Convenzione internazionale sul trattamento dei prigionieri di guerra (n. c. 4016), ediz. 1945. 62 Norme per la vita ed il servizio interno di caserma (n.c. 2938), ediz. 1946. Regolamento sul servizio territoriale e di presidio (n.c. 4792), ediz. 1949.
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63 Circolare 2000. Le pattuglie. Voi. II. Impiego e addestramento tattico (stralcio dell'addestramento di fanteria). 1948. Circolare 2100 del 6-XIl-1947. La squadra fucilieri. Voi. II. Impiego e addestramento tattico (stralcio dell'addestramento di fante ria). 1948. Circolare 2200 del 25-XI-1948 Il plotone fucilie ri. Voi. II. Impiego e addestramento tattico (Stralcio dell'addestramento di fanteria). 1948. Circolare 2300 del I-IX-1949. Lineamenti d 'impiego della compagnia fucilieri 1949. Circolare 24()() del I-Vll-1950. Lineamenti d'impiego del battaglione di fanteria. 1950. Circolare 2600 del I-X-1950. Lineamenti d'impiego della divisione di fanteria. 1950. Circolare 3000 del I-VI-1948 Organizzazione difensiva. Circolare 3100 del 15-VII-1950. La difesa su ampie fron ti. 1951. Circolare 1600 del 15-IX-1950. L'esplorazione. 1950. Circolare 1700 del I-X-1950 Impiego del reggimento di cavallerie blindata. 1950. Tutte edite dalla S.M.E. · Ufficio Addes tramento e regolamenti · Sez. Regolamenti. 64 Componente operativa: 5 divisioni di fanteria binarie; 2 divisioni di fanteria ternarie; l brigata corazzata, l'Ariete, su di un reggimento carri costituitosi in Roma; 9 reggimenti di fanteria non indivisionati; 3 reggimenti alpini; I reggimento bersaglieri; 2 gruppi di artiglieria da montagna; 2 g ruppi di artiglieria pesante campale (presso il CAAR di Civitavecchia); 2 gruppi di artiglieria contraerei pesante (presso la scuola di a. c/a di Sabaudia); l gruppo di artiglieria mi sto. Componente territoriale: 11 C.M .T.; 8 compagnie artieri; 9 compagnie collegamenti; I tribunale militare supremo; 12 tribunali militari territoriali (più due sezioni); 95 distretti militari; 72 depositi reggimentali e di CAR; 23 ospedali militari; 4 autogruppi (3 in Roma ed l in Udine); 11 autoreparti. Componente scolastica; corso di stato magg iore in Civitavecchia; scuola di cooperazione varie armi in Civitavecchia; accade mia militare in Modena; 16 scuole (AUC, ASC, specializzazione), 11 C.A.R. , 5 centri addestramento avanzato; is tituto geografico militare. 65 Foglio SME 710/ord.lI del 21-Itl-1949; foglio n. 540/ord ./I del 12-III-1949; foglio 1203/ord.lI del 30-III-1949. Venne previsto che il 132° artiglieria sarebbe stato completato con la costituzione di un secondo gruppo semovente da 105/22 e di un g ruppo semoventecontrocarri da 76/50 (meno la batteria preesistente)entro l'anno successivo. 66 Foglio SME 710/ord.lI del 29-IIJ-1945. 67 Foglio SME 280/ord.lI del 31-1-1949. 68 Veds. precedente nota n. 46. 69 D.L L. n. 400, 4-XII-1944, circ. n. 11, G.M . 1945, pg. 72. D.L 26-11-1 945, circ, n. 28 1, G.M. 1945, pg. 211. D.LL n. 249, 12-IV-1945, circ. n. 228, G.M. 1945, pg. 982.D.LL n. 311 , 26-IV-1945, circ. n. 262, G.M. 1945, pg. 1152. DLL n. 636, 7-IX-l 945, circ. n. 428, G.M. 1945, pg. 1666. DLL n. 553, 12-IV-1946, circ. n. 186, G.M. 1946, pg. 596. D.LL n. 604, - Abrogazione ·delle disposizioni ch e sanciscono l'obbligo della frequenza dei corsi allievi ufficiali di complemento - , 15-V-1946, circ. n. 208 G.M . 1946, pg. 667, D.L.C.P.S. n. 347, 2-VIII-1946, circ. n. 296, G.M . 1946, pg. 262. 70 Testo Unico delle disposizioni legislative sul reclutamento dell'esercito (numero categorico 3363). 71 D.L.C.P.S. n. 1624, 22-Xl-1947, circ. n. 68, G.M. 1948, pg. 195. DLPR n . 1624, 14-X-1948, circ. n. 98, G.M. 1949, pg. 212.
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Gastone Courtois. La scuola dei capi. Editrice Ancora, Milano, 1958, pg. 103. Ibidem, pg. 108. D.L.C.P.S. n. 45, 20-1-1948; circ. n. 86 G.M. 1948, pg. 223. Gli organici provvisori vennero così fi ssati: 7 generali di corpo d'armata; 24 generali di divisione; 3 generali di divisione dei carabinieri; 77 generali di brigata; 6 generali di brigata dei carabinieri; l generale di brigata servizio automobilistico; 1 generale di brigata del servizio tecnico di artiglieria; 1 generale di brigata del servizio della motorizzazione; 3 generali di brigata medici; 3 generali di brigata di commissariato. Anna dei carabinieri: 24 colonnelli; 91 tenenti colonnelli; 140 maggiori; 496 capitani; 627 subalterni. Anna di fanteria: 195 colonnelli; 510 tenenti colonnelli; 874 maggiori; 1748 capitani; 1835 subalterni; Armi di cavalleria: 13 colonnelli; 23 tenenti colonnelli; 39 m aggiori; 78 capitani; 82 subalterni. Arma di artiglieria: 100 colonnelli (compresi 6 del servizio tecnico); 261 tenenti colonnelli; 446 maggiori; 892 capitani; 937 subalterni (dei quali, tra tenenti colonnelli, maggiori, capitani e suba lterni, 54 del servizio tecnico). Anna del genio: 40 colonnelli; 104 tenenti colonnelli; 178 maggiori; 356 capitani; 374 subalte rni. Corpo automobilistico 14 colonnelli (di cui 3 del servizio tecnico); 5 1 tenenti colonnelli; 94 maggiori ; 188 capitani; 197 subalterni (dei quali, tra tenenti colonnelli e s ubalterni, 33 del servizio tecnico). Corpo sanità: medici: 28 colonnelli; 84 tenenti colonnelli; 168 maggiori; 336 capitani; 235 s ubalterni; chimici-farmacisti: I colonnello; 7 tenenti colonnell i; 21 maggior i; 42 capitani; 29 subalterni. Corpo di commissariato: IO colonnelli; 30 tenenti colonnelli; 60 maggiori; 120 capitani; 84 subalterni; sussistenza: 12 tenenti colonnelli; 24 maggiori; 92 capitani; 97 subalterni. Corpo di amministrazione: 10 colonnelli; 39 tenenti colonnelli; 11 7 maggiori; 234 capitani; 245 subalterni. Corpo veterinario: I colonnello; 6 tenenti colonnelli; 18 maggiori; 36 capitani; 25 subalterni. Tra i generali di corpo d'armata è compreso anche il comandante generale de ll 'anna de i carabinieri che sulla base del D.L. 26-IV-1945, (circ. n. 230, G.M. 1945, pg. 984) deve essere un generale di corpo d 'armata dell'esercito. 75 D.L. del 31-VII-1945 (circ. n. 560 G.M. 1945; pg. 1519), fu decisa la seguente ripartizione dei servizi dell'ammini strazione centrale del ministero per la guerra: gabinetto; direzione generale personale ufficiali; direzione generale personale civili e affari generali; direzione generale leva sottufficiali e truppa; direzione genera le di sanità militare; direzione generale servizio ippico e veterinario; ispettorato delle pensioni; quartier generale; repa rto autonomo carabinieri. Con DLCPS n. 165, 18-1-1947 (circ. n. 89. G.M. 1947, pg. 189), vennero soppressi gli ispettorati di sanità militare di zona che dipendevano direttamente dalla direzione generale di sanità. Nel 1946, con DLCPS n. 425 de l 21-XI-1946 (circ. n. 8, G.M. 1947, pg. 35), venne soppressa la direzione generale di artiglieria e della motorizzazione e vennero costituiti la direzione generale di artiglieria e l'ispettorato generale della motori zzazione. 76 D.L.C.P.S n. 955, 21 -IV-1948 (circ. n . 375, G.M. 1948, pg. 1103). 771 D.M. I-VI-1948 (circ. n. 3 14, G.M. 1949, pg. 834). Frattanto erano state apportate alcune modifiche al Regolamento di discplina dell 'esercito. D.L. 20-Vll-1945 (circ. n. 822, G.M. 1945, pg. 1442); D.C.P.S. 27-V-1947 (circ. n. 338, G.M. 1947, pg. 918). 77bis Il Volume - I Categoria - Testo - Tavole - Ma teriale da 90/53 e.a. mod. 41 C e 41 P 1945. idem. Cannone cont rocarri da 76/55 (17 lbs) MKI (II, V, Categoria). 1943. V Volume - 111 Categoria. Armi porta tili - Loro pa rt i ed accessori. Testo. Tavole. Fucili n. 4, n. 4 MKI, n. 4 MKI, n. 4 MKI (f) cal. 7,7 (0 ,303) 1948. Idem. Fucile n. 3 cal. 7 ,7 (O", 303) 1948. Idem. Fucile n. I MK III, MK lii cal. 7,7 (O", 303) e fucile _n . 2 73 74
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MK IV, cal. 5,6 (O", 22) 1948. Idem. Moschetto automatico Thompson cal. II, 21 (O", 45). 1948. Idem. Pistola Beretta mod. 34 (cal. 9), 1948. Idem. Moschetti automatici Beretta mod_ 38/A, 38/A42, 38/A44, cal. 9., 1948. VT Volume - !Va Categoria Armi speciali per fanteria, loro parti ed accessori (mitragliatrici, cannoncini da fanteria e di carri d 'assallo, mitragliatrici per carri d'assalto e per autoblindo, lanciabombe) - Testo Tavole · Mitragliatrice Breda mod. 37, I 948. Mitrngliatrice Breda mod. 38, 1948. Mortaio di assalto Brixia mod. 35, 1948_ Mortaio d a 81, mod. 35, 1948. Idem. Fucili mitragliatori Bren cal. 7,7 (O" , 303), 1948. Idem. Lanc iabombe P.I.A.T. - MKI controcarro per fanteria. 1948. idem. Mitragliatrice Browning 7,62 (O", 30) , 1949. idem . Mitragliatrice Browning ca!. 12,7 (O", 50) MTT a canna pesante, 1949. Idem. Supporti per mitragliatrici Browning ca!. 7,62 (O", 30), ca!. 12,7 (O", 50) s u mezzi blindati e corazzati. 1950. Idem. Mortaio da 50,8 (2") per carri a rmati e autoblindo. 1949. Idem. Lanciarazzi da 60 mm (2 ", 36) M9 e M9AI, 1950. Idem. Mortaio da 60 mm M2 su biped e M2 e MS, 1950. VII Volume - va Categoria. Munizion i, artifizi ed esplosivi da mina; imballaggi ed attrezzi relativi. Testo-Tavole. Munizionamento di artiglieria americana.Testo-Tavole, 1949. Idem . Munizionamento di armi de lla fanteria americana, 1949. TX Volume-VI/a Categoria Carreggio (carri, carrette, carri rimorchio, a vantreni, retrotreni e carrelli) IX fascicolo. Ma teriale d a 100/ 17, mod. 14, 1949. XXX Volume XXX/° Categoria Autovetture-autocarri comuni dovunque-auto speciali . 195 1, XLV Volume-XXXT/1 Categoria. Motocicli, motocarri, motofurgoni, motocarrozzette, telai e carrozzerie varie. 1950. XXXV" Volume - XXXV Categoria - Gomme - 1° fascicolo, 1949; serie di tavole aggiuntive, 1951. Idem. Cuscinetti di rotolamento, 2° fascicolo, 1950. Idem Bulloneria, 3 ° fascicolo, 1950. Idem. Accessori per auto, moto, impianti elettrici, carburatori, filtri, depuratori, pompe di iniezione, iniettori. pompe d 'alimentazione, ganci di traino, 4° fa scicolo, 195 1. Non di tutte le pubblicazioni s i ha riscontro nel G.M., m a solo di alcune i cui estremi si ricavano da: Circ. n. 362, I-VII-1948, G.M. 1948, pg. 1044. Circ. n. 462, 16-IX-1948, G.M. 1948, pg. 1275. Circ. n. 330, 8-X-1949, G.M. 1949, pg. 863. Circ. n. 331, 8-X-1949, G.M. pg. 853. Circ. n. 56, 22-(-1949, pg. 156. Circ. n. 60, 24-1-1949, pg. 159. Circ. n. 83, 8-II-1949, pg. 190. Ci..-c. n. 84, 8-ll-1949, G.M. 1949, pg_ 190. Circ. n . 87, 21-11-1949, G.M. 1949, pg. 193. Circ. n. 183, 23-V-1949, G.M. 1949, pg. 477. Circ. n. 332, 8-X-1949, G.M. 1949, pg. 854. Circ_ n. 333, 8-X-1949, pg. 854_ Circ. n. 387, 15-XI-1949, G.M. 1949, pg. 1259. _C irc. n. 175, 12-IV-1950, G.M. 1950, pg. 479. Circ. n . 190, l 9-IV-1950, G.M. 1950, pg. 517. Circ_ n_ 242, IO-VI-1950, G.M. 1950, pg_ 717. Circ. n. 339, 13-IX-1950, G.M. 1950, pg. 1002. Circ. n. 361 , 30-IX-1950, G.M. 1950, pg. 1106; Circ. n. 433, 15-lX-1950, G.M. 1950, pg. 1467. Circ. n. 185, ll-Vll-1946, G.M. 1946, pg. 587. Circ. n. 221, 13-Vll-1946, G.M. 1946, pg. 703. Circ. n. 33 1, 10-X-1947, G.M_ 1947, pg. 903. 78 Documentazione dello S.M.E. Ufficio Ordinamento. Promemoria d el 17 aprile 1948. Dipendenza degli s rabilimenti militari e nota de l 3 gennaio 1948. 79 DLL. n_ 398, 16-XJ-1944 (circ. n. 9, G.M . 1945, pg_ 69). 80 DLL. n. 605, 12-IV-1946 (circ. n. 204, G.M. 1946, pg. 662). 81 Il primo corso di stato maggiore venne inde tto dallo S.M.E. con il foglio 1910/F/8 del 28-lll-1943, il secondo con il foglio 480/F/8 d el 24-1-1948 cd il terzo con il fog lio 9765/F/8 del 29-XII-1948. Il primo corso superiore fu indetto con circolare S.M.E. 3560-13-1 del 27-IX-1949. L'elenco degli ammessi a i corsi e dei risultati ottenuti d a i singoli furono pubblicati per la prima volta nel giornale militare nel lug lio del 195 1 (circ. n. 249, 5-VII-1951, pg_686; circ. n. 250. 5-VII-1951, pg. 687; circ. n. 251, 5-VII-1951, pg. 691; circ. n. 254, 5-VIl-1951 , pg. 692; circ. n. 255; 5-VII-1951. pg. 693; circ. n. 256, 5-VII-1951. pg. 694).
CAPITOLO
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LA RICOSTRUZIONE E LA RIPRESA
1. La politica interna ed estera italiana dal 1948 al 1960. 2. La politica militare italiana dal 1948 al 1954 e gli stanziamenti di bilancio per l'esercito nel decennio 1948-1957. 3. La soluzione data al problema dell'esercito nei limiti del trattato di pace e della disponibilità finanziaria. 4. L'impiego delle varie armi nel progetto del nuovo ordinamento. 5. L 'ese rcito di campagna. 6. L'organizzazione centrale e l'organizzazione territoriale. 7. l 'organizzazione scolastica e addestrativa. 8. Conclusioni sul progetto del nuovo ordinamento. 9. S viluppo dell'esercito di campagna. 10. Sviluppo dell'organizzazione centrale e periferica, di quella territoriale, di quella operativa e di quella logistica. 11. Sviluppo dell'organizzazione scolastica e addestrativa. 12. Conclusione sulla ricostruzione.
1.
L'avvento della repubblica (2 giugno 1946), la firma (10 febbraio 1947) e la ratifica (31 luglio 1947) del trattato di pace, l'adesione al Piano Marshall (4 giugno 1947), la cessazione del regime di occupazione (15 dicembre 1947), l'entrata in vigore della nuova Costituzione (l gennaio 1948), la firma del trattato di amicizia italo-americano (2 febbraio 1948), l'adesione all'alleanza atlantica (4 aprile 1949) furono gli avvenimenti storici determinanti della politica interna ed estera dell'Italia nei primi anni del dopoguerra. La scelta republicana e democratica in politica interna e quella occidentale in politica estera segnarono l'avvio del nuovo corso, che tuttora viviamo, della storia d'Italia, le pre messe del quale erano state la p a rtecipazione alla guerra degli alleati in Italia, la resistenza e la fine del fascismo. Sia la scelta repubblicana e democratica sia quella dell'entrata nello schieramento occidentale non furono senza contrasti e la prima venne compiuta quando il paese era ancora di fatto nella condizione armistiziale e di occupazione militare. ma tale circostanza nulla tolse alla libertà e volontarietà
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delle decisioni che furono entrambe il risultato di consultazioni popolari libere ed ordinate. La scelta occidentale fu opera del quarto governo De Gasperi I - questi l'aveva preparata fin dal suo viaggio negli Stati Uniti nelle settimane a cavallo tra il 1946 e il 1947 - ma essa venne solennemente ratificata, se così si può dire, dalla grande maggioranza del popolo italiano il 18 aprile 1948, quando l'occupazione alleata era finita da quattro mesi, mediante l'assegnazione di uno schiacciante numero di seggi nelle due assemblee parlamentari ai partiti ed agli uomini favorevoli a tale scelta 2. La democrazia cristiana da sola conquistò la maggioranza assoluta sia alla Camera sia al Senato. Alla grande vittoria elettorale dei partiti favorevoli alla scelta occidentale contribuì anche la dichiarazione degli alleati a favore del ritorno di Trieste all'Italia, ma il fattore principale che la determinò fu il ripudio di una seconda avventura totalitaria, alla quale il paese sarebbe andato incontro qualora avessero prevalso il partito comunista italiano e le formazioni politiche a questo collegate, che forse non si rendevano conto della ineluttabilità della loro fine in caso di vittoria dei seguaci di Stalin. Nelle elezioni del 1948, che furono in un certo sen so un referendum pro o contro la scelta occidentale, la maggioranza intese confermare la fedeltà agli ideali civili, politici, religiosi della propria tradizione, affini anzi consanguinei a quelli dei grandi paesi dell'Europa occidentale. L'inserimento dell'Italia nello schieramento occidentale - una volta che la guerra fredda fra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica aveva già diviso il mondo in due modi dive rsi di concepire e realizzare la convivenza internazionale e l' assetto socio-economico interno degli Stati - prima ancora di una scelta po litica contingente, fu una riaffermazione degli ideali e dei valori lasciati in eredità dagli uomini di pensiero e di azione del Risorgimento e per i quali aveva avuto ragione di essere la lotta contro il fascismo ed il nazismo e contro tutte le dittature, ivi compresa quella cosiddetta del proletariato. A tali motivazioni di fondo si sommavano quelle della posizione geo-strategica del paese e dei bisogni della ricostruzione materiale resa possibile appunto dal concorso di .aiuti offerto solo dal mondo occidentale. I governi di coalizione antifascista avevano accettato i soccorsi dell'U.N.R.R.A. (United Nations R elief and Rehabilitation Administration - amministrazione delle N azioni Unite per il soccorso e la ricostruzione) - organizzazione internazionale istituita nel 1944 da 44 Stati alleati per aiutare in specie con la distribuzione, tramite i governi nazionali, di generi
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alimentari, indumenti, materiali sanitari e sussidi per .la ricostruzione di case d'abitazione, le popolazioni dei paesi che avevano subito l'occupazione bellica e le devastazioni. Gli aiuti, estesi poi anche alle nazioni ex-nemiche, furono sostenuti per il 73% dagli Stati Uniti e per il 17% dalla Gran Bretagna. Gli interventi dell'U.N.R.R.A. sarebbero presto cessati e, d 'altra parte, se erano valsi a consentire la sopravvivenza fisica della nazione, non erano stati certo bastevoli ad avviare la ricostruzione organica del tessuto socio-economico italiano. L'ostilità pregiudiziale dei partiti comunista e socialista ad ogni forma di collaborazione politica con gli Stati Uniti di America e conseguentemente ad accettare il piano Marshall, senza peraltro prospettare una soluzione di ricambio, decise De Gasperi ad estromettere i due partiti dal governo ed a rompere sul piano governativo la coalizione antifascista proprio per aderire al piano di ricostruzione europea (European Recovery Program E.R.P.) che sarebbe stato gestito congiuntamente da un organismo americano (United States Economie Cooperation Administration U.S.E.C.A.) e da uno europeo (Organi zzazione europea di Cooperazione Economica - O.E.C.E.). L'E.R.P. era senza dubbio qualcosa assai diverso dall'U.N.R.R.A. e la vistosa veste economica non copriva certamente il contenuto politico di decisa opposizione al comunismo ed all'espansionismo sovietico; anzi lo scopo dichiarato dal piano Marshall fu il contributo alla ripresa economica delle nazioni e uropee e, in particolare, di quelle più minacciate dall'Unione Sovietica per il tramite d e i partiti comunisti satelliti, come appunto erano in quel periodo la Grecia, la Turchia, l'Italia. Il partito comunista italiano, il più forte numericamente di quelli europei occidentali e tra i più devoti a Mosca, aveva come leader una personalità di grande spicco ne l comunismo internazionale, l'onorevole Palmiro Togliatti, che divenne il capo carismatico dell'opposizione all'adesione dell'Italia prima al piano Marshall, e poi al Patto Atlantico, e che trascinò nell'opposizione anche il par tito socialista italiano (leader del quale era l'onorevole Pietro Nenni), legato a quello comunista da un patto di unità d'azione quanto mai ambiguo per un partito dalle due anime, la rivoluzionaria e la riformista, che lo travagliavano da sempre e che avevano già prodotto nel 1921 la scissione dell'ala sinistra. Questa volta si scisse l'ala riformista, e mentre l'ala maggioritaria massimalista che peraltro riuniva al suo interno molte sfumature distinte e variegate - rimase fedele al patto di unità d'azione con i comunisti, una buona aliquota di quella riformista, guidata dall'on. Giuseppe
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Saragat, fece parte a sé stessa e si riunì, come abbiamo già ricordato, nel partito socialista democratico italiano che si rifece allo spirito ed agli insegnamenti di Filippo Turati, Claudio Treves, Giacomo Matteotti e di tanti altri socialisti degli anni venti e degli anni precedenti. La costituzione del partito socialdemocratico fu un altro degli avvenimenti decisivi del nuovo corso della politica italiana e non solo ampliò l'area dei consensi alla scelta europeistica ed atlantica, ma inciderà positivamente sul lungo processo evolutivo dell'altro partito socialista verso tale scelta. Le elezioni del 1948 si svolsero in un clima di crociata da entrambe le parti, ma il fronte democratico popolare (lista unica dei partiti comunista e socialista) uscì seccamente sconfitto dalla consultazione, nonostante l'appropriazione indebita dell'immagine di Garibaldi fatta campeggiare nei manifesti della propaganda elettorale. La crociata delle sinistre, inoltre, concorse indirettame nte a dare credito alle tesi dei reazionari e dei nostalgici che riuscirono a guadagnare voti: il partito monarchico conquistò 14 seggi alla Camera e 3 al Senato e quello neofascista 6 seggi alla Camera. Le nuove Camere elessero presidente della repubblica l'economista Luigi Einaudi che reincaricò della formazione del governo l'onorevole De Gasperi il quale. nonostante la maggioranza assoluta conquista dal suo partito, chiamò a fare parte del suo nuovo gabinetto i due partiti della precedente coalizione (socialdemocratico e repubblicano) ed il partito liberale italiano. Dopo circa due mesi dalla sua costituzione, il nuovo governo si trovò inopinatamente a dover fronteggiare la reazione socialcomunista all'attentato alla vita del leader comunista Togliatti rimasto gravemente ferito da colpi di arma da fuoco sparatigli da un esaltato. Il paese s i trovò sulla soglia di una crisi gravissima tanto più pericolosa perché coincidente con la battaglia ostruzionistica che l'opposizione veniva conducendo nel Parlamento contro la ratifica del Patto Atlantico. Il senso del reale e di responsabilità dello stesso partito comunista e la fermezza d e l governo evitarono il peggio. Non furono queste né la sola turbolenza piazzaiola dei socialcomunisti né la sola battaglia ostruzionista condotta nel Parlamento. Di queste ultime un'altra non meno aspra e lunga fu quella scatenata dalle opposizioni contro la legge elettorale maggioritaria. Il clima di rissa, esasperato periodicamente da manifestazioni e scioperi politici di massa - non sempre contenuti le une e gli altri nei limiti della legittimità e legalità - nei quali s'infiltravano spesso i soliti pescatori nel torbido, quando non anche gli specializzati nella
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provocazione, divenne ancora più acuto dopo la rottura dell'unità sindacale e la costituzione di tre organismi sindacali distinti: la Confederazione generale italiana del lavoro (C.G.I.L. d'ispirazione socialcomunista, la Confederazione internazionale dei sindacati liberi (C.I.S.L.) d'ispirazione democristiana, l'Unione italiana del lavoro (U.1.L.) d'ispirazione socialdemocratica e laica. L'opposizione socialcomunista era molto bene organizzata, oltre che numericamente consistente, e nelle manifestazioni di massa sulle piazze poneva di continuo il governo nell'angoscioso dilemma o di ricorrere alla forza per reprimere le illegalità, correndo così il rischio di essere colpevolizzato d'insensibilità sociale e politica e di antidemocrazia, o di lasciar correre e chiudere entrambi gli occhi, inducendo in tal modo le sinistre a gridare vittoria e le destre ad accusare il governo di cedimento e di debolezza morale e politica. Un'opposizione siffatta, basata sul preconcetto, sulla demagogia, sulla minaccia e sulla prepotenza, rese dura e difficile la vita dei governi degli anni cinquanta e, sebbene non fosse senza risultati sul piano del miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori dell'industria e dell'agricoltura, ritardò l'attuazione delle riforme costituzionali, esasperò le resistenze dei ceti conservatori tuttallora tanto forti e potenti quanto culturalmente arretrati, concesse ulteriore spazio alle nostalgie fasciste. Nel clima dell'incomunicabilità tra maggioranza e opposizione e d'irrigidimento dei partiti su posizioni del tutto inconciliabili, l 'opera di ricostruzione non avrebbe potuto essere perseguita qualora fossero venute meno compattezza e fermezza da parte della maggioranza ed i governi non avessero posse duto la carica morale e la volontà politica di ricostruire materialmente il paese. Il Parlamento ed i governi 3 - in particolare, di questi ultimi, quelli diretti da De Gasperi dal maggio 1948 all'agosto 1953 - poterono, negli a nni cinquanta, nonostante tutto, comprese le divergenze che pure esistevano all'interno degli stessi partiti della maggioranza, portare a compimento la ricostruzione materiale e dare l'avvio al processo d'industrializzazione che avrà il suo massimo sviluppo negli anni sessanta. Vi furono naturalmente errori d'impostazione, di metodo e di comportamento, che valsero spesso a dar ragione all'opposizione, ma la validità delle scelte di fondo troverà conferma negli anni sucessivi, allorquando il partito socialista romperà il patto di unità d 'azione con il partito comunista e recepirà gradualmente, non senza fatica e ritardi, i postulati della politica estera dei governi centristi degli anni cinquanta. Di questi, anche quelli della seconda metà degli anni SO, ancorché
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intrinsecamente meno forti e meno volitivi dei governi del primo quinquennio, rifacendosi tutti al centrismo degasperiano, riuscirono a completare in sede di politica estera l' inserimento dell'Italia negli organismi internazionali - nel 1951 l'Italia era entrata nella C.E.C.A. 4, nel 1955 fu ammessa all'O.N.U. 5, nel 1957 concorse alla costituzione del M.E.C. 6 e dell'E.U.R.A.T.O.M. 7, mentre nel 1954 aveva già potuto recuperare la piena sovranità della città di Trieste mediante il compromesso di Londra - e in sede di politica interna a garantire le condizioni necessarie alla ripresa produttiva. Superata l'inflazione degli anni 1945-'47, stabilizzata la moneta negli anni l 947-'49, aumentata gradatamente la produzione industriale - il cui avvio era stato favorito dalla utilizzazione dei materiali Suplus e Savage avuti dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna come residuati di guerra (gestiti da un'apposita azienda, l' A.R.A.R., creata dal governo Parri), nonché soprattutto dagli aiuti dell'E.R.P. - cresciuto il reddito nazionale, messa mano alla riparazione delle devastazioni belliche, i governi centristi riuscirono in tempi assai brevi a reinserire il sistema produttivo nazionale nel più vasto mercato internazionale con un notevole incremento del commercio con l'estero, tanto da poter ripristinare la convertibilità della lira (625 lire per un dollaro). Venne intensificato l'intervento dello Stato nel sistema economico mediante l'espansione dell'Istituto per la ricostruzione industriale (I.R.I.), cui vennero affidate la riorganizzazione e la gestione delle partecipazioni statali nelle industrie, e mediante l'istituzione di nuovi enti pubblici gestiti in concorrenza con le aziende private e con criteri di gestione simili a quelli di queste ultime: la società nazionale metanodotti (S.N.A.M.), l'Ente nazionale idrocarburi (E.N.I.), ecc. Vennero avviate ed attuate, nonostante le preoccupazioni conservatrici di una parte della stessa maggioranza e le resistenze dei ceti privilegiati, la riforma tributaria ideata dall'onorevole Ezio Vanoni e quella agraria dell'onorevole Antonio Segni, e venne dato corso ad un grandioso piano per l'edilizia popolare messo _in cantiere dall'onorevole Amintore Fanfani. Mediante l'istituzione della Cassa per il m ezzogiorno fu compiuto un primo tentativo di risollevamento delle aree depresse del sud. Non tutto andò per il meglio: ai vecchi si sovrapposero nuovi non meno gravi ed urgenti problemi. I tradizionali squilibri tra nord e sud e tra industria e agricoltura non vennero eliminati, anzi furono aggravati dall'imponente migrazione interna dal sud al nord e dall'agricoltura all'industria con la conseguente crescita del fenomeno dell'urbanesimo, cui si legarono
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il decadimento dei valori morali tradizionali ed il degrado della famiglia. Vi furono settori appena sfiorati dalle riforme quali, ad e sempio, quelli dell'istruzione, della sanità e dell'assistenza. Il numero dei disoccupati diminuì rispetto a quello del 1945 di un milione, ma nel 1960 era ancora pari a circa un milione e mezzo di unità. In alcuni settori, ad esempio in quello dell'agricoltura, alcune riforme si rivelarono successivamente effimere, quando non furono esse stesse origine di sprechi e di nuovi mali. Verso la fine degli anni cinquanta restava ancora molto da fare e da rifare per completare, per miglio rare ed anche per mettere ordine là dove il processo di ricostruzione e di rinnovamento, per la rapidità con la quale era venuto sviluppandosi, aveva lasciato lacune minacciose o prodotto escrescenze patologiche. Una delle carenze dei governi del periodo 1945-'50 fu il non essersi sufficiente mente staccati dal passato e di aver guardato più indietro ch e avanti, la vorando cioè più su schemi vecchi che non sull'ideazione di nuovi_ Ma il reinserimento dell'Italia nel circuito della politica internazionale, la scelta europeistica ed atlantica, la ripresa della competitività dell'economia italiana nel mercato europeo e mondiale e l'avanzata opera di ricostruzione materiale del paese, come pure la messa in essere delle condizioni per un grande sviluppo industriale, nel loro insieme, furono, al di là delle insufficienze e degli errori, un'impresa titanica sostanzialmente positiva, almeno sul momento. La ricostruzione e la ripresa non furono merito solo dei governi; ad esse concorsero in misura determinante l'iniziativa degli operatori economici e la laboriosità de i cittadini decisi a risorgere. Questi ultimi, infatti, nonostante fossero nella grande maggioranza ma le retribuiti e vivessero in condizioni di dis agio abitativo ed alimentare, confermarono le loro doti e qualità d'intelligenza, di facilità di apprendimento, di capacità produttiva, di adattamento e di spirito di s acrìficio proprie del popolo italiano. Molti degli uomini che sedettero in Parlamento e parteciparono ai governi che guidarono il paese in quegli anni appartenevano alla generazione prefascista, alcuni possedevano il carisma dei capi, altri godevano di prestigio per essere scienziati, esperti, professionisti di grido, ed erano dotati di qualità intellettuali e di capacità politica di spicco; non poc hi inoltre avevano il senso dello Stato e la probità dei galantuomini. Altri avevano esperienza parlamentare e di governo e tornavano dal carcere, dall'esilio e dalla persecuzione fascista, erano cioè uomini temprati alla scuola del dolore, della sofferenza e della rinunzia. Solo akuni tra i più giovani di loro
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utilizzarono il potere per occupare lo Stato con l'intento di un vantaggio personale o di partito, non per servirlo anteponendo l'interesse nazionale a quelli settoriali. Diversi, indipendentemente dall'appartenenza ad uno od all'altro partito che li distingueva per l'ideologia professata, furono uomini, più o meno validi, ma generalmente animati da onestà di pensiero e da probità di vita. De Gasperi poté più degli altri rendere testimonianza delle sue grandi qualità di uomo politico, di uomo di governo e di statista - un aggettivo questo ultimo che veramente merita come il Cavour ed il Giolitti - ma, senza la collaborazione di uomini politici e di governo non meno preparati, saggi ed onesti, del suo e degli altri partiti della maggioranza, non avrebbe potuto condurre in porto la ricostruzione e promuovere la ripresa economica, tanto più che di economia se ne intendeva nulla o poco. Egli meritò a giusto titolo l'appellativo di presidente della ricostruzione perché ebbe appunto preminente il senso dello Stato ed ebbe dello Stato una concezione strettamente etica e giuridica, lontana comunque da ogni idealizzazione e speculazione ideologica e teoretica. Non si curò oltremisura delle divergenze tra la concezione normativista e quella istituzionalista e considerò lo Stato una realtà oggettiva storica, che è di tutti, ma al di sopra di tutti, sovrana e indipendente sebbene lega ta da vincoli ideali, prima ancora che giuridici, alle altre comunità statuali nel comune reciproco riconoscimento. Da qui il suo europeismo. Ebbe altresì chiara la classica ripartizione dei poteri orerata per la prima volta dal Montesquieu. Uomo di parte, seppe porsi al di sopra delle parti, fu alieno da ogni esclusivismo, ma non accettò mai compromessi ideologici, mentre conciliò in una sintesi ardita ed armonica nella prassi di governo la sua fede di cattolico convinto e praticante con i principi della democrazia liberale dello Stato di diritto non confessionale; intese il potere come servizio da rendere alla collettività nazionale senza distinzioni di parte e di ognuna di queste rispettò il pensiero e la azione purché nei limiti della legge. Quali che fossero i difetti, le carenze e gli sbagli, egli s'impose come la personalità politica più prestigiosa della ricostruzione e sotto tale aspetto fu un novello Cavour. Malgrado le sue angolosità di carattere non gli procurassero facili simpatie, la sua dirittura morale, mai messa in discussione neppure dai suoi avversari, la sua capacità politica, la sua linearità di pensiero e di azione, la sua fermezza n elle decisioni coraggiose e prudenti ad un tempo, gli procurarono il rispetto della maggioranza del popolo italiano e gli assicurarono la collaborazione leale e piena anche di uomini di diversa formazione ideologica. Convinto ed ac-
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ceso anticomunista, fu uomo d'impareggiabile equilibrio e garantì agli stessi comunisti tutte le libertà costituzionali dovute loro. Volle tentare di assicurare, sull'esempio dell'appena nata repubblica federale tedesca, continuità all'azione legislativa e di governo mediante una legge elettorale maggioritaria intesa a costituire un forte gruppo politico pluralista di centro ed a ridurre la forza parlamentare delle sinistre ed i rivoli dispersivi delle liste insignificanti che la legge consentiva di mettere in lizza. La legge, dopo una lunga ed aspra battaglia, venne approvata, ma nelle elezioni del 1953 8 il quorum stabilito non scattò. De Gasperi si ritirò dalla politica attiva, anche per le incomprensioni di una parte del suo partito, e poco più di un anno dopo morì, nell'agosto del 1954, a Selva di Val Gardena, tra le cime dei monti che l'avevano visto nascere settantatré anni prima. Il ritiro di De Gasperi non mutò la linea della politica interna ed estera italiana e la formula centrista dei successivi governi. Nel 1955 le Camere elessero presidente della repubblica l'onorevole Giovanni Gronchi, democristiano. Dei governi succedutisi dal I 953 al 1958 9 ebbero durata più lunga quello presieduto dal democristiano Mario Scelba (18 mesi) e quello presieduto dal democristiano Antonio Segni (quasi 2 anni), durante i quali fu condotta a termine l'opera di ricostruzione ed ebbe inizio l'attuazione delle prime riforme costituzionali . Nel 1956 venne insediata la Corte Costituzionale e, per il decennio 1954-'64, venne ideato e proposto dal ministro Vanoni un piano di sviluppo dell'occupazione e del reddito che costituì la piattaforma di lancio dell'economia italiana. Sul piano strettamente politico, gli avvenimenti più significativi del secondo quinquennio degli anni cinquanta, furono l'inizio del ripensamento autonomista del partito socialista italiano e il distacco di tale partito da quello comunista. Le drammatiche rivelazioni fatte da Chruscev al XX congresso del partito comunista sovietico nel 1956 e la repressione, nell'ottobre dello stesso anno, della rivolta ungherese da parte dei carri armati sovietici indussero il partito socialista a rivedere tutta la politica fino ad allora seguita e ad accelerare e rendere palese il processo di una maggiore indipendenza di pensiero e di azione dal partito comunista, iniziatosi, già prima della repressione della rivolta ungherese, con l'inçontro nell'agosto 1956 tra i leader dei due partiti socialisti, Giuseppe Saragat e Pietro Nenni, a Prolognan in valle d'Aosta, per un esame congiunto delle rispettive posizioni. Da tale incontro ebbe inizio il lento e gradua le avvicinamento del partito socialista alle posizioni socialdemocratiche, premiato nelle eleziÒni del 1958 10 che, oltre segnare l'aumento in pe rcentuale ed
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in seggi dei partiti di centro, fecero salire i consensi al partito socialista dal 12,81 al 14,2% con l'assegnazione di 84 seggi alla Camera (9 in più) e di 35 al Senato (9 in più). All'aumento dei consensi ai partiti di centro ed al partito socialista corrispose un significativo calo dei partiti di destra: il movimento sociale italiano perse 5 seggi alla Camera ed 1 al Senato, il partito monarchico· 15 seggi alla Camera e 7 al Senato. Della chiara indicazione dell'elettorato non tennero tempestivamente il conto dovuto né i partiti di centro né lo stesso partito socialista, ancorché esistessero, di fatto, difficoltà serie ed obiettive, non facili a superarsi, perché si potesse addivenire, quasi repentinamente, ad un'intesa politica leale e completa tra partiti che si erano fino ad allora aspramente combattuti, senza risparmio di colpi, sul piano ideologico, politico, sociale e soprattutto su quello della politica estera e ancorché non fosse meno ardua e delicata la situazione interna del partito socia li sta, travagliato da dissensi e contrasti nei riguardi del nuovo corso della propria linea politica, ancora in verità molto sghemba ed incerta. Si succedettero pertanto governi instabili e si formarono maggioranze deboli e labili per cui dal giugno 1958 al luglio 1960 si ebbero ben 5 governi, l' ultimo dei quali, presieduto dall'onorevole Fanfani, aprì la strada ad un primo tentativo di collaborazione sul piano parlamentare tra il centro e la sinistra. Frattanto anche il partito comunista, che continuava ad essere guidato da Togliatti, muoveva i primi timidi passi per una politica meno succube di Mosca. Sul piano della politica internazionale, cessata la guerra fredda alla quale avevano fatto da sfondo le guerre calde di Corea, dell'Indocina, della Malesia e la rivolta del Kenya, l'orizzonte, nonostante il disgelo tra Stati Uniti ed Unione Sovietica, rimase coperto da nubi sparse e minacciose di continui e ripetuti temporali quali quelli dell'intervento armato anglo-francese a Suez (1956), dell'attacco israeliano nel Sinai (1956), della campagna di Cipro (1955-'59), dell'inizio della guerra di Algeria (1954) e della rivoluzione di Fidel Castro a Cuba (1958-'59), per ricordare solo quelli, di segno vario, più tempestosi.
2. Sul piano della politica estera e militare l'Italia, uscita dalla condizione armistiziale e di occupazione alleata, aveva avuto teoricamente tre possibilità di scelta: la neutralità armata, il disarmo
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unilaterale, l'aggregazione alla politica dei blocchi. La neutralità armata, del tipo elvetico o svedese, sarebbe stata fuori della realtà economica e finanziaria e non avrebbe garantito il paese dall'eventualità della guerra stante la sua posizione geo-strategica di spartiacque del Mediterraneo al quale entrambe le superpotenze erano e restano intensamente ed esistenzialmente interessate. Il disarmo unilaterale assoluto, per lo stesso motivo, sarebbe equivalso in caso di guerra ad un invito all'occupazione straniera che avrebbe ridotto l'Italia a spettatrice passiva ed impotente del conflitto tra le due parti, con vittime e devastazioni non meno numerose e gravi di quelle prodotte da una sua partecipazione diretta ad uno dei due blocchi, senza dire che chf non si difende rischia quasi sicuramente di perdere sé stesso per sempre. L'unica scelta possibile fu, dunque, l'aggregazione ad un blocco e questa, per i tanti motivi ricordati, non poté essere diversa da quella operata dai partiti di centro. L'adesione all'alleanza atlantica fu un atto libero, volontario e sovrano, ma in un certo senso storicamente obbligato. D'altra parte, l'adesione ad un'alleanza politico-militare comporta da sé una rinunzia ad un certo grado di sovranità, più o meno spiccato in relazione all'apporto che uno Stato è in condizioni di dare alla sicurezza ed alla difesa comuni. Abbiamo già annotato che in questo senso la teoria della sovranità limitata di Breznev ha una certa validità, ma deve restare fermo il principio che nessuno può essere costretto con la forza ad un'alleanza e ciascuno deve essere lasciato libero di uscirne nei termini pattuiti, mentre tutti finché vi rimangono debbono poter partecipare all'attività decisionale che si concreti in assunzione di responsabilità collettiva, determinata all'unanimità od a maggioranza a seconda dei testi dell'accordo. L'Italia aderendo all'alleanza atlantica non dette in appalto né la sua sovranità, né la sua sicurezza, né la sua difesa ad altri, ma per garantirle, non potendolo fare da sola, si associò alle maggiori potenze occidentali a parità di condizioni morali e giuridiche con queste, anche se sul piano pratico dové prendere atto del maggior peso di cui gli Stati Uniti avrebbero necessariamente goduto nell'alleanza non solo rispetto all'Italia stessa, ma anche a tutte le altre potenze, comprese la Gran Bretagna e la Francia uscite vittoriose dalla guerra. Al momento dell'adesione fu sottovalutato il costo economico e finanziario della partecipazione, nell'illusione che la schiacciante superiorità nucleare degli Stati Uniti sarebbe stata un fatto permanente, per cui il prezzo del premio di assicurazione da pagare sarebbe rimasto costantemente assai basso. Ouando nel tempo tale
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prezzo aumentò, l'Italia, e non solo l'Italia, venne a trovarsi in difficoltà e, come vedremo più avanti, alla continuità della linea di politica estera non corrispose, ancora una volta, una linea di politica militare coerente. Venuti meno o ridottisi gli aiuti del piano di mutua difesa (Mutuai Defence Aides Program - M.D.A.P.) che aveva incentivato il riarmo iniziale, i governi italiani succedutisi dal secondo quinquennio degli anni cinquanta in poi non furono pronti e solleciti nell'affrontare il nuovo sforzo economico e finanziario richiesto dal mutare delle situazioni politiche, strategiche, militari e tecnologiche, e le forze armate persero punti della loro efficienza che andò progressivamente decadendo. Ciò non vuol dire che non vi furono aumenti nello stanziamento dei fondi finanziari, ma che questi giunsero in ritardo od in misura insufficiente e non affatto adeguata al tasso d'inflazione, mentre da parte dei vertici militari non sempre vi furono la prontezza e l'oculatezza bastevoli a tagliare le germogliazioni iniziali, divenute nel tempo nocive alla sopravvivenza del tronco vitale della pianta. Davvero intenso, sostenuto e vdoc..:e fu il ritmo della ricostruzione dell'apparato militare dal 1948 al 1954 ed il merito di ciò fu in primo luogo del ministro della difesa, onorevole Randolfo Pacciar<li, già valoroso combattente nella prima guerra mondiale e nell e formazioni antifasciste durante la guerra civile spagnola, che si dedicò all'attività ricostruttiva con convinzione, passione e capacità, facendosi chiaro e deciso interprete delle es igenze militari in sede governativa, dove non sempre peraltro gli altri ministri, a cominciare dallo stesso De Gasperi, per motivi di formazione ideologica e di competenza, dimostravano piena contezza dei problemi della s icurezza e della difesa e degli obblighi derivanti dall'adesione al Patto a tlantico, dei quali, invece, l'onorevole Paccìardi si era subito reso consapevole ed aveva tradotto in soluzioni militari strettamente aderenti alla nuova politica estera del paese. Capi di stato maggiore della difesa e dell'esercito furono rispettivamente durante il periodo de lla ricostruzione i generali Trezzani 11 e Marras 12 - il primo fino al 1 dicembre 1950 ed il secondo fino al 15 aprile 1954 - ed i generali Ernesto Cappa 13, che aveva sostituito il generale Marrasa dal 1 dicembre 1950 e che mantenne la carica fino al 1 ottobre 1952, e Giuseppe Pizzomo 14 che restò in carica fino all'll ottobre 1954. Le difficoltà politiche e tecniche che si pararono di fronte al ministro ed ai vertici militari furono molte, complesse e in più caratterizzate da elementi senza precedenti per cui non si poté fare riferimento a nessun modello o schema d el passato. Per la prima volta dalla loro costituzione le
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forze armate italiane entravano a far parte, fin dal tempo di pace, di un organismo militare plurinazionale integrato e ciò, mentre era un fatto molto positivo sul piano morale perché ridonava alle forze armate nuova fiducia in sé stesse, ne accresceva la volonta di ripresa, faceva dimenticare loro le umiliazioni della ancora recente sconfitta e quelle subite anche durante il lungo periodo armistiziale, le poneva sul piano giuridico alla pari con quelle dei paesi vincitori, d 'altra parte faceva nascere problemi di ordine dottrinale, organizzativo, operativo assai delicati. Le forze armate dovevano conservare la natura e la peculiarità nazionale ed al tempo stesso adeguare mentalità, criteri d'impiego, modalità esecutive e procedurali al nuovo contesto nel quale sarebbero state chiamate ad agire in caso di guerra. L'adeguamento sarebbe avvenuto gradatamente nel tempo, ma frattanto era urgente mettere in piedi e mantenere a l livello dovuto un apparato militare nazionale difensivo dotato di capacità operativa autonoma da garantire, nel quadro <lella strategia <lell'alleanza, per il periodo <li tempo stabilito <lalla
nuova pianificazione, l'integrità del territorio della penisola, la disponibilità delle vie marittime di comunicazione e la libertà del proprio cielo. La rinunzia a priori ad ogni s trategia offensiva e la localizzazione delle operazioni difensive nel limitato ambiente geografico nazionale ridw.:evano l'entità e la specie delle forze, ma ne condizionavano in maniera inusitata nel passato le dottrine e le strutture d 'impiego. Dal punto di vista della pura strategia militare era già difficile comprendere la rinunzia all'offensiva, giacché fino ad allora la difensiva, benché più forte, era stata concordemente ritenuta incapace di risolvere con successo la guerra. Vero è che nel passato non era esisitita l'arma nucleare, ma questa avrebbe favorito l'attacco o la difesa? Questa ultima tesi fu sostenuta non senza qualche fondamento in quel periodo, almeno sul piano tattico, anche da alcuni esperti italiani. Ma le armi nucleari non vanificavano lo stesso concetto di vittoria? L'avvento delle armi nucleari riduceva perciò da solo lo spazio concettuale della strategia militare, tanto più che costituivano fin da allora un'arma politica, sulla quale il comandante militare non poteva fare sicuro affidamento neppure nella più disperata delle situazioni del campo di battaglia. D'altra parte ,come valutare, mancando ogni dato di esperienza, quali sarebbero state le reazioni di carattere p sicologico d elle forze operanti destinate a sfruttare gli effetti di uno scoppio nucleare tattico o delle forze superstiti da uno scoppio nemico verificatosi a distanza ravvicinata? Anche se il problema
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delle armi nucleari tattiche non ancora si ponesse alla fine degli anni cinquanta, quando i razzi del tipo Sergeant e Corpora! erano ancora da venire, non pochi furono i dubbi e le perplessità che colsero i vertici militari durante il lavoro di ricostruzione. Al momento dell'entrata dell'esercito nella N.A.T.0., l'opera di ricostruzioner, pur nei limiti imposti dal trattato di pace, era già, come abbiamo messo in evidenza nel capitolo precedente, bene avviata. Quanto era stato fatto favorì lo sviluppo del nuovo programma che seguì il tracciato di quello già in corso, ma non fu facile condurre in para11elo il lavoro di messa in essere dell'organizzazione di comando N.A.T.O. che, malgrado ciò, dopo circa due anni dalla firma del trattato atlantico, per quanto riguardava l'esercito, cominciò ad essere realizzata in Verona con l'entrata in funzione del Comando delle forze terrestri alleate del Sud Europa - («F.T.A.S.E. ») - il cui primo comandante (COMLANDSOUTH) fu il generale Maurizio Lazzaro de Castiglioni 15 . Il comandante delle F.T.A.S.E. venne posto alle dipendenze del comandante delle forze alleale <lel sud Europa (CINCSOUTH) con sede in Napoli e que sti, a sua volta, alle dipendenze del comandante supremo alleato in Europa (SACEUR) con sede in Parigi (successivamente nel Belgio, a Casteau). Le unità operative - vale a dire la gran parte dell'ese rcito - sebbene assegnate per il caso di guerra alla N.A.T.O., conservarono la dipendenza di comando dalla catena gerarchica nazionale, mentre la pianificazione del loro impiego venne concordata e tenuta a giorno d'intesa tra lo stato maggiore dell'esercito ed i comandi N .A.T.O., ai quali spettò anche la direzione ed il controllo dell'attività addestrativa diretta ad esperimentare la rispondenza della pianifica zione stessa a lla concretezza delle s ituazio ni ipotizzate. Gli oppositori dell'alleanza gridarono allo scandalo e fecero appello al senso dell'onore e della dignità nazionali, da loro tenuti in nessun conto sotto molti altri aspetti, calpestati a loro dire dall'aver posto in pratica alle dipendenze di generali e di ammiragli americani tali essendo il SACEUR ed il CINCSOUTH - le forze armate italiane, ma furono pochi a non intendere l'ipocrisia e l'ambiguità delle recriminazioni, perché le forze armate italiane sentirono di essere tornate a costituire un'entità che conta sia sul piano interno che su quello internazionale. Dal 1948 al 1957, cioè nell'arco di vita nazionale volto essenzialmente alla ricostruzione del paese, le forze armate godettero essenzialmente dei benefici derivati d a gli aiuti americani giacché, nonostante il progressivo moderato aumento sia del prodotto
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nazionale lordo sia del bilancio dello Stato, la percentuale di bilancio assegnata alla difesa mostrò, in termini reali, la tendenza a diminuire anziché ad aumentare, eccezione fatta per l'esercizio finanziario 1950-'51 16. Espressi in miliardi di lire ed in valori a consuntivo, la totalità degli stanziamenti a favore del solo esercito furono pari: a 81,6 miliardi (forza bilanciata 150 mila uomini e durata della ferma di 18 mesi) per l'esercizio finanziario 1947-'48; a 130 miliardi (165 mila uomini e ferma di 18 mesi) per l'esercizio 1948-'49; a 142,4 miliardi (175 mila uomini e ferma di 18 mesi) per l'esercizio 1949-'50; a 214,6 miliardi (230 mila uomini e ferma di 18 mesi) per l'esercizio 1951-'52; a 249,8 miliardi (230 mila uomini e 18 mesi di ferma) per l'esercizio 1952-'53; a 232 miliardi (265 mila uomini e 18 mesi di ferma) per l'esercizio 1953-'54; a 213,1 miliardi (235 mila uomini e 18 mesi di fermo) per l'esercizio 1954-'55; a 223,4 miliardi (247 mila uomini e 18 mesi di ferma) per l'esercizio 1955-'56; a 237 miliardi (281 mila uomini e 18 mesi di ferma) per l'esercizio 1956-'57. Le assegnazioni consentirono il graduale aumento della forza bilanciata dal minimo di 140 mila uomini consentito dal regime armistiziale ai 185 mila uomini fissati dal trattato di pace e s uccessivamente, dopo l'entrata nella N.A.T.O., dovendosi presumere caduto in seguito ai nuovi impegni nazionali ed internazionali il limite posto dal trattato di pace, fino ai 281 mila del 1956-'57, ma il moltiplicarsi e l'ampliarsi delle strutture, favorito inizialmente dagli aiuti in armi ed in mezzi degli Stati Uniti - che ancora nel 1952 nella riunione della N.A.T.O. in Lisbona spinsero a tenere alti i livelli di forza di tutti i paesi dell' alleanza subì ben presto un arresto, al quale fece quasi subito seguito l'innesto della retromarcia per lo scioglimento o la contrazione di una parte dei comandi, delle unità e degli enti appena costituiti in una visione N.A.T.O. troppo ambiziosa circa la consistenza quantitativa. Non perché quanto era stato messo in piedi dal 1948 al 1957 non rispondesse ad esigenze reali di sicurezza e di difesa, ma perché le previsioni erano state troppo ottimistiche nei riguardi delle possibilità di bilancio e forse anche perché i vertici militari, che avevano elaborato il piano ordinativo della ricostruzione delJ'esercito, non avevano saputo liberarsi sufficientemente dell'atavica suggestione del numero che aveva tradito i loro predecessori nel periodo prebellico. Il progetto del nuovo ordinamento dello esercito, elaborato e presentato al ministro Pacciardi nel maggio 1948 17, circa t 1 mesi prima dell'entrata dell'Italia nell'alleanza atlantica, confermò il concetto dell'esercito di qualità già decisamente soste-
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nuto dal generale Cadorna 18, ma, pur nell'intento di tenere conto delle limitazioni imposte dal trattato di pace e di quelle derivanti dalle assegnazioni di bilancio, non poté prescindere dalle esigenze essenziali riferite alla situazione del momento e da que lle prevedibili del prossimo futuro per le quali si rendeva necessario raggiungere un minimo di efficienza bastevole a contenere un'aggressione improvvisa da parte di potenze confinanti e, in caso di conflitto più esteso, a guadagnare il tempo per consentire l'intervento dell'organizzazione militare internazionale e di forze alleate, tenendo conto: della poss ibilità di conflitti improvvisi, o quasi improvvisi, sì da intervenire immediatamente e prontamente con unità di pace tenute ad effettivi c he consentissero tale intervento e che conseguentemente favorissero l'addestramento; dei vincoli del trattato di pace, ma tenendosi pronti ad usufruire, appena possibile, della maggiore libertà o dello svincolo che la situazione internazionale potesse in avvenire concedere; della necessità di non sconvolgere l'ordinamento esistr.nte, quale insopprimibile base di partenza e di dare all'ordinamento stesso sufficiente elasticità per gli ulteriori sviluppi e trasformazioni resi possibili in avvenire. Da questa ultima considerazione il progello~~e~a <leriv1u e la QPYSJrtuniJà dL1e1-1ere un certo numero di unità su forma zioni ridotte. Eccezione fatta per questo ultimo provvedimento molto <l~ cutibile nel quadro di un esercito di qualità, per il resto, riguardante la situazione operativa ipotizzata, l'enunciazione dei compiti dell'esercito, i criteri del nuovo ordinamento e le considerazioni esposte a convalida dell'impostazione data a lla ricostruzione, non vi fu nulla che non fosse razionale e funzionale e d al passo con i tempi. Non del tutto convincente fu, invece, la traduzione degli intenti in numero e tipo delle unità, nella distribuzione delle forze e ne lla determinazione degli organici, settori nei quali in pratica finì per prevalere a ncora una volta la tendenza a sopravva lutare il numero a svantaggio della efficienza operativa reale, tanto vero ch e ad ogni maggiore disponibilità finanziaria corrispose un aumento della forza bilanciata rivolto ad ampliare le strutture più che ad irrobustirle. Anzi ogni richiesta d'incremento del bilancio venne avanzata e giustificata in ragione della costituzione di nuove unità, grandi e minori, quasi mai per ~O'!!~letare e_mj_g_li9rare ciò che .era stato già costituito. Fu del resto senza dubbio più agevole far comprendere al governo ed al Parlamento - a llora assai poco attento a i problemi militari se non in negativo - la pochezza quantita tiva dell'esercito rispetto ai com_piti assegnatigli, specialmente dopo l'entrata nella N.A.T.O.,
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che non la debolezza costituzionale di que llo esistente. D'altra parte, inizialmente.come abbiamo appena scritto, fu possibile armare ed equipaggiare le nuove unità, ancora prima dell'adesione dell'Italia all'alleanza atlantica, mediante il concorso determinante degli Stati Uniti (aiuti M.A.P.) con i quali vennero conclusi specifici accordi di assistenza militare, il cui sviluppo venne poi curato da appositi organi tecnico-operativi americani non operanti sulla linea dei rapporti N.A.T.O., ma su quella delle intese dirette bilateral i 19_ Quando l'assistenza americana divenne meno generosa e disinteressata diquanto lo fosse stata all'inizio, il risveglio alla rea ltà finanziaria fu s ubitaneo e doloroso e l'esercito passò subitaneamente dalla fase di cresc ita appena avviata a quella di recessione che dura oramai_da taQ.ti anni, a nche se molto è sta to fatto p er migliorare l'efficienza qualitativa, pur senza mai raggiungere un livello appena socfdisfacente, a causa del persistente grave divario tra esigenze tecnico-operative e disponibilità finanziarie per copri rle. I!.E_rogetto di ricostruzione dell'esercito se peccò di eccessivo ottimismo ed enbe il di letto d~na accentuata contraddizione tra l'esigenza della qualità e la definizione della quantità, fu peraltro a ltresì la testimonianza inconfutabile della decisa e profonda volontà di ripresa, di un radicale mutamento, per effetto delle concezioni dottrinali e ordinative derivate dal secondo conflitto mondiale, di una nuova prassi nell' impostare e risolvere i problemi in un contesto ampiamente a perto anche alle idee e alle esperienze degli altri eser citi. Esso costituì la "!1f!E.1J!!-cbarla della ricostruzione e, se si tiene presente che fu redatto prima dell'entrata d ell'esercito ne lla N.A.T .O., non gli s i può non riconoscere una grande aderenza a quella c he sarà poi l 'evoluzione immediata de ll e dottrine e degli ordinamenti. tanto da conservare per alcuni anni pressoché integra la sua validità e da non richiedere a ltro mutamento al di fuo ri di quelli legati al potenziamento o all'ammodernamento delle armi e degli equipaggiamenti e di quelli imposti dal progresso tecnologico e dall'avvento della armi nucleari in campo tattico.
3. Alla base del progetto de l nuovo ordinamento era prima di tutto un'esatta previsione di un'even t ua le guerra futura nella quale, per direndersi, l'Ita lia fosse costretta ad intervenire. In tale quadro il progetto, e laborato dallo stato maggiore de ll'esercito e rivisto
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dall'~EQsit~gmmissione_f_Q!lfiltlt~•. approvato dal capo di stato maggiore che lo accompagnò con una propria relazione al ministro, prendeva in esame tutti gli aspetti della ricostruzione, suggerendo per ognuno la soluzione ritenuta ottimale, o quella adattata alle possibilità reali, giustificando i rifiuti di quelle alternative possibili. Nei riguardi della ferma nel progetto veniva considerata rispondente la durata di 18 mesi mantenendo per il momento la chiamata quadrimestrale, fermo restante l'intento di passare, non appena consentito, alla chiamata semestrale al fine di eliminare gli inconvenienti costituiti dalla triplice mutazione annua del personale delle unità e dalla maggiore somma di tempi morti ad essa dovuti implicante la riduzione dell'attività addestrativa e le sfavorevoli condizioni nelle quali si svolgeva lo addestramento delle reclute nel quadrimestre invernale. Ciò che comunque si opponeva per il momento alla chiamata semestrale era il fatto che, volendo mantenere fermo un ordinamento che comportasse l'impiego di una forza effettiva dell'esercito di circa 150 mila uomini (escluso il contingente in addestramento) - dei quali 50 mila quadri e volontari a lunga ferma - sarebbe occorso chiamare semestralmente alle armi 100 mila uomini e in tal modo la forza totale sarebbe salita, almeno per taluni mesi dell'anno, a circa 250 mila, il che, oltretutto, non era consentito dal trattato. Si sarebbe inoltre ripresentato il problema dell'alternarsi di periodi di forza massima e di periodi di forza minima, ma l'inconveniente nel progetto veniva considerato accettabile a condizione che la forza minima non fosse scesa al di sotto di un certo livello e la situazione internazionale lo avesse consentito. Il progetto non escludeva per l'avvenire di poter passare a durate di servizio ridotte per un'aliquota del contingente, ma per il momento confermava la necessità di mantenere la ferma a 18 mesi e la durata pratica del servizio a 12 mesi, mentre per il sistema di chiamata riconosceva che l'unico attuabile per il momento, pur con i suoi numerosi difetti, era quello quadrimestrale, stanti la forza bilanciata consentita e la disponibilità delle attrezzature addestrative e di quelle infrastrutturali. Il trasferimento della selezione attitudinale ai distretti, la riduzione della permanenza delle reclute di fanteria presso i centri di addestramento, la maggiore capacità di assorbimento di personale da parte delle caserme e la maggiore disponibilità di attrezzature avrebbero permesso per l'avvenire il ricorso alla chiamata semestrale, che era l'obiettivo a cui tendere ed il cui raggiungimento sarebbe stato, inoltre, facilitato se si fosse ridotto l'impegno della forza bilanciata nei numerosi servizi territoriali che
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assorbivano giornalmente migliaia di soldati, cosa che incideva gravemente sulla forza presente alle istruzioni. Il rimedio migliore sarebbe stato istituire un '3-]!E_OEJ_Q_f..orp.9 çivjle (lusiliario, un (;!!PO di vigilanza, per la sostituzione dei soldati nei compiti territoriali ed in queludi ordinanza di ufficio, cuochi, camerieri, dattilografi, scritturali, ecc. per utilizzare tutta la forza consentita dal trattato nei compiti operativi e addestrativi propri del soldato. Una proposta che non venne accolta dalle autorità di governo e che, invece, avrebbe eliminato, o quanto meno drasticamente ridotto, la gravità di un male cronico dell'esercito ilaliano, la causa principale, se non l'unica, per la quale il livello addestrativo con il quale le unità avevano affrontato tutte le guerre dal 1848 in poi era risultato quasi sempre assai mediocre. Il mancato accoglimento della proposta dei vertici militari da parte delle autorità governative fu un errore di politica militare assai doloroso per le conseguenze che avrà sul piano morale e su quello dell'efficienza materiale fino ai giorni nostri, tanto più gravi quanto maggiori saranno nel tempo le riduzioni ordinative ed organiche di forza via via effettuate. Altro problema pregiudiziale esaminato nel progetto era l'organizzazione della mobilitazione che, per rispello formale al trattato di pace che vietava la creazione di organi distinti ad hoc, veniva esaminata e predisposta sotto altro nome attribuendone i compiti ai depositi e, in qualche caso, ai centri-scuola. La mobilitazione avrebbe dovuto riguardare: il completamento delle unità esistenti in tempo di pace; la costituzione delle unità di nuova formazione di 1° tempo previste per il completamento del quadro di battaglia; eventualmente, la costituzione di nuove formazioni di 2° tempo; la creazione di un minimo di unità territoriali destinate almeno a consentire lo svincolo delle unità operative dai compiti di natura varia che gravavano su di esse in tempo di pace. Il progetto poneva le pietre fondamentali di tale lavoro in modo da rendere possibile le operazioni di mobilitazione a mano a mano che la disponibilita delle riserve istruite, di quadri, di materiali, di vestiario e di equipaggiamento l'avessero consentito. Non minore l'attenzione dedicata dal progetto al problema del reclutamento (anche questo di carettere pregiudiziale per la ricostruzione della forza armata), la cui soluzione andava vista alla luce del principio dell'esercito di qualità. Si sarebbe, perciò, resa necessaria una nuova legge sul reclutamento che, fermo il principio della obbligatorietà del servizio militare, del resto sancito dalla Costituzione, consentisse la scelta più ampia possibile del personale da chiamare alle armi a l fine del migliore utilizzo delle risorse nazio-
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nali, tenuto conto che anche la tradizionale arma di massa, la fanteria, sarebbe stata da allora in avanti un'arma di élite. Nessuna sperequazione a svantaggio dell'esercito rispetto alle altre forze armate sarebbe stata perciò più tollerabile nei riguardi delle doti fisiche ed intellettuali degli arruolati e, nell'ambito dell'esercito, a svantaggio della fanteria rispetto alle altre armi. L'argomento di fondo del progetto verteva naturalmente sulla forza bilanciata e sull'impiego degli effettivi. La situazione internazionale, quale era e quale si delineava per il futuro, imponeva all'Italia di tenere in piedi un esercito saldo. Era questione di qualità - era scritto sul progetto - ma anche di quantità, giacché, al di sotto di un minimo anche quantitativo, l'esercito non sarebbe stato in grado di adempiere ai suoi obiettivi elementari. Ciò rendeva necessario di usufruire subito del massimo di forza éonsentito dal trattato, massimo peraltro che si deve dichiarare insufficiente. Il trattato non stabiliva un limite di forza bilanciata, ma il limite massimo di forza da tenere contemporaneamente alle armi, per cui non poteva esservi alcun giuoco tra forza massima e forza minima. Premesso che sarebbe stato perciò necessario aumentare, appena possibile, perdurando la situazione attuale, la forza bilanciata, l'ordinamento proposto veniva basato sulla forza effettiva di 185 mila uomini i quali peraltro avrebbero dovuto essere realmente presenti. Era perciò possibile, tenuto conto del normale calo della forza dei reparti dovuto a cause varie ragguagliabile al 1O per cento, partire da una forza tabulare complessiva di circa 200 mila uomini corrispondente, in pratica, a quella di 185 mila uomini consentita dal trattato e per ora, molto probabilmente, non superabile per limitazioni di bilancio. Le esigenze dell'organizzazione di comando, di addestramento e dei servizi territoriali potevano essere coperte, se ridotte al minimo, da 34 700 uomini (2200 per l'organizzazione centrale, 5000 per quella periferica, 13 500 per i servizi territoriali, 14 000 per l'organizzazione addestrativa), mentre 50 mila reclute - contingente quadrimestrale in fase di addestramento - non erano impiegabili. Dei 200 mila uomini restavano perciò disponibili per le unità d ' impiego solo 115 300 unità. Quante e quali unità d'impiego era possibile costituire con tale disponibilità, tenute presenti le esigenze della sicurezza e della difesa delle frontiere e della prontezza operativa delle unità stesse in relazione alla eventualità di un conflitto improvviso o quasi improvviso? Dal punto di vista della specie delle forze risultava evidente che occorrevano forze di fanteria, alpine, corazzate, le prime due per la
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funzione di arresto e la terza per la manovra, particolarmente nello scoperto settore di pianura. ~l numero delle unità d'impiego da costituire era vincolato solo dalla disponibilità degli uomini e, per le unità corazzate, dal numero di 200 carri armati pesanti e medi fissato dal trattato di pace, per cui si poneva l'alternativa tra la costituzione di sole unità d'impiego immediato su organici di guerra o la costituzione di unità di diverso grado di prontezza operativa (d'impiego immediato, di pronto impiego, di 2° tempo). Era, inoltre, da considerare che per le divisioni di fanteria si rendeva opportuno e conveniente il ritorno alla formazione ternaria, mantenuta dai principali eserciti esteri, indipendentemente dal fatto che non era possibile conferirle subito la pienezza organica dei mezzi necessari. La formazione ternaria sembrava, infatti, preferibile perché l'esperienza della guerra aveva messo in luce la necessità di abbassare anche al di sollo della divisione il livello della manovra - che, con l'adozione della formazione binaria, era stato invece elevato al livel1o di corpo d'armata - e quella di articolare la divisione per l'impiego in raggruppamenti tattici, e questi in gruppi tattici, a l fine di agevolare l'azione di comando per cui veniva a cadere l'obiezione della pesantezza. La formazione ternaria, inoltre, era anche la più remunerativa in quanto consentiva una maggio re economia delle forze evitando la moltiplicazione degli organi di comando generata dall'ordinamento del 1940. La forza di una divisione di fanteria ternaria non motorizzata era di un minimo di circa 13 mila uomini, per cui la disponibilità teorica prescindendo cioè dalla forza necessaria per la costituzione delle truppe di corpo d'armata, delle unità a lpine e di quelle corazzate avrebbe consentito la costituzione di 8-9 divisioni di impiego immediato, che si r iducevano però a 5 una volta detratto il fabbisogno di uomini per le truppe di corpo d'armata (stimato pari a circa 18 mila uomini), per le truppe a lpine (circa 16 mila), per quelle corazzate (circa 10 mila) e per le unità destinate a compiti operativi territoriali (circa 2600), complessivamente pari a 46 600 uomini. Per le truppe a lpine e per quelle corazzate il progetto prevedeva come livello di comando più elevato la brigata (o il raggruppamento), senza esporre i motivi, d 'altra parte evidenti, che inducevano a. scartare almeno per il momento la costituzione di unità di livello superiore. Veniva invece cons iderata la necessità d 'includere nell'ordinamento un certo numero di unità motorizzate, svincolate dai trasporti ferroviari e dai movimenti a piedi, che per la loro mobilità e rapidità d'intervento aumentassero le possibilità
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di manovra anche a favore di qualche settore peninsulare particolarmente esposto e che costituissero il mezzo più sicuro per parare con prontezza l'eventualità di manovre nemiche e che potessero svolgersi a tergo dello schieramento di copertura o altrove. Per le divisioni di fanteria motorizzate veniva ritenuta preferibile la formazione binaria in considerazione della grande pesantezza che viene ad assumere, particolarmente nei nostri scacchieri di operazioni ristretti, la formazione ternaria motorizzata per l'ingente quantità di autoveicoli di ogni specie. Una considerazione, era scritto nel progetto, che imponeva di adottare fo rmazioni più leggere anche per le unità elementari di questa specie di divisioni. Numerosi, dunque, i condizionamenti e diverse, e anche contrastanti, le esigenze da soddisfare. Il principio qualitativo avrebbe imposto un minore numero di divisioni di immediato impiego anziché molte divisioni di incerta effic ienza. La situazione avrebbe potuto richie dere interventi improvvisi o quanto meno sollecit i che rafforzavano l'esigenza della prontezza operativa <ldle unità esistenti in tempo di pace. Una divisio ne è prontamente impiegabile se le sue unità costitutive, essenzialmente i battaglioni di fanteria, hanno fin dal tempo di pace una forza effettiva e presente tale da consentire ampie, quanto meno buone, possibilità di addestramento e , all'occorrenza, l'immediato o il pronto impiego. La difesa del territorio richiedeva una disponibilità minima di un certo numero di divisioni, al di sotto della quale non sarebbe stato possibile, senza compromettere irrimediabilmente fin dall'inizio ogni possibilità di una difesa di qualche durata, adempiere i compiti. Il testo, gli allegati e l'appendice del proge tto non trascuravano tali considerazioni che inducevano concordemente verso la soluzione di un esercito di qualità piccolo, m a di immediato o pronto intervento, mentre contraddittoriamente tale non e ra, se non parzialmente, quello che veniva proposto, comprendente un complesso ragguagliabile a una diecina di divisioni di immediato o di pronto impiego ed a quattro divis ioni di rapido completamento. La forza disponibile di 115 300 uomini veniva così ripartita: 18 mila per le truppe ed i servizi di corpo d'armata, 22 mila per 3 divisioni motorizzate, 37 mila per 4 divisioni di fanteria, 10 mila per 2 divisioni di fanteria ridotte, 10 mila per tre raggruppam enti corazzati, 16 mila per 3 brigate alpine, 2 mila e 500 per 2 brigate miste, 2 mila (ufficiali e sottufficiali) per costituire fin dal tempo di pace l'inquadramento parziale dei terzi battaglioni o unità corrispondenti da costituire per iJ completa mento dei reggimenti esistenti, i quali ultimi, nelle
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divisioni di fanteria non motorizzate, venivano costituiti su 2 anziché su 3 battaglioni, nell'intesa che in caso di guerra il terzo battaglione, ove il battaglione reclute non avesse raggiuno un grado di addestramento sufficiente, avrebbe dovuto essere costituito con i quadri esistenti dal tempo di pace e con il richiamo delle riserve istruite. Alla mancata assegnazione del terzo battaglione ai reggimenti di fanteria delle divisioni non motorizzate si sommavano i ripieghi del ricors o ad alcune divis ioni e brigate su formazioni ridotte e della costituzione di tutti i battaglioni di fanteria su di una forza tabellare di 500 uomini ritenuta sufficiente a llo sviluppo proficuo dell'addestramento ed all'impiego, in caso di necessità improvvisa , in guerra. L'ordinamento proposto era, in sintesi, il risultato di troppi compromessi che ne inficiavano seriamente la validità perché, in conclusione, si concretava nella indisponibilità fin da l tempo di pace anch e di una sola divisione di fanteria a pieni o rganici di guerra. Si leggeva nel progetto che il ripiego a l r icorso a d a lcune divis ioni e brigate s u formazioni ridotte era sembrato conveniente per poter disporre di unità rapidamente completabili con richiami e accrescere in tal m odo il numero delle divisioni impiegabili in prim o tempo, perché le di visioni da costituire ex novo avrebbero avuto un'efficienza molto minore e sarebbero state disponibili con molto ritardo; una verità lapalissiana, ma non s ufficiente a spiegare il perché, nel caso particolare, lo stesso numero di uomini distribuito in un numero minore di grandi unità tenute ad organici di guerra pieni non garantisse più e meglio il minimo strategico adeguato ai compiti che il progetto riteneva, invece, di aver assicurato mediante la decina di divisioni di immediato o di pronto impiego e le 4 divis io ni di rapido completa· mento. I fatti vanno inqua drati nel tempo in cui si svolgono e non si può non tenere presente che il progetto - razionale, organico, completo e rispondente nel suo insieme - era il risultato di un lavoro collettivo (stato maggiore dell'esercito, commissione consultiva, capo di stato maggiore) dovuto svolgere tra mille difficoltà e condizionamenti ed in tempi piuttosto brevi, partendo da una situazione di base che non e ra né opportuno né conveniente ignorare pe r non aumentare il disagio mora le e materia le prodotto dal tra ttato di pace e dagli eventi che l'avevano preceduto. La tendenza atavica e costante dello s tato maggiore dell'esercito a sopravvalutare il numero non poteva, d'altra parte, sparire improvvisamente d 'incanto e non era facile pensare in termini di poche grandi unità p e r chi fino ad allora aveva ragionato sulla base d e lle
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decine e decine di divisioni. Restiamo ciononostante del parere che una soluzione diversa - minor numero di divisioni di fanteria sarebbe stata più conforme e consona al principio dell' esercito di qualità e sarebbe valsa a meglio orientare il lavoro ordinativo s uccessivo, quando l'entrata dell'esercito nelle forze della N.A.T.O. avrebbe richiesto il riesame della intera organizzazione, anziché un nuovo eccessivo ampliamento del pr-ogetto del maggio del 1948. L'alternarsi di periodi di forza massima e minima, il mantenimento di grandi. medie e piccole unità di impiego immediato a livelli di forza organica inferiori a quelli stabiliti dalle tabelle di guerra ancorché il progetto ne prevedesse il completamento per mobilitazione su base regionale - i congedamenti anticipati e le chiamate ritardate erano tutti espedienti abituali dell'esercito italiano, i quali avevano sortito in passato risultati di sastrosi. Il ripudiarli definitivamente fin d'allora sarebbe stato molto più vantaggioso che non continuare a con siderarl i mali minori della riduzione del numero delle unità.
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La fanteria veniva intesa, nel progetto, come l'arma base dell'esercito e perché tale avrebbe dovuto essere costituita da personale scelto, armata pote ntemente, resa il più possibile mobile e snella, costantemente appoggiata da tutte le altre armi. Veniva esplicitamente riconosciuto e condannato l'errore del passato di compe nsare con la fanteria la deficienza dei materiali, errore che era costato perdite enormi di uomini con effetti di lacerazione de l morale dell'esercito e dell'intera nazione. Il problema della nuova fanteria era stato ampiamente dibattuto, prima ancora del progetto del nuovo ordinamento, sulle pagine della Rivista militare 20 ed alla discussione avevano partecipato fin da l 1945 generali già comandanti di grande unità nella guerra contro gli alleati ed in quella di liberazione, ufficiali di stato maggiore, ufficiali dell'arma i quali, avendo vissuto la loro esperienza infante ristica su scacchieri e fronti dive rs i, avevano espresso consi derazioni ed a rgom entazioni varie, spesso discordi, sull a nuova fisionomia dell'arma. Vi era stata però unanimità di consensi sulla fine della fanteria come arma di massa e cioè di Cenerentola dell' esercito, sulla necessità di rovesciare i criteri di selezione fino ad allora segui t i e di assegnare ai reparti di fanteria il fior fiore delle reclute, ripa rtendo il resto
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fra le altre armi. Alcuni avevano osservato che i fanti puri erano solo quelli ai quali erano affidati i compiti di snidare il nemico, metterlo fisicamente fuori combattimento, atterrandolo o disarmandolo, porre materialmente piede sulla posizione da conquistare o riconquistare. La fanteria si riduceva così ad un'esigua minoranza, sì e no ad un quinto della forza di un intero reggimento, vale a dire ai soli assaltatori. Sarebbe stato perciò molto meglio riunire questi ultimi in battaglioni di assalto distinguendoli dagli altri fanti che dovevano cooperare, appoggiare, affiancarsi ai primi, dei quali alleggerivano il compito ma non lo condividevano. Occorreva perciò staccare gli assaltarori dal resto, come già nel passato dall'artiglieria si era staccato il genio come arma autonoma - ed a loro volta i collegamenti stavano già per scindersi dal genio - o quanto meno procedere ad una distinzione fisionomica spiccata tra fanteria leggera, fanteria di occupazione o fanteria di rottura, e fanteria di sostegno. Altri, pur riconoscendo l'assoluta necessità di togliere dalla condizione di paria dell 'esercito la fanteria, sostenevano l'unitarietà dell'arma che doveva restare lancia e scudo (assaltatori e armi di accompagnamento e di arresto), continuare ad essere un'arma unica, capace di attacco e di difesa, facendo coesistere gli assaltatori ed i serventi delle armi collettive, in quanto la distinzione tra aliquota di movimento e aliquota di fuoco apartene- . va alla teoria, non alla pratica; l'attacco è fuoco che avanza e la difesa fuoco che arresta, in entrambi i casi la manovra tattica è estremamente unitaria. Occorreva s ì sfrondare, alleggerire, sopprimere il vecchio inutile pesante zaino, ma garantire contemporaneamente la disponibilità organica dei mezzi di cui ogni unità poteva aver bisogno nella pluralità de i casi, trasferendo all'unità superiore gli altri, il cui impiego nelle varie situazioni poteva essere accentrato o manovrato a ragion veduta. La seconda guerra mondial e non aveva sminuito l'importanza d ell'arma, se mai l'aveva accresciuta dimostrando che la battaglia ed il combattimento avevano avuto successo là dove la fanteria in attacco non si era fermata ed in difesa aveva resistito. La guerra era stata vinta dai materiali, ma le battaglie ed i combattimenti non erano s tati risolti dal numero. Sui terreni difficili ed aspri come, ad esempio, per non andare lontano, a Cassino e sulla linea gotica le cose non erano andate nella fase iniziale (rottura) molto diversamente che nella guerra I 9 I 4-' 18. In terreno libero i protagonisti della lotta erano stati i carri armati e l'aviazione, ma qualora i carri armati non fossero stati seguiti rapidamente dalla fanteria i loro successi sarebbero stati effimeri e
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vacui. Ciò che era necessario, anzi indispensabile, era aumentare la potenza di fuoco, specialmente controcarri e contraerei, e la mobilità per conferire all'arma adeguata capacità penetrativa e di rapido movimento nell'azione offensiva e adeguata capacità di arresto e di reazione in quella difensiva. Il progetto del nuovo ordinamento rifiutava la tesi estremista della distinzione tra fanteria leggera e fanteria di sostegno e, nel presupposto ragionato che anche in avvenire la fanteria sarebbe stata la regolatrice della battaglia e del combattimento in quanto sarebbe stato il combattimento ravvicinato, proprio della fanteria, come sostenevano anche l'esercito statunitense e quello britannico, a dire l'ultima parola in ogni manovra tattica, delineava _una nuova fisionomia dell'arma caratterizzata da: unitarietà ordinativa, d'impiego, di addestramento; elevato grado di tecnicismo; pluralità di armamento con accentuazione di quello controcarri e di quello a tiro curvo, restituendo alla fanteria i cannoni controcarri in aggiunta alle armi controcarri portatili delle quali era in corso presso gli altri eserciti un enorme sviluppo quantitativo e qualitativo. I bersaglieri avrebbero continua to a costituire la fanteria delle unità corazzate; ne era prevista la totale meccanizzazione, appena possibile, mediante l' assegnazione di mezzi blindati; gli alpini avrebbero conservato il ruolo di truppe specializzate per l'alta montagna, delle quali andava potenziato l'armamento e accresciuto il grado di motorizzazione, spinto fino al massimo consentito dai terreni di impiego. Il progetto riconosceva implicitamente che l'alta montagna conservava il suo tradizionale valore impeditivo e l'esercito ne aveva avuto conferma durante le campagne delle Alpi occidentali e di Grecia, ma non metteva in evidenza che . essa non costituiva più un ostacolo insuperabile là dove fosse possibile aggirarla ed avvolgerla mediante sbarchi dal cielo e, dove consentito dalla geografia, dal mare. Ciò sarebbe stato tanto più vero quanto più gli eserciti si fossero motorizzati e meccanizzati, in quanto avrebbero sempre maggiormente rifiutato la montagna e sarebbero ricorsi ad operazioni di aviotruppe o di truppe anfibie o ad operazioni combinate per superarla. Sarebbe occorso perciò ridurre ulteriormente la proporzione delle truppe alpine rispetto alle unità carri e di fanteria ed abbassare il livello ordinativo dalla divisione alla brigata alpina. Poco tempo dopo l'importanza della montagna diminuirà ulteriormente con l'avvento dell'elicottero armato e con il ricorso agli elisbarchi in campo tattico, mentre si accentuerà la pericolosità della pianura, ed in genere dei terreni ad alto indice di scorrimento,
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con l'aumento dei mezzi corazzati e meccanizzati e l'incremento delle loro prestazioni di fuoco e di mobilità. Le truppe corazzate venivano riunite nel progetto in un corpo delle truppe corazzate perché gli elementi che venivano a farne parte dovevano essere stretti insieme dal profondo senso motoristico e dalle doti di impeto e di audacia che caratterizzano l'impiego delle formazioni corazzate. Veniva però scartata l'istituzione di un ruolo a parte per le difficoltà di attuazione che essa presenterebbe, data l'appartenenza attuale a parecchie armi degli elementi che costituiscono il corpo delle truppe corazzate. Il comune scopo, il graduale amalgama nel campo addestrativo, l'opera intelligente che polranno svolgere i quadri generali e superiori preposti alle unità corazzate dovranno far sì che si crei delle truppe corazzate un organismo saldo e compatto. Il progetto vedeva, in s intesi, una soluzione del tutto simile a quella delle truppe alpine che costituiscono appunto una caratteristica e salda specialità con fisionomia propria, ma della quale fauno parte armi diverse. Carristi, b ersaglieri, cavalleria blindata, artiglieria semovente, unità del genio e dei servizi dovevano entrare a far parte del nuovo corpo, ma conservare i loro ruoli, la cui unificazione, tra l'altro, avrebbe prodotto la scomparsa dell'arma di cavalleria, mentre se questa rimaneva inserila <.:urne tale nel nuovo corpo avrebbe conservato le tradizioni che le erano proprie ed alle quali sarebbe stato un danno rinunziare. La cavalleria era già uscita quasi del tutto dal campo di battaglia fin dalla prima guerra mondiale, quando la gran parte di essa aveva dovuto combattere appiedata. Nella seconda guerra mondiale aveva avuto un peso ancora minore quando non era scesa da cavallo e montata sulle autoblindo e sui carri leggeri. La vittoriosa carica del Savoia cavalleria sul Don nell'agosto 1942 era stato un episodio a sé stante, glorioso quanto si voglia, ma che non poteva fare testo. La <.:avalleria conservava la sua ragione di sopravvivere se blindata, dotata cioè di autoblinde e di carri armati, interamente motorizzata o meglio meccanizzata per adempiere , le missioni assegnatele dall'ordinamento del 1940 nel quadro d'impiego de lle truppe celeri e di quelle corazzate: esplorazione tattica, occupazione preventiva di località, protezione dei fianchi degli schieramenti, riserva mobile e rapida, protezione del ripiegamento, intervento contro sbarchi dal cielo e dal mare, protezione delle retrovie. Le unità carri e di artiglieria semovente, come del resto quelle di cavalleria, non dovevano operare soltanto nell'ambito delle forze corazzate, ma alcune di esse dovevano essere assegnate organicamente anche alle
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divisioni di fanteria e se per allora non si poteva procedere a tale assegnazione, stanti il numero dei carri armati pesanti e medi concesso dal trattato di pace e l'insufficienza dei mezzi finanziari, occorreva raggiungere tale traguardo non appena le condizioni lo avessero consentito. Non solo, dunque, non esisteva la necessità di creare il ruolo unico del corpo delle truppe corazzate, ma esistevano motivi di opportunità e di convenienza per mantenere i ruoli distinti, anche se presso altri eserciti le soluzioni adottate erano diverse. La soluzione del progetto del nuovo ordinamento non ebbe su tale argomento l'unanimità dei consensi e, mentre negli anni dal 1946 al 1948 la questione era stata trattata soprattutto nello stretto ambito dello stato maggiore dell'esercito dando luogo a rad interventi sulla Rivista militare, essa venne vivacemente dibattuta nelle pagine della rivista stessa negli anni successivi, in particolare nel 1955 21, quando non pochi si espressero a favore della creazione di un'arma corazzata a sé stante. È fuori discussione che la creazione di tale arma avrebbe giovato al morale delle unità chiamate a farne parte, ma resta il fatto che il distacco delle unità carri e bersaglieri dalla fanteria e delle unità semoventi dall'artiglieria avrebbe nociuto gravemente al morale ed alla stessa efficienza operativa delle due armi principali dell'esercito che, in pratica, sarebbero scadute verso un ruolo secondario e ausiliario che, pur non essendo tale, così sarebbe stato inteso dai fanti e dagli artiglieri. La soluzione data dal progetto del nuovo ordinamento era, a nostro avviso, sufficientemente ragionata, motivata ed equilibrata, non ledeva l'efficienza ed il rendimento degli stessi corazzati, non sacrificava gli interessi del personale delle varie armi, evitava, senza sacrificare granché all'operatività dell'esercito, altri motivi di scontento e di malumore in un periodo nel quale ne esistevano già tanti. L'artiglieria italiana era l'arma di cui, dopo le truppe corazzate, più era stata avertita la pochezza quantitativa e qualitativa durante la seconda guerra mondiale che, invece, aveva esaltato l'importanza della potenza e della manovra del fuoco. Essa, malgrado la povertà e la vetustà delle bocche da fuoco, aveva dato di sé prove eccellenti, ma sempre inadeguate alle situazioni. Il primo dei mali da curare era lo scarso valore del rapporto fanteria-artiglieria. Il progetto del nuovo ordinamento fissava il principio che ad ogni reggimento di fanteria dovesse corrispondere, nell'organico della divisione di fanteria, un reggimento di artiglieria da campagna in un numero di gruppi pari a quello dei battaglioni del reggimento di fanteria, indipendentemente dall'artiglieria da campagna di cui potesse
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disporre il comando della divisione per l'azione d'insieme. Sotto tale aspetto sarebbe stato in conseguenza necessario assegnare alla divisione un numero di reggimenti di artiglieria anche superiore a quello dei reggimenti organici di fanteria. Anche le questioni riguardanti l'artiglieria avevano formato oggetto di dibattito sulla Rivista militare 22 e in particolare quelle riguardanti l'ordinamento che, fatta astrazione dalle prestazioni maggiori e minori delle varie bocche da fuoco, si presentava come il problema più delicato sul piano tattico e su quello tecnico_ Il progetto sottolineava la grande importanza, notevolmente maggiore rispetto al passato, che l'arma aveva assunto dovunque durante la seconda guerra e lo ampliamento del ruolo dell'arma stessa, nonostante la presenza dell'aviazione; ma appunto per tali motivi, mentre per il momento veniva proposta l'articolazione dell'artiglieria divisionale su 3 reggimenti per sfruttare i vantaggi dati dall'organizzazione e dal metodo britannici nei riguardi dell'artiglieria da campagna, assicurando ad essi migliori collegamenti e prontezza d'intervento a favore della fanteria, veniva avanzata l'ipotesi di un'articolazione su 2 reggimenti di artiglieria, ciascuno su 4 gruppi da 88 e su di un gruppo controcarro da 76, prevedendo di conseguenza l'assegnazione al corpo d'armata di altre aliquote di artiglieria <la campagna in ragione del numero delle divisioni. L'ipotesi avrebbe dovuto essere verificata in esperimentazioni da effettuare durante le prossime esercitazioni estive, organizzate dall'Ispettorato dell'arma di artiglieria ed eseguite nelle varie divisioni sotto la sorveglianza dei comandi militari territoriali. Le esercitazioni avrebbero dovuto consistere in prove comparative fra la batteria di cannoni da 88 su 4 pezzi e la batteria su 6 pezzi, fra il gruppo su 2 batterie e il gruppo su 3 batterie, fra il reggimento su 3 gruppi e il reggimento su 4 gruppi e complessivamente fra l 'artiglieria da campagna divisionale organizzata, su 3 reggimenti, ciascuno su 3 gruppi, e quella organizzata su 2 reggimenti s u 4 gruppi di 2 batterie o su 3 reggimenti su 3 gruppi di 3 batterie_ In particolare sarebbero state esaminate la comandabilità e la manovrabilità delle unità, la possibilità di schieramento dei pezzi e di organizzazione del fuoco, la rapidità di intervento. Il progetto stabiliva che fin d'ora le artiglierie conlrocarri legge re, cioè i pezzi da 57/50, venissero restituiti alla fanteria, conservando nella divisione, oltre il raggruppamento di artiglieria leggera contraerei, anche l'artiglieria controcarri da 76'55. Venivano, inoltre, sciolti i reggimenti controcarri ed i gruppi venivano ripartiti fra i reggimenti di artiglieria da campagna in ragione di un gruppo per reg-
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gimento, mentre con i gruppi esuberanti venivano costituiti due reggimenti di artiglieria controcarro di corpo d'armata per dare la possibilità di rinforzo del limitato quantitativo di pezzi controcarro assegnato alle divisioni e per costituire il primo elemento di un maggior numero di unità che potesse venire formato in tempo di guerra. Per l'artiglieria contraerei il progetto confermava l'assegnazione organica di un raggruppamento di piccolo calibro ad ogni divisione di fanteria e motorizzata, mentre assegnava alle brigate alpine ed ai raggruppamenti corazzati reparti minori di contraerei leggeri ed alle grandi unità di ordine superiore alla divisione reggimenti di artiglieria contraerei pesante. Il capo di stato maggiore dell'esercito, a proposito dell'ordinamento dell'artiglieria, chiosava nell'appendice al progetto: riconosciuta la necessità di dotare le grandi unità di un 'aliquota di artiglieria corrispondente alle necessità del combattimento odierno.si è ravvisata l'opportunità di non moltiplicare in numero eccessivo i reggimenti d'artiglieria, studiandone un opportuno raggruppamento[...] per cui si è ritenuto conveniente di rinunziare alla riunione dei gruppi artiglieria controcarri divisionali in un reggimento, ripartendoli invece tra i reggimenti da campagna [...] anche se questo ordinamento presenta indubbi inconvenienti dal punto di vista dell'addestramento particolare controcarri e delle necessità d'impiego unitario, che possono presentarsi in guerra[...] Si è ritenuto necessario mantenere per ora la corrispondenza tra reggimento artiglieria da campagna e reggimento di fanteria, perchè fondamentale per la cooperazione fra le due armi. Ed è sembrata per lo meno prematura l'adozione, come negli U.S.A., di un grosso reggimento di 3 gruppi di 3 batterie di 6 pezzi. Alle grandi unità supe rio ri a lla divisione, in relazione al numero delle divisioni inquadrate nel corpo d 'armata e nell'armata, venivano assegnati reggimenti di artiglieria di m edio calibro o pesante campale, dei quali alcuni venivano senz'altro costituiti, fatta salva l'esigenza di completarli nel tempo in relazione alla disponibilità progressiva dei materiali, dalla quale ultima sarebbe dipesa la costituzione di altri nuovi reggimenti. L'artiglieria trovava, dunque,nel progetto del nuovo ordinamento, una soluzione avanzata rispetto al passato ed una collocazione adeguata, fatta salva l'opportunità di meg1io precisarne le articolazioni organiche e fermo restando, per l'artiglieria da campagna divisionale, il nuovo valore del rapporto con la fanteria. L'arma del genio venne distinta in due grandi branche principa/ li: la prima comprendente tutte le varie specialità dell'arma - pio-
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nieri, l!!iuatori, pontieri, ferrovieri, ecc. - ad eccezione di quella dci collegamenti~ ~conda c omprendente le unità ed il personale s_pecializzati nell'impiego dei mezzi di trasmissione, una branca in es~sione quantitativa ed in fase di progresso tecnico. Non erano mancati, anche nei riguardi dell'impiego e dell'ordinamento dell'arma del genio, interventi sulla Rivista militare 23 di un qualche rilievo, volti soprattutto a sottolineare l'importanza rispetto a] passato, messa in luce dalla seconda guerra mondiale,circa un maggiore concorso di unità del genio sul campo di battaglia moderno e la convenienza, anzi la necessità, della separazione tra le due branche. Il progetto del nuovo ordi®!!}ento dell'esercito ~_çcoglieva la richiestadi un migliore rapporto genio-altre armi, preveden o 'assegnazion~ di un battaglione- pionieri e di un bat1~glione coll~gamenti per ogni divisione e di un certo numero di battaglioni pjonieri e di battaglioni collegamenti per le grandi unità di ordine superfore. Circa la scissione dell'arma e la istituzione di un corpo ~ llegamenti, come ormai è in atto nei principali eserciti esteri, il progetto proponeva una soluzio;e simile a quella prospettata per il corpo delle truppe corazzate: sì alla innovazione di separare i reparti de stinati ai coJlegamenti da queìli delle altre specialità; no alla separazione de i ruoli, motivando il no anche in relazione al fatto che sarebbe stato difficile prevedere unità dei collegamenti superiori al livello di battaglione e un numero di posti meno esiguo per il grado di colonnello, con la conseguenza che gli ufficiali dell'eventuale ruolo coJlegamenti non avrebbero avuto possibilità di sviluppo di carriera fino ai gradi più elevati. La stessa motivazione avrebbe dovuto essere valida anche per gli Ùfficiali del genio delle altre specialità, ma per queste ultime veniva previsto il mantenimento in vita, ai fini addestrativi, del livello di reggimento rimanendo inteso che i battaglioni dovessero compiere i necessari periodi di addestramento anche con le grandi unità alle quali erano assegnati. Non era un ragionamento convincente: ]a costituzione od il mantenimento in vita di livelli di comando o la soppressione di quelli esistenti divenuti non più necessari ai fini dell'efficienza e deJla funzionalità di un'arma, di un corpo, di un'unità, di un ente non possono essere determinati in ragione dello sviluppo di carriera dei quadri di appartenenza, ma delle esigenze di operatività dell'organismo stesso. In realtà il progetto lasciava impregiudicato, ma anche irrisolto,il problema dell'accesso ai gradi più elevati dell'ordinamento gerarchico degli ufficiali della branca collegamenti ed anche di quelli delle altre specialità del genio, nonostante
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che per queste ultime venisse conservato surrettiziamente il livello di reggimento, giacché in nessuna delle due branche esisteva la necessità di unità d'impiego operativo di livello superiore a quello di battaglione. La questione di fondo non consisteva nel dilemma tra ruolo unico o due ruoli distinti, ma se fare accedere o no ai gradi più elevati ufficiali senza esperienza di comando di unità d' impiego tattico ed in possesso a tale riguardo delle sole conoscenze teoriche apprese nelle scuole di reclutamento e di perfezionamento o dai libri, anche se fino ad allora e dopo vi erano stati e vi saranno generali provenienti dall'arma del genio validissimi e di altissimo prestigio. Ma non si può non riconoscere che porre in quel momento tale questione sarebbe stato quanto meno prematuro ed inopportuno, stanti l'urgenza con la quale si doveva provvedere ad un nuovo ordinamento e la necessità di evitare il più possibile altri sconvolgimenti, in quanto la questione dei ruoli implica molti fattori, tra i quali appunto lo sviluppo della carriera dei quadri che tanto incide sul morale e sulla professionalità. All'innova7.Ìone della distinzione, più ch~ p_arazione, tra le due branche <!eLgenio, il progetto aggiungeva quella del mutamento della denominazioDe della specialità arcieri_in piolJ-ieri, sotto la quale dovevano in tendersi sia gli artieri s ia i guastatori, specialità entrambe di spiccato carattere combattentistico,simile a quello delle unità di fanteria con le quali esse agiscono a strettissimo contatto, specialmente nella guerra di arresto. Il progetto riconosceva esplicitamente l'insufficienza assoluta degli organici di pace stabiliti per le unità del genio in conseguenza delle limitazioni di forza del trattato di pace e della situazione finanziaria e poneva come traguardo minimo da raggiungere, appena possibile, che nelle formazioni di guerra dei battaglioni pionieri delle grandi unità fosse previsto almeno un numero di compagnie pari a quanti erano i reggimenti di fanteria iù una, e che tale c riterio di- base fosse seguito fin dal t~Jll)20 di pace, quando la forza bilanciata lo permettesse,almeno per le divisioni di impiego immediato,rafforzando analogamente reparti pionieri previsti per le brigate alpine e corazzate.
5. La Commissione consultiva - si legge n elle note sul progetto del nuovo ordinamento dell'esercito - data la forza bilanciata prevista in relazione ai noti limiti del trattato, ha riconosciuto che si
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debba necessariamente addivenire ad una soluzione di compromesso, non essendo possibile risolvere il problema con la soluzione totale che sarebbe necessaria per assicurare al Paese un Esercito che risponda alla situazione geografica della Italia ed al numero dei suoi abitanti. A tale riguardo la Commissione ha fatto voti perché possa essere sollecitalo, mercé capace opera di governo, lo svincolo graduale dalle clausole del trattalo o almeno da alcune di esse di maggior peso, quali quelle inerenti la forza dell'esercito. Ciò posto è stato messo in rilievo e concordato come non sia possibile prevedere nel nuovo ordinamento solo unità di immediato impiego. Il complesso di uomini e materiali che una grande unità moderna oggi richiede (una divisione di fanteria ternaria mobilitata si aggira su 16 mila uomini) fa sì che, volendo avere solo unità di immediato impiego, se ne avrebbe solo uno scarso numero, lasciando completamente sguarnito il resto del Paese, senza possibilità di prevedere altre unità da completare e mobilitare e successivamente impiegare. Scartata quindi la snluzione di riunire le poche forze disponibili in sole divisioni di immediato impiego, le quali sarebbero state poche e con scarse possibilità di manovra, la Commissione ha approvato t{m.postazione data al riguardo al progetto circa il nuovo ordina-\ mento dell'esercito, il quale pertanto - come abbiamo già scritto - \ verrebbe costituito essenzialmente dalle seguenti unità: 8 divisioni · di [a-11teria, 3_siivi.s.LonLdL fanteria. -motorizzata, 3 brigate alpine, 3 brigate corazzate, truppe di corpo di armata e di armata. Delle unità --;u ddette sono previste di immediato impiego: 1 divisione di fanteria, Le 3 divisioni motorizzate, le 3 brigate alpine, le 3 brigate corazzate. Delle rimanenti divisioni di fanteria: 3, te nute in pace non complete, hanno struttura tale che all'occorrenza può esserne previsto il pronto impiego, anche se non ancora completate di richiamati; 2 dislocate nell'Italia meridionale, sono tenute con effettivi alquanto più ridotti ed è da prevederne l'impiego, pertanto, in secondo tempo; 2 si possono considerare divisioni quadro, avendo in pace solo una piccola aliquota degli elementi che le costituiscono, da completarsi per mobilitazione, con conseguente difaziottat.a possibilità d'impiego. Dei dubbi e delle perplessità circa tale soluzione, peraltro non priva di valide giustificazioni, abbiamo trattato sopra. Dubbi e perplessità che non riguardano tanto la solu~ione a sé stante e riferita alla situazione de l momento, quanto il fatto che in essa si ripetevano orientamenti e concetti già smentiti dall'esperienza e non aderenti al principio dell'esercito di qualità, né a quello della prontezza operativa, né a quello di un elevato grado di addestra-
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mento. Tutto avrebbe dovuto sconsigliare la costituzione di un esercito troppo vasto per un paese dalle risorse finanziarie assai scarse, tanto più che, pur non essendo facile prevedere fin d'allora il nuovo ritmo del progresso scientifico-tecnico, che avrebbe potuto imporre entro breve tempo la sostituzione e l'ammodernamento delle armi e degli equipaggiamenti, sarebbe stato necessario tener ben presente tale eventualità, congiuntamente ai costi per la rimessa in efficienza di quanto era stato possibile ottenere dagli anglo americani e recuperare dai vecchi magazzini, dovendo provvedere in pari tempo ad iniziare alcune fabbricazioni indispensabili come, ad esempio, quella del moschetto automatico e delle cartucce e dovendo ancora attendere i rifornimenti più ampi da accordi internazionali. Quando, poco tempo dopo, caddero di fatto i vincoli del trattato ed i rifornimenti derivanti dagli avvenuti accordi internazionali giunsero e si volle attuare, ampliandolo ulteriormente, l'ordinamento indicato dal progetto, sottovalutando il vincolo costante della disponibilità finanziaria. si finì con il mettere in essere un esercito cui ben presto verrà a mancare la possibilità di soprawivenza. Qualora il progetto avesse tradotto anche in costi di mantenimento l'edificio da fabbricare, sarebbe stato facile rileva rne la pesantezza, con la conseguenza che Parlamento e governo sarebbero stati posti davanti alla loro responsabilità politica nell'alternativa dì fronteggiare la spesa o di ridurre il grado di sicurezza e di difesa del paese. La fisionomia e la struttura organica di base delle grandi unità previste nel progetto rispondevano nelle linee generali, tenuto conto delle disponibilità di uomini e di materiali, ai criteri d'impiego delle varie armi schematizzati nel progetto stesso. La divisione di_ famgia ternaria veniva costituita su di: 1 reggimento di cavalleria blindata, - 3 reggimenti di fanteria (ciascuno su 3 battaglioni), 3 reggimenti di artiglieria da campagna (ciascuno su tre gruppi da campagna e in più un gruppo controcarri), 1 raggruppamento (poi reggimento) di artiglieria contraerei leggera, 1 battaglione genio pionieri, I battaglione colle~menti, unità dei servizi. La diviswrfedt fan eria m -;;i;;rizzata binaria-su:! reggimento di cavalleria blindata, 2 reggimentioì fanteria, 2 reggimenti di artiglieria da campagna (ciascuno su , 2 gruppi da campagna e con in più un gruppo controcarri), I raggruppamento di artiglieria contraerei leggera, 1 battaglione genio pionieri con parco mine, I battaglione c~_!!e_gq!Jlenti, unità dei servizi. Il raggruppamento corazzato (poi brigata) su: 1 squadrone di cavalleria blindata, 1 reggimento carri
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su 2 battaglioni, 1 reggimento bersaglieri motorizzato su 2 battaglioni, 1 reggimento di artiglieria misto, 1 plotone pionieri, 1 plotone collegamenti, aliquote dei servizi. La brigata a pina su: 1 reggimento 1~0 4 battaglioni alpini, l reggimento di artiglieria (costituito da 1 gruppo da montagna, 1 gruppo da campagna motorizzato, 1 gruppo controcarri, 1 gruppo contraerei), 1 compagnia pionieri, l compagnia collegamenti, servizi. Unità paracadutiste ed ......____ - avwtrasportate: nella considerazione che la situazione del momento dell'aeronautica e quella attendibile nel prossimo avvenire non consentivano di dare fin d'ora a tali unità lo sviluppo che prevedibilmente dovrà venire dato nel futuro, venivano proposte la creazione di un centro paracadutisti destinato a costituire, non appena possibile, alcune unità di impiego e la trasformazione di una divisione di formazione ridotta in unità aviotrasportabile. I comandi di corpo / / d'armata era previs to che venissero ricavati in caso di guerra dai comandi militari territoriàìi ai quali conveniva assegnare - almeno pe~ LO numero di essi - un vice comandante allo scopo di assicurare il pronto svincolo del comandante in caso di guerra e l'inclusione di elementi aggiuntivi nella formazione del comando. Per le truppe di corpo d'armata il progetto contemplava la costituzione di S reggimenti di artiglieria pesante campale, di 4 reggimenti di artiglieria cont raerei pesante, di 2 r eggimenti eontrocarri da c~mpletare, non appena gli effettivi e i mezzi lo consentiranno, con unità di nuova formazione. Erano altresì previsti, fra le truppe di .f~rpo d'armata, battaglioni mitraglie~ mortai, pontieri, minatori e collegamenti e, infìJR;,JTer ev e ntualic._comandi d'armata__ o di settori ;;perativi, la formazione, in caso di guèrra, delle unità del genio, ç_olleg_amentL e dei servizi di armata. Pe r i servi zi il p rogetto prevedeva la costituzione permanente dello stretto necessario occor- i rente per il funzionamento, in tempo di pace, p er il pronto equipag- l giamento logistico delle unità d'impiego immediato e per la mobilitazione dei rimanenti organi per i servizi. I reparti dei servizi considerati in pace per le grandi unità erano tutti da completare in caso di emergenza, mentre veniva prevista la più larga utilizzazione possibile dell'organizzazione de i servizi territoriali. N ella struttura di pace delle unità veniva, però, dato ampio sviluppo all'organizzazione del servizio dei trasporti, p er favorire la mobilità dei reparti, mediante la costituzione di autogruppi p er i comandi di corpo d'armata e di reparti tra sporti per le divis ioni_ Particolare sviluppo veniva previsto per la manutenzione dei materiali automobilistici mediante il funzionamen to di un esteso sistema di officine com-
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prendente, appena possibile, officine mobili per ogni reggimento di fanteria, di cavalleria e di artiglieria e per i battaglioni carri. Il progetto esprimeva l'insoddisfazione nei riguardi dell'ordinamento che proponeva ed elencava la necessità che esso lasciava scoperte, indicando e auspicando i principali miglioramenti da apportare non appena la disponibilità di forze e di materiali lo consentiranno. Una delle esigenze assolute era l'assegnazione di un battaglione carri armati alla divisione di fanteria elemento tattico indispensabile nella battaglia odierna. Frattanto, dati il numero dei carri medi e pesanti (200) concesso dal trattato e l'urgente necessità di costituire le brigate corazzate, veniva raccomandata l'assegnazione di un battaglione carri leggeri onde poter attuare il necessario addestramento fra fanteria e carri, in considerazione che il trattato non aveva posto vincoli alla quantità di tale tipo di carro. Un'altra delle esigenze da tenere presente nella formazione della divisione di fanteria era l'armamento controcarri da assegnare in misura maggiore, e possibilmente montato su mezzi cingolati, atti a muoversi rapidamente su terreno vario, e da completare in futuro con le nuove armi senza vincolo già adottate da altri eserciti. La s ituazione non con sentiva l'assegnazione alla divisione di un reggimento di obici di medio calibro e di artiglierie semoventi, anziché a traino meccanico, ma occorreva tendere verso tali traguardi, come verso quello di una maggiore motorizzazione dell'intera divisione, per ora limitata all'autotrasporto in proprio dei materiali delle unità di fanteria, dell'artiglieria, del genio e dei servizi e che lasciava a piedi la fanteria fatta salva l'eventualità di trasportarla, occorrendo, per aliquote, mediante autocolonne di mezzi di prevista assegnazione organica ai corpi d'armata ed a ll'armata. Veniva, inoltre, indicata come opportuna la costituzione di reparti salmerie nel quadro dei supporti di corpo d'armata data la natura in gran parte montana della penisola italiana, nonché di 3 battaglioni pionieri e del battaglione ferrovieri. Dell'arma del genio sarebbe stato inoltre conveniente disporre fin dal tempo di pace, presso la scuola d'arma o qualche reggimento, di plotoni per l'addestramento delle specialità di armata - meccanici , idrici, telefonisti, fotoelettricisti, ecc. sì da formare riserve istruite. L'impiego delle unità bersaglieri veniva previstp solo nell'ambito delle tre brigate corazzate, ma sarebbe stato t:onveniente, permettendolo la forza bilanciata, costituire un quarto reggimento da stanziare in Roma ove, date le particolari caratteristiche del grande presidio, potrà svolgere opportuna funzione di rappresentanza. D'altra parte, di unità bersaglieri
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non se ne potevano costituire molte, perché ciò sarebbe andato a scapito dei reggimenti di fanteria stante la particolare selezione fisica richiesta per i bersaglieri e perché già si era andati oltre i limiti delle proporzioni dell'ordinamento del 1940. Questo, infatti, prevedeva 3 reggimenti granatieri, 106 reggimenti di fanteria, 4 reggimenti di fanteria motorizzati, 12 reggimenti bersaglieri e cioè, in percentuale, il 10,5% di bersaglieri, mentre l'ordinamento proposto prevedeva 1 reggimento granatieri, 19 reggimenti di fanteria, 6 reggimenti di fanteria motorizzata e 3 reggimenti bersaglieri elevando così la percentuale di questi ultimi all'l l %. Un discorso questo sulle percentuali poco suadente pe rché, mutando le esigenze operative,è giocoforza variare le percentuali delle varie armi e specialità, tanto più che il ragionamento non veniva esteso - e non si capisce il perché - nei riguardi dei reggimenti alpini e soprattutto di quelli di cavalleria, dei quali ultimi la diminuzione veniva contenuta in termini molto meno ampi di quella dei reggimenti bersaglieri. La ricostituzione <lei reggimenti di cavalleria blindata ed il loro inserimento nelle divisioni di fanteria, in luogo dei gruppi esploranti divisionali (G.E.D.), al fine di tendere ad eliminare gli inconvenienti che si erano lamentati nell'ordinamento dell'esercito di transizione - e terogeneità degli squadroni che obbligava a disgregarli per l'impiego; ingombro delle autoblinde pesanti che inceppavano la manovra; deficienza dei mezzi di collegamento; mancanza dei mezzi cingolati per conferire maggiore mobilità agli elementi autoportati - disequilibrava il rapporto percentuale tra le varie armi molto di più che non la costituzione di altri reggimenti bersaglieri. Non per questo i reggimenti di cavalleria, più dei gruppi squadroni, non avrebbero meglio garantito alle grandi unità possibilità di esplorazione tattica e di manovra, mà il loro numero era, in verità, eccessivo. Il progetto lasciava in sospeso la definizione organica particolareggiata del battaglione di fanteria in quanto abbisognevole di ulteriori studi ed esperimenti, ma la latitudine lasciata a tale definizione non era tale da porre in dubbio l'assegnazione al battaglione di fanteria di armamento automatico abbondante, di mortai, di cannoni ed armi controcarri, compres~ quelle portatili, e di quanto fosse necessario a fare dell'unità l'elemento tattico fondamentale del combattimento. A tal fine la formazione organica aveva bisogno oltre che di una spiccata varietà di mezzi di fuqco a tiro teso, a tiro curvo, controcarri e contraerei, anche di reparti per l'azione di comando e per il funzionamento dei servizi, per l'esplo-
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razione ravvicinata e la sicurezza immediata e per la facilitazione del movimento. Il nuovo battaglione di fanteria, da sperimentare, avrebbe a grandi linee dovuto comprendere 1 compagnia comando, 3 compagnie fucilieri, 1 compagnia mortai da 81 ed 1 compagnia armi pesanti per una forza organica complessiva di 800-900 uomini, non raggiungibile sul momento, per cui la forza del tempo di pace veniva ridotta a circa 500 uomini, considerata nel progetto sufficiente per l'addestramento e per l'eventuale impiego immediato, anche se la rinunzia ad una forza di pace superiore era di fatto un compromesso artificioso e quanto veniva detto nella relazione di presentazione del progetto era accettabile solo in ragione della situazione. Torneremo più avanti sul discorso del battaglione e del reggimento di fanteria come pure del gruppo e del reggimento di artiglieria, ma sottolin iamo il fatto che, al momento dell 'elaborazione del progetto, neppure gli altri eserciti occidentali e rano ancora giunti alla definizione dell'organico del battaglione di fanteria che stavano anch'essi sperimentando. Per il battaglione carri il progetto fissava l'organico su 45 carri armati distribuiti in 3 plotoni di 5 carri ciascuno riuniti in 3 compagnie. Le esperienze dell'esercito italiano e degli altri eserciti che avevano preso parte alla seconda guerra mondiale avrebbero richiesto tempi maggiori di approfondimento e di riflessione, come giustamente metteva in evidenza la relazione che accompagnava il progetto, nella quale si leggeva che le esperienze dell 'ultima guerra non erano state ancora completamente ricavate neppure all'estero. Al progettto del nuovo ordinamento si era giunti, in definitiva, per successive approssimazioni, e fu questo che rese possibile la configurazione di un esercito da campagna abbastanza rispondente agli schemi ordinativi di massima suggeriti dalla nuova fisionomia della battaglia e del combattimento. Il progetto, infatli, interpretava la realtà del momento evolutivo della dottrina, tesaurizzava molte delle esperienze della guerra appena cessata, argomentava le scelte ordinative ed organiche su aggiornate concezioni tattiche e, mentre dava per definitivamente acquisite alcune nuove realtà, lasciava spazio a prospettive immediate e meno prossime che spesso si rilevarono realistiche. Certo non si può dire che il nuovo esercito di campagna fosse quello di cui l'Italia avrebbe avuto bisogno, né che se fosse stato più piccolo di quanto già non lo fosse non sarebbe stato più efficiente, ma non si può negare che, per quanto riguardava l'impiego delle forze, fosse al passo con i tempi e li precorresse ponendosi intanto su di un piano concettuale assai
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diverso di quello del passato ed in linea con quello dei principali eserciti dell'occidente. Le ombre numerose che presentava, e che abbiamo messo in mostra, erano il risultato di una situazione, non di una insufficienza culturale e di immaginazione, anche se, non tutte le tracce negative del passato erano state ancora concettualmente cancellate.
6. Il problema del riordinamento dell 'organizzazione centrale tecnico-operativa e tecnico-amministrativa non formava oggetto del progetto, che appena vi accennava soprattutto al fine di addivenire ad una più chiara e precisa definizione delle responsabilità dei vari organi, anche mediante un decentramento di fun zioni, il quale si presenta assolutamente indispensabile, come pure altra necessità viva è quella di una definizione di attribuzioni e di responsabilità degli organi centrali, a cominciare dal capo di stato maggiore ) dell'esercito, per eliminare duplicati di funzioni e dispersioni di r~sponsa~ilità e di ener~ia. Pet l'organizzazion': p~r~ifer_i~ t~rri~o-, ~ nale vemva confermato 11 nume~lì terntona- - comandrmit1ta-n --JLgià in essere anche nell'ordinamento di transizione, ma che, ad un esame più attento e maggiormente ispirato al principio dell'economia delle forze, avrebbe potuto essere ridotto, anche in considerazione della creazione dei comandi di zona previsti nel numero di 1-2 per ciascun comando territoriale. Nei riguardi dell'organizzazione centra e i progetto era:aunque, piuttosto reticente. L'unificazione dei tre ministeri, ancorché ancora senza grandi incidenze sulla vecchia triplice struttura, aveva trovato impreparato concettualmente ed organizzativamente l'apparato militare e ne aveva scombussolato la routine. Le tre amministrazioni, ognuna gelosa del proprio regno burocratico e tecnico, resistevano alla cessione di parte del proprio potere ai costituendi nuovi organismi unificati, che tardavano perciò a nascere. Gli stati maggiori di forza armata, da parte loro, mentre cercavano di ridurre il più possibile la sfera di competenza dell'appena costituito stato maggiore della difesa, tendevano a porre sul piano della maggiore subordinazione possibile l'apparato tecnico-amministrativo sul quale tendevano ad esercitare un controllo indiretto, quando non anche ad assorbirne alcune funzioni. Il problema della riorganizzazione degli organi centrali non era, insomma, maturo e comunque non riguardava solo l'eser-
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c ito; d'altra parte, fino a quando non fosse risolto, e ra difficile ed avventato modificare l 'organizzazio ne teritoriale periferica, strettamente connessa a quella centrale. Un argomento che veniva preso in considerazione era, invece, quello riguardante il ripristino del servizio di stato maggiore, il c ui corpo era stato abolito, ma le cui funzioni erano logicam ente rimaste e non era possibile sopprimerle. A tale uopo veniva confermata la necessità della Scuola di guerra destinata alla preparazione degli ufficiali al servizio di stato maggiore (collaboratori dei comandi) e dei capi di stato maggiore delle grandi unilcì, mentre non ve niva prospettato né il riordinamento dello stato maggiore dell'esercito, né il numero degli ufficia li necessari al servizio, questioni che nel passato avevano sempre formato oggetto di provvedimenti legislativi o di decreti ministeriali 24. Senza scendere nei particolari, il progetto suggeriva, peraltro, nei riguardi del persona le civile della difesa il licenziamento del personale civile in soprannumero e di scarso rendimento, inutile peso morto a danno del bilancio, e l'assunzione, se necessario, d i personale capace e ben vagliato, un'indicazione orientativa che non ebbe poi segui to. La difesa tetTitoriale formava oggetto di molte considerazioni, ma il p rogetto, diversamente da quanto faceva p er l'esercito di campagna e , come ora vedremo, per l'organizzazione addestrativa, si traduceva in una dichiarazione d' intenti più che in un programma da attuare. La difesa territxia le, ancorché di competenza in gran parte dell 'esercito, coinvolgeva anche le altre forze armate e la sua impostazione generale rientrava perc iò nella sfera delle attribuzioni dello stato maggiore della difesa . Lo stato maggiore dell 'eserc ito, inoltre, aveva assegnato la precedenza all'esercito di campagna ed a ll 'organizzazione scolastica, posti giustamente sullo stesso piano di prio rità, ed aveva così assorbito la gran parte delle disponibilità di forze e di mezzi. Il progetto, pur riconoscendo che le funzioni dell'esercito di campagna si compenetrano e si armoni zzano con la difesa de l territorio, ivi comprese quelle aerea e costiera, rappresentava che per ta li esigenze, a differenza di quanto era stato necessario per l'esercito di campagna, occorreva limitarsi a predis porre quadri e centri di rapida mobilitazione per assicurare il loro soddisfacimento e la pronta entrata in azione al momento del bisogno, con carattere regionale o anche locale, ma ntenendo in efficien za l 'organizzazione anche mediante richiami per istruzione. Nelle predisposizioni d elle unità di fan teria per la difesa del territorio s i leggeva: occorre tenere conto che in caso di guerra
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sarà necessari.o disporre di un buon numero di unità di carattere territoriale, sia per la difesa territoriale, sia per le esigenze dei servizi territoriali, ma per tali esigenze occorrerà fare assegnamento sul personale delle classi in congedo esuberante alle formazioni delle unità di campagna_ La difesa territoriale avrebbe comportato, comunque, la costituzione di: una rete di osservazione e di vigilanza contro incursioni o sbarchi dal mare o a e rei, elementi fissi per la protezione di obiettivi militarmente importanti e delle comunicazioni, nuclei mobili di primo intervento contro sbarchi aerei o del mare. Successivamente sarebbero intervenute riserve territoriali e grandi unità. Del sistema avrebbero dovuto far parte le organizzazioni dell'artiglieria contraerei e da costa- Il problema risultava complesso e tale da dover essere coordinato fra le tre forze armate, come pure con le forze di polizia e con i carabinieri che costituivano un complesso di oltre 190 mila uomini a lunga ferma, dotati anche di mezzi bellici. Nei limiti consentiti, natu ralmente, sar ebbero stati previsti dall'esercito neg li organi te rrito riali, nei depositi ed
in alcuni centri scu ole, gli elementi ai q uali appoggiare studi e predisposizioni per l'attuazione futura (sic) della difesa territoriale_ Di pa rticolare efficacia per la difesa territoriale sarebbe stato l'impiego dei battaglioni mobili carabinieri 25. Nel qua dro dell'organizzazione centra le e periferica il progetto prendeva in esame anche il problema dei servizi tecnici, esprimendosi a favore del mantenime nto di quello di artiglieria e di quello della motorizzazione, mentre reputava non necessaria la ricostituzione di quello del genio. Questo ultimo avrebbe dovuto essere unificato per le tre forze armate e si sarebbe dovuto occupare delle costruzioni e delle infrastrutture in genere, mentre la branca dei collegamenti avrebbe potuto essere curata.senza c reare un ruolo a parte, normalmente dagli stessi ufficiali de i collegamenti, ten endosi in contatto con l'organi zzazione tecnica indus triale civi le. La riorganizzazione degli organismi c entrali e periferici e lo stesso problema della difesa territoriale da una parte venivano, dunque, rimessi aJl 'autorità interforze, dall'altra, per quanto riguardava l'esercito, si promettevano studi e predisposizioni e si progettavano esigenze, dichiarando in modo esplicito che per il momento non esistevano le possibilità materiali di fronteggiarle se non riducendo ulteriormente la già scarsa disponibilità delle forze dell'esercito di campagna. L'esercito in quel momento non era in condizioni di andare oltre la costituzione delle divisioni ridotte Aosta, Puglie, Campania, e questa ultima fin dal tempo di pace con
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un grado di completamento maggiore dell'Aosta, in relazione all'importanza militare della regione pugliese e quella di due brigate miste per la costa centro-adriatica e per la Sardegna. Era poco, ma di più non si poteva fare, mentre si può osservare che anche nei riguardi dello specifico problema della difesa territoriale, lo stato maggiore dell'esercito manifestava una visione nuova, completa ed aggiornata dei vari aspetti e, in particolare, del modo di concepire la difesa dagli sbarchi aerei e dal mare, posta in grave crisi dagli eventi della seconda guerra mondiale che avevano condannato definitivamente i sistemi attuati nei vari teatri operativi, avendo dimostrato la scarsa remuneratività dei valli atlantici, se non so.s tenuti da tergo da grandi riserve mobili di rapido intervento, e la vacuità delle divisioni costiere italiane destinate a priori all'inazione dall'ampiezza dei loro schieramenti e soprattutto dalla loro assoluta mancanza di mobilità 26.
7. L'organizzazione scolastica e addestrativa dell'esercito di transizione, anche su conforme parere dei comandanti territoriali sollecitato al riguardo, si era dimostrata sostanzialmente valida e non vi erano motivi di cambiarla, ma di completarla e di perfezionarla. La ferma doveva venire utilizzata al massimo in funzione addestrativa,curando la preparazione tattico-tecnica del soldato, mediante un periodo d'istruzione e di formazione basiche, da svolgere prima di immettere il soldato stesso nelle unità di impiego, e mediante un successivo periodo di intenso addestramento di arma e di cooperazione, la cui sede normale di sviluppo non potevano essere che le. unità operative. Per assicurare nel modo migliore l'addestramento preliminare e quello avanzato delle reclute il sistema più vantaggioso restava quello dei C.A.R:, introdotto in Italia su modello inglese, tuttavia, per assicurarne i vantaggi e ridurne gli inconvenienti, venivano previsti: ç.A..R,_ divisionar di _fan.te.ria per le divisioni aventi i reggimenti su ]._ battaglioni; battaglioni di fanteria per le divisioni aventi i reggimenti su 3 battaglioni; battaglioni addestramento reclute (B.A.R.) reggimentali - riuniti presso determinati C.A.R. - per i reggimenti di fanteria aventi in pace 2 battaglioni; gruppi e battaglioni di addestramento reclute per tutti i reggimenti di artiglieria da campagna e pesanti
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campali e per i reggimenti del genio pionierj; c,A.R.-J2..a-Eti.Colari per -..____.: - - le truppe corazzate, per i reparti di artiglieria contraerei e controcarri, per il genio colle_gamenti e per i servizi, affiancando taluni di tali C.A.R.alla corrispondente scuola d'arma o di specialità. In qualche caso ai C.A.R. 27 si sarebbe potuto appoggiare la formazione di nuove unità in caso di mobilitazione, devoluta di norma ai depositi. L'applicazione completa della nuova ripartizione di compiti dei C.A.R. e B.A.R. avrebbe potuto essere messa in atto quando la selezione attitudinale, allora ai C.A.R., fosse stata trasferita ai distretti,cosicché i C.A.R. stessi non solo avrebbero assicurato, con la loro organizzazione e attrezzatura, un primo sicuro addestramento (primo ciclo) della massa del contingente, ma anche la formazione di elementi di riserva formati quali istruttori, in vista dell'importante funzione amplificata dei centri, per l'addestramento delle riserve non istruite in caso di mobilitazione. Alle unità d'impiego, incaricate del successivo addestramento (secondo e terzo ciclo), sarebbe stato così più agevole sganciarsi dalle unità in addestramento ed avere un maggior grado di prontezza operativa. A tale sistema addestrativo veniva affiancato,inoltre, il sistema delle scuole di specializzazione delle varie armi e specialità (fanteria, carristi, cavalleria blindata, artiglieria semovente, artiglieria controcarri, artiglieria contraerei, pionieri, collegamenti, sanità, sussistenza, motorizzazione), scuole delle quali alcune avrebbero funzionato anche come C.A.R. Il progetto prospettava, inoltre, il potenziamento delle strutture didattiche e la costituzione di estesi campi d'istruzione sui terreni demaniali dove i reparti, senza preoccupazioni di produrre danni, potessero in ogni stagione déll'anno svolgere addestramento al tiro e addestramento di campagna. Anche per gli istituti di prima formazione degli ufficiali in servizio permanente veniva confermata l'organizzazione dell'esercito di transizione: accademia militare unica (della durata di 2 anni) alla quale avrebbero fatto seguito i corsi presso le scuole di applicazione ([anter ia, truppe corazzate, artiglieria, genio, motorizzazione), mentre per il corpo sanitario era già in funzione la scuola di sanità militare, di cui veniva confermata la necessità. Le scuole di arma e dei servizi avrebbero continuato nelle loro funzioni di perfezionamento e di specializzazione de i quadri effettivi (ufficiali e sottufficiali) e della truppa, di aggiornamento della loro preparazione, di esperimentazione delle armi e dei materiali e delle modalità d'impiego delle minori unità. Veniva previsto di abolire in futuro la scuola servizi e governo del personale di Rieti, utilizzandone i
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quadri e gli impianti per poter ampliare il sistema scolastico a favore dell'aggiornamento degli ufficiali in serv1z10 permanente reclutati durante la guerra. Un altro provvedimento era la trasformazione della scuola di alpinismo di Aosta in scuola di tattica e di logistica da montagna, mutandone la denominazione in scuola alpina; un altro ancora era quello di costituire il centro di paracadutismo con la prospettiva di trasformarlo anche in una scuola di addestramento dei reparti all'aviotrasporto, cominciando da quelli della divisione Aosta, data la particolare dislocazione di tale G.U. in Sicilia. La wsliluzione <li 2 anziché di 1 collegio militare - uno a Napoli ed uno a Milano - riservandoli soprattutto ai figli degli ufficiali e dei sottufficiali, sarebbe stato un altro dei provvedimenti da adottare per i vantaggi che ne sarebbero derivali all'esercito dal maggiore gettito di aspiranti all'accademia provenienti da istituti in grado di coltivare la vocazione militare dei giovani e di meglio prepararli ad affrontare le asprezze della vita militare. Per la preparazione degli ufficiali di complemento, tutti volQl:J:_tari ed accuratamente selezionati, era sufficiente la scuola allievi già in funzione nell'ordinamento <li transizione, comune a tutte le armi, completata da corsi di specializzazione presso ·1e scuole df arma e dei servizi. Per il ree utamento dei sottufficiali era necessanò creare una scuola ad hoc i cui corsi sarebbero stati completati presso le scuole di arma dove, durante la carriera, i sottufficiali avrebbero frequentato anche corsi di perfezionamento e di aggiornamento. Con l'organizzazione prevista sarebbe stato possibile assicurare la formazione di un corpo di sotLJ:tfficiq.li di elevata prep_arazione, di grande rendimento e di sicuro prestigio. La scuola cooperazione varie armi (S.Co.V.A.) avrebbe garantito il raggiungimento degli scopi impliciti nella denominazione e la scuola di guerra avrebbe provveduto alla preparazione degli ufficiali da destinare al servizio di stato maggiore, mentre sarebbe stato necessario provvedere, al livello di slalo maggio re della difesa, alla creazione di un istituto di alti studi delle forze armate per le operazioni combinate e la preparazione dei comandanti e degli stati maggiori interforze e di un istituto di alti studi militari per l'esercizio dei comandi di grado elevato. Il proge tto, in sintesi, nei riguardi de ll'organizzazione scolastica ed addestrativa, si manteneva strettamente aderente ai criteri d' impostazione ed alle realizza zioni del generale Cadorna 28, ampliando e perfezionando queste ultime, ed esaltava l 'importanza
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determinante della professionalità dei quadri mediante la creazione di nuovi istituti superiori da far frequentare da ufficiali di grado elevato, sia per abituarli a funzioni di comando e di servizio nell'ambito di comandi interforze, sia per meglio prepararli a rivestire gradi ed incarichi di vertice. Il problema della professionalità dei quadri, ufficiali e sottufficiali, troppo trascurato nel passato con le conseguenze negative messe in luce,specie ai livelli elevati, durante il secondo conflitto mondiale, trovava così una collocazione prioritaria ed una soluzione di misura assai più ampia di quella del passato. Il complesso dell'organizzazione che venne realizzata secondo le linee di riferimento del progetto si dimostrerà poi pienamente rispond~nte alle esigenze della formazione dei qua ri e consentirà la disponibilità di comandanti e di ufficiali del servizio di stato maggiore di alta qualificazione, che nulla avranno da invidiare, anzi spesso daranno punti, ai colleghi degli eserciti stranieri, anche dei maggiori, operanti nell'ambito dell'organizzazione della N.A.T.O e d egli altri organismi internazionali.In linea generale si può anzi dire che più l'eserc ito negli anni successivi si manterrà aderentt!_all'orgapizzazione scolastica e addestrativa messa in piedi nel periodo della ricostruzione, migliori s aranno il grado di professionalità dei quadri e il livello di addestramento delle unità e deisìngoli, e- più - per motivi vari, primo fra tutti quello della riduzione delle spese '- l'esercito sarà costretto ad allontanarsene, meno convincente risulj.erà_ la J?rofessionalità dei quadri in particolare di quelli di complemento. - -
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8. La relazione che accompagnava il progetto sollevava, infine, la questione del disagio morale e materiale dei quadri il cui trattamento, nonostante i migliorame nti già apportati, r estava inadeguato ai bisogni di una vita dignitosa rispetto a quella di altre numerose categorie le quali prestano opera meno intensa, meno disagiata e meno rischiosa. Una delle maggiori cau se specifiche del disagio era il problema degli alloggi il qua le, non essendo risolubile che a lunga scaden za, esponeva i quadri a forti spese ed a disagi morali ed ostacolava gli indispensabili trasferimenti, oltre che ripercuote r si dannosamente sul reclutamento dei nuovi elementi . Il problema non venne affrontato dalle autorità politiche con l 'attenzione e la c ura dovute ad una questione vitale per la funzionalità
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dell'esercito, coinvolgendo il morale dei quadri e limitando la libertà di scelta degli organi preposti alla assegnazione del personale, costretti ad agire anziché in ragione delle esigenze ordinative ed organiche delle unità.in relazione al minore disagio da arrecare al singolo. La mancata soluzione di un problema che se fosse stato preso a cuore fin dal 1948 e sviluppato gradualmente secondo un'adeguata pianificazione avrebbe evitato o ridotto la regionalizzazione o addirittura la municipalizzazione dei quadri, contribuirà a rendere rigide le strutture ordinative ed immobili gli insediamenti. Non poche volte si verificherà di sciogliere un comando, un ente, un reparto senza poter recuperare i quadri che vi erano addetti, in quanto questi verranno quasi sempre suddivisi extraorganico, in altri comandi, enti, unità della stessa sede stanziale per non costringerli a dover lasciare l'alloggio di favore di cui godevano. La relazione di accompagnamento del progetto del nuovo ordinamento concludeva: La Commissione ha tenuto presente la necessità che l 'attuazione del nuovo o rdinamento avvenga gradualmente, a misura che lo consentiranno la forza bilanciata e i materiali di armamento e di equipaggiamento disponibili. La Commissione ritiene però che nessuno sforzo debba essere trascurato per attuare il nuovo ordinamento al più presto. Il nuovo ordinamento è in sostanza un programma di lavoro, che è indispensabile portare a termine nel lasso di tempo più breve possibile, nell'interesse della Nazione. Occorre quindi che anch'essa conosca tale programma, sì che l'opinione pubblica sostenga l'ope ra che dovrà svolgere in merito il Governo, per poter portare a buon punto l'o rganizzazione delle forze per la difesa del Paese. La Commissione Consultiva ha riconosciuto ch e intenso è stato il lavoro finora eseguito nell'esercito e che tale lavoro ha già portato a sensibile progresso nel campo della disciplina, della consistenza morale, dell'equipaggiamento e dell'addestramento, ma che tutto ciò non è sufficiente ed è solo una piccola parte dell'opera che occorre compiere. Occorre che l'Esercito possa essere effettivamente preparato alla gue rra: ch e cioè esso possa essere più intensamente ed efficacemente addestrato, possa avere armi, materiali, mezzi e scorte non solo per la sua vita di pace, volta all'addestramento militare d e l cittadino, ma soprattutto per la sua efficienza in caso di guerra, cioè per potersi mobilitare, radunare e combattere. Solo allora si potrà dire che l'Esercito avrà solidità vera: tale qualità non possiede un Esercito che non si possa adeguatamente mobilitare per sostenere una campagna di guerra anche breve. La Commissione ha inoltre riaffermato la preminente funzione che oggi
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assume l'Esercito, insieme con l'Aviazione di cooperazione, per la difesa del territorio. La consapevolezza che ogni soccorso esterno riuscirebbe immancabilmente tardivo nei riguardi dello Esercito e dell'Aviazione di cooperazione e la situazione generale impongono che siano presi i necessari provvedimenti al più presto. Ed è in base a tali concetti che la Commissione Consultiva ha dato parere favorevole al progetto di_.11uouo_Q!_di11:._amento dell'Esercito, auspican~ p..ron.Ut realizzazione. · La sintesi delle esigenze operative immediate e future riferite al problema della difesa nazionale, la visione di un esercito moderno sia pure di limitata consistenza, l'urgenza di dare attuazione, sia pure graduale, al programma di lavoro e di sviluppo del nuovo ordinamento sono scolpite nella conclusione del generale Marras 29 in maniera molto efficace, anche se l'ipotesi di una guerra futura rimane troppo legata alla successione delle operazioni della mobilitazione e della radunata intese quasi alla vecchia maniera. Del resto ombre siffatte offuscano a tratti anche il progetto. Ma vi sono due concetti basilari nella conclusione del generale Marras i quali testimoniano una completezza di prospettive e una concretezza di ideazione non molto comuni negli ufficiali e negli uomini politici di quel periodo. Lo sforzo oneroso da compiere per la ripresa e la ricostruzione dell'esercito in tanto sarebbe stato possibile, in quanto venisse sostenuto dal consenso dell'.!m.mione p ~ . Senza tale cogsen§Q...non sarebbe stato possibile ed anche s e, per ipotesi, lo fosse stato, sarebbe risultato vano. Da qui l'invito al governo a riproporre alla nazione i ~lori morali tradizionali ed a chiamarla a partecipare alla formazione della politica militare in piena aderenza ai principi democratici della Costituzione. La professionalità dei quadri e il più alto livello possibile di addestramento dei singoli e delle unità, in uno con la disciplina e la consistenza morale, avrebbero dovuto costituire il primo e maggiore coefficiente dell'efficienza dell'esercito; ove fossero mancati, anche se l'esercito fosse stato sufficientemente armato ed equipaggiato, non vi sarebbe stata nessuna garanzia di sucesso. Il fattore spirituale e morale, insomma, che dipende dal profondo convincimento della nazione e conseguentemente dell'esercito circa la necessità della difesa, sopravvanzava nella convinzione del generale Marras tutti gli altri, anche se le armi, i materiali, i mezzi e le scorte non sono meno indispensabili. Se fossero mancati questi ultimi, ogni volontà di difesa sarebbe risultata velleitaria, ma la loro sufficienza, addirittura la loro abbondanza, sarebbe servita a ben poco qualora
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fosse mancata la carica morale che l'Italia aveva dimostrato di avere dopo Caporetto. Le cose andarono diversamente. La politica militare non venne sufficientemente chiarita e fatta comprendere all'opinione pubblica che, anzi, ne fu tenuta quasi all'oscuro, quando non ne fu addirittura disinformata per motivi di parte. Camera e Senato non svilupparono i dibattiti seri ed appassionati che avevano caratterizzato il Parlamento Italiano dal 1848 fino alla vigilia dell'avvento del fascismo; anzi le questioni ordinative, che sono le più significative per l'opinione pubblica congiuntamente a quelle d elle armi che le condizio nano e ne sono condizionate, vennero trattate in sordina, ai soli livelli tecnico-op erativo e tecnico amministrativo, é cessarono di formare oggetto di provvedimenti legislativi come invece era sempre avvenuto ne!_passaJo. Se si fosse seguita la strada indicata dal generale Marras, ch e era poi quella segnata dalla Costituzione, il paese e le forze armate ne avrebbero tratto grande vantaggio e s i sarebbero evitate, o quanto meno ridotte, le interpretazioni mal evole della dottrina e degli ordinamenti, le diffiden ze, le tensioni e le false accu se di golpi smo c he concorreranno nel tempo ad accrescere la sep a razione tra paese e forze_armate, il distacco dell 'opinione pubblica, già di per sé forte negli italiani, dai problemi di politica militare e lo stesso disagio esistenziale che ancora dura all'interno delle forze armate. Governo e Parlamento commisero un grave errore d 'impostazione della politica militare, il primo cercando di sottrarsi al controllo d e lle assemblee legisla tive, queste rinunziando tacitamente e di fatto ad entrare nel merito delle questioni ordinative ed a consentire che venissero regolate in via amministrativa . Gli strumenti essenziali per la definizione di una linea di politica militare aderente a quella della politica estera, ol t re le leggi sul reclutamento, sulla durata de l servizio, s ullo stato giuridico ed avanzamento dei quadri, sul bilancio, ecc. comprendono anche la definizione dell'ordinamento che deve stabilire, in via generale, la quantità ed il tipo df forze da p reparare e mantenere a livello in relazione a i compiti a ssegnati. Forse il governo credé di favorire la r ipresa e la costruzione delle forze a rmate lasciando a i ve rtici di queste la piena responsabilità delle decisioni ordinative e sottraendo il loro operato a diba ttiti e polemiche già troppo accesi s ulla po litica estera e militare - basti ricordare quan to accadde in Pa rlamento quando si tra ttò di ratificare il patto atlantico - m a, anche se in quel periodo le cose potevano apparire in modo diverso da quello di oggi, i risultati della scelta compiuta non furono certo bènefici per le forze armate
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e giovarono solo ad accrescere l'amilitarità di buona parte delle stesse maggioranze governative e l'antimilitarità preconcetta delle opposizioni di sinistra, vigili e pronte a strumentalizzare ai loro fini ogni variante ordinativa ed organica, come pure ogni mutamento di sede di un reparto. I motivi di riservatezza e di discrezionalità governativa avevano certamente il loro fondamento, ma non è possibile in un paese democratico creare e tenere in vita le forze armate quasi di nascosto della nazione e comunque tenendo questa il più possibile all'oscuro di quanto avviene in un settore che è di estrema importanza per lo Stato e di non meno estremo interesse per i cittadini. Il lavoro di ricostruzione, comunque, continuò silenziosamente da parte dello stato maggiore dell'esercito sulla falsariga di quello tracciato dal progetto del nuovo ordinamento e procedette gradualmente in relazione con l'acquisizione del nuovo armamento 30 e con la redistribuzione di quello esistente. Dopo l'entrata de ll'Ilalia nella N.A.T.O. e la venuta meno dei vim:uli <lei trattato di pace, esso subì una considerevole accclerazÌone eTnmeno di 5 anni il progetto del nuovo ordinamento divenne un piano realizzato che, almeno nelle sue grandi linee, come vedremo più avanti, avrà un grande collaudo sufficientemente positivo in occasione dello schieramento di un elevato numero di grandi unità in corrispondenza della frontiera orientale per la questione di Trieste ed ancora prima, proprio durante la fase iniziale di sviluppo del piano, per l'approntamento del corpo di sicurezza in Somalia, in conseguenza della deliberazione n. 289, IV dell'assemblea generale dell'O.N.U. del 21 novembre del 1949 che si pronunziò per l'indipenden za della Somalia e per la sua amministra zione fiduciaria durante il periodo di dieci anni, da affidarsi all'Italia.
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All'atto deJ!aJ ic~s!l Patto Atlantico l'esercito di campagna era costituito cla: 1 divisione di fanteria su formazione ternaria, \ non ancora completa (Mantova); 2 divisioni di fanteria su formazione binaria, complete solo negli elementi essenziali (Granatieri di I Sardegna e Cremona); 2 divisioni di fanteria su formazioni molto j ridotte ed in fase di organizzazione iniziale (Aosta e Avellino); 2 1 divisioni di fanteria motorizzate, pressoché complete nelle forma- 1 I zioni organiche, ma carenti di mezzi d a trasporto (Folgore e
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Legnano); 1 brigata corazzata in stato di avanzato completamento (Ariete); truppe di campagna alle dirette dipendenze dei comandi territoriali in fase di iniziale impianto. Le grandi unità elementari non erano inquadrate in grandi unità complesse, ma dipendevano direttamente dai C.M.T. nella c ui giurisdizione erano dislocate, di questi ultimi particolare rilievo avevano il IV ed il V, specialmente il V, ai quali era connesso il compito della copertura della frontiera nord-orientale. Sulla base del progetto del nuovo ordinamento dell'ese rcito elaborato nel 1948 e delle modifiche apportatevi, d'intesa con i comandi N.A.T.0., peraltro ancora in via di costituzione e di rodaggio, lo stato maggiore dell'esercito, in relazione ai fondi straordinari stanziati pe r il potenziamento della difesa nell'esercizio 1950-'5 1 - 100 miliardi - dette inizio ai primi provvedimenti di a ttu~ ione del piano di sviluppo dell~ ricostruzione 31) mediante i qua li fu possibilei n due a nni realizzare una situazione molto avanzata rispetto a que lla di partenza, ta nto che il 30 giugno 1951 l'esercito di campagna risultava custituito da: 9 divisioni di fanteria di cui 3 complete (Mantova, Folgore, Legnano), 4 in avanzato stato di comple ta m ento (Cremona, Friuli, Granatieri, Trieste), 2 in formazione ridotta (A vellino e Aosta); 2 brigate corazzate <li cui l'A riete completa e la Centauro in corso di formazione; 2 brigate a lpine di cui la Julia completa e la Tridentina con personale ridotto. Lo sforzo compiuto non riguardò solo la graduale ed incessante costituzione dei nuovi comandi , delle nuove grandi e minori unità e di nuovi organi operativi, ma l'esperimentazione di nuovi e miglio ri organici delle varie formazioni tattiche delle unità di fanteria 32, di cavalleria 33, di artiglieria 34 e del aenio 35. Accanto alla cura del potenziamento, non meno viva fu, da parte de llo stato maggio re dell'esercito, la preoccupazione per la ricerca di un o rdinamento e di organici che meglio si confacessero a l tipo dei mezzi disponibili. A tale riguardo particolarmente laboriose e t ravagliate .furono le decisioni riguardanti soprattutto le divisioni e le unità di fanteria e di artiglieria che le dovevano costituire. Lo s tato maggiore volle con servare la distinzione fra divisioni di fanteria motorizzate del progetto del 1948 e si ebbero così divis ioni ternarie e divis ioni binarie, benché queste ultime prive di mezzi necessari a giustificare la qualificazione di divis ioni motorizzate. Alle d ivisioni m o torizza te p reesis tenti si aggiunse la Trieste di nuova costituzione, ma in realtà nessuna di esse ebbe in dotazione organica gli autoveicoli stabiliti dalle tabelle di dota-
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zione, per cui venne di fatto a cadere il motivo della loro formazione binaria. Sarebbe stato perciò più conveniente, anche a costo di ridurne il numero complessivo, unificare le divisioni su formazione ternaria. La speranza, non del tutto infondata in quegli anni stante l'arrivo degli aiuti americani in materiali, di poter completare il programma indusse lo stato maggiore dell'esercito a restare aderente al proge tto del 1948, tanto più che veniva maturando in sede N.A.T.O. l'impegno italiano di tenere da solo la frontiera nordorientale, con il concorso delle forze aeree statunitensi dislocate su portaerei, fino alla messa a punto della mobilitazione statunitense ed all'entrata in linea nello scacchiere italiano delle forze terrestri alleate provenienti da oltremare. Tale compito implicava nei calcoli dello s tato maggiore dell'esercito la costituzione di un complesso di forze di .!l...divisioni, obiettivo che il ministro Pacciardi rese pubblico fin da l 1950, al fine di o tte ne re il superamento delle clausole militari del trattato di pace e la restituzione a ll 'Italia di Trieste. Nell'estate del 1950 scoppiò la guerra di Corea e ciò orientò la N.A.T.O. e lo stato maggiore dell'esercito a forza r e i tempi de l potenziamento militare in particolare per fronteggiare l'eventualità di una guerra, paventata più probabile che non nell'anno precedente. Le forze di copertura andavano messe a punto il più presto possibile ed i tempi per abrogare i limiti del trattato di pace erano oramai maturi. Occorreva comunque, anche ad avviso del minis tro, di procedere subito al potenziamento quantita tivo e qualitativo dell'esercito e delle altre due forze armate. Da ciò l'esigenza di uno stanziamento straordinario per la difesa di 250 miliardi di lire e l'esigenza di riportare la ferma alla durata effettiva di 18 mesi, provvedimenti che vennero osteggiati in Parlamento e sulle piazze dalle sinistre. Lo stanziamento venne a pprovato dalla maggioranza, mentre le sinistre abbandonarono l'aula nel m omento in cui il ministro illustrava il piano complessivo di intensificazione de l ria.rmo. Fratta nto in quegli anni si succedevano le riunioni del Consiglio · del Patto Atlantico 36 e continuavano ad arrivare gli aiuti M.A.P. (Military Assistence Program) o P.A.M (Piano di Aiuti Militari), per cui è forse azzardato addebitare allo stato maggiore dell'esercito un eccessivo ottimismo per i provvedimenti ordinativi ed organici adottati dal 1949 al giugno 1951, anche se la incompletezza d elle unità esistenti avrebbe dovuto indurre a riJ~raare la costituzione di nuove unità. È da cons iderare, Ì:nfine, che in quel periodo la Germania era ancora disarmata e la Francia era militarmente impegna ta nel sud-est
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asiatico, mentre l'Italia era l'unica, delle tre nazioni europee continentali, sulla quale la N.A.T.O. potesse fare un qualche affidamento. Nei riguardi degli organici delle unità di fanteria e di artiglieria lo stato maggiore dell'esercito volle procedere con grande cautela prima di addivenirne alla definizione, raccogliendo studi e proposte dei comandi subordinati basati, gli uni e le altre, su dati sperimentali tratti da reparti ad hoc e sull'impiego di questi in ripetute esercitazioni specifiche autonome o inserite nel quadro delle esercitazioni di grandi unità. Per il ballaglione <li fanleria venne costantemente rilevata la necessità di dotarlo di armi controcarri e di mortai medi, ma senza troppo appesantirlo, cosicché parve opportuno accentrare i cannoni controcarri in una compagnia al livello di reggimento e sciogliere il plotone controcarri della compagnia armi di accompagnamento di battaglione. Questa ultima venne perciò costituita su 3 plotoni mortai e I plotone mitraglieri, mentre nel contempo venne ritenuta necessaria la presenza di mortai da 60 e di armi controcarri leggere nell'ambito della compagnia fucilieri e , precisamente, del plotone armi di compagnia, comprendente anche una squadra mitrngliatrici. La riunione dei cannoni controcarri al livello di reggimento, benché rispondente al criterio dell'economia delle forze, contraddisse l'orientamento comune nel dopoguerra a tutti gli eserciti di abbassare il livello dei reparti ai quali assegnare le armi contrncarri e fu perciò una soluzione non solo non intonata ai tempi, ma piuttosto anacronistica, costituendo in un certo senso un pericoloso passo all'indietro. La distribuzione di armi controcarri effettuata nel quadro delle formazioni A.S.42 aveva ridotto il battaglione e le compagnie fucilieri a semplici unità di arresto, togliendo loro ogni capacità offensiva e di penetrazione e alterandone del tutto la fisionomia tradizionale; ora però si esagerava ne l verso opposto, giacché si finiva con il ridurre a ben poca cosa la capacità di arresto del battaglione e delle compagnie, il cui nemico più temibile, nell'azione difensiva, era diventato il carro armato, impiegato sia in appoggio della fanteria attaccante sia nell'ambito di unità carri autonome. · Il cannone controcarri avrebbe dovuto perciò da allora in avanti trovare il primo livello di collaborazione organica proprio nel battaglione di fanteria che, per essere l'unità tattica fondamentale del combattimento, non avrebbe più potuto prescindere da una propria, ancorché limitata, autonomia di fuoco controcarri. L'asse-
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gnazione al battaglione di armi controcarri in rinforzo da parte del livello di reggimento era senza dubbio una eventualità da tenere ben presente e perciò era opportuno che il reggimento disponesse in proprio di un certo quantitativo di cannoni da decentrare di volta in volta a ragion veduta, ma prima sarebbe stato necessario conferire allo stesso battaglione una capacità controcarri autonoma che gli consentisse di fronteggiare la pluralità media dei casi nei quali l' impiego dei carri armati era una ricorrente normale. La soluzione ordinativa ed organica dell'artiglieria divisionale fu, invece, adeguata e rispondente. L'abolizione del livello di reggimento per le unità contraerei e per quelle controcarri, destinate di norma ad operare per gruppi o per unità inferiori, fu un provvedimento opportuno e conveniente sollo tutti gli aspetti. I riflessi negativi che ne sarebbero potuti derivare ai fini dell'unicità d'indirizzo dell'addestramento erano evitabili mediante l'unificazione dei programmi e dei metodi addestrativi da parte dei comandi di artiglieria d e lle divisioni; d 'altra parte, la riunione in un sottorag-
gruppamento dei due gruppi di artiglieria controcarri divisionale era un'altra misura rivolta a facilitare l 'addestramento unitario delle due unità. La costituzione del reggimento di artiglieria da campagna su 2 gruppi da campagna, di 2 batterie di 6 pezzi risultò la prefe rita, per motivi tecnici, da parte dei comandi che avevano avuto modo di esperimentarla, ancorché essa non consentisse la normale corrispondenza di un gruppo per ciascun battaglione dei reggimenti di fanteria_ Rispondente fu altresì la decisione dell'assegnazione di un gruppo di medio calibro al livello divisionale per il rinforzo nella manovra del fuoco, dalla quale non era possibile prescindere a tale livello, indipendentemente dal concorso dei medi calibri del comando di corpo d'armata, mentre lasciò fin da allora dubbios i la presenza, nel quadro organico dell 'artiglieria divisionale, del gruppo mortai da 120 stanti la limitata gittata del pezzo e la diversa tecnica d 'impiego. Dalla seconda metà del 1951 al 1954 l'esercito di campagna continuò sulla strada dell'ampliamento e dell'ammodernamento. Alla costituzione della divisione di fanteria Avellino, disposta negli ultimi mesi del 1949 37, e della divisione di fanteria m orizz_ata Trieste, decisa ali.a metà del 1950 38, fece seguito, agli inizi del 1952, quella della divisione di fa'oteria Pinerolo '39. Al 30 giugno1954 l'esercito contava su di untotale 10 divisioni di fanteria, di cui 7 non motorizzate, (Mantova, Cremona, Avellin; Aosta, Granatieri, Friuli, Pinerolo) e 3 nominalmente motorizzate (Folgore, Legnano,
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Trieste). Le due brigate corazzate (Ariete e Centauro) esistenti alla data del 30 giugno 1951 vennero trasformate in divisioni 40 e venne altresì creata una terza divisione corazzata, la Pozzuolo del Friuli 41. Alle due brigate alpine (Julia e Tridentina) del 30 giugno 1951 oramai completate, se ne aggiunsero altre tre: Taurinense 4 2, Orobica 43 e Cadore 44. Vennero, inoltre costituiti i comandi del IV e del V corpo di armata con sede rispettivamente in Bolzano ed in Padova e ricostituito il Nucleo comando armata (quello esistente si era trasformato in comando delle F.T.A.S.E. il 10 luglio 1951) con la denominazione di Nucleo comando 3a armata con sede temporanea in Bologna e definitiva in Padova, posto alle dipendenze dello stato maggiore dell'esercito e, per la parte operativa, del comando delle F.T.A.S.E. 45. Da questo ultimo comando vennero a dipendere direttamente, per l' impiego nel quadro della pianificazione operativa N.A.T.O., il nucleo comando designato 3a a rmata, alle cui dipendenze d'impiego venne posto il comando del V corpo di armata ed il comando del IV corpo d 'armata 46 .Alla costituzione delle nuove grandi unità e dei comandi delle grandi unità complesse si accompagnarono naturalmente quella delle nuove unità m edie e minori di fanteria 47, di cavalleria 48, di artiglieria 49, del genio 50 e dei servizi nonché la revisione, il riordinamento ed ircompletamento degli organici di varie unità 51. Valuteremo più avanti nel suo complesso l'opera di ricostruzione dell'esercito compiuta nel quinquennio 1949-1954 sotto la guida del ministro Pacciardi che fu senza dubbio, il più convinto, il più esperto, il più attento ed il più attivo de i ministri della difesa succedutisi nel trentennio 1945-1975. Circa l 'esercito di campag.n a ci sembra. comunque, necessario mettere fin d'ora l'accento su alcune questioni. L'ampiezza conferita alla s truttura operativa oggf ci appare senza dubbio eccessiva, ma non si può non tene re presente che fu il particola~e ~ ento politico a favorirne l'espansione, anzi a determinarla, fino a raggiungere limiti che ben presto si riveleranno finanziariamente insostenibili. La situazione politica inte rnazionale dominata dalla guerra di Corea, l'acuirsi della crisi dei rapporti italo-jugoslavi per la questione di Trieste, l'unificazione delle forze militari nell'ambito dell'organizzazione del trattato dell'Atla ntico, il tentativo poi fallito della messa in essere di uno strumento militare unificato europeo di difesa (C.E.D.), la definizione della strategia avanzata e l'obbligo delle forze nazionali a svilupparla in proprio almeno per il tempo necessario all'arrivo di rinfo!_'zi da oltre oceano, la preminenza che in quel. periodo veniva
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ancora data alle forze convenzionali in un quadro d ' incertezza circa l' impiego delle armi nucleari e la non ancora raggiunta operatività delle armi nucleari tattiche furono tutti fattori che concorsero, nel loro insieme, ad indurre lo stato maggiore dello esercito e quello della difesa a superare i limiti del progetto del 1948 _fino a raggiungere un numero di grandi unità-che andò mo lto al di là di gue o reventivato - dì 8 aivisionf di fanteria, di -3 divisio;;fdi fanteria motorizzata, -di3 brigate corazzate e di 3 brigate alpine. ì . ,-J/ Dieci divisioni di fanteria (Cremona, Mantova, Granatieri di Sarde\, I gna, Friuli, Folgore, Legnano, Trieste, Pinerolo, Avellino, Aosta), tre /, divi sioni corazzate (Ariete, Centauro, Pozzuolo del friuli), cinque brigate alpine (Iulia, Tridentina, Taurinense, Orobica, Cadore) costituivano certamente un complesso di forze operative considerevole - come sostenne il ministro Pacciardi nel messaggio rivolto aJle forze armate il 2 giugno 1953: gli italiani potranno constatare quest'anno che nella nostra storia militare non abbiamo mai avuto furze armate così organizzate, così addesl!ate, così potenti - ma il lato debole di tale struttura era rappresentato dalla non omogeneità delle divisioni di fanteria (ternarie ridotte e binarie ridotte; nessuna veramente motorizzata) e dai livelli di forza, compresi quelli delle divisioni corazzate e delle brigate a lpine, inferiori alle tabelle organiche di guerra e spesso anche a quelle ridotte del tempo di pace. A favorire un'intelaiatura così vasta concorsero lo stessos forzo finanziario per il riarmo compiuto dallo Stato mediante l' incremento degli stanziamenti ordinari, che pem1isero un primo riassestarqento delle forze armate, e la concessione degli stanziamenti aggiuntivi, nonché gli aiuti diretti degli Stati Uniti valutati in mille miliardi di lire, più altri 250 miliardi di commesse americane. Il che signific~va, negli anni in cui vennero erogati, quasi il raddoppio degli stanziamenti nazionali. Nonostante tutti i motivi che spiegano e, entro certi limiti, giustificano la dilatazione dell'esercito, non si può non rilevare il persistere di alcune tendenze anacronistiche, giacché alcune delle grandi unità di nuova costituzione, seppure impiegabili per il concorso all'ordine pubblico, non raggiungevano il grado minimo di efficienza organica necessario ad un proficuo sviluppo dell'attività addestrativa e tanto meno queJlo di un'operatività soddisfacente in combattimento. Sotto il profilo tattico l'innovazione maggiore fu il ritorno del rapporto fanteria-artiglieria dal livello reggimento di fanteria-reggimento di artiglieria a quello reggimento di fanteria-gruppo di artiglieria. Il provvedimento venne giustificato dalla convenienza di I
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uniformare l'ordinamento italiano a quello degli eserciti alleati tenendo de bito conto de lla maggiore potenza di fuoco degli obici americani da 105 rispetto ai cannoni inglesi da 88 e dei pezzi americani d a 155/23 ri spetto a quelli ita liani d a 149/19. Il nuovo reggimento di artiglieria d a campagna della divis ione di fanteria conservò infatti la s tessa pote nzialità di fuoco dei tre precedenti reggimenti, nonostante la perdita d el gruppo mortai da 120, arma questa ultima che venne trasferita nell'ambito del reggimento di fanteria 52. Il rito rno ad un solo reggimento di artiglieria da campagna nella divi s io ne di fanteria, senza nulla sacrificare alla potenza d el fuoco e rogabile, o ltre rispondere al criterio di ridurre a llo s tretto necessario il numero dei comandi intermedi, accrebbe l'elas ticità dell'organizzazione del fuoco di artiglieria e le possibilità di manovra de lle traiettorie e deg li schieramenti, requisiti essenziali per l'efficace impiego dell'a rtiglieria.
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I problemi che durante il quinquennio della ricos truzion e dell'apparato militare di difesa non trovarono, per motivi di carattere pressoché esclus ivamente politico, soluzioni ad eguate e soddisfacenti furono quelli della gestione della politica militare e d ella strutturazione dell'organizzazione milita re centrale. Nel 1950, in obbedienza al d e tta to costituzionale, venne istituito il Consiglio Supremo di difesa 53 e se i mesi dopo il Consiglio Superiore delle forze arma te 54 che sostituì il Consiglio dell'esercito, il Consiglio Superiore della marino e il Consiglio superiore dell'aeronautica previsti dalla legislazione prebellica. Al primo, - il Consiglio Supremo di difesa - pres ieduto d a l preside nte della r e pubblica, fu a tt ribuito l'esam e dei problemi politici e tecnici attinenti alla difesa nazionale e la de terminazione d ei criteri e delle direttive per l'organizzazione e il coordinamen to delle attività che comunque lo riguardano. Venne creato così un organismo che avrebbe dovuto gestire la po litica di d ifesa, ma che in pra tica era privo de i poteri per farlo in quanto, essendo presieduto dal capo dello Stato, non era, e non è, responsabile di fronte al Pa rlamento, non ne ha gli attributi correzionali e quindi finisce con lo svolgere una fu nzione di contro llo su un altro organismo (il con siglio dei ministri) cui non è formalmente riconosciuto il compito di dirigere la difesa del Paese 55. Il secondo - il Consiglio superiore delle forze armate -
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prese vita da una legge ispirata ad un sano spirito interforze, creò peraltro un organismo di consulenza interno all'organizzazione, ma esterno alla linea di comando, in grado di influenzare il vertice politico senza doversene assumere le responsabilità 56. Il nuovo organismo incontrò gravi difficoltà nell'espletazione del mandato e ne c reò spesso anche ai vertici militari. La istituzione di un unico ministero della difesa, in sostituzione dei tre ministeri militari preesistenti, operata nel 1947 57 e il decreto legislativo del 1948 circa la istituzione della carica di capo di s tato maggiore della difesa 58, inoltre, non avevano prodotto né l 'unificazione dell'area tecnico-amministrativa (direzioni generali e uffici centrali) - dove c ontinuavano ad esservi 3 segretari generali, uno per forza armata - né la definizione chiara e precisa delle responsabilità e delle dipendenze dei vertici dell'area tecnico-operativa (stato maggiore della difesa e stati maggiori di forza armata)_ Nulla, infine, venne fatto nel quinquennio in esame per la risoluzione del problema del Cumandv Supremo in caso di guerra . Tutte questioni, specialmente quelle riguardanti l'area tecnico-operativa, che avrebbero meritato a ttento e approfondito esame dal quale conseguissero decisioni appropriate, tanto più necessarie dopo la costituzione della catena dei comandi operativi della N_A.T.O.. Lo stato maggiore dell'esercito conservò i tratti essenziali della sua fisionomia tradizionale, non senza modifiche ed aggiornamenti 59 operati lungo una linea di tendenza, peraltro contenuta, all'espansione cd all'accentramento di compiti e di funzioni; linea che continuerà ad essere seguita anche negli anni successivi, con conseguente moltiplicazione dei reparti, degli uffici e de lle sezioni ed appesantimento della intera struttura. D'altra parte il progresso costante delle nuove tecniche dell'organizzazione del lavoro e soprattutto il crescente bisogno di specia lizzazione degli organi addetti alle varie branche (operativa, dotLrinale, informativa, ordinativa, logistica, del personale, ecc.) cominciarono fin d'allora ad esigere una migliore razio na lizzazione dell'attività ed un maggiore numero di personale qualificato. La costituzione della catena di comando della N .A.T.O. non allegerì il lavoro dello stato maggiore dell'esercito, anzi ne accrebbe la mole e la delicatezza per le interconnessioni che ne d erivarono in materia di pia nificazione operativa e addestrativa con quello dei comandi della catena N.A.T.O.. Il fare parte della N .A.T.O. comportò inoltre per lo stato maggiore dell' esercito: la presenza di s uoi rappresentanti presso i comandi integrati della nuova organizzazione militare
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e presso i vari gruppi di lavoro, permanenti od a termine, venutisi a mano a mano a costituire soprattutto nel secondo quinquennio; relazioni e contatti stretti per la costituzione delJ'esercito europeo nel quadro della C.E.D.; la partecipazione ai vari comitati costituiti ad hoc e l'istituzione di organi di studio per l'elaborazione dei progetti di unificazione. Tutto ciò concorse in misura notevole al formars i nei quadri di una mentalità aperta e ricettiva, al liberarsi dai residui di «piemontesismo » ancora esistenti in diversi settori, alla «sprovincializzazione» dello stato maggiore e, più in generale, dell'esercito. L'apertura al mondo e agli altri eserciti della N.A.T.O. fu un fatto enormemente vantaggioso sia per l'a pporto ricevuto dagli altri stati maggiori s ia pe r quello dato a questi ultimi, che in più occasioni non mancarono di apprezzarne la validità e di tenerne conto. Un altro aspetto particolare della nuova o rganizzazione tecnico-operativa, quasi inesistente nel periodo prebellico, fu l'incerto rapporto c he venne a determinarsi con lo stato maggiore della difesa sia per la novità del nuovo organismo, s ia per la scarsa chiarezza dei vincoli di dipendenza, sia soprattutto per la mancanza di uno spirito e di una mentalità interforza, che induceva gli stati maggiori di forza armata a considerare il nuovo organo con scarsa s impatia, a mal tollerarne le funzioni e addirittura, ta lvolta, ad ignora rne le direttive o a no n informarlo de i propri intendimenti e delle proprie decisioni. Di grande m ole e delicatezza fu, infine, il lavoro di concorso a1l'a ttività degli organi tecnico-amministrativi e, in particolare, del segretario generale dell'esercito, perculiarmente nei riguardi dell'impostazione dei bil a nci annuali 60, dei programmi di sviluppo dell'esercito, del trattamento economico dei quadri, della disciplina 6 1, del reclutamento 62, dello stato ed avanzamento degli ufficiali 63 e dei sottuffic ia li 64 e degli organici dei qua dri 65. L'assoluta necessità di una visione unitaria di tutti i problemi comunqu e riguardanti l'esis tenza e la vita dell'esercito, anche di quelli c he nel passato, a ragione o a torto, erano stati considerati di competenza esclusiva dell'area tecnico-amministrativa, ne comportò il vaglio costa nte da parte dello stato maggiore dell'esercito, le cui funzioni acquistarono in pra tica una spiccata pre minenza ne i riguardi s ia di quelle dello stato maggiore della difesa sia di quelle del segretario generale. Se da un lato ciò rese più spedite e sollecite le riforme e le decisioni riguardanti l'esercito, dall'altro esaltò l'autonomia de llo stato maggiore dell'esercito a detrimento della visione interforze dei problemi, aumentò la difficoltà dell'azione di coordinamento e direzione de l ministro e del capo di stato maggio-
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re della difesa, non favori la collaborazione tra gli organi tecnicooperativi e quelli tecnico-amministrativi della forza armata, anche se quasi mai i contrasti tra il capo di stato maggiore ed il segretario generale furono tali da produrre guasti seri, mentre anzi vi furono, anche negli anni successivi, periodi di stretta intesa fra i due vertici, favoriti spesso dalle relazioni personali di reciproca stima e di cordiale amicizia intercorrenti da lunga data fra i due. La ricostruzione dell'organizzazione centrale interforze e di forza armata non fu dunque, preminentemente per responsabilità dell'autorità politica, né sufficientemente razionale, né adeguatamente funzionale, né bene proporzionata alla nuova ridotta intelaiatura delle forze armate, né strutturalmente definita con chiarezza. La difesa del territorio e l'organizzazione di comando periferica rimasero concettualmente quelle dell'esercito di transizione, che le aveva ereditate dall'ordinamento territoriale stabilito nel gennaio del 1945 66 . Vennero peraltro presi provvedimenti di carattere ordinativo vario per l'adeguamento dei comandi territoriali alle esigenze operative 67 e, tra i provvedimenti, il più importante fu la costituzione dei comandi di zona 68 e di unità fucilieri 69, i primi quali organi di demoltiplicazione dei comandi militari territoriali, le seconde per allegerire in pace i reparti operativi dai servizi di guardia alle infrastrutture territoriali (magazzini, depositi, ecc.) e per la difesa in guerra dei punti più sensibili del territorio di giurisdizione dei comandi militari territoriali. Ai comandi di zona vennero conferite attribuzioni specifiche in merito alla difesa del territorio ed al concorso nel mantenimento dell'ordine pubblico, funzioni ispettive e di controllo sui distretti e sui depositi, attività di direzione e di coordinamento degli organi della leva e della selezione, nonché attribuzioni di comando, nella linea gerarchica delle dipendenze dal comando militare territoriale, sui distretti e sui depositi. Nel territorio di giurisdizione di ciascun comando militare territoriale vennero stanziate una o più divisioni e brigate cui furono assegnati compiti per il tempo di pace e vennero dati orientamenti d'impiego per il caso di guerra, mentre dopo la costituzione del comando delle F.T.A.S.E. e dei comandi di corpo d'armata, una parte delle grandi unità operative, in particolare quelle di immediato e di pronto impiego, venne assegnata alla N.A.T.O. e posta alle dipendenze dei nuovi comandi di corpo d'armata (IV e V) alle cui dipendenze vennero rispettivamente posti anche i comandi territoriali IV e V 70. Altre grandi unità, pur restando alle dipendenze dei C.M.T. nella cui giurisdizione avevano
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le loro sedi stanziali, vennero precettate per il caso di guerra a favore del comando delle F.T.A.S.E. che poté considerarle disponibili, sia pure in tempi diversi, nella propria pianificazione operativa. Il servizio territoriale e di presidio venne regolato fin dal 1948 da una nuova edizione della pubblicazione omonima, mentre le modalità per il concorso nel mantenimento dell'ordine pubblico e per l'assunzione dei poteri civili in casi estremi da parte dei comandanti di territorio vennero fissate nel 1950 da una circolare a firma del ministro 71, la quale dette molto fastidio alle opposizioni quando ne vennero a conoscenza, quasi lo Stato democratico non avesse il dovere d'intervenire per prevenire i disordini, le prevaricazioni e le insurrezioni e quasi le forze armate non dovessero concorrere, in caso di estrema necessità, al mantenimento dell'ordine pubblico costituzionale democratico. La preminenza d'importanza e la priorità ùi attuazione conferite, a ragione, all'esercito di campagna ed all'organizzazione scolastica non lasciarono grandi margini di disponibilità di risorse da dedicare alla difesa territoriale eù all'organizzazione della relativa catena di comandi per i quali ultimi, peraltro, era stato previsto un numero piuttosto elevato, sia dalla circolare istitutiva degli l 1 comandi militari territoriali, dei 99 distretti e dei 90 depositi 72, sia dal progetto del nuovo ordinaI l. mento 73. Il potenziamento e l'adeguamento dell'organizzazione. logistica e del funzionamento dei servizi dell'esercito riguardò sia gli organi centrali, sia quelli periferici territoriali, sia quelli di supporto delle 'grandi unità dell'esercito di campagna. La messa a punto della nuova organizzazione, basata anche questa su quella dell'esercito di transizione, ebbe caratte re di gra dua lità e richies e un certo periodo di tempo, ma per la seconda metà del 1954 venne raggiunto un assetto ordinativo consono alle esige nze di quel periodo ed a quello dato ai servizi di sanità 74, di commissariato 75, di artiglieria 76, deL _,g.eJ1io 77 , della motorizzazione 78, delle trasrn,issioni 79, dei trasporti 80 e ippico veterinario 81. Gli organi essenziali dei servizi, nonostante la continua evoluzione ordinativa della quale diamo conto nelle note riferite a ciascun singolo servizio, avevano tutti da tempo ripreso a funzionare in pieno, sia dal punto di vista tecnico-amministrativo, sia da quello tecnico-operativo, anche se sulla base delle modalità amministrative e procedurali del passato, non essendo intervenute nel frattempo se non parziali modifiche legislative intese a snellire ed accelerare il corso burocratico degli approvvigionamenti. dei rifornimenti, delle distribuzioni e dei
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recuperi. Una questione che stette particolarmente a cuore alle autorità centrali fu il riordinamento dei servizi tecnici, per il quale vennero avanzate proposte dalla apposita commissione istituita per lo studio della riforma dei servizi tecnici dell'esercito, dall'ufficio del segretario generale e dall'ufficio ordinamento dello stato maggiore dell'esercito. I tre organi espressero pareri discordi. Il progetto della commissione proponeva: la scissione delle funzioni in tre branche, tecnica, di approvvigionamento; logistica; l'assegnazione di ciascuna delle tre funzioni ad un organo distinto; l'unificazione dei servizi tecnici e la costituzione di un unico corpo tecnico; la costituzione di una direzione generale degli approvvigionamenti e del relativo corpo degli approvvigionamenti (la direzione avrebbe assorbito alcune delle direzioni generali esistenti); la creazione di un'intendenza generale dell'esercito e del relativo corpo con il compito del rifornimento alle truppe. Il progetto del segretario generale, molto meno ambizioso, ma tendente a porre i servizi tecnici alle dipendenze del segretario generale anziché del capo di stato maggiore, proponeva di: non costituire il servizio tecnico del genio e delle trasmissioni; restituire agli ispettorati d'arma 82 le loro funzioni ispettive e tecnico-addestrative; costituire fin dal tempo di pace un ente per gli approvvigionamenti e le fabbricazioni di guerra; istituire l'ispettorato delle trasmissioni e lasciare la sola direzione generale del genio anche per le esigenze delle trasmissioni; porre alle dipendenze del segretario generale l'ufficio ricerche e studi dello stato maggiore dell'esercito; costituire il servizio tecnico dell'esercito alle dipendenze del segretario generale dell'esercito, con apposito corpo tecnico, al quale affidare i compiti del servizio tecnico di artiglieria e di quello de lla motorizzazione, nonché i compiti devoluti in passato al servizio tecnico del genio. Il progetto ridotto, accettato dall'ufficio ordinamento dello stato maggiore dell'esercito, prevedeva: la costituzione di un ente per gli approvvigionamenti e la produzione, da trasformare in tempo di guerra in sottosegretariato per gli approvvigionamenti e le fabbrica zioni di guerra; il potenziamento quantitativo e qualitativo dei servizi tecnici già esistenti e di nuova costituzione (genio e trasmissioni); il cooi:dinamento dei servizi tecnici da parte del capo di stato maggiore mediante l'ufficio ricerche e studi od un altro organo da costituire quale, ad esempio, l'ispettorato superiore tecnico (previsto dalla legge 10-V-1940 e successivamente soppresso con legge n. 104 del 22-V-194083); la ricostituzione, per il servizio degli annamenti, della direzione superiore tecnica; l' istituzione di un
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h.pettorato generale delle trasmissioni (come per la motorizzazione) oppure la costituzione di un ispettorato delle trasmissioni lasciando alla direzione generale del genio il compito di provvedere anche alle esigenze tecnico-amministrative delle tramissioni. Quando venivano compiuti tali studi, l'ispettorato del genio aveva già proposto di dare inizio alla costituzione dell'~rma dei collegamenti e lo stato maggiore dell'esercito, espressosi favorevolmente nei riguardi della proposta, dispose dal 1 ottobre 1952 l'istituzione della carica di iw.ettor:.e_per i collegamenti e la costituzione del relativo ufficio e stabilì un nuovo organico per l'ispettorato dell'arma del genio in relazione alla costituzione dell'ufficio telecomunicazioni dello stato maggiore dell'esercito e dell'ispettorato per i collegamenti 84. Nessuno dei tre progetti ebbe attuazione e le cose rimasero quasi com'erano, perché a rendere difficile il mutamento concorse in buona misura il dissidio concettuale di vedute tra il capo di stato maggiore dell'esercilo ed il segretario generale circa la dipendenza dei servizi tecnici. Se abbiamo dato un certo sviluppo alla questione, che interessa solo per inciso il nostro discorso, si è perché l 'accaduto conferma come la mancata chiara definizione delle attribuzioni del capo di stato maggiore dell'esercito, al quale non polt::va esservi dubbio spettasse anche il coordinamento dei servizi tecnici, avesse riflessi negativi nell'impostazione e risoluzione di quei problemi che non potevano non essere inquadrati se non in un progetto di distemazione dell'intera organizzazione centrale.
11. Le realizzazioni scolastiche e addestrative rese operanti dal generale Cadorna nell'esercito di transizione vennero completate, ampliate e perfezionate nel quinquennio 1949-1954 dai suoi successori, non meno solleciti nei riguardi dei problemi della profess ionalità dei quadri e della preparazione delle unità, degli specializzati e dei singoli soldatì. Vennero costituite in Torino le scuole di applicazione di fanteria, di artiglieria, qel ~nio e, in Roma, la scuola di applicazione del servizio a utomobilistico 85. Il liceo convitto Nunziatella in Napoli venne trasformato in collegio militare di Napoli 86. La scuola di guerra, mantenuta costantemente alle dipendenze dello stato maggiore dello esercito, venne dal 1° settembre 1951 riordinata e potenziata in relazione alle aumentate esigenze del numero dei frequentatori 87 e successivamente, nel 1954, nuova-
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mente ristrutturata per conferirle una maggiore autonomia funzionale 88. Sempre nell'ambito dei provvedimenti riguardanti il reclutamento e la formazione dei quadri in servizio permanente delle varie armi e servizi venne istituita, in Roma, la scuola ufficiali dell'arma dei carabinieri 89. Le scuole di applicazione di fanteria, di artiglieria, del genio vennero riunite in un unico ente - Comando delle scuole di applicazione d 'arma - costituito in Torino il 1° aprile 1951 e posto alle dipendenze dello stato maggiore dello esercito 90. Nel 1954 la scuola di applicazione di fanteria assunse la nuova denominazione di Scuola di applicazione di fanteria e di cavalleria. Il Centro esperienze e addestramento di commissariato in Maddaloni assunse la denominazione di Scuola e centro esperienze di commissariato che, nel giugno del 1951, vennero trasformati in Accademia dei servizi di commissariato e di amministrazione militare con il compito di formare gli ufficiali in servizio permanente di commissariato e di amministrazione 91. Venne costituita in Chiavari la Scuola unica operatori radiotelegrafisti delle tre forze armate che venne posta alle dipendenze tecnico-addestrative dello stato maggiore della difesa e disciplinari, addestrative e logistiche del C.M.T. di Genova 92_ Presso l'accademia di Modena nel 1952 venne istituito, con sede in Sassuolo, il Comando dei corsi speciali di reclutamento degli ufficiali in servizio permanente effettivo 93. Un'altra scuola potenziata fu quella di educazione fisica, in Orvieto, . per la preparazione di istruttori ufficiali e sottufficiali qualificati 94. Il reclutamento e la formazione degli ufficiali di complemento vennero affidati alle scuole d 'arma che nel 1954 vennero riadeguate alle varie necessità complessive di alimentazione dell'esercito ed in relazione alle diversificate esigenze di personale specializzato nei vari settori 95. La Scuola servizi e governo del personale, in Rieti, fu incaricata temporanea mente di svolgere i corsi per gli allievi ufficiali di complemento dei servizi 96, poi venne sciolta come tale e trasformata in Scuola allievi sottufficiali specializzati 97, mentre la formazione degli allievi sottufficiali avviati al servizio permanente rimase affidata alle scuole d'arma. Per la formazione dei sottufficiali dei carabinieri venne costituita, in Firenze, per trasformazione della Scuola centrale dei carabinieri, che venne soppressa, la Scuola sottufficiali dei carabinieri 98. Nel quadro dei vari provvedimenti diretti ad attribuire ad enti specifici il compito di formare le reclute di ciascuna specializzazione venne costituito il C.A.R. per le truppe alpine 99 in sostituzione dei preesistenti reparti addestramento dei reggimenti alpini; venne
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costituito un battaglione addestramento reclute (B.A.R.) in Cagliari per le esigenze del 60° reggimento fanteria dislocato in Sardegna 100; il reparto carabinieri paracadutisti venne inserito nel Centro militare di paracadutismo 101; la Scuola allievi operai, la Scuola allievi armaioli e gli enti per i corsi artificieri vennero trasformati in reparti allievi operai, allievi armaioli, allievi artificieri, posti rispettivamente alle dipendenze dell'Arsenale dell'esercito, della Fabbrica d'armi, del Laboratorio di caricamento proietti 102; venne disposta la costituzione del Reparto allievi meccanici e motoristi contraerei presso il laboratorio di precisione 103_ Le scuole d 'arma vennero altresì incaricate della formazione degli specializzati di leva che, dopo un breve periodo presso i C.A.R., venivano trasferiti presso le rispettive scuole d'arma per compiervi appunto la preparazione specialistica. La Scuola artieri venne trasformata in Scuola pionieri e venne prep~ aWaddestramen'to dei volontari e degli allievi ufficiali di complemento del genio e degli ufficiali e sottufficiali in servizio permanente del genio e sistemata definitivamente in Roma, presso la Cecchignola 104, mentre il 1 marzo 1950 venne costituito in Civitavecchia il 1° reggimento pionieri che venne preposto all'addestramento dei militari dileva del genio pionieri 105 . Nel 1951 vennero fuse nella Scuola truppe corazzate in Caserta le preesistenti scuole di carrismo e di cavalleria blindata 106_ Presso la scuola di fanteria e quella delle truppe corazzate vennero costituiti battaglioni organici dimostrativi, sia per perfezionare anche praticamente la preparazione dei quadri delle specialità, sia per esperimentare l'impiego di nuove armi e di nuove formazioni 107. Il Centro militare ippico nazionale, costituito in Pinerolo nel 1946, venne riordinato e nel 1949 trasferito in Montelibretti 108_ Non vi fu, dunque, settore ed aspetto dimenticato o trascurato ed il risultato del! 'intenso e fervoroso lavoro dello stato maggiore dell'esercito fu la costruzione di un'organizzazione scolastica e addestrativa di primissimo piano, solida, funzionale, moderna, resistente al passare degli anni tanto è vero che tuttora resta saldamente valida 109 nella sua linea concettuale. Nessuna delle istituzioni scolastiche e addestrative costruite ex novo, ricostruite o ristrutturate in quel periodo, venne soppressa nei tempi successivi. Ad esse se ne aggiunse qualche altra, ma il disegno generale rimase nel suo insieme quello iniziale. Naturalmente i programmi dei corsi e gli assetti ordinativi interni delle varie strutture subiranno costanti aggiornamenti e adeguamenti al progresso delle tecniche organizzative, didattiche e pedagogiche,
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ma nonostante i vari ridimensionamenti subiti dall'esercito nei periodi successivi al quinquennio della ricostruzione, la configurazione e l'organigramma degli istituti scolastici e addestrativi conserveranno integra la loro validità sul piano sia dei crite ri concettuali d'impostazione sia di quelli organizzativi. E ciò è sufficiente a giustificare la valutazione del tutto positiva che si deve dare di quel lavoro.
12.
Abbiamo cercato di mettere in rilievo le luci e le ombre della ricostruzione ordinativa dell'esercito operata nel quinquennio 1949-1954. i giudizi negativi circa alcuni aspetti del -riordinamento ~ dell'esercito di campagna, degli organismi centrali e di quelli periferici territoriali non possono opacizzare l'insieme dell'opera, tanto più che le lacune e le omissioni dipesero in gran parte dai responsabili politici, me ntre gli eccessi di espansione furono la conseguenza del clima di ottimismo generato dall'arrivo degli imponenti aiuti americani e da valutazioni operative matura te ne ll'ambito della N.A.T.O .. Va peraltro sottolineato che il ministro Pacciardi e d i vertici militari lavora rono in un clima di stretta intesa fra di loro, mentre non sempre trovarono sufficiente rispondenza né nello stesso governo, né nel Parlamento, dove le opposizioni socialcomuniste - decisamente avverse all'alleanza atlantica e anche all'europeismo - mentre contrastavano costantemente con motivi speciosi la ricostruzione delle forze armate che additavano al paese come un pericolo, anziché una garanzia per la democrazia e d accusavano di militarismo, di spirito di rivincita e di neofasc ismo, finivano per indurre la maggioranza a rimandare e trascurare le questioni militari limitandone il più possibile la discussione pubblica. Inoltre, una parte della stessa maggioranza, compresi vast i settori dello stesso par tito di maggioranza relativa, alquanto ostici per natura e tradizione a tutto ciò che a ttenesse a i problemi milita ri, non affrontava con entusiasmo e con decisa volontà politica i dibattiti parlame ntari in materia e non se ne faceva certo promotrice, ma anzi spesso ne rifuggiva. In tale situazione politi ca, il lavoro del ministro e dei vertici militari incontrò una serie di ostacoli e di indifferenze non tutti obiettivamente superabili, talché occorre onestamente riconoscere che se molte cose non andarono per il meglio non dipese da insufficie n za di pros pettive, arretratez-
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za culturale e tanto meno da cattiva volontà del ministro e dei vertici. Là dove questi poterono lavorare senza intralci per la ricostruzione di forze armate operativamente bastevoli e qualitativamente efficienti, lo fecero senza risparmio di sforzi e, in definitiva, portarono a termine il loro programma con successo. Il che fu molto, quando si pensi al significato spirituale e materiale della ricostruzione che valse a restituire all'Italia ed alle forze armate un'identità nazionale ed internazionale distrutte dalla guerra.
CAP. L · LA RICOSTRUZIONE E LA RIPRESA
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NOTE AL CAPITOLO L I Al quarto governo De Gasperi - in carica dal maggio 1947 al maggio 1948 parteciparono la democrazia cristiana, il partito socialdemocratico ed il partito repubblicano. 2 Risultati delle elezioni del 18 aprile 1946: Camera dei deputati: D.C. voti 12 741 299 (48.5%) seggi 305; P.S.D.l. voti l 858 346 (7, I%), seggi 33; P.R.I. voli 652 477 (2.5%). seggi 9; Fronte democratico popolare (P.C.J. e P.S.I. uniti) voti 8 137 047 (31 %), seggi 183; P.L.I. 1 004 889 (blocco nazionale insieme con «Uomo qualunque »), seggi 19; P.S.D.I.U.M. (partito monarchico insieme con !'«Alleanza democratica del lavoro•) voti 729 174 (2.8%), seggi 14; M.S.l. voti 526 670 (2%), seggi 6; S.V.P. voti 124 385 (0,5%), seggi 3; altri voti 494 625 (1,8%), seggi 2. Totale voti: 26 268 912; totale seggi 574. Senato della repubblica: D.C. voti IO 899 640 (48,1 %), seggi 131; P.R.l . voti 584 178 (2,6%), seggi 4; P.S.D.I. voti 1 555 011 (4 senatori eletti · con una lista P.S.D.1.-P.R.I.), seggi 12; P.S.l. e P.C.l. voti 6 969 122 (30,8%), seggi 72; P.L.l. voti I 216 934 (S,4%), seggi 7 (insieme <.:on !'«uomo qualunque» ne l blocc o nazionale); P.N.M. e P.M.P. voti 393 510 (l,7%), seggi 3; M.S.I. voti 164 092 (0,7%), seggi nessuno; S.V.P. voti 95 406, seggi 2; altri voti 773 397, seggi 6; totale voti 22 657 290, totale seggi 237. 3 Governi italiani dal 1946 al 1960: quinto governo De Gasperi - dal maggio 1948 al gennaio 1950 - D.C., P.S.D.J., P.L.J., P.R.I.; sesto governo De Gasped - dal gennaio 1950 al luglio 1951 - D.C., P.S.D.I., P.R.I.; settimo governo De Gasperi - dal luglio 1951 al luglio 1953 - D.C. , P.R.I.; ottavo governo De Gasperi - dal luglio all'agosto 1953 - D.C.; governo Pella - dall'agosto 1953 al gennaio 1954 - D.C.; primo governo Fanfani - dal gennaio al febbraio 1954 - D.C.; governo Scelba - dal febbraio 1954 al luglio 1955 - D.C., P.S.D.I., P.L.I.; primo governo Sc1ni - dal luglio 1955 al maggio 1957 - D.C., P.S.D.I., P.L.l., P.R.I.; primo governo Zoli - dal maggio 1957 al maggio 1958 - D.C.; secondo governo Zoli - dal giugno al luglio 1958 D.C.; secondo governo Fanfani - dal luglio 1958 al febbraio 1959 - D.C., P.S.D.I.; secondo governo Segni - dal marzo al luglio 1960 - D.C.. 4 C.E .C.A. vds. precedente Cap. XLVII, nota 44. 5 O.N.U. vds. precedente Cap. XLVII, nota 3. 6 M.E.C. v<ls. prt:ct:<lt:nlt: Cap. XLVII, nota 46. 7 Euratom, vds. precedente Cap. XLVII, nota 45. 8 Risultati delle elezioni del 1953: Camera dei deputati: D.C. voti IO 864 282 (40,1%), seggi 263; P.R.1. voti 437 988 (1,6%), seggi 5; P.S.D.I. voti l 223 251 (4,5), seggi 19; P.S.I. voti 3 441 305 (12,8%), seggi 75; P.C.I. voti 6 121 922 (22,6%), seggi 143; P.L.I. voti 816 267 (3%), seggi 13; P.D.l.U.M. voti 1 855 842 (6,9%), seggi 40; M.S.l. voti I 580 293 (5.8%), seggi 39; S .V.P. voti 122 792 (0,5%), seggi 3; altri 628 801 (2,3%), nessun seggio. Senato della Repubblica: D.C. voti 9 692 584 (39,9%), seggi 113; D.C.-P.R.l. voti 186 447 (0,8%), seggi 3; P.S.D.I. voti 1 340 006 (5,5%), seggi 4; P.S.1. voti 2 893 148 (11,9%), seggi 26; P.C.I. voti 4 912 093 (20,2%), seggi 51; P.L.l. voti 695 985 (2,9%), seggi 3; P.D.I.U.M. voti l 582 653 (6,5%), seggi 14; P.S.J . voti I 473 596 (6,1 %), seggi 9; S. V.P. voti 107 139, seggi 2; altri voti I 425 700 (5,8%). seggi 12; totale voti: 24 439 35 I , totale seggi 237.
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Vds. precedente nota n . 3.
Risultati delle elezioni del 1958: Camera dei deputati: D.C. voti 12 522 279 (42.3%), seggi 273; P .R .L voti 405 574 (insieme con il partito radicale) (1,4%), seggi 6; P.S.D.I. voti 1 345 750 (4,6%), seggi 22; P.S.L voti 4 208 111 (14,2%), seggi 84; P.C.l. voti 6 704 706 (22,7%), seggi 140; P.L.I. voti 1 046 539 (3,5%), seggi 17; P.N.M. voti 659 865 (2 ,2 %), seggi 11; P.M.P. voti 776 942 (2,6%), seggi 14; M.S.I. voti 1 407 913 (4,8%), seggi 24; S.V.P. voti 135 495 (0,5%), seggi 3; Unione Valdostana voti 30 596 (O, 1%), seggi 1; altri voti 319 463 (1.1 %). seggi I; Senato della repubblica: D.C. voti IO 792 262 (41,3%), seggi 123; P.S.D.l. voti 1 165 402 (4.4%), seggi 5; P.S.I. voti 3 682 806 (14,1 %), seggi 35; P.C.I. voti 5 701 019 (21,8%), seggi 59; lista P.S.T.-P.C.I. voti 185 644 (0,7%), seggi 2; P.L.T. voti 1008830 (3,9%), seggi 4; P.N.M . voti 566 265 (2.2%), seggi 2; P.M.P. voti 783 936 (3%), seggi 5; M.S.l. voti 1 121 859 (4,3%, seggi 8; S.V.P. voti 120 086 (0,5%), seggi 2; Unione Valdostana voti 28 137 (O, 1 %), seggi I ; altri voti 3589 seggi nessuno; miste destra vot i 334 151 (1.3%), seggi nessuno; totale voti 26 151 999; totale seggi 246. 1 1 Vds. precedente Cap. XLIX, nota 21. 12 Vds. precedente Cap. XLIX, nota 39. 13 Ernesto Cappa (1888-1957), generale d i corpo d 'armata. Allievo della scuola di Modena, tenente nel 32° reggimento fanteria, comanda nte del battaglione aviatori di Torino, partecipò, successivamen te alla I • guerra mondiale con il 162° e con il 134 ° reggim ento fanteria con il grado d i capitano. Da maggiore prestò servizio presso il comando supremo. Dopo la g uerra frequentò la scu ola <li guerra, dopodiché prestò scrvi7.io presso il comando del corpo d'armala di Torino. Da colonnello com andò il 9 1° reggimento fanteria. Dal 1937 prestò servizio con incarichi vari presso lo stato maggiore d ell'esercito. Da generale di divisione comandò la divi sione di fanteria Lupi di Toscana. Da generale di corpo d 'armata comandò il comando militare territoriale di Padova e, successiva m ente, fu segretario generale per l'esercito. Da l 1° Dicembre 1950 fu nominato capo di stato m aggiore dell 'esercito, carica che tenne fino al 1952. 14 Giuseppe Pizzom o (1 891-1 980), generale di corpo d'armata. Arruolatos i n el I 910 come soldato volontario e destinalo com e a llievo ufficiale al 50° r eggimento fanteria, parti per la Tripolitania e la Cire naica dove, con il grado di sottoten ente di complemento dell'arma di fanteria, partecipò a lla guerra italo-turca. Nella 1 • guerra mondiale comandò u n battaglione della brigata Sassari. Dopo aver frequ entato Ja scuo la di guerra, fu trasfer ito nel corpo dì s tato maggiore, rivestendo molti incarichi, tra cui quello di capo di s tato m aggiore della division e Cosseria. Nel 1935 venne trasferito in So~alia e, dal I O marzo di quell'anno, fu nominato capo di s tato maggiore d el comando regio corpo truppe coloniali. Alla fin e d ella guerra contro l'Et iopia com andò la 16° brigata coloniale in Gondar e, su ccessivamente, rientrato in Italia, il 232° fanteria. Promosso gen erale d i brigata prest ò servizio pr esso il com ando militare territoriale di Udine e, ne l 1948 da gener a le di divisione, comandò la d ivis ione Cremona e poi l'accademia militare dì Modena. Da generale di corpo d'armata (1950), fu nominato segretario generale per l'esercito ed il I O settembre 1952 Capo di stato m aggiore d ell'esercito. 15 Lazzaro Maurizio De Castigliani ( 1888-1962), generale d i corpo di armata. Frequentò l'accad emia militare d i Modena e nel settembre 1910 ebbe la nomina a sottotenente degli alpini. Partecipò a lla campagna italo-turca ed alla 1 a g uerra mondiale, durante la quale com andò unità alpine e, su ccessivamente, svolse incarichi d i s tato maggiore presso il Comando S uprem o. Nel periodo tra le due gu err e IO
CAP. L - LA RICOSTRUZIONE E LA RIPRESA
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frequentò la scuola di guerra e fu capo d el reparto operazioni de llo stato maggiore dell'esercito. Da colonnello comandò il 2° reggimento alpini e, su ccessivamente, rientrò nel corpo di stato maggiore, dove rimase anche da generale di brigata quale capo del I reparto. Prestò servizio presso il Comando Supremo e, successivamente, a ncora una volta, presso lo slalo maggiore de ll'esercito. Da generale di divi sione comandò la divisione per sicurezza interna Aosta, quindi fu vice-comandante del comando territoriale di Palermo del qua le assunse il comando il 1 luglio 1947. Da l I gennaio 1951 tenne il comando militare territoriale di Padova e, successivamente, il comando delle forze terrestri a lleate del Sud Europa. Lasciò il servizio il 17 mano 1951. 16 Bilancio della difesa. T dati di bilancio sono quelli iniziali della legge di bilancio: 1949-50: P.J.L.% - Bilancio dello Stato 1.524,9 - Bila ncio d ello Stato su P.I.L. % Bilancio della difesa 301 ,3. Bilancio della difesa su P.l .L. % - Bilancio della difesa su bilancio d ello Stato 19,76%. 1950-5 1: P .T.L.. - Bilancio dello Stato 1.462, 1. Bilancio dello Stato s u P.l.L. %. - Bilanc io della difesa 433,0. Bilancio della difesa su P.I.L. % . Bilancio della difesa su bilancio dello Stato 28,93%. 195 1-52: P.T.L. 9.75 1 Bilancio dello Stato 1.884,1 . Bilancio dello Stato su P.l.L. 19,32%. Bilancio della difesa 435,0. Bilancio della difesa s u P.I.L. 4.47%. Bilancio della difesa su bilancio dello Stato 23,12. 1952-53: P.1.L. 10.250. Bilancio dello Slalo. Bilancio della d ifesa 518,2. Bilancio della difesa su P.I.L. 5,05%. Bilancio della difesa su b ilancio dello Stato. 1953-54: P.I.L. 11.880. Bilancio dello Stato 2.230,7. Bilancio dello Stato su P .I.L. 18,78%. Bilancio della difesa 488,9. Bilancio d ella difesa su P.I.L. 4,11 . Bilancio della difesa s u bilancio dello Stato 2 1,92% 1954-55: P.I.L. 12.995. Bilancio de llo Stato 2.432,5. Bilancio dello Stato su P.l .L. 18,78%. Bilancio della difesa 462,3. Bilancio dell a difesa s u P .T.L. 3,56. Bilancio della difesa su bilancio dello Stato 19,00% 1955-56: P.I.L. 13.163. Bilan cio dello Stalo 2.782,2. Bilam.:io dello Staio s u P.l .L. 21 , 18 . Bilancio della difesa 487,1. Bilancio della difesa su P.I.L. 3,70 %. Bilancio della difesa 487,1. Bilancio della difesa su P.l.L. 3,70%. Bilancio d ella difesa s u bilancio dello Stato 17,47%. 1956-57: P.I.L. 14.190. Bilancio dello Stato 2.990,9. Bilancio dello Stato su P.I.L. 21 ,08%. Bilancio della difesa 516,3. Bilancio della d ifesa su P.l.L. 3,64. Bilancio de lla difesa s u bilancio dello Stato 17,26%. 17 Foglio 1400/0rd./1 dell'ufficio ordinamento dello stato maggiore dello esercito, in data 15-V-1948 (atti dell'ufficio). Il documento consta di un lesto, di un a llegato (2 pagine), di un'appendice (7 pagine).Fog lio11 22 C.S.M ., 5-VII-1948: Ordinamento dell'esercito e fogli o s.n. del 27-VII-1948 dirello al ministro de lla difesa cd a fi rma del capo di stato maggiore d ell'eser·cito all'oggetto R elazione sulle sedute della Commissione Consultiva dal I O al? luglio 1948 circa il nuovo ordinamento dell'ese rcito. Nel loro insieme i 4 documenti costituirono la magna charta della ricostruzione ord inativa dell 'ese rcito. Essi rivestono perciò un'importanza fondamentale, per ché l'attuazione del progello in essi delineato, portata a compimento entro il 1953-'54, configurò la nuova fis ionomia della forza armata in sostituzione di quella della legge n. 368 del 1940. Tutte le successive trasformazioni, modifiche, riduzioni ordinative verranno di fa tto riferite a tale ordinamento ad eccezione di quelle suggerite d a ll'evoluzione della dottrina, degli armamenti e, in generale, del p rogresso-scienlifico-lecnico. 18 Vds. precedenteCap. XLII, nota 35. 19 Venne costituito un Comitato di ufficiali americani pe r l'amministrazione del programma d i assistenza militare (Mililary-Assistance Program - MAG). Il capo del MAAG rappresentava il segretario della difesa degli Stati Uniti ed era localmente solloposto alla a utorità coordinatrice dell'ambasciata USA a Roma. Egli svolgeva anche funzioni di consulenza. L'organizzazione era fuori della catena N .A.T.O. e s i basava su rapporti d iretti Italia-Stati Uniti.
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20 R.M. n. 1, 1945, pg. 25: Il nuovo reggimento di fanteria, di Miles; R.M. n. l. 1946, pg. 88: Il plotone fucilieri nell'attacco del magg. Alberto Alì; n. 11, pg. 143: Un punto di vista sull'evoluzione della fanteria, del gen. Umberto Utili; n. Vll, pg. 763: Fanteria ed assaltatori, del col. Guido Boschetti; n. VII, pg. 767: Un altro punto di vista sull'evoluzione della fanteria, del ten. col. Vincenzo Pizzonia; n. VII, pg. 862: Un punto di vista sull'evoluzione della fanteria, del magg. Franco Angioni; n. XII, pg. 1405: Fanteria di rottura, del gen. Umberto Utili; n. Xli, pg. 1499: Sull'evoluzione della fanteria, del magg. Giuseppe Bianchi; 1947, n. 1, pg. 35: Alcune idee sull'armamento della fanteria, del magg. Luigi Forlenza; n. V, pg. 498: Sulla evoluzione della fanteria, del cap. Giorgio Anselmi; n. VI, pg. 619: Fanteria, cinque raggi di un alone, del gen. Gian Giacomo Castagna; n. VII, pg. 776: La divisione di fanteria, del magg. Guido Barbetta; n. VIII-IX, pg. 928: Impiego dei minori reparti di Fanteria nell'attacco, del col. Guido Boschetti; 1948, n. III. 1948, pg. 222: Fanteria (ammaestramenti), di Labor. 21 R.M. 1947, n. VI, pg. 629: Ordinamento delle truppe corazzate sul nuovo esercito italiano, del magg. Enzo Gifuni; n. Ili, pg. 232: Carri armati e unità corazzate, del gen. Giorgio Liuzzi; 1952, n. VI, pg. 635: Tattica carrista e tattica corazzata, del magg. Romolo Quercio; 1953, n. lll, pg. 251 : Note circa una dotlrina d 'impiego delle unità corazzate, del gen. Paolo Supino; 1954, n. VII-VIII, pg. 716: Impiego dei r.nrazzati, del gen. Paolo Supino. 1955, n. VI, pg. 611 : Per un'arma corazzala, di Sagillarius; n. IX, pg. 1017: Per un 'arma corazzata, del ten. col. Cirino Rubino; n. XI, pg. 1346: Per un'arma corazzata, del ten. col. Luigi Forlenza; n. XI, pg. 1348: Per un'arma curazzdta, del magg. Renzo Cacciò; n. XII, pg. 1495: Per un'arma corazzata, del ten. col. Giangiorgio Barbasetti di Prun. 22 R.M. 1946, n. 11 , pg. 176: Futuri orientamenti de/l'artiglieria, d el ten . col. Vittorio Re; n. VIII-IX, pg. 936: Problemi organici delle artiglierie divisionali e loro riflesso sull'impiego, del cap. Andrea Cucino; n. X, 1947, pg. 1085: Impiego dell 'artiglieria divisionale nel combauimento difensivo, del ten. col. Arturo Santomauro; 1948, n. Il, pg. 140: Note sull'ordinamento e sull'impiego dell'artiglieria divisionale, del magg. Franco Angioni; n. IX, pg. 927: Limiti e forme dell'azione di artiglieria di Simplex; n. XI, pg. 1228: Il reggimento di artiglieria da campagna, del col. Mario Brunelli; 1949, n. I, pg. 66: Ordinamento dell'artiglieria da campagna e pesante campale, del magg. Andrea Cucino; n. Il, pg. 161: Gruppo su tre batterie o balleria su sei pezzi, Jd magg. Mario QuarLo; n. III, pg. 247: Verso la gra11de UliÌià d'artiglieria, del col. Mario Brunelli; n. III, pg. 257: Opinioni sull'ordinamento de/l'artiglieria da campagna nella divisione di fanteria, del ten. col. Alberto Righetti; n. IV. pg. 361 : Artiglieria da campagna, del gen. Giuseppe Mancinelli; n. VI, pg. 578: li reggimento di artiglieria da campagna divisionale del magg. Enzo Fasanotti; n. VI, pg. 606: A proposito dell'ordinamento dell'artiglieria da campagna, <lei ten. col. Cipriano Tinti; n. VIII-IX, pg. 809: L'artiglieria della divisione di fanieria, del col. Mario Brunelli; «Ordinamento dell 'artiglieria divisionale del magg. Vincenzo Lconelli; n. Xl, pg. 1099: L'ordinamento dell'artiglieria da campagna, del ten. col. Luigi Forlcnza; n. XII, pg. 1178: Note sull 'ordinam ento e su/l'impiego dell 'artiglieria, del magg. Andrea Cucino; 1950, n. IV , pg. 381: Alcune considerazioni sull'impiego dell'artiglieria divisionale, del gen. Mario Faccio. 23 R.M. 1945, n. VII, pg. 737: L'arma del genio e i nuovi tempi, del ten. ge n. Luigi Sacco; 1947, n. IV, pg. 386: L 'arma del genio nella guerra moderna. Riflessi sulla sua organizzazione d el col. Federico Fatta; n. VII, pg. 663: Gli artieri della divisione di fanteria, del magg. Sergio Giuliani; 1949, n. VlII-lX, pg. 816: Considerazioni sul
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battaglione artieri divisionale, del ten . col. Ottavio Di Casola; 1951, n. I, pg. 65: Il genio pionieri nella divisione di fanteria, del col. Salvatore Mancuso; 1952, n . VI. pg. 701: Arma o servizio il genio e i collegamenti del ten. col. Renato Calò; n . VII, pg. 880: L'arma del genio e l'arma dei collegamenti, del ten. col. Ottavio Di Casola; n. VIII-IX, pg. 921 : Ordinamento dell'arma del genio del gen Pietro Steiner; n. VIII-IX, pg. 1001 : Armi o Servizi, genio e collegame nti, del gen. Ettore Musco; n. X, pg. 1053: Armi o Servizi del genio e i collegamenti, del col. Franco Gonnella. 24 Le ultime leggi riguardanti l'ordinamento dello stato maggiore dello esercito erano s tate: Legge n. 2038, 22-XII-1939, G.M. 1940, pg. 76: Aggiornamento del R.D.L. Il-VII-1935. n. 1419 sul nuovo ordinamento dello s tato maggiore del R.E .. Legge n . 457, 18-TV-1940, circ. n. 450, G.M. 1940, pg. 1500: Sostituzione della tabella graduale e nume rica degli ufficiali del corpo di stato maggiore. Legge n. 959, 14-VI-1940, circ. n. 619, G.M . 1940, pg. 2017: Aggiorna mento s ulle vigenti disposizioni sull'ordinamento del comando del corpo di stato maggiore. Legge n. 320 I 1-IV-1941 circ. n. 386, g.m . 1941 , pg. 1261: Aggiornamento de lle vigenti disposizioni sull'ordinamento de l comando del corpo di stato maggiore. Legge n . 482, 16-VI-1942, circ. n . 467, G.M. 1942, pg. 1831 : Ordinamento dello s tato maggiore dell 'esercito. Questa · ullima legge previde la di sti nzione tra corpo e servizio e per il corpo l'organico di 48 colonnelli e 178 tenenti colonnelli, mentre no n indicò limiti per g li ufficiali (tenenti colonnelli, maggio ri, capitani e tenenti) del servizio. 25 La legge n. 368, 9-V-1940, circ. n. 320, G.M . 1940. pg. 840, aveva ordinato l'arma de i carabinieri su: comando generale, 3 divisioni, 1 comando Albania, 7 brigate, 28 legioni territoriali , 1 scuola centrale, 1 legione a llievi. 1 g ruppo s quadroni, 4 b attaglioni, 1 gruppo per l'Egeo, 1 squadrone guardie del re, l banda. Gli organici dell'arma erano stati già aumentati con il R.D.L. n. 2083, 29-XII-1939, circ. n. 70. G.M. 1940, pg. 124. Con il DLL n. 603, 31-Vlll-1945, circ. n. 426 G.M. 1945 pg. 1611 l'ordina mento venne fissato su: 1 comando generale, 3 divisioni. 6 brigate, 21 legioni territoriali, 1 Scuola centrale, 1 legione allievi, l gruppo squadroni, 12 battaglioni mobili con 4 comandi di raggruppamento. l squadrone guardie del re, 1 banda. l battag lioni mobili non costituirono una novità, ma le novità furono il numero e la maggiore mobilità per cui essi divennero uno strumento di cfficad a bellica oltre che di sicurezza interna. 26 Vds. Rivista militare anno 1945. n. V, pg. 532: Rivoluzione delle operazioni anfibie e crisi della difesa costiera, de ì magg. Francesco Mereu. 27 Ne l I 950 i C.A.R. erano così ordinati e dislocati: 1° in Casale, 2 ° in Fossano, 3° in Brescia, 4° in Verona, 5° in Treviso , 6° in Pesaro, 7° in Siena, 8° in Orvieto, 9° in Bari, 10° in Avellino, 11 ° in Pale rmo. I C.A.R.. di artiglieria presso il 7 ° artiglieria in Cremona, il 14° a rtiglieria in Foggia ed il 17° artiglieria in Novara. 28 Vds. precedente Cap. XLII, nota 35. 29 Vds. precedente Cap. XLII, nota 39. 30 L'armamento dell'esercito di transizione era in prevalenza di provenienza ing lese, mentre nel 1948 cominciavano a giungere le pr ime armi di provenienza a mericana. Le armi individuali erano: la pis tola Berretta, cal. 9 (italiana); il moschetto cal. 6,5 (italiano); il moschetto automatico Be rretta cal. 9 (italiano); il fucile Enfield ca l. 7,7 (inglese). Era in corso la distribuzione della carabina Winchester cal. 7,62 e del fucile Garand ca!. 7,62 in sostituzione d el moschetto cal. 6 ,5 e del fucile Enfield. Le armi collettive: il fucile mitrag liatore Bren ca!. 7,7 (inglese); la mitragliatrice Browning cal. 12,7 (ame ricana); la mitragliatrice Breda cal. 8 (italiana); il mortaio da 60 mm. (inglese); il mortaio da 81 mm. (italiano); il
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lanciabombe Piat (inglese). Erano in corso di arrivo e di distrihuzione il BAR cal. 7,62 (americano) in sostituzione del Bren, il mortaio da 107 (americano), il lanciarazzi Bazooka da 60 mm (americano) in sostituzione del Piat ed il lanciarazzi Bazooka da 88 mm (americano). Le arliglierie: cannone da 47/32 (italiano); cannone da 37 mm (italiano) s u caITi armati e autoblindo; cannone da 57 mm (inglese), cannone da 76/55 (in glese); ca nnone da 88/27 (inglese). Erano in corso di arrivo e di dis tribuzione: cannone da 40 mm contraerei (americano); cannone senza rinculo da 57 mm (americano); cannone senza rinculo da 75 mm (americano); obice da 105/22 (americano); cannone da 155/23 (americano). I carri a rmati (tutti americani) erano gli Sherman in via di sostituzione con i Patton M 47 e i Pershing M. 26. I carri armati e le artiglierie semoventi erano dotati di cannoni da 76 mm e da 90 mm. 31 i principali provvedimenti ordinativi adottati dall'aprile 1949 al giugno 1950 J., rigujlrda~o: - 1 1949: la cost ituzione in Pordenone dal 15 scttem h re 1949 del comando del1'8° reggimento bersaglieri e della compagnia controcarro da 57/50. TI reggimento inquadrò i prees istenti l e 11 battaglione (fogli n. 1033/0rd. del 16-V-1949; n. 1524/0rd./1 del 25-VI-1949; n. 2090/0rd./1 del 22-VHl-1949). li nominativo del I 0 reggimento carrist i, unità carri dell'Ariete, fu camb iato in quello di 132° reggimento carristi; la trasformazione (15 maggio 1949) del G.E.D. della divisione di fanteria Friuli in 2° reggimento Piemvnle Cavalleria su 2 gruppi squadroni ed 1 squadrone armi di accompagnamento (foglio n. 7 10/0rd./ 1 d e l 29-III- 1949); la costituzione (15 agosto 1949) in Padova del 3° reggimento artiglieria pesante campale che inquadrò l'Xl gruppo da 149/19 ed il XXI grnppo da 140/30 (fog lio n. 1664/0rd./ l dell ' ll-VI-1949); la costituzione in Gradisca (1 ° ottobre 1949) del 3° reggimento ar1ii;!ieria da campagna per la divisione Mantova (foglio n. 1830/0rd.ll del 3 1-VII1949); la costituzione d el comando del 2° regginJ~to pontJ!!.!.! (15-Xll-1949) in Piacenza, dipende nte-dallo S.M.E. per l'impiego e dal C.M.T. di Bologna per il resto, che inquaclròi preesi stenti Jnattaglione._po~tie ri -battaglione fe rrovieri (foglio n. 3120/0rd./1 d; I 29-XT-i"949); l'inizio del potenzia~elle truppe da ~ ntagna con la costituzione, dal I ottobre 1949 in Udjne, del comando brigata a lpina Ju/ia posto a lle dipendenze del C.M.T. di Padova , c he inquadrò 1'8° reggimen to a lpini, il gruppo di artiglieria da montagna Belluno e un gruppo artiglieria controcarri da 57/50 (foglto n. 2550/0rd./I del 7-X- 1949). ~ ia costiruzionc in Roma (i-IH-i 950) àel comando_8 ° reggimento lancieri di Mvntebellu per la divisione Granatieri di Sardegna (foglio n . 144/0rd./I del 20-1-1950); la trasformazione (15 aprile 1950) del gruppo cava lleria blindata Gorizia in 3° reggimento Gorizia Cavalleria pe1· la tli visione Legnano (foglio n. 58 1/0 ,·d./I d el 6-III-1950 e fog lio n. 19/0rd ./I del 5-1- 1950; promemoria d el 27-11- 1950); l~...EQ§.1.iJ.uz.i.0, ne in Civitavecchia, alle dipendenze <lei C.M.T. di R~ma,_ del / 0 reggimg_nto g€!.t!iQ_ pionie-ri s u 2 battaglioni- di addestramento";; 2 battaglioni indi visionati (l per la illvisione Friuli e 1 - p Cr la div1sfon e ·Granatier( Jj" Sard°egna) (foglio n. 390/0rd.I dell'S-II-1 950); la cost iLUzione in Bel luno, dal I-I-1951 , del 5° reggime nto genio pionig:i ch e, alle dipendenze del C.M.T. di Padova, inquadro un oaffaglionc addestramento, il battaglione genio pionieri della d ivisione Manwva, il battaglione genio pionieri della divisione Folgore, le compagnie genio p ionieri della Trieste e d ella Julia, il battaglione genio pionieri territoriale (foglio n . 3365/0rd./l del 5-XI-1950); la costituzione in Bologna, a lle dipendenze del C.M.T., della divisione di fanteria motorizzata Trieste, che inquadrò il 40° reggimento Bolo~na su 3 battaglioni già esistenti e 1'82° reggimento da costituire in Forlì, a seguito d ella contrazione a
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2 battaglioni dell'87° e dell'88 ° reggimenti fanteria {fogli n. 1095/0rd./l del 26-TV-1950; n. 1190/0rd./I del 3-V-1950; n. 1660 e 1670/0rd./T del 27-VT-1950; n. 2360/0rd./I del 7-Vlll-1950); il passaggio di dipendenza del 78° regg imenlo Toscana alle dipendenze del comando divis ione Friuli (foglio n. 1230/0rd./I del 4-V-1950) e del 157° Liguria a quelle del comando divisione Cremona (foglio n. 3635/0rd./I del 20-XI-1950); il completamento del comando della divisione di fanteria Avellino (fogli n. 2435/0rd./l del 20-IX-1950 e n. 1090/0rd./l del 12-111-1950); la costituzione in Verona, a lle dirette dipendenze dello S.M .E., del Nucleo Comando designato d'Armata, retto da un generale di corpo d 'armata, con il compito di condurre studi o perativi (foglio n. 4040/0rd./I del 27-XII-1950); la costituzione, per il completamento della brigata Julia, in Udine dal 1 gennaio 1951 , de l comando del 3 ° reggimento di artiglieria da montagna che inquadrò i preesistenti gruppi Belluno e controcarri d a 57/50 e i nuovi g ruppi da costituire uno da 100/17 ed uno contraerei da 40; la costituzione in Verona ed in Riva del Garda. d a l I-IX-1950, del 9° reggimento artiglieria cam pale pesante che, alle dirette dipenden ze del C.M.T. di Bolzano, venne inizialmente costituito su 2 gruppi o bici da 155/23, venne previsto che in un secondo tempo venisse ordinato su 2 gruppi cannoni da 155/45; la costituzione in Viterbo, dal 1-Xll-1950 , de ll'8 ° reggimento a rtiglieria pesante campale su I gruppo ohici da 149/19 e I gruppo ca nnoni d a 140/30, a lle dipendenze del C.M.T. di R_p~ (foglio n. 3210/0rd./I del 14-x-1950). ~ !;(fino al 30 giugno): la costituzione in Verona, alle dipendenze del C.M.T. d i Bolza no, dal I-IV-195 1. della brigata corazzata Centauro che inquadrò il preesisten te 3° reggimento di artiglieria in costituzione dal l-V-195 1 in Bracciano, da tra sferire successivamente a Verona, comprendente 1 g ruppo semovente da I 05/22 e 1 gruppo controcarri da 76/50 (fogli n. 1075/0rd.I del 12-III-1951 , n. 1195/0rd.I del 20-III-1951 , 1200/0rd./T d el 20-IIT-1 95 1). Il ba ttaglione carristi, trasferito a Verona, entrò a far parte de l 131° reggimenlo ca rristi costitui to in Verona il 15-TX-1951 (fogli o n. 2784/0rd.l del 12-VIIl-1951); la costituzione dal I-III-1951 (foglio n. 2784/0rd. I del 12-VIII-1951); la costituzione dal I-Ill-1951 , in Caserta del 47° reggimento artiglieria da campagna (2 gruppi obici d a 105/22 di 2 batte rie di 6 pezzi) per la divisione Avellino (foglio n. 490/0rd. I dell '8-II-1951), in Messina del 24° reggimento artiglieria da campagna (2 gruppi da 105/22 s u 2 batterie di 6 pezzi) per la divisione Aosta (foglio n. 590/0rd. I del 12-U-1951), in Reggio Emilia d el 121 ° reggimento artiglieria da campugna pe r la divisione Tri,;st,; (fog lio il . 660/0,·J. T dd 15-11-195 1); la costituzione, dal 15-11-1951, in Piacenza, alle dipendenze del C.M .T . di Bologna, del 6° reggimento artiglieria pesante campale su: 1 gruppo obici d a 149/49 e 1 gruppo obici da 140/30; la costituzione, dal l maggio 195 I, in Bressanone del comando brigat a alpina Tri dentina, alle dipendenze del C.M.T. di Bolzano , che inquadrò il 6° reggimento alpini ed il 2° reggimento artiglieria da montagna di prevista costituzione dal 1 magg io {fogli n . .1215/0rd.l del 31-Ul-1951 e n. 1220/0rd.l del 31-lll-1 951); il passaggio del Nucleo Intendenza di Armata, costituito nel 1949 presso il C.M.T. di Padova, in relazione all'avvenuta costituzione del Nucleo Comando Designato di Armata, alla dipendenza di questo ultimo e la trasformazione d el Nucleo Comando Designato d i Annata, dal JO-VII-1951 , in com ando delle F.T.A.S.E. previo ad eguamento deg li organici, con la conseguenza che il Nucleo Intenden za di Armata assunse la denominazione di Nucleo Intende nza Nord-Est e venne posto alle dirette dipendenze dello S.M.E. ed adeguato neg li organici (fog li n. 190/0rd. T d e l 19-1-1951 , n. 230/0rd.T del 5-11-1951, n. 310/0rd. I del 31-VII-1 951,n. 350-S/Ord. I del 26-VIIl-1 951, n . 280-S/Ord. I del 21-VII-1951, n. 400-S/Ord. I d ell'S-IX-1951); la costituzione, d al
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15-1-1951. in Venezia del Settore Forze Lagunari, alle dipendenze del C.M.T. di Padova, retto da un contrammiraglio e comprendente tre sottosettori (Caorle-Coltellazzo, Venezia, Adige-Po) ciascuno costituito da un battaglione lagunare. Questo su: 1 compagnia anfibia con motozattere e motoscafi lagunari veloci, I compagnia autoportata con automezzi half-track e carrette cingolate, 1 reparto lagunare di appoggio con 1 cannoniera lagunare e I lanciarazzi (fogli n. 3388/0rd. I del 23-Xl-1950, n. 60/0rd. I del 9-1-1951 , n. 130-S/Ord. I del 14-V-1951). 32 In seguito alle sperimentazioni condotte presso il 17° reggimento fanteria vennero definite le nuove strutture organiche delle minori unità di fanteria che previdero: l'incremento dei mezzi delle trasmissioni, l'inserimento nella compagnia comando di battaglione di 1 plotone cingolato (6 carrette cingolate), l'inserimento nelle compagnie fucilieri di 1 plotone armi di accompagnamento (I squadra mitraglieri, I squadra mortai da 60, 1 gruppo arma controcarri, 1 nucleo mitraglieri da 12,7 contraerei), la costituzione della compagnia armi di accompagnamento del battaglione di fanteria su 3 plotoni mortai ed l plotone mitraglieri (fogli n. 3590/0rd. I del 24-Xl-1950 e n. 120/0rd. I del 16-1-195 1). Il 1 febbraio 1951 vennero sciolti i reparti sperimentali costituiti presso il 17° reggimento fanteria (foglio n. 3940/0rd. l del 31 -XII-1950). Venne definita allresì una nuova s truttura organica per i reggimenti alpini c-he pnevide: 3 o 4 battaglioni e 1 compagnia mortai da 81 reggimentale (fogli n. 870/0rd. I del 3 I-TII-1950 e n. 3360/0rd. I del 30-X-1950). Anche l'organico del reggimento bersaglieri venne modificato ed il reggimento venne costituito su: I comando , 3 battaglioni bersaglieri, 1 compagn ia cannoni controcarro (foglio n. 2160-R/Ord. I del 12-VI-1951). Ai reggimenti di fanteria venne organicamen te assegnata una compagnia controcarri da 57/50 su 3 plotoni (2 armi ciascuno) e nel contempo si provvide allo scioglimento del plotone controcarri delle compagnie armi di accompagnamento. 33 Anche per i reggimenti di cavalleria blindata - costituiti inizialmente su tre tipi di organici: A., A. mod., B. - vennero effettuate numerose esperimentazioni in relazione ai nuovi criteri d 'impiego sanciti dalla circ. 1700 ed alla fine la loro formazione organica venne unificata e così stabilita: 1 comando, 2 gruppi squadroni ciascuno su 1 squadrone blindato e 1 squadrone autoportato, 1 gruppo squadroni di accompagnamento su 1 squadrone armi di accompagnamento e l squadrone carri leggeri (foglio 11. 240/0r<l.I <ld 25-1-1951). ln tale quadro: il grnppo cavalleria blindato Niua della Cremona venne t rasformato dal 1 aprile 1951, in I O reggimento cavalleria blindata Nizza Cavvalleria e dislocato in Pinerolo (foglio n. 1185/0rd. I del 20-lll-1951); il gruppo squadroni Lancieri di Montebello della Granatieri di Sardegna venne trasformato, il I-V-1951, in 8° reggimento di cavalleria blindata Lancieri di Montebello (foglio n. 1190/0rd. I del 20-III-1951). 34 Nel 1950, a titolo sperimentale, vennero trasformati: il 1° reggimento artiglieria da campagna della Granatieri di Sardegna portato a 2 g ruppi da 88/27, ciascuno su 2 batterie di 6 pezzi (foglio n. 540/0rd. I del 2-111-1950); il 14° reggimento artiglieria da campagna dell'Avellino portato a 2 gruppi da 100/ 17 a traino meccanico ciascuno su 2 batterie di 6 pezzi (foglio n . 1400/0rd. I del 18-V-1950); il 21 ° reggimento di artiglieria da campagna della Trieste portato a 2 gruppi da 88/27, ciascuno di 2 batterie di 6 pezzi (foglio n. 3100/0rd. I del 14-X-1950). Nel 195 I , in seguito a nuovi studi ed esperimentazioni, l'organizzazione delle artiglierie divisionali venne cosi fissata: nella divisione di fanteria ternaria: 3 reggimenti di artiglieria da campagna (2 armati di 88/27 e 1 di 105), ciascuno dei
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quali su 2 gruppi da campagna e 1 gruppo contraerei leggero. Il primo dei reggimenti avrebbe avuto anche 1 gruppo obici da 149/19, il secondo 1 gruppo mortai da 120, il terzo 2 gruppi controcarri riuniti in un sottoraggruppamento; nelle divisioni motorizzate, l'organizzazione sarebbe stata analoga, ma su 2 reggimenti, con la mancanza del terzo reggimento e, pertanto, del gruppo mortai da 120; ogni reggimento di artiglieria da campagna avrebbe avuto in proprio 1 gruppo di artiglieria contraerei e sarebbero stati perciò sciolti i reggimenti di artiglieria contraerei (fogli n. 586/0rd. I del 12-II-1951 e n. 1310/0rd. I del 28-III-1951). Vennero, di conseguenza, predisposti i seguenti provvedimenti ordinativi: - dal I-V-1951 trasformazione organica dell'Il 0 reggimento da campagna della divisione di fanteria motorizzata Legnano, del 155° della divisione di fanteria Mantova, del 184° della divisione motorizzata Folgore (foglio n. 1430/0rd. del 6-IV-1951); - dal 15-V-1951 trasformazione organica del 3° e 5 ° reggimento della divisione di fanteria Mantova, del 33° reggimento della divisione di fanteria motorizzata Folgore e del reggimento della divisione di fante ria motorizzata legnano (fogl io n. 1650/0rd. I del 30-IV-1951); - dal 1 ° giugno 1951 trasformazione organica d e l 27° reggimento ·artiglieria controcarri della divisione di fanteria motorinata T,egnano, de l 18° reggimento artiglieria controcarri della divisione di fanteria Man tova, del 41 ° reggimento artiglieria controcarri della divisione motorizzata Folgore (fogli n. 1785/0rd. I del 5-V-1951 e n . 1770-R/Ord. I del 5-V-1951); . - dal 30-V-1951 scioglimento dei comandi 1° , 2°, 3 ° e 4° reggimento contraerei leggeri ed assegnazione dei dipendenti gruppi ai reggimenti da campagna delle divisioni di fanteria e di fanteria motori7.Zata e contemporanea costituzione con g li s tessi indicativi, numeri e sedi, di 3 reggimenti artiglieria contraerei pesanti su 2 gruppi da 90/53 ciascuno (fogli n. 2140-R/Ord. I del IO-VI-1951 , n . 2180-R/Ord. I del 14-VI-1 95 1, n. 2740-R/Ord. I del 6-Vll-1951). 35 Venne elaborato uno studio relativo all'ordinamento del genio pionieri in pace ed in guerra ed attuato un nuovo organico da 2° reggimento genio pontieri (foglio n. 2550-R/Ord. I del 23-VU-1951). 36 La prima sessione mini steriale del Patto Atlantico ebbe luogo a Washington il 17 settembre 1949. In essa si gettarono le basi per l'organizzazione della N.A.T.O .. Vennero concordati gli schemi di organizzazione e gli organi direttivi, nonché la suddivisione regionale: Europa settentrionale (Gran Bretagna, Danimarca, Norvegia, Stati Uniti); Europa occidentale (Gran Bretagna, Belgio, Francia, Lussemburgo, Olanda, Canadà, Stati Uniti e membri interessati Italia e Danimarca); Europa meridionale e Mediterraneo occidentale (Gran Bre t agna, Francia, Italia e Stati Uniti); atlantico settentrionale (Stati Uniti, Canadà, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Danimarca, Irlanda, Olanda, Norvegia, Portogallo). Nel 1950 il Consiglio tenne 4 riunioni. In quelle tenute a New York dal 16 al 18 settembre e il 26 settembre venne approvala, tra l'altro, la costituzione di una forza unificata agli ordini di un comando centrale con e//etti vi sufficienti per prevenire l'aggressione e assicurare la difesa dell'Europa occidentale ed in quella del 18-19 dicembre la nomina del gene rale Eisenhower a comandante supremo della forza unificata. Nella riunione di dicembre venne anche deciso d'invitare i governi americano, francese e inglese a studiare con il governo della repubblica federale della Germania il problema della partecipazione di questa ultima a lla N .A.T.O., un contributo che rafforzerà la ·difesa dell'Europa, senza alle rare in alcun modo il carattere puramente difensivo dell'organizzazione
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allantica. Si impose, in Lale caso, il passaggio dalla slralegia della difesa periferica a quella della s trategia avanzata: la linea dell'Elba e le altrelin~nta~ale andavano perciò dffese aaoltranza. Tale s t rategia richied eva peraltro mezzi superiori a quelli di cui la N.A.T.O. disponeva e d a ciò derivava l'esigenza di accrescere con urgen za la potenza militare dell'alleanza e di modificare i piani di difesa esistenti. Vennero così assegnate alla N.A.T.O. le divisioni Man tova, Folgore, Legnano e le b rigate Ariete e Julia, menlre si procedé con urgenza a completare l'aliquota delle forze da assegnare alla N.A.T.O. in relazione alle esigen ze dalla difesa avanzata dello scacchiere nord-ori entale. Anche la divisione Granatieri di Sardegna fu inserita, senza assegnada fin dal tempo di pace alla N.A.T.O., nel piano di difesa d ella fron tiera, mentre si sarebbe proceduto gradualmente, come poi avvenne, a lla costituzione de lla seconda brigata corazzata (Centauro) ed a lla terza brigata alpina (Ta urinense). Le divisioni Triest e, Avellino e Aosta, ancora da completare, avrebbero per il momento mantenuto come compito principale quello della difesa del territorio. Agli inizi del 1951 il generale Eisenhower venne in Italia per esaminare la situazione delle forze armate italiane in ,·apporto ai nuovi compit i e i comuni<.:ati u fficiali misero in eviden za, alla fin e de lla visita, che era necessario un ulteriore potenziamento dello s trumento militare italiano, come pure la riorganizzazione d ella mobilitazione delle riserve, impedita dal tratlato di pace. Il generale Eisenhower tornò una seconda volta in I talia nello stesso a nno per rend ersi conto del grado di efficienza delle grandi un ità assegnate alla N.A.T.O. che trovò forti a terra, ma insufficienti, deboli nell'aviazione. Fu in questa occasione - 8 maggio 195 1 - che venne annunciata la nomina del generale Lazzaro dc' Castiglioni a primo comanda nte delle F.T.A.S.E.. Verso la fine dell'anno gi unse in visita in Italia, quale vice-comandante su premo delle forze a lleate, il maresciallo Montgomery che s' interessò anch'eg li de l grad o di approntamento e di efficien za del le forLe assegnate alla N.A.T .O.. Il 20 giugno 1951 l'ammiraglio slaLunitense Carney, des ig nato comandante in
capo de lle forze a llea te d el sud-Europa (F.A.S.E. o, con sigla, AFSOUTH), venne in llalia per tratta re i problemi de ll 'insediamento del suo comando in Napoli, frattanto provvisoriamente ins tallalo s ulla nave Mount Olympu s. Poco dopo venne insedia lo in Firenze il comando delle forze aeree a lleate del sud-Europa (FAASE o, con sigla, AIR SOUTH). 37 Costituzione della D.F. Avellino: foglio n. 1880/0rd. I del 30-VII-1949. Dala di costituzione: l-IX-1949. 38 Costituzione della D.f. Pinerolo: foglio n. 770-R/Ord. I, d el 31-lll-1 952. Data di costituzione: 15-TV-1952. 40 La brigata corazzata Ariete e la b rigata corazzata Centauro, rispettivamente d al I O ottobre 1952 e dal 1 ° novembre 1952, vennero trasformate in divisioni, con a lle dipendenze inizialmente i reparti costituenti le brigate, in attesa della disponibilità di materi7ili pe r il gradua le complemento: fogli n. 2105-R/Ord. I del 16-TX-1 952, n. 1340-R/Ord.I del 17-VI-1952, n. 2020-R/Ord.1 del 6-IX-1952. 41 La terza divisione corazzata Poz zuolo del Friuli venne gradualmente costituita in Rom a, posta alle dipenden ze del C.M.T. di Roma, con inizio dal 1-1-1953. Essa inquadrò: I squa drone di cavalleria blinda ta, il 4 ° reggi men lo carristi, il 1° reggimento bersaglieri, il 133° reggimento artiglieria da campagna con sede in Civitavecchia: fogli n. 2800-R/Ord.l d el 10-Vll-1952, n. 2490-R/Ord. I del 25-Vl-1 952, n. 1085-R/Or<l. Td el 30-TV-1953.
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42 A seguito di preavviso e della preventiva costituzione di reparti attuata nel 1951 (foglio n. 238-S/Ord. I <lei 5-VII-1951), il 15-IV-1952 venne costituito in Torino, alle dipendenze del C.M.T. di Torino, il comando d ella brigata alpina Taurinense che inquadrò il preesistente 4° reggimento alpini, il 1° reggimento di artiglieria da montagna, <li prevista costituzione dal I-V-1952 su: comando con sede in Rivoli, i gruppi artiglieria da montagna Aosta e Susa, il gruppo artiglieria contraerei da 40 mm con sede in Savigliano: fogli n. 465-R/Or<l. T del 27-11-1952 e n. 470-R/Ord. I del 27-11-1952. 43 La brigata alpina Orobica venne costituita dal 1-1-1953 con sede in Merano e posta alle dipendenze del comando del IV corpo d'armata. Essa inquadrò il 5° reggimento alpini (battaglioni Tirano e Edolo), il 5 ° reggimento artiglieria da montagna (gruppo da 75/ 13 su 2 batterie Bergamo, gruppo da 100/17 Sondrio, gruppo mortai da 107 Vestone, gruppo contraerei leggero Orobica): foglio n. 220-S/Or<l.I <lei 5-VIT-1952. 44 La graduale costituzione dal 15-VI-1953 della brigata a lpina Cadore con sede in Belluno, alle dipendenze del Comando V corpo d 'armata, venne di sposta con il foglio n . 1330-R/Ord. I dell'II-VI- 1953. L a brigata venne costituita s u: 7° reggimento alpini s u 2 bauaglioni (Belluno e Pieve di Cadore), 6° reggimento artiglieria da montagna su 4 gruppi (Lanzo da 75/13, Pieve di Cadore da 100/ 17, Agordo mortai da 107, contraerei da 40 Cadore), 1 compagnia pionieri, I compagnia trasmissioni. 45 La cos tituzione <lei comandi delle grandi unità complesse venne disposta con inizio dal 1 maggio 1952 con i fogli: 710-R/Ord. 1 del 31-III-1952, 860-R/Onl. r <lei 18-IV-1952, 880-R/Ord. l del 18-IV-1952, 890-R/Ord. T del 22-IV-1952, 1105 R/Ord. I del 20-V-1952. 46 Dal comando <lei TV corpo d'armata vennero a dipendere inizialmente: la brigata Tridentina, il 4° reggimento artiglieria pesante campale, il 4° reggimento artiglieria contraerei pesante, il Il battag lionL gi:.Illi> minatori, il IV battaglione collegameQti. Dal comando del V corpo d'armata: le divisioni Mantova-:-l''olgore, Ariete e la brigata alpini Julia . Le altre grandi unità inizialmente rimasero alle dipendenze dei C.M.T. nella c ui area <li giurisdizione erano le sedi stanziali dei comandi. Successivamente d elle 5 brigate alpine: 2 vennero inquadrate nel IV (Tridentina e Orobica), 2 nel V corpo d'armata (Julia e Cadore) e<l I (Taurinense) rimase alle dipendenze del C.M.T. di Torino. Le ~ isioni di fant~ri~ di massima inquadravano o rganicamente: 3 o 2 1·eggimenti aifanteria, 2 reggimenti di artiglie1·ia da campagna, 1 reggimento di cava lleria blindata, I batta_gl.iQn.!:...._genio pionieri, l battaglione collegamenti; le divisioni corazzate: ,_I- ~ ggimento bersaglie~ emicingolati ha[ftrac1<f. -11 ·eggi~ ento Carri (su M-47), 1 gruppo squadroni esplorante, 1 compagnia genio ionieri, 1 compagnia collegament i; lefbrigate alpi~e " 2-4 battaglioni alpini riuniti in un r~gimento, I reggimento arÌÌg11eria da montagna, I compagnia genio pionieri, 1 compagnia collegamenti. A fattor comune tutte le grandi unità disponevano di u~iqìRmrorganica commisurata dei vari servizi. Alle dipendenze del V corpo d 'armata furono posti altresì il setlore forze lagunari ed altre unità dei servizi preesistenti o in via di costitu zione, o di sviluppo, o di potenziamento. 47 Dopo le esercitazioni estive del 1951 il 9° ed il 231° reggimento di fanter ia dell'Avellino vennero contratti su 2 battaglioni e alla divisione venne assegnato, dal l luglio dello stesso anno, il 75 ° reggimento fanteria, rient rato dalla Somalia, che venne dislocato nelle sedi di Cosenza e di Catanzaro: foglio n. 1840 R/Ord. I del 15-V-195 1. La divisione di fant eria Pinerolo venne cost ituita per scissione dell 'Avei-
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lino che cedé il 9° reggimento fanteria, il 14° reggimento artiglieria da campagna, 1 compagnia genio pionieri e 1 compagnia collegamenti. Le due divisioni ebbero formazioni ridotte: 2 reggimenti di fanteria, 2 reggimenti di artiglieria da campagna s u 2 gruppi; l'Avellino venne dislocata completamente nell'area di giurisdizione del C.M.T. di Napoli ed il comando ebbe sede a Salerno, mentre la Pinerolo nell'area di giurisdizione del C.M.T. di Bari ed il comando ebbe sede in Bari: fogli n. 478-S/Ord. I del 13-X-1951 e n. 770-R/Ord. I del 31-III-1952. La D.f. Friuli dal I gennaio 1952 esperimentò l'ordinamento della divisione da montagna su 3 comandi di raggruppamento retti da generali di brigata: foglio n . 3600/0rd. I del 7-XI-1951. Il I-V-1952 venne costituito il 13° reggimento fanteria Pinerolo, con sede in Barletta, su: 2 battaglioni di fanteria, l compagnia mortai, l compagnia cannoni controcarri: foglio n. 845-R/Ord. I dell'II-IV-1952. Dal 15 luglio 1952 il set/ore forze lagunari ed il battaglione -Marghera assunsero nuovi organici e sotto la stessa data ebbe inizio la costituzione del reparto lagunare di appoggio del battaglione Marghera: foglio n. 220-S/Ord. I del 5-VII-1952. ll I gennaio 1951 venne costituito, con sedi in Mondovi ed in Ceva, il battaglione alpino Mondovì per il 4° reggimento alpini. Il 1-1-1953 venne costituito in Ver celli il Cl battaglione carri: foglio n. 2815-R/ Ord. I del 20-XII-1952. La dizione divisione di fanteria da montagna nel 1953 venne sostituita con quella di divisione di fanteria e i reparti salmerie - l'ultimo dei quali, quello per la Cremona, era stato costituito in Verona il 1 gennaio 1953 - vennero considerati non più unità organiche delle divisioni, ma supporti di corpo d'armata. Costituiti gradualmente dal 1949 i raggruppamenti di frontiera per il presidio della fortificazione permanente - XI. XII, XXI e XXII - vennero riordinati su nuovi organici mantenendo un livello di forza pari a l 50% degli organici di guerra (foglio n. 1270-S/Ord. I del 23-V-1953). 48 Il I-VII-1951 venne costituito il 6 ° reggimento cavalleria blindata Lancieri di Aosta per la Trieste, con sede provvisoria in Scandiano e definitiva in Reggio Emilia: foglio n. 2390/0rd. I del 28-VI-1951. Nel gennaio del 1954 venne precisato che i 5 reggimenti di cavalleria blindata fino ad a llora costi tuiti - Gorizia, Genova, Lancieri di Montebello, Piemonte e Lancieri di Aosta - dovevano essere considerati, ai fini operativi, unità di supporto di armata o di corpo d'armata, mentre dipendevano, in pace, ai fini addestrativi e disciplinari, dai comandi di divisione nei quali restavano inquadrati: foglio n. 170-R/ Ord. I del 31-1-1954. Nell'agosto del 1954 venne disposto il potenziamento del 4° reggimento Genova cavalleria attingendo il personale dagli altri reggimenti di cavalleria: foglio n. 1430-S/Ord. I del 25-VIII-1954. Il provvedimento fu adottato in dipendenza dall'esigenza Trieste. 4 9 Particolarmente laboriose e travagliate le costituzioni di nuove unità ed i vari riordinamenti di quelle esistenti dell'arma di artiglieria. Il l O luglio 1951, nel quadro dei provvedimenti ordinativi adottati nei riguardi delle artiglierie divisionali nel febbraio-marzo dello stesso anno: vennero costituiti il sottoraggruppamento controcarri della Mantova in Udine, previo scioglimento del 18° reggimento artiglieria controcarri; il sottoraggruppami:nto controcarri della Folgore in Cervignano; il 41 ° reggimento artiglieria controcarri di corpo d'armata in Padova sulla base del contratto omonimo reggimento della Folgore (foglio n. 2220-R/Ord. I de l 19-VI-195 1); vennero trasformati, dal 15 novembre 1951 , il 7° ed il 17° reggimento artiglieria da campagna della Cremona (foglio n . 3575-R/Ord. I del 10-XI-1951) e dal
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1° dicembre dello stesso anno il 52° reggimento controcarri della Cremona in reggimenti artiglieria da campagna (foglio n. 3605-R/Ord. I del 10-Xl-1951); vennero costituiti dal I gennaio 1952 il sottoraggruppamento controcarri della Legnano che entrò a far parte del costituendo reggimento artiglieria a cavallo e il 27 reggimento artiglie1;ia contro carri di corpo d'armata alle dipendenze del C.M.T. di Milano sulla base del contratto omonimo reggimento della Legnano (foglio n. 3360-R/Ord. I del 13-X-1951); vennero trasformati organicamente, dal I gennaio 1952, 1'8° ed il 35° reggimento artiglieria da campagna della Friuli ed il 9° reggimento artiglieria controcarri della Friuli in 9° reggimento artiglieria da campagna (fogli n. 3785-R/ Ord. I del 30-XI-1951 e n. 3786-R/Ord. I del 30-XI-1951). Il l ottobre 1951 venne costituito in Trento, alle dipendenze del C.M.T. di Bolzano, il 4 ° reggimento artiglieria pesante campale su 2 gruppi obici da 149/ 19 (foglio n. 3000-R/Ord. I de l 31-Vlll-1951). Nel quadro del potenziamento delle artiglierie pesanti campali, dal IO aprile 1952 venne disposta, per trasformazione degli omonimi reggimenti di artiglieria controcarri di corpo d'armata, la costituzione del: 41° reggime nto artiglieria pesante campale, con sede in Bassano del Grappa, alle dipendenze del C.M.T. di Padova su: 1 gruppo da 149/19 e 2 gruppi da 140/30, ciascuno s u 2 bat terie di 4 pezzi; 27° reggimento artiglieria pesante campale, con sed e in Milano, alle dipendenze del C.M.T. di Milano, su 3 g ruppi da 149/ 19 su 2 hatterie rii 4 pezzi. I.P. terze hatterie dei gruppi sarebbe ro state cost ituite all'eme1·genza (fogli n . 650-R/Ord. I del 28-III-1952 e n. 660-R/Ord. I del 28-IIT-1952). N el quadro della graduale assunzi one de ll 'ordinamento ordinativo delle artiglierie divisionali vennero disposti nel 1952 questi altri tre provvedimenti: riassetto, dal I giugno del 1952, del già esistente 13° reggimento artiglie ria della Granatieri su 2 gruppi da 88/27 e un gruppo da 40 contraerei; costituzione di un nuovo reggimento di artiglieria da campagna per la Granatieri, in Foligno, s u 2 gruppi da 88/27 e I gruppo da 40 contraerei; trasformazione, dal I ottobre 1952, di uno dei gruppi di a rtiglieria d a campagna delle divisioni di fanteria in gruppo obici da 155/23 su 2 batterie di 6 pezzi (terza batteria di prevista costituzione all'emergenza), provvedimento già attua to per la Mantova e la Cremona; costituzione, dal 15 aprile 1952, del secondo gruppo da 100/ 17 per il 52° reggimento artiglieria da campagna della Cremona. I vari provvedimenti vennero disposti con i fogli n. 920-R/Ord. I d el 23-IV-1 952, n. 1345-RJOrd. l del 16-Vl-1952, n. 2090-R/Orù. I del 4-X-1952, n. 695-R/ Ord. I del 23-III-1952. Nel quadro del potenziamento dell'esercito ne ll'esercizio finanziario 1952-'53 yenne dispos ta la graduale costituzione, dal 1 ° gennaio 1953, del XX gruppo mortai, con sede in lntra, alle dipendenze del C.M.T. di Torino; del Ili gruppo da 90'53 per il I O reggimento artiglieria pesante contraerei con sede in Albenga; del V gruppo da 4fY56 per il 1° reggimento artiglieria pesante contraerei con sede in Albenga; del Ili gruppo a rtiglieria da campagna da 88/27 e del V gruppo artiglieria contraerei da 40/56 per il 14° reggimento artiglieria da campagna, con sede in Bari; del Vll gruppo m ortai pesante, con sede in Pistoia, alle dipendenze del C.M.T. di Firenze; il gruppo artiglieria semoven.te da 105, con sede in Firenze, alle dipendenze del C.M.T. di Firenze; del Ili gruppo artiglieria contraerei da 9<Y53 e del V gruppo artiglieria contraerei da 4fY56, con sede in Pisa, per il 3° reggimento contraerei pesante (fogli n . 2160/0rd. I del 22-X-1952, n. 28 15-R/Ord. I del 20-XII-1952, n. 2820-R/Ord. I d el 20-XII- 1952, n. 2830-R/Ord. I del 20-XII-1952, n. 2825-R/Ord. I del 20-XIJ-1952).
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FILIPPO STEFANI
Nel 1953 l'ordinamento <lelle artiglierie divisionali venne nuovamente ritrasformalo secondo le seguenti formazioni: - divisioni di fanteria ternarie - Cremona, Granatieri di Sardegna, Mantova - l'artiglieria divisionale venne ordinata su: 1 comando artiglieria <livisionale; 1 reggimento di artiglieria <la campagna su 3 gruppi da campagna (3 balleria di 6 pezzi da 105/22 o da 88/27 ciascuno), I gruppo artiglieria pesante campale (3 batterie di 6 pezzi da 155/23), I gruppo artiglieria contraerei leggera (4 batterie ciascuna su 8 pezzi da 40 e 8 mitragliere quadruple <la 0,50); - divisioni di fanteria leggere - Folgore, Trieste, Aosta - l'artiglieria divisionale venne ordinata su: I comando artiglieria divisionale; 1 reggimento artiglieria da campagna su 2 gruppi artiglieria da campagn a (3 batterie di 6 pezzi da 88/27 o <la 105/22), 1 gruppo pesante campale da 155/23 (2 batterie di 6 pezzi), I gruppo contraerei leggero (3 ballerie, ciascuna su 8 pezzi da 40 e 8 mitragliere quadruple da 0,50). L'ordinamento venne assunto utilizzando i gruppi degli altri reggimenti <la campagna inquadrati nelle divi sioni e mantenendo provvisoria mente i sotloraggruppamenli controcarri. Vennero di consegue nza emanati i nuovi organici relativi ai comandi e reparti interessati. Dal l -Vl -1953 si provvide, inoltre, alla graduale costituzione de l: 121° ref.!J.!Ìmento artiglieria contraerei pesante, con sede in Bologna, su: 3 gruppi da 90/53 ed I gruppo da 40/56; 18° reggimento artiglieria r.nntrnl'.rP.i pP._ça11tP., .-,on secle in Foligno, :ille clipenclenze ciel C.M.T. di Roma, su: 2 gruppi da 90/53 e 1 gruppo da 40/56; 22° reggimento artiglieria pesante campale, con sede in Palermo, alle dipendenze del C.M.T. di Palermo, su: 2 gruppi da 149/19 in Palermo e 1 gruppo <la 140130 in Trapani (fogli n. 1050-R/Ord. I del 30-IV-1953, e n. 1265-R/Ord. I del 23-V-1953). La squadriglia autonoma di avvfàzione per l'artiglieria, costituita nel 1951 , venne trasformata in reparto aereo artiglieria a lle <lipen<lenze del comando della scuola al'liglieria di Bracciano con il compito di formare e addestrai-e gli ufficiali dell'esercito all'incarico di piloti osservatori e di specializzati per la manutenzione degli aerei leggeri in dotazione dell 'esercito (foglio n. 360-R/Ord. T del 26-TT-1953) . .'ìO Sulla base dello studio attuato nel 1951 e<l al fine di potenziare le unità di recente costituzione, venne deciso di ridurre il numero degli enti addestrativi dell'arma e di meglio razionalizzare la s truttura de i reparti mediint~: k> scioglirnentÒcicfcòmandi d eJ 10 e dcl_5° reggimento genio pionieri e dei relativi depositi; lo scioglimento <lei battaglione a<l<leslramenio <lcì"" 5° reggimento genio pionieri; l'inquadra mento dei repar tdel-genio-drsupporto del IV e d el V corpo d'arma!a in 4 raggruP-Jl~me~ti; f'attnouzio ne dei compiti assolti daf -depositi alle scuole genio ~Hie.z:i.__e -<lel k trasmissioni; la trasformazione del l O reggl!:nento trasmissioni iQ Scuola specializzati trasmissioni (foglio n. 365-R/Ord. I del 28-11-1954). 51 eUç_,nrecedenti note abbiamo indicato i principali provvedimenti ordinativi dal ~ ma quelli elencati non furono i soli. Nel quadro del programma di potenziamento ne vennero adottati molti altri e non poche furono le nuove unità al livello di battaglione, gruppo, compagnia, squadrone, batteri a, ecc. che vènnero costituite al fine del completamento delle unità g ià esistenti e del loro potenziamento, in particolare per quanto~ardava le urrità del genio, della motorizzazione, dell'aviazione leggera e dei servizi. Vds. , ad esempio,i - fogli: 250-R/Or<l. I del 31-III-1953, n. 260-R/Or<l. I del 2-II-1953, 255-R/Ord. I del 4-II-1953, n. 265-R/Ord. I del 6-II-1953, n. 270-R/Orcl'.'1 del 6-II-1953 per c itare solo quelli d ei primi mesi del 1953 che fu l'anno durante il quale maggiore fu il numero delle unità costituite ex novo e di quelle modificate o trasformate.
CAP. L . LA RICOSTRUZIONE E LA RIPRESA
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Gli organici del nucleo comando della 3• armata vennero modificati con il foglio n. 1030-R/Ord. I del 10-V-1953 e quelli del comando delle brigate alpine con il foglio n. 290-R/Ord. I del 18-11-1953. Nell'aprile del 1954 (foglio n. 705-R/Ord. I del 22-IV-1954) vennero meglio precisati e distinti i compiti dei comandi di corpo d'annata e dei C.M.T. di Padova e di Bolzano al fine di evitare interferenze: - comandi di corpo d 'armata: compiti operativi secondo la pianificazione, ordine pubblico, lavori difensivi di frontiera, attività informativa e stampa, difesa aerea territoriale; - comandi militari territoriali: difesa del territorio, funzionamento dei servizi territoria li, espropri, servitù militari, accasermamenti, reclutamento e mobilitazione. Nel settembre del 1953 erano stati stabiliti gli organici dei comandi di corpo d'armata (foglio n. 2160-S/Ord. I del 14-TX-1953). 52 Ordinamento del 1951: 3 reggimenti artiglieria da campagna, ciascuno su 2 gruppi da 88 o da 105, di 3 batterie ciascuno di 6 pezzi per un totale di 58 pezzi da 88 o da 105, oltre, al livello divisionale, di I gruppo obici da 149 per un totale di 18 pezzi e di I gruppo mortai da 120. Ordinamento del 1953: I reggimento artiglieria da campagna su 3 gruppi da 105 o da 88,ciascuno su 3 batterie di 6 pezzi per un totale di 54 pezzi da 105 o da 88, oltre 1 gruppo da 155/23 su 3 batterie di 6 pezzi per un totale di 18 pezzi da 155/23. 5 3 Legge 28-Vll-1950 (circ. n . 409, G.M. 1950, pg. 1370). La legge d'istituzione del Consiglio Supremo di difesa prevedeva che questo dovesse esaminare i problemi generali politici e tecnici attinenti alla difesa nazionale. Il Consiglio avrebbe dovuto venire convocato almeno due volte all 'anno. Ne facevano parte il presidente del Consiglio, i ministri degli affari esteri, intcmi, del tesoro, della difesa, dell 'industria e commercio, il capo di stato maggiore della difesa. Avrebbero potuto partecipare, di volta in volta, altri ministri, ed alti commissari ed essere convocati per essere ascoltati i capi di stato maggiore di forza armata, i presidenti degli organi, degli .is tituti e dei comitati interministeriali (ricostruzione, consiglio nazionale d elle ricerche, statistica, corpi consultivi delle forze armate e di altri organi consultivi .d ello Stato). Avrebbe potuto essere convocato d'iniziativa del presidente della repubblica. Era previsto che il segretario del Consiglio fosse un membro esterno al consiglio stesso. 54 Legge 9-1- 195 1, n. 167; ci rc. n . 108, G.M. 1951, pg. 279; circ. n. 185, 4-VI-1951. G.M. 1951. pg. 541: Composizione del Consiglio Superiore delle FF.AA. 11 Consiglio venne co stituito come organo consultivo del minislro con parere ubbligatoriu nei seguenti casi: questioni di alta importanza re lative agli ordinamenti militari ed alla programmazione organica e bellica delle FF.AA. e di ciascuna di esse; clausole di carattere militare da includere nei trattati o nelle convenzioni internazional i; proposte da trasmettere a l ministero de l tesoro per la formazione del progello dello s tato di previsione del ministero della difesa per c iascun esercizio finanziario; schemi dei provvedimenti di carattere legislativo o regolamentare predisposti dal ministro della difesa in materia di disciplina militare, di ordinamento delle FF.AA., di stato e avanzamento degli ufficiali e sottufficia li, di reclutamento del personale militare, di organici del personale militare e civile; di programmi relativi agli annamenti od a i grandi approvvigionamenti; capitolati d 'onere generali e particolari e progetti di contralti e di lransizioni nei casi in cui la legge di contabilità generale dello Stato prescrive il parere del Consiglio di Sta to; altre questioni d'interesse tecnico, militare, amministrativo che non rientrino in quelle sopraelencate. Parere
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obbligatorio, ma non vincolante. Il Consiglio costi tuito su 3 sezioni - una p er ciascuna fona armata - avrebbe agito in alcuni casi per sezioni ed in altri a sezioni riunite. Di esso avrebbero fato p arte come presidenti i generali ed ammiragli più anziani, esclusi i capi di stato maggiore cd i segretari genera li e 1 gen erale di b rigata o colonnello dell'esercito relatore deg li affari militari, 1 per gli affari tecnici, 1 ispettore o direttore di divisione d el ministero della difesa per ciascuna forza arma ta con proprio personale per gli affari amministrativi. Minis tro, sottosegretario di Stato, capo di stato maggiore della difesa avrebbero assunto il diritto di presenziare alle riunioni a lle quali avrebbero potuto partecipare, com e membri straordinari, anche a ltri generali, a mmiragli, funzionari convocati di volta in volta dal Consiglio stesso. ss Pietro Ostellino - Luigi Caligaris. I nuovi militari, Mo ndadori, Mil ano, 1983, pg.179. 56 Ibidem, pg. 181. 57 Decreto del Capo Pmvvisorio dello Stato 4-Il-1947, n. 17. 58 Decreto legge 21 -lV-1948, n. 955. 59 Dal 1950 a l 1976 l'a rticolazione dello Stato Maggiore dell'Esercito s ubì le variazioni di cui ai fogli e organigramm i riportati al termine delle note. 60 Lo stato maggio re dell'esercito: per l'esercizio fina n ziario 1950-'51, rappresentò che la r iduzione di 58 miliardi apportata allo stato di previsione per l'esercito avrebbe dovuto essere bilanciata da lla concessione degli stan ziamen ti straordinari già sollecitati e che ulteriori eventuali riduzioni avrebbero dovuto ave re una contropartita nell'ambito degli stanziamenti da parte del m ini stero del tesoro per fmnteggia1·e le esigenze del Palio Atlantico; per l'esercizio finanziario 1952-'53, espresse il pare re di non sacrificare il numero degli ufficiali e dei sottufficiali per realizzare una economia da destinare a l settore servizi, ma di lasciare inaltcrnto il programma, almeno per quanto riguarda i quadri, dato che l 'economia realizzabile (I miliardi e 1/2 circa) non avrebbe concorso in modo apprezzabile a risolvere il problema d ei servizi; per I'esercizio finanziario 1953-'54 , sottolineo il fa tto ch e la mancata concessione di 15 miliardi di integrazione al bilan cio ordinario del l'esercito avrebbe cos tre tto ad impiegare fondi s traordinari di potenziamento per integrare il bilancio ordinario e conseguentemente a non devolverli al potenziamento, per cui sarebbe stato necessario od aumentare gli s tanziamenti straordinari od adeguare il bilancio ordinario a lle effettive n ecessità dell'esercizio 1954-'55 in cui si prevedeva w1 aumento sensibile delle spese funzionali. Per ogni esercizio finanziario, inoltre, lo stato maggiore d e ll'esercito rapp resentò in maniera particolareggiata i piani di svi luppo e i fabbisogni della relat iva fona bilanciata sia al ministro sia allo s tato maggiore della difesa. Così, ad esempio, in fase di fabbisogno di fond i per le infrastrutture mise in rilievo ch e le insufficienze di bilancio determinavano r itardi nei lavori inerenti le infrastrutture necessarie per migliorarne la funziona li tà chiedendo stanziamenti s u ppletivi. Sulla situazione econ omica de i quadri, che aveva formato oggetto d i segnalazione e di richieste anche durante il periodo d ello esercito di transizione, lo stato maggiore d ell'esercito tornò più volte ne l 1949, nel 195 1, nel 1952 e così sui problemi della forza bilanciata ch e in sede di impostazione del bilancio per l'esercizio l 955-'56 venne fissata in 247 mil a unità. 61 Con un D.M. del l-Vl-1949, circ. n. 314, G.M. 1949, p g . 834, venne istituita la Commission e per lo studio e la compilazione del regolamento di disciplina unifica to per le tre forze armate. Frattanto vennero apportate modifiche varie a l regolamento di disciplina dell 'esercito in vigore: D.P.R. 15-VIT-1950, n. 1301, circ. n. 22 1, G.M. 1950, pg. 22 1; circ. n. 488, 18-I X-1953, G.M. 1953, pg. 1313; circ. n. 488, 18-IX-1953, G.M. 1953, pg. 1313; D.P.R. 12-VI-1 955, circ. n. 358, 12-VI-1955, G.M. 1955, pg. 126 1.
CAP. L · LA RICOSTRUZIONE EIA RIPRESA
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D.P.R. 14-X-1948, n. 1646; circ. n. 98, G.M. 1949, pg. 212: m odifiche a l T.U. delle disposizioni legislative sul reclutamento. Legge 28-Vl-1949, n. 553, circ. n. 271, G.M. 1949, pg. 744. D.M. 20-lX- 1950, circ. n. 395, G.M. 1950, pg. 1277. Legge 18-1-1952, n. 43, circ. n. 55, G. M . 1952, pg. 157. 6 3 Legge 14-VI-1948. n. 446, c irc. n . 253, G.M. 1949, pg. 700: modificazioni al R.D.L. 17-11-1942, n. 15 1 sullo stato e avanzamento degli ufficiali dello esercito. Legge 9-1-195 1, n. 7; circ. n . 25, G.M. 1951, pg. 43: ratifica del D.L. 7-V-1948, n. 727 sullo stato ed avanzamento degli ufficiali dell'esercito. Legge 24-XIl-195 1, n. 1638, ci rc. n. 44, G.M. 1952, pg. 123: organici degli ufficiali dell'esercito e limiti di età. Legge I 5-XI-1952, n . I 905, circ. n . 586, G.M. 1952; pg. 1957: ratifica del D.L. 20-1-1948, n. 45 concernente gli organici prnvvisori dell'esercito. Legge 24-XTT-1951, n. 1638, circ. n. 44, G.M. 1952, pg. 123: organici degli ufficiali dell'esercito e limiti di età per la cessazione del servizio. Legge 15-XI-1952, n. 1905, circ. n. 586, G.M. 1952, pg. 1957: organici provvisori degli ufficiali dell'esercito. Legge 9-I-1 95 1, n. 7, circ. n . 25, G.M. 1951, pg. 43: ratifica del D.L. 7-V-1948, n. 727. Legge 4-V-1951, n . 512, circ. n. 258, G.M. 195 1, pg. 726. Legge 24-VIl-1951, n. 625, circ. n. 322, G.M. 1951, pg. 914: maestri di scherma. Legge 4-Xl-1951 , n. 1315, ci rc. n. 455 , G.M. 1951, pg. 1287. Legge 10-IV-1951 , n. 11 38, drc. n. 172, G.M. 1954, pg. 513: stato e avanzamento degli ufficiali dell 'esercito, della marina, dell'aeronautica. Legge 31-VII-1954, n . 31, circ. n. 403, G.M. 1954, pg. 1140: idem . Legge 9-VIII-1954, 11. 659, cin:. n. 41 5, G.M. 1954, pg. 1210: idem. 64 D.P.R. 15-Vll-1950, n . 1301; circ. n. 221, G.M. 1950, pg. 639: modifiche allo stato dei soltu fficiali. Legge 3 1-\111-1954, n. 599; circ. n. 403, G.M. 1954, pg. 1140: stato
dei sottufficiali dell'esercito, della marina, dell'aeronautica. 65 l..egge 24-VI I-1951, n . 971; circ. n. 368, G.M. 1951 , pg. 1039: organici provvisori e.lei so11ufficiali dell'esercito: se1·genli e sergenti maggiori vincolati a ferma e rafferma, ser genti maggiori in carriera conti nuativa n. 7800; marescialli e aiutanti di battaglia n. 10 200 (compresi 90 capi maniscalchi e 70 m aniscalchi). Legge 24-XI-1951, n. 1638; circ. n. 44, G.M . 1952, p g . 123: organici degli ufficiali dell 'esercito: gen~rali di corpo d'armata 21; generali di divisione 34 (+ 4 dei carabinieri); t enent i generali del servizio d i artiglieria I , del servizio della motorizzazione 1, del corpo automobilistico 1, sanità 1, comm issariato l; generali di brigata 87 (+ 8 dei carahinicri); maggiori generali del servizio di artiglieria 2, motorizzazion e 2, del corpo automobilistico 2, san ità 4, chimico 1, commissal'iato 2, amministrazione 1, veterinari I. Ufficiali superiori ed inferiori delle varie armi e servizi: Carabinieri: colonnelli 28, tenenti colonnelli 134, maggiori 159, capitani 514, s ubalterni 58 1; Fanteria: colonnelli 225, tenenti colonnelli 586, maggiori I 00 1, capitani 200 1, subalterni 2107; Cavalleria: colonnelli 2 1, tenenti colonnelli 56, maggiori 94, capitani 190, subalte rni 200; Artiglieria: colonnelli 135, ten enti colonnelli 351 , maggiori 599, capitani 11 98, subalterni 1262; Genio: colonnelli 61, tenenti colonnelli 158, maggiori 266, capi tani 540, s ubalterni 563; Corpo automobilistico: colonnelli 22, ten enti colonnelli 88, maggiori 170, capitan i 320, suba lterni 356; Corpo sanitario: medici colonnelli 34, tenenti colonn e lli 153 , maggiori 191, capitani 416, s ubalterni 252; chimici colonnell i 2, tenenti colonne lli 12, maggiori 20, capitani 40, subalterni 26; Corpo di commissariato: colonnelli 16, tenenti colonnelli 40, maggiori 70, capitani 142, subalterni 93; Sussisten za: colonnelli I , tenenti colonnelli 12, maggiori 24, capitani 92, subalterni 97; Corpo di amministra zione: colonnelli 13, tenenti colonne lli 75, maggiori 155, capitani 393, s ubalterni 272; Corpo veterinario: colonnell i 2, tenenti colonnelli 10, maggiori 19. capitani 35. subalterni 24; S ervizio
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tecnico di artiglieria: colonnelli 10, a ltri gradi 77; Servizio tecnico della motorizzazione: colonnelli 10, altri gradi 66. D.M. 23-XI-1954, circ. n. 17, G.M. 1955, pg. 31 : organico del ruolo speciale per mansioni di ufficio dei sottufficiali dell 'esercito. Servizio tecnico del genio: soppresso con legge 7-XTI- 1951, n. 1355; circ. n. 11, G.M. 1952, pg. 17. 66 Circolare 300450/CA-317-II-24 del 13-1-1945, a firma del ministro Casati. 67 Citiamo in m·dine cronologico i principali provvedimenti ordinativi adottati /' // dal 1949 al 1954 nei riguardi dei C.M.T.: - circ. n. 2485/0rd. IT del 23-XI-1949: struttura ed organici dei comandi dei reggimenti fucilieri, dei raggruppamenti di sicurezza, dei ballaglioni fucilieri e dei baLtaglioni di sicurezza; - costituzione in Anzio, dal I-XI-1949, del l O raggruppamento contraerei D.A.T. (comando e 2 g ruppi), posto alle dipendenze temporanee del C.M.T. di Roma: circ. n. 2100/0rd. II del 28-XII-1949; - costituzione in Savona, dal I-III-1951 , del 2° raggruppamento contraerei D.A.T. (comando e 2 gruppi): circ. n. 2150/0rd. ll del 28-XII-1950; - adeguamento degli organici delle compagnie collegamenti dei C.M.T. dal I-VI-1950: cii-e. n. 1370/0rd. ll del 16-V-1950; --- - - - - costituzione, in connessione con la costituzione di nuove unità in relazione a lla ridistribuziom: dei cai·id1i di mobilitazione, di nuovi depositi: deposito di unità di a,-tiglieria da l l-V11l-1950 alle dipendenze de l comando artiglieria del C.M.T. di Roma (il deposito assunse poi la denominazione di deposito del/'8° reggimento artiglieria pesante campale); deposito artiglieria in Nocera Umbra, da l l-lX-1950, a lle dipendenze del comando a rtiglieria del C.M.T. di Napoli; deposito misto in Falconara marittima, dal I-TX-1950, alle dipendenze del comando artiglieria del C.M.T. di Bologna; deposito 22° reggimento artiglieria in Palermo, del l-Vll-1950, alle dipendenze d el comando artiglieria del C.M.T. di Palermo. Sotto la stessa data il Deposito misto artiglie ria e genio della Sicilia venne trasformato in De posito misto della Sicilia posto alle dipendenze d el comando genio de l C.M.T. di Palermo; deposito fanteria in L'Aquila, dal l-IX-1950, a lle dipendenze del comando fanteri a del C.M.T. di Roma. I vari provvedimenti vennero sanzionati con i fogli: n. 1030/0rd. II del 28-VI- 1950; n. 1240/0rd. II del 16-Vll-1950; n. 1440/0rd. II del 18-VIII-1950; n. 1230/0rd. II del 18-VIII-1950; n. 1430/0rd. II del 18-VIII-1950; n. 1490/0rd. TI del 19-Vlll-1950; n. 1470/0rd. TI del I 9-VIII-1950; n. 1480/0rd. II del 19-VIIl-1950; n. 980/0rd. II del I-Vl-1950; n. 850/0rd. Il del 3-V-1950; - trasformazione del reparto artiglieria D.A. T. in Comando artiglieria D.A. T.Ese,-cito, dal 15-X-1951; costituzione, d a l I-XI-195[. in Bologna de l 3° raggruppamento artiglieria contraerei D.A.T. alle temporanee dipendenze del C.M.T. di Bologna. 1 provvedimenti vennero sanzionati con i fogli: n. 320/0rd. II del I-X-1951; n. 100/0rd. II del 13-I-19Sl;n.1900/0rd.Udcl 16-X-1 95 1; - costitu zione, da l-X-1951, del C/ bactaglione fucilieri in Monza per il C.M.T. di Milano, de l CIII battaglione fucilie ri in Verona per il C.M.T. di Bolzano, del CXV battaglione fu cilie ri in Torino pe'r il C.M.T. di Torino (foglio n. 270-S/Ord. TI del 15-II-1951); - soppressione dei comandi fanteria dei C.M .T. (circ. n. 400-S/Ord. Il de l 13-XI-1951); - strutturazione del C.M.T. di Bolzano, per dare vita a ll'emergenza ad un comando di corpo d'armata e ad un comando di territorio a l fine di svincolare l'attività operativa da quella territo riale e costituzione, dal I-V-1951, d el TV bai-
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CAP. L - LA RICOSTRUZIONE E LA RIPRESA
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taglione collegamenti: fogli n. 2200-R/Ord. II del 28-XII-1951 , n. 131/0rd. II del 21-I-1951, n. 670/0rd. I del 20-II-1951; - cosliluzione della 1 • compagnia del CXXVII battaglione fucilieri, dal I-II-1952, in Bari, alle dipendenze del C.M.T. di Bari: fogli n. 20/0rd. II del 7-1-1951 e 80/0rd. Il del 21-1-1951; - cosliluzione dal I-II-1952 in Palermo della 11 a com[l_agnia_genio pioniç_rj ~ rritoriale: foglio 150/0rd. I del 25-1-1952; - parificazione dal l-XI-1952 degli organixi dei C.M .T. di Bolzano e di Padova: foglio n. I 060/0rd. II del 18-X-1952; - abolizione della carica di vice-comandanle di C.M.T. e s ua sostituzione con quella del generale addetto: fogli n. 660/0rd. 11 del 30-V-1952 e n. 250/0rd. II del 22-II-1952; - costituzione, dal I-X-1953, di un ufficio trasmissioni presso i....f.M.T._di _Toril!Q,__Padova,._firen_ze, ~ Rom<!, al quale venqer_o attribuili..compil~r-a-tivi di rilievo a ll'e~ r~za: fogli n. 1210-R/Ord. II del 28-Vll-1953 e n. 1800-R/Ord. II del 10-IX-1953; - soppressione in data 31-VIII-1953 del deposito misto speciale di Napoli preposto all'amministrazione del personale impiegato in Africa: fogli n. 3/101 /0rd. II del 4-I-1953 e n. 2660-R/Ord. TI del 5-XTT-1953; -
soppressione ne ll'a mbito dd dis tre tti militari Jdla seziune assislenza fami-
glie morti, dispersi, prigionieri: fogli 1300-R/Ord. II del 14-VIl-1953 e n. 1100-R/Ord. II del 12-VU-1953; - costituzione dal 1-1-1955, anche per i C.M.T. di Milano e di Bologna, dell 'ufficio t rasmissioni: foglio n. 2220/0rd. Il del 7-XII-1954. I C.M.T. di Torino, Padova,- Firenze, ""Ròma,- Napoli, Milano, Bologna possono così, all'emergenza, diventare Comandi Superiori territoriali (C.S.T.) o formare comandi di corpo d'armata: circ. n. 2220/0rd. Il d el 7-XII-1954. 68 Costituzione immediata dei comandi militari di zona di Novara, Brescia, Milano, Verona, Treviso, Parma, Bologna, Livorno, Firenze, l'Aquila, Roma, Foggia, Cosenza, Catania; costituzione successiva dei comandi militari di zona di Ancona e Lecce: circ. n. 200-S/Ord. TI del 31-VII-1951 e circ. n. 400-S/Ord. ll d el 13-XI-1951. 69 Vds. precedenle nota n. 67. 7 Circ. n . 2370R/Ord. I del 21-X-1953 e circ. n. 2250-R/Ord. II del 12-XII-1953. 7 1 Ministe ro della Difesa Gabinetto: Impiego delie Forze Armate nei servizi di ordine pubblico. Circolare n. 400 del I-6-1950. 72 Vds. precedente noia n. 66. 73 Vds. precedente nota n. 17. 74 Dal 1949 al 1954: 1949: potenziamento degli o spedali militari di Milano. Bolzano, Brescia; declassamento degli ospedali militari di Napoli e Novara; trasformazioni degli ospedali militari di Ancona e di Lecce in infe rmerie presidiarie; 1950-. soppressione in data 16-V-1950 degli ospedali da campo delle divisioni di fanteria Friuli, Cremona, Legnano, Granatieri di Sardegna ed accentramento de i relativi maleriali presso gli ospedali militari territoria li; 1951: fusione in unico ente, denominato Maga zzino mobilitazione ordinario, in data I-II-1951 , dei magazzini di mobilitazione per gli o spedali militari principali e i magazzini ordinari: trasformazione dal I-11-1951 dell'ospedale militare di Bolzano in infermeria presidiaria e dell'infermeria presidiaria di Trento in ospedale militare; trasformazione dal I-VIII-1951 della sezione dell'ospeda le militare di Bologna in Piacen za in infermeria presidiaria. I provvedimenti vennero adollali con le circolari n. 450/0rd. II del
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25-II-1951, n. 50/0rd. 11 del 18-1-1951, n. 1460-R/Ord. II del 27-VII-1951; 1952: inclusione negli organici degli ospedali militari principali di aiuti radiologici e di odontotecnici; potenziamento dell'ospedale militare di Cagliari dal 15-II-1952; trasformazione delle infermerie presidiaric di Sassari e di Caserta in ospedali militari; costituzione dal l-IV-1952 dei magazzini di mobilitazione e ordinari dei nuovi ospedali di Sassari e di Caserta; istituzione della carica di vice-direttore presso gli ospedali di Roma e di Milano; 1953: istituzione dal I-II-1953 di una banca del sangue presso l'Istituto chimico farmaceutico militare e di un'emoteca presso ciascun ospedale militare princ ipale; declassamento dal 15-XT-1954 dell'ospedale militare di Sassari; costituzione dal 15-Xl-1954 di un'infermeria presidiaria in Treviso. 1 fogli e le circolari riguardanti i vari provvedimenti, perché comprensivi di misure riguardanti anche altri servizi, vengono elencati in coda alla nota 81. 75 Dal 1949 al 1954: 1949: scissione interna tecnica ed amministrativa delle due attività esplicate dai magazzini centrali vestiario ed equipaggiamento di Milano, Firenze e Napoli, in campo nazionale (acquisto e collaudo materie prime) e nell'ambito di ciascun C.M.T. (per i contatti con i corpi); trasformazione del 5° magazzino principale distribuzione v.f.c. e del 73° magazzino secondario distribuzione \•.f.c. di Padova in 5° magazzino principale distribuzione v.f.c.; 1950; soppressione, in data l settembre 1950, della sezione di commissariato di Catanzaro; 1951: scioglimento, in data 30-Vl-1951 dei servizi di commissariato di Milano, Udine e Ancona e dei magazzini secondari di Novara, Cuneo, Carnia, Ancona, Orvieto, Lecce, Avellino, Catania e dei magazzini centrali di Milano, Firenze, Napoli, nonché costituì.ione, in data I-VTT-1951 , dell'opificio V.E. di Torino, dei magazzini V.E. di Milano, Firenze, Napoli e dei centri raccolta collaudo smistamento V.E. di Torino, Milano, Verona, Firenze, Napoli (circ. 11. 660-R!Ord. II del 3-lV-1951, n. 900-R/Ord. Il del 18-V-195 1); 1952: scioglimento d e l magazzino secondario distribuzione viveri. foraggi, combustibili di Foggia, a partire dal l-X- 1952. 76 Dal 1949 al 1954: 1949; definizione delle attribuzioni dei comandi di C.M.T. (di comando s ulle unità di artiglieria non indivisionate, di soi-veglianza tecnico-addcstrativa sulle unità di artig lieria delle brigate alpine e corazzat e), in aggiunta a quelli istituzionali di direzione del servizio di artiglieria e di comando dei depositi di artiglieria; scioglimento delle sezioni staccate di Brindisi, Lecce, Cosenza; 1950: scioglimento delle sezioni staccate di artiglieria di Ancona il 30-lV-1950 e di Chieti ii 30-VI-1950 e costituz.i onc n elle due città di nucleri depositi di bonifica temporanei; scioglimento il I-Xl-1950 del nucleo depos ito munizioni di Reggio Calabria; 1951: costituzione <li un nuclero staccato della direzione di artiglieria del III C.M.T. di Milano; classificazione in A, B e C dei deposi ti munizioni in relazione al carico dei materiali; sanzione dell 'esistenza organica di 59 depositi direzionali materiali di artiglieria e difesa chimica e di 4 depositi centrali materiali di artiglieria (Grosseto, Cassino, Sulmona, Gricignano); scioglimento delle sezioni staccate di Grosseto, Gaeta, Bari e Palermo, del nucleo depositi munizioni d i Brindisi, dei nuclei laboratorio e bonifica di Ancona e di Chieti; trasformazione delle sezioni staccate di Bolzano, Udine e La Spezia in nuclei staccati (circ. n. 1300-R/Ord. Il del 10-VII-1951 e n. 720-R/Ord. Il del 15-TV-1951); 1952: in relazione alle mutate esigenze di dislocazione vengono costituiti i depositi di San Giuliano di Susa, Rio Valmaggiore, Occimiano, Val Gavano, Torrente Valle, Frassine, Rubbiano, Rio Gandorre. E Ferro, soppressi i d epositi di Tccci Altare, Forte Procolo, Pezzino, Civitavecchia, Uppello; costituzione, il 16-TII-1952, del nucleo officina PRORA presso la direzione di
CAP. L - LA RICOSTRUZIONE E LA RrPRESA
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artiglieria del C.M.T. di Roma; costituzione, il I-III-1952, del poligono esperienze di artiglieria di Cirié, alle dipendenze della direzio ne generale di artiglieria, per il collaudo al tiro delle artiglierie e le eventuali esperienze di carattere tecnico particolare. 77 Dal 1949 al 1954: costituzione di un deposito misto artiglieria genio in Palermo (circ.~Ord. II el 17-1-1949); 1950: n illmensionamento, nello ~~bito del c-:-M.T-:-0.i Padova, degli organi esecutivi del Servizio Lavon e Demanio e conseguente trasformazione dellaS• direzione- 1.Ì:vori del genioi;;-Udine in - se; ione staccata e della sezione staccata di Padova in sa direzione lavori del genio; 1951: soppressione in data 711-1951 dell'Ufficio centrale per le requisizioni e degli uffici e dei nuclei periferici per le requisizioni ; scioglimento, in data 30-Vl -195 I. della sezione staccata di Caltanissetta e dell'ufficio staccato di Siracusa; trasformazione delle sezioni s taccate di Imperia, Alessandria, Trento, Piacenza, Perugia, Catania in uffici staccati (circ. n. 700/0rd. II del 31=ì°ll-1951 e n. 910-R/Ord. Il del 18-5- 1951); 1952: trasformazione d ell 'ufficio staccato lavori del genio di Treviso in sezione staccata lavori del genio militare; /953:.passaggio di dipendenza tecnica, in data T-T-1954, del laboratorio pontieri dal 2° reggimento genio pontieri alla direzione generale del genio - e di dipendenza territoriale al C.M.T. di Bologna. 78 Dal 1949 a l 1954: 1949: definizione dt:lla dipendenza dei parchi veicoli efficienti dalle rispettive officine riparazioni aulumobilistiche - 0.R.A. - e uefiuizione dell'organico delle officine; costituzione della 6• O.R.A. in Bologna, d ella 16" in Verona e della sezione O.A.R.E. di Piacenza per trasformazione della locale 15 " O.RA.; trasferimento della 4a O.R.A. da Milano a Verona e d el 4° parco veicoli efficienti da Appiano a Verona; 1950: ristrutturazione dell'O.A.R.E. di Bologna in relazione alla complessità delle lavorazioni, e passaggio dei parchi veicoli efficienti ed inefficienti nell'ambito della nuova O.A.RE. che, dal I-VTII-1950, adottò un nuovo organico; potenziamento dell'ufficio approvvigionamento autoveicoli ricambi esercito - U.A.A.R.E. - in Torino a partire dal T-VIII-1950; 1952: trasformazione del m agazzino ricambi del P.V.C. di Caserta, in data 15-X-1 952, in un ente autonomo magazzino ricambi mezzi corazzati - alle dipendenze dell'ispettorato generale della motorizzazione; costituzione, dal l-X-1952, del d eposito carburanti e lubrificanti di grande capacità in Godiasco: 1953: costituzione in Bracciano, dal 16-XIl-1953, del reparto riparazioni aerei leggeri dell'esercito alle dipendenze de ll a scuola di artiglieria; 1954: costituzione, in data l-V-1954, della sezione d i magazzino centrale ricambi mezzi corazzati (Se. Ma. C. Ri. Co.) in Lenta a lle dipendenze tecniche dell'ispettorato generale della motorizzazione e del Ma.C.Ri.Co. di Caserta a lle dipendenze territoriali del C.M.T. di Napoli; unificazione deg li organici dei depositi e.e.I. di g rande capacità; costituzione in Nola, dal l-X-1954, dell'Officina riparazioni mezzi corazzati (O.R.Mc.C.). 79 Dal 1949 al 1954. La scissione d ell'arma dei collegamen ti da ll 'arma del genio maturò nel 1952. JI l O settembre 1 9 ~enne dato inizio alla graduale costituzione dell'ufficio telec;;municazioni dello Stato maggiore dell'esercito: circ. n. 1915-R/Ord. I del 28-VTH-1952; il I ottobre dello stesso anno venne istituita la carica di ispettore per i collegam enti e l'ufficio de ll'ispettore stesso: circ. n. 2030-R/Ord. O del 26-lX-1952; venne disposto un nuovo organico dell'ispettorato dell'arma del genio in relazione alla avvenuta costituzione dell'ufficio telecomunicazioni dello stato maggiore dell'esercito e della carica di ispettore per i collegamenti: circ. n. 7180-R/Ord. r del 27-TX-1952. Nel 1953: vennero fissate le nuove attri buzioni dell'ispettore per i collegamenti ed i nuovi organici de ll'ufficio dell'ispettore per i collegamenti:
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circ. n. 880-R/Ord. I del 31-III-1953; venne data la denominazione di arma delle trasmissioni alla specialità del genio fino ad allora denominata dei collegamenti: foglio n. 1185 R/Ord. I del 16-V-1953. Nel 1954, in conseguenza all'avvenuta separazione delle due branche del genio e dèTie trasmissioni, vennero stabiliti: i nuovi organici degli enti territoriali del servizio del genio, le denominazioni dei nuovi enti, ìl raggruppamento degli enti per specialità genio e trasmissioni, la scissione della sezione autonoma gestione lavori e collegamenti gen~ milìta-ri per il ministero difesa esercito in una sezione autonoma gestione lavori genio militare e in una sezione autonoma trasmissioni per il ministero difesa esercito: circ.n. 1950/0rd. li del 27-X-1953, circ, n. 720/0rd. Il del 29-IV-1954, circ. n. 1460/0rd. II del / 18-Vlll-1954, circ. n. 1440/0rd. II del 14-VJTT-1954, circ. n . 1550/0rd. Il del 26-Vlll-1954. 80 Un primo riordinamento del servizio trasporti venne effettuato nel 1951: i comandi militari di stazione vennero classifica\i in rinforzati e normali anziché tipo «A• e «B »; il comando militare di stazione di Livorno venne trasformato da tipo «B » in rinforzato; venne sciolto il comando militare di stazione di Foggia; vennero costituite la delegazione trasporti di Verona e le biglietterie militari dei comandi militari di stazione di Torino, Milano, Roma, Napoli; venne costituito il comando militare di stazione di Messina: circ. n . 1810-R/Ord. ll del I-X- 1951. Nel 1953 venne costituito un pu:,tu cli vigilanza ferroviaria al Brennero: circ. n. 1050-R/Ord. II del 9-Vl-1953 . 81 Nel 1951 vennero contratti g li organici degli enti esecutivi e adeguati alle nuove ridotte esigenze dell'esercito: circ. n. 2050/0rd. II del 20-Xl-1951. Nel 1953, il I-III-, vennero sciolti g li squadroni di rimonta dei centri rifornimento quadrupedi. Nel 1954 vennero soppressi i depositi cavalli stalloni: legge 30-VI-1954, n. 549, circ. n. 377 G.M. 1954, pg. 1088. - L'organizzazione log istica territoriale subì un graduale adattamento al nuovo ordinamento dell 'esercito di campagna e della difesa te rritoriale lungo una linea di tendenza generale r ivolta a ridurre, contrarre e sopprimere l'apparato logistico prebellico e quello formatosi durante la guerra. li lavoro effettuato dall'ufficio ordinamento dello stato m aggiore dell'esercito in parallelo con quello dell'ufficio del segretario generale dell 'esercito, delle direzioni generali e dell'ispettorato fu necessariamente lungo e lento e procedé per approssimazioni successive talché a lla fine del 1954 non poteva dirsi ancora portato a termine. La costituzione di nuovi enti, la soppressione di alcuni di quelli precsistenli, la contrazione di a ltri e le conseguenti modificazioni delle attribuzioni e delle struttu re organiche furono operazioni complesse e delicate, anche per i notevoli riflessi diretli che esercitavano sul personale civile dell'amminis trazione della difesa e sulle stesse popolazioni delle località di dislocazione dei nuovi e dei vecchi enti. - Dalla nota n. 74 alla presente ci siamo limi tati a citare alcuni dei provvedimenti che vennero adottati nei riguardi dei vari servizi al fine di sottolineare che non vi furono settori dimenticati e di dare un'idea, sia pure su perficiale, di quella che fu la mole del lavoro svolto. Dei provvedimenti dei quali non abbiamo indicato a fianco g li estremi dei documenti che li sanzionarono molti riguardarono s imuhaneamente enti di servizi diversi; citiamo qui di seguilo i principali: 1949: circ. n. 60/0rd. II del 24-1-1949; circ. n. 1735/0rd, I del 26-X-1949; circ. n. 1450: Ord. Il del 7-IX-1949; circ. n. 2810/0rd. II del 20-Xll-1949; c irc. n. 2870: Ord. II del 7-IX-1949; circ. n. 28 10/0rd. Il del 20-XII-1949; circ. n. 2870/0rd. II del 24-XII-1949; circ. n. 315/0rd. I del 31-1-1950; circ. n . 2641 /0rd. I del 22-Xl-1949; circ. n. 2860/0rd. Il
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del 24-XTJ-1949; circ. n. 2600/0rd. II del 24-XI-1949; circ. n. 1260/0rd. II del 9-VIII-1949; circ. n. 1780/0rd. li del 3-X-1949. 1950-. circ. n. 1195/0rd. I del 3-V-1950; circ. n. 1380/0rd. Il del 16-VIU-1950; circ. n. 2040/0rd. II del 5-XII-1950; circ. n. 800/0rd. II del 24-JV-1950; circ. n. 990/0rd. II del 9-Vl-1950; circ. n. 1840/0rd. del 28-X-1950; circ. n. 2130/0rd. II del 13-XII-1950. 1952: circ. n. 800/0rd. Il del 21 -VII-1952; circ. n. 80/0rd. II del 21-1-1952; circ. n. 70/0rd. II del 18-1-1952; circ. n. 320/0rd. II del 10-Ill-1952; circ. n. 1225/0rd. del 28-XII-1952; circ. n. 1000/0rd. II del 15-IX-1952; circ. n. 9764/DG del 4-IX-1952; circ. n . 290/0rd. 11 del I-lll-1952; circ. n. 1030/0rd. II del 25-IX-1952; circ. n. 170/0rd. Il dell'II-II-1952; circ. n. 1020/0rd. II del 22-IX-1952; circ. n. 720/0rd. II del 28-VJ-1952. /954: circ. n. 1950/0rd. II del 27-X-1954; circ. n. 720/0rd. II del 29-IV-1954; circ. n. 1460/0rd. II del 18-Vlll-1954; circ. n. 1440/0rd. del 14-VIII-1954; circ. n. 1500/0rd. li del 26-Vlll-1954. - Nel contesto del riordinamento vennero esaminati molti altri problemi: l'istituzione di un Corpo Vigili del fuoco, modificala, in seguilo alla proposta dello staio maggiore dell'esercito successivamente adottata, mediante l'arruolamento nel Corpo nazionale vigili del fuoco di 500-800 militari di leva per ciascuna classe; l'aumento di 3000 uomini del Corpo degli agenti di custodia (fogli n. 1325/0rd. II del 18-VITI-1949 e n. 1332/0rd. II del 20-VIII-1949); cos tituzione di un corpo ausiliai-io civile con elementi civili scelti militarmente organizzato (foglio n. 650/0rd. II del I8-IV-1950); l~ rganizzazione ter~itoriale, spropo~zionata alle esigenze dell'eserci,.to in tempo di pace, proponendo la contrazione dei tribunali militari territoriali da 12 a 8 e perseguendo nel frattempo una ridistribuzione del loro carico di lavoro ed una riduzione dei volumi organici (promemoria del 27-IV-1951 , e circ. n. 1460/0rd. II del I-VIII-1951). La legge 18-XII-1952, n. 3083, circ. n. SI G.M. 1953, pg. 133, apportò modifiche alla circoscrizione di alcuni dei tribunali territoriali esistenti e, in particolare, dei tribunali territoriali di Napoli, Palermo, Milano, Verona, Padova; inclusione negli organici degli ospedali militari di 80 infermiere volontarie; definizione degli organici particolareggiati del comando in capo; l'organizzazione penitenziaria. Venne soppresso il carcere militare di Barletta, associando i detenuti al_carce1·e militare marittimo di Taranto, che tempo1·aneamente assunse le funzioni di carcere giudiziario d el tribunale militare di Bari (circ . n. 560/0rd. II del 5-V-1952). 82 Un nuovo organico dell'ispettorato d ell'arma di artiglieria, comprendente anche l'ufficio difesa chimica, venne fissato nel 1949 (f. n. 1549/0rd. I del 30-VI-1949). I nuovi organici degli ispettorati dell'arma di fanteria, dell'arma di artiglieria, dell 'arma del genio e d ell'ufficio dell'ispettore per le tras missioni vennern definiti nel 1953 (circ. n. 1760-R70rd:-I -de13 l-VJJ-Ì953). 83 Foglio n. 2450-R/Ord. I del 10-XII-1952. 84 Vds. precedente nota n. 79. 85 Circ. n . 2448/0rd. 1 del 2-X-1949; n. 1470/0i·d. I del 18-VI-194 9; n. 1360/0rd. I del 5-VI-1949; n. 2380. Ord. I del 22-IX-1949. 86 Circ. n. 1925/0rd. I del I-VIII-1949 e n. 2540/0rd. I dell'S-X-1949. 87 La scuola di guerra venne ricostituita nel I 949 (circ. n . 2470/0rd. I del 30-IX-1949) e al suo comando venne conferila una nuova organizzazione nel 1954 (circ. n. 1020-R/Ord. I del 17-Vl-1954). 89 Circ. n. 561, 25-XI-1952, G.M. 1952, pg. 1925. 90 I provvedimenti ordinativi riguardanti: la soppressione della scuola centrale dei carabinieri in Firenze (l-VII-1961), la soppressione della scuola servizi e governo del personale in Rieti (31-XII-1951), la costituzione della scuola ufficiali dei carabinieri in Roma (l-VII-1951), e della scuola sottufficiali dei carabinieri in Firenze
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(I-VII-1951), la costituzione della scuola allievi sottufficiali specializzati in Rie ti (13-XII-1951), la costit1_;1zione del battaglione dimostrativo comprendente 1 plotone genio pionieri e I plotone _cQUega-ID.!:Jlt.i in ~SJlJ!O (l-II-1951), la costituzione di 1 reparto -;;viazione leggera di artiglieria (l-XII-1951), la costituzione di un battaglione addestramento presso la scuola truppe corazzate (J-JI-1952), la riunione delle scuole d0 pplicazione di fanteria, artiglieria, genio in un ..!;l!E,S<LSJlte (I-IV-1951), if potenziamento della scuola di guerra (I-IX-1951), il potenziamento della scuola militare alpina (l-IX-1951), l'inserimento alle dipenden ze del centro militare di paradutismo del reparto carabinieri paracadutisti (I-VIII-1951), la trasformazione della scuola e cen1ro esperienze di commissariato in Accademia dei servizi di commissariato e di amm inistrazione militare (I-VI-1951) vennero adollati quasi tutti nel 1951 e disposti con circ. n. 3780/0rd. I del 24-Xl-1951; n. 1740/0rd. 1 del 28-IV-1951; n. 3780/0rd. 1 d el 24-Xl-1951; n. 2260/0rd, I del 18-Vl-1951; n. 2915/0rd. I del 29-VTTI-1951; n. 3695/0rd. I del 21-XI-1951; n. 3820/0rd. I del 4-XII-1951; n. 1210/0rd. I del 31-VII-1951; n. 2630/0rd. I del 31-VII-1951; n. 2525/0rd. I del 3 l -VIII-1951. 91 Vds. precedente nota n. 90. 9 2 La costituzione, in Chiavari, a cura del C.M.T. di Genova, con inizio del 12-VIII-1950, · della scuola unica QJ!eratori r.t. delle tre fu ~ ate rientrò nel contesto del .-io1·din~ t o dell 'organizzazio;;e scolastica ~cratancf 1950. Vennero sancite le dipendenze: della scuola di guerra dallo stato maggiore dell'esercito; dell'accademia, della scuola di carrismo, della scuola servizi e governo del personale, della scuola allievi ufficiali di complemento, della scuo la allievi sottufficiali, delle scuole di applicazione e del collegio militare: dallo stato maggiore dell 'esercito per la pane addestrativa, dai rispettivi C.M.T. per la parte disciplinare, territoriale e presidiaria; della scuola di applicazione del servizio automobilistico del comando scuole della motorizzazione. Di questo ultimo comando vennero modificati, dal I-X-1950, gli Qrganici in relazione all'assie~;:;-to della scuola di a pplicazione dcl servizic;; automobilistico e delle preesistenti scuole della motorizzaEQne (~~cj alisti.,_ mCè_c~ nici, ço.n.dullori). Il centro militare di-paracadutismo di Pisa, venne potenziato. La scuol9 _artieri~ J ; . la denominazione di scuola pionieri (I-III-1950), conserv~ dipenden za dal- c.M-:-'L_jli R~ma ·eveniie preposta all'addestram_ento ~ i yol_ontari, degli allievLufficiali dicomplemento del genio, nonché degli ufficiali e sottufficiali in servizio permanente effettivo del genio e delle altre armì:- ne- furono.nutati g li organici e ne fu stabilita la sede definitva in Roma-CecchignQla (I-III-1950). Il 1° reggimento genio venne preposto a ll'addestramento dei mili~i_ di leva del genio p ionìeti (l-ill-1950). Il centro ersperienze e addestramento dei militari di leva del genio pionieri (I-111-1950). Il centro esperienze e addestramento di commissariato modificò la propria denominazione (IS-IV-1950) in Scuola e centro esperienze di commissariato. Tutti questi provvedimenti vennero adottati con circ. n. 40/0rd. I dell'U-1-1950; n. 390/0rd. I dell'8-II-1950; n. 920/0rd. I del 21 -III-1950; n. 2645/0rd. I del 2-IX-1950; n. 980/0rd. I del 7-IV-1950; n. 40/0rd. I dell'U-l-1950; n. 2400/0rd. I del 20-IX-1950; n. 3070/0rd. I del 7-X-1950. 93 Circ. n. 585/0rd. I del 18-III-1952, circ. n. 700/0rd. I del 14-1-1952, circ. n. 65/0rd. I del 14-1-1952, circ. n. 1770/0rd. I dell'II-VIII-1952. 94 Circ. n . 1795/0rd. I del 9-VIII-1952. 95 Riordino del comando della scuola di guerra; potenziamento del comando delle scuole di applicazione di arma; riordino della scuola di fanteria (comandata da un generale di brigata) e costituzione del comando reparto corsi A.U.C. e A.S. e del
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comando reparto corsi ufficiali e sottufficiali; riordinamento della scuola di Caserta che, in analogia alla scuola di fanteria, venne preposta anche all'addestramento degli AUC e AS carristi; potenziamento d ella scuo la di artig lieria in re lazione ai compili di formazione degli A.U.C. e A.S. (di artiglieria , di a r tigl ieria semovente e missili) e dei militari di truppa specializzati; costituzione in Foligno, a partire dal T-VT-1954 per t rasformazione del preesistente C.A.A.R., d ella scuola A.V.e. e A.S. preposta a lla formazione degli A.U.C., A.C.S., A.S. delle specialità di artiglieria da montagna ed a traino meccanico: furon o i principali provvedimenti adottati nel 1954 nei riguardi dell'organizzazione scolastica. Vennero sanzionati con circ. n . 1020/0rd. I del 17-VI-1 954, circ. n. 1370/0rd. I del 20-VIII-1954, c irc. n. 1095/ord . l del 10-VIU-1954, circ. n. 1350/0rd. I del 6-VII-1954, circ . n. 850/0rd. l del 24-V-1954. 9 6 Tale compilo venne affidato a lla scuola di Rieti nel quadro dei provvediment i adottati nel 1949 per l'add estramento degli A.U.C. e degli A.S. Per questo motivo vennero modificati , dal I-Vll-1949, gli organici della scuola di artiglieria la quale, in particolare, costituì 2 batterie A. U.C. e l batteria A.S., cedendo 2 batterie specialisti a l C.A.A.R. di artiglieria, e 2 nucl ei contraerei a lla scuola d i art iglieria con traerei. L'insieme dei provvedimenti riguardanti la scuola <li Rieti e la scuola di artiglieria vennero sanzionati con circ. n. 857/0rd. I d el 15-I V- 1949, ci rc. n. 48/0rd. l del 20-1-1949, c irc. n. I 0274/H/3 del 24/XTT-1948. q 7 Vds. p recedente nota n. 90. 98 Ibidem. 99 Costituzione del C.A.R. per le truppe alpine: I-V-1949 che riunì i preesisten ti r eparti addestramen to dei reggimenti a lpini. li C.A.R. venne dislocato in Merano con un battaglio ne, con un battaglione in Trento e fu incaricato di provved ere alle esigen ze addestrative del 6 ° e 8 ° reggimento alpini e dei gruppi di artiglieria da montagna cooperanti. Alle esigenze de l 4° reggimento alpini e dei relati vi grnppi d i artiglie ria cooperanti venne preposto il battaglione alpinj Mondovì, costituito in Bra, a lle dipenden ze d ello stesso 4° reggimento a lpini , a partire dal 1-1-1950. I provvedimenti vennero sanzionati con circ. n . 1865/0rd. I del 2-VUJ-1 949, n. 760/0rd. I dell'8-TV-t 949, n. 3065/0rd. 1 d el 28-Xl-1949. 100 Circ. n. 2390/0rd. l d el 10-VIII-1950. 10 1 Vds. precedente nota n. 90. 102 Circ. n. 2540/0rd. T del 10-Xl-1953, circ. n. 2S90/0rd. I de l .10-XT-1 9S~. circ. n. 490-R/Ord. I del 30-XI-1953 , c irc. n. 490-R/Ord. TI d e l 2-l V-1953, circ. n. 450-R/Ord. I del 20-III-1953. 103 Circ. n. 490-R/Ord. H del 2-I V-1953. 104 Vds. p recedente nota n. 92. 10 s Ibidem . 106 La scuola truppe corazzate venne co s tituita in Caserta in data 30-VI-195 1 per fusione delle preesistenti scuo la di carris mo e scuola di cavalle ria blindata. L'ente venne posto alle dipendenze del C.M.T. d i Napoli: circ. n . 2260/0rd. I del 18-VI-195 1. 107 Circ. n. 1920/0rd. J del 20-Vlll-1952. 108 Circ . n . 3075/0rd. I dell'8-XIl-1949. 109 Al 30 giugno 1954 l'organizzazione scolastica e addestrativa era la seguente: - Accademia militare: ricostituita il I-XU-1945 con la denominazione di Regia Accademia militare in Lecce; cambiò d enominazione in Accademia militare il 19-VT-1 946; venne ritrasferita in Modena nel 1947; le venne posto alle dipenden ze il
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Comando dei corpi di reclutamento degli ufficiali in s.p.e. di Sassuolo nel 1952 (circ. n . 65/0rd. I del 14-1-1952; circ. n. 70/0rd. I del 14-1-1952; circ. n. 585/0 rd. I del 18-lll-1952; circ. n. 170/0rd. I della II-Vlll-1 952); - Scuola militare «Nunziatella»: cambiò denominazione in Collegio militare di Napoli il I-VIII-1949 (circ. n. 1925/0rd. I del I-VIII-1949) le vengono assegnate nuove tabelle organiche nel 1950 (circ. n. 110/0rd. I del 22-IV-1950); - Scuole di applicazione: costituzione della Scuola di applicazione di fanteria in Torino (circ. n. 2448/0rd. I del 3-X-1949); costituzione della Scuola di applicazione di artiglieria in Torino (circ. n. 1360/0rd. I del 5-Vl-1 949); costituzione della Scuola di applicazione del genio in Torino (circ. n. 1470/0rd. I del 18-Vl-1949); costituzione della S cuola di applicazione del servizio automobilistico in Roma (circ. n. 2380/0rd. I del 22-IX-1949); riordinamento delle Scuole di applicazione d 'arma (circ. n. 1210/0rd. I del 20-III-1951); riordinamento delle Scuole di applicazione d'arma (circ. n. 1370/0rd. I del 20-Vlll-1954). - Scuola allievi sottufficiali di complemento: costituita nel 1951 (<.:i re. n. 3780/ Ord. I de l 24-IX-195 1); - Scuola allievi ufficiali e sottufficiali di artiglieria: costituita nel 1954 (circ. n. 850-R/Ord. del 24-V-1954); - Scuola allievi so11u/ficiali: costituita in Rieti il I-1-1952; - Scuola allievi sottufficiali di complemeritu di fanteria: costituita in Spoieto nel 1948; - Scuola di fante ria; costituzione del Ce ntro addestramento complementi per forze italiane di comba11imento (primo nucleo della scuola di fanteria) in Cesano di Roma, costituito nel gennaio 1945; costituzione della Scuola di fanteria il 16-1-1946; riordinament o della scuola: circ. n. 350/0rd. I del 18-Il-1948; 1·i01·dinamento della scuola: circ. n. 1920-R/Ord. I del 17-V-1951 ; costituzione nella scuola della compagnia sabotatori paracadutisti: circ, n. 785-R/Ord. I del 31-Ill-1951; trasformazione della compagnia sabotatori paracadutisti in reparto sabotatori paracadutisti: circ. n. 570R/Ord. I dello 8-V-1954; riordinamento della scuola : circ. n. 1095-R/Ord. I del 10-Vlll-1954; - Scuola di artiglieria : costituita il 15-1-1946; trasformazione del reparto aviazione leggera in squadriglia autonoma di aviazione per artiglieria: circ. n. 1545-R/Ord. I del .12-VIJ-1951; riordinamento organico: circ. n. 3016/0rd. I del S-IX-195 1; ·trasformazione del reparto di aviazione leggera di artiglieria in centro addestramento osse rvazione aerea per artiglieri: ci rc. n. 1545-R/Ord. I del 12-VTI-1952; trasformazione della squadriglia a utonoma in reparto aereo di artiglieria: circ. n. 360-R/Ord. T del 26-11-1953; nuovi organici del Centro addestramento osservazione aerea per l'artiglieria e del reparto aereo di artiglieria: circ. n. 270-R/Ord. I dell'8-fII-l 955; - Scuola di artiglieria contrae rei: costituita in Sabaudia nel 1948: circ. n. 1750/0rd. I del 24-VI-1948; nuovo organico della scuola: circ. n. 2590-R/Ord. I del 30-Xl-1953 (dal I-XII-1953 vennero potenziati il gruppo a llievi ed il gruppo misto che fu previsto come reparto da precettare all'emergenza quale supporto di corpo d'annata); - ~cuoia del genio: costituito come reggimento addestramento in Bracciano, nel gennaio del 1945; trasformato in scuola !!rtjeri_ del gg.nio JJel gennaio 1946; cambiata denominazione in scuola pionieri del genio e trasferita di sede in Roma Cecchignola: circ. n. 390/0rd. I dell'8-U- I 950; sciolto il reparto genio pionieri specializ.zato: circ. n. SOS-R/Ord. I del 28-IT-1953; -
CAP. L · LA RICOSTRUZIONE E LA RIPRESA
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- Scuola militare alpina: costituita il I-Vll-1 946; costituito il nucleo sci agonistico: giugno 1950; riordinamento: circ. n . 2540-R/Ord. I del 30-XI-1953 (dal I-XII-1953 potenziamento del battaglione addestramento del personale chiamato alla frequenza di cors i sci-alpinistici e allievi sottufficiali); - S cuola truppe coraz.z.ate: costituita per fusione della scuola di carrismo in Roma e de lla scuola di cavalleria blindata in Roma-Tor di Quinto il l-Vll-195 l ; riordinata: circ. n. 1310-R/Onl. I <lell'8-IX-1954; costituzione nell'ambito della scuola di un battaglione addestramento specializ.z.ati: circ. n. 1596-R/Ord. I dell'8-IX-l 955; - Scuola specializzati truppe corazzate: costituzione della scuola A.U .C. in Lecce: circ. n. 1600/0rd. l de l 30-VI-1949; - Scuola militare di paracadutismo: costituzione de l Centro di paracadutismo in Roma : 1-1-1947; cambio di denominazione in ce ntro militare di paracadutismo: 1949; tras fer imento del centro di Viterbo: 13-ITl-1 950; costituzione della compagnia anni di accompagnamento per il battaglione paraca dutis ti: ci rc. n. 620-R/Ord. I dell '8-IV-1954; - Scuola tecnici elettronici di artiglieria: costi tuita nell'ambito del Laboratorio <li precisione nel novembre 1953; trasformazione in Scuola eletlromeccanici di artiglieria con traerei il l-XII-1955; - Scuola militare di educazione fisi ca: costit uita in Cesano d i Roma il 1-Xll-1948; trasferita in Ro ma nel 1948; riordinata: circ. n. 1795/0rd. 1 del 9-VIII-1952; lrnsferimenlo in Orvieto il 15-IX-1952; - Scuola delle trasmissioni: t rasformazione del battaglione collegamenti / inquad rato nc0;ggimcnto add cstr.amcnto del genio in scuola collegamenti: circ. n. 33 13/0i·d. I de l 20-Vl-1 946; riordinamento della scuola e cambio denominazione in Scuola genio collegamenli: circ. n. 2430/0rd. I del 10-IX-1948; altribuzione della denominazione arma delle trasmissioni a ll a specialità collegamenti: c irc. n. 1185-R/ . Ord. I del 16-V-1953; - Scuola specializz.ati delle trasmissioni: cos tituita come centro addestramento I/ avanzato reclute genio collegamenti: circ. n. 1728/0rd. 1 del 20-VII-1948; mutata di denominazione in 1° reggimento collegamenti: I-I-1952; mutala di denominazione in 1° reggimento trasmissioni: 1-Vl-1953; mutata di denominazione in scuola specializza· ti trasmissioni: circ. n. 365-R/Ord. l del 24-JT-1954; - lslitu to geografico militare: adeg uato ai nuovi compiti da svolgere nel settore topocartogra fico in campo nazionale: fogli o n. 760/0 rd. II del 18-V-1949 {viene posto a lle dipendenze disciplinari, tecniche, addestrativc e d 'impiego dello stato maggiore dell 'esercito; presidiarie e territoriali del C.M.T. di Firenze; amministrative della d irezione generale dei servizi) riordinato: circ. n. 2350-R/Ord , II d el 18-X II-1953; costituzione presso lo istituto di un ufficio fotografico per le esigenze connesse con gli studi delle fotogra fie all'infrarosso: circ. n. 250/0rd. TI dc ll '8-JT-1 95 I; - Scuola di sanità mi/ilare: costituita nel 1947: cin..:. n . 5562/0rd. I del 20-XII-1 946; riordinala: circ. n. 3580-R/Ord. I del 7-Xl-1951 ; costituzione presso la scuola di un'infermeria speciale: circ. n. 2005-R/Ord. I d el 20-Xll- 1954; - Scuole della molorizz.azione: costituzione della scuola specialisti della moloriz.z.azione: 1946; costituzione del comando scuo la della motorizzazione: 12-1-1949; cambi di dipenden ze della scuola specialis ti e passaggio a ll e dipenden ze del comando scuola della motorizzazione: 1949; cambio di denominazione in scuola specialisli per le riparaz.ioni: 1949; cambio di denominazione in comando scuole della motorizzazione il I-X-1949: circ. n. 2400/0rd. I del 24-IX-1949; cambio di denominazione in scuola specializ;:.ati della motoriu .az.ione: 1950;
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- Scuola militare di commissariato e di amministrazione: costituzione del centro esperienze e addestramento di commissariato: circ. n. 2060/0rd. I del 28-VII-1946; cambio di denominazione in scuola e centro esperienze di commissariato: circ. n. 980/0rd. I del 7-IV-1950; riordinamento e cambio di d enominazione in accademia dei servizi di commissariato e di amministrazione militare: circ. n. 2650-R/Ord. I del 31-VIl-1951; nuovo rimdinamento: circ. n . 100-R/Ord. 1 del 13-VIII-1953; - Scuola servizio veterinario: costituzione del centro addestramento avanzato reclute del servizio ippico e veterinario: circ. n. 660/0rd. I del 31-III-1948: cambio di denominazione in centro addestra1ivo del servizio ippico e veterinario: circ. n. 2055/ Ord. I del 31-VIII-1948: - Scuola militare di equitazione: costituzione del centro militare ippico nazionale in Pinerolo: 1946; trasferimento del centro in Montelibretti {Roma): 1949; trasformazione in centro preolimpionico militare: 1954. - Scuola telecomunicazioni delle forze armate: costituzione della scuola unica operatori r.t. delle forze armale: circ. n. 2645/0rd. I del 2-IX-1950; cambio denominazione in Scuola telecomunicazioni delle forze armate: circ. n. 2253/0rd. I del 16-V-1952; - S cuola unica interforze per la difesa NBC: costituzione della scuola unica interforze per la difesa ABC: circ. 11. 870-S/Ord. I del 9-lV-1953; - Scuola di aerocooperazione: costituzione: circ. 11. 3825-R/Ord. I d el 3-XII-1951; - Scuola di guerra: costitu zione: circ. n. 2470el 30-IX-1948: nuova organizzazione del comando: circ. n. 1020-R/Ord. I del 17-VI-1954.
CAPITOLO
LI
LA RICOSTRUZIONE DOTTRINALE
1. La situazione di partenza. 2. L'area difesa. 3. La difesa su ampie
fronti. 4. L'esplorazione. 5. La divisione di fanteria e la brigata alpina. 6. I reparti carristi nelle grandi unità di fanteria. 7. Carri armati e unità corazzate nel pensiero del generale Liuzzi. 8. La divisione corazzata. 9. Il campo minato in campo strategico ed in quello tattico. 10. La cooperazione aeroterrestre. 11. La nuova nomenclatura.
1.
Alla · fine della guerra la dottrina d'impiego italiana elaborata nel periodo prebellico, eccezione fatta parzialmente per qudla delle unità corazzate, risultava completamente s uperata. Non meno superata, quando addirittura non anacronistica, gran parte delle armi, dei mezzi e dei materiali. Durante la guerra di liberazione i gruppi di combattimento avevano dovuto conformarsi alla dottrina ed equipaggiarsi con i materiali dell'esercito britannico, del quale ricalcarono anche le strutture ordinative. L'influenza esercitata dall'esercito britannico dal settembre del 1943 al dicembre 1947 su quello italiano in materia d'impiego operativo e di tecnica d'impiego, di addestramento, di materiali, di ordinamento e di organici non si esaurì in tale lasso di tempo. Essa continutò a farsi sentire, come del resto accade per tutte le esperienze, anche nel periodo della ricostruzione, durante il quale, peraltro, specialmente in fatto di materiali, divenne preminente l'influenza americana. Quando lo stato maggiore dell'esercito dette inizio all'elaborazione di una nuova dottrina tattica, a lla quale cercò di conferire un'impronta originale e tutta italiana, non poté non tenere conto, peculiarmente nei riguardi della tecnica d'impiego delle unità tattiche minori e dell'addestramento del soldato, di quanto e di come l'esercito britannico aveva impostato a suo tempo la preparazione dei gruppi di combattimento e l'organizzazione addestrativa. Non si può
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perciò negare che la nuova dottrina d'impiego e di tecnica d'impiego, elaborata dallo stato maggiore dell'esercito nel periodo della ricostruzione, non risenta dell'esperienza britannica, come del resto le stesse nuove formazioni organiche, ma non per questo essa manca di originalità, di concezioni peculiari, di una propria individualità e identità che la caratterizzano nell'impostazione e nello sviluppo secondo la logica e la tradizione del pensiero militare nazionale. Ciò che forse si può rimproverare alla nuova dottrina è proprio l'eccesso di prudenza nel rinnova re concezioni e procedimenti di cui essa, sebbene ricca di idee nuove e condensatrici delle nuove esperienze, soffra di alcuni richia mi al passato che ne riducono le prospettive di validità per il futuro. La caratteristica che più di ogni altra la contraddistingue dalla dottrina prebellica è la preminenza conferita all'azione difensiva, necessariamente determinata prima di tutto, in ordine di tempo, dal ripudio costituzionale della guerra offensiva e successivamente dal carattere difensivo dell'alleanza atlantica. Un a ltro punto fondamentale di di stacco dalla dottrina prebellica è"il rovesciamento dell'ordine tradizionale nella elaborazione e diramazione delle nuove pubblicazioni che, in luogo di quello dec rescente dai livelli più a lti ai minori, segue quello crescente : dalle pa ttuglie e dalla squadra alla divisione. Le serie dottrinali, c he non si seguirono l'una l'altra, ma si sovrapposero, furono la 2000 e la 3000: la prima riguarda l'impiego e la tecnica d'impiego delle pattuglie, della squadra, d el plotone, della compagnia fucilieri, del battaglione di fante ria e della divisione di fanteria; la seconda riguarda l'impiego delle grandi unità nella risoluzione del problema difensivo nazionale. Nella serie riguardante l'impiego delle varie unità ordinative dell' arma base - la fanteria - vengono definiti, sebbene ancora sfumati, i rapporti di sostegno e di appoggio dell'aviazione, de ll'artiglieria, dei carri armati alle azioni della fanteria; nella seconda, diversamente da quanto era sempre stato fatto nel passato, non viene delineato il quadro strategico di una eventuale guerra futura e la trattazione dell'azione difensiva rima ne circoscritta nel campo tattico che da solo non è sufficiente ad illuminare e dirigere le menti dei comandanti elevati incaricati di condurre le operazioni di un corpo d'armata, di un'armata, di uno scacchiere. La nuova dottrina considera esclusivamente la guerra convenzionale, facendo assoluta astrazione dall'impiego delle armi nucleari, in quanto in quel periodo di schiacciante superiorità nucleare degli Stati Uniti e di
CAP. LI - LA RICOSTRUZIONE DOTTRINALE
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validità della strategia della risposta massiccia, non esistevano ancora orientamenti e realizzazioni riguardanti l'impiego delle anni nucleari in campo tattico. In tale contesto le serie 2000 e 3000 possono essere considerate un corpus dottrinale di transizione reso necessario ed urgente dalla esigenza irrinunciabile ed improrogabile di offrire comunque una guida per l'addestramento. Lo stato maggiore dell'esercito dové partire quasi da zero: le grandi unità di ordine superiore erano scomparse; le divisioni di fanteria e le loro unità costitutive avevano subito profonde trasformazioni organiche; l'armamento del 1939 era quasi interamente superato; nuove armi convenzionali avevano fatto la loro comparsa sul campo di battaglia e quelle preesistenti si presentavano modificate e migliorate nelle loro prestazioni e nel loro rendimento; i criteri ed i procedimenti d'impiego si erano andati via via evolvendo: tutto ciò aveva tolto ogni valore alla regolamentazione prebellica, del resto necessariamente disattesa anche guerra durante perché non rispondente alla nuova fisionomia del combattimento ed in gran parte modificata dai comandi di scacchiere nella prassi di guerra. Le misure di emergenza adottate durante la guerra di liberazione mediante il ricorso alla traduzione dall'inglese dei regolamenti e delle istruzioni dell'esercito britannico avevano riguardato soprattutto l'impiego delle unità minori e dell'armamento, ma non avevano offerto indicazioni totalmente valide nella nuova situazione ordinativa e dei nuovi mezzi. Il problema della creazione di una nuova regolamentazione tattica che rispondesse alla nuova situazione dell' esercito, che frattanto veniva ordinandosi ed articolandosi su di un modello, se non nuovo, certo diverso da quello del 1940, dové essere affrontato in tutta la sua interezza, avuto principalmente riguardo alle esperienze di guerra ed a quanto venivano facendo i maggiori eserciti dell'alleanza atlantica, i quali, in verità, non offrivano ancora indicazioni sufficienti a proiettare nel futuro le loro dottrine tattiche ed i loro ordinamenti, anche se non mancavano spunti per il rinnovamento delle forze aero-terrestri e per l'ammodernamento del loro impiego. La definizione dei concetti informatori dell'azione difensiva, della cooperazione forze terrestri-forze aeree, della guerriglia e della controguerriglia e così via non poteva essere rinviata per non vanificare l'attività addestrativa in piena ripresa anche ai livelli più elevati come accenneremo più avanti - e che, dopo l'entrata dell'esercito ne lla N.A.T.O. , veniva assumendo una dimensione assai vasta sia
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nel campo interforze sia in quello della cooperazione tra le forze armate dei paesi dell 'alleanza, concretantesi nelle prime grandi esercitazioni N.A.T.O .. La pubblicazione fondamentale che riguardò la grande tattica fu la circolare 3000 - Organizzazione difensiva che vide la luce il 1 giugno del 1948 a firma del capo di stato maggiore dell'esercito I, generale Marras 2. Ad essa fece seguito il 15 luglio del 1950 la pubblicazione 3100 - La difesa su ampie fronti 3 - anche questa a firma del generale Marras. Entrambe le circolari, stante il carattere di pubblicazioni di cui era vietata la divulgazione, non furono accompagnate da commenti ufficiosi sulla Rivista militare, come avveniva fin d'allora per quelle non soggette a tale restrizione, ma formarono egualmente oggetto sulla rivista di considerazioni e di riflessioni da parte di molti ufficiali 4 che ne illustrarono i concetti fondamentali, con particolare riguardo a quelli di area difesa e di caposaldo che costituirono, anche dal punto di vista terminologico, entro certi limiti, due innovazioni essenziali, congiuntamente a quella della rinunzia alla continuità del sistema difensivo statico. A rileggerle oggi appaiono ancora più evidenti, che non allora, i limiti delle concezioni, dei criteri e dei procedimenti in esse indicati. Quasi a giustificare tali limiti si legge nella premessa della circ. 3000: concezioni e procedimenti contenuti nella circolare rispecchiano esperienze di guerra che non hanno ancora espresso ammaestramenti definitivi, mentre nella premessa della circolare 3100 si sottolinea la necessità di prendere in considerazione anche il problema della difesa su ampie fronti in quanto i criteri ed i procedimenti della circolare 3000 presuppongono possibilità di gra nde concentrazione di forze e di mezzi non sempre disponibili in raffronto alle fronti di difesa. Si soggiunge, poi, nella premessa della circolare 3100 che il tipo di difesa tra ttato nella circolare 3000 era stato affrontato con precedenza perché il più idoneo a dare una visione completa dell'azione difensiva ed a fissarne alcuni principi fondamentali. La premessa della 3100 conclude: «Scopo della presente circolare è appunto quello di tracciare i lineamenti principali di tale tipo di difesa (su ampie fronti), problema di particolare importanza nella presente situazione, in quanto è presumibile che la disponibilità di forze non ci consenta di applicare i procedimenti delle aree difese su di un'intera fronte difensiva ». Il che lasciava intendere che la soluzione del problema difensivo italiano avrebbe dovuto essere ricercata nella combinazione dei due sistemi.
CAP. LI - LA RICOSTRUZIONE DOTTRINALE
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2. La circolare 3000 apre il discorso sull'azione difensiva richiamando concetti generali analoghi a quelli de lla dottrina italiana in vigore nel periodo intercorso tra le due guerre mondiali, quali quelli: della distinzione tra l'atteggiamento difensivo volontariamente assunto per insufficienza di forze o per economizzarle a favore di un'azione offensiva da condurre altrove od in tempo successivo, a quello imposto da un'improvvisa apertura delle ostilità o, nel corso della guerra, dall'andamento delle operazioni; della differenza degli scopi tra la resistenza ad oltranza che mira a distruggere o ad arrestare lo slancio offensivo e la m anovra in ritirata sotto forma di manovra ritardatrice o di manovra di ripiegam ento a seconda che te nda a guadagnare tempo o spazio per ristabilire un equilibrio compromesso; della incapac ità risolutiva della difesa che in ta nto può essere valida in quanto presupponga il passaggio all'azione con troffensiva che sola consente di giungere a risultati definitivi. Fin qui nulla o quasi di nuovo, così com e non è certo un concetto originale quello sottolineato a caratteri cubitali riguardante la sicura condanna all'insuccesso di una difesa puramente statica. Di nuovo c'è invece la configurazione di quella che può essere l'azione offensiva in una guerra moderna e le conseguenze ch e ne derivano per chi debba difendersi. Caratteristiche di tale azione sono: la potenza di rottura delle masse corazzate; la celerità con la quale mediante autotrasporti possono essere creati o modificati gli schieramenti; l'aggiramento verticale consentito dagli sbarchi aerei; il grande raggio d'azione delle armi moderne; l'azione de lle quinte colonne. L'azione offensiva è, perciò, in grado di conce ntrarsi rapidamente lungo le direzioni prescelte, possied e una capacità di rottura e di penetrazione prima sconosciute, può penetrare in profondità con ritmo costante. La difesa, con segu entemente, deve anch'essa con.ce ntra re forze e mezzi, scaglionarsi molto in profondità, garantirsi da tutti i lati. La visione dell'azione offensiva è realistica, riproduce lo scenario proprio de lle vittoriose avanzate tedesche dei primi due anni del secondo conflitto mondiale, pone in evidenza i nuovi fattori di forza della potenza offensiva anche se un richiamo più esplicito all'aviazione avrebbe meglio completato il quadro. La c ircolare 3000 non elenca, come sarebbe stato quanto meno conveniente fare, i fattori natura li e artificiali sui quali può fare conto l'azione difensiva per compensare, e ntro certi limiti, l'inferiorità di forze e di mezzi ch e le è connaturale
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- terreno, spazio, ostacolo, fortificazione - ma riferendosi alle definizioni già date dei due tipi princ ipali di difesa, resistenza e manovra in ritirata, passa ad illus trarne i requisiti essenziali, introducendo una nuova distinzione, nel quadro della manovra di resistenza, tra resistenza ad oltranza su fronti normali e resistenza su fronti ampie. Della prima, allorquando è preoordinata - ma può non essere preordinata ? - la pubblicazione dice che presuppone una organizzazione difensiva basata sulla s istemazione di più aree difese, autonome, a protezione diretta o indiretta di obiettivi vitali pe r la condotta delle operazioni; della seconda, che è organizzata con procedimenti particolari in funzione del tipo di terreno. Aggiunge che le aree difese debbono includere terreni che riducano le possibilità d'azione dell'avversario (montagna, boschi, abitati), si prestino a lla valorizzazione del fuoco e dell'ostacolo, consentano l'economia delle forze. L'area difesa è costituita d a un complesso di elementi difensivi cooperanti n ell'intento di frenare e logorare le penetrazioni avversarie e di eliminarle infine con una reazione particolarmente potente. È generalmente tenuta da un corpo d 'armata o, eventualmente, da una divisione. Essa h a lo scopo di garantire il possesso di una zana di terreno d'importanza vitale , va organizzata a giro d'orizzonte anche se si deve determinare le probabili dire ttrici d'attacco e, conseguentem ente, stabilire un fronte principale; la sua organizzazione a giro d'orizzonte assume aspetti diversi a seconda che si tratt i di area difesa inquadrata, o di ala, o isolata; comprende una zana di sicurezza, una posizione di resistenza, una zana di schieramento delle artiglierie, riserve e servizi; la sua organizzazione può essere effettuata sotto la protezione di uno scaglione di sicurezza schierato davanti all'area e che s i difende ad oltranza fino al momento in cui viene ritirato avendo la difesa raggiunto una efficienza adeguata; per la sua organizzazione pr ima si sceglie la posizione di resistenza poi la zona di sicure zza. Scopo di questa ultima è di guadagnare spazio in avanti per ritarda re e logora re l'avanzata nemica mediante l'azione combinata di posti di osservazione e allarme, posti di sbarramento, posti scoglio (eventuali), pattuglie di ricognizione, pattuglie di combattimento. A parte la terminologia non sempre corrispondente a quella de lla precedente regolamentazione ed il maggior rilievo conferito all'azione controcarri ed a quella delle pattuglie, criteri d'impostazione, elementi di azione, compiti dei singoli elementi, procedimenti indicati per la zona di sicurezza sono analoghi a quelli d el passato e , pertanto, non
CAP. LI - LA RICOSTRUZIONE D01TRINALE
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ci sembra necessario illustrarli particolareggiatamente. Ci limitiamo perciò a sottolineare il criterio di una più spinta azione dell' artiglieria nella zona di sicurezza ne lla quale la massa delle
artiglierie divisionali deve essere in condizione di poter agire efficacemente a favore delle forze che vi sono schierate; criterio che dà un'idea dei limiti della distanza cui può spingersi il margine anteriore di detta zona (linea di sicurezza). Profondamente diversa da quella del passato e senza più nessuna analogia con questa è, invece, l'organizzazione della posizione di resistenza nella quale la difesa a fascia continua è sostituita da quella a caposaldi - un
complesso di caposaldi - cooperanti, scaglionati in profondità e su più ordini, inframezzati da spazi vuoti dominati dal fuoco. Fuoco, ostacolo, riserve con azione coordinata debbono fermare e ridurre lo spazio o almeno frenare, contenere e infine annientare ogni penetrazione nemica nell'ambito delJa posizione di resistenza dove, nella parte posteriore, anche artiglierie, riserve, servizi e comandi debbono essere organizzati a caposaldo per far fronte a infiltrazioni nemiche, ad aviosbarchi di piccole unità avversarie, ad eventuali azioni di elementi della quinta colonna. Elemento fondamentale della posizione di resistenza è, dunque, il caposaldo, che è un concentrato di potenza difensiva che deve assicurare il mantenimen-
to di un obiettivo importante ai fini della condotta della difesa . Il caposaldo: deve possedere i requisiti di dominio tattico delle direttrici di attacco nemico, di reattività a giro d 'orizzonte, d'impenetrabilità da tutti i lati, di resistenza ad oltranza che non può cessare in nessun caso d ' iniziativa del comandante del caposaldo; è presidiato di massima da un battaglione (eccezionalmente, come ne l caso di un a bitato, da più battaglioni ed eventualmente, su tratti di terreno non determinanti, da una compagnia rinforzata); ha un comandante unico; è caratterizzato da a utonomia tattica e logistica; comprende centri di fuoco riuniti o non in centri di resistenza, posta zioni di · artiglieria (eventuali), un posto comando (con osservatori), ricoveri e difese accessorie, rincalzi per il contrassalto; si sviluppa, in terreni di media accidentalità e copertura, lungo un perimetro massimo di 3500 m e minimo di 3000 m rappresentato dalla congiungente d ei centri di fuoco periferici, la quale costituisce la linea di resistenza; si articola nel suo interno in settori di compagnia, nei quali hanno vita i centri di resistenza dei plotoni e, nell'ambito di questi, i centri di fuoco (fucili mitragliatori, mitragliatrici, mortai, armi portatili controcarri, pezzi controcarri). I caposaldi, normalmente riuniti in gruppi di caposaldi, sono dis locati a scacchiera e disposti in modo e
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a distanza tali da appoggiarsi reciprocamente col fuoco e da non consentire all'attaccante di concentrare lo sforzo contro uno solo di essi, trascurando quelli finitimi. La distanza massima fra due caposaldi contigui è data dalle possibilità di dominare, col fuoco dei pezzi controcarri e delJe mitragliatrici, lo spazio interposto (1200-,-1600 m), con l'avvertenza che là dove le forme del terreno impongano intervalli maggiori occorre dare più consistente sviluppo all'ostacolo e in particolare ai campi minati. È fuori dubbio che una tale concezione e organizzazione della posizione di resistenza non ha precedenti nella regolamentazione tattica italiana e che essa deriva dall'esperienza di guerra sui terreni ad alto indice di scorrimento, come quelli della Libia, dell'Egitto e della Russia. Il termine caposaldo non era nuovo; veniva impiegato fin dalla prima guerra mondiale, ma con significato diverso e limita to a indicare modeste concentrazioni di potenza su punti importanti de lla posizione di resistenza. Nella c ircolare 3000 il caposaldo è la norma, non l'eccezione; esso dà vita ad un sistema statico discontinuo che accetta per scontate le infiltrazioni negli intervalli, ma che nel suo insieme gode di una robustezza e di una profondità assai maggiori di quelle della fascia ed oppone alla nuova potenza e mobilità dell'attacco una successione coordinata di frangiflutti tali da spegnerne, o quanto meno affievolirne, l'irruenza del fuoco e la velocità di progressione. La maggiore robustezza degli ancoraggi e soprattutto il loro succedersi i::i profondità offrono alla difesa notevole capacità di assorbire gli sforzi iniziali dell'attacco, ma il nuovo sistema richiede molte forze (gli ordini dei caposadi non possono essere meno di due), poggia su di una premessa l'impenetrabilità del caposaldo - di difficile realizzazione nei terreni di pian ura e di col lina e cioé proprio dove le irruzioni delle forze corazzate sono possibili e normali, fa affidamento in termini di profondità anche su caposaldi di artiglieria e dei servizi, incapaci di fatto a sostenere gli urti dei carri armati. li sistema difensivo a caposaldi aveva offerto di sé, quando organizzato con piena rispond enza ai presupposti, ottime prove - s i pensi alla battaglia dell'autunno 1942 di el Alamein - ma il primo di tali presupposti era stato la grande disponibilità del binomio armi controcarri-mine. La principale funzione del caposaldo e dell'intero sistema difensivo era stata quella controcarri e l'azione contro l'attacco delle fanteria _era stata considerata destinata principalmente ad impedire la rimozione de ll'os tacolo minato. La ossatura del caposaldo erano state le armi controcarri assistite dalle altre armi ed
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essa era stata resa possibile dalle formazioni delle divisioni di fanteria A.S.42. Nel caposaldo della circolare 3000 l 'impenetrabilità viene affidata soprattutto alle altre armi, anche se è precisato che lo schieramento delle artiglierie controcarri deve avere la priorità su quello degli altri mezzi della difesa e che lo schieramento di questi ultimi deve adattarsi alle esigenze dei pezzi controcarri. Non si può dire che la circolare 3000 sottovaluti nella concezione, organizzazione e condotta della difesa la preminenza dell'azione controcarri, anzi la richiama e la sottolinea di continuo, ma l'esaltazione di tale concetto trova poi scarsa rispondenza nella disponibilità reale dei mezzi, per cui la nuova dottrina, ineccepibile sul piano teorico, finisce con l'offrire un'immagine ideale dell'azione difensiva scarsamente traducibile in realtà effettuale. Circa la concezione della difesa la circolare si esprime in termini chiari e precisi: il compito, la situazione generale, il terreno, le forze e i mezzi disponibili, l'entità, le forme, le direzioni prevedibili dell'attacco nemico, specialmente quelle di più facile impiego dei carri armati, costituiscono gli elementi su c ui il comandante dell'area difesa imposta la concezione della difesa, che si esprime fissando i caposaldi più importanti sui quali imperniare la resistenza, le zone da battere più intensamente e le direzioni di contrattacco. Alla base dell'azione difensiva viene, dunque, posta la concezione del comandante dell'area difesa la qua le costituisce l'idea animatrice della difesa ed allo stesso tempo l'idea guida. Al comandante della area difesa viene conferita, nel qua dro del compito affidatogli e delle altre condizioni generali, la piena e diretta responsabilità della concezione e gli si indicano i soli elementi essenziali da tenere presenti nella elaborazione e formulazione del proprio concetto di difesa lasciandogli piena libertà di pensiero e di azione. Dalla concezione de] comandante deriva l'organizzazione della difesa che è in sostanza l'impianto della battaglia difensiva sancito nel progetto di difesa, abbozzo iniziale che deve consentire l' immediato inizio del lavoro, da precisare successivamente tanto più particolareggiatamente quanto maggiore il tempo disponibile prima dell'attacco nemico. Il progetto, che è tanto più semplice quanto più si scende nella gerarchia delle unità, una volta definito, non va più variato pena la costante inefficienza della organizzazione. Schieramento delle forze; definizione della posizione di resistenza, dei caposaldi più importanti, delle forze che devono presidiarli; precisazione delle linee di saldatura fra settori divisionali o fra aree difese separate da intervalli ristretti; determinazione deJle
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misure per il fianco od i fianchi scoperti; norme per il coordinamento dell'azione dei caposaldi o gruppi di caposaldi; compito e composizione delle forze in zona di sicurezza e piano delle distruzioni da affidare a tali forze; organizzazione dei fuochi, dell'ostacolo, della difesa controcarri, del contrattacco, della difesa contraerei, della difesa del tergo dell'area, del collegamento tattico con le aree difese contermini; disposizioni per i collegamenti, per le informazioni, per l'osservazione; organizzazione dei lavori difensivi e assegnazione dei relativi mezzi e materiali (compresi quelli di mascheramento); cooperazione dell'aviazione; autonomia dei caposaldi; disposizioni per i servizi; posto comando; limiti di tempo posti all'organizzazione: questi gli elementi del progetto di difesa, per ciascuno dei quali la circolare precisa i criteri e le modalità ai quali devono ispirarsi e uniformarsi. Lo schieramento delle forz e va attuato secondo un criterio di gravitazione e nella ripartizione delle forze occorre tenere sempre presente la necessità di costituzione di una riserva di area, includente furmuziuni corazzate, e di riserve di settore divisionale. L'organizzazione della zona di sicurezza si concreta nello stabilire la linea di sicurezza, l'entità e la specie delle forze, le unità da cui trarle, il compito, le interruzioni e i campi minati, gli itinerari di ripiegamento, i caposaldi su cui ripiegare: elementi non tutti definibili dal comandante dell'area. L'organizzazione dei fuo chi, che si riferisce ai fuochi di fanteria, di artiglieria e di aviazione, dev...: tendere a ritardare e logorare l'attaccante a distanza, arrestarlo prima che giunga a distanza d'assalto dai caposaldi, contenere le infiltrazioni fra i caposaldi, appoggiare il contrattacco, concorrere all'annientamento dell'attaccante. Le azioni principali dell'artiglieria sono nell'ordine: per quella da campagna, l'interdizione vicina, l'azione controcarro, la cont romortai, lo sbarramento, la repressione, l'appoggio al contrattacco; per l'artiglieria di m aggiore potenza, la controbatteria, l'interdizione lontana , la controcarri, la contromortai. Il fuoco di aviazione integra quello dell'artiglieria - di cui stende il braccio soprattutto nell'azione d'interdizione lontana ed è particolarmente efficace contro formazioni corazzate mentre si schierano o durante l'attacco. I fuochi di fanteria, di artiglieria e di aviazione s'integrano ·ed il loro schieramento in profondità, organizzato in ciascun tratto in proporzione alle presumibili minacce, debbono essere manovrati così da contrapporsi efficacemente allo sviluppo rapido e profondo dell'attacco. Il sistema dei fuochi di fanteria e di artiglieria deve nel suo complesso tendere a realizzare sulla fronte
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investita dall'attacco nemico ... una cortina densa, scatenabile nei vari tratti automaticamente ed immediatamente su semplice segnale d'allarme, ma mentre l'automatismo e l'immediatezza sono frutto di una organizzazione minuziosa e di una rigorosa disciplina, la continuità e la densità desiderabili della cortina sono mete più difficili da conseguire, per difficoltà di terreno e insufficienza di mezzi, per cui occorre fronteggiare tali inconvenienti mediante una giudiziosa e consapevole ripartizione dei compiti normali di sbarramento tra artiglieria e armi della fanteria e una pronta ed agile manovra di tutti i fuochi. Nell 'o rganizzazione dell 'ostacolo il criterio guida è che nessun ostacolo ha valore se non è sorvegliato e battuto. Valore preminente va dato al campo minato perché di più rapido approntamento, più occultabile, più facilmente innestabile negli altri elementi della difesa. L'andamento degli ostacoli artificiali deve perciò essere coordinato con lo schieramento delle armi, nonché con le direzioni di contrattacco. All'ostacolo vengono attribuite le funzioni di protezione dalle sorprese, di disorganizzazione logoramento ritardo dell'attacco, di deviazione delle infiltrazioni verso zone prestabilite. Particolare il rilievo dato alla difesa controcarri. Questa: è impostata sull'azione di tutte le armi controcarri e sulla utilizzazione degli ostacoli, specialmente dei campi minati; deve avere ampio sviluppo in profondità; deve gravitare in corrispondenza delle zone di più probabile impiego dei carri; deve essere organizzata, su direttive del comandante della grande unità, dal comandante dell'artiglieria della grande unità stessa che coordina l'impiego di tutti i mezzi controcarri; ad essa devono concorrere tutte le artiglierie divisionali. L'organizzazione del contrattacco dislocazione iniziale della riserva, direzione de l contrattacco, cooperazione fra fanteria - formazioni corazzate - artiglieria, predisposizioni per l'osservazione, i collegamenti, il movimento - deve essere tale da poter fronteggiare l'eventua lità del cedimento di caposaldi di importanza vitale e da rendere possibile l'annientamento dell'avversario penetrato nell'area difesa. Il contrattacco è . condotto dalle riserve le cui forze debbono essere tali da contrapporsi vantaggiosamente a quelle d ell'attaccante e che debbono perciò comprendere indispensabilmente formazioni di carri e di artiglierie controcarri allorché il contrattacco debba opporsi a forma zioni corazzate; quando i carri non siano disponibili occorre dare ampio sviluppo agli ostacoli e utilizzarli per deviare i carri attaccanti verso un terreno intensamente battuto dalle artiglierie, specie controcarri. È evidente la maggiore importanza, rispetto al passa-
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to, che la circolare 3000 vuole attribuire alla reattività della difesa, sulla quale impernia non solo il ristabilimento di una situazione compromessa, ma anche il vero successo dell'intera resistenza ad oltranza, il cui scopo principale è appunto l'annientamento del nemico; non meno evidente è, però, l'inadeguatezza dello strumento al quale si dovrebbe affidare l'azione nel caso manchi la disponibilità di formazioni corazzate, dovendosi intendere come tali quelle costituite da carri armati, artiglierie semoventi, fanterie meccanizzate. Uno strumento costituito da unità carri e semoventi e da unità di fanteria appiedata non sarebbe infatti affidabile a causa della sua eterogeneità, mentre l'alternativa suggerita dalla circolare ampio sviluppo degli ostacoli, ampi concentramenti di artiglieria sulle zone di deviazione delle formazioni corazzate attaccanti, ampio impiego di mezzi controcarri - potrebbe tutt'al più essere valida per un'azione di contenimento e magari di arresto, ma non certo per ristabilire una situazione compromessa e tanto meno per annientare le forze attaccanti penetrate. Al riguardo, dunque, la circolare palesa una fiducia senza riscontro tattico e tecnico e, in più, contraddetta dall 'esperienza dell'intero corso della seconda guerra mondiale, durante la quale, mentre non erano mancati episodi di successo della lotta controcarri ai fini del contenimento, dell'arresto, della costrizione al ripiegamento di formazioni di carri in attacco, mai si erano date circostanze in cui la sola combinazione fuoco-ostacolo fosse equivalsa ad un atto conclusivo del combattimento difensivo, quale appunto è il contrattacco configurato nella circolare 3000. Per l'organizzazione della protezione antiaerea, della difesa contraerei, dell'occultamento e del mascheramento, de i collegamenti, delle informazioni, della difesa del tergo dell'area, del collegamento tallico, dei lavori, la pubblicazione ripete criteri e modalità già sanciti dalla regolamentazione prebellica, precisando che: la protezione antiaere a (occultamento e mascheramento) è divenuta esigenza imprescindibile di vita e di azione; la difesa contraerei, necessariamente limitata alla difesa di obiettivi di particolare valore e delicatezza, è compito del comandante dell'artigliera della grande unità; la organizzazione dei collegamenti si fonda essenzialmente sui mezzi radio, ma che la rete radio va integrata con una rete a filo da utilizzare soprattutto nella fase iniziale d ella difesa, durante la quale i mezzi radio devono conservare il silenzio a salvaguardia della segretezza; l'organizzazione delle informazioni deve comprendere l'esplorazione, la ricognizione, l'osservazione aerea e terrestre, la collaborazione di tutti nella
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ricerca e nella trasmissione delle notizie; la difesa del tergo dell'area riguarda sia gli aggiramenti vertic2.li sia la guerriglia; il collegamento tattico con le aree difese contermini è fatto in relazione alle direttive del comando superiore, che tra l'altro deve provvede re direttamente a vigilare e sbarrare l' intervallo fra due aree difese contermini mediante il concorso di fuoco delle artiglierie delle aree contermini e l'impiego di grandi unità e di raggruppamenti m obili. Circa l'organizzazione dei lavori , la c ircola re precisa che essa deve riguardare i campi minati, le postazioni controcarri, quelle per le mitragliatrici, per le artiglierie da campagna, per gli osservatori, pe r le altre armi della fanteria, pe r le artiglierie contrae rei, i coma ndi tattici, i lavori vari e stabilisce che lo schieramento dei campi minati vada affidato a i pionieri del genio eccezione fatta per i campi mi.nati. sul davanti. dei caposaldi, affidati ai presidi dei caposaldi s tessi. Nulla è detto circa la fortificazione permanente e .l a stessa fortificazione campale non trova nella pubblicazione il r ilievo che avrebbe meri tato proprio sulla base .delle esperienze della seconda guerra mo ndia le. Le fasi di sviluppo della condotta della difesa sono, secondo la pubblicazion e, tre: la cont ropreparazione, la resistenza, il contrattacco. La p rima, eventuale, tendente alla disorganizzazione dell 'avversario, la seconda al suo arres to, la terza al suo annientamento. La contropreparazione - di cui ha p a rticolare rilevanza la determinazione del momento in cui iniziarla - c ompre nde: azioni ae ree di bomba rdamento su comandi, zone di raccolta, centri logistici; a zioni di artiglieria su basi di p a rtenza, comandi, centri di collegam ento e, in gene re, sui punti più sensibili d el dispositivo di attacco; azione di mortai su gli elmenti ravvicinati del dispositivo di attacco: eventuali colpi di mano di piccoli reparti di fanteria, blindati o corazzati, tendenti a disorganizzare le fante rie avversarie schierate sulla base di partenza. La resistenza si fonda sulla stabilità dei caposaldi - e perciò qualsiasi penetrazione nemica n el loro interno deve essere immediatamente annullata col contrassalto da parte delle truppe che li presidiano - ; si sviluppa attraverso l'azione logorativa e ritardatrice delle forze ne lla zona di sicurezza sostenuta da l fuoco delle artiglierie e da ultimo anche dal fuoco delle armi pesanti di fanteria in posizione defilata, l'a zione dei caposaldi avanzati, il fuoco dell'artiglieria da campagn a concentrato sulle unità nemiche avanzanti più pericolose (che sp esso, di notte e in caso di scarsa visibilità, deve assumere su a llarme carattere di accentuato automatismo), il f uoco della fanteria no n appena l'attac-
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cante giunga a contatto dei caposaldi, scatenato d'improviso. Da tale momento o l'attacco si arresta o devia verso i tratti meno battuti; qualora si arresti, l'attacco deve considerarsi fallito e la difesa deve continuare intensamente il suo fuoco, sempre più osservato ed aggiustato, per ingabbiare i reparti avanzati, distruggerli o per lo meno rendere assai cruento il loro ripiegamento; qualora l'attacco si spezzi e devii alla ricerca di zone meno intensamente battute, la difesa deve imbrigliarne i tronconi, fermarli ed ingabbiarli fra il fuoco di artiglieria, delle armi dei caposaldi e i campi minati predisposti. Il contrattacco, predisposto al livello di settore divisionale e di area difesa, deve svilupparsi Lungo una o più direzioni prestabilite e secondo modalità già fissate e provate in precedenza. Deve tendere alla distruzione del nemico con la massima decisione e nel più breve tempo possibile. Durante lo sviluppo dell'azione difensiva, l'aviazione concorre alla condotta con l'osservazione, l'offesa (mitragliamenti, spezzonamenti, bombardamenti, interdizione dell 'alimentazione e ritardo dell'attacco, appoggio al contrattacco prolungando in profondità l'azione dell'artiglieria), il rifornimento (dei caposaldi superati dal nemico e che continuino la resistenza). La circolare 3000 si chiude con alcuni cenni sulle caratteristiche dell'azione difensiva in montagna, dove concezioni e procedimenti, pur conservando integri essenza e valore, devono subire qualche adattamento e limitazione, derivanti dalla minore profondità delle posizioni, dalla maggiore ampiezza delle fronti, dal frazionamento delle forze, dal decentramento delle responsabilità e dei mezzi, dalla irregolarità della disposizione dei vari elementi della difesa, dalla facilità ed efficacia della sorpresa. In montagna: la plastica del terreno marca più significativamente le direzioni di attacco e conferisce perciò alla difesa orientamenti più sicuri, anche se una truppa ben addestrata può passare ovunque, sicché la difesa deve garantirsi la sicurezza da tutte le provenienze, comprese quelle poco probabili; le possibilità di concentrazioni dell'attacco sono in genere minori che non altrove, per cui anche la difesa ha minore necessità di concentrazione e può ricorrere frequentemente a caposaldi di entità minore (compagnia e plotone) di quella normale (battaglione); le infiltrazioni sono più pericolose di quelle sui terreni piani, per cui occorre valutarle con maggiore sensibilità, al fine di arginarle in tempo, prima che possano convertirsi in dilagamenti, ponendo, quando necessario, elementi difensivi fra i caposaldi per integrarne l'azione negli spazi intermedi. Ed ecco il
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quadro finale della circolare 3000 circa l'azione difensiva in montagna: ricerca della profondità in avanti oppure in contropendenza; esplorazione mobilissima, molto attiva, spinta a distanza; caposaldi di costituzione molto variabile; largo impiego dei mortai; decentramento frequente delle artiglierie che incontrano forti vincoli di schieramento imposti dal terreno; reazione di movimento organizzata attraverso la razionale dislocazione delle riserve e l'accurata scelta degli itinerari; sfruttamento delle accidentalità naturali del terreno più che ricorso a lavori di rafforzamento; localizzazione degli ostacoli nei punti di obbligato passaggio; osservazione accuratissima e minuta che faccia anche largo assegnamento sull'ascolto; autonomia di mezzi d'azione e di vita accentuate. Meriti e demeriti della circolare 3000, già parzialmente messi in evidenza, formarono oggetto in tempi successivi di ampi interventi sulla Rivista militare, dei quali uno, il più recente s, apparso nel 1974, e.i sembra essere il più approfondito, il più avveduto, il più sintetico ed al tempo stesso il più completo per quanto concerne la risposta, che a noi interessa dal punto di vista storico, circa la validità della dottrina difensiva della pubblicazione sul piano concettuale, la sua rispondenza all' evoluzione raggiunta in quel periodo dal pensiero militare, le sue possibilità di applicazione reale. La concezione della difesa espressa nella circolare racchiude in sé un elevato grado di validità in quanto esalta sia la profondità del dispositivo sia la reattività di fuoco e di movimento, due delle principali caratteristiche della difesa messe in chiara evidenza dal secondo conflitto mondiale, anche se ne lascia in ombra altre non meno indispensabili, prime fra tutte: l'elasticità dei dispositivi e la flessibilità del fuoco. La pubbli ca zione, inoltre, tiene debito conto sul piano concettuale di molti degli ammaestramenti utili ricavabili dalle operazioni difensive svoltesi sui vari teatri e scacchieri operativi aero-terrestri dal 1939 al 1945 e conseguentemente è abbastanza aderente al momento evolutivo della grande tattica convenzionale raggiunto in quel periodo dai principali eserciti stranieri. Vi sono però supervalutazioni di alcuni istituti (area difesa, sistema di caposaldi, caposaldo) e sottovalutazioni di altri (manovra, fortificazione permanente, fortificazione campale) derivate da un'incompleta ed inesatta interpretazione dei recenti avvenimenti bellici, la quale indusse a conferire valore paradigmatico a situazioni contingenti e ad ambienti particolari di guerra. Ma il difetto maggiore della nuova dottrina fu quello già ricordato dello scarso riferimento al reale potenziale
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operativo 6 dell'esercito italiano di quel periodo, per cui la circolare anziché offrire indicazioni pratiche per la risoluzione del problema difensivo nazionale, come avrebbe dovuto essere secondo gli intendimenti di coloro che la elaborarono e di chi la firmò, fu la teorizzazione di un sistema difensivo ottimale poco attuabile nel caso concreto italiano.
3. Poco più di due anni dopo la pubblicazione 3000 sull'Organizzazione difensiva, vide la luce la 3100 su La difesa su ampie fronti che rivestì - e sotto il profilo storico dell 'evoluzione della dottrina tattica dell'esercito italiano conserva tuttora - un'importanza di rilievo molto notevole per tre motivi principali: l'indicazione di una soluzione fatti bile, o che tale sarebbe stata entro breve tempo non appena cioè fossero state completate le tre divisioni corazzate del nuovo ordinamento, del problema difensivo nazionale; il superamento definitivo degli schemi rigidi della 3000 troppo ancora legati al passato; la ricollocazione della manovra tra i principi fondamentali della tattica, intesa, la manovra, come combinazione di direzioni di azione e reazione e come ricorso a tempestive modificazioni dell'intensità degli sforzi in modo da ottenere la massa nel punto e al momento voluti, possibilmente di sorpresa ed in un quadro di sicurezza tale da garantire grande libertà di azione. Non era, in definitiva, questo ultimo il vero e più grande insegnamento della seconda guerra mondiale? Là dove la manovra non c'era stata, o non era riuscita, non si erano forse registrate le perdite cli uomini e di mezzi più elevate e gli scacchi e gli insuccessi più umilianti e dolorosi? Che cosa, se non la capacità di manovra, aveva dato lustro ai migliori generali tedeschi, sovietici e alleati sui diversi scacchieri e sulle diverse fron ti? Durante l'intero corso della guerra, sia sul piano strategico, sia su quello della grande tattica, sia anche su quello del combattimento delle grandi unità elementari e delle formazioni minori, solo la manovra aveva propiziato il successo. Di essa avevano potuto fare a meno solo gli eserciti stracarichi di armi, di mezzi , di materiali e che avevano goduto perciò di rapporti favorevoli di forza addirittura schiaccianti, ma essi avrebbero potuto accelerare notevolmente il momento delle loro vittorie e ridurre le perdite umane solo che fossero stati guidati da capi e da comandanti più manovrieri.
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La nuova pubblicazione non smentì e non sostituì la circolare 3000 - nella quale non era mancato un brevissimo cenno alla resistenza su fronti ampie - la completò prescrivendo che l'organizzazione difensiva tipo 3000 venisse attuata soltanto in corrispondenza delle zone di terreno d'importanza vitale ai fini della condotta delle operazioni e che quella indicata dalla nuova pubblicazione venisse attuata, in concomitanza, sugli altri tratti del terreno da difendere. Secondo la circolare 3100 la difesa su fronti normali - caratterizzata dalla sistemazione ad aree difese rappresenta la forma più completa, ma presuppone possibilità di grande concentrazione di forze e di mezzi: quando questa non è resa possibile dalla disponibilità delle une e degli altri in rapporto all'estensione delle fronti può imporsi la necessità di ricorrere ad altri tipi di difesa anche perché in ogni caso, nel quadro strategico, occorre disporre di adeguate riserve e fare assegnamento sulla manovra, fattore risolutivo, oggi più che mai, dell'azione difensiva. È presumibile - continua la circolare - che la disponibilità di forze non ci consenta di applicare i procedime nti delle aree difese su un 'intera fronte difensiva: da qui il ricorso ad un altro tipo di difesa il cui scopo è di garantire le condizioni di tempo e di luogo necessarie per la manovra delle forze in riserva (grandi unità organiche o raggruppamenti di forze), alle quali è affidata la funzione preponderante. La 3000 aveva sancito la rinunzia alla continuità del sistema statico, ma aveva posto il vincolo della cooperazione tattica nel senso della fronte ed in quello della profondità tra i caposaldi; la 3100 limita la cooperazione al gruppo di caposaldi destinato a presidiare le posizioni di particolare importanza che impediscano al nemico il transito in zone di obbligato passaggio ed accetta l'esistenza di ampie cortine tra gruppi di caposaldi ed anche tra singoli caposaldi autonomi, prescrivendo che esse vengono sistemate a difesa mediante il ricorso ai procedimenti della guerra di arresto. Concezione e procedimenti che, senza volerlo, aprono la strada alle profonde innovazioni reclamate successivamente dal fattore nucleare 7. Caratterizzano, pertanto, la difesa su ampie fronti: la concentrazione della difesa su poche posizioni vitali; la diversità di consistenza delle difese in rapporto alla differente importanza dei settori e delle posizioni da tenere; il ricorso ai procedimenti della guerra d'arresto in corrispondenza delle cortine inte rposte tra le concentrazioni; la disponibilità di riserve mobili, a rticolate e dislocate in condizioni di tempestivo intervento. In sintesi, caposaldi o gruppi
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di caposaldi, con compito di resistenza ad oltranza, in corrispondenza delle zone di obbligato passaggio, vale a dire degli assi stradali; forze schierate in linea e proiettate sul davanti in corrispondenza delle cortine; riserve spiccatamente mobili in grado di intervenire tempestivamente per impedire la caduta dei caposaldi principali e per annientare le penetrazioni in forze nelle cortine. E qui la circolare, in anticipo rispetto a Liddell Hart che tanto esalterà qualche anno dopo l'importanza dei fiumi nella guerra moderna 8, sottolinea come la difesa su ampie fronti sia molto facilitata quando possa appoggiarsi a linee di ostacolo specie fluviali oltre che a posizioni che, per la difficoltà di movimento fuori strada, costringano il nemico a localizzare i suoi sforzi ovvero, quando possa valersi di località naturalmente forti (abitati, ecc.), in corrispondenza di zone di obbigato passaggio. La circolare 3000 aveva messo in evidenza le diverse caratteristiche dell'organizzazione ad aree difese sui terreni di montagna, la 3100 indica per la difesa su ampie fronti forme e procedimenti diversi a seconda che debba essere attuata su terreni pianeggianti e collinari, su terreni montani percorribili dalle fanterie, su terreni alpini. Una distinzione legata soprattutto alla specie <li riserve e di rincalzi chiamati ad agire nei vari a mbienti, oltre che alla robustezza delle posizioni naturali ed al valore impeditivo del terreno. Sui terreni pianeggianti e collinosi, le esigenze principali sono: la ricerca e la presa di contatto, il più avanti possibile, con l'attaccante; il ritardo ed il logoramento, maggiori possibili, dell'attaccante prima che questi investa le posizioni organizzate a difesa; la difesa ad oltranza delle posizioni che inibiscono al nemico la libera disponibilità delle grandi vie di comunicazione; il ritardo da infligge re con il fuoco e con gli altri mezzi di arresto alle pe netrazioni in corrispondenza delle cortine; l'impiego tempestivo delle riserve furti quanto possibile in rapporto alle forze totali disponibili. L'organizzazione difensiva deve pertanto poter contare su: unità esploranti impiegate a distanza per prendere e mantenere il contatto e raccogliere notizie e informazioni sugli assi di sforzo dell 'attaccante; zona di sicurezza profonda con compito di ritardo (fuoco a distanza, campi minati, interruzioni, sbarramenti stradali); gruppi di caposaldi o caposaldi variamente dosati, formanti nel loro complesso un sistema ad andamento lineare, schierati a cavallo delle principali vie di comunicazione sui punti di obbligato passaggio o sui nodi stradali e appoggiati a posizioni naturalmente forti (caposaldi anche di entità minore del battaglione, ma reattivi a giro
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d'orizzonte e dotati di autonomia tattica e logistica); cortine tra gruppi di caposaldi e caposaldi vigilate, rese intransitabili da campi minati a fasce (multipli, collegati con bretelle, valorizzati dal fuoco di elementi fissi o mobili); riserve settoriali, articolate in gruppi tattici, mobili (costituite con unità autoportate, e, sempre che sia possibile, con me'zzi controcarri e corazzati); artiglierie che abbiano le maggiori possibilità di manovra del fuoco e di azione a grandi distanze ed al tempo stesso particolarmente in grado di intervenire a favore delle posizioni destinate a resistere ad oltranza. La condotta di questo tipo di difesa deve avvalersi, in sostanza, di un'efficace attività informativa, del fuoco a distanza, dell a manovra del fuoco di artiglieria, della reazione delle riserve. L'avanzata nemica: deve essere ritardata con l'intervento aereo, l'o s tacolo, le resistenze degli e lementi esploranti, l'azione delle forze n ella zona di sicurezza, il fuoco a dis tanza delle artiglie rie, la resis tenza a d oltra nza de lle posizioni organizzate a difesa anch e se aggirate e isolate; deve essere arrestata ed annientata mediante l'impiego delle rise rve - che esige tempestiva va lutazione dell'entità della manovra e calcolo dei tempi, per far sì che l'intervento si sviluppi in momento utile rivolto poss ibilmente a contrattaccare l 'attaccante sui fianchi. Occorre, inollre, la potenzialità di interve n to contro aviosbarchi sul tergo delle posizioni difensive e contro la guerriglia. Su terreno montano - percorribile quasi ovunque da truppe a piedi, ma soltanto su strada da unità motorizzate e dai mezzi per l 'alimentazione logistica - l' attacco è necessariamente localizzato a cava llo delle rotabili e la difesa conseguentemente assume un accentuato carattere settoriale e deve esse re in grado di: ritarda re con mezzi multipli l'avanza ta nemica lungo le s tra de; inibire all'attacco l'occupazione di posizioni d'importanza particolare sulle rotabili (strette, colli, passi, abitati, ecc.); costringe re l'avversario a s fo rzi successivi in profondità; ostacolare c on il fuoco di aviazione e di artiglieria l'alimentazione dell'attacco; intervenire con riserve settoriali per arrestare l' avanzata prima che sbocchi in pianura. Da ciò derivano: zona di sicurezza ristretta con funzione ritardatrice esercitata in pa rticolare da sbarramenti controcarri ; caposaldi (di forza anche inferiore al battaglione) o gruppi di caposaldi in profondità sulle principali rotabili in corrispondenza di pos izioni naturalmente forti e di obbligato passaggio (caposaldi caratterizzati da elevata reattività a giro d'or izzonte e da autonomia ta ttica e logistica, cooperanti· indirettamente nel senso della profondità); cortine vigilat e con ca mpi mina ti princ ipalmente nelle adiacenze
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dei caposaldi per impedirne l'aggiramento a breve raggio e nelle zone secondarie di facilitazione; riserve ripartite e dislocate in modo da poter intervenire per evitare la caduta dei caposaldi più arretrati, nonché per contenere penetrazioni profonde e garantire il tergo da aviosbarchi e dalla guerriglia; artiglierie orientate - per ordinamento, per schieramento, per predisposta occupazione di successive posizioni arretrate - ad opporsi all'avanzata nemica lungo le principali rotabili, agire a favore dei caposaldi, battere movimenti aggiranti. La condotta della difesa si basa, in definitiva, sulla resistenza in posto dei capos~Jdi e sull'intervento delle riserve. I caposaldi devono resistere anche se aggirati o superati perché è la loro resistenza singola, in uno con il loro scaglionamento in profondità, che costringe l'attaccante a reiterare sforzi successivi e offre alla difesa guadagni di tempo. Le riserve, tenute inizialmente arretrate anche perché possano intervenire contro eventuali aviosbarchi, vengono spostate, all'approssimarsi della minaccia, perché possano intervenire tempestivamente a favore dei caposaldi più arretrati per opporsi a penetrazioni in forza nelle cortine. Le differenze principali, rispetto alla difesa su terreni di pianura e collinari, riguardano: l'assenza, nella difesa su terreni montani (di tipo appenninico), degli elementi esploranti lanciati a distanza, il maggior scaglionamento in profondità dei caposaldi o gruppi di caposaldi schierati in modo da costringere l'attaccante ad una successione di sforzi lungo le rotabili principali, il diverso orientamento d'impiego delle riserve destinate soprattutto ad intervenire per evitare la caduta dei caposaldi arretrati, la quale aprirebbe all'attaccante lo sbocco a tergo della posizione di resistenza. Su terreno alpino - percorribile solo a truppe a piedi, e limitatamente a ristrette zone e nel quale le direttrici di sforzo nemico sono facilmente prevedibili - per la difesa diventano essenziali la ricerca del contatto con il nemico il più avanti possibile per avere maggiore disponibilità di azione ritardatrice, il presidio dei punti di obbligato passaggio pe r difenderli ad oltranza, la disponibilità di riserve settoriali e di rincalzi a buona portata dalle posizioni da difendere ad oltranza e di una riserva autocarrata arretrata per azioni di contromanovra o di contenimento. I lineamenti principali dell'organizzazione sono: elementi esploranti a distanza con compiti di ritardo e di logoramento; caposaldi di diversa costituzione e consistenza in relazione alle singole posizioni (valico rotabile, sella mulattiera, forcella, stretta, ecc.), fonnanti nel complesso un'organizzazione poco profonda, tranne che in corri-
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spondenza di posizioni importanti nelle valli principali percorse da grandi comunicazioni; cortine vigilate da elementi mobili; riserve e rincalzi locali e riserva arretrata autocarrata; artiglierie, all'occo rrenza decentrate nella misura imposta dal terreno e daJlo schieramento delle forze. La condotta della difesa si basa dunque: sull'informazione preventiva, sul logoramento dell'attaccante durante l'avvicinamento, sulla resistenza ad oltranza dei caposaldi, sulla vigilanza delle cortine, sull'intervento delle riserve e rincalzi mediante contrattacchi e contrassalti da posizioni che consentano l 'azione dall'alto verso il basso. Da ultimo, la circolare 3100 prende in considerazione il caso della difesa costiera che è sempre caratterizzata, per definizione, da sperequazione vistosa tra forze e spazio da difendere esternamente alle piazze marittime. All'inizio la difesa dispone semplicemente di un sistema di avvistamento, vigilanza e segnalazione e di limitate forze settoriali da autotrasportare nella zona d'impiego all'emergenza. L 'impiego di tali forze deve rispondere a criteri offensivi e
deve essere realizzato con grande rapidità allo scopo: di ribaltare in mare il nemico prima che abbia superato la crisi di sbarco; in via subordinata, di contenere sul posto l'avversario sbarcato; neJl'ipotesi più sfavorevole, di svolgere un'azione ritardatrice, del tipo di quella che si conduce nella zona di sicurezza, da concludere su di una posizione di contenimento che va organizzata e sistemata secondo i criteri della difesa su ampie fronti: sbarramento delle direttrici di penetrazione nell'entroterra e di facilitazione dell'allargamento della testa di sbarco; fuoco di artiglieria il più a lungo possibile sulla zona della testa di sbarco. L'organizzazione della posizione di contenimento viene attuata dalle forze ripieganti e dalle riserve costiere affluite dai settori non impegnati. La difesa su tale posizione è condotta ad oltranza per dare tempo alle unità organiche d'intervento di affluire e di assumere il dispositivo offensivo. L'ipotesi di offesa più grave è rappresentata dalla concomitanza di sbarchi dal mare e dal cielo - com'era avvenuto in Sicilia - stante la difficoltà, per il comandante responsabile, di valutare il grado d'importanza delle due offese e di decidete conseguentemente l'impiego della riserva. La circolare 3100, che nei paragrafi precedenti, diversamente dalla 3000, si era riferita a disponibilità reali di forze, nell'unico paragrafo, il 18°, che dedica alla difesa costiera, si esprime in termjni validi sul piano dei concetti e dei criteri , ma delinea un'organizzazione non attuabile in quel periodo stante la modestia della consistenza e della qualità
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delle forze assegnate ai comandi militari territoriali. Le indicazioni ebbero perciò valore di orientamento dottrinale, più che di programma operativo, ma non v'è dubbio che sotto il primo aspetto rispondano adeguatamente a come deve essere intesa la difesa costiera: organizzazione per tempestive informazioni preventive; reazione immediata a ragion veduta da parte delle riserve settoriali per tentare di circoscrivere la testa di sbarco una volta che non sia possibile distruggerla, di ritardarne l'allargamento e di ostacolare la progressione delle forze sbarcate verso l'entroterra, di contenere temporaneamente l'avanzata su di una posizione allestita suJ momento, ma prefissata, per guadagnare tempo a favore dell'afflusso delle grandi unità organiche e delle formazioni in grado di annientare il nemico sbarcato dal mare o dal cielo o da entrambe le direzioni. La circolare 3100 rivela una maturazione di pensiero più avanzata rispetto a quella della 3000 circa i criteri ed i procedimenti dell 'azione difensiva. Essa non va intesa come una semplice correzione riduttiva delle a mbizioni de lla 3000, determinata dalla indisponibilità delle forze e dei mezzi per realizzare lungo tutta la fronte il sistema difensivo ad aree difese, ma come un'ulteriore importante evoluzione delle concezioni difensive segnata: dal riconoscimento delle potenzialità di successo di una difesa risoluta ed efficace che non si lasci prendere dal panico delle infiltrazioni e delle penetrazioni; dalla adozione di una tecnica di difesa. nuova per l'ese rcito italiano, in base alla quale la combinazione del ritardo, del logoramento, della resistenza e del contrattacco, se compresa perfettamente e bene applicata, apre alla difesa, anche in condizioni di forze numericamente molto inferiori , ampie possibilità di successi risolutivi senza il bisogno di ricorrere a grandi massicci contrattacchi destinati a fallire sotto il doppio effetto della superiorità dell'artiglieria e dell'aviazione dell'attaccante; dall'accettazione d el principio, che Liddell Hart chiama de lla fluidità delle forze e della tecnica della dispersione controllata, vale a dire della costituzione di più gruppi di riserve fless ibili e mobili. Naturalmente per un tale tipo di difesa, più che per quella della circolare 3000, sono necessari, come la 3100 sottolinea nella conclusione: comandanti capaci di rapida valutazione e decisione,
abituati ad agire d'iniziativa e autonomi, addestrati al comando di gruppi tattici (anche rapidamente costituiti in situazioni urgenti); unità manovriere, capaci di agire isolate; truppe di spirito elevato, fermamente decise a resistere in posto anche se circondate e
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superate. E questo divenne il programma per l'addestramento dei quadri e delle truppe.
4. Rientra nel quadro della ricostruzione dottrinale anche la pubblicazione n° 1600 - L 'esplora zione - del 15 settembre 1950 9 che abrogò e sostituì la omonima circolare n ° 1300, del novembre 1946 IO a firma del capo di stato maggiore, generale Cadorna 1 t . L'esercito italiano non aveva avuto modo, durante la seconda guerra mondiale, di acquisire una qualche esperienza diretta in fatto di esplorazione tattica terrestre, eccezione fatta per l'esplorazione ravvicinata ed anche per questa in misura non molto ampia. Non erano ma ncate la visione esatta del problema e le norme d'impostazione e di condotta <lella particola re attività operativa ai vari livelli - raccolte nelle Direttive per l'impiego delle grandi unità del 1935, nelle Norme per il combattimento della divisione del 1936, nella circolare n ° 9500 del 1938 specifica de ll'a rgomento e nella circolare n° 28 000 del 1941 riguardante l'impiego del reparto esplorante corazzato (R.E.Co.) - ma erano mancate le disponibilità per dotare le divisioni celeri di mezzi e di equipaggiamenti meno superati e per costituire gli stessi RE.Co. , solo due dei quali, il Lodi ed il XVIII bersaglieri, erano stati approntati alla fine del 1941, ma mai impiegati in compiti di esplorazione, neppure il Lodi, che pure operò nella ultima fase della guerra in Africa settentrionale. L'esercito aveva però potuto constatare da vicino l'importanza che sul piano dell e realizzazioni organiche, oltre che su quello dottrinale, gli altri eserciti - germanico, inglese, sovietico avevano attribuito all'esplorazione terrestre e ai vari reparti esploranti impiegati nel loro compito istituzionale ed in molte altre attività, nelle quali lo spirito offensivo, l'iniziativa e la decisione, l'addestramento specifico e l'audacia, l'elevato spirito di coopera~ione interarma avevano reso tali reparti pedine di manovra di rendimento operativo elevatissimo. L'esercito britannico - presso il quale l'esplorazione andava sotto il nome di ricognizione - e l'esercito sovietico di sponevano di una vasta gamma di unità esploranti che si erano dimostrate particolarmente necessarie ed utili nelle fasi dinamiche della lotta e che non erano quasi mai rimaste inattive neppure nelle altre c ircostanze 12. Presso quasi tutti gli eserciti, ogni specie di esplorazione era stata affidata ad
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organismi distinti, operanti su piani diversi, mentre invece non v'era stata uniformità di criteri d 'impiego e di procedimenti e, perciò, n eppure uniformità organica, soprattutto a l riguardo del ricorso da parte de lle unità esploranti al combattimento, ri tenuto da alcuni il mezzo più rapido ed economico per conoscere, e riguardo al fatto che l'esplorazione offrisse o no anche sicurezza. La regolamentazione italiana prebellica aveva sancito che, fino quando possibile, l'esplorazione dovesse evitare il combattimento e che l'esplorazione non dava sicurezza se non indirettam ente. Concetti meramente speculativi, in quanto la realtà non aveva corrisposto alle norme, perché l'esplorazione terrestre, sia quella tattica sia quella ravvicina ta, aveva molto spesso dovuto ingaggiare c ruenti combattimenti ed aveva ancora più frequentemente offerto sicurezza diretta ai retros tanti schieramenti. La meccanizzazione aveva profondamente mutato il concetto tradizionale della m a rcia a l nemico, d iretla a colmare la distanza tra gli opposti schieramenti, ed aveva ridotto drasticame nte l'altrettanto tradizionale distinzione tra esplorazione e sicurezza, perch é il valore de lla mobilità strategica e tattica si era enormemente elevato mediante l'impiego delle autoblindo, dei carri armati, dei veicoli m eccanizzati in genere e degli aeroplani , e non corrispondeva più, n eppure approssimativamente, a quello degli uomini a piedi, d ei cavalli , de lle biciclette e n eppure delle ferrovie. La marcia al nemico era una operazione che si effettuava su mezzi meccanici - navi, aerei, veicoli e, in qualche caso, ancora ferrovia - e, comunque, in tempi misurabili ad o re e non pjù a giornate. L'esplorazione terrestre, spinta a 50 ...,.- 60 chilometri, non poteva più accontentarsi di vedere e riferire, possibilmente senza combattere, perc~é il nemico poteva coprire ta le distanza in meno di tre o re. La sicurezza riguardava ancora a nche le offese che potevano essere a rrecate ai grossi dalla fronte, m a soprattutto quelle che potevano provenire dal cielo e da lla guerriglia, per le quali i dispositivi di protezione previs ti in passato - già di per sé assai onerosi tanto da assorbire quasi i due terzi di una grande unità (avanguardia, distaccamenti fiancheggianti, retroguardia) per coprire l'a ltro terzo - non erano più in gra do di garantire la libertà di azione dei grossi. Le esigen ze dell'esplorazione e della sicurezza restavano, anzi si e rano enormemente accresciute, ma il proble ma andava risolto diversamente anche perché, generalmente, il bisogno dell'esplorazione tattica terrestre si era fatto sopra ttutto pressante, più che ne lla fase iniziale della guerra, ad avvenuta rullura di una fronte nemica, stante l'ampiezza
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degli spazi della battaglia, e quello della sicurezza era divenuto un'esigenza pesantemente presente ed incombente, quasi indipendentemente dalla distanza del contrapposto schieramento delle forze terrestri nemiche. La regolamentazione italiana prebellica, come abbiamo rilevato a suo tempo, prevedeva tre forme di esplorazione: strategica (aerea e terrestre), tattica (aerea e terrestre), ravvicinata. La prima sotto la specie aerea riguardava la ricerca di notizie, ad integrazione o conferma di quelle in possesso degli altri canali informativi, circa l'entità, la dislocazione, i movimenti delle grandi masse, mentre sotto la specie terrestre aveva come compito l'integrazione di quella aerea e la presa di contatto con il nemico; entrambe erano d'interesse del Comando Supremo e dei comandi di gruppo di armate o dell'armata che, per quella terrestre, impiegavano le divisioni celeri, motorizzate, autotrasportabili. La seconda, sotto la specie aerea, riguardava l'entità, la d is locazione, l'atteggiamento delle forze nemiche che si contrapponevano ai corpi d'armata in prima schiera e, sotto quella terrestre, gli stessi obiettivi meglio definiti nei particolari, nonché la presa ed il mantenimento del contatto con il nemico. L'esplorazione ravvicinata era propria delle avanguardie e delle unità in primo scaglione ed apparteneva in particolare alla competenza delle divisioni in prima schiera. La circolare 1300, edita quando l'esercito non disponeva ancora di comandi di grande unità superiori a quello di divisione, centra il problema dell'esplorazione su due forme - aerea e terrestre distinguendo ciascuna delle due forme in lontana e vicina. Sottolineata l'importanza della informazione, che sola consente di impegn._arsi nelle migliori condizioni e di conseguire la sorpresa, attribuisce all'esplorazione valore fondamentale come mezzo di ricerca del nemico e di conoscenza del suo atteggiamento, della sua attività e della sua consistenza. Fine dell'esplorazione: fornire notizie tempestive e precise; caratteri dell'esplorazione: la continuità nel tempo e l'estensione nello spazio attraverso una profondità che muta con la situazione. All'esplorazione aerea lontana dà il compito di rilevare le masse in sosta, i movimenti, gli schieramenti, le attività varie di carattere logistico, nonché le situazioni negative {inesistenza di masse, assenza di movimenti, ecc.) e la orienta verso il dispositivo logistico e i grandi obiettivi delle retrovie nemiche; a quella vicina di spingersi fino alle immediate retrovie delle grandi unità nemiche di prima schiera e di rilevarne dati sulla situazione {schieramento, movimenti, apprestamenti offensivi, difensivi, logistici) con partico-
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lare riguardo all'orientamento operativo della grande unità a favore della quale opera. La circolare, pur rilevando che la velocità dei mezzi a motore ha ridotto i tempi e modificato gli antichi concetti di lontananza e vicinanza dal nemico, conserva la distinzione tra esplorazione terrestre lontana e vicina. L'esplorazione lontana - specifica la circolare - si esplica con rapidi movimenti, a distanze anche molto grandi; prende e conserva il contatto col grosso della avanstrutture avversarie; cerca di penetrare nel loro dispositivo, ne precisa atteggiamenti, dislocazione, composizione e, finché possibile, entità; elimina resistenze parziali; occupa punti di particolare importanza. Essa viene affidata a speciali gruppi esploranti divisionali, costituiti per agire con rapidità su vaste zone e, quando questi manchino, a reparti di fanteria autoportali. È articolata per divisione. L'esplorazione vicina si svolge a contatto avvenuto con lo scopo di raccogliere sul nemico notizie più particolareggiate, quali possano interess are le minori unità; è affidata a pattuglie esploranti delle unità di fanteria di primo scaglione.
L'esplorazione aerea lontana sostituisce la vecchia esplorazione aerea strategica; quella aerea vicina indirizza quella terrestre lontana a maglie più larghe; questa ultima ha il carattere tattico dell'esplorazione s trategica terrestre della regolamentazione prebellica e congiuntamente conserva i compiti e le funzioni dell'esplorazione tattica terrestre, in quanto la 1300 non contempla più ordini variamente e levati di esplorazione rispetto a quella vicina. In definitiva sparisce l'esplorazione strategica e con questa l'attività esplorativa a maglie più larghe di quelle dell'esplorazione terrestre lontana. Dopo tali premesse relative al quadro generale dell'esplorazione, la 1300 tratta esclusiva me nte l'impiego del G.E.D. e del R.E.F.A. - sostitutivo del G.E.D. allorché questo manchi o le condizioni ambientali non ne consentano l'impiego - specificandone le caratteristiche e le funzioni, i criteri d'impiego, l'articolazione, le dipendenze, i compiti - compresi quelli particolari della occupazione p reventiva di località, del collegamento tattico, del concorso al completamento del successo - il dispositivo di esplorazione (pattuglie e grosso), le modalità dell'azione esplorativa, gli ordini, i collegamenti, il funzionamento dei servizi e la cooperazione con l'aviazione, mentre rimanda ad altra sede la trattazione dell'esplorazione ravvicinata. La circolare soffre di tutte le limitazioni proprie della situazione armistiziale in cui venne elaborata e chi la scrisse e chi la firmò erano ben consapevoli di obbedire ad un'esigenza pressante di carattere dottrinale, ma di indicare solo il
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perdurare di tale esigenza ed il modo di poterla in qualche modo soddisfare in quel momento, senza con ciò volere né offrire una soluzione compiuta e ottimale, né affermare che i G.E.D. potessero fare molto. L'importanza della pubblicazione fu comunque notevole sul piano dell'evoluzione della dottrina, in quanto raccolse le nuove tendenze espresse in materia dalla esperienza bellica. Indipendentemente dalle soluzioni adottate dai vari eserciti, delle quali la pubblicazione tenne conto, venne sottolineato che l'esplorazione restava un'esigenza irrinunciabile e perenne; che le due forme aerea e terrestre - si dovevano integrare ma non potevano sostituirsi l'una all'altra; che i rapporti tra esplorazione e sicurezza, ancorché considerati ancora invariati rispetto al periodo prebellico, erano quanto meno suscettibili di profonde modificazioni; che esplorare non vuol dire solo guardare dal di fuori tastando e scalfendo la crosta, ma anche, spesso, rompere questa ultima e cioè ricorrere d'iniziativa al combattimento. Da qui la maggiore elast-icità delle funzioni dell'esplorazione e l'avvicinarsi deJJa dottrina, pur restandone ancora lontana, al concetto che il maresciallo Foch 13, riprendendo una idea di Napoleone, aveva inserito ne l suo volume Des principes de la guerre: le m 'engage et puis je vois. La dimostrazione che la strada indicata dalla 1300, sebbene non ancora definita con esattezza nelle sue nuove dimensioni e peculiarità, fosse quella giusta venne data, circa quattro anni dopo, dalla 1600 che ripartì l'attività esplorativa su tre piani successivi - esplorazione strategica (solamente aerea), esplorazione tattica (aerea e terrestre), esplorazione ravvicinata (solamente terrestre) - e sviluppò meglio e più compiutamente criteri e modalità della esplorazione in ba se alla nuova situazione determinata da lla messa in non cale delle limitazioni del trattato di pace e dall'entrata dell'Italia nella N.A.T.O .. La nuova circolare così caratterizza le tre diverse forme: esplorazione strategica: interessa le massime unità; è riferì ta alle grandi direttrici e alle grandi masse avversarie; si spinge a grande profondità; ha funzione prevalentemente informativa; esplorazione tattica: interessa le GG.UU. di ordine inferiore; è riferita al complesso rotabile e al dispositivo fronteggiante la G.U.; è collegata con la sicurezza; tende a penetrare in profondità; opera, se necessario, di forza; esplorazione ravvicinata: interessa l'avanguardia e i battaglioni o le unità di primo scaglione; è riferita alla fronte dell'unità che la distacca; non penetra in profondità; osserva senza combattere. La prima ha lo scopo di determinare le masse nemiche; interessa l'impostazione generale delle operazioni e della battaglia; compie un
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lavoro a grande sintesi; viene organizzata, predisposta e attuata sulla base degli eleme nti forniti dal servizio informazioni; si sviluppa sotto la fonna di controllo, conferma e precisazione di notizie già note o sotto quella della ricerca di nuovi elementi; viene eseguita a partire dalle immediate retrovie nemiche {tergo dei corpi d 'armata di prima schiera) fino alla maggiore profondità possibile (non meno di 150 km). Essa deve avere carattere di continuità, ottenuta con azioni inte rvallate, e cioè con un lavoro a puntate, anche di notte; non d à sicurezza, né è idonea a fornire notizie negative; «è eseguita dalle squadriglie d 'aviazione a disposizione del Comando Supremo, del Comando in Capo dell'E sercito e dei Comandi d 'Armata»; tali comandi ne stabiliscono compiti e modalità di azione. L'esplorazione t a ttica aerea e terrestre ha lo scopo di determinare, in un settore operativo, la situazione del nemico; interessa l'impostazione della manovra ta ttica e la condotta del combattime nto delle grandi unità di prima schiera (corpi d 'armata e divisioni); ha due forme che non solo si completano e si compenetrano, ma che devono essere considerate un tutto unico, agente sotto un unico comando e tendente ad un unico scopo. Quella aerea orienta e guida direttame nte quella terrestre e la sostituisce quando questa non è più in grado di continuare in profondità l'azione. L'esplorazione tattica aerea: rice rca e controlla dati su zone e località determinate, in base alle notizie fomite dall'es plorazione strategica; viene eseguita entro ed ai lati del settore della propria grande unità e si estende nel t erritorio nemico per una profondità non inferiore a i 50 km; è costantemente in atto in tutte le fasi ed in tutte le situazioni sia in offensiva che in difensiva; opera con continuità mediante puntate aperiodiche; controlla .su ccessivamente nel tempo gli stessi obiettivi; è svolta da apparecchi isolati, o a coppia, sempre controllata con il rilevamento fotografico ed eseguita con l'a usilio di radar; può e deve essere sempre attuata anche in caso di dominio aereo avversario. Essa è eseguita da unità aeree agenti di norma alle dipendenze dei comandi di corpo d'armata e dei comandi di divisione {o briga ta) corazzata o motorizzata ed h a bisogno, per essere efficace, dell'efficienza del collegamento diretto con l'esplorazione tattica terrestre e con il comando della grande unità e della disponibilità di un'organizzazione tattica per la rapida stampa e divulgazione delle fotografie aeree. Riceve ordini dal comandante della grande unità terrestre che la impiega. L'esplorazione tattica terrestre precisa, completa, raffittisce i risultati di quella tattica aerea; p rende contatto con le grandi unità av-
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versarie contrapposte; cerca di penetrare in profondità fino a raggiungere i grossi delle divisioni di prima schiera; trova possibilità di attuazione nella fase iniziale della guerra o quando venga perduto il contatto, operazioni durante, con il nemico, oppure quando un'unità di riserva sia chiamata ad intervenire in situazione incerta. Essa è svolta da unità specializzate, mobili e manovrabili, mediamente blindate; deve poter agire di forza, pur tenendo presente che nell'esplorazione il combattimento è un mezzo non lo scopo; fornisce sicurezza diretta alla G.U., in misura e in grado diverso a seconda del tipo di questa. E la pubblicazione riassume: impiego di sole unità specializzate, attitudine al combattimento, partecipazione aJJa sicurezza, sviluppo soltanto fino a che viene stabilito il contatto tra le opposte GG.UU .. Sono questi gli elementi che le conferiscono una propria individualità e la differenziano dall'esplorazione ravvicinata. Essa, infine, si estrinseca con scopi, concetti, criteri e modalità diversi a seconda de l rango, della natura e della fronte della G.U. a favore della quale è rivolta . Si a rticola, di massima, per corpo d'armata se è svolta a favore di grandi unità di fanteria a piedi, specie inquadrate, per divisione (ed anche per brigata) s e a favore di una grande unità motorizzata, o corazzata, o autotrasportata. Nel quadro delle unità alpine, può essere eseguita per reggimento (da reparti alpini organici) o per battaglione (da reparti scelti di formazione - sciatori - articolati pe r colonne). Il dispositivo comprende: pattuglie esploranti che hanno il compito di osservare e riferire; sono costituite essenzialmente da mezzi blindati celeri; muovono a cavallo dei principali itinerari; sostegni che hanno il compito di dirigere, coordinare, sostenere le proprie pattuglie, di superare le resistenza che abbiano arrestato le pattuglie, di distaccare nuove pattuglie o avvicendare quelle antistanti, e che sono costituiti da mezzi blindati, carri leggeri, pezzi controcarri, pionieri (cioè da elementi di forza e di manovra, che muovono sui più importanti itinerari rotabili); il grosso che ha la funzione principale di rinforzare i sostegni, di intervenire di forza per aprire loro la strada, di raffittire l'esplorazione e di estenderla sui fianchi ad avvenuto contatto con uno schieramento consistente; comprende unità carri leggeri, unità autotrasportate rinforzate, mezzi controcarri, pionieri ed eventualmente artiglierie semoventi; muove a cavallo dell'itinerario tatticamente più importante. La distanzatempo intercorrente tra il grosso del dispositivo esplorante e l'avanguardia della grande unità è dell'ordine di grandezza: della tappa a piedi , quando l'esplorazione tattica è a favore di una grande
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LA STORIA DELLA OOTIRTNA E DEGLI ORDINAMENTI
unità di fanteria a piedi; di 60+70 km quando è favore di una grande unità motorizzata od autotrasportata; di valore molto elevato quando è a favore di una grande unità corazzata. L'esplorazione ravvicinata tende ad individuare la presenza e lo schieramento del nemico ai fini dell'impiego dell'avanguardia (in fase di movimento) e dei battaglioni in primo scaglione (nella fase immediatamente precedente l'attacco o durante una fase difensiva) o di qualunque unità che muova avanzata o isolata verso il nemico. È un'attività svolta o dai reparti di sicurezza per vedere e sapere o dai reparti avanzati. In tutti i casi ha caratteristiche puramente informative e perciò di norma non combatte, non è scaglionata in profondità, non dà sicurezza, è esclusiva nel senso che comporta l'esclusione di qualsiasi altro compito per gli elementi impiegati. Non è necessario che venga svolta da unità specializzate, ma da elementi tratti dalle unità norma li, articolati in pattuglie. Queste muovono e agiscono a distanza dal reparto che le distacca di circa 3 + 4 km per le truppe a piedi, di 1O+ 15 km per le tr uppe motorizzate e corazzate; muovono o in fila o a riccio e sono variamente costituite a seconda delle c ircostanze. Il quadro dell'attività esplorativa delineato nella 1600 è, dunque, assai meno limitato nell a visualità di quello della 1300 e soprattutto assai meno rigido e legato. L'esplorazione è vista in tutta la sua ampiezza - vi è un cenno anche all'esplorazione aerea svolta dall'aeronautica ai fini dell'impiego delle proprie forze aeree offensive {con la quale non va confusa l'esplorazione aerea strategica svolta a favore delle forze terrestri) - in tutte le sue forme integrantisi e sovrapponentisi e , per ognuna di queste, sono chiaramente indicati i fini ed i livelli d'inte resse in un contesto strettamente unitario ed in un rapporto di interazioni tutte egualmente indispensabili per conoscere che cosa c'è e che cosa si sta facendo al di là della collina, p er u sare la metafora di Wellingthon 14 . L'esplorazione, in sostanza, come conclude la 1600, è fondamentale per conseguire la sorpresa, per non subire l'iniziativa del nemico, per garantire, in uno con la sicurezza, la libertà di azione, rendere possibile la m anovra nelle migliori condizioni. Va sviluppata in ogni situazione con carattere di continuità ed a d ogni live llo ovviamente con forme, mezzi e modalità propri di ogni unità. Oggetto dell'attività esplorativa è il nemico. Essa va perciò proiettata concettualmente, spiritualmente e materialmente in avanti. Dalla regolamentazione circa l'esplorazione strategica o avanscoperta inserita dal Ricotti nelle Norme e prescrizioni ge nerali per
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l'ammaes tramento tattico delle truppe del 1871 15 alla circolare 1800 del 1950 erano trascorsi circa 70 anni, durante i quali la dottrina d'impiego era stata soggetta ad un processo evolutivo relativamente intenso e rapido, eppure la 1600, ricca di concetti nuovi e caratterizzata da un linguaggio diverso, mentre esprime peculiarità consone al campo di battaglia de ll a seconda guerra mondiale , ripete e ribadisce l'essenzialità dell'esplorazione intesa come valore perenne intrinseco de lle o perazioni belliche a tutti i livelli. Sono mutati alcuni criteri, la gran parte delle modalità ed i procedimenti tattico-tecnici di effettuazione, ma il principio e le idee-guida da una analisi attenta ed approfondita risultano quasi gli stessi. E si può aggiungere che in questi ultimi trent'anni e più, dal 1950 ad oggi, i nuovi nume rosi mezzi venuti in aiuto dell'attività esplorativa - ci riferiamo in particolare a tutte le attrezzature e lettroniche per il cont rollo e la sorveglianza del campo di battaglia, alle prestazioni dei velivoli teleguidati, agli stessi elicotteri, ccc. - mentre ne consentono il maggiore rendimento, la maggiore amplitudine, la migliore tempestività di ricerca e di conoscenza dei dati, l'approfondimento più minuzioso, quasi indipendentemente dalle condizioni ambientali di luce o di buio, di caldo o di freddo, di tempo sereno o nuvoloso, n e accentuano il bisogno di completezza e di continuità, perché lacune e sost~ nella attività stessa si ripercuoterebbero molto più negativa mente che nel passato nello sviluppo di ogni operazione s trategica e ta ttica. La 1600, in conclusione, conserva tuttora, nell'era nucleare-spaziale, una grande validità concettuale, segno evidente che lo stato maggiore dell'esercito non solo seppe raccogliere in questo settore tut ti gli insegnamen ti offerti dovunque dal secondo conflitto mondiale, ma seppe inquadrarli con rigore logico in una prospettiva realistica a ncora del tutto attuale.
5. Di valore pressoché prevalentemente contingente fu invece la pubblicazione 2600 Lineamenti d'impiego della di visione di fanteria dell'ottob re del 1950 16. Essa abrogò e sostituì le Norme per il combattimento della divisione del 1936 17 e concluse la serie dottrinale 2000 inizia ta n el 1949 con la pubblicazione Le pattuglie seguita da quelle riguardanti la squadra, il plotone, la compagnia fucilieri ed il battaglione di fanteria, de lle quali ci occuperemo
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nel capitolo seguente. Tenteremo qui un parallelo tra le Norme del 1936 e i Lineamenti del 1950 per rendere evidente la misura del distacco tra le prime ed i secondi e conseguentemente lo stadio di evoluzione in 14 anni inframmezzati da una guerra - e quale guerra! - conseguito dalla dottrina tattica italiana in tale periodo. La pubblicazione non solo tra tta sia l'azione offensiva che quella difensiva, ma premette il quadro degli aspetti generali della guerra moderna, argomento questo ultimo ch e in una regolamentazione a perfezionato sviluppo avrebbe dovuto formare oggetto di una pubblicazione a sé stante o, come era stato fatto in passato, delle Norme per l'impiego delle Grandi Unità complesse di cui la circolare 2600 lasciava intendere nella premessa la futura diramazione. La prima osservazione, che non riguarda solo l'aspetto formale della nuova pubblicazione, attiene al titolo: lineamenti e non nonne. Sebbene anche la pubblicazione del 1936 nella premessa affermasse di non contenere nulla di tassativo, è innegabile che il te rmine norme indica regole, esempi, modelli ai quali ci si deve a deguare nei determinati casi indicati. Lineamenti, invece, vuol dire elementi essen ziali di una dottrina e traccia di azione con conseguente maggiore libertà ed elasticità di comportamento, limita ndosi i lineamenti a fornire una base per l'unità di dottrina - la cu i necessilà la 2600 richiama nella premessa - e di linguaggio lasciando grande spazio alla libertà di azione, tanto più che i criteri traccia ti, come s i legge nella premessa, tengono conto delle condizioni di o rganizzazione e di armamento attuali e di quelle prevedibili in un pross imo futuro, riferite anche alle possibili forze avve rsarie, e consentono ampia latitudine per gli sviluppi che si attendono da lle a rmi e mezzi in corso di progettazione. Degli aspetti della guerra moderna, la 2600 sottolinea in primo luogo il fattore aereo e la guerriglia. De l primo, ch e non è un elemento nuovo, si mette in evidenza come costituisca l'aspetto più caratteristico de lla guerra moderna in quanto oggi: la battaglia è aereo-te rrestre; si opera con s tati maggiori misti (almeno al livello delle massime unità) e attraverso un'organizzazione mista che garantisce la cooperazione tra forze di terra e forze di cielo lungo tutta la scala ordinativa; le forme più recenti di estrinsecazione del fattore aereo - aviotruppe, teleproietti - in aggiunta a quelle esplorativa, di fuoco, di trasporto, si inseriscono intimamente nelle operazioni delle forze terrestri al punto di trasformarle in operazioni miste. L'altro fattore che con sente di portare l'azione là dove il raggio dei mezzi terrestri non giunge è la guerriglia, la quale
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contribuisce a dare alla guerra un'estensione che prima non aveva. Oggi le operazioni belliche sono immerse nella guerriglia, un elemento determinante ai fini operativi di cui tenere conto per giovarsene e per proteggersene. Entrambi i fattori - aviazione e guerriglia - esaltano l'importanza della informazione, conseguentemente dell'esplorazione, e della sicurezza perché ovunque ed in ogni momento si può essere colti, o si può cogliere, di sorpresa ed alla sprovvista. Da qui la necessità di una mentalità nuova da parte dei comandanti. Ai fattori per così dire esterni rispetto alle forze di terra, appunto l'aviazione e la guerriglia, si sommano quelli interni oggi caratterizzati dallo sviluppo sempre più largo di mezzi tecnici e dall'impiego di materiali d'armamento, in special modo meccanizzati, in numero, potenza ed efficacia sempre crescenti. Essi agevolano la manovra e la concentrazione degli sforzi e consentono grande potenza d 'urto e di penetrazione, grande efficacia di arresto, possibilità di aggiramento verticale. Tale il nuovo contesto della battaglia che in offensiva e in difensiva esige in sommo grado necessità d 'informazione, organizzazione, occultamento, diradamento di reparti. I prinçipi fondamentali per il raggiungimento del successo res tano: la sicurezza, la sorpresa, la manovra. Oggi, più che mai, l'uomo resta l'elemento fondamentale della lotta. Fattori spirituali, morali, sociali comportano crescente valorizzazione dell'individuo e rispetto della sua personalità. L'uomo, gregario o comandante, deve possedere cosciente volontà combattiva ed elevato grado di capacità professionale. Il mezzo tecnico è e resta elemento potenziatore dell'uomo e, poiché esso si fa sempre più complesso, sono necessari, per ottenere il massimo sfruttamento: grande capacità bellica individuale nei suoi aspetti spirituale, intellettuale, fisico; eccellente grado di addestramento individuale e di reparto, da aggiornare sulla base dell'esperienza anche guerra durante; disponibilità di specializzati con ottima conoscenza della tecnica d'impiego dei mezzi; comandanti di indiscusso prestigio ed ascendente per capacità professionale, qualità morali, doti di conoscenza e di governo degli uomini, assistiti da stati maggiori capaci e ben costituiti; organizzazione logistica sviluppata, intesa ad assicurare e mantenere l'afflusso dei rifornimenti che la ballaglia moderna richiede in misura imponente, nonché possibilità di manutenzione e riparazione dei complessi e costosi mezzi tecnici. A base di tutto la fiducia reciproca fra comandante e truppa che si acquista: da parte del comandante, mediante la conoscenza diretta dello stato
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morale e materiale, dei desideri, d elle necessità, delle condizioni, dell'effettivo grado di efficienza dei singoli e dei reparti; da parte delle truppe,. mediante la certezza che si evitano loro disagi e fatiche superflue, si cura al massimo il loro benessere, si fa di tutto per ridurre al minimo le perdite. Nessuno degli aspetti e dei fattori che fisionomizzano la guerra, la battaglia, il combattimento moderni è dimenticato o trascurato. Chi pensa e scrive la circolare ha davanti agli occhi lo sviluppo del recente conflitto, rivive le battaglie dell'una e dell'altra parte, ricorda episodi significativi di combattimenti e ne trae gli e lementi essenziali emblematici per una sintesi compiuta ed efficace che rende molto bene il panorama della guerra convenzionale moderna, quale risultava alla fine del secondo conflitto mondiale, e non lascia in ombra nessuna delle caratteristiche fisionomiche. Di particolare rilievo ci sembra in questo quadro anche l'accenno alla guerra psicologica, che è appunto un'altra caratteristica fisionomica della guerra totale, alla quale non si può fare fronte che con il tono morale e lo spirito combattivo dei soldati e, in particolar rnodo, dei Quadri. Dopo la fine della guerra, nella cui fase finale erano indubitabilmente prevalsi i mezzi ed i materiali, l'esaltazione d ei fattori spirituali e morali - convinzione della giusta cau sa della guerra difensiva; determinazione di persistere nella lotta malgrado rischi e sofferenze; esaltazione dello spirito patriottico, del senso dell'onore militare e del dovere; disciplina profondamente sentita; persuasione dell'importanza della propria azione individuale ai fini del successo dell'azione globale; spirito di solidarietà e di collaborazione; potrebbe sembrare una specie di fuga dalla rèaltà, di tono quasi ironico, perché nel complesso non era stata la mancanza di tali valori a produre la sconfitta italiana, ma proprio l'insufficienza quantitativa e qualitativa dei materiali. Anzi, a tale riguardo, si può dire che il popolo e l'esercito avevano offerto prove addirittura maggiori di quelle, pur valide, della prima guerra mondiale, perché, diversamente da quanto era accaduto allora, l'intervento dell'Italia nella seconda guerra mondiale, sebbene non voluto e d esaltato solo dalla propaganda fascista, era stato accettato dalla grandissima maggioranza degli italiani nella speranza di un miglioramento della situazione socio-economica del paese e non aveva dato luogo a proteste e ribellioni di massa, mentre assai meno numerosi e frequenti che nella· prima guerra mondiale erano stati i. fenomeni di diserzione, di ammutinamento, di autolesionismo, d'indisciplina. Non si spiegherebbe a ltrimenti la durata del-
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la lotta fino ai limiti dell'impossibile in Grecia, in Africa settentrionale ed in Russia, dove i soldati italiani, nonostante l'inferiorità dei mezzi, non avevano sfigurato accanto ai tedeschi e di fronte a] nemico_ Appunto per mitigare l'idea, che nell'ondata post bellica di materialismo andava dilagando, la 2600, senza sottovalutare l'importanza determinante dei fattori tecnici e materiali, ricorda che questi non bastano al successo se il tono morale è giù e se manca lo spirito combattivo. Il richiamo ai valori spirituali e morali della 2600 va, dunque, interpretato come una messa in evidenza della realtà, non come una fuga da questa. All'illustrazione degli aspetti della guerra moderna fa seguito la presentazione dell'unità divisionale: unità tattica fondamentale della battaglia. Il concetto è ripreso tale e quale, come pure l'altro dell'individualità della divisione di fanteria, dalla pubblicazione del 1936 che in più specificava che la battaglia si vince a colpi di divisione. La divi sione conserva ancora la specificazione di fanteria, perché, sostanzialmente, la forza-base che conquista in offesa e conserva in difesa ed a favore della quale tutti operano resta la fanteria. Si tratta di una divisione di fanteria ternaria, molto diversa da quella dell'ordinamento del 1926 alla quale peraltro si avvicina di più che non alla binaria dell'ordinamento del 1940. È una divisione che manovra in proprio e compie atti di manovra attraverso sforzi variamente distribuiti nello spazio e nel tempo, e strettamente coordinati. La sua formazione organica 18 riflette l'esperienza dell'ultima guerra e se le unità di fanteria costituiscono pur sempre lo strumento fondamentale e decisivo del combattimento, le proporzioni relative fra le varie armi sono sensibilmente mutate_ La proporzione d ella fanteria rispetto aII'artiglieria ed al genio è calata in ossequio alle necessità di maggiore potenza di fuoco e di maggiore speditezza del proprio movimento e di maggiore ostacolo a quello nemico. Anche la 2600 individua nel coordinamento, nella cooperazione, nella coesione, (la pubblicazione del 1936 parlava di solidarietà e di affiatamento tattico) i fattori di efficienza della divisione e delle sue possibilità operative e ne sottolinea la maggiore necessità rispetto al passato in relazione alla molteplicità e multiformità dei nuovi mezzi. La fisionomia della nuova grande unità ha peraltro i tratti caratteristici di: una fanteria potenziata in armi di accompagnamento, controcarri e contraerei; un'artiglieria forte di 5 reggimenti (dei quali 3 da campagna, 1 controcarri, 1 contraerei); un'arma del genio sdoppia-
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ta in 2 battaglioni (uno pionieri e uno collegamenti). Le novità principali sono: la presenza organica del reggimento di cavalleria blindata, l'assegnazione nonnale organica o temporanea di unità carriste, la dotazione in proprio di automezzi che conferisce alla divisione un elevato grado di motorizzazione, così che una ulteriore assegnazione relativamente limitata ne consente facilmente il completo autotrasporto. L'assegnazione del reggimento di cavalleria blindata - unità impostata su autoblindo, carri armati, autoportati - eleva notevolmente le possibilità di manovra dell'intera divisione, perché il reggimento di cavalleria non opera solo in funzione esplorativa, come i vecchi complessi celeri organicamente disgiunti dalla divisione, ma abbraccia una gamma amplissima di operazioni che si estendono dalla protezione alla sicurezza, all'offesa (occupazione preventiva di posizioni contestate o non, facilitazione degli sganciamenti, ritardo, azione contro paracadutisti e guerriglia, concorso al contrattacco, ecc.). L' assegnazione, come vedremo, verrà in tempi successivi revocata, ma la 2600 ovviamente considera l'assegnazione come fatto acquisito e ne tiene conto nel presentare la nuova divisione che, anche in ragione della presenza di tale reggimento, si palesa assai diversa da quella del 1936, vale a dire con armi innovate e proporzioni fra le armi interamente mutate. Non esistono dubbi che lo stato maggiore delJ'esercito, qualora ne avesse avuto la disponibilità, avrebbe proceduto all'assegnazione organica di unità carriste alla divisione di fanteria. Non poté farlo, ma sul piano dottrinale volle esplicitamente riconoscere l'esigenza divenuta imprenscindibile della presenza dei carri armati nel quadro delle azioni offensive e difensive della divisione di fanteria su tutti i terreni che consentano l'impie go de i carri. La 2600 lascia, dunque, chiaramente intendere che su tali terreni la divisione di fanteria che non possa contare sull'apporto di carri armati è una grande unità monca ed asfittica, un organismo operativo ridotto, in quanto privo di uno degli arti essenziali alla completezza della funzione da svolgere. Il nuovo grado di motorizzazione oq~pnica è l'altro aspetto saliente della nuova divisione ternaria che se non dispone neppure sul piano teorico in proprio di tutti gli automezzi necessari all'autotrasporto completo, è in grado di muoversi su strada rapidamente e per intero solo che le vengono dati in rinforzo, all'occorrenza, 70780 autocarri medi. La divisione di fanteria della 2600 è, in conclusione, una grande unità nuova, tornata alle sue tradizionali funzioni di manovra e che per svolgere queste ultime dispone di una potenza di fuoco e di un grado di
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motorizzazione su strada che, sebbene non ancora ottimali, non sono più paragonabili a quelli della divisione prebellica. Un'altra novità dottrinale della 2600 è la possibilità che la divisione si articoli in raggruppamenti o gruppi tattici a costituzione varia 19, Il problema non era nuovo: esempi di tali formazioni tattiche si erano avuti fin dalla guerra franco-tedesca del 1870-71 e dalla guerra russo-giapponese del 1904-'0S, mentre ancora più frequenti erano stati esempi siffatti durante tutte le guerre coloniali. L'esercito italiano aveva fatto ricorso ad aggruppamenti ad hoc di forze nella prima guerra mondiale durante la controffensiva del trentino e la vittoriosa conquista di Gorizia. Durante la seconda guerra mondiale i tedeschi, fin dall'inizio, avevano operato spessissimo per raggruppamenti e gruppi tattici, ripartendo cioè le forze, al di fuori delle strutture organiche, in formazioni comprendenti unità delle varie armi, tratte dalle forze organiche di una grande unità o da quelle da questa ricevute in rinforzo. Si tratta di formazioni caratterizzate dalla eterogeneità degli elementi che le compongono, non sempre aventi medesima coesione e fisionomia addestrativa, dalla tempestività del loro concentramento e impiego, dalla brevità della loro vita operativa, dalla capacità, combattimento durante, di plasmarsi alle successive esigenze contingenti suscettibili di apportare a ulteriori modificazioni della struttura tatticoordinativa iniziale. La necessità e l'opportunità del ricorso a tali formazioni erano poi apparse evidenti anche ad altri eserciti ed erano divenute alla fine uno degli ammaestramenti più salienti del secondo conflitto mondiale. Il problema in sé e per sé era divenuto dominante, sotto molti aspetti, nella dottrina e negli ordinamenti di tutti gli eserciti. Oggetto, come abbiamo già annotato, di lungo dibattito sulla Rivista Militare, prima e dopo la diramazione della 2600, il problema non trova in ques ta ultima pubblicazione una soluzione compiuta e convincente. La 2600, infatti , ammette la possibilità dell'articolazione in raggruppamenti o gruppi tattici, ma come eventualità, non come norma, in quanto la divisione in attacco continua ad agire per colonne d 'a ttacco e la costituzione di raggruppamenti tattici si può avere sia in attacco sia in difesa solo allorché terreno o situazione impongano un decentramento di forze e di comando. Non era questo il concetto seguito dai tedeschi che, sull'esperienza di guerra, avevano stabilito negli anni 1943-'45 la preventiva e tassativa ripartizione di molte delle loro divisioni in raggruppamenti e gruppi tattici: suddivisione organica della divisione in 3 raggruppamenti tattici pluriarma, a loro volta pronta-
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mente scindibili in 3 gruppi tattici ciascuno. La soluzione della 2600 prevede, invece, una costituzione organica che consente, al momento opportuno, di riunire insieme elementi di diverse armi, dosandone la consistenza in rapporto alla situazione. Una soluzione che soddisfa meglio il criterio dell'elasticità connaturale ai raggruppamenti ed ai gruppi tattici, ma solo sul piano teorico, perché le tabelle organiche della divisione della 2600 non concedono ai reparti del livello di compagnia, squadrone, batteria la totale autonomia logistica necessaria ed ai comandi di reggimento e di battaglione o gruppo squadroni gli organi necessari per esercitare il comando di raggruppamento o di gruppo tattico. Un'unità della 2600, tolta dalle dipendenze dell'unità superiore organica, entra in crisi se non le si concedono, in misura adeguata, mezzi di trasporto e di collegamento prontamente impiegabili e personale e mezzi per il funzionamento del comando. La soluzione della 2600 sarebbe stata valida, più valida di quella tedesca, se accompagnata dai provvedimenti adottati al riguardo nell 'esercito degli Stati Uniti, il quale prevedeva: nei vari elementi del reggimento di fanteria, tutti gli elementi necessari per formarne un vero e proprio raggruppamento tattico; un'articolazione decentrata dei gruppi di artiglieria tale da consentire l'immediato distacco di uno o più di e ssi a favore di un reggimento; l'assegnazione <li una o più compagnie delle altre armi a favore dei battaglioni di fanteria. L'esercito americano aveva previsto, per il caso di dover modificare in qualsiasi momento l'articolazione organica delle forze, due ordini di provedimenti organici già in atto fin dal tempo di pace: comandi di reggimento e di battaglione robusti, adeguati alle effettive necessità della cooperazione in pace ed in guerra, che disponevano in proprio ed in piccolo degli organi previsti per la grande unità (S/ 1, S/2; S/3, S/4, S/5); comandi di reggimento e di battaglione con organicamente in proprio, fin dal tempo di pace, tutti gli autome zzi ed i mezzi per collegarsi con i comandi rispettivamente superiori, laterali e discendenti con un congruo numero di marconisti, telefonisti, radio, telefoni, filo e pile di riserva per far fronte al maggior numero di allacciamenti in caso di costituzione rispettivamente di raggruppamenti e di gruppi tattici. La 2600, inoltre, specifica che il comandante del raggruppamento, o gruppo tattico, è il comandante dell'unità di fanteria, o di cavalleria blindata, o carrista, che costituisce l'ossatura del complesso, ma ciò non è sufficiente a sciogliere i nodi della scelta del comandante, il quale deve essere sì elemento di primo piano quale è un comandante di reggimento, di battaglione e di gruppo squadro-
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ni, ma deve conoscere anche assai bene caratteristiche, qualità intrinseche, compiti, impiego in combattimento di tutte le unità, non solo della propria, che costituiscono il raggruppamento o il gruppo tattico. C'è poi il problema della cooperazione tra le varie anni, più complesso e difficile da risolvere che non nei casi d'impiego delle unità organiche, perché nei complessi tattici ad hoc la cooperazione deve essere più fntima, aderente, immediata, costante in tutti i campi , in tutti i gradi, in tutte le possibilità, mentre difficoltà e fattori negativi la imbrigliano, la ostacolano o la rendono problematica più che negli altri casi. Di tutti questi aspetti - scelta del comandante, articolazione delle forze, cooperazione tra le varie armi - come anche dei limiti di forza relativa alla definizione dei gruppi tattici e della composizione dei raggruppamenti e dei gruppi tattici, la 2600 non tratta e, d 'altra parte, non sarebbe stata questa la sede adatta; ma l'aver la sciato indeterminato un a spetto così importante della conce zione moderna della tattica ebbe conseguen ze nega tive durate molto a lungo e concretatesi in uno svisamento della natura, della funzione e della fisionomia dei complessi plurarma, tanto da rendere credibile che il raggruppamento tattico fosse un nuovo termine per indicare il reggimento ed il gruppo tattico que llo pe r indicare il battaglione. È evidente nella 2600 il timore che l'amplia m ento della visione de i complessi pluriarma possa indurre a modificare i fondamenti essenziali d'impiego delle unità organiche e quelli delle strutture ordinative ed organiche tradizionali, come pure sono evidenti le incertezze e le perplessità che ancora permanevano nello stato maggiore dell'esercito nel trarre a pieno e fino in fondo le conseguenze degli ammaestramenti scaturiti dall'ultimo conflitto, là dove questi implicavano profonde mutazioni di criteri d'impiego e di ordinamenti. Ma se da una parte la prudenza in materia tanto complessa e delicata non è mai troppa, dall' altra il rischio di restare indietro non è meno grave. Quali che fossero i provvedimenti di ordine ordinativo, organico, logistico, addestrativo da a dottare per assicurare realmente in qualsiasi contingenza il pronto impiego dei raggruppamenti e dei gruppi tattici, essi avrebbero dovuto quanto meno essere elencati, mentre lasciandoli ne l vago, la 2600 offrì spazio ad interpretazioni inesatte per eccesso o per difetto che, infatti, vi furono e generalizzate. La pubblicazione de l 1936 nel tra ttare della divis ione di fanteria nell'azione offensiva pre metteva il quadro operativo, riguardante lo sfondam ento della copertura e la marcia al nemico, e
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indicava i criteri generali e le modalità di azione per l'esplorazione tattica, aerea e terrestre, e per la sicurezza in marcia ed in stazione. La 2600, a parte la diversa visione dell'ambiente operativo e la diversa disposizione della materia nonché la diversa terminologia, non si discosta granché, sul piano concettuale, dalla pubblicazione del 1936 e mantiene fermo il concetto dell'imprescindibilità dell'esplorazione e della sicurezza in tutte le fasi delle operazioni e durante il movimento e le soste in generale, sottolineando il carattere di operazione tattica assunto dal movimento anche a grande distanza dal nemico - vale a dire durante la fase che la pubblicazione del 1936 indicava come marcia al nemico - per l'incombere costante dell'offesa aerea, della multiformità delle insidie e della possibilità di offesa derivanti dall'ampio raggio d'azione dei mezzi motocorazzati. Nel riconoscere che le possibilità di rilevamento notturno da parte dell'osservazione aerea hanno diminuito l'efficacia dell'occultamento nelle tenebre, la 2600 ribadisce la convenienza, tranne il caso di forte preponderanza aerea, di muovere i grossi di notte e sottolinea come la maggiore vulnerabilità, rispetto al passato, delle unità in movimento esalti l'importanza della scelta e dell'organizzazione degli itinerari e delle zone di sosta e la necessità che le colonne e gli scaglioni di marcia siano costituiti in modo da essere tatticamente in grado di fronteggiare prontamente le minacce improvvise e tanto distanziati quanto necessario per garantire elasticità al movimento. Un concetto non nuovo, ma meglio evidenziato nella 2600, è quello dell'autosicurezza che deriva dalla multiformità, dalla molteplicità e costante incombenza, delle varie minacce: ogni unità, in qualsiasi circostanza, deve avere costantemente in a tto vigili predisposizioni per salvaguardarsi in ogni direzione da azioni di sorpresa, aeree e terrestri, oggi possibili sempre e dovunque. Deve tutelarsi altresì da llo spionaggio. Che ogni unità debba provvedere in proprio alla protezione mediante l'assunzione di un dispositivo e la messa in atto di predisposizioni idonee ad autoproteggersi, non elimina l'esigenza di una sicurezza a più largo raggio affidata a complessi di forze ad hoc, perché ogni movimento deve compiersi in un ambiente di chiarificazione nei riguardi dell'avversario e di sicurezza nei confronti propri. Permane, pertanto, l'esigenza del dispositivo esplorante e del dispositivo di sicurezza previsti dalla regolamentazione prebellica giacché esplorazione e sicurezza, nel quadro della divisione, stanno tra loro in stretta correlazione, in quanto mirano entrambe a tutelare la libertà di azione del comandante e
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delle truppe, e ad assicurare tempo e spazio per la manovra. Il modo di intendere e di svolgere l'esplorazione è quello indicato dalla 1600 che, come abbiamo rilevato, è notevolmente diverso da quello previsto dalla regolamentazione prebellica e dalJa stessa circolare 1300. Circa l'attività esplorativa la 2600 si limita perciò a ripetere che essa è affidata alle unità di cavalleria blindata, che il comandante la divisione la indirizza e la guida secondo il proprio disegno di manovra, che il dispositivo esplorante agisce di giorno, che a favore della divisione di fanteria autotrasportata agisce a distanze notevoli. Nei riguardi del dispositivo di sicurezza cade, nella 2600, la distinzione della pubblicazione del 1936 tra il caso in cui si è soggetti all'offesa degli elementi celeri nemici e quelJo in cui si è minacciati dal grosso delle forze, mentre la 2600 sottolinea la necessità di conferire al dispositivo di sicurezza: forte capacità di arresto controcarri, possibilità di reagire efficacemente contro formazioni motocorazzate, possibilità di rimuovere ostacoli attivi e passivi e di riattare interruzioni. Diventa così normale l'assegnazione al dispositivo di pezzi controcarri di rinforzo, possibilmente di carri armati, di unità del genio pionieri. Il criterio di base è la graduale trasformazione del dispositivo da una formazione essenzialmente protettiva ad una principalmenle offensiva a mano a mano che il contatto con il nemico diventi più probabile o prossimo. Il dispositivo di sicurezza - avanguardia, retroguardia, fiancheggiamento - continua ad essere articolato per colonna e ad essere impostato sulla rete di comunicazioni. Anche la forza dell'avanguardia - da un sesto ad un terzo della fanteria della colonna - resta dell'ordine della precedente regolamentazione, mentre per la distanza tra la coda dell'avanguardia e la testa del grosso della colonna, ferma restando per le unità appiedate quella di 3-4 km, per le unità su automezzi la 2600 dà, come dato generico di orientamento, quello di 20 minuti primi, avvertendo che nelle zone infestate dalla guerriglia le distanze debbono essere ridotte. Novità della 2600 è l'indicazione, a favore delle colonne su automezzi, della possibile costituzione di corridoi di sicurezza che blocchino con distaccamenti le vie di comunicazione che incidono sugli itinenari percorsi dalle colonne e che spingano in avanti avanguardie su punti critici della rete stradale o su successive linee di ostacolo, anche a distanze superiori a quelle normali. Più particolareggiata, nella 2600, la parte dedicata all'avvicinamento, il cui scopo resta, peraltro, lo stesso della pubblicazione del 1936: portare le unità della divisione, nelle migliori condizioni di efficien-
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za e nel minor tempo, sulle posizioni più favorevoli e con il dispositivo più idoneo per organizzare l'attacco. L'avvicinamento assume caratteri molto differenti a seconda delle circostanze e, in particolare, a seconda che la situazione sia fluida od incerta, nel qual caso occorre adottare in anticipo un dispositivo atto a fronteggiare l'eventualità di un urto improvviso e rinforzare l'avanguardia, oppure chiara e scarsamente suscettibile di modificazioni, nel qual caso è conveniente iniziare l'avvicinamento soltanto entrando nel raggio d'azione efficace delle artiglierie leggere nemiche o quando la conformazione del terreno si opponga a spostamenti laterali. C'è, in sostanza, nella 2600, nonostante i] permanere dei criteri e procedimenti generali della regolamentazione prebellica, una visione meno sistematica e rigida del movimento, sia nella fase già designata come marcia al nemico ed ora non più chiamata così, sia in quella dell'avvicinamento e c'è altresì la chiara e convinta consapevolezza di come l'aviazione e la guerriglia, oltre che i mezzi corazzati, dei quali ultimi leneva cunlu am.:he la pubbl icazione del 1936, abbiano mutato profondamente il quadro di svolgimento del movimento strategico e tattico. Ma, nonostante ciò, il problema della sicur·ezza in movimento non trova una soluzione soddisfacente, perché quella delineata resta troppo legata agli schemi del passato e gli elementi innovatori, quali ad esempio i corridoi di sicurezza, non alleggeriscono l'entità delle forze del dispositivo di sicurezza che, tra avanguardia fiancheggiamento retroguardia, continua ad impegnare un numero di unità di fanteria notevolmente eccessivo, mentre la sicurezza dalle offese aeree e dalla guerriglia non può più essere ricercata al di fuori delle singole formazioni in movimento, ma solo nei procedimenti di a utosicurezza. Compito della divisione, in attacco, è la rottura del dispositivo avversario per sufficiente ampiezza e profondità, così da determinare, in concorso con le grandi unità laterali, il cedimento della resistenza. Tale compito essa esplica con la manovra e cioè mediante sforzi coordinati, lungo direttrici di gravitazione del fuoco e delle forze, su obiettivi tatticamente connessi. I1 compito è, perciò, materializzato da un obiettivo d'attacco, da raggiungere entro un settore d'azione, gravitando a cavallo di una direttrice d'attacco. La divisione in attacco agisce per manovra e, cioè, impiegando fuoco e movimento, svolge - per tempi successivi sforzi coordinati di diversa entità scaglionati nel tempo e nello spazio su obiettivi tatticamente connessi in fronte e profondità, a cavallo di direttrici convergenti o interferenti che consentano la
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combinazione degli sforzi stessi sull 'obiettivo divisionale. Essa, pertanto, investe un settore ampio e concentra gli sforzi in settori ristretti. Di fronte ad una difesa a caposaldi su più ordini, attacca ed elimina quelli schierati sulla direttrice principale; contro una organizzazione difensiva su ampie fronti, dirige l'azione contro una cortina, tenendosi in misura di affrontare la reazione delle forze mobili della difesa. Tali le enunciazioni, in stretta sintesi, del problema offensivo divisionale, il quale si esprime in tre attività: muovere, avvicinarsi, rompere. L'attacco si attua creando nel dispositivo nemico una breccia che, per motivi di statica operativa, dev'essere tanto più ampia quanto più profonda. Strumento della rottura è il dispositivo divisionale, articolato in più colonne e in una riserva. Alla rottura cooperano le masse di fuoco dell'aviazione e dell 'artiglieria, l 'attività del genio, l'op er a chiarificatrice delle varie fonti informative. La con cezione dell'a ttacco poggia su di una chiara visione del fuoco r iferita a ll'ambiente naturale ed a ll 'organizzazione difensiva nemica, del movimento e del loro coordinamento, partendo dal principio che è necessario tra rre dal fuoco il massimo rendimento per facilitare il movimento e ridurre le perdite. li fuoco è tanto più effi cace se applicato a massa e tempestivamente. La concezione dell'attacco contro i punti più forti di un'organizzazione difensiva forte e contro le cortine di un'organizzazione difensiva su ampia fronte costituisce, entro certi limiti, la novità di maggior rilievo della 2600 rispetto alla pubblicazione del 1936, la quale individua va la direzione di attacco più redditizia in quella che mira al fianco nemico per avvolgerlo. Fermo restando il principio del concetto unitario, già messo in luce come esigenza prioritaria dalla pubblicazione de l 1936, la 2600 evita di indicare a lla divisione valori delle fronti e della profondità e individua ne lla manovra il mezzo pe r conquistare l'obiettivo, rompendo cioè la difesa con più colonne di entità varia, s u più direttrici (anziché come nella regolamentaizone del 1938 con una colonna sola e su di una direttrice unica) e attraverso una successione coordinata di sforzi. La pubblicazione del 1936 indicava, come mezzo di più sicuro coordinamento dell'azione divisionale, l'opportunità di fissare obiettivi intermedi, dei quali non v'è invece cenno nella 2600, ma ciò non significa che li si debbano escludere. Comuni ad entrambe le pubblicazioni: sforzo principale e sforzi s ~ssidiari, indicazione dell'obiettivo eventuale, convenienza di scelta di dire ttrici che cadano sui fianchi dello schieramento avversario o che, se conquistate, minaccino le comunicazioni del nemico. La concezione della
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manovra divisionale sta, anche per la 2600, nella determinazione delle posizioni da occupare successivamente quale premessa alla conquista dell'obiettivo divisionale, nella scelta delle direttrici più che nella determinazione di obiettivi intermedi, nella definizione del dispositivo in cui si materializzano la gravitazione ed il numero degli sforzi (dei quali uno o due sussidiari). Diversamente dal passato, la 2600 prende a base un'organizzazione difensiva di media consistenza e traccia una tecnica di attacco di applicazione generale, distinguendo tra l'attacco contro un'organizzazione a caposaldi e quello contro un'organizzazione ad ampia fronte, mentre evita la distinzione della pubblicazione del 1936 tra combattimento d'incontro e attacco contro nemico in posizione. Circa l'impiego della riserva non esistono grandi diversità tra le due pubblicazioni: quella del 1936 dà alla riserva il compito di portare l'attacco in profondità o di allargare la breccia; la 2600 quello di sfruttare i risultati conseguiti dalle colonne per completare il successo o raggiungere l'obiettivo d'attacco, a seconda della situazione determinatasi. In entrambe le pubblicazioni la previsione è di raggiungere l'obiettivo divisionale con le colonne di attacco e conseguentemente la riserva è destinata a completare il successo, ma in entrambe la riserva ha anche carattere assicurativo, forse accentuato ne]\a 2600 data la maggiore difficoltà di valutare con sufficiente approssimazione sul nuovo campo di battaglia l'entità della difesa e soprattutto le possibilità d'intervento delle forze mobili della difesa stessa. L'organizzazione dell'attacco - che richiede tempo e l' attacco che deve essere sviluppato solo quando si siano create tutte le premesse e le condizioni per la sua riuscita con il minimo dispendio di vite umane - non è granché diversa da quella indicata, sia pure meno ordinatamente, nella pubblicazione del 1936. Essa si concreta nella determinazione dell'articolazione del dispositivo (colonne e riserva), dello schieramento delle artiglierie, dell'organizzazione delle informazioni, dei collegamenti e dell'osservazione, della cooperazione con l 'aviazione, della distribuzione del fuoco di sostegno, controcarri, contraerei, dell'organizzazione dei servizi. Nella pubblicazione del 1936 era previsto come possibile, in un semplice accenno, il rinforzo di carri d'assalto alla fanteria; nella 2600 il discorso sulle unità carriste diventa più ampio e approfondito. Queste possono essere assegnate alle colonne od alla riserva ovvero essere impiegate in opposizione ad un contrattacco per realizzare un successo locale. Due le forme d'intervento: cooperazione tra battaglione carri e battaglione di fanteria;
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rinforzo di compagnie o plotoni carri ad unità di fanteria. Nel primo caso, conviene impiegare il battaglione carri armati per operare su di un unico obiettivo coincidente con quello dell'unità di fanteria, o ravvicinato, o più profondo, a cavallo della stessa direzione di attacco, in successione di tempi. Nel secondo caso, le unità carriste debbono agevolare l'azione delle unità di fanteria cui sono in rinforzo, operando in contemporaneità di tempo, lungo direzioni convergenti o parallele. Le due diverse forme d'intervento delle unità carriste nell'azione offensiva della divisione di fanteria presuppongono, non solo condizioni di situazione e di terreno non proibitive dell'impiego dei carri, ma organizzazione, coordinamento, ricognizione del terreno, concorso di fuoco rivolto soprattutto a neutralizzare la difesa controcarri. Lo schieram ento dell'artiglieria deve rispondere alle necessità di: assicurare la manovra del fuoco su ampia fronte, garantire il massimo appoggio a favore della colonna principale, poter agire in profondità assicurando continuità ed efficacia e limitando i cambiamenti di posizione allo stretto indispensabile, favorire, p er quanto possibile, la difesa vicina controcarri, l'occultamento delle batterie, il rifornimento delle munizioni. Le artiglierie controcarri, dislocate e schierate inizialmente in modo da assicurarne il rapido intervento lungo le direzioni di più probabile impiego dei carri, vanno spostate in avanti con il progredire dell'avanzata, in modo da reagire alle formazioni corazzate nemiche, mentre le artiglierie contraerei vanno concentrate a difesa degli obiettivi che, per la loro importanza o per la loro consistenza e densità relative, si prestino a più redditizia azione aerea avversaria: schieramenti di artiglieria, concentramenti di carri armati e automezzi. Particolare importanza ha l'organizzazione dei collegamenti, dalla cui flessibilità, continuità, ricchezza di mezzi dipende l'azione di comando su di un'area di dimensioni assai più vasta di quella del passato. Preparazione, esecuzione, condotta dell'attacco rientrano in parte nel quadro dei lineamenti della regolamentazione del 1936 ed in parte se ne discostano. In senso lato la preparazione comprende la messa in atto di tutte le predisposizioni organizzative, già sommariamente indicate, dirette principalmente a: pianificare il fuoco; facilitare il movimento con p articolare riferimento alle posizioni di attesa, a lle basi di partenza per i battaglioni in primo scaglione, a l superamento dell'ostacolo; rendere tempestiva e decisa l'azione di comando impostata sull'efficienza del servizio informazioni, della rete dei collegamenti, del funzionamento del comando; governare lo sviluppo dell'attacco
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avvalendosi fondamentalmente del fuoco e della riserva, senza deviazioni dal concetto d'azione, ma non senza adattarne l'attuazione allo sviluppo del' combattimento. La preparazione di artiglieria, in funzione della natura e dell'entità della sistemazione difensiva nemica, deve avere la durata contenuta nei limiti di tempo necessari a conseguire effetti di neutralizzazione più che di distruzione, avere carattere di concentramenti massicci sugli obiettivi più importanti, avere inizio improvviso e sfumare poi nell'appoggio senza soluzione di continuità. Va attuata sulla base di un piano di fuoco; vi possono concorrere le armi pesanti della fanteria, ma subordinatamente alla necessità di evitare che si svelino prematuramente. Una condizione questa non considerata nelle norme del 1936. Prima dell'inizio dell'attacco, anche in ore notturne, può essere necessario svolgere azioni preliminari per occupare posizioni di particolare importanza ed è anche questa delle azioni preliminari una direttiva di massima non considerata n ella regolamentazione pre-bellica. L'esecuziune dell'a.lla.cxu ha la sua fase preliminare nel movimento necessario per raggiungere preferibilmente di notte dalle posizioni di attesa, dove sono state prese le predisposizioni tattiche e logistiche per l'azione da compiere, le basi di partenza dove i battaglioni di primo scaglione si schierano il più ta rdi possibile, normalmente di nulle. Una fase del tutto nuova, non considerata a sé stante nella regolamentazione prebellica, è il superamento dei campi minati, un problema tattico e tecnico ad un tempo impostato più che risolto dalla 2600, che ne sottolinea la esistenza, ma si limita a sfumarne la soluzione. Non vi è dubbio che questa richieda, come indica la 2600, un'intensa attività informativa preliminare, ricognizioni accurate da parte dei pionieri del genio e di fanteria, mezzi speciali e procedimenti particolari per l'apertura dei corridoi e dei varchi, protezione effettiva o potenziale delle operazioni di apertura dei passaggi mediante azioni di fuoco, annebbiamenti, · impiego di pezzi controcarri, intervento predisposto di unità di fanteria e di carri armati, ecc., ma l'operazione si presenta piena di difficoltà e di incognite che la 2600 non pone sufficientemente in luce, dando quasi per scontata la riuscita dell'operazione che, viceversa, specialmente con i mezzi ed i procedimenti allora disponibili e noti, e ra assai aleatoria. E la mancata apertura dei passaggi nei campi minati equivaleva ed equivale al fallimento dell'attacco. Il fuoco di appoggio conserva, nella esecuzione dell 'attacco, l'importanza di sempre, anzi, proprio per la presenza dei campi minati, risulta esaltata rispetto al passa-
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to. Fuoco di appoggio continua a significare fuoco di aderenza all'azione della fanteria, un'esigenza, l'aderenza, non venuta meno a seguito del potenziamento dell'armamento della fanteria, ancorché questa abbia oggi maggiori possibilità di fare da sé, L'appoggio mediante azioni predisposte, ovvero su richieste dirette dei comandanti di battaglione di primo scaglione o di colonna, oppure su intervento del comandante della divisione, o anche d'iniziativa dei comandanti di artiglieria quando la situazione lo richieda - si attua con concentramenti massicci e tempestivi che richiedono l'impiego accentrato della massa delle artiglierie divisionali. Impiego accentrato delle artiglierie e aderenza del fuoco di artiglieria all'azione della fanteria sono due esigenze contrastanti, la cui soluzione di compromesso va ricercata nell'affiancamento dei comandanti delle due armi a tutti i livelli, nell' orientamento di un'aliquota di artiglieria ad agire a favore dei battaglioni di primo scaglione, aliquota particolarmente forte per il sostegno dello sforzo principale e valutabile nell'entità media di un reggimento da campagna per battaglione. Ad ogni comandante di unità di fanteria conviene affiancare un solo comandante d'artiglieria sulla base del principio di abbinare tra loro sempre gli stessi comandanti. L'affiancamento dei comandanti - non più degli ufficiali comandanti le pattuglie O.C. (osservazione e collegamento) - è la novità cpncettuale di maggior rilievo del nuovo ordinamento tattico che, più e meglio di quelli del passato, è garanzia di coordinamento del movimento e del fuoco e di cooperazione tra le due armi. Analogo, sebbene riferito a livelli più elevati, il concetto al quale si ispirano l'organizzazione del concorso dell'arma aerea nel combattimento, realizzata mediante la costituzione di un organo misto di cooperazione aeroterrestre, e quella dei posti avanzati per l'intervento aereo posta sotto il comando di ufficiali piloti dell'aeronautica distaccati presso le divisioni. Ma il concorso dell'arma aerea nel combattimento della divisione - normale nelle forme di esplorazione tattica, appoggio indiretto che estende l'interdizione a tutto il campo di battaglia, protezione del cielo della grande unità - è meno frequente sotto la forma dell'appoggio diretto che anzi occorre limitare ad importanti obiettivi, fissi o mobili, i quali siano, anche occasionalmente, fuori delle possibilità contingenti di efficace neutralizzazione o distruzione delle artiglierie. La cornice di sicurezza dell'attacco è ottenuta appunto in primo luogo dall'impiego dell'esplorazione aerea e del fuoco aereo e terrestre, oltre che dallo scaglionamento in profondità delle formazioni, dall'organizzazione delle basi di partenza, dalla
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sorveglianza dei tratti di fronte non investiti e dei fianchi scoperti, dal successivo consolidàmento degli obiettivi raggiunti, dai provvedimenti contro azioni di guerriglia da affidare alle unità del reggimento di èavalJeria blindata. La condotta dell'attacco è propria del comandante della divisione, che dispone all'uopo del fuoco delle artiglierie - che è il mezzo più rapido, duttile ed economico per intervenire nello sviluppo del combattimento - e della riserva. Il comandante della divisione conduce, in sostanza, l'attacco coordinando l'azione delle colonne, impiegando il fuoco delle artiglierie ed eventualmente dell'aviazione, fronteggiando gli imprevisti mediante l'adattamento del dispositivo, impiegando la riserva a ragion veduta dove si delinea il successo e dove vuole determinarlo. L'impiego della riserva deve rispondere ad un criterio unitario non va spesa a spizzico - va predisposto tempestivamente, coordinato con l'azione di tutti i mezzi disponibili e soprattutto delle artiglierie, attuato senza esitazione nel momento decisivo. L'azione offensiva trova la sua prima, completa trattazione postbellica nella circolare 2600 ed essa assume una fisionomia apparentemente, più che sostanzialmente, analoga a quella delineata nella regolamentazione del 1936, ma del tutto diversa da quella del 1938. Il suo successo viene subordinato ad una forte superiorità di fuoco. Questa viene caratterizzata: dalla concentrazione della sua massa su zone ristrette, a cavallo della direttrice d'attacco; dalla sua aderenza al movimento intesa a neutralizzare gli elementi attivi investiti, e quelli non direttamente investiti ma in condizioni di ostacolare lo sviluppo dell'azione, ed a controbattere artiglierie e mortai. L'azione contromortai è devoluta all'artiglieria divisionale. La superiorità di fuoco - la cui pianificazione sia in preparazione che in appoggio acquista maggior rilievo che nel passato - è ottenuta mediante l'impiego organizzato, coordinato ed armonizzato delle armi di accompagnamento, delle artiglierie e dell'aviazione. Le colonne di attacco svolgono ciascuna una sequela di sforzi successivi e per tempi successivi, ma realizzano nell'insieme una manovra tattica unitaria. La presenza delle unità carriste, sia dell'attacco sia di quelle del nemico che si difende, non è più eventuale, ma costantemente reale. Quella dell'aviazione, benché considerata eventuale nella forma di appoggio diretto, è un'altra realtà immanente dei cui effetti positivi (aviazione propria) e negativi (aviazione nemica) viene tenuto preciso conto in tutte le fasi dell'azione offensiva. Questa appare ancora più difficile che nel passato - basta pensare alla presenza dei campi minati durante
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l'attacco - ma non per questo è possibile rinunziarvi se si aspira ad un successo concreto e determinante, che resta conseguibile soprattutto con il ricorso alla manovra e con la disponibilità di fuoco superiore a quello della difesa. La manovra è il risultato delle azioni di tutti gli elementi che vi agiscono, organici e in rinforzo, compresi quelli dell'unità superiore, e di tutti gli atti che la costituiscono nei vari sviluppi e correlazioni. Artiglieria e genio si affiancano alla fanteria e non si limitano a sostenerla da tergo. Comandanti di reggimento, di gruppo e di batteria marciano di pari passo ed all'altezza dei comandanti delle unità di fanteria, alle quali sono affiancati, mentre i pionieri del genio addiritutra precedono le unità di fanteria o si muovono di conserva con queste ultime. La divisione di prima schiera rompe la difesa e raggiunge, in un'organizzazione difensiva di media resistenza, un obiettivo tanto profondo da compromettere la stabilità della difesa stessa o quanto meno da minacciare lo schieramento delle artiglierie divisionali nemiche. La riserva della divisione di prima schiera, o una divisione di seconda schiera a seconda dell'asprezza dell'attacco, completa il successo, unificando, attraverso la eliminazione delle difese superstiti interposte, brecce divisionali contigue, in modo da creare il corridoio sufficiente al passaggio delle grandi unità corazzate o motorizzate alle quali spetta di sfruttare il successo e di raggiungere l'obiettivo strategico. Pur nell'ampia elasticità imposta dalla varietà delle difficoltà che si possono incontrare, sono dunque le divisioni di prima schiera ad ottenere il successo, quelle di seconda schiera, nell'ambito del corpo d'armata, a completarlo, quelle corazzate in riserva, nell'ambito dell'armata, a sfruttarlo. Questo il quadro dell'azione offensiva che offre la 2600, un quadro che riproduce in larga massima gli scenari della seconda guerra mondiale, ai quali peraltro non conferisce l'ampiezza necessaria e dai quali non trae tutte le conseguenze dovute, sia per il permanere di incertezze di interpretazione, sia per la costante preoccupazione di non elaborare una dottrina non attuabile sul campo di battaglia a causa dell'indisponibilità dei mezzi. L'azione offensiva della 2600 forse riecheggia troppo il passato, ma apre anche prospettive di sviluppo futuro in una prefigurazione del combattimento della divisione sufficientemente lungimirante. Nel trattare l'azione difensiva la circolare 2600 si attit;ne ai contenuti delle circolari 3000 e 3100 e ne ripete quanto necessario per dare il quadro completo dell'impiego della divisione di fanteria nella difesa su fronti normali ed in quella su ampie fronti, aggiun-
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gendo )'argomento della manovra in ritirata sotto le forme di manovra ritardatrice e di manovra di ripiegamento. La difesa su fronti normali viene esaminata per prima, perché rappresenta la forma più completa, applicala nelle zone di importanza vitale ai fini delle operazioni. In genere, quando possibile, viene organizzata fuori del contatto del nemico sotto la protezione, se necessario, di uno scaglione di sicurezza. La scelta della posizione difensiva è fatta in relazione alla robustezza naturale, agli elementi naturali che si prestino ad un'organizzazione poco onerosa, alle possibilità di garantire la massima efficacia alla organizzazione ed all'esecuzione del fuoco, di ostacolare l'individuazione da parte del nemico degli elementi difensivi, di coprire questi dall'osservazione aerea e terrestre, di offrire protezione naturale al combattente. La concezione della difesa si concreta nella definizione da parte del comandante della divisione delle posizioni dei caposaldi, delJe zone di gravitazione della resistenza, dell ' impiego della riserva e delle funzioni della zona di sicurezza. L'informazione e l 'osservazione, la sollecita
presa di contatto con il nemico, l'individuazione delle presumibili direttrici dell'attacco e dei suoi assi di sforzo, l'azione di ritardo e di logoramento sono condizioni essenziali per la concezione corretta dell'azione difensiva che deve, in stretta sintesi, tendere a frenare e logorare gradualmente l'attaccante, ad arrestarlo con l'impiego coordinato del fuoco e dell'ostacolo e ad eliminarlo, al momento opportuno, mediante l'impiego della riserva che deve avvalersi del massimo concorso di fuoco. Un settore divisionale dell'area difesa comprende: la zona di sicurezza (posti di osservazione e allarme, posti di sbarramento, eventualmente posti scogli, pattuglie); la posizione di resistenza (caposaldi disposti a scacchiera. su due ordini o anche su tre nei tratti più importanti); la zona di schieramento delle artiglierie, delle riserve, dei servizi. L'organizzazione della difesa comprende nell'elencazione della 2600: l'articolazione delle forze, l'impiego del fuoco, il concorso dell'arma aerea, la difesa controcarri, lo schieramento dell'ostacolo e in particolare del campo minato, la protezione del tergo e dei fianchi, la sistemazione del terreno, l'attività di comando (informazione e collegamenti). Elementi costitutivi essenziali della posizione di resistenza sono i caposaldi di fanteria che debbono essere schierati in modo da: dominare gli spazi interposti col fuoco delle armi controcarri, delle mitragliatrici, dei mortai; darsi reciproco concorso di fuoco per impedire la concentrazione dell'attacco nemico su uno di essi e l'eliminazione di ciascuno in successione di tempo; consentire la
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continuazione della resistenza anche nel caso che uno di essi cada; preparare condizioni favorevoli a costituire appoggio per l'azione della riserva. Tra di loro debbono essere collegati nel senso della fronte e della profondità, oltre che dal fuoco, anche dall'ostacolo in modo da favorire l'ingabbiamento e l'annientamento delle penetrazioni. Investito su di una posizione essenziale ai fini della difesa, ciascuno ha una funzione propria ed una funzione determinata dai rapporti di schieramento e di azione con i caposaldi contermini. Il presidio è costituito in genere da un battaglione, ma in particolari condizioni di terreno o di situazione può essere costituito da una compagnia rinforzata con armi pesanti . Un complesso di caposaldi legati da vincoli tattici e topografici viene coordinato in un gruppo di caposaldi per quanto riguarda concorso delle artiglierie, sistemazione dell'ostacolo, organizzazione della zona di sicurezza. Il gruppo di caposaldi - il c ui comandante svolge parecchie attività specifiche 20 - s'inseri sce, dunque, con spiccata fisionomia tattica fra gli elementi costitutivi dell'organizzazione difensiva. Le forze in zona di sicurezza variano di massima da uno a due plotoni nel settore corrispondente ad un caposaldo del primo ordine ed esse sono tratte dai caposaldi arretrati. Nella posizione di resistenza è schierato il grosso delle forze di fanlt!ria, rinforzato eventualmente da unità di altre armi, ed è nell'ambito dei caposaldi di fanteria che il combattimento si sviluppa. La riserva deve essere costituita con uno o più battaglioni di fanteria possibilmente autotrasportati, unità carriste ed unità del reggimento di cavalleria blindata. Il suo impiego deve essere predisposto e organizzato sulla base di determinate ipotesi, ma non tali da pregiudicare la possibilità d'intervento in qualsiasi parte de ll a posizione per ristabilire situazioni di grave pericolo. La circolare conferma che artiglieria, genio e servizi, come pure la riserva, si schierano in rapporto a necessità funzionali e si organizzano a caposaldo. Ribadisce altresì l' importanza essenziale dell'organizzazione del fuoco riferita, oltreché ai singoli tipi di fuoco, al loro coordinamento. Esigenze preminenti: azione ritardatrice avanti e nella zona di sicurezza; azione di arresto e di sbarramento davanti alla linea di resistenza dei caposaldi basata in primo luogo sulle armi automatiche e controcarri; manovra del fuoco nel senso della fronte e in profondità, propria dell'artiglieria, per adeguare il fuoco alle necessità, in relazione al de linearsi dell'azione nemica. Il concetto dell'azione di fuoco in profondità è particolarmente sottolineato - in uno con quello dello stretto coordinamento dell'impiego di tutte le armi controcarri,
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della creazione dei campi minati, dell'utilizzazione degli ostacoli naturali - a proposito della difesa controcarri che, nella sua _ossatura, va studiata ed organizzata sul piano divisionale con criterio unitario. Il concorso dell'arma aerea si esplica sotto le forme di esplorazione e d'intervento nel combattimento in special modo per ostacolare l'alimentazione dell'attacco, per la protezione del cielo della divisione, per il rifornimento delle forze accerchiate; un evento questo ultimo che nell'organizzazione difensiva a 'Caposaldi, nella quale nessuna situazione giustifica il ripiegamento di unità schierate nella posizione di resistenza, può verificarsi ed è perciò da prevedere, tanto più che un caposaldo è proprio strutturalmente organizzato per la resistenza ad oltranza a giro d'orizzonte. La difesa si sviluppa attraverso tre fasi: contropreparazione (eventuale), resistenza, contrattacco. La condotta della difesa si concreta, da parte del comandante della divisione, nel ma novrare il fuoco delle artiglierie mediante massicci concentramenti di fuoco e nell'impiego della riserva che mira ad annientare il nemico nell' interno dell a posizione di resistenza e può essere diretto a riconquistare un tratto di posizione perduto o ad agire, preferibilmente, su di un fianco di una penetrazione pericolosa. La riserva deve comprendere, quando possibile, unità carriste e blindate, perché l 'azione di unità di fanteria e carriste può spesso vantaggiosamente svilupparsi, per direzioni diverse, su obiettivi disposti in piani di diversa profondità, tali da consentire l'ingabbiamento e la successiva distruzione delle penetrazioni. Il contrattacco deve essere deciso e tempestivo e, di norma, organizzato, nonché svolto con l'appoggio delle artiglierie e con il concorso di fuoco, diretto ed indiretto, dei caposaldi. La riserva, nel caso che il contrattacco, di fronte alla potenza dei mezzi nemici, non abbia probabilità di successo, può essere impiegata, anzi è conveniente che lo sia, per contenere la penetrazione nemica e chiudere, o ridurre, la breccia aperta, avvalendosi dell'appoggio degli elementi superstiti. Alla base della azione difensiva su fronti normali delineata dalla 2600 c'è, dunque, il convincimento tattico, non fideistico, che l'organizzazione ad area difesa, costituzionalmente insufficiente ad arrestare l'attacco in corrispondenza del suo margine esterno, è idonea a frenare e logorare le penetrazioni nella scacchiera dei caposaldi e a d eliminarle con il contrattacco divis ionale, purché sia salvaguardata l'integrità dei caposaldi stessi e la penetrazione nemica tra questi ultimi non superi limiti prefissati, oltre i quali la stabilità dell' intero sistema risulterebbe compromessa. Ecco il perché l'accerchia-
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mento - da non considerare più, come nel quadro della difesa a fascia, situazione di isolamento e preludio di paralisi - è un'eventualità che l'autonomia tattica e logistica, i collegamenti radio, la possibilità del rifornimento aereo rendono assai meno disperata. La resistenza del caposaldo accerchiato segna d 'altra parte la dissociazione del dispositivo d 'attacco nemico e determina la reciprocità del dominio degli accessi, per cui ogni prolungamento della resistenza stessa avvantaggia la difesa nel suo complesso. La 2600, in definitiva, non solo dà per scontata la situazione di accerchiamento di qualche caposaldo, ma esalta la funzione del caposaldo accerchiato come qualificata ad agire ancora con efficacia. La difesa su ampie fronti viene nella circolare 2600 riferita al livello divisionale e, in particolare, alla situazione nella quale una divisione ternaria debba schierarsi difensivamente in un settore che superi, in terreni medi, i 10-12 km di fronte. Spetta al comando superiore, ne ll 'apprezzamento della situazione generale, decidere dove e come si possa e si debba fare ricorso alla difesa su ampia fronte al fine di costituirsi riserve sul cui impiego si basa la condotta della difesa. L'organizzazione della difesa nel settore divisionale assume carattere differente nei singoli casi e nei singoli tratti dello stesso settore. Elementi influenti sono la natura e il grado di pericolo e di probabilità della minaccia nemica e la conformazione del terreno (linee di ostacolo, difficoltà opposte dal terreno al transito fuori strada, esistenza di posizioni forti o di punti di obbligato passaggio, ecc.). Criteri base: polarizzazione della difesa a cavallo delle principali vie di facilitazione, mediante la costituzione di caposaldi di entità varia, caratterizzati da accentuata autonomia, dislocati su posizioni forti naturalmente, riuniti in gruppi più o meno profondi; difesa delle cortine interposte tra i pilastri, basata prevalentemente sullo sfruttamento di ostacoli naturali e sulla messa in opera di campi minati su più ordini e loro vigilanza attiva esplicata da elementi fissi o mobili sì da poter imporre un tempo d'arresto all'attaccante e consentire l 'impiego delle riserve. Le cortine debbono poter essere battute dal fuoco delle artiglierie. Davanti alla posizione: una zona di sicurezza profonda, gravitante a cavallo delle vie di comunicazione, con funzione informativa e ritardatrice, nella quale può risultare conveniente l'impiego di unità di cavalleria blindata. La difesa su ampie fronti richiede riserve consistenti e opportunamente dislocate e o,ientate, mobili (fanteria autotrasportata, unità carriste, blindate, artiglierie semoventi controcarri), ripartite ma prontamente con-
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centrabili, costituite su raggruppamenti o gruppi tattici, convenientemente dislocati in profondità in modo da favorire l'intervento su ampia fronte e offrire loro adeguato spazio di manovra. Lo schieramento di artiglieria tende al frazionamento in modo da coprire tutto il settore divisionale, fatta salva l'esigenza di consentire la manovra di masse di fuoco in corrispondenza delle direttrici di attacco più pericolose. La resistenza si basa essenzialmente sul fuoco a distanza, sulla resistenza ad oltranza dei caposaldi cardine del successo - e sull'intervento delle riserve per ristabilire situazioni locali compromesse. Con il progredire dell'azione, il comandante della divisione chiama a sostegno l'aviazione perché batta le forze nemiche, concentra il fuoco dell'artiglierie sui tratti più pericolosi, sposta le riserve che, nel caso di compromissione della capacità di resistenza di caposaldi di particolare importanza o nel caso di avvenute penetrazioni pericolose per la slabilità del sistema, impiega in una decisa azione di contrattacco, preferibilmente contro un fianco, o in via subordinata... per bloccare l'avanzata nemica, guarnendo rapidamente una linea di contenimento. Su terreno montano: costituzione di successivi caposaldi in profondità investiti su posizioni naturalmente forti e di obbligato passaggio; vigilanza e difesa delle cortine protette da campi minati specialmente nelle adiacenze dei caposaldi e nelle zone secondarie di facilitazione; zona di sicurezza limitata a posti di sbarramento; riserve settoriali impiegate a sostegno dei caposaldi più arretrati. Su terreno alpino: costituzione di caposaldi di entità variabile, soltanto in corrispondenza dei passi o località preminentemente importanti; vigilanza delle cortine con pochi elementi mobili; spinta in avanti degli elementi incaricati della presa di contatto; riserve settoriali dislocate in zone dalle quali sia tempestivo l'intervento a favore delle posizioni più importanti e decisive ai fini della stabilità del sistema difensivo. Manovra ritardatrice e manovra di ripiegamento differiscono nello scopo, nella situazione che le determina, nei caralteri dell'azione, nelle modalità, pur comportando entrambe movimenti retrogradi. Nell'ambito delle maggiori grandi unità esse possono compenetrarsi e fondersi in una manovra unica. La manovra ritardatrice tende a guadagnare il massimo tempo oppure un tempo determinato ai fini di superiori esigenze di manovra. Esigenza fondamentale è guadagnare tempo con minimo dispendio e logorio di forze e con limitata cessione di terreno. Consiste nell'opporre resistenze temporanee su posizioni successive, dette intermedie, ad opera di
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scaglioni di forze alternantisi nella resistenza e nel movimento retrogrado_ A tale fine la divisione si articola normalmente su due, eccezionalmente su tre, scaglioni (raggruppamenti o gruppi tattici) che appunto si avvicendano_ La maggior parte delle artiglierie da campagna e controcarri va però impiegata a favore di ciascuna posizione, mentre la maggior parte delle unità del genio opera sulla posizione retrostante a quella investita. Sul davanti di ogni posizione agiscono elementi di sicurezza leggeri e mobili. Il reggimento di cavalleria blindata trova largo impiego in forme diverse e costituisce mezzo di ma novra nelle mani del comandante della divisione per colpire sul fianco il nemico avanzante. Il meccanismo dell'intera manovra deve essere tale da: procrastinare e possibilmente evitare l'attacco in forze contro ciascuna posizione intermedia, sinché il cadere della notte od altre condizioni favorevoli consentano lo sganciamento delle forze prima c he queste siano impegnate in comb a ttiment i ravvicinati; gai;-antire a llo scaglione retrostante il tempo necessario allo schieramento ed all'attuazione di un minimo di organizzazione; logorare l'avanzata nemica con l 'impiego del fuoco delle ar tiglierie iniziato alle maggiori distanze possibili e valorizzato dalla larga u tilizzazione di interruzioni e di ostacoli e dall'impiego <lei fuoco dell'aviazione. Dis positivo ~elle forze e condotta della resistenza assumono forme varie nei diversi casi, ma la resistenza è sempre a tempo definito ed è organizzata su posizioni poco profonde, localizzata sui punti più sensibili, basata prevalentemente sul fuoco a distanza o sull'intervento di unità mobili di riserva, a seconda dei casi. Il numero delle posizioni intermedie (da due a quattro) trova il suo limite ne lla necessità di evitare un eccessivo frazionamento della divis ione e nell'opportunità che uno stesso scaglione non venga impiegato in più di due resistenze. La distanza tra due successive posizioni intermedie deve essere tale da costringere il nemico a montare due attacchi distinti, ma non tanto ampia da impedire di contenere il ripiegamento da una posizione a quella successiva nell'arco di una notte. Una particolare forma di manovra ritardatrice è quella che prevede, consentendolo particolari condizioni di forza, di situazione, di terreno, il ricorso ai distaccamenti di frenaggio, complessi, con elevata capacità di arresto controcarri, da impiegare in cooperazione con masse di manovra, destinate, ques te ultime, a cogliere il nemico di fianco durante la sosta alla quale sia costretto dall'arresto inflittogli frontalmente. I distaccamenti di frenaggio, schierati a cavallo delle vie di comunicazione, costringono l'attaccante ad una
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sosta mediante un impegno frontale; la massa di manovra, schierata al coperto, si lancia arditamente e di sorpresa sui fianchi del nemico; i distaccamenti si disimpegnano durante l'attacco della massa di manovra e vanno ad occupare posizioni successive dalle quali reiterare l 'azione; la massa di manovra, una volta sconvolta la progressione del grosso avversario, si disimpegna a sua volta e raggiunge una nuova zona di raccolta per riorganizzarvisi ed essere in condizioni di intervenire di nuovo. La manovra di ripiegamento tende a recupernre la libertà di azione interponendo spazio fra le opposte forze ed ha lo scopo particolare di portare indietro la divisione su di una posizione retrostante sotto la protezione di un'aliquota delle sue forze. La manovra consta di tre atti tattici fondamentali: la rottura del conta tto, i movimenti retrogradi dei grossi, la protezione dei grossi nel movimento retrogrado. A questo ultimo compito è particolarmente idoneo il reggimento di cavalleria blindata, rinforzato da artiglierie ed appoggiato dall'aviazione, il quale svolge resistenze a carattere temporeggiante entro determinati limiti di terreno e di tempo. A fattor comune di entrambe le manovre - ritardatrice e di ripiegamento -: morale alto, disciplina rigida, capacità manovriera, calma e fermezza dei capi, largo ricorso all'inganno, a ll'ostacolo (posa speditiva di campi minati o almeno di gruppi di mine sparse), alle interruzioni, all 'occultamento, al mascheramento. La circolare sottolinea l'accentuato valore del fuoco controcarri e delle interruzioni e l'importanza della mobilità di cui debbono godere, in entrambe le manovre, tutte le unità che vi partecipano e, in particolare, almeno quelle ripieganti per ultime dalle posizioni intermedie nella manovra ritardatrice e la retroguardia nella m anovra di ripiegamento. La circolare sottintende che il procedimento della manovra ritardatrice con i distaccamenti di frenaggio presuppone la completa mobilità sia dei distaccamenti sia della o delle masse di manovra. Anche nei riguardi della manovra in ritirata la circolare fa più volte riferimento non solo a lla necessità, sempre che possibile, dell'autotrasporto delle unità, ma anche a quella delle disponibilità di unità carriste e di aviazione, sulle quali la seconda guerra mondiale aveva dimostrato che poggia, nelle situazioni spiccatamente fluide, come appunto quelle della manovra in ritirata, il successo dei singoli atti. Dopo un unico paragrafo dedicato a lla divisione di seconda schiera 21 - che può essere impiegata per sostituire una divisione in linea, per scavalcare una divisione in linea e completare il successo, o come riserva in caso di eventi sfavorevo1i - la pubblica-
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zione tratta delle operazioni in montagna, argomento che sotto il solo aspetto difensivo era già stato trattato nella circolare 3000, e delle due unità di normale impiego in montagna: la divisione di fanteria e la brigata alpina. Diversamente dalla pubblicazione del 1936, non fa cenno delle operazioni riguardanti il forzamento e la difesa di corsi d'acqua e dell'azione offensiva e difensiva nei boschi. Circa le operazioni in montagna e l'impiego in tale ambiente della divisione di fanteria e de lla brigata alpina, la 2600 non dice granché di nuovo rispetto alla regolamentazione prebellica 22, ad eccezione dell'articolazione delle forze, le quali, nell'azione offensiva, nell'ambito della divisione di fanteria agiscono s pesso per raggruppamenti tattici, composti dalle unità delle vari.e armi, operanti a cavallo delle dorsali più agevoli e delle zone di facilitazione in fondo valle; nell'ambito della brigata alpina, operano per raggruppamenti o gruppi tattici caratterizzati da grande vari.età di costitu zione, da spiccata autonomia d'azio ne, da diversità di p rocedimenti d'azione. Un'altra novità sono gli accenni all 'azione di nuclei paracadutisti nell'esplorazione e nell 'attacco riferiti alla brigata alpina. D'altra parte, ben poco la seconda gue rra mondiale aveva avuto da dire sulle operazioni in montagna che, fatta salva appunto la novità della manovra di aggiramento verticale a grande od a strello raggio, peraltro limitata, non avevano modificato molto la loro fisionomia. La montagna aveva, infatti, confermato il suo alto valore di zona di ostacolo e di limitazione allo sviluppo delle operazioni proprie della guerra moderna, alle quali aveva negato, peculiarmente in Italia e in Grecia, la possibilità delle rapide rotture della fronte e delle veloci penetrazioni in profondità. I mezzi bellici più moderni vi avevano trovato il maggiore degli ostacoli, in quanto la montagna fraziona e limita l'impiego delle formazioni corazzate, diminuisce notevolmente le possibilità dell'aviazione, rende lenti e difficili i movimenti delle stesse forze appiedate. La 2600 chiude la prima e fondamentale fase della ricostruzione dottrinale dell'esercito. Piena di luci, di ombre e di chiaroscuri, che in parte abbiamo sottolineato, essa segna uno dei passaggi più marcati e significativi nella storia dell'evoluzione della dottrina tattica italiana. Elaborata alla luce delle esperienze italiane ed altrui della seconda guerra mondiale, recepisce di questa molti ammaestramenti, ma non sempre l'interpreta nella loro pienezza, lasciandosi spesso suggestionare dai concetti e dai procedimenti prebellici dai quali a volte si stacca decisamente, a volte ne rimane condizionata. ~ comunque fuori discussione che essa offre della
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divisione di fanteria lineamenti di impiego nuovi e moderni, aderenti alla nuova configurazione della grande unità, alla cui completezza organica manca soprattutto l'unità carrista. La 2600 ricompone, diciamo così, in una visione unitaria ed in un testo unico le varie idee in ordine sparso espresse nei primi anni del periodo postbellico da diversi versanti militari italiani e stranieri. Essa avrà vita breve, perché la presenza sul campo di battaglia dell'arma nucleare tattica obbligherà a rivedere l'intera dottrina d'impiego della divisione di fanteria e l'ordinamento stesso della grande unità, oltre che gli organici delle singole unità costitutive, ma lascerà il suo segno anche nella nuova normativa, indice evidente della validità della circolare stessa sul piano concettuale ed organizzativo del combattimento offensivo e difensivo in ambiente convenzionale. È, infine, da tenere presente che la 2600 non volle essere, nell'intendimento dello stato maggiore dell'esercito, un punto di arrivo definito e Lanlo meno definitivo, ma piuttosto una base di partenza unitaria da cui muovere.:: per sviluppare la problematica che essa poneva su varie questioni quale, ad esempio, quella della cooperazione fanteria-carri che verrà trattata due anni dopo nell'ultima circolare della serie 2000 - la 2700 - conlenente le Norme pe r l'impiego dei reparti carristi nelle G. U. di fante ria 23.
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L'assegnazione organica, o in temporaneo rinforzo, di unità carris te alla divis ione di fante ria - in genere un battaglione carri arma ti - tr ova la sua ragio n d'essere nella necessità di rendere più potente e meno cruenta l'azione della fanteria, di aumenta rne la capacità di fuoco, d'urto e di penetrazione, di accresce rne le possibilità di manovra specialmente contro formazioni similari avversarie. I carri armati opera nti nell'ambito della divisione di fanteria possono trovare impiego sia nell 'azione offensiva che in quella difens iva e particolarmente: in offensiva, nella ricerca e presa di contatto, nell'attacco, nel completamento del successo; in difens iva, nel contrattacco e nella manovra in ritirata. Il bauaglione carri - che può ave re costituzione e armamento analoghi o diversi da quelli dei battaglioni carri delle grandi unità cora zzate, tenuto presente che l'ordinamento su 3 compagnie è il più rispondente perché meglio soddisfa l 'eventua lità del decentramento e che quanto a mezzi i più indicati sono i carri pesanti per il loro
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a rmamento e la loro protezione - può essere impiegato riunito quale elemento di manovra, a ssegnato riunito a una colonna di attacco o ad un raggruppamento tattico, ripartito per aliquote non inferiori alla compagnia fra le colonne di attacco o gli eventuali raggruppamenti o gruppi tattici nei quali la divis ione si articola. In tutti i casi l'impiego delle unità carri ste deve essere offensivo, a massa, di sorpresa, ma i procedimenti mutano sostanzialmente in relazione alla diversità del ruolo (azione di rinforzo o azione pr incipale), all'ambiente ed alle situazioni. al grado di mobilità della fanteria (appiedata e non provvis ta di mezzi cingolati), alla accentuata importanza che assume il fuoco rispetto agli altri due mezzi di azione (movimento e urto) de i carri. La cooperazione con le altre armi - s pecialmente fanteria e artiglieria - s i basa sui concetti ch e: l'assegnazione di reparti carristi non muta la fisionomia de lla divisione di fanteria a lla qua le conferisce solo maggiore capaci tà offensiva o difensiva; l'azione preminente e decisiva è svolta d a lla fanteria; l'azione delle unità carriste s i fonda sulla efficacia e tempestività del fuoco per cui solo in determinate situazion i il movimento e l'urto possono assumere ruolo determinante; le unità carriste debbono essere impiegate a r agion veduta e solo quando s iano state create le premesse per un loro efficace intervento, in quanto esse si logorano rapidamente e vanno pertanto subito sostituite e ritirate dopo ave r adempiuto il compito; i procedimenti di azione delle unità carriste debbono essere esclusivamente s ubordinati a lla situazione ed al terreno, non a schemi pre fissati sulla base del rapporto carri-fanteria. Ques ti, per la 2700, i criteri generali di impiego e di cooperazione. Nell'azione offensiva, esclusa di norma l'assegnazione di unità carriste tra tte d al battaglione organico o in rinforzo ai reparti incaricati dell'azione esplorativa (reggimento di cavalleria blindata), i carri armati possono agire: in rinforzo dell'avanguar dia per ma novrare o contromanovrare; in attacco contro nemico fortemente scosso o schierato su posizioni scarsamente organizzate oppure su posizioni organizzate; nel completamento del successo, dove il battaglione può costituire l'elemento fondamentale della riserva divisiona le. L'unità carrista assegnata a ll'avanguardia gravita sul grosso per avere modo di pre ndere s pazio pe r colpire sul fianco o sul te rgo le resistenze, ed in ques to caso deve avere all'immediato seguito fanteria e pionie ri, che possono essere tras portati anche dagli stessi carri, o di reagire contro attacchi di mezzi similari e in questo caso operano da soli, sostenuti na tura lmente dal fuoco
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dell'artiglieria eventualmente assegnata all'avanguardia. Nell'attacco: nel caso di nemico scarsamente organizzato, spetta alle unità carri creare le premesse migliori per l'impiego proficuo delle fanterie e perciò esse costituiscono il primo scaglione della colonna principale d'attacco e svolgono la loro azione spingendosi in profondità subordinatamente alla capacità di progressione della fanteria, assumendo nel complesso tono e ritmo della fanteria, accentuando le possibilità dell'azione di urto; nel caso di attacco contro nemico organizzato, spetta alla fanteria, in linea di massima, creare le premesse per l'impiego dei carri, tra le quali quella imprescindibile della preventiva apertura di varchi nei campi minati. In questo secondo caso le unità carriste possono, nel dispositivo divisionale: costituire, o concorrere a costituire, il secondo, o il terzo, scaglione di una colonna di attacco; far parte, da soli o con unità di altre armi, della riserva divisionale;_costituire da sole una colonna (meno frequentemente). L'azione carrista si sviluppa variamente mediante l'ausilio di fuoco alla fanteria, l'irruzione nelle brecce aperte da questa, l'attacco movente da basi di partenza diverse da quelle della fanteria, ma sviluppantesi lungo direzioni concomitanti sugli obiettivi. L'azione assume ima delle seguenti forme: attacco fanteria-carri a cavallo di una stessa direzio-
ne, attacco distinto di fanteria e di carri lungo direzioni parallele, attacco distinto di fanteria e di carri condotto lungo direzioni convergenti sull 'o biettivo. Quando terreno e situazione lo permettano, la terza forma, e in via subordinata la seconda, sono preferibili, perché sommano i fattori di potenza della fanteria e dei carri e ne attenuano quelli di debolezza; la terza forma si ha di norma nell'azione svolta da colonne di attacco diverse o dalla riserva divisionale . La dinamica delle tre forme di azione è naturalmente diversa, come diverse sono le modalità di organizzazione e di sviluppo, sulle quali non è superfluo soffermarsi, sia perché è la prima volta che la dottrina tattica ufficiale dell'esercito italiano affronta ed approfondisce il problema della cooperazione fanteriacarri, sia perché la soluzione che ne dà è del tutto originale, non è mutuata, se non in modesta misura, da dottrine straniere e non è neppure frutto di esperienza diretta di guerra in quanto quasi mai le divisioni di fanteria italiane si erano potute avvalere, durante il secondo conflitto mondiale, dell'apporto diretto di unità carri armati medi. L'attacco fanteria-carri a cavallo di una stessa direzione è un attacco per successione di tempi, eseguito nell'ambito di una stessa
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colonna di attacco, quasi sempre quella incaricata dello sforzo principale. Vi si ricorre quando il settore di azione della divisione è ristretto e non offre spazio ad un dispositivo frontalmente esteso e quando è necessario assicurare la persistenza dello sforzo lungo la direzione più importante o redditizia. L'azione è iniziata dalla fanteria (primo scaglione della colonna) che raggiunge il suo obiettivo di attacco con i normali procedimenti, accompagnata, quando possibile ed opportuno, dal fuoco dei carri. L'obiettivo corrisponde a posizioni che segnino il superamento della parte più consistente delle difese attive e passive controcarri o, comunque, a posizioni oltre le quali i carri trovino il terreno a datto a muoversi liberamente. Quando l'obiettivo della fanteria sta pe r essere da questa raggiunto, i carri avanzano e, non appena la fanteria conquista e consolida l'occupazione dell'obiettivo, i carri la scavalcano ed eseguono il loro attacco avanzando s ul loro obiettivo che corrisp onde a quello della colonna. Una volta conquistato il loro obiettivo, i carri non vi si soffermano, eseguono puntale a breve raggio fino a quando non raggiunti dalla fanteria già scavalcata o da a ltra già in terzo scaglione ; poi, una volta so stituiti, raggiungono la nuova zona di raccolta, mentre la fanteria provvede a consolidare la posizione. In sintesi : preventiva azione della fanteria in proprio; successiva azione d ei carri in proprio; conclusiva sostituzione dei carri con fanteria. L 'a ttacco distinto di fanteria e carri lungo direzioni parallele è un attacco in contemporaneità, non in successione di tempi, al quale si ricorre quando sia necessario investire l'organizzazione nemica su di una fronte che comprenda due tratti dis tinti, ciascuno de i quali particola rmente sensibile alle offese dei carri o della fanteria, e sia necessario sfonda re facendo massa con tutti i mezzi disponibili. Anche in questo caso si tratta di un attacco nell'ambito di una stessa direzione , ma è da rilevare la presenza di uno scaglione misto, mentre nel primo caso gli sca glioni sono omogenei . L'azione segu e uno schema più se mplice di quello dell'attacco a cavallo di una stessa direzione, ma poiché è basa ta sulla simultaneità. dell 'azione finale carri e fanteria, in modo da sommare i due effetti, richiede la definizione accurata dello scatto dei carri risp etto a quelo della fanteria oppure l'assegnazione alla fanteria di una base di partenza più avanzata e soprattutto la sce lta di un pe rcor so breve e cioè che l'obiettivo della fanteria in primo scaglione s ia il più ravvicinato possibile. Dopo che un primo scaglione di fanteria supera le prime difese nemiche e crea le premesse per l'impiego dei carri, il secondo
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scaglione misto lo scavalca e con azione parallela - di carri da una parte e di fanteria dall'altra - muove sull'obiettivo, attenendosi i carri al procedimento dell'alternanza fuoco e movimento nell'interno delle compagnie. In sintesi: preventivo impiego di fanteria da sola; successiva azione in coppia della fanteria e dei carri. L'attacco distinto di fanteria e carri lungo direzioni convergenti sull'obiettivo è un attacco non più nell'ambito di una colonna, ma ne l quadro complessivo della divisione, in quanto riguarda essenzialmente l'impiego della riserva o, quanto meno, la cooperazione tra colonne diverse, di cui una di carri. Vi si ricorre quando si voglia impiegare la riserva divisionale lungo una direzione diversa da quelle delle colonne o, per scavalcamento, lungo una direzione già utilizzata da una colonna che abbia esaurito la capacità offensiva, o quando si voglia concentrare la massa degli sforzi su di un unico obiettivo, realizzando un reciproco concorso di fuoco particolarmente aderente, data l'incidenza delle direzioni, e distraendo per contro eccentricamente aliquote delle difese nemiche. È un'azione che si conclude a tenaglia, <li cui una branca è costituita da una colonna di fanteria, l'altra dalla riserva divisionale o da altra colonna costituita solo da carri. L'azione tende, dunque, a portare la massa dei carri possibilmente contro uno Jei fianchi della posizione nemica già investita frontalmente da una o due colonne composte, esclusivamente o prevalentemente, di fanteria. I carri, in sintesi, agiscono: con il fuoco dei pezzi contro gli elementi più pericolosi (armi controcarri) a mano a mano che si svelano; con il fuoco delle mitragliatrici, movimento durante, contro le fanterie nemiche; con l'urto finale. Nell'azione difensiva, astrazione fatta dalla manovra in ritirata, il battaglione carri armati, in ossequio al criterio d'impiego offensivo della unità, non può che far parte della riserva divisionale per concorrere al contrattacco. Il battaglione perciò può essere impiegato: o come facente parte di un complesso tattico battaglioni di fanteria-reggimento di cavalleria blindata costituente la riserva e di previsto impiego unitario; o come aliquota di manovra della riserva da impiegare in concorso con altra aliquota di fanteria e/o di cavalleria blindata. Il contrattacco può essere diretto a riconquistare posizioni perdute-(caposaldi) o ad eliminare penetrazioni profonde. Il contrattacco può svolgersi o lungo una direzione unica o due direzioni convergenti sul fianco o sui fianchi del dispositivo avversario (si attua, in genere, per la riconquista di posizioni perdute) oppure per direzioni diverse su obiettivi disposti in piani di diversa
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profondità (si attua, in genere, per eliminare una penetrazione incuneatasi tra i caposaldi). Nel primo caso, si ha un impiego concentrato di forze riunite, moventi su di una direzione unica, con un obiettivo territoriale e l'azione presenta caratteristiche analoghe a quelle dell' attacco e si sviluppa secondo una delle forme già esaminate. Nel secondo caso, non si tratta di rioccupare un obiettivo territoriale, ma di distruggere, annientare, forze nemiche, il che comporta non già di eseguire uno sforzo in profondità, ma di c reare concentricamente la massa sul nemico. L'aliquota della riserva costituita dalla fanteria contrattacca in corrispondenza della parte più avanzata del cuneo della penetrazione avversaria, il battaglione carri contrattacca, con azione di aggiramento, la base della stessa penetrazione per reciderla e annientare il nemico incapsulato. Quanto detto a proposit o dell'impiego del battaglione carri nell'ambito della riserva di una divisione di fanteria in difesa s u fronti normali, vale anche nel caso che la divisione sia schierata in difesa su fronti ampie, situazione nella quaJe la maggiore disponibilità di spazio favorisce di più la manovra dei carri e consente di utilizzare alcuni schemi propri delle minori unità corazzate. Nella manovra in ritirata il battaglione carri trova impiego proficuo sia che essa assuma la forma di manovra ritardatrice sia che assuma quella di manovra di ripiegamento. Nella prima può essere impiegato riunito o per aliquote: normalmente in rinforzo alla fanteria dello scaglione avanzato per facilitarne, eventualmente con puntate offensive, il tempestivo sganciamento e proteggerne il ripiegamento; in via eccezionale, in rinforzo al reggimento di cavalleria bl indata nei combattimenti temporeggianti nell'interspazio tra due posizioni successive. Nella manovra ritardatrice per distaccamenti di frenaggio, il battaglione è il naturale elemento costitutivo delle masse di manovra. Nella manovra di ripiegamento, il battaglione carri è impiegato generalmente riunito: normalmente, in rin.forzo a lla retroguardia di cui rappresenta l'elemento di manovra e di forza; in via eccezionale, in rinforzo al reggimento di cavalleria blindata incaricato di assicurare la protezione dei grossi mediante le resistenze a carattere temporeggiante. Nella manovra di ripiegamento, il battaglione carri può essere impiegato anche in un eventuale contrattacco che si renda necessario per favorire la roLlura iniziale del contatto del grosso della div;sione. Lo scarto di velocità tattica esistente tra le unità di fanteria e quelle carriste non era stato d 'impedimento, durante la seconda guerra mondiale, all'impiego congiunto dei due tipi di unità e gli eserciti inglese e sovietico, in particolare, vi avevano fatto normai-
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mente ricorso, sia in offensiva sia in difensiva, su tutti i terreni ed in tutte le situazioni che avevano consentito il movimento dei carri. Non poco aveva pesato sui gruppi di combattimento italiani, durante la guerra di liberazione, l'assenza di unità carriste, nonostante che i terreni di azione avrebbero posto forti limitazioni all'impiego dei carri e ne avrebbero ridotto al minimo, il più delle volte, le possibilità di manovra. Non c'era esercito, alla fine della seconda guerra mondiale, che non fosse convinto della necessità della presenza dei carri armati nel combattimento della fanteria, quali elementi aggiuntivi di potenza e di manovra. La circolare 2700, sebbene non fosse ancora possibile l'assegnazione organica di un battaglione carri alla divisione di fanteria per indisponibilità di carri, avendo lo stato maggiore considerata prioritaria la costituzione <li tre divisioni corazzate, dà egualmente per scontata tale assegnazione, quasi a significare che la divisione di fanteria senza carri armati sui terreni che ne consentano l'impiego, ancorché limitato, risulterebbe una grande unità monca, con potenza di fuoco e con capacità di manovra assai ridotte. La pubblicazione, infatti, assegna al battaglione carri della divisione di fanteria, pur non rinunziando a quella della manovra, la funzione preminente di fuoco che avanza e distrugge, avvalendosi della protezione della corazza. La esigenza del combattimento della grande unità non muta, rimane impostata sul trinomio fanteria-artiglieria-genio, ma i carri armati hanno il cannone e si muovono rapidamente e non mancano occasioni e momenti, durante il combattimento della fanteria, nei quali si aprono spiragli alla libertà d'azione che sarebbe delittuoso lasciarsi sfuggire. I criteri ed i procedimenti definiti dalla 2700 integrano e completano i lineamenti d'impiego della divisione di fanteria tracciati dalla 2600 e, conferendo normalità all'impiego delle unità carriste nell'ambito della divisione di fanteria, segnano uno dei passi più importanti e decisivi dell'evoluzione della dottrina tattica dell'esercito italiano.
7. Un'altra pubblicazione fondamentale nella ricostruzione dottrinale fu la circolare 1800 - Norme d'impiego della divisione corazzata 24 - edita nel 1952, che fece seguito alla 2700 che abbiamo sopra illustrato. Due anni prima era apparso sulla Rivista militare un ampio e approfondito studio - Carri armati e unità corazzate 25 - del generale Giorgio Liuzzi 26 che nell'ottobre del
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1954 assumerà la carica di capo di stato maggiore dell'esercito in sostituzione del generale Giuseppe Pizzorno 27. Il generale Liuzzi, dopo una breve storia del carro armato e delle unità corazzate e la illustrazione delle caratteristiche dei carri e dei semoventi in servizio in quegli anni, tratta magistralmente, nel suo studio, l'impiego delle unità carriste, sia nel quadro della cooperazione con quelle di fanteria nell'ambito della divisione di fanteria, sia in quello della combinazione con le unità meccanizzate nell'ambito della divisione corazzata. Lo studio del generale Liuzzi, dal quale trarranno materia le successive pubblicazioni ufficiali a firma dei generali Efisio Marras 28 o Ernesto Cappa 29, che furono i capi di s tato maggiore artefici della ricostruzione ordinativa e dottrinale dell'esercito, non solo è senza precedenti nella storia del pens ie ro militare italiano in materia di carri armati e d ' impiego delle unità carriste e corazzate, m a dopo 34 anni resta insuperato pe r chiarezza e semplicità dei concetti, originalità di contenuto, concretezza degli ammaestramenti tratti dalle e sperienze di guerra tedesche, anglo-americane, sovietiche più che da quelle italiane, essendo state queste ultime assai limitate, acquisite quasi esclusivamente in Africa settentrionale, arrestatesi al 1943 e in più tratte dall ' impiego di mezzi di insufficiente prestazione e s uperati rispetto a quelli degli a ltri eserciti . Uno studio elaborato ieri, che sembra scritto oggi e che, a rileggerlo. domani, non avrà perso nulla della sua validità e della sua attualità, che rimarranno integre fino a quando i carri armati e le unità corazzate conserveranno un loro ruolo sul campo di battaglia. Per apprezzarne il grande valore, va tenuto particolarmente presente che molti concetti e criteri del generale Liuzzi risultano oggi quasi ovvi e di comune accezione, ma allora non lo erano affatto. Essi non solo, in mancanza di una dottrina ufficiale, valsero a porne le valide premesse, m a anticiparono le concezioni di molti illus tri scrittori militari stranie ri, che nel 1950 non avevano ancora divulgato le loro idee sulla fisionomia e sulle possibilità di azione delle unità carriste del periodo postbellico. Che cosa dice in sostanza il generale Liuzzi? Egli dà per scontato, quasi sotto forma di massime , che: l'impiego del carro trova limitazioni nella natura del terreno, aspetto particolarmente importante per la penisola italiana; i carri non possono agire da soli perché incapaci di decidere le sorti del combattimento; i carri e le grandi unità corazzate sono s trumenti dell'azione offensiva e agiscono di nonna con procedimenti offensivi anche quando costretti temporaneamente ad atteggiamento difensivo; le unità corazzate hanno bisogno della costante e diretta cooperazione dell'avia-
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zione; i carri sono diventati molto vulnerabili non solo da parte dell'aviazione - l'offesa aerea fa capitolo a sé - ma di tutti i mezzi di reazione di cui dispone la difesa (schieramenti di armi controcarri: cannoni con o senza rinculo, lanciabombe con proietti a razzo o normali, ostacoli artificiali e particolarmente mine); il carro odierno - vero gioiello della tecnica, mirabile sintesi di armi, corazza ed organi motori e di rotolamento - si vale dei tradizionali mezzi di azione della fanteria (fuoco, movimento, urto), ma mentre l'urto è diventato anche per i carri un atto eventuale ed episodico, è il fuoco ad avere acquistato il ruolo determinante, tanto che si potrebbe dire che il carro armato è un veicolo cingolato e corazzato, munito di un pezzo di artiglieria e di mitragliatrici sussidiarie, che attacca e distrugge il nemico col fuoco portato alle più brevi distanze e opportunamente manovrato. Tutto ciò era già noto, anche se non poche erano tuttallora le nostalgie per le vecchie concezioni. ma il generale Liuzzi lo richiama alla memoria per trarne tre importanti deduzioni: i carristi, oltre che abili piloti e<l esperti macchinisti, debbono essere cannonieri provetti; le formazioni carriste, a determinate distanze di tiro, devono, con le unità di fanteria, aprire il fuoco e cominciare ad alternare, nel proprio ambito, il fuoco con il movimento; l'incremento d'importanza dell'azione di fuoco accentua la necessità dell'articolazione delle formazioni, dell'ampiezza degli intervali. Tratta poi della cooperazione fanteria-carri anticipando molti dei criteri e dei procedimenti che abbiamo trovato nella circolare 2700 già esaminata e passa successivamente a tracciare il quadro ordinativo e d'impiego delle grandi unità corazzate, premettendo un breve excursus sulla terminologia, con la conclusione che il termine grande unità meccanizzata è troppo generico ed imperfetto e va perciò eliminato e quello di grande unità motocorazzata può essere mantenuto, purché riferito ad un corpo d 'armata costituito da una divisione corazzata e da una o due divisioni motorizzate, mentre il termine di grande unità corazzata deve riferirsi ad una divisione o brigata in cui tutte le unità costitutive, non solo le carriste, debbono essere dotate di veicoli cingolati e corazzati che abbiano caratteristiche e prestazioni pressoché identiche a quelle dei carri. La grande unità corazzata: agisce essenzialmente con il fuoco e con la manovra e non è idonea alla rottura; i suoi compiti sono: lo sfruttamento del successo, la controffensiva o il contrattacco contro il nemico che avanza; il combattimento contro unità similare. È in questi compiti che la grande unità può sfruttare al massimo la sua capacità di movimen-
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to e di fµoco, senza escludere che essa possa essere impiegata con successo, in casi di bisogno, per altre missioni, quali l'occupazione preventiva di località importanti, l'azione offensiva contro nemico debolmente organizzato a difesa, la protezione del ripiegamento di grandi unità di fanteria e infine, quando proprio non sia disponibile alcun altro elemento a cui ricorrere per tamponare una grave falla, l'azione difensiva temporanea. Due le forme d'impiego escluse assolutamente dal generale Liuzzi: l'azione offensiva contro nemico saldamente organizzato a difesa, l'azione difensiva a fondo per il mantenimento ad oltranza di un determinato settore. Nel delineare la fisionomia della grande unità corazzata, il generale Liuzzi osserva, in primo luogo, che le unità delle varie armi devono essere dosate in base alle esigenze d'impiego, che si traducono in esigenze di cooperazione con i carri da parte di tutte le altre armi. Sulla base delle esperienze belliche, il generale Liuz.zi ritiene che ad ogni battaglione carri debbano corrispondere, all'ingrosso, uno squadrone di cavalleria, un battaglione di fanteria corazzata, un gruppo di artiglieria da campagna semovente (più un'aliquota di artiglieria contraerei, più possibilmente un gruppo per l'interdizione lontana e la controbatteria, più eventualmente un'aliquota di semoventi controcarri), una compagnia di pionieri. Nell'ambito della grande unità debbono, inoltre, essere presenti: un reparto per i collegamenti, elementi dei servizi, un reparto di aeroplani e/o di elicotteri per l'adempimento della esplorazione a breve raggio e dell'osservazione che corrispondono ad una necessità stretta e continua per i corazzati. Le unità carriste costituiscono l'elemento caratteristico e deteminante e hanno la capacità d ' intervenire efficacemente anche se le altre armi hanno subito perdite sensibili; senza di esse la grande unità rimarrebbe come un corpo senza scheletro; ciò non vuol dire che non vi siano fasi, di solito preliminari a quella finale e decisiva, in cui i carri non siano gli attori principali o in cui non sia addirittura sconsigliabile impiegarli lasciando alla fanteria ed ai pionieri, con la cooperazione dell'artiglieria, il compito del combattimento. La cavalleria ha come compito essenziale l 'esplorazione e secondari la s icurezza sul fianco e sul tergo ed il collegamento fra le colonne. L' artiglieria corazzata ha gli stessi compiti di quella non corazzata delle divisioni di fanteria, essa deve avere una ben più spiccata capacità ad adattarsi ad improvvisi cambiamenti della situazione e conseguentemente deve adottare procedimenti tecnici improntati alla massima celerità d'intervento. Accentrata tutte le volte che possibi-
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le, va decentrata senza esitazione allorché le esigenze del movimento e l'ampiezza del dispositivo rendano impossibile o solo inoperante l'accentramento. I pionieri adempiono compiti non dissimili da quelli dei pionieri delle divisioni di fanteria, ma che si differenziano per la maggiore celerità con i quali vanno adempiuti: posa o rimozione delle mine, gittamento o riattamento dei ponti, adattamento degli itinerari, superamento o creazione di interruzioni e di demolizioni. I pionieri corazzati debbono essere dotati di materiali e di attrezzature in gran parte meccaniche, rispondenti a tale rapidità di effettuazione dei vari lavori. Il reparto collegamenti deve essere in grado di risolvere i non pochi né lievi problemi posti dalla velocità operativa della grande unità, la cui rete di collegamenti è essenzialmente basata - durante la lotta - esclusivamente sui mezzi radio. La fanteria corazzata deve preparare, agevolare, integrare l'azione dei carri. I compiti della fanteria corazzata sono: in primo luogo, l'organizzazione a difesa e la resistenza delle posizioni da mantenere temporaneamente, il servizio di sicurezza in movimento ed in sosta, la protezione dello schieramento di artiglieria, la protezione dell'attacco dei carri mediante l'azione fiancheggiante (anche offensiva), la costituzione di perni fissi di manovra mediante l'organizzazione di caposaldi controcarri per agevolare l'azione dei carri contro unità similari; in secondo luogo, la conquista di località per costituire od integrare la posizione di partenza dell'attacco carrista, le azioni preliminari per aprire i varchi nei campi minati e per effettuare il passaggio di altri ostacoli (in cooperazione con l'artiglieria ed il genio pionieri), l'attacco concomitante con quello dei carri tendente ad un obiettivo dive rso da quello dei carri oppure allo stesso obiettivo, ma con diversa base di partenza e diversa direzione. L'attacco congiunto di uno stesso obiettivo da parte del binomio carri armati-fanteria corazzata, appartenenti al medesimo scaglione oppure costituenti scaglioni successivi, comporta per la fanteria corazzata, quando ques ta preceda i carri, di attaccare e conquistare l'obiettivo giovandosi anche dell'accompagnamento dei carri; quando è preceduta dai carri, di difendere i carri dalle offese vicine e di integrare il successo dell 'attacco carrista giungendo sull'obiettivo al seguito immediato dei carri, rastrellandolo, consolidandolo ed assicurandone il possesso. Il caso dell'attacco in stretta e diretta cooperazione di carri e di fanteria corazzata (bersaglieri) presenta una certa somiglianza con quello della cooperazione fanteria-carri nella divisione di fanteria, ma non identità, perché mentre la fanteria
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manovra a piedi, la fanteria corazzata deve valersi il più possibile dei veicoli cingolati e blindati e imprimere alla sua azione il ritmo di quella dei carri. Carri avanti o bersaglieri avanti? Il generale Liuzzi ritiene normali entrambi i procedimenti, anche se sarebbe desiderabile che i carri precedessero per esaltare e sfruttare al massimo le caratteristiche dei mezzi e lo spirito aggressivo proprio dei corazzati. È la valutazione del caso concreto ad indicare, di volta in volta, la soluzione; l'importante è che si sia addestrati in entrambe le forme di combattimento e si sia pronti, anche azione durante (naturalmente prima di giungere ai ferri corti con il nemico), a passare dall'uno all'altro dispositivo, mediante l' inversione della posizione reciproca, qualora ciò sia imposto o consigliato da una nuova situazione. Ed è proprio trattando della grande importanza da attribuire alla flessibilità dei dispositivi ed all'elasticità dei procedime nti ch e il generale Liuzzi chiude il discorso tattico, al quale seguono pochissimi cenni in materia logi stica e d 'impiego della divisione nel quadro strategico. Idee chiare e decisione sì; ma nessun rigido schema. Il comandante di una grande unità corazzata può trovarsi in casi molto diversi l'uno dall'altro. Può, ad esempio, trovarsi, in qualche circostanza, a dover impiegare le s ue forze a massa e con compiti distinti per arma, anche se concomitanti, allo scopo di poter lanciare, nel momento decisivo, la totalità dei carri contro l'avversario; in altri casi, deve articolare le forze in raggruppamenti tattici; in altri ancora, può essere indotto ad adottare procedimenti che a tutta prima possono sembrare strani e poco ortodossi, quale ad esempio il rinforzo, sia pure in via eccezionale e temporanea, dell'artiglieria con aliquote di carri e di semoventi controcarri. Alla duplice esigenza della flessibilità e dell'elasticità si aggiunge quella dell'intima conoscenza reciproca e della stretta cooperazione non solo tra carri e fanteria corazzata, ma fra tutte le armi della grande unità: carri, fanteria, artiglieria, genio. Conoscenza e cooperazione che affondano le radici nello spirito dei corazzati e si realizzano mediante l'addestramento, un concetto sul quale il generale Liuzzi torna spesso nel suo elaborato. Circa i servizi della grande unità corazzata occorre seguire il criterio di conciliare la leggerezza necessaria alla m anovra rapida e brillante con l'autonomia richiesta da l grande numero di mezzi a motore e dall'ampiezza degli sforzi e delle distanze be n maggiori di quelli della divisione di fanteria. Occorre perciò che la divisione corazzata abbia in proprio quanto necessario per alimentare gli uomini e raccogliere curare
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sgomberare i feriti e quanto necessario per rifornirsi a sufficienza di carburanti e di munizioni e per recuperare e riparare i mezzi nelle più svariate situazioni tattiche. Larga e solida base logistica, dunque, perché la grande unità possa spiccare il volo per le più ardite manovre che sono la sua particolarità, in ogni situazione e specialmente quando opera nel quadro del Corpo corazzato, come lo designa il generale Liuzzi. Questi sostiene che in rapporto a quanto messo in evidenza circa la cooperazione fanteria-carri si potrebbe dire, con larga similitudine, che la divisione motorizzata sta alla divisione corazzata come la fanteria sta ai carri. In via di massima, cioè, allorquando occorra attaccare nemico saldamente organizzato a difesa, conviene lanciare all'attacco le divisioni motorizzate e tenere in riserva le grandi unità corazzate; quando invece non sia prevedibile una forte reazione avversaria, conviene spingere avanti la grande unità corazzata e farla seguire dalla divisione motorizzata, incaricata di integrare, perfezionare e consolidare il successo. Nell'azione difensiva le unità motorizzate vanno _prevalentemente impiegate per la resistenza, quelle corazzate per la reazione controffensiva. Il generale Liuzzi chiude l'intervento con queste parole : Ritengo che applicando questi criteri largamente orientativi - coi
quali non pretendo di aver scoperto alcunché di nuovo o di sostanziale - si possa ottenere dal Corpo motocorazzato i migliori risultati non solo nel campo lattico, ma talora, come già accennato, anche nel campo strategico. Resta il fatto che la grande unità corazzata o operi nell'ambiente strategico a grande respiro od in que llo ristretto della tattica, è, nella concezione del generale Liuzzi, una grande unità speciale, costituita da specialità, in seno alla quale le unità carriste svolgono il ruolo principale. La divisione opera con una tattica mutevole e con dispositivi non meno mutevoli, ma sempre sulla base del concetto della manovra, sia nell'offens iva sia nella difensiva, s ia sul piano strategico che sul piano tattico, ed in questo ultimo fino ai minori livelli de lle formazioni, delle quali il raggruppamento tattico, il gruppo tattico, il complesso minore misto sono le pedine più ricorrenti.
8. La circolare 1800, che di fatto sostituì la 18 000 del 1941 30, traduce in Norme d'impiego gli orientamenti dello studio del generale Liuzzi, li amplia, li specifica, li localizza e dà loro la veste
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ufficiale del regolamento di impiego, la pubblicazione che contempla cioè in modo particolareggiato criteri e procedimenti di azione. Meraviglia che la pubblicazione sia stata denominata norme in luogo di lineamenti, com'era stato fatto per la divisione di fanteria, maggiormente perché la grande unità corazzata è, ancora meno di quella di fanteria, legata a schemi e moduli e, conseguentemente, a regole e modelli di adeguamento, come del resto si legge nella premessa: «Le norme si riferiscono a casi medi tipici ... le situazioni in cui (la divisione) può operare presentano una estesa gamma di varietà ... le norme hanno carattere orientativo e debbono essere plasmate di volta in volta con elasticità alla situazione contingente». Circa i principi generali d'impiego, la costituzione, le caratteristiche, i compiti degli elementi costitutivi della divisione corazzata, la 1800 non si discosta da quelli già riferiti dallo studio del generale Liuzzi. L'impiego deve essere o/ fensivo, a massa, di sorpresa, manovrato, con sfruttamento massimo della pote nza e della mobilità. Fuoco e mobilità sono i principali mezzi di azione e perciò, finché poss ibile, occorre evitare l'impiego delle unità corazzate di notte, nella nebbia e in tutte le situazioni che non permettano di sfruttarne l'attitudine al movimento. L'azione notturna, nondimeno, può rendersi conveniente ai fini della sorpresa quando vi sia disponibilità di attrezzature a raggi infrarossi, di terreni facili e di chiarore lunare, ecc .. Sfavorevoli condizioni di visibilità, terreno accidentato, ostacoli naturali ed artificiali, armi controcarri specialmente quelle a carica cava, aerei: sono tutti elementi che limitano ed ostacolano l'impiego dei carri, anche se il perfetto addestramento ed il sano ardire del personale possono ridurre tali vincoli. ma non sopprimere quelli del terreno e della nulla vis ibilità. Risaie, torbiere, paludi, boschi, fossati di lunghezza eccedente i 4 ...,.. 5 m, pendenze superiori ai 45°, ecc. rappresentano ostacoli insormontabili. Obiettivo del combattimento delle unità corazzate è l 'annientamento del nemico, che si consegue con azioni di penetrazione e di manovra. La loro mobilità le rende idonee,più delle altre unità, a evitare l'attacco frontale, ad aggirare il nemico e a colpirlo sul tergo. Le unità costitutive della divisione - un reggimento carri, un reggimento bersaglieri, due reggimenti di artiglieria comprendenti gruppi da campagna, controcarri e contraerei, un gruppo di cavalleria blindata, una compagnia genio pionieri, una compagnia collegamenti, unità dei servizi - rappresentano un tutto armonico ed equilibrato, per cui la divisione è unità tattica inscindibile che, di massima, opera come tale nel quadro dell'arma-
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ta, eventualmente del corpo d 'armata, ma può essere impiegata anche isolata o può far parte di unità superiori raggruppanti altre grandi unità corazzate e/o motorizzate. Nella considerazione che la potenza della divisione si esplica soprattutto nell'attacco, che essa è moltiplicata dalle possibilità di manovra, che potenza e mobilità sono le caratteristiche principali della divisione corazzata, questa non è idonea a rompere sistemazioni difensive fortemente organizzate, bensì a irrompere attraverso le brecce aperte da altri reparti, dilagare e eliminare gli elementi ritardatori. Essa rappresenta soprattutto l'elemento destinato a risolvere le fasi conclusive d ella battaglia offensiva o difensiva e pertanto s fruttam ento del successo e contro/ fen siva costituiscono le forme d'impiego più caratteristiche, oltre quella <lei combattimento d'incontro con unità similari. In tutti i casi le è essenziale il concorso dell' aviazione. Nel senso della fronte, la divisione s i articola in colon ne d'attacco o in raggruppamenti (o gruppi) tattici, rispettivamente a seconda ch e l'azione c he la divisione conduce sia un'azione unitaria contro un unico obiettivo lungo direttrici parallele o convergenti oppure che la divisione attacchi su ampia fronte in un settore d 'azione che su peri i 5 + 6 km o che ag isca nell' inseguimento o nella manovra in ritirata. Nel senso della profondità la divisione dà vita agli scaglioni che possono essere misti (carristi e bersaglieri) od omogenei (soli carristi o solo ber saglieri). Nell'attacco gli scaglioni hanno le stesse funzioni di quelle della divisione di fanteria: attacco iniziale, alimenta zione dell 'attacco, riserva. L'elem ento di forza della divisione sono le unità carri, la c u i azione è sempre offensiva (attacco o con trattacco) ed il c ui mezzo preminente è il fu oco, mentre l'urto non può essere concepito ch e come atto finale, episodico, preparato e accompagnato dal fuoco. I reparti carristi, di norma, adottano per· l'azione uno schieramento: per linea per i minori reparti, fino a lla compagnia compresa; pe r ala e per linea per il battaglione. Nell'avanzata movimento e fuoco si fondono e nell 'ambito della minore unità d'impiego, la compagnia, l'azione è caratterizzata dal coordinamento degli sforzi (fuoco e movimento) dei plotoni carrist i e dall 'impiego del fuoco di accompagnamento dei carri da 105/22 d el plotone comando. L'armamento dei carri non era ancora monocalibro e le b occh e <li fuoco di c ui erano armati svolgevano azione di accompagnamento e di arresto (75/37, 105/22) e azioni controcarri (76/55, 76/52). I bersaglieri agiscono, in attacco e in difesa, con i carri e per i carri; i carri da soli non sono normalmente in grado di risolve re il combattimento. Compiti offensivi <lei b ersaglieri sono:
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occupazione preventiva di località; costituzione, con il concorso dell'artiglieria e del genio, di teste di ponte; attacco in stretta cooperazione con i carri quale parte integrante di uno stesso scaglione; concorso ai pionieri del genio nell'apertura dei varchi e azione tendente ad assicurare il successivo attraversamento dei varchi da parte dei carri; consolidamento e rastrellamento degli obiettivi; azioni particolari negli abitati, nei boschi, ecc. I compiti difensivi sono: concorso alla sicurezza (avanguardia, retroguardia, avamposti); difesa di una posizione; costituzione, o concorso alla costituzione, di caposaldi controcarri; azione fiancheggiante, con procedimenti offensivi o difensivi, a protezione di un attacco carrista; concorso al ripiegamento. L'inserimento in uno scaglione d'attacco, la costituzione dei caposaldi controcarri, il concorso alla sicurezza sono i compiti maggiormente ricorrenti. Generalmente i bersaglieri combattono appiedati, ma l'appiedamento deve essere differito il più possibile e non mancano occasioni in cui i bersaglieri pussuuu cumbaltere con successo dagli slessi mezzi
cingolati. La cavalleria blindata effettua l'esplorazione tattica terrestre di massima alle dipendenze del comandante della divisione, anche nel caso che questa agisca per raggruppamenti o gruppi tattici. Esplora e riconosce il .terreno, ma, diversamente da quanto avviene per le grandi unità di fanteria a piedi, motorizzate, autoportate, non fornisce sicurezza diretta. L'artiglieria, tutta dotata di pezzi semoventi - eccezione fatta per il gruppo contraerei - svolge i compiti propri dell'artiglieria divisionale ed il suo impegno si sviluppa nel quadro di un'intima cooperazione con le unità carriste e con quelle bersaglieri. Elasticità e rapidità d' intervento consentite dai mezzi si traducono nella capacità di passare rapidamente dall'impiego decentrato (fasi del combattimento fluido) a quello accentrato, di passare dall' una all'altra azione di fuoco, di mutare celermente lo schieramento, di aprire con immediatezza il fuoco. Le azioni normali sono: l'appoggio - a percussione ed eventualmente a tempo - , l'appoggio a ombrello, lo sbarramento, l'interdizione vicina, l'azione controcarri; quelle eventuali: la preparazione, la controbatteria, la repressione. L'artiglieria batte gli obiettivi che non possono essere neutralizzati dai carri; nell'offensiva: pezzi controcarri, centri di fuoco attivi, carri avversari; nell'azione difensiva: formazioni nemiche che avanzano verso le posizioni tenute dai bersaglieri, fatta salva la necessità del pronto spostamento del tiro contro i mezzi corazzati avversari od a favore della contromanovra delle proprie
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unità carriste. Contemporaneamente all'azione normale di appoggio, l'artiglieria può svolgere l'azione di appoggio ad ombrello, mediante la creazione di cortine a tempo sulla verticale dei carri più avanzati e con un'altezza di scoppio tale da non danneggiare i propri carri. Il genio pionieri ha il compito generico di facilitare la mobilità della divisione e di ostacolare i movimenti del nemico: lavori di viabilità, ricognizioni e apertura di varchi, messa in opera di campi minati, interruzioni, lavori difensivi, distruzioni. La compagnia è spesso decentrata per plotoni. Criteri d'impiego dei mezzi di collegamento: rispetto delle norme di procedura; uso generalizzato dei codici o silenzio radio nelle soste; azione durante, uso dei codici nelle zone arretrate di schieramento, messaggi in chiaro o in codice nella zona avanzata. La compagnia collegamenti assicura le trasmissioni del comando della divisione con i comandi operativi dipendenti, gli aerei cooperanti, i comandi laterali, il comando superiore, e il funzio namento della rete informativa e di quella logistica. Aerei leggeri ed elicotteri controllano dall'alto il movimento, svolgono osservµzione locale, collegano i raggruppamenti se molto intervallati, sorvegliano gli spazi vuoti, portano ordini e messaggi, effettuanp piccoli rifornimenti, evacuano feriti. Le attività essenziali in fatto di servizi sono il rifornimento di carburanti e lubrificanti, munizioni, viveri ed eventualmente di acqua, lo sgombero dei feriti, il recupero e la riparazione dei mezzi. Il rifornimento carburanti assume importanza preminente perché il movimento costituisce presupposto imprescindibile della capacità operativa della divisione. Nel quarto capitolo, la circolare 1800 elenca i compiti de lla divisione distiguendo quelli normali da quelli eventuali e da quelli eccezionali. I primi sono: sfruttare il successo mediante l'inseguimento, svolgere un' azione controffensiva, attaccare formazioni similari, a ttaccare di sorpresa unità avve rsarie in avvicinamento, penetrare su larga fronte nel dispositivo di un avversario scosso e minorato moralmente, assicurare la protezione del ripiegamento di grandi unità superiori. I compiti eventuali sono: attaccare un nemico debolmente organizzato, ottenere la decisione di una battaglia facendo massa su di un punto sensibile e debole, effettuare l'occupazione preventiva di settori importanti decisivi per l'ulteriore svolgimento della battaglia, sbloccare importanti posizioni accerchiate, cooperare con aviotruppe e truppe aerotrasportate. Compiti eccezionali: condurre un attacco contro posizioni organizzate, sostenere la difesa ad oltranza di posizioni,
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effettuare il forzamento di un corso d'acqua, provvedere alla difesa di un corso d'acqua. Le forme dell'azione, pur nella loro molteplicità, si riducono a quattro: attacco in terreno libero e contro posizioni scarsamente organizzate, attacco contro nemico in posizione, combattimento contro unità similari, inseguimento. Avremmo potuto fare a meno di riassumere i primi quattro capitoli della circolare e limitarci a riportare il quinto, quello cioè riguardante i compiti e le forme dell'azione, perché in essi non c'è nulla di diverso, se non la precisazione di molte modalità, di quanto non fosse già contenuto nello studio del generale Liuzzi. Due i motivi principali della ripetizione: alla circolare J 800 del J952 dovremo in seguito tornare a fare riferimento in sede comparativa, quando esamineremo le successive elaborazioni della materia; continuare a seguire il metodo assunto come guida, dando cioè delle pubblicazioni tattiche fondamentali, in particolare di quelle che contraddistinguono i momenti più significativi dell'evoluzione dottrinale, un'immagine il più possibile compiuta, pur nella consapevolezza che un'arida e densa esposizione di un regolamento non è certo allettante e piacevole, specialmente di un regolamento superato, Ma dottrina e ordinamenti non procedono per salti, si succedono invece nella loro progressione secondo un processo di sviluppo logico e conseguenziale, graduale e ordinato - anche se talvolta turbato da ritorni involutivi - le cui sequenze costuiscono, ciascuna, anelli di congiunzione obbligata. D'altra parte, il discorso sui corazzati, non nuovo nella regolamentazione tattica italiana, ma fino a prima della 2600 e della 1800 assai ristretto e di corto respiro, nel periodo postbellico diventa ampio, approfondito e prioritario, ed assumerà gradatamente dimensioni sempre m a ggiori e globali in conseguenza della sempre più consistente immissione di unità carri nella divisione di fanteria e della totale meccanizzazione della fanteria nell'ambito di questa grande unità. C'è, infine , un altro motivo: in materia di dottrina tattica dei corazzati , lo stato maggiore dell'esercito italiano, malgrado la scarsa esperienza diretta fatta in guerra, se non il primo, fu tra i primi nel dopoguerra, comunque con anticipo rispetto a molti altri, ad inquadrare nel piano dottrinale, entro limiti molto realistici, l'impiego delle grandi unità corazzate e delle unità minori carriste, dando peraltro per certo che in futuro sarebbe stato irripetibile: per le prime, l'impiego fattone dai tedeschi nella prima fase della gue rra e dagli anglo-americani nella fase successiva allo sbarco in Normandia; per le seconde, sarebbe stato necessario rivedere i criteri e le
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modalità d'azione nei riguardi della cooperazione sia con la fanteria che con la fanteria corazzata. Permane, è vero, nella dottrina italiana che stiamo esaminando il principio dell'inscindibilità tattica della divisione corazzata e del suo impiego massivo per colonne in un settore di azione di 5-6 km, assai ristretto per dare vita ad una manovra tattica a largo respiro, quale deve essere la manovra di una divisione corazzata, ma l'ipotesi di un impiego siffatto è in pratica relegata in secondo piano dalla stessa pubblicazione 1800, quando assegna alla divisione il compito principale di risolvere le fasi conclusive de lla battaglia, i compiti dell'azione contro unità similari, la. penetrazione su larga fronte nel dispositivo nemico, missioni tutte nelle quali le articolazioni più idonee sono quelle snodate ed ampiamente inte1·vallate e che richiedono, specialmente la prima, (sfruttamento del successo e controffensiva), la padronanza del cielo, cioè un vero e proprio ombrello aereo protettivo. La 1800 riconosce che la seconda guerra mondiale aveva segnato l'entrata degli eserciti nell'era delle forze corazzate, ma anche che essa non era valsa a risolvere bene il problema fra la concezione originaria secondo la quale il carro era un aiuto per l'attacco ed il contrattacco della fanteria e la nuova concezione secondo la quale il carro era un'arma mobile indipendente. I tedeschi avevano prediletto questa seconda concezione; gli anglo-americani avevano impiegato i carri in misura press'a poco uguale a favore della fanteria e come unità autonome; i sovietici ne avevano curato molto l'impiego a sostegno diretto della fanteria sottò poderose azioni di appoggio dell'artiglieria. La tecnica d 'impiego, inoltre, era stata un po' dovunque piuttosto primitiva e spesso carente, anche perché la proporzione tra le unità carriste e le altre. nell'ambito della divisione corazzata, non era risultata frequentemente bene equilibrata e la servitù imposta dai servizi, non adeguatamente meccanizzati, e il movimento legato alle strade, avevano alla fine, come nel 1941 in Russia, rappresentato un grosso svantaggio ai fini della manovra e della penetrazione in profondità. Di tutte queste e delle tante altre esperienze negative della seconda guerra mondiale, la 1800 fa tesoro e, mentre da una parte introduce una chiara distinzione tra l'impiego dei carri a sostegno della fanteria e quello nell'ambito della grande unità corazzata, dall'altra delinea due distinte tecniche d'impiego che comportano due modi di pensare e di agire diversi e due specialità della fanteria distinte. È alla luce di tali premesse che vanno esaminati i tre capitoli che la 1800 dedica rispettivamente al movimento e alle soste, all'azione offensiva ed a quella difensiva.
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Il movimento della divisione corazzata è condizionato dalla rete stradale e dalla percorribilità del te rreno ed è costantemente minacciato dall'offesa aerea avversaria alla quale la divisione è estremamente vulnerabile. Esso, pertanto, richiede: un'attività tempestiva e continua di ricognizione degli itinerari, il controllo della sua esecuzione effettuabile dall'alto con aerei leggeri ed elicotteri, il ricorso alla costituzione di più colonne di m arcia , l'organizzazione degli itinerari più progredita possibile, il frequente svolgimento durante le ore notturne, di brevi interruzioni di 20' ogni due ore qi marcia, di 2-3 ore dopo 5+6 ore di movimento, di una sosta molto più lunga dopo 4-5 giorni di movimento consecutivo. Allorché la divisione entra nell'ordine del centinaio di chilometri da l ne mico, deve inquadrare il suo movimento in un dispos itivo di esplorazione terrestre e di sicurezza per realizzare la sorpresa, evitare quella dell'avversario e prepararsi al combattimento ne ll e migliori condizioni. L'esplorazione tattica terrestre, propria del gruppo di cavalleria blindata, fa affidam ento più che sulla consistenza degli elementi esploranti - che svolgono il loro compito essenzialmente con l 'osservazione, agiscono su ampia fronte, sono articolati soltanto in pattuglie e grosso (solo in s ituazioni particolari anche in sostegni) sulla distanza notevole alla quale essi debbono essere spinti. La sicurezza del movimento comprende l'attività informativa e controinformativa e va messa in atto da un dispositivo proporzionato alla natura ed all'entità delle prevedibili offese avversarie. La di stinzione fra movimenti in lontananza e quelli in vicinanza del nemico è molto attenuata dalla potenza e velocità dei mezzi meccanizzati , dagli aviosbarchi e dalla guerriglia per cui, senza limiti tassativi, quando il r a pporto di distanza tra gli opposti schieramenti viene a d indicare una zona n ella quale le possibilità dell'offesa terrestre nemica siano da considerare più probabili, la divisione deve condurre un vero avvicinamento, un movimento cioè in cui le esigenze tattiche prevalgono sulla velocità di progressione. La divisione, di norma, si art icola in 3 aliquote: scaglione di combattimento, scaglione avanzato dei servizi, scaglione arretrato dei servizi; le colonne in scaglioni di marcia omogenei per t ipi di mezzi. La s ic urezza è indirettam ente gara ntita d a ll ' interdizione di sorvolo del cielo all'avia zione nemica e da lle informazioni. Al conseguimento del primo scopo conco rrono un'aviazione attiva e aggressiva ed una efficiente difesa contraerei; a l secondo, l'esplorazione tattica aerea e terrestre. La conquista del dominio del cielo, sia pure locale e temporanea, è, dunque , la condizio ne preminente
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per il movimento della divisione, ma l'adozione di appropriate formazioni, la scelta di itinerari coperti, la determinazione del momento più opportuno di effettuazione del movimento possono attenuare sensibilmente le probabilità e le possibilità dell'offesa aerea. Durante le soste, che hanno grandissima importanza per la messa a punto dei mezzi e per i rifornimenti, la sicurezza, sia dalle offese aeree sia da quelle terrestri, va ricercata: contro le prime, con il diradamento, l'occultamento, il mascheramento, lo schieramento razionale delle armi contraerei, il concorso dell'aviazione pronta all'intervento o in crociera di vigilanza nel cielo di sosta della divisione; contro le offese ~errestri, mediante la costituzione del sistema di avamposti, realizzato con posti di sbarramento sugli itinerari d'incidenza nella zona di sosta, con funzioni controcarri (armi controcarri, campi minati speditivi o gruppi di mine sparse, ecc.), con pattugliamento mobile a largo raggio, con l'eventuale organizzazione di posizioni tatticamente importanti che proteggano la zona di sosta. Durante l'avvicinamento, la divisione: muove su più colonne (due o tre): articola ogni colonna nel senso della profondità in avanguardia, grosso, retroguardia; passa, per i mezzi carrellati, dalla marcia su rimorchi a quella su cingoli. L'avanguardia, di forza proporzionata a quella della colonna, è costituita da reparti bersaglieri rinforzati (pionieri, pezzi semoventi, carri armati) ed è articolata in pattuglie di esplorazione ravvicinata, punte di sicurezza, grosso di avanguardia, elementi che muovono a distanze medie di circa 20' tra pattuglie e punta, di circa 10' tra punta e grosso, di circa 20' tra grosso e testa della colonna. La retroguardia, costituita da reparti bersaglieri rinforzati (pezzi c ontroc arri, carri armati), si articola in pattuglie di allarme, punta di sicurezza, eventualmente . grosso di retroguardia, moventi a distanze analoghe a quelle previste per l'avanguardia. Il dispositivo di avvicinamento e quello specifico di sicurezza non si discostano granché da quelli tradizionali e gli scopi che intendono conseguire restano quelli di garantire il tempo necessario al comandante per lo sfruttamento delle informazioni sul nemico ed alle colonne lo spazio, oltre il tempo, per l'intervento efficace, in situazione di sicurezza sui fianchi e sul tergo. Resta altresì fermo il vecchio concetto del progressivo adattamento del dispositivo alle esigenze dell'attacco a mano a mano che diventi più immediato il contatto con il nemico. In vista dell'attacco, al quale la divisione può passare direttamente dall'avvicinamento, senza soluzione di continuità, può essere conveniente
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e necessario in molti casi procedere alla preventiva occupazione di posizioni che rappresentino, nella loro profondità, le basi di partenza per l'attacco. Su di queste il comandante definisce il concetto di azione e le unità organizzano e preparano l'attacco. Se le basi di partenza sono già tenute da altre truppe, la divisione compie la s ua sosta per l'organizzazione dell'attacco su di una posizione di attesa - o su più posizioni di attesa, una per colonna - raggiunta di solito in ore notturne. Le caratteristiche della base di partenza e della posizione di attesa sono quelle tradizionali: favorire l'organizzazione dell'attacco, proteggere la sosta, assicurare lo sbocco in avanti delle unità in formazione di combattimento, costituire ancoraggio in caso di insuccesso, ecc. Allorché l'azione è organizzata nella posizione di attesa - che deve essere tanto avanzata da consentire di raggiungere le basi di partenza prima che il nemico, messo in allarme dal rumore, possa prendere efficaci" contromisure - le basi di partenza vengono superate senza sostarvi o fermandovisi il brevissimo tempo necessario per coordinare i tempi dell 'attacco. L'attacco può svolgersi in terreno libero o contro posizioni scarsamente organizzate a difesa o contro posizioni organizzate. In ogni caso la divisione può attaccare: riunita, in colonna unica, su più scaglioni (formazione del tutto eccezionale ed attuabile solo nel caso di attacco contro nemico in posizione); articolata in colonne di attacco, ciascuna su di uno o più scaglioni, e una riserva articolata in· raggruppamenti (o gruppi tattici) ciascuno su di uno o più scaglioni e una riserva. Essa agisce contro un obiettivo di attacco, lungo una direttrice di attacco, in un settore di azione (eccezionalmente in un settore di attacco); opera sempre per manovra e . pertanto, o sfonda o penet ra, o aggira o accerchia. La divisione ha bisogno di spazio, per cui l'ampiezza del settore di azione è variabile in dipendenza della situazione e della percorribilità del terreno, ma tende a valori elevati; al limite, in casi particolari, alla divisione può essere assegnato solamente l'obiettivo. l'attacco in terreno libero o contro posizioni scarsamente organizzate a difesa forma normalmente ricorrente nella controffensiva - è quello in cui la divisione trova le più adatte condizioni d'impiego. Il primo scaglione può essere costituito o da soli carri o da soli bersaglieri, ma il caso più ricorrente è quello di carri e di bersaglieri in uno stesso scaglione, operante con carri avanti e bersaglieri dietro (terreno libero, difesa poco organizzata, prevedibile reazione immediata di carri avversari) ovvero con bersaglieri avanti e carri dietro
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(difesa controcarri robusta e presenza di campi minati). Quando i carri precedono i bersaglieri, l'azione - da condurre con la massima celerità tenendo presente la necessità per i carri di alternare il fuoco con il movimento nell'interno delle compagnie fino ad una distanza di 3+400 m dalle difese attive nemiche (alternanza nell'interno delle compagnie sì che mentre uno o due plotoni avanzano, l'altro o gli altri sparano), ma non nell'interno dei plotoni dove i carri eseguono contemporaneamente una stessa azione e cioè o tutti muovono o tutti fanno fuoco - segue, a titolo largamente orientativo, il seguente schema: avanzata dello scaglione preceduto dall'esplorazione ravvicinata e scavallamento di questa quando costretta a fermarsi dal fuoco nemico; artiglieria, schierata su posizioni avanzate, la quale appoggia le unità carriste che avanzano in formazioni spiegate (compagnie in linea) seguite dai bersaglieri; arresto, ad una distanza di 2500-1800 m dall'obiettivo, dei carri da 105/22 aliquota di accompagnamento che inizia l'azione a puntamento <lin::ttu ÌH aggiunta a quella di appoggio dell'artiglieria; inizio, a distanza da 1500 a 1000 m dall'obiettivo, dell'alternanza del fuoco e del movimento delle unità carriste di attacco, mentre i bersaglieri continuano ad avanzare a bordo dei loro mezzi tenendosi il più vicino possibile ai carri (sui 400 m circa); allorché i carri serrano sull'obiettivo, a distanza da questo di 3 + 400 m, l'artiglieria allunga il tiro o inizia l'appoggio ad ombrello, i carri da 105/22 sospendono il tiro e riprendono il movimento, i bersaglieri appiedano e, se necessario, costituiscono la loro base di fuoco; irruzione dei carri armati sull'obiettivo sospendendo l 'alternanza di fuoco e di movimento e sparando in movimento con le mitragliatrici e i cannoni di bordo ed assalto dei bersaglieri sulla posizione mediante l'impiego di tutte le loro armi; movimento dei carri verso la zona di raccolta e rastrellamento e consolidamento delJ'obiettivo da parte dei bersaglieri. Quando i bersaglieri precedono i carri: i be rsaglieri avanzano a bordo dei mezzi fino alla minore distanza possibile, protetti dapprima dall'appoggio dell'artiglieria e poi anche da quello dei carri da 105/22; quando costretti ad abbandonare i mezzi dall'artiglieria nemica, i b ersaglieri balzano a terra e iniziano senza soluzione di continuità l'attacco, accompagnati dal fuoco delle armi pesanti che devono già trovarsi in testa alle formazioni; dal momento in cui i bersaglieri iniziano l 'attacco, i carri serrano sotto, si arrestano su posizioni adatte all'azione di fuoco pronti a spostarsi ulteriormente in avanti, accompagnano i bersaglieri con il fuoco mirato dei singoli pezzi eseguito per concentramenti di
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plotone sullo stesso bersaglio, possibilmente con tiri di schiancio da un'ala della formazione bersaglieri; allorché i bersaglieri raggiungono la distanza di sicurezza, l'artiglieria ed i carri spostano, nell'ordine, il tiro, mentre i bersaglieri, accompagnati dal fuoco delle armi di accompagnamento, serrano senza soluzione di continuità a distanza di assalto; a questo punto i carri possono raggiungere i bersaglieri e partecipare all'assalto, ovvero attendere che i bersaglieri si siano impadroniti delle avanstrutture nemiche per poi raggiungerli, scavalcarli, irrompere in profondità, aggirare l'obiettivo per portarsi al di là di questo o sul fianco a l fine di proteggere il consolidamento da parte dei bersaglieri, avvolgere l'obiettivo per procedere all'attacco di un obiettivo successivo in attesa di essere seguiti dai bersaglieri. In entrambi i dispositivi carri armati o bersaglieri avanti - si rende spesso necessario lo scavalcamento dell'uno o dell'altro rep arto avanzato, operazione c he esige la scelta del momento opportuno perché si compia con tempestività. Il secondo ed evenlualrnerile il Lerzo scaglione della colonna sono orientati a penetrare in profondità su obiettivi successivi ovvero a continuare l'azione verso l 'obiettivo di attacco, eventualmente anche lungo un'altra direzione, nella eventualità che il primo scaglione non raggiunga l'obiettivo o venga arrestato a causa delle perdite subite specie di mezzi corazzati. L'attacco contro posizioni organizzate - al quale la divisione è scarsamente idonea per cui si tratta di un compito che le può essere assegnato «in via del tutto eccezionale» e solo quando occorra far precipitare un'azione già iniziata e sviluppata da altre truppe o si agisca contro nemico «scosso e sfiduciato» - deve essere sempre preceduto da lla rimozione e da l superamento degli ostacoli attivi e passivi e s i fonda sulla possibilità di una continua neutralizzazione delle armi controcarri avversarie. Il dispositivo è caratterizzato, frequentemente, da una colonna di attacco principale (molto scaglionata in profondità) e da una colonna sussidiaria di attacco (molto scaglionata in profondità). Nell'attacco la colonna di attacco principale o la colonna unica si articola in un primo scaglione di bersaglieri e carri, in un secondo scaglione misto di carri e bersaglieri, mentre il terzo scaglione è di soli carri. Per il primo scaglione valgono le indicazioni già date per l'a ttacco a posizioni scarsam ente organizzate, con bersaglieri avanti ai carri. Le fasi dell'azione possono essere così schematizzate: azione iniziale dei bersaglieri tendente ad eliminare le difese controcarri marginali e d a neutralizzare, superandolo, l'ostacolo anticarro attivo e passivo; assalto della forma-
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zione carrista previo scavalcamento del dispositivo antistante; azione conclusiva di rastrellamento e di consolidamento da parte dei bersaglieri. Il secondo scaglione - inizialmente tenutosi a 1000 mdi distanza - prosegue l'attacco in profondità fino alla conquista dell'obiettivo divisionale; stante la presumibile minore consistenza delle difese da superare, è spesso conveniente che in tale scaglione i carri precedano i bersaglieri. Il terzo scaglione, o riserva, rinforza l'azione del secondo facendo massa nel momento dell'assalto sull'obiettivo divisionale o manovrando, a rottura ottenuta, per far cadere i tronconi della breccia, o approfondendo la penetrazione per la conquista dell'obiettivo eventuale. C'è un altro caso d'impiego eccezionale: è quello del forzamento di un corso d 'acqua, compito per il quale la divisione corazzata è rinforzata da unità del genio pontieri. Nella particolare operazione: i bersaglieri, con la cooperazione dei pionieri, dei pontieri, dell'artiglieria, eseguono il passaggio iniziale e provvedono a costituire una testa di ponte; successivamente vengono traghettate le artiglierie controcarri e un'aliquota di carri armati; stabilita la testa di ponte, viene iniziato il gittamento dei ponti attraverso i quali passano poi la massa dei carri e quella delle artiglierie. A parte l 'ausilio che possono dare all'operazione reparti paracadutisti, l' appoggio diretto dell'aviazione e l'efficiente difesa contraerei costituiscono la condilio sine qua non dell'operazione. Nel combattimento contro unità similari assume importanza assolutamente determinate l'azione di fuoco. Le migliori condizioni si realizzano: prevenendo il nemico sulle posizioni che consentano le migliori possibilità di un intervento o costringendolo a condizioni ambientali sfavorevoli; adottando le formazioni che permettano di rivolgere contro l'avversario il fuoco del maggior numero dei pezzi; manovrando in modo da tenersi costantemente nelle migliori condizioni di tiro e di movimento. Nel combattimento con tro unità s imilari esiste, di massima, una chiara differenziazione di compiti tra bersaglieri e carri: i primi costituiscono, da soli, i pe rni di manovra, dando vita a temporanei caposaldi controcarri; i carri manovrano per realizzare le migliori condizioni di fuoco contro le formazioni carriste nemiche. L'azione dei carri armali deve tendere a concentrare successivam en te il fuoco di più carri su di un solo carro avversario. L'azione non deve risolversi in duelli singoli fra carri, venendo a perdere il carattere di unita rietà che deve avere. Per ottenere ciò, occorre manovrare incessantemente le formazioni e sviluppare un'azione di fuoco strettamente unitaria almeno ne l-
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l'ambito del plotone. Le manovre più caratteristiche sono: la manovra a T, cui si ricorre quando il nemico ha uno scaglionamento profondo perché, in tale caso, essa consente la concentrazione del tiro su obiettivi successivi, mentre l'avversario non può utilizzare in pieno le proprie possibilità (presenza dei mezzi antistanti, polvere e fumo che ostacolano il tiro dei carri di coda); manovra a due masse, cui si ricorre quando si abbia la superiorità locale di forze in quanto permette di concludere l'azione con un accerchiamento completo del nemico; manovra per formazioni parallele cui si ricorre quando si disponga di mezzi di fuoco aventi maggiore gittata di quelli nemici, quando si possa stringere l'avversario contro un ostacolo (fiume, caposaldo controcarri, ecc.), avendo sempre sole e vento alle spalle; manovra sul fianco la quale consiste nel convogliare l'avversario, mediante la costituzione rapida di caposaldi controcarri, verso una cortina di pezzi controca rri o verso una zona minata per attaccarlo sul fianco. L'azione dei bersaglie ri si concreta: nella costituzione di perni di manovra; nell'azione di fuoco (armi individuali e di reparto contro i controcarri e la fanteria avversari; armi controcarri contro i carri nemici); nella protezione, mobile o fissa, dei fianchi delle formazioni carriste attaccanti; nel mantenimento e nel rastrellamento del terreno conquista to dai carri; nella sicurezza a favore dell'eventuale ripiegamento dei carri. Il caposaldo controcarri: è una concentrazione di potenza di fuoco controcarri, su di una posizione importante, al fine di favorire l'azione offensiva e controffensiva dei reparti carristi; ha requisiti analoghi a quelli del caposaldo normale, eccettuata la profondità (necessariamente m1nore), mentre conserva quello dell'impenetrabilità riferita essenzialmente alle forma7.ioni corazzate nemiche; ha le funzioni di: deviare l'avversario verso zone di previsto intervento dei carri, costringere l'avversario a schierarsi e attaccare (offrendo così il fianco a un contrattacco carrista), frazionare le forze nemiche; è presidiato di massima da un battaglione o da una compagnia, rinfor1:ati da artiglieria controcarri ed eventualmente da pionieri del genio; agisce con la sorveglianza, l'osservazione, e l'eventuale azione ritardatrice, temporanea o ad oltranza, esternamente al caposaldo, realizzata con il fuoco e l 'ostacolo. Il caposaldo deve consentire una cintura esterna periferica di fuoco controcarri e un'organizzazione di fuoco più arretrata a protezione dello schieramento controcarri. L'artiglieria effettua, di norma, concentramenti, su richiesta o d'iniziativa, contro la fanteria corazzata e le artiglierie semoventi avversarie; in
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particolare contro la fanteria operante all'immediato seguito dei carri. Gli interventi sono effettuati con tiri a percussione, a tempo, nebbiogeni. L'aviazione estende in profondità l'azione dell'artiglieria, in particolare contro le artiglierie nemiche, le unità corazzate in procinto o in condizioni di intervenire nella lotta, le riserve. L'appoggio aereo diretto è di norma immediato, viene effettuato su richiesta ed è condotto da aerei caccia-bombardieri il cui armamento (razzi, napalm), modalità d'intervento e addestramento devono consentire un'azione particolarmente aderente a quella svolta dalle unità di superficie. La divisione corazzata trova le migliori condizioni d'impiego nello sfruttamento del successo il cui scopo è annientare il nemico o, comunque, impedirgli di riorganizzarsi. La fisionomia dell'operazione è diversa in funzione dei risultati ottenuti dalla rottura, della natura e specie dalle forze che proteggono il ripiegamento dei grossi avversari. dell'esistenza accertata o presunta di riserve avversarie o di organizzazioni difensive arretrate, del grado di superiorità aerea raggiunta, delle caratteristiche della rete stradale e del terreno. L' operazione non è schematizzabile stanti le numerose varianti, ma essa dipende, come sempre nella divisione corazzata, e più ancora che in qualsiasi altra, dall'intuito e dall' iniziativa dei comandanti di ogni grado, dalla decisione e spregiudicatezza nell'andare avanti, dall'intima e costante cooperazione con l'aviazione. Concetto fondamentale: manovrare celermente in modo da superare i grossi del nemico battuto e bloccare i punti obbligati di ripiegamento, prima che essi si organizzino, al fine di annientarli. Criteri principali: spingere subito avanti gli elementi esploranti, rinforzati sempre da pionieri del genio, eventualmente da aliquote di carri e di bersaglieri per riprendere e mantenere il contatto, riconoscere gli itinerari, precedere il nemico su località importanti; a seconda della situazione e soprattutto della re te stradale, articolare la divisione normalmente in raggruppamenti, e anche in gruppi tattici, ciascuno operante lungo direttrici materializzate da assi stradali in sistema e concorrenti su di un unico obiettivo od eccezionalmente farla procedere riunita lungo un'unica direttrice; condurre l'inseguimento senza tregua anche durante la notte; tentare, allorché il nemico, duramente battuto, sia costretto a rompere il contatto di giorno, di occupare, spingendo audacemente e spregiudicatamente a fondo gruppi tattici (carri, bersaglieri con o senza aliquote di artiglieria), località dalle quali si possa incapsulare il nemico; agire, invece, con ponderata audacia, essen-
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zialmente con raggruppamenti lattici (bersaglieri, carri, artiglieria e genio), nel caso che l'avversario sia riuscito a rompere il contatto di notte e ad imbastire un'ordinata manovra in ritirata. In questo ultimo caso, in stretta cooperazione con l'aviazione, i raggruppamenti debbono ristabilire il contatto con i grossi nemici, mediante un'aliquota delle forze e avvolgerli o aggirarli con le restanti unità per incapsularli e distruggerli. Tre i casi d'impiego della divisione corazzata nell'azione difensiva: la difesa di posizioni, la protezione del ripiegamento, la difesa di un corso d'acqua. Nella difesa di posizioni - compito per il quale è scarsamente idonea - la divisione basa la condotta dell'azione essenzialmente sulla resistenza in posto dei caposaldi dei bersaglieri e sulla reazione della massa corazzata di riserva, che utilizza i caposaldi come perni di manovra. Si tratta di un impiego eccezionale, in quanto.è sempre più conveniente che la divisione contenda il terreno con reiterate azioni offensive di breve durata, piuttosto che ancorandosi al terreno in un'azione statica, ma esso non si può escludere. In ogni caso l'azione della divisione, pur dovendosi per essa intendere ad oltranza, dev'essere considerata, nel quadro superiore, a tempo determinato, e il settore ad essa assegnato deve consentire la manovra dei carri. Caratterizzano l 'operazione: il massimo sfruttamento degli eventuali ostacoli naturali tanto da subordinare all'andamento di questi lo schieramento; la spinta molto in avanti degli elementi esploranti; la costituziohe di una zona di sicurezza con funzione ritardatrice affidata a nuclei misti (fuoco a distanza e messa in alto di ostacoli vari); la costituzione sulla posizione di resistenza di caposaldi, anche di compagnia, schierati a sbarramento delle vie di comunicazione e su località naturalmente forti; lo sviluppo di reazioni di movimento locali da parte di plotoni carri decentrati; la costituzione di una robusta riserva mobile (bersaglieri e massa dei carri e dei semoventi controcarri); nel caso di difesa su ampie fronti, la costituzione di riserve settoriali, invece che di una riserva unica; la copertura dei fianchi e del tergo dello schieramento con elementi di cavalleria blindata; la reiterazione dell'azione di fuoco dei gruppi da l 05/22 almeno da due zane di schieramento in profondità per svolgere inizialmente azioni di fuoco alle maggiori distanze ed appoggiare così l'azione degli elementi operanti nella zona di sicurezza; l'impiego delle artiglierie contraerei a protezione dello schieramento delle artiglierie o, a seconda della situazione, della zona di dislocazione della riserva. La protezione del ripiegamento di una
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grande unità di ordine superiore si sviluppa attraverso la difesa su posizioni successive e l'azione manovrata. Criteri e modalità non mutano nel caso che la divisione isolata conduca in proprio la manovra in ritirata. Quando l'azione si traduce in una difesa su posizioni successive: i bersaglieri - scissi in due o tre scaglioni, con aliquote di carri, controcarri, pionieri - si alternano nella difesa statica delle posizioni intermedie e nel ripiegamento; la maggior parte dei carri e le artiglierie vengono impiegati a massa per sostenere lo scaglione schierato sulla posizione più avanzata e per facilitarne lo sganciamento e il ripiegamento; il gruppo di cavalleria blindata viene, di norma, spinto avanti per l'esplorazione e per condurre combattimenti temporeggianti ovvero viene impiegato per coprire i fianchi; la maggior parte dei pionieri è prevalentemente impiegata per l'approntamento delle varie posizioni successive. Scopo della manovra: guadagnare tempo e logorare il nemico. Da qui: occupazione delle posizioni su ampie fronti e con scarsa profondità, fuoco iniziato alle massime <lislanze, largo impiego di interruzioni e mine, ripiegamento predisposto ed attuato possibilmente prima dello stretto contatto, massa dei carri in riserva in una zona che ne consenta l'intervento tempestivo su tutta la fronte. Quando l'azione viene impostata su di una manovra a carattere offensivo: consistenti unità di bersaglieri, rinforzate da controcarri , costituiscono distaccamenti di frenaggio sui principali itinerari di ripiegamento; le unità carri, rinforzate da piccole aliquote di bersaglieri, costituiscono la massa di manovra che, allorché il nemico sia stato arrestato dai distaccamenti di frenaggio, si lancia sul fianco del dispositivo avversario per sconvogerlo e disorganizza rlo. Durante il contrattacco, i di staccamenti di frenaggio s i disimpegnano e si portano sulla posizione successiva, mentre la massa di manovra, ottenuto lo scopo di ritardo e di logoramento, rompe a sua volta il contatto e raggiunge la zona di raccolta per riorganizzarsi ed essere in condizione d'intervenire nuovamente. In alcuni casi le due manovre possono compenetrarsi e fondersi in una manovra unica, che assume carattere prevalentemente temporeggiante nei settori favorevoli alla funzione ritardatrice e carattere spiccatamente manovrato nei settori favorevoli al movimento. Quando - impiego particolare eccezionale - la divisione debba contrattaccare per permettere la rottura del contatto e il ripiegamento della grande unità di ordine superiore, opera come nel caso di un normale attacco a raggio limitato. Nella difesa di un corso d'acqua - impiego in via eccezionale che può essere visto nella
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manovra in ritirata o nel quadro di una organizzazione difensiva complessa, in cui il corso d'acqua sia uno degli appoggi di ala dello schieramento - la divisione deve: far svolgere dagli elementi di cavalleria blindata un intenso pattugliamento a distanza nella riva rivolta al nemico; impiegare i pionieri per la posa di campi minati su ambedue le rive, l'approntamento della distruzione dei passaggi, le interruzioni sulle vie di approccio alla riva nemica; organizzare la difesa sulla riva amica mediante la costituzione di caposaldi da parte dei bersaglieri; tenere accentrati i carri e i semoventi controcarri per intervenire tempestivamente e a massa oppure per costituire riserve se ttoriali (se la fronte è ampia). La pubblicazione si conclude con un capitolo, )'VIII, sui servizi e con un'appendice riguardante le classificazioni e le definizioni che consentono l'esatta comprensione dei termini e conferiscono uniformità alla nomenclatura relativa ai m ezzi corazzati in genere 3l_ Confronta ta con quella de l 1941 , dalla quale non si discosta per quanto riguarda i principi generali d' impiego delle unità carris te e della divisione corazzata - impiego offensivo, a massa, di sorpresa - la pubblicazione del 1952 raccoglie e sintetizza, come abbiamo già osservato, tutta l'esperienza della seconda guerra mondiale. La circola re 18 000 <ld 1941 si basava molto sull' impiego della grande unità in zone desertiche, al quale dedicava in più un apposito capitolo, ma conteneva invece alcuni degli elementi che trovano più ampio sviluppo nella 1800, quali, in particolare, i fattori di successo delle unità corazzate, che sono gli stessi in entrambe le pubblicazioni: le qualità manovriere dei comandanti , lo spirito di organizzazione degli stati maggiori, la cooperazione tra i vari elementi della grande unità e quelli dell 'aeronautica, la preparazione minuta della prima fase di ogni azione specie mediante la ricognizione del terreno spinta in profondità, il sicuro funzionamento dei collegamenti e dei servizi. A parte la grande diversità delle due pubblicazioni sul piano dell'approfondimento dei criteri d'impiego, dei quali la 1800 offre un quadro compiuto ed aggiornato che la 18 000 del 1941 non poteva dare, occorre riconoscere alla prima in ordine di tempo una maggiore incisività e stringatezza che la rendono di più facile e immediato apprendimento e meglio l'avvicinano al carattere proprio di una dottrina d'impiego riguardante le grandi unità, la quale dovrebbe contenere soprattutto i principi fondamentali e i criteri particolari d'impiego e limitare i procedimenti allo stretto indispensabile e comunque alla sola indicazione generica, rimandandone la trattazione estesa ai regolamenti di arma e a quelli specifici delle unità
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minori, dalla squadra al reggimento. La 1800, invece, si attiene strettamente a tale metodo nei primi quattro capitoli, mentre nel V, nel VI e nel VII affoga criteri e modalità in ordine sparso e si sofferma a lungo su particolari che meglio avrebbero trovato sede in regolamenti distinti, secondo la procedure seguita nella serie dottrinale 2000. Da ciò le numerose ripetizioni in cui la pubblicazione cade e la prolissità delle spiegazioni che provocano sovente la perdita del filo conduttore del discorso e confondono l'essenziale con l'accessorio. Così, ad esempio, non c'è nessun bisogno, dopo averlo detto nelle caratteristiche e nei compiti di carattere generale, tornare più volte sull'argomento dell'aderenza e della tempestività del fuoco di artiglieria e della sua effettuazione per concentramenti, sferrati su richiesta o d'iniziativa, violenti ed intensi, ed analogamente sulla decisione e celerità dell'azione dei bersaglieri o di quella dei carri. C'è, poi, nella 1800, una casistica molto spinta che finisce con il confondere anziché illuminare le menti. Con questo non intendiamo negare la validità della pubblicazione, ma solo rilevarne alcune ombre che offuscano in parte l'esposizione della materia, peraltro di per sé molto aderente alla nuova visione del campo di battaglia. A questo ultimo riguardo ci limitiamo ad osservare che mentre la 18 000 del 1941 escludeva in assoluto }'impiego della divisione corazzata nell'azione difensiva, della quale non fac~va nessun cenno, la nuova 1800, pur continuando a negare l'impiego del carro come elemento difensivo-statico - che, invece, nella dottrina del tempo successivo verrà considerato, sia pure limitatamente ad alcune circostanze - apre la strada, benché con una infinità di riserve e di condizioni, a tale impiego che prevede sia nella difesa di posizioni sia nella manovra in ritirata. La logica ritrosia all'impiego della divi sione corazzata nell'azione difensiva e, in particolare, nella difesa di una posizione, ancorché a tempo determinato - concetto espresso anche dal generale Liuzzi nel suo elaborato - trova il suo giustificato fondamento nella natura stessa della grande unità, nata per ridare movimento e celerità alle operazioni. Ma la circolare 1800 sembra quasi dimenticare che l'esercito italiano ha come suo unico scopo la difesa del territorio nazionale, il che non esclude l'eventualità della controffensiva, ma non consente l'offensiva vera e propria. Sembra altresì quasi non tenere conto dei grandi risultati conseguiti dalle divisioni corazzate tedesche, durante la seconda fase della campagna di Russia, nel mantenere con successo, per più giorni e addirittura per settimane, fronti estesissime con densità e profondità di schieramento assai ridotte, senza peraltro cedere spazi significativi .
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Le sei pubblicazioni fin qui riassunte ed illustrate costituiscono i principali e fondamentali documenti della ricostruzione dottrinale, ma non furono le sole. A parte le pubblicazioni riguardanti l'impiego delle singole armi, delle quali ci occuperemo nel capitolo seguente, vanno inserite nel quadro generale di tale ricostruzione, sia la circolare 8200 Impiego dei campi minati 32, sia la 7000 La coopereazione aeroterreslre 33 e sia, infine, il nuovo Nomenclatore organico tattico logistico 34 che fu il primo tentativo postbellico di rimettere in ordine i concetti ed i termini del pensie ro militare italiano, dopo che la comunione, prima con l'esercito tedesco e poi con quelli alleati, aveva prodotto una babilonica confusione di idee e di linguaggio. L'organizzazione e la sistemazione a difesa che, durante la prima guerra mondiale avevano tratto robustezza e capacità di resistenza dal ferro spinato, nella seconda guerra mondiale avevano avuto come grande alleato la mina anticarro ed antiuomo. l campi minati, elementi di forza della difesa, avevano inciso così fortemente sul combattimento da rendere più lunga la durata dell'attacco a seguito dell'inserimento di una fase nuova, appunto quella del superamento dell'ostacolo, e da offrire alla difesa, non solo un contributo notevolissimo per il ritardo e per il logoramento dell'attaccante, ma anche un apporto utilissimo sia ai fini del convogliamento dell'attacco nemico su zone prescelte sia ai fini di ampliare le possibilità di contromanovra delle riserve, potendo i campi minati essere utilizzati anche come appoggi del fianco e come perni di manovra. La nuova normativa di cara ttere tattico generale e quella specifica di arma faceva ampio riferimento al campo minato, per cui l'esigenza di regolamentarne l'impiego e definirne funzioni e modalità d'impianto a seconda delle situazioni e ra non meno urgente di quella di rivedere ab imis i lineamenti d'impiego delle grandi unità, tanto più che il campo minato svolgeva, in ogni forma e fase della difesa, una funzione di ostacolo assai più decisiva di ogni altro mezzo impeditivo, perché. più efficace, anche per gli effetti morali, di più rapido approntamento, più insidiosa in quanto meno visibile, meno soggetta a distruzione e degradazione e, soprattutto, perché sommante il valore impeditivo proprio di ogni ostacolo e l'azione diretta di offesa. È quanto fece la circolare 8200 che offre il quadro generale d'impiego dei campi minati, ne definisce le funzioni strategiche e tattiche, ne fissa le
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peculiarità con riferimento alla dislocazione ed alla situazione tattica. Nel campo strategico il campo minato serve alla interdizione di zone determinate per impedirvi )'accesso ed il transito (là dove non sia possibile o conveniente stabilire una normale organizzazione difensiva), sbarrare spazi interposti tra aeree difese, impedire l'approdo e la penetrazione in regioni litoranee e gli aviosbarchi in zone che si prestino a tale operazione. La posa, la sorveglianza e la difesa diretta dei campi minati strategici è propria dei pionieri di arresto, una nuova specialità dell'arma del genio che, unitamente a quella dei pionieri, sottolinea ed esalta la natura di arma combattente del genio. Nel campo tattico il campo minato è presente: nell'area difesa davanti e nell'interno de lla zona di sicurezza, davanti ed attorno alle posizioni presidiate (caposaldi e zone di schieramento), in corrispondenza dei tratti non presidiati (intervalli fra caposaldi, tergo dell'area difesa); nella difesa su ampia fro nte, nell'interno della zona di sicurezza, davanti alle posizioni <li concentrazione della difesa (caposaldi e gruppi di caposaldi), nelle estese cortine tra i caposaldi o i gruppi di caposaldi; nella manovra in ritirata, sulle vie di comunicazione, nelle zone di facilitazione, dinanzi e intorno alle posizioni difese; nel comolidamento, dinanzi e attorno alle posizioni conquistate; durante le soste del movimento, sulle direttrici di probabile irruzione dei mezzi corazzati. Dal punto di vista generale, il campo minato è costituito da una successione di due o più fasce intervallate l'una .dall'altra; il suo valore impeditivo è in funzione della densità delle mine, del tipo potenza raggio di azione delle mine, della profondità del campo, della specie ed entità dei mezzi di sorveglianza e difesa; l'efficacia del campo minato dipende da una densità complessiva di almeno una mina per metro lineare di fronte (densità ottimale 1,5) e da una profondità del campo almeno di 15+25 m. Il tipo di campo minato (antiuomo, anticarro, misto) dipende, in notevole misura, dal terreno o meglio dalla percorribilità che questo offre alle truppe a piedi od a quelle su mezzi od a quelle miste. Su terreni impervi e difficili possono essere sufficienti gruppi di mine sparse antiuomo nei punti di obbligato passaggio. Le caratteristiche del terreno influiscono anche sulla scelta di dove schierare l'ostacolo minato, sull'andamento e sui particolari di posa: sui terreni fittamente coperti è conveniente la costruzione di campi minati speditivi (senza schemi, dispositivi a trappola, ecc.); nei corsi d'acqua e in zone acquitrinose, come pure in zone litoranee, trovano impiego mine subacquee e, in
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corrispondenza dei guadi, mine interrate; nel fondo degli impluvi, dei burroni, ecc. si fa ricorso a mine sparse, ma con densità notevole; negli abitati, ha prevalenza l'impiego di trappole esplosive; nelle zone soggette ad innevamento o insabbiamento si deve tener conto dell'azione dei venti che possono influire, con l'accumulo o con la asportazione della neve o della sabbia, sul regolare mascheramento e funzionamento delle mine. La circolare 8200 esalta l'importanza dei falsi campi minati che determinano nell'attaccante incertezza e ne ritardano il movimento. Naturalmente i campi minati devono essere schierati in modo da non ostacolare la manovra difensiva per cui devono essere previsti e realizzati corridoi, ampi 2-4 m al massimo, per il passaggio delle pattuglie, e varchi per le azioni di contrattacco, come pure per i movimenti relativi alla corrente dei rifornimenti. Nel quadro dell'area difesa: i campi minati posti a dire tta protezione dei caposaldi debbono fare s istema con l' organizzazione del fuoco per cui l'ubicazione, l'andamento e la profondità vanno definiti con criterio unitario dal comandante del caposaldo; la loro distanza dalla linea di resistenza deve essere tale che il loro margine anteriore rientri nel raggio d'azione efficace dei fucili mitragliatori dei centri di fuoco periferici del caposaldo e che il loro margine pos teriore sia a distanza tale da non essere direttamente investito dal fuoco delle artiglierie e dei mortai nemici diretto sui centri di fuoco periferici (margine anteriore: 150 m al massimo; margine posteriore circa 50 m); la loro posa spetta ai pionieri di fanteria. Quelli posti a protezione delle zone di schieramento delle artiglierie, comandi e servizi sono costituiti da fasce elementari poco profonde oppure da gruppi di mine sparse; la loro sorveglianza compete agli elementi incaricati della difesa vicina delle unità che i campi proteggono; la loro messa in opera è devoluta ai pionieri del genio. I campi minati sul davanti e nell'interno della zona di sicurezza sono costituiti da: campi minati veri e propri, anche di vasta estensione e rilevante valore impeditivo, sorvegliati dai posti di osservazione e allarme e difesi da pattuglie di combattimento, gli uni e le altre in grado di chiamare l'intervento delle artiglierie; gruppi di mine sparse; falsi campi minati (nei campi minati e n ei gruppi di mine sparse debbono essere utilizzate mine amagnetiche). La m essa in opera è devoluta ai pionieri del genio. I campi minati disposti in corrispondenza di zone non presidiate dalle truppe, e in particolare negli intervalli tra i caposaldi, si sviluppano. in senso pressoché parallelo al margine
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anteriore della pos1z10ne di resistenza, fra caposaldi dello stesso ordine e, in profondità, fra caposaldi di ordine diverso; devono possedere elevato potere di arresto; devono essere integrati da bretelle trasversali che compartimentino la zona; sono approntati dai pionieri del genio. Le loro caratteristiche e funzioni scaturiscono dal concetto generale della difesa; nella loro definizione e messa in opera occorre tenere presente che attraverso di essi si sviluppano le azioni predisposte delle riserve e che occorre rendere ardua la loro preventiva individuazione da parte del nemico (campi di tipo misto e con tracciato irregolare, largo ricorso a mine sparse sul terreno antistante, impiego di sole mine amagnetiche, campi minati finti). I campi minati a protezione di un fianco e del tergo dell'area difesa vanno predisposti in corrispondenza dei tratti di più agevole accesso all'area stessa; vanno costituiti con mine amagnetiche e sorvegliati da pattuglie spiccatamente mobili; sono posati dai pionieri del genio. Nel quadro della difesa su ampie fronti valgono i criteri stabiliti per i campi minati impiegati nel quadro dell'area difesa, tenendo peraltro presente lo scopo che la difesa su ampia fronte si ripromette e perciò la diversità delle forme e dei procedimenti che essa a ssume in relazione alla natura ed alla plastica del terreno. In conseguenza: su terreni pianeggianti e collinosi, i campi minati trovano il più largo impiego per accrescere la funzione ritardatrice della zona di sicurezza, concorrere ad assicurare l'impenetrabilità a giro d'orizzonte dei caposaldi e dei gruppi di caposaldi, rendere per quanto possibile intransitabili le cortine; su terreno montano, i campi minati sono impiegati per potenziare la funzione di arresto controcarri dei posti di sbarramento in zona di sicurezza, dare protezione ai caposaldi ed ai gruppi di caposaldi, impedire l'aggiramento a breve raggio dei caposaldi stessi; su terreno alpino, i campi minati sono, di massima, impiegati per potenziare i caposaldi. Circa la posa vale il criterio generale dell'impiego dei pionieri di fanteria per i campi minati posti davanti e attorno alle posizioni presidiate dalla fanteria, di quelli del genio per tutti gli altri. Nel consolidamento si fa ricorso a campi minati speditivi o a gruppi di mine sparse, posati dai pionieri di fanteria, tali però da poter essere facilmente rimossi e, in ogni caso, da non ostacolare la ripresa dell'azione. Nella manovra in ritirata i campi minati sono impiegati, unitamente alle interruzioni, per interdire l'uso delle rotabili, potenziare la capacità di arresto delle posizioni, valorizzare il fuoco iniziato alle maggiori distanze, ostacolare il transito nelle zone di facilitazione, proteggere i fianchi delle posizioni. Sono
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in genere posati con procedimenti speditivi e sono disposti: sempre quali elementi integrativi delle interruzioni e, con forti concentrazioni, sulle principali direttrici di movimento; quando possibile nelle zone di facilitazione e di prevedibile raccolta e di sosta. Larga applicazione trovano, perciò, le trappole esplos ive collocate in maniera che possano agire di sorpresa, specialmente in corrispondenza dei passaggi obbligati. La posa è devoluta alle unità pionieri del genio. La circolare 8200, di carattere tattico e tecnico ad un tempo, fu un altro punto fermo posto in campo dottrinale ai fini di configurare compiutamente il quadro del combattimento terrestre alla luce de ll'esperienza di guerra che, su tutti i terreni ed in tutte le situazioni, in particolare nell 'Africa settentrionale ed in Italia - qui durante la guerra di liberazione - avevano collocato la mina ed il campo minato tra gli elementi concettuali concorrenti alla formulazione de i diseg ni di manovra e dei concetti d'azione . Ciò non era avvenuto a suo tempo per il filo spinato e per i reticolati o per gli allri ostacoli pas sivi la cui messa in opera o rimozione aveva riguardato la organizzazione e l'esecuzione della difesa o de ll'attacco, ma non erano a s surti, ciascuno da solo, a fattore di valore concettuale. Il campo minato della 8200 ha, invece, questo valore e , sposato al fuoco dell'aviazione, dell'artiglieria, della fanteria e peculiarmente al fuoco controcarri, costituisce il massimo dei risultati conseguiti dalla difes a durante la seconda guerra mondiale per tentare di riportare a suo favore il valore del rapporto strategico e di quello tattico che lo sposalizio aereo -carro armato aveva fato pendere a favore dell'azione offensiva, alla quale tale b inomio aveva restituito la capacità di movimento e conferito grande velocità. La 8200 non attribuisce al nuovo binomio - fuoco controcarri-campo minato - il va lore che nella prima guerra mondiale era stato proprio del trinomio mitragliatrice-reticola to-tl'incea, ma ne sottolinea l'importanza che ha per ridare alla difesa la tradizionale maggiore forza rispetto all'attacco, riconosciutale dal Clausewitz 35.
10. L'esercito italiano era stato all'avanguardia fin dal 1911 in fatto d'inserimento dell'aereo nella battaglia e nel combattimento terrestre. Non pochi erano stati, anche durante la prima guerra mondiale, gli interventi del Comando Supremo in materia di coope-
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razione tra le forze terrestri e quelle aeree, né erano mancati, nell'intervallo tra le due guerre mondiali, i riferimenti al fattore aereo nell'elaborazione della dottrina tattica di quel periodo. Nel maggio del 1943 lo stato maggiore dell'esercito e quello dell'aeronautica avevano dato alla luce la circolare n° 1000/A - L'aviazione nella battaglia terrestre 36 - un manualetto che definiva, con sufficiente chiarezza e completezza, i criteri generali d'impiego dell'aeronautica cooperante, i compiti, gli obiettivi, le modalità d'intervento degli aerei, le procedure da seguire ed i collegamenti necessari, nonché le dipendenze delle unità dell'arma aerea. La pubblicazione ebbe soprattutto il torto di giungere con almeno tre anni di ritardo e proprio quando la cooperazione non era più realizzabile, quale che fosse la validità della dottrina d'impiego, perché non esisteva più, o era ridotta ai minimi termini, la disponibilità di aerei destinati alla cooperazione con le forze terrestri e in grado di realizzarla. La pubblicazione fu solo un atto di buona volontà da parte dei due stati maggiori, rimasto peraltro senza effetti sotto tutti gli aspetti, compreso quello della divulgazione e dell'assimilazione dei concetti alle quali si opposero gli avvenimenti dell'8 settembre. D'altra parte, guerra durante, poche erano state le occasioni, nelle campagne autonome italiane, di episodi di cooperazione aero-terrestre sotto forma di bombardamento, spezzonamento e mitragliamento da parte delle unità dell'aeronautica - ed i pochi episodi della campagna delle Alpi occidentali e di quella di Grecia si erano conclusi quasi sempre senza risultati di rilievo - mentre in Africa settentrionale ed in Russia la cooperazione tra forze terrestri ed aeree italiane era solo raramente scesa ai livelli inferiori al comando di scacchiere (Africa settentrionale) o di armata (Russia). Uno dei tanti motivi che aveva notevolmente ridotto la capacità operativa delle forze dell'esercito era stato appunto, durante l'intero corso della guerra, (oltre, s'intende, la scarsità dei velivoli), la pressoché assoluta impreparazione delle due forze armate alla cooperazione ai livelli divisionali ed inferiori, alla quale si era sommata l'insufficie nza delle procedure e dei collegamenti testimoniata dalla pubblicazione congiunta degli stati maggiori dell'esercito e dell'aeronautica edita nel 1939 e ristampata, con l'inclusione della prima serie di aggiunte e varianti apportatavi nel 1940, nel 1942 37, vale a dire dopo circa due anni dall'entrata dell'Italia in guerra, senza mutarne il contenuto concettuale. La circolare 7000 dello stato maggiore della difesa, risultato di un leale e volenteroso lavoro compiuto dagli stati maggiori delle
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forze terrestri ed aeree, sviluppa, per la prima volta, sia pure in fonna di norme provvisorie, tutta la materia della cooperazione aeroterrestre e la approfondisce in ogni suo aspetto, sulla duplice base dell'esperienza bellica e della corrispondente dottrina in vigore presso le forze armate degli Stati aderenti alla N.A.T.O .. Essa dà il quadro completo della cooperazione: modo d ' intenderla sul piano spirituale e su quello concettuale tattico, organizzazione di comandi, costituzione di organi specializzati, rapide procedure di realizzazione. Il concorso aereo nella battaglia terrestre vi appare nel suo giusto valore e ne vengono definite le forme: appoggio aereo distinto in diretto e indiretto a seconda della maggiore o minore aderenza alle unità terrestri operanti; esplorazione aerea distinta in strategica e tattica; servizio aereo per l'artiglieria, che comprende la ricerca di obiettivi e il controllo del tiro per le artiglierie di media e grande potenza e l'osservazione del tiro per tutte le artiglierie; trasporto aereo distinto in tattico e logistico. A tali forme di vera e propria cooperazione, si aggiungono le forme secondarie di collegamento aereo, osservazione aerea locale, trasporto aereo di comandanti e di personale degli stati maggiori, compiti che verranno poi rilevati dall'aviazione leggera dell'esercito. I principi fondamentali d'impiego delle forze aeree che agiscono in campo tattico - sorpresa, manovra, massa, flessibilità, immediatezza d'intervento - determinano il criterio dell'accentramento delle funzioni di comando ai livelli elevati e del decentramento delle funzioni d'impiego ai comandi di livello inferiore, dal quale criterio conseguono una particolare articolazione delle stesse forze aeree e una particolare organizzazione del comando e della cooperazione. L'articolazione si concreta nella costituzione di forze aeree tattiche, da affiancare ai gruppi di armata, costituite da unità aeree per l'esplorazione strategica diurna e notturna, unità aeree per il bombardamento leggero, unità da caccia per la difesa delle basi, nonché tanti raggruppamenti aerei tattici quante sono le armate. Ciascuno di tali raggruppamenti, di composizione mista e variabile, comprende uno stormo per l'esplorazione tattica e tanti stormi di velivoli da caccia e cacciabombardieri quanti sono i corpi d'armata dell'armata. L'organizzazione di comando considera la dipendenza di tutte le forze aeree esistenti in uno scacchiere operativo dal comandante dello scacchiere stesso, unico responsabile della condotta delle operazioni aeroterrestri per il raggi ungimento dello scopo strategico e l'affiancamento dei comandi delle unità aeree ai comandi di gruppo di armata e di armata per lo svolgimento di operazioni aeree
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in aderenza al piano operativo terrestre. Realizzano la cooperazione al livello di armata: la sezione cooperazione aeroterrestre dell'ufficio operazioni, la quale assume fisionomia di organo collegiale misto allorché rappresentanti dello stato maggiore dell'armata e del comando di raggruppamento aereo tattico si riuniscono presso di essa per lo studio e l'elaborazione dei piani operativi (criterio della collegialità dei piani); i nuclei avanzati per l'intervento aereo, distaccati presso le unità terrestri interessate all'azione, aventi il compito di formulare richieste urgenti e di guidare da posizioni avanzate terrestri l'intervento aereo; gli ufficiali per la cooperazione aeroterrestre, da distaccare presso le basi del1e unità aeree e presso gli organi operativi aeronautici, per l'impostazione esecutiva delle missioni aeree; le unità per le trasmissioni quali i posti antenna, da distaccare presso le unità terrestri operanti, e i posti collegamenti d'aeroporto da distaccare presso le basi aeree. In sintesi: il piano delle operazioni aeree è elaborato collegialmente; gli ordini d'impiego vengono dati alle unità aeree dal comandante del raggruppamento aereo tattico e trasformati in modalità particolari dal centro controllo di raggruppamento aereo; l'organizzazione di ufficiali per la cooperazione aeroterrestre consente di stabilire le modalità minute delle varie azioni; i nuclei dis taccati presso le unità avanzate che debbono compiere l'azione consentono di plasmare l'intervento aereo alle mutevoli situazioni dell'azione in corso; l 'organizzazione delle trasmiss ioni permette di tenere collegati con il comando dell'armata sia i nuclei avanzati, sia le basi aeree. Diventa così possibile richiedere, decidere, predisporre, attuare rapidamente e nel modo più redditizio ogni forma di intervento aereo. La circolare 7000 ha, nella storia de ll 'evoluzione della dottrina strategica e tattica italiana, un'importanza grandissima. Così come imposta il problema della cooperazione aernlerrestre, rappresenta una vera e propria novità ed un gran passo in avanti, soprattutto sul piano concettuale, verso il raggiungimento della efficace cooperazione tra le due forze armate, fino ad allora quasi del tutto mancata, la quale costituisce davvero il cardine fondamentale del successo, come si legge nella premessa della pubblicazione. Essa colma una lacuna grave e dolorosa, determinata da antichi pregiudizi, convinzioni esclusive e settoriali, tanto tenaci quanto sbagliate, punti di vista superati, e profila la strada da percorrere sulla base di un nuovo spirito di collaborazione che consenta di superare tutte le difficoltà di carattere anche oggettivo esistenti e che fino
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ad allora avevano impedito di giungere a realizzazioni concrete. Essa tenta per la prima volta la conciliazione di concezioni, a volta divergenti, delle due forze armate e lo fa anche in vista della necessità di adottare una dottrina d'impiego unica in ambito nazionale per rendere possibile e più facile la unificazione organizzativa e procedurale italiana con quella delle forze aeree degli altri paesi dell'alleanza atlantica chiamate a dare sostegno, in sostituzione od in rinforzo di quelle italiane, alle operazioni dell'esercito. I nuovi aspetti dottrinali, quali i lineamenti generali della cooperazione aeroterrestre, i compiti delle forze aeree in campo tattico, i principi fondamentali d'impiego di tali forze, i concetti basilari che presiedono alla teoria organizzativa aprirono un quadro del tutto nuovo che trovò la massa dei quadri concettualmente impreparata, ma che ben presto diventerà la chiave di lettura e di completa intelligibilità della nuova fisionomia della battaglia e del combattimento. È questo l'aspetto che conferisce alla 7000 il diritto di entrare a pieno titolo nella storia <ldla evoluzione della dottrina strategica e tattica italiana - della quale segna una tappa fondamentale - ancorché La soluzione conferita al problema della cooperazione aeroterrestre sul piano organizzativo e procedurale ebbe carattere contingente e provvisorio tanto che lo stato maggiore dell'esercito, neppure due anni dopo, diramerà una Memoria sommaria sui principali elementi della regolamentazione americanaper la cooperazione aeroterrestre 38 che, pur non potendosi considerare neppure questa definitiva, introdurrà, fermi restando nella loro essenza gli aspetti dottrinali della 7000, mutamenti profondi all'organizzazione della cooperazione, alla struttura degli organi, alle procedure di realizzazione ed alla stessa terminologia.
11. Quasi a coronare l'opera di ricostruzione dottrinale compiuta dal 1948 al 1954, il 1 agosto del 1951, a firma del generale Cappa 39, vide la luce il nuovo Nomenclatore organico tattico logistico che sostituì l'edizione del 1938. In tredici anni, dei quali circa sei di guerra, le concezioni militari ed il relativo linguaggio avevano subito trasformazioni numerose e rapide quali mai in così breve periodo di tempo erano avvenute nel passato. L'esigenza di un nuovo lessico era talmente sentita che lo stato maggiore dell'esercito era stato indotto a corredare alcune delle pubblicazioni che a
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mano a mano veniva diramando di appendici illustrative dei nuovi termini adottati nella dottrina postbellica. Il nuovo nomenclatore intese definire, senza ombra di equivoci, non solo il significato dei termini nuovi, bensì anche una sintesi ed un completamento della nuova dottrina, nella quale anche termini già in vigore avevano acquistato accezioni diverse ed abbisognavano perciò di definizioni aggiornate e aderenti ai nuovi concetti. Sarebbe utile ed interessante un esame comparativo tra tutti i termini del vecchio e del nuovo nomenclatore al fine di misurare chiaramente il profilo dell'evoluzione della dottrina, ma il discorso condurrebbe lontano e richiederebbe molto tempo e spazio. Ai fini del nostro studio può essére sufficiente un semplice sguardo d'insieme che valga a dare evidenza alle caratteristiche più importanti del nuovo nomenclatore, la cui consistenza di voci fu quasi doppia di quella della precedente opera similare del 1938. Il nuovo lessico si distingue, in primo luogo, per l'introduzione dei nuovi termini e per l'anticipazione di nuove impostazioni dullrinali non ancora sanzionate in documenti ufficiali. L'enucleazione dal testo di alcune voci può servire a dare un'idea illustrativa del lavoro compiuto dallo stato maggiore dell'esercito per dare alla terminologia il valore essenziale che deve avere ai fini della unicità della dottrina e della disciplina delle intelligenze. Tutta la terminologia, da quella generica a quella organica, da quella tattica a quella logistica, trova la sua collocazione appropriata e completa e, pertanto, la pubblicazione dà risposta a molti interrogativi circa l'esatta interpretazione del linguaggio militare. Nel settore della terminologia organica: vengono aggiornati i tipi delle grandi unità - di fanteria, alpina, corazzata, motorizzata, autotrasportata - ed eliminati i termini di grandi unità autotrasportate, autotrasportabili, meccanizzate, motomeccanizzate, motocorazzate, ecc. che non avevano più ragione di essere; vengono introdotte le definizioni delle forze destinate ad agire dall 'aria aviotruppe (paracadutisti ed aliantisti), truppe aerotrasportate (unità occasionalmente trasportate per via aerea) - ed eliminate le voci di truppe aeroportate, aerotrasportabili, ecc.; vengono specificate le differenze tra comandi misti (stato maggiore composto da ufficiali di due o più forze armate) e comandi combinati (quando questi comprendano organi di comando delle tre forze armate di nazioni diverse); viene introdotta la nuova terminologia riguardante la selezione attitudinale - selezione attitudinale, gr.uppo selettori, ufficiali selettori, predesignazione attitudinale, gruppo di specializ-
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zazione o incarichi, categoria di rendimento specifico, profilo psicotecnico, reattivo psicotecnico - e viene dato nuovo ordine alla classificazione della forza dell'esercito, distinta in: bilanciata, alle armi, in congedo, mobilitabile, utilizzabile ai fini della mobilitazione; della forza organica, distinta tra quella di pace (massima e minima) e quella di guerra; della forza di una classe di leva, suddivisa in nominale, arruolata, reclutata, incorporabile, incoportata ; della forza di un corpo, distinta in e ffettiva, aggregata di altri corpi, aggregata ad altri corpi, presente, assente. Nei riguardi della terminologia strategica: · viene messa in chiaro la differenza tra teatro di operazioni (complesso di più scacchieri strategicamente interdipendenti nel quale si svolge la guerra e che possono essere solo terrestri, o solo marittimi, o terrestri e marittimi) e scacchiere operativo (regione geografica che presenta linee di operazione in s is tema, nella quale si sviluppano operazioni per il raggiungimento di un obiettivo strategico); viene allargato il concetto di fascia di frontiera (suddivisa in settori di copertura con funzione Laltica unitaria) e viene dato un prec iso valore operativo al termine di posizione difensiva; trova esatta definizione la terminologia della difesa dall'alto: difesa aerea (di carattere attivo, affidata all'aeronautica, svolta da questa con unità da caccia e da bombardamento) e difesa antiaerea (comprendente quella del territorio - D.A.T. s uddivisa in protezione antiaerea del territorio - P.A.T. - e difesa contraerei del territorio e quella campale articolata, anche questa, in protezione antiaerea campale e in difesa contraerei campale); viene introdotta la definizione de l termine operazione e la distinzione tra operazioni aeroterrestri, operazioni aeronavali, operazioni anfibie (incursione anfibia denominata nella m a rina operazione anfibia classe «A», colpo di mano anfibio in marina operazione classe «B », operazione combinata in marina operazione classe «C », reimbarco in marina operazione classe «D », operazione lagunare in marina operazione cla sse «E»). Il campo più esteso e interessante è quello della terminologia tattica, nel quale trovano collocazione tutti i concetti ed i termini del linguaggio della nuova dottrina. La diversità di p anora ma della lotta indicata dal termine di battaglia e da quello di combattimento è precisata con efficacia, mettendo in risalto c he la battaglia è un'azione complessa che si sviluppa nel quadro dell 'armata e superiore, comporta sempre il concorso di forze aeree, tende a conseguire uno scopo strategico e comprende più combattimenti offensivi e difensivi unitariamente coordinati. La capacità combatti-
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va, termine nuovo, viene distinta da quella offensiva e da quella difensiva facendo rientrare nel significato, oltre la valutazione della situazione contingente, l'apprezzamento del grado di efficienza tecnico-addestrativa delle truppe, del loro spirito e della sensibilità psicologica dei comandanti. Nei riguardi dell'azione offensiva è messa in evidenza la differenza tra colonna d'attacco e raggruppamento (o gruppo) tattico, come pure quella tra direzione d'attacco (riferita alle unità minori, fino al battaglione compreso) e direttrice di attacco (riferita ad unità o ai complessi dal battaglione in su e cioè alla colonna, al raggruppamento, alle grandi unità). I termini base di partenza e posizione dì attesa vengono intesi in una nuova accezione: la base di partenza come termine unico riferito anche alle unità carriste; la posizione di attesa va interpretata come la zona dove sostano e si predispongono all'attacco le colonne o i singoli battaglioni esclusi quelli di primo scaglione. Viene così stabilito che nel quadro divisionale si possono avere, in senso frontale, diverse basi di partenza e più posizioni di attesa. È bene chiarita la differenza tra avvolgimento (manovra che unità a contatto col nemico esegue con un'aliquota delle proprie forze per superare un'ala dello schieramento avversario e investirlo, quindi, da tergo), aggiramento (azione che una unità, senza stabilire il contatto frontale con lo schieramento nemico, svolge su una direzione esterna allo schieramento stesso per cadere sul fianco o sul tergo del dispositivo avversario), accerchiamento (manovra con la quale una unità, progredendo sui fianchi di un dispositivo avversario fino al tergo, lo rinserra totalmente tagliandolo fuori dalle sue linee di comunicazione). Successo, completamento del successo, s fruttam ento del successo si differenziano notevolmente dal vecchio nomenclatore, non solo per la concezione più concreta e determinata (creazione della breccia, riunione di più brecce in una sola e penetrazione in profondità, azione a fondo oltre il sistema difensivo nemico), ma anche per l'indicazione dei vari protagonisti delle tre fasi (divisione di prima schiera, divisione di seconda schiera ed eventualmente riserva della divisione di prima schiera, grandi unità corazzate e motorizzate). Precisa la differenza tra avamposti (organizzazione della sicurezza in sosta), scaglione di sicurezza {organizzazione temporanea per consentire la sistemazione a difesa di una grande unità), zona di sicurezza (avanstruttura di un'area difesa). Precisa altresì la distinzione tra organizzazione difensiva (complesso delle predisposizioni necessarie a conferire alle forze incaricate della difesa di una posizione la massima capa-
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cità di resistenza) e sistemazione difensiva (organizzazione difensiva messa in atto in ogni suo particolare). Anche il termine di linea di resistenza muta di significato: nell'antica accezione indicava la linea di sviluppo frontale anteriore di una sistemazione difensiva, mentre ora indica il margine esterno di un caposaldo e viene sostituita nel suo antico significato dal margine anteriore della posizione di resistenza. Non è facile ottenere il perdono per la r apida scorsa data a l nuovo nomenclatore, essendo questa poco avvincente e necessariamente arida. Eppure ci è sembrato opportuno mettere in evidenza talune novità e talune differenze concettuali - ve ne sono mo ltissime altre che non citiamo ancorché non siano di minor rilievo proprio per sottolineare riassuntivamente il progresso evolutivo d ella nuova dottr ina ris petto a quella prebe llica e la gradulità del processo, di cui il nomenclatore del 1951 segna, più che un punto di arrivo, un punto di partenza, giacché, come vedremo, sen za la base dottrinale ricostruita in quegli anni il passaggio dalla la ttica d ell'a mbiente convenzionale a quella dell'ambien te nucleare sarebbe stato molto più complesso ed aspro ed avr ebbe richiesto l ' impiego <li molto maggiore tempo ed il superamento di difficoltà mollo più numerose. Considerata sotto tale aspetto, la dottrina tattica illustrata nel presente capitolo acquista valore essenziale, in quanto mezzo di rinnovamento del pensiero militare ita liano ed al tempo stesso stimolo ed incentivo di ulteriore sviluppo in aderenza alle prospettive che già <la allora s'intravedevano e che erano tuttallora piene di incognite e di veri e propri enigmi . In tutta la nuova dottrina c 'è, infatti, il senso del provvisorio e del temporaneo, e . quando ciò non è detto esplicita mente, è lasciato intendere, s ia perché molti problemi sollevati dalla second a guerra mondiale non erano ancora giunti a maturazione, sia perché non sfuggiva a nessuno çh e, una volta realizzati i mezzi atomici tattici, sarebbe s tato necessario concepire una nuova d ottrina; una qu estion e questa che già nel 1954 veniva chiaramente posta in un articolo pubblicato dalla Rivista militare 40_
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NOTE AL CAPITOLO LI I Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 3000 del 1 giugno 1948: Organizzazione difensiva. La circolare, formato 18 X 12, consta di: una premessa, tre capito li: I Generalità sulla difesa. Il Area difesa (Concezione, Organizzazione, Condotta). Hl Caratteristiche della organizzazione difensiva in montagna. In tutto: 36 pagine, 78 paragrafi. 2 Vds. precedente Cap. XLIX, nota 39. 3 Ministero della difesa. Stato Maggiore dell 'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 3100 del 15 luglio 1950 La difesa su ampie fronti . La circolare, formato 18 X 12, comprende una premessa, 4 sottotitoli (scopo e caratteristiche della difesa su ampie fronti, in ter reni pianeggianti e collinosi, in leneno mo ntano, in terreno alpino), un paragrafo riguardante la difesa costiera, uno conclusivo, uno schema dimostrativo di raffronto tra forme diverse di difesa su ampia fronte. In tutto: 17 pagine, 19 paragrafi. 4 Ricordiamo i seguenti articoli di particolare rilievo apparsi sulla Rivista militare: 1950, IV, pg. 360: Panorama della guerra moderna del gen. Giorgio Liuzzi; V, pg. 453: Difensiva di Viator; VI, pg. 601: Organizzazione difensiva di settore divisionale in area difesa di corpo d'armala di Labor; 1951, I, pg. 29: Caral/eristiche e possibilità attuali dell'azione difensiva del ten. col. Lazzaro Dessy; 1953: VI, pg. 636: Posizioni e sislemi difensivi del gen. Paolo Supino; 1954: IV, pg. 359 Riflessioni sulla manovra in ritirata d el gen. Giovanni Gatta; V, pg. 5ll: Della difesa su ampia fronte del col. Antonio Saltini. 5 Rivista militare 1974: I. pg. 31. Mutamenli della concezione difensiva italiana dalla seconda guerra mondiale ad oggi del gen. Luigi Salatiello. 6 Ibidem. 7 Ibidem. 8 B.H. Liddel Hart. La prossima guerra. Le edizioni del «Borghese » Milano, 1962. 9 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circ. n ° 1600 L'esplorazione del 15 settembre 1950. La circolare, formato 18 X 12, comprende i seguenti argomenti: generalità, esplorazione strategica aerea, esplorazione tallica (aerea e terrestre), esplorazione tattica aerea, esplorazione tattica terrestre, esplorazione ravvicinata . Essa si chiude con una conclusione nella quale, tra l'altro, si legge: oggetto dell'attività esplorativa è il nemico. Essa va perciò proiettata, concettualmente, spiritualmente e materialmente in avanti. Suo scopo è vedere e riferire in tempo. Per questo sono necessari: spazio (che s i traduce in tempo) per avere e dare libertà d'azione, occhi e mezzi per vedere, mente per coordinare e valutare celermente, collegamenti per informare. L'esplorazione in tulle le sue forme è - specialmente a terra - attività difficile e delicata. che richiede: spirito offensivo (l'esplorazione non s i fa con cuori pavidi e
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prudenti), comandanti di ogni grado decis i, cap aci, pieni di iniziativa, alto grado di addestramento specifico, elevato spirito di cooperazione. La pubblicazione consta di 38 pagine, 56 paragrafi. 10 Ministero della guerra. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio operazioni e addestramento. Circolare n° 1300 del novembre 1946: L'esplorazione. La circolare, formato 18X 12, è così articolata: Generalità sull'esplorazione. Esplorazione aerea. Esplorazione terrestre. Esplorazione lontana: gruppo esplorante divisionale G.E.D. - caratteristiche e funzioni dei suoi clementi costitutivi; articolazione; dipendenze e criteri generali di impiego; compiti; dispositivo d'esplorazione; azione esplorativa; esecuzione di compiti particolari; ordini; collegamenti; cooperazione con l'aviazione; servizi; manutenzione degli automezzi: reparto esplorante di fanteria au/oporlato - R.E.F.A. -. Esplorazione vicina. In tutto 30 pagine, 61 p aragrafi . 1 1 Vds. precedente Cap. XLII, n o ta. 35. 12 Rivista militare, 1947, XI e XII, pg. 1234 e pg. 1343: Note sull'esplorazione e sulla sicurezza dell'azione offensiva del ten. col. Giuseppe Bemasconi. 13 Vds. Voi. I Cap. XVIII, nota 7. 14 Wellington Arthur Welles/ey (1769-1852), generale e statis ta britannico. Nella guerra con la Francia (1794) combatté nelle Fiandre e nel 1797 fu inviato in India dove raggiunse il grado di maggior generale (1799). Partec ipò a lla spedizione s u Copenaghen e, promosso tenente generale (1808), assun se il com a ndo delle truppe da inviare nella penisola iberica, dove iniziò una lunga lotta contro i generali napoleonic i, giungendo nel 1812 a Madrid, dopo la vittoria di Talavera ( 1809) e costringendo i france si a 1·iattraversare i Pirenei (1813). Sconfisse definitivamente Giuseppe Bonaparte e il maresciallo Jourdan a Vittoria. Invasa la Francia e sconfitto il maresciallo Soulta a To lo sa ( 18 14), fu creato duca di Wellington . Assunto il comando delle forze a lleate e sconfitto Napoleone a Waterloo (18 giugno 18 15) ter minò la su a brill ante carriera militare, dedicandosi da allora alla politica ed alla diplomazia. 1s Vds. Voi. I. Cap. IX. nota 49. 16 Ministero della difesa. Stato m aggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n ° 2600 del 1° ottobre 1950 Lineamenti
d'impiego della divisione di fanteria. La pubblicazione, formato 18 X 12, comprende: Premessa. Aspetti della guerra moderna. La divisione d i fanteria (5 capito li): Gen eralit à . li movimento e le soste. L'azione offensiva: la ricerca e la presa di contatto; l'attacco (criteri gene rali; concezione ; organizzazione; preparazione; esecuzione e condotta). L'azione difens iva: criteri generali, la difesa s u fronti normali (generalità, concezione, organizzazione, condotta); la difesa su ampie fronti; la ma novra in ritirata (manovra ritard atrice, manovra di ripiegamento). La divisione di seconda schiera. Le operazioni in montagna: generalit à, l'azione o ffensiva, l'azione difens iva, la divisione di fanteria, la brigata alpina. Allegati: I - Principali elementi da cons iderare n ell 'ordine divisionale per l'attacco; II - Princip a li elementi da co n s iderare ne ll 'ordine divisio na le per la d ifesa. L'allegato I · attacco - elenca: obiettivi, direttrici di attacco, seltori di azione; tempi dell'azione; dispositivo di attacco (colonne, rise rva, numero dei battaglioni in primo scaglione); provvedimenti p er il coordinamento dell'azione, per il collegamento ta ttico con l'azione delle grandi unità laterali, per la protezione dei fianchi scoperti; ubicazione, organizzazion e, occupazione delle basi di partenza; schieramento e compiti dell'artiglieria; piano d'impiego del ruoco di fanteria, d'artiglieria e di
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aviazione; impiego di unità carriste; consolidamento e difesa delle posizioni conquistate; difesa controcarri e contraerei; superamento dell'ostacolo; compiti del reggimento di cavalleria blindata; predisposizioni per la sicurezza contro la guerriglia; collegamenti; provvedimenti intesi a consentire e facilitare l'azione di comando (ricognizioni, attività esplorativa e informativa, osservazione, ubicazione e organizzazione del posto comando); lavori (compiti affidati al battaglione pionieri); provvedimenti intesi ad ottenere la sorpresa, l'inganno, l'occultamento; operazioni di schieramento delle unità; alimentazione della lotta; organizzazione e funzionamento dei servizi. L'allegato II - difesa - elenca: settore divisionale; numero, ubicazione, consistenza dei caposa ldi di fanteria, loro raggruppamento in gruppi. lince di saldatura tra i gruppi; schieramento delle forze; composizione, dislocazione e prevedibili ipotesi d 'impiego della riser·va divisionale; organizzazione del fuoco: schieramento, compiti e impiego delle artiglierie, tratti di sbarramento normale sul davanti dei caposaldi; difesa controcarri e contraerei; linee generali dell 'organizzazione della zona di sicurezza; eventuale costituzione di uno scaglione di sicurezza, posizioni sulle qua li schierarlo e tempo p er il quale deve resi stere; protezione del te rgo del settore e dell'eventuale fianco scoperto e predisposizioni contro la guerriglia; campi minati nella zona di sicurezza e davanti e nell'interno della posizione di resistenza, interruzioni nella zona di s icurezza; impianto di osservatori; organizzazione dd posto comando; lavori tallici, stradali, di mascheramento; collegamenti; disposizioni per i servizi e per l'autonomia dei caposal<li. La pubbli cazione cons ta in tutto <li 94 pagine, 129 paragrafi. 17 Ministero della guerra. Norme per il combattimuzto della divisione. Tipografia regionale, Roma, 1936. La pubblicazione è articolata su: premessa, 10 capitoli, conclusione. T La divisione di fanteria. JT La divisione di fanteria nell'azione offensiva: fondamento della copertura, marcia al nemico, attacco (crit eri generali , comballimento d'incontro, attacco contro nemico in posizione), s fruttamento del successo, inseguimento. III La divis ione di fanteria nell'azione difensiva: criteri generali, difesa di una posizione , sosta difensiva nel corso dell'attacco, combattimento temporeggiante, ripiegamento. TV La divisione di fanteria di seconda schiera: criteri generali, azione offensiva, azione difensiva. V La divisione di fanteria nel forzamento e nella difesa d i corsi d'acqua: forzamento, difesa. VI La divisione di fanteria nei combauimenti ne i boschi: azione offensiva, azione difensiva. VII La divisione alpina: caratteris tiche della guerra alpina, caratteristiche della divisione alpina, azione offensiva, azione difensiva. Vili La divis ione celere: caratteristiche, rottura della copertura, occupai.ione di posizioni, esplorazione, avangu ar dia generale, manovra d'ala e protezione di un fianco, sfruttamento d el successo, inseguimento, intervento in caso di rottura <lei front e, protezione del ripiegamento. IX La divisione motorizzata: caralleristiche, marce e stazion i, occupazione di posizioni, cooperazione con la divisione celere, riserva, il comandante. X La guerra c himica. Conclusione. 18 La divisione di fanteria, nella struttura del 1950, comprendeva: 3 reggimenti di fante ria, J reggimento di cavalleria blindata, 3 reggimenti di artiglieria, l reggimento contraerei, l battaglione genio pionieri, 1 battaglione collegamenti, unità dei servizi. La divisione di fanteria venne s uccessivamente r iordinata nel 1955 sui seguenti organici di g uerra: comando di divisione di fanteria: ufficiali 64, sottufficiali 47, militari di truppa 182, pistole 94, moschetti automatici 19, fucili mitragliatori 4,
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motocicli 15, automezzi 42, rimorchi S; compagnia carabinieri: ufficiali 3, sottufficiali 11, militari di truppa 96, pistole 110, moschetti automatici l 04, motocicli 29, automezzi 12: sezione aerei leggeri: ufficiali 5, sottufficiali 6 , milita ri di truppa 7, pistole 11 , moschetti automatici 7, mitragliatrici contraerei 1, aerei leggeri 3, automezzi 3, rimorchi 2; battaglione carri: ufficiali 32, sottufficiali 81 , militari di truppa 423, pistole 298, moschetti automatici 131, carabine 219, fucili mitragliatori 5, carri armati medi 49, carri leggeri 3, carri recupero 3, motocicli 18, automezzi 48, carrette carica batte ria 4, carrette cingolate 3, traino per carri armati I; 3 reggimenti di fanteria, ciascuno su: comando, 3 battaglioni di fanteria, 1 compagnia mortai da 107, l compagnia cannoni controcarri con un totale per ciascun reggimento di : 144 ufficiali, 297 sottufficiali, 3 198 uomini di truppa, 718 pistole, 585 moschett i automatici, 1968 fucili, 21 fucili per tiratori scelti, 163 fucili mitragliatori, 64 lanciarazzi controcarri, 30 mitragliatrici, 26 mitragliatrici contraerei, 27 mortai leggeri, 27 mortai d a 81, 6 mortai da 107, 6 cannoni controcarri da 57/50, 27 cannoni controcarri da 57 senza rinculo, 12 cannoni da 75 senza rinc ulo, 49 motocicli, 203 a utomezzi, 124 carrette cingolate o AR/5 1, 63 "rimorchi; 1 reggimento di artiglieria divisionale su: 3 gruppi d a campagna d a 105/22 (o da 88/27) di 3 batterie di 6 pezzi ciascuna, 1 gruppo pesante campale da 155/23 di 3 batterie di 6 pezzi, I gruppo di artiglieria contraerei leggero di 4 batterie di 8 pezzi da 40/56 e 8 quadrinate ciascuna , I sezione aerei legger i su 8 velivoli per un to tale complessivo di reggimen to di: 190 ufficiali, 270 sottufficiali, 2761 militari di truppa, 304 pistole, 441 moschetti automatici, 2475 carabine, 26 fucili mitragliatori, 34 mitragliat rici, 24 mitragliatrici contraerei, 53 lanciarazzi controcarri, 54 obici da 105/22 (o cannoni da 88/27), 18 obici da 155/23, 32 cannoni contraerei da 40/56, 32 complessi quadrinati contraerei, 9 velivoli, 96 motocicli, 508 automezzi, 120 trattori, 300 rimorchi, 289 stazioni radio, 57 centralini, 384 telefoni d a campo; 1 batlaglione genio pionieri su : comando, 4 compagnie pionieri, l compagnia parco campa le per un totale di: 38 ufficiali, 71 sottufficiali, 1038 militari di truppa, 63 pisto le, 52 moschetti automatici, 1032 carabine, 11 fucili mitragliatori, 8 mitragliatrici contraerei, 11 motocicli, 125 automezzi, 31 mezzi speciali (automezzi speciali per sezione traghetto, autogru, motocompressori, ruspe, scarificatori, trattori ruotati per traino rimo rchi, apripista leggeri, apripista pesanti, livellatrici, ecc.), 46 rimorchi, 2 rimorchi per mezzi cingolati; 1 compagnia trasmissioni su I plotone com ando, 1 plotone centri t rasmissione, 2 ploto ni trasmissioni radio, I plotone trasmissioni a filo con in to ta le: 7 ufficiali, SI sottufficiali, 269 uomini di truppa, 37 pistole, 6 moschetti automatici, 284 moschetti, 6 fucili mitragliatori, 6 motocicli, 41 automezzi, 17 rimorchi (auto da ricognizione, autocarri leggeri, medi, pesanti, autoradio, autocentro trasmissioni, rimorchi da 1/4, rimorchi da I t); reparto specialisti artiglieria divisionale (comando d el reparto, sezione topografica, sezione osservazione, sezione aerologica): ufficiali 6, sottufficiali 16, militari di truppa 131 , pistole 10, moschetti 15, carabine 128, fucili mitragliatori 7, motocicli 4, automezzi 23, rimorchi 10, stazioni radio 10, centralini 3, telefoni da campo 10; servizio sanitario: 1 sezione sanità (19 ufficiali, 17 sottufficiali, 376 militari di truppa, 265 pistole, 154 carabine, 2 motocicli , 63 automezzi); l ospedale da campo (6 ufficiali, 2 sottufficiali, 42 militari di truppa, 14 pistole, 35 carabine, 5 automezzi); 1 nucleo c hirurgico (3 ufficiali, 23 militari di truppa, 9 pistole, 17 carabine, 3 automezzi); I ambulanza odontoiatrica (1 ufficia le, 3 militari di truppa, l pistola, 3 carabine, I autoambulanza); I ambulanza radiologica (I ufficiale, 1 sottufficial e, 5 militari di truppa, 2 pistole, 5 carabine, 2 automezzi); servizio vettovagliamento e vestiario: l sezione sussistenza (1 ufficia le, 8 sottufficiali, 53 militari di truppa, 9 pis tole, 65 fucili o carahine, 2 moschetti auto matici, 2 fucili mitragliatori, 2 motocicli,
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13 automezzi); 1 sezione panettieri (2 ufficiali, 5 sottufficiali, 80 militari di truppa, 9 pistole, 82 fucili, 2 moschetti automatici, 1 fucile mitragliatore, 1 motociclo, 1 automezzo, 1 rimorchio); 1 sezione vestiario lavanderia bagni (4 ufficiali, 8 sottufficiali, 88 militari di truppa, 7 pistole, 92 fucili, 1 moschetto automatico, 5 fucili mitragliatori, 1 motociclo, 12 automezzi, 9 rimorchi); reparto trasporli (1 comando, 4 autosezioni e 1 officina leggera): ufficiali 8, sottufficiali 19, militari di truppa 279, pistole 10, moschetti automatici 6, carabine o moschetti 290, fucili mitragliatori 10, mitragliatrici contraerei 6, motocicli 13, automezzi 155, rimorchi 30; officina mobile: (direzione, sezione officina, sezione riparazioni materiale delle trasmissioni, sezioni recuperi, sezione materiali): 8 ufficiali, 31 sottufficiali, 201 militari di truppa, 11 civili, 29 pistole, 208 moschetti o carabine, 3 moschetti automatici, 4 fucili mitragliatori, 3 motocicli, 50 automezzi, 6 rimorchi; parco mobile (comando, ufficio amministrazione, uffici e magazzini «A» e «B», ufficio e magazzino «C», autodrappello): ufficiali 10, sottufficiali 16, militari di truppa 80, civili 1. 25 pistole, 79 moschetti o carabine, 2 fucili mitragliatori, 2 mitragliatrici contraerei, 2 motocicli, 13 automezzi; compagnia mista servizi (comando, squadra comando, plotone misto servizi, 2 plotoni ausiliari): 4 ufficiali, 11 sottufficiali, 150 militari di truppa, 6 pistole, 15 moschetti automatici, 144 carabine o moschetti, 4 fucili mitragliatori, 4 motocicl i, 3 automezzi. 19 Il problema dei raggruppamenti e dei gruppi tattici venne lungamente dibattuto sulla Rivista militare: 1950, VI, pg. 623 Un nuovo comandante: quello di gruppo tattico del ten. col. Luigi Forlenza; VII, pg. 789 li gruppo lallico, nota redazionale; 1951, II, pg. 131 Dei gruppi e raggruppamenti tallici e relativi comandanti del gl:n. Gino Boccia; X, pg. 1068 Gruppi e raggruppamenti tattici di Aristarco; XI, pg. 1219 Colonna d'attacco e raggruppamento tattico, nota redazionale. Il Nom enclato organico-tallico-logistico d el 1951 d ette le seguenti definizioni: Raggruppamento tallico: complesso di unità di varie Armi riunite sotto unico comando per raggiungere, anche con la manovra in proprio, un particolare scopo tattico nel quadro offensivo o difen sivo di una G.U ., allorché esigenze di situazione o di terreno impongano un decentramento di forze e di comando. In esso l'unità dell'Arma principale che ne costituisce l'ossatura (fanteria, carristi, cavaJleria blindata) è de ll'ordine del reggimento; Gruppo tattico: complesso di unità di varie Armi riunite sotto unico comando per raggiungere, anche con la manovra in proprio, un particolare scopo tattico nel quadro offensivo o difensivo di una G.U., allorché esigenze di situazione o di terreno impongano un decentramento di forze e di comando. In esso l'unità dell'Arma principale che ne costituisce l'ossatura (fanteria, carristi, cavalleria blindata) è de ll'ordine del battaglione. In s intesi: perché si proceda all'articolazione della G.U . in raggruppamenti e in gruppi tattici occmre che esistano esigenza di situazione o di t erreno, o entrambe, che impongano un decentramento di forze e di comando; perché un complesso di forze possa essere denominato raggruppamento o gruppo tattico è necessario che sia costituito da più armi riunite sotto unico comando; la differenza tra raggruppamento e gruppo è solo questione di livello di forza. 2 Funzioni preminenti del comandante del gruppo di caposaldi sono, come da paragrafo 66 della 2600: l'organizzazione de lla zona di sicurezza; l'armonizzazione dei campi minati e della difesa controcarri sulla base d egli ordini del comandante della divisione; il coordinamento del fuoco di fanteria negli intervalli tra i caposaldi; la definizione delle necessità di fuoco d'artiglieria a favore del gruppo di caposaldi nella zona di sicurezza e negli inte rvalli; la definizione delle linee che delimitano le zone di competenza dei comandanti di caposaldo negli intervalli interposti; l'asse-
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gnazione ai caposaldi di mezzi reggimentali o ricevuti in rinforzo; l'impiego dei mezzi di fuoco reggimentali, o avuti in rinforzo, tenuti direttamente alla mano; il coordinamento dell'attività di pattuglie svolta dai presidi dei caposaldi. 21 Paragrafo 110: Divisioni di seconda ed eventualmente di terza schiera possono venire impiegate: per sostituire una divisione in linea, per scavalcare una divisione e completare il successo, come riserva in caso di eventi sfavorevoli. Prescindendo dal caso della sostituzione, la quale avviene con procedimenti particolari, negli altri casi la divisione avanza con misure di sicurezza e articolata in modo da poter fare fronte alle varie eventualità ed alla mutevolezza della situazione che caratterizza l'ambiente generale d'impiego. Tale articolazione risponde alla visione e alla concezione operativa del comandante della divisione, ma deve essere elastica e adattabile a misura che la situazione si venga precisando. Nello sfruttamento del successo compito della divisione è penetrare arditamente a fondo nell'organizzazio ne nemica verso gli obiettivi assegnati senza eccessive preoccupazioni di sicurezza laterale. Nell'intervento in caso di eventi sfavorevoli, la divisione può essere impiegata: o per svolgere un'azione controffensiva, preferibilmente alla base del saliente avversario, appoggiando il fianco ad una linea, di ostacolo o ai pilastri ancora efficienti dell'organizzazione difensiva; o per tamponare una falla, schierandosi difensivamente s u di una posizione di contenimento, in attesa che sia possibile passare alla controffensiva. La divisione di seconda o terza schiera può trovare anche impiego in operazioni di «controguerriglia • intese a garantire la sicurezza nelle retrovie del corpo d'armata e dell 'armata. 22 La montagna continua ad ostacolare lo sviluppo delle operazioni moderne (concentrazioni di forze e di mezzi, potenza di rottura e capacità di penetrazione in profondità, celerità e continuità di ritmo) perché fraziona le forze, limita l'impiego dei mezzi più moderni e di masse corazzate, diminuisce le possibilità di concorso dell'aviazione. Caratterizzano le operazioni in montagna: localizzazione delle direttrici operative; Frazionamento degli sforzi per cui la massa va ricercata attraverso la convergenza di azioni diverse, spesso autonome sotto il punto di vista tattico e logistico; limitazione d elle forze impiegabili; localizzazione, tavo lta esclusione, dell'impiego delle unità corazzate; limitazioni dello schieramento e delle azioni di artig lieria; insufficienza dell'azione frontale di forza e valorizzazione massima della manovra e della sorpresa; lentezza e difficoltà dei movimenti e conseguente difficoltà di modificare concetti di azione, dosamenti, schieramenti, direzioni, criteri d'impiego delle riserve; importanza preminente delle predisposizioni logistiche che vincolano e condizionano le possibilità di combattere. Nell'azione offensiva: sforw principale per il basso integrato da azioni manovrate per l'alto, tendenti ai fianchi ed al tergo delle posizioni difensive nemid1e. L 'allività esplorativa si estrinseca di frequente sotto forma di occupazione preventiva di località importanti ed è svolta sovente a distanza notevole e con forze rilevanti, con il concorso eventuale di nuclei di paracadutisti alpini. L'avvicinamento è condizionato dalla necessità di imbastire con forte anticipo il disegno di manovra mediante la preventiva ripartizione delle forze e l'occupazione di posizioni che facilitino l'organizzazione e l'esecuzione dell'attacco. Questo è caratterizzato da: sviluppo di sforzi separati nel tempo e nello spazio concorrenti però su obiettivi tatticamente connessi; obiettivi in profondità, soprattutto in relazione a ll a ripercussione della loro conquista sulle comunicazione nemiche; autonomia di azione delle singole articolazioni; ricorso alla manovra anche nell'ambito delle minori unità; settori di azione ampi; schieramento avanzato delle artiglierie; carattere episodico del combattimento: immediatezza e decisione nello sfruttamento del successo.
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Nell'azione difensiva - che mira a tenere posizioni che interdicano all'attaccante lo sfruttamento delle vie di facilitazione e del sistema di comunicazioni - la plastica del terreno induce a schierare le forze a blocchi, di entità e specie proporzionata all'importanza relativa delle vie di facilitazione, ed a limitarsi a vigilare le zone impervie interposte con il minimo di forze. L'organizzazione difensiva, in genere su fronti maggiori e meno profonde che in terreni di pianura o collinosi, deve sfruttare il naturale valore difensivo delle posizioni con la costituzione di caposaldi di entità differente, disposti in modo irregolare e discontinuo sulla fronte ed in profondità. Le reazioni di movimento locali devono essere predisposte a favore delle posizioni più importanti per l'integrità del sistema difensivo e le forze che debbono effettuarle debbono essere dislocate in modo da poter intervenire tempestivamente dall'alto verso il basso. Riserve autocarrate arretrate devono essere predisposte per la contromanovra o il contenimento. La divisione di fanteria: in attacco, agisce spesso per raggruppamenti tattici, operando a cavallo delle dorsali più agevoli e delle zone di facilitazione di fondo valle; in difesa tiene, con caposaldi scaglionati in profondità e dotati di larga autonomia tattica e logistica, le posizioni di dominio delle comunicazioni; mantiene le zone interposte con caposaldi di piccola entità e largo impiego di campi minati; agisce con riserve settoriali a favore delle posizioni più importanti e per opporsi a minacce di aggiramento nelle zone interposte; contromanovra o contiene mediante riserve autocarrate (fanteria e cavalleria) rinforzate da carri armati; nel ripiegamento impiega la retroguardia per bloccare l'inseguitore su successive posizioni forti, impedendogli di sopravanzare i grnssi in ripiegamento sulle vie di facilitazione. La brigata alpina si differenzia dalla divisione di fanteria per spiccata capacità di adattamento ai vari terreni, elasticità organica che le consente la costituzione e l'impiego di gruppi tattici anche di modesta entità, mobilità e autonomia logistica e maggiore capacità ad azioni di manovra. La brigala alpina: nell'esplorazione, impiega consistenti reparti alpini spinti a notevole distanza, la cui azione può essere integrata da nuclei paracadutisti alpini; nella sicurezza, sfrutta il terreno, da dorsale a dorsale, e utilizza i punti che consentano l'osservazione a distanza, dedicando a tale compito poche forze; nell'allaccu si articola per raggruppamenti e gruppi tattici vari per compiti, costituzione, procedimenti di azione; agisce con azione di forza nelle zone di maggiore facilitazione sussidiandola con azioni di manovra e di sorpresa lungo le direzioni più aspre; sfrutta a fondo con celerità e spregiudicatezza ogni successo locale per provocare il dilagamento, giovandosi di riserve parziali ravvicinate, dislocate in alto, e di nuclei di paracadutisti alpini; nella difesa impernia la resistenza su caposaldi di entità e consistenza varia in base alla natura del terreno, dotati e.li grane.le autonomia per resis tere anche se aggirati, posti a sbarramento delle vie di facilitazione e appoggiati ai fianchi per frustrare l'azione di manovra dell'attaccante. Criteri di organizzazione: scegliere posizioni naturalmente forti e agevoli per il dominio e controllo delle forze; evitare dispersione di forze in zona di sicurezza; osservare e pattugliare le vie di costa; predisporre rincalzi e riserve parziali possibilmente in alto ed a buona portata delle posizioni; prevedere e predisporre in tempo l'impiego delle riserve; sfruttare al massimo le ac;cidentalità del terreno e fare largo uso di campi minati. Nel ripiegamento la retroguardia deve sfruttare al massimo la forza naturale di successive posizioni per interdire le direttrici che consentano all 'avversario di agire in profondità sul tergo e sui fianchi dei grossi ripieganti nei fondi valle . La brigata alpina venne successivamente ordinata, nel 1956, su: comando di brigata (stato maggiore, comando unità servizi, quartier generale): 37 ufficiali, 37 sottufficiali,
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107 militari di truppa, 67 pistole, 18 moschetti, 99 fucili, 2 fu cili mitragliatori, 5 moto, 16 automezzi; sezione carabinieri (comando, 3 squadre): 1 ufficia le, 6 sottufficiali, 5 1 miliari di truppa, 58 pistole, 58 mosch etti automatici, 5 motocicli, 5 automezzi; sezione aerei leggeri: 3 ufficiali, 4 sottufficia li, 9 militari di truppa, 7 pistole, 9 moschetti automatici, 1 mitragliatrice contraerei, 3 aerei leggeri, I motociclo, 3 au tomezzi. 2 rimorch i; 1 reggimento alpini su: comando, compagnia comando (plotone comando, plotone trasmissioni, autosczionc mis ta), 3 o 4 ba ttaglioni, l compagnia mortai (comando, plotone comando, 3 plotoni m ortai): ufficiali 144 o 184 , sottufficiali 323 o 4 17, militari di truppa 3772 o 4901, pistole 775 o 1001 , moschetti automatici 656 o 849, carabine 330 o 426, carabine automatiche 603 o 804, tromboncini controca rri 27 o 46, fu cili 1989 o 2577, fucili mitragliatori 152 o 200, mitragliatrici 27 o 36, mitragliatrici contraere i 26 o 33, lanc iarazzi controcarri 50 o 65, m o r tai leggeri 27 o 36, mo rta i da 81 27 o 36, m o rta i da 107 9 , cannoni senza rincu lo da 57 27 o 36, cannoni senza rinculo da 75 12 o 16, m oto 41 o 52, automezzi 281 o 353, rimorchi 6 8 o 86, stazioni radio 275 o 363, centralini 9 o 11 , telefoni campa li 90 o 110; 1 reggimento artiglieria da montagna su: com ando, I gruppo da 75/ 13 s u 3 o su 4 batterie, 1 gruppo d a 100/17, 1 gruppo m o r tai da 107: ufficiali 96 o 104, sottufficiali 140 o 150, mil itari di truppe 1813 o 2154, pistole 215 o 232, moschetti a utomatici 254 o 295, carabine 1674 o 1880, fucili mitragliatori 19 o 28, mitragliatrici contraerei 19 o 2 1, mortai da 107 18 , mul i 522 o 624, motocicli 26 o 28, automezzi 183 o 185, tratto ri 15, rimor-d1i 73, vdivoli 6, s lazioni radio 77 o 86, central ini 14 o 16, telefoni 82 o 92; / compagnia genio (comando, plotone comando, 3 plotoni pionieri, 1 plotone parco campale): 8 ufficiali, 17 sottufficiali, 302 militari d i truppa, 19 pistole, 7 moschetti automatici, 301 carabine, 4 fucili mitragliatori, 1 mitragliatrice con traerei, 7 motocicli, 37 automezzi, 5 rimorchi, I trattore; / compagnia trasmisswni; ufficiali 4, sottufficiali 41 o 42, m ilitari <li truppa 191 o 198 secondo se la brigata è su 3 o su 4 battaglioni, pistole 19, moschetti automatici 63 o 70, carabine 154 o 155, fucili mitrag liatori 7, motocicli 6 , automezzi 26 o 27, rimorchi 10, stazioni radio 21 , telescriventi 26 o 27, centralini 5, telefoni campa li 24 o 25; 1 plotone paracadutisti (comando, 3 squadre fucilieri paracadut ist i, I squadra armi leggere paracadutisti): 2 ufficia li, 6 sottufficiali, 46 militar i di truppa, 9 pi stole, 44 carabine automatiche, 5 fucili mitragliatori, 3 fucili per tiratori scelti , 3 tromboncini controcarri, 8 stazio ni radio; servizio sa nitario: I sezione sanità (6 ufficiali, 11 sottufficia li, 140 militari di truppa, 93 pistole, 62 carabin e, 11 muli, 20 a utomezzi); 1 ospedale d a campo (6 ufficiali, 2 sottufficia li , 42 militari di truppa, 14 pis tole, 35 carabine, 5 automezzi); 1 nucleo chirurgico (3 ufficiali, 23 militari di truppa, 9 pistole, 17 carabine, 3 automezzi); 1 ambulanza radiologica (I ufficiale, 1 sottufficiale, 5 militari di truppa , 2 pistole, 5 carabine, 2 automezzi); I ambula nza odon toiatrica (1 ufficia le, 3 militari di truppa, 1 pi stola, 3 carabine, I a utomezzo); servizio di commissariato: I sezion e s ussistenza (3 ufficiali, 6 sottufficiali, 46 militari di truppa, 3 pi stole, 46 carabine, 2 fucili mitragliatori, 2 motocicli, 3 automezzi); 1 sezione panettier i (l ufficiale, 5 sottufficiali, 45 militari di truppa, 3 pi stole, 47 carabine, 1 fucile mitragliatore, 1 motoc iclo, l automezzo, l rimorchio); 1 sezione vestiario lavanderi a bagn i (4 ufficiali , 7 sottuffic iali, 77 militar i di truppa, 11 pistol e, 76 car abine, 1 moschetto automatico, 4 fucili mitragliatori, 1 motociclo, 9 automezzi, 6 rimorchi); 1 autoreparto (comando, 2 a utosezio ni , I officina leggera): 6 ufficiali, 14 sottufficiali, 158 militari di truppa, 17 pistole, 4 m oschetti automatici, 157 carabine, 6 fucili mitrag liatori, 3 mitragliatr ici contraere i, 7 motocicli, 68 auto~ezzi, 3 rimorchi); 1 officina mobile (squadra operai, squadra riparazione materiale trasmi ssioni, squadra recuperi, squ adra materiali): 6 11ffida li, 18 sottufficiali, 108 militari di truppa, 22 pistole, 3 m osch etti automatici,
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107 carabine, 2 fucili mitragliatori: 3 motocicli, 20 automezzi, l trattore, 2 rimorchi; 1 parco mobile (comando, ufficio amministrazione, uffici e magazzini «A» e «B », ufficio e magazzino «C», autodrappello): 10 ufficiali, 16 sottufficiali, 71 militari di truppa, 27 pistole, 68 carabine, 2 moschetti automatici, 2 fucili mitragliatori, 2 motocicli, 20 automezzi; 1 reparto salmerie (comando, 3 o 4 squadre salmerie): 5 o 6 ufficiali, 7 o 8 sottufficiali, 118 o 150 militari di truppa, 16 o 19 pistole, 113 o 144 carabine, l moschetto automatico, 4 o 5 fucili mitragliatori , 60 o 80 muli, I motociclo, 3 automezzi, I autobotte; I plotone servizi (comando, 1 squadra mista servizi, 2 squadre ausiliari): I ufficiale, 4 sottufficiali, 58 militari di truppa, 5 pistole , 57 carabine, 1 moschetto automatico, 1 fucile mitragliatore, 1 motociclo, l automezzo, 2 stazioni radio. 23 Minis tero della difesa. Stato m aggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 2700 del 16 febbraio 1952 della serie dottrinale Norme per l'impiego dei reparti carristi nelle G. U. di fanteria. La pubblicazione, formato 18 X 12, comprende: premessa, l generalità, Il azione offensiva, III azione difensiva, a ppendice (definizio ni , classificazioni e caratteristic he). Titoli delle generalità: criteri generali d'impiego, cooperazione fanteria-carri; d ell'azione offensiva: ricerca e presa di contatto, attacco, completa mento del successo; dell'azione difensiva: contrattacco, manovra in ritirata. Essa consta di 55 pagine, 60 paragrafi. Riportiamo qui di seguito, sunteggiato, il contenuto dell'appendice che è quello che rende più comprensibile i termini utilizzati d a lla pubblicazione. Mezzo co razzato: veicolo automobile, armato, protetto. Può essere cingolato, semicingolato, a ruote. I mezzi corazzati cingolati si dis tinguono in: mezzi di combattimento e mezzi speciali; i mezzi cora zzati semicingolati sono quelli riserva ti al trasporto truppe e/o materiali, al traino di a rtiglierie; i mezzi corazzati a ruote sono le autoblindo e quelli che nel linguaggio corrente vengono indicati come mezzi blindati. Mezzi corazzati cingolati da combattimento sono classificati in carri armati, carri d 'accompagnamento, carri caccia-carri, artiglierie semoventi, veicoli corazzati . Loro caratteristiche: armamento, protezione, mobilità. Carri armati: mezzi dotati di cannone o di obice, di calibro variabile, con muniziona mento sia controcarri (proietti a carica cava o pe rforanti) sia ad a lto esplosivo; fomiti di corazze a tte a sottrarre personale e organi meccanici dagli effetti dei proietti e proiettili non controcarr i; provvisti di organi meccanici idonei a garantire costante ed elevata mobilità su te rreno vario. Si distinguono in base a l peso: in carri leggeri (preminenza della mobilità), carri medi (esigenze di protezione s ubordina te a quelle di un armamento potente e di un'elevata attitudine al movimento); carri pesanti (sviluppo preminente della protezione e d ell 'armamento rispetto alla mobilità); leggeri fino a 25 t, medi da 25 a 50 t , pesanti d i peso superiore a 50 t. In re lazione al calibro si distinguono in: carri con cannone m edio e carri con cannone pesante. Carri di accompagnamento sono quelli armati di pezzi idonei a effettuare: con munizionamento norma le, tiri contro bersagli de fil ati; con munizionamento speciale (granata a carica cava), tiri contro carri e opere fortificate. I primi sono dotati di scafi di dimensioni e prestazioni analoghe a quelle dei carri armati; i secondi sono più bassi dei primi ed hanno corazze di casamatta particolarmente robuste. Caccia-carri sono mezzi di ripiego, approntati in caso di bisogno guerra durante, mediante l'installazione su scafi , anche superati, di pezzi di particolare potenza per controbilanciare situazioni di emergenza c reate dalla apparizione di nuovi tipi di carri annati avversari con caratteristiche s uperiori a quelle dei propri.
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Artiglierie semoventi sono bocche di fuoco di vario tipo e potenza, meno protette dei carri (sprovviste di torretta), organizzate per la manovra del fuoco insta!Jate su scafi protetti e cingolati. Veicoli corazzati, genericamente, sono destinati a l trasporto di truppe e di materiali speciali, assicurando almeno la protezione dai proiettili delle armi automatiche e dalle schegge di artiglieria. Sono spesso ricavati, con l'eliminazione di alcune sovrastrutture e installazioni, da scafi normali (carri «canguro»). Mezzi corazzati speciali sono privi in genere dell 'armamento di maggior potenza e comprendono: mezzi per l'azione di comando (carri comando, carri radio, ecc.), mezzi per l'apertura dei varchi (carri sminatori, carri scorpione, ecc.), mezzi per il superamento di corsi d'acqua (carri ponte, carri passerella, ecc.), carri lanciafiamme, carri recupero, carri sterratori (dozer), ecc .. 24 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 1800 dell'8 giugno 1952 Norme d'impiego della divisione corazzata. La pubblicazione, formato 18 X 12, comprende: Premessa; I Principi generali d'impiego delle unità corazzate. II Costituzione e caratteristiche della divisione corazzata. III Caratteristiche e compiti degli clementi costitutivi della divisione corazzata: carristi, bersaglieri, cavalleria blinda ta, artiglieria, genio pionieri, collegamenti, servizi, mezzi aerei. IV Compiti della divis ione corazzata. V Movimenti e soste. Ricerca e presa di contatto: generalità, esplorazione e sicu rezza. VI Azione offensiva: avvicinamento, attacco (generalità, attacco in terreno libero o contro posizioni scarsamente organizzate a difesa, attacco contro posizioni organizzate, forzamento di un corso d'acqua), combattimento contro unità similari (azioni dei carri armati, dei bersaglieri, dell'a.-tiglie ria e degli aerei), sfruttamento del successo. VII Azione difensiva: difesa di posizioni, protezione del ripiegamento di una G.U. di ordine superiore, difesa di un corso d'acqua. Vlll Servizi. Appendice (i mezzi corazzati: definizioni, classificazioni e caratteristiche). La pubbicazione consta di 131 pagine, 199 paragrafi. Circa i servizi, la pubblicazione richiama la circolare 6000/Serv. Memoria orientativa sulla organizzazione e funzionamento dei servizi in guerra. Indica, pe r i servizi, l'articolazione in due scaglioni: avanzalo (elementi logistici essenziali per il combattimento: sezione di sanità esclusi i nuclei disinfezione, antimalarico e bagni), posti distribuzione carburanti, posti distribuzione munizioni); arrelrato (comprendente tutti i rimanenti organi non strettamente legati all'azione tattica delle unità della divisione). Lo scaglione avanzato deve essere costantemente su ruote; s u di esso gravitano le aliquote funzionali de lla compagnia mista servizi, del plotone movieri, d el reparto trasporti. La dislocazione dello scaglione avanzato deve essere tale da: non saturare la zona di combattimento, sottrarre i mezzi alle immediate vicissitudini della lotta e assicurarne la protezione; quella dello scaglione arretrato tale da: garantire a lle unità dei servizi sicurezza contro incursioni terrestri, faci litare l'occultamento e il mascheramento. I servizi debbono andare incontro alle esigenze operative: in sede preventiva, con un'organizzazione efficiente, strettissima collaborazione tra organi operativi e logistici dello stato maggiore divisionale, utilizzazione di ogni genere di risorse; durante il movimento, precedendo, nelle località di sosta, quando possibile, le unità di combattimento, scaglionando lungo gli itinerari nuclei od aliquote quando la situazione non consenta i provvedimenti precedenti, inserendo nel dispositivo di movimento i mezzi indispensabili per il rifornimento carburanti, per il soccorso e
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per il servizio delle riparazioni; in combattimento, con un comando elastico nella valutazione e rigido nel pretendere l'esattezza e la puntualità della esecuzione. I servizi, combattimento durante, debbono essere costantemente in condizioni di provvedere alla propria sicurezza. Esigenze fondamentali per l'efficienza della divisione: sicuro funzionamento del servizio di rifornimento del carburante e , subordinatamente, delle munizioni; cura e manutenzione dei mezzi, che hanno bisogno di periodiche revisioni e di tempestive riparazioni; piena coscienza dell'importanza di tali operazioni. Nel!' Appendice sono riporla le ad litteram definizioni, classificazioni e caratteristiche dell'Appendice della 2700 (vds. nota precedente). 25 Rivista militare, 1950, Ili, pg. 232 Carri armati e unità corazzate del gen. Giorgio Liuzzi. Dello stesso autore, nel numero III, pg. 299, sempre nel 1950, vds. anche Panorama della guerra moderna. 26 Giorgio Liuzzi (1895-1984). Generale di corpo d'armata. Sottotenente di artiglieria nel 1914, partecipò alla 1 a guerra mondiale, prendendo parte a molte battaglie. Dopo la guerra frequentò la Scuola di guerra. Fu assegnato al corpo di stato maggiore, dove svolse molteplici e delicati incarichi. Allontanato dall'esercito per questioni razziali, vi rie ntrò e comandò il I O reggimento artiglieria da campagna. Fu, poi, capo di stato maggiore della delegazione «A», addetto allo stato maggiore dell'esercito, sottocapo di stato maggiore dell'esercito. Da generale di brigata, comandò la brigata cora:a:ala A,ie1e; fu, quindi, di1·cttore generale dei servizi di commissariato ed amministrativi del Ministero difesa esercito. Da generale di divisione, comandò la divisione fanteria Granatieri di Sardegna. Da generale di corpo d'armata, comandò il Comiliter di Napoli cd il 5° corpo d'armala. Dall' 11 ottobre 1955 fino a tutto il 1958 fu capo di stato maggiore dell'esercito. 27 Vds. precedente Cap. L, nota 14. 28 Vds. precedente Cap. XLIX. nota 39. 29 Vds. precedente Cap. L, nota 13. 30 Stato maggiore R. Esercito. Ufficio addestramento. Circolare 18 000, del 19 agosto 1941, a firm a del generale Mario Roalla: Impiego delle unità corazzate (norme provvisorie). La circolare, formato 17,5 X 11,5, consta di: Premessa. I I carri armati. Il Principii generali di impiego delle unità carriste. III La divisione corazzata: la cooperazione. IV l.,a divisione corazzata nelle varie fasi dell'azione: movimento, esplorazione e sicurezza, attacco, sfruttamento de l successo, rottura del conta tto. V Azione di una divisione corazzata contro G. U. similare. VI A zione di una divisione corazzata in zone desertiche. VII Collegamenti. VIII Servizi. In tutto: 55 pagine, 80 paragrafi. Nel settembre del 1942, il Servizio Informazioni Esercito (S.l.E.) dello stato maggiore dell'esercito diramò la traduzione in lingua italiana del regolamento tedesco Direttive per la condotta e l 'impiego della divisione corazzata del 3 dicembre 1940: Stato Maggiore R. Esercito. Servizio informazioni esercito (S.l.E.). Pubblicazione n° 710/S. Sui Procedimenti offensivi ge rmanici lo stato maggiore del!;esercito aveva diramato, fin dal 1940, un'apposita pubblicazione (la circolare 8900) della quale riportiamo l'indice: I La sorpresa. II Azione contro fronti discontinui. III Azione contro fronti continui permanenti. IV Attacco contro fronti continui campali. V Fron1i di attacco. VI Forzamento di corsi d'acqua. VII Sfruttamento del successo. VIII Concorso della aviazione. Considerazioni. Allegato: composizione generica dei nuclei d 'assalto germanici destinati alla espugnazione di opere fortificate. La pubblicazio-
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ne, formato 17,5 X ll ,5, consta di 35 pagine ed è di grande interesse perché sintetizza le caratteristiche di taluni procedimenti offensivi adottati dai tedeschi nelle campagne di Polonia e di Francia e le raffronta con quelle in vigore nella dottrina italiana. Di minore interesse la traduzione del regolamento tedesco Direttive pe r la condotta e l'impiego della divisione corazzata. La pubblicazione, formato 19X 12,8, consta di 90 pagine, 183 paragrafi. Indice: I Caratteristiche e costituzione della divisione corazzata. li Compiti della divisione corazzata. lii Condotta defla divisione corazzata. IV Le singole armi della divisione corazzata: la brigata corazzata, la brigata di fanteria, artiglieria, battaglione anticarro, battaglione corazzato del genio, battaglione corazzato collegamenti, gruppo corazzalo leggero. V Esplorazione: aerea, gruppo esplorante divisionale, esplorazione di combattimento, collaborazione tra ricognizione aerea e terrestre. Trasmissioni di notizie. VI Marcia : formazioni, sicurezza in marcia. VII Schieramento. VIII Attacco: esecuzione attacco, movimento, svolgimento dell'attacco da posizione di attesa. IX Inseguimenw. X Difesa. Xl Rottura del con/allo. XII Combattimento in circostanze particolari: attacco contro una front e fortificata, forzamento di un corso <l'acqua, combattimento negli abitati, combattimento nei boschi ed in montagna, combattimento nella nebbia. Xlll Sosta. XIV Particolarità del rifornimento: generalità, partico larità. Allegato: Designazione degli obiettivi mediante riferimentn alla dirn.innP. di 11trncco. È facile l'iscontrare, a nche dal semplice raffronto degli indici, le grnn<li analogie esistenti, nel la ripartizione e successione degli argomenti e nello schema generale d 'impostazione, tra la pubblicazione germanica e la circolare 18 000. La divisione corazzata nel 1952-53 assunse gradatamente il seguente ordinamento: comando e quartier generale; l ploto ne movieri; l sezione carabinieri; I gruppo squadroni di cavalleria; l reggimento carri su comando e compagnia comando, 3 battaglioni carri, l officina leggera; I reggimento bersaglieri s u comando, compagnia comando, officina leggera, 3 battaglioni bersaglieri, 1 compagnia cannoni controcarri; l reggimento artiglieria corazzata su 3 gruppi semoventi da 105/22, l gruppo semoventi controcarri, I gruppo contrae rei leggeri, l reparto trasporti e riparazioni; l compagnia genio pionieri; 1 compagnia collegamenti; l reparto trasporti con officina leggera; l sezione sanità; 1 sezione sussistenza; I parco mobile; 1 officina mobile. In totale: 403 ufficiali, 880 sottufficiali, 6177 militari di Lruppa, 2504 pistole, 1930 moschetti automatici, 1367 fuc ili, 39 mortai ìeggeri, 24 mortai da 81, 99 lanciarazzi controcarri, 36 mitraglia trici, 13 mitragliaLrid contraerei, 20 cannoni controcarri da 57/50, 12 cannoni senza rinculo da 75, 27 cannoni senza rinculo da 57, 18 canno ni da 40 mm, 20 semoventi tipo Priest, IO semoventi M IO da 76/50, 36 semoventi da 105/22, 2365 moschetti, 174 carri armati mcdi, 23 carri armati leggeri, 18 autoblinde, 29 mezzi blindati vari, 102 semicingolati, 177 carrette cingolate, 266 motocicli, 730 automezzi, 16 automezzi speciali de l genio, 53 trattori, 81 rimorchi, 2 traini. Mezzi delle truppe corazzate. Mitragliatrice ca[. 7,62 (Browning) americana. Heavy machine gun cal. 30 M 191974: torretta abbinata alla b.d.f.); cal. 7,62; alimentazione a nastro di Lessuto (capacità 250 cartucce) o metallico ad elementi scomponibili; congegno di puntamento del pezzo se di torretta, a lzo a ritto se di presa; V m/s 810; gittata d'impiego e massima 900 m (torretta) 180 prua ; celerità di tiro c/m 150; peso all'impiego 14 kg (arma), 7,500 kg (treppiede) in totale 21 ,500 kg; se di prua {mancante sul carro da 76/55), a limentazione a raffiche , se di prua alzi a ritto; V m/s 8 10; celerità di tiro c/m 150. Mitragliatrice ca/. 12, 7 (B rowing) americana,
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Heavy machine gun cal. SO HBM2, a nastro di tessuto (capacità 250 cartucce) o metallico ad elementi scomponibili; colpo singolo e raffiche; alzo a ritto; V m/s 900; gittata d 'impiego 500-800 m (e.a)· 800+ 1000 (terrestre) - 7000 m (massima); celerità di tiro c/m 400-500. Cannone da 37154 M6 (su: carro armato da 37 Stuart MSAI, autoblindo Staghound, autoblindo Grayhound), inglese; fabbricazione americana; cal. 37 mm; colpo singolo; congegni di puntamento e osservazione (Grayhound: I cannocchiale M70D oppure M54 e 2 primi protettoscopi; Staghaund: l periscop io M8Al con cannocchiale M46A2 oppure I periscopio M4Al con cannocchiale M40A2 oppure t periscopio M4 con cannocchiale M40, 5 o 6 periscopi M6; S tuart M5AI : I periscopio M4Al con cannocchiale M40A2 oppure 1 periscopio M4 con cannocchiale M40, 5 o 6 periscopi M6, 1 cannocchiale M70D oppure M54); cartoccio granata H.E.. cartoccio scatola a mitraglia, cartoccio-proietto A.P., cartoccio proietto A.P.C.; V m/s 73 1 +872; g ittata d 'impiego e massima 1400 m, 800+ 1000 m, 8500 m H.E., 1150 m A.P.C.; celerità di tiro c/m 15 +20. Cannone da 40'56 Ml, americano, 40 mm Ml , cal. 40; automatico e colpo singolo; congegno di puntamento a griglia; cartoccio granata H .E. e cartoccio proietto A.P.C.; V m/s 875; gittata d'impiego e massima 1375 m (tiro e.a.), 9920 m orizzontale (H.E.), 6973 in verticale (H.E.), 8664 m max. A.P .. Cannone da 40'56 mod. lii, ingle!ie; cal. 40 mm; automatico e colpo singolo; congegno d i puntamento a griglia; cartoccio granata H.E. e cartoccio proietto A.P.C.; V m/s 851 ; gittala d'impiego e max. 1375 m (e.a.), 7800 (con 80°), H.E. 11375 m max. terrestre. Mortaio da 51 (2") modif. per carro armato e autoblindo, inglese, bomb. Thrower da 27, calibro 50,8 mm; alimentazione a colpo singolo; bomba incediaria nebbiogena (W.P.) e bomba nebbiogena a candela; V m/s variabile con l'apertura della valvola; gittata d'impiego e max. 45-90 m (corta), 115+ 140 m (media), 275-325 m (lunga); celerità di tiro c/m 7 +8. Cannone da 57/50 Ml, americano, 57 mm Ml, cal. 57; colpo singolo; I a lzo M24 o M24Al per cannocchiale MI8 oppure 1 a lzo M63 per cannocchiale M69C; cartoccio proietto A.P.C.. A.P .. cartoccio granat a H.E.; V m/s 823 (A.P.C.), 899 (A.P.). 900 (H.E.); celerit à di tiro m/s 10 + 15. Cannone da 57/50 mod. I V. inglese, 6 libbre, ca!. 57; colpo singolo; alzo mod. 1 per cannocchiale del n° 22C o d el n° 22D mod. l; cartoccio-proietto A.P.D.S. (Sabot), A.P.C., A.P., cartoccio grana ta H.E.; V m/s 89 1 (A.P.) e 1173 (A.P.D.S.); celerità di tiro c /m 6 + 8. Cannone da 57 s.r. M/8, americano, 57 mm Rifle M18, cal. 57; alimentazione a colpo s ingolo; con gegni d i puntamento: 1 cannocchiale ordinar io M86C- l mirino M26; cartoccio granata H.E., cartoccio proietto nebbiogeno (W.P.), cartoccio granata H.E.A.T.; V mis 365; gittata d'impiego e max. 500 m e 3900 m max. Cannone da 75137 M3 (su carro armato medio She rman), am ericano, 75 mm M3, cal. 75; colpo singolo; con gegni di puntamento e osservazione: 1 periscopio M4Al con cannocchiale M38A2 oppure I periscopio M4 con cannocchiale M38, I quadrante di elevazione M9, l indicatore azimutale M1 9 oppure M20, 1 quadrante a livello Ml, 6 o 5 periscopi M6, 7 periscopi ES , 1 periscopio E6, 1 cannocchiale M7 o F oppure M55; munizionamento principale: cartoccio granata H.E., cartoccio-p roietto nebbiogeno, cartoccio proietto A.P., cartoccio-proietto A.P.C.; V m/s 600 (H.E.), 470 (nebb.), 289 (A.P.) fino a 619. Cannone da 75137 M6 (su carro armato leggero M24), americano, 76 mm, M6, cal. 75; colpo singolo; 1 periscopio Ml6 oppure I periscopio MIO oppure l periscopio M4Al , con cannocchiale M77G o M38A2 oppure 1 periscopio Ml 3 oppure 1 periscopio M6 oppure l periscopio MS, l telescopio M83F o M71K, 1 indicatore azimutale M21. I quad rante di elevazione M9; cartoccio granata H.E., cartoccio proietto A.O., cartoccio proietto A.P.C.; gittata d'impiego e massima 2000 + 3000 m o 1200-1 500 m e max. 8606 (H.E.) e 12 740 m (A.P.C.); celerità di tiro c/m 15+20. Cannone sr. da 75
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M20 americano, Riffe, M20, ca!. 75, colpo singolo; 1 cannocchiale ordinario M85 AlC per il puntamento indiretto, 1 cerchio di puntamento M34, l quadrante a livello Ml ; cartoccio granata HE/AT, ca1·toccio granata H.E., cartoccio granata nebb. (W.P.); V m/s 300 +305; gittata d 'impiego e massima 700 me 5000 m (accompagn.); celerità di tiro d m 4+5. Cannone da 7(/50 semovente, americano, 3 pollici, Ml s u semovente MIO; colpo singolo; I periscopio M4AI con cannocchiale M47A2 oppure I periscopio M4 con cannocchiale M47 oppure I periscopio M4 con cannocchiale M68, I quadrante di elevazione M9, 1 indicatore azimutale Ml9, l quadrante a livello Ml , 6-5-4 periscopi M6, 6 protettoscopi eventuali per l'osservazione della camera di combattimento, I cannocchiale M71D, I alzo M57; cartoccio-granata H.E., cartoccio scatola nebbiogena, cartoccio proietto A.P., cartoccio p roietto A.P.C.; V m/s 823 (norm) 274, 792; gittata 3000 m, 1200-1500 m , 12 984 max H.E., 1829 max. nebb., 14 720 max A.P.C.; celerità di tiro dm 8 + 10. Cannone da 7(/55 (su carro armato medio Sherman) inglese, 17 libbre, cal. 76,2; colpo singolo; I periscopio M4 con cannocchiale M38, I quadrante a livello Ml , I indicatore azimutale Ml 9, 6 u 4 periscopi M6, 7 periscopi ES, I periscopio E6, I cannocc hiale n° 43 x 3/I MKI oppure n° 43X3 ML - MK 3/ 1; cartoccio proietto A.P.D.S. (Sabot), cartoccio proie tto A.P.C.B.C., cartoccio p roie tto A.P.C., cartoccio proietto A.P., cartoccio granata H .E.; V m/s I 19 1 (A.P.D.S.), 883 (A.P.C.B.C., A.P.C., A.P.), 897 nom . e 647 rid . (H.E .): gittata <l' impiego 800 m (A.P.D.S .), 1200-1 500 m (A.P.C.B.C.; A.P.C.A.P.), 3000 m (H.E.). Cannone da 90"50 M3 (su carro armato M26: Pershing), americano, 90 mm M3 , cal. 90; colpo si ngolo; I telescopio M83C o M71N o M71C, I mirino di puntamento, I quadra nte di elevazione M9, I indicatore azimutale M20, I quadrante a livello Ml, 7 periscopi MlOF, I alzo M29AI; cartoccio granata H.E. M71 , cartoccio proietto A.P. M77, cartoccio proietto A.P.C. M82-IT, carroccio granata A.P.C. M 82T, cartoccio granata H.V.A.P.-T M304; V m/s 823 (H.E.), 822 o 96 (A.P.) 854 (A.P.C.), 807 (A.P.C. M82T), 1020 (HVAP); gittata d'impiego e max. 1500-1200 m , 17 885 m ax. terr. li 887 max. spoletta (H.E.), 11 695 max . A.P., 12 380 max. (A.P.C.). Cannone da 90'50 M3AI (su carro armato M46 o M46Al -Patton) americano, 90 mm M3Al; cal. 90; colpo singolo; 1 telescopio T I S2, I periscopio MIOF, 1 mirino di puntamento, I quadrante di e levazione M9, I indicatore azimutale M20, 1 quadrante a livello Ml, 3 periscopi M6, 1 periscopio MI S (o MISA!), 1 cannocchiale M17AI ; cartoccio granata HE M71. cartoccio proietto AP M77, cartoccio proietto APC-M82-IT, cartoccio granata APC-M82T, cartocc io granata HVAP-T M304; V m/s 823 (HE), 822,096 (AP), 854 (APC M82IT), 807 (APC M82T), 1020 (HVAP); gittata <l'impiego e massima 1500 + 2000 (H.E. 17 885 m max te rrestre), 11 887 max spoletta, AP 11 695 max, APC 12,380 max; celerità di tiro d m 10 + 12. Obice da 105122 (su carro armato medio Sherman), americano, 105 mm M4, cal. 105; colpo singolo; 1 peri scopio M8Al con cannocchiale M39A2 oppure 1 periscopio M4Al con cannocchia le T7 3 oppure M77C, I quadrante di elevazione M9, I indicatore azimuta le MI9 o M20 , 6 periscopi M6, 6 protettoscopi, I quadrante a livello Ml , I cannocchia le M70Q, I alzo M56; cartoccio granata H.E., cartoccio granata nebbiogena, cartoccio granata H E/AT (carica cava); V m/s 473 (7• carica) e 381; gitta ta d'impiego e m assima: 3500 m (H.E.) e 700+800 m (HE/AT), HE/AT 900 max carro fermo seminterrato e 2500 (HE/AT) carro fermo scoperto; celerità di tiro c/m 2 + 4. Obice da 105122 (su semovente M l), americano, 105 mm M2Al, cal. 105; colpo singolo; I cannocchiale mod. 1 camp., 1 alzo M21, 1 allunga di 12", I allunga di 6", I quadrante di distan za M4, I cannocchiale a gomito Ml6AI o Ml 6, I supporto M42 o M23 o M49, I quadrante a livello Ml o M191 8, I prisma protettoscopio; granata H.E., granata nebbiogena, g ra nata HE/AT; V m/s 472; gittata d'impiego e max. 10 640 m (H.E.); celerità di tiro dm 3 + 4.
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A rmamento di bordo dei mezzi: scout car nessun armamento; autoblindo M8 (MS El) Greyhound: I cannone da 37/54 e 2 mitraglia t rici 7,62; autoblindo Tl7E I S taghound: I cannone da 37/54 e 2 mitragliatrici 7,62; autoblindo Tl7EJ Staghound: I canno ne da 37/54, 3 mitragliatrici 7,62, l mortaio d a 51 (2 pollici) modificato per carro armato e a utoblindo; carro leggero da esplorazione M3A3 Stuart Recce: I mitragliatrice 12,7 e I mitragliatrice 7 ,62: carro armato da 37 M6 S tuart MSAI : l cannone da 37/54 e 3 mitragliatric i 7,62; ca rro armato leggero M24: I cannone da 75/37 M6, I mitrag liatrice 12,7, 2 mitragliatrici 7,62; carro armato medio M4 (Shermann A e Sherman C): «A•: I cannone da 76/55, I mitrag liatrice 12,7, 1 mitraglia trice 7,62, 1 mortaio da 5 1 (2 pollic i) modificato per carro armato e autoblindo; • B•: I cannone da 76/52, I mitragliatrice 12,7, 2 mitragliatrici 7,62, mortaio da 51; carro armato medio M4 (Sherman B): 1 obice da 105/22 M4, 1 mitragliatrice ca!. 12,7, 2 mitragliatrici cal. 7,62, 1 mortaio da 5 1 o ppure, con lo stesso armamento, 1 cannone da 75/37 M3; sem ovente MIO: 1 cannone d a 76/50 e l mitraglia trice cal. 12,7; semovente M 7: I obice da 105/22 e I mitragliatrice ca!. 12,7; carro armato M26 Pershing: 1 cannone da 90/50 M3, 1 mitragliatrice 12,7, 2 mi traglia trici 7,62; carro armato M46-M46AJ Patton: 1 cannone da 90/50 MBAl. l mitragliatrice 12,7, 2 mitragliatrici 7,62. 31 Vds. precedente nota n ° 23. 32 Mini stero della difesa. Stato m aggiore dell'esercito. Ufficio aùùeslrn111ento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circola re n° 8200, de l 21 marzo 1951 , Impiego di campi minati. La pubblicazione, formato 18X 12, comprende: Premessa. I Generalità, li Campi minati nell 'area di difesa: campi minati dispost i davanti cd attorno alle posizioni pres idate dalle truppe, campi minati disposti in corrispondenza di zone non presidiate d a lle truppe. lll (àmpi minati nella di fesa su ampie fronti . lV Campi minati nel consolidamento. V Campi minati nella manovra in ritirata. VI Campi minati a protezione di unità du rante le soste. In tutto: 32 pagine, 46 paragrafi. 33 Ministero della difesa. Stato maggiore della difesa. Circolare n ° 7000 del I giugno 195 1 La cooperazione aeroterrestre (norme provvisorie). La pubblicazione, formato 18,SX 12, comprende una premessa, due parti. La prima: Lineamenti generali della cooperazione aeroterrestre; la seconda: Organizzazione della cooperazione aeroterrestre; un'appendice. La parte prima tratta: lineamenti generali della cooperazione aeroterrestre. lineamenti delle forze aeree destinate ad agire in cooperazione con le forze terrestri, compiti delle forze aeree impiegate in cooperazione con le forze terrestri, forme d e ll 'aerocooperazione, costituzione delle fm-ze aeree destinate all'impiego in campo tatt ico, principi fondamentali d'impiego delle forze aeree agenti in campo la tt ico. La parte seconda comprende la s intesi schematica dell'organizzazione (forze aeree, comandi e o rgani per la realizzazione d ella cooperazione aeroterrcstre, t rasmissioni); la fisionomia, le attribuzioni ed i compiti dei vari organi nell'armata; la p rocedura per l'organiz7.azione delle azioni di concorso aereo. La parte seconda tratta inoltre le forme di concorso aereo: azioni contro il potenziale aereo nemico per la r icerca della s u perio rità aerea; l'appoggio aereo (generalità, appoggio aereo dire tto, ap poggio aereo indiretto, elementi p rincipali da considerare nella o rganizzazione delle azioni di appoggio aereo, organizzazione e moda lità de ll 'a ppoggio aereo, concor so all 'appoggio aereo da parte d ell'aviazione strategica o imbarcata); l'esplorazione aerea (generalità, esplorazione s trategica aerea, es plorazione tattica aerea, organizzazione dell'esplorazione aerea, inoltro delle notizie fornite dall'esplorazione aerea, esplorazione notturna); servizio aereo per l'a rtiglieria (generalità, r icerca di obiell ivi P. r.ontrollu dei risultati d el tiro,
CAP. LI . LA RICOSTRUZIONE DOTTRINALE
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osservazione del tiro); attività aeree svolte da velivoli leggeri assegnati all'esercito; conclusione. L'appendice tratta: il concorso aereo nella guerra in montagna (generalità, caratteristiche delle regioni montuose, elementi che influiscono sull'impiego delle forze aeree in montagna, appoggio aereo, esplorazione aerea, servizio aereo per l'artiglieria, trasporto e rifornimento aereo, distacciamenti di aviotruppe lanciati in regioni montuose, collegamento aereo, conclusione). La pubblicazione consta in tutto di 89 pagine di testo, 128 paragrafi, 7 allegati (l ° Classificazione delle forme di cooperazione terrestre. 2° Articolaz ione delle forze aeree e forze terrestri in uno scacchiere. 3 ° Schema organizzazione comando e organi per la cooperazione aeroterres tre nell'armata. 4° Procedura per le richieste di appoggio immediato. 5° Schema indicativo dei collegamenti di a nnata per le richie ste urgenti di appoggio aereo. 6 ° Schema indicativo dei collegamenti di raggruppamento aereo tattico per la cooperazione acroterrestre. 7 ° Terminologia specifica dell'organizzazione dell'aerocooperazione. L'appendice, stesso formato della pubblicazione, consta di 14 pagine, 29 paragrafi. La pubblicazione è a firma del genera le Marras. 34 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Nomenclatore organico tattico logistico. Pubblicazione, formato l7,8x l 1,5, d i 119 pagine. È a fi rma del generale Cappa. Comprende 589 voci. 35 Vds. Voi. I, Cap. IV, nota 15. 36 Stato Maggiore R.E. - Stato Maggiore R.A. . Circolare n. 1000/A del 15 maggio 1943 L 'aviaz.ione nella battaglia terrestre. Tipografia reg ionale, Roma, 1943. È a firma del capo di stato maggiore dell'esercito, generale Rosi e del capo di stato maggiore dell 'aeronautica generale Fougier . La pubblicazione, formato 18 X ll,5, consta di 68 pagine, 60 paragrafi, 1 appendice contenente i dati orientativi sulla capacità bellica dei velivoli (S .79, S.84, S.82, P.108, Cant. Z.1007 bis, Cant. Z.1018, Ro. 57 C, Cr.42, G.50 bis, M.C.200, Re 2001, Re 2002, Re. 2005, G.55, MC.202, 205 V) e del relativo armamento in do tazione alla R.A., nonché note informative sul munizionamento di caduta (bomba da 820 P, da 800 T, da 500 T, da 500 R.O., da 480 P, da 430 M tr., da 420 P, d a 370 P.D., da 250 T., da 160 P., da 160 M tr., da 100 A.R., da 100 sp., d a 100 Mi., da 100 M., d a 100 T., da 80 M tr., da 70 l.P., da 50 T. , da 20 L, da 20 Fum., da 15 M ., da 12 M tr., da. 12 F., da 4 A.R. , da 3 M tr., da 3 A.C., spezzone da 2 I., da 2 F., da 2 M tr., candela fumogena). La pubblicazione è così articolata: Premessa. I Generalità. II Fisionomia della battaglia terrestre. III Crite ri generali di impiego dell'aviazione cooperante. IV Compiti e obiellivi. V Casi particolari d i cooperazione. VI Dipendenze delle unità dell'arma aerea. VII Modalità d 'intervento. Vlll Collegamenti. 37 Minis tero della guerra. Comando del corpo di stato maggiore. Uffi cio addestramento. Ministero de ll 'Aeronautica. Ufficio di s tato maggiore. Divisione addestramento. Collegamenti pe r l'ae rocooperazione. Ristampa della edizione 1939, n° 3722 categorico, di cui alla circolare 698 G.M. 1939, aggiornata con la 1 a serie di aggiunte e varianti 11° 3839 di cui alla cir·c. 184 G.M. 1940). Rom a, Istituto poligrafico dello Stato, 1942. 38 Ministero d ella difesa. Stato maggiore d ell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Memoria sommaria sui principali elementi della regolamemaz.ione americana per la cooperazione aeroterrestre. Arti grafiche S. Barbara di Ugo Pinnarò, Roma, 1953. La pubblicazione, format o 24,5 X 17, consta di 54 pagine, 79 paragrafi. È preceduta da un'avvertenza e tratta i seguenti a rgomenti: Generalità. Forme di concorso a ereo. Classific;izione d elle miss ioni. Cos tituzione delle forze aeree destina-
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te all'impiego in campo tattico. Dipendenze e relazioni. Organi principali per lo sviluppo dell'aerocooperazione. Collegamenti. Pianificazione in comune. Procedure per le richieste. Costituzione, attribuzioni e funzionamento dei vari organi specifici per la cooperazione aeroterrestre: centro operativo misto (G.O.C.) su sezione operativa terrestre e sezione operativa aerea; nucleo controllo aereo (A.C.T.) ufficiali C.A.T. presso le unità aeree (G.L.O.); ufficiali di collegamento dell'aeronautica (A.L.0.), personale dell'esercito specializzato nella cooperazione aeroterrestre nei comandi delle unità terrestri. Produzione, interpretazione e distribuzione di aerofotografie. Collegamenti. Glossario. Moduli di richiesta di missioni. La pubblicazione divulga la regolamentazione americana «particolarmente per quanto può interessare i comandi e i quadri dell'esercito». Forme di concorso aereo: appoggio aereo (diretto e indiretto); esplorazione aerea (diurna e notturna), distinta nelle forme: a vista, fotografica, meteorologica, elettronica, per la ricerca di obiettivi, l'aggiustamento del tiro, il controllo degli effetti del tiro per l'artiglieria a lunga gittata, per il collegamento; trasporto aereo: tattico (aviolanci e aviosbarchi, aviorifomimenti da paracadute) e logistico (trasporto di unità tra due località d'atterraggio, trasporti di rifornimenti tra due località di atterraggio, sgomberi). Alle suddette forme di cooperazione tra esercito ed aeronautica, sono da aggiungere quelle particolari attività svolte per mezzo ai aerei leggeri ed elicotteri dell'esercito (ricerca obiettivi e osservazione del tiro per tutte le artigl ierie, particolarmente per quelli divisionali; collegamento aereo; osservazione aerea locale; trasporto aereo di comandanti e di personale degli s tati maggio ri; ecc.). Classificazione delle missioni: predisposte, immediate. Costituzione delle forze aeree destinate all'impiego tattico: comandi aerei tattici (Tactical Air Command - T.A.C.) affiancati ai gruppi di armata e comprendenti ciascuno due o più forze aeree tattiche (Tactical Air Force - T.A.F.). La forza aerea tattica è affiancata all'armata ed è costituita da 4 a 6 stormi caccia, 1 stormo per l'esplorazione, 1 sistema controllo aereo. Dipendenze e relazioni: in uno scacchiere tutte le forze terrestri ed aeree sono alle dipendenze del comandante dello scacchiere. Nella scala gerarchica inferiore non esistono relazioni di dipendenza tra comandi terrestri e comandi aerei e la cooperazione si estrinseca secondo il principio dell'affiancamento. Organi principali pe r lo sviluppo della aerocooperazione: centro operativo misto (Joint Operations Center - J.0.C.) costituito e funzionante al livello gruppo d'armate-comando aereo tattico - e al livello armata-forza aerea tattica. Esso è costituito da una sezione operativa terrestre (air ground operations section) composta da ufficiali dell'esercito e da una sezione operativa aerea (combat operations section) composta da ufficiali dell'aeronauica. Il centro operativo misto è l'organo esecutivo, a carattere collegiale, per l'attuazione della cooperazione e rappresenta il centro propulsore di ogni attività aeroterrestre. La sua dislocazione deve essere vicinissima a quella dei comandi aereo e terrestre. In particolare, dal J.O.C. dipende un centro di controllo aereo (Air Contro! Center - A.C.C.), cui fanno capo due o più centri controllo e informazioni (Contro! and Reporting Center - C.R.C.). A questi fanno capo i posti direzione obiettivo (Target Director Post - T.D.P.), i posti avanzati controllo e informazioni (Contro! Reporting Center - C.R.P.), nonché i nuclei controllo aereo (Air Contro) Team - A.C.T.) - tutti questi elementi sono organi tecnici aeronautici - con una parziale eccezione per gli A.C.T. - ; per quanto riguarda l'esercito gli elementi di cooperazione sono costituiti dagli ufficiali per la cooperazione aeruterrestre (ufficiali C.A.T. - G.3 o G.2 nir officers) che prestano
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servizio presso: gli uffic i operazioni e informazioni del comando di gruppo di armate o di armata, la sezione operativa terrestre del J.O.C., le formazioni aeree (stormi o gruppi) e in tal caso sono denominati ufficiali di collegamento (Ground Liaison Officers - G.L.O.). i nuclei controllo aereo (A.C.T.). Ad essi sono da aggiungere gli ufficiali specializzati presso i comandi di corpo d 'armata e cli divisione, nonché gli interpret i di fotografie aeree. Per quanto riguarda l'aeronautica, gli elementi di cooperazione sono costituiti - oltre dal personale d el J.O.C. - dagli ufficiali di collegamento (Air Liaison Officers A.L.O.) distaccati presso i comandi di grande unità terrestre e dagli ufficiali facenti parte d ei nuclei controllo aereo (A.C.T.). Collegamenti: l'esercito impianta e gestisce le reti per le richieste, le reti informati ve, le reti per i C.A.T., le reti ricezione rapporti locali, le reti di collegamento tra il J.O.C. e il comando dell'armata o del gruppo di armate. In particolare nei collegamenti dell'esercito hanno vita: posti antenna (P.A.) per il funzion amento d egli A.C.T., posti collegamenti d'aeroporto (P.C.A.) per le necessità degli ufficiali C.A.T. (G.L.O.) presso le unità aeree. Pianificazione: i comandi aerei compilano i piani e scelgono gli obiettivi per la di struzione del potere aereo nemico; i comandi terrestri e aerei studiano congiunta mente i piani e la scelta degli obiettivi per l'isolamento del campo di battaglia; i comandi terrestri individuano e sceglono gli obiettivi per le azioni aeree da compiere nella zona della battaglia. La pubblicazione passa po i a trattare minuziosamente la costituzio ne, l'organizzazione ed il fun zionamento d ei vari organi secondo l'ordine dell'indice soprariportato. 39 V<ls. Cap. L, nota 13. 40 Rivi sta Militare. Anno 1954, fase. VII-VIII, pg. 732: Un problema che si impone: concepire una nuova dottrina del magg. Andrea Cucino.
CAPITOLO
LII
LA TECNICA D'IMPIEGO E L'IMPIEGO DELLE VARIE ARMI NELLA DOTTRINA DEGLI ANNI 1949-1954
1. L'addestramento individuale al combattimento. 2. Le pattuglie di fanteria, la squadra, il plotone e la compagnia fucilieri . 3. Il battaglione di fanteria 4. Il reggimento di fant eria ed il raggruppamento tattico. 5. Il reggimento di cavalleria blindata. 6. L'artiglieria. 7. Il genio. 8. li battaglione mobile carabinieri. 9. La regolamentazione logistica, tecnica e varia.
1.
L'aereo, il carro armato, la mina, la carica cava, il razzo, il cannoi:ie senza rinculo, le aviotruppe e la guerriglia avevano influenzato durante la seconda guerra mondiale in misura determinante la strategia e la tattica, ma avevano dato anche risalto maggiore all'elemento uomo, al combattente, la cui attività svolta da solo o nel quadro dell'unità di appartenza aveva acquisito grande complessità ed al tempo stesso spiccata individualità. La guerra, divenuta globale e mondiale, senza perdere il carattere di lotta di grandi masse in grandi spazi, aveva assunto anche quello di fornace divoratrice di mezzi e di materiali, spostando a favore dei popoli ricchi e industrialmente progrediti e delle grandi coalizioni le maggiori possibilità e probabilità di successo. Sul piano strategico il successo restava condizionato da quello tattico che, a sua volta, poteva essere conseguito solo mediante la riuscita di più atti strettamente coordin~ti nei quali, non solo le varie unità incaricate di compierli, ma i singoli elementi costitutivi delle unità stesse operassero con un elevato grado di professionalità. Per raggiungere tale grado occorreva che il soldato, a qualunque arma, corpo o servizio appartenesse, fosse pienamente preparato ad affrontare il nemico in qual siasi momento e in qualsiasi condizione, di giorno e di notte, da solo e con altri. Se i nuovi coefficienti di mobilità strategk:a e tattica, di velocità operativa e di potenza di fuoco
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FILIPPO STEFANI
avevano inciso profondamente sulla strategia e s ulla tattica, non minore influenza avevano esercitato sula tecnica d'impiego delle medie e minori unità delle varie armi, i cui procedimenti e ordinamenti tattici si erano dovuti piegare alle nuove realtà degli armamenti, de i mezzi e dei materiali di equipaggiamento. L'aumento della potenza di fuoco e della velocità tattica, scarsamente avvertito all'inizio nelle sue conseguenze sui terreni alpini e montani, ma addirittura inimmaginato fino a qualche tempo prima su quelli di collina e di pianura, aveva mutato profondamente il valore dei rapporti tradizionali di forza, non senza incidenze indirette e dirette . sugli organici e sulle formazioni di movimento, di sosta e di combattimento delle minori unità. Le Alpi e le montagne avevano perduto per sempre, sul piano strategico e su quello tattico, il valore di barriere quasi insuperabili, a causa de lle possibilità di scavalcarle dal cielo oppure di aggirarle ed avvolgerle dal mare, ma anche sul piano della piccola tattica e della tecnica d'impiego, la possibilità di intervento di nuclei paracadutisti, le nuove gittate e potenze dei proietti degli obici e dei mortai e la grande tempestività dell'alimentazione tattica e logistica avevano aperto nuovi spazi alla manovra offensiva ed a quella difensiva, la quale ultima restava comunque, entro certi limiti, di gran lunga la più forte. Sui terreni di collina e di pianura, la nuova potenza di fuoco, la celerità di tiro delle nuove armi, la rapidità di movimento delle forze avevano decreta to il trionfo dei corazzati e la morte della fanteria appiedata e di quella che non fosse in grado di fare il più possibile da sé, mentre avevano reclamato la presenza di un 'artiglieria semovente capace di lunghe gittate e di grande potenza dei singoli proietti ed aveva portato in primissima linea, a contatto dire tto e stretto con i1 ne mico, l'arma del genio. La discontinuità delle fronti aveva esasperato la tattica d'infiltrazione e l'importanza degli spazi vuoti che, se favorivano la manovra della difesa - costretta a ricorrervi per la su a connaturale inferiorità rispetto all'attacco - erano pur sempre richiamo attraente per l'attacco, non più necessariamente obbligato a cozza re contro il forte della s istemazione difensiva avversaria. In ogni caso, una fanteria, che in attacco s i muovesse ancora con la velocità ta ttica dell'uomo appiedato e non potesse contare sul sostegno dei carri armati, era des tinata ad essere sopraffatta in breve tempo o a d essere superata e abbandonata al s uo destino, qualora altre forze non fossero sopraggiunte rapidamente a rompere il suo isolamento. In tale ambiente, del tutto diverso da quello del passato, le tradizionali tecniche d 'impiego, già comuni più o meno a tutti gli eserciti,
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erano state, guerra durante, sempre più affinate soprattutto presso gli eserciti tedesco e britannico. La guerra moderna, caratterizzata dall'impiego delle unità corazzate, blindate, meccanizzate e motorizzate operanti in grandi spazi, dagli attacchi sul tergo e sui fianchi scoperti di paracadutisti e di guerriglieri e dall'adozione di formazioni di combattimento sempre più rade per essere sempre meno vulnerabili, imponeva un ampio e approfondito sviluppo dell'addestramento individuale al combattimento. Al riguardo occorre riconoscere con tutta sincerità l'assoluta insufficienza della regolamentazione italiana prebellica, che de dicava all'istruzione formale il primo volume della pubblicazione Addestramento della fanteria, mentre inseriva le norme per l'addestramento individuale al combattimento nel secondo volume congiuntamente alle norme d'impiego dei vari livelli ordinativi. Un grande passo avanti era stato compiuto nel 1944 mediante la pubblicazione e la diramazione, curate dallo stato maggiore dell'esercito, dei regolamenti, tradotti dall'inglese. di tecnica d'impiego in vigore presso l'esercito britannico, i quali erano stati presi a base per l'addestramento dei gruppi di combattimento nella guerra <li liberazione. Fu solo all'inizio del 1952 che vide la luce, elaborata dallo stato maggiore dell'esercito con l'efficace contributo della scuola di fanteria di Cesano di Roma, la circolare 1000 Norme per l'addestramento individuale al combattimento l, un manuale per impostazione e contenuto senza precedenti nella storia della regolamentazione italiana, ancorché non fossero mancate nel passato singole e specifiche istruzioni sull'impiego delle armi individuali, sul tiro, sulle norme d'igiene e sulle misure di pronto soccorso, che abbiamo via via tutte elencate. La circolare 1000 palesa chiaramente l'ispirazione britannica, anzi spesso italianizza procedimenti e tecniche della regolamentazione inglese allora ancora in vigore nell'esercito italiano. Ciò potrebbe indurre a sottovalutarne l'importanza che, invece, ebbe notevole nella evoluzione della tecnica d'impiego e di quella addestrativa del soldato italiano. La circolare che era stata preceduta nel 1947 dal vademecum per l'istruttore Il metodo nell'addestramento militare 2 - esprime, congiuntamente a questa ultima, la tendenza a valorizzare assai e meglio che nel passato la personalità del soldato chiamato ad agire nel nuovo campo di battaglia con maggiore iniziativa individuale e con più spiccata responsabilità personale. Resta fermo il giudizio che abbiamo già dato del Regolamento d'istruzione elaborato a suo tempo dal generale Pollio 3, regolamento che, per modernità di
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FILIPPO STEFANI
vedute pedagogiche, didattiche e metodologiche e per validità del contenuto spirituale e morale, conserva il valore di una pietra miliare nella storia del pensiero militare italiano, ma che naturalmente si riferisce, soprattutto per quanto riguarda la tecnica d' impiego e di addestramento del soldato, ad una situazione assai diversa, nella quale continuava a prevalere nel combattimento il numero sulla qualità e non erano pochi - non certo il Pollio - a non considerare scandaloso e criminale che per salire occorresse accumulare i morti. La seconda guerra mondiale aveva valorizzato, assai più della prima, la figura del singolo combattente. La nuova tecnica d'impiego e di addestramento individuale doveva perciò tendere ad attivare tutte le qualità mQrali e fisiche del combattente, ad esaltarne quelle intellettuali, a sviluppare in lui un elevato grado di professionalità che gli facilitasse il raggiungimento del successo ed al tempo stesso lo salvaguardasse il più possibile dall'offesa nemica, fattasi nel frattempo più micidiale ed insidiosa. Il nuovo combattente diventa un'individualità che deve essere capace di considerare e valutare da sé situazioni e terreno, ai quali deve saper adattare comportamenti e tecniche operative - anche quando si trovi lontano dai comandanti e dai commilitoni - maturati durante il tirocinio addestrativo impostato all'insegna della conseguenzialità del ragionamento tattico e della convinzione della validità delle tecniche che utilizza. Si trattava, perciò, di dare alla tecnica d 'impiego una svolta aderente sia alle esigenze del combattimento moderno sia a quelle derivanti dall'evoluzione culturale e sociale della nazione, che non era più quella della prima guerra mondiale e del periodo fascista. Tale deve essere la chiave di lettura e d'interpretazione della circolare 1000, del resto indicata nella premessa e nelle generalità, e di tutte le circolari della serie 2000 edite nello stesso periodo, giacché lo stato maggiore dell'esercito ebbe chiaro fin da allora il concetto che ad una maggiore tecnicizzazione del combattimento dovesse corrispondere non solo una maggiore professionalità del combattente, ma anche una migliore valorizzazione delle sue doti morali, fisiche e intellettuali. Secondo la logica di un ordinato sviluppo della regolamentazione riguardante la tecnica d'impiego, la circolare 1000 avrebbe dovuto precedere quelle riguardanti le pattuglie, la squadra, il plotone, la compagnia fucilieri ed il battaglione di fanteria, tanto più che in alcune di queste vi erano espliciti riferimenti a tecniche di addestramento individuale indicate nella circolare stessa, ma occorre tenere presente che tali tecniche erano illustrate nella
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regolamentazione inglese, ancora in vigore per le parti non esplicitamente sostituite, e che l'elaborazione della 1000, stante la completa e minuziosa descrizione delle varie tecniche di addestramento individuale al combattimento, richiese un lungo periodo di esperimentazioni preventive sul terreno effettuate presso la scuola di fanteria. Coloro che attesero alla circolare 1000 ebbero chiara l'idea dell'importanza del lavoro che venivano compiendo e furono consapevoli dell'esigenza di conferire all'addestramento individuale al combattimento la dignità di una disciplina che, oltre vigore e agilità fisica e preparazione tecnica spinte al più alto livello, conferisse al soldato la capacità di ragionare, decidere a ragion veduta, agire rapidamente. Scopo dell'addestramento individuale, inteso come estrinsecazione di un'attività fondamentale per la formazione del combattente, è quello di sviluppare in ogni soldato, in piena rispondenza con le esige nze del combattimento, le facoltà dell'osservazione e della riflessione, lo spirito di decisione, di pmntezza di azione e d'iniziativa, la tenacia nei propositi e la resistenza a tutta prova. Questo complesso di doti è l' indispensabile corredo del soldato di qualità che oggi deve necessariamen te eme rgere dal ciclo adùestrativo condotto con rigore di metodo e senso di responsabilità. La seconda p a rte della pubblicaizone, che richiama quella su Il metodo dell 'addestramento militare del 1947, è dedicata soprattutto agli istruttori, ai quali viene ricordato che l'addestramento non è soltanto istruzione tecnica, ma è preparazione completa alla lotta e che perciò nulla deve essere trascurato, in ogni momento e in ogni circostanza per la forma zio ne di un solido morale: per creare, cioè, una base intima, salda, poggiante su sentimenti e convincimenti divenuti parte integrante dello spirito del soldato. Tra questi, primissimi, lo spirito di acceso patriottismo e il senso dell'onore e d el dovere militare. La circolare 1000, in sintesi, non può essere assimilata ad uno qual si asi dei tanti regolamenti di tecnica d 'impiego militare editi nel passato, ma è molto di più, in quanto, al di là della validità ancora attuale delle norme che ogni soldato deve conoscere per muovere e agire sul campo di battaglia e di quelle non meno valide ed attuali che ogni istruttore deve seguire circa il metodo e i procedimenti d 'istruzione, essa introduce nell'addestramento al combattimento un' ispirazione di modernità e di democrazia ancora del tutto estranea in quel periodo all 'apparato scolastico civile ed al tempo stesso incita a rifuggire, nell'attività addestrativa, dall ' improvvisazione, dal pressapochismo e dalla superficialità, alquanto abituali agli italia-
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ni, senza peraltro mortificare la vivacità intellettuale dei quadri e dei soldati e tenendo ben presente l' indole e lo sviluppo sociale del popolo italiano. L' ispirazione inglese, lo ripetiamo, è evidente; lo schematismo, la meticolosità e la p recisione, caratteristiche della regolamentazione britannica fino alla pignolaggine, riecheggiano in molte pagine, ma non si può d ire che ciò sia un m a le e non piuttosto un giusto freno alla eccessiva prontezza d'intuito degli ita liani, facili a sorvolare sui particolari che, invece, ne lle questioni di addestramento al combattimento sono della massima importanza. Quanto veniamo osservando nei riguardi della circolare 1000 vale anche, in particolare, per le pubblicazioni 2000, 2100, 2200 e 2300; malgrado ciò la nuova regolamentazione non è la parafrasi della dottrina inglese o di a ltre dottrine. Essa tiene conto di tutto il buono che c'era nelle pubblicazioni inglesi e de lle r ealtà che la pratica della gu e rra, specialmente sull a fronte russa, aveva presentalo nella sua concretezza, ma è una do ttrina italiana, sia perché segna la ripresa di un processo dullrinale milita re italiano, la cui evoluzion e era cominciata nei vari scacchieri operativi durante la guerra e si era poi interrotta per il precipitare della situazione nel 1943, sia perché annacqua non poco le concezioni, i criteri e i procedimenti alt rui per adattarli cum grano salis alle e sigenze proprie dell'ambiente nazionale, senza cadere nella accettazione passiva e non senza ripudiare decisamente ogni estremismo concettuale ed o rganizzativo.
2. La prima pubblicazione a vedere la luce fu la circolare 2000 Le pattuglie 4 - ele menti operativi che, nell a tattica d'infiltrazione e nella discontinuità delle fronti, avevano giocato durante la guerra su tutte le fronti ed in tutte le situazio ni - e t utto lasciava prevedere che avrebber o continuato a svolgerlo nel futuro - un ruolo insostituibile. rt loro impiego viene or a regolato, nel quadro generale dell'azione, addirittura dai comandi di grande unità - precisa la 2000 - i quali impostano e redigono il piano di a ttività di questi nucle i o p iccoli raggruppamenti di forze, caratterizzati da grande m obilità e da specificità di compiti, occasionali e temporanei, di carattere ta ttico o logistico. Qua ttro i tipi di più frequente impiego nel campo tattico: pattuglie di ricognizione (accertamento della presenza del nemico in determinate località, riconoscim ento di particolari della sistemazione difensiva avversaria, ricognizione del terre-
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no), pattuglie di collegamento (ricerca e mantenimento del contatto fra reparti che non hanno la possibilità di controllare a vista la loro situazione reciproca), pattuglie di sicurezza (garanzia da sorprese sulla fronte e sui fianchi delle punte di sicurezza, sui fianchi esposti dei distaccamenti fiancheggianti, sui fianchi degli scaglioni avanzati, sulla fronte e sui fianchi delle unità in avvicinamento), pattuglie di combattimento (distruzione di postazioni, cattura di prigionieri, contrasto del pattugliamento nemico, completamento dell'azione di copertura della zona di sicurezza, concorso all'esplorazione, disturbo dell'attività operativa e lavorativa del nemico, apertura di varchi e corridoi nelle zone di ostacolo, protezione degli osservatori avanzati e dei reparti impegnati in ]avori). Esse non corrispondono quasi mai ad unità organiche e la stessa scelta del personale che le deve costituire prescinde dai legami organici. I livelli di comando interessati alla determinazione dei compiti, all'organizzazione ed alla composizione delle pattuglie sono il reggimento, il battaglione e la compagnia, ciascuno con specifiche attribuzioni e responsabilità che, a seconda dell'ambiente naturale - come, ad esempio, in montagna -, sono diversamente ripartite mediante un più spinto decentramento verso il livello inferiore in ragione della vastità delle fronti, del frazionamento dei reparti e delle difficoltà del terreno e delle comunicazioni. Il comandante di pattuglia deve conoscere con esattezza ciò che deve fare e cioè lo scopo della missione, la situazione particolareggiata del nemico nella zona di azione, l 'eventuale azione di altre pattuglie nella stessa zona, l'itinerario di andata e quello di ritorno, l'orario di partenza e se necessario quello orientativo di ritorno, le predisposizioni per l'eventuale azione delle armi di accompagnamento e dell'artiglieria, i mezzi e le modalità di collegamento e per le richieste di fuoco, la forma, la composizione e l'equipaggiamento del1a pa ttuglia, l'uniforme, i contrassegni, la parola d 'ordine. I compiti, le forze, le formazioni, il comportamento di giorno o di notte nell'avvicinamen. to, nello svolgimento dell'attività specifica e nel movimento di rientro costituiscono altrettante variabili de ll'attività di pattugliamento. Le pattuglie di ricognizione, di collegamento e di sicurezza hanno forza pressoché uguale (da 3 a 6 uomini), formazioni identiche (in fila od a riccio), modalità di azione simili: le prime due non devono ricorrere al combattimento, la terza solo nel caso di incontro con il nemico per imporre a questo con il fuoco di tutte le armi disponibili un tempo di arresto. La pattuglia di combattimento invece impiega la forza per il raggiungimento dei suoi scopi o
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per reagire quando ostacolata dal nemico. Essa agisce prevalentemente di notte, è costituita da un nucleo di uomini (non meno di 10-12) robusto, bene armato, di forza in ogni caso commisurata al compito (comprendente, quando necessario, pionieri, guastatori, osservatori di artiglieria, ecc.), utilizza vari tipi di formazione, articolandosi in gruppi di assalto ed in un gruppo di appoggio, può essere sostenuta dal fuoco di appoggio e di protezione dei mortai del reggimento e dell'artiglieria divisionale - da organizzare e prevedere in ogni caso -, dall'impiego di stazioni fotoelettriche per l 'illuminazione indiretta della zona di azione e dall'impiego di reparti di fanteria. La tecnica di azione della pattuglia di combattimento nelle varie fasi di avvicinamento all'obiettivo, espletamento del compito, ripiegamento, varia a seconda della missione specifica, ma si concreta nella maggioranza dei casi: in una avanzata lenta e silenziosa effettuata con il passo più idoneo; in soste di riposo, di osservazione e di ascolto utilizzabili anche ai fini di conservare la compattezza della formazi one; in Wl graduale raccorciamento degli sbalzi e nell'alternanza de i gruppi nel movimento sì da avanzare a lombrico; nel separarsi, in prossimità dell 'obiettivo o al momento dell'azione, dei gruppi in modo che il gruppo appoggio prenda posizione pronto ad aprire il fuoco e che il gruppo, o i gruppi, di assalto possa avanzare celermente, dopo essersi spostato di lato, a ttaccare di sorpresa e portare a compimento l'azione sotto la protezione del gruppo di appoggio, che apre il fuoco d'iniziativa in caso di contrasto da parte d e l nemico e protegge, ad azione effettuata, il ripiegamento dell'intera pattuglia. Alla base di tutta l'attività de1le varie pattuglie, è l'addestramento specifico che costitui sce, con quello individuale, di squadra e di plotone, la base dell'intero addestramento della fanteria e che più di ogni altro serve a formare il combattente, un addestrame nto che va ripartito in due fas i: una prima, nella quale va approfondita e sviluppata la pa rte individuale (forma zione d el pattugliatore), una seconda, neJla quale va sviluppata quella collettiva (impiego della pattuglia). Tale il quadro sommario dell'impiego e dell'addestramento delle pattuglie offerto dalla circolare 2000 che sostituì il capo VIII, parte 2\ volume II dell'edizione 1941 dell'Addestramento della fant eria al combattimento e paragrafi e capitoli della traduzione in italiano de ll'omonima pubblicazione inglese. È superfluo sottolineare le s ingole novità rispetto a lla regolamentazione prebellica ed alla stessa regolamentazione britannica, con la quale ultima peraltro numerose sono le analogie, in quanto la circolare 2000 dà al
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pattugliamento un'importanza ed un contenuto maggiori di quelli della regolamentazione prebelica in un quadro di riferimento non più simile a quello degli anni trenta. La seconda circolare della serie 2000 a vedere la luce fu la 2100 - La squadra fucilieri 5 - ma diversamente da Le pattuglie ebbe carattere e veste meno definitivi, tanto che fu diramata sotto forma di bozza di stampa come successivamente avverrà per tutte le pubblicazioni della serie 2000. Essa, infatti, non intende fissare norme, ma indicare procedimenti da perfezionare anche in relazione al fatto che la piccola unità non è ancora a punto nell'armamento e nell'organico, tanto che dei 6 uomini (comandante compreso) del gruppo assaltatori solo 3 sono armati di moschètto automatico. Si propone due scopi principali: stabilizzare alcuni concetti e procedimenti fondamentali, mettere ordine nella terminologia rimettendo in vigore, nei limiti del possibile, quella italiana ed eliminando le distorsioni linguistiche derivate spesso da cattive traduzioni o da traduzioni letterali che, appunto perché tali, danno luogo talvolta ad interpretazione errata di concetti giusti. La squadra fucilieri - 10 uomini, compresi il comandante ed il vice-comandante, dei quali 6 costituiscono il gruppo assaltatori e 4 il gruppo mitragliatori, armati complessivamente di 1 fucile mitragliatore, 3 moschetti automatici, 5 fucili, 1 pistola 6 - pur restando la più piccola unità di fanteria in grado di agire da sola coordinando nel suo interno fuoco e movimento, di norma opera nel quadro del plotone, che è l'unità elementare del combattimento, e compie una sola azione che può essere o di fuoco , o di fuoco e movimento combinati insieme (assalto e contrassalto), o di movimento. Solo quando è impiegata da sola, caso eccezionale, coordina il fuoco del gruppo mitragliatori con il movimento del gruppo assaltatori. La fisionomia della squadra è così delineata con grande chiarezza, come anche la differenza tra coordinamento del fuoco e del movimento e combinazione del fuoco e del movimento. La squadra non è più, come nella regolamentazione prebellica, unità inscindibile, ma può essere scissa nei due gruppi costitutivi, impiegabili separatamente, nell'interno del plotone: il gruppo mitragliatori per rinforzare la base di fuoco ed il gruppo assai tatori per partecipare all'assalto con le altre squadre. In definitiva, nell'attacco la squadra opera normalmente come elemento di movimento, eccezionalmente e solo temporaneamente come base di fuoco, e non meno eccezionalmente può essere impiegata per svolgere da sola, isolata, un'azione commisurata alle sue limitate possibilità (attacco contro nuclei
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ritardatori di soli fucilieri, postazioni isolate di armi controcarri, di mortai, ecc.). In tale caso agisce coordinando il fuoco con il movimento mediante la continuità delle due azioni, le quali devono
convergere sull'obiettivo fino a combinarsi in una sola: quella rappresentata dal fuoco d 'assalto. Nell'avvicinamento e nell'attacco la squadra si avvale di 4 formazioni - in fila, aperta, a cuneo, spiegata, questa ultima propria dell'attacco - delle quali le prime due sono meglio idonee al movimento, le altre due all'esecuzione del fuoco. In attacco, la squ adra avanza per portarsi a distanza d 'assalto, assalta e consolida la conquista dell'obiettivo. L' avanzata per l'assalto è effettuata a sbalzi rapidissimi da un appiglio ad un altro, senza fare fuoco, in s ilenzio, possibilmente senza farsi scoprire e senza ricorrere al fuoco del fucil e mitragliatore se non nel caso in cui le armi nemiche no n siano sufficientemente neutralizzate dall'azione di accompagna mento delle b asi di fuoco di plotone e di compagnia . L'assalto viene effettuato con il fuoco: gli assaltatori armati di moschetto automatico balzano sul nemico investendolo con brevi raffiche di fuoco de l moschetto automatico tenuto in caccia; gli armati di fucile continuano a lanciare le b ombe a mano fino al momento in cui sono in grado di colpire il nemico con l'arma bianca; il fucile mitragliatore, di norma, agisce da fermo alle brevissime distanze su di uno dei fianchi o negli intervalli dei gruppi assaltatori. Il consolidamento, conquistato l 'obie ttivo, consiste nel sistemarsi a difesa al di là o intorno all'obiettivo per opporsi a lla reazione avversaria di fuoco e di movimento: gl i assaltatori si a pposta no subito e il fucile mitraglia tore si porta con altrettanta immediatezza sull'obiettivo in misura ch e in ogni momento sia possibile l'azione di fuoco nella direzione di più probabile minaccia. Nella cooperazione con i carri armati , la squadra può essere impiegata al seguito, ma anche avanti ai carri - una novità - per tenere sotto il fuoco i mezzi controcarri e per sminare il terreno, oltre che sugli sca fi dei carri per proteggere questi dall 'azione dei cacciatori. Nella difesa, la squa dra può esser e impiegat a: in un sistema di avamposti; sulla fronte, sul fianco e sul tergo di un reparto in movimento in funzione di pattugJia di sicurezza; nella zona di sicurezza per la costituzio ne di un posto di osservazione e di allarme oppure per concorrere alla costituzione di un posto di sbarramento o di un posto scoglio; in un caposaldo della posizione di resistenza per la costituzio ne di un centro di fuoco avanzato o arretrato. Il ritorno del posto scoglio comporta ch e nella zona di
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sicurezza la squadra possa essere chiamata all'azione di arresto oltre che all'azione di osservare, riferire e logorare che essa svolge quando dà vita ad un posto di osservazione e allarme. Ma nell'ambito del posto scoglio, la squadra fucilieri si comporta come un centro di fuoco della posizione di resistenza, sicché questo è in pratica l'elemento difensivo più abituale che la squadra deve costituire nell'azione difensiva, nella quale peraltro essa può anche eventualmente costituire rincalzo. Il centro di fuoco è un elemento attivo della difesa, costituito da una o più armi in postazione, che svolge, agli ordini di un solo comandante, prevalente azione di fuoco su direzioni o settori di tiro esattamente determinati. Compito della squadra: arrestare con il fuoco il nemico che avanza; compito prevalentemente svolto dal gruppo mitragliatori entro un settore d'azione normale, un settore d'azione eventuale e, nel settore di azione normale, di notte, o nel caso di nebbia naturale o artificiale, lungo una direzione di tiro per l'arresto automatico. Il gruppo assaltatori, ripartito in nuclei, ha il compito di battere col fuoco dei moschetti automatici e dei fucili i tratti di terreno defilati al tiro del fucile mitragliatore. Tre i criteri fondamentali: la distanza alla quale il fucile mitragliatore apre il fuoco non va oltre i 150 m; il tiro del fucile mitragHatore deve essere di norma fiancheggiante , dal che consegue il criterio della reciproc ità di fiancheggiamento fra i centri di fuoco, scaglionati nel senso della fronte e della profondità, in modo da garantire la continuità del fuoco lungo tutto il perimetro del caposaldo; l'esecuzione dei lavori campali deve essere ridotta al minimo indispensabile per il pericolo dell'osservazione aerea nemica. Esistono nella 2100 elementi della regolamentazione italiana prebellica, altri d'ispirazione inglesi, altri infine originali e nuovi. Fra questi ultimi la denominazione di assaltatore, scelta per designare il più rappresentativo di tutti i fanti e il gruppo che svolge l'azione più caratteristica clella fanteria: l'assalto ed il contrassalto. Un punto che distacca la 2100 dalla regolamentazione inglese riguardante l'attacco della squadra è il carattere di eccezionalità conferito all'impiego dell'unità nella funzione di base di fuoco, ritenuta normalè dagli inglesi propensi ad impiegare interi reparti organici in tale compito, anche se si tratta di elementi più idonei a svolgere azioni di movimento. Altra novità importante, ma già comparsa nella circolare 2000, è lo sviluppo conferito, nella parte seconda della pubblicazione, al tema dell'addestramento: ripartizione del tempo disponibile; definizione delle questioni di carattere fondamentale nelle singole varie fasi; introduzione del
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criterio della critica reciproca fra i gruppi e fra gli stessi uomini dei gruppi; rilievo alla guerra di mine, alla cooperazione con i carri, all'addestramento notturno. La 2100, malgrado la circospezione su talune questioni ed i compromessi d'impiego, ai quali è costretta dall'eterogeneità dell'armamento del gruppo assaltatori, segna un importante passo avanti nell'evoluzione dell'impiego e della tecnica d'impiego e addestrativa della più piccola unità organica di fanteria, di cui ricostruisce, utilizzando elementi tradizionali e nuovi, italiani e stranieri, la fisionomia, attribuendole una nuova e diversa individualità, in parte per alcuni lineamenti della vecchia identità, in parte per altri del tutto nuovi non meno incisivi, ancorché abbisognevoli di ritocchi per eliminare le mezze misure ed i contorsionismi concettuali che talvolta risultano evidenti. La circolare 2000 - Il plotone fucilieri 7 - vide la luce circa un anno dopo ed anch'essa, pur indicando una soluzione di avanguardia, fu il risultato di un compromesso fra l'organica e la dottrina, abbisognevole perciò di molti chiarimenti e in tempo successivo di varianti, ma non per questo di poco giovamento al processo di stabilizzazione dell'impiego delle minori unità di fanteria arrestatosi presso quasi tutti gli eserciti al 1945. Il plotone fucilieri è l'unità elementare del combattimento perché la più piccola unità di fanteria capace di assicurare, mediante la coordinazione del fuoco e del movimento, un'adeguata concentrazione dei suoi sforzi ed una certa continuità alla sua azione. Esso: è costituito da tre squadre fucilieri e una squadra armi leggere 8; può essere rinforzato in armi, uomini e mezzi; riceve, tutte le volte che necessario e possibile, concorso di fuoco dai plotoni laterali, dalle armi di accompagnamento delle unità superiori, dall'artiglieria ed eventualmente dall'aviazione; agisce di massima inquadrato nella compagnia e solo in via eccezionale può essere impiegato isolatamente; è unità inscindibile; utilizza tre formazioni: in fila se ha le squadre in fila o aperte, una dietro l'altra; aperto se ha le squadre in fila aperte o a cuneo l'una a fianco dell'altra intervallate; spiegato se ha tutte o parte delle squadre spiegate e scaglionate in profondità; adotta le varie formazioni in funzione del compito, del nemico, del terreno; regola i suoi movimenti su di una squadra di direzione. L'ordinamento su tre squadre fucilieri e una squadra armi leggere è analogo a quello della regolamentazione italiana del 1929, nella quale la squadra mitragliatrici di allora rappresentava nell'attacco una vera e propria base di fuoco anche se non ne aveva il nome. Essa infatti avanzava, alternando il fuoco delle sue due armi, seguita, preceduta o affiancata alle squa-
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dre fucilieri che erano l'aliquota di assalto. Il nuovo plotone ha, invece, al livello di squadra armi leggere, un solo fucile mitragliatore, ma proprio per questo viene resa scindibile la squadra fucilieri, dalla quale il comandante del plotone può trarre il fucile mitragliatore per rinforzare la sua base di fuoco. Resta così ancora una volta dubbia la questione dell'omogeneità o dell'eterogeneità degli elementi costitutivi del plotone, vale a dire se il plotone debba essere costituito da elementi prevalentemente destinati a svolgere azione di fuoco dotati di armi collettive e da elementi prevalentemente destinati ad azioni di movimento dotati di armi individuali oppure come la soluzione della 2200 - da elementi misti, dotati di a rmi collettive ed individuali insieme cooperanti. In altre parole, il plotone deve combattere a squadre o a gruppi? La 2200 accetta il compromesso della scindibilità della squadra consentendo, in definitiva, al plotone di agire a squadre ed a gruppi. La squadra armi leggere diventa la ve ra sorgen te di fuoco collettivo, ma l 'unico suo fu cile mitragliatore non può assicurare la continuità del fuoco a tiro teso per la qua le occorrono almeno due armi. Delle altre armi della squadra: il mortaio da 60 serve a nulla o a poco; il P.I.A.T. non costituisce l 'arma controcarri ideale. Il plotone può agire o inquad rato o isolato, nel primo caso può essere in testa a d una compagnia avanzata in avvicinamento, o essere il plotone avanzato di una compagnia che avanza per l 'assalto, o essere il plotone di rincalzo di una compagnia avanzata. I lineamenti dell'azione che il plotone svolge nell'attacco non mutano, quali che siano la situazione in cui esso si trovi e le azioni di appoggio e di concorso delle unità s uperiori o vicine. Per attaccare il plotone: si spiega (o perfeziona la formazione di attacco già assunta), avanza pe r portarsi a distanza di assalto, assalta, riuscito l'assalto consolida e rastrella l'obiettivo conquistato oppure prosegue nell'attacco ne l caso in cui debba e possa raggiungere un obiettivo eventuale. La fronte e la profondità di s piegam e nto sono in relazione con il numero de lle squa dre disposte nei due sensi, mentre le distanze e gli intervalli tra le squa dre sono sempre compresi fra i 50 ed i 100 m . Il ploton e avanza per portarsi a distanza di assalto coordinando fuoco e movimento; azioni che esso fa convergere sull'obiettivo fino a farle combinare in una sola: il fuoco di assalto. Il movimento è effettuato a sbalzi più o meno lunghi, eseguiti contemporaneamente da tutto il plo tone, oppure in s uccessione per squadre, e, ne i tratti più difficili, scoperti e molto battuti, anche per gruppi. Apre il fuoco quando questo di venta indispensabile per far tacere le armi avversarie che ne contrastino
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l'avanzata e che non siano zittite dalle basi di fuoco delle unità superiori. È in questo momento che il plotone costituisce la sua base di fuoco. Nel plotone tutti vanno avanti: i gruppi mitragliatori della base di fuoco, alternando fuoco e movimento (perciò debbono essere due); i gruppi mitragliatori delle squadre che seguono i gruppi assaltatori tenendosi pronti ad aprire il fuoco al primo accenno di minaccia o di reazione nemica sulla fronte o sul fianco esposto; avanzano naturalmente gli assaltatori. La base di fuoco di plotone non è elemento statico; il suo compito è di neutralizzare le armi che si oppongano direttamente all'avanzata delle squadre. Queste muovono in silenzio, senza farsi scoprire, senza fare fuoco con i loro gruppi mitragliatori. Il posto del comandante del plotone non è più, come previsto dalla precedente regolamentazione, fra le a rmi della base di fuoco, ma in testa alle armi individuali e collettive che vanno all'assalto. Questo si fa con il fuoco eseguito in movimento; ma i fucili mitragliatori in genere non assaltano, ma si appostano ed aprono il fuoco alle brevissime distanze, proteggendo i fianchi degli assaltatori e sostenendone l'eventuale ripiegamento. Scompare la dizione fuoco marciante che è sostituita da quella fuoco d 'a ssalw. All'assalto segue con immediatezza il consol idamento mediante la sistemazione a difesa degli assaltatori e la chiamata in avanti dei fucili mitragliatori e delle altre armi del plotone, che tutte si schierano a distanza non inferiore ai 50 m dall 'obiettivo conquistato. Contemporaneamente al consolidamento viene effettuato il rastrellamento, di massima, mediante l'impiego di una squadra fucilieri. Allorquando, per il favorevole sviluppo dell'azione, il plotone avanzato conservi ulteriore capacità offensiva, prosegue nell'avanzata puntando sull'obiettivo eventuale, infiltrandosi fra i centri di fuoco ancora efficienti dell'organizzazione nemica. Nell'attacco in cooperazione con i carri armati, il plotone è di massima impiegato al seguilo dei carri. L'impiego davanti ai carri diventa così eccezionale. Nei riguardi della guerra di mine occorre che tutto il plotone sia in grado, sia pure con mezzi di ripiego, di neutralizzare le mine; ma la posa e la rimozione di mine, come pure l'apertura di corridoi nei campi minati, spettano a personale specializzato. Nell'azione difensiva il plotone può essere impiegato: in zona di sicurezza, per la costituzione di più posti di osservazione e allarme, eventualmente di un posto di sbarramento, oppure di un posto scoglio; nella posizione di resistenza, per la costituzione di un centro di resistenza o, eventualmente, di un rincalzo oppure, eccezionalmente, di un caposaldo; sul tergo dell'area difesa, per la
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costituzione di un posto di sbarramento. Esso, inoltre, può essere impiegato: nel dispositivo di una colonna di marcia, per la costituzione di una punta di sicurezza della retroguardia o di un distaccamento fiancheggiante fisso o mobile; in un sistema di avamposti, per la costituzione 'Cli un posto di sbarramento. È nella resistenza che il plotone acquisisce, per la prima volta, una fisionomia tutta nuova, consona alla funzione di unità elementare del combattimento, che non aveva nel precedente sistema difensivo a fascia. Il plotone diventa un punto forte della sistemazione difensiva, anello della catena che chiude la cintura di un caposaldo. Il centro di resistenza è un complesso organizzato di centri di fuoco e di elementi per il contrassato che, sul margine esterno di un caposaldo o nei punti vitali all'interno di questo svolge, agli ordini di un solo comandante, azione unitaria di fuoco e di movimento a llo scopo di arrestare l'attacco nemico e di respingerlo. Il centro di resistenza è, dunque, costituito da un plotone fucilieri , eventualmente rinforzato, il quale si organizza con due (o tre) centri di fuoco avanzati, due (o uno) centri di fuoco arretrati , un rincalzo (8-10 assaltatori in tutto). L'ampiezza frontale del centro di resistenza è pari a 200 + 250 m , la profondità a 100-150 m, l'intervallo e la distanza fra i centri di fuoco a 70 + 80 m; dati numerici di carattere orientativo, poiché sono le caratteristiche del terreno ed i mezzi a disposizione che determinano, caso per caso, la organizzazione del centro. Il centro di resistenza, oltre che sul perimetro, può essere costituito anche nell'interno del caposaldo, in corrispondenza di punti vitali ai fini della resistenza, in armonia con il criterio della difesa a blocchi, valido dalla divisione al plotone. La difesa a blocchi obbedisce al principio della concentrazione e coagulazione della resistenza, in tutti i gradi della scala gerarchica delle unità, a que llo del diradamento degli uomini e delle armi per ridurre gli effetti del fuoco nemico ed a quello dell'elasticità della difesa da assicurare, non già mediante l'irrigidimento della resistenza su di una linea che, una volta spezzata in un punto, non sia più ricostituibile, ma mediante la possibilità di opporre all'attaccante, una volta spezzata l'unitarietà della crosta difensiva con l'eliminazione di un centro, una nuova fronte, imperniata sui centri retrostanti. Elemento determinante della difes a è perciò il centro di resistenza e non il centro di fuoco, il quale ultimo svolge una sola azione, quella di fuoco, mentre il primo svolge anche quella di movimento mediante l'effettuazione del contrassalto locale. Potrebbe suscitare pe rplessità il fatto che la linea di resistenza va intesa
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come la congiungente dei centri di fuoco periferici davanti ai quali l'avversario deve essere arrestato, ma il termine linea è riferito al fatto che l'azione di fuoco, allorché i centri di fuoco sono dis locati sulla fronte principale del centro di resistenza, vale a dire sul perimetro del caposaldo, fa s is tema di notte o con nebbia con quella de i centri di resistenza limitrofi (arresto automatico), c reando sul davanti del perimetro una zona d'intransibilità continua. È comunque la scelta de i punti forti che determina la linea di resistenza e non viceversa, perché lo schieramento dei centri di resistenza e di fuoco in funzione di una linea stabilita a priori a ndrebbe a scapito della robus tezza dei centri e non sempre gli intervalli fra i centri stessi corrisponderebbero alle zone di minore facilitazione per l'attacco nemico. Interva lli fra i centri di fuoco e cortine fra i centri di resisten za debbono comunque essere ta li da stabilire un giusto equilibrio fra robuste7.za e comandabi lità, nonché l'indispensabile diradamento degli uomini e de lle armi sul terreno. Delineatosi l'attacco nemico: i centri di fuoco avanzati aprono il fuoco, se di notte o con nebhia a 150 m, se il nemico è visibile a 300 m; i centri di fuoco arretrati agiscono, se necessario, negli intervalli, tenendosi pronti a spostare il fuoco a favore dei settori a ttaccati; il mortaio leggero concorre a ll 'azione battendo le zone defilate a l fuoco delle armi a tiro teso; il la ncia bomb e controcarri entra in azione a lle brevi distanze, a colpo sicuro, nell 'eventua lità di irruzione dei carri armati . Il contrassalto va sferrato prima che l'a ttaccante abbia posto piede sui punti vitali del centro di resistenza e deve essere immediato. La circolare 2200 non si limita a dare l'immagine schematica del plotone in attacco e in difesa che sommariamente abbiamo fin qui riassunto. Essa prende pa rticolareggia ta me nte in esame l'avvicinamento, le azioni particolari del plotone nel quadro de lla compagnia (azioni di fuoco contro resistenze impreviste o a ttacchi improvvisi, protezione s ulla fronte e s ui fianchi, impiego del ploto ne di rincalzo), l'azione del plotone isolato nell'attacco e n el rastrellamento d e i boschi, l'impi ego in zona di sicurezza e sul tergo de ll'area difesa ; tra tta l'azione de l plotone nell'attacco in cooperazio ne con i carri a rmati, quella contro posizioni fortemente organizzate e que lla contro case isolate sistemate a difesa; me tte in evidenza le differenze dell'attacco e della difesa sui terreni di montagna; distingue l'azione di rastrellamento ne i piccoli e nei grossi centri abitati e nei p iccoli boschi, o macchie boschive, e nei bm,chi e s tesi; dedica ben 32 pagine all'addestramento, di cui esamina minutamente tutti gli aspe tti.
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L'Addestramento della fanteria del 1939 dedicava al plotone soltantro 10 pagine, la circolare 2200 gliene dedica 150. Qualora avessimo voluto riassumerle tutte avremmo occupato più di altrettanto spazio e, alla fine, l 'estesa casistica avrebbe potuto confondere più che chiarire le idee. Di queste abbiamo ricordato le principali limitatamente all'attacco ed alla resistenza riferiti ai casi me di, quanto ci è parso cioè sufficiente per dimostrare il salto di qualità che la 2200 compie rispetto al passato, anche se qualche volta il suo contenuto concettuale, per i compromessi tra dottrina ed organica e tra esigenze maturate e consolidate e idee non ancora sufficientemente stabili, non risulta pienamente convincente. Del resto, la pubblicazione non pretende di dire una parola definitiva; nonostante ciò essa segna il passaggio da una tecnica di impiego sommaria e piuttos to inerte, nel senso di sen za arte, ancorché supportata da molta retorica, ad una tecnica d ' impiego minuta e vivace che, pur r icchissima di specifiche e particola ri modalità tecniche, pone al centro l'uomo, il comandante, il vice-comandante, gli assaltatori e i serventi de lle anni collettive, costituenti nel loro insieme un organismo vivente, dota to di ce rvello e di cuore, al quale si richiede grande professionalità, perché è sul plotone, in definitiva, che anche nella guerra moderna si polarizza, si sviluppa, si conclude la lotta: un obiettivo è conquistato solo quando il plotone vi mette piede, una pos izione è mantenuta fino a quando il plotone vi resiste. La 2200 scolpisce tali funzioni ed indica estesamente ed efficacemente i procedimenti e le modalità di azione pe r adempierle e quelli dell'a ddestramento n ecessario per mettersi in grado di apprendere e di saper mandare ad effetto le varie attività concettuali, organizzative ed e secutive proprie del plotone e, in part icolare, del suo comandante e vice-comandante. E la centra lità d el plotone - trasferendo al lunguaggio della tattica un termine oggi tanto utilizzato in quello della politica - l 'idea nuova che lo stato maggiore dell'esercito fissa ne lla circolare 2200 e che trova rispond enza, come vedremo, anche nella programmazione a ddestrativa, nella quale si fa coincidere la fine del 2° ciclo a ddestra tivo con la portata a termine d ell'addestramento del plotone a l combattimento, quasi a significare che, una volta addestrato il plotone, il più d ella preparazione della fanteria al combattimento s i può considerare raggiunto. Dopo circa un anno dalla pubblicazio ne Il plotone fucilieri vide la luce la circolare 2300 Lineamenti d 'impiego della compagnia fucilieri 9, mentre nel frattempo era stata sottoposta al vaglio
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dell'esperimentazione pratica la circolare 2100, nella quale, nella seconda edizione del 1949, erano stati introdotti ritocchi e perfezionamenti per renderla in perfetta sintonia con la circolare 2200. La nuova circolare conclude la regolamentazione delle unità fucilieri ed apre la strada a quella riguardante l'azione del battaglione di fanteria, del quale, infatti, offre i primi lineamenti d'impiego. Essa è denominata lineamenti, non norme, sia perché esistevano ancora molte incertezze di carattere dottrinale ed organico circa la compa· gnia fucilieri, sia perché la circolare stessa limita l'esame a tre soli argomenti - avvicinamento, attacco, difesa, - vale a dire alle attività essenziali e tace sull'impiego della compagnia nella sicurezza, nella manovra in ritirata e in tutti gli altri casi particolari presi in considerazione nella 2200, come pure omette la parte riguardante l'addestramento trattata invece diffusamente nella 2000, 2100 e 2200. La fisionomia della compagnia è, nonostante ciò, bene delineata. La compagnia fucilieri è la minore unità di fanteria che, nel quadro del battaglione, può assicurare: in attacco, la concentrazione degli sforzi e la continuità dell'azione in profondità, mediante l' impiego delle armi di accompagnamento e del rincalzo; in difesa, il mante nimento di una posizione, avente caratteristiche di unitarietà, mediante lo scaglionamento in profondità dei mezzi di fuoco e lo sviluppo delle reazioni di movimento. La compagnia, dunque, non compie un'azione semplice del tipo di quella d e l plotone, ma concentra sforzi, impiega armi Ji accompagnamento organiche e/o di rinforzo, si scagliona in profondità, penetra od inizia a penetrare, non costituisce raggruppamenti occasionali di forze, dà inizio alla cooperazione con l'artiglieria, è comandabile a vista, ha un organico non ancora del tutto definito - in attesa dei risultati degli esperimenti del battaglione sperimentale tuttallora in corso - ma che prevede già tre plotoni fucilieri e altri reparti o nuclei organici o di rinforzo di armi a tiro teso e a tiro curvo, di elementi specializzati per la posa e la rimozione di mine, di organi di funzionamento del comando, delle trasmissioni e dei servizi. Non è, quella della 2300, una carta d'identità organica, con la precisazione di tutti i dati di riconoscime nto; ma quelli essenziali, sia pure genericamente, eccezione fatta per i plotoni fucilieri di cui è definitivamente stabilito il numero, vi sono e sono sufficienti a delineare l'impiego dell'unità. Nell'avvicinamento la compagnia ha il compito di avanzare lungo la direzione stabilita fino a raggiungere la base di partenza per l'attacco il più celermente possibile e con il minimo dispendio di energie fisiche e morali. Formazioni, di-
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stanze, intervalli e fronti di movimento variano grandemente di volta in volta, ma normalmente le formazioni possono essere: in fila (plotoni l'uno dietro l'altro lungo la stessa direzione), a quadrato, (plotoni disposti ai vertici di un quadrato e muoventi lungo due direzioni parallele}, a losanga (plotoni disposti ai vertici di un rombo e muoventi lungo tre direzioni parallele), a scacchiera (plotoni variamente disposti e muoventi ciascuno lungo una propria direzione). Normale di notte la formazione in fila; più adatte di giorno le formazioni a quadrato e a losanga. L'avvicinamento s'inizia quando la grande unità, effettuato lo scarico delle fanterie dagli automezzi, comincia a muovere a piedi per raggiungere, senza soluzione di continuità o previa sosta su posizioni di attesa per il riordino e per il tempo necessario alll'organizzazione dell'attacco, le basi di partenza. È sottolineata, molto più e meglio che nella regolamentazione prebellica, la necessità assoluta dell'orga nizzazione dell 'attacco al cui fine sono previste: opportuna, ma eventuale, la sosta sulla posizione di attesa; sempre necessaria, l'esistenza di una base di partenza con i requisiti delle migliori condizioni offerte alla sicurezza ed allo schieramento, de lle migliori poss ibilità di osservazione e di tiro per le armi di accompagnamento, della minore distanza possibile dalle posizioni da attaccare. Posizione di attesa e base di partenza s' inseriscono nell'avvicinamento e nell'organizzazione dell'attacco come elementi qualificanti della nuova realtà del combattimento offensivo, la quale non consente più lo sbocco diretto dell'avvicinamento nell'attacco, senza che questo ultimo sia stato già convenientemente preparato. Nell'attacco - di cui due sono appunto le fasi principali: l'organizzazione e l'es ecuzione - la compa gnia: agisce di norma inquadrata, come unità avanzata o come unità di rincalzo del battaglione ed eccezionalmente isolata; si articola di norma in due plotoni fucilieri avanzati e uno di rincalzo o in un plotone fucilieri avanzato e due di rincalzo o, solo eccezionalmente, in tre plotoni fucilieri avanzati o in tre plotoni uno dietro l'altro; schiera la propria base di fuoco; si distende su di una fronte - su terreni di m edia accidentalità - di 300 . .,. . 400 m con una distanza tra plotoni avanzati e rincalzo, all'inizio dell'azione, entro i 500 m. Cara tteristiche dell'azione: coordinamento degli sforzi dei plotoni fucilieri, impiego del fuoco di accompagnamento in stretta aderenza con l'azione dei fucilieri, intervento del rincalzo. Da qui i compiti del comandante ed i suoi doveri e responsabilità nel concepì re, organizzare e condurre l'azione : semplicità di concezione, chiarezza e minuziosità di orga-
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nizzazione tradotte in un piano di attacco e in un complesso di ordini verbali dei quali la 2300 indica tutti gli elementi da prendere in considerazione. Obiettivo, direzioni di attacco dei plotoni, coordinamento del movimento dei plotoni fucilieri tra loro e del loro movimento con il fuoco dell'artiglieria e delle armi di accompagnamento, coordinamento nel tempo e nello spazio dell'azione dei plotoni con quella di carri armati in rinforzo (quando questi sono presenti), orientamento di come impiegare il rincalzo: questi gli elementi concettuali del piano di attacco. Il lungo elenco - che occupa quasi cinque pagine della circolare - degli ordini da comunicare da parte del comandante della compagnia, non tutti sempre necessari, acquista la veste di un promemoria o se si vuole di una guida e non è in contrasto con la semplicità che deve caratterizzare l'attacco della compagnia. L'elenco serve a togliere al comandante della compagnia la preoccupazione di avere dimenticato qualcosa e, come già nelle circolari precedenli, muta il criterio della regolamentazione prebellica circa la limitazione della dottrina ai concetti ed alle linee principali, sostituendolo con quello dell'interezza della descrizione della modalità, sì da facilitare l'assimilazione della stessa dottrina, evitare le interpretazioni personali, soccorrere il comandante in ogni momento e per qualsiasi problema. L'esecuzione dell'attacco della compagnia passa attraverso tre fasi principali: la neutralizzazione del tratto attaccato principalmente laddove si compie lo sforzo principale; l 'investimento de i centri di fuoco nemici, mediante l'azione dei plotoni avanzati per creare la breccia iniziale; la penetrazione fino all'obiettivo di compagnia. Prima dell'attacco, quando necessario, si smina il terreno, un'operazione di competenza del comando superiore che vi impiega i pionieri di fanteria e quelli del genio eventualmente assegnati in rinforzo. Durante la preparazione, i plotoni fucilieri avanzati si portano a distanza di sicurezza; al termine della preparazione: i plotoni fucilieri avanzano per portarsi a distanza d'assalto sfruttando con immediatezza gli effetti di neutralizzazione, mentre la base di fuoco del battaglione sviluppa al massimo la sua azione e quella della compagnia avanza fin che possibile senza far uso delle proprie armi pe r entrare in azione solo quando l'accompagnamento della base di fuoco del battaglione cominci a diminuire di efficacia per ragioni di sicurezza o per il manifestarsi di nuove reazioni avversarie; i plotoni fucilieri continuano l'avanzata senza aprire il fuoco al quale ricorrono soltanto se e quando il tiro diretto di qualche sorgente di fuoco visibile e battibile pregiudichi gravemente la loro
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avanzata; quelli avanzati, giunti alla distanza necessaria, assaltano i rispettivi obiettivi senza preoccupazione di contemporaneità e, riuscito l'assalto, mentre la base di fuoco di compagnia, che non è elemento statico, raggiunge celermente a scaglioni le posizioni conquistate per concorrere al consolidamento o per costituire una nuova base di fuoco, i plotoni fucilieri continuano a penetrare, con modalità diverse a seconda della situazione in atto, verso l'obiettivo di compagnia o l'obiettivo eventuale, la cui conquista va subito consolidata, mentre, in contemporaneità, provvedono al rastrellamento. Durante l'avanzata per l'assalto, il rincalzo procede a sbalzi regolando la progressione su quella dei plotoni avanzati e muove, con i gruppi mitragliatori al lato dell'ala esposta, pronto ad approfondire la penetrazione o eccezionalmente a sostituire un plotone avanzato. Tale la dinamica sommaria dell'attacco di compagnia ricavabile dalla 2300, la quale peraltro la completa di tutte le modalità proprie relative all'impiego del fuoco (base di fuoco <li battaglione, base di fuoco di compagnia, intervento dell'unità di artiglieria cooperante di cui un ufficiale è affiancato al comandante di compagnia) e del rincalzo, dedicando spazio a quattro argomenti particolari: il superamento dei campi minati, la penetrazione, l' attacco della compagnia rinforzata da carri armati, l'attacco notturno. Lo sminamento è dato per eseguito di notte prima dell ' inizio dell'attacco, ma se la compagnia incappa in zona calda in un tratto minato inaggirabile, il suo arresto passivo significherebbe la sua distruzione per cui occorre che essa sia in grado di provvedere in proprio e subito. In ogni caso, il superamento dei campi minati richiede una tecnica particolare a seconda che esso debba essere effettuato a distanza o m olto vicino alle posizioni ne miche. Nel primo caso, lo superano prima di tutto le squadre armi leggere dei plotoni avanzati, sotto la protezione delle armi individuali dei pionieri o degli sminatori, già al di là del tratto minato, e delle armi di accompagnamento precedentemente schierate: le squadre armi leggere sono seguite dai singoli plotoni fucilieri con le squadre in fila distanziate e aventi il gruppo mitragliatori in testa; nel secondo caso, le armi di accompagnamento e le squadre armi leggere si schierano al di qua del campo minato ed eseguono il fuoco ed il tiro di accecamento fino a quando i pionieri e i plotoni avanzati non riescano ad aprire i corridoi (non meno di due per compagnia) di 5 + 6 mdi larghezza, a superarli e ad assaltare le posizioni nemiche. Tale tecnica, già embrionalmente accennata nella 2200, trova nella 2300 sviluppo più particolareggiato, ma il duplice problema dell'apertura dei corridoi e dei varchi e
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del superamento dell'ostacolo minato non trova ancora soluzioni convincenti e soddisfacenti e rimane aperto in tutta la sua complessità ed onerosità. Circa la penetrazione vengono prospettati tre casi: un plotone avanzato - quello dello sforzo principale oppure il più fortunato - apre una breccia e l'altro plotone avanzato viene arrestato, in tale caso il comandante di compagnia lancia il rincalzo facendolo cadere sul fianco del nemico che ancora si oppone alla avanzata dell'altro plotone; i plotoni avanzati penetrano nella posizione del nemico e conservano ulteriore capacità offensiva: in questo caso, il comandante di compagnia spinge avanti il rincalzo per garantire fianchi e tergo dalla reazione di movimento del nemico; i plotoni avanzati occupano i loro rispettivi obiettivi di attacco e non sono più in grado di approfondire la penetrazione: in questo caso il comandante di compagnia impiega il rincalzo o per raggiungere l'obiettivo eventuale o per sostituire il plotone più provato. Circa l' impiego dei carri armati, la 2300 non tratta il caso della cooperazione compagnia-carri armati, ma quello dell 'attacco effettuato con un rinforzo di carri armati. Si tratta di due situazioni operative ben diverse, delle quali nella seconda le azioni possono svolgersi in successione o contemporaneamente, ma da direzioni diverse e convergenti oppure anche da una direzione unica ma con i carri disposti su di un lato del dispositivo. Esistono perciò e si spiegano le diversità con le precedenti circolari 2100 e 2200. L'attacco notturno della compagnia è un'altra novità rispetto alla regolamentazione prebellica. L'attacco notturno riduce le perdite e, sebbene operazione difficile, va tentata in non pochi casi. La sua riuscita dipende dall'organizzazione preventiva che deve essere minuziosa in relazione alle difficoltà di orientamento, di movimento e di coordinamento, alle limitazioni al fuoco mirato e osservato, ai riflessi psicologici che l'oscurità produce negli uomini. Ovviamente esige modalità di organizzazione e di esecuzione diverse da quelle dell'attacco diurno, ma è appunto la loro perfetta conoscenza, acquisita anche mediante prove effettuate, quando possibile, di giorno e di notte su terreno simile a quello reale, ad assicurarne la felice riuscita. Nella difesa la compagnia costituisce: di norma, parte integrante di un caposaldo di battaglione nel quale o assume la difesa di un settore o costituisce rincalzo; eccezionalmente caposaldo autonomo. Essa non trova impiego, come tale, nella zona di sicurezza dove la maggiore unità che vi può trovare impiego è il plotone nel numero di uno, o al massimo di due, sulla fronte di un battaglione. Nella posizione di resistenza la compagnia presidia un settore angolare che, in quanto tale, è organizzato
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essenzialmente per sviluppare la propria capacità difensiva soprattutto sul davanti, anche se nell'interno del settore sono scaglionati in profondità centri di fuoco. La compagnia vi si schiera su tre (eccezionalmente due) centri di resistenza di plotone di fucilieri, di massima al margine esterno del caposaldo; centri di fuoco delle armi di accompagnamento e controcarri organiche e di rincalzo, in genere arretrati; un rincalzo, eventuale. La compagnia si schiera normalmente su di una fronte che va da 1000 a 1200 m nel caso di tre centri di resistenza avanzati, da 700 ad 800 m nel caso di due centri di resistenza avanzati e, in tutti i casi, per una profondità tra i 300 e i 500 m . Oltre che dalla peculiarità del presidio di un settore angolare, l 'azione della compagnia è caratterizzata dall'assenza di norma di un rincalzo organico e dalla preminenza del fuoco, che è l' unico mezzo con il quale il comandante della compagnia conduce in proprio la resistenza. L'attività concettuale consiste nell'individuazione del tratto vitale del settore e nella determinazione della concentrazione del fuoco, mentre que lla organizzativa si concreta nel piano di difesa dal quale derivano gli ordini verbali ai dipenden ti - tutti elencati estesamente nella circolare - e nel piano dei fuochi, che è uno schizzo con l'indicazione dell'ubicazione dei centri di fuoco e le direzioni (e obiettivi) d'arresto automatico. La dinamica della condotta della difesa può essere così sommariamente indicata: durante il fuoco nemico di preparazione, il personale si ripara nei ricoveri lasciando in atto solo il servizio di vedetta; appena il tiro nemico si sposta in profondità, tutti raggiungono immediatamente il proprio posto di combattimento; impegnata dall'attacco nemico, la compagnia sviluppa il piano dei fuochi, regolandosi secondo la situazione, per impedire la penetrazione nemica nel settore affidatole e per arrestarla prima che giunga a distanza di assalto dai centri di resistenza, impiegando il fuoco organico e in rinforzo e richiedendo quello dell'artiglieria; elementi avversari riusciti a superare la zona battuta dal fuoco ed a penetrare nei centri di resistenza vengono immediatamente contrassaltati dai rincalzi di plotone; nel caso, assai più frequente, che il plotone di rincalzo non sia disponibile, il comandante di compagnia deve intervenire contro la infiltrazione più pericolosa impiegando elementi di emergenza riuniti in un nucleo di formazione. Delle novità circa la difesa, particolarmente di rilievo sono l'ampiezza della fronte assegnata alla compagnia e la mancanza del rincalzo organico: le fronti assegnate alla squadra, al plotone ed alla compagnia hanno un'estensione più che doppia rispetto a quelle prebelliche: la costituzione normale di rincalzi organici per la rea-
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zione di movimento è prevista solo al livello di plotone e di battaglione. L'estensione frontale delle varie strutture statiche dipende da due elementi fondamentali: possibilità d'impiego organizzato dei fucili mitragliatori ai fini dell'impenetrabilità del caposaldo e della continuità del fuoco automatico a tiro teso; necessità di ridurre all'indispensabile l'addensamento di uomini per ridurre al minimo le perdite. La limitazione della reazione di movimento ai livelli di plotone e di battaglione è una soluzione di compromesso tra la necessità di guarnire con un fuoco sufficientemente denso e comunque continuo la fronte assegnata, con conseguente scarsa disponibilità di uomini da destinare alle reazioni di movimento, e quella che queste ultime siano immediate e tempestive, come appunto possono essere nell'ambito del centro di resistenza dal quale possono essere lanciate non appena il nemico, oltrepassata la linea di resistenza, abbia messo piede sul centro. Alla reazione di movimento del battagliont! provvede la compagnia di rincalzo che ha appunto tale compito, mentre ha quello subordinato della difesa del fronte .di gola del caposaldo. La duplicità del compito va intesa nel senso che alla compagnia è affidata la sistemazione del settore de l fronte di gola; che su tale settore deve essere permanentemente in atto un minimo di s<.:hieramentu <li armi automatiche definito <lai comandante <li battaglione; che i plotoni devono essere pronti ad occupare le posizioni in caso di attacco nemico dal tergo; ma che di norma i plotoni debbono essere tenuti in prossimità delle posizioni di fanteria per il previsto contrassalto, per essere così in grado di intervenire con tempestività ed efficacia. Una soluzione, basata sulla scarsa probabilità che l'attacco nemico si sviluppi fin dall'inizio a fronte rovesciato, in quanto l'eventualità presupporrebbe un'infiltrazione in forze tra i caposaldi passata inosservata; eventualità assai difficile stante il fatto che i caposaldi sono cooperanti sia nel senso della fronte che in quello della profondità; si tratta di una soluzione di compromesso, sia pure accettabile, ma non per questo priva di rischi e soprattutto complicata. La rinunzia all'organico del battaglione inglese su 4 compagnie, che avrebbe consentito di schierarne tre per la chiusura completa del perimetro del caposaldo e di tenerne una alla mano per la reazione di movimento, è determinata dalla considerazione che il battaglione sarebbe troppo pesante e che risulterebbe diminuito il rapporto mezzi di fuoco-uomini che la esperienza della guerra aveva dimostrato necessario elevare. Un ragionamento non del tutto convincente ed un po' specioso, in quanto ciò che serve non è mai di peso e un diverso valore del rapporto mezzi di fuoco-uomini non avrebbe
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subito una grande diminuzione, mentre avrebbe eliminato le gravi preoccupazioni che la soluzione adottata crea nel comandante del battaglione e nel comandante della compagnia di rincalzo. D'altra parte, non esistono soluzioni tattico-organiche ideali se non sul piano delle aspirazioni, mentre su quello della realtà esistono, quasi sempre, soluzioni di compromesso, delle quali quella che la 2300 indica nei riguardi dell'impiego in generale della compagnia fucilieri non è certamente da ripudiare e rappresenta, in definitiva, quanto di più razionale si potesse fare senza sacrificare, se non parzialmente, le esigenze essenziali. Un'ultima novità di rilievo della 2300 è la chiara tendenza ad alleggerire il comandante di compagnia dal problema logistico affiancandogli elementi subordinati, ma responsabili in proprio delle incombenze del funzionamento dei servizi. Nella squadra il compito del rifornimento delle munizioni viene attribuito al vice-comandante, nel plotone il funzionamento del servizio munizioni e di quello dei viveri viene analogamente affidato alla responsabilità del vice-comandante, nella compagnia l'organizzazione dei servizi compete al comandante, mentre del funzionamento è responsabile il comandante del plotone comando di compagnia, chiamato sottocomandanle e non vice-comandant e, in quanto gli vit::ne affidalo un compito meramente logistico, mentre i vice-comandanti di squadra e di plotone, oltre il compito logistico, hanno come preminente quello tattico di condurre rispettivamente l'azione del gruppo mitragliatori e della squadra armi leggere e quello della sostituzione del comandante in caso di impedimento. In conclusione, la 2300 offre del combattimento de lla compagnia un quadro sufficientemente compiuto e aderente a lla nuova realtà e, malgrado le incertezze ed i compromessi che abbiamo rilevato, costituisce una tappa evolutiva molto importante del modo d ' intendere le funzioni e la definizio ne dell'impiego di questa unità minore, la cui fisionomia tattica, allora ancora in divenire, acquisisce caratteri marcati di individua lità.
3. La pubblicazione che dà la visione completa della concezione, organizzazione e condotta del combattimento, così come appariva in quegli anni allo stato maggiore dell'eserc ito, è la circolare 2400 del 1 luglio 1950, Lineamenti d'impiego del battaglione di fanteria 10, nell a quale non solo trovano una collocazione meglio precisata le
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varie unità minori di fanteria esaminate nelle circolari precedenti, ma lo sguardo viene esteso agli aspetti generali del combattimento ed ai ruoli che vi svolgono le altre armi o corpi chiamati normalmente a cooperare con la fanteria (carri armati, artiglieria e genio) e l'aviazione, il cui intervento sotto forma di appoggio diretto a favore del battaglione viene però considerato eventuale o addirittura eccezionale. L'aviazione nemica, invece, entra a far parte delle costanti del nuovo campo di battaglia nel quale il battaglione agisce e l'incombere della sua minaccia è uno dei fattori che maggiormente condiziona l'impiego del battaglione stesso, un impiego che avviene in un ambiente assai modificato rispetto a quello prebellico. Le caratteristiche di di tale ambiente sono: la grande concentrazione di potenza offensiva e difensiva; il grande sviluppo del fuoco inteso come potenza di effetti e numero e specie delle sorgenti erogatrici; il largo impiego dei mezzi tecnici per facilitare e ostacolare il movimento, per consentire l'azione di comando, per ullenere informazioni; la spinta sempre maggiore alla motorizzazione che consente la rapida concentrazione delle forze e la parziale meccanizzazione del combattimento; la necessità di un'intensa alimentazione; l'intervento aereo nell'azione terrestre. Nell'azione offensiva, la battaglia è vista a colpi di divisione, grande unità che svolge l'azione unitaria articolata in sforzi coordinati, tendenti per manovra alla convergenza di effetti per la conquista dell'obiettivo divisionale. La divisione manovra per colonne composte di più battaglioni e operanti a cavallo di una direttrice con SUfcessione di sforzi, per tempi successivi. L'azione djfensiva è organizzata nel quadro del corpo d'armata e l'organizzazione è normalmente attuata mediante settori difensivi divisionali articolati in gruppi di caposaldi e in riserva divisionale. I caposaldi, di norma presidiati ciascuno da un battaglione, costituiscono concentrazioni di potenza su posizioni tatticamente importanti con reattività a giro d'orizzonte. Tali gli aspetti generali del combattimento moderno della 2400. Nella premessa si legge che scopo della circolare è l'indicazione delle linee principali d'impiego del battaglione di fanteria nel combattimento offensivo e difensivo e, più particolarmente, del battaglione inquadrato nell'attacco contro nemico sistemato a difesa e nella difesa ad oltranza di posizioni organizzate, che sono le forme di combattimento più idonee a dare una visione completa di tutti gli aspetti dell'azione offensiva e difensiva. Forme, fisionomia e sviluppo del combattimento - chiarisce la 2400 - possono,
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tuttavia, essere quanto mai differenti a seconda della situazione, ma le linee indicate valgono in quanto rappresentano le esigenze normali ed esprimono concetti fondamentali. Le azioni del battaglione sono comunque tutte complesse e perciò necessitano di una indispensabile organizzazione. In attacco, il battaglione agisce in un settore relativamente ristretto per concentrare l'azione sul tratto vitale del proprio obiettivo, la cui conquista tende ad ottenere combinando opportunamente gli obiettivi delle compagnie, realizzando una concorrenza di sforzi mediante la manovra e la massima concentrazione di effetti nel settore di attacco. In difesa, schiera le sue forze in misura da mantenere il possesso della posizione su cui è investito, mediante il dominio tattico delle direzioni di attacco nemiche, la reattività a giro d'orizzonte, l 'impenetrabilità da tutti i lati, il collegamento di fuoco con i caposaldi laterali, quelli arretrati e avanzati, la presenza di un rincalzo organico. Il battaglione di fanteria diventa così l'unità tattica fondamentale del combattimento e come tale deve avere in proprio: organi per l'azione di comando e per il funzionamento dei se rvizi (plotone comando, plotone collegamenti, autosezione mista); elementi per la facilitazione del movimento e per l'impedimento di quello avversario (plotone pionieri); un elemento meccanizzato pe r una molteplicità di compiti vari (plotone cingolato); un blocco articolato di reparti aventi il compito di muovere sull'obiettivo, di raggiungerlo manovrando, di occuparlo e di mantenerlo (compagnie fucilieri); una massa varia di mezzi di fuoco (a tiro teso, a tiro curvo, controcarri, contraerei) capaci di paralizzare il nemico che si difende o che attacca e di consentire la libera azione delle compagnie fucilieri (mortai da 81 , mitragliatrici, cannoni controcarri). Esso è unità inscindibile e può ricevere rinforzo di fuoco, di mezzi e di reparti mediante decentramento normale di mitragliatrici e di pezzi semoventi di accompagnamento e assegnazione eventuale di mortai pesanti, pezzi controcarri, pionieri, carri armati, mezzi fumogeni, armi contraerei, salmerie e cingolati. Riceve, inoltre, concorso di fuoco dalle armi di accompagnamento del reggimento (o di altre unità), dall'artiglieria ed eccezionalmente dall'aviazione. La prima grande novità è che il battaglione manovra: manovra il fuoco, manovra il rincalzo, sia in attacco che in difesa. Il passo rispetto alla regolamentazione prebellica è enorme ed è un passo definitivo, l'acquisizione di un concetto dal quale la regolamentazione successiva non si discosterà più tendendo anzi ad esaltarlo anche al livello di compagnia, dove per ora è solo adombrato
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quando la 2300 tratta della concentrazione degli sforzi, dell'impiego del fuoco di accompagnamento e dello scaglionamento in profondità. Se si tiene presente che nella regolamentazione prebellica la manovra era stata sottratta p ersino alla divis ione, risulta evidente il valore della rivoluzione concettuale introdotta nella dottrina d'impiego delle unità di fanteria dalla circolare 2400 che per questo motivo, oltre che per altri, ha un'importanza preminente nella storia della regolamentazione tattica dell'esercito italiano. Oggi la novità non è più tale e nessuno si sognerebbe di p en sare che la manovra tattica non appartenga anche al battaglione ed al gruppo tattico, ma allora essa parve sbalorditiva a lle m enti dei quadri, orientate a considerare il battaglione come una massa piuttosto compatta di uomini, quasi a utomi, privata per regola di ogni capacità manovriera. Per manovrare occorre una vasta gamma di mezzi, disponibilità di fuoco e possibilità di movimento che la circolare . 2400, pur lasciando in sospeso la definizione di alcuni particolari ordinativi ed organici, individua mollo bene nella loro completezza, anche sulla base delle esercitazioni compiute dal battaglione sperimentale studiato a bella posta per conferire all' unità quel quid di capacità manovriera che prima non aveva. Il battaglione sperimentale ern s tato così ordinato: 1 compagnia comando (1 plotone comando e collegamenti, l pionieri, 1 cingolato da ricognizione), 3 compagnie fucilieri (1 plotone comando su I squadra collegamenti, 1 squ adra servizi, 1 squ adra pionieri, 1 squadra mortai leggeri su 3 armi e 3 plotoni fucilieri ciascuno di 3 squadre fucilieri e di 1 squadra armi leggere con 1 fucile mitragliatore e I bazooka), 1 compagnia mortai da 81 (1 plotone comando e 3 plotoni mortai), l compagnia a rmi pesanti (1 plotone comando. 2 plotoni mitraglicri con 4 armi ciascuno, 2 plotoni controcarri con 3 pezzi ciascuno). Il totale della forza era di circa 900 uomini. Verso la metà del 1950, anno di diramazione della 2400, le valutazioni sul battaglione sperimentale potevano dirsi a buon punto, m a non era possibile trarne sul piano ordinativo ed organico tutte le indicazioni, le modifiche ed i suggerimenti di perfezionamenti che avrebbero comportato a umenti di personale, di armi e di mezzi in quel momento non disponibili. La 2400 ha peraltro presente che la costituzione dei battaglioni esistenti non corrisponde a quella del battaglione sperimentale, ma tiene conto della possibilità di acquisizione nel prossimo futuro di nuovi armamenti e mezzi tecnici. Sulla base degli orientamenti emersi dalle esperimentazioni, lo stato maggiore considera già l 'opportunità: della scissione del
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plotone comando di compagnia fucilieri in due plotoni distinti, di cui uno raggruppante le armi di compagnia (mortai da 60, mitragliatrici, bazooka); di una diversa articolazione della compagnia armi di accompagnamento su 2 plotoni da 81 su 3 squadre di un'arma ciascuna; della costituzione in secondo tempo del plotone cingolato; dell'aumento, ancorché più lontano nel tempo, dei mortai da 81 da 6 a 9 e il loro raggruppamento in una compagnia a sé; dell'introduzione di altri pezzi controcarri e d 'accompagnamento dovendosi considerare insufficienti quelli per allora previsti. La circolare, pur lasciando aperta la porta a tutte queste possibili innovazioni, indica lineamenti d'impiego applicabili anche da parte dei battaglioni organici del momento. Un'a ltra novità è la demoltiplicazione, assai più spinta che a i livelli inferiori, delle attività del comandante del battaglione che può ora giovarsi di ufficiali specializzati destinati a collaborare con lui in attività specifiche, a cominciare dal suttocomandante del battaglione, particolarmente n:sponsabile del funzionamento dei servizi, coadiuvato a sua volta dall'ufficiale ai rifornimenti e dall'ufficiale agli automezzi. L'aiutante maggiore cura le branche riguardanti la segreteria, il personale, l'ordinamento e gli affari vari; l'ufficiale informatore cura oltre le informazioni, la propaganda ed il controspionaggio anche le questioni operative. Alla maggiore complessità del combattimento corrisponde una maggiore diffico ltà dell'azione di comando e per fronteggiare questa ultima il comandante - il quale naturalmente resta il solo .responsabile della concezione, dell'organizzazione e della condotta - dispone ora di uno stato maggiore, in formato ridotto, che riproduce, facendo un approssimato confronto, quello della grande unità superiore. La novità non è di poco conto; essa ha riflessi positivi diretti sulla efficienza e sulla capacità operativa, essendo troppe altrimenti le redini che il comandante del battaglione dovrebbe guidare da solo, facendo tutto da sé. Questi, comunque, stante l'unitarietà del combattimento, assume una funzione ed un'importanza che non gli e rano riconosciute nella dottrina prebellica; egli non è più soltanto un comandante di uomini ed un valoroso soldato, ma deve essere anche un tecnico, un organizzatore, un animatore dell'azione, al quale s i richiedono qualità e doti, capacità di comando, professionalità ben superiori a quelle del passato. L'avvicinamento s'inizia per il battaglione quando le offese sistematiche nemiche, la probabilità di puntate corazzate, o la possibilità d'osservazione terrestre avversaria fanno ritenere trop-
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po vulnerabili le formazioni di marcia; per il battaglione di fanteria autotrasportato ha, di massima, inizio dal momento in cui esso abbandona la zona di scarico dagli automezzi; si sviluppa con uno snodamento successivo dei reparti mediante un'articolazione sempre più spinta nel senso della fronte e della profondità; può interrompèrsi temporaneamente allorché il battaglione sosti nella posizione di attesa; ha termine quando il battaglione raggiunge la base di partenza per l'attacco, oppure quando è comunque obbligato, per andare avanti, ad impiegare le sue armi di accompagnamento o ad impegnare più di una compagnia. È normalmente eseguito a piedi e di notte. Lo scopo de ll'avvicinamento è quello di sempre: trasferirsi, nel minor tempo e nelle migliori condizioni, in corrispondenza degli obiettivi da attaccare avanzando senza soste e, in caso di resistenze nemiche, eliminandole con azione immediata e violenta della compagnia impegnata o, se con questa non riesce, con l'intervento a massa di tutto il fuoco disponibile. L'ambiente nel quale si svolge, nonostante la protezione dell'esplorazione tattica terrestre o di altre forze schierate su di un'antistante posizione difensiva, è molto più insidioso di quello di un tempo; conseguentemente si accentua il problema della sicurezza il quale va risolto, oltre che ricorrendo ai tradizionali reparti ad hoc, adottando un dispositivo di autosicurezza che permetta il raggiungimento degli scopi dell'avvicinamento e garantisca la possibilità d'immediata reazione in un quadro di reciproco concorso tra i reparti. Il gioco delle formazioni, delle distanze, degli intervalli e delle fronti, stante la gamma delle situazioni, non può rispondere a nessuno schema rigido o regola fissa. Due gli argomenti particolari sui quali la 2400 si sofferma: l'impiego del battaglione in avanguardia, l'organizzazione della base di partenza. Il compito dell'avanguardia è quello di sempre, come pure la stessa del passato è l'articolazione (punte di avanguardia, testa di avanguardia, grosso di avanguardia). Elementi derivanti dai nuovi aspetti della guerra sono l'eccentuato sviluppo dell'autotrasporto che consente a ll'avanguardia di muovere, quando possibile, su automezzi e l'eventuale presenza della guerriglia che appunto richiede misure preventive di protezione dalle imboscate. Il b attaglione in avanguardia deve, in ogni caso, provvedere anzitutto all'esplorazione ravvicinata, mediante l' impiego di pattuglie, da trarre dal plotone cingolato o da una compagnia fucilieri. Le pattuglie muovono a distanza tale dal reparto, a cui favore agiscono, d a consentire a l comandante di questo ultimo di attuare in tempo tutta la reattività necessaria, vale a dire da 3 a 4 km per le
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unità a piedi e da 10 a 15 km per quelle autotrasportate. Anche le distanze tra testa e coda dei vari elementi dell'avanguardia (escluse le pattuglie) variano intorno a 700 + 1000 m se a piedi, a 10 minuti se su mezzi a motore, mentre tra coda del grosso d'avanguardia e testa della colonna le distanze sono dell'ordine di 3 + 4 km per le unità a piedi e intorno ai 20 minuti per le unità su automezzi. I tempi e le distanze, largamente orientativi, dipendono soprattutto dalla situazione per cui, ad esempio, nelfe zone malsicure per attività di guerriglia il dispositivo dell 'avanguardia tende a raccogliers i. L'azione dell'avanguardia può avere termine o con il raggiungimento di posizioni tenute da altre truppe, nelle quali l'avanguardia deve inserirsi per poi rilevare i compiti già affidati a queste ultime, o con l'occupazione di una posizione a protezione dello scarico dagli automezzi della colonna, in questo caso l'avanguardia a ssume uno schieramento difensivo (occupazione dei nodi di comunicazione, spinta in avanti di pattuglie, tenuta alla mano di una ri serva), o con l'occupazione della base di partenza per l'attacco, in questo caso l'avanguardia raggiunge la posizione, eliminando eventualmente le avanstrutture avversarie, e vi si schiera a difesa in attesa dell'arrivo degli scaglioni avanzati. L'argomento della base di partenza, già accennato nella 2300, trova nella 2400 maggiore sviluppo e, per la prima volta nella regolamentazione italiana, esso è compiutamente trattato fin nei particolari, distinguendo il caso nel quale la base di partenza sia già tenuta da altre truppe - operazione che si concreta in una sostituzione di reparti in linea - da quello in cui essa debba essere occupata direttamente dal battaglione, ad esempio, da quello di avanguardia. Le modalità sono diverse, ma l'organizzazione della base non presenta sostanziali differenze salva, nel primo caso, la necessità di intese e di accordi da prendere con l'unità in sito. Un elemento di rilievo per l'occupazione della base di partenza è il posto controllo, la cui costituzione si rende necessaria sia nel caso che la base di partenza sia già tenuta da altri reparti, sia in quello nel quale il battaglione giunga direttamente autoportato in località non distante dalla base. Ad una prima lettura potrebbe sembrare che le differenze in materia di avvicinamento rispetto al passato non siano molte, anche perché il linguaggio e la terminologia tornano ad essere quelli tradizionali della regolamentazione italiana, ma, a parte le novità vere e proprie - quali l'eventualità dell'avvicinamento su automezzi, il posto controllo, ecc. - esiste altresì una visione molto diversa dell'operazione, derivante soprattutto dal fattore aereo, dalla diminuzione della durata dell'avvicina-
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mento quando compiuto su automezzi, dalla eventuale minaccia della guerriglia, dall'assoluta necessità della minuta organizzazione dell'attacco. Ciò contrasta con l'esigenza di compiere l'avvicinamento il più celermente possibile e richiede l'utilizzazione di una posizione di attesa dove è gioco forza sostare. Legate all'esigenza dell 'organizzazione ed a quella di facilitarne la messa in atto e ridurne i tempi di sviluppo, sono la costituzione di gruppi di elementi a composizione fissa per l'esecuzione delle ricognizioni e per la diramazione degli ordini - gruppo «R» e gruppo «O» - la suddivisione degli automezzi o delle salmerie dei reparti in tre scaglioni - «F», «A», «B» 11 - l' istituzione del posto controllo, la precisione minuta degli ordini da dare circa i compiti e le modaJità per adempierli: tutti elementi derivati più o meno direttamente dalla regolamentazione britannica, molti procedimenti della quale vengono riportati, sia pure con adattamenti o sfoltimenti, nelle parli della 2400 riguardanti l'impiego del battaglione in generale e l'avvicinamento in particolare. L 'attacco, che per il battaglione s'inizia allorché muove dalla base di partenza per raggiunge re l'obiettivo, è una manovra tattica complessa ch e comporta una triplice attività - concettuale, organizzativa, esecutiva - le cui linee caratteristiche sono segnate, al livello di battaglione, dall'impiego del fuoco e del movimento, con differenze sostanziali da quelle fissate per la compagnia. Il fuoco del battaglione, compreso quello dell'artiglieria laddove la distanza di sicurezza lo consenta, deve essere diretto a massa contro gli obiettivi più importanti e colpire i centri di fuoco attivi di effettivo ostacolo all'avanzata nei tratti non investiti o laterali ai settori di attacco delle compagnie; deve essere spostato in armonia alla progressione delle compagnie. Il movimento - che in sostanza è fuoco che avanza - s i sviluppa nel senso della fronte e della profondità pe r ottenere la rottura della fronte su tutto il tratto investito ed il raggiungimento del tratto vitale dell'obiettivo; deve tendere ad approfondire il più possibile la penetrazione attraverso la rottura laddove questa si manifesti più facile o più redditizia ai fini dell'occupazione materiale e del mantenimento del tratto vitale dell'obiettivo da conquistare. Le differenze sostanziali rispetto all'azione della compagnia sono che: que sta ultima esegue il fuoco in strettissima aderenza al movimento dei plotoni fucilieri concen· trandolo lungo l'asse di gravitazione del suo attacco, mentre il battaglione impiega il suo fuoco anche per la neutralizzazione dei Lralli non investiti e di quelli laterali e può manovrarlo specie per
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mezzo dei mortai medi; la compagnia esegue un'azione semplice che punta direttamente sul suo obiettivo, il battaglione combina obiettivi e direzioni delle compagnie in una manovra unitaria ma composita. Elementi concettuali, determinanti, dai quali scaturisce il concetto di azione del comandante del battaglione, sono: il compito, la situazione propria e del nemico, il terreno. L'organizzazione dell'attacco - che si concreta nel piano di attacco che è, in sostanza, l'ordine per l'azione - deve tendere a: realizzare la concentrazione di effetti nel settore prescelto e in p articolare sul tratto vitale dell'obiettivo; la convergenza e la concorrenza degli sforzi per la conquista dell'obiettivo media nte la combinazione degli obiettivi di compagnia; la sicurezza per lo sviluppo d e ll'azione. Designazione del centro di gravità dell'a zione, assegnazione dei compiti, obie ttivi e direzioni delle compagnie, ripartizione dei . mezzi, modalità per realizzare la superiorità (concentrazione), la continuità (scavalca mento), l'aderenza del fuoco, la sicurezza e l'alime ntazione tattica (rincalzo) e logistica (rifornimenti) dell 'attacco: questi i problemi da risolvere sulla base del compito, dell'obiettivo di attacco e di quello eventuale, della direzione di attacco, accompagnata o non dalla determinazione del settore di azione, me no frequentemente del settore di attacco. Il dispositivo scelto dal comandante del battaglione riflette di per sé lo scaglionamento dei reparti e la successione degli sforzi: una base di fuoco, suscettibile di spostamenti; un'articolazione delle compagnie fucilie ri avanzate rinforzat e da armi di accompagnamento; un rinca lzo. La fronte di attacco è di massima non superiore agli 800 m , mentre la profondità, in gener e compresa entro i 1000 m , varia in funzione d e i consueti ele m enti: distanza dell 'obiettivo, organizzazione e sistema zione nemica, efficienza del fuoco di preparazione e di a ppoggio, caratteristiche del terreno. La base di fuo co - prevedibile quella di compagnia, eventuale quella di plotone - è normale a l livello di battaglione ed è composta, di ma ssima da due distinte aliquote: armi a tiro teso, armi a tiro curvo. La prima comprende mitragliatrici, pezzi controcarri, mitraglitrici contraerei, pezzi di accompagnamento; è schiera ta inizialmente quanto più avanti possibile; è articolata in gruppi intervallati di armi; è normalmene vincolata a settori d 'intervento predesignati per ogni g ruppo di armi; è soggetta a sposta menti in avanti; è comandata dal comandante della compagnia a rmi pesanti o armi di accompag namento. La seconda comprende i mortai del battaglione e d_i rinforzo; è schierata su posizioni defilate; può intervenire su tutto il settor e di azione del
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battaglione ed è perciò il mezzo con il quale il comandante del battaglione può manovrare il fuoco; può rimanere ferma fino all'occupazione dell'obiettivo; è agli ordini del comandante della compagnia mortai. L'ideazione di un piano dei fuochi si concreta in un progetto d'impiego delle armi, che non è un documento grafico, ma un primo orientamento circa la ripartizione dei compiti e dei settori di azione, da adeguare a mano a mano allo sviluppo del combattimento, e non un programma orario rigido e vincolativo. Nella ideazione del piano dei fuochi della base di fuoco del battaglione occorre tenere conto dell'azione di appoggio dell'artiglieria e di quella eventuale dell'aviazione. Criterio fondamentale dell'azione di appoggio dell'artiglieria è la corrispondenza normale di un reggimento di artiglieria da campagna a favore di un battaglione in primo scaglione, inteso il reggimento di artiglieria, più che come unità organica, .come numero di pezzi in grado di assicurare la potenza di appoggio ritenuta necessaria nel nuovo quadro del combattimento. Qualunque sia l'entità dell'artiglieria di appoggio, è sempre necessario l'abbinamento di un determinato comandante di gruppo di artiglieria con un corrispondente comandante di battaglione di fanteria. Circa la cooperazione fanteria-artiglieria, la 2400 tratta ampiamente le modalità, le intese preventive, i collegamenti per realizzarla, precisando che la cooperazione stessa trova la sua base morale nell'affiatamento personale tra i quadri delle due armi e sottolineando la necessità da parte dei quadri di fanteria a saper funzionare, indipendentemente dall'affiancamento con i comandanti delle unità di artiglieria, come osservatori avanzati per l'aggiustamento del tiro dell'artiglieria. Non meno numerose sono le predisposizioni che la circolare indica per l'organizzazione dell'appoggio aereo, il superamento dell'ostacolo - a proposito del quale fissa, in linea di massima, i compiti dei pionieri di battaglione e di rinforzo e quelli dei pionieri delle compagnie e, subordinatamente, degli stessi fucilieri, già indicati più sommariamente nella 2300 - e l'alimentazione tattico-logistica della lotta. Anche nella 2400, al pari che nelle pubblicazioni precedenti della stessa serie, l'elencazione degli ordini, che al livello di battaglione possono essere emanati per iscritto, è particolareggiata e minuta. Dinamica dell'atta~co: prima dell'azione, quando necessario, viene effettuato di notte dai pionieri del battaglione, eventualmente rinforzati da quelli genio, lo sminamento su larga fronte, garantendo almeno due varchi, di 576 m di ampiezza, per ogni compagnia avanzata; durante la preparazione, nella cui ultima
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fase intervengono anche le armi pesanti del battaglione, le compagnie muovono dalla base di partenza sì da trovarsi al limite della distanza di sicurezza al termine della preparazione stessa, in modo che non vi sia intervallo di tempo tra l'allungamento del tiro e la ripresa o continuazione del movimento, sfruttando così totalmente gli effetti del fuoco di neutralizzazione; le compagnie muovono mirando ai propri obiettivi lungo le direzioni prestabilite, avanzando finché possibile senza fare fuoco, al quale ricorrono solo quando quello della base di fuoco di battaglione si riveli insufficiente o quando si rivelino all'improvviso armi che ostacolino direttamente l'avanzata, o quando la presenza di ostacoli ritardi il movimento; la base di fuoco di battaglione batte gli obiettivi di maggiore importanza che ostacolano l'avanzata e dà sicurezza ai fianchi del dispositivo di attacco, neutralizzando i tratti non investiti; se necessario, le armi a tiro teso della base di fuoco si spostano a scaglioni ed a sbalzi su posizioni più avanzate favorevoli; la compagnia di rincalzo procede a sbalzi da una posizione all'altra regolando il movimento su quello delle compagnie avanzate e diminuendo gradatamente la distanza da queste per tenersi in misura di scavalcare, quando necessario, una compagnia avanzata o per reagire anche d ' iniziativa ai contrassalti del difensore; il comandante del battaglione governa tutta l'azione mediante il fuoco - concentra il proprio fuoco, richiede l'intervento dell'artiglieria, si avvale del concorso che richiede alle unità -laterali ed al comando superiore - ed il rincalzo, di norma orientato ad approfondire la penetrazione; nel caso che le compagnie avanzate vengano arrestate dalla reazione nemica, esse si rafforzano sulle posizioni raggiunte, mentre il comandante del battaglione concentra tutto il fuoco disponibile sul tratto su cui intende rompere al fine di far riprendere il movimento; nel caso di arresto definitivo, l'intero battaglione si rafforza in posto assumendo atteggiamento difensivo; aperta la breccia, le compagnie avanzate puntano in profondità sui propri obiettivi di attacco o eventuali, le mitragliatrici della base di fuoco di battaglione assicurano la solidità dei fianchi del tratto di rottura, il rincalzo si spinge avanti o per raggiungere l'obiettivo eventuale, o per sostituire una compagnia avanzata dopo l'occupazione dell'obiettivo di attacco, o per cadere sul fianco del nemico che ancora si opponga alla progressione di una compagnia avanzata, o per reagire al contrassalto nemico in forze; raggiunto l'obiettivo di attacco o eventuale, il battagJione, spinte avanti pattuglie per non perdere il contatto con il nemico, inizia subito le operazioni di
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consolidamento che si concretano i:iel rapido afflusso e schieramento dei pezzi controcarri, nello schieramento delle mitragliatrici per la sicurezza dei fianchi, nel riordinamento dei reparti, nella ricostituzione di un rincalzo orientato sulla più probabile direzione di contrassalto nemico, nello scaglionamento in profondità dei mezzi di fuoco secondo il criterio di assicurare la difesa del tratto vitale e la ripresa del movimento in avanti; durante le operazioni di consolidamento, le compagnie rastrellano le posizioni. L'attacco del battaglione rinforzato da carri armati, l'attacco notturno e l'impiego del battaglione di secondo scaglione concludono la parte de lla pubblicazione dedicata all'attacco. Le linee delle azioni di fanteria e carri, ancora incerte nelle circolari 2100 e 2200, meglio precisate nella 2300, raggiungono ora una chiarezza e definizione complete. Esiste distinzione tra cooperazione e rinforzo, la prima realizzabile nel quadro delle grandi unità corazzate, il secondo proprio dell'azione delle grandi unità di fanteria. Nel primo caso, l'azione risolutiva è qudla ùei carri; nel secondo, l'azione principale è quella della fanteria. Nel caso del rinforzo, l'azione, come già indicato nella 2300, può avvenire per successione di tempi lungo una stessa direzione oppure più fre quentemente e più remunerativamente in contemporaneità, lungo una direzione convergente o a lmeno parallela. Quando l'azione si svolge per successione di tempi lungo una delle direzioni dei reparti fucilieri: i carri precedono la fanteria, muovono sull'obiettivo di attacco distruggendo o neutralizzando le armi automatiche nemiche, occupano e mantengono l 'obiettivo fino al sopraggiungere dei reparti di fanteria di cui sostengono le operazioni di consolidamento; il battaglione di fanteria presidia e mantiene la base di partenza, accompagna con il fuoco, specie con quello dei mortai, l'azione dei carri, segue quindi con le compagnie fucilieri il movimento dei carri, raggiunge occupa rastrella consolida l'obiettivo, favorisce la penetrazione dei carri verso obiettivi più profondi e ne protegge la riorganizzazione ed il rientro sulla posizione di raccolta. Nell'attacco svolto in contemporaneità: i carri sono spiegati esternamente al dispositivo del battaglione e lungo una direzione convergente sull'obiettivo; le armi della base di fuoco del battaglione intervengono di norma a favore delle compagnie fucilieri, ma una parte di esse (pezzi controcarri, pezzi di accompagnamento, mortai) è pronta ad entrare in azione con precedenza contro i mezzi controcarri nemici; entrambe le unità, carri e unità di fanteria, sommano i loro sforzi sull'obiettivo comune e cercano di distrarre eccentricamente
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la reazione nemica. Due, in entrambi i casi, i concetti principali ai quali si ispira l'azione: massa e sorpresa; la prima intesa come obbligo dell'impiego riunito dei carri assegnati in rinforzo, sia pure destinandoli ad agire a favore di una sola compagnia, ma evitando la ripartizione tra le compagnie avanzate. Circa l'attacco notturno la 2400 ne mette in rilievo, come già aveva fatto la 2300, la frequenza maggiore rispetto al passato e la necessità de lla minuta organizzazione. Fattori del successo dell 'attacco notturno: l'elevato morale dell'attaccante, il completo preventivo orientamento dei quadri, le prove di giorno e di notte su te rreno simile a quello dell'azione reale, la disponibilità di una consistente massa di fuoco di artiglieria, il mantenimento d ella direzion e di movimento, un dispos itivo raccolto, il silenzio assoluto, l'efficienza dei collegamenti radio, l' impiego di m ezzi c he influiscano n egativamente sullo stato psicologico del ne mico (fuoco, artifizi colorati, p roiettili traccianti, annerimento dei volti). La trattazione del battaglio ne di secondo scaglione è tutta impostata sulla operazione di scavalcamento, mediante la quale il battaglione entra normalmente in azione o preferibilmente attraversando gli interva lli esistenti tra le compagnie e i plotoni da scavalcare o, quando non sia possibile diversamente, attraverso le unità avanzate. Il battaglione inizialmente procede lungo la direzione di movimento assegnatagli spostandosi ad ampi sbalzi da una posizione all'altr a in formazione di avvicinamento, diminuendo gradatamente la dis tanza dai ba ttaglioni avanzati; durante iJ movimento tende a sottrarsi all'osservazione e, quando procede sull 'ala esposta, si dispo ne a scalare in fuori rispetto al le unità antistanti; è chiama to a d interven ire normalmente per approfondire od ampliare il s ucc esso dei primi scaglioni e solo ecce zionalmente p er sviluppare un'azione in direzione diversa; assume il dispositivo di attacco; muove poi da lle p osizioni raggiunte inizialmente, sorpassa quelle dei reparti anti stanti e riprende l 'attacco senza alcuna soluzione di continuità. La difesa è esaminata n el solo quadro de lla posizione di resistenza sulla qua le il battaglione o costit uisce un caposaldo o concorre a costituire la rise rva divisiona le. I requisiti del caposaldo - unità tattico-fortificatoria - sono quelli indicati nella 2300 ed il perimetro del caposaldo di battaglione è r agguaglia to ai 3500 m (minimo 3000 m), mentre le distan ze e gli intervalli tra i caposaldi sono dell'ordine di 1200+ 1600 m. Elementi dell'attività concettuale del comandante del battaglione sono: la individuazione de l tratto vita le, la determinazione della gravitazione delle forze e del fuoco
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con il criterio di opporre il forte della difesa al prevedibile maggiore sforzo dell'attacco, la definizione delle altre posizioni da comprendere nel caposaldo scelte con il criterio di consentire una funzione integrativa e di appoggio del tratto vitale con il quale debbono saldarsi e cooperare tatticamentè sì da formare un sistema unico, la formulazione delle probabili ipotesi di impiego del rincalzo. L'organizzazione della difesa, conseguente al concetto d 'azione, deve te!')dere a realizzare la massima con centrazione di potenza difensiva a favore del tratto d 'importanza vitale, la striscia d'intrans ibilità sul davanti di tutto il perimetro del caposaldo mediante la combinazione del fuoco e dell'ostacolo, il collegamento tattico con i caposaldi limitrofi, la possibilità di reazione di movimento interna. La scelta della linea di resistenza, la definizione dell'articolazione interna - in genere due settori di compagnia sulla fronte principale e uno sul fronte di gola - e quella dello schieramento delle forze, la localizzazione della c intura di fuoco basata essenzialmente sui fucili mitraglia tori e sulle armi controcarri, la costituzione di una linea di arresto automatico, l'armonizzazione del fuoco di artiglieria con quello delle armi della fanteria, l'organizzazione della reazione di movimento, de ll'ostacolo, della funzione di comando e dei servizi formano oggetto dell 'attività organizzativa e trovano posto nel piano di difesa. Da essi derivano gli ordini ai reparti dipendenti. Nel piano dei fuochi, uno schizzo sommario, vengono inizialmente precisati limit i di settore delle compagnie, punti di saldatura, ubicazione dei centri di fuoco costituiti dalle armi di battaglione nonché le loro direzioni (obiettivi) di arresto automatico, i tratti di sbarramento di a rtiglieria, i campi minati. Successiva mente, sulla base dei piani di fuoco compila ti dalle compagnie, il documento viene completato con l'indicazione dei centri di fuoco e delle relative direzioni (obiettivi) di arresto au toma tico. La regolamentazione preb ellica affidava la compilazione integrale e particolareggia ta del pia no dei fuochi a l comandante del battaglione che poi lo trasmetteva a lle compagnie per l'esecuzione; ora l'organizzazione particola reggiata dei fuochi nei propri settori è devoluta ai comandanti di compagnia ed a l com a ndante del battaglione spe tta, invece, inizialmente la organizzazione del proprio fuoco, successivamente il controllo, l'armonizzazione ed il perfezionamento dei piani di fuoco de lle compagnie ed infine la compilazione definitiva del pia no di fuoco complessivo. L'organizzazione del fuoco di fanteria, così come indicata da lla 2400, pone fine alla lunga disputa tra i sostenitori del tiro frontale mirato (settori di tiro) e quelli del tiro
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d'infilata (direzioni di tiro): il tiro normale è quello frontale mirato, organizzato in settori di tipo parzialmente sovrapposti in modo da realizzare tutto intorno al caposaldo una completa cintura, un cerchio di fuoco, ottenuto dalla somma dei singoli settori; il tiro fiancheggiante è quello a cui si deve fare ricorso di notte o con nebbia fitta organizzando, mediante direzioni di arresto automatico, una linea continua di fuoco automatico, integrata da obiettivi di arresto automatico per i mortài laddove il terreno costringe a soluzioni di continuità del fuoco automatico e sul davanti dei tratti più importanti. Altre due novità: l'assegnazione ad alcune mitragliatrici di settori di falciamento per impedire al nemico di notte lo sminamento dell'ostacolo attivo; lo schieramento laterale di alcune mitragliatrici per assicurare il collegamento con i caposaldi contigui. L'impiego del rincalzo è quello già delineato nella 2300: sistemazione a difesa del fronte di gola, schieramento di un minimo di armi (2 +4 fucili mitragliatori) sul fronte stesso quando non vi sia schierato il plotone cingolato, dislocazione del grosso della compagnia riunito su posizione idonea allo svolgimento del compito principale (contrassalto), fronte ai settori delle altre due compagnie. La condotta della difesa può essere così schematizzata: al manifestarsi dell'attacco nemico, le forze in zona di sicurezza danno inizio all'azione ritardatrice, eccezione fatta per quelle impiegate nei posti scoglio che resistono ad oltranza; l'artiglieria, abbia o non sviluppato la contropreparazione, dà inizio all'interdizione vicina e passa poi allo sbarramento; i mortai e i cannoni semoventi in rinforzo battono dalle maggiori distanze possibili il nemico avanzante; allorché il nemico giunge a distanza di tiro efficace, entrano improvvisamente in azione le armi automatiche lungo i tratti di una linea fissata in precedenza (al massimo 150 m dai centri di fuoco) per cogliere il nemico nella fase critica del superamento dell'ostacolo e per · arrestarlo prima che giunga a distanza di assalto; qualora l'attacco nemico, bloccato davanti al caposaldo, tenda a incanalarsi negli intervalli, il fuoco del battaglione ne ostacola il passaggio attraverso i campi minati di cortina e quindi la successiva progressione, per poi infine accompagnare il contrattacco della riserva divisionale diretto ad annientare il nemico che avesse ulteriormente progredito o fosse rimasto ingabbiato nelle maglie dei caposaldi del 1° e del 2° ordine o rinserrato tra i campi minati in profondità; nel caso che elementi avversari, investendo il caposaldo, riescano a penetrare nei centri di resistenza, i rincalzi di plotone li contrassaltano; in caso di ulteriore
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progressione, è tutto il fuoco disponibile e in grado d'intervenire che si rovescia sulla penetrazione, mentre il rapido afflusso di armi del plotone cingolato oppure il rincalzo di compagnia, quando esista, fanno di tutto per sventare le minacce sul tratto vitale dei settori di compagnia; quando, nonostante tutto, l'avanzata nemica minacci e stia per investire il tratto vitale del caposaldo, il comandante di battaglione lancia al contrassalto - preparato e accompagnato dal fuoco di tutte le armi disponibili ed eventualmente di quelle del plotone cingolato - la compagnia di rincalzo che agisce con il fuoco della sua base di fuoco e con l'azione di assalto dei plotoni fucilieri. Il caposaldo accerchiato - eventualità frequente nell'organizzazione difensiva a caposaldi - continua ad oltranza la resistenza e non ripiega. Il battaglione in riserva divisionale è orientato alla riconquista di un caposaldo importante andato perduto od all 'annientamento del nemico trafilato tra le cortine cd arrestato dall'azione combinata del fuoco della scacchiera di caposaldi e dell'artiglieria. Il contrattacco del battaglione in riserva si sviluppa con modalità analoghe a quelle dell'attacco, ma: i tempi per l'organizzazione sono molto ristretti per cui necessita preorganizzare e provare azioni tipo da applicare senza sensibili variazioni al momento dell'impiego effettivo; il contrattacco è preceduto dal trasferimento della riserva dalla zona di dislocazione alla base di partenza e conseguentemente dall'attraversamento attraverso i varchi nei campi minati di cortina; il contrattacco è spesso condotto in concomitanza con altre unità della riserva (reggimento di cavalleria blindata, unità carri) il che non comporta sensibili vincoli o limitazioni per il battaglione di fanteria, ma si concreta in un'azione di doppio avvolgimento ottenuto facendo agire il battaglione di fanteria e le unità blindate o corazzate da basi di partenza distinte, lungo direzioni diverse e convergenti, su obiettivi disposti su piani diversi. La trattazione dell'impiego del battaglione nell'azione difensiva si chiude con alcuni cenni sul ripiegamento del quale la 2400 esamina tre casi: ripiegamento in proprio, ripiegamento a protezione di quello di una colonna, ripiegamento come retroguardia del grosso di una colonna fuori della pressione nemica. Nella prima situazione, il battaglione effettua inizialmente, quando necessario, la rottura del contatto e poi ripiega a scaglioni dando la precedenza ai reparti avanzati se la pressione del nemico è debole, a quelli arretrati se è forte, accompagnando, in tutti i casi, l'azione con violente azioni di fuoco e nebbiogene, muovendo successivamente articolato in scaglioni di compagnia ed effettuando una serie di
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sbalzi e di resistenze alternati fino a raggiungere la nuova posizione. Il battaglione incaricato della protezione del ripiegamento di una colonna è di massima schierato inizialmente su di una posizione arretrata, resiste su questa fino a quando stabilito dal comando superiore, alterna successivamente resistenze e sbalzi indietro; in vicinanza delle nuove posizioni occupate dalla colonna, si sgancia definitivamente dal nemico sotto la protezione delle truppe già in posto e raggiunge la località fissatagli per il riordinamento. La compagnia a più immediato contatto con il nemico crea ostacoli, svolge i1 fuoco di arresto alle massime distanze, resiste in pos to per il tempo s tabilito per ogni posizione, su ccessiva mente si sgancia dal contatto e, proteggendosi in coda, o ltrepassa la posizione già guarnita dalla compagnia retrostante pe r raggiungere quella più arretrata ad essa assegnata. Il battaglione che costituisce retroguardia. opera articolato in pattuglie di allarme, punta di sicurezza, grosso di retroguardia e opera secondo i canon i tradizionali. Sia per il ripiegamento sia p er la sicurezza in sosta, le linee in<lic.:ate <lalla circolare sono quelle in vigore già nella rego lamentazione prebellica, con la diffe renza sostanzia le che protagonisti delle azioni diventano le armi controcarri, i pionieri, le squadre del plotone cingolato e, quando disponibili, i carri armati di rinforzo. Par ticolare importanza riveste il problema de ll'autosicu rezza contro azioni di guerriglieri e paracadutisti, anche durante le soste, la c ui soluzione è vista: nella dislocazione di pattuglie fi sse nel numero strettamente indispensabile sulle principali vie di comunicazione e intorno ai punti sensibili d ella zona di s tazionamento; nel mantenim ento costante di un'aliquota di primo interve nto nell' interno delle compagnie; nella predisposizione della difesa vicina dei com a ndi e dei centri di collegamento; nell'obbligo agli uomini in riposo di tenere ·sempre alla mano il p roprio armamento; nella definizione preventiva del contegno, del compito, dello schieramento dei reparti per il caso di un attacco nemico. Il testo della circolare 2400 non finisce qui. Esso tratta in capitoletti a sé stanti le modalità della cooperazione dell 'artiglieria e dell'aviazione, dei collegamenti, dell'organizzazio ne e del funzionamento dei servizi ed illustra negli allegati lo schema di costituzione dei gruppi «R» e «O», lo schema orientativo di un tipo di rete radio del battaglione in attacco e quello di un tipo di rete radio del ba ttaglione in difesa e la sistemazione di un battaglione in caposaldo (schizzo schema ti co). L'esame de lla c ircolare 2400, forse anche troppo esteso, che abbiamo compiuto consente, anche se l'argomen-
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to dei collegamenti meriterebbe qualche cenno maggiore, di trarre alcune conclusioni che il lettore avrà già dedotto per suo conto. La prima è che la serie dottrinale 2000 fu una costruzione creativa, anche se non nacque dal nulla, graduale e travagliata, edificata pietra su pietra, risultato di studi approfonditi e di esperimentazioni pratiche non limitati nell'ambito dello stato maggiore dell'esercito e della scuola di fanteria, ma condotti con la collaborazione di moltissimi quadri che, con i loro interventi sulla Rivista militare e su altre pubblicazioni, concorsero alla formulazione di criteri e di procedimenti d 'impiego aderenti ad una precisa visione del combattimento della fanteria sul nuovo campo di battaglia. Si può dire che la nuova dottrina nacque dal basso, non solo perché partì dal primo gradino della scala ordinativa tattica - la squadra - ma anche perché fu opera di sintesi di idee e di esperienze varie espresse e raccolte da tanti ufficiali che avevano partecipato alla guerra, chi ricoprendo gradi e incarichi modesti, chi in posizioni più elevate e di maggiore responsabilità. Una seconda conclusione è che la nuova regolamentazione è concepita ed espressa secondo la logica ragionativa ed il lessico militare tipici e tradizionali dell'esercito e dello stato maggiore italiani, per cui essa è testimonianza dell'evoluzione del pensiero militare italiano, che torna ad acquisire una sua originalità ed una sua individualità molto spiccate, pur facendo tesoro dei tanti insegnamenti contenuti nella regolamentazione degli altri eserciti e, nel caso particolare, di quello britannico. L'influenza di questo ultimo, che abbiamo avuto modo di sottolineare più volte, è evidente, soprattutto per quanto riguarda le modalità organizzative ed esecutive delle ...arie azioni delle unità di fanteria; non vale negarlo, come fu tentato allora di fare, perché non sarebbe stato facile - e oltre tutto sarebbe stato un grave errore - distaccarsi dalla forma di attrazione esercitata da una dottrina di un esercito vittorioso che, oltretutto, sia pure senza grande entusiasmo e con molta sufficienza, aveva diretto la costituzione dei gruppi di combattimento addestrandoli ed impiegandoli secondo i propri criteri e tecniche. Un'ultima conclusione è che lo stato maggiore dell'esercito riuscì, in un periodo abbastanza breve, a definire il combattimento della fanteria - e conseguentemente quello di tutte le armi che con questa cooperarono - precedendo gli altri eserciti, in un'armonica visione del quadro di azione di ogni singolo reparto (pattuglia, squadra, plotone, compagnia, battaglione) e di quello generale del combattimento, fissando criteri e tecniche d'impiego sostanzialmente tuttora validi e superando,
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senza danni, l'eterno contrasto tra dottrina e organici per evitare di dare vita ad una dottrina senza riscontro di pratica applicazione o ad una dottrina che si trovasse quasi subito superata dal rapido progredire degli armamenti e degli altri mezzi tecnici. La serie 2000 non andrà incontro a smentite neppure negli anni successivi; i mutamenti, gli aggiornamenti ed i miglioramenti che vi saranno apportati non riguarderanno la sostanza; i concetti fondamentali in essa sanciti resteranno validi, mentre i procedimenti e le modalità di azione saranno suscettibili di trasformazioni e adattamenti, specialmente nel quadro dell'impiego delle armi nucleari tattiche, ma non in misura tale da cancellare del tutto l' impronta originaria.
4.
Della serie dottrinale 2000 non vide la luce la pubblicazione riguardante l' impiego del reggimento I Ibis, vale a dire la 2500. Dalla 2400 relativa al battaglione si saltò alla 2600 che tratta i lineamenti d'impiego della divisione. L'omissione non casuale fu un errore. La 2400 e la 2600 lasciavano al reggimento, che sul piano tattico identificavano con la colonna nell'attacco e con il gruppo di caposaldi nella difesa, funzioni d'impiego notevoli. Le considerazioni che probabilmente suggerirono il salto furono, da una parte la questione allora alla ribalta dei raggruppamenti e dei gruppi tattici, dall'altra quella di procedere con grande prudenza nei riguardi di una unità organica che, se dal punto di vista dell'impiego aveva perduto già da prima della seconda guerra mondiale l'importanza del passato, sotto il profilo addestrativo, disciplinare, amministrativo e soprattutto spirituale conservava la grande forza di coesione di sempre, tanto più indispensabile in un periodo nel quale i valori morali, sconvolti dalla guerra, venivano ulteriormente repressi, soffocati e addirittura ridicolizzati da molte parti del consorzio politico e sociale della nazione. Era fuori dubbio che la guerra avesse accentuato l'esigenza di una ripartizione tattica delle forze aderente di volta in volta alle peculiarità contingenti del combattimento e che ogni fase di questo avrebbe da allora in poi richiesto aggruppamenti di forze con finalità e caratteristiche specifiche per ogni singolo caso. A molti sembrava che la nuova esigenza avrebbe dovuto portare ad un completo rivoluzionamento o scardinamento degli ordinamenti organici tradizionali delle unità di fanteria, che sostanzialmente erano rimasti gli stessi dell'epoca
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romana, anche dopo l'avvento delle armi da fuoco. Ma l'abolizione del livello reggimento avrebbe significato modificare addirittura la struttura fondamentale dell'esercito ed avrebbe avuto ripercussioni di varia natura facili da prevedere. Lo stato maggiore dell'esercito non si lasciò sviare verso una tale eversione di principi e di ordinamenti e non accettò lo svisamento del problema impostato dalla seconda guerra mondiale, ma lasciò in pratica le cose come stavano introducendo peraltro, entro limiti precisi e stretti, le entità raggruppamento e gruppo tattico. Il reggimento fu lasciato in vita più come unità del tempo di pace che non d'impiego, ancorché sotto questo ultimo profilo non fossero pochi e di scarso momento i compiti che gli venivano conservati. La circolare 2600 sanzionò il ricorso al raggruppamento ed al gruppo tattico perché, secondo le più moderne concezioni della lotta, in tutte le fasi del combattimento diventa frequente e normale la necessità, anche provvisoria, di modificare, al di fuori delle strutture organiche, l'articolazione iniziale delle forze, costituendo appunto raggruppamenti e gruppi tattici aventi formazione diversa, comprendenti unità delle varie armi, tratte dalle forze organiche di una grande unità o da quelle eventualmente in rinforzo. Ma lo stato maggiore non se la sentì sul momento di stabilire una preventiva e tassativa ripartizione della divisione in raggruppamenti e gruppi tattici, quale quella di molte divisioni germaniche negli anni 1943-'45. Esso preferì scegliere la costituzione organica che consentisse al momento della necessità di riunire insieme elem1::nti di diverse armi, dosandone di volta in volta la consistenza in rapporto alla situazione. Una soluzione elastica solo in teoria, almeno per allora, perché priva di rispondenza pratica, in quanto non ve nivano assegnati mezzi di collegamento e di trasporto pronta mente impiegabili per far funzionare i comandi di raggruppamento tattico. Ai comandi dei reggimenti di fanteria e di artiglieria non venivano, infatti, a ssegnati organicamente il personale ed i mezzi necessari per esercitare le funzioni di comandi di raggruppamento. Ciò che lascia molto perplessi, circa la scelta allora fatta, è che la questione degli aggruppamenti tattici di forze non riguardava solo il reggimento, ma anche il battaglione, nel quale , in termini più rido~ti, la questione si proponeva in modo sostanzialme nte analogo. Il gruppo tattico non aveva forse le medesime esigenze del raggruppamento? Ed allora perché due pesi e due misure? La soluzione fu tanto infelice che dopo qualche tempo si finì con il denominare raggruppamento e gruppo tattico unità costituite in pratica di sola fanteria.
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Abbiamo accennato al modo con il quale la questione era stata risolta nell'esercito degli Stati Uniti: costituzione dei comandi di reggimento e di battaglione aventi in proprio fin dal tempo di pace, e in piccolo, personale e mezzi necessari per assumere con immediatezza le funzioni rispettivamente di comandi di raggruppamento e di gruppo tattico. Le difficoltà determinate dall'indisponibilità di personale e di mezzi non sarebbero state insuperabili ai fini dell'adozione di un provvedimento analogo, tanto più che i comandi di reggimento e di battaglione vennero a ragione ampliati fino a poter disporre, ciascuno, di un adeguato stato maggiore. 11 provvedimento, inoltre, avrebbe giovato in misura rilevante a garantire molto meglio l'addestramento, che in tempo di pace è la ragion d'essere dell'esercito, la cooperazione fanteria-artiglieria-genio, alla cui base sono la reciproca conoscenza dei comandanti, l'affiatamento tra comandanti e reparti, l 'assidua comunanza addestrativa, mezzi che rendono possibile e remunerativa la riunione rapida di forze diverse nel momento e nel punto voluti. La mancata regolamentazione specifica dell'impiego del reggimento di fanteria produsse effetti di disorientamento nei quadri e nelle scuole, a cominciare dalla scuola di guerra, per la contraddizione tra la dottrina, che nelle varie pubblicazioni ufficiali consolidava le funzioni tattiche già svolte in passato dal reggimento, anzi nell'azione difensiva in particolare le aumentava ed esaltava, e l 'inesistenza di un regolamento in cui esse venissero individualizzate, raccolte ed inquadrate in una visione d'insieme altrettanto chiara e particolareggiata di quella illustrata per i comandanti di divisione e di battaglione. La lacuna non verrà mai più colmata e ciò non sarà senza danno per la fanteria e per l'esercito tutt9, perché alla fine, quando il livello reggimento di fanteria verrà definitivamente soppresso e rimpiazzato dal livello brigata, trasferendo la Bandiera del reggimento al battaglione, si rinuncerà, forse senza volerlo, ad uno dei coefficienti più importanti dell'efficienza della fanteria. Quanto veniamo scrivendo non consente a nessuno d'includerci nel novero dei laudatores temporis acti e tanto meno dei nostalgici; ci sentiamo e crediamo di essere progressisti, come oggi si dice, e di fare parte delle avanguardie del pensiero militare, ma non possiamo trattenerci dal constatare che la brigata non è un raggruppamento tattico, in quanto non è una riunione occasionale di forze, ma un'unità organica pluriarma di tutto rispe tto, pur sempre però organica, e perciò non soddisfa quelle frequenti e normali modificazioni di aggruppamenti di forze, oggi spinti anche ai livelli minori
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delle unità di fanteria; nello stesso tempo il battaglione di fanteria, meccanizzato, autoportato od a piedi, non è un gruppo tattico, bensì un'unità organica suscettibile in combattimento di modificazioni e di adeguamenti in relazione alle varie necessità contingenti. Vi sono sempre stati - quakhe esempio si trova fin dalla guerra franco-tedesca del 1870-71 - veri e propri gruppi tattici ed oggi il problema si è esteso fino a raggiungere le unità inferiori al battaglione; la soluzione, sia pure forzatamente di compromesso, non va ricercata nel reggimento e nel battaglione, ma nel quadro più ampio che abbracci anche le divisioni e i corpi di armata, vale a dire in tutto il complesso ordinativo ed organico delle forze operative tattiche. Il corpo d'armata è di per sé un aggruppamento non organico delle forze; le altre unità, dalla divisione alla compagnia, sono complessi organici destinati nel combattimento moderno, nessuno e scluso, a costituire nello stesso tempo unità d'impiego od anche nuclei embrionali di aggregazione occasionale di forze plur iarma, quando non addirittura ai livelli maggiori di .complessi interforze del tipo task farce americana. Il comandante del reggimento di fanteria, secondo la circolare 2600, nell'attacco, qua le comandante di colonna, ha il compito di condurre un'azione prevalentemente unitaria a cavallo di una direzione unica, per la conquista di un obiettivo coincidente con quello di attacco della divisione o ravvicinato. La colonna opera, perciò, attraverso una successione di sforzi pe r tempi successivi e si articola in fronte e~ in profondità per cui il comandante del reggimento manovra. In difesa, il reggimento, di norma privo di riserva settoriale, costituisce solo elemento statico raggruppando più caposaldi, il cui comandante, appunto il comandante di reggimento, organizza la zona di sicurezza, armonizza lo schieramento dei campi minati e dei pezzi controcarri, coordina il fuoco di fanteria negli intervalli tra i caposaldi, definisce le necessità del fuoco di artiglieria a favore del gruppo di caposaldi, de lla zona di sicurezza e degli intervalli, assegna ai caposaldi i mezzi reggimentali o ricevuti in rinforzo, coordina, condotta durante, l'attività di pattuglie svolta dai presidi dei caposaldi e l'impiego dei mezzi di fuoco reggimentali, o avuti in rinforzo, tenuti direttamente alla mano. Egli, dunque, non manovra che il fuoco, quando gliene resta in mano, ma è gran parte dell'organizzazione della difesa, nel cui ambito il gruppo di caposaldi non è la somma aritmetica dei caposaldi che ne fanno par te, ma il prodotto di un complesso di questi ultimi legati da vincoli tattici e topografici, legati cioè dal fuoco delle armi
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reggimentali e dell'artiglieria, dalla sistemazione dell'ostacolo, dall'attività di pattugliamento e dall'azione della zona di sicurezza. La digressione sulla mancata pubblicazione della 2500 è valsa ad interrompere l'illustrazione della regolamentazione degli ultimi anni quaranta-primi anni cinquanta e ci ha consentito la messa a fuoco di una lacuna dottrinale che, seppure allora motivata, lo sarà assai meno nei periodi successivi, durante i quali continueranno a permanere dubbi ed incertezze sulla funzione tattica del livello reggimento di fanteria fino a quando questo verrà addirittura abolito, evertendo un ordinamento tradizionale delle unità di fanteria e sostituendolo con altro che non risolverà il problema di fondo di una ripartizione delle forze aderente alle esigenze contingenti del combattimento, in quanto la brigata, che non sarà brigata di sola _fanteria, è senza dubbio un'unità organica nel cui ambito più numerose sono le combinazioni tattiche pluriarma - e senza dubbio essa è in grado di garantire meglio l 'addestramento alla cooperazione interarma - ma che non risolve l'equazione essenziale, ed implica la rinui12ia definitiva, persino nella denominazione, ad un valore spirituale tradizionale che ha sempre amalgamato il combattimento della fanteria. È troppo semplicistico trasferire la Bandiera ed il nominativo del reggimento al battaglione e declassare il colonnello da comandante di reggimento a vice-comandante di brigata.
5. Nella seconda metà del 1950, oltre la riedizione aggiornata e perfezionata della circolare 3000 Organizzazione difensiva e la diramazione delle circolari 2400 Lineamenti d'impiego del battaglione di fanteria, 2600 Lineamenti d'impiego della divisione di fanteria, 1600 L'esplorazione, vide la luce la circolare 1700 Impiego del reggimento di cavalleria blindata 12 che sostituì ed abrogò l'omonima pubblicazione del 1949 13. La circolare 1700 s'inserisce nel quadro della 1600 e della 2600 ed è il risultato degli studi e degli esperimenti compiuti in due anni, sulle linee della circolare-guida 1400, per addivenire, attraverso tre formazioni sperimentali «A», «B» e «A modificata», ad una dottrina d'impiego e ad una soluzione organica del reggimento di cavalleria che meglio rispondessero alla nuova visione del combattimento. È la prima volta che lo stato maggiore dell'esercito elabora una pubblicazione ad hoc sull'impiego dei blindati, la cui
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attività non viene limitata all'esplorazione tattica terrestre, ma estesa a molti compiti offensivi, difensivi, di sicurezza e, tra gli altri, a quello della controguerriglia che qui trova uno sviluppo limitato agli aspetti d'interesse del r eggimento di cavalleria, ma che poco tempo dopo, nel febbraio del 1952, venne estesamente trattata nella circolare 3700 Norme per l'organizzazione e la condotta della cuntroguerriglia 14, un'altra pubblicazione di grande importanza che affronta, anche questa per la prima volta, la nuova forma particolare di lotta che l'esercito può essere costretto a svolgere per estirpare o reprimere la guerriglia che si manifesti nel territorio nazionale o in territorio straniero occupato. I primi reparti di cavalleria ricostituiti nel dopoguerra erano stati i gruppi esploranti divisionali (G.E.D.), il cui compito era, in pratica, quello dell'esplorazione tattica terrestre. Nella considerazione che tale compito, sebbene indispensabile ed importante, era tutto sommato poco ricorrente in un intero ciclo operativo, mentre era avvertita la necessità di un'unità mobile e duttile nell'ambito della divisione di fanteria, alla qua le non era stato possibile in quel periodo assegnare organicamente unità carriste, erano stati costituiti i primi reggimenti di cavalleria blindata, mediante i quali si era inteso creare unità capaci innanzitutto di svolgere compiti di combattimento, ferma restando la loro idoneità anche all'esplorazione. Da qui le tre già ricordate formazioni sperimentali - «A», «B », «A modificata» - fatte as-.;umere al 5° reggimento lancieri Novara (A), al 4° reggimento Genova cavalleria (B), al 2° reggimento Piemonte cavalleria (A modificata). Le formazioni «A» e «B» si differenziavano essenzialmente nei seguenti aspetti: la prima presentava una precostituzione fissa di gruppi misti nell'interno di alcuni squadroni (essenzialmente carri leggeri sposati con blindo) che rendeva il reggimento idoneo in modo spiccato all'esplorazione, ma non alle azioni in c ui erano necessari l'impiego di reparti omogenei e d una diversa dosatura dei gruppi misti; la seconda consisteva in squadroni omogenei e consentiva ampia elasticità d 'impiego, presentando, tra l'aJtro, il vantaggio dell'impiego riunito a massa dello squadrone carri leggeri. Dagli studi e dagli esperimenti lo stato maggiore trasse l'organico definitivo unificato che, dopo aggiunte e varianti minori, venne sanzionato nel 1954 15, ma che di fatto era entrato in vigore verso la fine del 1950. I criteri fondamentali seguiti nella definizione dei nuovi organici furono principalmente tre: creazione di uno strumento capace anzitutto di trovare impiego nel combattimento della divisione e, subordinata-
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mente, di svolgere attività esplorante (prevalenza di reparti autoportati, carri armati, armi controcarri, armi di accompagnamento); ricerca di flessibilità (formazione «B») mediante la costituzione di unità organiche capaci di consentire varietà di combinazioni e di assorbire rinforzi (omogeneità all'interno degli squadroni ed eterogeneità all'interno dei gruppi squadroni); dotazione di mezzi vari che consentisse elasticità di azione nell'esplorazione (riduzione del numero delle autoblindo e loro sostituzione con scout car, jeep e carri cingolati). Il nuovo reggimento non fu più un'unità esplorante, ma un'unità da combattimento che poteva fare anche l'esplorazione. La sua fisionomia bivalente e la sua nuova costituzione comando di reggimento (con organi di comando, pionieri, collegamenti), 2 gruppi squadroni uguali tra loro (aventi ciascuno un comando con· squa dra pionieri, 1 plotone blindo di 4 blindo, 2 plotoni carri da 37 di 8 carri, I plotone misto con squadre scout car e jeep, 1 squadrone autoportato su 3 plo toni autoportati, ciascuno su 2 squadre fucilieri con 2 fucili mitragliatori ognuna, 1 squadra armi leggere e 1 squadra mitraglieri su 2 armi); 1 gruppo squadroni su t squadrone carri leggeri M24 e 1 squadrone armi di accompagnamento su 2 plotoni mortai (3 armi ciascuno) e 2 plotoni controcarri - fecero del reggimento di cavalleria blindata un'entità tattica del tutto nuova e molto diversa dal p assato, dotata di un elemento di fuoco e di urto, rappresentato dai carri M24, e di due reparti in pratica di fanteria (I e II gruppo squadroni) provvisti organicamente in proprio di mezzi corazzati e blindati, in grado, nel complesso, di svolgere compiti ben più numerosi e complessi che nel passato. Poterono così essergli assegnati compiti di sicurezza (scaglione di sicurezza. avanguardia), compiti offensivi (occupazione preventiva di località, puntate offensive, collegamento tattico tra grandi unità intervallate, intervento nel combattimento come elemento di manovra, concorso al completamento del successo, azione antiparacadutisti e di controguerriglia), compiti difensivi (protezione del fianco esposto, protezione del ripiegamento, manovra ritardatrice) oltre naturalmente al compito di esplorazione. Ognuno degli elementi costitutivi del reggimento aveva in sé caratteristiche funzionali ben precise. Le unità autoblindo erano impiegabili lungo le rotabili nell'esplorazione, in puntate ed in azioni speciali; le unità scaut car o jeep con motociclisti nell'esplorazione su rotabili e laddove le condizioni stradali non consentissero l 'impiego delle autoblindo, nel raffittimento delle maglie esplorative con procedimento a spina, nella ripresa del contatto, nel collegamento tattico,
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nelle punte di avanguardia, come elementi avanzati nell'occupazione preventiva, nel pattugliamento riferito a situazioni statiche; le unità di carri armati leggeri nel superamento delle resistenze in genere, nell'attacco in cooperazione con gli autoportati, nell'intervento a massa nel combattimento; le unità autoportate, di massima rinforzate, nella sostituzione dei reparti blindati o corazzati, nell'occupazione di posizioni, nell'attacco di punti forti inaccessibili ai carri, nell'attacco in cooperazione con i carri, nella manovra, nel pattugliamento a piedi; le unità di accompagnamento nel sostegno alle unità autoportate o per decentramento o per, limitatamente ai mortai, intervento a massa mediante accentramento nelle mani dei comandanti di gr~ppo squadroni o, meno frequentemente, del comandante del reggimento; i cannoni controcarri nell'azione di arresto effettuata per decentramento dei pezzi; i pionieri nella posa e nella bonifica dei campi minati, nell 'attivazione d'interruzioni stradali già predisposte, nel riattamento di piccole interruzioni, nella costruzione di ostacoli, nella sistemazione di ponti, nell'adattamento di piste per aerei leggeri. I criteri generali d 'impiego del reggimento delineati nella 1700 sono: azione, di norma, alJe dipendenze dirette del comandante della divisione, senza escludere che nell'esplorazione tattica terrestre il reggimento possa dipendere dal comandante del corpo d'armata e, in casi particolari, possa essere raggruppato con altri reggimenti di cavalJeria blindat~ sotto un comando tattico superiore per compiti di manovra in proprio; azione unitaria, che eviti frazionamenti e sottrazione di elementi per rinforzare altri reparti della divisione, con l'eccezione delle unità carri leggeri che possono essere assegnate in rinforzo a unità di fanteria della divisione nell'attacco e nel contrattacco; affidamento dell'azione, solo quando il suo intervento sia necessario e redditizio, e immediato ritiro e sostituzione del reggimento - costoso, prezioso, di rapido logoramento - a compito compiuto, salvo il caso in cui il sacrificio del reggimento risponda alla superiore esigenza di salvare grandi unità; azione per forza viva e cioè di movimento, perché impiegato staticamente il reggimento perde gran parte della sua capacità operativa; azione generalmente diurna, ma anche notturna in particolari situazioni (occupazione preventiva, scaglione di sicurezza, protezione del ripiegamento); azione sempre supportata da un'alimentazione logistica costante, specialmente di carburanti e di munizioni. La circolare passa poi all'indicazione delle modalità di azione da seguire nell'espletamento dei vari compiti, a cominciare
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da quello dell'esplorazione tattica terrestre, mantenendosi a questo ultimo riguardo strettamente aderente alla circolare 1600 e precisando nei particolari il quadro generale dell'attività esplorativa a seconda che venga svolta a favore di una grande unità di fanteria a piedi, di una grande unità motorizzata o autotrasporata, o di una grande unità corazzata. Del dispositivo esplorante - schematicamente articolato in pattuglie esploranti, sostegni, grosso - vengono singolarmente esaminati il compito, la composizione, le distanze, lo sviluppo dell'azione dei vari elementi costituenti il dispositivo stesso e la cooperazione con l'aviazione. Quasi superfluo dire che, come nelle pubblicazioni della serie 2000, modalità di azione e ordini vengono rispettivamente delineati ed elencati minuziosamente, cosicché anche la circolare 1700 acquista la veste di un proprio e vero vademecum per i comandanti dei vari livelli delle unità di cavalleria. Non ci sembra necessario riassumere le modalità di azione e gli ordini, anche nella considerazione che abbiamo già dedicato mollo spazio alla esplorazione quando abbiamo illustrato la circolare 1600, mentre qualcosa è opportuno mettere in rilievo sul come la pubblicazione definisce l'azione del reggimento nello svolgimento degli altri compiti, trattazione che occupa la metà della circolare. Compito del reggimento, quando agisca come scaglione di sicurezza, è di rallentare al massimo l'avanzata del nemico e resistere ad oltranza per il tempo stabilito dal comandante della grande unità. Il reggimento, di massima rinforzato con pezzi controcarri ed eventualmente con artiglierie: si schiera su di una posizione tatticamente importante, antistante la posizione difensiva della grande unità e da questa distante in ragione della situazione e del terreno fino ad alcune decine di chilometri; si articola in settori di gruppo di squadroni nel senso della fronte e si scagliona in tre aliquote nel senso della profondità (una per la ricerca del contatto spinta quanto più avanti è possibile, una per la difesa statica della posizione, una per l'azione di movimento). Le forze che ricercano il contatto sono costituite da pattuglie (coppie di mezzi blindati con motociclisti o jeep), lanciate lungo gli itinerari principali, che, a differenza di quanto normalmente avviene in sede di esplorazione tattica, svolgono un'attività offensiva e improntata ad aggressività; esse tendono ad ottenere la superiorità morale, sugli elementi nemici avanzanti, con un'azione vivace ed insis tente di fuoco e di movimento; incontrato l'avversario ed investitolo con il fuoco, sfruttano la mobilità sottraendosi a11a re azione e utilizzano, quando
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il terreno lo consenta, nuove direzioni, spostando continuamente i mezzi blindati per azioni di fuoco intermittenti ed improvvise e per minacciare con il movimento il fianco ed il tergo dei primi elementi nemici; preso il contatto, possono, se conveniente, scindersi in due nuclei o per agire contemporaneamente sul nemico da direzioni diverse oppure uno per sviluppare sulle rotabili compiti di agguato, l' altro per effettuare l'azione mobile; informano costantemente i comandi di settore che li hanno distaccati evitando il combattimento ravvicinato: la loro distanza dal grosso è in relazione alla portata della radio; ripiegano, coprendosi con annebbiamenti, reiterando agguati e azioni di fuoco. La difesa statica delle posizioni è basata: sulla costituzione di posti di sbarramento sui principali nodi di comunicazione o sulle rotabili di maggiore importanza; sullo schieramento dei reparti autoportati rinforzati sul tratto o sui tratti d'importanza vitale; su di una riserva mobile, riunita od articolata scttorialmente, costituita da unità organiche di carri. L'azione delle truppe schierate sulla posizione prescelta: si sviluppa mediante il fuoco delle armi portatili e dell'eventuale artiglieria alle maggiori distanze e dei mezzi controc arri di sorpresa; utilizza i mezzi di a rresto ed i nebbiogeni e può essere sostenuta dall'eventuale aus ilio dell'aviazione; continua in posto fino a che non siano scaduti i termini di tempo prestabiliti. Le unità carri, qualora l'avversario riesca a penetrare nello schieramento del reggimento, si lanciano al contrattacco a massa ed a volte, in particolari condizioni in cui il nemico sia duramente provato e sia possibile realizzare la completa sorpresa, eseguono una uscita in tempo contro il nemico arrestato davanti alle posizioni. Trascorso il tempo prefissato, il reggimento: se non a contatto con il nemico, ripiega dapprima gli elementi più avanzati e quindi raggiunge in un solo balzo lo schieramento della grande unità proteggendosi in coda con carri, controcarri, pattuglie leggere di sco ut-car o jeep; se impegnato dall'avversario, cerca di alleggerirne la pressione impiegando i carri ed inizia il ripiegamento dagli elementi più arretrati o dai reparti autoportati; rientrato nello schieramento della grande unità, raggiunge la zona di raccolta. Il ripiegamento avviene lungo gli itinerari preventivamente designati e, pur potendo risultare articolato settorialmente per gruppo squadroni, è sempre ordinato, re golato e diretto con visione unitaria dal comandante del reggimento. Nel compito di avanguardia il reggimento, di norma rinforzato con pezzi controcarri: provvede all'esplorazione ravvicinata in proprio distaccando pattuglie con compiti informativi a suo diretto vantaggio ad una
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distanza non superiore alla portata delle radio (15 km); si articola in: punte di avanguardia che hanno il compito di arrestare gli elementi nemici in movimento e che sono costituite, ciascuna, da una squadra scout car o jeep o da un plotone autoportato, sempre dotate di armi controcarri; testa di avanguardia che ha il compito di sopraffare gli elementi nemici arrestati dalle punte e che è costituita da unità autoportate (non più di uno squadrone) rinforzate da pezzi controcarri, da pionieri e da mezzi blindati assegnati dalla grande unità; grosso di avanguardia che ha il compito di agire di forza e a massa contro la resistenza nemica più pericolosa e che è costituito da unità carri e dal resto del reggimento. Le distanze: tra coda e testa dei vari elementi dell'avanguardia (pattuglie escluse) intorno ai 10'; tra coda del grosso e testa della colonna della grande unità intorno ai 20', fatte salve le esigenze di distanze minori in zone dove è presente la guerriglia. Il reggimento: può muovere o con movimento continuo, sincrono a quello della grande unità, o ad ampi sbalzi tendenti all'occupazione preventiva di località idonee alla protezione del movimento delle colonne dell a grande unità; pone termine alla sua azione con il raggiungimento di posizioni tenute da altre grandi unità, o con l'occupazione, in seguito o non di combattimenti preliminari, di una posiziont: <.:he costituisca base di partenza per l'attacco della grande unità a piedi, o con la occupazione di una posizione a protezione della grande unità motorizzata, autotrasportata, corazzata in crisi di scarico. In questo ultimo caso, il reggimento si comporta in modo analogo a quello previsto per lo scaglione di sicurezza (schieramento su di una posizione difensiva predesignata). La distanza della posizione occupata dal reggimento dalla zona di scarico divisionale non è, di solito, inferiore ai 15+20 km. L'occupazione preventiva di località si concreta in due esigenze: raggiungere le posizioni nel minor tempo possibile (rapidità di movimento nel rispetto della sicurezza); mantenere l'occupazione contro la pressione avversaria (rinforzo di pezzi controcarri, di fanteria autoportata, artiglieria). Essa si sviluppa in tre fasi: movimento, occupazione, consolidamento. Nella prima, il reggimento: ha il compito di svolgere esplorazione sommaria sull'asse o sugli assi di movimento e d'imbastire un primo sommario schieramento sulla posizione utilizzando, sul davanti di questa, plotoni autoblindo e plotoni scout car, non a distanza superiore della portata della radio di bordo. Il grosso del reggimento, inquadrato per reparti organici, ben protetto da mis ure di s icurezza in testa
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e in coda, snodato in relazione all'articolazione per colonne della grande unità, procede alla massima velocità di marcia consentita dall'elemento più lento. La seconda fase si sviluppa in due tempi, nel primo dei quali le forze avanzate, raggiunto l'obiettivo, ne presidiano i punti più importanti e spingono sul davanti a breve raggio elementi blindati a scopo di osservazione e di sicurezza; nel secondo, appena il grosso raggiunge la posizione, schiera i reparti autoportati e i pezzi controcarri in sostituzione dei plotoni autoblindo. La terza fase serve a perfezionare lo schieramento organizzando la difesa in modo analogo a quanto previsto per lo scaglione di sicurezza. L'occupazione preventiva di località può avvenire senza avere incontrato il contrasto del nemico ovvero dopo aver dovuto eliminare elementi nemici ricorrendo ad un'azione di arresto frontale combinata con un'azione di movimento che tenda ad incapsularli. Qualora la posizione da raggiungere sia già occupata dal nemico, il reggimento deve impegnare il combattimento per impadronirsene, a meno che l'avversario non sia già saldamente organizzato. Il combattimento si sviluppa anche questa volta mediante un' azione manovrata di carri e di autoportati operanti lungo direzioni diverse, ma convergenti. Qualora il reggimento sia attaccato dall'avversario in forze sulla posizione raggiunta ed occupata in precedenza senza resistenza nemica, logora e rallenta l'avanzata avversaria dalle maggiori distanze e successivamente resiste in posto ad oltranza. Le puntate offensive - azioni tendenti a perturbare un equilibrio locale e che hanno effetto soprattutto sul morale - sono frequenti nella rottura del contatto e nell'inseguimento, ma anche nelle situazioni stabilizzate nelle quali acquistano maggiore complessità . Le puntate offensive presuppongono sorpresa, grande volume di fuoco, mobilità e spesso esigono l' impiego frazionato delle unità in deroga al criterio generale dell'impiego unitario del reggimento. Gli elementi da impiegare sono di solito costituiti dai reparti carri rinforzati da mortai su cingoli ed eventualmente da semoventi, e, in condizioni favorevoli di terreno, anche da reparti autoblindo, mentre inadatti appaiono i reparti autoportati, a meno che non dispongano di mezzi cingolati o semicingolati protetti. Una puntata offensiva si concreta: nell'avvicinamento all'avversario per la via più defilata e coperta oppure in particolari condizioni di luce (alba o tramonto); nell'apertura violenta ed improvvisa del fuoco davanti o su di un fianco dello schieramento nemico; nella penetrazione rapida e decisa in profondità per sconvolgere, colpire, distruggere reparti, comandi, mezzi, attrezzature logistiche: nel
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rapido disimpegno allorché la reazione avversaria cominci a farsi pericolosa. Di particolare efficacia sono le puntate su strada contro colonne nemiche in movimento, purché ben preparate e studiate. Scopo dell'azione di collegamento tattico tra grandi unità intervallate è di controllare e dominare, con il movimento, ampi intervalli esistenti tra grandi unità contigue. L'azione si concreta in un atto offensivo, in quanto al reggimento viene assegnato un obiettivo a seconda che si tratti di controllare uno spazio vuoto, di prevenire o rigettare un'infiltrazione, di distrarre forze nemiche dal combattimento principale. Il reggimento: si fa precedere da pattuglie leggere con il compito di osservazione e di presa di contatto; segue con il grosso articolato per reparti organici con i mezzi corazzati e blindati in riserva; quando incontra il nemico, o mentre è in movimento, o sull'obiettivo, agisce con un'azione manovrata - i reparti autoportati costituiscono veli di fuoco che impegnano il nemico frontalmente, mentre i carri portandosi su di un fianco e partendo da uno schieramento ampio attaccano convergendo sull'obiettivo -; qualora urti contro resistenze dure, non insiste nell'azione, ma si sgancia tempestivamente per reiterare l'attacco_su di un altro punto del settore; contrattaccato in forze, evita di farsi impegnare al punto da rimanere fortemente agganciato, ma agendo con il fuoco di arresto e con reazioni di movimento (carri), ripiega lentamente mantenendo il contatto e cedendo il minor spazio possibile. L'intervento nel combattimento come elemento di manovra ha sempre carattere offensivo, qualunque sia l'atteggiamento della grande unità. Il successo di tale intervento, al quale il reggimento è particolarmente idoneo quale unità organica della divisione, proporzionalmente meglio dotata di potenza e di mobilità è in funzione della sorpresa, dell'irruenza, dell'appoggio di fuoco, nonché dell'organizzazione preventiva. Le modalità di azione sono simili a quelle di un normale attacco di due battaglioni variamente rinforzati da mezzi corazzati: conquista di un obiettivo lungo una direzione di attacco o di contrattacco. In linea di massima, e quando possibile, l'azione può essere sviluppata da due colonne di gruppo squadroni muoventi dalla stessa base di partenza lungo due direzioni parallele oppure da basi di partenza diverse lungo due direzioni convergenti sull 'obiettivo. La composizione delle due colonne varia in funzione del concetto di azione, spesso condizionato dalla disponibilità di spazio e di terreno: in settore ristretto, contro un obiettivo dalle caratteristiche topografiche e dalla densità dello schieramento nemico uniformi. l'unità organica
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dei gruppi squadroni può essere rispettata e le colonne avere composizione pressoché uguale; in un settore ampio e contro un obiettivo che presenti un tratto specificamente determinante, la colonna dello sforzo principale può comprendere carri e autoportati a piedi, mentre l'altra colonna può comprendere solo autoportati a piedi. La cooperazione tra carri e autoportati appiedati ricalca le linee delle circolari 2300 e 2400. Nel concorso al completamento del successo - che altro non è che un aspetto particolare del caso precedente e che è possibile solo se l'ampiezza della breccia consenta il deflusso in avanti senza offese da parte dei mezzi controcarri dei caposaldi nemici superstiti - la situazione nella quale il reggimento agisce è caratterizzata dalla ristrettezza del settore, dalla profondità dell'obiettivo, dal fatto che l'avversario è scosso, dall'improbabilità dell'esistenza di campi minati, dallo sconvolgimento del terreno d'attraversare. Le modalità di azione sono perciò sostanzialmente diverse dal caso dell'attacco e del contrattacco. Il reggimenlu assume uno scaglionamento profondo e combatte per linea, con scaglioni composti da reparti omogenei, lungo una sola direzione: in primo scaglione sono, di massima, i carri; in secondo scaglione e nei successivi gli autoportati, rinforzati dalle armi dello squadrone armi di accompagnamento, ed a distanza le autoblinde e gli scout car. L'azione è appoggiata da tutte le artiglierie divisionali ed accompagnata dal fuoco deUe armi dei battaglioni di fanteria in posto. È il primo scaglione che deve raggiungere l'obiettivo prefissato; se la sua avanzata è arrestata, lo scaglione successivo scavalca quello avanzato e prosegue, mentre il primo ne favorisce la progressione con il fuoco. L'occupazione dell'obiettivo può aprire la strada per raggiungere rotabili e nodi di comunicazione ed è questo il momento dell'impiego delle autoblinde, degli scout car e degli autoportati nella esecuzione di puntate offensive e nell'occupazione dei nodi stradali, senza peraltro uscire d a l quadro dell'azione divisionale e lasciarsi attrarre dai possibili facili successi, disperdendo e diluendo le forze. Diverse le modalità di azione nel caso che il reggimento appartenga ad una divisione motorizzata e questa dia successivamente inizio all'inseguimento. In tale circostanza, il reggimento partecipa all'azione come unità di testa della grande unità ed assume il dispositivo caratteristico dell'esplorazione tattica, con una maggiore forza di penetrazione in punta e con distanze raccorciate rispetto a quelle normali. L'azione, improntata a d aggressività, si svolge lungo i principali assi stradali e consis te nel superamento delle resistenze
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minori, nell'aggiramento di quelle più consistenti, nell'attacco sul fianco delle unità nemiche in crisi e nel raggiungimento rapido dei punti di obbligato passaggio della ritirata nemica. L'azione antiparacadutisti si sviluppa con modalità diverse a seconda che si tratti di reagire contro aviotruppe che intendano occupare e mantenere una testa di sbarco aereo o contro nuclei paracadutisti con compiti informativi o di sabotaggio. Nel secondo caso, si ha un'azione di rastrellamento analoga a quella della controguerriglia; nel primo si ha, invece, un vero e proprio attacco contro un obiettivo ben definito ed esso è caratterizzato da rapidità d 'i ntervento, la quale ne costituisce l'elemento preminente. Pattuglie blindate o corazzate precedono il grosso con il compito di raggiungere la zona dell'aviosbarco, di delimitare il terreno occupato dal nemico, di attaccarne direttamente i nuclei avanzati. Il grosso, articolato in gruppi squadroni, segue a breve distan za e, giunto nella zona dell'aviosbarco, attacca puntando all'occupazione di uno o due lati pe rimetrali della zona stessa. Il suo compito è di raggiungere e mantenere posizioni dalle quali sia possibilte interdire con il fuoco i terreni idonei all'atterraggio de i paracadutisti e le piste utilizzabili dagli alianti e dagli aerei da trasporto. l 'a zione di controguerriglia e quella contro nuclei di paracadutisti aventi compiti informativi o di sabotaggio si sviluppa, di massima, in due fasi: isolamento della zona, rastrellamento. L'isolamento è realizzato con la costituzione di posti di blocco e con la organizzazione del pattugliamento di elementi motorizzati; il rastrellamento è proprio dei reparti autoportati (su mezzi o a piedi) non inferiori al plotone rinforzato da mezzi blindati o corazzati. La zona da rastrellare è suddivisa in settori di gruppo squadroni, in ciascuno dei quali i reparti muovono eseguendo il rastrellamento e convergendo verso la parte centrale della zona o verso una prefissatà linea di ostacolo. La riserva può essere unica oppure si possono avere riserve settoria li. Una volta agganciato il nemico - che è mobilissimo, fluido, abile e che, disperdendosi in tempo, evita di farsi agganciare in combattimenti ravvicinati - occorre ottenere subito la superiorità di fuoco e manovrare per ingabbiare l'avversario, evitando c he si sottragga al contatto e sfugga. De i compiti difensivi, la protezione del fianco esposto, durante il movimento (divisione d'ala) o in una s ituazione stabilizzata (fianco dell'area difesa), è un'operazione particolare, non molto frequente, che si sviluppa con modalità del tutto diverse nei due casi. Nella protezione di un fianco esposto in movimento, il
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reggimento svolge un'azione di fiancheggiamento, muovendo su di un itinerario esterno e parallelo alla direzione di movimento della divisione, facendosi precedere da pochi elementi in esplorazione ravvicinata (pattuglie di scout caro jeep o autoblindo con motociclisti) e da robusti elementi di sicurezza (plotoni autoportati rinforzati), muoventi con moto continuo in armonia all'avanzata del resto del reggimento od a sbalzi per l'occupazione di successive località. Nei momenti di sosta, occorre inviare pattuglie a spina sui principali itinerari di afflusso ed in caso di attacco avversario il reggimento, mediante il fuoco di arresto (controcarri e autoportati), tende a fermare il nemico per evi tare che questi riesca a portare di sorpresa l'offesa sul fianco della divisione in movimento e per dare a questa il tempo per le necessarie misure da attuare. Nel caso di situazione stabilizzata, la costituzione del fianco difensivo comporta: l'organizzazione a difesa su posizioni prescelte degli squadroni autoportati, dei reparti scout car e jeep appiedati e dei cannoni controcarri e lo schieramento di campi minati su di una fronte che può raggiungere i 3 chilometri di ampiezza; il mantenimento in riserva delle unità carri e delle autoblindo, di massima, verso l'ala esterna dello schieramento oppure al centro nel caso che la difesa si appoggi ad un'antistante linea di ostacolo, specie se fluviale; lo sviluppo di un contrattacco che tenda ad arrestare l'avanzata nemica frontalmente ed a coglierla sul fianco con la riserva corazzata. Anche per la protezione del ripiegamento vanno distinti due casi: resistenza in posto ad oltranza, azione ritardatrice su posizioni successive. Il primo caso, eccezionale ed estremo, nel quale il reggimento è solo con le sue forze, comporta l'azione di fuoco dei reparti autoportati e delle armi controcarri e le reazioni di movimento di quelli blindati e corazzati che si proiettano d'impeto e ripetutamente su fianchi del nemico avanzante tentando di spezzarne l'urto. Il secondo caso, che è il normale, prevede l'impostazione di una classica manovra ritardatrice: resistenze temporanee su posizioni successive ad opera di scaglioni di forze, alternantesi nelle resistenze e nel ripiegamento. Il reggimento, rinforzato da artiglierie, da pezzi controcarri, da elementi del genio ed appoggiato dall'aviazione, si schiera inizialmente su posizioni arretrate rispetto a quelle sulle quali il combattimento sta sviluppandosi ed agisce per gruppi di forze misti analoghi (autoportati, controcarri, blindati, corazzati) sì che sia possibile effettuare una serie di sbalzi retrogradi da posizione a posizione, a cavallo delle principali rotabili. Nel caso di un unico itinerario di ripiegamento
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i gruppi di forze misti corrispondono a due gruppi squadroni identicamente rinforzati; nel caso di due itinerari, su ciascuno agisce un gruppo squadroni che provvede a costituire con le proprie forze due gruppi misti eguali. I reparti carri possono essere decentrati ai gruppi di forze oppure essere mantenuti, anche soltanto in parte, nelle mani del comandante del reggimento. Lungo ciascun itine rario il gruppo di forze più ad immediato contatto con il nemico: attiva le eventuali interruzioni predisposte, crea speditivamente tratti minati sulla rotabile e nelle immediate vicinanze, svolge azione di fuoco alla massima distanza efficace, reagisce con i mezzi blindati o corazzati contro il nemico che riesca ad avanzare o che tenti un aggiramento, resiste comunque in posto pe r la durata stabilita, si sgancia dal contatto e si protegge in coda con controcarri e mezzi blindati, oltrepassa le posizioni già guarnite del retrostante gruppo di forze e va a schierarsi s u quelle successive a esso assegnate. L'eventuale riserva corazzata del reggimento può essere impiegata p er tre scopi: sostenere il gruppo di forze più impegnato, imporre un tempo di arresto all'avversario che travolga un gruppo di forze, opporsi ad unità nemiche che aggirino al largo il dispositivo. La manovra ritardatrice esige il non plus ultra dell'abilità manovriera del reggimento. Questo, raggruppato con altri reggimenti di cavalleria blindata, rinforzati nel loro complesso da fanteria autoportata, artiglierie e reparti del genio, agisce sotto un superiore comando tattico e sviluppa la sua azione sotto varie forme, da quella classica, condotta da due o tre scaglioni alternan.tisi nella resistenza su posizioni successive, a quella ispirata a criteri prevalen tem ente offensivi. È in questa ultima che appaiono particolarmente efficaci e redditizi la riunione e l 'impiego di più reggimenti di cavalleria blindata. L'attuazione di tale particolare forma di manovra ritardatrice comporta: la costituzione di distaccamenti di frenaggio (robusti complessi di controcarri, pionieri, autoportati, elementi per il pattugliamento vicino) sulle principali vie di comunicazione per l'azione di arresto; la costituzione di perni di manovra e l'occupazione di basi di partenza per i contrattacchi; la riunione di masse di manovra consistenti (mezzi corazzati, blindati e reparti autoportati) in località coperte ed eccentriche rispetto agli assi di avanzata nemici. I distaccamenti di frenaggio tendono ad imporre tempi di arresto; le masse di manovra, con azione singola o combinata e convergente, si lanciano sui fianchi del nemico di sorpresa per colpirlo nel momento e nelle condizioni di situazione e di terreno per lui più difficili. Durante il contrattacco delle forze
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di manovra, i distaccamenti di frenaggio si disimpegnano ed occupano posizioni successive dalle quali reiterare l'azione. Le masse di manovra, raggiunti gli scopi della loro azione (sconvolgimento del dispositivo, dello schieramento e della progressione del nemico), si disimpegnano a loro volta e raggiungono una nuova zona ponendosi in condizioni d 'intervenire nuovamente. L'impiego del reggimento nell'area difesa, il problema della sicurezza in stazione (autosicurezza) e l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi trattati negli ultimi paragrafi della 1700 non richiedono un'illustrazione particolareggiata, in quanto valgono per essi i criteri e le modalità (costituzione di posti di sbarramento, pattugliamento, provvedimenti di protezione dei mezzi, ecc.) già messi in luce nell'esaminare i vari compiti del reggimento nel combattimento. Circa i servizi occorre mettere in rilievo che se il loro funzionamento è conditio sine qua non, per tutte le unità, dalla squadra all'armata, al fine del su ccesso, per il reggimento di cavalleria è l 'elemento che quasi più di ogni altro ne determina il
rendimento. Spetta al comando della divisione di liberare durante L'impiego da ogni preoccupazione nei ri guardi dei rifornimenti e degli sgomberi il reggimento, mentre rientra nelle responsabilità di questo ultimo organizzare e far funzionare ne ll 'interno un'attività logistica elastica e duttile che, oltre i rifornimenti essenziali di carburanti e di munizioni, assicuri la manutenzione dei mezzi, le riparazioni, la sostituzione ed il reintegro dei mezzi guasti e distrutti. Che cosa dire della 1700 e del suo contenuto a conclusione della disamina che ne abbiamo fatto? La circolare fu uno dei documenti fondamentali della ricostruzione dottrinale operata in quegli anni. Essa affrontò problemi nuovi in maniera analitica e propose soluzioni che, p erduto ciò che avevano di contingente e di accessorio, conservano tuttora valore assoluto. Al quadro d'insieme del combattimento della cavalleria venne conferita una colorazione accesa, variegata e vivace in un fo ndo spiccatamente unitario, riferito sia alle azioni a grande respiro (esplorazione, collegamento tattico, manovra ritardatrice), sia a quelle sviluppate in settori ristretti (completamento del successo, contrattacco). La molteplicità e la varietà dei compiti affidati al reggimento di cavalleria blindata, taluni con larghi spazi all'iniziativa dei vari comandanti, talaltri inquadrati in movimenti ed in azioni o reazioni strettamente coordinati, dettero la misura del nuovo indirizzo dottrinale dello stato maggiore dell'esercito, un indirizzo unico,
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valido per tutte le armi ed ancora più per i corazzati ed i blindati, basato a tutti i livelli, ovviamente in misura proporzionata a ciascuno, sulla manovra. La 1700 confermò che tattica, tecnica d'impiego e addestramento andavano visti e configurati non solo con piena aderenza al combattimento della seconda guerra mondiale, ma con sguardo rivolto al futuro, dove l'adattabilità mentale dei quadri, e non solo di questi, alle svariatissime situazioni e forme di lotta diventava mezzo di successo prima e più della stessa potenza del fuoco e dell'elevato grado di mobilità. Diversamente da quanto si poteva essere indotti a credere dalla presenza d ei nuovi armamenti e dei nuovi mezzi tecnici disponibili, il combattimento poteva essere coronato dal successo solo se sostenuto da llo spirito, dalla capaci tà professionale, frutto di una preparazio ne c ulturale e tecnica intensa a pprofondita aggiornata proiettata in avanti, dall'elevato g rado di addestramento delle unità nell 'adempimento dei vari compiti e dalla duttilità dei loro procedimenti e delle loro formazioni. Si coglie nella 1700, com e del resto nelle pubblicazioni della serie 2000, in quelle riguardanti l'impiego d ei corazzati ed in tutte le altr e, una forma mentis nuova ed univoca, che se da un lato semb ra chiedere l'applicazione integrale ed ortodossa di criteri e di modalità <li azione piuttosto rigidi, dall'altro lascia la porta a pe rta ad ogni agilità applicativa e ad ogni vivacità esecutiva. La 1700, in particolare, fonde in un tutto armonico ed uni tario scienza ed arte milita re, ripe tendo ad ogni pie' sospinto che le linee diretti ve in essa contenute diventano redditizie e brillanti solo quando l'iniziativa dei quadr i e dei singoli - cioè l'atto creativo - sa adatta rle a lla mutevole realtà del momento . Le critich e c he vennero mosse a lla pubblic azione circa la troppa esten sione data all'esplorazione, quasi contraddicendo il concetto della non prevalen za d 'importanza di un compito rispetto a d un altro, la troppo nume rosa casistica esaminata e la minuziosità de i procedimenti indicati, sebbene in una qualche misu ra fondate, furono soprattutto mosse dal fatto che le nuove idee impo nevano la rinuncia a tanti convincimenti ed esperienze persona li - i primi profondamente radicati nelle menti, le seconde vissute di recente che andavano viceversa ribaltati e dimenticati. Nella 1700 l'organizzazione faceva premio s ull'intuitività, la cura de l particolare sull'approssimazione, la minuziosità degli ordini s ull 'indeterminatezza, fattori che incontravano resistenza e facevano fatica a sovrapporsi al subs trato spirituale e m entale d ' impeto o di a udacia che
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aveva caratterizzato in passato il combattimento della cavalleria, un bene che non andava messo da parte e tanto meno sottovalutato - i richiami alle belle e generose tradizioni dell'arma sono costanti nella 1700 - e che andava anzi arricchito e fatto meglio fruttificare, ma al quale doveva sommarsi un modo di pensare e di agire che, pur non soffocando lo slancio e la fermezza morale, doveva tenere conto che il cavallo, la lancia, il moschetto erano stati sostituiti dal mezzo meccanizzato e dal cannone e da un'infinità di altre armi e materiali che rendevano il combattimento della cavalleria ben diverso dalla semplicità del passato. La 1700, ridotta all'essenza, indica quasi sempre un unico schema di manovra - un'aliquota del reggimento che fa fuoco di arresto ed un'altra che agisce o reagisce muovendosi e ciò vale entro una certa misura per tutti i livelli - ma tale schema generico di manovra, facilmente individuabile sul piano della teoria, va applicato in forma e misura assai diverse nelle varie situazioni ed a i vari livelli. Il reggimento di cavalleria non è più una unità creata soprattutto in funzione de ll'esplorazione, ma per una varietà di compiti, ness uno più importante degli altri, che ne fanno nell'ambito della divisione uno strumento di grande mobilità e manovrabilità, a l quale spesso viene richiesta persino la resistenza temporanea o ad oltranza. Così com'era strutturato e ordinato era idoneo a tutti i compiti che la circolare prevedeva? La risposta può essere affermativa, avuto riguardo alla grande varietà di combinazioni tattico-ordinative alJe quali il reggimento poteva dare luogo, potendo essere impiegato sia nella sua formazione organica, sia in aggruppamenti vari di forze. Esso era proporzionato come peso al peso della divisione, ma costituiva al livello divisionale un lusso non a lungo sostenibile. L'impiego di un'unità così altamente manovriera spazia oltre i limiti della tattica della divisione di fanteria e la stessa 1700 ne prefigura l'impiego nell'esplorazione e nella manovra ritardatrice nel quadro più ampio del corpo d 'armata. Resta comunque il fatto che l'unità, in relazione all'armamento ed ai mezzi allora disponibili, rappresentava quanto di meglio si potesse fare in materia di armonico dosaggio di potenza di fuoco e di mobilità in un rapporto tra mezzi e uomini il più elevato possibile. Resta altresì il fatto che la 1700 era un doc umento modernissimo, completo e conclusivo che dava del combattimento del futuro un'immagine veritiera e realistica, già più avanzata rispetto a quella tracciata dalla circolare 2600.
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6. Di pari passo con lo sviluppo della regolamentazione d'impiego e di tecnica d'impiego della fanteria e della cavalleria procedé quello della regolamentazione tattica e tecnica dell'artiglieria, i cui criteri e procedimenti fondamentali venivano d'altra parte a mano a mano fissati e indicati nella stessa regolamentazione delle unità di fanteria a piedi, motorizzate e corazzate. Il 24 luglio 1948 vide la luce la circolare 5000/Reg - Generalità sull'impiego dell'artiglieria da campagna e pesante campale 16 - dalla quale ebbero origine le varie pubblicazioni successive elaborate in quegli anni dall'ispettorato dell'arma sull'impiego tattico e tecnico delle diverse specialità. La circolare 5000 intese ribadire, ricordare, definire ed aggiornare - per renderle aderenti ai te mpi nuovi e per realizzare nel campo dottrinale e addestrativo unità di indirizzo e di linguaggio - le norme contenute nel regolamento sull'impiego dell'artiglieria edito nel 1939. Essa fece riferimento alle specialità da campagna e pesante campale distiguendo cioè i tipi in quelli di stretta aderenza con gli atti del combattimento delle truppe che attaccano o si difendono, da quelli che pur eseguiti pe r concorrere all'azione delle fanterie - intese queslt! ultime in senso lato e cioè unità di qualsiasi arma a favore della quale l'artiglieria è chiamata ad agire - abbiano un legame e d una dipendenza meno stretti con tale azione. Il fuoco dell 'artigli eria viene perciò esaminato nel campo della cooperazione tra le armi ed in quello del coordinamento delle azioni. Vengono presi a base il grupo da campagna in quel momento costituito di due batterie di 4 pezzi ciascuna ed il reggimento da campagna di due o tre gruppi armati con lo s tesso mat.eriale. La distinzione tra coordinamento e cooperazione, considerata fondamentale, comporta di per sé un diverso rilievo delle esigenze tattiche o di que lle tecniche e conseguentemente una diversità dei criteri d'impiego e soprattutto di preparazione e di organizzazione del fuoco. Nel quadro del fuoco di cooperazione, l'artiglieria deve tendere a dominare l'avversario in modo da impedirgli l'efficace u so delle armi e da paralizzarne i movimenti e la fanteria deve saper sfruttare tempestivamente lo stato d 'inferiorità del nemico per raggiungere il suo scopo. La cooperazione è frutto di unicità di criteri di addestramento congiunto, di intese preventive tra i comandanti di artiglieria e di fanteria, di orientamento di aliquote di artiglieria (di norma reggimento) ad agire a favore di determina-
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te unità d i fanteria di primo scaglione. Nelle aliquote orientate i com a ndanti di gruppo si affiancano ai comandanti di battaglione di primo scaglione per dirigere il fuoco dei rispettivi gruppi, per richieder e il fuoco de l proprio reggimento e d eventualmente per richiedere il fuoco delle unità superiori; i comandanti di batteria hanno il compito dell'osservazione avanzata per fornire i maggiori elementi circa le necessità della fanteria, determinare gli obiettivi, dirigere gli aggiusta menti. L'osservazione a maggior raggio - c he compete ai comandanti degli a ltri gruppi e batterie, agli osservatori dei comandanti di reggimento ed agli osservatori della grande unità, ai velivoli - deve, invece, fornire gli elementi necessari alla manovra del fuoco a massa. Da qui il ricorso a l d ecentramento solo nei casi di assoluta necessità, perché le unità decentrate vengono in pratica sottratte alla manovra del fuoco. Il fuoco è tempestivo, efficace , meno dispendioso in pezzi ed in munizioni quanto migliore è la preparazione del tiro a i vari livelli. La preparazione pe r l'azione immediata è que lla c he le batterie devono compiere per la pronta entrata in azio ne contro obiettivi sui qua li è possibile regolare il tiro in .base a ll'osservazione e comprende le disposizioni d ei com andi di gruppo pe r indicare gli o bie ttivi, coordinare le azioni di fuoco e disciplina r e gli inler·ven ti. La preparazione di gruppo è l' insieme delle operazioni che il gruppo e le batterie devono compiere perché il gruppo possa utilizzare l'aggiustamento di una batte ria pe r l'intervento rapido di tullo il fuoco del reggimento. La preparazione per la manovra del fuoco è l' insieme delle operazioni che i coma ndi di a rtiglieria devono compiere per intervenire con tiri di efficacia di uno o più gruppi, senza preventivo aggi u stamen to, sugli obiettivi da b a tte re. Per assicurare la m aggiore pron tezza <l' intervento al livello di gruppo, occorre dare al gruppo stesso uno schieramento raccolto e attuare l'osservazione avanzata in collegamento con l'unità di fanteria con la quale si coopera, mentre pe r conseguire la m aggiore rapidità nell'assumere lo schieramento e nell 'organi zzare il tiro è necessario ripartire i compiti tra comandante di gruppo (ricognizioni, impianto degli osse rvatori, intese con il comandante di fanteria, disciplina de l fuoco, richieste di fuoco a lle unità supe riori, osse rvazione <le i tiro), vice comandante di gruppo (organizzazione e disciplina di marcia e direzione del servizio rifornimenti), comandante di batteria (imp ianto e funzionamento dell'osservatorio, eventuale osservazione avanzata in co llegamento con la fanteria, o rdini d 'interve nto alla propria batteri;:i e richieste di fuoco a lle unità supe rio ri, condotta
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del fuoco e osservazione del tiro), ufficiale al tiro di gruppo (ripartizione della zona di schieramento tra le batterie, preparazione topografica e balistica, organizzazione dei collegamenti, documenti di tiro delle batterie, organizzazione tecnica degli interventi. controllo dei dati di tiro delle batterie, difesa vicina, registrazione degli obiettivi), l'ufficiale aiutante dell'ufficiale al tiro di gruppo (collaborazione con l'ufficiale al tiro di gruppo nei compiti del posto di comando, impianto del posto comando e della centrale dei collegamenti, impianto ed aggiornamento della carta informazioni), sottocomandante di batteria (ricognizione e schieramento della batteria, predi sposizioni per l'azione immediata, determinazione approssimata del pezzo base, mascheramento, difesa vicina, completamento de l grafico delle correzioni di posizione e di convergenza, determinazione dei dati di tiro, esecuzione del fuoco, registrazione degli obiettivi). La maggior prontezza d ' intervento al li vello <li r eggimento è assicurata quando all'unità venga assegnato uno schierame nto raccolto e quando vengano attuate un'osservazione avanzata completa, in collegamento con la fanteria, e la sorveglianza integrale della zona assegnata al reggimento. Anche a tale livello, la ripartizione dei compiti tra i vari elementi è condizione indispensabile di prontezza e rapidità d'intervento. Il comandante di reggimento impartisce gli ordini per la marcia e le soste, tiene informati il vice comandante cd i comandanti di gruppo sulla situazione, riconosce e ripartisce la zona di schieramento, assegna i compiti di osservazione, dà direttive per la compilazione dei piani di fuoco, attua la cooperazione e dirige le relative azioni di fuoco, mentre il vice comandante organizza e disciplina la marcia, o rganizza i collegamenti, la difesa contraerei e controcarri e sovrinte nde all'organizzazione ed a l funzionamento dei servizi. Il capo ufficio tiro organizza e coordina il funzionamento dell'ufficio tiro nei suoi elementi - tiro, informazione, topografico, collegamento - compila i piani di fuoco, trasmette gli ordini ai gruppi per le azioni di fuoco reggimentali e delle unità superiori e registra gli obiettivi; l'ufficiale addetto alle informazioni, l 'ufficiale topografo e quello addetto ai collegamenti svolgono, ciascuno nel proprio se ttore, le loro specifiche attività. Il comando artiglieria di visionale attua l'impiego dell'artiglieria, organica e di rinforzo, sulla base delle direttive del comandante della divisione, stabilendo gli schieramenti, ripartendo i compiti, organizzando le azioni di fuoco, impiegando il fuoco e realizzando la manovra del fuoco secondo gli intendimenti del comandante della divisione. Egli si
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vale, per l'organizzazione dell'osservazione e per l'esecuzione delle operazioni riguardanti la preparazione del tiro, del reparto specialisti di artiglieria divisionale che fa parte integrante del comando artiglieria. Tale reparto provvede alle operazioni di preparazione topografica per la manovra del fuoco, alla determinazione dei dati meteorologici, all'organizzazione dell'osservazione sull'intera area di azione, alla interpretazione delle fotografie aeree, al concorso nella compilazione dei documenti dell'ufficio tiro del comando artiglieria. Le azioni di fuoco dell'artiglieria - preparazione, contropreparazione, appoggio, sbarramento, repressione, interdizione, controbatteria, con tromortai, controcarri - conservano le caratteristiche tradizionali e si estrinsecano con tiri di neutralizzazione e di distruzione attuati, secondo le azioni, con concentramenti o con cortine (sbarramento). L'interdizione lontana e la controbatteria sono compito delle artiglierie pesanti campali, mentre la contromortai è compito delle artiglierie da campagna e dei morta i, pur potendovi concorrere anche unità di artiglieria in rinforzo. L'azione controcarri è definita, su direttive del comandante della grande unità, dal comandante dell'artiglieria che si vale del comandante del reggimento controcarri. Dal punto di vista concettuale, le novità della 5000 sono assai poche rispetto a lla regolamentazione prebellica, mentre ampia e profonda l' innovazione introdotta nell'organizzazione e nella condotta del fuoco, soprattutto nell'ambito dell'artiglieria divisionale, per intonarne l'impiego alle esigenze del combattimento e per tentare di seppellire per sempre l'esasperato tecnicismo che, anche durante la seconda guerra mondiale, aveva inviluppato l'impiego dell 'arma nellt:: spire del vuoto perfezionismo del tiro. La organizza zione del fuoco della circolare 5000 risente molto da vicino di quella britannica, tutta intesa a spingere in avanti sul campo di battaglia i comandanti delle unità di artiglieria affiancandoli a quelli delle unità di fanteria sulla stessa linea materiale del terreno di lotta, non più indietro e non più rappresentati da a ltri - le pattuglie O.C. (osservazione e collegamento) - ma direttamente compartecipi in tutti i sensi del combattimento dell'arma base. Il nuovo modo d'intenqere e di realizzare la cooperazione arma base-artiglieria trova conferma nella circolare 5100 del 4 maggio 1953 - Caratteristiche d'impiego della artiglieria divisionale Cooperazione con la fanteria 17 - nella quale, in conseguenza del nuovo ordinamento dell'artiglieria divisionale 18, vengono definiti compiti e caratteristiche principali dei vari elementi costitutivi,
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viene meglio delineata la organizzazione necessaria all'impiego delle artiglierie in aderenza alle esigenze del combattimento nell'ambito della divisione di fanteria e viene dato ancora maggiore risalto al problema della cooperazione con la fanteria, precisandone i nuovi aspetti e le modalità sulle quali si basa, fermi restando i criteri d'impiego ed i procedimenti della regolamentazione d'impiego della divisione e del battaglione di fanteria segnati dalle ci rcolari 2600 e 2400. La nuova fisionomia organica dell' artiglieria divisionale - 1 comando di artiglieria, 1 reggimento di artiglieria da campagna (3 gruppi da 105/22, ciascuno su 3 batterie di 6 pezzi, 1 gruppo da 155/23 su 3 batterie di 6 p ezzi, 1 g ruppo contraerei leggero s u 4 batterie ciascuna su 8 pezzi da 40/56 monocanna o bicanna e su 8 mitragliatrici quadrinate da 12,7, 1 officina leggera), 1 reparto specialisti, 1 reparto collegamenti -, pur assai diversa da quella del 1948, rispetta i concetti fondamentali de lla stretta e costante cooperazione con la fanteria e della manovra del fuoco, messi in evidenza da lla circolare 5000. Ma il livello di affiancamento scende da comandan te di battaglione-comandan te di gruppo a quello di comandante di battaglione-com a nda nte di batteria. Mutano i livelli della cooperazione e le attribuzion i dei vari comandanti cd organi, pur restando salvaguardati in eguale misura del passato i c riteri dell'organizzazione. Il comandante de ll'artiglieria divisionale: schiera e impiega le artiglierie organiche e in rinforzo, manovrandone il fuoco; organizza, coordina e conduce la difesa controcarri nel quadro divisionale; o r ganizza e coordina l'azione contromortai ed aventualmente que lla di controbatteria. La sottrazione organica all'artiglieria divisionale dei gruppi controcarri, dovuta alla conven ienza di raggruppare tali g ruppi in unità superiori, non significa che la divisione non disponga più di ta le componente, la cui presenza deve essere invece conside rata normale. Al comando a rtiglieria divis io na le continuano ad essere assegnati personale e mezzi per organizzare l'osservazione, a ttuare la p reparazione del tiro e la manovra del fuoco, organizzare e dirigere l'azione contromortai ed eventualmente la controbatteria di urgenza, organizzare l'impiego del reparto di aviazione leggera, provvedere ai collegamenti di carattere operativo. Il com andante di reggimento assume le attribuzioni di vice com anda nte dell 'artiglieria divisionale, organizza e dirige il funzionamento del comando artiglieria divisionale e organizza e coordina la difesa contraerei ne ll'area della divisione. Il g ruppo da campagna diventa spiccatamente l' unità base per la cooperazione con la fanteria e per
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l'organizzazione e l'impiego de l fuoco, organizzato com'è tecnicamente: per l'immediato concentramento delle batterie su obiettivi determinati topograficamente; pe r l'inte rvento contemporaneo delle tre batterie su tre obiettivi dis tinti; per la possibilità di dis taccare batterie in azione isolata. Nell'ambito del gruppo da campagna, gli elementi essenziali per la cooperazione sono gli ufficiali con i rispettivi nuclei aventi il compito del collegamento tattico (comandante di gruppo, coma ndanti di batteria, ufficiale di collegamento del comando di gruppo), gli ufficiali con i rispettivi nuclei aventi il compito di osservazione (subalterni per l'osservazione avanzata), il centro di tiro di gruppo. Il comandante di gruppo si affianca al comandante del corrispondente reggimento di fanteria del quale è il consulente pe r l' impiego del fuoco di artiglieria, nonché dei mortai pesanti, per l'azione contromortai; i comandanti di batteria si affiancano ai cor r ispondenti comandanti di battaglione con il compito di realizzare il collegamento tattico; gli ufficiali osser vatori subalterni si dis locano n ella zona delle compagnie avanzate con il compito di designare obiettivi, aggiustare e controllare il tiro e, quando necessario, richiederlo; l'ufficiale di collegamento de l comando di gruppo si dis loca al posto comando del reggimento di fanteria per concorrere principalmente a l coordinamento dell'azione contromortai a favore della colonna o del gruppo di caposaldi. Il gruppo pesante campale, tecnicamente organizzato in m odo s imile a quello dei gruppi di campagna, ha per compiti fondamentali il r inforzo e l'es tensio ne in profondità delle azioni di fuoco dei gruppi da campagna. Il g ruppo contraerei leggero ha il compito di opporsi ad attacchi aerei a bassa e bassissima quota; dispone degli organi e dei m ezzi per consentire il tempestivo intervento delle proprie unità e il loro eventuale inserimento nell'organizzazione contraerei di ordine superiore; h a struttura ta le da potersi convenientemente suddi videre e articolare in relazione a lla natura ed al numero degli obiettivi da difendere. Al t re pubblicazioni di carattere dottrin ale dello stato maggiore dell'esercito nei riguardi dell'impiego de ll'artiglieria furono: la circolare n° 5900 del 1 settembre 1951 - Impiego delle artiglierie controcarri divisionali 19 - e la circola re n ° 5201 del 1 gennaio 1954 - Il gruppo e.a.I. 19bis - . La specialità controcarri aveva assunto grande rilievo nella seconda guerra mondia le in relazione alla funzione predominante dei carri armati nel combattimento sui terreni che ne avevano consentito l'impiego a massa. Trainate o semoventi, le artiglierie controcarri, strettamente e reciprocamente integrantesi
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con l'azione dei campi minati, vengono perciò a costituire l'ossatura della nuova organizzazione difensiva. Entrambe, a traino meccanico o semoventi, caratterizzate da alte velocità iniziali, da traiettorie molto tese e da grande precisione e celerità di tiro, debbono intervenire di sorpresa, con rapidità ed in maniera risolutiva, perché hanno i loro punti deboli nell'impossibilità di agire da postazioni totalmente defilate, nella grande visibilità della vampa e del fumo, nella brevità della distanza di tiro utile. Delle due, la più limitata per prestazioni è la classe delle artiglierie controcarri trainate stanti la loro vulnerabilità a causa della mancanza di protezione, la ridotta attitudine al movimento fuori strada, il tempo di crisi in cui vengono a trovarsi nel passaggio dall'ordine di marcia a quello di combattimento, il ridotto settore di tiro orizzontale, i lavori di protezione dei serventi da effettuare su terreno che non offre ripari. Le artigli erie trainate hanno però buone possibilità di mascheramento e di occultamento e costitui scono bersaglio di piccole dimensioni, un vantaggio non trascurabile nella lotta contro il carro armato. Le semoventi sono protette d a l tiro dell e armi automatiche e dalle schegge delle bombe dirompenti, hanno minori limitazioni nel movimento in combattimento, si tnuovono su terreno vario e possono passare con immediatezza dal movimento al fuoco e viceversa, possono agire in un settore di 360 gradi, trovano di converso maggiori difficoltà di occultamento e sono soggette a guasti del sistema di traslazione. L'azione controcarri è la risultante dell'impiego coordinato di tutte le armi controcarri e della utilizzazione degli ostacoli anticarro, naturali e artificiali, attivi e pass ivi, e s i esplica s ia in attacco sia in difesa. Il compito dell'artiglieria controcarri è quello di mettere fuori combattimento i carri con azione a distanza ravvicinata, a puntamento diretto, per pezzo. Il pezzo è l'unità elementare di tiro ch e nell'impiego acquista w1a prnpria carallcrislica individualità che non trae riscontro in nessun altra specialità dell'arma, salva qualche analogia con il pezzo contraerei leggero. Le artiglierie controcarri assegnate a lla divisione, organicamente o di rinforzo, vengono impiegate di norma con criterio unitario, vale a dire secondo un piano d'impiego particolareggiato, compila to, sulla base delle direttive del comandante della divisione , dal comandante dell'artiglieria divis ional e ed armonizzato con i piani d'impiego delle altre armi (artiglierie campali comprese) e degli ostacoli. Nella generalità de i casi l'ordinamento tattico prevede un'aliquota decentrata (che passa aJle dirette dipendenze dell'unità alla quale le unità - batterie, even-
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tualmente sezioni - vengono decentrate), un'aliquota schierata con compiti vincolati (la quale assume lo schieramento iniziale ed i compiti fissati dal comandante della divisione per il tramite del comandante dell'artiglieria), un'aliquota di manovra (alle dipendenze del comandante della d ivisione). Le artiglierie controcarri si schierano dunque per rafforzare lo schieramento delle armi controcarri della fanteria, per dare profondità al.la difesa controcarri, p(}r attuare la manovra controcarri. Non importa se le artiglierie controcarri siano organiche o di rinforzo, i criteri d'impiego non mutano. Fino al 1953 esse furono assegnate in proprio alla divisione, prima raggruppate nel reggimento di artiglieria controcarri, poi suddivise in sottoraggruppamenti nei reggimenti di artiglieria campale della divisione; successivamente vennero sottratte alla divisione e nuovamente riunite in reggimenti di artiglieria controcarri posti alle dipendenze dei comandi di corpo d'armata. Non per questo si rese però necessario di modificare - neppure per la parte che si riferiva alle attribuzioni <lei coman<lante <lell'artiglieria della divisione, del comandante del sottoraggruppamento controcarri, dei comandanti di gruppo, di batteria, di sezione e del capo-pezzo la circolare 5200 che, con le circolari 5000 e 5100, continuò a costituire uno de i cardini della nuova dottrina tattica e della nuova tecnica d'impiego dell'artiglieria italiana. Il lavoro dello stato maggiore dell'esercivo venne molto sollecitamente assecondato dall'ispettorato dell'arma di artiglieria che in quegli anni diramò non poche pubblicazioni per tradurre in modalità tecniche appropriate i criteri ed i procedimenti di massima dello stato maggiore. Di tali pubblicazioni ricordiamo in particolare, in ordine di tempo, la circolare n° 5400/T/Add. del 21 marzo 1949 Comandi, avvertimenti e comunicazioni per il puntamento e l'esecuzione del fuoco 20, la circolare 5300 del 1 marzo 1949 Forme di intervento dell'artiglieria da campagna 21, la circolare n ° 5700 del 15 giugno 1950 Registrazione degli obiettivi 22, la circolare n ° 101 del 25 agosto 1952 Generalità sull'azione contromortai 23, la circolare n° 102 del 25 ottobre 1952 Istru zione per l'addestramento delle artiglierie controcarri 24 e la pubblicazione Istruzione sull'uso delle fotografie aeree del 1 ottobre 1954 zs. Impiego e tecnica d'impiego dell'artiglieria, nonché l'ordinamento tattico delle varie specialità dell'arma, trovarono nella nuova regolamentazione dello stato maggiore e dell'ispettorato dell'arma un quadro di riferimento chiaro, preciso e aderente a tutta la notevole varietà di estrinsecazioni che il fuoco di artiglieria
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può realizzare sul campo di battaglia. Il problema dell' artiglieria, ciò nonostante, poteva considerarsi risolto sul piano dell'organizzazione del fuoco, ma non certamente su quello delle esigenze da soddisfare nella battaglia moderna. L'ordinamento di ispirazione britannica, che rimase in vigore fino alla metà del 1953, prevedeva tre reggimenti di a r tiglieria dei quali: 2 costituiti su 2 gruppi da 88/27 (di 2 batterie su 6 pezzi), da 1 gruppo da 149/ 19 (di 2 batterie su 4 pezzi) ovvero da un gruppo mortai da 120 (di 3 batterie su 6 pezzi); 1 costituito da 2 g ruppi da 105/22 (di 2 batterie su 6 pezzi), 1 gruppo contraerei leggero da 40 (di 3 batterie su 6 pezzi), 1 sottoraggruppamento controcarri di 2 gruppi, entrambi semoventi, ovvero uno motorizzato e uno semoven te. Il totale delle bocche d a fuoco era pari a: 48 cannoni da 88/27, 16 p ezzi da 149/13 o 36 mortai da 120, 24 pezzi da 105/22, 54 pezzi contrae rei da 40, 36 cannoni controcarri. Il nuovo ordinamento, d' ispirazione statunitense, p revide un unico reggimento su: 3 g ruppi da 105/22 (di 3 batterie su 6 pezzi), 1 gruppo da 155/23 (ùi 3 ballerie su 6 pezzi), 1 g ruppo contraerei da 40 (di 4 b a tterie su 8 cannoni da 40 binati e 8 mitraglie re quadrupl e da 12,7) per un totale di b ocche da fuoco pari a: 54 pezzi da 105/22, 18 pezzi da 155/23 , 32 cannoni binati da 40 contraerei , 32 mitragliatrici quadruple da 12, 7. A parte le artiglierie controcarri, la cui ascesa al livello di corpo d'armata s i traduceva in una soluzione più economica senza nessun danno per la divisione ch e ne avrebbe continuato a disporre sotto forma di unità assegnatele in rinforzo, e le artiglierie leggere contraerei, la cui riduzione del numero dei cannoni d a 54 a 32 poteva ritenersi più che compen sata da lla m aggiore intensità ed efficacia di fuoco dei nuovi pezzi, il nuovo ordinamento diminuì sensibi lmente la potenza complessiva del fuoco dell'artiglieria divisionale, sia dell'aliquota di stretta aderenza con la fanteria sia di quella di maggiore potenza idonea a sovrapporre la sua all'azione della prima a liquota ed a spingere il fuoco più in profondità. L'aumento della potenza unitaria - obice da 105/22 in luogo d e l cannone da 88/27 accrebbe i I valore de lla distanza di sicurezza riducendo conseguentemente l'aderenza d el fuoco de ll 'artiglieria all'azione dell a fanteria, ma òramai la tendenza all'aumento dei calibri, ai fini de lla realizzazione di interventi più m assicci, era più o meno assecondata da tutti gli eserciti. Ma se questa seconda m an chevolezza del nuovo ordinamento era meno facilmente rimediabile, restava il fatto che il ritorno dell'effettuazione della coop erazione con la fanteria a l livello reggimento di fanteria-gruppo di artiglieria, sostituendo
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quella realizzata al livello reggimento di fanteria- reggimento di artiglieria, ebbe conseguenze di carattere psicologico negativo, non controbilanciate dai miglioramenti. sotto certi aspetti non certo trascurabili, introdo tti dal nuovo ordinamento e dai nuovi materiali, quale quello della maggiore semplicità e omogeneità dell'ordinamento stesso dalle quali sarebbe derivata una maggiore tempestività d'intervento, e quale quello delle maggiori possibilità di tiro curvo, fattore molto favorevole sui terreni della penisola italiana. Ma la obiezione di fondo sollevata con fondamento da molti fu quella della contraddizione tra la diminuzione della potenza complessiva e l'esperienza della seconda guerra mondiale, durante la quale i densi schieram.e nti di artiglieria della prima guerra mondiale, tipo quelli della fronte franco-tedesca, non solo non erano rimasti senza imitazione, ma erano stati largamente superati come, ad esempio, a Stalingrado (200 pezzi per chilometro), a Orel-Kursk (290), ad cl Alamcin (360), a Tunisi (500), a Berlino (610). Naturalmente non si poteva pretendere di assegnare organicamente alla divisione di fanteria ed alla brigata alpina l 'artiglieria che le sarebbe stata necessaria in attacco e neppure in difesa, non solo per· motivi d'indisponibilità, ma prima ancora di carattere tattico, tecnico e logistico; i 72 pezzi assegnati e rano peraltro sufficienti a fronteggiare le necessità minime di un normale combattimento sia pure solo difensivo, visto che questo sarebbe stato in ogni caso l 'atteggiamento dell'esercito nell 'eventualità di una futura guerra? Se il nemico, come le più recenti esperienze di guerra ammonivano, avesse fatto ricorso all'attacco notturno, quali sarebbero state le possibilità reali di effettuazione delle cortine di sbarramento? Il fuoco della difesa non può non essere in rapporto alla dosatura del fuoco dell'attacco e la sua connaturale inferiorità non può scendere al di sotto di un limite minimo di un terzo, m entre quello ottimale, se così s i può dire, dovrebbe essere della metà. Sia la circolare 5000 sia la 5100 prevedevano il rinforzo normale dell'artiglieria da campagna divisionale con altre unità assegnate dal comando superiore, ma, in verità, a prescinde re d a ll a indisponibilità reale sul piano concreto di numerose e varie artiglierie di rinforzo costituite da un numero ragguardevole di gruppi e di raggruppamenti di diverso tipo e potenza, il reggimento di artiglieria divisionale non rappresentò, diversamente da quanto affermava la 5100, sotto il punto di vista della massa di fuoco, il minimo per assicurare il necessario apporto di fuoco nei casi medi d'impiego. Il nuovo ordinamento, mentre rese più agevole e più celere l'effettuazione
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della p reparazione del tiro - la preparazione topografica, ad esempio, non richiedeva più i tempi lunghi del passato secondo i principi e le modalità dettati dalla Istruzione sul tiro del 1932 - facilitò, entro certi limiti, il funzionamento dei complessi e delicati collegamenti necessari pe r la preparazione del tiro e la manovra del fuoco e, sotto il punto di vista della cooperazione, offrì una buona soluzione per assicura.re la. stretta e costante cooperazione con la fanteria fino al livello di battaglione; non assicurò invece, nonostante la indubbia elasticità di tutta l'organizzazione, rapporti celeri e snelli tra il comando artiglieria e i comandi dei g ruppi d ipendenti, collegamenti di facile attuazione, agilità alla manovra del fuoco nel caso che il rinforzo de ll'unità superiore superasse, come avrebbe dovuto accadere di no rma, il triplicamento de l numero dei gruppi . Gli artiglieri non furono comunque soddisfatti del nuovo ordinamento e molti non nascosero ta le insoddisfazione, m a nifestandola con interventi s ulla Rivista Militare 26_ I m eno paghi avrehbero dovuto essere i fanti, che invece solo in pochi dissentirono, perché, chi r isente per primo e in misura maggiore di ogni minore efficien za dell'artiglieria è il fante, in quanto egli, e non altri, ne so / /re le conseguenze sanguinose e irreparabili sul campo di battaglia 27. Tn s intesi, il nuovo ordinamento realizzò notevoli miglioram enti, ma non dette sufficiente concretezza al princ ipio vecchio, m a confermato dalla seconda guerra mondiale, del dominio del fuoco sul campo di battaglia moderno. Permasero le illusioni della lunga persistenza degli effetti dei tiri di neutralizzazione e quella della facile individuazione degli obiettivi reali e presunti, divenuta invece assai più problematica in seguito a l grande aumento de lla mobilità tattica delle forze. Esso, inoltre, favorì il sorgere dell'idea che la fanteria moderna, m eglio armat a e più mobile d i quella del passato, avesse meno bisogno del fuoco di artiglieria e po tesse comunque vedersela da sola n onostante le aumentate dis tanze di sicurezza, mentre proprio questo ultimo fatto avrebbe dovuto essere controbilanciato da una maggiore persistenza degli effetti de i tiri di neutralizzazione o ttenibile solo media nte l'increm ento, e non la diminuzione, della potenza complessiva de ll'ar tiglie ria. Più a umenta, infatti, il valore della distanza di sicurezza, più a lungo debbono durare gli effetti della neutralizzazione e perciò più aggressivo e m a ssiccio deve essere il fuoco dell'art iglieria nelle azioni d i preparazione, di appoggio, d 'interdizione vicina e di cont romo r tai ne ll'attacco e di controprep arazione - che la disponibilità generale di artiglieria d ell' esercito italiano costringeva a relegare nel mo ndo delle aspira-
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zioni o meglio dei sogni -, di sbarramento, di repressione, d'interdizione vicina e di contromortai in difesa. La maggiore potenza del fuoco della fanteria non può determinare alcuna riduzione nella dosatura del fuoco di artiglieria, né in attacco né in difesa. La potenza dell'artiglieria è il prodotto del numero complessivo delle bocche da fuoco, delle loro qualità e delle attitudini manovriere delle unità nelle quali le bocche da fuoco sono raggruppate. Concetti che non erano certamente estranei alla nuova dottrina, ma che questa lasciava troppo in astratto. Ciò dipese principalmente dal fatto che le possibilità erano di gran lunga inferiori alle aspirazioni ed alle stesse esigenze reali di fuoco orga ni zzato, ma anche parzialmente dalla speranza che l'accresciuta po tenza del colpo singolo, il miglioramento dei metodi e dei mezzi tecnici, la maggiore mobilità tattica e le maggiori possibilità logistiche del rifornimento munizioni potes- . sero in qualch e modo sopperire, a lmeno in parte, alla povertà delle bocche da fuoco di sponibili. Chi d 'altra parte a uspicò in quegli anni la costituzio ne di grandi unità di artiglieria - non furono in pochi dette l 'impressione di anticipare il volo sulla luna e comunque di sognare a d occhi aperti, in quanto l' aspirazione, legittima che fosse, non trovava nessuna ris pondenza nella situazione di un esercito in fase di ricostruzione con obie ttivo limitato a quello della pu ra e semplice difesa del territorio nazionale nel quadro di un'alleanza plurinazionale, a nche questa esclusivamente difen siva. Ciò non toglie ch e le c ritiche mosse al nuovo ordinamento fossero fondate e legittime. Così, ad esempio, per meglio a derire al principio de l dominio del fuoco sarebbe convenuto mantene re l'ordinamento della circolare 5000 ed accontentarsi dei canno ni da 88/27 per l'aliquota di aderenza, rivolgendo tutta l'attenzione e le modeste disponibilità a favore dell'artigli eria di medio calibro, sia al livello divisionale sia a quello di corpo d'a rmata. Non si sarebbe ridotta l 'aderen za, a ncor a indispensabile nonostante il potenziamento del fuoco della fanteria, si sarebbe evitato il ritorno, sia pure in condizio ni diverse dal passato, alla cooperazione reggimento di fanteria-gruppo di artiglieria, si sarebbe notevolmente accresciuta la potenza complessiva dell'artiglieria, compensando la minore m icidia lità del colpo singolo con il maggiore numero delle sorgenti di fuoco. Infonda te ed ingiuste furono - e continuerebbero a d essere - critiche rivolte, invece, a coinvolgere una insufficienza culturale ed una superficialità d 'interpretazione delle esperienze be lliche da p arte dello stato maggiore dell'esercito pe rché, dal punto di vista teorico, la nuova dottrina d' impiego dell 'artiglieria nel combattimento non era assolutamente
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arretrata rispetto a quella dei maggiori eserciti del momento, a cominciare da quello americano. Non va infine dimenticato che la scelta venne pesantemente condizionata da quelle che erano le disponibilità di materiali che gli Stati Uniti d'America erano disposti ad offrire od a cedere.
7. L'a~<!_ del _genio era uscita dalla seconda guerra mondiale ingigantita nei compiti e nella struttura ordinativa e tecnica.~Alla molteplicità e complessità dei compi ti ai quali l'arma era stata chiamata, mentre in alcuni eserciti avevano corrisposto sia una maggiore e migliore specializzazione de l personale sia una abbondante dotazione di attrez;;_ture modernamente concepite e realizzate, in altri, tra i quali l'esercito italiano, permanevano dubbi e perplessità circa l'ordinamento e l'equipaggiamento più appropriati. Un fatto, peraltro, si impose senza più indugio: Ja distinzione dell'arma almeno in due grandi branche, quella tradizionale addetta ai avori di viabilità, di fortificazione e dei servizi generali, queUa dei collegamenti o delle trasmissioni, come verranno successivamente denominati i collegamenti. Non si giunse, come abbiamo già ricordato, alla costituzione di due ruoli distinti, ma di fatto venne creata l'arma o, secondo alcu~i. il servizio d elle trasmissioni. La questi~ne - motivo di non pochi interventi~1lla Rivista Militare 28 - se la nuova branca dovesse essere considerata arma o servizio, trovò la sua soluzione nella mancata separazione dei ruoli, per cui anche la branca delle trasmissioni conservò il ruolo di arma, come del resto in quasi tutti gli eserciti degli altri p~esi. Dall'arma del genio erano state filiate in p assato l'aviazione, la motorizzazione e il cor o e servizio chimico, per cui la creazione di un'arma o meglio, secondo noi, di un corpo dei collegamenti, o delle trasmissioni, sarebbe stata molto più opportuna e conveniente in prospettiva per il preminente aspetto tecnico delJa branca destinata a scindersi sul campo di battaglia in tanti più o meno consistenti nuclei operativi, messi al servizio delle unità delle altre a rmi per l'esercizio del comando ai livelli più e levati. La costituzione di un 'arma o di un servizio a sé non avrebbe prodotto gli effetti moralmente negativi temuti, mentre meglio avrebbe risposto a d un motivo di chiarezza e di funzionalità, perché non c'è chi non veda quale s ia, sotto tutti gli aspetti, la differenza tra il comandare un
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reparto d'impiego, quale è un'unità del genio tradizionale, ed il coordinare più nuclei di lavoro operanti a grandi distanze gli uni dagli altri, generalmente nel solo ambito dei comandi delle grandi un ità, secondo il criterio d'impiego dei battaglioni, delle compagnie e dei plotoni collegamenti o trasmissioni. Un ordinamento di transizione, che non avesse violato i diritti acquisiti dei quadri ed al tempo stesso si fosse mosso lungo una linea di tendenza verso un modello ordinativo del tipo di quello del corpo automobilistico, non avrebbe incontrato difficoltà insuperabili, mentre la presenza di ufficiali, di personale e di uffici specializzati dei collegamenti o delle trasmissioni, inclusi negli stati maggiori delle grandi unità, avrebbe egualmente coperto l'insopprimibile esigenza dell'organizzazione del funzionamento delle reti informative e di comando e dell'impiego razionale, appropriato ed economico di tutta la vasta gamma di mezzi tecnici, dai telefoni alle radio, dalle telescriventi ai circuiti televisivi, dai radar ai calcolatori elettronici, che prima o poi sarebbero entrati nel nove ro delle apparecchiature necessarie ai comandi dei livelli maggiori. Il timore di un attacco così radicale, che avrebbe potuto nuocere più che giovare nel periodo già di per sé tanto difficile e delicato della ricostruzione dell'esercito, trattenne lo stato maggiore dal compierlo e lo indusse ad adottare la soluzione di com_Rromesso del mantenimento Qiqlo unico tra le ~ - hranche) D'; lt ra- parte,- una pi1 razionale ripartizione dei compiti- s'imponeva anche nell' ambito delle altre specialità dell'arma del genio in quanto, acresem}'io; all'onerosa attività tradiziona le si era aggiunta quella ancora più importante ed onerosa della posa e della rimozione dei campi minati la quale, anzi, sembrava quasi oscurasse la prima. La riparazione delle comunicazioni più avanzate, la costruzione di raccordi stradali, il riattamento dei ponti danneggiat i, il gittamento di nuovi ponti e, in misùra più o meno estesa a seconda dell'azione offensiva o di quella difensiva, la sistemazione di comandi e di osservatori, le interruzioni stradali, le costruzioni, il rafforzamento d el terreno, nonché tutta la lunga serie di lavori volti a facilitare l'occultamento ed il mascheramento e ad assicurare il servizio idrico, la illuminazione, la protezione antincendi, ecc. non solo, invece, erano rimaste esigenze irrinunciabili in ogni fase del combattimento delle grandi unità, ma avevano assunto dimensioni di sviluppo nello spazio {fronti e- profendità maggiori) ·e nel tempo (nuovo gradi:> di mobilità delle truppe e nl¾ovo ritmo di- celerità delle operazioni) assa i maggiori e diverse del passato. Il mutamento della denominazione da artieri in quella di
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pionieri ebbe carattere meramente nominalistico e non fu un provvedimento né convincente né risolutivo: l'arma del genio andava riformata. La specialità pionieri era una specialità nuova che si sommava alle altre, non le assorbiva. La sua nascita rompeva l 'equilibrio già faticosamente mantenuto in passato tra nece ssità e possibilità del genio. Il valore del rapporto arma del _genio_:_?.ltre armi, data per scontala la separazione .del-la:-branc..~ ~l-l~gament-i o trasmissioni, andava mutato a favore del genio a tutti i live lli , a cominciare da quello divisionale, e la sovrapposizione dei compiti dei pionieri a quelli degli artieri non era problema di nomi, ma di sostanza. Le esigenze d'impiego, le prestazioni dei nuovi mezzi tecnici e l'esperienza di guerra confermavano la necessità di almeno tre compagnie artie ri e di una compagnia parco nell'ambito del battaglione -genio divi~iona le, rri'entre la posa e la rimozione d ei campi mina ti ricniea evano l'assegnazione di almen o _gue compagnie pionie ri al livello di <livisiune, se non di_ tr~, vale a dire una compagnia per ciascuno dei tre reggimenti di fante ria o raggruppame nti che componevano la g ra nde unità o nei quali questa di norma si ..__articolava nel comballimento. Naturalmente un battaglione genio divisiona le su 7 o 8 compagnie (3 a ,-ti e 1-i, 1 parco, 2-3 pionieri, 1 comando), mentre avrebbe consentito una ripartizione intonata ai compiti, a lle finalità, alle analogie di lavoro, ai mezzi d'impiego alcune unità particolarmente orientate e adde strate ai lavori di viabilità ed a quelli dei servizi generali, altre vere e propri e unità di combattimento pe r la posa e difesa dei campi mina ti, l'apertura dei varchi, l'a ttacco e la distruzione dei fortini , ecc. - sarebbe risultato di assai difficile governo e impiego se si tie ne conto ch e ogni compagnia avrebbe avuto la forza effe ttiva di c irca 200 uomini.' La soluzione di un battaglione su 4 compagnie pionieri, 1 compagnia parco campale , 1 compagnia comando--= -38 uffiGi; Ji, 71 sottuffic iali ,-103-8 uomini di truppa - parve a llo s tato m aggiore dell'esercito l'unica possibile in quel mome nto, limi!ando i compiti del genio divi sionale a quelli di caratte re s..!.!"e ttamente indispensabile ed eseguibili con particolari attrezzature e da pe rsonale ài-·rg rande competenza tp cnica, assegnando alle altre armi tutti quelli che non richiedessero"mézzi tecnici. di-compl-essa--agi-bilità. Le unità del genio delle grandi unità di ordine superiore avrebbero provveduto a tutti i 1a vorC ric hiedenti specializzazione e impiego di macchine e di appa recc hiature peculiari. Del r esto fanti ed artiglieri avevano se mpre provveduto in proprio a i lavori di fortificazione
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campale, mentre ai reparti del genio delle grandi unità superiori, se non addirittura ad organizzazioni civili, erano stati riserva ti i compiti di più ampio respiro .e di carattere di minore immediatezza. Ciò voleva dire però che anche in passato il genio divisionale aveva sempre lavorato agli estremi limiti delle sue possibilità. Ma ora si aggiungeva una nuova onerosa attività che in parte poteva certo essere svolta dalla fanteria - da qui l'inserimento dei pionieri di fanteria nella compagnia (l squ adra) e nel battaglione (l plotone) ma che esigeva anche, per l'ampiezza ass unta e p er la tecnica raffinata di esecuzione, la presenza di unità specializzate, dotate di mezzi di ogni sorta (mezzi blindati, a ttrezzature pneumeccanich e ed elettrich e, complessi meccanic i motorizzati campa li, ecc.) proprio per porre in ope ra o rimuovere con immediatezza gli ostacoli controcarri che, sposati con le armi controcarri, costituivano la nuova ossatura delle organizzazioni e sistemazioni difens ive. Ancorché sul piano dottrinale l'asseg nazione di un solo battaglione genio pionieri alla divisione risultasse del tutto insufficiente, proprio in ragione delle nuove caratteristiche del combattimento, sul pi a no dell'attivi tà operativa concreta lo stato maggiore la ritenne possibile nella considerazione che l'esercito e le su e grandi unità erano in definitiva d estinati ad un compito meramente difensivo, locali zzato su di un ben determinato spazio e terreno, s ul qua le ultimo sarebbe s ta to possibile fin dal tempo di pace predisporre lavori di viabilità e di rafforzamento, con materiali a pie' d'opera, che avrebbero ridotto, in caso di guerra, oneri e tempi di esecuzione. Proprio per risolvere lo specifico problema difensivo de ll'esercito italiano, d 'altra parte lo stato maggiore de ll 'esercito si affrettò a e<>stituire le unità pionieri di arresto al-i0-q1Iali devolse la posa e la difesa de i campi m ina ti aventi specifiGa funzione d i arresto s ia nel campo s tra tegico, per interdire l'accesso e il transito di zone ove non fosse possibile o conve niente stabilire una organizzazione difen siva più spinta, s ia nel quadro della difesa su ampie fronti, attuata su terreni pianeggianti e collinosi, in corris pondenza de lle stesse cortine tra i caposaldi e i gruppi di caposaldi, non direttamente cooperanti p er ragioni di dis tanza. L'impiego dei campi minati del genere venne definito con la circolare 8300 de l 23 giugno 1951 - Impiego dei pionieri d'arresto 29 - che fece seguito a lla 8200 già esaminata. Le unità del genio pionieri d'arresto - è scritto ne lla circolare - hanno il compito della posa e della difesa diretta degli sbarramenti di arresto nel cam po s trategico (impiego normale: per battaglione riunito) e del concur!;u, unitamente alle unità
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divisionali del genio pionieri, alla creazione di cortine minale nella difesa su ampie fronti su terreni pianeggianti , nonché del compito della difesa diretta dei tratti da esse minati qualora, dopo la posa, non vengano impiegate per la costituzione di altri sbarramenti (impiego normale: per unità inferiori al battaglione, temporaneamente date in rinforzo a lle divisioni). Nel campo strategico sono dunque ì comandi di scacchiere o di armata a d efinire ed organizzare i campi minati; nella difesa su ampie fronti quelli di corpo d'armata e di divisione. Negli sbarramenti di arresto in campo strategico le zone minate vanno sviluppate in profondità fino a raggiungere anche qualche migliaio di metri e la zona mina ta va compartimentata con bretelle, costituite da fasce minate con andamento trasversale vario, per ingabbiare mezzi nemici che penetrino nella sistemazione minata e per impedire che dilaghino s ul rovescio del primo ostacolo superato; nelle cortine minate della difesa su ampie fronti la profondità delle zone minate può essere minore. La difesa diretta nel primo caso è organizzata con le stesse unità pionieri di arresto dislocate il più avanti possibile in modo da h attere il margine an teriore del campo e quella indiretta con truppe di manovra pronte ad accorrere nei tratti ove s i stia profilando una grave minaccia di superamento in forze. Nella difesa su ampie fronti la difesa è di norma più diluita, ovvero organizzata solo in corrispondenza dei tratti minati assegnati ai pionieri di arresto, ferma restando la necessità di predisporre un'adeguata sorveglianza negli altri tratti. L'unità base per la difesa diretta dei campi minati è il plotone schierato su di un tratto di fronte di 800-1000 m. Fucili mitragliatori e lanciarazzi controcarri organici, sostenuti dalle mitragliatrici dislocate in genere in centri di fuoco arretrati, devono, nel loro insieme, costituire una fascia di fuoco ch e impedisca il riconoscimento e lo sminamento d e l campo da parte di fanti o pionieri nemic i. La tecnica della posa dei campi minati - analoga a quella della circolare 8200 e risponde nte a quanto sanci to dalla pubblicazione Mine e bonifica dei campi minati 30 - segue il criterio della progressività, secondo il quale s i deve tendere a realizzare in un primo tempo un ostacolo continuo su tutta la fronte con il minimo ammissibile di valore impeditivo, da proseguire a mano a mano in profondità, fino a conferire a lla zona l'efficienza voluta. Costante, deve essere, inoltre, la preoccupazione di rendere l'organizzazione difficilmente rilevabile dalla fotografia aerea. Mediante le due circolari 8200 e 8300 lo stato maggiore dell'esercito stabilì sinteticamente, m a con grande chiarezza e
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precisione, i criteri d'impiego dei campi mina ti nel campo strategico e tattico, armonizzandoli con quelli generali della dottrina in elaborazione, definendo altresì le competenze e le responsa bilità e delineando le modalità più ·i mportanti per la messa in atto, la sorveglia nza e la difesa, nei vari casi, da parte dei pionieri di fanteria, del genio divisionale e dei pionieri di arresto. Nulla di simile era stato fino ad allora codificato presso altri eserciti, anche se il divario esistente era più formale che sostanzia le, giacché tutti gli eserciti, soprattutto quello inglese, nell 'approntamento degli ostacoli anticarro, avevano dato, guerra durante, grande rilievo all'ostacolo minato. La Memoria sull'apprestamento degli ostacoli anticarro 31 dell'i spettorato d ell'arma del genio, edita nel 1942, malgrado l'esperienza che l'esercito stava facendo da più di due anni nell'Africa settentrionale, considerava tuttallora le mine anticarro come ulteriore mezzo di potenziamento degli altri ostacoli naturali o artificiali, permanenti o semipcrmanenti che fossero, e continuava a portare i campi m inati e gli sbarram enti di mine alla pari, quando non a ddirittura ausiliari, degli a ltri ostacoli, quali il fossato, il gradone, il rilevato, il muro, ecc. La nuova dottrina segnò al riguardo il superamento di molte vecchie tecniche ed il trasferim ento <lai piano tattico anche a quello strategico del campo minato come parametro concettual e della difesa. Fu u na soluzione quasi obbligata ne lla ricerca di controbilancia re in qualche modo l'insufficienza delle forze e dei mezzi da destinare alla difesa, ma fu a ltresì indice significativo di come la nuova dottrina ita liana venisse vieppiù distaccandosi dai rigidi schemi del passato e<l evolvendo verso form e nuove e ta lvolta veramente o ri ginali.
8. Una delle novità s ignificative, rispetto alla precedente organizzazione d e ll 'arma dei carabinieri, fu la costituzione , n el 1945 32, dei battaglioni mobili, i c ui lineamenti <l' impi ego in guerra vennero fissati con la circolare 1500 d e l 15 dicembre 1949, poi abrogata e sostituita dalla circolare 1501 - Lineam enti d'impiego del battaglione mobile carabinie ri 33 - del 10 maggio 1953. I battaglioni mobili carabinieri erano stati creati sopra ttutto per soddi sfare esigen ze di ordine pubblico, ma la loro struttu ra ne con sentiva l'impiego in operazioni mi li tari nel qua dro d elle grandi unità operanti indifesa delle frontiere o del resto del territorio nazionale. Nel passato
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l'arma aveva partecipato a quasi tutte le guerre non solo con i reparti di polizia militare, presenti in tutte le grandi unità dal livello di brigata a quelli più elevati, ma anche con battaglioni operanti secondo i criteri e i procedimenti propri della fante ria o della cavalleria. I.I nuovo battaglione mobile - 1 comando, 3 compagnie autoportate, 1 compagnia motocorazzata, 1 comp agnia armi di accompagnamento - era in sostanza una unità autoportata, integrata da elementi blindati, mobile, cele re, manovrabile, nella quale i m ezzi di fuoco erano in numero relativamente elevato rispetto a quello degli uomini. Esso era altresì in grado di essere rinforzato con carri armati, armi controcarri, mezzi di collegamento, pionieri e la sua azione poteva inoltre in vari casi essere appoggiata dall'artiglieria: una unità, in definitiva, che per la sua mobilità, anche se legata alle rotabili, e per la sua poten za di fuoco poteva venire impiegata, di preferenza come elemento di manovra nelle mani del comandante di grande unità, di norma riunita e con concetto unitario. La c ircolare 1501 ne precisò caratte ristic he , compiti e modalità di azione, rimandando per queste ultime a lle norme in vigore per le a ltre unità dell'esercito (linee generali d 'impiego, cooperazione con le altre armi, impiego dei minori reparti,.servizi, addestramen to). Compiti del battaglione indicati nella 1501: occupazione p reventiva di locali tà, intervento nel combattimento quale elemento di manovr a, scaglione di sicurezza, protezione del fianco esposto, p rotezione del ripiegamento, azio ni antiparacadutisti e di controguerriglia, rastrellamento di abitati, sblocco di it inerar i e presidi. A parte i due ultimi compiti, tipici del battaglione mobile carabinieri, tutti gli a ltri rientravano in quelli assegnati dalla circolare 1700, già esaminata, al reggimento di cavalleria blinda ta . Nel movimento e ne lJe soste il battaglione - specifica la circolare - si regola come gli a ltri reparti a u toportati, provved endo alla propria sicurezza: in marcia mediante un'avaguardia, una retroguardia e, quando necessario, distaccamenti fia ncheggianti dotati in genere di autoblindo o costituiti da squadre o pattuglie del plotone motociclis ti; in sosta, a seconda se breve o prolungata, rispettivamente mediante il sistema della fermata protetta o mediante il ricorso al sistema del pattugliamento fisso e mobile, o l'attuazione di posti di sbarramento s ulle principali rotabili, nonché mediante le predisposizioni per l'immediata occupazione di posizioni idonee alla difesa da un attacco nemico e per la protezione dei m ezzi blindati, degli autocarri comando e delle stazioni
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radio. Sia in marcia sia in sosta, indipendentemente dalla organizzazione della sicurezza del battaglione, tutti i reparti autoportati si tengono in misura di reagire istantaneamente all'azione nemica. Quando, durante il movimento, il battaglione si trovi improvvisamente sottoposto al fuoco nemico sul fianco, senza incontrare ostacoli o interruzioni che lo arrestino frontalmente, esso si sottrae al tiro aumentando la sua velocità di movimento, mentre i reparti rispondono da bordo col fuoco delle armi automatiche e le autoblindo, se necessario, entrano in azione; quando invece è costretto ad arrestarsi, i reparti autoportati scendono rapidamente dai mezzi, si allontanano da questi, prendono posizione sul terreno circostante pronti all'eventuale reazione ed alla protezione del riattamento della rotabile. Nell'occupazione preventiva di località, nell'intervento nel combattimento quale elemento di manovra, quando agisce come scaglione di sicurezza od a protezione de l ripiegamento di una grande unità o di una colonna, il battaglione mobile segue le stesse modalità di azione del reggimento di cavalleria blindata, ovviamente ada ttate alle sue dimensioni ed alla sua struttura organica, ben diverse, le une e l'altra, da quelle del reggimento di cavalleria. Così, ad esempio, nella occupazione pre ventiva di località, nella fas e di movimento il battaglio ne procede: articolato con pattuglie blindate sul davanti, con compito di esplorazione sommaria e di prima imbastitura di occupazione dei nodi stradali che interessano~ retrostanti accessi alla posizione; con il resto, dietro, che, protetto da misure di sicurezza (di norma affidate ad autoblindo od a nuclei mitragliatori motociclisti), muove tatticamente riunito alla massima velocità consentita dall'elemento più lento. Ne lla fase di occupazione, appe na gli elementi di testa raggiungono le pattuglie avanzate, le sostituiscono nell'occupazione dei nodi stradali e danno protezione allo scarico dai mezzi delle compagnie avanzate, mentre la pattugli e sostituite vengono spinte in avanti, entro i limiti di portata delle radio di bordo, con il compito di ricercare il contatto con il nemico e di ritardarne l'avanzata con successive azioni di agguato. Nella terza fase, il grosso del battaglione perfeziona lo schieramento definitivo assunto dopo lo scarico dagli automezzi nella seconda fase: accentrando la difesa con le compagnie autoportate, rinforzate da mitragliatrici della compagnia armi di accompagnamento, in corrispondenza dei nodi stradali o del tratto vitale ; predisponendo l'impiego accentrato dei mortai; tenendo alla mano la compagnia motocorazzata e gli eventuali carri armati di rinforzo per la manovra ad ampio raggio
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sul fianco e sul tergo dell'avversario o per il contrattacco. Nell'intervento nel combattimento quale elemento di manovra, il battaglione agisce sempre offensivamente (attacco e contrattacco), in pre valenza sul fianco del nemico, agendo a piedi (autoblindo escluse) secondo le norme generali che regolano l'impiego de l battaglione di fanteria, mentre i plotoni autoblindo vengono impiegati o quali elementi mobili di fuoco o per concorrere da direzioni convergenti a lla conquista dell'obiettivo; il plotone motoc iclisti, nell e mani del comandante del battaglione, concorre la tera lmente con il fuoco alla r iuscita dell'azione o opera quale piccolo elemento di manovra (solo ecceziona lmente il plotone può essere decentra to per squadre in rinforzo alle compagnie avanzate). Quando costituisce scaglione di sicurezza, il battaglione, di massima rinforzato con pezzi controcarr i e artiglierie, si schiera su di una posizione tatticamente importante, antistante alla sistemazione difensiva della grande unità, e assume un dispositivo analogo a quello previst o per la fase di consolidamento ne ll'occup azione preventiva di località (pattuglie blindate con compito informativo e di ritardo, posti di sbarramento sui principali nodi rotabili con aliquota dei pezzi controcarri avuti in rinforzo, schieramento delle compagnie a utoportate sui tratti d ' importanza vitale con rincalzo appiedato per il contrassalto, riserva mobile - compagnia motocorazzat a ed eventuali carri armati in rinforzo - per il contrattacco e l'azione a largo raggio s ul fianco e sul tergo del nemico). L'azione si con creta: in una successione di agguati e di azioni di fuoco da parte delle pattuglie blindate; nella resistenza a d oltranza vivificata dai contrassalti da parte de lle compagnie a utoportate e da l fuoco della compagnia armi di accompagnamento (mitragliatrici decentrate, mortai accentrati); nella reazione della compagnia mo tocorazzata e degli eventuali carri armati in rinforzo. Nella protezione di un fianco esposto, l'azione, come già previsto per il reggimento di cava lleri a, assume aspetti diversi a seconda che si attui durante il movimento a favore di una grande unità d'a la ovvero in una situazione stabilizzata. Nel primo caso, il battaglione svolge azione di fia ncheggia mento, muovendo su di un itinerario esterno e paraJlelo a lla direzione di movimento della G.U., collegandosi con la colonna laterale, distaccando sul davanti gruppi di motociclisti e autoblindo con compiti esplorativi a proprio vantaggio e con plotoni a utoportati rinforzati da autoblindo e controcarri com e robusti elementi di sicu rezza procedenti, con movimen to continuo od a sbalzi, su su ccessive posizioni impo rtanti. Nel secondo caso (situazione stabilizzata), il
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battaglione, che costituisce un fianco difensivo: schiera le compagnie autoportate e la compagnia armi di accompagnamento sulle posizioni indicate dal comandante della grande unità con il compito di arresto; tiene in riserva, per la reazione di movimento, le unità autoblindo e gli eventuali carri armati di rinforzo; impiega il plotone motociclisti, a seconda del terreno, per tenere un settore dello schieramento difensivo o per agire in cooperazione con le autoblindo o per pattugliare a ll 'esterno la posizione. Nella protezione del ripiegamento, sia c he si effettu i con una resistenza in posto ad oltranza, s ia con un'azione ritardatrice s u posizioni successive - la prima rappresenta il caso limite di una pressione nemica eccezionalmente forte, la seconda il caso normale - il battaglione opera secondo le stesse identiche modalità del reggimento di cavalleria blindata. Anche nelle azioni anliparacadutisti e di controguerriglia, che costituiscono i casi d'impiego più caratteris tici e più frequenti, il battaglione sviluppa le sue azioni nei modi del tutto uguali a quelli del reggimento di cavalleria, tanto che la circolare 1501 ripete ad litteram molti dei corrispondenti paragrafi della 1700, come fa anche per l'impiego del battaglione nell'area difesa, dove costi tuisce, con un'a liquota delle sue forze, posti di sbarramento sul tergo dell'area stessa e svolge pattugliamento sul davanti <li tali posti. Nel rastrellamento degli abitali - argomento trattato in allegato nella circolare 1700 - il battaglione mobile carabinie ri trova una delle sue forme particolari e caratteristiche d'impiego, sia che l'azione sia compresa nel quadru della controguerriglia, sia nel quadro tattico delle normali operazioni di gue rra. L'operazione, sempre lunga e spesso difficile, richiede una tecnica specifica ed un addestramento assai consolidato. Le operazioni contro un grosso centro abitato comprendono: il blocco dell'abitato all'esterno mediante posti fissi agli sbocchi principali e sorveglianza sul perimetro con nuclei motocorazzati percorrenti le vie di circonvallazione; la suddivisione dell'abitato in settori di rastrellam ento, nei quali le operazioni sono separatamente e coordinatamente sviluppate per l 'occupazione dei centri nevralgici e degli incroci stradali principali. Al battaglione viene di norma affidato un settore che il com andante del battaglione suddivide in sottosettori di compagn ia, in modo da affidare il rastrellamento di ogni strada principale ad un plotone autoportato (a piedi), rinforzato da autoblindo, mentre tiene a lla mano il plotone motociclisti e un'aliquota di autoblindo per poter intervenire nell'azione. Gli eventuali carri armati di rinforzo possono essere decentrati a i repa rti che eseguono il rastrellamento ov-
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vero tenuti riuniti alla mano del comandante del bauaglione. La progressione nell'interno del centro abitato è sviluppata lungo le arterie principali con appoggio di fuoco fisso (mitragliatrici), che domini la strada, e con appoggio di fuoco mobile (autoblindo e carri armati), che accompagni i reparti a piedi che avanzano tenendosi costantemente all'altezza delle autoblindo e de i carri e mantenendo sotto il fuoco finestre, portoni, tetti. Occorre che i reparti a piedi rastrellino accuratamente tutti gli edifici, che le mitragliatrici ingabbino con il fuoco le vie laterali non rastrellate da altro reparto per impedire al nemico di sfuggire, che si faccia largo impiego di nebbiogeni e che il comandante del battaglione abbia in mano una riserva di fuoco (mortai). Le barricate non vanno attaccate direttamente e, quando non è possibile aggirarle, devono esser e incendiate, annebbiate e tenute sotto il fuoco dai tetti degli edifici. Pe r cadere a tergo del difensore, può essere utilmente sfruttata la rete delle fognature e dei condotti sotterranei, i cui sbocchi devono essere sempre sorvegliati. li movimento nelle strada ed il rastrellamento degli edifici impongono l'adozione di tecniche particolari - indicate nella circolare 34 - che, a loro volta, richiedono un addestramento s pecifico cd una costante e vigile c ura pe r· sfruttare ogni situazione propizia e ogni appiglio tattico favorevole, atti a ridurre le p erdite ed a facilitare la progressione. Il rastrellamento di un piccolo cen tro può essere affidato per intero a l battaglione, il quale, circondato di sorpresa l 'abitato, disloca i gruppi mitragliatori motociclisti e le autoblindo in modo da sbarrare gli sbocchi e da dominare con il fuoco l'intero perimetro dell'abitato. Il battaglione opera, con le compagnie autoportate rinforzate con mitragliatrici e autoblindo o carri armati. il rastrellamento con inizio a cavallo dell'arteria principale e lo conduce sistematicamente di casa in casa. Il comandante de l battagl ione assegna i settori alle compagnie c urando che i limiti di questi non coincidano con le strade, le quali devono essere assegnate per intero ad uno stesso reparto, e tiene fu. ori de ll'abitato una riserva (motociclisti, autoblindo, mortai in postazione) per intervenire contro resistenze particolarmente ostinate o per reagire contro minacce provenienti dall'esterno. Lo sblocco di un itine rario ha lo scopo di rendere disponibile al traffico l' it ine ra rio stesso mediante l'eliminazione dell'avversa rio insediatovisi a cavalie re. Esso si concreta in un vero e proprio attacco. Il battaglione muove verso l'obiettivo con le misure di sicurezza, quando n ecessarie, e con un adeguato disposi t ivo esplorante; giunto a contatto con il ne mico, lo attacca tendendo all'accerchiamento da realizzare mediante il mas-
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simo fuoco possibile dei mortai, l'impegno frontale da parte degli elementi già in avanguardia e di una'aliquota del grosso, la manovra sulle ali da parte della restante aliquota del grosso, mentre gli elementi già in retroguardia costituiscono la riserva con la quale il comandante del battaglione può intervenire nell'azione. Lo sblocco di un presidio assediato non presenta caratteristiche molto diverse da quelle dello sblocco di una via di comunicazione, ma è un'operazione più complessa perché vi concorrono anche le forze assediate ed eventualmente altre colonne provenienti da altre direzioni. Ciò richiede, nel quadro superiore, un'accurata preparazione, una costante azione di coordinamento e di sicuro funzionamento dei collegamenti. Per il battaglione, l' azione si concreta in un attacco contro le posizioni dell 'avversario che assedia il presidio. Cura particolare va rivolta alla riserva da tenere pronta per agire contro la reazione di movimento avversaria. In definitiva il battaglione mobile carabinieri è una minore unità dotata di un buon grado di mobilità e di una sufficiente potenza di fuoco, impiegabile in molti compiti delicati e importanti, ma scarsamente idonea, come del resto lo s tesso reggimento di cavalleria blindata, ad adempiere a lungo compiti statici. Costituisce, per contro, un elemento prezioso di manovra, la cui capacità operativa trova grande incremento nella forza spirituale delle tradizioni dell'arma dei carabinieri, r ifulsa in tante vicende passate, e nell'essere costituito da personale scelto ed a lunga ferma, fattori entrambi particolarmente rilevanti in una unità destina ta a fronteggiare situazioni tattiche particolarmente difficili e delicate, nelle quali l'uomo, il singolo soldato, deve sapere esprimere capacità d'inizia tiva ed intuito ta ttico non comuni, acquisibili solo mediante una la rga ed accurata preparazione professionale. Visto in tale quadro; il battaglione mobile carabinieri diventa, nelle mani del com andante della grande unità che deve impiegarlo, una unità altamente m anovriera, malgrado le pesanti limitazioni di cui soffre, il cui apporto alla manovra offensiva o difensiva di una grande unità va al di là de l valore della consistenza in uomini, a rmi e mezzi espressa d a lle tabelle organiche.
9. Le pubbli cazioni riassunte ed esaminate in questo e nel precetlente capitolo costituirono indubitabilmente gli a nelli princ ipa li della catena dottrinale ricostruita nel primo decennio pos tbellico.
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Esse non furono le sole, giacché anche nel campo dell'impiego e della tecnica d'impiego ve ne furono altre non meno importanti, quali: la circolare n° 7500 del 12 giugno 1952 Servizio aereo di artiglieria. Il reparto di aviazione leggera per l'artiglieria 34bis; la circolare 8100 del 13 ottobre 1951; la circolare Impiego del genio pionieri divisionale e organizzazione dei lavori nella divisione di fanteria 35; la circolare 8400 del 13 gennaio 1954 Schieramento e superamento dei campi minati 36. Nelle due ultime vennero indicati rispettivamente i criteri d'impiego dei pionieri del genio divisionale, i loro compiti e le loro attribuzioni neile azioni di combattimento e nei lavori veri e propri, il quadro organico e riassuntivo dello schieramento e del superamento dei campi minati, precisando· nei particola ri gli aspetti tecnico-tattici fondamentali delle due operazioni. La materia dei collegamenti venne regolamentata dalla circolare n° 9000 del 15 maggio 1952 Norme sull'organizzazione e impiego dei collegamenti nelle Grandi Uni tà operanti 37 e nella pubblicazione n° 9100 del 26 settembre 1952 Norme sull'organizzazione e funzionamento dei centri di collegamento 38, La circolare 8100 abrogò e sostituì la pubblicazione Memoria sull'organizzazione e sull'azione del genio in guerra del 1935 e la circolare 9100 1' Istruzione provvisoria sull'impianto e fun zionamento del centro collegamenti edita nel marzo 1946. Un settore nel quale fu subito necessario intervenire in seguito alla profonda trasformazione operatavi dalla guerra fu anche quello della logistica, giacché, se tale problema conservava inalterati i suoi fondamenti principali, gli accresciuti bisogni quantitativi e qualitativi dei rifornimenti e degli sgomberi e la maggiore aderenza dei servizi alle unità fino a que ll e minori imponevano la revisione generale della intera organizzazione logistica e l'adozione su vasta scala di mezzi moderni e di procedure snelle e tempestive per dare concretezza all'affermazione che la battaglia va vinta anzitutto sul piano logistico, non solo la battaglia e la manovra strategica e tattica, ma anche il combattimento delle unità fondamentali ed elementari. Lo stato maggiore dell'esercito, in attesa di compiere il processo di revisione generale, diramò la circolare 6000/Serv. Memoria orientativa sull 'o rganizzazione e fun zionamento dei servizi 39, la cui novità più importante fu il nuovo sistema regolatore della corrente logistica. L'intendenza di armata restava la fonte preminente e propulsiva dell 'organizzazione e del funzionamento dei servizi a favore delle grandi unità operanti. Le divisioni e le brigate assumevano, ciascuna, una nuova propria individualità logistica, mentre il corpo di armata, diversamente da
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quanto previsto nella regolamentazione prebellica, non costituiva più, di norma, anello di congiunzione logistica tra l'armata e le divisioni e le brigate. La funzione logistica del corpo d'armata veniva limitata ai rifornimenti delle truppe e dei servizi direttamente dipendenti. Il conferimento di un'adeguata autonomia logistica alle grandi unità elementari a costituzione organica fissa e l'assegnazione a queste di organi e di mezzi propri per l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi - non più limitati, come nel passato, ai pochi elementi del servizio sanitario, di vettovagliamento e di rifornimento delle munizioni e dei carburanti, ma esteso a tutti gli elementi necessari ai trasporti, ai rifornimenti immediati di tutti i materiali, alle riparazioni, agli sgomberi mediante la costituzione di parchi mobili, di officine mobili, di reparti trasporti, di compagnie servizi - garantivano quella ade renza, continuità e tempestività di rifornimenti e degli sgomberi che troppe volte in guerra erano mancate. La circolare ammetteva - per motivi di opportunità e di economia -
che l 'organizzazione logistica, anziché
per armata, potesse venire realizzata per scacchiere operativo, che era quella che trovava g ià una c erta corrispondenza con que lla di fronti e ra, appoggiata preminentemente agli organi logistici territoriali o preordinati in funzione di soste gno delle grandi unità operanti . Il nuovo schema di organizzazione - scacchiere o armata, grandi unità elementari, minori unità operative - distingueva la zona territoriale, la zona dei servizi di armata, la zona dei servizi di corpo d'armata, la zona dei servizi divisionali o di brigata, la quale ultima si saldava con lo schieramento operativo delle unità di primo scaglione, nel cui margine posteriore di schieramento gravitavano i servizi delle minori unità e gli automezzi dello sca glione di combattimento. Non meno intenso, rapido e tempestivo fu il lavoro di aggiornamento e di completamento, compiuto dagli ispettorati di arma e dagli altri organi tecnico-amministrativi centrali, riguardante le istruzioni tecniche 40 sull'impiego delle armi e dei mezzi americani di nuova dotazione e le norme procedurali 41, di caratte re nazionale e soprattutto quelle unifica te N.A.T.0., indispensabili queste ultime per garantire le modalità di coordinamento e di cooperazione nell'ambito dei comandi integrati e delle unità di nazioni dive rse chiamate ad operare congiuntamente nel campo tattico, in particolare nel quadro della cooperazione aeroterrestre. Ebbe, infatti, inizio in quegli anni il lavoro di standardizzazione delle procedure operative e tecniche, realizzato attraverso un apposito organismo
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permanente N .A.T.O. o attraverso organi r egionali, riguardanti le nuove armi, i nuovi mezzi e i nuovi materiali, quando non anche, limitatamente a qualche gruppo ris tretto di n azioni ed eserciti, i criteri della grande tattica. Il lavoro di aggiornamento e di completamento della regolame ntazio ne abbracciò anche tutti i settori tradizionali di carattere tecnico-amminis trativo relativi al persona le 42, ai nomenclatori 43, ai cataloghi de i materiali de l gruppo «C »44, alle tavole di tiro ed a i libretti e fogli di tiro45, ai servizi 46, alle norme a mministrative di carattere vario 47, Il settore dove s i verificarono grandi innovazioni, ris petto al passato, oltre que lli d ottrina le e o rdinativo, fu il settore dell'addestram en to, la cui organizzazione ed il cui sviluppo erano stati regolati, fin dal 1946, sulla base della suddivisione dell'intera attività in tre cicli 1°, 2° e 3° ciclo - con programm azione permanente centrali zzata i primi due, secondo direttive ann ua li, fissate di voi ta in voi ta dallo stato m aggiore dell 'eser cito, il terzo. Il corso annuale di addestrame nto s uddiviso in tre cicli, ciascuno de lla durata di un quadrimest re, ebbe carattere uniforme nei tre quadrimestri st essi. Il primo ciclo compr endeva l'addestramento pre lim inare, avanzato e di specializzazione del contingente di leva, aveva carattere individuale, s i proponeva di dare a tutti una base comune, si sviluppava inizialmente presso i C.A.R. e si differenziava in un secondo tempo, a seconda degli incarichi di destinazione, presso gli stessi C.A.R., le sc uole e i corpi. TI secondo ciclo verteva sull'addestramento fondamenta le d elle unità elementari, tendeva a perfeziona re e completare l'addestramento di squa dra impostato presso i C.A.R., a sviluppare l'add estramento di plotone, a formare i graduati, ad affina r e la preparazione degli specia lizzati e si conc ludeva in esercitazioni d 'insiem e di plotone. Il terzo c;cio riguardava il perfezionamento dell 'add estramento dei quadri e delle truppe e si protraeva per più di un q u adrimestre e cioè pe r tutto il restante periodo della fe rma di leva. La direttiva a nnuale d el capo di s tato maggio re de ll 'esercit o, ela bora ta anche sulla base delle relazioni compila te d a i comandanti da lle singole unità circa i risultati raggiunti nell'anno precedente, d ava il là a tutta l'attività a ddestrativa annuale , dell a qua le indicava a grandi linee i modi ed i tempi di sviluppo da seguire n elle eser citazio ni, i temi e gli aspetti d a cura re particolarmente n ell'a nno e gli accorgimenti psicologici e didattici per tra rre da lle va rie attività il massimo del rendimento. Programmi cent ralizzati e direttive annua li 48, in uno con le a lt re pubb licazioni a ddestrative di carattere permanente 49, valsero gradatamente a conferire all'at-
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tività addestrativa quella preminenza assoluta, sempre riconosciuta sulla carta anche nel passato, mai, o quasi, realizzata per un cumulo di motivi vari che non avevano mai consentito di fare confluire tutte le energie, le capacità professionali e organizzative dei quadri nell'attività principale del tempo di pace, la quale è appunto quella di attendere all'addestramento, mentre tutte le altre attività che si esplicano fuori di tale sfera non possono non essere che accessorie, contingenti, eccezionali, a meno di non s naturare la funzione dell'esercito, di non tradirne lo scopo istituzionale, di non sperperare tempo e mezzi che la nazione sottrae alle altre attività sociali civili. La ricostruzione addestrativa - in verità si trattò di una vera e propria nuova costruzione ex fundamentis - fu, delle opere compiute in quegli anni dallo stato maggiore dell'esercito, una delle più importanti, decisive ed incisive, in quanto valse a formare una mentalità del tutto nuova nei quadri ed a mettere in essere un'organizzazione ed un metodo addestrativi senza precedenti nella storia dell'esercito italiano. A ciò giovarono non poco l'ispirazione e l'esperienza dell'esercito britannico - non si può non ricordarlo ancora una volta - ma il merito maggiore delle eccellenti realizzazioni perseguite nel settore addestrativo fu proprio di tutti i capi di stato maggiore dell'esercito di quegli a nni e dei loro s ta ti maggiori che, in otto anni, dal 1946 al 1954, nel celere ritmo della ricostruzione, dedicarono al problema addestrativo, pur dibattendosi nelle note ristrettezze di varia natura, la massima c ura possibile e la massima di tutte le precedenze.
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NOTE AL CAPITOLO LII 1 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 1000 Norme per l'addestramento individuale. Roma, 2 febbraio 1952. La pubblicazione, formato 20,5 X 14,5, approvata dal generale Cappa, è articolata in: p remessa; parte prima Norme che og11i soldato deve conv scere per muovere e agire sul campo di battaglia; parte seconda Cenni sul m etodo e sui procedimenti di azione; appendice. Consta: di 198 pagine, 343 paragrafi (esclusi i 7 piani di lezione non s uddivisi in paragrafi), di una pubblicazione aggiuntiva di 328 pagine contenente figure illustrative. La. parte prima comprende: generali1à; doveri del combattente; capo I Utilizzazione dell'ambiente (generalità; mascheramenlo individuale; tecnica del mascheramento individuale; mascheramento di giorno, mascheramento di notte; movimento: tecnica del movimento, movimento di giorno, passo della scimmia, del leopardo, rotolamento, movimento a sbalzi, movimento di notte, passo del fantasma, del gatto, <lei gattino; sfruttamento del terreno: di giorno, di notte); capo II Passaggio di ostacoli passivi (generalità; tecnica del passaggio di alcuni ostacoli di giorno: passaggio di ostacoli di notte; tecnica del passaggio di alcuni ostacoli di notte); capo III Osservazione (generalità; apprezzamento e nomendatura del terreno; scelta <li un posto di osservazione di giorno; scelta di un pos to di osservazione di notte; osservazione del terreno di g iorno; osservazione del terreno di notte; uso della vista ; uso dell'udito; indizi che rivelano la presenza del nemico e accorgimenti che l'osservatore può usare; uso elementare del binocolo; modalità per l'indicazione di un obiettivo individuato: di giorno, di notte); capo IV Stima delle distanze (stima a vista: stima con l'udito; grafici delle distanze; altre stime utili); capo V Orientamento (generalità; metodi di orientamento di giorno; metodi di orientamento di notte; orientamento d'inverno); capo VI Uso della carta topografica (generalità; orientamento della carta topografica con la bussola, senza bussola; orientamento approssimativo della carta topografica col sole; orientamento de lla carta topog rafica di notte); capo VII Scelta di un itinerario - Mantenimento di una direzione di movimento Riconoscimento di un itinerario già percorso - Previsioni del tempo (scelta di un itinerario; mantenimento di una direzione di movimento; uso della bussola goniometrica; determinazione dell'angolo di marcia; marcia in una determinata direzione; determinazione della direzione opposta a quella di marcia; uso della carta topografica o di uno schizzo planimetrico o di una fotografia aerea planimetrica; sfruttamento dell'orientamento col sole , con le stelle e con la luna; utilizzazione dei punti di riferimento; riconoscimento di un itinerario già percorso; cenni sulle previs ioni del tempo); capo Vlll Impiego delle armi individuali (generalità; impiego del fucile e moschetto automatico, della bomba a mano, de lla bomba a mano controcarri; come e quando far fuoco di notte; armi silenziose); capo IX Cope rtura del fuoco (generalità e protezione dei vari ripari; sfruttamento dei ripari; uso degli attrezzi leggeri; tipi di appostamenti e di postazioni; comportamento in difesa e in attacco); Capo X Mine e campi minati (tipi di mine; rimozione; posa); capo XI Servizio informazioni Prigionieri - Tutela del segreto militare (raccolta di informazioni; cattura dei prigionieri; comportamento del militare prigioniero; tute la del segreto militare);
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capo XII Staffette (equipaggiamento e addestramento delle staffette; impiego delle staffette); capo XIII Segnali (segnali con la mano, col fucile, col fischietto); capo XIV Difesa chimica (tipi di aggressivi; protezione con la maschera; protezione improvvisata con materiale deteriorato; protezione improvvisata con materiale di circostanza); capo XV Norme di azione e misure di pronto soccorso (norme igieniche; misure di pronto soccorso; uso del pacchetto di medicazione; ferite; annegamenti; asfissia; assideramento; congelamento; bolle; bruciature; fratture; morso di vipera; come si trasporla un malato o un ferito). La seconda parte comprende: premessa fondamentale; cenni sul metodo; procedimenti d'istruzione; cenni sul personale; impiego dei mezzi e del tempo; località d'istruzione; controllo delle istruzioni; rapporto istruttori; progressione delle istruzioni; i films a completamento dell'addestramento; ore a disposizione; piano di lezione. L'appendice alla parte IP contiene le tracce dei piani di lezione riguardanti: il mascheramento individuale; il movimento notturno, lo sfruttamento del terreno di giorno, l'osservazione di giorno, l'osservazione e l'ascolto di notte, la scelta di un itinerario, i tiri sui bersagli mobili. 2 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio operazioni e addestramento. Sezione regolamenti. Il metodo nell'addestramento militare. 1st. Poligr. dello Stato, Roma, 1947. La pubblicazione, formato 18 X 12, venne diramata in data 23 aprile 1947, con l'app1·uvazione del generale Manas. Comprende: un testo, 3 allegati. Il testo è così articolato: Ti metodo nell'addestramento militare (premessa); Il metodo (generalità); L 'addestramento militare; li concorso dei sensi nell'addestramento militare; Elementi che concorrono allo svolgimento di un e fficace addestramento: la memoria, l'attenzione, la valutazione degli argomenti, lo stimolo dell'interesse, l'interrogazione, gli aiuti visivi, gli impianti e ì materiali didattici, il controllo dei risultati; li piano di leziune nell'addestramento militare; Svolgimento dell'istruzione; I films a complemento dell 'addestramento militare; Valutazione dell'istruzione. Gli allegati riguardano: I esempio del piano di lezione; II decalogo dell'istru zione; Hl modulo valutazione istruzioni. 3 Vds. Vol. I, Cap. VIII, nota 20. 4 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 2000 del 6 luglio 1947 Le pattuglie. La pubblicazione, formato 18 X 11,5, approvata dal generale Marras, comprende: generalità; azione delle pattuglie: di ricognizione, dì collegamento, di sicurezza, di combattimento; addestramento all'impiego d elle pattuglie; allegato: esempio di ordine reggimentale per pattuglie. Consta di 37 pagine, 35 paragrafi. s Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio Addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 2 100 del 6 dicembre 1947 La squadra fu cilieri. La pubblicazione, formato 18 X 12, approvata dal generale Marras, si divide in due parti e allegali. La prima parte riguarda l'impiego, la seconda l'addestramento. La prima parte comprende: generalità; avvicinamento; a11acco: impiego normale (avanzata per l'assalto, assalto, consolidamento); impiego eccezionale: costituzione di base di fuoco; altri aspetti dell 'azione della squadra fucilieri nel quadro del plotone; la squa dra fucilieri isolala nell'attacco; cooperazione con i carri armati; difesa: impiego in zona di sicurezza: il posto di osservazione e allarme; impiego nella posizione di r~sistenza: il centro di fuoco. La seconda parie comprende: generalità; addestramento del comandante della squadra; addestramento della squadra: avvicinamento, attacco, difesa. Allegali: 1 La squadra fucilieri. 2 Sicurezza in stazione. 3 Pattuglie di sicurezza. Consta di 79 pagine, 104 paragrafi.
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6 Armamento della squadra: fucile mitragliatore Bren Mark I, Mark II, inglese, cal. 7,7 mm, ripetizione automatica e semiautomatica a sottrazione di gas, V m/s 750, gittata d'impiego 400+ 500 m, celerità di tiro pratica dm 112, peso all'impiego con bipiede kg 10,320; fucile Enfield 1, 4, 3: ca!. 7.7 mm, a ripetizione ordinaria, V m/s 744, gittata d'impiego 300+ 400 m, celerità di tiro dm 10-15, peso all'impiego 4,100 + 4,300 kg; moschetto automatico mod. 4, mod. 38/A, 38/42, 38/44: cal. 8,8 mm, a ripetizione semiautomatica ed automatica, ad utilizzazione diretta forza rinculo (canna fissa, otturatore rinculante), V m/s 430+418, gittata d'impiego 100 m, celerità di tiro pratica c/m 100, peso all'impiego 4+3,300 kg secondo i modelli; pistola mod. 34: cal. 9 mm, semiautomatica, caricatore di 7 colpi, gittata d'impiego 20 m, celerità di tiro pratica c/m 28, peso all'impiego (carica) O,730 kg. 7 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Uffucio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n ° 2200 del 25 dicembre 1948, Il plotone fucilieri. La pubblicazione, formato 18 X 12, approvata dal generale Marras, consta di 157 pagine, 213 paragrafi, 4 allegati ed è divisa in due parti: la prima tratta dell'Impiego, la seconda dell'Addestramento. La prima parte comprende: generalità; avvicinamento (il plotone fucilieri isolato nell'avvicinamento); attacco: 1 spiegamento, 2 avanzata per l'assalto, 3 assalto; il plotone nell'attacco in cooperazione con cari armati; il plotone nell'attacco di poshioni fortt-mente organizzale; il plotone nell'attacco contro case isolate sistemate a difesa; 4 consolidamento e prosecuzione dell'attacco (azioni particolari del plotone nel quadro della compagnia: 1 azioni di fuoco contro resistenze impreviste o attacchi improvvisi, 2 protezione sulla fronte e sui fianchi, 3 impiego del plotone di rincalzo): il plotone fucilieri isolato ne ll 'attacco e nel rastrellamento (rastrellamento di abitati, rastrellamento di boschi); difesa: impiego in zona di sicurezza: l'azione ritardatrice (posti di osservazione e a llarme, posto di sbarramento); 2 l'azione di arresto: posto scoglio, impiego nella posizione di resistenza: il centro di resistenza, il plotone di rincalzo, il caposaldo di plotone in montagna, il ripiegamento, impiego sul tergo dell'area difesa. La seconda parte comprende: generalità; addestramento del comandante di plotone: avvicinamento, attacco, difesa. Allegati: 1 Il plotone fucilieri. 2 Fiancheggiamento (sicurezza in marcia). 3. Posti di sbarramento (sicurezza in stazione) 4. Punta di sicurezza (sicurezza in marcia). 8 Organico del plotone: comandante di plotone armato di moschetto automatico; staffella armata di moschello automatico; 3 squadre fucilieri ciascuna su: comandante armato di moschetto automatico, 1 gruppo mitragliatori (vice-comandante di squadra armato di fucile, porta arma armato di fucile mitragliatore e pistola, 2 portamunizioni armati di fucile), l gruppo assaltatori (5 fanti di cui 2 armati di moschetto automatico e 3 armati provvisoriamente di fucile da sostituire appena possibile con il moschetto automatico); 1 squadra armi leggere: 1 gruppo mitragliatori (1 porta arma armato di fucile mitragliatore e pistola, 2 porta munizioni armati di fucile), 1 gruppo mortaio leggero ( 1 porta arma armato di mortaio leggero e pistola, 2 porta munizioni armati di fucile), 1 gruppo lanciabombe controcarri (1 porta arma armato di lanciabombe e di pistola, 1 portamunizioni). Totale del personale: 1 ufficiale, 4 sottufficiali, 35 tra graduati e fanti; totale dell'armamento: 4 fucili mitragliatori , 21 moschetti automatici, 14 fucili , 6 pistole, 1 mortaio leggero, 1 lanciabombe controcarri. Caratteristiche del mortaio leggero: mortaio da 45 Brixia mod. 35: ca!. 45 mm, ad anima liscia, a tiro curvo e teso, a carica fissa; V m/s 83 a valvola chiusa 59 a valvola aperta; gittata d'impiego 300 m a tiro curvo, 500 m a tiro teso: celerità di tiro fino a 25 colpi al minuto; peso all'impiego: arma 6,200 kg, affusto 9,300 Kg, totale 15,500 Kg.
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Caratteristiche del lanciabombe controcarri per fanterie P.I.A.T. (inglese): cal ibro 87 mm; bomba, funzionamento a lancio, senza canna; caricamento singolo; V s/m 90 circa; gittata d 'impiego 100 m a t iro teso, 320 ma tiro curvo; HEAT a carica cava: cele rità di tiro pratica c/m fino a 10; peso all'impiego 15,650 Kg. 9 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Ci rcolare 2300 del I settembre 1949 Lineamenti d'impiego della compagnia fucilieri. La pubblicazione, formato 18 X 11,8, approvata dal generale Marras, consta d i 54 pagine, 72 paragrafi e si articola come segue: Generalità; Avvicinamento; Attacco (generalità; o rganizzazione dell 'attacco; esecuzione dell'attacco; penetrazio ne; consolidamento; attacco della compagnia rinforzata da carri armati; attacco notturno; compagnia di r incalzo): Difesa (difesa del settore di un caposaldo di battaglione; organizzazione de lla difesa: condotta della difesa; compagnia di rincalzo; caposaldo d i compagnia). Organico della compagnia fucilieri anno 1955: 1 plotone comando (squadra comando, squadra pionieri, squadra rifornitori, squadra servizi), 3 plotoni fucilieri (3 squadre fucilieri e 1 squadra armi leggere ciascuno), plo tone a rmi di compagnia (squadra mortai leggeri, squadra mitraglicri, nucleo mitragliatrice contraerei, squadra cannoni senza rinculo); totale: 6 ufficiali, 15 sottufficiali, 192 militari di truppa, 40 pistole, 75 moschP.lli automatici, 98 fucili. 14 fuci li mitragliatori, 3 mortai leggeri, 4 lanciarazzi conlrocarri, 3 mitraglia trici, I mitragliatrice contraerei, 3 cannoni sen za rinc ulo da 57, 2 motocidi, 4 automezzi, 4 carrette cingolate o AR/51. Organico della compagnia alpini anno 1956: I plotone comando (squadra comando, squadra trasmissioni, squadra pionieri, squadra servizi), 3 plotoni fucilieri (3 squadre fucilieri e l sq uadra armi leggere ciascuno), I plotone anni di compagnia (1 squadra mortai leggeri, 3 squadre mitraglieri, 1 squadra cannoni senza rinculo, I nucleo mi tragliatrice contraerei); in tutto: 7 ufficiali, 17 sottufficiali, 259 militari di truppa, 48 pistole, 16 moschetti a utomatici, 19 car abine semiautomatiche, 19 carabine automatiche, 3 fuci li per tira tori scelti , 9 trombonc ini, 118 fucili, 14 fucili mitragliatori, 3 mortai leggeri, 4 lanciarazzi controcarri, 3 mitraglia trici, I mitragliatrice contraerei, 3 cannoni da 57 s.r.. 18 muli, l motociclo, 5 vettu re da ricognizione con rimorchi, 2 a utomezzi, 2 r imorchi da 1 t, 22 stazioni radio. Organico della compagnia bersaglieri anno 1955: I plotone comando, 3 plotoni bersa glieri, I plotom:: anni d i ..:0111pagnia. li plotone bersaglieri su: 2 squadre fucilieri e 1 squadra armi leggere; o gni squadra fucilieri s u: 2 fuci li mitraglia tori, la squadra armi leggere s u: 1 fucile mi tragliatore e 2 bazooka. Totale della compagnia: 4 ufficiali, 14 sottufficiali, 143 militari di truppa, 44 pistole, 58 moschetti a u tomatic i, 64 fucili, 17 fuc ili mitraglia tori, 3 m ortai leggeri, 8 lanciarazzi controcarri, 8 mitragliatrici, I mitragliatrice contraerei, 2 motocicli , 4 automezzi, 10 mezzi semicingolati, 8 carrelle cingolate. Caratteristiche dell'armamen to: mitragliatrice FTA T mod. 35: cal. 8, ripetizione automatica e semia utoma tica, a utilizzazione di rella della forza di rinculo, caricatore a nastro di 50 clementi scomponibili, a lzo a ritto con cursore, V m/s 750, g ittata d 'impiego 800-1000 m, celerità di tiro pratica c/m 250 + 350, peso all'impiego (arma 17,800 kg, tre ppiede 22,900 Kg) 40,700 Kg; mitragliatrice B reda 37: cal. 8, ripetizione automatica e utili zzazione indiret ta forLa di rinculo, caricatore a piastrina di 20 cartucce disposto latera lmente, a lzo a ritto con cursore, V m/s 780, gittata d'impiego 800+ 1000 m, celerità di tiro rapida c/m 200 + 250, peso a ll'impiego (anna 19,400 Kg, t reppiede 18,800 kg) 38,200 Kg; mitragliatrice ca[. 12.7 (Browning) americana, Heavy
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machine gun cal. 50 HB M2, ca!. 12,7, ripetizione automatica o semiautomatica a d utilizzazione diretta forza di rinculo, caricatore a nastro metallico di elementi scomponibili , capacità variabile, alzo a ritto con cursore (tacca di mira circolare sino a 2600 yards), V m/s 900, gittata d'impiego 800-,-1000 m , celerità di tiro pratica c/m 400 -,- 500, peso all'impiego (arma 38,000 Kg, treppiede M3 21,200 Kg) 59,200 Kg o con treppiede Ml contraerei 61,000 Kg; mortaio da 60 americano 60 mm Mortar M2: ca!. 60 mm, ad avancarica, ad anima li scia, a Li ro curvo, con percussore fisso, caricamento singolo, congegno di puntamento a collimatore con settore di d irezione di 300°, V m/s 52-,-158, gittata d'impiego 200 -;- 1710 m, munizionamento alto esplosivo (HE), nebbiogeno-incendiario (WP), illuminante, 4 cariche aggiuntive, celerità di tiro pratica dm fino a 35, peso all'impiego (arma 5,800 Kg, affusto 7,400 kg, post. 5,800 Kg) 19,000 Kg; lanciarazzi da 6() Bazooka-M9-M9 Al (acciaio), Ml8 (alluminio), americano, 36 Launcher: ca!. 60 mm, caricamento posteriore, ad anima liscia, a tubo aperto, propulsione a razzo, caricamento singolo, puntamento ad asta pieghevole od ottico con collimatore ottico, V m/s 79,5 o 82,5 o 79,S o 82,5, gittata d'impiego 100 m, razzi HEAT a carica cava e nebbiogeni WP, peso 1,540 Kg, peso all'impiego 7,190 Kg o 4,670 Kg; lanciarazzi da 88 Bazooka - M20 - M209 81 (alluminio), americano, 3,5 in La uncher, cal. 88 mm., a caricamento posteriore, ad anima liscia, a tubo aperto, propulsione a razzo, caricamento singolo, collimatore ottico, V m/s 100-102, g illata d'impiego 100-150 m , razzi HEAT a carica 1.:ava, peso 4 Kg, celerità di tiro pratica c/m 4, peso all'impiego 6,800 Kg o 6,350 Kg; cannone da 57 senza rinculo (su bipiede o su treppiede), americano, 57 Rifle MI8, ca!. 57 mm, a retrocarica (caricatore a vitone con due augeli per la fuoriuscita dei gas, su treppied e della mitragliatrice Browning 7,62), caricamento singolo, alzo ottico M86 L cd a lzo a linea di mira naturale, V m/s 365, gillata d'impiego 5000 m (e.e.) e 3900 m (accompagnamento), cartoccio granata HE, HEAT, WP, celerità di tiro pratica c/m 6-;-8, peso all'impiego su bipiede 20,150 Kg su treppiede 42,550 Kg. 10 Minis tero della difesa. Stato maggiore d ell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare 2400 d el I luglio 1950 Lineamenti d 'impiego del bauag/ione di fanteria . La pubblicazione, formato 18 X 11,8, approvata d a l generale Ma rras, consta di 97 pag ine, 143 paragrafi, e s i articola come segue: Premessa; Aspelli del com.battimento moderno; Impiego del battaglione - generalità; Avvicinamento (avang uardia; base di partenza per l'attacco); Attacco (generalità; concezio ne dell'attacco; organizzazione dell 'attacco; esecuzione dell'attacco; penetrazione; consolidamento; attacco del battaglione rinforzato da carri armati; attacco notturno; battaglione di secondo scaglione); Difesa (battaglione a difesa di un caposa ldo; concezione della difesa; organizzazione della difesa; condotta della difesa; battaglione in riserva divisionale; ripiegamento); Sicurez za in sosta; Coopera zione dell'artiglieria; Cooperazione dell 'aviazione; Collegamenti; Organizzazione e funzionamento dei servizi. Allegati: 1. Schema costituzione gruppi «R» (ricognizione) e «O» (ordini). 2. Schema orientativo di un tipo di rete dei collegamenti radio del battaglione in attacco 3. Schema orientativo di un tipo di rete di collegamenti radio del battaglione in difesa. Schizzo schematico di un caposaldo di battaglione. Organico del battaglione di fanteria 1955: I compagnia comando, 3 compagn ie fucilieri, I compagnia a rmi di accompagnamento (plotone comando, plotone mitraglieri, 3 plotoni mortai da 81, 1 plotone cannoni da 75/22 senza rinculo); totale: 38 ufficiali, 81 sottufficiali, 934 militari di truppa, 210 pistole, 288 moschetti automatici, 548 fuc ili, 7 fucili per tiratori scelti, 51 fucili mitragliatori, 10 mitragliatrici,
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7 mitragliatrici contraerei, 9 mortai leggeri da 60, 9 mortai da 81, 18 lanciarazzi controcarri, 9 cannoni senza rinculo da 57, 4 cannoni senza rinculo da 75, 13 motocicli, 47 automezzi, 35 carrette cingolate o AR/51, 16 rimorchi. Organico ballaglione alpini 1956: 1 compagnia comando (1 plotone comando, I plotone trasmissioni, 1 plotone esploratori, 1 plotone pionieri, 1 plotone cannoni senza rinculo, I autosezione mista, salmerie), 3 compagnie alpini, 1 compagnia mortai da 81 (l plotone comando su: squadra comando, squadra trasmissioni, squadra servizi; 3 plotoni mortai da 81; salmerie) con un totale di: 40 ufficiali, 94 sottufficiali, 1129 militari di truppa, 226 pistole, 157 moschetti automatici, 96 carabine semiautomatiche, 201 carabine automatiche, 9 fucili per tira tori scelti, 27 tromboncini controcarri, 588 fucili. 48 fu cili mitragliatori, 9 mitragliatrici, 7 mitragliatrici contraerei, 15 lanciarazzi controcarri, 15 mortai lt:ggeri,'9 mortai da 81, 9 cannoni senza rinculo da 57, 4 cannoni senza rinculo da 75, 96 muli, 11 motocicli, 36 automezzi, 36 vetture da ricognizione e rimorchi da 1/4 t, 18 rimorchi da I t, 86 stazioni radio, 2 centralini, 20 telefoni. Organico del battaglione bersaglieri 1955: l compagnia comando, 3 compagnie bersaglieri, 1 compagnia armi accompagnamento per un totale di: 32 ufficiali, 70 sottufficia li, 630 militari di truppa, 151 pisto le, 242 moschetti automatici, 348 fucili, 59 fucili mitrag liatori, 13 mortai leggeri, 28 lanciarazzi controcarri, 12 mitragliatrici, 3 mitragliatdci contraerei, 8 mortai da 81, 4 cannoni da 57/50, 17 motocicli. 40 au tomezzi, 30 semicingolati, 40 carrette cingolate. Caratteristiche dell'armamento: mortaio da 81 mod. 35 cal. 81 , ad avancarica, ad anima liscia con percussore fi sso, caricamento singolo, puntamento a cannocchiale panoramico con piatti di parallelismo e di direzione, V m/s 71,247 (bomba ghisa acciaiosa) e 41-137 (bomba grande capacità), gittata d'impiego 250-4000 m (ghisa acciaiosa), 6825 m (grande capacità), munizionamento: ghisa acciaiosa, grande capacità, nebbiogena, numero cariche aggiuntive 6 (ghisa acciaiosa) 4 (grande capacità), celerità di tiro pratica fino a 30 colpi, peso all'impiego 58,400 Kg (20,400 Kg tubo, 20,000 Kg piastra, 18,000 Kg bipiede); cannone da 75 senza rinculo (su treppiede), americano, 75 mm, Rifle M20, ca!. 75, a retrocarica, anima rigata, otturatore a vitone con ugelli di fuoriuscita gas, treppiede della mitragliatrice Browning cal. 7,62, caricamento singolo, puntamento a cannocchiale panoramico M34 o ad alzo ottico M85 e con gradazione sul reticolo, V m/s 300+ 305, g ittata d' impiego 700 m (contro-carri) 5000 m (accompagnamento), cartuccia granala HE, HEAT, WP, celerità di tiro pratica dm 6 + 8, peso a li 'impiego con treppiede e accessori 77 Kg; cannone da 57/70 MI americano, 57 mm Ml cal. 57, semiautomatico, caricamento singolo, alzo M24 o M24 Al per cannocchiale (V m/s 900), alzo M63 per cannocchiale M69C (V m/s 823), gillata d'impiego e.e. 800 + 1000 m, cartoccio granata HE, AP, A.P.C., celerità di tiro pratica dm 12, peso all'impiego 1224 Kg; cannone da 57/50 mod. IV, inglese, 61 b, ca!. 57, semiautomatico, caricamento singolo, alzo mod. I per cannocchiale del n° 226 o del n° 22D mod. I, V m/s 891 (A.P.) 1173 (A.P.D.S.), gittata d'impiego e.e. 800 + 1000 m, cartoccio granata HE, AP, APDS (SAB01), celerità di tiro pratica d m 12, peso all'impiego 1117 Kg. 11 Scaglione« F »: mezzi impiegabili per il combattimento e durante esso (carrette cingolate per il trasporto di armi, jeep portaferiti, trattori per il traino pezzi); scaglione «A•: aliquota di mezzi indispensabili per i rifornimenti essenziali (cucine, aliquota munizioni e carburant i, prime riserve logistiche delle compagnie e del battaglione); scaglione «B »: tutti i rimanenti mezzi delle compagnie, del battaglione e del reggimento di non immediato interesse (zaini individuali, se<.:onda aliquota di munizioni e di carburanti, impedimenta, riserve log istiche, ecc.).
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Organici del comando di reggimento e delle unità reggimentali. R EGGIMENcompagnia comando di reggimento (plotone comando, plotone trasmissioni, autosezione mista, officina leggera): ufficiali 20, sottufficiali 34, truppa 180, pistole 39, moschetti automatici 28, fucili 167, lanciarazzi 2, mitragliatrici contraerei 3, fucili mitragliatori 1, motocicli 6, automezzi 36, rimorchi 9; compagnia mortai da 107: ufficiali 7, sottufficiali 12, militari di truppa 127, pistole 42, moschetti aùtomatici 13, fucili 89, fucili mitragliatori 5, lanciarazzi controcarri 2, mortai da 107 6, mitragliatrici contraerei 2, motocicli 2, automezzi 17, AR/5 I 6, rimorchi 6; compagnia controcarri: ufficiali 5, sottufficiali 8, militari di truppa 89, pistole 7, mosche tti automatici 27, fucili 68, fucili mitragliatori 4, lanciarazzi controcarri 6, cannoni controcarri 6, motocicli 2, automezzi 9, carrette cingolate 13. R EGGIMENTO ALPINl: compagnia comando di reggimento (plotone comando, plotone trasmi ssioni, autosezione mista, officina leggera): ufficiali 18, sottufficiali 23, militari di truppa 175, pistole 43, moschetti automatici 30, fuc ili 127, lanc iarazzi 2, fucili mitragliatori 1, mitragliatrici contraerei 3, motocicli 6, automezzi 37, rimorchi da I t 5, stazioni radio 5, telefoni campali 20, centralini 2; compagnia mortai: plotone comando (squadra comando, squadra trasmissioni, squadra servizi), 3 plotoni mortai da 107 su 3 squadre di 1 arma ciascuna, ufficiali 6, sottufficiali 18, militari di truppa 210, pistole 54, moschetti automatici 40, fucili 98, carabine semiautomatiche 42, fucili mitragliatori 7, mitragliatrici contrae rei 2, lanciarazzi controcarri 3, mortai da 107 9, muli 40, motocicli 2, automezzi 28, rimorchi 9, s tazioni radio 8, centralini 9, telefoni campali 10. REGGIMENTO BERSAGLIERl: compagnia comando di reggimento (plotone comando, autosezione mista, officina mobile leggera) (compreso comando di reggimento): ufficiali 16, sottufficiali 20, truppa 83, pistole 28, moschetti automatici 12, fucili 82, fucili mitragliatori 4, lanciarazzi controcarri 2, motocicli 9, automezzi 22; compagnia cannoni controcarri (plotone comando, 4 plotoni cannoni controcarri): ufficiali 5, sottufficiali 12, truppa 101. pistole 7, moschetti automatici 22, fucili 89, fucili mitragliatori 2, lanciarazzi Bazooka 2, cannoni controcarri 57/50 8, motocicli 6, automezzi 12, carrette cingolate 16. Caratteristiche dell'armamento: mortaio da 107, americano, 4, 2 Mortar M30, cal. 107, ad avancarica, ad anima rigata con percussore fisso, caricamento singolo, puntamento a cannocchiale panoramico M34, V m/s 78-252, gittata di impiego 500+6000 m , H.E. mod. 324, carica fondamentale più 82 foglietti, celerità di tiro pr:itica d m 8 7 15, peso all'impiego 286 Kg; cannone da 57/50: vds. precedente nota n° 10. 12 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'eserc ito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 1700 del l ottobre 1950 Im piego del reggimento di cavalleria blindata (R.C.B.). La pubblicazione, formato 18 X 12, approvata dal generale Marras, consta di 115 pagine, 189 paragrafi, 1 allegato. Si articola in: Premessa, Caratteristiche del R.C.B., Compiti, Criteri generali d'impiego, Modalità di azione: esplorazione tattica terrestre (generalità; dispositivo di esplorazione; azione esplorativa: azione delle pattuglie esploranti, azione dei sostegni, azione del grosso; ordini; cooperazione dell 'aviazione: collegamenti); compiti di sicurezza (scaglione di sicurezza; avanguardia); compiti offensivi (occupazione preventiva di loca lità; puntate offensive; collegamento tattico tra G.U. intervallate; intervento nel combattimento come elemento di manovra; concorso al completamento del successo; azioni antiparacadutisti e di controguerriglia); compiti difensivi (protezione del fianco esposto; protezione del ripiegamento; manovra ritardatrice); Impiego del R.C.B. nell'area difesa; Sicurezza in stai.ione; Servizi; Conclusione. Allegato I: Norme sul rastrellamento di abitati. llbis
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Mini stero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 1400/Reg. del 15 agosto 1949 l mpiego del reggimento di cavalleria blindata (R.C.B.) Esperimenti. La circ., formato 16,5 X 11,5, firmala dal generale Marras, consta di 18 pagine, 7 capoversi principali riguardanti i compiti (esplorativi, di sicurezza, offensivi, difensivi), gli elementi costitutivi del R.C.B. e loro fun zioni (carri leggeri, autoportati, unità di accompagnamento, pionieri), i criteri generali d'impiego del R.C.B., le caratteristiche che derivano ai due tipi di R.C.B., le questioni che lo S.M.E. si ripromette di risolvere attraverso l'esperimento. 14 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare ne 3700 del 21 febbraio 1952 Norme per l 'organizzazione e la condotta della controguerriglia. La pubblicazione, fo rmalo 24,5 X 16,8, approvata dal generale Cappa, consta di 77 pagine, I 85 paragrafi, 2 allegati. È articolata in 5 parti: Parte prima: generalità. Parte seconda: servizio informazioni, controspionaggio, trattamento delle popolazioni (propaganda, protezione delle popolazioni, misure di polizia, trasferimento forzato delle popolazioni, internamento, rappresag.lie e ritorsioni). Parte terza: organizzazione militare del territorio (sistemazioni fisse: i presidi, difosa esterna, difesa interna); dislocazione cd impie go delle forze mobili; collegamenti; misure di protezione e di vigilanza: protezione di un tronco ferroviario, delle strade ordinarie, di impianti vari; vigilanza costiera; vigilanza antiparacadutisti; comportamento del personale impiegato ne lla vigilanza e sicurezza; scorta, protezione e difesa di colonne e convogli. l'arte quarta: operazioni (esplorazione; s icurezza: in marcia, in s tazione; combattimento offensivo: rastrellamento, rastrellamento degli abitati, dei boschi; sblocco di un pres idio; combattimento difensivo) Parte quinta: addestramento alla controguerriglia. Allegato I : Aviorifomimenti. Allegato 2: Schema del piano difesa di un presidio. La trattazione del delicato argomento - la circolare vide la luce con la qualifica di segreta, poi ridotta a quella di vietata divulgazione - è completa e particolareggiata sollo tutti gli aspetti e dà particolare rilievo, precisandone criteri, forme, modalità, all'organizzazione militare del territorio ed ai procedimenti propri delle sistemazioni fisse (presidi e caposaldi) e delle forze mobili. L'impiego di en trambi gli elementi è chiarito fin nei più minuti particolari, ma a base di tale impiego è posta la peculiare forma mentis per la quale caP,i e gregari devono essere pronti in ogni momento a: reagire con violenza, prontezza e sicurezza a qualsias i attacco; sventare con ca lma, genalità e astuzia qualsiasi insidia; imporre con vivacità, originalità e iniziativa la propria superiorità materiale e morale. La circolare ha la veste di un vero e proprio vademecum che raccoglie le esperienze italiane passate e recenti, in particolare quelle vissute nei Balcani, ne est rapola gli insegnamenti e ricava da questi una visione generale di questa particolare forma di lotta, affatto ambita dai militari, specialmente nel caso che la si debba sviluppare sul territorio nazionale e contro guerriglieri nazionali, ma alla quale si deve necessariamente ricorrere quando viene imposta dalla guerriglia. Già dal 1945 lo stato maggiore dell'esercito si era premurato di mettere all'ordine del giorno il problema della guerriglia e della controguerriglia ed oltre inserire l'argomento, sia pure per cenni, nella regolamentazione ufficiale, aveva curato la diramazione, circondandola di segreto, nel 1948 di un supplemento a l Notiziario stampa n° 6 - La guerriglia accompagnandola con un foglio nel quale si leggeva: «la pubblicaziuue ha carattere segreto, tutlavia il suo contenuto, nell:i forma
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giudicata più opportuna, dovrà essere portato a conoscenza degli ufficiali dipendenti, in guisa che, in unione alla circolare La controguerriglia di prossima distribuzione, si venga in tutti determinando unicità di visione su questo particolare aspetto della guerra moderna» (foglio 990/Reg. del 7 agosto 1948 della sezione regolamenti dell'ufficio addestramento e regolamenti dello S.M.E.). L'estrema sinistra, in particolare il partito comunista italiano, gridava allo scandalo -s u tutto ciò che l'esercito facesse in sede dottrinale, ordinativa e addestrativa sul particolare problema che, proprio la seconda guerra mondiale, aveva invece posto come uno dei più complessi e dei più urgenti da risolvere ai fini della sicurezza delle forze terrestri. Si è che i comunis ti consideravano in ogni caso le misure studiate ed attuate in materia come dirette esclusivamente contro di loro, anche quando, come nel caso in questione, tendevano a conferire una visione completa del nuovo campo di battaglia nel quale la guerriglia, specialmente nei Balcani e nell'Unione Sovietica, era riuscita a immobilizzare intere armate italiane e tedesche di occupazione ed aveva provocato molte vittime e arrecato non pochi danni alle vie di rifornimento ed a lle infrastrutture militari. Che la controguerriglia fosse un problema che il solo accennare rendeva il partito comunista italiano inquieto ed agitato è testimonia to dallo studio, sotto molti aspetti non certo privo d'interesse, condotto dall'esponente comun ista Enea Cerquetti - le for ze armale itnliane dal 1945 al 1975, Feltrinelli editore, Milano, ottobre 1975 - il quale tnlvoltn, nel narrare con precisione i fat ti, finisce con il giudicarne più le intenzioni politiche presunte c he non la reale portata tecnico-militare. A proposito della guerriglia e d ella controguerrig lia egli non spiega il perché lo stato m aggiore dell 'esercito non avrebbe dovuto esaminare, appunto sotto il profilo tecnico, le due attività, che possono manifestarsi sia durante un con flitto annalo fra due o più bclligera,lli, sia in tempo di pace là dove la guerriglia si propone di favorire l'azione politica, interna o esterna, tendente all'insurrezione od all'interven to s traniero, per la conquista del potere. Delle due: o i comunisti non avevano mai neppure pensato alla insurrezione contro il governo democratico del paese ed in tale caso l'addestramento alla controguerriglia non avrebbe dovuto minimamente preoccuparli; o essa restava una loro segreta aspirazione ed in tale caso, mentre si spiega la loro ansia ossessiva contro la preparazione dell'esercito alla controguerriglia, non si comprende il perché lo S tato democratico non avrebbe dovuto me ttersi nelle condizioni di difendersi dall' insurrezione. 15 Organico del reggimento di cavalleria blindata: comando, 2 g ruppi squadroni, l gruppo squadrone armi di accompagname nto. Totale del reggimento: 70 ufficiali, 172 sottuffidali, 1040 uomini di t ruppa; 429 pistole, 381 moschetti automatici, 601 fucili, 72 fucili mitragliatori, 4 mitragliatrici , 13 mitragliatrici contraerei, 17 lanciarazzi controcarri, 6 mortai leggeri, 6 mortai da 81, 6 cannoni da 57/50 controcarri, 6 cannoni da 57 senza rinculo, 32 carri armati leggeri, IO autoblindo, 27 mezzi blindati tipo scout car, 54 motocicli, 131 a utomezzi, 26 carre tte cingolate, 1 tra ino, 24 rimorchi. Il gruppo squadroni blindato s u : 2 squadroni, uno blindato ed uno autoportato, e in totale: 18 ufficiali, 51 sottufficiali, 326 uomini di truppa, 136 pistole, 136 mosc hetti automatici, 167 fucili mitragliatori, 2 mitraglia trici, 3 mitrag liatrici contraerei, 3 morta i leggeri, 3 cannoni da 57/50 controcarri, 6 lanc iarazzi controcarri, 9 carri armati leggeri, 5 autoblindo , 3 mezzi blindati, 18 motocicli, 40 automezzi, 4 carrette cingolate, 6 rimorchi. Lo squadrone blindato - 6 ufficiali, 26 sottufficiali, 131 uomini di truppa - disponeva d elle seguenti armi e mezzi: 80 pistole, 67
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moschetti automatici, 58 fucili, 9 fuc ili mitragliatori, 1 lanciarazzi controcarri, 9 carri armati leggeri, 5 a utoblindo, 7 mezzi blindati, 13 motocicli, 12 automezzi. Lo squadrone autoportato - 5 ufficiali, 13 sottufficiali, 128 uomini di truppa disponeva di: 39 pistole, 36 moschetti automatici , 73 fucili, 16 fucili mitragliatori, 2 mitragliatrici, 4 lanciarazzi controcarri, 1 mitragliatrice contraerei, 3 cannoni da 75 senza rinculo, 2 motocicli, 18 automezzi, 4 carrette cingolate, 1 mezzo blindato, 5 rimorchi; il plotone fuci lieri era su 2 squadre fucilieri e 1 squadra armi leggere (squadra fucilieri su 2 fucili mitragliatori). li gruppo squadron i armi di accompagnamento era su: 2 squadroni: uno squadrone armi di accompagnamento e 1 squadrone carri leggeri e contava in totale: 17 ufficiali, 45 sottufficiali, 254 uomini di truppa, 121 pistole, 76 moschetti automatici. 157 fucili, 11 fucili mitragliatori, 4 mitragliatrici contraerei, 3 lanciarazzi, 6 mortai da 81, 6 cannoni da 57/50, 14 carri armati leggeri, 5 mezzi blindati, 14 mo tocicli, 26 automezzi, 18 carrette cingolate, 2 rimorchi. Lo squadrone armi accompagnamento era su: 1 plotone comando, 2 plotoni mortai, 2 plotoni controcarri - 6 ufficiali, 14 sottufficiali, 117 uomini di truppa - e contava: 30 pistole, 32 moschetti automatici, 77 fucili, 9 fucili mitragliatori, 1 lanciarazzi, 6 mortai da 81, 6 cannoni da 57/50, 2 mitragliatrici contraerei, 6 motocicli, 14 automezzi, 18 carrette cingolate, 1 mezzo blindato, 2 rimorchi. Lo squadrone carri armati leggeri era su: 1 plotone comando, 3 plotoni carri - 5 ufficiali, 23 sottufficiali, 94 uomini di truppa - e contava: 79 pistole, 39 moschetti automatici, 38 fucili, 1 fucile mitragliatore, 1 lanciarazzi, 14 carri armati leggeri, 3 mezzi blindati, 5 motocicli, 6 automezzi. Erano previsti la sostituzione dei carri MS Al con carri provvisti di armamento più pesante e il tras ferimento degli MS Al agli squadroni blindati in parzialt: sostituzione delle autoblindo. L'impiego dei carri 37 - tale la denominazione che avrcbbi:ro assunto gli MS Al una volta trasferiti negli squadroni blindati doveva essere regolato secondo i seguenti criteri: nella s tessa stregua delle autoblindo, partecipazione alla composizione dei sostegni; negli altri compiti: svolgimento di compiti analoghi a quelli delle autoblindo, azioni in cooperazione con gli autoportati. L' impiego <lei nuovi carri - che avrebbero assunto la denominazione di carri leggeri - doveva rispondere, di norma, a l criterio dell'impiego a massa. 16 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezio ne regolamenti. Circolare n ° 5000 del 24 luglio 1948 Generalità sull'impiego dell'artiglieria da campagna e pesante campale. La pubblicazione; formato 17,S X 12,5, approvata dal generale Marras, consta di 22 pagine, 25 pa ragrafi. È articolata in una premessa ed in 4 parti. La prima parte tratta delle unità di artiglieria da campagna (il gruppo, il reggimento), la seconda del comando artiglieria divisionale, la terza della artiglieria pesante campa le, la quarta delle azioni di fuoco (preparazione, contropreparazione, appoggio, sbarramento, repressione, interdizione, controbatteria, contromortai, controcarri). 17 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 5 100/Reg. de l 4 maggio 1953 Caratteristiche d'impiego dell 'artiglieria divisionale - Cooperazione con la fanteria. La pubblicazione, formato 17,S x 12, firmata dal generale Pizzorno, consta di 14 pagine, 19 paragrafi. È articola ta in una premessa, in un sottotitolo riguardante la fisionomia dell'artiglieria divisionale e i criteri d'impiego, in un sottotitolo relativo alle caratteristiche e funzione dei vari e lementi costitutivi dell'artiglieria divisionale, in una conclusione.
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18 Il nuovo ordinamento del reggimento di artiglieria divisionale previde: comando; reparto comando; 3 gruppi di artiglieria da campagna (ciascuno su: reparto comando, 3 batterie da 105/22 di 6 pezzi ciascuna); I gruppo artiglieria pesante campale da I 55/23 (su: reparto comando, 3 batterie da I 55/23 di 6 pezzi ciascuna); 1 gruppo artiglieria contraerei leggero (su: reparto comando e 4 batterie da 40/56 di 8 pezzi da 40/56 e di 8 complessi quadrina ti per ogni batteria). Totale del reggimento: 190 ufficiali, 270 sottufficiali, 2761 artiglieri; 304 pis tole, 441 moschetti automatici, 2475 carabine, 26 fucili mitragliatori, 34 mitragliatrici, 24 mitragliatrici contraerei, 53 lanciarazzi controcarri, 54 obici da 105/22 (o cannoni da 88/27), 32 complessi quadrinati contraerei, 32 cannoni da 40/56, 96 moto, 508 automezzi, 120 trattori, 300 rimorchi, 289 staziorii radio, 57 centralini telefonici, 384 telefon i campali, 8 velivoli. Il reparto specialis ti di a r tiglieria divisio nale comprendeva: 6 ufficiali, 15 sottufficiali, 131 artiglieri, 13 pistole, 12 moschetti automatici, 127 carabine, 7 fucili mitragliatori, 4 moto, 23 automezzi, 10 rimorchi, IO s tazioni radio, 3 centralini telefonici, IO telefoni. Il comando del reggimento di artiglieria - 29 ufficiali, 40 sottufficiali, 213 a rtiglieri - comp rendeva: il comandante, il vicecomandante, ufficio comando, l'ufficio personale, ufficio 0.A.T.l ., ufficio servizi e amminis trazione, reparto comando, reparto aerei leggeri. Caratteristiche delle artiglierie. Nel 1952 venne edita la pubblicazione 4926 Dati principali sulle armi in dotazione organica o prevista relativi all'arma di fanteria e truppe corazzate ed all'arma di artiglieria, a cura degli ispettorato di fanteria e di artiglieria, che elencava le seguenti artiglierie in servizio o di prossima entrata in servizio: - cannone-milr. da 20 mod. 35, italiano, contraerei, V m/s 830, gittata 5000 m , cartoccio granata contraerei e cartoccio granata perforante, celerità di tiro c/m 240, peso del pezzo in batteria 330 Kg , mezzo di traino autocarro leggero 4 X4 (provvisorio), jeep (definitivo); cannone mitragliera da 37154 mod. 39, italiano, contraerei, V m/s 800, gittata 7050 m , cartoccio granata e.a., celerità di tiro 120, peso del pezzo in batteria 2975 Kg; cannone da 40'56 Ml, originale 40 mm MI su supporto M2 Al, americano, contraerei, V m/s 875, gittata 6973 m, cartoccio granata H .E. e A.P., celerità di tiro 120, peso del pezzo in batteria 2656 kg, mezzo di traino autocarro medio 4 X4 (provvisorio), trattore leggero italiano (definitivo); cannone da 40'56 mod. Ili, inglese, contraerei, V m/s 85 1 (H.E.), gittata 7800 m , cartoccio granata H.E. e A.P., celerità di tiro 120, peso del pezzo in batteria 1224 Kg, autocarro medio 4 X4 (provvisorio). trattore leggero ita liano (definitivo); cannone da 75/21 mod. l.F. italiano, controcarri, V m/s 248 (g.a.), gittata 4125 m, cartoccio g ranata E.P. legg. e cartoccio granata a g.c., celerità di tiro 4 + 5, installazione fissa; cannone da 75134 mod. IF. italiano, controcarri, V m/s 619 (A.P.C.) e 462 (H.E.), gittata 10 235 m (H.E.), cartoccio granata H.E. e cartoccio pro ietto A.P.C., celerità d i tiro 12; cannone da 7(/50 semovente, 3 pollici M7 su smv. MIO, americano, sem ovente controcarri, V m/s 792 (A.P.-A.P.C.) e 1036 (H.V.A.P.). gittata 3840 m, c artoccio - proietto A.P .C., A.P. e cartoccio granata H.E., celerità di tiro 10, peso del pezzo in batteria 28 340 Kg; cannone da 76152 semovente, 76 mm MI A2 s u semovente Ml8, semovente controcarri, V m/s 792 (A.P., A.P.C.) e 1036 (H.V.A.P.), gittata 3840 m , cartoccio proietto A.P., A.P.C., H .V.A.P., cartoccio granata H.E., peso del pezzo in batteria 34 647 Kg; cannone da 7(/55, 17 libbre, inglese, controcarri, V m/s 883 (A.P.) e 1204 (A.P.D.S.), gittata 2740 m. cartoccio proietto A.P., A.P.C., A.P.C.B.C., H .V.A.P. e cartoccio
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granata H. E., celerità di tiro 10, peso al pezzo in batteria 2960 Kg, trattore leggero italiano (provvisorio), semicingolato (definitivo); cannone da 76/55 mod. Sf., 17 libbre, inglese, controcarri , V m/s 883 (A.P.) e 1204 (A.P.D.S.), gittata, 2740 m, cartoccioproietto A.P., A.P.C., A.P.C.B.C., A.P.D.S. e cartoccio granata H.E., celerità di tiro 10, installazione fissa; cannone da 88/29 mod. df., italiano, controcan-i, celerità di tiro 8, installazione fissa, altri dati in definiz ione; cannone da <xY50, 90 mm Ml su affusto Ml Al, americano, contraerei, V m/s 823 (H.E.), gittata 17 885 m, cartoccio granata H.E. e cartoccio proietto A.P., A.P.C., celerità di tiro 22, peso del pezzo in batteria 6665 Kg ed al traino 8626 Kg, autocarro pesante 4 X 2 trattore Matador (provvisorio), trattore pesante italiano (definitivo); cannone da <xY53, italiano, contraerei, V m/s 850 (e.a.), gittala 16 400 m, carL.x;do granata e.a., a percussione, perforante, celerità di tiro 20, peso del pezzo in batteria 6250 Kg ed al traino 8550 Kg, autocarro pesante 4 X4 trattore Matador (provvisorio), t'tattore pesante italiano (definitivo); cannone da <xY53 P., italiano, contraerei, V m/s 850 (e.a.), gittata 16 400 m, cartoccio granata e.a., a percussione, perforante, celerità di tiro 20, installazione fissa, peso del pezzo in batteria 3600 Kg; cannone da 105125 mod. Sf., italiano, controcarri, V m/s 476 (gr. H.E. da I 05/22), gittala 11/250 m, munizionamento quello dell'obice da 105/22 , installazione fissa; cannone da 94150, cannone da 3, 7, canadese, contraerei, V m/s 820 (H.E.), gittata 17 730 m, cartoccio granata H.E., S.A.P., A.P .. celerità di tiro 20, peso del pezzo in batteria 7543 Kg (al traino 9326 Kg), trattore Matador (provvisorio), trattore pesante italiano (definitivo); - obice da 75113, italiano, da montagna, V m/s 349 (mod. 32), gittata 8250 m, granata mod. 32 e granala da 75, numero delle cariche 4, celerità di tiro 4+5, peso del pezzo in batteria 613 Kg; cannone da 88/27 semovente, 25 libbre, S.O. canadese, semovente da campagna, V m/s 618 (H.E.), gittala 12 260 m , granta H.E., granata nebbiogena, proietto A.P., numero delle cariche 4, celerità di tiro 3 + 4, peso del pezzo in batteria 25 855 Kg; cannone da 82127, 25 libbre, inglese, da campagna, V m/s 518 (H.E.), gittata 12 260 m, granata H.E., granata nebbiogena, proietto A.R., 4 cariche, celerità di tiro 3 + 4, peso del pezzo in batteria 1860 Kg (peso vettura-pezzoavantreno 3426 Kg), autocarro medio 4 X 4 e trattore medi italian (provvisori), trattore leggero italiano (definitivo); cannone da JO<Y17 mod. 14-50, italiano, da campagna, V m/s 407, gittata 9280 m , granta a.cl. e da 100 mod. 36, granta da 100 mod. 32. granala nebbiogena d a 100, numero delle cariche 5, celerità di tiro 3+4, peso del pezzo in batteria 1600 Kg, autocarro leggero o medio 4 X4 (provvisorio), trattore leggero italiano (definitivo); obice da JO<Y17 mod. 16 mont., italiano, da montagna, V m/s 407, gittata 9280, stessa granata obice da 100/17 mod. 14-50, numero delle cariche 5, celerità di tiro 3 + 4, peso del pezzo in batte ria 1250 Kg, trattore da montagna (definitivo); obice da JO<YJ7 mod. 14 mont., italiano, da montagna, V m/s 407, gittata 9280 m, stessa granata del 100/ 17 mod. 14-50, celerità di tiro 3 + 4, peso del pezzo in batteria 1250 Kg, trallore da montagna (definitivo); obice da JO<Y22, 105 mm M2 A l , america no, da campagna, V m/s 472 (H .E.), nebbiogena, H.E.A.T., numero delle cariche 7 (H.E.), 7 (nebbiogena), I (H.E.A.T.), celerità di tiro 3 + 4, peso del pezzo in batteria 2030 Kg (affusto M2 Al) e 2260 Kg (affusto M2 A2), autocarro leggero e medio 4 X 4 (provvisorio), trattore leggero (definitivo); obice da 105122 smv. M7, 105 mm, M2 Al su semovente M47, americano, da campagna, semovente, V m/s 472 (H.E.) e 381 (H.E.A.T.), gittata 10 640 m, granata H.E., nebbiogena, H.E.A.T., cariche 7 (H.E. e nebbiogena) 1 (H.E.A.T.), celerità di tiro 3-4, peso del pezzo in batteria 21 100 Kg; obice da 105122 Smv. M37, 105 mm M4 s u smv. M37 , americano, semovente da campagna, V m/s e munizionamento e numero
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delle cariche come obice d a 105/22 smv. M47, celerità di tiro 3 .;- 4, peso del pezzo in batteria 21 500 Kg; cannone da 14<Y30, 5,5 pollici, inglese, pesante campale, V m/s 510 (H .E. ordin.) e 594 (H.E. legg.), gittata 14 810 m (H .E. md.) e 16 610 m (H.E. legg.), cariche 4 (H.E. ord.) e 5 (H.E. legg.), celerità di tiro 1, peso del pezzo in batteria 5792 Kg, trattore Matador (provvisorio), trattore pesan te italiano (definitivo); obice da 149/19, italiano, camp. e pesante campale, V m/s 585 (gr. 149/19) 519 (mod. 32) 597 (legg.), granata da 149/ 19, d a 149/35 mod. 32, leggera da 149-12-13, cariche di lancio 5 (granata d a 149/19 e da 149/35 m od. 32) 6 (granata leggera da 149/12-13), celerità di tiro 1, peso del pezzo in batteria 5792 Kg, trattore Matador (provvisorio) trattore pesante italiano (definitivo); obice da 149119, italiano, campagna e pesante campale, V mis 585 (gr. 149i19), 519 (mod. 32), 597 (legg.), gittata 15 350 m (gr. 149119) 13 160 (gr . 149/35 m od. 32) 14 240 m (gr. legg. da 149/ 12-13), cariche 5 (gr. da 149/19e da 149/35 mod. 32) 6 (gr. legg. da 149/12-13), celerità d i tiro 1, peo del pezzo in batteria 6260 Kg, trattore medio italiano (provvisorio), trattore pesan te italiano (definitivo); obice da 155123, 155 mm Ml obice, americano, camp. pesante, V m/s 564 (H.E.), gittata 14 950 m , granata H.E. e nebbiogena, numero delle cariche 7, celerità di tiro 1, peso d el pezzo in batteria 5760 Kg , trattore Matador (provvisorio). trattore pesante italiano (definitivo); cannone da 155145, 155 mm M2 cannone, pesante, V m/s 853 (H .E.), g ittata 23 510 m, granata H.E., A.P., nebbiogena, celerità di tiro 1 ogni due minuti primi. numero delle cariche 2, peso del pezzo in ba tteria 12 564 Kg, trattore Diamond (provvisorio), trattore pesante ita lia no (definitivo); obice da 21<Y22 mod. 35, italiano, pesante, V m/s 560, gittata 15 450 m , granata da 210/22 mod. 35 e granata da 210, cariche 6 (gr. da 210/22 mocJ. 35) 4 (gr . d a 210), celerità d i tiro 1 ogni 2 minuti primi, peso del pezzo in batteria 15 885 Kg, trattore pesante italiano; - mortaio da 107, mortaio 4,2 pollici M2, americano da montagna, V m/s 256 (H.E.), gittata 4020 m, bombe H.E. e nebbiogena, celerità di tiro lQ .;- 12, peso d el pezzo in batteria 151 Kg; mortaio da 107, 4,2 pollici M2, americano, da campagna, V m/s 256 (H.E.), gittata 4020 m, bomba H.E. e nebbiogena, cele rità di tiro 10-12, peso del pezzo in batteria 151 Kg; mortaio da 120, mortaio Brandi da 120 tipo A.M. 50, francese, camp. e mont. , V m/s 339 (b. normale). gittata 6700 m (b. norm.) 5400 (b. pes.), bo mba normale, pesante, carica cava, numero delle cariche 8 (b. norm.), 7 (b. pes.), 8 (b. car. cava), celerità di tiro 1, peso del pezzo in batteria 434 Kg (su ruote) 260 Kg (su bipiede), vettura da ricognizione con rimorchio (provvisorio), vettura da ricognizione con rimorchio e trattore da montagna (definitivo). 19 Ministero della difesa. Stato m aggiore d ell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n ° 5900 del 1 settembre 1951 Impiego delle artiglie rie con trocarri divisionali. La pubblicazione, formato 17,5 x lt ,5, approvata dal generale Cappa, consta di 49 pagine, 80 paragrafi. È articolata in: Premessa; I Generalità: cara tteristiche tecnico-tattiche delle artiglierie controcarri; II L'azione contro carri; Ili Ordinamento tattico e dipendenze; IV Impiego: generalità, schieramento, azione offensiva, azione difensiva (difesa su fronti normali, difesa s u ampie fronti, manovra in ritirata); V Piano d'impiego delle artiglierie controcarri; VI Attribuzioni; VII Collegam enti; VIII L'artiglieria controcarri nella grande unità corazzata (offensiva, difensiva); Appendice (ricognizioni; organizzazione informa tiva). 19bis Ministero della difesa. Stato Maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare _n° 5201 del 1 genna io 1954 Artiglieria della divisione di fanteria. TI gruppn C.A.l,.
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20 Ministero della difesa. S.M.E. - Ispettorato dell'artiglieria. Circolare n° 5400/1/Add. del 21 marzo 1949 Comandi, avvertimenti e comunicazioni per il puntamento e l'esecuzione del fuoco. 2 1 Ministero della difesa. Stato Maggiore dell'esercito. Ispettorato dell'artiglieria. Ufficio 1, Circolare n° 5300 del 1 marzo 1949 Forme di intervento dell'artiglieria da campagna. Tiri di batteria: tiri di distruzione, neutralizzazione, nebbiogeno; tiri di gruppo: concentramento, cortina, cortina nebbiogena; concentramenti divisionali. 22 Ministero della difesa. S.M.E. Ispettorato dell'arma di artiglieria. Circolare n° 5700 del 15 giugno 1950 Registrazione degli obiellivi. 23 Ministero della difesa. S.M.E. Ispettorato dell'arma di artiglieria. Circolare n° 101 del 25 agosto 1952 Generalità sull'azione contromortai. 24 Ministero della difesa. S.M.E. Ispettorato dell'arma di artiglieria. Circolare n° 102 del 25 ottobre 1952 Istruzione per l'addestramento delle artiglierie controcarri. 25 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ispettorato dell'arma di artiglieria. Istruzione sull'uso delle fotografie aeree. I ottobre 1954. 26 Rivista militare: 1951, X, pg. 1091 Un problema che s'impone: il potenziamento dell'artiglieria del magg. Andrea Cucino; XI, pg. 1149 Problemi alluali d'artiglieria del gen. Paolo Supino; 1952, I, pg. 8 1 L'ordinamento tattico dell'artiglieria da campagna, del cap. Fausto Maria Bortolani; 1953, VII-VIII, pg. 782, L'ordinamento dell'artiglieria e le esigenze di fuoco organizzato nella battaglia moderna del ten. col. Enrico Ramclla; 1954, Il, pg. 183, Il nuovo ordinamento dell'artiglieria del magg. Giuseppe De Benedetti. 27 Rivista Militare, anno 1953, numero VII-VIII, pg. 785, articolo del tcn. col. Enrico Ramella. 28 Rivista Militare. 1945, VII, pg. 737, L'arma del genio e i nuovi tempi, del ten. gen. Luigi Sacco; 1947, IV, pg. 388 L 'arma del genio nella guerra moderna. Riflessi nella sua organizzazione, del col. Federico Gatta; VI, pg. 663, Gli artieri della divisione di fanteria, del magg. Sergio Giuliani; 1949, VIII-IX, pg. 816 Considerazioni sul battaglione artieri divisionale, del ten. col. Ottavio Di Casola; 1950, V, pg. 465, Il genio e i collegamenti della divisione di fanteria, del cap. Cesare Gatti; 1951, 1, pg. 65, Il genio pionieri nella divisione di fanteria, del col. Salvatore Mancuso; XII, pg. 1270 A proposito del servizio del genio della divisione di fanteria, del gen. Luigi Cappelli; 1952, VI. pg. 701 Armi o servizi il genio e i collegamenti, del ten. col. Renato Calò; VI, pg. 880 L'arma del genio e l'arma dei collegamenti, del ten. col. Ottavio Di Casola; VIII-IX, pg. 1001. Armi o servizi, genio e collegamenti, del gen. Ettore Musco; X, pg. 1053, Armi o servizi del genio e i collegamenti, del col. Franco Gonella. 29 Ministero della difesa. Stato maggiore dell 'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 8300 del 23 giugno 1951 Impiego dei pionieri d'arresto. La pubblicazione, formato 18 x 11,5 firmata dal generale Cappa, consta di 14 pagine, 11 paragrafi. Si articola in Premessa; Campi minati di arresto; Posa dei campi; Difesa diretta; Difesa indiretta; Conclusione. 30 Ministero della Guerra. Ispettorato bonifica immobili da ordigni esplosivi: Mine e bonifica dei campi minati. Voi. I e II. Roma, Istituto poligrafico dello Stato, 1946. 3 1 Ministero della Guerra. Ispettorato dell'arma del genio. Memoria sull'approntamento degli ostacoli anticarro. Roma, Tipo-lito dell'officina militare delle trasmissioni, 1942. 32 DLL. n° 603, 31 agosto 1945.
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33 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 1501 del 10 maggio 1953 Lineamenti d'impiego del ballaglione mobile carabinieri. La pubblicazione, formato 18 x 12, approvata dal generale Pizzorno, consta di 47 pagine, 82 paragrafi. Comprende: Premessa; Costituzione e caratteristiche del battaglione mobile carabinieri; Caratteristiche e compiti degli elementi costitutivi del battaglione: compagnie autoportate, compagnia motocorazzata, compagnia armi accompagnamento, carri armali; Compiti del battaglione; Criteri d'impiego; Movimento e sosta: generalità, sicurezza in marcia, sicurezza in sosta; Modalità d'azione: occupazione preventiva di località, intervento nel combattimento quale elemento di manovra, scaglione di sicurezza, protezione di un fianco esposto, azioni antiparacadutisti e di controguerriglia, rastrellamento di abitati, sblocco di itinerari e di presidi; Impiego del battaglione nell'area difesa. 34 Nel paragrafo 66 è detto: «non avanzare a zig-zag, ma procedere lungo un solo lato della strada, a sbalzi da portone a portone, non attraversare la strada obliquamente, ma spostarsi di corsa tagliandola perpendicolarmente; non attraversare gli incroci facendo muovere un uomo dopo l'altro, ma superare il lratlo scoperto in un unico gruppo dopo il lancio di una bomba nebbiogena; non sostare nelle piazze o nel mezzo di strade larghe, d ove potrebbe essere predisposto il fuoco di armi appostate in chiusini, fortini ecc.; fermarsi per far fuoco, o per osservare, agli angoli dei fabbricati o nei portoni, sdraiandosi a terra; non impiegare le autoblindo isolatamente, ma sempre in unione con elementi a piedi; lasciare tra i singoli mezzi blindati lo spazio necessario per manovrare o invertire la marcia sulla strada senza imbottigliare il reparto». Nei riguardi della tecnica per il rastrellamento di difesa, il paragrafo 68 prescrive: «non entrare nelle case dall'ingresso principale, ma possibilmente dal rovescio o meglio ancora dal tetto o dalle terrazze, attraverso cortili, giardini, case adiacenti, ecc.; iniziare il rastrellamento dai piani superiori; prima di entrare in un locale, far fuoco attraverso la porta, il soffitto, le pareti (quando sono sottili) e lanciare le bombe a mano attraverso le finestre; aprire le porte spingendole con il fucile e stando allungati a terra per sfuggire al fuoco di individui appostati nell'interno o allo scoppio di mine e trappole esplosive; entrare di balzo, in due, per proteggersi a vicenda: uno si gella a destra della porta, l'altro a sinistra; non toccare nulla (quadri, libri, telefoni, maniglie, cassetti, sedie, tappeti, W.C., ecc.) perc ho: tullo può essere minalo o collegato a trappole esplosive; passare da una casa all'altra attraverso i tetti (senza offrire bersaglio ai tiratori appostati sulle case vicine) o attraverso fori praticati nei muri divisori ». 35 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 8100 del 13 ottobre 1951 Impiego del genio pionieri divisionale e organizzazione dei lavori nella divisione di fanteria. La pubblicazione, formato 18 X 12, approvata dal generale Cappa, consta di 54 pagine, 73 paragrafi. Comprende: Avvertenze; Parte Prima-Generalità: compiti del genio pionieri divisionale; azioni di combattimento; lavori (di viabilità e di facilitazione del movimento; di sistemazione del terreno; di facilitazione di impianto e funzionamento dei sevizi e di miglioramento delle condizioni di vila delle truppe); criteri generali d 'impiego; il comandante del genio divisionale; organizzazione e condolla dei lavori; attrezzatura e mate riali (attrezzatura di lavoro; materiali); rifornimento degli attrezzi e dei materiali. Parte Seconda - I pionieri del genio divisionale nell'azione difensiva: difesa di posizioni (organizzazione della difesa;
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esecuzione dei lavori; interruzioni; distruzioni e sbarramenti stradali); condotta della difesa; manovra in ritirata. Parte terza - l pionieri del genio divisionale nella copertura: la copertura. 35bis Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 7500 del 12 giugno 1952. Servizio aereo di artiglieria. Il Reparto di aviazione leggera per l'artiglieria. 36 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 8400 del 13 gennaio 1954 Schieramento e superamento dei campi minati. La pubblicazione, formato 18X 11,5, approvata dal generale Pizzorno, consta di 40 pagine, 43 paragrafi. Comprende: Premessa; S chieramento dei campi minati: generalità; caratteristiche dei campi minati a seconda delle loro funzioni (perimetrali a l caposaldo, negli intervalli fra i caposaldi, sul davanti e nell 'interno della zona di sicurezza, di arresto); II Superamento dei campi minati: generalità; definizione del numero dei varchi e ripartizione dei compiti; Conclusione. 37 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n° 9000 del 15 maggio 1952 Norme sull'organizzazione e impiego dei collegamenti nelle G. U. operanti. La pubblicazione, formato IS X 12, approvata dal generale Cappa, consta di 54 pagine. 71 paragrafi. Comprende: Avvertenza; Premessa; I I mezzi di collegamento: caratteristiche e generalità; mezzi elettrici a filo; linee; mezzi radioelettrici; staffette; colombi viaggiatori; Il Criteri d'impiego dei collegamenti: i principi dell'arte della guerra applicati ai collegamenti; criteri d 'impiego dei collegamenti; III lineamenti generali di organizzazione: i collegamenti in funzione operativa; attività concettuale; attività organizzativa; attività esecutiva; TV Attribuzioni e compiti degli V.Co. nelle diverse unità: nei comandi di G.U.; nei comandi di raggruppamento tattico; nei comandi di reggimento; V Protezione dei collegam enti dalla intercettazione: nei collegamenti a filo; nei collegamenti radio; addestramento; VI li servizio m ateriali di collegamento nelle unità operanti: generalità; rifornimenti; riparazioni. 38 Minist ero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Circolare n ° 9100 del 26 settembre 1952 Norme dell'organizzazione e fun zionamento dei centri di collegamento. La pubblicazione, formato 18x 11,5, approvata dal generale Cappa, consta di 35 pagine, 49 paragrafi, 4 allegati. Comprende: Premessa, 1 Generalità sui centri collegamenti; costituzione e organizzazione; compiti; dipendenze; Il Il personale del centro: capo centro; capo servizio; personale addetto all'ufficio; personale specializzato per le riparazioni; operatori; staffette; guardafili; III Documenti dei centri di collegamento; IV Organizzazione e fun zionamento dei centri di collegamento: organizzazione del lavoro di accettazione, registrazione, istradamento; messaggi in partenza in chiaro; messaggi in partenza cifrati; messaggi e dispacci recapitati a mezzo staffette; controllo della trasmissione dei messaggi; messaggi in arrivo; messaggi in transito; messaggi che non possono essere recapitati; procedura speditiva; segreto d'ufficio; rapporti con l'ufficio cifra; Allegati: n ° 1. Costituzione e funzionamento schematici di un centro collegamenti di un comando di grande unità; n ° 2. Facsimile di registro dei messaggi in arrivo; n° 3 Facsimile di registro dei messaggi in partenza: n° 4. Facsimile di modulo per messaggio. 39 Ministero della difesa. Stato Maggiore dell 'esercito. Ufficio Servizi. Sezione S.M. Circolare n° 6000/Serv. del 15 settembre 1949 Memoria orientativa sull'organizzazione e funzionamento dei servizi in gue rra.
CAP. LU· L'IMPIEGO DELLE VARIE ARMI NELLA DOTIRINA DEGLI ANNI 1949·1954
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La pubblicazione, formato 18 X 11,5, approvata dal generale Marras, consta di 40 pagine, 33 paragrafi. Comprende: I Lineamenti essenziali del problema logistico; II Funzione ed organizzazione logistica delle C.U.: l'armata e l'intendenza di armata; le delegazioni d'intendenza; il corpo d'armala; la divisione e la brigata; III Schema dell'organizzazione logistica; Allegato: schema grafico dell'organizzazione log istica. 40 G.M. 1949, pg. 330. Munizionamento di armi della fanteria americana, circ. n° 33 I , 8-X-1949, G.M. 1949, pg. 331. Munizionamento di artiglierie americane, circ. n° 330, 8-X-1949. Mezzi tecnici per il tiro della fanteria - Reticolo di aggiustamento; numero categorico della pubblicazione: 5136; anno: 1954. Manuale tecnico per i pionieri di fanteria e truppe corazzate (esplosivi e piccole demolizioni di campagna), 4947, 1954. Istru zione provvisoria sul fucile semiautomatico MI Garand, 4910, 1952. Istru zione per la pulitura e la buona conservazione delle armi portatili. Fascicolo: fucile semiautomatico MI Garand, 5025, 1953. Istruzione provvisoria sul fucile mitragliatore Browning B.A.R., ca!. 7,62 mm, 4911, 1952. Istru zione provvisoria per la pulizia e la buona conservazione delle armi portatili, Fase.: fucile mitragliatore Browning Mod. 1918 (B.A.R.), 5023, 1953. Istruzione provvisoria sulla carabina Ml-M2 ca/. 7,62, 4980, 1952 Istruzione provvisoria sui lanciarazzi da mm 60 Bazooka, 4802, 1953. Istruzione provvisoria per la pulizia e la buona conse n,azione delle armi portatili, Fase.: lancia razzi Bazooka da 88, 5020, 1953. Istruzione provvisoria sul cannone da mm 57 s.r. M18, 4986, 1953. l struzinne pmvvisnrin per lo manutenzione del cannone da 57 s.r.m., 5083, 1954. Istru zione provvisoria sul cannone da 75 s.r. 4959, 1952. Istruzione provvisoria per la manutenzione del cannone da 75 s.r., 5084, 1954. Istruzione provvisoria sulla m itragliatrice BrowninJ!. cal. 12,7 a canna pesante, 4742, 195 1, Istru zione provvisoria per la pulizia e la buona consen ,azione delle armi portatili, Fase.: mitragliatrice Browning cal. 12,7, 5021, 1953. Idem, mitragliatrice cal. 7 ,62 Browning. 5022, 1953. Istruzione sul mortaio da mm 60 M2. 4692, 1951. Istru zione sull'impiego dell'apparecchiatura per tiro ridotto con mortaio da 81 mm, 4993, 1952. Istruzione provvisoria per la pulizia e la buona conservazione delle armi portatili, Mortai da 60 e da 81 , 5039, 1953. Autoblindata leggera MB Greyhound, 4821 , 1950. Istruzione sul paracadute dorsale C.M.P.53, 5133, 1954. Istruzione sul paracadute ausiliario 1-1953, 5154, 1954. Addestramento dell'artiglieria. Voi. IV. Istru zione s ul tiro. Parte 5°. Strumenti e mezzi tecnici per il tiro. Fase. I. Tiro contro obiettivi terrestri (Allegalo 2, reticolo di aggiustamento. Fase. I (millesimale), 4757, 1951. Idem, fase. II (sessagimale), 195 1. r,lèm, (Aflt:galu I Istruzione suila tavoletta topografica Mod. 39), 4475, 1950. Idem, Fase. III, centrale di tiro a.a. B.G.S., 4833, 1952. Difesa contro il disturbo radar. Istruzione per i tecnici (T.M. 11-751), 5053, 1954, Teoria e misura dell 'efficienza dei sistemi radar ad impulsi (T.M. I/-759), 5054, 1954. Difesa contro il disturbo radar. Istruzione per gli ope ratori (T.M. Il- 750), 5059, 1954. Il radar. La radiolocalizzazione e la radionavigazione, s.n., 1950. Addestramento dell'artiglieria. Voi. V. Istruzione per i reparti specialisti di artiglieria divisionale. Parte 1°. Sezione Topografica, 4836, 195 1. Guida per il rilevamen to reti di artiglieria, 4979, 1952. Teoria matematica del m oto dei proietti a razzo, s.n., 1950. Addestramento artiglieria. Voi. I. Addestramento del pezzo. Fase .: cannone mitragliera da 20'65 Mod. 35. Parte / 0 • Istruzione sul materiale e le munizioni. Parte 2°. Servizio del pezzo - cannone mitragliera da 20 mm mod. 1935, 427 1, 1951. Idem . Fase. cannone e.a. da 40'56. m ud. Ili, Parte 2° Appendice al servizio del pezzo (addestramento puntatori), 4810/3, 1950. Idem, fase.: cannone da 40'56. Parte 1°: Istruzione sul materiale e le munizioni, 4933, 1952. Idem, Parte 2°. Servizio del pezzo, 4934, 1952. Idem, Appendice al servizio del pezzo (addestramento dei puntatori}, 493411, 1952. Istruzione provviso-
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ria per la manutenzione del cannone da 40'56 MI, 5011, 1953. Istruzione provvisoria per la manutenzione del cannone da 57/50, 5012, 1953. Istruzione provvisoria per la manutenzione del cannone da 76150 - Semovente MIO -, 5037, 1953. Istruzione provvisoria per la manutenzione del cannone da 76/52 - Semovente M/8, 5016, 1953. Addestramento dell'artiglieria. Vol. I. Add. del pezzo. Fase.: cannone da 76/55. Parte 1•. Istruzione sul materiale e le munizioni, 3834, 1951. Idem, Parte 2". Servizio del pezzo. 4913, 1952. Idem. Fase.: cannone da 88127. Parte / 6 • Istruzione sul materiale e sulle munizioni, 4828, 1951; Istruzione provvisoria per la manutenzione del cannone da 88127, 5082, 1954. Idem; Fase.: cannone da 90'50. Parte 2•. Servizio del pezzo, 4893, 1952. Idem, Parte I". Materiale e munizioni, 4982, 1954. Istruzione provvisoria per la manutenzione del cannone da 90'50 semovente M36, 5038, 1953. Idem, 5049, 1953. Addestramento dell'artiglieria. Vol. l. Addestramento del pezzo. Fase.: cannone da 90'53 C-Parte 1". Istruzione sul materiale e sulle munizioni, 4842, 1952. Idem, fase. : cannone da 90'53 P. Parte 1•. lstruzione sul materiale e sulle munizioni, 4846, 1952. Idem, fase.: cannone da 90'53 P-Parte 2". Servizio di pezzo, 4850, 1951. Idem, fase.: cannone da 94150. Parte I•. Materiale e munizioni, 4997, 1954. Idem, fase.: cannone da 94150. Parte 2•. Servizio del pezza. 4998, 1953. Istruzione provvisoria per la manutenzione dell 'obice da 105122, 5001, 1953. Istruzione provvisoria per la manutenzione dell'obice da 105122 semovente Ml, 5017, 1953. Istruzione provvisoria sul mortaio da 107, 4942, 1952. Addeslramento dell'ar1iglieria. Fase.: cannone da /4()130. Parie 2•. Servizio del pezzo, 5009, 1953. Idem, fase.: obice da 149119. Mod. 42-50. Parte 2•. Servizio del pezzo, 4943, 1953. Idem, fase.: ohice da l.'i.'i/23. Parte 2•. Servizio del pezzo, 4879, 1952. Istruzione provvisoria per la manutenzione obice da 155123, 5003, 1953. Addestramento dell'artiglieria. Voi. l. Addestramento del pezzo. Fase.: cannone da 155145. Parte 2". Servizio del pezzo. 5009, 1953. Idem, fase.: obice da 155123. Parte 2". Servizio del pezzo. 4879, 1952. Istruzione provvisoria per la manutenzione obice da 155123, 5003, 1953. Addestramento dell'a rtiglieria. Voi. /. Addestramento del pezzo. Fase.: cannone da 155145. Parie 2•. Servizio del Pezzo, 4939, 1953. Idem, Parte 1•. lstruzione sul materiale e le munizioni, 4948, 1953. Istruzione provvisoria per la manutenzione del cannone da 155145, 5002, 1953. Insidiosità delle trappole esplosive, 5399, 1950. Istruzione sul ponte Bailey mod. 2 (T.M. 5-277), 5138, 1954. Tecnica d'impiego dei sistemi di telecomunicazione (TM-11-486), 5027, 1953. Fondamenti di telefonia e telegrafia manuale, cire. n° 92, 18-1-1954, G.M. 1954, pg. 290; Fondamen1i della radio (T.M. II-455), 5066, 1954. Istruzione sul centralino tipo UC a spine (10 linee), 4823, 1950. Istruzione sul centralino tipo F-FMKI, FRMJJ, 5095, 1954. Istruzione sulle telescriventi Olivelli, 481 3, 1950. Istruzione sulle telescriventi TC-7-A e TC-7-B (TM ll-2001), 5096, 1954. Manuale sui materiali radiotelegrafici ad uso dei marconisti. Fase. l i, stazione n° 48, 4730, 1949. Idem, fase.: IV, stazione n° 9 MKI, 4732, 1948. Idem, fase. VI: comando a distanza n° 1. Antenne verticali in acciaio a cannocchiale n° 1, 4734, 1947. Manuale sui materiali radiotelegrafici ad uso dei marconisti. Fase. VII, staizone n° 19 MKJJJ. Descrizione tecnica. Appendice alla Istruzione sulle stazioni 19, 4735, 1948. Istru zione sulla stazione radio 694 C., cire. n° 117, 15-11-1954, G.M. 1954, Pg. 345; Istruzione sulla autostazione SCR 299, 4775, 1948. Istruzione sulla stazione SCR 522 ME (VHF), 4800, 1953. Ricevitore R.107. Descrizione generale e istruzioni per l'impiego, 4849, 1952. Istruzione sulla stazione radio 300, circ. n ° 118, 19-11-1954, G.M. 1954, pg. 346. Istruzione per l'impiego e la manutenzione delle ballerie di accumulatori portatili al piombo, 4857, 1951. L'energia dell'atomo e le bombe atomiche, s.n., 1951. Istruzione sul ricevitore 107, cire. n ° 297, 13-VI-1952, G.M. 1952, pg. 1124. Prescrizione tecnica
CAP. U1 - L'IMPIEGO DELLE VARIE ARMI NELLA DOTTRINA DEGLI ANNI 1949-1954
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n° 3. Manutenzione preventiva dei materiali delle trasmissioni, circ. n° 14, 19-Xll-1953, G.M. 1954, pg. 66. Istruzione sulla stazione radio 610, circ. n° 263, 22-V-1954, G.M. 1954, pg. 776. Istruzione sulla stazione SCR-536-A, B. C, D, E, circ. n° 264, 22-V-1954, G.M. 1954, pg. 776. Prontuario caratteristiche stazioni radio, circ. n° 272, 23-V-1954, G.M. 1954, pg. 801. Istruzione sulle stazioni radio SCR-193-D-G-H-J, K. KB; KW, L, M, P, Q, R, S, T, V., circ. n° 273, 23-V-1954, G.M. 1954, pg. 273_ Fondamenti della radio, circ. n° 274, 23-V-1954, G.M_ 1954, pg. 802. Teoria e misura della efficienza dei sistemi radar, circ_ n° 275, 23-V-1954, G.M. 1954, pg. 802. Presacrizione tecnica n° 4_ Uso e manutenzione del telefono «F», circ. n° 312, 23-VI-1954, G_M. 1954, pg. 883. Principi della trasmissione telefonica e telegrafica a grande distanza, circ. n° 313, 23-VI-1954, G_M. I 954, pg. 884. Diretive tecniche per l'addestramento anti-disturbo dei marconisti, circ. n ° 314, 24-VI-1954, G,M_ 1954, pg. 883. Principi della trasmissione telefonica e telegrafica a grande distanza, circ. n° 313, 23-VI-1954, G.M. 1954, pg_ 884_ Direttive tecniche per l'addestramento antidisturbo dei marconisti, circ. n° 314, 24-VI-1954, G,M_ 1954, pg_ 884. Istruzione sulla stazione radio 510, circ. n° 383, 24-VII-1954, G.M . 1954, pg. 1099. Istruzione sulle stazioni radio BC-312. BC-312 X. BC-342, BC-314, BC-344, circ n° 420, 18-VIII-1954, G.M . 1954, pg. 1215. Difesa contro il disturbo radar. Istruzione per gli operatori, circ. n° 421 , 18-Vll-1954, G.M. 1954, pg. 1215. Istruzione sulla stazione radio SCR-284-A, circ. n ° 465, 20-TX-1954, G.M. 1954, pg. 1422. Istruzione sul trasmettitore radio BC-191 N, circ. n° 574, 13-X I-1954, G.M. 1954, pg. 1642. Stazione radio CPRC-26 (ist ruzioni provvisorie per l'impiego), circ. n° 548, 12-XT-1954, G.M. 1954, pg. 1643. Apparato di prova 1-51. Localizzatore dei guasti nei circuiti telefonici in cavo, circ. n° 592, 15-Xll-1954, G.M. 1954, pg. 1734. Istruzione sulla prova circuiti EE/65 ed EF.165 A, B, C, D, circ. n° 144, 12-11-1952, G.M . 1952, pg. 355. 41 Il radar. La radiolocalizzazione e la radionavigazione, s.n., 1950. Norme per l'applicazione delle qualifiche di precedenza telefonica sulle reti militari, s.n.• 1953. Norme per le comunicazioni. Procedure per centralini tele fonici. s.n., 1951. Metodo per l'addestramento alla ricezione e trasmissione, 5120, 1954. I collegamenti dell'esercito per la cooperazione aeroterrestre (n° 7600 della serie dottrinale), 4945, 1952. Memoria sommaria sui principali elementi della regolamentazione americana per la cooperazione aero-terrestre, 5065, 1953. Traduzione delle norme di cooperazione aerote rrestre del Com ando Forze Alleate Sud Europa (HAFSE-Training Directive n° 10. Air Ground warfare), s.n., 1953. Segni convenzionali e abbreviazioni, circ. n° 120, G.M. 1951, pg. 318. 42 Raccolta disposi zioni riguardanti il personale militarizzalo, 519, 1955. R accolta disposizioni riguardanti lo stato caratteristico degli ufficiali dell'esercito, 4843, 1950. Raccolta di disposizioni riguardanti l'avanzamento dei sottufficiali dell'esercito, 4929, 1950. Guida orientativa e raccolta di norme legislative e disposizioni esecutive di carattere permanente, 5035, 1950. Modalità per l'accertamento del grado di maturità tecnica raggiunta dai caporal maggiori volontari specializzali ai fini della loro ammissione ai corsi allievi sollufficiali, 4964, 1952. Seconda raccolta di circolari inerenti col servizio matricolare per la truppa, s.n., 1952. Nuove norme sullo stato giuridico dei salariati dello Stato, s.n., 1952. 43 Nom enclatore dei materiali del servizio del commissariato militare - 1a ca tegoria, 4880, 1951. Idem, 2 8 categoria, 4881, 1951. Idem, 3a categoria, 4882, 1951. Idem 4a categoria, 4883, 195 l. Nomenclatore dei materiali del servizio sanitario militarP. • .~ a r.atP.gnri.a , 4978, 19S2.
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44 Catalogo dei materiali del gruppo «C». Servizio di artiglieria. n° 31 800, circ. n° 56, 22-1-1949, G.M. 1949, pg. 156. Idem, n° 3180 f, circ. n° 60, 24-1-1949, G.M. 1949, pg. 159. Idem, n° 2485 d, circ. n° 83, 8-11-1949, G.M. 1949, pg. 190. Idem, n ° 2485 f, circ. 84, 8-11-1949, G.M. 1949, pg. 190. Idem, n° 2485 r, circ. n° 87, 21-11 -1949, G.M. 1949, pg. 159. Idem, n° 2485 d , circ, n° 83, 8-11-1949, G.M. 1949, pg. 190. Idem, n° 2485 f , circ. 84, 8-11-1949, G.M. 1949, pg. 190. Idem, n° 2485 r, circ. n° 87, 21-11 -1949, G.M. 1949, pg. 193. Idem, n° 3180 h, circ. n° 183, 23-V-1949, G.M. 1949, pg. 477. Idem, n° 3180 h , circ. n° 332, 8-X-1949, G.M. 1949, pg. 854. Idem, n° 2489 i, circ. n ° 387 del 15-XI-1949, G.M. 1949, pg. 1259. Idem, n° 3180 m, circ. n ° 333, 8-X-1949, G.M. 1949, pg. 854. Elenco perla diramazione dei cataloghi dei materiali del gruppo •C», circ. n° 175, 12-IV-1950, G.M . 1950, pg. 479. Idem, circ. n° 190, 19-IV-1950, G.M. 1950, pg. 517. Catalogo dei materiali del gruppo «C», n° 2483 f, circ, n° 242, 10-VI-1950, G.M. 1950, pg. 717. Idem, n° 3180 n, circ. n° 339, 13-IX-1950, G.M. 1950, pg. 1002. Idem, n° 3180, circ. n° 361, 30-IX-1950, G.M. 1950, pg. 1106. Idem, n ° 3180 o, circ. n° 433, 15-XI-1950, G.M. 1950, pg. 1467. Idem, n° 2483 g , circ. n° 174, 15-lll-1952, G.M. 1952, pg. 640. Idem, n° 2485 h, circ. n° 16, 28-VII-1953, G.M. 1954, pg. 67. Idem , n ° 3180 p, circ. n° 116, 9-11-1954, G.M. 1954, pg. 345. Idem, aggiunte e varianti alle pubblicazioni 2484, 2485 a, 2489 i , 3180 m , circ. n ° 142, 6-Ill 1954, G.M. 1954, pg. 426. Idem, circ. n° 152, 22-Ill-1954, G.M, 1954, pg. 437. Idem, n° 2485 e, circ. n ° 153, 22-III-1954, G.M. I 954, pg. 438. Idem, aggiunte e varianti, circ. n° 154, 22-111-1954, G.M . 1954, pg. 438. Idem, abrogazione pubblicazioni n° 2491 e n° 2491 bis, circ. n° 179, 25-111-1954, G.M. 1954, pg. 592. Idem, aggiunte e varianti errata corrige ai fascicoli del catalogo dei materiali del gruppo C (servizio di artiglieria), circ. n° 159; 30-III-1954, G.M. 1954, pg. 442. Idem, circ. n° 227, 22-IV-1954, G.M. 1954, pg. 715. Catalogo dei. materiali del gruppo C (servizio artiglieria), n° 4937, circ. n° 240, 6-V-1954, pg. 754. Catalogo dei m a teriali del gruppo C (servizio dell'artiglieria), n° 2525 a, circ. n° 257, 19-V-1954, G.M. 1954, pg. 772. Seconda serie di aggiunte e varianti ed errata corrige al catalogo dei materiali del gruppo C, circ. n ° 258, 19-V-1954, G.M. 1954, pg. 772. Catalogo dei materiali del gruppo C, n° 5063, circ. n° 335, 28-VI-1954, G.M. 1954, pg. 907. Aggiunte e varianti ed errata corrige al catalogo dei materiali del gruppo C, circ. n° 514, 20-X-1954, G.M. 1954, pg. 1578. 45 Tavole didattiche. Fucile semiautomatico Ml Garand (T.TF.2201), numero categorico 5135, anno 1954. Tavole di tiro per mitragliatrice Breda mod. 37, 2905 , 1953. Foglio matricolare per mortaio da 45 mod. 35, mortaio da 60, mor ta io d a 8 1, lanciabombe a nticarro P.I.A.T., lanciarazzi da 60 mod. 81. 4816 1954. Foglio matricolare per mitragliatrice e fu cile mitragliatore, 4817, 1954. Libretto di Liro per mortai da 45, 60, 81 e per P.l.A.T. e lanciarazzi bazooka da · 60, 4818, 1954. Libretto di tiro per mitragliatrice e fucile mitragliatore, 4819, 1954. Cannone 88127. Mod. 2 e 3. Tavole di tiro cariche intermedie. Granata H.E. mod. /. Rastremata con spoletta 1/ 7-1/9 (senza cappuccio), peso 25 libbre, 4944, 1952. Grafico determinatore delle correzioni del momento. Cannone da 88127. Carica 3 4 • Granata H.E, 5155, 1954. Grafico per la preparazione balistica, cannone 88127, carica 3 a bis, 5109; idem, carica 3 °, 5109/ 1; idem, carica 3a bis, 5109/2. Obice da I 10117. Grafico della preparazione balistica. Granata ad.e. da 100 (non rastremata), carica 4 8 , 5110. Idem, granata da 100 carica 4", 5110/a. Idem, granata mod. 32 carica 4 8 , 5 110/b. Idem. granata d a 100 mod. 32 carica 2 8 • 5110/c. Obice da 105122 su carro armato Sherman M4 e M4 A3. Tavole di tiro, granata ordinaria Ml, granata fum ogena M84, granata controcarri M67, 4784, 1948. Obice da 105122. T.T. granata HE MI, granata nebbiogena HC M84, granata H.E. MI, granata nebbiogena H.C. M84, 4861/bis, 1952. Idem, prima e seconda serie di aggiunte e varianti, 4861/I e 4861 /2 Obice da 105/22.
CAP. LII · L' IMPIEGO DELLE VARIE ARMI NELLA DOTTRINA DEGLI ANNI 1949-1954
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Grafico della preparazione balistica carica 5•, 6•, 1•, 4871, 4971 /a, 4971 /b. Obice da 105/22. Grafico per determina/ore delle correzioni del momento, carica 5• granata ME 1131 e carica 6• granata ME 1131 con 3 listelli, 5157. Mortaio da 107 M30. Tavole di tiro. Bomba a caricamento speciale (FS, WP, L, CNS), bomba H.E. M3, bomba M2 a caricamento speciale, 4958, 1952. Cannone da 14<Y30. Grafico per determinatore delle correzioni del momento, carica 3", granata H.E. da 100 lbs (con 4 listelli), 5183, 1954. Idem, grafico per la preparazione balistica cannone da 140/30, carica 4 •, 5190. Obice da 155/23. Tavole di tiro. Grafico per determina/ore delle correzione del momento, 5160, 1954. Idem, carica 3• con 6 listelli , 5160/a, 1954. Idem, carica 4• con 6 lis telli 5160/b. Idem, carica 5• con 5 listelli, 5160/c, 1954. Idem, carica 6" con 4 listelli, 5160/d, 1954. Idem, carica 7• con 5 listelli, 5 160/c, 1954. Cannone da 155145. Grafico per determina/ore delle correzioni del momento, carica normale, granata H.E.M. 101 con 6 listelli, 5184, 1954. Idem. tavole di tiro, granata HEM 101 e granata illuminante Ml 18 Bl, 5050, 1955. 4 6 Norme igienico sanitarie per la vila in alla montagna durante la stagione invernale, 4949, 1952. Manuale per ufficiali del servizio auLomobilistico, 5060, 1953. Manuale per ufficiali del servizio di commissariato, 5077, 1954. Manuale per ufficiali delle truppe alpine, 5128, 1954. Requisizione quadrupedi e veicoli. T.V. e regolamento aggiornati a tutto il 24 marzo 1942, s.n., 195 I. Specch io di caricamento della tasca di sanitù mud. 1951, 4744, 1952. Caricamento del cofano di sanità mod. 1951, 4807, 1951. Specchio di caricamento della coppia base da medicazione per uso veterinario, mud. 1951, 4892, 1951. Specchi di caricamento del co fane tio per medicinali d'uso veterinario, mod. 1952, 5047, 1953. Istruzione su l servizio automobilistico. Voi. 1. Descrizione e funzionamento d egli autoveicoli, 4856, 1952. Idem. Voi. Il: impiego degli autoveicoli in relazione alle leggi della trazione meccanica. Caratteristiche e prestazioni dei principali autoveicoli in dotazione ai rt!parti dell'esercito, 5052, 1954. Manuale lecnico T.. 9-755 per semovente M18 con cannone da 76 mm e carro protetto M3 9. Istruzione per l 'uso e la manutenzione (traduzione integ rale), 4983, 1953. Manuale tecnico T.M. 9-729 per carro armato leggero T24 (M24). Istruzione per l 'uso e la manutezione (traduzione), 4987, 1952. Manuale tecnico T.M. 9-731 A. Carri armati M4 e M4 Ai (traduzione), 4988, 1953. Manuale tecnico T.M. 9-718 A per carro armato M47 con cannone da 90'50. Is1ruzione per l'uso e la manute nzione (traduzione), 5018, 1953. Ripa razione degli autoveicoli comuni e dei mezzi corazzati. Compiti delle officine, 5030, 1953. Manuale tecnico J:M. 9-735 Carro armato medio M26. Istruzione per l 'uso e la manutenzione, 5040, 1953. Dotazioni di macchine ulensili. Attrezzature e materiali vari, 5043, 1953. Manuale lecnico T.M. 9-758. Cannone semovente da 90 mm T/71 mod. 36. Istruzione per l'uso e la manutenzione (traduzione), 5073, 1954. Automotoveicoli di produzione nazionale in servizio nell'esercito. Caratteristiche e prestazioni dei principali loro tipi, 5080, 1954. Moto re Continental 12 cilindri, AV 1790-5A. Manuale per le riparazioni (traduzione), 5106, 1954. 47 Regolamento per i trasporti militari delle persone e dei bagagli sulle ferrovie dello Stato, 48 25, 1950. Manuale per l'ufficiale di caricame nto, 4950, 1952. Norm e per l'esecuzione dei trasporti ferroviari e marittimi in tempo di pace, 4990, 1952. i struzione per il trasporto di sostanze e manufatti esplosivi, 5036, 1953. Doveri dell'ufficia/e in congedo, 3290 ter. Doveri del sottufficiale in congedo, 3290 quater. 48 Ministero della difesa. Stato maggiore dell 'esercito. Ufficio operazioni e addestramento. Sezione addestramento. Circolare n ° 446/R. 4. del 1 maggio 1946 Direttive per l 'addestramento dei quadri e delle truppe. ! 0 , 2° e 3° ciclo, 1946. Idem. Circolare n° 4447/R.I del 1 marLo 1947 Direttive per l'addestramento dei quadri e
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delle truppe, 1°, 2° e 3° ciclo 1947. Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione addestramento. Circolare n° 4449/R/T del 20 febbraio 1948 Direttive per l 'addestramento dei quadri e delle truppe l, ll, lll ciclo, 1948. Idein. Ci rcolare n ° 4449/R/l del 20 gennaio 1949. Direttive per l 'addestramento nell'anno 1949. Idem. Circolare n° 4450/R/I del 25 gennaio 1950 Direttive per l'addestramento dei quadri e delle truppe nel 1950. Idem. Circolare n° 4451 /R/I del 25 gennaio 1951 Direllive per l'addestramento dei quadri e delle truppe nel 1951. Idem. Circolare n° 4452/R/I del 25 gennaio 1952 Direttive ecc. nel 1952. Idem. Circolare n° 4453/R/T del 1 gennaio 1953. Direttive ecc. nel 1953. Idem. Circolare n° 4454 del l gennaio 1954 Direttive per l'addestramento nell'anno 1954. 49 Norme per l'organizzazione, la direzione e lo svolgimento delle esercitazioni, 5032, 1953. Circolare 19 ()()() del 1 dicembre 1951: addestramento individuale al tiro, s.n., 1951. Circolare 95'A: Organizzazione del C.A.R. Norme di funzionamento con aggiunte e varianti ed errata corrige. Circolare n° 500/S/6/A del 10 maggio 1950: norme provvisorie per l'addestramento ai lanci con paracadute, s.n., 1950. Circolare 600/0/5/H del 15 maggio 1950: R egolamento relativo agli ufficiali osservatori dell'esercito in servizio aeronavigante, s.n., 1950. Regolamento interno dell'accademia militare, n° 4854, 1952. Regolamento interno delle scuole allievi ufficiali di complemento, n° 5004, 1953. Regolamento interno per la scuola sottufficiali di complemento, n° 5042, 1953. Addestramento della fanteria. Voi. J. Istruzione formale (individuale e di reparto), n° 4789, 1954. Programma per l'addestramento di primo ciclo delle reclute ai C.A.R. ed ai corpi, Circolare n° 118, 1-XI-19151 G.M. 1952, pg. 119. Programmi per l'addestramento del plotone fucilieri nel 2° ciclo, Circolare n° 119, l-XI-1951,G.M. 1952, pg.119.
CAPITOLO
LIII
L'ESIGENZA «SOMALIA» E L'ESIGENZA «TRIESTE». IL PRIMO RIDIMENSIONAMENTO DELLE FORZE
1. Il corpo di sicurezza in Somalia. 2. La questione di Trieste. 3. L'esigenza «T». 4. Luci e ombre dell 'esigenza «T». 5. Il taglio degli stanziamenti dell'esercizio finan ziario 1954-'55. 6. La gravissima crisi degli inizi della seconda metà degli anni cinquanta. 7. La
fine di un ciclo.
1.
Il primo impegno sul piano internazionale al quale le forze armate italiane vennero chiamate, dopo la fine del secondo conflitto mondiale, fu la costituzione di un corpo di sicurezza nell'ambito dell'amministrazione fiduciaria dell'Italia in Somalia, decisa il 21 novembre del 1949 nella 250 3 seduta dell'assemblea generale dell'O.N.U .. La Somalia italiana era stata occupata dalle forze armate britanniche ne] febbraio del 1941 e sei anni dopo, il 10 febbraio 1947, l'Italia, firmando il trattato di pace, aveva rinunciato a ogni diritto e titolo sui possedimenti territoriali in Africa, la cui sorte definitiva veniva rinviata a d una successiva decisione dei governi dei quattro grandi, da adottare secondo la procedura riportata nell'allegato XI al trattato di pace. I quattro grandi non erano riusciti a raggiungere un accordo e perciò la questione della Somalia era stata sottoposta all'Assemblea generale dell'O.N.U. che conferì all'Italia il mandato dell'amministrazione fiduciaria per la durata di 1O anni. Il 9 dicembre 1949 venne costituito un comitato composto dai delegati degli Stati Uniti, dell'Inghilterra, della Francia, dell'Iran, delle Filippine e della repubblica di S. Domingo e da osservatori dell'Italia, dell'Egitto e dell'Etiopia, con l'incarico di provvedere alla compilazione del progetto di accordo per la amministrazione fiduciaria dell'ex colonia italiana. Il 27 gennaio 1950 il consiglio di amministrazione fiduciaria approvò il progetto di accordo e, successivamente, in
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data 22 febbraio, l'Italia accettò l'amministrazione fiduciaria che, in attesa dell'approvazione dell'Assemblea generale dell'O.N.U. e della ratifica del governo italiano, previde l'amministrazione fiduciaria di fatto, quando il consiglio di amministrazione fiduciaria e l'Italia si fossero accordati sulle condizioni dell'amministrazione stessa. L'amministrazione provvisoria italiana ebbe così inizio sin dall'aprile 1950 ed ebbe termine il 22 dicembre 1951 con l'inizio del funzionamento dell'Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia (A.F.I.S.). Gli obiettivi principali dell'amministrazione fiduciaria erano quelli fissati dalla Carta dell'O.N.U. all'articolo 76: favorire la pace e la sicurezza internazionale; promuovere il progresso politico, economico, sociale ed educativo dei territori di amministrazione fiduciaria ed il loro progressivo avviamento all'autonomia ed all'indipendenza, secondo quanto s i addice alle particolari condizioni di ciascun territorio e dell e s ue popolazioni ed alle aspirazioni liberamente manifestate dalle popolazioni interessate, e secondo i termini delle singole convenzioni di amministrazione fiduciaria; incoraggiare il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali per tutti, senza distinzioni di razza, sesso, lingua e religione; incoraggiare il riconoscimento dell'indipendenza dei popoli del mondo; assicurare parità di trattamento in materia sociale, economica e commerciale a tutti i membri delle Nazioni Unite ed ai loro cittadini e così pure parità di trattamento per questi ultimi nell' amministrazione del~a giustizia, senza pregiudizio per il conseguimento dei preindicati obiettivi. L'Italia in base all'accordo doveva mantenere in Somalia reparti di polizia e contingenti di volontari delle forze armate per garantire la sicurezza del paese e ]'ordine interno nel territorio. Da qui l'esigenza di un corpo di sicurezza, alla c ui organizzazione l'Italia si era accinta fin dall'aprile del t 948 e, cioè, sin dai primi segnali in base ai quali era stato dato di prevedere l'assegnazione, in una qualsiasi forma, di un mandato in Somalia all'Italia 1. Il primo lavoro di organizzazione consisté nella raccolta dei dati statistici per la selezione del personale volontario e nella valutazione di tali dati in relazione alle esigenze quantitative e qualitative del costituendo corpo ed alle precedenti esperienze d 'impiego nei territori coloniali. La gran parte di tutto il lavoro organizzativo pesò sullo stato maggiore dell'esercito in quanto da questo dipendeva la quasi totalità delle unità del costituendo corpo di sicurezza. li t agosto ·1949 lo stato maggiore dell'esercito
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diramò le tabelle organiche provvisorie relative ai comandi, enti e reparti da costituire con inizio dal 15 successivo; il 13 dello stesso mese rese noto l'organico delJa base logistica di prevista istituzione a Napoli con inizio del funzionamento dal I settembre; il 15 agosto dispose la creazione, presso il comando militare territoriale dì Napoli, del comando del corpo di sicurezza, cui fu preposto il generale di brigata Arturo Ferrara 2 già designato a tale incarico fin dal gennaio dello stesso anno. Entro il 1 dicembre del 1949 venne quasi ultimato il concentramento dei reparti nella zona di Napoli e da tale data il comando del corpo cessò dalle dipendenze del comando militare territoriale di Napoli e passò agli ordini diretti dello stato maggiore dell'esercito. Già dal settembre del 1949 il corpo di sicurezza era stato costituito su: un comando del corpo, un comando truppe esercito, un comando marina, un comando aeronautica, 4 battaglioni motoblindati di fanteria 3, 3 battaglioni motoblindati carabinieri, una batteria di artiglieria da 100/ 17, 1 compagnia genio artieri, 1 compagnia genio collegamenti, reparti e servizi vari, un nucleo di ufficia li per il primo inquadramento di reparti som a li di prevista costituzione, per i quali vennero approntati anche i materiali. Gli elementi della marina, agli ordini di un capitano di vascello, vennero approntati tra il 15 ottobre ed il 1 novembre a Castellammare dì Stabia; quelli dell'aeronautica, agli ordini di un colonnello pilota, nell'aeroporto di Capodichìno. Le forze di terra, per motivi di bilancio, vennero poi ridotte, eliminando due battaglioni carabinieri che non vennero peraltro sciolti, ma rimasero temporaneamente a disposizione nella zona di Caserta in funzione di riserva; da essi furono successivamente tratti i quadri per il completamento del gruppo territoriale carabinieri destina to a sostituire le forze di polizia britanniche e ad inquadrare quelle somale che gli inglesi avrebbero lasciato sul posto. Fin dalla loro costituzione, i reparti svolsero un intenso programma di addestramento effettuato per la parte specialistica presso le scuole, per la parte riguardante il tiro, l'addestramento al combattimento e quello alle operazioni di sbarco presso le unità 4. Frattanto venne costituita una missione italiana di collegamento, alla quale si unì lo stesso comandante del corpo di sicurezza, che partì in aereo per Mogadiscio al fine di concordare sul posto, con le autorità britanniche, i particolari circa il passaggio dei poteri e le altre modalità esecutive atte ad evitare il sorgere di difficoltà all'ultimo momento. Il comandante del corpo rientrò dopo qualche giorno in Italia, mentre la missione rimase in posto al fine di raccogliere notizie
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sulla situazione somala, di mettere a punto il piano Caesar compilato dai britannici, contenente tutte le previsioni e le predisposizioni per la sostituzione delle truppe inglesi con quelle della potenza incaricata del mandato fiduciario - di esaminare le possibilità di riduzione dei tempi di sbarco, di riconoscere la linea di frontiera con l'Etiopia, benché ancora non definita, di predisporre un primo reclutamento di 1200 carabinieri somali, necessario per le operazioni di scarico in previsione di un minacciato sciopero dei portuali. Il lavoro della missione fu assai proficuo e consentì di realizzare una prima sistemazione del corpo nel periodo, anche se breve, di affiancamento alle truppe britanniche. Dagli scambi di vedute con i rappresentanti inglesi emerse altresì la necessità di un migliore adeguamento dell'impiego e dello schieramento del corpo di sicurezza alle, sotto molti aspetti allarmanti, condizioni del territorio somalo. Era del resto noto che una intensa e prolungata propaganda antitaliana aveva fatto presa almeno su di una minoranza della popolazione che, raccoltasi nella Lega dei giovani somali (D.Y.L.), manifestava di continuo la sua avversione al mandato fiduciario italiano. Il trasporto dell' intero corpo di sicurezza venne effettuato tra il 2 febbraio 1950, data d'inizio del carico della prima nave, ed il 2 aprile, giorno di arrivo a Mogadiscio dell'ultimo carico. Richiese l'impiego di 9 navi: 3 piroscafi da carico (Auriga che effettuò due viaggi, San Giorgio, Urania //), 4 Liberty (Assiria, Saronno, Andrea C, Milano), 2 motonavi (Giovanna C e Genova) che complessivamente trasportarono 5791 uomini, 793 automezzi vari, 4 pezzi di artiglieria, 6 imbarcazioni, 4 velivoli, 5813 t di materiali vari, 1077 t di munizioni . Il corpo fu avviato a rticolato su 2 scaglioni: il primo raggiunse la destinazione di sbarco nei giorni 20, 23, 28 febbraio e 5 marzo; il secondo, comprendente il grosso del corpo di sicurezza, giunse a Mogadiscio tra il 14 marzo e il 2 aprile. La gran parte degli sbarchi avvenne nel porto di Mogadiscio, mentre il battaglione di carabinieri destinato a presidiare la Migiurtinia sbarcò sulla spiaggia di Bender Cassim. Gli sbarchi si rivelarono laboriosi per le difficoltà, del resto previste, opposte dalla scarsa potenzialità del porto di Mogadiscio, dalla temperatura elevata e dalla necessità di ridurre il più possibile i tempi delle operazioni. L'addestramento specifico impartito in patria, l'attività svolta a terra dal battaglione giunto con lo scaglione avanzato e lo slancio degli uomini garantirono una sufficiente speditezza delle operazioni ed evitarono perdite e disguidi che furono irrisori. Il 1 aprile in
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Mogadiscio l'autorità britannica cedette i poteri a quella italiana con una semplice cerimonia: ammaina bandiera inglese e alza bandiera italiana_ Alla cerimonia assistettero autorità civili e militari britanniche ed italiane, rappresentanti dell'O.N_U., osservatori stranieri e una massa di popolazione italo-somala. Non vi fu il benché minimo incidente o inconveniente né a Mogadiscio, né nelle altre località, dove il passaggio dei poteri avvenne secondo le stesse modalità di Mogadiscio. Il 5 aprile le truppe britanniche completarono la loro evacuazione. Lo schieramento fatto assumere alle forze del corpo di spedizione 5 rispose al criterio-base di un grande decentramento determinato dalla vastità del territorio e dalla penuria delle vie di comunicazione, spesso segnate solo da piste malagevoli. L'adozione di tale criterio fu resa possibile dall'atteggiamento della popolazione, nella sua maggioranza non contraria al ·mandato italiano, anzi speranzosa nell'assistenza generosa dell'Italia sulla quale la Somalia, per an tica esperienza, sapeva di poter contare. I quattro battaglioni motoblindati - tre di fanteria e uno carabinieri vennero fraziona ti in varie località del te rritorio, suddiviso inizialmente in 6 zone milita ri, costituite su basi operative e territoriali , ridotte poi a 5 ed infine a 4. Un battaglione motoblindato di fanteria e la batteria di artiglieria venne ro stanziati in Mogadiscio, mentre le due compagnie de l genio e le unità dei servizi vennero suddivise nei vari presidi principali in relazione alle diverse esigenze delle singole zone. Le forze di polizia, esclusa un'aliquota minore, vennero schierate lungo la linea di confine, frazionate in posti fissi, a larghi intervalli l'uno dall'altro, al cui sostegno in caso di n ecessità vennero orientati reparti autocarrati tenuti alla mano in posizioni centrali rispetto ai settori d'intervento. Si diede subito inizio alla costituzione dei primi reparti somali, le cui sedi di raccolta furono stabilite nelle località di Narsciek, Ita la e Danane, in ciascuna delle quali, in data I marzo 1950, venne istituito un centro di addestramento per i nuovi arruolati, i quali consentirono ben presto la costituzione di due battaglioni, inquadrati dagli ufficiali del primo nucleo predisposto a tale scopo dallo stato maggiore dell'esercito all'atto de lla costituzione del corpo di sicurezza, e da sottufficiali tratti dagli ex graduati dei disciolti battaglioni ascari. Il I battaglione somalo fu costituito nello stesso giorno del passaggio dei pote ri all'amministrazione fiduciaria italiana; il 15 aprile venne costituita a Mogadiscio una compagnia somala territoriale; il 1 maggio, il 1 agosto ed il
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1 dicembre 1950 vennero rispettivamente costituiti il II, III e IV battaglione somalo (quest'ultimo nel 1952 verrà trasformato in battaglione somalo scuole) sulla base degli organici fissati dallo stato maggiore dell'esercito il 30 aprile 1950. La favorevole situazione dell'ordine pubblico, la rapida costituzione delle unità operative somale, l'esigenza di contenere il più possibile la spesa dell'amm ini strazione fiduciaria determinarono la graduale riduzione del corpo di sicurezza c on inizio dal 1 ottobre 1950. Una seconda riduzione venne effettuata alla fine di giugno del 1951, una terza quasi subito dopo - il nume ro degli elementi nazionali scese a 2000 unità - ed altre a ncora nel 1952 e nel J954 fino a quando maturarono i tempi per lo scioglimento dell'intero corpo, decretato il 1 gennaio del 1956 6 . Dal punto di vista tecnico-militare, la prep a razione, l'organizzazione e lo svil uppo delle attività del corpo di sicurezza furono operazioni completamente riuscite e di brillante successo. L'esercito dette prova convincente della sua ripresa spiritu ale e materiale. Gli obiettivi fissati vennero pienamente raggiunti in tempi minori di quelli preventivati. Gli incidenti local i della fase iniziale non andarono mai oltre i limiti dell'interesse esclusivo delle normali attribuzioni di polizia e non richiesero mai l'intervento delle forze armate come tali . Le condizioni politiche locali favorirono l'attività del corpo di sicurezza al di là di ogni ottimistica previsione, ma esse furono determinate a nche proprio dalla presenza del corpo di sicurezza nelle località maggiori e nei centri minori per il serio, corretto e premuroso comportamento, tenuto dai comandanti e da i gregari del corpo di sicurezza italia no ch e ispirò la su a attività a spiccato sen so del dovere, a grande compattezza disciplinare, a p rofondo rispetto d ella popolazio ne indigena ed alla manifesta volontà di voler a iutare la Somalia a conquistare nel più breve tempo possibile l'assetto necessario all'autonomia e all'indipendenza. Nonostante la vastità e la complessità del lavoro, il continuo mutamento e le progressive decurtazioni della forza, le difficoltà del clima e delle comunicazioni, il corpo di sicurezza dette ottima prova di sé e confermò la pienezza del possesso di quei principi di alta civiltà che sono parte costitutiva del pa trimonio spiritua le e culturale dell'intera nazione italiana e delle sue forze armate in particolare. L'attività del corpo di sicurezza riscosse l'a mmirazion e generale entro e fuori i confini de ll'Ita lia e de lla Somalia.
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2.
Il dramma di Trieste era cominciato 1'8 settembre e non si concluse, diversamente che per il resto d'Italia, il 25 aprile del 1945. Anzi da tale data si colorò di tinte più fosche. Il 1 maggio 1945 la città venne occupata dal IX corpus iugoslavo che vi rimase per un mese e dodici giorni. Ma l'abbandono della città da parte del IX corpus, il 12 giugno, non restituì Trieste ed il territorio limitrofo all'Italia. Trieste venne occupata dalle forze anglo-americane che vi rimasero fino al 26 ottobre del 1954, per cui la città, dal 1945 al 1954, visse un'esistenza incerta e precaria in un clima di pericolosa instabilità, non senza morti e feriti in disordini. Dalla conferenza di Londra del settembre 1945 a quella di Parigi del febbraio del 1947, nel giuoco del tiramolla fra i quattro grandi, il problema di Trieste non aveva trovato una soluzione meno irrazionale di quella della creazione del territorio libero (T.L.T.). Il trattato di pace firmato dall'Italia aveva lasciato uno spiraglio di s per a nza - il territnrin libero non sarà considerato come territorio ceduto - per il ritorno di Trieste al'Italia, ma il se, il come, il quando ciò si sarebbe verificato era rimasto del tutto incerto. Nel marzo del 1948, a lla vigilia delle elezioni politiche italiane, in una dichiarazione tripartita - Stati Uniti, Inghilterra, Francia - tre dei quattro grandi, avevano espresso la speranza di vedere un giorno Trieste ricongiunta all'Italia, ma la dichiarazione era stata solo una professione di amicizia e di comprensione, oltre tutto di carattere strumentale, e non aveva avuto seguito. Fu solo nel settembre del 1952 che il ministro degli esteri del Regno Unito, sir Antony Eden, ed il segretario di Stato americano, Dean Gooderhan Acheson, cominciarono a muoversi per la ricerca di una soluzione da dare al problema del T.L.T. che continuava a rappresentare una mina vagante nella politica internazionale e che costituiva per gli Stati Uniti e per il Regno Unito un onere economico fattosi nel tempo vieppiù gravoso. Eden si incontrò in Svizzera con De Gas peri e fece intendere c he si sarebbe recato a Belgrado per indurre il maresciallo Tito ad accettare una proposta anglo-americana concordata, che prevedeva la spartizione definitiva del T.L.T. mediante l'as segnazione della zona «A» all'Italia e della zona «B» alla Jugoslavia. Senza escludere del tutto tale soluzione, De Gasperi si mostrò molto prudente e reticente, ma non al punto tale da indurre Eden a non avanzare la proposta alle autorità di Belgrado. Eden raccontò successivamente che a Belgrado aveva constatato la disponibilità del maresciallo
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Tito e del m1mstro degli esteri, Edvard Kardely, ad accettare la spartizione, purché l'accettazione stessa apparisse come conseguenza di forti pressioni esterne, quasi imposta con minacce, non già come atto spontaneo e libero. Dopo circa un anno dall'incontro di Eden con Tito, il problema di Trieste continuava ancora a stagnare senza che apparisse alcun segno di avvio di una soluzione, quando nell'estate del 1953 il presidente del consiglio dei ministri italiano, onorevole Giuseppe Pella, che nell'agosto di quell'anno era succeduto a De Gasperi, valutò mature le circostanze per proporre la definizione della questione, minacciando di non ratificare il trattato della comunità europea di difesa (C.E.D.) e addirittura di far uscire l'Italia dalla N.A.T.O. o, quanto meno, di non procedere a nessun accordo per la cessione di basi militari italiane alla N.A.T.O., qualora gli alleati non offrissero precise assicurazioni sui diritti dell'Italia su Trieste. Le minacce di Pella non rimasero senza effetto. L'8 ottobre, in una dichiarazione hipartita , gli Stati Uniti ed il Regno Unito annunciarono che avrebbero ritirato le loro truppe dalla zona «A» e che queste sarebbero state sostituite da quelle italiane tenuto conto del preminente carallere italiano di tale zona. Nell'agosto c'era stato un discorso di Pella nel quale, richiamandosi alla proposta alleata del 1948 che aveva auspicato il ritorno all'Italia di Trieste, egli aveva richiesto con energia l'adempimento della promessa ed il discorso non era certo piaciuto al maresciallo Tito. Tra la fine di agosto e la prima quindicina di settembre, la tensione italo-iugoslava crebbe. Il maresciallo Tito aveva interpretato il discorso di Pella nel senso che l'Italia si proponesse di occupare Trieste, ossia di annettersela di fatto, se non di diritto. Per dimostrare che non avrebbe assistito passivamente ad un atto del genere, ordinò una parziale mobilitazione delle sue forze. L'Italia, da parte sua, rafforzò la vigilanza lungo la linea di confine e presidiò qualcuna delle posizioni difensive che sbarrano le comunicazioni provenienti d'oltre confine. Le acque sembrarono poi calmarsi e tutto tornare quasi alla normalità, che era pur sempre caratterizzata da rapporti di cattivo vicinato, quando venne resa nota la dichiarazione bipartita del ritiro delle truppe alleate dalla zona «A» e del ritorno dell'amministrazione della zona stessa al governo italiano, dando per scontata l'avvenuta cessione della zona «B» alla Jugoslavia. La dichiarazione dell'8 ottobre in pratica confermava quanto Eden aveva proposto al maresciallo Tito l'anno prima e che questi aveva ufficiosamente accettato riservandosi il diritto di protestare, anche violentemente,
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in modo da calmare la reazione che l'annuncio avrebbe suscitato nell'opinione pubblica jugoslava. Ma il maresciallo non si limitò a protestare, fece intendere di aver mutato parere e dichiarò ufficialmente che se l'Italia entrava nella zona «A», avrebbe considerato la mossa come un atto di aggressione contro la Jugoslavia, riservandosi d'inviarvi egli stesso le sue truppe. Quali i motivi di questo repentino mutamento di rotta del maresciallo? Eisenhower li identificò nella reazione eccessivamente entusiastica all'annuncio da parte del popolo italiano, probabilmente gonfiato dalla stampa internazionale più di quanto in realtà lo meritasse, quell'entusiasmo avrebbe indebolito il prestigio di Tito; donde il suo voltafaccia 7. Alle misure adottate dal maresciallo dopo la dichiarazione bipartita - richiamo di classi dal congedo, schieramento di forze lungo la linea di frontiera con l'Italia, incrocio della flotta nell 'alto Adriatico - il governo italiano rispose con misure militari preventive di analoga portata. Occorre obiettivamente riconoscere che la questione di Trieste, fatta nascere dai quattro grandi per il loro disaccordo in sede del trattato di pace, venne male gestita politicamente da tutte le parti in causa. Inizialmente gli Stati Uniti, l'Inghilterra e la Francia, imbarazzati di fronte all'Unione Sovietica che sosteneva le ragioni dell' alleata Jugoslavia, non seppero fare di meglio che inventare il territorio libero di Trieste e, in pratica, rinviare ogni decisione definitiva a tempo indeterminato. A rendere meno facile la ricerca di una soluzione diplomatica, che ponesse fine al regime di occupazione anglo-americana ed ai soprusi del maresciallo Tito nella zona «B», vennero, nel 1948, la rottura tra Stalin e Tito e la cacciata del partito comunis ta jugoslavo dalla grande famiglia dei fraterni partiti comunisti, vale a dire dal Cominform. La stessa dichiarazione tripartita del marzo 1948 e quella bipartita dell'ottobre 1952 non furono mosse felic i e non lo fu neppure il discorso di Pella dell'agosto 1953. Trattare con i dittatori è sempre impresa ardua ed imprevedibile, talvolta impossibile. Ciò non vuol dire che Pella volle riaccendere la questione di Trieste per eludere altre questioni politiche ed economiche che gravavano sul suo governo. Nel marzo del 1952 a Trieste, che continuava a vivere dalla fine dell'aprile 1943 il suo dramma, vi erano stati gravi incidenti. L'internazionalizzazione del territorio libero era parsa fin dall' inizio agli italiani un espediente irrazionale ed effimero che non poteva essere che di breve durata. Trieste era nel 1953 una realtà ancora sentita e sofferta dalla grande maggioranza del popolo
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italiano. Le occasioni della ratifica della C.E.D. e della negoziazione delle basi N.A.T.O. parvero a Pella la migliore opportunità che si fosse mai presentata all'Italia per porre fine al martirio della città italiana che, prima sotto il dominio tedesco, poi sotto quello degli infoibatori slavi ed infine sotto l'occupazione anglo-americana, si consumava nell'amore per l'Italia e nell'odio per lo straniero, da oltre otto anni. Il riproporre sul piano internazionale il problema di Trieste non fu, perciò, un errore, anzi fu un atto dovuto, indovinato e tempestivo; le modalità scelte furono infelici. Dové passare un altro anno perché finalmente Trieste tornasse alla sovranità italiana e si corse il pericolo di un'esplosione che si sarebbe potuta propagare anche aJl'esterno dei due paesi confinanti. Chi pagò il prezzo di quella politica fu ancora una volta la città giuliana che nelle giornate del 3, 4, S e 6 novembre 1953 esplose ancora una volta e versò un nuovo tributo di vite umane e di sangue, fortunatamente l'ultimo. I governi americano cd inglese capirono finalmente che la strada giusta da imboccare sarebbe stata quella di mettere a contatto diretto le due parti alla loro presenza, per porre fine all'artificiosa creazione del T.L.T. che poco era mancato non avesse determinato lo scoppio di un conflitto, sia pure locale e limitato, tra le due parti. Il 2 febbraio del 1954 ebbero inizio i negoziati per un accordo, con da una parte l'americano Harrison e l'inglese Thomson arbitri e moderatori, dall'altra il diplomatico italiano Brosio e il diplomatico iugoslavo Velebit duellanti. Eden sottolineò nelle sue memorie la durezza del duello fra Brosio e Velebit. I rappresentanti americano e inglese insistevano per fare accettare come definitivo il confine oramai già esistente fra la zona «A» e la zona «B» perché erano consapevoli di non poter pretendere dall'Italia altre rinuncie oltre quelle previste dalla nota dell'8 ottobre, mentre Velebit sosteneva da parte jugoslava ulteriori pretese. Gli anglo-americani promisero agli iugoslavi venti milioni di dollari e due milioni di sterline per la costruzione di un nuovo porto iugoslavo nella zona «B» a compenso delle perdita di quello di Trieste. Nel mese di maggio si arrivò a concordare la base del famoso Memorandum che venne siglato da Velebit, Harrison e Thomson, ma non da Brosio, in quanto per ciò che riguardava le rettifiche territoriali il governo dell'on. Mario Scelba, che nel febbraio del 1954 era succeduto a quello invano formato dall'onorevole Amintore Fanfani nel gennaio dopo le dimissioni del governo Pella, non intendeva andare al· di là di quelle previste nella nota
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dell'8 ottobre. Scelba, peraltro, tergiversò piuttosto a lungo, conscio - come sostiene Eden - dell'importanza che il problema di Trieste rappresentava in quel momento per la stabilità del governo da lui presieduto. Le trattative, perciò, continuarono per l'intera durata dell'estate, minacciando di insabbiarsi per una questione territoriale, un'area di poco più di due chilometri quadrati . Nel settembre Eden venne a Roma, s'incontrò con Scelba e si rese conto dei limiti ristretti nei quali Scelba si poteva muovere. Tito, peraltro, continuava a dimostrars i intransigente. Che cosa determinò, allora, solo poche settimane più tardi, la felice conclusione della vertenza? Secondo Eden un carico di grano americano, offerto in quel frangente alla Jugoslavia che ne aveva urgente bisogno 9. Così i dollari americani, le sterline inglesi, il grano americano e la cessione da parte dell' Italia di Punta di Lazzaretto, all 'estremo sud della zona «A», in cambio di un pari tratto di terra sterile e rocciosa a settentrione, fecero cadere le ultime res istenze di Tito. E finalmente il 5 ottobre la lite durata nove a nni finì; il 26 dello stesso mese l'Italia riacquistò la sovranità s u Tries te e la zona «A» rettificata; il 4 novembre successivo il presidente della repubblica, Luigi Einaudi, poté consegnare la medaglia d 'oro al valor militare al gonfalone gigliato ed assistere alla sfilata delle forze armate italiane dalla tribuna eretta, faccia al mare, nella piazza dell'Unità 10_
3. Il primo allarme all'esercito circa l'acuirsi della tensione politica tra l'Italia e la Jugoslavia venne dato dal ministro della difesa, onorevole Paolo Emilio Taviani, che il giorno 29 agosto 1953 convocò il capo di stato maggiore dell'esercito, generale Giuseppe Pizzorno 11, e gli ordinò di adottare misure militari preventive in corrispondenza della frontiera italo-jugoslava, essendo corsa notizia dell'intendimento del maresciallo Tito di annettere alla Jugoslavia la zona «B» del T.L.T. Venne subito raffittita la rete di vigilanza, venne intensificata l'attività di ricerca informativa, venne schierato un certo numero di unità su posizioni serrate alla frontie ra e venne spostato da Palmanova a ridosso del Carso di Monfalcone il 4° reggimento cavalleria blindata Genova. Contemporaneamente venne studiato e preorganizzato un piano per l'effettuazione di un'operazione militare di sorpresa, tendente all'occupazione della zona «A», presidiata dalle forze anglo-americane, nel caso che il mare-
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sciallo Tito avesse dato seguito al presunto intendimento di annessione della zona «B». L'impostazione e l'organizzazione della operazione - alla quale venne dato il nome Delta - furono affidate al comando del V corpo d'armata che si sarebbe dovuto avvalere, per la gran parte delle forze necessarie, di unità diverse da quelle di previsto impiego nella copertura. Il piano previde l'impiego della divisione leggera di fanteria Trieste dislocata nell'Emilia-Romagna, di un raggruppamento di formazione della divisione di fanteria Cremona dislocata in Piemonte ed in Liguria, di un gruppo squadroni carri del 5° Lancieri di Novara, del 4° reggimento dragoni Genova, di un battaglione dell'8° reggimento bersaglieri dell'Ariete, del battaglione S. Marco, del battaglione lagunare Marghera e di una unità di formazione di 300 paracadutisti. Un complesso imponente di forze, ma non eccessivo qualora si tenga presente che l'operazione, che sarebbe divenuta esecutiva solo in seguito ad ordine diretto dello stato maggiore della difesa, avrebbe dovuto svolgersi in modo da cogliere alla sprovvista le forze anglo-americane che presidiavano la zona «A ». A metà settembre, il giorno 14, lo stato maggiore della difesa, su direttiva del ministro, ordinò allo stato maggiore dell'esercito di disporre per la graduale riduzione delle misure messe in atto dal 29 agosto e gran parte delle unità, già schierate sulle posizioni a ridosso del confine, vennero fatte rientrare nelle loro sedi abituali, ad eccezione del 4° reggimento cavalleria blindata Genova, che venne lasciato a ridosso del Carso di Monfalcone. Un mese dopo, il 16 ottobre, fattasi nuovamente fluida la situazione ed essendo aumentata di nuovo la tensione tra l'Italia e la Jugoslavia in seguito alla nota bilaterale anglo-americana del giorno 8, il ministro della difesa ordinò di schierare nuovamente le forze di copertura - questa volta tutte quelle disponibili - in corrispondenza della zona di confine, dispose il richiamo di 3000 militari specializzati da impiegare nelle forze di copertura e autorizzò il richiamo di altri 10 000 militari in congedo per il rafforzamento delle unità di prevedibile impiego nella particolare esigenza del momento, comprese la divisione di fanteria Cremona e le brigate alpine Taurinense e Tridentina che avrebbero dovuto trasferirsi, con inizio da giorno 20, per ferrovia, dalle sedi abituali nel Friuli, ad est del fiume Tagliamento, dove sarebbero state poste alle dipendenze del comando del V corpo d'armata. Frattanto venne riesaminato ed aggiornato anche il piano Delta, questa volta prendendo a base due ipotesi: A) occupazione della zona «A» con il
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consenso tacito della Jugoslavia, B) occupazione in caso di ostilità della Jugoslavia. L'operazione Delta sarebbe stata condotta sotto la direzione del comando del V corpo d'annata dalla sola divisione Trieste, che venne previsto di rinforzare con 2 battaglioni del 60° reggimento di fanteria e 2 battaglioni di fanteria da trarre dalla divisione Pinerolo. Il comando del V corpo d'annata era tenuto in quel periodo dal generale Carlo Biglino 11 ed inquadrava le divisioni di fanteria Mantova (ternaria) e Folgore (binaria), la divisione corazzata Ariete, le brigate alpine Julia e Cadore (questa appena in corso di costituzione), i reggimenti di cavalleria Genova e Lancieri di Novara, il 3° ed il 41 ° reggimento di artiglieria pesante campale, il V battaglione mortai da 81, il V battaglione genio pionieri, il V battaglione genio trasmissioni, il I, II, III battaglione genio pionieri di arresto (II e III ancora in corso di costituzione) ed altre unità varie minori (da posizione, genio minatori, ecc.). La forza media delle unità raggiungeva il 65-;..70% di quella prevista dalle tabelle organiche di pace, mentre le deficienze di alcune specializzazioni erano pari al 50% delle stesse tabelle di pace. Anche le dotazioni di armi e di mezzi, specialmente degli automezzi, erano deficitarie rispetto a quelle fissate per il tempo di pace e, comunque, molte armi, ancorché disponibili, erano prive del personale che le facesse funzionare. Le forze del corpo d'armata erano variamente dislocate nel Friuli, nella Carnia e nel Veneto, grosso modo tra il meridiano di Udine e quello di Rovigo. Il corpo d'armata era orientato a mettere in atto il piano di copertura N.A.T.O. che prevedeva lo schieramento delle unità dal monte Peralba a Tarvisio in corrispondenza della frontiera con l'Austria e da Tarvisio al mare in corrispondenza della fron t iera con la Jugoslavia. A parte il fatto che nella particolare esigenza non era interessato il tratto di frontiera con l'Austria, motivi di ordine vario, compreso quello di salvaguardare il più possibile la segretezza del piano di copertura N.A.T.O., evitando di fare assumere alle forze l'identico schieramento previsto per l'emergenza N.A.T.O., indussero il comando del V corpo d 'armata, posto da quel momento alle dirette dipendenze operative dello stato maggiore dell'esercito, senza interfere nze del comando della F.T.A.S.E. e del nucleo del comando designato della 3a armata, a mettere in atto un piano di contingenza specifico, che tenesse conto dei particolari vincoli e delle particolari remore connessi alla situazione caratterizzata in primo luogo dall'assoluta necessità di salvaguardare per intero l'integrità del territorio italiano,
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compresa la città di Gorizia, ed in secondo luogo dall'altrettanto assoluta necessità di evitare il benché minimo pretesto ed appiglio al quale la Jugoslavia si potesse attaccare per rendere esplosiva la già delicatissima situazione. Il generale Biglino valutò che l'eventuale azione iugoslava, quasi certamente limitata nello spazio e nel tempo, si sarebbe potuta concretare eventualmente in colpi di mano su località di confine, in particolare su Gorizia divisa dalla linea di demarcazione, tendenti a creare il fatto compiuto da far valere in sede di negoziati successivi. Decise di prevenire tali colpi di mani e di respingerli, se e quando si verificassero, mediante: la stretta e costante vigilanza della linea di confine esercitata da forze di polizia integrate da elementi dell' esercito; lo sbarramento di tutte le vie di comunicazione e le direzioni tattiche di penetrazione con la occupazione di posizioni difensive idonee ad essere presidiate da forze schierate a caposaldo, posizioni da scegliere esclusivamente in territorio italiano e, per quanto possibile, a ridosso del confine; il potenziamento del sistema difensivo in profondità, in corrispondenza delle posizioni di maggiore importanza e sensibilità, con i procedimenti della guerra di arresto. Egli suddivise, perciò, in relazione alle forze iniziali disponibili, lo scacchiere in tre settori affidando quello settentrionale (da Tarvisio a M. Lubia) alla brigata Julia rinforzata da un battaglione e da un gruppo di artiglieria di formazione della Cadore, il centrale (da M. Lubia al Vipacco) alla Mantova rinforzata dal 182° reggimento di fanteria Garibaldi (meno un battaglione) della Folgore e dal XIII battaglione mobile carabinieri, il meridionale (dal Vipacco al mare) alla Folgore, depauperata del 182° Garibaldi (meno un battaglione) e rinforzata dal battaglione S. Marco. Mantenne il Genova nella zona del Carso di Monfalcone, fece schierare un gruppo squadroni carri del Lancieri di Novara nella zona Cormons-Capriva e tenne in riserva l'Ariete, lasciandola nelle sedi abituali essendo essa in grado di portarsi ad est del fiume Tagliamento entro tre ore. Circa i lavori di fortificazione campale il generale Biglino ne ordinò l'immediata esecuzione, compresa la messa in opera dei reticolati, mentre per l'attivazione delle interruzioni e per lo schieramento dei campi minati, compresi quelli affidati ai pionieri di arresto, dispose il trasferimento a pie' d'opera del personale e dei materiali (mine comprese) riservandosi l'ordine di messa in opera. I valichi di frontiera, analogamente a quanto fatto dalla Jugoslavia, vennero lasciati aperti al fine di non creare grosse difficoltà economiche ai frontalieri dell' una o dell'altra par te che erano soliti se rvirsene
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quotidianamente per motivi di lavoro e, in particolare, di lavori agricoli. A cavallo del giorno 20 giunsero in zona, per ferrovia, la Cremona e la Tridentina - il movimento della Taurinense era stato frattanto sospeso dallo stato maggiore dell'esercito - ed esse vennero dislocate in riserva rispettivamente nella zona di Palmanova e di Tarcento. La Cremona venne orientata a favore del settore Mantova e la Tridentina del settore Julia. Le due grandi unità avrebbero dovuto garantire il ripristino delle posizioni che fossero andate eventualmente perdute in corrispondenza delle direttrici di penetrazione più pericolose o presidiare la posizione di contenimento arretrata: la Tridentina il tratto di contenimento CividaleManzano, la Cremona quello Manzano-Villesse. L'Ariete continuò ad essere orientata ad agire sul tergo della posizione di contenimento, ma, nel caso la situazione lo consentisse, avrebbe potuto essere impiegata anche ad oriente di tale posizione. Lo schieramento iniziale venne successivamente rimaneggiato e perfezionato ricorrendo a cambi di posizione, rettifiche dei perimetri dei caposaldi e dosature più aderenti alle necessità. La variante maggiore fu quella dell'inserimento in prima schiera del com ando e di altre unità della brigata alpina Cadore 12, alla quale venne affidata in proprio la zona Natisone-J u<lrio fino ad allora di responsabilità della Mantova. Lo scacchiere venne così suddiviso in 4 anziché in 3 settori di grande unità ed il conseguente raccorciamento del settore Mantova, che comprese solo la zona Collio-Goriziano, si tradusse, oltre che in un potenziamento del sistema statico, anche nella possibilità di conferire maggiore consistenza alle riserve settoriali. La Mantova, che all'inizio disponeva come riserva soltanto del gruppo semovente controcarri Folgore e di un gruppo squadroni carri del Novara , poté costituirsi una riserva blindo-corazzata formata dal Genova - che, svincolato dal settor e della Folgore, le venne restituito - da un gruppo squadroni deJ Novara, dal gruppo semovente controcarri Folgore e da un battaglione di fanteria della Cremona. La Mantova ricevé altresì in rinforzo tre gruppi del 7° reggimento artiglieria della Cremona. La Folgore, privata del Genova, costituì la sua riserva settoriale con un gruppo squadroni carri del Novara e il battaglione S. Marco. I due reggimenti di artiglieria pesante campale - 3° e 41 ° - alle dirette dipendenze d 'impiego del comando artiglieria del V corpo d ' armata, conservarono i compiti e gli schieramenti iniziali: essi erano orientati ad intervenire nel settore Mantova ed in quello Folgo re gravitando con il fuoco in corrispondenza d elle zona del Collio e di
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Gorizia. Venne inoltre attivata la difesa dei ponti sul Tagliamento ad opera del battaglione da posizione di previsto impiego in tale difesa. Lo schieramento assunto nella prima decade del mese di novembre non subì modifiche di rilievo fino al termine dell'esigenza che durò fino al 20 dicembre, giorno nel quale fu portato a termine il rientro alle sedi di tutte le unità,· iniziatosi dal 6 dicembre. L'organizzazione logistica fu ispirata al criterio di base del ricorso agli organismi territoriali del V C.M.T. - che il 23 ottobre venne posto alle dipendenze del V corpo - in veste di organi di delegazione d'intendenza. Il comando del V corpo d'armata assunse in proprio la funzione del coordinamento logistico, che la regolamentazione in vigore non gli assegnava, ed accentrò nell'ufficio servizi tutte le richieste delle grandi unità per il completamento delle dotazioni o per i bisogni di carattere vario, escluse quelle per i rifornimenti normali. Il vaglio, con il conseguente accoglimento o rifiuto delle richieste, venne perciò esercitato unitariamente dal comando operativo, che assunse in proprio la giurisdizione su tutto il territorio ad est del Tagliamento anche per quanto riguardava la disciplina dei trasporti e degli itinerari, utilizzando a questo secondo fine una compagnia della polizia stradale messa a disposizione dal comando generale del corpo. Le unità vennero sgravate dall'onore di doversi rifornire presso gli stabilimenti dislocati ad ovest del Tagliamento, facendo carico alle direzioni territoriali di: trasportare i rifornimenti fino agli stabilimenti ad est del fiume ed anche a domicilio delle formazioni dei servizi delle grandi unità; costituire depositi avanzati temporanei proiettandoli il più avanti possibile ed articolandoli sulla fronte; ragguagliare l'entità iniziale delle scorte dei singoli stabilimenti territoriali avanzati ai presumibili consumi di dieci giornate. I rifornimenti dei supporti di corpo d'armata, dei reparti della difesa del Tagliamento e della brigata Cadore, privi di proprie unità dei servizi, vennero appoggiati alle unità logistiche delle grandi unità od agli stabilimenti territoriali viciniori. Le direzioni territoriali dei servizi rimasero alle dipendenze del V comando militare territoriale con sede in Padova. Fu istituito un collegamento continuo e diretto tra gli uffici servizi dei due comandi: l'ufficio servizi del comando del V corpo rappresentava i bisogni, quello del C.M.T. li soddisfaceva dando ordini alle direzioni territoriali o chiedendo alle direzioni generali del ministero della difesa ciò che non era disponibile nell'ambito della sua giurisdizione. Anche il Nucleo dell'Intendenza Nord-Est (N.I.N.E.), costituito tempo prima quale ;iucleo embrionale dell'intendenza di
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scacchiere, fu in costante collegamento con l'ufficio servizi del V corpo. Le richieste che eccedevano i limiti delle normali attribuzioni delle direzioni generali o si riferivano a materiali e bisogni particolari od a concessioni e distribuzioni speciali venivano inoltrate, secondo i casi, dal V C.M.T. o dal N.I.N.E. allo stato maggiore dell'esercito. L'organizzazione logistica dové fare fronte ai bisogni di 7 grandi unità - Mantova, Folgore, Cremona, Julia, Tridentina, Cadore (su 2 battaglioni ed 1 gruppo), Ariete - e di un numero vario di supporti per un totale complessivo medio giornaliero di 70 000 uomini e 2500 quadrupedi dall' ultima decade di ottobre alla prima decade di d icembre. Ciò fu reso possibile dal grande spirito di collaborazione che animò i tre organi interessati - uffici servizi del V corpo e del V Comiliter, N.I.N.E. - e dalla grande disponibilità e prontezza delle direzioni territoriali e dei loro organi esecutivi.
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L'esigenza «T» fu un banco di prova della dottrina e degli ordinamenti in vigore e dette la misura di ciò che era realmente possibile realizzare per la chiusura ddla porta di casa. Fu un'imponente esercitazione in bianco, mai svolta dall'esercito italiano né prima né dopo, non paragonabile neppure a quella del 1934 quando Mussolini ordinò lo schieramento di alcune divisioni lungo la frontiera con l'Austria per trattenere Hitler dall'annettersi tale paese. Essa impegnò direttamente 7 grandi unità ed un numero vario di supporti, ma coinvolse un po' tutto l'esercito ita liano, dallo stato maggiore ad a lcuni comàndi territoriali (I e VI oltre y ch e vi partecipò direttamente), dalle grandi unità operative Trieste e Taurinense alle scuole d'arma che come, ad esempio, quella di Caserta inviò un'aliquota del proprio personale per equipaggiare i carri M24 e M26 del 5° reggimento cavalleria blindata Lancieri di Novara. Vennero richiamati dal congedo 294 ufficiali, 525 sottufficiali, 12 380 uomini di truppa e venne tra ttenuto a lle armi il primo scaglione della classe 1931. Interessò indistintamente tutte le branche: tattica, ordinativa, informativa, logistica, compresi i trasporti per ferrovia, e la mobilitazione. Mise alla prova la capacità di ideazione e di organizzazione dello stato maggiore dell'esercito, del comando del V corpo d'armata e del V comando territoriale e consentì di valutare la capacità di comando e la professionalità dei quadri ufficiali e sottufficiali di tutti i gradi ed il livello addestrati-
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vo delle unità e dei singoli. Si svolse in un clima simile a quello di guerra, anche se soggiacé a molte limitazioni proprie del tempo di pace. Fu caratterizzata da immediatezza nella assunzione dello schieramento, prontezza e regolarità dei trasporti ferroviari sia per l'afflusso che per il deflusso delle unità provenienti da fuori del Veneto, dalla totalitarietà della rispondenza alla chiamata, entro i termini stabiliti, da parte del personale in licenza od in congedo 13. Riferita a tali aspetti l'esigenza «T» fu un saggio di efficienza davvero eccellente della quale il paese, prima ancora delle forze armate, poté sentirsi orgoglioso. Essa merita perciò di occupare nella storia della nazione e delle forze armate un posto di notevole rilievo, indipendentemente dal giudizio che se ne può dare sul piano strettamente politico e diplomatico. Valse a dimostrare l'avvenuta ripresa della nazione dalle dolorose e tragiche vicende belliche ed il riemergere generale dei valori ideali ed etici che invano molti avevano tentato di cancellare per sempre dall'animo delle nuove generazioni. Sotto il profilo tecnico-militare l'esigenza «T» confermò la validità di buona parte del lavoro compiuto, dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, per la ricostruzione dell'esercito, sottolineò taluni errori concettuali d'impostazione nei quali si era caduti per fare il passo più lungo ddla gamba, mise in chiara luce che il grado di efficienza operativa raggiunto era tuttallora molto ai di sotto di quello minimo necessario per non andare incontro ad amare sorprese, tante erano ancora le lacune da colmare, le insufficienze da rimuovere e gli inconvenienti da eliminare. Lo schieramento difensivo attuato, trattandosi di una difesa di copertura, non regolamentata da nessuna pubblicazione, non fu aderente né ai lineamenti del sistema difensivo indicato dalla circolare 3000, né a quelli della 3100. La forte s proporzione tra fronte e forze e l'assoluta esigenza della resistenza ad oltranza in corrispondenza della linea di frontiera, anche per dover mantenere il possesso di posizioni di scarso significato tattico, imposero il ricorso ad un tipo di difesa ad hoc che, al di fuori di ogni schema dottrinale, consentisse la più efficace contrapposizione in sito ad eventuali colpi di mano jugoslavi. Venne a mancare quasi del tutto la zona di sicurezza che nella difesa su ampie fronti - tipo al quale più si accostava lo schieramento della copertura di contingenza ha un grande rilievo ai fini del ritardo e del logoramento dell'aggressore; la posizione di resistenza coincise con una fascia avanzata di caposaldi di entità varia, ciascuno con sistemazione dei fianchi e
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del fronte di gola appena abbozzati, stante la preminente tendenza a proiettare le armi sul davanti proprio per l'assenza di un'antistante zona di sicurezza; i rincalzi e le riserve settoriali pressoché inesistenti per i bassi livelli di forza delle compagnie fucilieri e dei battaglioni costretti, per schierare il maggior numero delle armi disponibili, a rinunziare a priori alla costituzione dei nuclei di contrassalto nell'ambito dei centri di resistenza e all'assegnazione di compiti reattivi a reparti organici. Adeguate, invece, le possibilità di reazione al livello di corpo d'armata garantite da tre grandi unità in riserva: la Cremona, la Tridentina e l'Ariete. Si trattò insomma di uno schieramento difensivo avente una fisionomia particolare, caratterizzata da fasce difensive più che da sistemi di caposaldi, avente una profondità assai modesta s ia sul davanti che sul tergo, ma sufficientemente rispondente alla peculiarità della situazione ed al bisogno di garantire l' impermeabilità almeno iniziale della frontiera. Sebbene trascendesse il valore puramente operativo di collaudo della pianificazione operativa in vigore sulla base di altre ipotesi, lo schieramento attuato fu largamente indicativo dei pregi e dei difetti delle concezioni dottrinali di entrambe le pubblicazioni riguardanti l'organizzazione difensiva, in quanto abbracciò la più ampia varietà di terreni, da quello impervio delle Alpi di Roccolana a quello pianeggiante della soglia di Gorizia ed a quello trarotto del Carso. Riferita ai vari tipi di terreno, l'esperienza convalidò tutti gli orientamenti ed i procedimenti d'impiego della dottrina in vigore e, in particolare, esaltò l'esigenza di conferire un accentuato carattere settoriale al sistema di difesa della frontiera orientale italiana, sia nel quadro dello schieramento di copertura, sia in quello dello schieramento definitivo. Le forze di copertura agirono inizialmente a mo' di un grosso scaglione di sicurezza, incaricato di occupare preventivamente località importanti; successivamente si consolidarono su tali località, r ealizzando una posizione di resistenza a carattere lineare e discontinuo, imperniata su ancoraggi isolati o a gruppi, di entità varia in relazione ai terreni, e su forze in riserva al livello di corpo d'armata caratterizzate dalla diversa natura del movimento con cui agire, oltreché del terreno su cui agire. Natura, plastica e copertura del terreno imposero altresì molti adattamenti agli schemi-tipo dei caposaldi e la realizzazione di questi ultimi nella loro interezza richiese tempi molto più lunghi di quelli preventivati sulla base dei calcoli indicati dai manuali di tecnica fortificatoria, anche per lo scarso addestramento del personale, specie di quello di artiglieria,
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alla esecuzione reale dei lavori sul campo "di battaglia. Un settore questo ultimo nel quale si resero manifeste insufficienze culturali ed inesperienze professionali diffuse, anzi generali, che comportarono sprechi di materiale di rafforzamento e di schieramenti dell'ostacolo di ferro spinato talvolta eccessivi e talvolta non rispondenti alla natura del terreno e della vegetazione 14. La organizzazione del fuoco dei caposaldi, affidata inizialmente ad ufficiali giovani ed inesperti, abituati allo schematico tracciato di linee sulla carta, venne in breve tempo completata e perfezionata sì da risultare ovunque razionale ed accurata nei minimi particolari ed in grado di garantire la densità e la profondità necessarie nell'ambito dei singoli ancoraggi e, dove richiesto, la copertura di fuoco delle varie cortine tra caposaldi cooperanti. Sul piano dell'ordinamento, l'esigenza «T» fece cadere ogni superstite illusione circa la possibilità di poter continuare a distinguere, per le unità di copertura, tra organici di pace e organici di guerra. Scrisse il generale Biglino nella relazione inviata allo stato maggiore dell'esercito 15: La necessità di mantenere i reparti di copertura al 100% degli organici poteva sembrare prima dell'esigenza «T» un 'affermazione teorica, espressione di desiderio più che di meditalo giudizio. Oggi, dopo una così probante esperienza, l'affermazione non è più valida, in quanto non è sufficiente mantenere i reparti al 100% degli organici di pace, ma occorre completare le unità sugli organici di guerra o, quanto meno, completare gli organici di pace fino a raggiungere il 100%, altrimenti si rischia di compromette re la sicurezza del paese perché se si vuole essere sicuri di chiudere la porta di casa con le forze di copertura, almeno per il tempo necessario a radunare le altre, non occorrono molte G. U. ma poche e comple te e il pensare di poter provvedere al completamento di queste in sede di mobilitazione può se rbare amare sorprese. Eppure il personale richiamato era giunto in tempi brevi: il 10% il giorno dopo dalla ricezione dell'ordine di richiamo, il 50% il terzo giorno, il 25% il quarto e il restante 10% il quinto. L'afflusso, la vestizione e l'inserimento dei richiamati nei reparti avevano funzionato abbastanza bene e gli incovenienti, che non erano mancati 16, erano s tati pochi e di modesta entità. I richiamati avevano risposto in massa, i pochi mancanti o non erano stati reperiti perché avevano cambiato domicilio omettendo di darne comunicazione al distretto od erano malati accertati. Nessuno aveva rifiutato la cartolina e nessuno degli operai richiamati aveva partecipato alle proteste, espresse con astensione di 1O
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minuti dal lavoro, organizzate dal sindacato comunista alla Fiat ed alla Lancia. Anche i richiamati della Tridentina, in buona parte altoatesini, erano affluiti in massa e senza dare luogo ad incidenti, nonostante alcune sobillazioni messe in atto dagli estremisti allogeni, specialmente a Merano. La vestizione si era svolta tra qualche difficoltà per la mancanza a pie' d'opera delle dotazione rispondenti, per la confusione di alcuni accantoname nti, per l'inadattabilità del 10% delle taglie del vestiario e dei numeri delle calzature, ma nel complesso anche le operazioni della vestizione erano state sollecite e ordinate. L'inserimento del personale nei reparti era avvenuto in modo regolare e rapido ed il grado di addestramento della truppa era risultato nel complesso soddisfacente. Non così quello degli ufficiali e dei sottufficiali richiamati, i più appartenenti a classi troppo anziane, che non avevano dimestichezza con i nuovi procedimenti e organici e non avevano nessuna conoscenza del nuovo armamento. La scelta più accurata del personale, l'e liminazione di tutti gli inconvenienti riscontrati, la maggiore rapidità conferibile alle operazioni di mobilitazione - provvedimenti in tutti i casi necessari - non sarebbero valsi però a rendere meno impellente il bisogno di tenere le unità di copertura al 100% degli organici di guerra o, quanto meno, di quelli di pace, come chiese il generale Biglino, perché livelli di forza inferiore, quale quello nel quale fu colto il V corpo d 'armata al momento dell 'esigenza «T», avrebbero avuto ripercussioni gravissime sulla tenuta dell' intero sistema difensivo quale che ne fosse la validità concettuale. Che cosa sarebbe, infatti, avvenuto qualora la situazione fosse precipitata? La stessa esigenza di completezza organica risultò altrettanto indispensabile nei riguardi delle dotazioni di reparto e dell'organizzazione logistica. La scarsissima esistenza di automotomezzi rispetto alle tabelle organiche, già di per sé piuttosto ris icate, fu una delle carenze più sentite fin dal primo momento, e, sebbene i tempestivi provvedimenti adottati dal comando del V corpo d 'armata fossero valsi a diminuire la crisi di mobilità e dei trasporti, essa determinò ritardi notevoli nell'effettuazione dei lavori di rafforzamento e di mascheramento e impose remore all'impostazione di una manovra difensiva più dinamica e reattiva che meglio avrebbe corrisposto alla situazione de l momento. L'organizzazione logistica, benché quasi improvvisata, funzionò egregiamente 17, ma le lacune, le falle e le insufficienze furono molte e gravi com e si può rilevare dalla citata relazione d el generale Biglino ed esse non furono estranee a nessun servizio. L'esperienza dell'esigenza «T» ribadì,
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per il settore logistico, l'indispensabilità della prontezza operativa sia dell'organizzazione territoriale, alla quale avrebbero potuto continuare ad appoggiarsi al sorgere di un'emergenza le forze dell'esercito di campagna purché questa venisse meglio articolata e spingesse più avanti alcuni dei suoi tentacoli, specialmente a cavallo degli assi di rifornimenti e sgombero coincidenti con le strade nazionali S.S.13 e S.S.14, sia delle unità dei servizi delle grandi unità dell'esercito di campagna, le quali unità logistiche perciò dovevano essere tenute fin dal tempo di pace in situazione d'integrale completezza organica. Posta alla stregua della realtà, la ricostruzione morale, dottrinale, ordinativa e logistica compiuta nei primi 10 anni del dopoguerra rilevò dati di sviluppo positivi e negativi ed offrì segni indicativi ricavati da un'ambiente realistico molto chiari e precisi. Del tutto soddisfacenti si erano rivelati in primo luogo il morale e l'addestramento, due dei parametri fondamentali dell'efficienza operativa. Personale di leva e richiamato dimostrò grande consapevolezza del momento, una dedizione al dovere, una volontà di far bene, una compattezza disciplinare, una disponibilità al sacrificio ed una capacità di resistenza ai disagi e alle fatiche fisiche molto al di là di ogni pur ottimistica previsione. Riferita al morale l'esige nza « T» fu una sorpresa entusiasmante ed al tempo stesso un incentivo per un ulteriore irrobustimento e un'ulteriore tonificazione delle virtù e delle qualità proprie di un esercito. I quadri di tutti i livelli acquistarono dopo pochi giorni la certezza che le loro unità, qualora messe alla prova del fuoco, avrebbero risposto con pieno rendimento. Certezza che derivava anche dalla constatazione del notevole grado di addestramento individuale e d'insieme accertato quotidianamente durante lo sviluppo delle varie attività operative. L'impostazione e lo svolgimento del sistema formativo e addestrativo adottato dettero una convincente prova pratica della loro validità ed efficienza. Quanto era stato fatto nel campo dell'organizzazione scolastica - scuole e centri di addestramento reclute della metodica formativa e d'istruzione, della programmazione delle attività e della successione di sviluppo delle varie discipline nel tempo dimostrò nel complesso tutta la sua grande efficacia. I quadri avevano assimilato molto bene la nuova dottrina che sapevano adattare alle diverse situazioni e terreni ed i gregari avevano bene appreso le tecniche d'impiego che erano state loro insegnate. Si constatarono lacune e carenze, ma solo nei settori come ad esempio nei lavori di fortificazione e di mascheramento -
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ai quali per motivi vari non si era potuto dare nei vari cicli lo spazio di sviluppo pratico necessario, limitando la trattazione della materia alla parte teorica. La tempra morale e fisica ed il grado di addestramento di 70 000 uomini, messi a dura prova dalla fatica, dalle difficili condizioni meteorologiche - in particolare dalle piogge che, ingrossando fiumi e torrenti e trasformando in mare di fango i terreni d'impiego, avevano riprodotto le condizioni di vita della prima guerra mondiale e della guerra di Grecia - e dalla intensità e molteplicità dei lavori da compiere, erano risultati di piena soddisfazione, anzi ottimi li definì il generale Biglino. Fatta salva la necessità di una maggiore attenzione e cura da dedicare ad alcuni settori, niente era da modificare rispetto a quanto già si era fatto e si continuava a fare nel campo della formazione morale e della preparazione fisica e tecnica del soldato e delle unità. Una constatazione che non poté non riempire di giusto orgoglio i capi di stato maggiore dell'esercito che si erano succeduti nella carica dal 1945 in poi, i comandanli ed i quadri delle scuole e delle unità e tutti coloro che avevano concorso ad imprimere all'esercito il carattere preminente di scuola di formazione del carattere e di professionalità. Delle gavi deficienze ed insufficienze confermate dalla copertura di circostanza la causa prima era stata l'inadeguatezza delle assegnazioni di bilancio che i vertièi militari avevano ripetutamente segnalata alle autorità di governo. Occorre peraltro aggiungere che i vertici militari nell'impostazione conferita ai problemi ordinativi, e in particolare a quello riguardante l'entità delle forze terrestri, e nella soluzione scelta che continuavano a perseguire, si erano proposti obiettivi troppo ambiziosi e, pur di raggiugerli, erano ricorsi a troppi ripieghi di circostanza quali quello degli organici di pace, a troppe rinunzie, a troppi rinvii e ritardi di cui l'esigenza «T» mise in chiara luce l'enorme pericolosità. Che ciò fosse avvenuto in perfetta buona fe<le e nella piena consapevolezza del rischio da correre, non esime dal dover criticare, pur tenendo conto delle numerose ed autorevoli seduzioni delle circostanze, soprattutto dopo l'ingresso nella N .A.T.O., un operato di cui l'esigenza «T» mise in evidenza l'estrema pericolosità. I miglioramenti ordinativi ed organici e la distribuzione del nuovo armamento ed equipaggiamento avevano cambiato il volto dell'esercito; i progressi realizzati sul piano morale e addestrativo erano stati sensazionali; la nuova dottrina era quanto di meglio si fosse potuto fino ad allora distillare dall'esperienza bellica e dalla capacità di previsione e d'immaginazione; ma per conferire al
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nuovo strumento di copertura la potenzialità di efficienza e di rendimento adeguata alle esigenze operative ed ambientali occorreva quanto meno garantirgli per intero i livelli di forza reali del tempo di pace, consentirgli il grado di mobilità assicuratagli dal pieno delle dotazioni di automotomezzi, non lasciarlo alla quasi totale mercé dell'aviazione nemica stante l'assoluta insufficienza delle artiglierie pesanti e leggere contraerei e fornirlo fin dal tempo di pace della completa disponibilità del personale e dei mezzi per i collegamenti e per la cooperazione con le forze dell' aria, nonché sostenerlo con un supporto logistico già pienamente funzionante fin dal tempo di pace e non suscettibile di crisi nel momento della trasformazione e del passaggio dalla normalità all'emergenza. Il generale Biglino chiese anche l'aumento di due brigate alpine, forse contraddicendo il criterio di poche ma complete grandi unità, ma il problema di fondo sul quale intese impegnare lo stato maggiore dell'esercito fu senza dubbio quello riguardante la completezza organica del personale e delle dotazioni dei reparti. Una completezza che non era stato possibile realizzare e che non sarebbe stato possibile raggiungere neppure in futuro qualora non si fossero ridotte le dimensioni dell' intero apparato militare. Il generale Biglino si riferiva alla copertura, di cui aveva la responsabilità in sede nazionale e N.A.T.O., e trascurava il problema del dopo copertura, il cui peso era tutto sulle spalle dello stato maggiore, ma non era certo fuori della realtà quando ammoniva che l'eventuale insuccesso della copertura, facile a prevedersi in una situazione di quasi improvvisa emergenza nella quale si dovesse fare fronte ad un'aggressione diversa da quella iugoslava, avrebbe reso vani la mobilitazione e la radunata di altre forze nazionali e non avrebbe consentito l'afflusso delle forze alleate da oltreoceano, il cui arrivo nello scacchiere italiano era condizionato appunto dalla tenuta della copertura.
5. L'esigenza « T» con le sue chiare e numerose indicazioni di carattere generale e specifico fu senza dubbio un richiamo alla realtà ed una spinta al riesame del programma delle forze. Ancora sul finire del 1953 si tendeva a realizzare l'esercito di campagna su 2 comandi di armata, 5 comandi di corpo d'armata, 10 divisioni di fanteria ternaria, 3 divisioni corazzate, 5 brigate alpine, 3 battaglio-
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ni lagunari, 1 battaglione paracadutisti, 8 battaglioni carri armati, 5 reggimenti di cavalleria blindata, 5 gruppi di artiglieria semovente controcarri, 3 gruppi di artiglieria semovente pesante campale, 23 gruppi di artiglieria ruotata pesante campale, 10 gruppi di artiglieria pesante ruotata, 6 gruppi mortai, 20 gruppi di artiglieria contraerei pesante, 7 gruppi di artiglieria contraerei leggera, 30 gruppi di artiglieria D.A.T., 5 reparti specialisti di artiglieria, 7 battaglioni genio pionieri, 7 battaglioni genio pionieri di arresto, 4 battaglioni genio pontieri, 2 battaglioni genio minatori, 2 battaglioni genio ferrovieri, 2 battaglioni trasmissioni di armata, 9 compagnie trasmissioni, unità di servizi di campagna. Il programma era stato reso noto allo stato maggiore della difesa ed alla N.A.T.O. che l 'avevano condiviso, mentre gli Stati Uniti l'avevano in un certo senso avallato promettendo nel quadro P.A.M . gran parte delle armi e dei materiali necessari per realizzarlo. Anzi la responsabilità di un programma così imponente era da attribuire in mi sura notevole proprio agli Stati Uniti che, durante la fas e acuta della guerra di Corea, concentrarono i loro sforzi sul riarmo e s ul potenziame nto delle forze armate dei paesi dell'alleanza atlantica. Gli Stati Uniti però non concedevano armi e materiali se ·non esistevano già le unità dest inate a fruirne. Lo stato maggiore de ll'esercito, ancora di per sé tendenzialmente incline ai grandi numeri, pur di ottenere le maggiori quantità di materiali possibili, continuava a modellare nuovi reparti, mentre il bilancio ristagnava, anzi, dopo la punta dell' esercizio 'S0-'51 connessa alla guerra di Corea, diminuiva; la forza bilanciata restava più o meno costante ed i quadri venivano polverizzati tra i nuovi reparti. Nel 1953 un intervento del maresciallo Messe 18 in Senato, dov'era entrato e letto come indipendente nelle liste democristiane, richiamò con accenti molto critici le autorità di governo a ripudiare la mentalità di fabbricare tante unità ombra solo per immagazzinare materiale americano, ad affrontare il problema di sintonizzare il risultato di improvvisazioni non sempre felici, a rivedere programmi forse un po ' troppo ambiziosi per essere realistici e razionali, a rientrare al più presto nel canale delle possibilità concrete delle nostre risorse 19. Dette atto che molto si era fatto indubbiamente per le unità di frontiera, pur aggiungendo alla constatazione un commento piuttosto pungente assai meno comunque di quanto si è voluto far credere nel passato con afferma zioni piuttosto avventate - ma si chiese che cosa realmente vi fosse alle loro spalle e quale fosse la situazione della difesa aerea e dell'artiglieria contraerei. Richiamò, inoltre, l 'atten-
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zione sulla necessità di un diverso modo d'impostare e di gestire il bilancio della difesa affermando: Sta di fatto che, nell'ambito del bilancio militare, la ripartizione degli stanziamenti fra le forze armate non è stata mai sottoposta, probabilmente, ad una valutazione di vera e propria politica militare, col risultato di adeguarsi piuttosto ai criteri di compromesso fra i desiderata e le richieste di ciascuna di esse, che non ad una precisa impostazione di obiettivi e di programmi 20_ Le critiche del maresciallo Messe erano senz'altro fondate, ma non furono certo gradite ai vertici militari ed agli stati maggiori - che non nutrivano grande simpatia per il maresciallo che non proveniva dai ranghi del corpo di stato maggiore, pur non potendone mettere in dubbio le eccelse qualità di comandante messe in luce su tre diversi scacchieri operativi - mentre le autorità di governo e lo stesso ministro della difesa dettero loro un'interpretazione di comodo, quasi un invito a ridurre gli s tanziamenti. Il maresciallo aveva inteso dire ben altro; egli, in sostanza, aveva voluto puntualizzare tre esigenze essenziali. In primo luogo nella ripartizione degli stanziamenti di bilancio si doveva procedere secondo il criterio della proporzionalità riferita ai compiti di ciascuna forza armala e non alla realtà ordinativa esistente; occorreva cioè proporzionare prima di tutto l'entità e la struttura di ciascuna forza armata in base alla realtà N.A.T.O .. Questa godeva di una notevole superiorità nucleare e navale, mentre era inferiore all'Unione Sovietica in fatto di armamenti terrestri ed aerei. La politica della N.A.T.O. doveva tendere a mantenre le sue superiorità ed a diminuire il divario negli altri due settori. In questa cornice il problema italiano si proietta tutto, si può dire, nel campo aeroterrestre, in quanto altri provvede a potenziare il fattore aereo strategico e il fattore marittimo 2 1. Una tesi diversa da quella degli stati maggiori della difesa e di forza armata, i quali sostenevano l'equilibrio tra le tre forze, in quanto i compiti a queste assegnati non sottostavano ad una divisione tra alleato ed a lleato, ma rispondevano al criterio del concorso bilanciato, per cui nessuna delle tre forze poteva essere posta su di un piano privilegiato come avrebbe voluto il maresciallo Messe. La seconda esigenza prospettata dal maresciallo Messe era di ordine puramente tecnico-militare e si ispirava al criterio di privilegiare la qualità rispetto alla quantità e di rifuggire dal considerare valide, ai fini della difesa, le unità fittizie che si continuavano a costituire a gettito continuo, che assorbivano fondi, forze e quadri assai meglio impiegabili per colmare lac une e potenziare le .grandi unità di pronto intervento.
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Infine il maresciallo Messe sott9Iineò che i bilanci militari, limitati ma pur sempre significativi, dei quali le forze armate avevano fino a quel momento beneficiato, e gli aiuti statunitensi avevano creato condizioni favorevoli alla ripresa delle forze armate, ma occorreva però preoccuparsi di che cosa sarebbe accaduto qualora i primi fossero stati ridotti ed i secondi fossero venuti a cessare. Tutte le tesi erano opinabili, sia quelle del maresciallo Messe, sia quelle degli stati maggiori, ma a noi sembra che la visione del maresciallo Messe nei riguardi della priorità da dare alle forze terrestri ed aeree, della ripartizione degli stanziamenti e della cessazione della creazione di unità fasulle, fosse più consona e realistica, perché la rinunzia a priori ad ogni iniziativa offensiva, la ripartizione dei compiti tra le forze degli Stati Uniti e quelle italiane, la pratica impossibilità, stante l'onere economico, per le forze aeree italiane di assume re in proprio operazioni strategiche a largo raggio e l'esigenza prioritaria della prontezza operativa delle forze di copertura erano le sole necessità di priorità unu. L'inizio, il 25 aprile 1954, della conferenza inte rnazionale di Ginevra per la sistemazione del problema coreano e quello, il 2 febbraio dello stesso anno, dei colloqui di Londra tra i rappresentanti d egli Stati Uniti, del Regno Unito, della repubblica federativa jugoslava e della repubblica italiana per la soluzione del proble ma del T.L.T. ebbero incidenze significative sulla politica di riarmo seguita nel quinquennio precedente dagli Stati Uniti e dall 'Italia: diminuirono gli ai uti militari statunitensi agli altri paesi dell 'alleanza atlantica; venne apportato all'improvviso dal governo ita liano un taglio di 19 miliar di al preventivo de l bilancio della difesa per l'esercizio finanziario 1954-'55. senza alcuna preventiva consultazione da parte de l ministro con gli stati maggiori della difesa e di forza armata. Questi, in pratica, anche se lasciatisi ad a ndare ad una visione troppo ottimistica di ricostruzione, avevano fino ad a llora lavorato per il raggiungimento di obiettivi di forza accettati dal governo in sede atlantica ed avevano fatto affidamento s ulle promesse del governo di determinati s tanziamenti straordinar i, consolidati negli anni, da destinare appunto al potenziamento delle forze. Era stato su tali basi che erano stati impostati e perseguiti i programmi di sviluppo anche se, nella realtà, gli stanziamenti straordinari non erano stati consolidati, m a tenuti fermi quelli complessivi, erano stati cristallizzati quelli ordinari. La conseguenza era stata che, per il progressivo aumento delle spese di esercizio derivante dal continuo dilatarsi delle strutture e per la diminuzione
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della capacità di acquisto del denaro, una parte sempre maggiore del bilancio destinata al potenziamento aveva dovuto essere impiegata per le spese funzionali . Nell'esercizio 1953-'54 la totalità delle assegnazioni era stata assorbita dalla spesa di esercizio, per cui la decurtazione decisa dal governo non consentiva neppure di coprire più la spesa di esercizio e non solo costringeva a rinunciare al perseguimento degli obiettivi di s icurezza concordati in sede N.A.T.O., ma anche a ridurre le dimensioni strutturali dell'apparato militare fino ad allora messo in piedi, senza poter accompagnare tale riduzione con un qualche miglioramento qualitativo, risultando evidente che questo sarebbe stato perseguibi le soltanto se alla contrazione della struttura fosse stato fatto corrispondere quanto meno il mantenimento delle assegnazioni di bilancio fino ad allora concesse. Fu in questi termini che il generale Marras 22 si espresse in un particolareggiato promemoria presentato al ministro della difesa il 13 marzo 1954 all'oggetto difesa del paese 23. Anche ammesso che nella ricostruzione si fosse agito con troppa larghezza e con troppo ottimismo, tale condotta era stata largamente incoraggiata sia dagli impegni presi dal governo in sede N.A.T.O., sia dalle promesse governative di adeguati finan ziamenti, sia infine dal largo concorso degli aiuti statunitensi. Ora però corne si poteva evitare che le riduzioni di struttura comportassero la rinuncia al m inimo di efficienza che gli stati maggiori N.A. T.O. e nazionali avevano stimato indispensabile per affrontare, con rischio calcolato, la difesa iniziale dell'Italia? Come evitare le sicure, dannose, ripercussioni in campo N.A. T.O., dove già tanto terreno abbiamo perduto in questi ultimi tempi: ulteriore diminuzione di peso dell 'Italia nell'alleanza atlantica; riduzione e rallentamento degli aiuti M.D.A.P., ai quali essenzialmente sono legate le nostre possibilità di funzionamento; cessazione o riduzione delle commesse of shore con gravi riflessi nel campo indust riale e sociale? Per limitare al minimo le incidenze negative il generale Marras proponeva, d'accordo con i capi di stato maggiore di forza armata, d'incidere drasticamente sul piano degli impianti e de lle istituzioni non indispensabili e di destinare le economie così realizzabili al mantenimento dei livelli raggiunti in fatto di unità e mezzi destinati al combattimento, nonché al reintegro dei consumi ed all'incremento delle scorte. Egli passava poi ad illustrare nel particolare la situazione di ogni singola forza armata, per ognuna di queste indicava i livelli di efficienza richiesti dalla N.A.T.O. ed accettati a suo tempo dal governo, avanzava proposte per le riduzioni possibili sottolineandò il grave rischio che ne derivava e
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concludeva ponendo il governo di fronte alle sue responsabilità: spetta naturalmente al Governo valutare se il momento politico è tale da consentire di affrontare detto rischio. Nel caso che la situazione sia ritenuta così tranquillante da poterlo affrontare, il Governo dovrà però tenere presente che un Esercito così ridotto richiede immediati potenziamenti ai primi accenni di un peggioramento della situazione stessa. Nei riguardi dell'esercito, il fabbisogno di forze e mezzi, ritenuto indispensabile in sede N .A.T.O. per la difesa della frontiera italiana - sella base dell'esistenza di un corpo di occupazione alleato in Austria e di una Jugoslavia operante nell'ambito del blocco occidentale o, quanto meno, non ostile a questo ultimo era stato ritenuto pari a 19 divisioni e corrispondenti unità di supporto, a 90 giornate di scorte, ad una efficiente fortificazione difensiva della frontiera. Il traguardo fissato in sede N.A.T.O., dapprima per il 1954, poi per il 1956, era di: 16 divisioni e mezzo e corrispondenti unità di supporto da mantenere in pace ad un grado di efficienza in relazione alla data prevista per il loro approntamento completo con inizio dall'emergenza (9 al 75%, 1 al 50%, 2 1/2 al 40%, 3 al 30% del personale e al 100% dell'equipaggiamento e delle dotazioni per Lulle, a<l eccezione di quelle al 30% del personale, per le quali l'equipaggiamento e le dotazioni dovevano essere pari al 75%); 30 giornate di scorte per le divisioni di primo impiego e 15 per le rimanenti; una adeguata fortificazione de lla frontiera. La differenza rispetto al fabbisogno rappresentava ciò che in sede N.A.T.O. era stato definito il rischio calcolato. Il traguardo del rischio calcolato fissato dalla N.A.T.O. non era stato ancora raggiunto, perché le divis ioni costituite e rano 15 e mezzo (le brigate alpine erano equiparate a mezza divisione) con deficienze percentuali complessive, rispetto ai livelli del tragu,ardo, pari al 10-20% del personale, 20-30% dei materiali (ed ancora maggiori quelle dei mezzi di trasporto, nel campo dei quali raggiungevano il 50% nelle divisioni di primo impiego e 1'80% nelle rimanenti), le scorte presentavano deficienze percentuali complessive del 35% per le munizioni, del 50% per i carburanti e del 30+40% per le parti di ricambio, la sistemazione difensiva della frontiera era appena iniziata. Se vi era una necessità che l'esigenza «T» aveva dimostrato irrinunciabile, era il potenziamento delle grandi unità d'impiego immediato, ma per soddisfarla non sarebbe bastato procedere ad ogni riduzione possibile nei vari settori di non interesse diretto delle unità combattenti, ma sarebbe stato gioco forza diminuire il
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numero delle divisioni, con inizio da quelle di approntamento procrastinato. Se si considera - proseguiva il generale Marras nel suo promemoria - che gli stanziamenti sono per intero assorbiti dalle spese funzionali e che queste, già più volte rivedute e corrette, sono suscettibili di ulteriori riduzioni solo fino ad un limite ormai incombente - oltre il quale non resta altro che incidere sul tenore di vita del soldato - bisogna non soltanto rinunziare al previsto aumento di forza bilanciata, col quale si intendeva migliorare l'efficienza delle unità, ma anche ridurre la forza attuale già limitata. La conclusione, condivisa dal capo di stato maggiore dell'esercito, generale Pizzorno 24, era quella di: approntare e mantenere 5 divisioni («Mantova», «Folgore », «Legnano», «Trieste» e «Ariete») e relativi supporti e 5 brigate alpine («Julia», «Tridentina», «Taurinense», «Orobica» e «Cadore ») al 90% del personale e al 100% di dotazioni; mantenere 5 divisioni («Cremona», «Friuli », «Granatieri», «Centauro» e «Pozzuolo del Friuli») e relativi supporti al 50% di personale e al 100% di dotazioni; sopprimere 3 divisioni («Avellino», «Aosta» e «Pinerolo») rimandandone la costituzione a ll'atto della mobilitazione e conservando soltanto il personale occorrente per la ordinaria manutenzione dei materiali; prevedere per queste 3 divisioni il completamento per addestramento almeno ogni 2 anni, per una durata di 30 giorni, mediante richiami dei riservisti e temporanee assegnazioni di quadri in servizio permanente tratti da altri enti. La soluzione - che segnava una deficienza di 8 divisioni rispetto al fabbisogno della difesa e di 4 divisioni rispetto al livello di rischio calcolato stabilito in sede N.A.T.0. risultava peraltro più costosa di 5 miliardi di quella dell'organizzazione in atto, per cui tra la decurtazione dei 19 miliardi ed il maggiore costo pari a 5 miliardi, il bilancio dell'esercio accusava un deficit di 24 miliardi. Tale deficit poteva essere coperto, parzialmente, limitando per il 1954-'55 la forza delle grandi unità di primo impiego all'85% al fine di contenere nella misura di 2,5 miliardi la maggiore spesa della soluzione proposta, facendo coincidere la ferma effettiva con quella legale di 18 mesi (provvedimento che avrebbe consentito nei tre esercizi successvi un risparmio medio di 12 miliardi annui), apportando altre riduzioni alle spese funzionali (per una cifra annua di circa 7 miliardi), diminuendo il più possibile il personale civile. Ogni altro tipo di economia avrebbe inciso sull'efficienza delle unità combattenti. Per evitare ogni ulteriore calo di efficienza sarebbe stato comunque necessario. secondo il generale Marras, disporre in avvenire di qualche
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assegnazione supplementare, pari a circa 8 miliardi, da destinare in parte a colmare il vuoto ancora restante rispetto al fabbisogno di 24 miliardi e in parte all'incremento delle dotazioni e delle scorte, senza le quali non si combatte, ancora oggi gravemente deficitarie. Circa il modo di reperire la predetta somma di 8 miliardi rappresentava il generale Marras - rimando a quanto dirò in appresso, a fattor comune per tutte e tre le forze armate, riferendomi a quanto la S. V. on.le ebbe a dirmi in passato sulla possibilità di compensazioni alle riduzioni attraverso fonti extra-bilancio. La soluzione sacrificava, inoltre, le esigenze della difesa del territorio e quelle del potenziamento della fortificazione della frontie ra anche esse fondamentali, ma alle quali non era possibile far fronte nelle condizioni in cui il governo aveva messo l'esercito.
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Il promemoria del generale Marras ebbe sul mm1stro e sul governo scarsa incidenza. Il fatto che le riduzioni previste pe r l'esercito, la marina 25 e l'aeronautica 26 comportassero un rischio molto superiore a que llo accettato, non soltanto dagli stati maggiori nazionali ma anche dai comandi N .A.T.O., non venne quasi affatto preso in considerazione. Il generale Marras aveva rappresentato la necessità che la nuova situazione venisse portata a conoscenza del Consiglio supremo di difesa - e questo fu fatto - e ne venisse fatta partecipe anche l'opinione pubblica per non lasciare senza risposta le critiche generiche che si venivano facendo con scarsa cognizione di cose, da coloro che pretendeva no uno strumento potente e pronto con gli stanziamenti assegnati - e questo per motivi politici non venne fatto. Ministro e governo non intesero, o finsero di non capire, che la crescita delle spese di esercizio ed il calo, anzi il quasi azzeramento, di quelJe di potenziamento, avrebbero dato vita ad una spirale che, quando si mette in moto, determina il disfacimento di una forza armata 27. Il promemoria del generale Marras non nascondeva la scomparsa per l'esercito e la marina di ogni possibilità di potenziamento fin dall'esercizio finanziario in corso e dichiarava esplicitamente che nell'esercizio successivo sarebbe stato impossibile, in seguito alla riduzione degli stanziamenti decisa dal governo, mantenere i livelli raggiunti. L'unica forza armata che non poteva subire diminuzioni di forza, e che anzi occorreva portare al livello di priorità e di
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completamento accettati durante l'ultima sessione del Consiglio atlantico, era l'aeronautica, di cui non si poteva pensare ad una riduzione del numero dei gruppi come veniva proposto per le divisioni dell'esercito. Per il potenziamento dell'aeronautica, fino a raggiungere il completamento del programma fissato, occorrevano assegnazioni di fondi supplementari da trarre da fonti extrabilancio - proventi ricavabili dalla vendita di beni demaniali, proventi ricavabili da quella parte degli aiuti americani per la quale le stesse autorità degli Stati Uniti avevano già espresso l'intendimento di devolverla a vantaggio dei bilanc i militari (Agricultural Surplus per 11 miliardi di lire e Military Aid per 13 miliardi), soppressione dei dazi doganali sui carburanti occorrenti alle forze armate (per una somma pari, sulla base dei prevedibili consumi, a circa 9 miliardi) - in quanto il nuovo assetto dell'esercito e della marina non solo assorbiva per intero gli stanziamenti ridotti e le economie conseguenti dalla riduzione delle strutture, ma richiedeva a breve scadenza integrazioni dei bilanci delle due forze armate. Il generale Marras dava, in sostanza, ragione al maresciallo Messe, concentrando lo sforzo a favore delle forze aero-terrestri e sacrificando la marina, ma ispirava il suo progetto di ridimensionamento ad una visione troppo angusta dell'efficienza operativa dell' intero apparato militare. La determinazione del quantum si sarebbe potuto lasciare in vita di ciò che esisteva e la definizione dei tempi entro i quali le varie aliquote di forze avrebbero dovuto essere pronte al combattimento erano due aspetti fondamentali dell'equazione da risolvere, ma ve n'era un altro sul quale il generale Marras sembrava sorvolare. Si sarebbe potuto, sia pure per tre anni, rinunziare ad ogni miglioramento della situazione, fatto salvo quello di portare nel secondo anno i livelli di forza alle percentuali previste (90% per le unità di impiego immediato e 50% per le altre), senza nessun potenziamento qualitativo? Chi avrebbe potuto garantire che l'introduzione delle armi atomiche tattiche non avrebbe comportato, quanto meno per le forze terrestri, una modifica della dottrina e degli ordinamenti d'impiego e perciò un maggiore grado di mobilità ed un minore livello di vulnerabilità? L'unica cosa sulla quale i comandi N.A.T.O. convenivano in quel momento era che l 'impiego delle nuove armi non apriva prospettive di riduzione delle forze convenzionali, almeno per alcuni anni ancora. Si può facilmente intuire la sofferenza del generale Marras nel dover proporre, a così breve distanza di tempo dalla loro creazione, la soppressione di unità che egli stesso aveva costituito
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nel fervore di attività esplicata per la ricostruzione dell'esercito, ma tale sofferenza non gli avrebbe dovuto fare velo fino al punto di rinunziare esplicitamente ad ogni miglioramento qualitativo pur di salvare il maggior numero possibile delle unità esistenti. Abituato a lavorare, prima come capo di stato maggiore dell'esercito e poi come capo di stato maggiore della difesa, in perfetta intesa con il ministro Pacciardi nella comune volontà di ricostruire l'esercito e le altre due forze annate fino ad un elevato grado di consistenza quantitativa e qualitativa, in una situazione di bilancio limita to, ma sostanzialmente adeguato a fare fronte a lle esigenze immediate della ricostruzione, potendo contare sugli aiuti americani, sentì mancargli il terreno sotto i piedi quando all'improvviso fu messo al corrente della impensata decurtazione di bilancio. Il non poter condurre a compimento l'opera intrapresa, sulla base degli impegni internazionali e delle garanzie ricevute dal governo, proprio ne l momento in cui la situazione italiana stava per dive ntare più <lelicata per il vuoto che si sarebbe creato in seguito al ritiro delle forze di occupazione francesi e britanniche dall'Aus tria e per la non ancora chiarita situazione dei rapporti ital o-jugoslavi, pose all'improvviso il generale Marras in grave imbarazzo e difficoltà ed e gli limitò il suo esame alle incidenze negat ive ùel taglio del bilancio sui programmi di sviluppo, già approvati in passato ai vari live lli nazionali e N.A.T.O., senza voler affrontare la nuova situazione generale che veniva maturando. Quasi allo scadere del suo m a ndato, egli forse non volle impegnare il futuro al fine di lasciare al suo successore ampio spazio di riesame o forse, consapevole della portata in futuro della modificazione in corso, giudicò prematuro tentare nuove strade . li suo p romemoria indi cò la soluzione d ei problemi urgenti posti dalla decurtazione finanziaria; non andò oltre; ebbe in partenza carattere interlocutorio. Non tutto ciò che i1 generale Marras aveva scritto nel suo promemoria del marzo 1954 rimase lettera morta . Alla base del programma di ridimen sionamento che il nuovo capo di stato maggiore della difesa, generale Giuseppe Mancinelli 28, rese noto ai capi di stato maggiore di forza armata c inque mesi dopo 29, permase il concetto-guida di: potenziamento de ll'aeronautica, la cui situazione di reale efficienza era la più lonta na dal traguardo di un programma minimo di difesa; compressione al puro indispensabile della marina, stanti le esigenze meno allarmanti e pressanti del settore navale nel quadro operativo generale; restringimento delle strutture troppo allargate dell'e serc ito - un restringimento molto
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pm pronunciato di quello previsto dal generale Marras - fermo restando il contemporaneo rinvigorimento degli organi destinati a rimanere in vita. Il nuovo programma, approvato nelle sue linee generali dal Consiglio supremo di difesa ed accettato dai comandanti N.A.T.O. interessati (SACEUR e CINCSOUTH), poggiava sull'esplicito impegno preso dal governo d 'incrementare progressivamente gli stanziamenti del bilancio della difesa nei tre esercizi 1955-'56, 1956-'57 e 1957-'58 rispettivamente di 21, 15 e 8 miliardi, senza comprendere la spesa per i carabinieri, e di consolidarli successivamente al livello raggiunto. Il promemoria del generale Marras al ministro era stato un documento-proposta; la lettera del generale Mancinelli ai capi di stato maggiore delle tre forze armate fu una comunicazione di decisioni già concordate e rese note in precedenti riunioni dei capi di stato maggiore. Scopo della direttiva del generale Mancinelli fu di: fissare c hiaramente alcuni concetti fondamentali ai quali il programma di ridimensionamento si ispirava e segnare le linee maestre <legli ordinamenti che ne sarebbero derivati, al fine di assicurare la necessaria convergenza degli sforzi verso un unico obiettivo, senza possibilità di equivoci e di malintesi. Ed ecco i c i-iteri generali della direttiva: severo realismo e completa sincerità; creazione di strumenti bellici tecnicamente adeguati alla crescente esigenza della difesa nazionale, beninteso considerata nel quadro della operante cooperazione atlantica; organizzazione della difesa diretta a fronteggiare l'ipotesi più sfavorevole dell'aggressione improvvisa; preparazione essenzialmente rivolta a sostenere le prime operazioni nelle quali dovremo impegnare risolutamente quanto di meglio avremo potuto preparare in tempo di pace; garanzia di successo della ballaglia iniziale che è la premessa per avere il tempo per approntare le forze - di cui è necessario programmare l'organizzazione e l'impiego - per continuare la lotta attingendo dalle riserve umane nazionali e dalle forniture di materiali a lleati; chiarezza di idee sulle caratteristiche dello strumento per la battaglia iniziale. Ma tale battaglia iniziale come doveva essere prefigurata ? Non come azione statica, cristallizzata nel mantenimento di una posizione più o meno forte, più o meno organizzata, più o meno profonda, ma come impiego della posizione quale mezzo efficace per costringere, con forze relativamente limitate, il nemico a rivelarsi, a caratterizzare i suoi piani, a spezzare il suo abbrivio, a logorarsi per trafilarsi nei varchi che sarà riuscito ad aprirsi, a scomporre il suo dispositivo, a frazionarsi, ad
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offrire alla nostra reazione obiettivi redditizi. Subito dopo si leggeva: Determinati a sacrificare quanto meno sia possibile del sacro suolo della Patria (se possibile a portare la guerra oltre il con fine) dobbiamo tuttavia essere orientati a condurre la battaglia unitaria su uno spazio determinato, di considerevole profondità, non su di una posizione o più posizioni successive. La direttiva non intendeva affatto modificare la decisione adottata nella seduta del Consiglio atlantico del 18 e 19 dicembre 1950 circa la strategia della difesa avanzata e tanto meno tornare alla strategia della difesa periferica adottata in un primo momento nell'ambito della N.A.T.O .. Essa prendeva atto che l'efficacia delle armi moderne era tale da rendere possibile uno sfondamento e che pertanto intendere la strategia avanzata come difesa ad oltranza di una posizione, senza prevedere la continuazione in profondità della lotta anche sul tergo di tale posizione, era poco realistico e pericoloso. Occorreva impostare una manovra difensiva unitaria - non più battaglie su più posizioni successive - che non scartasse il ricorso a manovre in ritirata, qualora necessarie, tendenti a guadagnare il tempo utile a ll'afflusso di altre forze. L'esercito doveva tenere con le forze di copertura le posizioni avanzate della frontiera nord-orientale, con il concorso delle forze aeree anche s tatunitensi, per consentire ad altre forze nazionali di affluire per la difesa di tali posizioni e, quando questa fosse divenuta impossibile, per manovrare nella pianura friulano-veneta fino all'arrivo in aiuto di forze alleate. La marina doveva continuare a difendere le coste della penisola ed a scortare i convogli nazionali e alleati per garantire l'integrità del territorio e la sopravvivenza della nazione in modo da facilitare il mantenimento del dominio del Mediterraneo da parte del potere ae ronavale a lleato. L'aeronautica doveva concorrere al l'azione delle altre forze. In altre parole: non vi era nessuna mutazione di strategia; nessuna variante dei piani se non quella di con feri re unitarietà ad una manovra difensiva più profonda; nessuna rinunzia a difendersi il più avanti possibile e, se fattibile, a sviluppare la controffensiva oltre il confine, ma solo una chiara indicazione a non considerare esaurito il compito sulle posizioni di confine. Anzi, il successo era proprio da ricercare nella battaglia iniziale sfruttando immediatamente, con azione decisamente aggressiva, le locali possibilità favorevoli che si potessero offrire alla manovra, perché proprio nell'integrazione degli episodi iniziali favorevoli sta la premesa
per la vittoria decisiva. Da tale visione di strategia militare derivava la necessità assoluta di disporre di forze di primissima qualità realizzabili - a parte
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le armi ed i materiali per i quali siamo tributari degli Alleati - in funzione di elevati valori del morale e dell'addestramento. A tale riguardo la direttiva del generale Mancinelli proseguiva: La coordinazione degli sforzi si realizza, sul campo, più per la spontanea concomitanza delle reazioni dei comandanti inferiori, assicurata da una profonda preparazione in sede di addestramento e legata da un espresso concetto di manovra, che per effetto degli ordini dei comandanti di alto livello, fatalmente in ritardo sul rapido evolvere degli eventi. Per il gioco terribilmente complesso del combattimento occorrono non soltanto giocatori provetti ed abili capitani, ma anche squadre allenate ed intimamente affiatate attraverso un 'assidua pratica dell'azione collettiva. E più avanti: La preparazione dei quadri di ogni livello ai compiti ed alle responsabilità inerenti alle funzioni di cui saranno investiti in guerra, il perfetto addestramento individuale e collettivo della truppa, il grado d'istruzione dei riservisti destinati a completare le unità della lotta sono altrettanti fattori fondamentali dell'efficienza bellica di ciascuna Forza Annata. Un 'organizzazione che non raggiungesse questi obiettivi mancherebbe totalmente al proprio scopo o, con gravissimo sperpero di denaro, non servirebbe che ad illudere pericolosamente il Paese e ad ingannare gli Alleati. Occorreva interrompere il circolo vizioso come aveva già ammonito il generale Marras - di riduzione delle unità da parte italiana perché gli Stati Uniti non facevano giungere i materiali e sospensione degli invii di questi ultimi perché l'Italia non predisponeva in anticipo le unità destinate ad accoglierli. Un complesso vario di cause, sostanziabile nella inconciliabile antinomia tra impegni assunti in sede N .A.T.O. e disponibilità finanziarie, aveva p rodotto una espansione tale da non consentire il dovuto regime di alimentazione e da paralizzare ogni possibilità di potenziamento. La struttura generale è disarmonica, le unità sono anemiche, i quadri si prodigano, tra difficoltà di ogni genere, in un lavoro di scarso rendimento, i riservisti sono praticamente abbandonati. In queste condizioni non saremo in condizione di dare vita, in caso di emergenza, a strumenti bellici di pronto ed efficace impiego. Conseguentemente una coraggiosa operazione di ridimensionamento s'impone. Era quanto l'esigenza «T» aveva dimostrato ad abundantiam. La deduzione circa la necessità del ridimensionamento dell'esercito e della marina - alla quale era giunto pochi mesi prima anche il generale Marras benché in misura meno drastica e rinunziando almeno pro tempore ad ogni potenziamento qualitativo - sembrava ineludibile e lo era·perché il governo confessava di non
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poter mantenere gli impegni assunti. Questi peraltro erano derivati da un'attenta valutazione compiuta dai vertici militari N.A.T.O. e nazionali i quali, naturalmente inclini a chiedere il più per ottenere il necessario - quale capo militare non ha mai chiesto in partenza più forze di quelle strettamente indispensabili e quale ha poi confessato di averne ricevute in eccesso? - avevano richiesto un numero ottimale di divisioni (19 divisioni e corrispondenti unità di supporti), di navi necessarie alla difesa delle acque costiere (35 avvisi scorta, 4 unità costiere, 74 dragamine, 8 sommergibili, 12 motosiluranti) - il calcolo delle altre unità navali era ancora in corso da parte del comando in capo del Mediterraneo - e di 467 aerei, articolati su 20 gruppi di cui 6 caccia-intercettori diurni, 9 cacciabombardieri, 1 caccia-tutti i tempi, 2 da ricognizione, 2 da trasporto). Avevano poi accettato, sulla base di un rischio calcolato, un numero ridotto di unità, al di sotto del quale però il rischio si sarebbe tradotto in azzardo. Come mai ora i vertici militari N.A.T.O. e nazionali a<.:<.:ellavano l' azzardo? Avevano sbagliato prima o cadevano in errore ora? La verità e ra che il SACEUR, il C/NCSOVTH, i capi di stato maggiore nazionali ed il comandante delle F.T.A.S.E. prendevano atto della realtà finanziaria, non sostalzialmente modificabile (almeno nell'immediato futuro} e, dovendo in ogni caso difendere la penisola italiana, si adattavano allo stato di necessità di doverlo fare in maniera azzardata. Di chi sarebbe stata la responsabilità di un insuccesso difensivo qualora si fosse verificata un'aggressione improvvisa? La questione, già propostasi più volte in passato, tornava ad essere di attualità. La differenza era che nel passato le autorità politiche avevano costretto le forze armate impreparate a guerre offensive, ora si trattava di adeguare lo strumento militare esclusivamente ad un'eventuale guerra difensiva nell'ambito di un'alleanza molto forte, ma pur sempre abbisognevole del concorso effettivo <li tutti i suoi membri, grandi e piccoli, potenti e deboli. L'Italia apparteneva al novero delle potenze piccole e deboli e proprio per tale motivo avrebbe dovuto fare ogni sforzo per mitigare la sua vulnerabilità. Nessuno può negare l'estrema difficoltà finanziaria della giovane repubblica e l'altrettanto estrema necessità dello sviluppo economico e sociale di un paese uscito stremato dalle vicende belliche, ma non si può non rilevare che fin da allora il Parlamento, il governo ed i partiti, in particolare quello di maggioranza relativa - fisiologicamente allergico ai problemi militari - si adagiarono sulla mentalità che alla difesa, in fin dei conti, dovevano pensare gli Stati Uniti e che
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l'ombrello atomico garantiva la sicurezza dell'Italia, indipendentemente o quasi dalle forze armate nazionali. Una mentalità che, nata nella seconda metà degli anni cinquanta, regolerà la politica militare italiana fino ai giorni nostri, relegando il problema della sicurezza e della difesa, contro lo stesso spirito della Costituzione, negli ultimi posti della scala delle priorità. Una mentalità che contraddice il desiderio di pace di cui maggioranze ed opposizioni si sono sempre fatte paladine, ignorando il rovesciamento di idee prodottosi nell'era nucleare e spaziale, nella quale le forze armate hanno in primo luogo la funzione di evi tare la guerra, .e, solo in caso diverso, di combatterla, con la conseguenza che per seguire il primo scopo, fondamentale e prioritario, debbono essere credibili e che per essere credibili debbono possedere un'adeguata efficienza dissuasiva, ben si intende nel quadro complessivo dell'alleanza atlantica. Diverso invece fu l' intendimento dei vertici militari che tentarono di stabilire un'organizzazione di pace che, pur nella sua limitatezza, rispondesse alle esigenze della copertura e fosse, nello stesso tempo, idonea a generare tempestivamente una forza complessiva in grado di guadagnare il tempo minimo necessario all'afflusso degli aiuti esterni. È difficile valutare oggi se, con riferimento alla situazione operativa generale di quel periodo, il calcolo dei tempi effettuato dei vertici militari N.A.T.O. e nazionali rientrasse nelle possibilità concrete di tale afflusso, ma tutto induce a rispondere affermativamente; altrimenti i vertici dovrebbero essere accusati d'incompetenza tecnica e di tradimento dell'alta missione loro affidata come si esprimeva testualmente il generale Mancinelli, il quale aggiungeva: le limitate possibilità finanziarie potranno non consentire, in senso quantitativo, la soluzione integrale del problema militare che ci si presenta ma le manchevolezze risulteranno evidenti e la pianificazione operativa atlantica potrà poggiare su basi reali. Meglio in ogni caso - affermava esplicitamente il generale Mancinelli - la verità ed il realismo che l'inganno di sé stessi e l'illusione. Le linee fondamentali del programma di ridimensionamento dell'esercito previdero: per la copertura, 4 divisioni di fanteria (tutte ternarie appena possibile), 1 divisione corazzata, 5 brigate alpine, tutte costantemente ad un livello organico del1'85-90%, sì da poter entrare immediatamente in campagna, completandosi con minime operazioni di mobilitazione in zona d'impiego; per il completamento del dispositivo per la battaglia iniziale, 3 divisioni di fanteria ternarie, ad un livelJo organico del 100% (quadri, specializ-
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zati ad un livello superiore al 100%), che si sarebbero sdoppiate e completate per mobilitazione per dare vita a 3 divisioni ternarie al venticinquesimo giorno di mobilitazione, così da raggiungere un elevato grado di addestramento (livello degli effettivi al 100% e completo inquadramento) e da risultare atte a moltiplicarsi rapidamente per mobilitazione, secondo un procedimento minutamente predisposto e periodicamente collaudato, operando su riservisti costantemente aggiornati; 2 brigate corazzate ad un livello organico del 100% atte a partire immediatamente come tali al terzo giorno di mobilitazione ed a dare vita agli elementi necessari per la successiva integrazione come divisioni da realizzarsi in zona d'impiego ovvero ad una terza brigata autonoma entro il venticinquesimo giorno della mobilitazione. Stessi c riteri di applicazione per i supporti relativi alle grandi unità di copertura e d i schieramento inizia le, mentre ogni altra unità doveva essere considerata di secondo tempo (dopo il trentesimo giorno dalla mobilitazione) e d a costituire cx novo. Il meccanismo per la costituzione e la mobilitazione delle grandi unità, escluse quelle di copertura (Mantova, Folgore, Legnano, Cremona, Ariete, Julia, Tridentina, Taurinense, Orobica, Cadore), consisteva: nella fusione delle divisioni Trieste, Friuli, Granatieri, Pinerolo, Avellino, Aosta, a due a due, in tre divisioni di fanteria ternarie, da portare gradualmente al 100% di efficienza organica e con inquadramento opportunamente studiato per favorire le operazioni di sdoppiamento; nello sdoppiamento, all'atto della mobilitazione, de lle tre divisioni di pace in due aliquote, limitatamente al personale, esteso però a tutti i reparti, e pari rispettivamente al 70% ed al 30% del totale; nella costituzione, con la prima aliquota e con tutti i materiali della divisione di pace, di una divisione ternaria (divisione madre) da completare in zona di radunata od in una prescelta zona di addestramento, con la seconda aliquota del personale e con materiali accantonati e mantenuti in piena efficienza nei magazzini, di una divisione (divisione figlia) da approntare entro il venticinquesimo giorno dalla mobilitazione e da completare in sede e trasferire al più presto, a completamento avvenuto, in adatta zona di addestramento. Sulla base di tali linee fondamentali, il generale Mancinelli indicava anche le principali modalità da seguire per applicare in modo remunera tivo l'intero programma di ridime ns ionamento 29. Entrambe le soluzioni - proposta del generale Marras e decisione del generale Ma ncinelli - tennero debito conto della necessità, rilevata dall'esigenza «T», di attribuire là massima
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prontezza operativa alle unità di copetura, anche se entrambe non elevavano al 100% il livello della forza effettiva, come il generale Biglino aveva richiesto, ma si contentavano dell'85 +90%. La proposta del generale Marras prevedeva il mantenimento al 50% della forza delle divisioni di fanteria Cremona, Friuli e Granatieri e delle divisioni corazzate Centauro e Pozzuolo del Friuli e la soppressione delle divisioni di fanteria Avellino, Aosta e Pinerolo non lasciando più alcuna grande unità nel Mezzogiorno ed in Sicilia; la soluzione del generale Mancinelli, mentre ovviava questo ultimo grave inconveniente, consentiva la disponibilità al terzo giorno della mobilitazione di 3 divisioni di fanteria ternarie e di due brigate corazzate costituite con il 70% di personale già alle armi e con solo il 30% di personale richiamato, aventi cioè un grado di addestramento assai più elevato di quello che non avrebbero potuto avere divisioni costituite dal 50% di personale richiamato. La soluzione del generale Mancinelli, che a prima vista poteva sembrare più ardita, era in realtà ispirata a criterio di maggiore prudenza e di maggiore operatività ed inoltre era più economica. La rinunzia in tempo di pace a due divisioni corazzate e la loro riduzione a brigate non costituivano provvedimenti così sconcertanti come potevano di primo acchitto apparire, perché due brigate corazzate al 100% della forza organica e disponibili fin dal primo momento dell'emergenza (dal terzo giorno della mobilitazione) erano in realtà operativamente più remunerative di due divisioni corazzate al 50% della forza organica. Un punto debole della soluzione del generale Mancinelli era la maggiore complessità del meccanismo della costituzione e della mobilitazione delle divisioni figlie e la periodicità della sperimentazione del dispositivo di approntamento di tali divisioni, ma i vantaggi del nuovo sistema compensavano di gran lunga gli inconvenienti, che i dati di esperienza. avrebbero consentito di ridurre ed al limite di annullare. Sia pure per vie diverse, entrambe le soluzioni tendevano a perseguire l'entità di forze valutata necessaria per la situazione di rischio calcolato. Entrambi i generali ebbero, dunque, una visione d ' insieme analoga e indirizzarono le economie da realizzare soprattutto nei settori meno incidenti sull'esercito di campagna e sull'organizzazione scolastica e addestrativa, che si astennero dal modificare, mettendo invece l'accento sulla necessità di ridimensionare il più possibile il complesso dell'organizzazione e dell'amministrazione militare centrale e periferica non di stretto interesse operativo. A tale riguardo il generale Mancinelli giunse a sottolineare la necessità di un 'ener-
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gica riforma del costume amministrativo perché nella generale indigenza della quotidiana vita amministrativa si notano stridenti eccezioni di prodigalità che sono inammissibili, elefantiasi degli organi centrali, moltiplicazione di esuberanti stati maggiori, inflazione dei gradi e degli uffici nei troppi comandi periferici, ecc. Il generale Marras, da parte sua, aveva già individuato altri settori di economia: riduzione drastica del personale civile, cessione di arsenali all'industria privata o all'LR.I., dismissioni di immobili e terreni demaniali, ecc. L'auspicata riforma del costume amministrativo non vi fu e le cose rimasero quasi così com'erano. Il ministro si guardò bene dall'accogliere le proposte del generale Marras e di mettere ordine nel settore dei beni e dei servizi demaniali e del personale civile. Il capo di stato maggiore dell' esercito fece suo il pensiero del generale Mancineli per eliminare gli abusi nell'impiego del personale e dei mezzi, ma l'impresa, come riconobbe il generale Mancinelli, si presentava sì promettente di frutti, ma anche assai ardua. In altre parole, non solo le assegnazioni di bilancio continuarono ad essere inadeguate, ma un'aliquota delJe disponibilità continuò ad essere spesa male. Il programma di ridimensionamento dell 'esercito del generale Mancinelli poté avere applicazione solo parziale, perché frattanto venne maturando, nell'ambito della N.A.T .O. una nuova situazione strategico-politica e strategico-militare che impose il riesame della dottrina, degli ordinamenti e dei piani operativi in vigore. Dei diversi avvenimenti che incisero sulla strategia politica e militare della N.A.T.O. verso la fine della prima metà degli anni cinquanta e l'inizio della seconda, quello che rappresentò la grande svolta della strategia militare, della tattica e di tutta l'organizzazione del combattimento fu certamente la introduzione sul campo di battaglia dell'arma nudeare tattica. Dal 16 luglio 1945 {primo esperimento degli Stati Uniti di bomba atomica) al 14 luglio 1949 {primo esperimento sovietico di bomba atomica) e dal 1 novembre 1952 {primo esperimento americano di bomba H) all'8 agosto 1953 (annuncio del possesso delJa bomba H da parte dell'Unione Sovie tica) la tecnologia delle armi nucleari aveva compiuto passi giganteschi e rapidi presso entrambe le superpotenze. L'illusione degli Stati Uniti di poter conservare il monopolio nucleare era durata poco e, già nella prima metà degli anni cinquanta, l'Unione Sovietica aveva iniziato la corsa per raggiungere la parità con gli Stati Uniti. Questi ultimi, da parte loro, erano andati alla ricerca anche di ordigni atomici di capacità distruttiva minore, più ma-
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neggevoli e di ricaduta radioattiva ridotta rispetto alle stesse bombe di Hiroshima e di Nagasaki, in modo da poter disporre di una panoplia di ordigni per impieghi differenziati e lanciabili da mezzi diversi (aerei e cannoni) in attesa che gli studi sulla missilistica, già in corso, consentissero mezzi di lancio e di propulsione più avanzati. Quando nel 1954 gli Stati Uniti annunziarono il possesso della bomba atomica tattica, dottrine e ordinamenti della guerra convenzionale subirono ovunque, a cominciare proprio dagli Stati Uniti, un vero e proprio chock che sembrò sul momento porre in discussione la stessa sopravvivenza delle forze convenzionali o , quanto meno, la loro identità tradizionale. Il problema si pose all 'esercito italiano come a tutti gli altri eserciti del mondo, ma mentre il suo studio e la ricerca delle deduzioni da trarre dall'impiego del nuovo mezzo rivoluzionario avrebbero richiesto il possesso di dati tecnici meno generici e comunque un certo periodo di tempo per mettere ordine nelle concezioni, nei procedimenti e negli ordinamenti, il ridimensionamento delle strutture continuava a porsi in termini di operazione chirurgica di urgenza estrema senza nessuna alternativa di rinvio. La crisi istituzionale in cui l'intero apparato militare e, in misura molto più grave, l 'esercito vennero a dibattersi ebhe caratteristiche del tutto insolite. Da una parte, la generale e quasi assoluta incertezza sull'esercito del futuro, dall' altra l'esigenza di ridurre subito l'entità di quello esistente. I vertici militari dovettero affrontare da soli la crisi, che non è retorico definire veramente drammatica, non appoggiati da reale comprensione da parte delle autorità politiche di governo (interessate solo a mantenere operanti le decurtazioni di bilancio dell'esercizio 1954-'SS ed a non andare al di là di vaghe promesse circa gli incrementi dei tre esercizi successivi), non sostenuti dal consenso del Parlamento nel cui ambito gli echi della crisi non furono sufficientemente recepiti o vennero addirittura distorti, non confortati dalla partecipazione della opinione pubblica rimasta ancora una volta assente dal dibattito militare di cui, in aggiunta, venne questa volta tenuta più o meno volutamente quasi all' oscuro. Vedremo in prosieguo come i vertici militari e gli stati maggiori, attraverso le loro decisioni, il dibattito interno a lle forze armate e le sperimentazioni di nuove concezioni e di nuovi procedimenti, seppero u scire dal tunnel senza lasciarsi travolgere dai risucchi delle correnti di pensiero estremiste - l'arma atomica tattica non cambia nulla, l'arma atomica tattica travolge tutto -; qui è sufficiente avere accennato alle due incognite principali dell' equa-
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zione che si trovarono all'improvviso a dover risolvere in uno stato d'isolamento quasi totale. Apriamo una breve parentesi. Non è necessario, anzi potrebbe essere più che inopportuno, affidare la direzione politica del ministero della difesa ad un militare o comunque ad un tecnico, mentre invece è fondamentale che il ministro della difesa creda nell'essenzialità, almeno fino ad oggi indiscutibile, delle forze armate quale strumento unico ed insostituibile della sicurezza e della difesa del paese, sia convinto che nell'economia generale della nazione esse non sono meno essenziali della sanità, della pubblica istruzione e della giustizia, partecipi, sentendoli come cosa sua e dell'intera nazione, ai problemi che le riguardano e se ne faccia pacato assertore nell'ambito del governo, del Consiglio supremo di difesa e del Parlamento, creda fermamente nella funzione dissuasiva assunta dalle forze armate nell'era nucleare e spaziale ed in quella di strumento di guerra, quando questa fosse inevitabile, per difendere l'integrità, l'indipendenza e la sovranità nazionale, non si lasci tentare da falsi pudori, da ipocrite considerazioni demagogiche e tanto meno da opportunismi di parte. In materia di strategia militare e di tecnica d'impiego delle forze, deve avere fiducia nei vertici militari che del resto egli stesso propone al governo. Possono esservi difficoltà nelle scelte: non tutti i generali e ammiragli, ancorché validissimi come capi e tecnici nell'impiego di una grande unità, anche del massimo livello, sono in grado di svolgere egregiamente la funzione di capo di stato maggiore della difesa o di forza armata, ma agli errori di scelta il ministro ha la facoltà e la possibilità di riparare. Non è possibile il viceversa. Da qui l'accuratezza che il presidente del Consiglio dei ministri - il quale deve avere delle forze armate e delle loro funzioni lt! stesse concezioni e la stessa fede che abbiamo indicate per il ministro deve porre neJla scelta del suo ministro della difesa.
7. All'inizio del periodo della ricostruzione, l'esercito dette eccellente prova di sé neJla costituzione e nell'impiego del corpo di sicurezza in Somalia; verso la fine, quando la ricostruzione non era ancora stata portata a compimento, l'esercito superò positivamente, malgrado le lacune e le manchevolezze esistenti, il collaudo della sua nuova efficienza impegnando gran parte delle sue forze operati-
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ve nello schieramento a difesa della frontiera orientale. In entrambe le circostanze, pur così diverse l'una dall'altra, la funzionalità dello stato maggiore e dei comandi subordinati elevati e minori, il tono morale dei singoli e delle unità, l'efficienza professionale dei quadri e dei reparti sopravanzarono le aspettative più rosee. Lo sforzo compiuto fu premiato il 26 ottobre 1954 quando il generale Edmondo De Renzi 30, comandante del V corpo d'armata, entrando in Trieste, riprese possesso in nome dell'Italia della città giuliana da più di undici anni martorizzata dall'occupazione straniera. La perfetta sfilata delle truppe del 4 novembre successivo, davanti al presidente della repubblica ed alle più alte autorità civili e militari dello Stato, fu la conferma palese della riacquistata piena efficienza morale, disciplinare e formale delle ricostituite forze armate. Fu anche una dimostrazione della ripresa dell'efficienza materiale perché le armi della fanteria, i carri armati, i cannoni, i velivoli che parteciparono alla rivista erano gli stessi (o analoghi) di queli che in quel periodo armavano gli altri eserciti dell'alleanza atlantica, compreso quello degli Stati Uniti. Il travolgente entusiasmo dei triestini per il ritorno alla madrepatria trovò fondamento anche nella constatazione della riacquistata efficienza delle forze armate che, del resto, proprio in difesa di Trieste, un anno prima ne avevano dato convincente prova. Quasi nessuno in quelle giornate di autunno pensava - del resto erano pochi ad esserne a conoscenza - che quelle forze armate erano già entrate in un periodo di crisi di difficile superamento per la molteplicità e la complessità dei fattori determinanti la crisi stessa. L'inizio dell'opera di ricostruzione risaliva a 11 anni prima, alla sera de ll'8 settembre 1943, quando i primi reparti avevano rivolto le armi contro i tedeschi. Successivamente, il I raggruppamento motorizzato, il corpo italiano di liberazione, infine i gruppi di combattimento avevano segnato il raggiungimento di altrettante tappe faticose, dolorose e cruente del lungo cammino della ripresa. L'esercito di transizione, ereditando quanto di valido c'era ancora nel vecchio e annodandolo con l'esperienza recente della guerra, pur nei vincoli e nelle remore del periodo armistiziale e di quello immediatamente successivo, era riuscito ad acquistare titoli sufficienti per essere ammesso con pari diritti nel novero degli eserciti dell' alleanza atlantica. Entrato a far parte della N.A.T.O. l'esercito, favorito inizialmente dall'autorità politica (ministro Pacciardi) e sostenuto dal potente aiuto degli alleati, soprattutto degli Stati Uniti, aveva potuto in meno di cinque anni assumere una fisiono-
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mia operativa ed acquistare un prestigio impostisi all'attenzione dei partners dell'alleanza e degli altri paesi europei. Ma proprio allora, quando la ricostruzione era già ben oltre la metà del suo cammino, tutto veniva rimesso in disc u ssione da eventi politici e militari dentro e fuori dell'ambito nazionale fino quasi a far dubitare della validità e dell'utilità de l lavoro compiuto. All'improvviso, la vita dell'esercito divenne precaria, l'avvenire incerto e la rottura del ciclo della ricostruzione si presentò non già come un semplice arresto di sviluppo, ma come una vera e brusca inversione di marcia da compiere a fari spenti con l'immanente pericolo di un salto nel buio. Il non poter fermarsi là dove s i e ra giunti, l'essere costretti a tornare indietro ed il dover disfare parte del lavoro compiuto senza l'ausilio dell'esperienza, giacché tutti ignoravano la vera portata de ll'arma a tomica tattica, avrebbero potuto indurre a rinunzie, rassegnazioni e scoramenti funesti. Il capo di stato maggiore della difesa ed il capo di stato maggiore dell'esercito di quel periodo furono invece all'altezza della rispettiva carica. Non si lasciarono fuorviare dalle contingenze, non corsero furiosi alle cose, come avrebbe consiglia to il Guiccardini, ma, parando lì per lì l'imprevisto, si armarono di pazienza e, davanti a ll'incalzare della crisi, si lanc iarono anima e corpo per turare le falle ed al tempo stesso per marciare lungo la nuova rotta da seguire, dopo averla individuata con un lavoro di alta professionalità basato su ragionamenti e su fatti, condotto con immaginazione e con senso del reale, senza voler butta re giù la casa per rifarla dalle fondamenta, ma volendo ripararne le crepe e ristrutturarla per re nderla meno precaria possibile e per a dattarla pe r il m eglio a lle nuove esigenze.
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NOTE AL CAPITOLO LIII 1
Stato Maggiore dell'esercito. Ufficio Storico. Somalia. Voi. Il. Dal 1914 al 1934. Con appendice sul corpo di sicurezza italiano nell'ambito dell'A.F.l.S. Roma, Tipografia Regionale, ottobre 1960. 2 Arturo Ferrara (1894-1978). Generale di divisione. Nel 1913 frequentò la scuola mi li tare e fu promosso sotlolenente, prestando servizio presso il 21 ° reggimento fanteria. Partecipò alla I a guerra mondiale con il grado di capitano presso il 270° reggimento fanteria e, nel 1919, fu assegnato al 54° reggimento fanteria. Prestò successivamente servizio in Libia ed in Eritrea. Frequentò la Scuola di guerra e venne impiegato in compiti di stato maggiore sia presso lo stato maggiore, sia presso l'ufficio militare del Ministero delle Colonie. Durante la 2 • guerra mondiale, comandò il 57° reggimento fanteria e, s uccessiva mente, il gruppo battaglioni Piave. Dopo 1'8 settembre 1943, comandò il 22° reggimento fanteria Cremona e tornò, quindi, a prestar servizio presso gli organi centrali. Il I O dicembre 1949; da generale di Brigala, fu nominalo coma nd:mte delle forze armate per la Somalia ed il 20 febbraio 1950 comanda nte de l corpo per la sicurezza della Somalia. Il I O agosto 1953, da generale di divisione, cessò dall'incarico di comando. 3 Jhidem, allegalo n° 127. I battaglioni motoblindati di fanteria vennero costituiti su: 1 compagnia comando, 3 compagnie fucilieri, I compagnia blindata. Ciascuna compagnia fucilieri su: I plotone comando, I plotone armi di accompagnamento, 2 plotoni fucilieri. La compagnia blindata su: I plotone comando, I plotone carri leggeri, I plotone autoblindato. l battaglioni motoblindati carabinieri vennero costituiti su: 3 compagnie fucilieri, I compagnia mezzi blindati. 4 Ibidem, a llegato n° 128. I corsi di addestramento specialist ico iniziarono il I 5 ottobre 1949 e si svolsero: conduttori di a utomezzi a Caserta; panettieri e conduttori forni a Napoli (panificio militare); infermieri e p ortaferiti a Caserta; specialisti t rasmissioni rt . a San Giorgio a Cremano (presso il C.A.R.); conduttori carrette cingola te a Caserta (P.V.E.); meccanici automezzi a Napoli (10° centro autieri); pionieri a Civitavecchia (scuola artieri); capi equipaggio blindo e secondi piloti a Tor di Quinto; allievi armaio li e artificieri a Napoli (direzione artiglieria del Comiliter); ufficiali e nuclei «I » presso i battaglioni; lavori del campo di battaglia presso i battaglioni; pompieri a San Giorgio a Cremano; radiomontatori a San Giorgio a Cremano; aerocooperazione a Capodichino; idraulici, tubisti, lattonieri a Firenze; laminatori, elettricisti, magnetisti, fabbri, fucinatori, montatori, motoristi, saldatori autogeni a Napoli (10° O.R.A.). 5 Ibidem, allegati 129 e 130. Il 2 aprile l'entità del corpo di sicurezza era di: esercito: 339 ufficiali, 667 sottufficiali, 3800 soldati, 670 automezzi, 4 pezzi, 4531 t di materiali, 993 t di esplosivi; marina: 15 ufficiali, 45 sottufficiali, 195 marinai, 27 automezzi, 6 imbarcazioni, 308 l di materiali vari, 7 t di esplosivi; aeronautica: 43 ufficiali, 203 sottufficiali, 335 avieri, 87 automezzi, 873 t di materiali vari, 77 t di esplosivi; A.F.l.S.: 124 ufficiali, 16 sottufficiali, 2 soldati, 9 automezzi, 4 velivoli, 103 t di materiali vari. 6 Ibidem, allegati n° 132, n ° 133, ·n ° 134, n ° 135, n ° 136, n° 137.
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7 Vladimiro Lisiani. Good-bye Trieste. Milano, Mursia e C. editore, 1964, pg. 49. s Ibidem, pg. 51. 9 Ibidem. IO Il 6 ottobre 1954 il generale Edmondo De Renzi, comandante del V corpo d'armata, si recò a Duino per incontrarsi con iJ maggiore generale inglese Thomas John Willoughby Wintorton che dal 19 marzo 1951 era il comandante in capo delle forze alJeate di occupazione e governatore del T.L.T. L'incontro ebbe luogo nel castello di Duino, residenza ufficiale del generale Wintor ton. Alla mezzanotte del giorno 26 o ttobre 1954 il p rimo convoglio di forze italiane, costituito in gran parte da personale delle trasmissioni, raggiunse il posto di blocco di Duino e varcò ufficialmente la linea che da quel mo mento non separò più Trieste dall'Italia per dare il cambio, ne lla zona di San Giovanni di Duino, all'unità americana che fino ad a llora aveva p residia to la zona e per regolare l'afflu sso delle altre unità che dalle 5 del mattino cominciarono ad affluire verso la città: i l raggruppamento della divis ione Trieste cost ituito dall'82° reggimento fanteria Torino, da 1 gruppo del 21 ° reggim ento artiglieria, da 1 compagnia genio pionieri, 1 compagnia genio trasmissioni, 1 nucleo di sezione sanità, l nucleo di sezione sussistenza, 1 nucleo del reparto trasporti divisionale; 1 battaglione bersaglieri d ell'8° reggimento bersaglieri della D. cor. Ariete; 1 gruppo squadroni del 4° reggimento Genova; il Xlll ba ttaglione mobile carabinieri; unità minori delle altre forze armate e corpi armati dello Stato. Alla r ivista militare del 4 novembre 1954 parteciparono: rappresentanze delle accademie militari dell'esercito, della marina, d ell'aeronautica, ciascuna costituita da 1 compagnia di 100 allievi con bandiera; rappresentanza de ll'arma dei carabinieri s u 1 compagnia appied ata in alla uniforme con bandiera e banda e I compagnia motocorazzata del XIII battaglione mobile; rappresentanza della marina su 1 battaglione di formazione con bandiera (2 compagnie); rappresentanza dell'aeronautica su 1 battaglione di formazione con bandiera (2 compagnie); rappresentanza della D.f. Mantova su l battaglione di fanteria di formazione di 4 compagnie con la bandiera del reggimento di fanteria della divisione più decorato, 1 gruppo squadroni del 4 ° Genova su 2 squadro ni con bandiera, 1 g ruppo da 105 su 3 batterie del 5° reggimento artiglieria con bandiera; rappresentanza della divisione Folgore s u I battaglione di fanteria di 4 compagnie con la bandiera più d ecorata d ei reggimenti della divisione, 1 g ruppo d a 155 su 2 batterie del 33° reggimento artiglieria con bandiera; rappresentanza della D. cor. Ariete su I battaglione di 4 compagnie dell'8° reggimento be rsaglieri con bandiera, 2 battaglioni carri armati di 3 compagn ie ciascuno del 132° reggimenLo carri con bandiera, 1 gruppo a rtiglie ria semovente s u 2 batterie del 132° reggimento artiglieria corazzato con bandiera; rappresentanza della Brg. alp. Julia su 1 battaglione a lpini di 4 compagnie de ll'8° reggimento alpini con ba nd iera, I gruppo artiglieria da montagna di 2 batterie da 75/13 del 3 ° reggimento a rtiglieria da montagna con bandiera; raggruppamento Trieste s u di I battaglione di 4 compagnie dell'82° reggimento fanteria Torino con bandiera e banda; settore forze lagunari s u 1 battaglione di 2 compagnie con bandiera del battaglione S. Marco; rappresentanza dei supporti di corpo d'armata su l gruppo squadroni carri di 3 squadroni del 5° reggime nto Lancieri di Novara con bandiera, 1 gruppo artig lieria da 140 s u d i 2 batterie d el 3° reggi mento artiglieria pesante campale con bandiera, 1 g ruppo artig lieria contraerei pesante da 90 con bandiera del 5° reggimen to artiglieria contraerei, 1 battaglione del genio di 2 compagnie con bandiera del 5° reggimento genio, rappresentanza della guardia di fina n zia s u I compagnia di formazione con bandiera;
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rappresentanza del corpo della guardia di pubblica sicurezza su 1 compagnia autoblindo, 2. compagnie del reparto celere di Padova con bandiera del corpo. La 2° divisione navale si mantenne per intero schierata in mare ed aerei della 56° T.A.F. sorvolarono il ciclo della rivista. In tutto sfilarono: 22 bandiere , 5771 uomini, 154 carri armati, 54 pezzi di artiglieria, 23 autoblindo, 300 muli. 11 Vds. precedente Cap. L, nota 14. 12 La brigata a lpina Cadore venne costituita con inizio da l 1 luglio 1953 con organici iniziali al 30% di quelli di guerra e fu posta alle dipendenze del comando del V corpo d'armata. Vennero costituiti subito il comando di brigata, il comando del 7° reggimento a lpini, il comando del 6° artiglieria da montagna, il nucleo carabinieri. Il 1 ·sellembrc vennero costituiti: il battaglione alpini Pieve di Cadore su compagnia e.ornando di battaglione e I compagnia a lpini; il battaglione a lpini Belluno su compagnia comando, I compagnia alpini, compagnia mortai; g ruppo di artiglieria Lanw da 73/13 su reparto comando, 1 batteria; gruppo mortai da 107 Agordo su reparto comando, 1 batteria; gruppo artiglieria da montagna Pieve di Cadore da 100/ 17 su reparto comando e I batteria; g ruppo artiglieria contraerei leggera su reparto comando e 1 batteria. L' 11 ottobre venne costituita la compagnia trasmissioni. Il 18 ottobre venne costituito il battaglione alpini Cadore su 2 compagnie alpini e l compagnia mortai. Il 20 ollobre il reparto trasporli. In data 18 ottobre le unità di artiglieria del 6° da montagna vennero raggruppate in un gruppo <li fo.-rnazionc su 1 batteria da 75/ 13, I batte.-ia mortai da 107, 1 batteria da 100/17. li 1 novembre venne costituita la compagnia del genio e comple tati i comandi di briga ta e di reggimento. Il 14 novembre i battaglioni Belluno e Pieve di Cadore furono completati delle compagnie organiche. La (àdnre partecipò all'esigenza « T» dai primi di nove mbre al 14 dicembre, data d'inizio del rientro delle unità nelle sedi stanziali, con 37 uffic ia li, 57 sottuffi<..:iali, I 047 uomini di truppa . 13 I richiami ebbero inizio il giorno 19 ottobre a termine il 24. Entro 5 giorni dalla mobilitazione la percentuale dei richiamati, raggiunti dalla cartol ina, che si presentarono ai centri di mobilitazione oscillò, secondo i reparti, dal 90% al 100%. I richiami avvennero con ordine e senza il benché minimo incidente. I trasporti ferroviari per l'afflusso nel Friuli della Cremona e della Tridentina impegnarono 50 convogli per un totale di 1750 veicoli ferroviari. Dopo 99 ore dal preavviso e 82 ore dalla partenza del primo convoglio, la Tridentina raggiunse in 35 ore la zona con 21 convogli per un totale di 650 veicoli ferroviari. La Cremona si trasferl dopo 66 ore dal preavviso e dopo 48 ore da lla partenza del primo treno. 14 Furono messi in opera 10 738 gabbioni, 60 000 paletti di ferro, 85 000 picchetti di ferro, 127 000 palelli di legno, 11 000 picchetti di legno, 255 000 sacchetti di terra, 1500 reti mimetiche grandi, 573 reti mime tiche piccole. Furono portate a pie' d'opera 180 580 mine antiuomo e 108 586 mine anticarro. I rifornimenti del materiale del genio furono effettuati presso 10 depositi dislocati lutti ad est del fiume Tagliamento. 15 Carteggio vario dell 'archivio dell'ufficio storico dello stato maggiore dell 'esercito, comprendente, oltre la Relazione dell 'esigenza «T» del comando V corpo d 'annata, quasi tutta la corrispondenza intercorsa tra questo comando e lo stato maggiore dell'esercito, nonché tra questo ultimo e lo stato maggiore della difesa e altri comandi ed enti interessati a ll' intera questione di Trieste. 16 Richiami di personale in particolari situazioni di famig lia (un richiamato rimasto da poco tempo vedono dové affidare i 5 figli, di cui uno di pochi mesi, ad una famiglia vicina di casa) o di lavoro (un richiamato unico fornaio di un paese dové ahhandonare la panificazione cori grave disagio per l'intera comunità costretta
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a rifornirsi di pane in un altro paese distante 5 Km; un altro richiamato proprietario di una piccola fabbrica, che impiegava 30 operai, dové sospendere l'attività; ecc.). 17 Servizio sanitario. I posti letto degli ospedali militari secondario di Udine e principale di Padova furono portati rispettivamente da 473 a 540 e da 539 a 600; furono preordinati sgomberi sugli ospedali militari di Verona, Bologna, Milano; furono eliminate le degenze non indispensabili e sospesi gli interventi di elezione nel campo specialistico. Vennero costituite infermerie te mpora nee presso le sezioni di sanità e il servizio sanitario di corpi. Furono accantonate scorte per trasfusioni negli ospedali di Padova e di Verona. Venne richiesto ed ottenuto il completamento delle sezioni di sanità dell'Ariete e della Julia. Dei rifornimenti di materia le sanitario furon o incaricati la farmacia dell'ospedale militare di Udine ed il magazzino sani tà <li Padova. Le scorte esistenti variavano da 10 a 30 g iornate secondo la specie d i materiali. I chiedenti visita non superarono la media quotidiana del 3-4%. La percentuale di morbilità si mantenne al livello dell'l .;.-1 ,5%. Dal 20 ottobre a l 20 dicembre furono ricoverati: presso l'ospedale d i Udine, 50 ufficiali, 97 sottufficiali, 1096 soldati (i dati numerici comprendono anche i militari delle unità te rritoriali e degli en ti non interessati all'esigenza «T»). Vennero ricoverati neg li ospedali civili 2 sottufficiali e 18 militari di truppa. Lo s tretto continuo contatto diretto t ra l'ufficio ser vizi del comando V corpo d'armata, il comando del V Comiliter e la direzione sanità del V Comiliter assicurò il n:,golare funzionamento del servizio, mentre le misure preventive adottate dal comando del V corpo d 'armata - turni di riposo, d istribuzione di indumenti di lana extra dotazioni organiche, magg iorazione dei viveri, distribuzione dei viveri di conforto, costruzione di baracche per ricovero, ecc, - valsero a garantfre condizioni d i vita e d 'igiene meno disagiate. Il pe rsonale medico e paramedi co (aiutanti di sanità, portaferiti) al 50% degli organici di guerra e i m ezzi di sgombero al 40% delle dotazioni di guerra, la mancanza di ambulanze odontoiatriche, la deficienza degli organi incaricati dell'igiene e della profilassi raddoppiarono il lavoro de i vari organi operanti. Servizio di commissariato. Le sezioni sussiste nza si rifornirono presso due magazzini territoriali ed un magazzino sussidiario dislocati ad est del fiume Tagliam ento e presso il magazzino di Padova che era anche l'ente rifornitore di t utti i magazzini territoriali. I reparti in caposaldo furono dotati di 2 giornate di viveri di riserva e di 2 giornate di viveri ordinari. La unica sezione pa nettieri ad entrare in azione fu quella della Mantova ; per tutte le altre unità si fece ricorso alla panificazione affidata a forni civili. Venne dist ribuita carne fresca e carne congela ta, mentre la frutta e la verdura vennero acquistate direttamente dal commercio secondo le procedure abituali. Furono distribuiti generi di conforto costituiti da enocordial. marmellata, cioccolata. Fu aumentata l'assegnazione di legna. La confezio ne del rancio venne effettuata da cucine uniche fino al livello di battaglio ne per ufficiali, sottufficiali e milita ri di truppa. Vennero consumate in to tale: 2100 t di viveri, 1105 t di foraggi, 3200 l di legna. Furono distribuiti: 98 260 coperte da campo, 56 000 paia di calze di lana, 2898 fodere di pelliccia per sentinelle, 3980 impermeabili e molti altri capi di vestiario. Le riparazioni, i recuperi ed i ria ttamenti fecero capo a l 5° C.C.R. di Udine. Fu impiantala, a scopo sperimentale, la lava nderia campale della Mantova che lavò 500 kg di biancheria al giorno. Le altre unità utilizzarono per la lavatura delle biancheria le imprese civili. Per il bagno entrarono in funzione tutte le sezioni disponibili e si fece anche ricorso agli impia nti delle caserme v iciniori. Il servizio di commissariato trasse dall'esigenza « T» un'infinità di ammaestramenti a convalida delle lacune già note o indicativi di altre esigenze : necessità di depositi avanzati,
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esigenza di liberare le sezioni d i suss istenza delle grandi unità da compiti presidiari, necessità di m antenere le sezioni su ssistenza su organici di guerra, standardizzazione dei colli, uniformità de lle forniture, introduzione di sistemi speditivi per l'accettazione dei pesi, s istemi rapidi d i confezione e di conteggio dei colli, necessità di a utofurgoni, di impermeabili per tutti, di casse di cottura diverse, di maggior numero di bidoni e di autobotti, di forni diversi dai Weis inadatti al trasporto, di c ucine a combustibile liquido, di materassini di gomma gonfiabili, ecc. Il servizio, nonostante i notevoli progressi compiuti rispetto al periodo prebellico e bellico e nonostante il soddisfacente funzionamento durante l'intera durata dell'esigenza, dimos trò di aver bisogno di ulteriori ammode rnamenti di dotazioni (la coperta da campo, a<l esempio, continuò a confem1an: la sua mancanza di funzionalità e la sua miseria di dimensioni) e di snellimento e semplificazione delle procedure. Servizio armi e munizioni. I r eparti ebbero al seguito le dotazioni di munizioni di prima linea presso loro stessi e quelle di seconda linea presso i posti distribuzione munizioni di grande unità. I rifornimenti vennero effettuati s u depositi territoriali quasi tutti ad est de l Taglia mento. Gli spostame nti di munizioni furono ingenti. Vennero ammassate 2 giornate per le a rmi di fanteria, 3 per le artiglierie e 4 per le artiglierie co ntraerei. Anche il servizio armi e munizioni venne diretto dall 'ufficio sevizi del comando del V corpo d'armata unitariamente per le armi e munizioni di fanteria e di a rtig lieria. L'esperienza risultò molto positiva anche se coutrnda all 'ortodossia della regolamentazione logistica in vigore. Ri sultò che: gli accantonamenti di munizioni nei vari depositi non erano né razio nali, né rispondenti in q uanto e rano stati regolati secondo criteri di spazio disponibile e di ubicazione; alcuni tipi di munizioni erano deficitari (mancanza di nebbiogeni, ecc.); vi furono difficoltà e ritardi nel rifornimento delle armi, degli accessori e dei m a teriali vari di consumo; le spese soste nute per il ricorso ai trasporti ed alla manova lanza civili raggiunsero circa 35 milioni; i posti dis tribuzione di munizioni delle grandi unità, là dove vennero costituiti, d ovettero lascia re gran parte delle munizioni a llo scoperto per mancanza di teloni di copertura. Servizio della motorizzazione. Furono a ttivate, o ltre la 5° O.R.A., l'O.R.T.E. di Piacenza e l'O.A.R.E. di Bologna. Vennero costituiti depositi campa li carburanti e lubrificanti. Consumi : l 795 256 Kg di benzina comune; 446 975 Kg di benzina 80 NO; 659 3 18 Kg di gasolio; 106 872 Kg di o lio; 15 928 Kg di o lio; 11 826 Kg di grasso; 4150 Kg di petrolio; 24 442 Kg di liquido anticongelante. Le deficienze più sentite riguardarono la disponibilità di mezzi e la manovalanza. I rifornimenti e le riparazioni funzionarono in maniera soddisfacente. li servizio, nel suo complesso, risultò rispondente sia dal punto di vi sta direttivo che esecutivo. Particolarmente sentite la scarsa disponibilità di a utocisterne e l'onerosità di dover far fronte per i rifornimenti e le riparazioni a ben 60 tipi d ivers i d i automezzi e di mezzi cingo lati. Servizio dei trasporti. I trasporti ferroviari funzionarono alla perfezione: per il deflu sso in 9 giorni vennero effettua ti 97 convog li fe rroviari senza recare nessun intralcio, ritardi sensibili ed altri inconve nienti alla circolazione del no rmale traffico ferr oviario. I trasporti per via ordinaria soffrirono costantemente, specie nelle fasi inizia le e finale, della situazione genera le di sotto organico delle unità. Il traffico per via ordinaria venne regolato in maniera egregia e brillante dalla compagnia speciale de lla polizia stradale (3 ufficiali, 10 sottufficiali, 60 gua rdie, 5 autovetture, SO motocicli) e da un plo tone de l XIII battaglione mobile carabinieri (I uffic iale , 3 sottufficiali, 21 carabinieri). Venne costituita una centrale di movimento presso l'uffic io servizi del comand o del V corpo d'::irmata la quale funzionò a pieno
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ritmo nelle tre fasi - iniziale, intermedia, finale - e rese il traffico, specialmente denso nella prima e nell'ullima fase, sciolto, rapido e sicuro. La media degli incidenti rimase entro i valori normali. Dai sommari e pochi dati sopra riportati è difficile farsi un'idea esatta della portata logistica dell'esigenza «T», che proprio in tale settore fu ancora più ricca di insegnamenti che negli altri. Può sorprendere che, nonostante le deficienze, le lacune, gli inconvenienti e, in particolare, la pochezza dei mezzi di trasporto e di manovalanza, tutto andò per il meglio e le unità furono e si sentirono logisticamente supportate ed assistite in misura soddisfacente. Ciò dipese: dall'immediato accentramento della funzione di comando, di coordinamento e di controllo logistico presso l'ufficio servizi del comando del V corpo d'armata; dall'immediato passaggo di dipendenza del V Comiliter, in mate1·ia logistica, al comando del V corpo d'armata; dalla perfetta intesa e dalla grande volontà di collaborazione e cooperazione tra gli uffici servizi dei due comandi e tra ques ti e gli organi logistici esecutivi territoriali; dal grande slancio ed impegno degli uffici servizi delle grandi unità, dei dirigenti e responsabili degli organi esecutivi territoriali e di campagna; dalla capacità di iniziativa e di arrangiamento dei comandanti di tutte le unità che riuscirono ad assicurare la completa operatività dei loro reparti sopperendo alle tanto gravi debolezze del complesso logi stico d'insieme che, pur rivelando un enorme progresso rispetto al passato, soffriva ancora iu misura piuttosto notevole per l'inadeguata assegnazione dei mezzi finanzi ari destinatigli dai bilanci annuali. Nel carteggio dell'ufficio storico dello stato maggiore dell'esercito esiste uno specchio riepilogativo di raffronto tra le osservazioni le conclusioni le proposte del comando del V corpo d 'armata, il commento i provvedimenti e le proposte degli uffici dello S.M.E. i11Leressati a i vari argomenti, le note de ll'uffi cio coordinatore (ufficio operazioni), le annotazioni delle autorità gerarchiche. Si tratta di un documento di grande interesse perché da esso lo stato maggiore dell'esercito derivò il programma di lavoro degli anni successivi tendente ad eliminare o ridurre tante lacune rilevate, a cominciare da quella del basso livello di forza delle unità di copertura. Sotto il profilo operativo, ma ancora di più sotto quello informativo (organizzazione e organico degli organi «I»), ordinativo e logistico l'esigen za «T» ebbe, nel quadro de ll'ammodernamento e del potenziamento della copertura, un'importanza basila re. 18 Vds. Voi. II, Tomo 2°, Cap. XXXVI. nota 167. 19 Atti del Senato della repubblica, 1953. 20 Ibidem. 21 Ibidem. 22 Vds. precedente Cap. XLIX, nota 39. 23 Stato maggiore della difesa. I 0 Reparto. Sez. operazioni. Difesa del paese. Foglio n ° 117372/0p. del 13-III-1953. (Archivio dell 'ufficio storico dello S.M.E.). 24 Vds. precedente Cap. L, nota 14. 25 Per la marina le misure riduttive propos te dal generale Marras furono: radiazione delle 2 navi da battaglia esistenti; riduzione del personale civile da 32 000 operai a 18 000; riduzione del personale militare a terra a llo scopo di ricuperare, almeno in parte, i 3300 elementi mancanti per mantenere l'armamento delle unità navali esistenti ai livelli prescritti dalla N.A.T.O.; cessione all'industria privata o a ll'LR.L dei tre arsenali di Venezia, Messina e La Maddalena; soppressione dei comandi ed enti connessi con l'esistenza dei tre arsenali da cedere; trasferimento da Venezia ad Ancona e da Messina ad Augusta dei 2 comandi dislocati nelle prime due sedi per abbinarli a quelli esistenti nelle seconde.
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26 Per l'aeronautica il generale Marras avanzò le seguenti proposte: linea di volo di 20 gruppi per complessivi 467 aerei (6 gruppi caccia-intercettori diurni su 154 velivoli, 9 gruppi cacciabombardieri su 225 velivoli, 1 gruppo caccia-tutti i tempi su 12 velivoli, 2 gruppi da ricognizione s u 36 velivoli, 2 gruppi trasporto su 40 velivoli; corrispondenti infrastrutture; scorte pari a 15 giornate per i materiali, 30 giornate per le munizioni, 60 giornate per carboreattori, 90 giornate per la ben zina. La situazione del momento era ben lungi da quella del preventivo: la linea di volo comprendeva solo 19 gruppi per complessivi 422 velivoli, una parte soltanto (299) rispondenti ai requisiti voluti; le infrastrutture erano notevolmente arretrate rispetto ai programmi di ammodernamento; le scorte operative presentavano Jeficienze gravissime. I bisogni essenziali erano: l'aumento della forza bilanciata per assorbire i nuovi apparecchi di previsto arrivo e il miglioramento di efficienza delle unità esistenti (complessivamente IO 000 uomini di cui 3000 specializzati); l'incremento dei lavori di sistemazione delle infrastrutture mediante finanziamenti nazionali ed internazionali; la intensificazione dell'addestramento ridotto a causa dell'insufficien za dei mezzi finanziari. Per l'aeronautica, in sostanza, era necessario: realizzare ogni possibile economia sulle strutture non indispensabili (contrazione delle scuole di volo, concentrazione delle scuole specialisti, riduzione del numero dei presidi aeronautici e degli aeroporti aperti al traffico, riduzioni di personale in alcuni comandi centrali e periferici); decidere assegnazioni di fondi supplemeutari, da trarre da font i extrabilancio, per una ventina di miliardi . 27 Enea Cerquetti. Le forze armate italiane dal 1945 al 1975. Strullure e dull ri.ne. Milano, Feltrinelli editore, 1975, pg. 139. 28 Giuseppe Mancinelli (1895- 1976), generale di corpo d'armata. Frequentò l'accademia militare, la scuola di applicazione di artiglieria e genio. Partecipò alla 1 a guerra mondiale con il 21 ° ed il I O reggimento artiglieria <la campagna. Frequentò la scuola di guerra e venne assegnato allo stato maggiore centrale e, quindi, al ministero della guerra. Da ufficiale di stato maggiore fu addetto militare a Berlino e, successivamente, comandò il 27 ° regg imento artiglieria della divisione «Legnano». Durante la 2• guerra mondiale, dopo aver fatto parte della commissione italiana di armistizio con la Francia, fu inviato in Libia quale capo nucleo collegamento con il comando corpo tedesco Africa. Passò, successivamente, al comando superiore forze armate dell'Africa settentrionale per _incarichi speciali e venne destinato ali~ delegazione del comando supremo in A.S., incarico che lasciò per tornare a prestare servizio presso il comando superiore delle forze armate in Libia. Fu, poi, capo di stato maggiore della I a armata in Tunisia e, rimpatriato dalla prigionia, fu destinato allo stato maggiore generale. Comandante dell'artiglieria del Comiliter di Roma e, successivamente, comandan te della divisione di fanteria «Legnano». Vice comandante del comando militare territoriale di Bolzano e, s uccessivamente, da genera le di corpo d 'armat a, comandante del comando militare territoriale di Milano. Il 15 aprile 1954 fu nominato capo di stato maggiore della difesa, carica che lasciò il l O aprile 1959. 29 Stato maggiore della difesa. Ridimensionamento delle Forze Armate. Foglio n ° 123954, dell'l J-IX-1954 (Archivio dell'ufficio storico dello S.M.E.). 30 Vds. precedente Cap. XLIX, nota 24.
CAPITOLO
LIV
L'AVVENTO DELL'ARMA ATOMICA TATTICA
1. L'esperienza della seconda guerra mondiale e l'elaborazione della
dottrina convenzionale postbellica. 2. L'azione difensiva nelle circolari 3000 e 3100 e nelle pubblicazioni della se rie dottrinale 2000. 3. La situazione internazionale e interna ed i riflessi sulla politica militare italiana. 4. Incoerenza tra politica estera e politica militare. 5. I principali quesiti posti dall'arma atomica tattica. 6. Le risposte concettuali italiane all'avvento dell'arma atomica tattica. 7. Precisazioni sulla dottrina convenzionale in vigore.
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Mai, in passato, come dopo la seconda guerra mondiale, la teoria che nega la possibilità di ordinare la guerra in scienza aveva mostrato tutta la sua inconsistenza. Il secondo conflitto mondiale e totale aveva offerto la chiara dimostrazione della coesistenza, anche in una guerra di materiali quale era stata quella appena conclusasi, della natura artistica e scientifica del fenomeno; anzi, aveva reso tale coesistenza ancora più manifesta in tutte quelle occasioni - e non e rano state poche - in cui l'intuizione di c api professionalmente preparati con soldati moralmente saldi e bene addestrati aveva avuto ragione della supe riorità delle forze e dei mezzi del nemico. La guerra, intessuta come sempre di incertezze e di sorprese e dominata da intuizioni, aveva continuato ad essere governata da principi e leggi che avevano riconfermato la loro validità sostanziale. La dottrina, dunque, benché insufficiente da sola a risolvere la realtà bellica, aveva costituito ancora una volta per tutti i belligeranti la base di partenza per configurare i lineamenti principali del quadro d'insieme in cui agire. All'origine della dottrina sono l'esperienza e il progresso scientifico-tecnico: la prima intesa come registrazione scientifica dei fatti raffrontata ai principi tradizionali; il secondo inteso come fattore di condizionamento della validità dell'esperienza ed al tempo stesso fattore
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incrementale dell'intuizione. La seconda guerra mondiale non scalfì tale postulato, per cui la dottrina ha continuato a conservare il valore di strada maestra in quanto, risultato di meditazione e di immaginazione, determina quella disciplina delle intelligenze necessaria, anzi indispensabile, sul campo di battaglia, non meno delle armi e degli altri mezzi di combattimento. Essa sola può continuare ad armonizzare scopi e possibilità conservando un profondo valore formativo, quale espressione più alta del pensiero militare. Risolve alcune incognite dell'equazione guerra, limita gli imprevisti, contribuisce all'educazione dei riflessi, si traduce in ampiezza di previsioni, di preparazione e di organizzazione contro l' imprevidenza e l'empirismo. Essa illumina quanto menG il p eriodo iniziale della guerra, come sempre é avvenuto. Quanto, ad esempio, non aveva contribuito al successo della Blitzkrieg della Wehrmacht nella prima fase del conflitto? Non aveva forse avuto la funzione di guida a ll 'abilitazione al comando inteso nel suo triplice aspetto concettuale, organizzativo e di condotta? Poteva, è vero, avere trovato ris pondenza limitata nei fatti in quanto era il risulta to di un lavoro induttivo, ancorché razionalmente condotto e illuminato dall'immaginazione, di per sé soggetto ad errori, m a spesso aveva quanto meno evitato i grossi sbagli di calcolo quando bene concepita e medita ta. Le generalizzazioni assolute, le enunciazioni dogmatiche, gli esempi schematici rigidi - cui la dottrina talvolta deve forzatamente ricorrere - non bastano a risolvere i casi concreti neppure quando la dottrina si compiace di accurate casistiche, ma senza la dottrina i capi sarebbero timonieri senza bussola. Fu in questo contesto generale che lo stato maggiore dell'esercito si mosse, dopo la fine della seconda guerra m ondiale, nell'accingersi ad elaborare la nuova dottrina d'impiego proponendola com e guida nell'operare, ma anche come materia da ripensare, da discutere, da assimilare nello spirito e da utilizzare nel suo valore indicativo nel campo dell 'azione. Un'elaborazione che volle tenere conto dell'esperienza - con riferimento a tutti gli elementi che avevano inciso sulla gue rra - ed al tempo stesso dell'evoluzione in corso nel campo scientifico e tecnico, con proiezione verso il futuro, pur restando per allora nel quadro di una guerra condotta con le sole armi convenzionali. A tale fine lo stato maggiore dell'esercito tornò ad esaminare, nel rielaborare la dottrina convenzionale postbellica, i tre parametri fondamen tali della guerra - l'uomo, l'ambiente operativo, i mezzi - per_valutarne le modificazioni di valore assoluto e quelle del rapporto di reciprocità.
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L'uomo era rimasto sostanzialmente lo stesso sotto il profilo psicologico, non del pensiero. Del resto, l'uomo in effetti, nei circa sei millenni di cui era nota la vicenda, non è mai cambiato granché. Durante la seconda guerra mondiale le barbarie del passato si erano ripetute: dalle fosse di Katin alle deportazioni di intere folle umane, dal genocidio degli ebrei alle stragi di Cefalonia e di Marzabotto, dall'incenerimento di milioni di esseri umani nei forni a gas e crematori alle ecatombi di Hiroshima e di Nagasaki. Le società cosiddette civili e gli stessi popoli cristiani erano stati capaci di emulare e superare in nefandezze i popoli cosiddetti barbari. L'uomo, nella cui vicenda si erano sempre ripetuti ed alternati periodi di preminenza e di decadenza dei valori etici, era stato capace ancora una volta di accantonare l'etica, la religione, le idealità più belle per tornare a dare sfogo agli istinti più bassi. Il progresso scientifico e tecnico aveva compiuto passi da gigante già rispetto alla prima guerra mondiale, quello morale, dopo duemila anni di cristianesimo, era stato ancora più basso di quello dei romani a Corinto nel 146 a.C., degli arii in India nel V secolo, dei mongoli in Cina nel V e nel IX secolo, dei mussulmani in India nel IX secolo e dei cristiani contro gli albigesi nel secolo XIII. La barbarie si era riconfermata forma ricorrente ed era nuovamente prevalsa sulla civiltà. Il tentativo compiuto nel secolo XIX, quando si credette nella costante crescita parallela del progresso morale e di quello scientifico-tecnico, di umanizzare la guerra era completamente fallito. La seconda guerra mondiale non sarebbe perciò stata l'ultima come del resto già la guerra di Corea ammoniva. L'ordinamento che per assicurare la pacifica convivenza umana le nazioni si er ano date fondando l'O.N.U. era già violato. La guerra come scontro di masse era ancora una realtà. Non è che non vi fosse stato progresso di pensiero, ma non vi era stato progresso morale. L'aspetto esteriore più vistoso del fenomeno divenne, dopo la fine della seconda guerra mondiale, il fattore ideologico, ma durante il conflitto ciò non aveva impedito da una parte la coalizione di tre dittature, ancorché assai diverse tra loro, dall'altra l'accordo e l'affiancamento delle democrazie con una dittatura non meno liberticida e disumana di quella di Hitler. La guerra si sarebbe nel futuro presentata ammantata dell'orpello ideologico e ciò l'avrebbe resa ancora più totale e spietata; come appunto erano state in passato le guerre ideologiche e religiose, dalle crociate alle guerre sante. Alle operazioni militari vere e proprie si sarebbero perciò accompagnate le azioni di guerriglia - aspetto storicamente già
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noto - che avrebbero assunto dimensioni e proporzioni maggiori rispetto a l passato. L'ambiente operativo - inteso come situazione politico-militare e come terreno naturale di azione - era completamente mutato sotto il primo aspetto e si era in Italia notevolmente ridotto di dimensioni sotto il secondo. L'Italia sarebbe scesa in guerra solamente nel caso di un'aggressione esterna, avendo ripudiato per sempre la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluz.ione delle controversie internazionali. La guerra italiana non avrebbe potuto assumere che carattere esclusivamente difensivo e le forze armate italiane avrebbero agito inizialmente solo sul territorio nazionalè. Dopo l'adesione dell'Italia all'alleanza atlantica, la guerra italiana non fu più un problema solo nazionale, ma alla difesa dell'Italia da un'aggressione da est avrebbero dovuto concorrere altre forze dell 'alleanza. Ciò non diminuiva l'onere e la responsabilità nazionali della difesa delle frontiere terrestri, delle vie marittime di rifornimento e del cielo della penisola, ma poneva problemi del tutto nuovi inscritti in un conte sto senza precedenti, non potendo ~ons ide rare neppure analoghi quelli posti dalle alleanze strette nel passato. La strategia politica e militare usciva dal cerchio di responsabilità strettamente nazionale e si trasferiva in quello molto più ampio e pluriforme dell'intera alleanza. L'impostazione, l'organizzazione e la condotta delle operazioni strategiche avrebbe coinvolto d'ora in avanti la responsabilità diretta di stati maggiori e di comandi plurinazionali. La dottrina d'impiego delle forze, i loro ordinamenti, i loro armamenti, pur nella peculiarità delle varie individualità nazionali, avrebbero dovuto tendere, se non ad una piatta uniformi tà, quanto meno ad un'analogia più stretta possibile; in ogni caso occorreva concedere largo spazio alla standardizzazione delle procedure operative e mirare ad unificare, nei limiti del possibile, concetti, procedimenti e linguaggio per ottenere, almeno ai livelli di comando più elevati, disciplina delle intelligenze, facilità d'intendersi, capacità di coordinamento di forze di più nazioni portate necessariamente ad agire lungo linee di riferimento diverse, ancorché coincidenti su di un unico obiettivo. Ancora prima che la Carta costituzionale stabilisse la difensiva come unica linea maestra della politica militare italiana, lo stato maggiore dell'esercito si era già incamminato lungo tale strada che aveva scrupolosamente seguito sia nel periodo di transizione sia in quello iniziale della ricostruzione. L'adesione dell'Italia all'alleanza atlantica aveva confermato la scèlta e ne aveva sostanziato concreta-
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mente la fattibilità operativa fissando i limiti della durata minima entro i quali l'Italia avrebbe dovuto fare da sé per guadagnare il tempo necessario all'afflusso dei primi aiuti alleati. I termini della politica militare e del problema operativo italiano erano dunque del tutto diversi da quelli anteguerra. Il terzo parametro - i mezzi bellici - era quello che aveva subito guerra durante una mutazione drasticamente radicale, anche a prescindere dall'energia nucleare. Lo sviluppo tecnico dei mezzi aerei, della motorizzazione, della meccanizzazione, dei mezzi di fuoco, dei collegamenti radioelettrici, dei radar, delle apparecchiature meccaniche e delle mine aveva mutato la fisionomia del campo di battaglia. Era sparita la battaglia e fin quasi il combattimento meramente terrestri, soppiantati dalla battag1ia e dal combattimento aeroterrestri. La concentrazione tattica, al pari di quella strategica, per rompere e penetrare oppure per logorare e resistere restava alla base di ogni operazione offensiva e difensiva, ma occorreva realizzarla ricorrendo soprattutto alla manovra, ora consentita dai nuovi valori di mobilità delle forze. La costituzione della massa nel punto e nel momento voluti - restando la scelta affidata all'arte,ed alla scienza del comandante - per esercitare ed alimentare lo sforzo in profondità, ovvero per contenere e d arrestare quello avversario, esaltava i principi della sorpresa e della sicurezza. La guerra era diventata tridimensionale con la concorrenza dall'alto delle aviotruppe e da tergo della guerriglia; il fuoco ed i mezzi di arresto erano cresciuti enormemente in quantità ed in qualità; la sorpresa, se da una parte era divenuta più difficile a realizzarsi, dall'altra era divenuta più necessaria; la sicurezza era un problema da risolvere in ogni momento ed in ogni s ituazione, anche a grande distanza dalla linea di contatto. L' uomo - singolo e massa - aveva, malgrado l'importanza della quantità e della qualità dei materiali, acquisito una individualità molto più spiccata sotto l'aspetto morale e professionale. All'uomo, in particolare, era necessaria una tempra morale e fisica, una preparazione psicologica e professionale, una consapevolezza e perizia assai maggiori di quelle del passato, per essere in grado di resistere alle nuove armi ed alla pressione psicologica ora sviluppatasi anche in forme terroristiche. Le mutazioni offrivano conferme, ma introducevano innovazioni radicali riguardanti soprattutto la potenza del fuoco, il grado di mobilità strategica e tattica delle formazioni, il coordinamento, la cooperazione, l'autonomia e la potenzialità logistica. La fanteria era rimasta la protagonista della battaglia e del combattimento, ma
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una fanteria nuova che della vecchia conservava solo il nome tradizionale. Da arma di massa uniforme, dotata prevalentemente del fucile, caricata di compiti gravosissimi tanto semplici sotto il profilo concettuale quanto difficili e sanguinosi sotto quello dell'esecuzione, si era trasformata in arma di élite, di elevatissima professionalità e specializzazione, equipaggiata di una vasta gamma di armi diverse, capace di agire per manovra anche ai livelli minori. Dei tre mezzi di azione tradizionali - fuoco, movimento, urto - il terzo era diventato di ricorso eccezionale, mentre i primi due, solo se strettamente coordinati, conservavano la loro efficacia. L'assalto non era più un'azione di schiacciamento da parte di una massa attaccante, ma un atto episodico di nuclei specializzati destinati a mettere piede sull'obiettivo già massacrato dal fuoco oppure a reagire dinamicamente per conservare la posizione minacciata. La lotta corpo a corpo, con la quale quasi sempre si era concluso nel passato il combattimento della fanteria, era divenuta dalla seconda guerra mondiale un fatto, eccezionale,.verificatosi solo in poche occasioni (es. Bir Hacheim). La fanteria era divenuta un'arma specializzata e piena di specializzazioni interne, dagli assaltatori, i più specializzati, ai mitraglieri, dai mortaisti ai cannonieri, dai caccia-carri ai pionieri, dai marconisti ai conduttori di c arre tte cingolate. Le unità dell'arma - eccezione fatta per la squadra ed il plotone e, solo in circostanze favorevoli, per la compagnia - non erano più governabili a vista. L'ampliamento delle distanze e degli intervalli tra uomo e uomo, unità e unità, reso necessario per ridurre la vulnerabilità, aveva determinato non tanto una maggiore difficoltà di comando, superabile mediante il ricorso ai nuovi mezzi di collegamento, quanto l'esaltazione della professionalità tecnica del singolo e della sua individualità morale e fisica necessarie per operare nella condizione di relativo isolamento. La nuova fanteria doveva disporre in proprio di tutte le armi, i mezzi tecnici, radioelettrici, meccanici che le consentissero di risolvere da sola il problema dell 'avanzata o della resistenza al di sotto dei 3+400 m dal nemico. Di tutte le novità, la radicale trasformazione dell'arma base era stata senza dubbio la più rivoluzionaria e complessa, come la guerra di Corea veniva confermando, anche se veniva gettando acqua sul fuoco della totale corazzatura degli eserciti e dell'eliminazione del combattimento a piedi. L'artiglieria era uscita dalla guerra potenziata numericamente e ammodernata qualitativamente, avendo migliorato a suo favore il valore del rapporto con l'arma base ed essendosi arricchita in potenza del colpo singolo, in gittate·, in velocità iniziali e di tiro, in
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manovrabilità, in mobilità, in mezzi tecnici per la preparazione e l'esecuzione del fuoco. Alle specialità da campagna, pesante campale, pesante, contraerei leggera e pesante si erano aggiunte quelle semovente e controcarri. Le truppe corazzate, che prima della seconda guerra mondiale quasi s'identificavano con le unità carri, ' avevano inglobato organicamente unità di fanteria corazzata, di cavalleria blindata, di artiglieria semovente, di pionieri corazzati ed avevano subito uno sviluppo autonomo, specialmente nella prima fase della guerra e là dove il terreno ne aveva consentito l' impiego, da fame l' elemento decisivo della battaglia. Successivamente il loro impiego aveva incontrato remore nell'accresciuta capacità di arresto della fanteria e dell'artiglieria de terminata da armi controcarri più potenti, dall'utilizzazione della carica cava, dal largo uso delle mine e dalla superiorità aerea dell 'avversario, tanto che il loro impiego si era dimostrato vantaggioso solo su terreno libero, contro nemico non fortemente sistemato a difesa ed in situazione di superiorità od equilibrio aereo, almeno temporaneo e locale. Il carro armato cooperante con la fanteria si era, invece, affermato come mezzo insostituibile dovunque il terreno non ne impedisse l'impiego. La guerra di Corea veniva peraltro confermando l'esperienza di Cassino e della linea gotica dove erano state segnate con chiarezza le ridotte possibilità d'impiego a massa dei carri armati. Nell'ambito delle truppe corazzate, la guerra aveva indicato l'estendersi della stretta cooperazione tra carri, fanteria corazzata, artiglieria semovente a livelli sempre più bassi e il ricorrere frequentemente alla costituzione di complessi di forze misti sia al livello di battaglione sia ai livelli inferiori. La grande unità corazzata, nella seconda fase della guerra, si era frequentemente articolata in raggruppamenti tattici, questi in gruppi tattici e questi ultimi, a loro volta, in complessi minori misti di aliquote di carri e di fanteria corazzata. Impronta ta prevalentemente all'azione offensiva o controffensiva - benché nella campagna di Russia non fossero mancati esempi di intere divisioni corazzate tedesche schierate a difesa su fronti di 30 e più chilometri - la tattica dei corazzati si era dimostrata sostanzialmente ripetitiva ed uniforme ai vari livelli o rdinativi: costituzione di perni di manovra e di sbarramenti di fuoco controcarri ad opera d e lla fanteria corazzata e dell'artiglieria semovente (compresa quella da campagna e contraerei) ed azione manovrata dei carri tendente al fianco od al tergo della similare formazione nemica. Il genio, legato più delle altre armi al progresso dei mezzi tecnici, aveva visto accrescersi i
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compiti da svolgere. La motorizzazione sempre più spinta aveva inciso pesantemente sulla portata e sul numero dei lavori di viabilità; il ricorso alla guerra di arresto ed alla fortificazione aveva richiesto dovunque la presenza del genio e ne aveva spesso imposto lo schieramento e l'impiego addirittura davanti alla linea della fanteria. La molteplicità dei mezzi di collegamento e l'indispensabilità della loro presenza ai livelli alti e minori avevano determinato di fatto un maggiore bisogno di unità dei collegamenti e la loro separazione dalle tante altre specialità dell'arma del genio. Non solo era stato necessario aumentare a favore del genio il valore del rapporto nei riguardi delle altre armi, ma trasferire a queste una parte dei compiti già esclusivi del genio e conferire al tempo stesso più spiccata individualità alle numerose e diverse specialità dell'arma stessa. Il genio, insomma, nonostante il massimo sfruttamento delle nuove attrezzature e apparecchiature meccaniche, che avevano sostituito in gra n pa rte il lavoro manuale, era andato incontro ad una crisi di crescita quantitativa e qualitativa ancora più profonda e rapida delle tante superate nel passato. Le aviotruppe, un'altra delle grandi novità della seconda guerra mondiale, non e rano ancora un punto di riferimento certo dopo il costoso succe sso di Cre ta ed il disastroso insuccesso di Arnhem. Una tendenza chiaramente delineata era, invece, quella dello sviluppo dell 'aviazione leggera dell'esercito, alla quale l'impiego dell'elicottero nella guerra di Corea sembrava aprire ulteriori prospettive, oltre che confermare e consolidarne i ruoli già assunti di ausilio all'impiego dell'artiglieria, di sorveglianza ravvicinata del campo di battaglia, di collegamento e di facilitazione dell'azione di comando.
2. Tale era stato, nelle sue grandi linee, il processo ragionativo, condotto prevalentemente secondo il metodo induttivo, seguito dallo stato maggiore dell'esercito nell'elaborare la dottrina delle circolari 3000 e 3100 e delle pubblicazioni della serie 2000 e nel determinare il programma di sviluppo delle forze stimate necessarie per affrontare, con rischio calcolato, la difesa del paese. La nuova dottrina aveva tenuto gran contò dell'esperienza, con riferimento a tutti gli elementi che alla guerra appena finita avevano concorso e vi avevano inciso, de lle mutazioni successive che si venivano compiendo nell'ambito operativo, dell'evoluzione dei mez-
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zi e della guerra di Corea. Essa aveva posto in primissimo piano il problema dell'azione difensiva, già largamente esaminato e dibattuto fin dal 1945 1, lo aveva riferito alla situazione politica e militare dell'Italia del dopoguerra, lo aveva localizzato sui tre tipi di terreno della penisola - di pianura-collinoso, montano, alpino - e aveva indicato più modi per risolverlo. La soluzione ottimale era parsa quella del sistema ad area difesa, perché meglio garantiva dalle grandi possibilità delle rapide concentrazioni, delle profonde penetrazioni e della tempestiva alimentazione dell'attacco. La concentrazione dell 'attacco aveva costretto la difesa a concentrarsi a sua volta, a scaglionarsi su profondità maggiori e ad incrementare notevolmente le sue possibilità di reazione dinamica. Ma le fronti da tenere non erano saturabili in tutto il loro sviluppo e bisognava accettare soluzioni di continuità senza peraltro sacrificare la coerenza del sistema. Da qui l'opportunità di saldi ancoraggi difensivi (caposaldi) su zone e località vitali, in collegamento tattico tra loro, e la convenienza di utilizzare gli intervalli tra gli ancoraggi per incanalare l'attacco in zone predisposte di annientamento. Il sistema ad area difesa non era stata una concezione originale italiana e sul piano strategico la sua origine risaliva a tempi remoti; ora lo s i era trasferito sul piano tattico sulla base dei risultati offerti dalla guerra. Era tuttavia un sistema costoso perché impegnava molte forze dovendo essero profondo. Il bisogno di forze, nonostante le soluzioni di continuità tra gli ancoraggi, restava rilevante. Una divisione di fanteria ternaria poteva coprire una superficie rettangolare di lQ-;-12 Km di fronte per 7-;-8 Km di profondità perché solo entro tali limiti le sarebbe stato possibile mantenere coerente e proporzionato il sistema. E se le forze disponibili non fossero bastate? Allora non restava che ricorrere alla manovra in ritirata per guadagnare tempo, cedendo spazio. Il problema difensivo italiano non era infatti soprattutto questione di tempo? Ma la manovra in ritirata contraddiceva il principio della strategia avanzata e, soprattutto, indipendentemente dalla strategia avanzata, in Italia poteva essere sviluppata per una profondità assai limitata e per una durata di tempo piuttosto breve. Se, dunque, occorreva prima di tutto difendersi in sito, per quanto grave potesse ·risultare la situazione d'inferiorità rispetto al ne mico aggressore, non restava che modificare il sistema dell'area difesa, aumentando la fronte difensiva della divisione di fanteria a scapito della profondità di schieramento. Una fronte doppia (20-;- 24 Km) di quella normale ed una profondità dimezzata (3,S-;-4 Km). costituendo cioè 7-;-8 capo-
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saldi di fanteria su di un unico ordine anziché su due, per assicurare la continuità del fuoco di fanteria sul davanti del sistema, avrebbero consentito alla divisione una funzione di arresto ancora significativa, com'era del resto più volte accaduto in Russia proprio durante la seconda guerra mondiale. Oltre tali limiti, ogni ultreriore incremento della fronte, non trovando più compenso credibile nella proporzionale riduzione della profondità, si sarebbe tradotta in una dilatazione di superficie ed in una conseguente minore densità di fuoco anche nel senso frontale. Eppure anche in questa situazione sarebbe stato ancora possibile, come anche a tale proposito l'esperienza della seconda guerra mondiale insegnava, stabilire un rapporto significativo fra ancoraggi e cortine tale da evitare il rapido travolgimento del sistema difensivo da parte de ll'attaccante, purché si disponesse di concentrazioni mobili, investite su ruote o su cingoli, che potenziassero a ragion veduta, con la mobilità anziché con la concentrazione statica, il sistema. Tre, dunque, i possibili tipi di difesa che la nuova dottrina aveva previsto: il primo - difesa su fronte e profondità normali - con azione di fuoco di arresto irradiantesi dai caposaldi ed estesa tutto intorno alle cortine, con vincoli di cooperazione e di sovrapposizione sulla fronte ed in profondità; il secondo - difesa su ampia fronte non eccedente i limiti della cooperazione diretta del fuoco di arresto - con azione di fuoco ad orientamento prevalentemente lineare cosicché le cortine ne risultassero dominate quasi esclusivamente nel senso frontale; il terzo - difesa su ampia fronte eccedente i limiti della cooperazione del fuoco tra gli ancoraggi con azione di fuoco irradiantesi dagli ancoraggi, o gruppi di ancoraggi, disgiunti, sicché le cortine, dominate solo nei tratti contigui agli ancoraggi, venissero difese con procedimenti e mezzi particolari (pionieri di arresto e riserve mobili) nei tratti sui quali il fuoco degli ancoraggi non potesse giungere. La combinazione dei vari sistemi, limitando il primo alle aree che, in rapporto alla concezione generale, richiedessero come indispensabile la resistenza in sito, dove natura ed arte offrissero possibilità di creare posizioni vitali ai fini operativi, costituiva un quarto tipo di sistema difensivo che era, entro certi limiti, anche il meno costoso e che, tutto sommato, era quello che spesso, indipendentemente dalla disponibilità delle forze, poteva essere dettato dalla varietà del terreno perché, in pratica, ogni sistema subiva variazioni notevoli a seconda che lo si dovesse attuare sulle Alpi, sulla media e bassa
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montagna, sui terreni di pianura e collinari- Non vi potevano comunque essere dubbi che si dovesse tendere all'area difesa. Aderente a tale dottrina il piano di sviluppo delle forze, favorito inizialmente delle stesse assegnazioni di bilancio e dagli aiuti americani, per. cui non vi era stata antinomia tra dottrina e ordinamento, ma stretta saldatura. Dottrina conforme alle esperienze di guerra, ordinamento tendente a conformarsi gradualmente al modello dottrinale. Lo stato maggiore dell'esercito, precisato il significato del termine dottrina 2, aveva esaminato gli elementi che ad essa afferiscono, analizzandoli nella loro sostanza e nella loro importanza in relazione all'evoluzione della scienza e dell'arte bellica aero-terrestre. Aveva poi esaminato i principali dati di esperienza dell'ultimo conflitto precisando quali ripercussioni avevano avuto nelle singole armi e, perciò, nelle grandi unità moderne. Era infine giunto a designare gli strumenti necessari per applicare in concreto i principi astratti della dottrina modellando la struttura ordinativa, oltre che sui risultati della esperienza di guerra, sulla particolare s ituazione dell'Italia dopo l'ingresso nella N.A.T.O. e, prima ancora, sui tipi di terreno della penisola. Fissato il criterio che le nuove grandi unità dovevano avere speciali caratteristiche proprio in relazione al ruolo operativo che dovevano assumere nel particolare scacchiere italiano - senza cioè tenere conto né di un eventuale impiego extra territorio nazionale, né del problema dell'unificazione organica in sede atlantica o in sede di esercito europeo, che in quel periodo era in gestazione, perché in tale caso le questioni si sarebbero spostate in altro campo - lo stato maggiore dell'esercito aveva ravvisato la necessità di: divisioni di fanteria ternarie con larga presenza di elementi corazzati e blindati per la costituzione di blocchi di arresto o di perni di manovra per la controffensiva; divisioni di fanteria binarie per il loro rapido trasporto nel quadro della manovra strategica difensiva e controffensiva; brigate alpine per le operazioni difensive e controffensive in alta m ontagna; divisioni corazzate destinate alla manovra controffensiva in pianura tra i perni costituiti dalle divisioni di fanteria e all'inseguimento del nemico battuto. Aveva soprasseduto alla costituzione di grandi unità da aviosbarco, sebbene necessarie per la difesa di aree minacciate da sbarchi nemici ed utili nel quadro della controffensiva, sia per le perplessità ancora esistenti circa l'impiego di tali grandi unità, sia perché la loro costituzione era legata alla disponibilità di aerei da trasporto dell'aeronautica. Riferita alle necessità operative ed ambientali specifiche italiane,
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la scelta del tipo delle grandi unità necessarie era stata del tutto conseguenzionale alla dottrina; circa il numero delle divisioni di fanteria dei due tipi, delle divisioni corazzate e delle brigate alpine lo stato maggiore, nell'intento di tendere alla difesa ad area, si era lasciato guidare da un eccessivo ottimismo di realizzazione, ancorché basato sugli impegni presi dal governo in sede N.A.T.O .. Nella fretta di raggiungere il più presto possibile il minimo strategico per la difesa con rischio calcolato concordata in sede N .A.T.O. e stretto nel circolo vizioso della politica militare degli Stati Uniti - sospensione degli invii di mezzi da parte americana se prima l'Italia non avesse predisposto le unità alle quali i mezzi erano destinati - lo stato maggiore dell'esercito, nell'alternativa tra maggior numero di grandi unità ad organici ridotti o minor numero di grandi unità ad organici completi, aveva scelto la prima soluzione e, in più, era ricorso alla distinzione tra organic i di guerra ed organici di pace, una distinzione che l'esigenza ,,T» aveva dimostrato non più accettabile in rapporto all'eventualità, sempre più tecnicamente possibile, di un'aggressione improvvisa. Aveva, in sostanza, sacrificato la prontezza operativa, che era invece un'esigenza assoluta derivante dall 'elevato grado di mobilità s trategica dei nuovi eserciti che quasi svuotava di significato la tradizionale successione delle:: operazioni di mobilitazione e di radunata e c he, in ogni caso, imponeva l'esistenza fin dal tempo di pace di forze di copertura subito pronte nell'interezza dei loro organici, delle loro dotazioni e del loro adeguato supporto logist ico. Tale prontezza d'altra parte avrebbe richiesto un costo superiore e avrebbe decurtato le risorse finanziarie da destinare alla costituzione delle altre unità pure necessarie a l raggiungimento del minimo strategico. Questo il punto della situazione dottrinale e ordinativa, quando innanzitutto la realizzazione dell'arma atomica tattica e in secondo luogo una serie di altri avvenimenti, tra i quali di grande rilievo per l'esercito italiano il taglio degli stanziamenti di bilancio per l'esercizio finanziario 1954-55, detenninarono l'aprirsi della crisi concettuale ed organizzativa di cui abbiamo trattato nel precedente capitolo. La crisi, che non fu solo dell'esercito italiano, cadde in anni particolarmente difficili e delicati per l'intera alleanza atlantica. Abbiamo ricordato nel capitolo L i principali avvenimenti della seconda metà degli anni c inquan ta, ma, anche per comodità del lettore, ci sembra conveniente tornare su alcuni di essi: quelli che maggiormente incisero sull'alleanza atlantica, sulla politica della costruzione europea e sulla pòlitica interna italiana, con riflessi
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diretti sulla politica militare e conseguenteme nte sull'attività degli stati maggiori nazionali, trovatisi a dover far fronte ad una serie di difficoltà di carattere tecnico e di ordine vario, che investirono in pieno non solo la dottrina e l 'ordinamento, m a tutto intero l'organismo militare. Questo, come vedremo, trovò in sé stesso, malgrado la scarsa comprensione del paese e del governo, la volontà e la capacità di rinnovarsi nella dottrina e ne ll'organica, di ridimensionarsi e, malgrado la stretta finanziaria, m a i ta nto dannosa come in quel periodo, di salvaguardare un suo quid di efficienza operativa.
3. Nella seconda metà degli anni cinquanta il pe rno di rotazione della politica internazionale continuò a d essere costituito dal bipolarismo cristalizzatosi a lla fine del secondo conflitto mondiale, ma le aspre Lensioni frontali del p eriodo della g uerra di Corea subirono un certo a llentamento formale. Il XX congresso del P.C.U.S. tenutosi in Mosca da l 14 a l 25 febbraio del 1956 - nel corso del quale il segretario generale Nikita Chruscev pronunc iò il discorso sui crimini di Stalin e sulle conseguenze negative d el culto della personalità - aprì le speranze ad un mutamento della politica sovietica. Il processo di destalinizzazione chruscioviano ebbe effetti pratici nella vita interna dell'Unione Sovietica, dove quanto meno i me todi della repressione s i fecero meno c rudeli, ma sul piano della politica estera sovietica ebbe solo significato di facciata, in quanto non spostò di un centimetro la linea de ll'espansionismo ideologico, politico e militare, che a nzi trovò più ampi spazi di affermazione in Asia, in Africa, nell'America centrale, sotto l'usbergo della coesistenza competitiva. Non era un grande avvenimento indicativo di una svolta lo scioglimento, decretato il 17 aprile del 1956, a poch e settimane del XX congresso, dell'ufficio d'informazione dei partiti comunisti, conosciuto in occ idente con la sigla abbreviata di Kominfo rm? Già da prima, fin dal 1954, l'Unione Sovietica, pur di impedire il r iarmo della Germania federale, non si era offerta di entra re nella N.A.T.O., non aveva preannunziato la riduzione di 640 000 uomini de lle sue forze armate, non aveva aderito a l trattato di pace con l'Austria in cambio della neutralità di questo paese, non aveva proposto nel 1955 una conferenza dei vertici per la riunificazione tedesca, la neutralità, il disarmo della Germania e la s icurezza e uropea? Se il 14 maggio del 1955 aveva s t retto a sé in un'allenza
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militare i paesi satelliti - il patto di Varsavia - ciò non era stato solo per rispondere all'entrata della Germania occidentale nella N.A.T.O. ed al suo riarmo? Come, dunque, non prendere atto di un mutamento della sua politica estera? La tesi di coloro che sostenevano essersi verificata all'interno dell'Unione Sovietica una vera e propria rottura con il passato non trovò fredda accoglienza in buona parte del mondo occidentale, compresi gli Stati Uniti, mentre la tesi opposta, che si trattava cioè solo di mosse meramente strumentali, come provava la repressione della rivolta ungherese dell'ottobre 1956, veniva abilmente contestata dalla propaganda sovietica, dai partiti comunisti occidentali e dalle correnti paracomuniste e cosiddette progressite fiorenti negli stessi paesi dell'alleanza atlantica. Vi furono comunque successivamente due atti concreti dell'Unione Sovietica che favorirono il consolidarsi della speranza nella coesistenza pacifica: la pa rtecipazione sovietica alla prima conferenza per la sospensione degli esperimenti nuclea ri (31 ottobre 1958) ed alla prima conferenza per la eliminazione degli attacchi di sorpresa (10 novembre 1958). La politica di distensione dell'Unione Sovietica coincise con i I graduale diminuire della superiorità nucleare americana, con il ripensamento sull'impiego delle a m1i nucleari anche se ufficialmente negli Stati Uniti e nella N.A.T.O. rimase in vigore la s trategia della rappresaglia massiccia, con l'evolversi ed il perfezionarsi della tecnologia missilistica di cui nel 1957 il lancio del primo Sputnik fu un saggio convincente. L'Unione Sovietica avanzava in tutti i settori grazie al disgelo interno ed alla coesistenza competitiva, ma il blocco sovietico-cinese cominciò a rivelare i primi attriti interni di carattere ideologico e politico. Nell'intento di favorire il processo di distensione generale - distensione alla quale la Chiesa cattolica è chiamata pe r sua natura - il nuovo sommo pontefice Angelo Giuseppe Roncalli, ch e prese il nome di Giovanni XXIII, attenuò la politil:a del suo predecessore Pio XII nei riguardi dell' Unione Sovietica riallacciando le relazioni con paesi a regime comunista, abolendo le rappresentanze diplomatiche dei governi lituano e polacco in esilio, concedendo udienze a personalità dei regimi atei, tra le quali il genero di Chruscev. Sebbene non mancassero motivi di grande inquietudine ed avvenimenti bellici localizzati pericolosi ai fini del mantenimento della pace - attacco israeliano ne l Sinai, intervento franco-inglese in Egitto, campagna di Cipro, rivolta del Kenya, aggravamento della rivoluzione algerina iniziata il 1 novembre 1954 - la seconda metà degli anni cinqua nta fu, in sostanza, meno
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angosciosa del primo decennio del dopoguerra, durante il quale i fatti di Praga, il blocco di Berlino e la guerra di Corea avevano tenuto il mondo con il fiato sospeso. L'Europa, fallito il disegno della comunità di difesa (C.E.D_), cercò nuove strade di unificazione mediante la creazione dell'Unione dell'Europa Occidentale (V .E.O.) istituita il 6 maggio 1956, della Comunità Economica Europea (C.E.E. o M.E.C.) istituita il 1 gennaio 1958 in base al trattato di Roma del 25 marzo 1957, della Comunità europea dell'energia atomica (EURATOM o e.E.E.A.) istituita anche questa il 1 gennaio J958. Si sperò che la concentrazione degli sforzi creativi ed organizzativi a favore dell'unificazione economica avrebbe avuto nel tempo come conseguenza necessaria la unificazione politica. Si trattò evidentemente di un calcolo sbagliato e di una speranza illusoria, se quasi trent'anni dopo, non solo l'unificazione politica continua ad apparire una meta quasi irraggiungibile, ma la stessa unificazione economica, soggetta a crisi periodiche, è insidiata di continuo da malintesi, equivoci e conflitti di interessi settoriali. TI cons iglio atlantico, nella sua seduta ordinaria della fine del 1956, approvò le intese per la collaborazione politica ed economica fra gli a lleati europei, ma non poté non rilevare come l'azione militare franco-inglese compiuta in Egitto era avvenuta al di fuori di tutte le procedure di consultazione previste che, del resto, non erano state rispettate tre anni prima neppure dall'Italia per l'esigenza «T>}. Ma i fatti di maggiore portata che indebolirono la N.A.T.O. e la stessa comunità europea furono, dopo l'ascesa al potere nel 1958 del generale De Gaulle, il distacco della Francia dall'organizzazione militare della N.A.T.O. e l'avvio di un programma nucleare autonomo da parte della Francia stessa. L'ingresso della Germania occidentale nella N.A.T.O. ed il riarmo tedesco, contestati persino da una parte dell'opinione pubblica americana e anche tedesca, avevano riacceso in Francia i vecchi timori circa la potenza militare del temibile vicino, mentre le garanzie americane e tedesche circa la fedeltà della Germania occidentale alla N.A.T.O. e l'integrazione delle sue nuove forze armate nell'organizzazione atlantica non valsero a tranquillizzare i francesi, specialmente dopo che il generale tedesco Spiedel 3 venne nominato, nel 1957, comandante delle forze terrestri dello scacchiere del centro Europa. La decisione del generale De Gaulle di uscire dall'organizzazione militare, pur restando nell'alleanza atlantica, e di procedere alla costituzione di un arsenale nucleare autonomo, soggetto alla sola sovranità nazionale, soddisfece la gran parte
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dell'opinione pubblica francese, nella quale mai si erano spenti, indipendentemente dalle ideologie da ciascuno professate, i sentimenti di acceso nazionalismo e di grande orgoglio sciovinistico tendenti al ripristino di una grandezza andata irrimediabilmente perduta come provavano la guerra d'Indocina e quella dell'Algeria. Il valore dei soldati inglesi non era bastato a conservare un impero che il ciclo storico, apertosi con la seconda guerra mondiale, aveva distrutto, trasferendo il ruolo ed il rango di superpotenze solo agli Stati Uniti ed all'Unione Sovietica. La Francia non aveva ancora capito di aver perduto l'impero assai prima di essere battuta in Indocina e in Algeria. L'Europa, da parte sua, nonostante gli sforzi degli spiriti più illuminati, non riuscì ad imboccare negli anni cinquanta la strada giusta dell'unificazione politica, che sola le avrebbe consentito di assumere e di esercitare un ruolo paritetico nell'ambito dell'alleanza atlantica. In Italia, l'avvenimento politico di maggiore rilievo della seconda metà degli anni cinquanta fu, a nostro avviso, la rottura del patto di unità di azione tra il partito socialista ed il partito comunis ta, avve nuta, ad opera dei socialisti, il 6 ottobre del 1956. Il patto di consultazione, che sostituì il patto di unità d'azione, non costituì remora al progressivo raffreddamento dei rapporti tra i due partiti ed al progressivo, benché lento, movimento del partito socialista verso una sua piena autonomia, di cui la prima manifestazione concreta fu il ritiro dell'adesione al movimento dei partigiani della pace, deciso dal comitato centrale del partito socialista il 10 maggio 1957. Il 30 luglio dello stesso anno i socialisti si astennero, mentre i comunisti votarono contro, nella votazione in Parlamento per la ratifica dell'adesione dell'Italia al M.E.C.. Nel 1959, nel congresso del partito socialista svoltosi a Napoli dal 15 al 19 gennaio, la corrente autonomista, capeggiata dall'onorevole Pietro Nenni, conquistò la maggioranza negli organi direttivi del partito aprendo la prospettiva, sia pure lontana, di una collaborazione diretta dei socialisti al governo. Il ritardo dell'ingresso dei socialisti nel governo dipese, da una parte dalle difficoltà interne dello stesso parito socialista nel quale non poche furono le resistenze, anche di carattere psicologico, ad un mutamento quasi improvviso e radicale della linea politica di fondo fino allora seguita, e, dall'altra parte, dalle altrettanto gravi difficoltà interne della democrazia cristiana che, dopo la morte di De Gasperi, era venuta sempre più articolandosi in correnti e sottocorrenti all'insegna di varie etichette ideologiche di copertura. Il sussistere nel partito
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socialista di due anime, la maggiore riformista e la minore massimalista, ed il manifestarsi nella democrazia cristiana di due opposte tendenze di fondo, una conservatrice, l'altra variegata ambigua indecisa, resero obiettivamente difficile un'intesa di governo che già le elezioni politiche del 1958 indicarono possibile e gradita alla maggioranza del paese. Il partito che nelle elezioni del 1958 conservò, nonostante il XX congresso del P.C.U.S. e la repressione della rivolta ungherese, più o meno le posizioni del 1953, raccogliendo il 22,7% dei voti per la Camera ed il 21 ,8% per il Senato, fu il partito comunista, il secondo polo della vita politica italiana. Tale dato di fatto, che colse un po' di sorpresa sia la democ razia cristiana sia il partito socialista, che avevano sperato dopo il XX congresso del P.C.U.S. e la repressione della insurrezione ungh erese in un calo del partito comunista, accrebbe la difficoltà d ' intesa tra democristiani e socialisti ed esasperò le difficoltà interne dei due partiti. La democrazia cristiana, in particola re, non più guidata da un leader del livello morale e politico di De Gasperi, ma travagliata dalla lotta intestina di più leaders, ognuno alla ricerca di un'ampia sfera di potere, non fu in grado di muoversi d' iniziativa secondo un razionale ed organico programma di riforme, che il paese reclamava, e visse alla giornata perdendo a poco a poco quei consensi che in parte aveva recuperato nelle elezioni del 1958 e che perderà in maniera vistosa nelle elezoni del 1963, quando la percentuale dei voti scenderà per la Camera dal 42,3% al 38,3% e per il Senato dal 41,3% al 39,4%. Unici punti fermi della politica italiana di quegli anni rimasero l'atlantismo e l'europeismo, sostenuti fermamente dalla de mocrazia cristiana e dai partiti minori - socialdemoc ratico, liberale, repubblicano - che con questa collaboravano dal 1948, ed ora accettati, sia pure con qualche riserva, dal partito socialista. Nella seconda metà degli anni cinquanta non vi furono, perciò, deviazioni e neppure raffreddamenti in politica estera, mentre invece, nell'atmosfera generale della distensione internazionale, divenne ancor meno del solito volenteroso ed intenso l'allineamento della politica militare a quella estera, anche in ragione sia delle reali difficoltà economiche . del paese, sia del tradiziona_le disinteresse della gran parte dei partiti e degli uomini politici, come del resto della gran parte degli italiani, ai problemi concreti della sicurezza e della difesa. Alla direzione del dicastero della difesa si succedettero dal 1953 gli onorevoli Giuseppe Codacci Pisanelli dal 16 luglio al 17 agosto 1953, Paolo Emilio Taviani dal 18 agosto 1953 al 1 luglio 1958, Antonio Segni dal 1 luglio 1958 al 15 febbraio 1959
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e Giulio Andreotti dal 15 febbraio 1959, tutti democristiani. Nella carica di capo di stato maggiore della difesa al generale Marras 4 succedette dal 15 aprile 1954 al 1 aprile 1959 il generale Giuseppe Mancinelli 5 e nella carica di capo di stato maggiore dell'esercito al generale Pizzomo 6 il generale Giorgio Liuzzi 7 dall' 11 ottobre 1954 al 31 marzo del 1959. Furono perciò il ministro Taviani ed i generali Mancinelli e Liuzzi a trovarsi coinvolti in prima persona nella grave crisi che colpì l'esercito nella seconda metà degli anni cinquanta. L'onorevole Taviani aveva prestato servizio nell'esercito come ufficiale di complemento ed aveva valorosamente combattuto alla testa di formazioni partigiane in Liguria. Personalità di spicco della democrazia cristiana, convinto sostenitore dell'atlantismo e dell 'europeismo, professore universitario, uomo di studio e di azione, fu un ministro meno impegnato dell'onorevole Pacciardi, ma assai più dei suoi successori, anche se non seppe o non volle o non poté immedesimarsi nel travaglio concettuale ed organizzativo che proprio durante il suo mandato le forze armate dovettero affrontare. Convinto che la strategia della rappresaglia massiccia non rendesse più possibili guerre limitate e che, pertanto, la sicurezza e la difesa dell 'Italia dipendessero più dalle armi nucleari che non da quelle convenzionali - il che entro certi limiti era senza dubbio vero non si dette da fare né per evitare il taglio del bilancio 1954-'55 né per elevare gli stanziamenti degli anni successivi ad un livello adeguato a soddisfare le nuove necessità. Egli stesso dichiarò in Parlamento di non puntare più sul numero delle divisioni bensì sull'efficienza operativa di quelle che era possibile mantenere in vita in relazione alle disponibilità di bilancio. Tale concezione generica non avrebbe dovuto comportare di per sé una riduzione delle assegnazioni di bilancio, ma ne avrebbe dovuto anzi imporre un accrescimento, .perché le economie realizzabili mediante la riduzione delle spese funzionali non sarebbero state assolutamente bastevoli a coprire le esigenze del miglioramento qualitativo delle forze, a colmare le aree depresse e tanto meno ad ammodernare e potenziare l'intero apparato militare. La diversità di opinioni a tale riguardo con i vertici militari, che avevano dalla loro parte la forza dell' aspetto operativo e tecnico, non favorì il nascere ed il permanere di un'atmosfera di reciproca comprensione, pur mantenendosi i rapporti costantemente su di una linea di reciproca correttezza anche per il fatto che il ministro Taviani improntò costantemente la sua linea di azione al di fuori di ogni interesse personale, di corrente e di partito. L'incontro di
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personalità di grande spicco, come l'onorevole Taviani ed i generali Mancinelli e Liuzzi, finì complessivamente con il giovare, nonostante le diversità di vedute ed i contrasti, alle forze armate in uno dei momenti molto difficili della loro esistenza. L'esercito, in particola1 re, poté giovarsi di uno dei più prestigiosi capi di stato maggiore della sua storia, il quale, rimasto in carica per oltre quattro anni, ebbe modo e tempo di spendere tutte le sue eccezionali doti e qualità intellettuali, morali, professionali e di carattere, davvero elevatissime, per salvaguardare il più possibile un minimo di efficienza mediante il rinnovo delle concezioni dottrinali, l'aggiornamento e adeguamento degli organici delle unità, l'intensificazione dell'addestramento e l'ammodernamento delle leggi sullo stato ed avanzamento dei quadri. Il generale Liuzzi ereditò un ese rcito che la fervorosa attività dei suoi predecessori aveva portato ad un ottimo grado di efficienza morale, di cui l'esigenza «T» aveva segnato l'elevato indice, ma non ancora ad un soddisfacente livello di efficie nza materiale, anche a causa della troppo vasta dimensione preventivata. Quando lasciò la carica consegnò al suo successore, generale Bruno Lucini 8, un esercito diverso, che nulla aveva perduto della sua efficienza morale e che, sebbe ne ridime nsionato nelle sue strutture, specialmente in quelle territoriali, si presentava in una veste di efficienza materiale quanto meno più moderna ed intonata all' impiego delle armi nucleari tattiche reso attuale dalla presenza della Southern Europe Task Force (S.E.T.A.F.) nello scacchiere italiano (unità statunitense armata di missili balistici tattici con teste di guerra nucleari e convenzionali). La S.E.T.A.F. giunse in Italia nel 1955, prese stanza a Verona e fu posta alle dipendenze d 'impiego del comando delle F.T.A.S.E .. Nello stesso anno, venne costituita la va ATAF che riunì le unità aeree italiane assegnate alla N.A.T.O. ed unità aeree statunitensi dislocate in Italia. Frattanto era stata completata l'organizza zione di comando N.A.T.O. e, per quanto riguarda l'esercito, i comandi di Napoli e di Verona erano già da tempo nella pienezza delle loro funzioni e sotto il loro controllo si erano svolte, nella prima metà degli anni cinquanta, e continuarono ad essere sviluppate nella seconda metà, imponenti esercitazioni per pos ti comando e con le truppe, inquadrate spesso nel contesto generale dello S.H.A.P.E., di alcune delle quali abbiamo già fatto menzione. Nel dicembre 1955 il Consiglio atlantico approvò ufficialmente l' introduzione delle armi nucleari tattiche negli scacchieri europei. Nel 1956 furono svolte esercitazioni logistiche N.A.T.O. dirette dal comando N.A.T.O. di
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Napoli per esaminare le connessioni logistiche con l'impiego delle armi nucleari tattiche. Nel 1956 ebbero inizio le esercitazioni sperimentali volte a collaudare, entro i limiti consentiti dalle esercitazioni del tempo di pace, la nuova dottrina tattica dell'esercito elaborata in ragione dell'impiego delle armi nucleari tattiche. A tali esercitazioni presero parte anche unità della va A.T.A.F. e della S.E.T.A.F.. L'esercito intero in quegli anni visse un periodo di grande fervore addestrativo, impegnato come fu in esercitazioni N.A.T.O., in esercitazioni sperimentali ed in esercitazioni di completamento delle divisioni di fanteri (Pinerolo e Aosta) tenute in tempo di pace al 30% degli organici di guerra. Si può dire che in quegli anni non solo furono sottoposti a collaudo la nuova dottrina ed i nuovi ordinamenti, ma vennero sperimentate ed affinate le nuove procedure operative N.A.T.0 ., messi in e sercizio i comandi operativi N.A.T.O. e realizzata un'efficace cooperazione tra le forze terres tri ed aeree, talvolta anche la cooperazione con quelli navali, e tra le forze italiane e quelle statunitensi della S.E.T.A.F. e della va A.T.A.F., con risultati più che soddisfacenti.
4. Il quadro riassuntivo degli avvenimenti internazionali ed italiani che condizionarono la politica della N.A.T.0. e quella militare italiana sopra tracciato non ha la pretesa della completezza e tralascia l'approfondimento critico dei fatti, contentandosi della semplice elencazione per memoria con qualche breve spunto meditativo. Ci è sembrato tuttavia conveniente tracciarlo, per un migliore apprezzamento del lavoro svolto in quegli anni dall'esercito per superare la crisi determinata dall'avvento delle armi nucleari tattiche e dagli altri elementi sopra ricordati. È da rilevare che intanto l'esercito poté affrontare la crisi in quanto oramai si sentiva del tutto integrato nella N.A.T.0 .. D'altra parte, è facile dedurre dalla situazione illustrata come l'esercito e le altre due forze armate italiane non avrebbero più avuto nulla da dire e da fare qualora la loro ricostruzione non fosse avvenuta nel quadro della N.A.T.O. e con l'aiuto diretto e sostanzioso di mezzi e di materiali bellici statunitensi. Indipendentemente dalle grandi motivazioni ideali, storiche, politiche ed economiche che avevano dettato la scelta atlantica, non si riesce a individuare quale altra via l'Italia avrebbe potuto percorrere per la ricerca della propria
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sicurezza e difesa. La neutralità armata? Era fuori della realtà economica del paese e coloro che se ne facevano sostenitori erano in mala fede perché ne conoscevano molto bene il costo elevatissimo ed insostenibile. La neutralità disarmata? Sarebbe stata senza dubbio la decisione più economica, ma anche la più inutile - in caso di conflitto tra i due blocchi l'Italia per la sua posizione geo-strategica, non sarebbe stata risparmiata dall'uno o dall'altro contendente - e la più rinunciataria di diritto e di fatto, perché l'agnello in una gabbia con i leoni è destinato ad essere divorato. La neutralità armata o disarmata avrebbe posto l'Italia fuori dell'Europa. Schierarsi dalla parte dell'Unione Sovietica? Era in sostanza quanto, senza dirlo, avrebbero voluto i comunisti che, ora da soli ora in compagnia di altri, continuarono nella seconda metà degli anni cinquanta ad esprimere una politica ferocemente antiatlantica ed antimilitare, in prosecuzione di quella svolta nel decennio precedente congiuntamente con i socialisti. Dopo il fallimento degli sforzi compiuti in un primo tempo per interrompere la continuità storica dell'esercito italiano ed in un secondo tempo per tenerlo fuori dalla N.A.T.O. e per impedirne il riarmo, i comunisti accusarono i governi di calpestare il prestigio della nazione e di svolgere una politica, oltre che contraria all'interesse del paese, di rinuncia della sovranità e della indipendenza, mentre scesero anche sul campo tecnico per contestare i divisamenti dei vertici militari tacciati di servilismo verso gli americani, di cui non avrebbero che eseguito gli ordini senza discuterli, quando non anche di reazionarismo e di fascismo. La sinistra italiana non demorse dall'impostazione politica ufficiale che aveva prospettato sin da appena dopo la fine della guerra: tutela della sovranità del nuovo Stato democratico affidata a forze nazionali non integrate in nessuna alleanza, in sostanza neutralità armata. Che un tale obiettivo fosse fuori dalla realtà delle condizioni economiche e delle capacità industriali non aveva importanza, in quanto il vero obiettivo, fallito il tentativo d'impedire l'ingresso delle forze armate italiane nella N.A.T.O., era ora quello di scardinare la compattezza militare, sollecitando i sentimenti nazionali per porre ostacoli all'integrazione. Contro l'introduzione della arma atomica tattica sul campo di battaglia europeo le sinistre ricorsero a vere e proprie forme di terrorismo psicologico e, senza abbandonare il discorso politico circa l'asservimento dell'Italia ad una politica che giovava solo agli Stati Uniti, entrarono nel vivo della critica tecnica circa il carattere antinazionale dello schieramento di armi nucleari tattiche in Italia, sia perché la procedura cosiddetta
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della doppia chiave per l'autorizzazione all'impiego in pratica lasciava liberi gli Stati Uniti di decidere a loro piacimento, sia perché talune delle armi nucleari tattiche erano, a giudizio dei comunisti e dei loro alleati, per la loro gittata in realtà armi strategiche ed offensive. Non si può dire in via teorica che alcune argomentazioni fossero del tutto prive di fondamento, ma sul piano della realtà strategico-politica e strategico-militare venutasi ad affermare con la divisione del mondo in due blocchi, erano del tutto anacronistiche e dilettantesche come le definì in Pa rlamento l'onorevole Taviani. Tutti sanno che l'adesione ad un'alleanza comporta: impegni di obblighi e di responsabilità che coincidono spesso con la limitazione della sovranità assoluta; difficoltà rilevanti per far coincidere l'interesse nazionale di un membro dell'alleanza con quelli degli altri membri e, in particolare, con quelli dello Stato egemone per la portata del potenziale bellico di cui dispone; disparità di vedute organizzative e tecniche circa il modo migliore per raggiungere gli scopi dell'alleanza stessa. L'importante è, ai fini della salvaguardia de1la sovranità, che l'adesione sia libera e volontaria, nonché suscettibile di ritiro nel caso si dovesse determinare un pericolo gravemente lesivo dall' interesse nazionale, e che esista un sincero spirito di collaborazione, alieno da ogni volontà di sopraffazione, nel concordare i piani difensivi e nel programmare le forze necessarie per porli in applicazione. L'Italia non poteva fare a meno di affidarsi agli alleati per colmare le lacune della propria difesa che erano ancora tante e gravi. A meno di non uscire dalla N.A.T.O., evento sempre teoricamente possibile, riproponendosi in tale caso il discorso sulla neutralità armata o disarmata, se non proprio quello del passaggio dall'altra parte, che, in fondo, poteva essere l'aspirazione dei comunisti meno avveduti, l'impiego concordato - questo significava la procedura della doppia chiave - delle armi nucleari tattiche, mentre rafforzava la difesa della N.A.T.O. e perciò dell'Italia, non mutava la natura difensiva dell'alleanza, anzi apriva la strada ad una strategia meno rigida e catastrofica di quella della rappresaglia massiccia. Verso la fine degli anni cinquanta, la Francia scelse la strada dell'autonomia nucleare con l'intento di una maggiore libertà di azione nella risoluzione del proprio problema difensivo. L'Italia avrebbe potuto fare la stessa cosa? Si in via d'ipotesi; no nel quadro del senso del reale. La presenza delle armi nucleari tattiche non era infatti sostitutiva di quella delle forze convenzionali e l'autonomia militare nazionale avrebbe richiesto un impegno finanziario ed industriale insostenibile, superiore di gran lunga a quello assai più
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modesto, peraltro ritenuto dal Parlamento non esigibile, connesso al mantenimento, ammodernamento e potenziamento dello strumento militare fino ad allora messo in piedi, in verità con una spesa tutto sommato modica. L'ostilità delle sinistre alla politica estera e militare dei governi democristiani e di coalizione della seconda metà degli anni cinquanta rientrava nella piena legittimità democratica, al pari di quella degli anni precedenti. Le ragioni addotte a sostegno erano invece quanto mai fuori tempo e futili. Essa peraltro non fu senza effetti psicologici e pratici sui governi e sull'opinione pubblica e concorse non poco ad umiliare i valori morali tradizionali. Indusse i governi, che si succedettero in quegli anni, a limitare il più possibile gli stanziamenti militari per non apparire guerrafondai o militaristi, accentuò il distacco tra il paese e le forze armate e rese più difficile l'attività di ammodernamento dottrinale e ordinativo dei vertici militari i quali, peraltro, continuarono a lavorare appassionatamente, non senza risultati, per dare a1l'Italia forze armate efficienti e credibili. Naturalmente queste ultime si isolarono maggiormente e gli organi di comando si cautelarono, talvolta eccessivamente, dai pericoli delle infiltrazioni sobillatrici ed eversive. Qualora si dimentichi tale stato di fatto, si rischia di non comprendere o di travisare la vita militare italiana di quel periodo e le oggettive difficoltà in cui dové dibattersi. Fu quello, infatti, uno dei momenti più difficili - lo ripetiamo - del divenire delle forze armate italiane. Fu il periodo nel quale ebbe inizio il processo di degrado dell'efficienza materiale per il quale, nonostante i periodici futuri ridimensionamen~i quantitativi a favore di ipotetici miglioramenti qualitativi, l'Italia, dovrà ammettere con amarezza il presidente del consiglio dei ministri, onorevole Bettino Craxi nell'estate del 1984, vale a dire trent'anni dopo, è tra i paesi meno armati del mondo 9. Una constatazione sincera e reale che non può non suonare di condanna della politica militare seguita dai governi precedenti. Il principio del bilancio consolidato e dell'incremento annuo fisso del 6%, stabilito proprio nella seconda metà degli anni cinquanta, avrebbe potuto avere una qualche validità se si fosse trattato solo di mantenere un'efficienza raggiunta, non certamente per conseguire un'efficienza che non c'era, soprattutto per l'esercito in fatto di difesa controcarri e contraerei, di apparecchiature per la sorveglianza del campo di battaglia e per l'automazione del tiro delle artiglierie, di meccanizzazione e di mobilità. I governi della seconda metà degli anni cinquanta, e ancor più tutti quelli dei tre
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lustri success1v1 non avvertirono, o finsero di non capire, che la soluzione del problema militare, quanto meno una soluzione provvisoria ma dece nte, avrebbe dovuto poggiare non già su di un bilancio consolidato che perpetuava uno stato di debolezza generale e su di un incremento irrisorio insufficiente a garantire le esigenze sempre crescenti dell'ammodernamento, ma su di un pia no pluriennale di sviluppo, che in un primo tempo consentisse di colmare le lacune e nel proseguio evitasse o riducesse gli scompensi che la tecnologia avrebbe determinati . Ecco perché, pur considerate le enormi difficoltà obiettive di carattere politico ed economico nelle quali i governi vennero a trovarsi, non si può non rilevare che vi furono imprevidenza politica, miopi a economica, indifferenza colposa ed anche, talvolta, una certa malafede quando si tentava di tranquillare il p aese circa l'efficienza delle forze armate facendogli credere ch e tutto andava per il meglio nel quadro degli impegni che i vari governi assum evano in sede N.A.T.0. e che poi invece in buona parte trascuravano o eludevano. Se oggi l 'Italia è tra i paesi meno armati del mondo è perché l'incidenza della spesa militare sul bilancio dello Stato e de l prodotto interno lordo scese nel 1954-'SS rispettivamente a meno del I 9% e del 3,56 % e continuò per molti anni ad appoggiarsi su tali valori, inferiori di molto a quelli degli altri paesi N.A.T.O. e non.
5. La realizzazione dell'arma atomica tattica pose a tutti gli stati maggiori degli eserciti interessati una serie di quesiti concettuali ed organizzativi quali m a i una nuova arma aveva posto nel passato. In più, le risposte, ancorché si conoscessero le principali caratteristiche della nuova arma e n e fossero noti gli effetti, sia pure non completamente a causa d ella segretezza che copriva tuttallora parte della materi a, non erano formulabili sulla base del metodo induttivo utilizzato ne ll'e laborazione della dottrina convenzionale, perché mancava ogni esperienza che é di pe r sé dottrina o, p e r lo meno, ne costituisce fonte. L'arma a tomica non era mai stata impegnata in guerra in campo tattico e il suo impiego nell'eventualità futura appariva condizionato dall 'autorizzazione dell'autorità politica plurinazionale , unico pote re decision a le esclusivo. Quale affidamento un comandante di teatro o scacchiere avrebbe potuto fare su di un'arma della quale, pur essendo disponibile, non poteva
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decidere l'impiego, neppure in caso che a lui sembrasse disperato e di estrema urgenza? Ma, prima ancora, quali sarebbero state le reazioni delle menti e dei cuori dei soldati dopo l'impiego di un'arma atomica da parte dell'uno o dell' altro contendente? Nel passato i nuovi mezzi, c;he il progresso aveva via via fornito alla lotta armata, erano giunti ad incidere s ui criteri e sui procedimenti di azione solo dopo il loro impiego iniziale sul campo di battaglia; ora invece si trattava d ' innovare senza l'ausilio di un dato di esperienza reale e l'incognita maggiore era proprio la reazione di comportamento dell'uomo di fronte allo spettacolo terrificante e desolante del dopo esplosione. Ogni teorizzazione avrebbe potuto fallire e non trovare rispondenza nei fatti. Mancavano, insomma, le stesse premesse per l'elaborazione di una dottrina. I dubbi e le perplessità furono tali presso tutti gli stati maggiori d ei paesi N.A.T.O. che molti si trattenne ro inizialmente dall'avventurarsi in un campo così oscuro e complesso, sembrando ad alc uni essere venuti meno gli stessi principi tradizionali della Lattica e dovendo rinunziare alla metodologia dell' immagine induttiva, la più utilizzata, ancorché integrata da quella qeduttiva, nella ricerca della norma tattica. C'era poi addirittura un problema esistenziale delle forze armate convenzionali: le armi atomiche tattiche non sarebbero state sostitutive delle forze convenzionali? o, quanto meno, queste ultime non avrebbero dovuto subire un drastico ridimensionamento? Nel frastuono delle opposte tesi e delle divergenti opinioni non fu facile venire a capo della questione che indusse il comandante dello S.H.A.P.E., generale Gruenther 10, a dimettersi per resistere alle richieste, assai superficiali e disinvolte, di sostituzione delle forze convenzionali con le armi atomiche tattiche. Anche in Italia il dibattito che si svolse nelle pagine della Rivista Militare 11 non fu scevro di qualche estremismo nell'esaltazione della portentosità della nuova arma o, in senso opposto, nella riduzione della sua portata a quella di un' azione concentrata di un elevato numero di bombe ad esplosivo classico. Eppure, con tutto il rispetto dovuto alle opinioni straniere e nazionali, si poneva oramai in termini di urgenza una nuova dottrina 12, perché l'arma atomica tattica era oramai una realtà ineludibile, resa concreta dall'arrivo in Italia della S .E.T.A.F .. A parte gli estremismi delle polemiche, nessun paese aveva rinunziato, o dimostrava l'intenzione di farlo, alle forze armate convenzionali, anzi vi era chi ne chiedeva il potenziamento e l'ammodernamento proprio in ragione dell'avvento dell'arma atomica tattica sulla base della duplice esigenza di evitare, fino a
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quando possibile, l'impiego dell'arma atomica tattica, che riduceva le possibilità di negoziati politici, e di disporre di forze in grado di sfruttarne tempestivamente gli effetti e di sottrarsi, non meno tempestivamente, a quelli dell'arma atomica tattica nemica. In ogni caso, nessuno metteva in dubbio che quest ultima comportasse un profondo mutamento delle concezioni e dei procedimenti d'impiego delle forze convenzionali, tenendo peraltro presente che l'impiego della nuova arma non era necessariamente legato alla natura della lotta, che poteva sul piano della possibilità, iniziarsi e svilupparsi senza che ad esso si dovesse fare ricorso. Il problema era di trovare il punto di equilibrio tra le concezioni eccessive, in una visione complessiva che per essere realistica doveva tenere conto in primo luogo dei dati tecnici della nuova arma. Il primo di tali dati era che l'incremento di potenza non aumentava in proporzione del raggio di efficacia, tanto che, in linea di larga massima, raddoppiando la potenza il raggio di efficacia aumentava, grosso modo, solo del 10 + 12%. Un altro dato era che gli effetti della bomba erano di triplice natura: di scoppio, analoghi a quelli dell'alto esplosivo delle bombe ordinarie; di calore; di radiazioni. Tali effetti erano diversi a seconda che l'esplosione avvenisse in aria, sul suolo, nel sottosuolo; in più erano contraddistinti, ciascuno, da un diverso raggio di efficacia, talché il raggio di efficacia degli effetti del calore era maggiore di quello degli effetti di scoppio e quello di questo ultimo maggiore del raggio di efficacia delle radiazioni. Gli effetti della triplice offesa si sviluppavano in senso radiale per cui gli obiettivi di forme geometriche sviluppantisi in senso areale (cerchi, quadrati, ecc.) erano più vulnerabili di quelli sviluppantisi in senso lineare. Altro dato certo era che gli effetti del calore, dello scoppio e delle radiazioni erano totali, entro i propri raggi di efficacia in relazione alla potenza in kiloton di ciascuna bomba, per il pe rsonale allo scoperto, mentre diminuivano da una certa distanza dal punto di scoppio nei riguardi del personale protetto: l'area di annientamento globale si restringeva ed una copertura di terra di circa un metro, rispetto al punto di scoppio, poteva assicurare la protezione e l'incolumità oltre un dete rminato raggio dagli effetti del calore e dello scoppio, mentre quelli delle radiazioni diminuivano ed avevano un'azione ritardata. La copertura richiedeva lavori di scavo profondi entro l'ordine di 130+ 120 cm a seconda della posizione da fare assumere al personale nelle buche e risultava particolarmente gravosa nei terreni di roccia, acquitrinosi e sabbiosi. La bomba atomica produceva, pertanto, in ogni caso una distru-
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zione totale improvvisa di massa entro un determinato raggio dal punto di scoppio, più o meno estesa nell'area di tale raggio a seconda della copertura del personale_ L'arma atomica tattica doveva perciò essere valutata come una concentrazione di potenza distruttiva eccezionale, non soggetta a vincoli di spazio e di tempo, che per l'azione radiale dei suoi effetti imponeva distanze di sicurezza per le proprie truppe molto elevate, per cui non vi si poteva fare ricorso nel caso di truppe a contatto od a distanza inferiore a quella di un rischio calcolato accettabile. I danni di una bomba atomica non erano preventivamente calcolabili con certezza, ma era solo possibile determinare a priori una serie di corrispondenze fra entità percentuali di danni e probabilità di pote rli conseguire. Tale realtà si ripercuoteva sui termini del problema operativo in misura rilevante ed esigeva soluzioni improntate ad elevata elasticità. Un ultimo dato era quello r iguardante la remuneratività dell'obiettivo. I costi di fabbricazione erano a llora elevali, per cui le armi atomiche avrebbero dovuto essere impiegate soltanto contro obiettivi paganti, il cui valore fosse cioè proporzionato alla potenza esplosiva impiegata ed ai probabili effetti di struttivi. Ciò non voleva dire che obiettivi di limitato valore assoluto, inquadrati in una determinata situazione strategica o tattica, non potessero avere un'importanza tale da giustificare, per la loro eliminazione, l'impiego dei mezzi più potenti e costosi disponibili. Il concetto di obiettivo remunerativo legato al costo dell'arma si doveva trasformare in concetto di obiettivo tatticamente remunerativo. Questi i dati tecnici di base del processo di formazione della nuova dottrina, resi noti mediante un'apposita pubblicazione edita dallo stato maggiore dell'esercito nel novembre del 1953, abrogata e sostituita da una nuova edizione - S.M.E. 180/R Cenni sulla difesa atomica campale (n° 4000 della serie dottrinale) - il 1 ottobre 1955 13. Non era detto che la nuova arma dovesse essere necessariamente impiegata, sarebbe stato allora necessario e conveniente una nuova dottrina tattica quando mancava tale certezza? Non sarebbe stato meglio, volendo elaborare una nuova dottrina, tenerla in riserva e continuare ad indirizzare concezioni e procedimenti verso la guerra convenzionale? Sarebbe però stato possibile, ed a quale prezzo, il passaggio guerra durante dalla dottrina convenzionale a quella atomica 14? Il dibattito aveva preso corpo in Italia e negli altri paesi fin da quando erano state rese note le prime notizie degli esperimenti effettuati dagli Stati Uniti nel poligono di Las Vegas, durati per
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l'intero triennio 1949-'51. Nel 1951 era stato ufficialmente annunziato che la nuova arma poteva essere realizzata in mis ura e proporzione relative alle esigenze del campo tattico, per cui oramai esisteva la certezza che le bombe atomiche tattiche lanciate da aerei ed i proietti atomici tattici lanciati da artiglierie avevano fatto il loro ingresso negli arsenali militari americani. Alla rivoluzione scatenata da lla energia nucleare in campo strategico fece allora seguito quella in campo tattico, le cui conseguenze, in un certo senso, erano dal punto di vista tecnico-militare di più difficile individuazione e determinazione. Era vero c he durante la seconda guerra mondiale, pur essendo disponibili da entrambe le parti grandi quantitativi di aggressivi chimici, nessuno dei due blocchi contendenti vi aveva fatto ricorso per paura degli effetti della rappresaglia, ma l'indicazione non era tale da dare certezza che lo stesso sarebbe avvenuto per l'a rma atomica tattica. Se la stra tegia ufficiale e ra tuttallora quella d ella rappresaglia m assiccia, era anzi pensabile che ancora minori sarebbero state le remore all'impiego della nuova arma in campo tattico. In una conferenza tenuta il 21 ottobre 1954 a lla Royal United Service Institution di Londra, i 1 maresciallo Montgomery 15, pur premettendo di esprimere idee personali, espose alcuni conce tti generali s ull'impiego delle armi nucleari, i quali non potevano non riflettere il punto di vista de l SACEUR, del quale in quel pe riodo il maresciallo inglese era il vice. Che cosa disse il maresciallo Montgomery? Lo S.H.A.P.E. stava preparando i s uoi piani operativi all'impiego difensivo delle armi termonucleari ed a tomiche delle qua li avrebbe fato uso solo qualora la NA.T.O. venisse attaccata. Egli proseguì affermando ch e, a su o parere, le armi termonucleari cd atomiche cos tituivano senza dubbio un grande freno allo scoppio della terza guer ra mondiale, m a che nel caso questa scoppiasse non vi sarebbero restrizioni tali da inibire il ricorso a tali armi. L'impiego di queste ultime non solo non eliminava la necessità delle forze convenzionali, ma ne conservava il cara ttere d'indispe nsabilità, pe rché nessuna s tra tegia e tattica avrebbero potuto basarsi sulle sole armi nucleari. La strategia, la ta ttica e l'organica avrebbero dovuto, per quanto riguardava il campo di battaglia, tendere a forzare l'avversario alle concentrazioni delle s ue forze in modo da diventare be rsaglio remunerativo e ad evitare di esporre le proprie forze in egual grado alla similare offesa nemica. Le forze aeree, in p a rticolare, avrebbero dovuto essere potenziate al massimo grado e rese più operativamente efficienti
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anche mediante il ricorso al loro controllo centralizzato ed unitario in modo da consentire grande manovrabilità e flessibilità d'impiego. Le forze navali, necessarie ad assicurare il controllo dei mari e la difesa del traffico marittimo, avrebbero dovuto avvalersi in proprio di forze aeree che, in seguito ai prevedibili futuri progressi, sarebbero divenute sempre più il fattore decis ivo della lotta su e sotto il mare, segnando il tramonto definitivo delle grandi navi di superficie e determinando il predominio di flotte aero-navali basate su portaerei, sul naviglio minore di superficie e su unità subacquee_ Le forze terrestri, nelle quali gravavano le maggiori necessità di riorganizzazione, avrebbero dovuto conferi re preminente importanza alla mobilità strategica e tattica ed organizzarsi in grandi unità trasportabili per via aerea, i cui comandanti avrebbero dovuto possedere grandi doti d'immaginazione, ardimento e carattere. Le forze di prima linea avrebbero dovuto essere pronte e complete rin dal tempo di pace, perché la sorpresa assurgeva a fondamentale fattore di successo per l'attaccante, ed avrebbero dovuto essere saldamente inquadrate e addestrate, dotate di grande spirito offens ivo, di grande mobilità tattica e capaci di muoversi su qualsiasi terreno_ Il maresciallo Montgomery più che esprimere idee personali, come per saggia prudenza aveva premesso, riferiva in sostanza i risultati del lavoro, al quale aveva del resto attivamente partecipato, compiuto dal comando N.A.T.O. di Parigi che, proprio nell'ottobre di quell'anno, fece svolgere in Germania un'esercitazione Battle Royal - allo scopo di studiare l'impiego dei mezzi atomici (bombe lanciate da aerei, proietti di cannoni, missili) e di quelli convenzionali in rapporto all'impiego ed alla struttura di un tipo di grande unità idonea, per maggiore mobilità e minore peso logi stico, alla nuova fisionomia del campo di battaglia. Nell'esercitazione, si vollero raccogliere dati pratici sulle possibilità di dispers ione sul terreno di ingenti forze corazzate per sottrarle all'offesa atomica e su quella di una rapida successiva loro concentrazione. La grande esercitazione offrì elementi importanti per l'ulteriore sviluppo degli studi e delle esperimentazioni: la rarefazione delle formazioni, per diminuirne la vulnerabilità all'offesa atomica, non poteva essere spirtta oltre il limite massimo consentito dalle esigenze di comando e di cooperazione; la riconcentrazione dopo la rarefazione comportava ritardi troppo sensibili nello sfruttare gli effetti dei propri scoppi, con evidenti vantaggi per l'avversario; l'eccessiva estensione delle fronti di attacco toglieva potenza, vigore e ritmo all'azione; alle perdite degli attacchi condotti su fronte più ristretta
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si poteva ovviare con azioni rapide e spinte decisamente a grande profondità; le grandi unità partecipanti compresa quella sperimentale - su 2 reggimenti di 4 battaglioni ciascuno - non avevano dimostrato di possedere l'elasticità e la flessibilità sufficienti a soddisfare le due contrastanti esigenze della rapida dispersione e della rapida concentrazione. Le conclusioni fondamentali furono che le armi convenzionali continuavano ad essere indispensabili anche nell'era nucleare, che esse andavano radicalmente trasformate e impostate su criteri e procedimenti d'impiego diversi, che tale trasformazione non doveva inibire loro la capacità di operare in ambiente esclusivamente convenzionale. Altre esercitazioni, come quelle svolte dalle forze aero-terrestri statunitensi nel deserto del Nevada nel febbraio-marzo del 1955 - nelle quali erano state effettuate più esplosioni atomiche di varia potenza ed erano state fatte entrare in azione nelle zone delle esplos ioni unità di marines, di carri armati provvisti di mezzi di protezione antiatomici, di fanterie trasportate con elicotteri, di aerei a reazione - confermarono la grande difficoltà di raggiungere un 'armonica contemperanza delle esigenze dei due tipi di guerra, atomica ·e convenzionale, così diversi tra loro e l'impossibilità di aderire alla tesi, espressa dal Liddel Hart in uno studio pubblicato nel gennaio di quell'anno sul Times, di c reare a fianco di forze idonee alla guerra atomica un potente esercito, che egli chiamava di polizia o frontiera, atto a condurre, dove necessario, una guerra non atomica. Qualche anno dopo lo stesso Liddel Hart riconoscerà che nessuna nazione, ricca e potente che fosse, avrebbe potuto creare e mantenere due eserciti e modificherà le sue idee convenendo sul concetto che un solo esercito deve essere in grado di fare fron te alle due esigenze. Studi ed esercitazioni compiuti altrove, da un lato avevano dato risposta affermativa alla domanda circa la necessità di una nuova dottrina ed avevano messo in rilievo la necessità della bivalenza delle forze, dall'altro lato avevano lasciato molte incertezze su altre questioni di fondo, non solo di carattere ordinativo, ma anche concettuale, specialmente nei riguardi dell'azione difensiva, della quale erano stati presi in esame soprattutto gli aspetti dinamici (contrattacchi e controffensiva). Quali erano, ad esempio, le variazioni che la bomba atomica tattica introduceva nel rapporto DIO (difesa-offesa)? Rimaneva inalterato o diventava più vantaggioso per uno dei due termini e per quale? La bomba atomica, p e r essere una grande concentrazione di potenza distruttiva, non era di per sé una arma con caratteristiche eminentemente offensive? Di converso, quale delle due forme di
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di lotta, l'offensiva o la difensiva, poteva meglio sottrarsi agli effetti dell'arma atomica o ridurre l'ampiezza areale degli effetti? Anche a tale riguardo non mancarono autorevoli interventi sulla Rivista Militare 16. Dai dati noti sull'arma atomica tattica si poteva dedurre - il ricorso al metodo deduttivo diventava ora d'obbligo - che l'attacco poteva scegliere, con notevole indipendenza da altri fattori, il tratto od i tratti di rottura, diminuire entro certi limiti l'imponenza del suo dispositivo per renderlo meno vulnerabile, produrre in tempi ristretti tratti più o meno ampi di rottura ed accelerare così il ritmo dell'azione, costringere la difesa a limitare la densità del suo dispositivo, ridurre l'entità dell'appoggio aereo della difesa colpendone le infrastrutture e gli aerei al suolo, paralizzare, quanto meno per un certo periodo di tempo ed entro alcuni limiti di area, l 'alimentazione della difesa. La difesa, da parte sua, poteva imporre limitazioni alle concentrazioni dell'attacco, colpirle duramente nel caso c he si determinassero, costringere l 'attaccante a costituire obiettivi tatticamente remunerativi sotto pena di paralizzare l'attacco stesso o di inibirgli una progressione robusta e rapida, manovrare con immediatezza relativa una riserva di grandiosa potenza distruttiva, creare imponenti interruzioni e zone contaminate, avere la possibilità di annullare la superiorità aerea dell'attacco colpendone le infrastrutture aeronautiche e gli aerei al suolo, agire, molto più efficacemente che nel passato, sull'alimentazione tattica e soprattutto logistica dell'attacco. La parola d'ordine della seconda guerra mondiale, ed anche delle guerre precedenti, era stata: concentrazione; l'arrivo della bomba atomica tattica la sostituiva con: dispersione. Le concentrazioni allo scoperto erano divenute vulnerabilissime, specialmente se statiche . La staticità consentiva peraltro di proteggersi ricorrendo alla fortificazione. Eppure, anche se la maggiore dispersione imposta dalla nuova arma alla difesa rendeva meno imponenti le stesse concentrazioni dell'attacco, questo non poteva rinunziare a concentrazioni maggiori di quelle della difesa dimodoché, avendo la difesa la convenienza di mantenersi non molto al di sotto del limite di saturazione delle forze conciliabile con l'arma atomica, l'offesa doveva superare quel limite, in quanto l'arma atomica nori poteva sostituire da sola la concentrazione necessaria all'offesa, stante il carattere momentaneo e locale dei suoi effetti. La dispersione era una mis ura passiva, priva per definizione della capacità di sforzi concentrati e conseguentemente di azioni risolutive; occoi-reva sostituirla mediante il ritorno alla concentrazione nel punto e nel momento voluti con l'impiego di
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forze in grado di realizzare il rapidissimo passaggio delle formazioni diluite a quelle condensate. L'offesa poteva ridurre i danni limitando le concentrazioni nel tempo e nello spazio, realizzandole cioè al mome nto scelto e nel luogo voluti a ridosso della difesa, entro cioè i limiti di distanza di sicurezza atomica. Dati i tempi d'intervento - allora ancora piuttosto lunghi - l'offesa si avvantaggiava del movimento, il quale rendeva di per sé labili nello spazio le concentrazioni e perciò non solo e ra m eno vulnerabile ancorché non potesse godere di protezione, ma continuava a disporre di ampie p ossibilità di rottura, c he si erano an zi moltiplicate, e di rapida penetrazione, purché fosse in grado di sfruttare tempestivamente le esplosioni nuclea ri mediante truppe corazzate e meccanizzate. Di converso, com e negare che la difesa, senza compromettere il suo fine, era meglio a tta a ridurre gli effetti di struttivi dell'esplosione nucleare e che consegu entemente la nuova arma s postava a favore di D il rapporto D/0? La difesa, inoltre, avendo minore neces sità di con centrazioni, spesso non più necessarie, anzi addirittura dannose, non presenta va obiettivi p aganti, eccezione fatta per gli schie ramenti di artiglieria che oltre tutto erano i più vulnerabili potendo punto o poco avvalersi della protezione di una copertura. Ma allora, se l'attacco e la difesa evitavano concentrazioni paganti, la bomba atomica tattica non aveva motivo di essere impiegata. Questa avrebbe avuto il ruolo di minaccia potenziale perché essa non avrebbe potuto fare a meno, dato l'alto costo, di un obiettivo r emunerativo. Ma un obiettivo non era forse pagante, pur non comportando gravissime perdite e gravissimi danni per l'avversario, se a priva la via del su ccesso? La difesa, infine, era avvantaggiata dagli sca r si e ffe tti dell'esplosione nucleare sull'ostacolo natura le, al quale a ppunto occorreva appoggiare le posizioni difensive, e dai limitati effetti sul campo minato, non ché dalla possibilità di creare zone contaminate intransitabili e grandi interruzioni mediante l'impiego della mina a tomica. Concezioni contrastanti, numerose incertezze e perplessità, ch e non aveva n o accompagnato in passato l'avvento di una nuova arma tattica - che, in generale, fin dal suo primo appa rire, aveva mostrato a qua le forma di lotta av rebbe recato più redditi zio apporto - continuarono a ritardare lo sviluppo di una nuova logica tattica presso tutti gli eserc iti , a cominc iare da quello statunitense, orientato ad abbandonare, o quanto m e no ridurre, la esistenza e la funzione delle strutture statiche e ad adottare una forma di difesa mobile, in profo ndità, affidata esclusivamente a forze corazzate e
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meccanizzate. Lo stato maggiore dell'esercito italiano fu il primo nell'Europa occidentale a rompere gli indugi, a prendere ufficialmente posizione sull'incidenza del fattore nucleare nelle operazioni e ad elaborare una nuova norma tattica che, non solo suscitò subito larghi consensi all'estero e venne facilmente assimilata dai quadri, ma conservò la sua sostanziale validità in tutte le pubblicazioni dottrinali successive, fino ai giorni nostri, nonostante il passaggio dalla strategia della rappresaglia massiccia a quella della risposta flessibile, il prodigioso sviluppo delle armi e dei mezzi, le serie dottrinali posteriori che, se ne modificarono gli aspetti contingenti, ne recepirono gran parte dei contenuti concettuali. L'annuncio che lo stato maggiore dell'esercito aveva già intrapreso l'opera di revisione e di armonizzazione delle norme e che essa sarebbe stata condotta a termine con la necessaria progressione e con cautela venne dato dal generale Liuzzi il 1 gennaio del 1955. Questi lo fece, dopo circa tre mesi da quando aveva assunto la carica di capo di stato maggiore dell'esercito, mediante la circolare 400/Reg. Note orientative su alcune questioni d 'impiego 17, che fu l'ultimo documento dottrinale dello stato maggiore dell 'esercito riferito al solo ambiente della guerra convenzionale. L'elaborazione della nuova dottrina bivalente, applicabile cioè alla guerra atomica ed a quel la convenzionale, impegnerà l'esercito per tutti i quattro anni in cui ne sarà a capo il generale Liuzzi. Questi non si limiterà ad impartire direttive di massima ed a fissare i canoni concettuali di base, ma si applicherà in prima persona a guidare il lungo cammino degli studi e delle esperimentazioni, stimolando dibattiti e pareri nell'ambito dello stato maggiore, convocando e presiedendo ripetute riunioni degli ufficiali dello stato maggiore e, in particolare, di quelli della sezione regolamenti incaricati di formulare e stendere le proposte dottrinali , allargando le discussioni alla scuola di guerra e ai comandanti e stati maggiori delle grandi unità incaricate delle esperimentazioni attraverso eserc itazioni con i quadri, per posti comando e con le truppe.
6. La strategia in cui la nuova dottrina tattica venne inquadrata fu quella N.A.T.O. della rappresaglia massiccia, che presupponeva una larga disponibilità di armi nucleari strategiche e tattiche, la cui validità ufficia le durò ancora p er quasi un altro decennio, mentre
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la validità reale fu messa in dubbio fin dal volo del primo Sputnik nel 1957. La strategia della rappresaglia massiccia, intesa a fare fronte allo squilibrio delle forze convenzionali della N.A.T.O. rispetto a quelle del patto di Varsavia ed a prevenire la proliferazione delle armi nucleari, aveva goduto di grande credibilità durante ed anche dopo il monopolio nucleare americano e cioè fino a quando il territorio degli Stati Uniti non era risultato vulnerabile dall'offesa nucleare sovietica. Lo Sputnik produsse una svolta strategica: pose fine alla invulnerabilità degli Stati Uniti. Valutata subito nelle sue conseguenze, la svolta aprì un periodo di esteso travaglio politico e militare - tra l'altro indusse la Francia a provvedersi in proprio di un arsenale nucleare dissuasivo - negli Stati Uniti e negli altri paesi della N.A.T.O., perché rendeva assoluto il dilemma tra la distruzione e la resa. La strategia della rappresaglia massiccia, benché sempre meno credibile a mano a mano del prodursi dei missili intecontinentali, venne mantenuta in piedi in attesa di poter inserire nel dilemma distruzione-resa un altro elemento intermedio, meno irrazionale e più credibile. Quando lo stato m aggiore dell'esercito venne elaborando la nuova dottrina, la ricerca ed il dibattito sulla escalation, sulla risposta flessi bile, sulla adeguatezza della risposta al livello della minaccia, sulla nuova logica della guerra tra potenze nucleari, sulla inutilità di una guerra che non concedeva la vittoria a nessuno dei due contendenti ma garantiva la distruzione di entrambi, si erano appena inizia ti. È questo un dato cronologico fondamentale da tenere presente per comprendere la logica della nuova dottrina ed il processo ragionativo seguito nell'elaborarla. Ciò varrà anche per la serie dottrinale 700 della metà degli anni sessanta, perché anche in tale periodo sarà ancora in vigore la strategia d ella rappresaglia massiccia e permarrà la crisi determinata nelle organizzazioni militari internazionali dai missili intercontinentali con testa nucleare. La tattica della serie dottrinale 600 e della serie dottrinale 700 nacque, dunque, in un periodo di transizione da una ad un'altra strategia politica e militare, ma non poté in entrambi i casi non essere strettamente aderente alla strategia ufficiale della N.A.T .O. del momento, ancorché questa poggiasse su fondamenta che venivano vieppiù sgretolandosi, ma non tanto da non lasciare ancora in piedi l 'organizzazione militare iniziale della difesa dell'occidente, creata nel periodo del monopolio nucleare americano e nella situazione d 'invulnerabilità nucleare degli Stati Uniti. In linea con le concezioni dei comandi N.A.T.O., lo stato maggiore dell'esercito, nell'elaborare la serie dottrinale 600, tracciò
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il quadro dei prevedibili caratteri generali di un'eventuale guerra futura in relazione alla incidenza delle armi atomiche in campo strategico e tattico, considerando disponibile di queste ultime un quantitativo elevato ma non illimitato.L'attacco sarebbe stato improvviso e la guerra sarebbe passata attraverso due fasi: una iniziale, nella quale si sarebbe avuto un intenso scambio atomico nel campo strategico, una successiva in cui l'offesa atomica si sarebbe ridotta per l'impossibilità del rapido reintegro dei consumi e del rapido ripristino delle infrastrutture di lancio distrutte o gravemente danneggiate durante la fase iniziale. L'offesa atomica, infatti, si sarebbe rivolta con precedenza e prevalenza contro le sorgenti del fuoco atomico avversarie. La migliore difesa da un attacco improvviso sarebbe consistita in un'analoga immediata controffesa contro le infrastrutture aeree, navali e terrestri di lancio delle armi atomiche. La fase iniziale del conflitto avrebbe perciò mirato alla conquista del predominio atomico ed aereo e, conseguentemente, avrebbe inciso in misura determinante sull'esito finale della guerra. Nell'ultima edizione della Memoria sull'azione difensiva in terreni di pianura e collinosi con impiego di armi atomiche, n. 600 della serie dottrinale, del 20 aprile 1958, che esamim:remo particolareggiatamente nel capitolo che segue, si legge: È prevedibile che: l'aggressore inizi la guerra con un'improvvisa offensiva atomica sviluppata con aerei e missili, rinunciando ad imponenti operazioni di mobilitazione, radunata e schieramento che potrebbero compromettere il fattore decisivo del successo: la sorpresa; le operazioni terrestri vengano iniziate con le forze del tempo di pace, opportunamente spostate e rinforzate con richiami parziali, limitando l'offensiva alle aree strategiche vitali. Le presumibili azioni iniziali dell'aggressore, quindi, possono essere così delineate: offesa strategica intercontinentale, con largo impiego di ordigni atomici, intesa a paralizzare il potenziale avversario e soprattutto a conquistare il predomonio aereo ed atomico; difesa del proprio territorio contro la fulminea analoga controffensiva nemica; distruzione delle forze schierate a difesa delle aree strategiche vitali ed azione offensiva per la conquista di tali zone; difensiva strategica negli altri settori. Per neutralizzare un tale piano è necessario poter: sviluppare una immediata controffesa contro il potenziale aereo ed atomico dell'aggressore; attivare una difesa efficace contro l'offesa atomica avversaria; difendere le aree vitali dei vari scacchieri attuando schieramenti iniziali molto profondi; proteggere il proprio traffico marittimo ed interdire quello avversario.
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Una guerra siffatta richiedeva di vincere sia la battaglia per il predomonio atomico ed aereo sia quella per conservare le aree vitali; per la duplice vittoria erano necessarie operazioni interforze nelle quali le tre forze annate erano complementari una delle altre e, in particolare, lo erano, nella battaglia aero-terrestre, l'esercito e l'aeronautica; l'apparato difensivo doveva constare di un complesso di mezzi di lancio atomici efficacemente protetto e sempre pronto alla controffesa, di un sistema di rilevamento e di allarme dell'eventuale attacco di sorpresa, di forze atomiche è convenzionali mantenute costantemente ad un alto livello di prontezza ed efficienza operative in modo da fare fronte immediatamente alle esigenze della prima fase e da sviluppare le operazioni della seconda fase meno intensa, ma di più lunga durata. Non era detto che la guerra con impiego indiscriminato di tutti i mezzi bellici disponibili fosse l'unica possibile. L'eccezionale potenza distruttrice delle armi atomiche ed il progredire dei missili con raggio di azione sempre maggiore avrebbero potuto indurre gli opposti blocchi a perseguire la pace ed adottare, in un eventuale conflitto, una strategia ad obiettivi limitati con la parziale o totale rinuncia all'impiego delle armi atomiche. I procedimenti tattici e gli strumenti ordinativi dovevano perciò essere bivalenti perché esisteva la possibilità di una guerra solo convenzionale, mentre la preparazione della guerra atomica avrebbe adempiuto egualmente una funzione politico-militare: dissuadere l'aggressore dall 'impiegare le armi atomiche e dall'accendere una guerra totale. Nel delineare tale quadro strategico, lo stato maggiore dell'esercito si espresse con logica e conseguenzialità ed ebbe chiara la visione della situazione del momento e della sua prevedibile evoluzione, in quanto inserì l'ipotesi di una guerra con obiettivi limitati che, proprio in quel periodo, veniva affacciata nel Nuclear Weapons and Foreign Policy dell'americano Henry Kissinger 19. Lo stato maggiore dell'esercito rispose a tutti i quesiti di carattere generale pregiudiziale posti dall'avvento dell'arma atomica e le risposte, seppure tratte da un processo ragionativo non confortato dall'esperienza, non furono né astratte né teoriche. Preso atto dell'esistenza dell'arma atomica tattica, ne ipotizzò il prevedibile impiego sul campo di battaglia, ne escluse il potere autonomo risolutivo della battaglia, riconobbe che la sua presenza non solo cambiava la logica della guerra, ma mutava altresì sia i lineamenti concettuali d'impiego sia i procedimenti che regolano lo svolgimento e l'applicazione dei concetti riguardanti le fort:e con-
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venzionali, delle quali non solo confermò la necessità, ma ne individuò le nuove caratteristiche di bivalenza, di prontezza operativa e di capacità di cooperazione interforze che avrebbero dovuto possedere in misura maggiore che nel passato. Vennero scartati gli orientamenti innovatori estremisti del ricorso esclusivo alla difesa mobile e la grande controversia circa quale de lle due forme di operazioni l'arma nucleare favorisce maggiormente venne conclusa dalla constatazione rilevata durante il ciclo della esercitazione Monte Biancn - portato a tennine nell'estate del 1956 s ul terreno e verso la fi ne dell'anno in sede di valutazione dei risultati - che l' attacco di poch e armi atomiche avrebbe aperto, in un settore di vis io nale in pianura ed in collina del sistema area difesa, una breccia ta le attraverso la quale le unità corazzate e meccanizzate attaccanti avrebbero potuto batte re o travolgere la riserva divisiona le del difensore, penetrare rapidamente in profondità e trasformare il successo tattico conseguito mediante l'arma atomica in successo strategico. E poiché il problema militare italiano era di natura esclusivamente difens iva, lo s tato maggiore dell'esercito dette priorità allo st udio dell'azione difensiva, il quale, iniziato nel 1956, ebbe termine nei primi mesi del 1958, quando cioè vide la luce, in veste definitiva, non più di documento di studio, la c ircolare 600 con carattere di memoria esplicativa per favorirne ed acce!erarne l'assimilazione da parte dei quadri. Il carattere di memoria conferito a lla pubblicazione costit uì una novità quanto ma i opportuna e conveniente, date la complessità e la difficoltà della materia , di cui non bastava elaborare le n orme ed i procedime nti tattici che ne derivavano, ma occorreva spiegare il pe rché ed il come s i era giun ti alla loro formulazione, in modo da renderne meglio intellegibi le e più convincente il contenuto. È, infatti, molto più facile impiegare e essere padroni di un ità e mezzi esperimentat i che non di elementi ignoti, trasformare o adattare procedimenti conosciuti che non crearli, lavora re sull'esperienza che n on sull'immaginazione. La circolare 600 e quelle della stessa serie che le fecero seguito costituirono, proprio pe r questo motivo, un importa nte, originale e pregiato corpus dottrina le, che resta com e tes timonianza di un apporto di pensiero con siderevole offerto dall'esercito italiano agli altri eserciti della N .A.T.O. e di una fase evolutiva determinante del pens iero militare italiano che s i mantenne lucido ed equilibrato in un periodo di estremis mi, d'incertezze e di confusioni.
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7. Prima di passare ad esaminare il contenuto delle pubblicazioni della serie 600 riguardanti la tattica bivalente del dopo avvento dell 'arma atomica tattica, non è fuori luogo dare uno sguardo alla già citata circolare 400/Reg. ed alle Direttive per l'addestramento dei quadri e delle truppe nel 1955 20, che furono i primi documenti con i quali il generale Liuzzi dette il via alla sua attività di maestro dell'impiego e della tecnica d 'impiego. Senza intendere infirmare il valore della regolamentazione tattica in vigore, la quale conservò integra la sua validità, egli volle mettere subito a punto alcune questioni che, per natura ed importanza, gli sembrarono richiedere, dopo l'esperienza di comando del V corpo d'armata, un'immediata chiarificazione. In materia d'impiego intervenne sull'attacco delle unità di fanteria, sui procedimenti delle unità corazzate e dei reparti carristi, sulla manovra ritardatrice, sui compiti de l battaglione mobile carabinieri, sullo schieramento dei pezzi da 40 contraerei s ulle basi di fuoco. Nei riguardi della tecnica d 'impiego espresse il suo indirizzo nelle direttive addestrative per l'anno 1955 che volle sfrondare di ogni aspetto dottrinale non indispensabile a lumeggiare l'organizzazione e la tecnica dell'addestramento. L'attacco delle unità di fanteria - era scritto nella circolare 400/Reg. - va inteso come manovra in profondità perseguita anche con l'urto, che si estrinseca nell'assalto, il quale può però mancare e quando c'è non è l'atto conclusivo dell'a ttacco. L'assalto è una manifestazione episodica, che può ripetersi più volte nel corso dell'attacco, il quale ultimo è in sostanza una successione di infiltrazioni, di scavalcamenti, di penetrazioni ed anche di assalti fino al raggiungimento dell'obiettivo. L'assalto è atto tattico del plotone e della squadra diretto a penetrare nel dispositivo n emico allargando ed approfondendo le brecce iniziali. L'assalto si volge perciò a resistenze sporadiche, contro le quali i plotoni fanno massa con tutti i loro assaltatori annientando i centri di fuoco più avanzati e penetrando successivamente per le linee di minima resist~nza. Gli assalti si ripetono in profondità, possono essere di plotone, di squadra, di gruppo di assaltatori, per rimuovere le resistenze sporadiche. Essi, variando in rapporto alla situazione ed al terreno, non soggiacciono a scherni rigidi e stereotipati. Il fuoco di assa lto non è un indiscriminato lancio di bombe a mano eseguito da lanciatori perfettamente allineati, preoccupati del sincronismo dell'azione. Il lancio delle bombe a mano segna l'inizio dell'assalto, ma le bombe a mano
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devono essere lanciate contro i difensori o sulle posizioni o sugli appostamenti che li proteggono. Al lancio delle bombe fa seguito il rapido movimento verso gli obiettivi degli assaltatori, opportunamente intervallati tra loro e protetti sui fianchi dall'azione del fucile mitragliatore, non già un'avanzata concetrata di uomini che muovono al passo e che annaffiano il terreno sgombero con inutili raffiche di moschetto automatico. Questo ultimo deve essere tenuto sempre pronto all'impiego, specialmente durante l'infiltrazione, ma va utilizzato solo quando si tratti di colpire chi reagisce o sta per reagire, anche per motivi di previdenza perché le munizioni non debbono essere consumate tutte al primo assalto, ma vanno risparmiate per non restarne senza quando i rifornimenti diventano più difficili ad attuarsi. La sosta prima dell'attacco deve essere ridotta al minimo del tempo strettamente necessario all'eventuale riordino, non già prolungata fino allo spostam ento in avanti delle armi di accompagnamento. Queste, invece, devono regolare i loro sp ostamenti in avanti sull'avanzata <lt::i plutoni fucilieri. Un altro aspetto dell' attacco della fanteria da riconsiderare è il consolidamento. Lo sviluppo della dottrina in vigore secondo il s istema ascendente ha reso necessario considerare, già ai livelli più bassi, alcuni atti tattici propri d ei livelli superiori ed è nata così la concezione che il consolidamento sia normale e perentorio al livello di squadra e di plotone quasi concluda l 'assalto di tali reparti. Se così fosse l'attacco si esaurirebbe senza che la difesa nemica sia stata efficacemente intaccata in profondità. Il consolidamento è, invece, ne cessario e normale pe r il battaglione, spesso conveniente ed opportuno per la compagnia, del tutto eccezionale per il plotone, non interessa la squadra. Plotone e squ adra , raggiunto il primo obiettivo, riprendono di norma il movimento, cercando la via di più facile infiltrazione, ed assaltano i successivi nuclei avversari quando sia indispensabile procedere. Nulla esclude che dopo l'assalto sostino brevemente, se n ecessario, per riordinarsi. La regolamentazione d'impiego della divisione corazzata (circ. 1800) e dei reparti carristi agenti in cooperazione con la fanteria (circ. 2700) era stata elaborata con carattere orientativo ed allorché erano in dotazione materiali superati. Necessita di riesame, ma è necessario modificarne subito la parte che ha favorito il sorgere di tendenze eterodosse. Una è quella delle sottili distinzioni e de lla polarizzazione dell'attenzione sui casi particolari ed eccezionali d'impiego della divisione corazzata. Compiti normali di questa sono l'occupazione preventiva di zone particolarmente importanti, l'at-
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tacco in terreno libero o contro nemico debolmente organizzato od in via di consolidamento, l'inseguimento in fase di sfruttamento del successo, il combattimento contro unità s imilari, la protezione del ripiegamento di grandi unità complesse nel quadro di una manovra in ritirata. La difesa ad oltranza per un limitato periodo di un determinato settore è compito eccezionale, mentre l'attacco contro posizioni organizzate è senz'altro da escludere. Nel combattimento contro unità similari, occorre tendere a rompere l' unitarietà del dispositivo nemico ed a realizzare al tempo stesso le condizioni per concentrare tutto il fuoco disponibile contro s ingole aliquote carriste avversarie, mediante l'impiego delle unità bersaglieri e controcarri in funzione di perni di manovra e la manovra dei reparti carristi. La manovra nel suo in s ieme tende a sviluppare il fuoco alle massime distanze utili, concentrandolo sul nemico a llo rché questi sia nelle condizioni peggiori per reagire; essa è tanto più redditizia quanto più indovinala la combinazione fra direzioni (per cadere possibilmente sul fianco nemico) e form azioni (per agire con tutto il fuoco disponibile nella prevista direzione). Le condizioni del terreno e della visibilità, la tempestività delle notizie, la capacità di immaginazione e di reazione dei comandanti dettano le forme del combattimento, non regolabili secondo schemi e procedimenti rigidamente uniformi. Occorre abolire le manovre caratteristiche, possibili e redditizie sui terreni desertici o di s teppa, indicate nel paragrafo 145 della circ. 1800. Circa la formazione e l'azione dei reparti carristi l'attenzione va concèn trata sulla formazione tattica della compagnia carri, l'azione del plotone carri, l'azione di accompagna me nto. È necessario attenuare il ca ratte re tassativo d ella norma che prescrive pe r la compagnia ca rri in attacco sempre lo schie ramento per linea. Quando la compagnia ope ra isolata, è non solo logica ed opportuna, ma necessaria la costituzione di un rincalzo ed indipendentemente da ciò la compagnia può trova rsi a d agire in un settore ristre tto ne l quale non sia o pportuno addensare in poco spazio i mezzi che trovano la loro protezione non solo ne lla mobilità, ma anche nella rarefazione. Per il plotone carri è gius to proscrivere in sede dottrinale l'a lternanza de l fuoco e del movimento per coppia di carri, ma tale a lterna nza diventa necessaria nel caso del plotone isolato ed è consigliabile quando ques to, se pure inquadrato, sia costretto a muovere per lungo tempo sotto il tiro nemico su zone piatte e scoperte. La distribuzio ne del canno ne monocalibro ha eliminato ne ll'ambito della compagnia i carri di accompagnamento da 105/22. Ciò non può far escludere ch e un'aliquota di carri M47 21 sia even-
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tualmente destinata all'azione di accompagnamento, come nel caso in cui la compagnia non possa schierarsi per linea. L'alternanza di fuoco e di movimento fra i plotoni carri della stessa compagnia, pur ammesso che ogni plotone faccia fuoco sugli obiettivi che lo interessano direttamente, tarda la realizzazione dell'appoggio reciproco fra i plotoni: il comandante di compagnia deve intervenire non solo per coordinare fuoco e movimento, ma anche per indirizzare il fuoco dei plotoni. Solo mediante l'appoggio reciproco si creano le condizioni necessarie a consentire il movimento senza troppe perdite. La regolamentazione in vigore (circ. 2700 da pag. 19 a pag. 35) abbonda in casistica in fatto di attacco in cooperazione fra unità di fanteria e unità carri armati. Le troppe distinzioni e specificazioni male si conciliano con le esigenze di semplicità e di flessibilità di applicazione dei regolamenti tattici. Taluni procedimenti, inoltre, sono legati a condizioni che solo raramente è possibile ottenere. Nel quadro dell'attacco in cooperazione, i carri: o sono inglobati in una colonna di attacco o sono inclusi nella riserva. Nel primo caso, l'attacco è, di norma, iniziato dai battaglioni di primo scaglione, mentre i carri, gravitanti in genere su di un'ala dello schieramento per ragioni balistiche, accompagnano con il loro fuoco la fanteria, avanzante, se necessario, a sbalzi; solo quando siano stati aperti i varchi d'ampiezza ed in numero sufficienti nei campi minati, i carri possono raggiungere e superare la fanteria per puntare, in coincidenza con essa, sugli obiettivi, ovvero, in assenza di campi minati, girare al largo della posizione attaccata e proseguire l'attacco in profondità su altri obiettivi presumibilmente meno protetti da difese controcarri. Nel secondo caso - completamento del successo o contrattacco condotto con la riserva - i carri agiscono in un'unica colonna con la fanteria, ovvero, costituiscono colonna a sé, ma sempre con aliquote di fanteria, ed operano in parallelo con altra colonna di fanteria. La manovra ritardatrice condotta con il procedimento degli scaglioni alternantisi su posizioni intermedie è propria di un'intera grande unità. Il procedimento dell 'alternanza non può essere trasferito ai complessi pluriarma di rango inferiore che eventualmente, conducano un'azione ritardatrice a protezione del ripiegamento di una grande unità o per garantire ad una grande unità retrostante il tempo necessario per portare a termine l'organizzazione di una qualsiasi operazione. La disponibilità di forze, quasi sempre scarsa in rapporto all'ampiezza del settore, raramente consente al raggruppamento tattico di suddividere le sue forze in due scaglioni, mai lo consente al gruppo tattico. La manovra ritardatrice, in tali casi, deve
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essere iniziata e condotta con tutte le forze schierate in corrispondenza di ciascuna posizione. La difesa di ciascuna posizione deve essere, infatti, organizzata in modo da sottoporre il nemico al maggiore volume di fuoco alle maggiori distanze e da evitare l'agganciamento guadagnando tempo e spazio verso l'avanti (pattuglie esploranti celeri, possibilmente corazzate o blindate, spinte molto avanti; elementi di sicurezza ritardatori fra le pattuglie e le posizioni su cui è schierato a difesa il grosso). Gli elementi fondamentali della resistenza in posto sono le unità di fanteria e le artiglierie di tutte le specialità (particolarmente quelle controcarri, specialmente semoventi). I pionieri del genio trovano impiego nell'esecuzione di interruzioni speditive potenziate con mine sparse. Il ripiegamento da una posizione a quella successiva è una manovra che può iniziarsi in qualche caso anche prima che il nemico sia giunto a contatto balistico con il grosso schierato (caso eccezionale) ovvero dopo che il grosso abbia costretto l'avversario ad arrestarsi ed essa si effettua a scaglioni; ma non a scaglioni rigidamente misti e cioè tutti comprendenti elementi di tutte le armi. I pionieri del genio vengono ritirati prima che il ripiegamento s'inizi per essere impiegati sulla posizione retrostante e nella zona intermedia fra le due posizioni; l'aliquota 9-i fanteria e di artiglieria che deve imbastire la difesa sulla posizione retrostante ripiega per prima; successivamente ripiega l'aliquota di artiglieria rimasta eventualmente sulla posizione; le unità corazzate e blindate ripiegano per ultime. L'artiglieria di un raggruppamento tattico o di un gruppo tattico in manovra ritardatrice dovrebbe essere di entità tale da consentire l'articolazione in scaglioni di batteria; quando l'artiglieria non supera una sola batteria, questa, secondo la situazione può essere ritirata all'inizio o verso la fine se si è verificato il contatto balistico con il nemico e, in ogni caso, se si tratta di artiglieria semovente. Le unità corazzate e blindate: possono essere lanciate in puntate offensive sul davanti dopo l'inizio dello sganciamento del grosso per guadagnare tempo quando il nemico tenda a serrare sotto; quando, a contatto con il nemico, effettuano il ripiegamento a scaglioni alternantisi nell'azione di fuoco e di movimento; qualora il contatto non si sia ancora verificato, può risultare conveniente che esse attendano l'avversario sulla posizione o nella zona intermedia fra due posizioni successive per svolgere azione di ritardo; lasciano in ogni caso una loro aliquota - almeno è opportuno che lo facciano - il più a lungo possibile avanti la posizione per l'azione esplorativa. I carri rispondono meglio delle autoblindo a tali compiti, ma in mancanza di carri e di autoblindo il compito va affi-
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dato a nuclei motorizzati idonei alla costituzione di posti di sbarramento mobili, anche se tali nuclei possono compiere il compito parzialmente e meno bene. La profondità e l'ampiezza della zona in cui il raggruppamento, o gruppo tattico, è destinato ad agire devono essere proporzionate all'entità di questo o viceversa; tanto più esigua è tale entità, tanto minore il numero e la distanza fra le posizioni successive; il limite a cui si deve tendere nella distanza è quello corrispondente alla gittata dell'artiglieria disponibile in modo che dalla posizione successiva la prima aliquota di artiglieria che vi giunge possa proteggere buona parte del ripiegamento degli ultimi elementi della posizione antistante. Troppi i compiti· assegnati dalla regola mentazione al gruppo mobile carabinieri. Le esercitazioni hanno messo in evidenza che molti di essi superano le possibilità della costituzione organica e dell'armamento del battaglione. Quelli normali possono essere: la controguerriglia, l' azione antiparacadutisti, il rastrellamento, lo sblocco di itinerari, la sicurezza delle retrovie o dei fian chi di uno schieramento. L'occupazione preventiva di località, l'intervento nel combattimento quale elemento di manovra, la costituzione di uno scaglione di s icurezza sono compiti assolutamente eccezionali. Suno, in particolare, da escludere i compiti di occupazione preventiva di località e di costituzione di uno scaglione di sicurezza qualora non si abbia la ce rtezza di poter rilevare il b attaglione a breve scadenza sostituendolo con altra unità più idonea. L'inserimento dei pezzi contraerei da 40 e delle mitragliatrici da 12,7 nelle basi di fuoco, ad integrazione delle mitragliatrici, de i morta i, dei pezzi senza rinculo, per colmare il vuoto che ta lvolta può prodursi tra il fuoco di appoggio dell'artiglieria ed il fuoco di accompagnamento delle armi della fanteria, m entre è possibile ed opportuno per le mitragliatrici di 12,7, non lo è per i pezzi d a 40. Questi, indipendentemente dalle limitazioni insite nelle loro caratteristiche (notevole dimensione d'ingombro e con seguente vulnerabilità) risultano già insufficienti ad adempiere il loro compito normale di difesa contro aerei a bassa quota e devono perciò essere lasciati a tale compito. Il loro schieramento in profondità consente, invece, di raffittire e di meglio scaglionare la difesa controcarri nel cui quadro possono trovare eventuale impiego. Nelle basi di fuoco possono, se mai, essere impiegati (sempre oculatamente) pezzi controcarri da 57/50, che sono più risp ondenti alla particola re esigenza di colmare il vuoto tra il fuoco di appoggio e quello di accompagnamento devoluto alle altre a rmi della fanteria.
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Ta li messe a punto furono ritenute dal generale Liuzzi necessar ie ed urgenti per evitare il perdurare di distors ioni, che si e rano andate via via creando, nell'applicazione della regolamentazione in vigore e per eliminare da questa le parti meno rispondenti alla chiarezza ed alla semplic ità della impostazione concettuale del combattimento. Diversamente dai suoi predecessori, egli non volle inserire tali precisazioni nelle direttive annuali per l'addestramento (serie di pubblicazioni 44 ... ) per evitare ogni promiscuità, anche formale, tra le norme d'impiego e quelle di carattere prevalentemente tecnico riguardanti l'a ddestramento. Nella pubblicazione 4455 egli espresse esplicitamente tale crite rio di distinzione, intendendo conferire a lle direttive a nnuali per l'addes tramento iJ carattere di solo progra mma di attività pratica da svolgere nell'anno, secondo un indirizzo centralizzato, pe r il raggiungimento di un fine specificamente de terminato. La consegna c he affidò a ll 'esercito per il 1955 fu l'elevazione della personalità e d ella capacità d ei comandanti di ogni grado e la ricerca di un e levato grado di e fficien za operativa delle unità: assegnando a ciascun nucleo della gerarchia, nessun escluso, e ne i giusti limiti , la responsabilità del comando e de lla condotta dell'azione ; realizzando utili esercitazioni, comple te in ogni parte, organizzate ed eseguite soprattutto al fine di diffondere nei qua dri e nei gregari la conoscenza de i procedimenti d 'impiego e la padro nanza dei m ezzi di combattimento, per sfrutta re appieno le prestazioni di questi e fondere uomini e mezzi in effic ienti strumenti di lotta 22. Raccomandò di ba ndire lo s tudio astratto della dottrina fine a sé stesso, di evitare il susseguirsi di molte esercitazioni p er l'esame del massimo numero dei casi d'impiego, di . non accontentarsi de lla conoscenza empiricamente approssimata dei mezzi, ma di sviluppare di più la tecnica d'impiego che non l'impiego. Una necessità maggiormente sentita in seguito all'introduzione delle nuove a rmi e dei nuovi mezzi e in un pe riodo di ristrutturazione che faceva segu ito a quello della ricostruzione durato o tto anni. Questo ultimo aveva richiesto un febbrile ed intenso lavoro organizzativo ed esecutivo e molto era stato fatto dal 1945 in poi . Il generale Liuzzi ne dette atto nella sua direttiva addestrativa riconoscendo esplicitamente i meriti dell'opera compiuta in ben conosciute ristrettezze di varia natura. La crisi di ra pida crescenza ed il cele re ritmo della ricostruzione avevano raggiunto il c ulmine in rapporto ai mezzi a disposizione ed egli ritenne giunto il momento di ripensare a quanto era stato organizzato avvicinandosi ora il trapasso da lla tattica convenzionale a quella del futuro legata a ll'impiego de ll'arma a tomica tattica. A
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tale proposito egli sottolineò che tale tra passo non avrebbe infirmato la sostanza d ella regolame ntazione in vigore, tanto meno di quella della tecnica d'impiego ch e, nel suo complesso , avrebbe conserva to pie na validità: nel quadro della gue rra atomica, infatti, non mutano
né i principi gene rali della guerra, né sostanzialmente i procedimenti previsti per i minori reparti. L 'evolu zione investe essenzialmente le unità superiori i cui c rite ri d'impiego, appunto, sa ranno gradualmente rivisti alla luce della nuova esigenza 23. Vi e ra, in tale anticipazione, la rispos ta ad uno degli interrogativi principali posti dall'avvento dell'arma atomica tattica, appunto quello riguardante la validità, anche ne l nuovo ambiente operativo, dei principi tradizionali della grande tattica e, soprattutto, delJa piccola tattica, nella quale la conoscenza approfondita d ei procedimenti e dei mezzi si rendeva irrinunciabile per la prevedibile adozione di schieramenti sempre p iù diradati, mutevoli ed elastici. Da qui la preminenza della tecnica d'impiego, senza la qua le a nulla varrebbero la capacità e l'inte Uigenza dei comandanti qualora non disponessero di forze o rganizzate ed a ddestrate con me todo e perciò <li pronta entra ta in azione, di coordinato funzionamento, di sicuro rendime nto. Soltanto una profonda e maturata preparazione professionale, associata, ben s'inlende, a salde qualità morali, con sen te a i comanùanti prontezza di valutazioni e di decisioni e spirito d 'iniziativa. Ma Lutto ciò non sare bbe bastato a fronteggiare il nuovo a mbiente operativo, sosteneva il gene rale Liuzzi , qua lora fosse mancata un'efficace e capillare con oscenza dei procedimenti e dei m ezzi acquisibile soltan to spinge ndo alla esaspe razione la tecnica d'impiego a tu tti i livelli. V'era, dunque, nella direttiva, accanto a ll 'apprezzamento del molto che era stato fatto, un incitamento a non dnhitare rlcll c p roprie forze e capacità per adeguare la preparazione a l combattimento in ambiente atom ico, dove l'uomo, il singolo combattente, non più la m assa, avrebbe acquisito un'impo rtanza ma i raggiunta in passalo. Derivava da ciò la necessità di dare al singolo comba ttente un'individuali tà spiccata, conseguibile mediante un'accurata prepa razione morale, psicologica, tecnica ch e lo mettesse in grado di resis tere alla pressione delle armi e della guerra psicologica nemica , sviluppata questa ulti ma anche in forme te rroristiche. Vedremo ora com e la nuova dottrina - composizione in una visione unitaria delle esperienze de l passato e delle ragionate previsioni del futuro - nell 'indirizzare l'esercito a risolvere i proble mi ope rativi, ai vari livelli ordina tivi, s ia nella prevedibile scarsità s ia in quella di completezza dei m ezzi, s i man tenesse aderen te a tali criteri d'impostazione concettu ale.
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NOTE AL CAPITOLO LIV 1
Rivista Militare, 1947, I, pg. 7, Qualche ipotesi sopra un con flitto tra occidente e oriente» del gen. Giacomo Zanussi; V, pg. 503 Concezione difensiva moderna del col. Domenico Fornara; 1950, V, pg. 453, Difensiva, di Viator; XII, pg. 1313, La difesa del territorio nazionale del generale Arturo Kcllner; 1951, I, pg. 29, Caratteristiche e possibilità attuali dell'azione difensiva <lei ten. col. Lazzaro Dessy: VIII-IX, pg. 951 , Gli aspetti della guerra moderna e il problema organizzativo della difesa nazionale del col. Fausto Monaco; ccc. ecc.. 2 La difesa nella dottrina e nella realtà, 1950, del col. Domingo Fornara. Archivio dell 'Ufficio storico dello S.M.E .. 3 Hans Spiede/ (1897), generale tedesco. Arruolato nel 1914, prestò servizio nel reggimento granatieri di Ulm durante la la guerra mondiale. Si laureò nel 1925. Nel 1933 fu aiutante dell 'addetto militare a Parigi; nel 1936 comandò un battaglione; nel 1937 fu addetto allo S.M. della 37a divisione di fanteria. Durante la 2 8 guerra mondiale fu assegnalo al comando del IX corpo d'armata in Polonia e, pui, alle Heeresgruppe «B» e, successivamente, fu capo di S.M. del comando militare di Parigi ed, in seguito, del comando militare della Francia. Fu promosso colonnello nel 1941 e fu, successivamente, capo di S.M . del V corpo d'armata s ulla fronte orientale. Fu nuovamente capo di S.M . dell'armata Lanz e del gruppo di armate «B » del maresciallo Rommel ne l cui ambito svolse attività clandestina di opposizione interna ad Hitler, per cui venne arrestato nel settembre <lei 1944. Dopo la guerra fu consigliere militare di Adenaner. Promosso generale di divisione e, successivamente, di corpo d'armata, dall'apri le 1957 al settembre 1963 fu comandante delle forze terrestri del Centro Europa della NATO. 4 Vds. precedente Cap. XLIX , nota 39. 5 Vds. precendente Cap. LIII, nota 28. 6 Vds. precedente Cap. L, nota 14. 7 Vds. precedente Cap. LI, nota 26. 8 Bruno Lucini (1897-1982), generale di corpo d'armala. Sottotenente dell'arma di artiglie ria nel gennaio 1916, partecipò alla ia guerra mondiale, combattendo con il 2° reggimento artiglieria pesante campale. Frequentò la scuola di guerra presso la quale fu anche insegnante di logistica. Durante la 2• guerra mondiale comandò il 27° reggimento artiglieria in Egeo e fu, poi, capo di stato maggiore dell'l 1° corpo d'Armala. Fatto prigioniero dai tedeschi nel settembre 1943 ed internato in un campo di concentramento, a l suo rientro svolse, tra l'altro, i seguent i incarichi: capo ufficio della presidenza della sottocommissione esercito C.I.A.F., insegnante di logistica presso l'istituto superiore di guerra, capo di stato maggiore del Comiliter di Napoli, comandante dell'artiglieria del Comililer di Napoli, direttore dell'istituto stati maggiori combinati. Dopo aver comandato la divisione fanteria Granatieri di Sardegna, fu segretario generale dell'esercito, comandante del 3° corpo d 'armata, comandante designato della 3" armata con le funzioni, anche, di comandante della Regione militare nord-est. TI 1° aprile 1959 fu nominato capo di stato maggiore dell'esercito, carica che tenne fino a l dicembre 1960. 9 Il quotidiano romano «Il tempo » del 3 agost o 1984.
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IO Alfred M. Gruenther (1899-1983), generale statunitense. Nel 1919 frequentò l'accademia militare e nel 1939 la scuola di guerra. Frequentò, altresl, varie università e conseguì diverse lauree.' Durante la 2• guerra mondiale fu capo di s tato maggiore de lla 3a armata, successivamente Deputy presso il quartier generale delle forze armale alleale, capo di stato maggiore della sa armata e del 15° gruppo di armate. Successivamente, ricoprì vari incarichi di stato maggiore in patria ed all'estero e dal 1951 al 1953 fu capo di S.M . di SHAPE. Da l 1953 al 1956 tenne la carica di comandante supremo delle forze alleate in Europa. 11 Rivista Militare, 1950, IV, pg. 360 Panorama della gue rra moderna del gen. Giorgio Liuzzi; 1952, IV, pg. 514, Probabile evoluzione sostanziale della guerra futura del ten. col. Lazzaro Dessy; 1954, X , pg. 925 Strategia occidentale del gen. Pietro Ago; XI, pg. 1077 Gue rra atomica e unità di comballimento del ten. col. Luigi Fo rlenza; XII, pg. 1185, Il parametro tattico dominante: il fuoco del gen. Paolo Supino; XII , pg. 1211, Perdite e complementi alla ombra atomica del m agg. Augusto Arias; 1955, III, pg. 259, L 'arma atomica tattica e il rapporto di fo rza fra difesa e offesa del col. Antonio Saltini; VI. pg. 625, Esplosivo nucleare e impiego di forze armate terrestri de l gen. Paolo Supino; VII-VIII, pg. 745, Elaborazione di una norma tattica atomica di Mentore; VII-VIII, pg. 818 Guerra atomica e guerra convenzionale del len. 1:01. Pietro Pallotta; IX, pg. 933, Varia zioni sul tema: Metodo di elaborazione di una norma atomica di Triarius; X, pg. 1180, Per una norma tattica atomica di Mentore; Xl, pg. 1341 , Per una norma tattica atomica di Triarius; 1956, II, pg. 149, Evoluzione dell'arte bellica: il passato recente e il prossimo avvenire di Mentore; III, pg. 313, / principi dell'arle della guerra e l'avvenlu dell'anna atomica del <.:ol. Antonio Saltini; VI, pg. 858, Incidenza dell'arma atomica sulla guerra di montagna del col. Antonio Saltini; VII-VIII, pg. 1016, La concezione strategica moderna d el gen. Paolo Supino; X, pg. 1400, Difesa discontinua del col. Antonio Saltini; XII, pg. 171 8, Incidenza atomica in campo ta ttico del cap. Adriano Salvatori; 1957, Xl, pg. 1569, Della battaglia difensiva in terreni pianeggianti o collinosi con impiego di armi atomiche del col. Antonio Saltini; 1958, II, pg. 204, Ancora sulla incidenza atomica in campo tattico del magg. Adriano Sal vatori; Il, pg. 274, Possibilità di sintesi delle m oderne teorie belliche di avanguardia del cap. Patrizio Flavio Quinzio; V, pg. 738; L'iniziativa e la guerra atomica del gen. Attilio Quercia; VI, pg. 916, Gue rra totale ma strategia dei «colli d'oca» del gen. Antonio Saltini; IX, pg. 1263, La strategia in m ontagna nel passato e nel futuro dei ten. col. Andrea Cucino; XI, pg. 1569, Spunti ope rativi, dottrinali e orientativi del gen. Pietro Mellano; IV, pg. 505, Principi vecchi e dot1rine nuove d el cap. Umberto Cappuzzo; V, pg. 625, Tecnica e fallica dell 'impiego di anni atomiche del ten. col. Salvatore Vinci; IX, pg. 1131. Incidenza dell'arma atomica e dei m issili sui poteri te rrestre, marittimo, ae reo del gen. Antonio Saltini; XII, pg. 1599, Evoluzione degli ordinamenti e dei procedimenti delle forze te rrestri in conseguenza dell 'impiego delle nuove armi del gen. Giorgio Liuzzi. 12 Rivista Militare, l 954, VII-VIII, pg. 732, Un problema che si impone: concepire una nuova dottrina del magg. Andrea Cucino. 13 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Cenni sulla difesa atomica campale, anno 1955. La pubblicazione, approvata dal genera le Giorgio Liuzzi, capo di stato maggiore dell'esercito, in sostituzione della precedente edizione del 15 novembre 1953, comprende 93 pagine e 75 articoli e si articola in: premessa; generalità; parte / : Caratteris tiche generali delle armi atomiche (basi fisiche delle armi atomiche· cenni-); le armi atomiche di più proba bile impiego; parte II: Effetti delle esplos ioni
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atomiche (effetti delle esplosioni nucleari: generalità, esplosione aerea di bombe da 20 KT, esplosione in superficie di bombe da 20 KT, esplosione sottoterra di bombe da 20 KT, cenni sulle relazioni tra potenza di un ordigno nucleare e raggio d'azione dei relativi effetti - grafici e regole di conversione -, previsione delle perdite e dei danni, effetti delle esplosioni termonucleari: generalità, caratteristiche dell'esplosione e suoi e ffetti); parte lll: Difesa atomica cam pale (criteri generali, difesa dagli effetti immedia ti, difesa dalla radioattività residua, sinte si delle principali misure da attuare in caso di attacco atomico); parte IV. Organi A.B.C. di G.U. , organi A.B.C. dei reparti; parte V: Addes trament o (general ità, addestramento d ei quadri, degli specializzati, dei Comandi, addestramento della truppa). La pubblicazione contiene 27 illustrnzioni (figure o ta belle). 14 Rivista Militare, 1955, Vll-Vlll, pg. 753, Difensiva, se nso di una possibile evoluzione, del magg. Luigi Salatiello. 15 Vds. Voi. II, Tomo 2°, Cap. XXXVI, nota 14 bis. 16 Vds. precedente nota n° 11, in par ticolare l'ar t icolo del col. Antonio Saltini: L 'a rma atomica tattica e il rapporto di forza fra difesa e o ffesa in Rivista Militare, 1955, rn. pg. 2s9_ 17 Ministero della difesa. Stato maggiore d ell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Note orientative su alcune ques1ioni d'impiego. 1955. La circolare - contrassegnata con il 11° 400/Reg. e datata I gennaio 1955, firmata dal generale Liuzzi - cons ta di 26 pagine e si a rticola in 6 sottotitoli. 18 Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e r egolamenti. 3a Sezione. Regolamenti. Memoria sull'azione difensiva in terreni di pianura e collinosi con impiego di armi atomiche. N° 600 della serie dottrinale. 20 aprile 1958. La p ubblicazione approva ta dal generale Liuzzi, nell 'edizione 1958, alla 4uale ci riferiamo ne l testo, co11sta di premessa; pa rte prima su 3 capitoli; parte seconda su 5 capitoli; 2 appe ndici; in tutto 217 pagine, 249 articoli. La parte prima - Le armi atomiche e la loro incidenza sulle operazioni con particolare riguardo all'azione difensiva - comprende: il capitolo I: Possibilità e criteri generali d'impiego delle arm i atomiche; il capitolo II: Prevedibili caratteri gene rali della guerra in relazione all'influenza delle armi atomiche in campo stra1egico; i l cap itolo III: Generalità sull'azione difensiva in ambiente atomico (fattori incrementali della potenza difensiva; ca ralle ristiche della di fesa: generalità, caratteristiche della posizione difensiva, reattività della d ifesa, manov ra dei p residi dei caposaldi, azione di contenimento, azione negli s pazi vuoti della posizione di resistenza, numero delle posizioni difensive e sfruttamento dello s pazio, sfruttamento dell'ostacolo, protezione, difesa su ampia fron te, esercizio dell'azione di comando; conclusioni. La parte second a - L'azione difensiva - comprende: il capitolo I - Concezione, organizzazione e condotta della difesa (concezione della difesa; organizzazione della difesa: scaglione di presa di contatto e di ritardo, area della battaglia , prima posizione difensiva, zona di sicurezza, posizione di resistenza, caposaldo, manovra de i presidi dei caposaldi, controllo e sfruttamento degli spazi vuoti, ostacolo, artig lie rie, riserva divisionale, riserve di corpo d'armata, riserve di armata, difesa sul tergo della posizione difensiva, dislocazione difesa e sostituzione dei comandi, organizzazione spcditiva d ella difesa, progetto e piano di difesa; condotla della difesa); il capitolo II La manovra in ritirata (generalità, logoramento e ritardo dei g rossi nemici; manovra di ripiegamento; azione ritardatrice; difesa a tempo determinato di una posizione, manovra ritardatrice, competenze); il capitolo III - Impiego delle varie armi (impiego dell'artiglieria: generalità, compiti e azioni di fuoco, ordinamento t attico, manovra del
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fuoco e schieramento, osservazione, difesa vicina, artiglierie controcarri, artiglierie contraerei, manovra in ritirata; impiego del genio: generalità, pionieri divisionali, pionieri di corpo d'armata, pionieri d 'armata, pionieri -d'arresto, altre specialità, esecuzione dei lavori, manovra in ritirata; impiego delle trasmissioni: generalità, trasmissioni di armata, trasmissioni di corpo d'armata, trasmissioni divisionali , manovra in ritirata; impiego delle forze aeree tattiche); il capitolo IV - Il servizio informazioni Operativo (S.1.0.): generalità, attività informativa relativa all'impiego di armi atomiche nemiche, attività informativa per l'impiego delle armi atomiche contro il nemico, impostazione del processo informativo, attività controinformaliva; il capitolo V - Casi particolari: difesa appoggiata ad un corso d 'acqua (generalità, difesa a caposaldi, posizione difensiva con posizione di resistenza in prossimità del corso d 'acqua, posizione difensiva con posizione di resistenza in lontananza dal corso d'acqua, impiego dei rincalzi e delle riserve, difesa con procedimenti d'arresto); difesa su fronte più ampia di quella normale. L'appendice «A» tratta: competenze dei vari livelli di comando nella organizzazione della difesa. L'appendice «B» tratta: competenze dei vari livelli di comando nella manovra in ritirata. 19 Henry Alfred Kissinger (1923), uomo politico statunitense. Consigliere per g li a ffari della sicurezza nazionale dal 1968 e Segretario di Staio dal 1973, fu il principale fautore della politica estera statunitense di quel periodo, incluse le conferen ze per gli .:nm:,imenti (1969) P. l':,ic.c.orclo cli P:,iriei su lb guP.rra de l Vietnam (1973). 20 Ministero ddla guena. Stato maggiore de ll'eserci to. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione addestramento. Direttive per l 'addestramento dei quadri e delle truppe nel 1955. Roma, Tipografia Regionale, 1955. La pubblicazione, a firm a dd generale Liuzzi, cons ta di 96 pagine, 40 articoli e comprende: premessa, capitolo I - Organizzazione dell'addestramento - (generalità, I ciclo, n ciclo, UT ciclo); capitolo Tl - t'addestramentn della truppa presso i corpi (generalità, organizzazione dell 'addestramento individuale, di specializzazione presso i corpi, ordinamento dei reparti per l'addestramento, programmi, gradualità delle istruzioni, attrezzature didattiche, funzioni dei comandanti e degli organi collegiali preposti all'addestramento); capitolo III - Questioni addes/ralive di particolare interesse per tutte le armi (addestramento fisico-sportivo, addestramento formal e e di ordine chiuso, addestramento alle armi portatili e a l tiro, addestramento ai lavori sul campo di battaglia, addestramento alla posa e rimozione delle mine, addestrarm:nlo nullurnu, adùestranumto al combaliimentu, <lifesa atumii.:a i.:ampale); capi tulu IV - Addestramento alle va rie armi e servizi (fanteria, truppe corazzate, artiglieria, genio, trasmissioni, varie: aviazione leggera dell'esercito, addestramento al servizio informazioni. battaglioni mobili carabinieri e reparti mobili e celeri di P.S., addestramento delle unità dei servizi); capitolo V - Cooperazione tra le varie armi: generalità, cooperazione fanteria-artiglieria, cooperazione fanteria-carri, cooperazione fanteria-genio, cooperazione aeroterrestre; capitolo VI - Addestramento dei quadri e dei comandi: generalità; capitolo VII - Esercitazioni con le truppe: generalità, esercitazioni fuori sede primaverili, esercitazione fuori sede primaverili di cooperazione fanteria-carri, esercitazioni estive, esercitazioni estive per truppe alpine, esercitazioni divisionali ed esercitazioni fuori sede autunnali, escursioni invernali, preventivo di spese e fabbisogno carburanti, relazioni; allegato T Specchio dimostrativo dei corsi addestrativi di previsto svolgimento durante l'esercizio finanziario 1955-'56; allegato 2 Specchio dimostrativo del... di previsto svolgimento nell'esercizio finanziario 1955-'56; allegato 3: idem; a llegato 4: Specchio riepiloga tivo delle spese preventivate nell'esercizio finanziario 1955-'56 sui capitoli...
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21 Carro armato M 47 Patton. Armamento: bocca da fuoco da 90/50; una mitragliatrice coassiale Browning 7,62; una mitragliatrice ca Browing 12,7; 68 colpi per il cannone di cui 27 HE, 34 perforanti ed altri nebbiogeni; colpi per mitragliatri· ce 7,62: 1500 e per mitragliatrice 12,7: 700. Celerità di tiro del cannone: 10-12 colpi per minuto primo. Distanza d'impiego cc: 15()().2000 metri. Scafo: peso t 44, lunghezza m 7,14. Velocità massima su strada: K/h. 48. Gradino: m . 0,91. Pendenza : 60%. Trincea: m 2,58. Autonomia su strada: km 110, su terreno vario: h. 6. 22 Vds. citata circolare n° 4455/R/I del I gennaio 1955 (precedente nota n° 20) pg. 6e7. 23 Ibidem, pg. 6.
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1. Genesi e sviluppo della nuova serie dottrinale. 2. Generalità dell'azione difensiva su terreni di pianura e collinosi con impiego di armi atomiche. 3. Concezione, organizzazione e condotta della difesa in pianura ed in terreni collinari. 4. Generalità sull'azione difensiva in montagna con impiego di armi atomiche. 5. Concezione, organizzazione e condotta della difesa in montagna. 6. La manovra in ritirata. 7. L'azione offensiva su terreni di pianura e collinosi. 8. L'azione offensiva su terreni di montagna. 9. Impiego tattico de lle armi atomiche. 10. Sintesi della nuova dottrina tattica.
1.
Tre le fasi attraverso le quali passò ciascuna delle pubblicazioni fondamentali della serie dottrinale 600: la prima, di studio, di gestazione e di elaborazione di una prima bozza sviluppata presso lo stato maggiore dell'esercito; la seconda di studio, di assimilazione e di esperimentazione della bozza presso la scuola di guerra e presso i comandi delle grandi unità, anche con svolgimento di esercitazioni con le truppe, generalmente a partiti contrapposti; la terza di valutazione dei dati sperimentali, di riesame della bozza e di elaborazione del testo definitivo da parte dello stato maggiore dell'esercito sulla base delle relazioni particolareggiate compilate a cura dei comandi esercitati nella seconda fase. Mai, né prima né dopo, l'elaborazione di una nuova dottrina e di un nuovo ordinamento impegnò così a lungo e così estesamente l'esercito italiano. La prima pubblicazione della serie riguardò naturalmente l'azione difensiva: Memoria sull'azione difensiva in terreni di pianura e collinosi con impiego di armi atomiche. n ° 6000 della serie dottrinale 1. Ad essa fece seguito la Memoria sulla battaglia difensiva in montagna con impiego di armi atomiche. n° 610 della serie dottrinale 2. Vide successivamente la luce la Memoria sull'azione offensiva in terreni di pianura e collinosi con impiego di armi atomiche.
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n° 620 della serie dottrinale 3, La memoria 600 venne sperimentata nel 1956 presso il I Comiliter nel ciclo di esercitazioni Monte Bianco diretto dal generale Giancarlo Re 4 comandante di quel territorio; la memoria 610 nel 1957 presso il IV corpo d'armata nel ciclo Latemar diretto dal generale Giuseppe Lorenzotti S comandante del IV corpo; la 620 nel ciclo di esercitazioni Freccia Azzurra svoltosi nel 1958 presso il III corpo d'armata e diretto dal comandante generale Bruno Lucini 6, Un'ultima esercitazione sperimentale - Orazio Coclite - riguardante un aspetto particolare dell'azione difensiva e cioè l'impiego del raggruppamento corazzato nell 'azione di contenimento, peculiarmente l'impiego di aliquote del battaglione carri armati possibilmente a scafo sotto per l' azione statica di fuoco, fu svolta nell'estate 1957 presso il V corpo d'armata e diretta dal comandante di tale grande unità, generale Galiano Scarpa 7, Indipendentemente dai cicli Monte Bianco, Latemar e Freccia Azzurra, che impegnarono rispettivamente per un anno intero il I C.M.T. ed i comandi del IV e del III corpo d'armata, gruppi di esercitazioni per quadri singoli, oltre che pre sso la scuola di guerra organizzati e diretti dagli insegnanti del corso superiore di stato maggiore, vennero effettu ati presso tutti i comandi territoriali e di grande unità e d impegnarono intensamente tutti i quadri degli enti territoriali e delle unità di impiego. Ciò consentì la sollecita diffusione e la conoscenza ragionata della nuova dottrina che, in un periodo tutto sommato breve, entrò a far parte del patrimonio culturale e professionale di tutti i quadri. Non si sarebbe potuto fare di più e di meglio per tentare di ridurre la distanza tra dottrina e r ealtà di guerra in una situazione in cui questa ultima non offriva ne ssun elemento di esperienza vissuta al quale riferirsi. I quadri vennero posti in condizioni di potersi aprire a lla nuova logica tattica ed ordinativa chiamandoli direttamente ad esaminare, discutere ed assimilare lo spirito delle novità, operazioni non certo sufficienti a costituire una guida pra tica, sicura e completa nel campo dell'azione, questa resa più difficile , incerta e inimmaginabile dalla nuova arma, ma operazioni valide pur sempre a rendere più completo e più vicino all'immaginabile lo scenario del campo di battaglia in ambiente atomico. La realtà, come del resto in tutte le esercitazioni, comprese quelle a fuoco, rimase lontana, più lontana di quella dell'ambiente convenzionale, ma il modo di rappresentarsela divenne via via meno astratto. Le esercitazioni con le truppe consentirono di vagliare la validità e l'efficacia di gran parte del lavoro speculativo della prima fase e di introdurre
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innovazioni, modifiche ed e liminazioni là dove risultarono necessarie o solo opportune e covenienti a rimuovere dubbi , di storsioni e norme di difficile applicazione. Ciò fu possibile perché lo stato maggiore dell'esercito aveva dato avvio al lavoro fin da ll'inizio senza pregiudizi e volontà d 'imporre proprie soluzioni - com 'era invece accaduto nel 1938 in sede di espe rimentazione della divisione binaria - ma con l'intendimento di ricercare attraverso la collaborazione di tutti il meglio, indipendentemente che questo fosse a l di fuori o contro ciò che si era pensato in un primo momento. La caratte ristica d i tutte le esercitazioni fu la libertà di giudizio e di iniziativa lasciata ai quadri ed ai comandanti delle unità esercitate che, pur muovendosi in uno scenario predisposto, furono messi in condizioni di pensare e di agire autonomamente in maniera conforme o difforme rispetto a lle norme indicate nelle bozze. Fu così possibile raccogliere una copiosa messe di indicazioni, di segno vario, che vennero poi tradotte nei testi finali in perfezionamenti, chi arimenti, aggiunte e varianti. Non sarebbe senza interesse, se lo s pazio lo con sentisse, di seguire passo passo l'evoluzione della dottrina 600 attraverso lo sviluppo dei molti studi e dei vari cicli addestrativi, ma la narrazione, ancorché limitata a l semplice raffronto tra i documenti iniziali e quell i conclusivi, sarebbe piuttosto lunga, per cui ci limitiamo a riassumere, come abbiamo fatto finora, il contenuto dei testi definitivi che vennero utilizza ti per l'orientamen to dei qua dri e per l'impostazione dell'attività addest rativa di terzo ciclo delle unità. In sostanza si può dire che le bozze superarono pos itivamente l 'esame critico ed il vaglio sperimenta le, confermando la validità di tutti i punti ferm i concettuali dai quali la nuova dott rina aveva preso l 'avvio: la bivalenza della dottrina e delle formazioni; il nuovo ruolo delle forze convenziona li destina te, in ambiente atomico, a vivere, muovere e combattere su grandi spazi, valorizzando al massimo la manovra disponendo esse di notevole potenza di fuoco e di al trettanta spiccata mobilità per c ui occorreva che fossero dotate di armi e m ezzi efficaci e moderni, a cominciare da quelli meccanic i ed elettronici. Vedremo più avanti come le soluzioni italiane non furono conformi a quelle di a ltri eserciti, anzi in contrasto con queste ultime, tanto da provocare scalpore ed a nche critiche non sempre fondate ed obiettive, ch e poi con successiva meditazionie dovettero essere ritirate. Va notato che m a i in passato il pensiero milita re ita liano - spesso a rimorchio di quello de i paesi d'oltrealpe - aveva conseguito una così propria s piccata originalità e rag-
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giunto posizioni di avanguardia così avanzate da costituire per altri eserciti, in un secondo tempo, punto di orientamento e di riferimento per correzioni di una rotta troppo disinvoltamente imboccata. L'esercito italiano, per la prima volta, conseguì un primato di tempo e di contenuto: di tempo, perché fu il primo, fra quelli del mondo occidentale, a crearsi una moderna regolamentazione tattico-ordinativo-logistica organica e valida, quasi completa; di contenuto, perché interpretò in misura equilibrata ed armonica le grandi trasformazioni conseguenti all'avvento dell'arma atomica tattica, senza le esagerazioni e gli estremismi in cui caddero altri, costretti successivamente a fare marcia indietro o, quanto meno, ad attenuare gli eccessi. Gli Stati Uniti e la Francia, che erano stati i primi ad accingersi alle grandi trasformazioni ordinative - gli Stati Uniti creando la divisione di fanteria pentomica e la Francia la divisione di fanteria ultraleggera del 1953-'54 8 - essendosi limitati ad un troppo affrettato processo de duttivo dovettero, con il passare del tempo, r ivedere le loro posizioni e riavvicinarsi a quelle italiane che, a proposito della divisione di fanteria, erano meno distanti delle altre dalla formazione ereditata dalla seconda guerra mondiale, non già per puro spirito di conse rvazione, ma proprio in ragione della biva lenza e del particolare ambiente operativo e naturale dello scacchiere italiano. Il merito di tale primato si può dire che appartenga a tutto l'esercito e, in primo luogo, al capo di stato maggiore, generale Liuzzi 9, ed ai suoi diretti collaboratori di quegli anni e non fu un merito di poco conto e di poco lustro. Ma sul generale Liuzzi dovremo tornare più avanti per completare il quadro della sua grande attività spesa al servizio dell'esercito e per meglio chiarire la sua figura di capo militare che non è affatto enigmatica, neppure da un punto di vista politico, come invece è stata senza fondamento ed ingiustamente definita qualche anno fato. Non esistono d'altronde uomini e tanto meno capi perfetti; anche il generale Liuzzi ebbe i suoi difetti e le sue debolezze, ma questi furono ben poca cosa rispetto alle sue doti e qualità di capo che lasciò di sé in tutti i settori un'impronta positiva storicamente indelebile. L'aver dotato l'esercito, in un periodo di crisi generale d'identità delle forze terrestri convenzionali, di una dottrina tanto originale ed innovatrice quanto, al tempo stesso, non in rotta con il passato e saggiamente prudente e di un ordinamento tanto moderno e proiettabile nel futuro, quanto, al tempo stesso, contenuto nei limiti delle risorse finanziarie e valido sia nel caso d'impiego
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promiscuo di anni nucleari e di armi convenzionali sia in quello di impiego solo di queste ultime, sarebbe stato di per sé sufficente a segnare la capacità e la competenza di un capo. L'averlo fatto nel rispetto del passato, nel senso del reale del presente, nella corretta proiezione della rapidissima futura evoluzione della tecnica (essenzialmente di quella legata alla energia nucleare, alla elettronica, alla missilistica, alla elicotteristica) fu molto di più che elaborare una nuova dottrina e determinare un nuovo ordinamento.
2. Il primo elemento che la 600 considera a proposito dell'azione difensiva riguarda l'incidenza dell'arma atomica tattica sui tradizionali fattori incrementali della potenza difensiva, che la pubblicazione individua nel terreno, nell'ostacolo e nello spazio. In una pubblicazione successiva - la 601 11 - anche la fortificazione permanente verrà considerata elemento che aumenta la potenza difensiva, non solo perché offre protezione maggiore della fortificazione campale e perciò, se costruita ad opera d'arte (difesa N.B.C. con particolare riguardo all 'offesa radiologica e chimica), accresce le possibilità di sopravvivenza, ma anche quelle d'impiego delle armi atomiche della difesa, costringendo l'attaccante a maggiori concentrazioni ed attenuando, in genere, gli oneri di sicurezza della stessa difesa. I quattro fattori vedono diminuito in ambiente atomico il loro valore tradizionale, ma possono continuare ad essere sfruttati dalla difesa e non dall'attacco o, comunque, non nella stessa misura. La difesa, infatti, può utilizzare appieno il terreno per organizzare il fuoco e per proteggere gli elementi attivi, lo spazio per logorare progressivamente l'attacco che progredendo perde forza, l'ostacolo che costringe l'attacco all'onere del forzamento, la fortificazione permanente e campale che, potenziando strutture statiche, ostacoli, zone e posizioni particolarmente sensibili, impone all'attacco tempi di arresto e sforzi di espugnazione lunghi e sanguinosi. Occorre però guardarsi dalle soluzioni estremiste delle concezioni difensive basate essenzialmente solo su alcuni di detti fattori incrementali come, ad esempio, quella che poggia il successo principalmente sullo spazio, vale a dire sulla manovra reattiva appoggiata da armi atomiche, perché se è vero che queste ultime, esaltando il vantaggio dell'iniziativa, favoriscono le reazioni manovrate, è altrettanto vero che anche l'attacco, disponendo di armi atomiche, manovra e in più conta sulla
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iniziale superiorità delle forze e su di una maggiore possibilità di valersi della iniziativa, il che gli dischiude un più vasto campo di combinazioni manovrate. Resta valido, anche in ambiente atomico, il concetto che la difesa deve fronteggiare la superiorità dell'attacco attraverso le due fasi tradizionali della resistenza statica e della reazione manovrata che, sia pure con importanza variabile a seconda dei mezzi e metodi impiegati, rappresentano due insopprimibii momenti di un processo logico nel quale l'uno è premessa, l'altro è conclusione. Lo spazio ha senza dubbio acquistato, nel nuovo ambiente operativo, un maggior valore incrementale della potenza difensiva, ma spesso non è geograficamente disponibile od operativamente utilizzabile. La guerra è fortemente influenzata da fattori politici e morali, talché la cessione di territori può far perdere la guerra prima di vincere la battaglia. È il caso dell'Italia, per la cui difesa il terreno, anche a costo di accettare notevoli rischi, deve continuare ad essere fattore preminente. Contro un attacco che può valersi di armi atomiche, di unità corazzate e di aggiramenti verticali per aprire brecce ed irrompere in profondità, occorre una difesa caratterizzata da: profondità ed elasticità, che sfrutti lo spazio quale fattore incrementale della potenza difensiva avanti e nell'interno dell'arca della battaglia, che adotti un sistema di elementi statici capace di non disarticolarsi sotto l'effetto delle penetrazioni, che preveda l'attivazione di posizioni di contenimento e predisponga l'occupazione di una posizione difensiva arretrata; reattività, potenziando le forze destinate alla reazione di movimento ai vari livelli ordinativi, connettendo strettamente i loro interventi con quelli atomici, predisponendo più zone di annientamento scaglionate in profondità; sfruttamento dell'ostacolo naturale ed artificiale, non solo in corrispondenza della posizione di resistenza, ma per tutta la profondità dello spazio interessato al combattimento per obbligare l'avversario a concentrarsi e per permettere di colpirlo remunerativamente con le armi atomiche; protezione, ricercando il diradamento nei limiti consentiti dall'adempimento del compito, facendo ricorso alla fortificazione campale e permanente, adottando tutte le predisposizioni necessarie per sottrarre il proprio dispositivo tattico-logistico all'individuazione ed all'offesa nemica. Una difesa così impostata, per assorbire la potenza offensiva dell'attacco richiede: una profonda avanstruttura atta a logorare l'attacco con i procedimenti della difesa elastica propri delle unità corazzate; una posizione di resistenza atta a logorare fortemente ed arrestare l'attacco senza dissociarsi sotto l 'effetto delle penetrazio-
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ni e c10e presidiata da gruppi tattici in prevalenza di fanteria, ancorati al terreno ed aventi adeguata autonomia tattico-logistica (caposaldi), e notevolmente profonda, vale a dire su più ordini di caposaldi (tre ordini); una disponibilità del binomio armi atomicheunità corazzate sul quale poggia prevalentemente la reattività. La posizione di resistenza deve essere strutturata in modo da consentire gli interventi atomici nel suo interno, la rapida manovra delle riserve, l'incanalamento, il logoramento e l'arresto, sia pure in profondità, dell'attacco, che deve essere costretto a concentrarsi. Tali esigenze impongono: di rinunciare alla cooperazione con le anni automatiche di fanteria tra i caposaldi di maggiore entità; di costituire caposaldi in grado di appoggiare efficacemente il contrattacco e, possibilmente, di concorrervi; di disporre preferibilmente i caposaldi a scacchiera, investendoli su posizioni fondamentali ai fini della manovra complessiva, a distanze ed intervalli che, pur consentendo di effettuare la reazione atomica e di movimento, non compromettano la coesione tattica del sistema che assume, perciò, i caratteri di un complesso di perni di manovra con le funzioni di logorare l'attacco e d'incanarlo nelle direzioni più favorevoli per l 'ulteriore azione di arresto e per il contrattacco. La reattività della difesa poggia sulle armi atomiche, che consentono di capovolgere istantaneamente il rapporto di forze, su dispositivi di contrattacco atti a concentrarsi rapidamente ed a penentrare in profondità con elevata velocità operativa sull'eventuale contrattacco preventivo da svolgere a seguito di interventi atomici sferrati sul nemico in procinto di attaccare la posizione di resistenza, sulla manovra dei presidi dei caposaldi intesa come attivazione a ragion veduta di caposaldi predisposti o come concorso del presidio di un caposaldo di battaglione alla reazione di movimento. Tale manovra è attuabile nella misura definibile di volta in volta secondo le circos tanze, pe rché essa è di difficile esecuzione di fronte ad un attacco basato sul binomio armi atomiche-corazzati ed è aleatoria quando la si attui sotto la pressione diretta del nemico. Essa, pertanto, va predisposta per tuti i caposaldi, ma attuata solo quando conveniente, comunque non quando sia in atto od in potenza la pressione nemica diretta, lasciando in posto l'aliquota di forze che presidia il tratto vitale del caposaldo quando comporti il disancoraggio del presidio da una posizione organizzata e sistemata a difesa. La subitaneità e la violenza di un attacco appoggiato da armi atomiche potrebbero produrre una situazione in cui l' impiego della riserva di primo intervento - che s'identifica di norma con quella divisionale
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del settore interessato - si risolverebbe nel bruciare la riserva stessa per l'impossibilità di conseguire la indispensabile superiorità locale e temporanea; in tale caso, è opportuno impiegare la riserva in un'azione di contenimento su posizioni predisposte, allo scopo di guadagnare tempo e creare le premesse per l'intervento di riserve di ordine superiore. L'attivazione della posizione di contenimento è perciò la premessa o al contrattacco delle riserve di ordine superiore, o alla sutura di brecce con unità affluenti da tergo, o alla manovra in ritirata dalla prima posizione difensiva. Un'eventualità, questa ultima, resa possibile dalla grande rapidità di penetrazione in profondità dell'attacco. La necessità di limitare al minimo la cessione di territorio impone, di nonna, di prevedere non più di due posizioni difensive ed eventualmente di sfruttare al massimo anche lo spazio tra la prima e la seconda posizione difensiva. Lo sfruttamento dello spazio sul davanti dell'area della battaglia o, in caso di eventi sfavorevoli, tra le due posizioni difensive, come pure quello dei vuoti della posizione di resistenza, deve costituire una preoccupazione costante dei comandanti per imporre al nemico il massimo tasso di logoramento possibile mediante il ricorso ad azioni ritardatrici. Gli spazi vuoti della posizione di resistenza vanno controllati inizialmente con l'osservazione terrestre ed aerea locale e con il pattugliamento svolto da poche pattuglie robuste, aggressive e mobili; qualora necessario imporre alla penetrazione dell'attacco un tempo di arresto od un rallentamento non più garantito dal sistema dei caposaldi, si possono sbarrare gli intervalli con gruppi mobili di arresto posti a difesa di campi minati - gruppi tattici formati da pionieri di arresto o fanteria meccanizzata e semoventi controcarri - come premessa al contrattacco, o vi si può svQlgere azione di ritardo con unità meccanizzate o con gruppi mobili di arresto o con presidi svincolati da caposaldi, o vi si possono sferrare puntate offensive sui fianchi delle penetrazioni. Gli spazi vuoti hanno dunque in partenza una funzione preminentemente offensiva, in quanto çonsentono alla difesa di esplicare le reazioni atomiche e di movimento, per cui è da proscrivere la tendenza a sbarrarli a priori e permanentemente con elementi attivi. Oltre il terreno e lo spazio, la difesa può e deve sfruttare l'ostacolo e, in particolare, dell'ostacolo naturale i corsi d'acqua inguadabili che, oltre a possedere uno specifico valore anticarro, rappresentano un ostacolo continuo e indistruttibile che esercita sulle operazioni un'azione impeditiva prolungata, anche a superamento avvenuto. Elemento determinante di ogni concezione offensi-
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va o difensiva è l'assolvimento del compito per cui solo entro i limti di questo imperioso vincolo è necessario e doveroso diminuire la vulnerabilità con l'adozione di tutte le possibili misure protettive. Il diradamento è una di tali misure, ma non va spinto fino a propugnarlo come una vera e propria rinunzia al principio della concentrazione, al quale si era informata la seconda guerra mondiale. Il principio della concentrazione resta valido anche nell'era atomica, ma va attuato in limiti di spazio più estesi e di tempo più ristretti rispetto al passato. Si può assumere il seguente valore minimo orientativo per lo schieramento a difesa di una divisione di fanteria rinforzata su terreno piano e collinoso: 15 chilometri circa di fronte per 18-20 chilometri di profondità, Nel quadro di tale densità media generale, è conveniente estendere il più possibile l'area di investimento d ei caposaldi, ferma restando la coesione dei fuochi di fanteria nel suo interno, ed è necessario diradare le riserve entro i limiti massimi consentiti dalla esigenza di assicurarne il tempestivo intervento. Da ciò la convenienza ad articolare il caposaldo di battaglione in caposaldi di compagnia tra loro cooperanti con le armi automatiche di fanteria. Questo tipo di caposaldo: consente di continuare ad adempiere il compito anche dopo il parziale cedimento o distruzione, ad esempio, di uno dei caposaldi di compagnia, mentre il caposaldo articolato in settori, cioè a struttura unitaria, risulta del tutto compromesso se fortemente intaccato in un solo settore; permette di ampliare l'area d'investimento aumentando l'estensione delle zone attive della difesa e diminuendo la vulnerabilità del complesso; consente di valorizzare il concetto del tratto vitale; favorisce la manovra dei presidi dei caposaldi in quanto può essere lasciata in sito la compagnia che presidia il tratto vitale e può essere sganciato il resto, od almeno la compagnia meccanizzata, del b attaglione. Altra misura protettiva è da ricercare nell'applicazione del principio di mettere il combattente di qualsiasi arma in grado di sostare e possibilmente combattere sotto corazza od interrato perché non si opera se non si sopravvive. Da questo criterio derivano i provvedimenti di carattere organico, logistico, addestrativo da attuare con logica progressione, come pure quelli riguardanti il mascheramento, l'occultamento, l'inganno. Con l 'organizzazione difensiva a caposaldi non cooperanti viene a cadere la differenza tra difesa su fronti normali e difesa su ampie fronti. Una estensione della fronte oltre il limite di circa 15 chilometri, purché tale da non compromettere la coesione tattica del sistema, ossia dell'ordine di qualche chilometro in più può
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acuire l'assenza di cooperazione tra gli elementi statici, ma lascia immutate la concezione, l'organizzazione e la condotta della difesa. Eventualmente, quando possibile, la divisione viene in questo caso rinforzata, ma al di là del limite massimo che assicura coesione al sistema difensivo, ogni resistenza ad oltranza diventa illusoria e deve cedere il posto all'azione ritardatrice: si deve cioè pagare in spazio ciò che manca in forze. Solo su particolari terreni (ostacoli naturali, posizioni molto forti) e situazioni (limitata superiorità dell'attacco, inferiore di 2 a l) può essere consentita una maggiorazione della fronte dell'ordine di una decina di chilometri purché in tali casi, pur restando sostanzialmente immutati i lineamenti essenziali della difesa, si faccia ricorso ad un maggiore sfruttamento dello spazio in avanti, ad una maggiore utilizzazione dell'ostacolo, ad un incremento delle unità in riserva a scapito delle forze destinate a presidiare le strutture statiche che diminuiscono nel numero complessivo e in quello degli ordini; si esaltino, cioè, l'elasticità e la reattività. Nel campo ordinativo tale sistema di difesa richiede nell 'ambito della divisione di fanteria: la sostituzione di un'aliquota di fanteria con unità corazzate, da impiegare come riserve di primo intervento; l'assegnazione organica di unità esploranti meccanizzate; la meccanizzazione di aliquote di fanteria; il potenziamento del genio e delle trasmissioni; la trasformazione di almeno un'aliquota di artiglieria da campagna autotrainata in semovente. L'incremento dell'ostacolo artificiale, reso necessario dal diradamento degli elementi statici, comportando maggiori oneri logistici, di personale e di tempo necessari allo schieramento e di personale per la vigiìanza dell'ostacolo stesso, impone il normale rinforzo della divisione di fanteria di prima schiera con unità pionieri e pionieri di arresto, anche se tutto il personale delle varie armi e servizi deve essere addestrato alla posa degli ostacoli, specie campi minati, ed anche se i piani di schieramento degli ostacoli oculatamente studiati debbono rispondere a razionali criteri di progressività. Nessuna modifica sostanziale è, invece, necessaria nell'ambito della divisione corazzata, fatte salve le predisposizioni per accentuare l'articolazione in raggruppamenti tattici, mentre nell'ambito dei supporti di corpo d 'armata si rendono necessari il potenziamento del genio e delle trasmissioni e l'aumento della potenza delle artiglierie (aumento delle gittate, adozione di missili). La maggiore ampiezza degli schieramenti e l'incremento della manovra complicano, infatti, l'esercizio dell'azione di comando e questa può essere
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inoltre posta in grave crisi nel caso di atomizzazione di uno o più organi di comando della scala ordinativa. Occorre perciò prevedere organi alternativi per assicurare la continuità dell'azione di comando ed adeguare le trasmissioni alle diverse esigenze. L'enorme potenza distruttiva delle armi atomiche e l'evoluzione che essa impone alla tattica pongono, infine, in primo piano l'importanza del fattore umano. I nuovi procedimenti tattici determinano un maggiore isolamento dei minori reparti e gli effetti di tale isolamento si sommano a quelli prodotti nei sopravvissuti da un 'esplosione atomica e dall'eventuale interruzione della azione di comando, per cui rivestono particolare rilievo: l'attività addestrativa diretta a diffondere i nuovi procedimenti, tutelare la saldezza morale dei reparti, sviluppare lo spirito d'iniziativa ed il senso di responsabilità, divulgare la conoscenza delle armi atomiche e delle norme sulla difesa atomica campale; l'emanazione di ordini permanenti per l'attuazione delle misure protettive nella particolare situazione tattica; l'elaborazione di un piano di emergenza - Organizzazione di emergenza per zone eccezionalmente danneggiate O.E.Z.E .D. da applicare automaticamente. Le caratteristiche della difesa sopra indicate ed in particolare il potere di loguramento, incanalamento ed arresto della scacchiera di capisaldi integrati dell'ostacolo e potenziati dall'azione negli spazi vuoti, nonché le possibilità reattive garantite dalle riserve corazzate di primo intervento conferiscono a tale difesa la fondamentale prerogativa della bivalenza. Gli eventuali adattamenti imposti da una guerra esclusivamente convenzionale riguardano, infatti, essenzialmente l'attività concettuale ed organizzativa dei comandi di grande unità e non sono tali da determinare crisi nel campo esecutivo dei minori reparti.
3. La concezione della difesa su terreni di pianura e collinosi si basa: sullo sfruttamento al massimo dello spazio eventualmente disponibile o conquistabile davanti alla prescelta area della battaglia; sulla distruzione o, almeno, l'arresto dell'attacco nel corso di una battaglia organizzata su di un'area profonda e condotta con spiccato carattere di reattività. Due fasi: la prima, per individuare, ritardare, logorare, sostenuta da unità corazzate, armi atomiche con mezzi di lancio terrestri ed aerei; la seconda, per logorare,
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incanalare, arrestare mediante una difesa ad oltranza sviluppata su di una prima posizione e consistente nell'azione coordinata nel tempo e nello spazio di avanstrutture di sicurezza, di gruppi tattici prevalentemente di fanteria in sistema, di riserve di primo intervento prevalentemente corazzate orientate a contrattaccare, a seguito di interventi atomici o non, oppure a contenere il nemico in attesa dell'intervento di riserve superiori e di riserve orientate a reiterare o rinforzare le azioni di quelle di primo intervento oppure a contrattaccare, a seguito di interventi atomici o non, penetrazioni profonde. In caso di eventi sfavorevoli, le forze della difesa manovrano in ritirata e reiterano la difesa ad oltranza su di una seconda posizione predisposta e presidiata dalle riserve di ordine superiore e dalle forze ripiegate. L'organizzazione della difesa riguarda sia l'azione dello scaglione di presa di contatto e ritardo, sia quella dell'area della battaglia che comprende una posizione difensiva avanzata, una zona di dislocazione iniziale delle riserve di corpo d'armata, una posizione retrostante, detta seconda posizione, una zona di dislocazione iniziale delle riserve di armata (profondità complessiva dell'area della battaglia: 100+ 150 chilometri). Lo scaglione di presa di contatto e di ritardo: stabilisce il più avanti ed il più presto possibile il contatto con l'attaccante e lo mantiene; logora e ritarda; raccoglie notizie; normalmente è formato da unità corazzate e si articola in aliquote corrispondenti a determinati settori dello schieramento difensivo (in genere, per ogni aliquota, un reggimento di cavalleria blindata rinforzato da artiglierie semoventi e da elementi del genio pionieri e minatori); impronta l'azione a dinamismo, aggressività, agguati mediante il procedimento dell'irrigidimento temporaneo della difesa su posizioni successive e della reiterazione, nello spazio tra una posizione e la successiva, di azioni basate prevalentemente sull'agguato; fa largo affidamento sull'ostacolo naturale integrato da quello artificiale (mine atomiche, interruzioni potenziate da campi minati, sbarramenti stradali, campi minati specialmente a sbarramento di direttrici compartimentate); agisce in stretto coordinamento con l'aviazione, dalla quale riceve concorso mediante l'esplorazione tattica aerea ed appoggio diretto prevedibilmente limitato alle eventuali situazioni di crisi. In casi particolari, lo scaglione di presa di contatto e ritardo può ricevere il compito di difendere a tempo determinato una posizione naturalmente forte antistante all'area della battaglia; in altri casi, la sua azione, sviluppata da grandi unità corazzate, s'identifica con una manovra
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in ritirata. La posizione difensiva comprende una zona di sicurezza e una posizione di resistenza che, a sua volta, comprende: un complesso di gruppi tattici costituiti in prevalenza di fanteria, organizzati a caposaldo, scaglionati in profondità ed inframezzati da spazi vuoti; ostacoli di vario genere; schieramenti di artiglieria; la zona di dislocazione iniziale della riserva divisionale; il tutto in una profondità variabile, secondo la natura del terreno e la disponibilità complessiva di forze, orientativamente dai 18 ai 20 chilometri, mentre la profondità della zona di sicurezza è, in situazioni normali, orientativamente dell'ordine di 10 chilometri. La profondità complessiva della posizione difensiva si aggira di massima sui 25 7 30 chilometri. Nel senso della fronte, essa si articola in settori di corpo d'armata e questi in settori di divisione. Il settore di corpo d'armata ha ampiezza largamente variabile e si estende in profondità anche a tergo della pos izione difensiva fino a comprendere la zona di dislocazione delle riserve di corpo d'armata. Il settore di divisione, in genere ampio 15 chilometri, si estende in profondità fino ad includere la parte avanzata della zona nella quale sono dislocati i servizi di prima schiera; limitatamente alla posizione di resistenza, si articola di massima nel senso della fronte in due settori reggimentali. La seconda posizione difensiva è predisposta a SO+ 100 chilometri di distanza dalla zona di dislocazione delle riserve di corpo d'armata ed al suo immediato tergo sono inizialmente dislocate le riserve di armata. Le riserve strategiche di scacchiere si dislocano inizialmente a tergo dell'area della battaglia per alimentare la lotta nell'area della battaglia oppure per intervenire contro eventuali sbarchi aerei o dal mare a tergo dell'area della battaglia. Nello spazio compreso tra la prima e la seconda posizione difensiva, si svolge, in caso di eventi sfavorevoli sulla prima posizione, una manovra in ritirata su posizioni predisposte proprio a tale fine oppure per l'arresto frontale nei contrattacchi contro penetrazioni profonde. Nell'area della battaglia, in una fascia comprendente la parte arretrata della prima posizione ed estendent_e si per circa 50 7 60 chilometri dietro ad essa, si dislocano le unità dei servizi di prima schiera ed a tergo di questi, in profondità, i servizi d'intendenza. La zona di sicurezza ha i compiti normali di evitare la sorpresa, di raccogliere notizie, di ritardare e logorare l'avanzata nemica e, in più, di arrestare possibilmente gli scaglioni avanzati, di agevolare il rientro dello scaglione di presa di contatto e di ritardo, di esercitare una prima azione d'incanalamento dell'attacco verso
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zone nelle quali siano predisposti eventuali interventi atomici connessi o non con un contrattacco preventivo. È presidiata a cura delle divisioni di prima schiera nei rispettivi settori, si articola sulla fronte divisionale in due settori corrispondenti ai settori reggimentali retrostanti, ad essa è normalmente destinato il battaglione esplorante divisionale che può essere rinforzato con artiglierie semoventi controcarri e con fanteria meccanizzata, o , eventualmente, motorizzata, tratta dai battaglioni schierati nei caposaldi arretrati. Le notizie raccolte in zona di sicurezza affluiscono direttamente al comando della divisione, ai comandi dei settori reggimentali ed ai comandi dei caposaldi avanzati. L'azione unitaria di comando sui due settori è, di norma, esercitata dal comandante del battaglione esplorante. L'azione si basa, come già nel passato, su: posti di sbarramento e posti di osservazione ed allarme, pattuglie, ostacolo, fuoco di artiglieria e di mortai. Azione a distanza di fuoco prevalentemente controcarri e procedimenti di agguato sono i mezzi di azione dei posti di sbarramento; osservare e riferire e ritardare con il fuoco l'avanzata degli elementi avversari sono i compiti de i posti di osservazione e di allarme che basano la propria azione sul fuoco a distanza (fucile mitragliatore o arma portatile controcarri) e sulla mobilità. Le pattuglie, in genere meccanizzale o, eventualmente, motorizzate, di entità variabile, dotate di notevole potere controcarri, ricercano notizie, ostacolano il pattugliamento nemico, integrano l'attività d ei posti di sbarramento, impostano la loro azione sulla mobilità e sull'aggressività e la sviluppano essenzialmente con il fuoco, quando opportuno, con l'aggua to. Altro elemento che valorizza la funzione della zona di sicurezza è l'ostacolo c he concorre a l ritardo e realizza continuità nel sistema di sorveglianza, evita le sorprese ed aumenta l' efficacia del logoramento ottenuto con il fuoco. Va schierato tenendo conto anche della necessità del deflusso dello scaglione di pre sa di contatto e di ritardo, che è un'operazione da predisporre accuratamente e da eseguire, quando possibile, di notte o, se di giorno, da favorire con l' impiego di aerei leggeri o di elicotteri con funzione di controllo del movimento. Le forze organizzate a caposaldo nella posizione di resistenza - tutti o gran parte dei battaglioni dei due reggimenti di fanteria - logora no il nemico, incanalano l' attacco nelle direzioni più favorevoli ad un'ulteriore azione di arresto od al contrattacco, arrestano l'attacco sia pure in profondità, appoggiano il contrattacco e, possibilmente, vi concorrono, in ogni caso garantiscono il
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possesso di località fondamentali quali perni di manovra. Gli spazi vuoti esistenti tra i caposaldi - di massima scaglionati su tre ordini quando vengono schierati tutti i battaglioni di fanteria dei due reggimenti - hanno le dimensioni dell'ordine di 5+6 chilometri per gli intervalli fra i caposaldi maggiori e di 3+4 chilometri quelli tra due ordini. L'ultimo ordine di caposaldi rappresenta l'estremo limite di tolleranza consentito alla progressione nemica. Esso assume la funzione di posizione di contenimento la quale può inglobare anche uno o più caposaldi superstiti dell'ordine antistante. Sulla posizione di contenimento la divisione concentra, in una situazione di crisi che non consenta il contrattacco, tutti i propri sforzi ed a tale fine negli intervalli tra i caposaldi dell'ultimo ordine possono essere predisposti campi minati di arresto e complessi di postazioni da attivare a ragion veduta. La posizione di resistenza, oltre i caposaldi presidiati, può comprendere caposaldi predispos ti, non pres idiati, da attivare a ragion veduta mediante la manovra dei presidi o con forze di riserva. Tale manovra può essere attuata per guarnire un caposaldo predisposto, rinforzare o sostituire un caposaldo colpito dall'offesa atomica sempre che ciò sia consentito dalla radioattività residua, contraccare a breve raggio, concorrere al contrattacco divisionale o sviluppare azione <li ritardo a favore delle forze impegnate sulla posizione di contenimento. Il caposaldo ha la funzione essenziale di perno di manovra e come tale concorre al logoramento, all'incanalamento, all'arresto dell'attacco ed appoggia la reazione di movimento. È investito su posizioni che, nel quadro della necessaria economia della difesa, controllano direttamente o indirettamente una delle possibili direzioni dell'attacco nemico. È cara tterizzato d a: dominio tattico della direzione d a sbarrare; reattività a giro d'orizzonte, intesa anche come reattività di movimento (rincalzo organico); resistenza ad oltranza; comandante unico; autonomia tattica e logistica. Esso, al livello di battaglione, può assumere: struttura nucleare, ossia articolazione in caposaldi minori autonomi ma cooperanti; struttura unitaria, ossia articolazione in settori di compagnia strettamente connessi. In genere è da preferire il caposaldo a struttura nucleare, ma tutto dipende dal compito e dalle caratteristiche del terreno. Il caposaldo di battaglione a struttura nucleare ha un perimetro complessivo di 6000 m, un diametro di 2000 m, una superficie d'investimento di 300 ettari; quello a struttura unitaria un perimetro di 4500 m , un diametro di 1500 m, una superficie d'investimento di 150 ettari. Il caposaldo di compagnia ha un perimetro di 1200 + 1500 m, un
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diametro di 400+500 m, una superficie d 'investimento di 15 +20 ettari. Il caposaldo di battaglione, qualunque sia la struttura, dispone di un rincalzo organico del quale si serve per il contrassalto o per reagire all'esterno del proprio perimetro; anche il caposaldo di compagnia dispone di un proprio rincalzo da impiegare normalmente nel contrassalto. L'entità dei rincalzi varia secondo la situazione ed il terreno; di norma è pari ad 1/4 della forza (la compagnia meccanizzata per il battaglione, un plotone fucilieri per la compagnia). L'entità del presidio del caposaldo varia in rapporto alle caratteristiche del terreno: in ambienti piani o di media accidentalità e copertura, caposaldi di battaglione; su posizioni forti per natura ovvero sulla posizione di contenimento, caposaldi di compagnia (sulla posizione di contenimento anche qualche caposaldo di plotone); in grossi centri abitati ed in complesse unità topografiche, in via eccezionale, caposaldi di entità superiore al battaglione. Il controllo degli spazi vuoti si realizza con una sorveglianza continua - nel tempo e, per quanto possibile, nello spazio - affidata all'osservazione terrestre ed aerea locale, a pattuglie in numero limitato ma robuste e mobili, a posti di osservazione e allarme. L'azione di logoramento, incanalamento ed arresto viene integrata negli spazi vuoti mediante l'impiego dei gruppi mobili di arresto, le puntate offensive delle compagnie meccanizzate dei battaglioni schierati nei caposaldi ed eventualmente di aliquote del battaglione esplorante divisionale ad avvenuto ripiegamento dalla zona di sicurezza. I gruppi mobili di arresto vengono impiegati per sviluppare azione di arresto a premessa del contrattacco, per concorrere all'attivazione della posizione di contenimento, per contenere attacchi lanciati dal nemico a seguito di interventi atomici mediante la creazione di schieramenti controcarri appoggiati all'ostacolo, per svolgere eventualmente azione di ritardo davanti alla posizione di contenimento, per attivare campi minati di arresto. Il campo minato è schierato perimetralmente ai caposaldi, nell'interno dei caposaldi, negli intervalli tra i caposaldi. Il campo minato perimetrale di un caposaldo fa sistema con l'organizzazione del fuoco; nel caposaldo a struttura nucleare, è collegato in modo da creare zone di ostacolo attorno al caposaldo di battaglione senza precludere od ostacolare l'eventuale manovra del presidio e quello schierato sul fronte di gola dei caposaldi minori deve rispettare le esigenze del contrassalto; il campo minato perimetrale di un caposaldo a struttura unitaria ha in genere eguale valore impeditivo lungo tutto il perimento. Lo schieramento dei campi
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minati nell'interno dei caposaldi va riferito ai soli caposaldi aventi struttura nucleare e deve garantire ampie possibilità di sviluppo alle reazioni di movimento interne. I campi minati schierati negli intervalli tra i caposaldi concorrono al logoramento, all'incanalamento ed all'arresto e perciò hanno potere impeditivo crescente in relazione a ciascuno di tali scopi. Tutti i campi minati schierati negli intervalli possono assumere funzione di arresto, grazie alla manovra dei gruppi mobili di arresto che provvedono alla loro attivazione. È di fondamentale importanza che l'ostacolo schierato negli intervalli non sia di intralcio alle reazioni di movimento. La riserva divisionale o contrattacca con il concorso delle unità schierate nella posizione di resistenza che siano in grado di fornirlo e con quello eventuale di riserve di corpo d 'armata o contiene in concorso con tutte le altre forze superstiti della divisione. Si deve tende re al contrattacco perché solo l'azione dinamica è risolutiva , ma per il contrattacco occorrono il preventivo annullamento della iniziale supe riorità locale dell'attaccante ed il temporaneo a rresto della progressione nemica o, quanto meno, della penetrazione contro la quale il contrattac co è diretto. Il contrattacco si sviluppa, finché possibile, a seguito e sfruttamento di un intervento atomico o può essere eseguito con soli mezzi convenzionali. Esso tende ad obiettivi situati in profondità, soprattutto quando sfrutti un inte rvento atomico. Va sostenuto dal fuoco di tutte le artiglierie in condizioni di inte rvenire; ad esso concorrono i presidi dei caposaldi, gli eventuali gruppi mobili di arresto ed il battaglione esplorante divisionale. Si conclude con il temporaneo e sommario consolidam ento dell'obiettivo da parte della riserva, che viene poi, almeno parzialmente, con precedenza delle unità carri, ritirata e progressivamente reintegrata nella sua efficienza, mentre i caposaldi riconquistati vengono ristabiliti, con presidi di entità ridotta, con aliquote della riserva e/o con forze tratte da altri caposaldi. La riserva divisionale è costituita dal reggimento corazzato, che ne è la parte più importante, ed eventualmente anche da altre forze. Il reggimento corazzato si schiera inizialmente a tergo dell'ultimo ordine di caposaldi e si articola in gruppi tattici, diradati ai fini della sicurezza, i quali ultimi, a loro volta, si frazionano senza però spingere tale frazionamento al di sotto della compagnia. I gruppi tattici sono generalmente costituiti da complessi misti di carri e di fanteria meccanizzata. Secondo i casi, il reggimento corazzato contrattacca con due gruppi tattici in primo scaglione, ope ranti lungo direzioni tatticamente connesse e tendenti per quanto possibile al fianco od ai
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fianchi della penetrazione oppure con tutte le forze scaglionate in profondità lungo un'unica direzione. Se le unità da contrattaccare sono fanterie, le unità carri muovono in testa seguite da quelle meccanizzate; se sono forze corazzate, il contrattacco - il cui scopo primo è l'eliminazione dei carri armati - si basa sulla manovra delle unità carriste tendente a portare sui carri nemici il massimo volume di fuoco; tale manovra è strettamente accompagnata e seguita dalla fanteria meccanizzata, alla quale è affidato il compito di eliminare gli-eventuali perni di manovra nemici. Quando necessario, il gruppo di artiglieria semovente segue il movimento del reggimento corazzato. L'azione di contenimento è la risultante della resistenza dei caposaldi ancora attivi e dell'azione della riserva - e delle forze eventualmente recuperate dall'avanti - per arrestare il nemico prima che riesca ad irrompere oltre la posizione di resistenza. È preceduta da un'azione di logoramento e di ritardo svolta sul davanti della posizione dai caposaldi superstiti o dalle unità operanti negli spazi vuoti; è caratterizzata da difesa statica e da azione di elementi di manovra; è diretta dal comandante della divisione. 11 reggimento corazzato costituisce gli elementi difensivi statici con il battaglione di fanteria meccanizzato articolato in aliquote di compagnia od anche di plotone e utilizza il battaglione carri come elemento di manovra. In situazioni caratterizzate da carenza di unità per l'attivazione degli elementi predisposti della posizione di contenimento, aliquote del battaglione carri possono essere impiegate per azione statica di fuoco. Tale impiego è da considerare eventuale e temporaneo. In ogni caso l'aliquota di manovra può articolarsi in due o più blocchi ed essere impiegata unitariamente o per blocchi. Un caso delicato è quello del contrattacco costretto a trasformarsi in contenimento ed in tale circostanza solo la situazione del momento può suggerire se sia preferibile aggrapparsi alle posizioni raggiunte oppure tentare lo sganciamento ed il ripiegamento sulJa posizione di contenimento. L'impiego della riserva divisionale costituisce atto di importanza determinante nel quadro della difesa e deve essere accuratamente predisposto. Per fronteggiare situazioni di emergenza, il comàndo del corpo d'armata può ricorrere alla manovra intersettoriale delle riserve, sottraendo ad una divisione la riserva per impegnarla nel settore di un'altra che si trovi in situazione critica. Alle riserve di corpo d'armata competono i compiti di: sviluppare il contrattacco in sostituzione delle riserve divisionali; reiterare il contrattacco non riuscito alle riserve divisionali; concorrere, eccezionalmente, al
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contenimento; sviluppare, eventualmente, un contrattacco per recidere una penetrazione improvvisa a tergo delJa posizione di resistenza. Le riserve di corpo d'armata, quando possibile, sono costituite da una divisione corazzata (eccezionalmente da una divisione di fanteria) o da un complesso di supporti corazzati, complessivamente equivalenti ad una grande unità. Esse si articolano inizialmente in raggruppamenti e si dislocano al di fuori della portata dell-'artiglieria pesante ed atomica nemica, sempre che ciò non risulti incompatibile con le eventuali servitù della rete stradale. La loro zona di dislocazione iniziale è a 20 -;- 30 km dal margine posteriore della posizione di resistenza. Il loro impiego è del tutto analogo a quello delle riserve divisionali - a massa o per raggruppamenti - ed è regolato dal comandante della divisione o dal comandante del corpo d'armata, a seconda che le riserve siano impiegate a rinforzo delle divisioni o direttamente dal corpo d'armata. Le riserve d'armata hanno il compito di: sviluppare il contrattacco contro penetrazioni profonde, sfociate in forze oltre la posizione di resistenza; presidiare, in caso di necessità, la seconda posizione difensiva; intervenire contro aviosbarchi consistenti; alimentare la battaglia in avanti. Sono costituite da divisioni di fanleria e corazzate; si dislocano inizialmente a S0-;-100 chilometri dalle riserve di corpo d 'armata, in relazione al concetto di manovra del comandante di armata ed in particolare all'ubicazione della seconda posizione difensiva; all'atto dell'impiego passano, in genere, alle dipendenze del comando del corpo di armata nel cui settore debbono operare. La battaglia difensiva si sviluppa attraverso le seguenti fasi: azione dello scaglio ne di presa di cont a tto e di ritardo; combattimenti in zona di sicurezza; contropreparazione (oppure contrattacco preventivo); resistenza ad oltranza sulla posizione di resistenza; impiego delle riserve divisionali per il contrattacco ed eventualmente per l 'azione di contenimento; azione del corpo d'armata e dell' armata ad integrazione e rinforzo di quella delle divisioni di prima schiera ed eventuale manovra in ritirata ed attivazione della seconda posizione difensiva. La condotta della difesa è naturalmente in relazione all'azione dell'attaccante il quale, è prevedibile: tenda ad agire con la massima rapidità per sorprendere, non esitando ad impiegare armi atomiche contro resistenze particolarmente tenaci nello spazio davanti all'area della battaglia; impieghi tutte le vie di comunicazione disponibili per estendere le sue possibilità di manovra e non svelare gli assi dello sforzo; cerchi di
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non offrire obiettivi tattici remunerativi all'offesa atomica; tenti di superare di slancio le avanstrutture della difesa con le stesse forze che hanno condotto l'azione iniziale; sia costretto a subire una pausa, nel caso non riesca a superare di slancio le posizioni iniziali, per riordinarsi ed organizzare l'attacco; attacchi con procedimenti di azione, i più svariati - dalla tattica d'infiltrazione di unità di fanteria all'azione di complessi corazzati lanciati su obiettivi specifici - ed impieghi le armi atomiche, oltre che per interdire l'alimentazione della difesa, per la rottura distruggendo qualche caposaldo di primo ordine; non investa in maniera unifo~e l'intero fronte della difesa, ma graviti in determinati settori con le armi atomiche e con unità prevalentemente corazzate, limitandosi altrove ad azioni di forze convenzionali, essenzialmente di fanteria; riesca, sugli assi di gravitazione, soprattutto con le armi atomiche, a creare uno o più corridoi di penetrazione e tenti di irrompere in profondità. Di fronte ad un attacco siffatto, la difesa: deve tendere a logorare l 'attacco mediante lo scaglione di presa di contatto e di ritardo che agisce con mezzi convenzionali per porre l'a ttacco stesso davanti all'alternativa di manovrare a formazioni diluite, rallentando così il suo ritmo di progressione, oppure di concentrarsi offrendo obiettivi atomicamente remunerativi; si sforza con ogni mezzo di ritardare le unità attaccanti che avanzano nella zona di sicurezza, di logorarle e costringerle a montare attacchi e, permettendolo la disponibilità di anni atomiche, cerca di paralizzare in profondità l'organizzazione logistica del nemico; approfitta della pausa dell'attacco, resa necessaria dalla organizzazione dell'azione, per sconvolgere i preparativi dell'aggressore; eventualmente sviluppa la contropr epa razione - d ecisa a livello e levato - m edia n te azioni aeree convenzionali ed atomiche rivolte sui mezzi di lancio atomici e relative infrastrutture, bas i aree, comandi, zone di raccolta, centri logistici e con azioni di artiglieria convenzionali ed atomiche dirette su zone di sosta, basi di partenza, comandi, schieramenti di artiglieria, nodi di comunicazione, centri logistici, centri di trasmissione (e, in genere, sui punti più sensibili del dispositivo di attacco), nonché con azioni di mortai sugli elementi ravvicinati e con eventuali colpi di mano; ricorre, in condizioni favorevoli, al contrattacco preventivo, contemporaneamente ad azioni di contropreparazione svolte in settori contigui, condotto in forze da unità corazzate a seguito di esplosioni atomiche e sostenuto dall'appoggio di tutto il fuoco convenzionale disponibile; imposta la resistenza ad oltranza mettendo in moto tutti gli ingranaggi co-
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stitutivi del piano di difesa, imprimendo all'azione fin dall'inizio un accentuato grado di dinamismo e di reattività, tendente ad individuare ogni punto debole offerto dal nemico; nei settori dove la lotta è caratterizzata da minore intensità e maggiore lentezza, sfrutta l'azione combinata dei caposaldi, dell'ostacolo e del fuoco convenzionale per arrestare le eventuali penetrazioni ed impiega le riserve divisionali per il contrattacco a seguito o non di intervento atomico; sugli assi di gravitazione: o riesce a fronteggiare la penetrazione e perciò può annullare con le proprie armi atomiche la superiorità nemica e sferrare il contrattacco con le riserve divisionali, e con l'eventuale concorso di quelle di corpo d'armata, in modo da ristabilire la situazione, oppure, venute meno le speranze di successo di un contrattacco, attiva la posizione di contenimento, lasciando all'intervento delle grandi unità di ordine superiore la decisione del combattimento. In ogni caso è essenziale che la difesa sia animata dalla volontà di distruggere l'attaccante e ricorra al contenimento solo quando la reazione di movimento diventi impossibile o comporti un tasso di rischio inaccettabile. Frattanto il corpo d'armata e l'armata seguono lo sviluppo del combattimento nella posizione di resis tenza, concorrono alla lotta: il primo manovrando traiettorie e schieramenti, la seconda manovrando l'appoggio aereo, entrambi alimentando ed eventualmente rinforzando i settori più delicati; traggono elementi di giudizio per l'impiego delle rispettive riserve e, maturando la situazione, adottano le necessarie misure preliminari. La battaglia si può risolvere favorevolmente sulla prima posizione difensiva superando la crisi, ristabilendo la situazione appunto mediante l'impiego delle riserve di corpo d'armata - anche, quando necessario, ricorrendo a lla manovra intersettoriale - ed eliminando le penetrazioni o, quanto meno, arrestando il nemico e suturando le brecce. Nel caso che il nemico, nonostante tutti gli sforzi della difesa, riesca a penetrare in profondità con forze consistenti oltre la posizione di resistenza, si ripresenta in un quadro più ampio un'alternativa analoga a quella considerata nell'ambito divisionale: contrattaccare o manovrare in ritirata. Il contrattacco, al quale si deve fare ricorso nel caso di penetrazione limitata, di stabilità del resto della posizione, di rapporto di forze accettabile, è sferrato dalle riserve di ordine superiore contro le unità nemiche penetrate, fronteggiandole con uno scaglione di arresto é distruggendole con uno scaglione di manovra; esso è normalmente appoggiato da armi atomiche e tende a ristabilire la situazione fino all'altezza del primo ordine di _capo-
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saldi. Se mancano le premesse per il contrattacco e la stabilità dell'intera posizione difensiva appare compromessa, non rimane che la manovra in ritirata. In ogni caso, potendolo, la difesa conserva per questa fase critica della battaglia un'aliquota del proprio potenziale atomico e se ne serve contro le penetrazioni nemiche più minacciose e vulnerabili.
4. L'avvento dei nuovi mezzi di lotta non altera le tradizionali relazioni esistenti tra la guerra in pianura e la guerra in montagna, per cui le concezioni e i procedimenti operativi considerati validi in pianura, pur conservando integro il loro valore generale, subiscono in montagna limitazioni e adattamenti intonati alle caratteristiche particolari dell'ambiente. A tale fine lo sLato maggiore dell'esercito elaborò e diramò la pubblicazione 610 12 e, in tempo successivo, un'appendice a tale pubblicazione: I risultati del ciclo sperimentale sulla battaglia difensiva in montagna con impiego di armi atomiche 13. L'appendice ebbe lo scopo d'illustrare sinteticamente i principali risultati acquisiti nel ciclo di esercitazioni Latemar, nel gruppo di esercitazioni per quadri singoli svolti presso la scuola di guerra e nelle esercitazioni per quadri singoli svolte presso le brigate alpine Julia e Taurinense che, diversamente dalle brigate alpine Cadore, Orobica e Tridentina, non parteciparono al ciclo Latemar. L'appendice, che venne diramata in attesa di rielaborare la pubblicazione 610, esaminò gli aspetti salienti della concezione, del dispositivo e della condotta della difesa e dell'impiego delle varie armi e contenne cenni anche sui lineamenti dell'azione offensiva in base agli orientamenti tratti dagli studi fino ad allora (1958) compiuti e dallo stesso ciclo sperimentale Latemar. Del resto, cenni sull'azione offensiva, riferita in questo caso al nemico, erano stati necessariamente introdotti, come abbiamo rilevato, anche nella pubblicazione 600 perché non è possibile stabilire come ci si debba difendere se non si conosce come è presumibile si venga attaccati. Anche un esercito come l'italiano destinato a compiti difensivi non può omettere di studiare e di esperimentare l'azione offensiva, sia al fine di meglio potervisi contrapporre, sia soprattutto perché l'azione difensiva costituisce in assoluto la premessa all'azione controffensiva, come analogamente la resistenza al contrattacco. L'incidenza delle armi atomiche nell'azione difensiva in montagna è in larga massima la stessa che nell'azione difensiva in pia-
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nura, salvo alcune differenze particolari quali quelle degli effetti maggiori di un'esplosione atomica in una conca od in una valle per incremento della superficie colpita e per riflessioni e convogliamenti creati dalle pendici circostanti e della minore efficacia degli interventi atomici di rottura effettuati in corrispondenza delle vie di facilitazione poste sull'alto. Da qui la vulnerabilità dei dispositivi tattici e logistici di fondo valle o nelle conche, la scarsa rapidità d'irruzione e la modesta velocità di dilagamento dell'attacco svolto per l'alto. Si può, nel complesso, dedurre che il rendimento delle anni atomiche quale mezzo di rottura è, in montagna, minore che in pianura. Grandi, invece, sono le possibilità d'interdizione che si possono ottenere con interventi atomici di qualsiasi tipo e, in particolare, con le mine atomiche con le quali si possono intercettare vie tattiche importanti, accentuare il valore dell'ostacolo nel quadro delle operazioni di ritardo, porre gravi vincoli allo sfruttamento in profondità di eventuali successi tattici. Una seconda conseguenza è che in montagna il valore delle armi atomiche quale mezzo d'interdizione è maggiore che in pianura, particolarmente nei riguardi di quei dispositivi tattici e logistici che non possono prescindere dalle vie di facilitazione servite da rotabili. Un nuovo mezzo che può agevolare la dinamica delle operazioni in montagna è l'elicottero ·che, utilizzato per il trasporto, favorisce la manovra e la sorpresa, ma che, almeno in un prossimo futuro, non sarà in grado di sopperire integralmente alle esigenze di alimentazione tattica e logistica create dalle interruzioni atomiche delle vie di facilitazione. È, infatti, dato pensare che, nonostante il trasporto aereo, i nuovi mezzi tendano in montagna ad ostacolare il movimento più che a facilitarlo, qualora ci si riferisca a dispositivi di una certa entità. I nuovi mezzi di lotta, nel loro insieme, favoriscono più la difesa che l'attacco, il quale tenderà ad evitare la montagna per sforzi decisivi. La compartimentazione del terreno e le possibilità offerte dall'impiego delle armi atomiche consentono, più che in pianura, alla difesa di sfruttare con rendimento lo spazio per logorare l'attacco, mentre la forza delle posizioni e le difficoltà insite nei ritorni controffensivi impongono di rendere tenace la difesa perché il migliore sistema di difendere le posizioni resta sempre quello di non perderle. Ciò non toglie che occorra, per molti motivi, taluni indipendenti dalla guerra in montagna, predisporre più posizioni difensive, fermo restando l'intendimento di risolvere la battaglia
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sulla prima pos1z10ne. La natura accidentata del terreno e le difficoltà che l'attacco incontra per una rapida irruzione ed un celere dilagamento, mentre esaltano il potere di logoramento della zona di sicurezza, inducono ad adottare posizioni difensive di profondità limitata, in ogni caso minore che in pianura, le quali, del resto, possono essere imposte dalle forme del terreno. L'attacco può raggiungere la massima potenza in corrispondenza delle vie di facilitazione servite da rotabili e preferibilmente svolgentisi sulle dorsali, mentre la posizione difensiva deve conseguentemente avere profondità e consistenza molto diverse in relazione agli sforzi presumibili dell'attacco. L'accentuata efficacia dell'ostacolo e delle demolizioni, ai quali la difesa può e deve fare ricorso in larga misura, integrando mezzi convenzionali e ordigni atomici, consente di devolvere minori forze alla funzione di resistenza e di aumentare proporzionalmente le forze in riserva. L'organizzazione a caposaldi conserva tutto il suo valore anche perché gli elementi statici assumono forme più sottili e sono presidiati da reparti di minore entità che non quelli di pianura. L'organizzazione a caposaldi deve, come in pianura, logorare, arrestare o contenere in profondità, costituire perno di contrattacco e canalizzare ove consentito dalle forme del terreno. In particolare, la funzione di arresto acquista importanza notevole, data la compartimentazione frequente delle vie tattiche. L'attacco ha più vaste possibilità di combinazioni manovrate - si pensi all'elitrasporto - e conseguentemente la difesa deve accentuare la reattività, la quale richiede, tuttavia, circostanze favorevoli soprattutto nei riguardi della quota (reazioni dall'alto verso il basso o per lo meno in piano), delle forme del terreno (in genere sfavorevoli all'attaccante), del tempo, dei rapporti di forza, della compartimentazione del terreno (che compromette l'integrale utilizzazione delle riserve). La difesa deve perciò: controllare gli spazi vuoti con l'osservazione ed il pattugliamento, disporre di riserve ai vari livelli gerarchici, attribuendo anche al caposaldo la capacità di reagire con il movimento fuori del proprio perimetro per sviluppare con immediatezza il contrattacco; aumentare le possibilità di reazione avvalendosi di tutti i mezzi disponibili e ricorrendo, qualora possibile e conveniente, alla manovra dei presidi dei caposaldi, per contrattaccare, attivare elementi statici alternativi e rinforzare o sostituire i presidi di elementi tattici colpiti da esplosizioni atomiche; ricorrere, quando opportuno, ad azioni di contenimento. L'azione di contenimento, che in pianura prelude quasi sempre ad una reazione di movimento, in montagna spesso si
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traduce in una rettifica della difesa su posizioni retrostanti, altrettanto forti quanto quelle perdute, sì da evitare onerosi contrattacchi e risolvere così situazioni temporanee di crisi. Nello scacchiere nord-occidentale italiano, dove esistono elementi di fortificazione permanente, questi vanno inglobati nello schieramento delle unità mobili come importanti appigli e le unità da posizione che li presidiano - opportunamente ordinate e messe alle dipendenze dei comandi delle unità mobili - debbono costituire l'ossatura della difesa statica schierata ad intercettazione delle vie di facilitazione. Nello stesso scacchiere, in qualche settore, il terreno dischiude all'attacco, non appena superata la fascia di frontiera, vie di facilitazione di grande rendimento operativo, per cui occorre in tali settori accentuare l'azione di logoramento delle avanstrutture e conferire alla prima posizione difensiva potere d'arresto e reattività elevati.
5. Uno degli ammaestramenti tratti dalle esercitazioni in montagna fu la necessità di accentuare le caratteristiche di reattività e di elasticità della difesa rispetto a come questa era stata concepita nella pubblicazione 610. Si ebbe così una nuova enunciazione della concezione difensiva in montagna espressa nei seguenti termini: sfruttare lo spazio eventualmente disponibile o conquistabile avanti alla prescelta aerea della battaglia per individuare, prendere contatto col nemico e condurre azione ritardatrice con accentuato carattere di logoramento; distruggere o quanto meno arre st a re l'attacco reiterando, se necessario, la difesa ad oltranza su posizioni successive e sviluppando l'azione ritardatrice con accentuato carattere di logoramento negli interspazi. SuJle singole posizioni difensive: a) dar vita ad avanstrutture di sicurezza con prevalente compito di logoramento a cavaliere delle vie di facilitazione, con funzioni informative e di sicurezza nelle zone interposte; b) sbarrare le vie di facilitazione: con elementi statici - costituiti da complessi autonomi di opere fortificate o da unità organizzate a caposaldo, ma impiegabili anche per compiti di manovra - disposti di massima su più ordini per svolgere, col concorso dell'ostacolo convenzionale, azione di logoramento, incanalamento, arresto e appoggio al contrattacco, quest'ultimo da predisporre su più zone scaglionate in profondità; con ostacolo atomico opportunamente vigilato; c) con-
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troltare le zone impervie interposte con l'osservazione ed il pattugliamento, nonché con l'occupazione delle posizioni che intercettino le vie tattiche adiacenti alle vie di facilitazione; conferire spiccata reattività alla difesa mediante: a) reazioni di movimento immediate per eliminare penetrazioni locali; b) contrattacchi sviluppati il più avanti possibile - basati per quanto consentito dalla situazione su interventi atomici, reazioni di unità corazzate lungo le vie di facilitazione, reazioni di unità alpine agenti per l'alto - per eliminare penetrazioni minaccianti la stabilità della posizione di resistenza e talora per disorganizzare l'attacco prima che si sviluppi (contrattacchi preventivi); assicurare elasticità alla difesa: a) ricorrendo ampiamente alla manovra dei presidi dei capisaldi; b) costituendo riserve a tutti i livelli della scala ordinativa, senza peraltro vincolarne l'impiego a rigide successioni d'intervento nel tempo e nello spazio; c) assegnando alle riserve compiti eventua li di contenimento in attesa del contrattacco affidato a riserve di ordine superiore oppure di stabile sutura della breccia qualora il contrattacco risulti aleatorio o troppo oneroso; d) attuando, se necessario, la manovra di ripiegamento su posizioni successive. Occorre, inoltre: accelerare la manovra con il largo ricorso all'elitrasporto e all'autotrasporto; predisporre misure contro aviosbarchi ed elisbarchi in tutta la profondità dell'area della battaglia. L 'organizzazione della difesa ispirata a tale concezione modifica parzialmente quella della pubblicazione 610 che rimane peraltro valida nei suoi punti cardine. L'azione dello scaglione di presa di contatto e di ritardo è diretta in un primo tempo all'esplorazione tattica terrestre e successivamente allo sviluppo di una manovra ritardatrice intesa a guadagnare tempo e logorare l'avanzata nemica; si esplica prevalentemente lungo gli assi stradali; è affidata ad unità di cavalleria blindata e, quando necessario, a complessi tattici costituiti con unità di cavalleria blindata rinforzate con unità alpine all'uopo motorizzate, avuta presente anche l'efficacia del concorso di unità alpine eliportate od aviolanciate per l 'occupazione preventiva di linee di ostacolo o di passaggi obbligati. L'area della battaglia si differenzia rispetto a quella della pianura per la tendenza ad articolarsi su di un maggior numero di posizioni e per la rilevante diminuzione delle dis tanze tra le varie posizioni. Numero delle posizioni e distanze fra queste dipendono da molti fattori. Di massima sono sufficienti tre posizioni difensive e di queste solo la prima interamente presidiata, mentre le altre due, predisposte per quanto lo consentano le forze ed il tempo disponibili, vengono presidiate solo
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qualora la situazione imponga l'abbandono parziale o totale della posizione antistante. La distanza fra le varie posizioni - a titolo . largamente orientativo tra i 10 ed i 30 chilometri - deve essere ··sufficiente a costringere l'attaccante a montare una nuova azione ed a consentire alla difesa il ripiegamento degli elementi schierati a difesa delle zone impervie antistanti. Le varie posizioni possono essere raccordate da bretelle al fine di fronteggiare penetrazioni mediante semplici ripiegamenti parziali. La posizione difensiva comprende la zona di sicurezza e la posizione di resistenza ed è articolata: o in brigata alpina-corpo di armata-armata, articolazione in cui le responsabilità della brigata alpina è limitata ad un tratto della prima posizione (settore di brigata) corrispondente normalmente ad una direttrice operativa, quella del corpo d'armata (settore di corpo d 'armata) riguarda l'intercettazione frontale di parte o di tutto un fascio operativo e si estende in profondità sino alla seconda posizione inclusa, quella dell'armata (settore d'armata) è relativa all'intercettazione di uno o più fasci operativi ed ingloba in profondità anche le posioni retrostanti; o in brigata alpina-armata, articolazione in cui il settore di brigata rimane lo stesso del caso precedente e quello di armata si estende anche alla seconda posizione. La zona di sicurezza, oltre gli stessi compiti di quella di pianura, ha la funzione eventuale di esercitare prime resistenze in corrispondenza di posizioni naturalmente forti, svolte o da opere fortificate preesistenti o da posti scoglio (di massima, costituiti con forze della entità di un posto di sbarramento). Vi sono impiegate forze di limitata consistenza ma mobili, costituite di massima da plotoni esploratori, armi controcarri, eventulmente reparti corazzati, da trarre dai supporti di corpo d'armata o di armata. La profondià della zona · varia e dipende dal terreno; in certi casi (posizione di resistenza appoggiata a posizioni dominan ti), può essere limitata. Occorre svilupparvi il maggior volume possibile di fuoco di artiglieria e di mortai. L'azione è condotta direttamente, nei rispettivi settori di competenza, dai comandanti dei settori nei quali la brigata alpina si articola. La posizione di resistenza comprende caposaldi, ostacoli e particolarmente campi minati di arresto, pattuglie agenti nelle cortine e nelle zone impervie, schieramenti di artiglieria, riserve e unità alpine da posizione. Vi possono essere schierati centri di fuoco isolati per il collegamento di fuoco tra caposaldi contigui. Ha profondità e caratteristiche variabili da settore a settore in relazione al terreno ed all'impiego o non dell'ostacolo a tomico. Le vie di facilitazione possono infatti
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essere sbarrate da più ordini di elementi statici disposti in modo da facilitare la reazione atomica e di movimento, la prima da predisporre su più zone scaglionate in profondità oppure con l'ostacolo atomico opportunamente vigilato, mentre i passi secondari e le zone impervie adiacenti alle zone di facilitazione sono sbarrati da elementi, sia pure di limitata consistenza, aventi possibilità di arresto tali da intercettare le penetrazioni minori e consentire il tempestivo intevento delle riserve contro sforzi maggiori. Le cortine impervie ed i passi secondari non adiacenti alle vie di facilitazione vanno sorvegliati e le eventuali minacce che vi si manifestino vanno neutralizzate con manovre volte essenzialmente all'occupazione di posizioni forti atte a sbarrare la penetrazione. Di norma i caposaldi sono di compagnia e di plotone; i primi, preferibilmente, a struttura nucleare, come previsto in pianura per il caposaldo di battaglione. La manovra del presidio di un caposaldo può essere attuata per guarnire un caposaldo predisposto, svolgere o concorrere ad un contrattacco (anche preventivo) a tutti i livelli, rinforzare o sostituire il presidio di un caposaldo colpito dall'offesa atomica; è sub ordinata all'assenza di pressione nemica sul caposaldo ed alla possibilità di eseguirla tempestivamente. Di solito, come in pianura, viene lasciata in sito l'aliquota di forze che presidia il tratto vitale del caposaldo. Trova notevoli possibilità di applicazione, pur comportando un rischio ed un aggravio di lavori, la misura protettiva di sistemare inizialmente il grosso del presidio fuori del caposaldo, dislocandolo sui fianchi anziché sul tergo del caposaldo, perché dopo l'intervento atomico una buona parte del fuoco convenzionale di artiglieria del nemico è diretto sui rovesci del caposaldo per interdirvi l'afflusso dei rinforzi e· perché la dislocazione a tergo comporta di massima un movimento di afflusso in salita. Lo sbarramento di direttrici operative con l'ostacolo atomico consente economia di forze, ma preclude l'utilizzazione della direttrice per ritorni controffensivi, per cui la utilizzazione di tale procedimento va vagliata nel quadro dell'intendimento operativo generale. Occorre assicurare la vigilanza dell'ostacolo e la tempestività de ll'esplosione: la prima, mediante l'osservazione aerea e terrestre, il pattugliamento con mezzi corazzati, il fuoco osservato e predisposto; la seconda, con accurata pianificazione e preventiva esecuzione della camera da mina, predisposizioni per la sicurezza di trasporto e di approntamento, decentramento dell'ordine di brillamento al comandante del settore interessato, collegamenti e procedure rapidi e sicuri. Le unità alpine da posizione vanno
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utilizzate secondo i criteri di raggruppare le opere fortificate in complessi omogenei con autonomia tattica, di estendere l'azione di arresto sui fianchi mediante caposaldi in modo da evitarne l'aggiramento, di utilizzare le opere in zona di sicurezza come posti scogli, di porre ogni complesso fortificato alle dipendenze dell'unità alpina che presidia il settore nel quale il complesso stesso è dislocato e di collegarlo con i caposaldi contigui, di rinforzare il comando compagnia o battaglione alpini da posizione con elementi del servizio informazioni e delle trasmissioni qualora il comando stesso debba assumere la funzione di comando settore. Tali criteri non escludono che anche in montagna, com'è normale in pianura, elementi fortificati vengano inglobati in caposaldi costituiti da unità mobili. La riserva settoriale può essere impiegata per eliminare infiltrazioni o penetrazioni, svolgere azione di contenimento, concorrere alla stabile sutura di una breccia, sbarrare a ragion veduta vie tattiche nelle zone inte rposte tra le vie di facilitazione, concorrere a contrattacchi preventivi, intervenire contro unità clisbarcate od aviolanciate nell'area di propria competenza; alla loro azione possono concorrere aliquote di presidi di caposaldi e riserve di ordine superiore. La riserva di brigata può essere impiegata negli s tessi compiti, naturalmente in un quadro più vasto, ed in più per svolgere o concorrere all'azione ritardatrice tra successive posizioni difensive. All'azione della riserva di brigata possono concorrere le riserve settoriali ed aliquote di presidi di caposaldi o riserve di ordine superiore, specie corazzate. La riserva di corpo d'armata (o d 'armata qualora non esista l'anello corpo d'armata) può essere impiegata: per sviluppare il contrattacco qualora una o più riserve di briga ta siano state impiegate in azioni di contenimento; per reiterare il contrattacco qualora una o più brigate non siano riuscite ad annientare le penetrazioni nemiche; concorrere, specie con unità corazzate, all'azione delle riserve di ordine inferiore; concorrere all'attivazione della seconda posizione difensiva; alimentare la battaglia in avanti; intervenire contro unità elisbarcate od aviosbarcate a tergo della prima posizione difensiva. Costituita da grandi unità o, più frequentemente, da complessi tattici (corazzati, alpini, di fanteria, eventualmente gruppi mobili di arresto), si disloca generalmente in corrispondenza dei tratti più sensibili della seconda posizione difensiva ed in località che favoriscano l'intervento in avanti. La condotta della difesa tende a conseguire la distruzione dell'attacco nelle zone avanzate, a cominciare da quelle predispo-
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ste avanti all'area della battaglia, e, ove ciò non risulti possibile, tende ad utilizzare allo stesso scopo le zone arretrate. Lo scaglione di presa di contatto e di ritardo viene lanciato il più avanti possibile, svolge difese a tempo deteminato su posizioni intermedie naturalmente forti in modo da logorare l'attacco e porlo nell'alternativa di concentrarsi o di perdere molto tempo, reitera anche a brevi distanze le azioni di agguato negli interspazi tra le posizioni intermedie. Il contrattacco preventivo deve prefiggersi di distruggere le forze contrapposte o quanto meno disorganizzare il dispositivo di attacco e, in entrambi i casi, di penetrare in profondità; deve almeno completare la distruzione dei complessi tattici colpiti dalle esplosioni atomiche e penetrare in profondità per attaccare sul fianco e sul tergo gli altri complessi tattici. I lineamenti del contrattacco preventivo sono: impiego di ordigni atomici di elevata potenza; azione di unità corazzate agenti a cavaliere delle vie di facilitazione e tende nti a ra ggiungere obiettivi profondi; azioni di concorso, tendenti a sbloccare la via a lle unità corazzate, di unità alpine agenti per l'alto od elisbarcate, nonché eventualmente di paracadutisti. La lotta sulla posizione di resistenza va improntata a grande reattività, manovrando il fuoco convenzionale ed atomico, le riserve e, ove possibile, i presidi degli elementi statici. Fattore importante nella condotta della difesa rimane l'azione di arresto e di canalizzazione affidata ai caposaldi. Per assicurare la tempestività di intervento è necessario costituire riserve a tutti i livelli. Per ovviare gli inconvenienti del frazionamento occorre improntare l' impiego delle riserve a spiccata flessibilità, senza cioè vincolarne l'intervento a rigide successioni nel tempo e nello spazio, e rinforzarle normalmente con aliquote dei presidi di caposaldi. Nell'eventualità l'attacco sia in proc into di irrompere lungo una via di facilitazione critica, la difesa, manovrando le riserve e i presidi dei caposaldi non impegnati e valendosi delle armi atomiche, deve tendere a bloccare ed eventualmente distruggere le penetrazioni a cavallo della via di facilitazione, ad intervenire contro le unità eliportate, ad agire contro le penetrazioni negli intervalli. La possibilità di reiterare la difesa in profondità e di compartimentare l'attacco, attivando le bretelle di raccordo della prima posizione con la seconda o allaccianti tra loro elementi della prima posizione, consente di non bruciare le riserve in reazioni di movimento difficili e premature e di demandare in caso di necessità alle posizioni successive la risoluzione della battaglia.
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6. Le pubblicazioni della serie 600 considerano la manovra in ritirata una particolare forma di azione difensiva alla quale, nell'ambiente atomico, è più frequente si possa e si debba ricorrere per riprendere o tutelare la propria libertà di azione minacciata o compromessa o per reiterare od iniziare la difesa ad oltranza con un rapporto di forze meno sfavorevole di quello iniziale e su terreno di propria scelta. L'impiego di armi atomiche e di forze corazzate rende conseguibile un logoramento ed un ritardo notevoli delle forze nemiche avanzanti. La monovra può assumere più forme 14 - delle quali la pubblicazione 600 dà le nuove definizioni - aventi a fattore comune l'azione ritardatrice, che può essere svolta mediante o la difesa a tempo determinato di una data posizione o la manovra ritardatrice (replica della difesa a tempo determinato su successive posizioni intermedie e azione di logoramento e ritardo negli spazi interposti). La manovra in ritirata, sia sotto fonna di manovra di ripiegamento sia di azione ritardatrice, si svolge di per sé in situazione di soggezione strategica e tattica di predominio aereo nemico o addirittura di chiara inferiorità aerea del difensore e in situazione sempre p sicologicamente difficile. È decisa, di solito, dal comando dell'armata e in tale quadro comprende le operazioni aeroterrestri tendenti a logorare e ritardare i grossi nemici, garantire la sicurezza a tergo delle forze a contatto, soddisfare i bisogni logistici. In territorio nazionale coinvolge le popolazioni civili e spesso coincide con il loro esodo, il quale può influenzare le previsioni d'impiego delle armi atomiche. Essa va prevista nelle sue linee generali sulla base di più ipotesi. organizzata, predisposta e a mano a mano adeguata allo sviluppo della situazione. Il logoramento ed il ritardo dei grossi nemici è ottenuto con il ricorso combinato al fuoco aereo e dei missili (convenzionale ed atomico) sviluppato in profondità, alle demolizioni strategiche integrate da altri ostacoli, ad azioni sulle retrovie nemiche (guerriglieri isolati od inquadrati in formazioni, pattuglie di incursori del tipo commando, reparti lasciati in posto). La manovra di ripiegamento, a seguito di una difesa ad oltranza conclusasi con esito sfavorevole sulla prima posizione difensiva, si prefigge la sottrazione del grosso delle forze dal contatto del nemico e il logoramento ed il ritardo dell'avanzata nemica mediante un'azione ritardatrice, con appoggio atomico, svolta da unità preferibilmente corazzate costituenti la retroguardia. Il ripiegamento dei grossi si sviluppa attraverso l'abbandono della posizione ed il movimento
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retrogrado che si svolgono secondo i criteri e le modalità tradizionali. In successione: tamponamento delle brecce ed arresto del dilagamento del nemico; abbandono della posizione secondo un piano organico a partire dalle unità più arretrate; rottura del contatto da parte delle unità avanzate; movimento retrogrado eseguito per elementi misti (gruppi tattici), contenuto nell'arco notturno: aliquote di artiglieria, carri, unità del genio pionieri operanti durante il ripiegamento dei grossi per alleggerire la pressione del nemico, specie nella fase di rottura del contatto, mediante fuoco, puntate offensive, attivazione delle interruzioni, predisposizione di ostacoli in profondità. L'azione ritardatrice è diretta contro gli elementi di testa del dispositivo nemico ed è tanto più redditizia quanto più profondo è lo spazio di cui può valersi. La scelta di una delle due forme, difesa a tempo determinato di una posizione o manovra ritardatrice, è funzione della situazione e delle caratteristiche del terreno; nell'ambito della divisione, la coesistenza delle due forme, che è possibile ma non frequente nell'ambito del corpo d'armata . e dell'armata, è da escludere. Sul piano logistico s'impongono due contrastanti esigenze: dare o lasciare alle truppe i mezzi essenziali di lotta e recuperare o distruggere tempestivamente il resto; criterio fondamentale è quello di alleggerire da ogni preoccupazione logistica le unità a contatto che devono potersi dedicare interamente all'azione tattica. Particolarmente adatte all'azione ritardatrice sono le unità corazzate, ma in loro mancanza possono essere impiegate unità di fanteria che ricorrono a procedimenti diversi da quelli delle unità corazzate. Una divisione di fanteria opera orientativamente in un settore dell'ampiezza massima di 30 -:- 35 chilometri. La difesa a tempo determinato di una posizione sta a fattore comune di ambedue le forme dell'azione ritardatrice. Il tempo da guadagnare in corrispondenza di una posizione intermedia è fissato di massima dal comando responsabile dell'esecuzione dell'azione ritardatrice, su11a base del tempo globale imposto dal comando superiore. Nella difesa a tempo determinato di una posizione, la divisione di fante ria articola le proprie forze in scaglione ritardatore e scaglione di arresto: il primo, per l'azione dinamica sul davanti della posizione intermedia, costituito dal battaglione esplorante divisionale, rinforzato, se necessario, con una o più compagnie meccanizzate o con artiglieria da campagna semovente; il secondo, per la difesa a tempo determinato della posizione, comprende la massa delle forze il cui schieramento è
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caratterizzato da: caposaldi di compagnia e di plotone cooperanti o non secondo il terreno e la disponibilità delle forze; è caratterizzato da gravitazione sulle vie di facilitazione, proiezione in avanti dei mezzi di fuoco nell'ambito dei singoli caposaldi, rincalzi di battaglione costituiti dalle compagnie meccanizzate, raggruppamento corazzato in riserva, articolato in gruppi tattici. La condotta della difesa è basata su: azione informativa, di logoramento, di ritardo e di sicurezza svolta dallo scaglione ritardatore; azione di fuoco dello scaglione di arresto, iniziata dalle maggiori distanze e valorizzata da interruzioni e ostacoli; reazioni di movimento minute ed immediate; intervento delle riserve per fronteggiare una improvvisa rottura (specie se operata con armi atomiche), per bloccare eventuali attacchi attraverso le cortine, per facilitare lo sganciamento delle unità in linea; rottura del contatto_ La manovra ritardatrice consiste nella reiterazione della difesa a tempo determinato su più posizioni intermedie e nell'azione di logoramento esercitata negli spazi interposti_ Il numero delle posizioni intermedie è funzione della profondità dello spazio disponibile, della distanza tra le singole posizioni - che deve essere tale da lasciare sufficiente respiro all'azione dello scaglione ritardatore e da costringere il nemico a montare due distinti attacchi - delle caratteristiche del terreno e, soprattutto, della presenza di importanti ostacoli naturali nonché del tipo, qualità e quantità delle forze contrapposte. Anche l'importanza relativa da attribuire alle posizioni intermedie ed all'azione negli spazi interposti dipende dagli stessi fattori o da fattori analoghi, tenuto presente che contro nemico prevalentemente corazzato si accentua la funzione dello scaglione ritardatore e che se il terreno offre posizioni particolarmente forti si fa maggiore affidamento sull'azione dello scaglione di arresto. È normale il caso di un unico scaglione di arresto che replichi la difesa su tutte le posizioni intermedie, mentre è eccezionale il caso che la divisione di fanteria costituisca due aliquote che si avvicendino nella difesa delle posizioni intermedie. Il reggimento corazzato, qualora impiegato come riserva - eventualmente frazionata ed in parte decentrata - ripete su ogni posizione l'adempimento dello stesso compito, ma può soddisfare anche, con parte delle proprie forze, le esigenze di rinforzare lo scaglione ritardatore e di integrare, con aliquote di fanteria meccanizzata, la difesa statica della posizione intermedia. Nella difesa in montagna, la manovra di ripiegamento può interessare tutta o parte di una posizione difensiva. Di massima,
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per ogni settore di brigata si costituisce una retroguardia con unità corazzate, rinforzata con unità alpine tratte dalle riserve di brigata o da quelle di ordine superiore. L'azione si svolge prevalentemente a cavaliere delle vie di facilitazione. La retroguardia si articola in scaglione di arresto e scaglione ritardatore (o pattuglie ritardatrici, trattasi di complessi dell'ordine del gruppo tattico). Le armi atomiche sono impiegate su obiettivi remunerativi, specie avanti le posizioni intermedie, per sbarrare direttrici pericolose (mina atomica o altri ordigni fatti esplodere sottoterra) e per l'interdizione in profondità.
7. L'azione offensiva è influenzata direttamente dall'impiego delle a rmi atomiche e dal tipo dell'azione difensiva che deve affrontare. Le armi atomiche consentono di paralizzare istantaneamente la capacità combattiva della difesa e di aprire brecce sì da rendere possibile la rottura e la penetrazione in profondità con le stesse grandi unità di prima schiera, riducendo· così al minimo gli scavalcamenti, sempreché gli effetti delle esplosioni vengano sfruttati tempestivamente e si sia in grado di fare fronte a ll'eventualità che gli effetti stessi siano inferiori a quelli previsti. Il binomio armi atomiche-unità corazzate costituisce perciò un compleSio di rilevante potere offensivo, atto a rompere ed irrompere in profondità. Ma, contro posizioni difensive saldamente organizzate e su terreni che non consentano l'impiego di grandi unità corazzate - stante anche la disponibilità affidabile di armi atomiche - la rottura va di massima affidata a grandi unità di fanteria. Per irrompere in profondità occorre aprire brecce di notevole ampiezza e per ottenerle occorre impiegare un considerevole numero di ordigni atomici al fine di conquistare il predominio atomico, sia pure locale e temporaneo, paralizzare gran parte degli elementi statici nei settori di rottura, intervenire su riserve e su altri obiettivi accertati. In situazione di limitata disponibilità di ordigni atomici è, perciò, necessario gravitare col fuoco atomico a favore degli sforzi principali e basare gli sforzi sussidiari sull'impiego di mezzi prevalentemente convenzionali. Le armi a tomiche consentono d'incrementare decisamente la capacità offensiva di una grande unità, o di un complesso tattico, per cui: la capacità offensiva, valutata in termini di penetrazione in profondità, varia entro limiti molto ampi; lo sforzo princi-
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pale non s'identifica necessariamente con il complesso tattico più consistente; le possibilità di spostare rapidamente l'asse dello sforzo principale sono assai maggiori che nell'ambiente convenzionale. In ambiente atomico, l' attacco deve: utilizzare preferibilmente vie tattiche che incidano sul tergo e sul fianco del nemico nelle azioni eseguite con mezzi convenzionali e sfruttare di massima vie tattiche che adducano direttamente all'obiettivo nelle azioni svolte a diretto sfruttamento di esplosioni atomiche. L'altro elemento che influenza l'azione offensiva è la concezione, l'organizzazione e la condotta della difesa, le quali è possibile siano improntate a criteri e modalità diversi, riconducibili tuttavia a due carratteristiche essenziali: notevole profondità, elevata reattività basata sul binomio unità corazzate · armi atomiche. La concezione e l'organizzazione della difesa sulle posizioni presentano peraltro notevoli differenze, ma hanno in comune profonde avanstrutture di sicurezza e si distinguono quanto a struttura delle posizioni in: a caposaldi non cooperanti, disposti su più ordini e con presidi manovrabili, con i compiti di logorare, canalizzare, arrestare in profondità l'attacco e di contrattaccare possibilmente con il sostegno di armi atomiche; a sistema di più ordini di piccoli caposaldi cooperanti appoggiati ad ostacoli continui con compiti di arresto e di appoggio al contrattacco, da eseguire di norma a seguito di esplosioni atomiche; a dispositivo lineare di forze mobili appoggiate ad un ostacolo naturale con i compiti di impedire le infiltrazioni e di mantenere il contatto in caso di attacco in forze in attesa dell'intervento delle armi . atomiche e delle riserve, sulle quali è impostata la difesa (difesa manovrata). La visione generale dell'azione offensiva superiorità di forze e di fuoco. predominio atomico, settori di rottura preferibilmente a cavaliere di direttrici operative atte a facilitare l'accerchiamento e la distruzione delle forze in difesa, rottura della posizione difensiva tendendo a distruggere sugli assi· degli sforzi principali le riserve nemiche delle grandi unità in prima schiera ed a fissare le riserve di primo intervento sugli assi di sforzo sussidiario, attacco spinto fin dall'inizio in profondità in modo da distruggere o quanto meno ostacolare le riserve dislocate in profondità con fuoco atomico e con aviosbarchi - non varia sostanzialmente in relazione ai diversi tipi di difesa. Questi impongono soltanto l'a dozione di procedimenti particola ri, intesi a m eglio s fruttare i punti deboli presentati da ciascun tipo. L'attacco deve essere informato, come per il passato. al principio della concentrazione degli s forzi; in ciascuna azione manovrata deve essere fissato
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un centro di gravità dell'attacco sul quale deve incidere lo sforzo principale; l'elemento detenninante di ogni concezione offensiva o difensiva resta l'adempimento del compito; il diradamento non deve compromettere la capacità di manovra. La variabilità dei caratteri dell'attacco in ambiente atomico impone di uniformare la nomenclatura dei complessi tattici nei quali la divisione si articola e di lasciare ampia libertà nella costituzione e nei procedimenti di azione di tali complessi: la divisione in attacco si articola sempre in raggruppamenti e questi in gruppi tattici 15. L'elevata reattività della difesa richiede di contemperare la necessità della rapidità della penetrazione con quella della sicurezza e, pertanto, conquistato un obiettivo: se possibile e conveniente, si procede in profondità; se necessario, si attua il consolidamento che, comunque, deve essere predisposto. Il ritmo serrato della battaglia impone, inoltre, specie ai comandi di grandi unità di ordine superiore, d'impostare la loro azione di comando in modo che, in ogni momento della battaglia, si conduca la fase in atto, si organizzi la fase imminente, si concepisca quella futura. Per ottenere ciò sono necessarie l'informazione, l 'organizzazione dei collegamenti, l'organizzazione del comando, funzionanti con continuità. L 'impiego del fuoco deve essere nei limiti del possibile pianificato, ma con un notevole grado di flessibilità. Le caratteristice salienti dell'azione offensiva sono, in conclusione: sorpresa e rapidità di penetrazione (conquista della superiorità atomica locale; rapida rottura della prima posizione affidata a grandi unità corazzate, con largo appoggio atomico, lungo gli assi degli sforzi principali oppure a grandi unità di fanteria qualora il terreno e la consistenza delle difese nemiche non consentano l'impiego di grandi unità corazzate con limitato o senza appoggio atomico, lungo gli assi degli sforzi sussidiari; esecuzione di aviosbarchi ed eventualmente di sbarchi dal mare; prosecuzione dell'azione in profondità con le stesse grandi unità che hanno effettuato la rottura); manovra, svolta nell'ambito delle grandi unità complesse, delle divisioni e dei raggruppamenti tattici (concentrazione degli sforzi, spostamento eventuale del centro di gravità dell'attacco, investimento del dispositivo nemico sul fianco o sul tergo); sicurezza (concentrazione dei dispositivi nella misura e per il tempo minimi imposti dal compito; ricerca della protezione nella celerità dell'azione e nell'interramento; misure per fronteggiare le reazioni di movimento contemperate con quelle della rapidità di progressione). In ambiente convenzionale, i procedimenti offensivi non subiscono varianti sostanziali: l'azione diviene più sistematica, la
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rottura è affidata alle divisioni di fanteria mentre le divisioni corazzate hanno il compito di . sfruttare il successo, il fuoco convenzionale va concentrato nei settori di rottura anche a scapito degli altri settori. La nuova struttura organica dei reparti ed il loro grado di meccanizzazione rappresentano, in fatto di volume di fuoco e di attitudine alla manovra, un netto miglioramento rispetto al passato e consentono di condurre in migliori condizioni e con maggiori probabilità di successo anche operazioni convenzionali. L'azione offensiva nell'ambito dell'armata passa generalmente attraverso due fasi principali: la ricerca e la presa di contatto e la battaglia offensiva. Scopo fondamentale è la distruzione delle forze ne miche. Nella prima fase - che può mancare se il contatto è già in atto - l'armata tende a stabilire il contatto con i grossi ne mici mediante uno scaglione composto prevalentemente di forze corazzate, di entità e costituzione variabili in relazione alla situazione. Tale scaglione si a rticola normalmente per corpo d'armata ed adempie il compito 11unnale di esplorazione tattica orientato, guidato e sostenuto dall'esplorazione ta ttica aerea. Lo scaglione di ricerca e p resa di conta tto h a una consistenza tale che lo metta in grado di aver ragione dello scaglione di presa di contatto e di ritardo avversario: di norma, un reggimento di cavalleria blindata, eventualmente rinforzato, sulla fronte di ogni corpo d'armata di prima schiera (eccezionalmente di un reggimento sulla fronte di una divisione come, ad esempio, nel caso di un'azione condotta lungo una direttrice eccentrica). La distanza tra il grosso dello scaglione e le retrostanti avanguardie deve garantire a queste ultime il tempo necessario per le misure da prendere in conseguenza delle notizie che riceve. Qualora, oltre il compito esplorativo, lo scaglione debba assicurare il possesso di posizioni p a rticolarmente importanti, esso viene rinforzato solo nel caso che la posizione sia già occupata dal nemico, anzi, in questo caso, lo scaglione può essere costituito, in tutto od in parte, da una divis ione corazzata che, se agisce riunita e la sua azione interessa più di un corpo d 'armata, può essere tenuta alle dipendenze dirette del comando dell'armata. Dal momento in cui lo scaglione inizia la sua attività, le grandi unità di prima schiera adottano le misure di sicurezza (avanguardia e, se del caso, retroguardia e distaccamenti fiancheggianti) destinandovi forze variabili in relazione alla minaccia avversaria ed a l tipo della grande unità, disponenti comunque di una buona capacità di arresto controcarri, di reattività contro formazioni corazzate e di ampie possibilità .di continuità nel movimento.
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I grossi debbono essere in grado di intervenire in qualsiasi momento con azioni di forza ed a tale scopo la fronte di avanzata conserva la maggiore ampiezza consentita dalle esigenze del reciproco appoggio tra le grandi unità di prima schiera, mentre la profondità del dispositivo è la maggiore possibile, quando non si preveda la necessità di un'immediata entrata in azione, sì da consentire rapidi cambiamenti nella direzione generale del movimento e la tempestiva copertura dei fianchi. Allorché le grandi unità di prima schiera entrano nel raggio di azione delle forze terrestri convenzionali, ha inizio l'avvicinamento, fase che segna il trapasso da una situazione di movimento ad una di combattimento, caratterizzata da eventuale trasformazione del dispositivo, intensificazione delle predisposizioni operative, accentramento dell'azione. L'avvicinamento, previo scavalcamento dello scaglione di ricerca e presa di contatto da parte delle avanguardie ed attraverso i combattimenti preliminari, si conclude con la occupazione delle basi di partenza sulle 4uali la susta <leve essere ri<lotta al minimo indispensabile. Durante la ricerca e la presa di contatto, le armi atomiche trovano possibilità d'impiego meno frequenti e solo in particolari situazioni di favore, quale quella che potrebbe riuscire a creare lo scaglione di ricerca e di presa di contatto provocando la fom1azione di obiettivi nemici remunerativi. La battaglia offensiva è concepita, organizzata e condotta dall'armata entro il rispettivo settore sulla base del compito ricevuto dal comando superiore che si concreta di norma in un obiettivo situato al di là della ultima posizione difensiva predisposta dall'avversario nell'area della battaglia. Il comandante dell'armata concepisce la battaglia definendo: fronte di attacco, generalmente molto ampia, sforzi principali tendenti a determinare settori di rottura nella prima posizione difensiva ed a penetrare lungo le direttrici operative di maggiore rendimento, sforzi ed azioni sussidiari tendenti a conquistare obiettivi in sistema con quelli degli sforzi principali e ad attrarre od almeno trattenere aliquote di forze avversarie, prosecuzione in profondità degli sforzi principali per la distruzione delle riserve nemiche di ordine superiore e per il raggiungimento dell' obiettivo strategico, azione di accerchiamento e di eliminazione delle forze nemiche superstiti. Il comando dell'armata valuta gli sforzi in termini di armi atomiche, di divisioni, di brigate e di supporti; si avvale dei comandi di corpo d'armata essenzialmente come organi per il coordinamento e la demoltiplicazione del comando; sviluppa in genere due sforzi principali, più o
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meno ampiamente intervallati, ma di norma convergenti in profondità; affida a divisioni di fanteria e/o brigate azioni e sforzi sussidiari strettamente commessi nel tempo e nello spazio con gli sforzi principali a favore dei quali gravita la massa del fuoco atomico; se il terreno lo consente, impiega normalmente negli sforzi principali divisioni corazzate, e, quando possibile, accompagna gli sforzi principali con aviosbarchi in profondità. Condizioni di successo: la neutralizzazione delle sorgenti nemiche di fuoco atomico, l'appoggio di un adeguato numero d'interventi atomici a favore delle grandi unità di rottura, la distruzione o quanto meno la neutralizzazione delle riserve dislocate in profondità mediante fuoco atomico e aviosbarchi, la superiorità in forze necessaria all'alimentazione in profondità, malgrado le perdite subibili per effetto de lla reazione atomica nemica. Le forze dell'armata vengono articolate in: corpi d'armata di prima schiera (divisioni di prima schiera, divisioni di seconda schiera, unità di s upporto non <lcccntrate), grandi unità in riserva di armala, unità di supporto di armata non decentrate. I corpi d'armata di prima schiera iniziano la battaglia e la conducono almeno fino al conseguimento de lla rottura della posizione difensiva nemica e, conseguentemente, devono scardinare l'organizzazione difensiva creandovi un sellorc di rottura, irrompere attraverso la breccia o le brecce per distruggere le riserve delle grandi unità nemiche di prima schiera, proseguire e dilagare in profondità oppure accerchiare ed eliminare i tronconi superstiti della difesa. Ad ogni corpo d'armata in prima schiera sono assegnati inizialmente: settore di azione, obiettivo di attacco, uno o più obiettivi eventuali, una direttrice operativa, eventualmente una o più direttrici di attacco. Il corpo d'armata investe una fronte più ampia del settore di rottura, ma concentra su di questo i propri sforzi coordinandoli nel tempo e ne llo spazio, impiega il fuoco convenzionale a maggiore gittata, indirizza il concorso aereo, risolve l'azione, quando necessario, mediante l'impiego delle riserve. Il fuoco atomico viene prevalentemente impiegato contro obiettivi che incidano sul centro di gravità dell'attacco. Le divisioni di prima schiera sono lanciate, sin dall'inizio, su obiettivi situati a notevole profondità, particolarmente quelle incaricate dello sforzo principale, le quali sfruttano il largo concorso delle armi atomiche per penetrare, irrompere a tergo della posizione difensiva nemica, distruggere le riserve di primo intervento, proseguire in profondità; le divisioni incaricate di azioni e sforzi sussidiari operano con maggiore sistematicità, fissano e, se possi-
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bile, distruggono le riserve di primo intervento, possono successivamente o concorrere alla distruzione delle forze superstiti nemiche o proseguire nell'azione in profondità. Le divisioni di seconda schiera sono di norma impiegate per alimentare lo sforzo di rottura e l'azione in profondità e per concorrere all'accerchiamento ed alla eliminazione dei tronconi congiuntamente con le divisioni di prima schiera incaricate delle azioni e degli sforzi sussidiari. Realizzata la rottura, l'armata rimaneggia il dispositivo in modo da condurre contemporaneamente sia lo sfruttamento del successo, sia l'eliminazione dei tronconi. Le grandi unità della riserva di armata possono essere impiegate o per rinforzare ed estendere il dilagamento in profondità o per concorrere all'accerchiamento dei tronconi. Le grandi unità che sfruttano il successo penetrano il p1u celermente e profondamente possibile lungo le vie di minore resistenza in direzione dell'obiettivo s trategico dell'armata; inseguono il nemico se manovra in ritirata tendendo a superare i grossi in ripiegamento ed a bloccare i punti di obbligato passaggio; sono sostenute dal fuoco atomico diretto contro le riserve superstiti o le maggiori resistenze che si oppongano alla celere penetrazione in profondità; agiscono costantemente con ritmo serrato, con decisione e con audacia; rompono di slancio con l'appoggio atomico le eventuali posizioni difensive tenute da retroguardie o imbastite in profondità oppure le superano con manovre avvolgenti od accerchianti; godono, di massima, di notevole concorso aereo in sincronia e convergenza con le azioni terrestri con le quali ultime sono coordinati anche gli aviosbarchi e gli eventuali sbarchi dal mare eseguiti n elle zone sensibili dell'area della battaglia e, in un quadro superiore, al di là di questa; vengono alimentate logisticamente anche mediante trasporti e rifornimenti aerei, specie per quanto riguarda il rifornimento dei carburanti, mentre si provvede al celere ripristino delle vie di comunicazione lungo gli assi di avanzata sconvolti, almeno in parte, dalle esplosioni atomiche. Contemporaneamente allo sfruttamento del successo, le grandi unità che hanno sviluppato le azioni e gli sforzi sussidiari mantengono impegnato il nemico, mentre forze precedentemente in seconda schiera od in riserva di armata irrompono attraverso le brecce per eliminare ogni residua resistenza nelle brecce stesse, accerchiare i tronconi e attaccarli sui fianchi o sul tergo, facendo in modo che il nemico non possa recidere alla base la penetrazione o, quando accerchiato, non rompa l'accerchiamento con sforzi coordi-
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nati dall'interno e dall'esterno della sacca. Le forze destinate all'accerchiamento assumono inizialmente uno schieramento molto ampio, che riducono a mano a mano che s'inseriscono nuove forze, idoneo al contenimento ed all'arresto; poi trasformano il loro dispositivo da difensivo in offensivo per distruggere, con l'eventuale appoggio di armi atomiche, le forze nemiche isolate. Qualora il nemico riesca a parare la manovra dell'attacco e ad arrestare la penetrazione in corrispondenza di una nuova posizione difensiva predisposta in profondità, l'armata è costretta ad una pausa più o meno lunga per rimaneggiare il dispositivo, riordinare e far serrare sotto le forze e riprendere poi l'azione con criteri e procedimenti analoghi. Tali lineamenti della battaglia offensiva non mutano nella loro essenza contro una difesa manovrata appoggiata o non ad un ostacolo naturale. La fase di rottura si riduce notevolmente e può anche mancare e, di conseguenza, l'armala impiega in prima schiera una più elevata perce ntuale di grandi unità corazzate. Nelle grandi unità di fanteria i complessi corazzati gravitano verso la testa dei dispositivi. Se la difesa è appoggiata ad un ostacolo, primo atto della battaglia è il forzamento dell'ostacolo, attuato su fronte il più possibile ampia. Le grandi unità di prima schiera tendono anche in questo caso alJa distruzione delle riserve nemiche ed a tale scopo sviluppano l'attacco su ampia fronte, con dispositivi notevolmente diradati e te ndono a porre l'avversario di fronte all'alternativa di concentrarsi per conseguire la superiorità in determinati punti , esponendosi così all'offesa atomica e ad una convergenza di sforzi dell'attacco, oppure di tentare di fronteggiare tutte le minacce e trovarsi perciò dovunque in condizioni d'inferiorità.
La divisione di fanteria nella fase di ricerca e presa di contatto: muove nell'ambiente di chiarificazione creato dall'esplorazione tattica aerea e da quella terrestre svolte e coordinate al livello di corpo d'armata; adotta misure di protezione rispetto alle offese terrestri mediante un'adeguata articolazione del grosso delle forze in raggruppamenti tattici, e questi in gruppi tattici, in rapporto di distanza suggeriti dalle esigenze di reciproco appoggio e dalla sicurezza atomica e mediante dispositivi di sicurezza (di norma, l'avanguardia; eventualmente, distaccamenti fiancheggianti, elementi di retroguardia); con il diminuire della distanza, i raggruppamenti tattici in primo scaglione articolano le forze secondo il concetto di azione del comandante per l'attacco, dando così inizio all'avvicinamento che non deve però provocare sensibili rallentamenti al movimento; la divisione poi, :.t: necessario, impegna i
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combattimenti preliminari, per assicurarsi le basi di partenza per l'attacco, a d opera delle avanguardie dei raggruppamenti in primo scaglione; raggiunge con i raggruppamenti in primo scaglione le basi di partenza ponendo fine all'avvicinamento. Durante il movimento l'avanguardia - di consistenza variabile da 1/6 ad 1/3 della forza dell'unità che la distacca - regola la sua progressione su quella del grosso ad una dis tanza orientativa da questo di 15-;- 20 chilometri. Le divisioni di fanteria nell'attacco contro una posizione difensiva a caposaldi non coperanti può essere impiegata, nel quadro de lla manovra di una grande unità di ordine superiore, per eseguire uno sforza principale oppure uno sforza secondario. Nel primo caso, le viene assicurato un quadro di accentuato predominio atomico a cura dei comandi di ordine s upe riore ed assegnato un adeguato numero di interventi atomici da utilizzare in appoggio all'azione divisionale; nel secondo caso, opera con limitato o senza appoggio atomico. La divis ione ha di norma il compito <li: rompere e pen etrare in profondità fino a distruggere , in concorso con altre grand i unità, le riserve nemiche d elle grandi unità di prima schiera, se impiegata lungo l'asse di s forzo principale; rompere e penetrare in profondità s ino a fissare e se possibile distruggere le riserve nemiche di primo intervento, se impiegata lungo un asse di sforzo sussidiario. Il compito è materializzato da un obiettivo che comporti: nel primo caso, la distruzione delle riserve delle grandi unità di prima schiera o la manovra in ritirata del nemico; nel secondo caso, induca l'avversario ad impiegare le rise rve di primo intervento per il contrattacco o per il contenimento o almeno a non spostarle a favore di settori più minaccia ti. La divi sione riceve ini zialmente in assegnazione: un obiettivo di attacco ed un obiettivo eventuale; un settore di azione ampio 10-15 chilometri (da to largamente orientativo); eventualmente una o più direttrici di attacco per assicurare il coordina mento nel qua dro della manovra a l livello supe riore; azione durante, in situazione favorevol e, un obiettivo successivo assegnatole tempestivamente per estende re la sua azione in profondità. La divisione attacca normalmente sviluppando uno sforzo principale ed uno sussidiario, eventualmente solo uno sforzo principale, eccezionalmente uno sforzo principale e due sussidiari. Avanza mediante un complesso di azioni manovrate coordinate, tendenti a penetrare in profondità, per quanto possibile, rapidamente concentrando e polarizzando gli sforzi a favore del centro di gravità dell'attacco, svolte a cavaliere di una o più direttrici di
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attacco che consentano la combinazione degli sfor zi ed il raggiungimento di obie ttivi tatticamente conness i, basa te sulla rapidità di attacchi prevalentemente frontali a seguito di esplosioni atomiche oppure sulla convergenza di sforzi convenzionali partenti da ampie fronti e tende nti ad inc idere sul fianco o sul tergo dell'obiettivo, concluse se necessario con il consolidamento. La divi s ione attacca normalmente con un dispositivo comprendente due raggruppamenti in primo scaglione ed uno in riserva, oppure tre raggruppamenti in colonna, eccezionalmente tre raggruppamenti in primo scaglione. Il raggruppamento può articolarsi in due gruppi tattici in primo scaglione e in una riserva (uno o più gruppi tattici scaglio nati o non in profondità, oppure in due o tre gruppi tattici uno dietro l'altro, oppure eccezion alme nte in tre gruppi tattici in primo scaglione e riserva). La fronte e la profondità di ciascun gruppo tattico variano con il di spositivo adottato: orientativamente per il g ruppo tattico di fanteria la fronte è di J ..;- 2 km e la profondità di 1,5..;...2 Km; per il gruppo tattico corazzato la fronte e la prodondità sono di 1,5 + 2 Km; gli intervalli e le distanze tra i gruppi tattici non devono, finché poss ibile, essere inferiori ai 3 Km per le unità di fanteria ed a 1,5 Km pe r le unità corazzate. Qua lora l'adempimento del compito imponga di scendere al di sotto di ta li valori di dista n za e di interva llo, occorre ridurre al minimo il tempo in cui si opera con il dispositivo addensato. Al raggruppame nto tattico sono di norma assegnati: obieLtivo di allacco, obiettivo eventuale c he può coincidere con parte dell'obiettivo divisionale, direzione di attacco e sellare
di azione, posizione di attesa, base di partenza, linee di riferimento per l'aLtacco; possono, inoltre, essere eventualmente stabiliti dal comando superiore: numero dei gruppi tattic i in primo scaglione, tempi d ell'azione e pos izioni sulle quali concludere le varie fasi, una o più linee di a ttestamento per coordinare il movimento con il fuoco di artiglieria convenzionale e con gli interventi a tomici predisposti a richies ta s u obiettivi in profondità. Al gruppo tattico di fan teria sono di nonna assegnati: obiettivo d'attacco ed obiettivo eventuale, direzione di attacco ed eventualmente settore di azione,
posizione di allesa, base di partenza e linea di riferimento per l'attacco, eventualmente una o più linee di attestamento. Alla riserva, c he ha il compito di sfruttare i ri sulta ti d e i raggruppamenti in primo scaglione e d'intervenire contro consis te nti r eazioni di movim en to n e mic he, il comandante della divi sione indica inizia lmente: orientamento d'impiego, zona di dislocazione iniziale, itinerari di movimentu. Il battaglione esplorante divisionale è impie-
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gato, di norma, quale gruppo tattico alle dirette dipendenze del comando della divisione: nel corso dell'organizzazione, in cooperazione od in sostituzione del dispos itivo di sicurezza, per costituire uno schermo a copertura del dispositivo divisionale oppure per il controllo degli intervalli; durante l'attacco, per la protezione dei fianchi esposti o per ristabilire e mantene re il contatto qualora il nemico ripieghi. Può essere assegnato temporaneamente alla riserva, ad un raggruppamento tattico di fanteria come gruppo tattico per sfruttare una esplosione atomica, proteggere un fianco. Elementi del successo della divisione sono: la organizzazione delle basi di partenza, la cui definizione spetta al comandante della divisione come quella riguardante l'ora d'inizio dell'attacco (che può essere dive rsa per i diversi complessi in primo scaglione) e l'ora in cui gli e lementi avanzati debbono superare la linea di riferimento per l'attacco; la netta superiorità di fuoco (di massima, la divisione in attacco dispone di interventi atomici assegnati dai comandi superiori, di fuoco convenziona le e rogato dai mezzi organici e di rinforzo oppure ricevuto sotto forma di concorso, eventualmente di fuoco convenzionale erogato da mezzi aerei); il coordinamento tra fuoco manovrato e movimento e tra fuoco convenzionale ed atomico; il superamento dei campi minati dei quali non sia prevista la distruzione mediante esplosioni atomiche (attività informativa, ricognizioni, apertura dei varchi da attuare possibilmente durante la preparazione). L'esecuzione e la condotta dell'attacco si inseriscono in una cornice di sicurezza ottenuta con misure dirette a proteggere la sosta più breve possibile sulla posizione di attesa e sulla base di partenza, con il raggiungimento delle zone di schieramento preferibilmente di notte, con la flessibilità e robustezza del dispositivo (scaglionamento in profondità e disponibilità di unità corazzate), con l'impiego del fuoco (convezionale ed atomico), con la sorveglianza (pattugliamento, osservazione terrestre ed aerea locale degli intervalli e dei fianchi esposti), con l'eventuale impiego di gruppi mobili di arresto, con il consolidamento sugli obiettivi raggiunti, che è necessario attuare di volta in volta, a meno che l'attacco non assuma il carattere di rapida penetrazione a seguito di interventi atomici. Nella maggioranza dei casi la sicurezza è garantita dalla rapidità di penetrazione, ottenuta concentrando gli sforzi a favore del centro di gravità dell'attacco. La preparazione ha inizio con gli eventuali interventi atomici sugli elementi statici dell'organizzazione difensiva avversaria; perché l'inizio dell'attacco è per lo più diverso per i vari settori, il fuoco si sviluppa con
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carattere di preparazione in qualche settore, con carattere d'interdizione, di appoggio e contromortai in altri. Per la maggior parte trattasi di fuoco pianificato con tiri predisposti ad orario o a richiesta. Iniziato l'attacco, la divisione ed i raggruppamenti tattici nei quali essa si articola agiscono soprattutto per manovra che ha complessità e ritmo variabili entro ampi limiti, assumendo forma spedita e rapida dove appoggiata da armi atomiche e forma complessa e sistematica dove la penetrazione deve avvenire con mezzi prevalentemente convenzionali. L'azione contro elementi difensivi statici a seguito di interventi atomici persegue la conquista delle posizioni fondamentali per la manovra divisionale ed eventualmente per quella del corpo d'armata e sfrutta con immediatezza l'effetto delle esplosioni atomiche per le vie tattiche dirette, anche se comportino l'investimento frontale, mediante l'impiego di unità corazzate (dove e se possibile) o di fanteria meccanizzata in testa al dispositivo; l'azione contro elementi statici condotta con soli mezzi convenzionali deve, invece, realizzare una concentrazione di potenza offensiva atta ad assicurare la conquista dell'obiettivo (anche se ciò comporti rischi connessi alla possibile reazione atomica nemica) e sfruttare gli spazi vuoti ed eventualmente le brecce aperte nei settori laterali per condurre sforzi convergenti sull'obiettivo e sfruttare preferibilmente vie tattiche che incidano sul fianco e sul tergo degli elementi della difesa nemica. Durante l'attacco, il comandante della divisione polarizza l'azione sul centro di gravità dell'attacco e la conduce mediante il coordinamento diretto ad assicurare, nel tempo e nello spazio, l'armonia di azione, l'erogazione del fuoco convenzionale ed atomico, l'impiego della riserva. Fuoco atomico e riserva sono gli strumenti decisivi del comandante della divisione; talvolta il solo impiego del fuoco atomico può essere sufficiente per dare impulso alla penetrazione, spostando se necessario l'asse dello sforzo principale. Eventuali combinazioni manovrate tra i raggruppamenti tattici in primo scaglione possono venire attuate per realizzare la convergenza degli sforzi sul centro di gravità dell'attacco, mutare se del caso l'asse di sforzo principale a favore della direzione rivelatasi più redditizia, accelerare il ritmo dell'avanzata, mantenere in ogni ·momento il dispositivo nelle migliori condizioni per opporsi alle reazioni di movimento. In particolare, di elevato rendimento tattico risultano le manovre laterali tendenti a colpire sul fianco e sul tergo, con una aliquota di forze di un raggruppamento tattico, l'obiettivo attaccato da un altro raggruppamento.
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Alla riserva il comandante della divisione fa ricorso essenzialmente per agire contro le riserve nemiche con lo scopo di distruggede o di pararne i contrattacchi. La riserva divisionale incontra di massima le riserve nemiche quando essa ha conquistato posizioni in profondità che sfrutta come perni di manovra per svolgere l'attacco o per contromanovrare. Qualora l'attacco venga eseguito con appoggio di armi atomiche, la divisione deve disporre di a lmeno un intervento atomico per assicurarsi la superiorità locale; in caso diverso, l'attacco deve essere appoggiato con tutto il fuoco convenzionale disponibile. Distrutte le riserve nemiche, la riserva divisionale raggiunge l'obiettivo di attacco oppure l 'obiettivo eventuale oppure, in caso favorevole, un obiettivo successivo ancora più in profondità. L'impiego della riserva deve avere in ogni caso carattere unitario. In un quadro più ristretto, i comandanti dei raggruppamen ti in primo scaglione informano la condotta della rispettiva azione a criteri analoghi a quelli indicati per l'azione divisionale. La divisione di fanteria nell'attacco contro posizione difensiva a piccoli caposaldi cooperanti è avvantaggiata nelle azioni convenzionali manovrate e di rottura ed è svantaggiata in quelle dell'impiego delle armi atomiche sui caposaldi, per cui l'azione convenzionale risulta meno onerosa per eliminare caposaldi ed aprire così od allargare brecce e più dispendiosa quella atomica. L'azione dei raggruppamenti in primo scaglione nell'apertura o nell'ampliamento delle brecce presenta, rispetto all'attacco contro posizioni difensive a caposaldi non cooperanti, una differenza: la manovra di rottura può essere basata sull'azione di più gruppi tattici che attacchino notevolmente intervallati e distruggano, a seguito o non di esplosioni atomiche, i piccoli caposaldi e sulla successiva eliminazione degli elementi intermedi a cura delle riserve di raggruppamento ed eccezion almente della riserva divisionale. La divisione di fanteria nell'attacco contro difesa manovrata che si basa essenzialmente sul trinomio ostacolo-dispositivo mobile di vigilanza-armi atomiche, sulla manovra e che ogni qualvolta possibile si appoggia sul davanti ad un ostacolo naturale - affronta una fase di rottura meno onerosa, vantaggio peraltro parzialmente annullato dalla necessità di forzare l 'ostacolo, quando questo esista. La divisione: forza l'ostacolo, preferibilmente di notte, con l'eventuale concorso di aviosbarchi e di elisbarchi; elimina il dispositivo di vigilanza mediante manovre laterali tra le varie teste di ponte; penetra in profondità su ampia fronte, con dispositivo diradato, ma atto a consentire la tempestiva convergenza degli sforzi contro le
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riserve nemiche e la copertura <la eventuali reazioni sui fianchi. Dispositivo per il forzamento: molto ampio, poco profondo (di massima due raggruppamenti tattici in primo scaglione, con tutti i gruppi tattici in primo scaglione, riserva); dispositivo per la penetrazione in profondità: raggruppamento corazzato in testa o, quanto meno, gravitante verso la testa, specie se l'azione sia appoggiata da armi atomiche e raggruppamenti di fanteria articolati, di norma, in due gruppi tattici in primo scaglione e riserva (gruppi tattici di fanteria con gli elementi meccanizzati di solito in testa). L'azione tende a fissare le riserve nemiche di primo intervento ed a conquistare obiettivi che costringano il nemico ad impegnare tali riserve. Se in testa al dispositivo agiscono i raggruppamenti di fante ria, nell'imminenza di un contrattacco nemico questi si arrestano e costituiscono perni temporanei di manovra, mentre il ragg ruppamento corazzato contromanovra. J,a divisione di fant eria di seconda schiera può elimina re resistenze residue in una breccia aperta dalle grandi unità di prima sc hiera, concorrere all'accerchiamento e all'eliminazione di tronconi, alimentare la battaglia. Nel primo caso: costituisce con il raggruppamento corazzato, ed eventualmente con le compag nie meccanizzate dei battaglioni di fanteria lanc iate al seguito delle unità di rottura, robusti posti di sbarramento per bloccare la ritirata del nemico e svincolare eventuali elementi delle grandi unità di prima schie ra dal controllo d e i fia nchi della breccia; procede successivamente con gruppi tattici di fanteria alla eliminazione delle resistenze nemiche ed al rastrellamento dell'intero settore; può essere successivamente impegnata nell'accerchiamento dei tronconi della posizione difensiva oppure proseguire in profondità al seguito delle grandi unità di prima schiera. Nel secondo caso, la divisione è di norma impiegata per isolare o concorrere a d isolare un robusto troncone della posizione stessa e per attaccare poi sul tergo o sul fianco le forze accerchiate. Di massima agisce: con gruppi tattici corazzati che muovono al seguito delle unità di prima schiera e bloccano le vie di ripiegame nto, sostituendo eventualmente complessi tattici delle grandi unità di prima schiera; con gruppi tattici di fanteria incaricati di presidiare, con piccoli caposaldi di plotone (al massimo di compagnia), con posti di sbarramento e con eventuali gruppi mobili di arresto, la fronte di accerchiamento, mentre i gruppi tattici corazzati passano in riserva settoriale pe r parare eventuali minacce dal tergo; eventualmente con il concorso di armi atomiche, per attaccare le forze accerchiate
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dopo averne ristretta la fronte ed essere passata dall'azione di arresto a quella di attacco. Qualora si voglia ottenere la resa per esaurimento, la divisione perfeziona lo schieramento difensivo già assunto accrescendone la profondità, dislocando posti di sbarramento ed eventuali caposaldi in profondità, raggruppando ed articolando opportunamente le riserve corazzate. Nel terzo caso alimentazione della battaglia - la divisione sostituisce o scavalca una grande unità di prima schiera, che abbia esaurita la propria capacità offensiva, assumendone integralmente i compiti e ricevendone largo concorso di fuoco durante lo scavalcamento.
8. L'azione offensiva urta anche in montagna contro difese profonde e reattive e conseguentemente, dovendo penetrare in profondità, occorre che si avvalga il più possibile di unità corazzate che hanno bisogno della libera dis ponibilità delle vie di facilitazione lungo le quali si sviluppano le comunicazioni. L'azione offensiva è, pertanto, guidata dalla imperiosa esigenza di sbloccare tali vie. Le posizioni chiave ùa conquistare sono quelle che interdicono direttamente le vie di facilitazione. L'attacco, costretto a diradare i dispositivi per la minaccia delle armi atomiche, per far valere la propria superiorità convenzionale deve correre inevitabilmente rischi. Esso deve realizzare, sia pure localme nte, la superiorità atomica, attivare tutte le possibili vie tattiche aumentando le fronti d'investimento, ricorrere ogni qualvolta possibile all'aggiramento verticale (elisbarco ed aviosbarco). I nuovi mezzi di lotta accentuano il carattere alpino delle operazioni in montagna, ma ciò non significa che si combatta per e sull'alto. Si combatte, invece, pe r e a cavaliere delle strade, sostenendo gli sforzi del basso con operazioni attraverso zone impervie e di aggiramento. Lungo le vie di facilitazione le armi atomiche sono validi strumenti di rottura se tempestivamente sfruttate nei loro effetti. In sostanza i lineamenti dell'attacco sono: acquisizione della superiorità di fuoco (atomico e convenzionale) e del predominio aereo, attacco affidato al binomio armi atomiche-unità corazzate, a cavaliere delle principali vie di facilitazione con il concorso delle unità alpine o da montagna dall'alto; attacco di unità alpine o da montagna prevalentemente convenzionale lungo le altre direzioni; aggiramenti verticali ed infiltrazioni attraverso le zone impervie per cadere sul tergo del
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nemico; fuoco d'interdizione atomico e convenzionale per paralizzare l'alimentazione tattico-logistica della difesa; sfruttamento del successo affidato prevalentemente ad unità corazzate e sviluppato a cavaliere delle direttrici servite da rotabili, col concorso di aggiramenti verticali; alimentazione assicurata utilizzando, finché possibile, anche i mezzi aerei. L'azione offensiva si esprime, in sostanza, con attacchi molto onerosi che richiedono una notevole superiorità di mezzi convenzionali e non convenzionali per cui l'attacco tende ad evitare la montagna per sforzi decisivi_
9. La novità dei criteri, dei procedimenti e del linguaggio ci hanno suggerito di trascrivere, più che riassumere, i testi delle principali pubblicazioni della serie 600, anche perché da queste trae origine e validità tutta la regolamentazione tattica successiva, fino ai nostri giorni, la quale altro non è che un adeguamento evolutivo alle nuove strategie dell'alleanza atlantica ed alla disponibilità attuale o potenziale di nuovi mezzi di azione. Dei contenuti della serie 600 abbiamo obliterato quelli aventi per oggetto l'impiego delle varie armi, delle forze aeree in campo tattico, del servizio informativo operativo (S.I.O.), i casi particolari (es. difesa appoggiata ad un corso d'acqua, difesa su fronte più ampia di quella normale, ecc.) che riassumiamo in nota 16 - per rendere meno pesante l'esposizione, volendo però nel contempo esaminare tutta la materia sommariamente ma compiutamente. Ciò consente al lettore un angolo visuale molto ampio che abbraccia tutte le novità della tattica atomica italiana della seconda metà degli anni cinquanta, una tattica che conserva molto di quella convenzionale del quinquennio precedente, ma che al tempo stesso contiene concetti, criteri, procedimenti, radicalmente innovatori se non, almeno alcuni, rivoluzionari. La nuova regolamentazione riguardante l'ambiente operativo atomico comprese anche la pubblicazione 650 della serie dottrinale Impiego tattico delle armi atomiche 17 edita nel 1957 e ristampata nel 1959. Delineate le caratteristiche d'impiego delle armi atomiche e le modalità per l'analisi dell'obiettivo atomico, la pubblicazione specifica i criteri d'impiego della nuova arma nell 'azione offensiva ed in quella difensiva e indica l'attività propria ·dei comandi di grandi unità circa la concezione e l'organizzazione degli interventi atomici ed il controllo degli effetti delle esplosioni.
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L'impiego delle armi atomiche nel campo tattico, in appoggio alle operazioni terrestri, viene esaminato in rapporto allo sviluppo de lle varie manovre secondo il criterio che offesa atomica e manovra debbono essere concepite congiuntamente per assicurarne la migliore armonizzazione: pertanto il Comando che concreta un intervento atomico deve fissare il concetto di azione e specificare compiti e tempi di esecuzione. Nell'azione offensiva - viene chiai-ito - le armi atomiche trovano redditizio impiego in tutte le fasi del combattimento. L'obiettivo fondamentale da perseguire e da mantenere è il raggiungimento di una adeguata superiorità di fuoco convenzionale al fine di permettere all'attaccante di muovere senza subire perdite proibitive. Obiettivi dell'offesa atomica sono gli elementi statici della difesa, le riserve, gli organi di comando e logistici. Nell'azione difensiva l'impiego delle armi atomiche non è fine a sé stesso, ma premessa della reazione di movimento che ne sfrutti gli effetti. Obiettivi dell 'offesa atomica sono i concentramenti del nemico, le sue sorgenti di fuoco, i suoi organi di comando, i suoi mezzi di movimento, le sue installazioni logistiche. I mezzi atomici sono inoltre impiegati per creare zone d'intransibilità. Nell'attacco parte degli ordigni disponibili viene destinata alla preparazione e parte all'appoggio, secondo una ripartizione quantitativa e qualitativa strettamente connessa al concetto di azione. Nella fase di preparazione gli obiettivi sono ben determinabili e consentono l'impiego più redditizio degli ordigni; è più facile conseguire la massa e la sorpresa. A questo fine è conveniente iniziare l'azione con il lancio contemporaneo di tutti gli ordigni previsti per la fase di preparazione, allo scopo di cogliere, quanto più possibile, il personale allo scoperto, scegliendo gli obiettivi con il criterio di realizzare un'integrazione reciproca degli effetti tattici, mirando a paralizzare completamente gli schieramenti nemici interessati all'azione. Gli interventi atomici in profondità, effettuati in fase di preparazione, rendono difficile poterli sfruttare tempestivamente con la manovra, per cui vanno integrati con il fuoco convenzionale che ne protragga gli effetti nel tempo e isoli la zona colpita per impedirne la riorganizzazione. Nella fase di appoggio, gli interventi atomici possono essere diretti contro obiettivi noti in precedenza e non battuti nella fase di preparazione oppure contro obiettivi svelantisi azione durante. La ricerca e la rapida individuazione di questi ultimi è della massima importa nza ai fini complessivi de1la manovra. L'intervento più tempestivo è assicurato impiegando i mezzi che con sentono il lancio più rapido e
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predisponendo l'arma per un intervento a richiesta non appena le notizie sull'obiettivo assumano consistenza. Gli interventi prevedibili vengono inseriti nel piano di fuoco atomico per la preparazione e per l'appoggio, strettamente coordinato con il piano di fuoco convenzionale e con la manovra, improntato peraltro ad elevata elasticità. Nelle fasi di movimento - sfruttamento del successo gli interventi atomici vengono principalmente diretti contro i concentramenti avversari e contro le aree e gli elementi vitali per la mobilità, ]'alimentazione tattica e logi stica, l'esercizio del comando. Ancor più che nelle fasi di attacco e di completamento del successo, riveste importanza il costante aggiornamento del piano di fuoco atomico di appoggio mediante la rapida acquisizione e valutazione degli elementi suscettibili di indicare la formazione di obiettivi tatticamente remunerativi. Il pronto sfruttamento della esplosione atomica va realizzato adottando tutte le predisizioni atte a consentire continuità e rapidità di movimento e impiegando unità leggere e mollo mobili, capaci di operare nelle retrovie avversarie nonché mine atomiche per bloccare a grandi profondità le vie principali di ritirata. Nelle operazioni di aviosbarco l'offesa atomica viene principalmente diretta: nella fase di preparazione, contro gli schieramenti contraerei, le armi atomiche, i mezzi aerei; nella fase di appoggio, contro i concentramenti di truppe, in particolare corazzate, e per creare zone di ostacolo ed isolare la zona dell'aviosbarco. Nella fase di preparazione, gli interventi atomici contro obiettivi terrestri compresi entro la zona dell'aviosbarco o zone viciniori possono consentire una maggiore diluizione dei dispositivi di attacco, fattore questo di rilevante importanza di fronte al possibile impiego di armi atomiche da parte del nemico. Nella zona di aviosbarco gli interventi devono, di norma, essere effettuati con esplosioni aeree, perché l'individuazione e la deìimitazione delle zone contaminate e la possibilità di evitarle sono difficilmente realizzabili durante le operazioni di sbarco. Nella difesa ad oltranza od a tempo determinato gli interventi atomici - inseriti anche in questo caso in un piano di fuoco atomico ancora più elastico di quello per l'attacco, poiché l'ini ziativa appartiene appunto all'attacco, raggiungono i massimi risultati quando possono essere sferrati all'inizio dell'attacco ed essere seguiti da contrattacco immediato. Ciò richiede tempestività d'intervento, basata su di un' accurata predisposizione degli interventi atomici nelle aree suscettibili di dive nire sede di schieramenti
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avversari e sul tempestivo accertamento di tali schieramenti. Tale forma d'intervento offre il vantaggio di poter impiegare ordigni di elevata potenza. Qualora ciò non sia possibile, l'offesa atomica viene diretta contro il nemico penetrato negli intervalli e costretto a concentrarsi per irrompere in profondità. Nel piano di fuoco atomico - che deve essere strettamente armonizzato con le varie ipotesi d'impiego delle riserve ed eventualmente anche con la manovra dei presidi dei caposaldi e coordinato con i piani di fuoco convenzionale - vengono definiti sia gli obiettivi noti aventi carattere di relativa staticità (schieramenti di artiglieria, centri logistici, ecc.) e i dati d'impiego delle armi atomiche su di essi, sia le zone suscettibili di divenire sede di obiettivi remunerativi e le possibili predisposizioni di intervento. Nella manovra in ritirata, l 'offesa atomica viene principalmente dire tta contro gli eventuali concentramenti del nemico e gli elementi importanti ai fini della sua rapida progressione ed a limentazione (aeroporti, centri ed opere stradali e ferroviarie, centri trasmissioni, centri logistici, ecc.). Durante i movimenti retrogradi, acquista notevole importanza l'impiego delle mine atomiche, che peraltro è soggetto a remore (condizioni di sicurezza gravose, impossibilità di lasciare lungamente l'ordigno nel forndlu di mina, ecc.). Contro un aerosbarco, la difesa di norma fa ricorso ai mezzi convenzionali fino a quando non vengano a determinarsi concentrazioni nemiche; ciò anche per non coinvolgere nell'intervento atomico le truppe amiche, la popolazione civile ed eventuali instaJlazioni che si intenda non danneggiare. La difesa condotta con mezzi convenzionali deve tendere a costringere l'avversario a concentrarsi. Gli obiettivi atomici più redditizi per la difesa sono gli aeroporti di partenza e quelli delle forze aercotattiche di appoggio. L 'impiego delle armi atomiche in ambiente m o ntano è susc~ttibile di modificazione negli effetti e crea effetti indiretti di rilevante importanza. Allorché il punto zero cade nelle conche o nelle valli gli effetti diretti vengono esaltati per l'incremento della superficie colpita e per le riflessioni e i convogliamenti creati dalle pendici circostanti, mentre tali effetti si attenuano quando il punto zero cade sulle dorsali o su zone molto accidentale. L'imponenza dei possibili effetti indire tti (frane, slavine, valanghe, radioattività residua, turbini di nevischio contaminato, ecc.), quasi tutti a carattere impeditivo, e la loro scarsa prevedibilità possono determinare remore all'impiego degli ordigni atomici in appoggio ad azioni offensive, mentre possono consentire un valido apporto ad
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operazioni difensive. L'esistenza di zone obbligate di schieramento, per i servizi e le riserve, e la esistenza di punti di obbligato passaggio, difficilmente aggirabili, consigliano di dare la preferenza agli interventi atomici d'interdizione. Anche nelle zone boscose - dove le esplosioni possono provocare incendi e zone d'intransitabilità - gli effetti indiretti hanno prevalente valore impeditivo. L'attacco ha interesse ad evitare i boschi, mentre la difesa può tendere ad utilizzarli con interventi atomici al fine d 'interdire l'offesa mediante incendi ed abbattute. Di notte, l'attaccante può impiegare le armi atomiche per sfruttare anche gli effetti psicologici delle esplosioni nell'oscurità e gli spiccati fenomeni di abbagliamento provocati nelle truppe non preavvisate . Il movimento notturno sul terreno coperto dai rottami causati dalle esplosioni e la individuazione e delimitazione delle zone eventualmente contaminate possono peraltro risultare particolarmente difficili. È pertanto conveniente che l'attacco si sviluppi con l'ausilio di illuminazione indiretta. La difesa deve cer<.:are di reagire all'attacco nottun10
intervenendo con le armi atomiche contro i concentramenti avversari che la necessità di più stretto controllo tende a fare più massicci. Nelle zune fortificate, le opere possono essere poste fuori combattimento soltanto con esplosioni in superficie e sotterranee che peraltro causano forte radioattività residua. La penetrazione attraverso il sistema fortificato deve, pertanto, avvenire con speciali accorgimenti, essenzialmente su mezzi protetti, non appena la radioattività del terreno sia sufficientemente diminuita. La scelta di condizioni meteorologiche favorevoli, per direzione e velocità del vento, è di grande importanza ai fini della minore contaminazione possibile del suolo lungo le direttrici di attacco. Il difensore di zone fortificate con opere permanenti può fare largo ricorso all'impiego di ordigni precollocati, ove il terreno lo con s igli, in con siderazione della possibilità di adottare le necessarie predisposizioni. In tali zone è inoltre possibile effettuare interventi atomici di grande ade renza, s fruttando la protezione fornita dalle opere stesse.
10.
Se ora, dopo avere riferito in maniera analitica, quasi testualmente, i contenuti delle pubblicazioni della serie dottrinale 600, volessimo mettere sinteticamente in evidenza i punti essenziali, dovremmo prima di tutto ricordare che la serie 600 segna il
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momento del passaggio della dottrina tattica italiana da un'epoca ad un'altra. I presupposti concettuali della nuova dottrina sono: l'enorme incidenza delle armi atomiche tattiche sul campo di battaglia nei riguardi della concezione, dell'organizzazione e della condotta delle operazioni delle grandi unità complesse ed elementari fino ai livelli di gruppo tattico di fanteria meccanizzata o non e di gruppo tattico corazzato o meccanizzato; la confermata importanza e necessità delle forze e dei mezzi convenzionali tanto per gli Stati che dispongono del potere nucleare quanto, ed a maggior ragione, per quelli che non ne dispongono; la previsione dell'impiego delle armi atomiche tattiche sul campo di battaglia senza escludere tipi di guerre, o fasi di guerre, combattuti esclusivamente con armi convenzionali; la strategia della rappresaglia massiccia accettata nell'ambito della N.A.T.O .. I presupposti operativi sono: la limitata disponibilità di armi atomiche tattiche per entrambi i contendenti, la necessità di uno strumento militare bivalente, cioè valido sia nella guerra atomica sia nelle operazioni condotte con sole armi convenzionali. Il presupposto della limitata disponibilità di armi atomiche - sottolineato nelle pubblicazioni 600, 610 e nell'appendice della pubblicazione 610 - va inteso in senso piuttosto relativo, perché nei testi delle varie pubblicazioni, in particolare nella 620, si fa frequente riferimento al considerevole numero di ordigni atomici ipotizzato come disponibile per condurre determinate fasi della battaglia. Il presupposto della bivalenza, in quel periodo contestato da autorevoli correnti di pensiero, è invece da considerare come assoluto e determinante, pilastro della nuova dottrina e dei nuovi ordinamenti, caratteristica fondamentale della nuova serie dottrinale. La validità dei criteri e dei procedimenti per entrambi i tipi di operazioni, atomiche e convenzionali, non esclude le modificazioni di adattamento necessarie all'uno od all'altro tipo, - le quali comunque non interessano le unità minori - ma, pur prendendo a base l'impiego delle unità in ambiente operativo atomico, la nuova dottrina, mantiene i contatti con quella precedente e ne esalta alcuni concetti quale, ad esempio, quello della concetrazione degli sfor.ti, non infirmati nella sostanza dall'avvento delle armi atomiche tattiche, ma solo modificati nelle modalità applicative. Naturalmente la bivalenza impone alcuni compromessi tra la concentrazione ed il diradamento, la prima richiesta per conferire robustezza agli sforzi offensivi e difensivi, il secondo reso necessario dalla riduzione di vulnerabilità dei dispositivi, ma il principio della concentrazione va inteso come sincronizzazione e convergenza di
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sforzi che si sviluppano in un quadro spaziale variabile con la potenza e la mobilità dei mezzi impiegati e quello del diradamento come non applicabile al di sotto dell'adempimento del compito e quando comunque comprometta la capacità operativa dell'unità. D'altra parte, l'evoluzione della tattica aveva già registrato durante la seconda guerra mondiale un abbassamento della densità degli schieramenti in rapporto all'aumento della potenza di fuoco e della mobilità. Il binomio armi atomiche-unità corazzate, che esprime la massima concentrazione possibile di potenza di fuoco e di mobilità, rappresenta la combinazione ottimale per condurre la lotta sul campo di battaglia moderno, mentre le unità corazzate, anche se non appoggiate da fuoco atomico, sono in grado di realizzare solide concentrazioni di potenza benché partendo da dispositivi molto diradati. Questo il ragionamento di base sul quale s'incentra tutta la dottrina della serie 600. Anche in montagna, il successo dell'attacco e della difesa ~ affidato al binomio armi atomiche-unità corazzate e poiché, nel particolare ambiente, le armi atomiche quale mezzo d'interdizione avvantaggiano la difesa e rendono onerosissimo l'attacco, questo tende ad evitare la montagna per sforzi decisivi . Le armi atomiche tattiche non sono soggette a vincoli di spazio e di tempo, ma solo a quello della disponibilità, mentre le unità corazzate, oltre <li questo ultimo vincolo, soffrono delle limitazioni d'impiego loro imposte dal terreno. Ciò significa che l'azione offensiva ed in particolare l'attacco sceglieranno preferibilmente, sia in ambiente atomico che convenzionale, terreni che consentano il movimento ai mezzi corazzati e meccanizzati, ma non vuol dire che l 'eventuale guerra futura, atomica o convenzionale, d ebba necessariamente svolgersi solo sui terreni percorribili d a tali mezzi. È invece prevedibile che la lotta anche atomica possa o debba svilupparsi su altri tipi di terreno e che il compito di condurla sia assegnato ad unità <li fanteria le quali, però, dovranno essere almeno parzialmente meccanizzale e dovranno disporre nel loro ambito di carri armati sia per poter sfruttare prontamente gli effetti del proprio fuoco atomico e sia per poter ridurre, se non annullare, quelli del fuoco atomico del nemico. De l resto, anche a tale proposito, la seconda guerra mondiale aveva già condannato la fanteria appiedata, non però il combattimento a piedi, e priva del sostegno di carri armati; anzi, nell'ultima fase aveva esaltato la necess ità e l'importanza di una fanteria mode rnamente armata, equipaggiata e addestrata per il conseguimento del successo e spesso per il suo completamento, riservando alle unità corazzate lo
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sfruttamento del successo e, solo talvolta, anche il completamento. In ogni caso, contro posizioni difensive saldamente organizzate, oltre che sui terreni che non consentano l'impiego di grandi unità corazzate, la rottura di tali posizioni non può essere affidata, di massima, che a grandi unità di fanteria. Queste ultime giocano poi un ruolo preminente nella concezione, organizzazione e condotta della difesa nel caso di posizioni difensive a caposaldi non cooperanti o a piccoli caposaldi cooperanti, mentre non sono necessarie nel caso di una posizione difensiva basata su di un dispositivo lineare di forze mobili, vale a dire di una difesa del tutto manovrata, diretta ad impedire infiltrazioni ed a mantenere il contatto con il nemico in attesa dell'intervento delle armi atomiche e delle riserve. Una difesa siffatta non ha però la caratteristica della bivalenza perché, impostata sul binomio armi a tomiche-riserve, è attuabile solo su terreni percorribili dai mezzi corazzati e meccanizzati in quasi tulla la loro ampiezza e profondità e nelle situazioni di grande disponibilità di spazio. Non v'è, dunque, dubbio che la fanteria debba ulteriormente trasformarsi per diventare più agile, più manovriera, più dotata di potenti mezzi di fuoco, di maggiore mobilità tattica e di maggiore autonomia logistica requisiti in parte contrastanti - ma è altrettanto certo che la fanteria conserva funzioni essenziali anche nel quadro della battaglia condotta con l'impiego, più o meno limitato, di armi atomiche tattiche. Limitato, infatti , per modo di dire, perché come scrisse nel 1959 il generale Liuzzi in un articolo sulla Rivista Militare 18, apparso nel numero di dicembre, quando egli aveva già lasciato la carica di capo di stato maggiore dell'esercito, esisteva già la possibilità di allestire in quantità considerevole o rdigni di poten z.a limitata e perciò sfruttabili in campo tattico, tanto che l'esplosivo nucleare tendeva a diventare un esplosivo di uso corrente (oggi si parla addirittura di proietti nucleari e di armi portatili), impiegabile a livelli gerarchici sempre meno elevati. Del resto l'impiego decentrato delle armi atomiche era stato già previsto nelle pubblicazioni della serie 600, sia pure sotto forma di interventi atomici assegnati alla divisione, alla quale forse in avvenire sarebbero stati dati in dotazione organica mezzi di lancio, fermo restando il mantenimento del controllo prevalentemente a più alto live llo. La difesa per fronteggiare l 'attacco deve esaltare le caratteristiche di profondità, reattività, elasticità; non può prescindere dal diradamento - inteso come rarefazione dei dispositivi e riduzione dei tempi dì esposizione all'offesa nemica - ma non può rinunciare
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a valersi del terreno, oltre che dello spazio e dell'ostacolo, come fattore di potenza per dare vita ad un robusto sistema statico, tanto più che questo offre possibilità di interramento e di fortificazione riduttive della vulnerabilità alla stessa offesa atomica. Il trasferire alle armi atomiche della difesa la funzione di logoramento e di arresto, tradizionalmente svolta dalle strutture statiche, allo scopo di creare favorevoli condizioni per la reazione di movimento è una soluzione irrealistica, che non tiene conto del possesso bilaterale degli ordigni atomici. Non vi è dubbio che occorra accrescere la proporzione delle forze in riserva per le reazioni di movimento ed aumentare il più possibile la profondità degli schieramenti difensivi, sia per rendere più onerosa la progressione dell'attaccante, sia per dare alle riserve della difesa il tempo d'intervenire tempestivamente a ragion veduta; come pure non v'è dubbio che occorra diminuire la vulnerabilità e conferire la maggiore elasticità possibile al sistema. Occorre costringere l'attaccante a costituire o biettivi tatticamente remunerativi sotto pena, se non di paralisi, di una progressione lenta, ed a tal fine non si può fare a meno di strutture statiche c he impongano all'attacco l'alternativa di concentrarsi per imprimere a ll 'azione vigore offensivo, pur nel rischio dell'offesa atomica da parte della difesa, o di non concentrarsi con la conseguenza di una scarsa possibilità, in queslo caso, di costituire dispos itivi capaci di rompere e penetrare. Le armi atomiche tattiche facilitano la rottura delle posizioni difensive ed annientano le strutture statiche, ma organizzazioni difensive impos tate su elementi lineari scaglionati in profondità, certamente meno vulnerabili all'offesa atomica che non i caposaldi, sono assai deboli e penetrabili, come la storia e l'esperienza dimostrano, e più vulnerabili rispetto alle offese convenzionali. I caposaldi possono essere messi fuori combattimento da ordigni nucleari di conveniente potenza ch e esplodano in corrispondenza dei centri di figura della aree su cui essi sono investiti, ma occorre che si verifichino molte condizioni favorevoli all'attacco: conoscenza perfetta della ubicazione, della con sistenza e dello sviluppo dei caposaldi; larga disponibilità di ordigni nucleari; esattezza e tempestività di tiro straordinarie per arrecare i maggiori danni e non d are tempo a i difensori di cercare protezione nei ripari e salvarsi così a lmeno in parte. Un sistema statico discontinuo, profondo, e last ico, dotato di strutture potenti e autonome tatticamente e logisticamente, conserva, dunque, il suo valore di logoramento e d'incanalamento in quanto per contromanovrare efficacemente la difesa ha bisogno di robusti
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perni di manovra conficcati nel terreno. I caposaldi e gli spazi vuoti esistenti tra di questi e le strutture statiche in genere sono appunto destinati a sostenere la manovra e gli spazi vuoti anche a consentire l'eventuale impiego di ordigni atomici da parte del difensore che sia riuscito ad incanalarvi cd a farvi adden sare le formazioni di attacco. Nessuna visione ottimistica: la posizione difcnsiva può essere rotta con facilità; l'attacco può progredire rapidamente in profondità. Ecco il perché occorre considerare indispensabile la predisposizione di una seconda posizione difensiva e non paventare a priori la manovra in ritirata, quasi come una certa sconfitta. Il sistema statico - in cui sono rotti i rapporti di coperazione tra i caposaldi a mezzo delle armi della fanteria, requisito, quello della cooperazione, messo in evidenza come prioritario dalla seconda guerra mondiale - compie funzioni molteplici, tra le quali, oltre quelle tradizionali di garantire il possesso di punti fondamentali ai fini della manovra e di inibirlo al nemico, di logorare l'attacco e d'incanalarlo nelle direzioni più favorevoli all'azione di arresto o alla reazione di movimento, di contenerlo sia pure in profondità e costringerlo o a concentrarsi per l'azione di forza o a disarticolarsi per l'azione d'infiltrazione, anche appunto la funzione di costituire perno della reazione di movimento cd eventualmente di appoggiarla. Sistema statico, dunque, non lineare e n!é!ppure a fascia, soggetto a facile rottura anche mediante un'opportuna concentrazione di fuoco convenzionale, ma profond:J e con largo posto alla manovra (più ordini e spazi vuoti tra le strutture di ogni singolo ordine e tra l'uno e l'altro ordine) cd elastico in quanto reso tale dalla manovra dei pres idi dei caposaldi e da quella delle forze di eventuale impiego negli spazi vuoti (gruppi mobili di arresto, pattuglie meccanizzate, ecc.). La struttura nucleare del caposaldo di battaglione, l'opportuno diradamento degli schieramenti di artiglieria, delle riserve e dei servizi, la manovra dei presidi dei caposaldi e dei gruppi mobili di arresto confcriscono agli spazi vuoti una spiccata funzione attiva di carattere offensivo perché il loro insieme, dotato di grande elasticità, offre possibilità di ingabbiamento dell 'attaccante e di impiego di ordigni atomici. Lo sfruttamento degli effetti distruttivi di questi ultimi impone da una parte una grande flessibilità dei dispositivi e dall'altra la disponibilità di forze per sviluppare robusti contrattacchi. La maggiore reattività della difesa rispetto al passato deve, perciò, fare assegnamento prima di tutto sulla disponibilità di forti riserve a tutti i livelli delle grandi unità elementari e complesse, ma anche di riserve e r incalzi al
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livello di battaglione e di compagnia. Le infiltrazioni nel caposaldo e negli intervalli fra i vari caposaldi sono da ritenere date per scontate ed ecco il perché i battaglioni debbono disporre di un rincalzo tenuto in posizione centrale e debbono pote r contare, situazione p ermettendolo, sulla possibilità di svellere un'aliquota delle loro forze dalla struttura s tatica per farla concorrere alla reazione di movimento, interna ed esterna al caposaldo, mentre anche i caposaldi minori di compagnia debbono, a loro volta, mettersi in grado di sviluppare una propria reazione di movimento nel loro interno. L'esaltazione della profondità, dell'elasticità e della reattività è indispensabile, ma non basta. La fine dell a cooperazione tra i caposaldi impone di per sé una maggiore profondità e reattività de lla difesa e perciò la revisione del rapporto tra forze investite sul terreno e forze destinate alle azioni dinamiche, ma le forze investite sul terreno debbono essere messe in grado di occupare le pos izioni a ragion veduta e non tutte votate fin da ll'inizio alla sola funzione statica, debbono potersi sganciare rapidame nte ed ordinatamente dalle posizioni per occuparne altre o per concorrere alla reazione di movimento, debbono in caso di necessità po ter ripiegare s u ordine, mai d'i niziativa del comandante del caposaldo, per manovrare in ritirata o per andare ad occupare la seconda posizione difensiva. La fortificazione campale e pennanente e l'ostacolo naturale ed artificiale incrementano notevolmente il potere difensivo e diminuiscono, in uno con l'interramento, la corazzatura, il dir adamento, la vulnerabilità del siste ma difensivo. Ostacolo e fort ificazione compe nsano in parte in a mbiente a tomico le diminuite possibilità di arresto della difesa. Circa lo spazio occorre esaltarne l' utilizzazione strategica e tattica. m a quando se ne disponga in quantità limitata, occorre sfruttarlo tutto in misura oculata e soprattutto guadagnarne altro s ul davanti, mediante l'azione dello scaglione di presa di contatto e di ritard o da la nciare a grande distanza per prendere contatto il più avanti ed il più presto possibile con i grossi delle grandi unità avve rsarie . Ostacolo e spazio vanno, in sintesi, sfruttati in tutti i limiti de l possibile. L'avvento delle armi atom iche tattiche non preclude, in conclusione, il successo della difesa, ma non esiste una formula difensiva soddisfacente per affrontare sul piano tattico la guerra atomica, qualora anche la difesa non disponga, a sua voi ta, di potere atomico e non vi sia una situazione di equilibrio atomico tra i due contendenti. La concezione, organizzazione e condotta della difesa delineate nelle pubblicazioni de lla serie 600 non hanno che vaghi
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rapporti di analogia con quelle della serie 3000 e 2000, eppure esse sono valide anche nel caso di attacco condotto con procedimenti e dispositivi simili a quelli del secondo conflitto mondiale, senza cioè l'intervento delle armi atomiche tattiche. Ciò in conseguenza dell'accresciuta importanza della manovra in relazione al notevolissimo aumento, rispetlo al passato, delle fronti e delle profondità riferite alle unità dei livelli gerarchici che vanno dalla compagnia in su; manovra favorita non solo dall'impiego dei mezzi meccanici terrestri, ma anche da quello degli aeroplani e soprattutto degli elicotteri - come nella guerra di Corea - per lo spostamento di truppe e di materiali. L'azione offensiva presuppone la superiorità, in forze e mezzi, almeno locale e temporanea, sul nemico. Dopo l'avvento delle armi atomiche tattiche, la valutazione de l rapporto di forza tra attacco e difesa, riferita essenzialmente alle unità dell'arma base - valutazione già superata durante il secondo conflitto mondiale - non ha più significato neppure orientativo, perché l'azione offensiva può essere intrapresa anche con forze inferiori in un quadro di superiorità di fuoco atomico. Naturalmente in una situazione di leggera superiorità o di equilibrio atomico tra i due contendenti, l'attacco deve disporre di rilevante superiorità di forze e di fuoco convenzionali considerando complessivamente i fattori qualitativi e quelli quantitativi. Il binomio armi atomiche-unità corazzate ha un potere offensivo tale da poter r0mpere ed irrompere in profondità con una velocità operativa senza pa ri là dove il terreno e la situazione consentano l'impiego dei mezzi corazzati e meccanizzati. Là dove si debbano impiegare armi atomiche e grandi unità di fanteria, o solo armi e mezzi convenzionali, la rottura comporta: n el primo caso un'azione meno rapida; nel secondo caso, un'azione lenta e logorante, cadenzata in fasi e svolta da grandi unità distinte e differenziate nelle varie fasi. Sia in ambiente atomico che in quello convenzionale, l'azione offensiva s'informa ai principi di sorpresa e ra pidità di penetrazione, di manovra e di s icurezza che le armi atomiche tattiche esaltano. In ambiente convenzionale, l'azione diventa molto più s istematica, le possibilità di sorpresa sono minori, la penetrazione è più lenta, la manovra soffre di limitazioni, la sicurezza richiede misure più onerose, ma l'attacco conserva i caratteri di dinami smo, già espressi durante la seconda guerra mondiale, consentitigli dall'ampiezza degli spazi e dalla struttura ordinativa delle unità tipiche della guerra moderna. La prese nza dell'arma atomica tattica dà rendimento e remuneratività
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al tanto vilipeso attacco frontale e questo diventa una caratteristica peculiare delJa azione offensiva con l'impiego di armi atomiche. La capacità offensiva di una grande unità o di un complesso tattico va perciò valutata tenendo presente il nume ro e la potenza degli ordigni atomici di cui può avvalersi, con le conseguenza che lo sforzo principale non s'identifica più necessariamente con il complesso tattico più consistente in forze e mezzi convenzionali e che, valendosi del fuoco atomico, è possibile spos ta re ra pidamente l'asse dello sforzo principale, senza dover spostare necessariamente anche i complessi tattici convenzionali. La possibilità di s postamento dell'asse dello sforzo conferisce all'azione offensiva con l'appoggio delle armi atomiche un 'altra caratteristica peculiare e ne amplia le possibilità di combinazioni manovrate. Stanti i caratteri molto variabili dell'attacco in ambiente atomico, non è poss ibile precisare tipi di azione e corrispondenti articolazioni per cui cade la vecchia di stinzione tra due tipi di azione e le relative correlazioni: colonne (impiego del fuoco accentrato, m anovr a realizzata soltanto al livello divisionale, stretto coordinamento) e raggruppamenti tattici (decentramento di artiglierie, manovra estesa ai ragg ruppamenti tattici, coordina mento m e no stretto). La colonna di attacco, che è concentrazione a cavaliere di una direzione in un'azione a carattere sistematico, è troppo vulnerabile in ambiente atomico e, poiché opera con successione di sforzi prevalentemente frontali, non è idonea a s f rutture le g randi possibilità di manovra offerte dalle nuove organizzazioni difensive e dalle nuove armi. La manovra impone di lasciare a mpia libertà nella costituzione e nei procedimenti d 'azione ai complessi tattici in cui è giocoforza la divisione si artico.li . Nelle azioni che non sfruttino din.:tlamente i risultati di esplos ioni atomiche acquistano valore le vie tattiche che cadono sul fi anco e sul te rgo d egli schieramenti nemici, nelle a ltre le vie tattiche che incidono dire ttamente sull'obiettivo. Nella realtà, la manovra può essere perciò realizzata spesso m ediante la combinazione di sforzi frontali e di sforzi diretti sul fianco e sul tergo. È altresì possibile e convenie nte eseguire manovre laterali, mediante l'impiego di un complesso tattico, o di sue aliquote, contro un obiettivo inizia lmente assegnato ad un altro complesso ta ttico. Da tale insiem e di possibilità deriva l'opportunità di abbandonare concettualmente l'a rticolazione della divisione in colonne di attacco e di sostituirla con quella in raggruppamenti tattici, intesi questi ultimi com e complessi di due o più battaglioni, ed eventualmente di reparti di altre armi, posti sotto unico com ando per adempiere un
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compito tattico in azioni sviluppantisi in spazi ristretti (impiego del fuoco accentrato) o in spazi ampi (decentramento del fuoco e libertà di manovra alle varie articolazioni), sempre però nel quadro di un coordinamento volto ad assicurare coesione lattica all'insieme degli sforzi. È infine da considerare un aspetto peculiare della serie dottrinale 600: l'evoluzione del combattimento con i soli mezzi convenzionali rispetto a quello delineato nelle serie dottrinali 3000 e 2000. A parte le differenze rese necessarie dal diverso ordinamento e dalla diversa strutturazione delle nuove grandi unità, in particolare della divisione di fanteria, il combattimento con i soli mezzi convenzionali si arricchisce di procedimenti e di procedure del tutto nuove, si tecnicizza ulteriormente e concede s pazio maggiore in particolare ali 'impiego dei missili e dell 'aviazione leggera dell'esercito, peculiarmente degli elicotteri, nonché a quello ùdlc attrezzature meccaniche, in s tretta aderenza con gli insegnamenti della guerra di Corea e soprattutto con il progresso della scienza e della tecnica della seconda metà degli anni cinquanta. La manovra difensiva e quella offensiva diventano più sciolte, meno legate a condizioni pregiudiziali, più ricche di combinazioni. C'è nella serie 600, indipendentemente dall'impiego delle armi atomiche tattiche, l'ansia di un combattimento convenzionale impostato e condotto in relazione ai grandiosi progressi tecnici realizzati dalla seconda guerra mondiale in poi, non solo riferiti ai nuovi ritrova ti e m ezzi di lotta costituiti dagli ordigni atomici o dai missili, m a anche a tutte le altre innovazioni tecniche che fanno sentire la loro influenza, ai vari livelli, sulle modalità d'impiego delle sole forze convenzionali, le cui armi ed i c ui mezzi, in continuo perfezionamento, non si esprimono solo nell'aumento della pote nza di fuoco e della mobilità, ma in strabilianti progressi - determina ti sopra ttutto dalla rapida evoluzione dell'elettronica - nei settori dell'acquisizione degli obiettivi, dell'esercizio del comando, dell 'organizzazione ed esecuzione del fuoco delle artiglierie, dei lavo ri di viabilità e di posa e rimozione dell'ostacolo minato e delle trasmissioni . li combattimento convenzionale delineato nella serie dottrinale 600 presuppone un esercito diverso anche dai migliori della seconda guerra mondiale. Un esercito il più possibile meccanizzato, largamente dotato di armi convenzionali moderne, di carri armati, di veicoli da trasporto cingolati, di a rtiglierie di lunga gittata, di armi contraerei e controcarri numerose e potenti, di macchine moderne per il geuiu
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(apripista, scavatrici, materiali da ponte di vario tipo, erogatori di ene rgia, posa mine, macchine per l'apertura sollecita di varchi nei campi minati, ecc.), di mezzi di trasmiss ioni multipli cd elettronicamente moderni (radio, telefoni, telesc riventi, ponti radio, apparecchiature di ricerca e di sorveglianza, ecc.), di un'aviaz ione leggera dotata di velivoli ad a la fissa e ad a la rotante moderni e di grande portata (elicotteri medi e leggeri), di supporto logistico adeguato e infine di un esercito costituito da persona le molto bene addestrato, molto bene inquadra to, comprendente una forte aliquota di clementi di car riera o vincolati a lu nga ferma. Tutte c aratteris tiche che si traducevano, fin d 'allora, in a ltrettante esigenze, soddisfatte solo in parte in quel periodo, ma il cui soddisfacimento andava subito programmato, troppe essendo le lacune esistenti e quelle sempre maggiori che s i sarebbero necessariamente r egistrate nel futuro . Già i tanti ripieghi escogita ti in fat to di modalità di azione e di procedure d a lla serie dottrinale 600 lasciavano chiaramente intendere come l'esercito del momento avesse assoluto bi sogno di ulteriore pote nziamento e ammodernamento in molti settori pe r diventare qualitativamente s ufficiente ad applicare la nuova dottrina, che non derivava da una visione ideale ed avveniri s tica del combattimento, m a da una constatazione e previsione s trettamente commisura te ad una realtà attuale e in divenire. L'esercito della ricostruzione aveva bisogno di un ringiovanimento; que llo che la 600 veniva costruendo di un potenziamento. La serie dottrinale 600, in sostanza, da un lato c reò la tattica dell 'ambiente atom ico dando pe r scontata, come di fatto era, la disponibilità e.li o nligni atumici tattici, dall'altro, presa a base la rea ltà dell 'esercito del mo mento, indicò quanto si poteva fare con le forze, le armi ed i mezzi. di sp onibili sul m o mento e quanto s i sarebbe dovuto realizzare in tempi brevi in ma te ria di forze convenzionali perché l'efficienza operativa di queste ultime non subisse un ulteriore degrado che ne inibi sse la credibilità ai fini della di ssuasione e l'affidabilità a i fini della efficace rispos ta a d un'eventuale aggressione. Essa, pe rtanto, ebbe - e con serva nella storia de ll'esercito italiano un'impo rta nza preminente e singolare, no n solo per la sua originalità e purezza di fonte del pens iero militare, ma anche per l'aderenza a ll 'evoluzione della tattica, e perciò degli ordinamenti, in c on seguenza dell 'impiego delle nuove a rmi con una visione di prospettive che, nei quasi trent'anni s uccessivi, troveranno la loro puntua le realizzazione
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nell'ambito delle forze terrestri convenzionali di tutti gli eserciti, anche se non in quello dell'esercito italiano. Ma se questo non potrà tenere il passo con il vertiginoso regime di marcia del progresso tecnico, la ragione sarà al di fuori della dottrina e degli ordinamenti della seconda metà degli anni cinquanta, già più proiettati verso il futuro che non legati al passato. Lo stato maggiore dell'esercito italiano dette, infatti, in quegli anni una dimostrazione di eccellenti qualità intellettuali e professionali e di capacità realizzatrice veramente magnifica, modellando una dottrina ed un ordinamento da costituire indicazione positiva in campo internazionale ed al tempo stesso mettendo in essere, malgrado tutto, uno strumento in quel periodo sufficientemente credibile e affidabile.
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NOTE AL CAPITOLO LV 1
Vds. precedente Cap. LIV, nota n ° 18. Stato Maggiore dell'esercito: Ufficio addestramento. 3a Sezione. Regolamenti. Memoria sulla battaglia difensiva in montagna con impiego di armi atomiche. N° 610 della serie dottrinale. 1957. La pubblicazione, approvata dal gener-<1le Liuzzi, consta di 43 pagine, 46 articoli. Si articola in: premessa; capitolo I: Incidenza delle armi atomiche e del trasporto aereo sulle operazioni in montagna; capitolo Il: Concetti informatori dell'azione difensiva; capitolo III: Concezione della difesa; capitolo IV: Organizzazione della difesa: scaglione di presa di contatto e di ritardo; posizioni difensive; zona di sicurezza; posizione di resistenza; capisaldi; intervalli; spazi vuoti tra successive posizioni difensive; articolazione del settore di brigata; riserve; artiglieria; unità alpine da posizione; organizzazione del servizio informazioni; capitolo V: Condotta della difesa: presa di contatto e manovra ritardatrice; combattimenti in zona di sicurezza; contropreparazione; combattimento nella posizione di 1·esistenza; manovra ritardatrice; attivazione delle posizioni difensive arretrate e ulteriore sviluppo della difesa; capitolo IV: Provvedimenti organici: generalità; brigala alpina; supporli; Allegalo I: scaglionamento delle forze nella battaglia difensiva con articolazione armata-corpo d'armata-brigata alpina; Allegato n° 2: articolazione delle forze nel caso brigata alpina-corpo d'armata; Allegalo n° 3: azione difensiva in montagna-organizzazione difensiva di una posizione (schizzo dimostrativo). 3 Stato Maggiore dell 'esercito. Ufficio addestramento. 3a sezione. Regolamenti. Memoria sull'azione offensiva in terreni di pianura e collinosi con impiego di armi atomiche N° 620 della serie dottrinale. 1958. La pubblicazione, approvata in data 13 marzo 1958 dal genera le Liuzzi, comprende 95 pagine e 143 articoli. Si articola in: Premessa; parte la: Generalità; parte za: L'azione offensiva. La parte prima comprende: capitolo 1 Incidenza delle armi atomiche sulla azione offensiva: caratteristiche dell'azione offensiva in relazione alle possibilità delle armi atomiche; caratteristiche dell'azione offensiva in relazione ai lineamenti dell'azione difensiva in ambiente atomico; capitolo II Caratteristiche salienti dell'azione offensiva. La parte seconda comprende: capitolo I Lineamenti dell'azione offensiva nell'ambito dell'armata: generalità; ricerca e presa di contatto; la battaglia offensiva; capitolo II Lo. divisione di fanteria nell'azione offensiva: ricerca e presa di contatto; attacco contro posizione difensiva a caposaldi non cooperanti; generalità; concezione dell'attacco; attacco contro posizione difensiva a piccoli caposaldi cooperanti; allacco contro difesa manovrata; impiego della divisione di fanteria in za schiera; capitolo III Impiego delle varie armi: impiego dell'artiglieria; impiego del genio; impiego delle trasmissioni; impiego delle forze aeree in campo tattico; capo IV Il servizio informazioni operativo. 4 Giovanni Carlo Re (1895-1964), generale di corpo d 'armata. Sottotenente di artiglieria, dopo aver frequentato la scuola di applicazione di artiglieria e genio, partecipò alla 1 • guerra mondiale con il reggimento a rtiglieria a cavallo e con il 30° reggimento artiglieria da campagna. Venne catturato dagli austro-ungarici. Rientrato in patria, frequentò la scuola di guerra. Ricoprì incarichi di stato maggiore presso il comando del corpo d 'armata di Milano, lo st ato maggiore dell'esercito e partecipò 2
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alla 2 8 guerra mondiale quale comandante del 3° reggimento a rtiglieria della divisione celere . Addelto militare a Zagabria, venne internato dai tedeschi e liberato dalle truppe jugoslave. Comandò l'artiglieria del Comiter di Milano, poi l'artiglieria della divisione fanteria Legnano e prestò, poi, servizio presso lo stato maggiore della difesa. Fu capo di stato maggiore del comando des ignato 3• armata e, successivamente, capo di stato maggiore del comando ForLe Alleate del Sud Europa. Comandò la divisione fanteria Legnano, s uccessivamente, il Comiliter di Torino ed infine il comando designato della 3• armata. 5 Giuseppe Lorenzotti (1896-1968), generale di corpo d'annata. Dopo aver frequentato la scuola militare di Modena, fu nominato sottotenente e destina to al 5° reggimento alpini con il quale partecipò alla 1 • guerra mondiale. Dopo la guerra prestò servizio presso i battaglioni Vestone, Aosta e, successivamente, presso il comando divisione militare di Brescia. Frequentò la scuola di guerra, fu trasferito in servizio di stato maggiore e durante la guerra contro l'Etiopia prestò servizio presso il IV corpo d'armata A.O. e, success ivamente, rientralo in patria, prestò servizio presso il comando designato d'armala di Torino. Capo di stato maggiore della divisione alpina Tridentina, partecipò alla campagna contro la Grecia e, successivamente, comandò il 7° reggimento alpini. Finita la guerra comandò 1'8° reggimento alpini, poi prestò servizio presso il Comilitcr di Roma e fu vice capo della delegazione italiana per la delimitazione dei confini italo-jugoslavi. Nel 1951 assunse il comando della fante ria nel Comilite r di Padova, successiva mente il comando della zona di Treviso e, infine, il comando della brigala alpina Tridentina. Dopo aver comandato la divisione di fanluia Cremona, assunse il comando del Comiliter di Bari. Da ultimo, comandò il IV corpo d 'a r.ma ta a lpino. 6 Vds . precedente Cap. LIV, nota 8. 7 Galiano Scarpa (1896), generale di corpo d 'armata. Allievo della scuola militare di Modena, il 30 novembre 1916 venne promosso sottotenente ed assegnato a ll'8° reggimento a lpini, col quale partecipò alla 1 • guerra mondiale, durante la quale cadde prigioniero degli austro-ungarici dopo che era stato trasferito al 7° reggimento alpini. Frequentò la scuo la di guerra, dopodiché venne destinato, nel 1939, a l comando superiore truppe d'Albania. Partecipò a lla 2a guerra mondiale presso il comando de ll' 11 • armata, il comando del 9° alpini cd il comando superiore delle forze armate di Grecia. Comandò il battaglione [,'Aquila e, successivamente, prestò servizio presso il comando divisione fanteria Piemonte. Venne successivamente trasferito al comando della 6" annata e, in seguito, a l comando del 24° corpo d'armata. Prigioniero dei tedeschi, evase gettandosi dal treno e si sottrasse alla cattura. Partecipò alla guerra di liberazione a l comando del raggruppamento speciale del g ruppo di combattimento Legnano. Prestò successivamente servizio presso l'ispettorato dell'arma di fanteria; comandò 1'8° reggimento alpini, la divisione di fan teria Legnano ed il comando del V corpo d'armata. 8 La divisione pentomica deg li Stati Uniti comprendeva 5 gruppi tattici potenziali, formati essenzialmente da compagnie di fanteria, più un battaglio ne carri su 5 compagnie, reparti di ricognizione, del genio, delle trasmissioni, dei servizi, di aviazione dell'esercito, artiglieria divisionale, mezzi di lancio di ordigni atomici, costituiti in parte da lanciarazzi cd in parte da a rtig lierie. La divisione aveva una forza di poco più di 13 700 uomini. La divisione di fanteria francese, dopo che erano state attenuate t a lune esasperazioni in fatto di decentramento sistematico e rigido di mezzi, comprendeva 5 reggimenti di fantt!ria su 5 compagnie più clementi da ricognizione e di appoggio,
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un reggimento carri su 5 compagnie, un reggimento esplorante, l'artiglieria divisionale integrata con mezzi di fuoco atomico, unità del genio, delle trasmissioni, di aviazione leggera e dei servizi. La divisione aveva una forza di 14 500 uomini circa. 9 Vds. precedente Cap. LI, nota 26. 10 Enea Cerquetti. Le forze armate italiane dal 1945 al 1975. Farigliano (Cn), Milano, Feltrinelli editore, 1975, pg. 206. 11 Stato Maggiore dell'Eserc ito, Ufficio Addestramento. 3• Sezione. Regolamenti. Memoria sull'azione difensiva con impiego di armi atomiche in terreni fortificati di pianura e collinosi. Appendice alla pubblicazione n. 5373 (n. 600 della serie dottrinale). N. 601 della serie dottr inale. Anno 1960. La pubblicazione, formato 18 X 12, approvata dal gen. Lucini , comp rende t re capitoli. li primo riguarda i lineamenti generali della fortificazione permanente e loro incidenza sulla difesa; il secondo Organizzazione e condotta della difesa; il te rzo le dipendenze d 'impiego· trasmissioni· addestramento. 12 Vds. precedente nota n° 2. 13 Stato Maggiore dell'Esercito. Ufficio addestramento. 3• sezione. Regolamenti. I risullali del ciclo sperimenlale sulla baltaglia difensiva in montagna con impiego di armi atomiche. Appendice alla pubblicazione n° 610 della serie dottrinale. 1958. La pubblicazione, consta di 24 pagine e 56 articoli. Comprende: premessa; scopo; concezione della difesa (generalità; presupposti operativi, clementi dottrinali, reattività, e lasticità, enunciazione della concezione difensiva); scaglione di presa di contatto e ritardo; area della battaglia; zona di sicurezza: posizione di resistenza; riserve di corpo d'armata e d'armata; condotta della difesa (azione dello scaglione d i presa di contatto e ritardo; impiego delle ri serve; cont rattacco preventivo; manovra di ripiegamento); impiego delle van·e armi (gem:ralità; artigliel"ia; genio; trasmissioni; fone aerotattiche); conce/li informatori e lineamenti dell'attacco. 14 Nuove definizioni dei lermini riportate a pg. 123 rlella pubblicazione 600 della serie dottrinale: Manovra di ripiegamento: forma di manovra in ritirata che si prefigge d i: sottrarre i grossi delle forze al contatto del nemico; dare sicu rezza al movimento retrogrado dei grossi e, soprattutto, logorare e ritardare l'avversario. S i attua mediante; l'abbanrlono della posizione cd il movimento retrogrado d ei grossi, un'azione ritardatrice svolta dall'aliquota di forze c he costituisce retroguardia. Trova, di nonna, la sua espressione più completa nel quadro dell 'a rmata ed a seguito di una difesa ad oltranza conclusasi con esito sfavorevole. A zione ritardatrice: azione che si prefigge di logorare e r itardare il nemico. Può essere svolta mediante: o difesa a tempo determinato di una d ata posizione, o manovra ritardatrice. È element o fon damenta le e insopprimibile di qualsiasi manovra in ritirala. Infatti: costituisce parte rlell a manovra in riti ra ta q ua ndo q uesta assume la fonna di manovra in ripiegamento; in questo caso viene svolta dall'a liquota di forze che funge da retroguardia; si identifica con la s tessa manovra in ritirata negli a ltri casi. Difesa a tempo determinato di una posizione: difesa che si ripromette di assicurare il possesso di una posizione almeno pe r un tempo minimo stabilito a priori e di infliggere al nemico il massimo logoram ento possibi le. Si attua mediante l'azione di uno scaglione di arresto schierato sulla posizio ne da difendere ed è in tegrata , di norma, d a ll'azione di uno scaglione ritard atore sul ria vanti della posizione stessa. Manovra ritardatrice: forma di azione ritardatrice svolta: replicando la difesa a tempo determinato su successive posizioni intermedie; logorando e ritardando il nemico neg li spazi interposti.
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15 Nuove definizioni dei termini riportate in nota a pg. 24 della pubblicazione n ° 620 della serie dottrinale: Raggruppamento tattico: complesso di due o più battaglioni (o gruppi squadroni) ed eventualmente di reparti di altre armi (artiglieria, ecc.) posti sotto unico comando per assolvere un compito tattico. Può essere costituito da un reggimento rinforzato o meno. Gruppo tattico: complesso di una o più compagnie (o s quadroni) ed eventualmente di reparti di altre armi (artiglieria, ecc.) posto sotto unico comando per assolvere un compito tattico. Può essere costituito da un battaglione rinforzalo o meno. 16 Impiego delle varie armi.
Artiglieria. Azione difensiva in terreni di pianura e collinosi: costituisce il mezzo più flessibile, economico e tempestivo a disposizione dei comandanti di grande unità nella condotta del combattimento; conserva i compili tradizionali accresciuti ed estesi in relazione alle dilatazioni delle fronti e delle profondità; ad essa competono sia le azioni di aderenza sia l'integrazione e l'estensione nel tempo e nello spazio degli effetti degli interventi atomici; è impiegata in stretto coordinamento con il movimento e in stretto coordinamento tra fuoco atomico e convenzionale, nonché fra i vari mezzi di lancio che erogano il fuoco; il suo impiego coordinato dal comandante della grande unità è organizzato e diretto dal comandante dell'artiglieria della grande unità, il quale si avvale del Centro di cnnrdinamentn del fuoco (F.S.C.C.), qualora questo sia costituito, ed esplica )a s ua attività: sul piano concettuale nell'avanzare proposte per il razionale impiego del fuoco e dei mezzi che lo erogano; sul piano organizzativo attuando i provvedimenti per la continuità, flessibilità e rendimento dell'organizzazione del fuoco; sul piano esecutivo ordinando e richiedendo gli interventi. L'artiglieria agisce a favore: dello scaglione di presa di contatto e di ritardo (fuoco convenzionale di unità preferibilmente semoventi assegnate allo scaglione e, quando possibile e conveniene, fuoco atomico dei mezzi a più lunga gittata); della zona di sicurezza (fuoco convenzionale e atomico, ques to specie a premessa di un contrattacco preventivo, iniziato alle maggiori distanze e sviluppato d a unità da campagna e pesante campale, quando possibile semoven ti, temporaneamente schierate su posizioni avanzate); della posizione di resistenza (fuoco convenzionale ed atomico in base alle gravitazioni iniziali e successive indicate dal comand ante della grande unità per l'intervento negli spazi vuoti, la protezione degli elementi s tatici mediante interdizione vicina e sbarramento, la distruzione delle concentrazioni avversarie mediante interventi atomici integrati da azioni convenzionali di interdizione e di repressione, l'appoggio al contrattacco con fuoco convenzionale spesso ad integrazione di quello atomico, il sostegno della posizione di contenimento mediante azioni di interdizione e di sbarramento sia di fuoco convenzionale sia di quello atomico, fuoco di controbatteria e contromortai). Le azioni di interdizione vicina, sbarramento, repressione, appoggio al contrattacco e contromortai sono normalmente programmate, pianificate e sviluppate nell'ambito divisionale. Gli interventi atomic i sono invece inseriti nel piano di fuoco atomico d el comando superiore. L'azione di controbatteria, alla quale possono concorrere anche le forze aeree, è compito delle artiglierie di media e di grande potenza e dei missili ed è normalmente organizzata nell'ambito del corpo di a rmata con la partecipazione eventuale delle artiglierie divisionali. La interdizione lontana e l'eventuale contro-
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preparazione sono svolte nell'ambito del corpo d 'armata e dell'armata ed effettuate dalle artiglierie di maggiore potenza e dai missili. Criteri fondamentali dell'ordinamento tattico nella divisione sono l'accentramento del comando e la ripartizione dei compiti. Ai fini della coperazione le artiglierie vengono di norma ripartite in due a liquote: unità orientate a favore dei settori reggimentali e della riserva; unità di manovra (prima aliquota: almeno un gruppo da campagna organico - e, possibilmente, un gruppo di rinforzo - per ciascun settore reggimentale e per la riserva; seconda aliquota: le rimanenti artiglierie organiche e d i rinforzo, nonché i mezzi di lancio atomico eventualmente decentrati alla divisione). L'unità di manovra costituisce la massa di fuoco a costante disposizione del comandante per il diretto intervento nel combattimento. A tutti i livelli, quando la mannvra delle traiettorie soffre di limitazioni, la manovra dei materiali nel senso della fronte può consentire la progressiva gravitazione del fuoco in corrispondenza dei più pericolosi assi di avanzata, a mano a mano che questi vengono individuati. La manovra dei materiali nel senso della fronte è più frequente per le artiglie rie di ordine superiore. La manovra dei materiali nel senso della profondità è resa necessaria dalla insufficienza delle gittate massime; gruppi da campagna: almeno due zone di schieramento (una avanti ai caposaldi più arretrati, una a tergo di questi); gruppi pesanti campali: una sola zona (dietro l'ultimo .ordine di caposaldi). Gli schie r amenti d ei gruppi di artiglieria per essere meno vulnerabili, oltre il ricorso all'occultamento, al diradamento, all'interramento, all'impiego di squadre di servizio ridotte, a ll 'occupazione delle posizioni all'ultimo momento, debbono essere largamente intervallati e scaglionati in profondità (la 7.ona di schieramento di ciascun g wppo è norma lmente dilatata sino a portare gli intervalli tra le batterie ai limiti massimi consentiti dalle esigenze tecniche; il diradamento de i pezzi nell'inte rno della batteria è invece dannoso a i fin i della comanda bilità e de lla difesa vicina). L'osservazione avanzata è propria dei nuclei operanti con le unità di fanteria; l'osservazione in profondità è propria dei nuclei scaglionati in profondità gravitanti negli spazi vuoti . Gli aerei leggeri forniscono il necessario completamento della osservazione terrestre. La difesa vicina acquisisce importanza particolare e la si garantisce organizzando a giro d'orizzonte la difesa degli schieramenti ed appoggiando questi ultimi ad ostacoli naturali o proteggendoli con consistenti ostacoli artificiali. Le artiglierie controcarri agiscono eventualmente nella zona di sicurezza in rinforzo alle unità ivi operanti e normalmente nella posizione d1 resistenza nel quadro dei g ruppi mobili di arresto, per la rapida creazione di schieramenti controcarri. Le artiglierie semoventi controcarri no n si prestano ad agire in campo aperto o da pos tazioni fisse: in genere svolgono azioni successive di agguato, di breve durata, da posizioni ben mascherate e che consentano rapidi sganciamenti. Le artiglierie contraerei sono impiegate secondo rigorosi criteri di priorità stabiliti dal comandante della grande unità. Compito normale: la difesa a bassa quota delle unità di artiglieria; talvolta: la difesa della zona di dislocazione delle riserve. Indispensabile ricorrere a lla manovra d ei materiali e della rete di osservazione. La difesa contraerei a media ed alta quota è compito delle grandi unità di ordine superiore, che la organizzano ne l quadro de lla cooperazione aeroterrestre valendosi delle unità di artiglieria contraerei pesanti e dei missili t erra-aria. Nella manovra in ritirata: quando assume la forma di manovra di ripiegamento, forti aliquote di artiglieria, tra le quali, se possibile, unità semoventi, sono di norma a ssegnate alla re troguardia con il compilo fondamentale del concorso a lla rottura del con tatto (il fu oco atomico può essere previsto in combinazione con reazioni dinamiche). Nell'a zione ritardatrice compito d ell'artiglieria è il logoramento del nemico
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(interdizione iniziata alla maggiore distanza, caratterizzata da continuità e possibilmente da intensità); unità missili, decentrate o non, possono eventualmente intervenire con ordigni atomici sempre che se ne presenti l'occasione e preferibilmente quando sia possibile lo sfruttamento dell'intervento con reazione dinamica. Nella difesa a tempo determinalo di una posizione la massa delle artiglierie disponibili si schiera normalmente a tergo dei caposaldi, assumendo un dispositivo analogo a quello previsto per la difesa ad oltranza; analoghi altresi ordinamento tattico, organizzazione della cooperazione e dell'osservazione. Qualche unità, in via temporanea, assume uno schieramento molto avanzato, specialmente quando la posizione si appoggi anteriormente ad un ostacolo naturale, mentre altre aliquote, preferibilmente semoventi, operano inizialmente in avanti, assegnate od orientate a favore dello scaglione ritardatore. Nella manovra ritardatrice la totalità, o, quanto meno, la mass ima parte delle artiglierie è impiegata a favore di ciascuna posizione intermedia; l'arretramento da una posizione a quella successiva viene eseguito a scaglioni ed è facilitalo dai carri armati incaricati di proteggere il ripiegamento; l'ordinamento tattico è suscettibile di frequenti m odifiche; elementi di comando precedono le unità sulle posizioni retrostanti per organizzare gli schie ramenti; aliquote di artiglieria semovente sono assegnate od orientate a favore dello scaglione ritardatore, a sostegno del quale agiscono anche tutte le artiglie rie in grado di intervenire. Azione difensiva in 1erreni di monragna: l'artiglieri a conserva gli stessi compiti che nell'azione difensiva su terreni di pianura, ma con accentuazione della tenden za al decentramento, salva l'opportunità <li limitarlo ai soli casi in cui non sia possibile far partecipare le artig lierie di un sellare alla manovra del fuoco a favore dei settori contermini e salva la convenienza, anche quando esistano le condizioni per il decentramento, di ricorrere in alcuni casi (es. quando più g1·uppi operino a favore d i uno s tesso settore) all'orientamento a favore, svincolando così i comandanti di settori dagli oneri derivanti dalla definizione degli schieramenti, dall'organizzazione dell'azione contromortai e, ne l caso di manovra in ritirata, dal ripiegamento dell'artiglieria. Dosaggio medio efficace per realizzare l'orientamento a favore: affiancamento di un gruppo da 105/14 ad ogni battag lione alpino. Condizioni per una manovra del fuoco da svolgere su fronte quanto più possibile ampia e comunque anche parzialmente a cavaliere di settori contermini sono da ricercare in ogni caso. Criteri d'impiego: schieramenti avanzati, multipli sulla fronte ed in profondità, interventi immediati negli intervalli. A zione offensiva: l'artiglieria forni sce la massa d el fuoco m anovrato, mezzo più tempestivo, flessibile ed economico a disposizione dei comandanti di grande unità per intervenire nel combattimento sia per dare impulso all'azione sia per fronteggiare la reazione avversaria. li fuoco atomico ha reso non solo inutili, ma impossibili i grandi ammassamenti di a rtig lieria, tipici delle passate operazioni offensive convenzionali; ha tuttavia lasciata immuta ta l'esigen za di fuoco convenzionale, necessario per le azioni di aderenza e per l'integrazione, nel tempo e nello spazio, degli effetti ottenuti con gli interventi atomic i. Compiti principali d ell'artiglieria: prepa rare l'attacco e successivamente dare impulso alla penetrazione (fuoco atomico e convenzionale); fron teggiare reazioni o situazioni impreviste (fuoco atomico e convenzionale); concorrere al con solidamento qualora questo sia eseguito; controbattere le sorgenti di fuoco avversarie per distrugge rle o qua nto meno neutralizzarle; a rottura ottenuta, concorrere allo sfruttamento'de l successo ed all'annientamento delle forze nemiche rimaste isolate. L'azione dell 'artiglieria è, per quanto possibil e, progr:immata in piani di fuoco. L'azione di preparazione: è pi anificata e
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condotta nell'ambito del corpo d'armata con il concorso delle forze aerotattiche, di tutte le artiglierie e dei missili (con testa atomica o convenzionale); comprende di solito interventi atomici che normalmente ne segnano l' inizio; ha durata breve; è caratterizzata da concentramenti massicci per neutralizzare gli obiettivi non colpiti dalle armi atomiche e da brevi concentramenti (di batteria o di gruppo) per integrare e prolungare gli effetti degli interventi atomici; può essere decentrata alle divisioni di prima schiera; può mancare qualora possibile e conveniente sfruttare la sorpresa. Le azioni di appoggio, di interdizione vicina, contromortai sono normalmente pianificate e sviluppate al livello divisionale; quella di appoggio ha inizio sulla linea di riferimento per l'attacco, quella contromortai è caratterizzata da accentramento di organizzazione e decentramento di esecuzione. Gli inLervt:n ti atomici sono inseriti nel piano di fuoco atomico del comando superiore a quello della divisione. L'azione di controbatteria; è compito delle a rtiglierie di media e di grande potenza; è organizzata nell'ambito del corpo d 'armala; può essere decentrata alle divisioni, previo rinforzo di artig lierie e di m ezzi di localizzazione. L'azione d'interdizione lontana è devoluta alle artiglierie di maggiore gittata, ai missili ed alle forze aereo-tattiche. Ordinamento tattico delle artiglierie nella divisione: un'aliquota orientata a favore dei raggruppamenti tattici oppure decentrala ai raggruppamenti stessi e un'aliquota cosiiluenLe l'unità di manovra (comprendenti: la prima aliquota, almeno un g ruppo organico e, possibilmente, uno o più gruppi di rinforzo per c iascun raggruppamento; la seconda aliquota, tutte le rimanenti artiglierie organiche e di rinforzo e può comprendere mezzi di lancio a tomici eventualmente decentrali alla divisione). Criteri base per l'ordinamento lallicu: acce11L.-amen to del comando finché possibile, d ecentramento qua ndo necessario; rapido ed agevole passaggio dall'accentramento a l decentramento e viceversa a tutti i livelli; ampia facoltà di richieste d'intervento da parte degli elementi di collegamento Lattico. E normale che l'ordinamento tattico inizialmente stabilito subisca adattamenti o modifiche nel corso dell'azione. Nelle grandi unità di ordine superiore l 'ordinamento tattico prevede di solito: decentramento di aliquote delle artiglierie di corpo d'armata alle divisioni; d ecentramento totale delle artiglierie di armata alle grandi unità dipendenti; decentramento ai corpi d'armata di unità missili di armata. Concentrazione del fuoco: in corrispondenza del centro di gravità dell'attacco. Mag lio minimo per le azioni convenzionali: il gruppo (non sono da escludere interventi di batteria). Zone di schie ramento delle artiglierie divisionali: stabilite d al comandante della divisione; normalmente il complesso dei g ruppi schierati ha come asse di azione la dire ttrice dello sforzo principale e le zone di schieramento sono disposte su archi successivi in modo da agevolare la convergenza del fuoco sul centro di gravi tà dell 'azione; all'inizio dell'attacco le zone di schieramento sono molto avanzate (le uni tà più avanzate si schierano a 4 Km circa dalla linea di riferimento per l'attacco), comprese quelle delle artiglierie pesanti campali e pesanti; azio ne durante, le artiglierie raggiungono zone s postate in avanti (i gruppi si sposta no per scaglioni di batteria). Nell'ambito de l gruppo le batterie vengono distanziate, entro i limiti consentiti dalle esigenze tecniche, in modo da ridurne la vulnerabilità all'offesa atomica. Eventuali spostamenti dell'asse di gravitazione dello sforzo principale possono richiedere talvolta la manovra dei materiali nel senso de lla fronte, ma tale manovra interessa preminentemente le artiglierie di ordine superiore. L'osservazione avanzata: è assicurata dai nuclei che operano con le unità base; è organizzata dai comandanti delle unità orientate a favore; è sostenuta dal concorso anche d egli organi di osservazione dei gruppi in rinfon.o e negli ;ierei leggeri. L'osservazione in profondità è organizzata
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sul piano divisionale e di corpo d'armata d ai comandanti di artiglieria che si valgono dei reparti specialistici, degli organi dei gruppi non orientati, dei velivoli dell'aviazione leggera. Le artiglierie semoventi controcarri vengono decentrate alle divisioni; la loro azione è particolarmente efficace quando si svolga in cooperazione con altri elementi (fanteria meccanizzata, pionieri di arresto); provvedono da sole od inquadrate in gruppi mobili di arresto alla protezione dei fianchi esposti del dispositivo di attacco o costituiscono riserva controcarri o concorrono all'eventuale consolidamento. L'impiego delle unità contraerei leggere è regolato da rigoroso criterio di priorità degli obiettivi da difendere stabilito dal comandante della divisione; quello de lle unità contraerei a media ed alta quota (artiglierie pesanti e missili terra-aria) è regolato dai comandanti d elle grandi unità di ordine superiore. I criteri generali sono analoghi a quelli dell'azione difensiva.
Genio. Azione difensiva in terreni di pianura: compiti analoghi in ambiente atomico ed in quello convenzionale. Dilatazione dei dispositivi ed aumento delle esigenze di protezione su tutta la profondità ed a tergo delle posizioni difensive esigono che: i lavori da affidare al genio siano limitati a quelli che per ragioni tecniche non possano essere eseguiti da al tre armi; siano dis ponibili in larga misura attrezzature meccaniche; venga realizzata una spiccata specializzazione dei reparti del genio. Il genio partecipa a lla battaglia difensiva con tutte le sue specialità. I pionieri divisionali provvedono di norma all'esecuzione dei lavori relativi: all'ostacolo (posa campi minati, predisposizioni cd attuazione di distruzioni ed interruzioni s peditivc); alla viabilità; alla costruzione e protezione (contro l'offesa e l'osservazione) dei posti comando e degli osservatori (normalmente fino al livello reggimenta le); alla protezione di unità dei servizi; al piano di inganno. Concorrono eventualmente alla costruzione di piste per aerei leggeri, all'organizzazione del servizio idrico, a ll'esecuzione di altri lavori del genio delle grandi unità di ordine superiore. Sono impiegati in unità di lavoro di costituzione variabile in funzione del compito. Il loro decentramento ai settori reggimentali è eventuale e, in ogni caso, temporaneo. I pionie ri di corpo d'armata eseguono di norma lavori relativi alla protezione (comandi, organi di comando, artiglierie) ed alla viabilità (limitatamente a lle esigenze delle unità del corpo d'armata). In via s ubordinata provvedono alla costruzione di alloggiamenti. alla posa di campi minati, a lla costruzione di piste, eventualmente all'organizzazione del servizio idrico. Intervengono a favore del corpo d'armata stesso, delle divis ioni alle quali possono essere assegnati in rinforzo, dello scaglione di presa di contatto e ritardo. Il loro decentramento è attuato pe r il tempo necessario all'adempimento del compito. I pionieri di armata provvedono o concorrono normalmente ai lavori relativi a lla: via bilità; protezione dei comandi, servizi, postazioni di artiglieria di grande g ittata; all'organizzazione della seconda posizione difensiva e di eventuali posizioni intermedie; alle predisposizioni di demolizioni strategiche; alla costruzione di piste per aerei leggeri e di basi di lancio per missili. In via eccezionale, possono concorrere alla posa di campi minati, specie sulla posizione di contenimento di qualche settore divisionale; in questo ultimo caso, il loro decentramento alle divisioni dura il solo tempo necessario alla posa dei campi minati. I pionieri d'arresto costituiscono supporti di corpo d 'armata, ma frequentemente operano nell'ambito delle divisioni alle quali vengono almeno in parte assegnati. Sono impiegati sia per la posa sia per la difesa di campi minati ed il loro schieramento a difesa si attua o a ragion veduta o, tavolta, a priori; di norma
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agiscono nell'ambito dei gruppi mobili di arresto e sono impiegati per unità non inferiori alla compagnia. I minalori provvedono normalmente alle demolizioni strategiche relative alla viabilità ordinaria e ferroviaria; vengono impiegati per drappelli di forza commisurata alle singole esigenze; concorrono eventualmente all'approntamento di demolizioni tattiche; vengono assegnati, per aliquote, in rinforzo allo scagione di presa di contatto e di ritardo per l'attuazione delle demolizioni previste sul davanti dell'area della battaglia. I pontieri provvedono normalme nte a l ripristino di ponti stradali interrotti o distrutti ed alla costruzione di ponti e di t raghetti necessari all'azione difensiva. I mascheratori intervengono nello studio e nella attuazione del mascheramento di grossi compl essi e di importanti elementi d ell'organizzazione difensiva e concorrono largamen te all'attuazione del piano d 'inganno. I foto-elettricisti sono impiegati per l'illuminazio ne del campo di battaglia, il dis turbo e l'accecamento dell'osservazione nemica, l'attuazio - · ne di segnalazioni luminose convenzionali, ecc. È frequente il loro decentramento a lle divisioni. I meccanici elettricisti e gli idrici trovano normale impiego nello sfruttamento delle risorse idro-termoelettriche ed idriche, per la rimessa in effi cienza degli impianti danneggiati o per l 'attuazione di distruzioni o di inutilizzazioni di impianti da abbandonare. I teleferisti sono impiegati pe r lo sfruttamento di impianti esistenti, per la rimessa in efficienza di quelli danneggiati, per la costruzione di nuovi impianti, per la distn17.ione o inu tilizzazione di quelli da a bbandonare. L'esecuzione dei lavori deve essere rigorosamente pianificata in base a criteri di priorità; que lli da compiere azione durante non sono tutti suscettibili di sicura precisazione preventiva. La posa de i campi minati di compe te nza del genio viene di massima eseguita secondo un ordine di 4 prio rità: priorità n° 1, (con inizio contemporaneo), campi minati in zona di sicurezza con progressione dall'avanti all'indietro, campi minati con fun zione di arresto negli inte rvalli con progressione di posa dall'avanti all'indietro, campi minati con funzio ne di arresto sulla posizione di contenimento; priorità n° 2: campi minati con funzione d'incanalamento nella posizione di resistenza con progressione di posa dall 'avanti all'indietro; priori tà n° 3: campi minali a protezione di.retta dei caposaldi di sostituzione; priorità n ° 4: costruzione delle postazioni a difesa dei campi minati di a rresto per i quali si ritenga opportuno rimandarla ad avvenuto completamento degli altri campi minati. Nella manovra in ritirata l'attività d el genio riguarda essenzialmente la viabilità e l'ostacolo, con lavo1·i 1·idolli all'indispensabile, stante la ristrettezza del tempo disponibile. Durante la manovra in ritirata, le unità del genio, specie pion ieri e minatori, vengono largamente decentrate fino al livello di raggruppamento e d i gruppo tattico e l'attività del genio si sviluppa ne lla m anovra rita rdatrice essen zialmen te, in ciascuna fase, a favore de lla posizione intermedia s uccessiva a quella in c ui svolge il combattimento o nello spazio tra due posizioni. Azione difensiva in montagna: decentramento dei pionieri solo a tempo determinato, in fa se organizzazione della difesa, per recuperarli appena possibile per un più economico impiego accentrato; impiego dei pionieri di brigata nei settori più impervi lasciando le zone di facilitazione ai reparti genio in rinforzo; assegnazione ai reparti genio di corpo d 'armata d ell'o rganizzazione delle posizioni intermedie fra I a e 2a posizione difen siva e d ella 2• posizione difensiva; impiego de i pionieri di arresto nello schieramento e nella difesa d ei campi mina ti in corrisponden za delle vie di facilitazione, lasciando ai normali reparti alpini il compito d'interdire le zone impervie. Azione offensiva: compili analoghi in ambiente atomico ed in ambiente convenzionale, ma le modalità di azione sono influenzate nel primo ambiente dalla
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necessiLà di operare su spazi molto ampi ed in tempi ristretti. Criteri: elevata flessibilità d'impiego, larga disponibilità di attrezzature meccaniche, spiccala specializzazione. Il genio partecipa alla baltaglia offensiva con tutte le sue specialità; i pionieri adempiono una funzione di primo piano. I pionieri divisionali operano: nella fase di ricerca e presa di contatto, decentrati, con il compilo di assicurare speditezza al movimento; nella fase di organizzazione dell'attacco, spesso decentrati ai raggruppamenti, per completare le ricognizioni dei campi minati ed aprire varchi, eseguire lavori speditivi per facilitare il movimento dei raggruppamenti in primo scaglione, aprire varchi nei campi minati difesi direttamente dal nemico, impiegando mezzi e procedimenti adatti al terreno ed alla situazione e sempre che non si provveda altrimenti (es. con tiri di artiglieria e di mortai); durante l'esecuzione dell'attacco, per allargare i varchi od aprirne altri e per rimuovere gli ostacoli di ogni genere che si oppongano al movimento. Nel caso di forzamento di un corso d'acqua, concorrono con unità del genio di o rdine superiore all'attività informativa di carattere tecnico, al traghettamento d ello scaglione di protezione ed all'apertura d ei varchi nei campi minati sulla sponda nemica. I pionieri di corpo d'armata operano, spesso decentrati alle divisioni, nei lavori di viabilità ed in quelli necessari al funzionamento dei comandi e dei servizi. Assumono un ruolo di primo piano nel forzamento dei corsi d'acqua, concorrendo alle operazioni di traghettamento cd eseguendo lavori vari relativi alla viabilità, a ll'afflu sso, al deflusso, all'imbarco ed allo sbarco .degli scaglioni ed al piano <l'inganno. È nonnale il decenLramento di aliquote allo scaglione di 1·icerca e presa di contatto. I pionieri di armata provvedono: a l ripristino della viabilità in corrispondenza delle demolizioni stradali, al rinforzo dei ponti, alla manutenzione delle rotabili, alla costruzione di piste per aerei, di eliporti e di basi di lancio per missili. I pionieri di arresto agiscono di norma rinforzati nell'ambito dei gruppi mobili di arresto per costituire fianchi difensivi, partecipare al consolidamento. Unità del genio delle altre specialità, cosLiLuenti in genere supporti di armata, operano per unità di lavoro, di norma con ordinamento accentrato. Quando decentrate ai corpi d 'armata cd alle divisioni, il decentramento avviene per aliquote non inferiori a l plotone ed ha sempre caraltere temporaneo e strettamente limitato alle esigen ze del lavoro da compiere.
Trasmissioni. Azione difensiva nei terreni di pianura e collinari: ]'impiego delle trasmissioni è informato a criteri unitari, ma pre senta caratteristiche diverse in relazione a lle differenti forme che può assumere la battaglia difensiva. Da ciò: capaciLà di adeguarsi tempestivamente al dispositivo, per cui alto g rado di flessibilità e disponibilità di vasta gamma di mezzi. La o rganizzazione si diversifica ai vari livelli di comando. Il bisogno di fronteggiare esigenze impreviste, le accresciute necessità operative e l'alto coefficiente di vulnerabilità in ambiente atomico richiedono ad ogni livello riserve adeguate, intese come complessi organici di personale e materiali. Trasmissioni di annata: basate su sistemi stabili, utilizzano ampiamente l'organizzazione telegrafica civile e militare di carattere perma nente che potenziano: a breve raggio, mediante circuiti in cavo campale; ad ampio raggio, essenzialmente a mezzo di ponti radio, con largo impiego di apparecchiature vettrici. La funzionalità della rete viene assicurata mediante la costituzione di centri principali (comando d 'armata) e di centri sussidiari (disposti a scacchiera) per consentire l'agevole attuazione di maglie ed anelli e per rendere possibile l'inserimento nella rete stessa
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di comandi e unità in sosta temporanea nell'area dell'armata. Fra le reti di carattere particolare del sistema trasmissioni di armata: rete per impiego di mezzi atomici, rete informativa, reti logistiche d'intendenza. Nel quadro della guerra elettronica, l'armata concorre all'intercettazione delle trasmissioni ed all'analisi del traffico avversario, alla radiolocalizzazione delle emittenti ed alla ricostruzione delle reti avversarie, al disturbo delle radiocomunicazioni. Trasmissioni di corpo d'armata: costituiscono anello intermedio tra le trasmissioni di armata e quelle divisionali; poggiano essenzialmente su di una consistente rete telegrafonica (con caratteristiche prevalenti campali); integrano e sussidiano tale rete con linee di corrispondenza in ponte radio; richiedono vasta gamma di mezzi ed un'organizzazione particolarmente flessibile, nella quale i mezzi radio sono normalmente considerati di riserva. Per ii controllo delle armi atomiche in organico od assegnate al corpo d'armata, si organizza, ad integrazione della specifica rete di armala, una rele particolare collegante il comando di corpo d'armata (di norma il centro coordinamento de l fuoco) con i comandi dipendenti a favore dei quali sono programmati gli interventi e assegnate le unità di lancio. Trasmissioni divisionali: quelle a filo costituiscono il mezzo normale di collegamento e sono potenziate da una rete in ponti radio, estesa fino ai comandi di reggimento, che costituisce la prima riserva dei mezzi a filo. Le caratte1;stiche preminenti delle reli sono: organizzazione a maglie ed anelli a l fine di ovviare a possibili interruzioni, funzionamento di centri di commutazione (almeno due, uno avanzato, uno arretrato) alli a conferire elasticità alla rete. Le trasmissioni radio, pur d'impiego limitato, richiedono ampio sviluppo per sostituirsi alle reti a filo se inutilizzate, fronteggiare le esigen ze di manovra, assicurare l'impiego delle unità mobili. Reti di carattere particolare: rete informtiva, rete per la zona di sicurezza, rete per l'impiego delle armi atomiche. Centri nell'ambito divisionale: centro trasmissioni avanzato per il comando operativo, centro trasmissioni arretrato per il comando logistico, centro trasmissioni di sostituzione per le esigenze tattiche e logistiche del vice-comando di divisione. Nella manovra in ritirata: utilizzazione degli assi delle trasmissioni a filo correnti lungo le prevedibili direttrici del movimento retrogrado e collegali trasversalmente a centri di trasm issione dislocati possibilmente sul tergo delle previste posizioni intermedie. Nella manovra di ripiegamento: esclusa la possibilità di mettere in atto reti a filo in più di quelle preesistenti, ricorso agli assi di collegam ento esistenti in profondità o predisposti od alle reti radio che, pur riducendo al minimo il loro t raffico, devono essere in grado di assicura re la continuità del comando ed il coordinamento dei movimenti e delle azioni ogni qual volta vengano meno g li altri mezzi di trasmissione. Nell'azione ritardatrice è possibile una migliore utilizzazione deg li assi di collegamento esistenti, in tutte le fasi. Nella manovra ritardatrice per assicurare il coordinamento tra le azioni svolte alternativamente su ll e varie posizioni, il s istema delle trasmissioni radio si articola di norma in nucle i scavalcanti si sulle posizioni s tesse ed in grado di assicurare con continuità il collegamento tra comandi e scaglioni operanti. Azione difensiva in montagna: non variano sostanzialmente né i compiti, né l'ordinamento tattico, né i criteri d'impiego delle tras missioni. Esistono le esigenze di: utilizzare gli elicotteri per il trasporto ed il funzionamento di ponti radio in zone difficilmen te accessibili; assicurare la continuità mediante collegamenti multipli, circuiti chiusi e reti integrate; ricercare la sicurezza dei cen tri trasmissioni dislocandoli a conveniente distanza dai comandi da essi serviti; estendere alle brigate il sistema tclccifrantc in linea.
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Azione offensiva: mezzi di trasmissione e sistemi: flessibili, multipli, a largo margine di portata, rispondenti alle esigenze della segretezza e della sicurezza, riserve operative. Impiego dei mezzi: a filo (in cavo), in fase di avvicinamento e di organizzazione dell 'attacco e, in generale, nell'ambito de i più e levati livelli ordinativi; radio, in fase di attacco e di sfruttamento del successo e, in generale, ai livelli ordinativi inferiori; mezzi animati, specie corrieri aerei, tra comandi di grandi unità in tutte le ci rcostanze in cui sia consigliato dalla situazione operativa generale o da quella contingente delle trasmissioni con mezzi elettrici. l collegamenti in ponte radio trovano larga possibilità d'impiego in tutte le fasi dell'azione fino al livello dei comandi di r aggruppamento. Trasmissioni di armata; caratterizzate da stabilità del sistema e continuità di sviluppo del sistema stesso; comprendenti centri principali e centri su ssidiari; fruenti in larga parte, ove necessario potenziandola, dell'organizzazione telegrafonica civile e militare permanente; organizzate in maniera strettamente unitaria in modo che alla molteplicità degli assi di sforzo corrisponda un sistema cost ituito da una serie di assi di collegamento, materializzati dalle concentrazioni di canali di vario tipo lungo gli assi di sforzo, di potenzialità commisurata a l prevedibile sviluppo delle operazioni in profondità in corrispondenza della direttrice operativa del corpo di armata. I mezzi radio costituiscono di solito una riserva di pronto intervento, già schiera la e di accertata efficienza. A rottura avvenuta , le variazioni nell'articolazione di comando possono determinare una crisi, particolrmentc sensibile al livello di corpo d'armata, che può essere superata con il concorso delle trasmissioni di armata inteso a: sostituire unità trasmissioni di corpo d'armata nella gestione di centri ed assi di ,collegamento nelle zone che, in rapporto al favorevole sviluppo delle operazioni, risultino arretrate; rendere prontamente disponibili i reparti trasmissioni dipendenti da un comando di corpo d'arma ta che abbia ricevuto un compito diverso da quello precedentemente assolto ed in funzione del quale i reparti stessi erano stati schierati. Tras missioni divisiona-li: le reti divisionali, massimamente quelle di comando, costituiscono un complesso unitariamente organizzato, strettamente vincolato al concetto di azione del comandante ed a questo adeguantisi nell'evoluzione dell'azione, comprendenti canali realizzati con personale e mezzi di trasmissione di tutte le armi. Il sistema, per l'impiego delle armi atomiche, come a l livello di corpo d'armata, si vale della speciale rete del comando superiore, eventualmente integrata da c.;ullègamenti diretti tra il comando (F.S.C.C.) e le unità di lancio. Le trasmissioni a filo costituiscono il mezzo di collegamento principale nelle fasi di organizzazione e preparazione dell'attacco; quelle radio nelle fasi di condotta dell'attacco e di s fruttamento del successo. Centri trasmissioni: uno avanzato, uno arretrato, uno di sostituzione. Forze aeree tattiche. Azione difensiva ed offensiva in terreni di pianura e collinosi: in ambiente atomico: sono esaltate le esigenze dell'esplorazione aerea tattica, il conseguimento del massimo grado possibile di superiorità aerea, il trasporto aereo nel campo delle operazioni st rategiche, tattiche e logistiche; risulta diminuita l'impor tanza dell'appoggio aereo diretto in quanto con i missili in dotazione alle forze terrestri possono essere colpiti gli obiettivi già in passato attribuiti a lle forze aerotattiche. Nella fase iniziale dell'azione difensiva e di q uella offensiva, sia la m aggior parte delle forze aeree di scacchiere sia di quelle aerotattiche affiancate a lle armate sono impegnate per la conquista ed il mantenimento della superiorità aerea mediante l'offesa contro le infrastrutture aeronautiche e le basi di lancio dei missili avversari e la dife:sa
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dalle azioni aeree nemiche (interdizione). L'appoggio aereo trova la maggiore possibilità di attuazione sotto forma indiretta. La conquista della superiorità aerea è pianificata, organizzata e condotta dai comandi aerei di ordine superiore; l'interdizione lo è in sede interforLe ai vari livelli in aderenza ai disegni operativi; l'appoggio aereo diretto Io è anch'esso in sede interforze. L 'esplorazione aerea tattica costituisce premessa indispensabile per la condotta della battaglia difensiva e di quella offensiva. Essa va assicurata indipendentemente dalle esigenze della lotta per la superiorità aerea ed atomica. La esplorazione aerea a vista garantisce la maggiore rapidità di individuazione, determinazione e designazione degli obiettivi ed a tale fine tutti i piloti debbono essere in grado di raccogliere, a vista, elementi informativi sul nemico. L'esplorazione fotografica adempie anch'essa una funzione insostituibile, stanti il mascheramento e le misure d'inganno posti in atto dal nemico, per la ricostruzione della situazione avversaria. Nell'impiego delle unità di caccia bombardieri occorre tenere presente che: la battaglia combattuta con armi atomiche accentua la necessità di considerare obiettivi di massima priorità le unità corazzate (utile il ricorso a missioni di ricognizione armata che prevedano anche l'impiego di ordigni atomici); è conveniente integrare un attacco aero-atomico con fuoco convenzionale; le azioni di appoggio aereo sono, per ora, svolte prevalentemente di giorno. Durante le fasi critiche della battaglia difensiva, particola rmente quando la difesa sia in procinto di sviluppare un contrattacco, è indis pensabile incrementare al massimo l'attività loca le di intercettazione dei ricognitori e dei cacciabombardieri nemici. li trasporto ae reo - che comprende l'aviosbarco, l'aviotrasporto, il rifornimento aereo e lo sgombero dei feriti - amplia le possibilità di manovra. I criteri d 'impiego delle forze aeree da trasporto, nel caso di operazioni di sbarco in t er ritorio nemico che interessino il campo tattico, sono adeguati alle esigenze d'impiego delle forze terrestri. Decisione, organizzazione e condotta di operazioni d i sbarco aereo competono, di massima, al comando di scacchiere, se si tratta di operazioni condotte con forze dell'ordine di una grande unità; all'armata ed alla grande unità a erea affiancata per le operazioni di minore entità. In ogni caso le forze aviosbarcate dipendono dall'armata per le operazioni a terra. Il rifornimento a e reo e lo sgombero dei feriti costituiscono attività logistiche; tuttavia se inquadrati in operazioni di aviosba rco la loro pianificazione costituisce parte integrante d ella pianificazione operativa della specifica operazione. Azione di/ensivu ed offensiva in montagna: il concorso aereo soffre in m ontagna di limitazioni derivanti dalle caratteristiche del particolare ambiente. Sull'es plorazione aerea la montagna incide: favorevolmente circa le maggiori possibilità di localizzare g li obiettivi; negativamente circa le limitazioni generiche dell 'ambiente. Le azioni di appoggio aereo soffrono di sens ibili limitazioni conseguenti dalla difficoltà di individuare tempestivamente g li obiettivi da batte re .
Servizio informativo operativo (S.J.O.) Azione difensiva in terreni di pianura e collinari. L'avvento de lle armi atomiche lascia immutati i principi informativi, ma ne richiede una diversa applicazione per l'aumento dei compiti e per la diminuzione dei te mpi a disposizione. Nell 'azione difensiva l'attività informativa è rivolta essen zialmente a: determinare! le possibilità di azione de l nemico, individuare i suoi elementi vulnerabili, proteggere i propri lati vulnerabili: tre, dunque, le forme di attività del S.LO .. In particolare: l'attività informativa relativa all 'impiego di armi atomiche da parte nemica ha come primo obiettivo l'indiv iduazione delle sorgenti del fuoco atomico nemiche ed al presentarsi
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di indizi di un possibile impiego di armi atomiche nemiche si polarizza sulla ricerca di rilevamento delle armi atomiche nemiche; l'attività informativa per l'impiego delle armi atomiche contro il nemico ha lo scopo di individuare o di prevedere gli obiellivi atomici potenzia li e di controllarli fino al momento della d ecisione d 'intervento, nonché di raccogliere le informazioni sugli obiettivi e sull'ambientè circ~s tante per lo studio degli interventi. La difesa, dovendo subire l'iniziativa dell 'allacco, risolve inizialmente il pro prio problema informativo basandosi, per quanto riguarda il nemico, essenzialmente su ipotesi. L'impostazione vera e propria del processo informativo ha perciò luogo soltanto dopo la presa di contatto, quando è possibile racco gliere notizie e proced ere alla verifica delle ipo tesi ad eguando il disegno di manovra alla reale situazione. L'impostazione si basa sui quesiti posti dal comandante non solo in funzione delle possibilità dell'avversario, ma anche in funzione di quanto può fare la difesa, soprattutto con le armi atomiche, per ridurre ed eventualmente annullare le possibilità d el nemico. Dall'impostazione del processo informativo d erivano due correnti di allività, tendenti rispettivamente a definire le possibilità dell'avversario, con particolare riguardo a que lle atomiche, e la sua vulne rabilità. Tra i compiti difensivi d el S .1.0. assume priorità l'attività informativa avversaria. Le misure controinformative consistono essen zialmen te: nel realizzare un ambiente di sicurezza a favore delle armi atomiche, nel rendere le operazio ni di traspor to e di schieramento di armi atomiche simili a quelle relative ai mezzi convenzionali, nel tutelare il segreto delle notizie e degli ordini relativi all'impiego delle armi atomiche, nel controllare il diradamento dei reparti, l'occultamento ed il mascheramento, i sistemi di a llam,c, ecc. mediante il ricorso ad aerei, fotografie aeree, ecc. Tra le misure controinformative sono compresi i pian i d 'in ganno, intesi a sviare la ricerca informativa nemica. Azione difemiva in terreni di montagna. La montagna limita le possibilità del mezzo aereo ai fini di un'organica e continua raccolta delle informazioni; da ciò l'esigenza della più intensa attivazione di tutte le altre fonti informative e, in particolare, di quelle dislocabili ne lle re trovie nemiche, il cui occultamento è favorito dall'ambiente. A zione offensiva. Nell'azione offensiva l'attività S.1.0 . è essenzialmente rivolta a: determinare le possibilità e gli elementi vulnerabili d el nemico, definire in particolare gli clementi necessari all'efficace e tempestivo intervento delle proprie a rmi atomiche, nonché le poss ibilità <lei nemico relative a ll'impiego delle sue a rmi a tomiche, neutrali7:zare l'attività informativa avversari.a. Il raggiungimento dei primi due scopi si traduce in un 'attività tendente a: individuare i lineamenti generali dell'organizzazione difensiva avversaria, valutare l'importanza tattica e la capacità di resistenza degli elementi costitutivi almeno della prima posizione difensiva, individuare g li elementi generali e specifici vulnerabili d el nemico nel campo ta ttico e logistico, localizzare le riserve, scoprire gli indizi del possibile impiego di armi atomiche nemiche, acquisire ogni elemento riguardante il terreno specie le zone d 'intervento degli ordigni atomici e dell'impiego delle forze corazzate, raccogliere in anticipo dati relativi alle condizioni atmosferiche. Fonti essenziali della ricerca informativa: esplorazione aerea, agenti operanti in territorio nemico, intercettazione radio; a questi si aggiungono: esplorazione terrestre, osservazione terrestre ed aerea, pattugliamento. La neutralizzazione dell'attività informativa avversaria si ottiene mediante la creazione di un ambiente di sicurezza per le proprie unità, la tutela del segreto, il controllo del di radamento, occultamento, mascheramento, sistemi di allarme, ecc., l'inganno.
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17 Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento. 3a Sezione. Impiego tattico delle anni atomiche. N ° 650 della serie dottrinale. 1• ristampa dell 'edizione 1957. Anno 1959. La pubblicazione, approva la dal genera le Liuzzi, consta di 60 pagine, 92 articoli, 3 appendici. Comprende: premessa e 4 capitoli. U capitolo I - Caraueristiche d'impiego delle armi atomiche - tratta: aspetti tattici degli effetti delle esplosioni atomiche (effetti tecnico, radioattivo, meccan ico, luminoso); caratteris tiche dei diversi tipi di esplosione atomica; efficacia delle esplosioni atomiche (distribuzione dei danni e d elle perdite nella zona delle esplosioni, raggi di efficacia, consegucnz.e degli errori di lancio in quota); sicurezza delle t ruppe a miche (raggi di sicurezza, distanza di sicu reua, provvedimenti atti a migliorare le condizioni di sicurezza): possibilità e limitazioni di impiego (caratteristiche dei mezzi d'impiego, assegnazione delle armi atomiche, tempi di intervento). TI capitolo II - Analisi dell'obiettivo atomico - tratta: generalità; studio di un intervento atomico con i l m etodo grafico; studio di un intervento atomico con il metodo numerico (obettivi puntiformi, obiettivi estesi); controllo d ella vulnerabi lità dei dispositivi amic i. Il capitolo III - Criteri d 'impief}.u delle armi atomiche - tratta: concetti generali; impiego d e lle armi atomiche nell 'offesa (attacco, sfruttamento del successo, aviosbarco); impiego delle a rmi atomiche nella difesa (difesa ad oltranza od a te mpo determinato, manovra in ritirata, difesa contro aviosbarchi); impiego delle armi a tomiche in a mbienti particolari. Il capitolo IV - Attività dei comandi per l 'impiego delle anni atomiche - tratta: generalità; a ttività informativa; concezione degli interventi atomici; organizzazione degli interventi a tomici; piano di fuoco atomico; pianificazione delle interru zioni e delle dis truzioni da effettuare con ordigni atomici; con trollo d egli effetti delle esplosioni atomiche. L'appendice 1 - Dati non classificati relativi alle possibilità di impiego degli ordigni atomici ed ai raggi di efficacia e d i sicurezza - tratta: possibilità di scoppio e di lancio per gli ordigni atomici supposti disponibili; raggi di efficacia sul personale; raggi di efficacia sui materiali; raggi di sicurezza per il personale e i materiali. L'appendice Il - Impiego dei grafici per la determina zione dei danni e delle perdite percentuali e relative probabilità - tratta: d eterminaz.ione d elle probabilità di perdite o di danni su obiettivi puntiformi (con a llegati due grafici); d eterminazio ne delle percentuali di danni e di perdite e probabilità relativa s u obiettivi estesi (con allegati quattro grafici). L'appendic-c TTI tratta: Esempio di stima della pe rcentuale delle perdite e dei danni cun il m etodo di analisi grafico. 18 Rivista Militare. 1959, XII, pg. 1599, F.volu zione degli ordinamenti e dei procedimenti delle forze terrestri in conseguenza de/l'impiego delle nunve armi del gen . Giorgio Liuzzi.
CAPITOLO
LVI
ALTRI REGOLAMENTI DEGLI ANNI 1955-59
1. Limiti e sviluppi della serie dottrinale 600. 2. Le Norme d'impiego della divisione corazzata. 3. Le Norme d'impiego del reggimento di cavalleria blindata. 4. Panorama logistico. 5. Il nuovo Nomenclatore organico-tattico-logistico. 6. I lineamenti d'impiego delle minori unità-carri e la caccia ai carri. Le istruzioni di carattere tecnico, procedurale e vario. 7. La regolamentazione addestrativa. 8. Considerazione conclusiva.
1.
Le memorie della serie 600 sulla battaglia difensiva e sulla battaglia offensiva, benché derivate da studi ed esperimentazioni approfonditi e durati a lungo, non fugarono d'incanto tutte le incertezze proprie della s ituazione nebulosa e fluida creata dall'avvento dell'arma atomica tattica. Il processo deduttivo attraverso il quale si era giunti alla definizione delle nuove concezioni operative ed i risultati ricavati durante i va ri cicli applicativi circa la loro validità avevano conferito, peraltro, ai contenuti della nuova dottrina concretezza ed efficacia pe rsuasive. Nella vasta area della indagine compiuta erano comunque rimaste zone di ombra dovute alla natura stessa della materia, alla segretezza dalla quale veniva ancora protetta la consistenza ed il tipo degli stock di ordigni disponibili negli arsenali, a ll'incessante progresso delle tecniche di costruzione e di produzione della nuova arma. Alla base della nuova dottrina erano state poste due ipotesi: disponibilità di armi atomiche, equilibrio atomico tra i due contendenti. Nessuna battaglia aeroterrestre avrebbe avuto senso qualora entrambe le parti avessero impiegato un numero tale di ordigni da riuscire ad annullarsi reciprocamente sul piano fisico oppure qualora una sola di esse fosse stata in possesso della nuova arma e l'altra no. In entrambi i casi la manovra tattica sarebbe risultata fuori del dominio di qualsiasi dottrina. Le forze convenzionali non avrebbero
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più avuto nulla o quasi da dire. Era la teoria, questa, del button push. Tutti gli Stati peraltro, sia pure in misura e dosatura diverse, mantenevano la disponibilità di forze convenzionali, per cui era evidente che si continuava a pensare alla eventualità di una gerra solo convenzionale ovvero ad una guerra con impiego contenuto di anni atomiche. Le difficoltà consistevano nel determinare la quantificazione dell'aggettivo limitata riferito alla disponibilità ed impiego degli ordigni sul campo di battaglia e nell'attribuire il requisito della bivalenza alla dottrina d'impiego ed agli ordinamenti tattici. A tale secondo scopo occorreva, da una parte rifarsi alla seconda guerra mondiale, dall'altra immaginare con il massimo di aderenza possibile ai dati tecnici noti che cosa sarebbe accaduto sul campo di battaglia nella prospettiva dell 'impiego delle armi atomiche tattiche. La nuova dottrina non ebbe perciò la pretesa di segnare la s tazione di arrivo, ma piuttosto una base organizzata di partenza dalla quale muovere verso obiettivi meglio materializzabili in futuro, a mano a mano c he si fosse diradata la nebbia che ancora li copriva od appannava. Essa non fu presentata come perfetta, definitiva e di lunga durata, o quanto meno valida per molti anni, come era accaduto per quasi tutte le normative precedenti. Fu una prima luce che cercò di rischiarare il buio atomico e di porre termine alla fase d'incertezza, anzi di sbandamento concettuale, che si veniva protraendo da qualche tempo per la mancanza di un radar di guida, addirittura di una bussola di orientamento. L'esercito italiano fu il primo, come abbiamo ricordato, ad essere fornito di tale bussola che, pur non essendo precisa fino al millesimo, gli consentì di orizzontarsi con sufficiente approssimazione lungo la difficile e scogliosa rotta delì' impiego dell'arma atomica tattic.a . La consapevolezza delle difficoltà da superare e delle insidie da evitare fu tale che, anche dopo l'elaborazione, la dirama zione e l'entrata in vigore della nuova dottrina, lo stato maggiore de ll'esercito continuò a porsi ed a rivolgere ai quadri una serie di quesiti ai quali né il processo logico seguito, né le esercitazioni applicative avevano dato risposte esaurienti o del tutto convincenti. Al termine dei cicli Monte Bianco, Latemar e Freccia azzurra, dopo la valutazione delle indicazioni da essi raccolte, la Rivista Militare pubblicò 3 articoli ufficiosi nei quali, dopo aver preso atto che le varie pubblicazioni avevano nel complesso superato favorevolmente il vaglio delle prove pratiche, lo stato maggiore tornava ad ammonire che le nuove concezioni e le nuove modalità di azione partivano da ipotesi
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che avrebbero potuto essere infirmate nel giro di pochi anni e che alcuni punti della nuova dottrina andavano ulteriormente approfondi ti per ricevere una soluzione più aderente alla prevedibile realtà 1. Nei riguardi dell'azione difensiva, in particolare, la serie di quesiti posta alla meditazione dei quadri - nella considerazione che solo attraverso lo sforzo individuale speculativo prima, applicativo poi, la dottrina si trasforma in capacità professionale - era piuttosto nutrita e coinvolgeva la zona di sicurezza, il caposaldo, il controllo degli intervalli, la manovra dei presidi e l'impiego delle riserve divisionali. Le pubblicazioni della serie 600 raccolsero, comunque, consensi pressoché unanimi, anche perché il loro contenuto era il risultato del lavoro compiuto dallo stato maggiore dell'esercito in collaborazione di e nti e di comandi elevati e di gruppi di lavoro particolarmente qualificati, incarica ti espressame nte di vagliare i procedimenti od alcuni loro aspetti, e derivava da un apprezzamento realistico dell'incid~nza delle armi atomiche tattiche entro i limiti delle due ipotesi di base e della situazione strategico-militare italiana quale era anda ta maturando negli ultimi anni e quale veniva pros pettandosi per il futuro immediato. In tale ultimo contes to anche il caposaldo di battaglione, in particolare quello a struttura nucleare - che alcuni peraJtro contestarono per il suo elevato coefficiente di vulnerabilità 2 fu ritenuto tuttallora accettabile nel quadro di una concezione ed organizzazione difensiva necessariamente legata al principio N .A.T.O. della strategia avanzata ed al numero e tipo delle unità consentiti dalle risorse disponibili. La nuova dottrina non era, infatti, una formula per affrontare in campo tattico qualsiasi forma di guerra, in qualsivoglia situazione e terreno, ma solo un orientamento per la soluzione del problema difensivo della frontiera nord-orientale italiana. L'affidamento che la 600 continuava a fare sul fattore terreno e conseguentemente sulfe strutture statiche, peculiarmente sul caposaldo - che resta il cardine d ella nostra concezione difensiva 3 derivava dalla constatazione fondata che il terreno stesso, inteso come piattaforma sulla quale investire, organizzare e proteggere le strutture statiche al fine di logorare ed arrestare l'attacco e di appoggiare il contrattacco, continuava ad essere un fattore sfruttabile soprattutto dalla difesa e non dall'attacco o, comunque, non nella stessa misura. L'arma atomica tattica se conferiva all'azione offensiva grande capacità di rottura e di penetrazione rapida, lasciava all'azione difensiva buone possibilità di protezione dai suoi
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effetti e capacità di contromanovra analoga a quella offerta all'azione offensiva. Il problema del caposaldo era quello della dimensione da attribuirgli, non già della messa in discussione della funzione. Qualche anno dopo, il caposaldo di battaglione verrà ripudiato, ma sarà quando verrà meno il presupposto della disponibilità limitata. La dottrina 600, pur nei limiti sanciti da11o stato maggiore stesso, riuscì, dunque, a rompere l'incantesimo della bomba atomica tattica, a trarre fuori dall'inedia della staticità concettuale il pensiero militare non solo italiano, ad equilibrare nel segno della continuità l'esperienza della seconda guerra mondiale e la prospettiva delle nuove forme di lotta. Essa non fu impregnata di ottimismo o di pessimismo, di avvenirismo o di conservatorismo, di presunzione o di rassegnazione, ma di razionalità, di realismo e di concretezza. Si ispirò al criterio di un armonico contemperamento della realtà e della immaginazione, criterio che solo può conferire alla normativa tattica concretezza nell'attualità e certezza nell'evoluzione . I cicli sperimentali che n e accompagnarono l'elaborazione, dalla Monte Bianco all'Orazio Coclite, le conferirono, nei limiti delle esercitazioni del tempo di pace, la peculiarità distintiva del lavoro teorico-pratico collettivo, svolto sotto la guida di un capo eccellente, in un clima di grande vivacità d'inteJligenza, di profonda onestà culturale, di consapevole serietà e fervore. La nuova dottrina sostituì quella in vigore - le circolari 3000 del 1950, 3001 del 1951, 2600 del 1950 vennero abrogate - e rese necessaria la revisione delle circolari 1800 del 1952 e 1700 del 1950, nonché la rielaborazione del Nomenclatore organico-tattico-logistico edito nel 1951. In campo logistico, lo stato maggiore dell'esercito aveva provveduto, prima ancora che avesse inizio la diramazione delle memorie 600, ad un primo aggiornamento provvisorio della normativa riguardante l'organizzazione ed il funzionametno dei servizi in guerra, volendo colmare subito la grave lacuna tuttallora esistente, in quanto alla circolare 6000/Serv. del 16 settembre 1949 non aveva fatto seguito nessun'altra pubblicazione in materia logistica. Sebbene non avesse preso in considerazione l'incidenza dell'arma atomica tattica, la nuova pubblicazione 4 segnò il raggiungimento di un traguardo intermedio decisivo dell'evoluzione della dottrina logistica, in quanto raccolse tutte le indicazioni date in materia dalla seconda guerra mondiale, attribuendo alla logistica un deciso carattere dinamico ed al personale dei servizi una fisionomia operativa del tutto nuova, che andava a l di là di quella, quasi esclusivamente tecnica, riconosciutagli fino ad allora. Lo
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stato maggiore dell'esercito non si limitò, dunque, nel quinquennio 1955-'59, all'elaborazione e sperimentazione dei contenuti delle pubblicazioni della serie 600 - ancorché queste assorbissero gran parte dell'attività dottrinale - ma curò in parallelo e simultanea-mente, con la partecipazione degli altri organi tecnico-operativi e tecnico-amministrativi centrali, tutti i vari settori della regolamentazione, da quella addestrativa a quella delle istruzioni tecniche sull'impiego delle nuove armi e dei nuovi mezzi introdotti a mano a mano in servizio, per cui verso la fine degli anni cinquanta l'esercito venne a disporre di una normativa quasi completa e sufficientemente aggiornata in tutti i settori di specifico interesse.
2. La nuova edizione della pubblicazione 1800 - Nonne d 'impiego della divisione corazzata 5 - che abrogò e sostituì la pur recenle edizione del 1954 - vide la luce nell'ottobre 1957 ed ebbe come sue caratteristica fondamentale la bivalenza. Essa rientrò perciò nel programma di rielaborazione di tutta la regolamentazione tatticologistica conseguente all'avvento dell'arma atomica tattica. L'incidenza di questa ultima sulle unità corazzate è oggi, come allora, meno pesante di quella sulle altre armi, tanto è vero che la divisione corazzata italiana conserva ancora, nelle sue linee fondamentali, la costituzione conferitale prima dell'avvento dell'arma atomica tattica, a parte le maggiori e migliori prestazioni dei materiali via via entrati in servizio. La costituzione del 1957 non fu granché diversa da quella del 1952 6 _ La nuova edizione non si limitò, . ciononostante, a trattare i procedimenti sia convenzionali sia atomici riguardanti ogni compito che la divisione corazzata avrebbe potuto essere chiamata ad adempiere senza o con l'impiego delle armi atomiche e neppure il solo nuovo compito di un attacco contro posizione mediamente organizzata, azione resa possibile da un adeguato concorso atomico, ma intese conferire maggiore completezza e semplicità all'impiego della grande unità, dedicando maggiore approfondimento all'impiego delle varie armi e servizi ed alla cooperazione con le forze aere, abolendo modalità di azione riferibili solo ad ambienti naturali di caratteristiche peculiari o troppo complesse e perciò contrastanti con l'esigenza di rapidità delle decisioni e delle esecuzioni propria dell'eventuale guerra del futuro, attenuando e sopprimendo altresì talune enunciazioni cate-
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goriche dell'edizione precedente - come ad esempio: la divisione corazzata è una unità tattica inscindibile - suscettibili di molte eccezioni, quando non anche addirittura d'inversione di tendenza nella nuova realtà operativa generale ed in quella particolare dello scacchiere nord-orientale italiano. Le caratteristiche fondamentali della divisione corazzata restano quelle della mobilità e della potenza di fuoco, alle quali si aggiunge però quella della flessibilità organica e cioè di un'articQlazione variabile in complessi misti costituiti in relazione al compito, alla situazione ed al terreno. Sparisce l' articolazione in colonne di attacco e viene fissata quella in raggruppamenti tattici e di questi in gruppi tattici monoarma o pluriarma. Dei tre elementi che contraddistinguono l' azione della fanteria - fuoco, movimento, urto - a questo ultimo, inteso come a tto finale del noto assalto carrista, viene attribuito carattere eccezionale ed episodico e viene riferito solo a piccole unità carri. Dagli altri due elementi - fuoco e movimento - viene sottolineato il valore decisivo del primo, in quanto il secondo viene considerato mezzo per manovrare il primo ed erogarlo con la massima efficacia possibile e già fine a sé stesso. La potenza del carro armato risiede essenzialmente nel suo armamento che trova nei cingoli un elemento di valorizzazione. L'azione integrata carri-bersaglieri diventa più necessaria e frequente per fronteggiare tutte le insidie - armi controcarri, mine, cacciatori di carri - che solo una fanteria bene addestrata ad agire in intima combinazione con le unità carri può riuscire a neutralizzare. Particolarmente idonea alle azioni combinate di fuoco e di movimento e ad alternare rapidi concentramenti ed altrettanto rapidi diradamenti dei suoi dispositivi, la divisione corazzata è la più atta a combattere in ambiente atomico, ma non può attaccare posizioni difensive fortemente organizzate, è vulnerabile all'offesa aerea avversaria, è soggetta a rapida u sura, soffre delle limitazioni oppostele da un terreno aspro e trarotto. Essa può essere impiegata isolata (rinforzata o non), inse rita in un complesso superiore di forze corazzate, in combinazione con aviotruppe e truppe aerotrasportate, situazione d'impiego questa ultima non specificamente considerata nella precedente edizione della 1800. Agisce con concentrazione di sforzi diretti alla eliminazione di un obiettivo o di un complesso di obiettivi, con sorpresa da ricercare e realizzare con la manovra, l'occultamento, l'agguato e l' inganno e in condizioni di sicurezza garantite soprattutto dall'articolazione stessa, più che da elementi appositamente destinati a salvaguardarne fianchi e tergo.
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Resta fermo il crite rio che la divisione muove e combatte normalmente di giorno e che in determinate situazioni, da considerare eccezionali, possa e debba combattere anche di notte. Rilievo particolare viene dato alla logistica e, mentre nell'edizione precedente era scritto che le unità dei servizi andavano contenute nello stretto indispensabile, ora si legge che la logistica condiziona, più che in qual siasi altra unità, le possibilità di azione della divisione corazzata, per cui il combattimento dei caposaldi deve essere vinto anzitutto nel campo logistico la cui organizzazione deve avere la stessa flessibilità del campo tattico. I compiti, già distinti in normali (erano 6), eventuali (5), eccezionali (4), sono ridotti a 6 normali elencati in dive rso ordine di prio rità: attacco in te rreno libero, contrattacco, sfruttamento del successo, manovra ritardatrice, occupazione preventiva di una loca lità - ed a 1 eventuale (difesa a tempo d etermina to di una posizio ne), da adempiere con o senza l'impiego di armi atomiche. Di nuovo c'è ch e, qualora le sia assicuralo un adeguato concorso a tomico, la divis ione può attaccare anche un avversario su posizione mediamente o rganizzata a difesa, ne lla qua le cioè i campi minati ed i lavori di fortifi cazione campale, pur avendo avuto un notevo le sviluppo, non sia no s tati ultimati per mancanza di te mpo. Questo ultimo è un compito nuovo, reso appunto poss ibile dalla nuova arma, i cui raggi di efficacia sono però limita ti su gli elementi attivi della difesa molto protetti e sui campi minati . La divisione corazzata, per la su a idoneità a sfruttare ed integrare tempestiva m ente gli effetti dc li ~ esplosioni a tomiche, può avanzare celermente ed e liminare in breve te mpo gli e lementi superstiti della difesa, attraversare indenne o con danni limitati le zone radioallive, passare agevolmente da dispositivi diradati a di spositivi concentrati, e viceversa, stante la minore vulnerabilità alla r eazione nemica dovuta a lla protezione fo rnita d a lla corazzatura e blindatura dei principali mezzi di combattimento ed alla mobilità. Unità corazzate ed a rmi a tomiche, dunque , s'integrano e si potenziano a vicenda e perciò costituiscono u n binomio di rilevante potere offen sivo, cui può essere commesso il compito di rompere e penetrare in profondità in una posizione media mente organizzata. Per attaccare pos izioni difensive fortemente organizzate dovrebbe disporre di un ingente numero di ordigni a tomici, un'ipotesi non ris pondente al presupposto della dottrina 600 de lla limita ta disponibilità. Il movimento pe r via ordinaria e lo stazionamento della divisione corazzata rispondono agli stessi criteri e modalità già sanciti
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nella precedente edizione, ma le misure di sicurezza dello stazionamento variano tra il semplice pattugliamento e la messa in essere di un sistema completo di avamposti comprendente: pattuglie mobili e posti di osservazione e allarme - termine che nella nuova edizione sostituisce quello di posti sorveglianza e segnalazione, (differenziazione puramente terminologica ed introdotta per semplificare ed uniformare il linguaggi~ a quello della divisione di fanteria) - posti di sbarramento, grosso di avamposti. I compiti, l'articolazione ed i procedimenti del dispositivo esplorante e di quello di sicurezza non variano granché rispetto al passato. I due argomenti vengono trattati più compiutamente e più estesamente e viene sottolineato il concorso che all'attività esplorativa può essere fornito dagli aerei leggeri e dagli elicotteri. Nell 'articolazione del dispositivo esplorante costituito dal gruppo squadroni di cavalleria blindata organico, rinforzato o non con elementi divisionali, non è previsto l'elemento intermedio: il distaccamento esplorante, che continua a figurare, come vedremo, nel dispositivo costituito dal reggimento di cavalleria blindata. Le distanze tra pattuglie e il grosso del dispositivo, non indicate nella precedente edizione, vengono ragguagliate, a titolo largamente orientativo, a 8 + 10 chilometri e quelle fra grosso del dispositivo esplorante e gli elementi più avanzati del grosso divisionale a 40 + SO chilometri. Resta fermo il criterio che la esplorazione tattica terrestre non può e non deve fornire sicurezza diretta alle retrostanti unità della G. U.. Il dispositivo di sicurezza, comprendente di massima avanguardia e retroguardia , è di norma messo in atto da ciascun raggruppamento tattico. La prima, la cui entità varia per ogni raggruppamento in relazione alla immanenza e alla gravità della minaccia avversaria - comunque essa è sempre inferiore ad un terzo della forza del raggruppamento - si articola in pattuglie di avanguardia e in grosso di avanguardia. Le distanze fra i due elementi dell'avanguardia e tra il grosso dell'avanguardia ed il grosso del raggruppamento sono subordinate essenzialmente alla portata utile del momento delle stazioni radio ed a puro titolo orientativo possono essere ragguagliate a 8 + 10 chilometri fra pattuglie e grosso di avanguardia ed a 10+ 15 fra questo ultimo ed il grosso del raggruppamento. La consistenza del dispositivo di sicurezza è ridotta e vengono eliminate le punte perché se c'è un'unità che può rapidamente prepararsi ad intervenire nel combattimento essa è la divisione corazzata cosicché, nella maggioranza dei casi, non è necessario spendere in avanguardia neppure un terzo del complesso delle
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forze del ragruppamento o della divisione, limite massimo da riservare a casi particolari. La sicurezza, per le unità corazzate, deve essere ricercata anzitutto nel dispositivo e nei procedimenti di azione. Ragioni analoghe inducono a distaccare la retroguardia solo quando necessario e ad articolarla in pattuglie d'allarme - anziché in pattuglie di allarme e punte di sicurezza (altra denominazione da adottare per semplicità ed uniformità di terminologia) - e grosso di retroguardia. Un fianchieggiamento consistente non è quasi mai indispensabile; qualora sia richiesto dalla situazione, è affidato a gruppi tattici di forza variabile che muovono contemporaneamente al grosso della divisione lungo una direzione possibilmente parallela o procedono per sbalzi su posizioni successive sulle quali incidano direttrici che cadano sul fianco della divisione in movimento. L'articolazione del grosso divisionale in tre raggruppamenti tattici - variabile a ragion veduta movimento durante come anche la reciproca posizione del dispositivo divisionale - tende di per sé a rendere celere e spedito il movimento e ad assicurare, sin dall 'inizio della presa di contatto, la possibilità di sboccare direttamente nel combattimento. A premessa dell'esame dei vari casi d'impiego la nuova edizione definisce in un capitolo a sé gli elementi che <li norma inquadrano l'azione della divisione. Questa, come già rilevato, attacca di massima articolata in tre raggruppamenti tattici disposti: o tutti e tre in primo scaglione (dispositivo eccezionale), o due in primo scaglione ed uno in riserva, od uno in primo, uno in secondo, uno in terzo scaglione. Le funzioni di comando dei raggruppamenti sono adempiute dai comandi dei reggimenti bersaglieri, carri ed artiglieria, la cui nuova costituzione organica prevede p e rsonale e m ezzi necessari a tale scopo. Il comando del reggimento di artiglieria ha il personale ed i mezzi per enucleare un comando di raggruppamento e per funzionare al tempo stesso anche da comando dell'artiglieria divisionale, a cui presiede il vice-comandante del reggimento che assume l'incarico di comandante dell'artiglieria. I raggruppamenti si articolano in gruppi tattici, complessi misti di unità carri e bersaglieri dell'ordine del battaglione od inferiore, con o senza artiglieria, ed elementi del genio pionieri (il gruppo tattico può essere costituito, situazione consigliandolo, anche da un comples so omogeneo). Il comando dei gruppi tattici spetta al comandante di battaglione bersaglieri o carri in relazione alla costituzione dei gruppi stessi. Tre i requisiti essenziali del dispositivo divisionale: capacità di tempestiva concentrazione degli sforzi, possibilità d 'impiego il più
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redditizio possibile di tutti i mezzi, coefficiente di vulnerabilità rispetto all'offesa atomica il più basso possibile nei limiti invalicabili dell'adempimento del compito. Nulla di variato nei riguardi dell'obiettivo d'attacco, le direttrici d'attacco, il settore d'azione ed il centro di gravità dell'azione, che restano là dove i carri trovano condizioni più favorevoli per il combattimento. Continua a non essere prevista l'assegnazione dell'obiettivo eventuale, sia perché è prassi normale l'assegnazione di successivi obiettivi alle unità corazzate nel corso dell'azione, sia perché gli obiettivi di attacco dei raggruppamenti in primo scaglione sono dislocati in profondità e raggiuntili si verifica di norma lo scontro con le riserve avversarie, che vanno affrontate con un dispositivo divisionale atto a rapidamente convergere. L'assegnazione dell'obiettivo eventuale farebbe correre il rischio di un'eccessiva dilatazione del dispositivo divisionale, nel caso che un raggruppamento lo raggiungesse e l'altro no. Al momento della diramazione della nuova edizione (15 ottobre 1957) non era ancora noto il contenuto della pubblicazione 620 (datata 13 marzo 1958) sull'azione offensiva con impiego di armi atomiche. La nuova edizione dell a 1800 definisce perciò anche i lineamenti della battaglia offensiva al livello di armata fino ad allora non definiti da altre pubblicazioni. Si tratta in pratica di un'anticipazione parziale del contenuto della 620 relativo al quadro degli orientamenti dottrinali sull'azione difensiva - posizione dife ns iva a caposaldi non cooper~.nti disposti su più ordini, posizione difensiva su più ordini di piccoli caposaldi cooperanti, posizione difensiva su di un dispositivo lineare di forze mobili - ed a quello delle caratte ristiche dei vari tipi di difesa aventi in comune notevole profondità ed elevata reattività , questa basata sul binomio unità corazzate-armi atomiche. L'anticipazione riguarda anche naturalmente i nuovi concetti ai quali improntare, ne l quadro dell'armata, l'azione offensiva (gli stessi della 620): c~:mquista, realizzata a cura dei comandi superiori, del predomonio aereo ed atomico; rottura della posizione valendosi delle armi atomiche; attacco su fronte ampia, spinto fin dall'inizio in profondità, tendente alla rapida distruzione delle riserve delle grandi unità di prima schiera e, quando l'attacco è in combinazione con aviosbarchi o sbarchi tattici ed interventi atomici, rapida penetrazione in profondità. Inserito l'attacco della divisione corazzata in tale duplice contesto - azione offensiva dell'armata avente per scopo la distruzione delle forze nemiche operanti nell'area della battaglia ed il raggiungimento di un obiettivo strategico dislocato al di là dell'ultima pnsizinne
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difensiva - la nuova 1800 distingue l'attacco della divisione contro posizione mediamente organizzata a seconda che questa sia a caposaldi non cooperanti, od a piccoli caposaldi cooperanti, o basata sulla difesa manovrata. Qualunque sia il tipo di difesa, la divisione corazzata, sfruttando gli effetti delle esplosioni atomiche, deve di massima irrompere in profondità per distruggere le riserve delle grandi unità nemiche di prima schiera. Tale compito è materializzato da un obiettivo il cui raggiungimento comporta o la distruzione di tali riserve o la manovra in ritirata del nemico e, eventualmente, il congiungimento dell'attaccante con proprie unità aviosbarcate o sbarcate dal mare. La concezione dell'attacco della divisione è in ogni caso pressoché la stessa: valersi delle armi atomiche per operare la rottura o per distruggere o quanto meno neutralizzare le riserve delle grandi unità nemiche di prima schiera; iniziare l'attacco con un dispositivo sufficientemente diradato per evitare che un ordigno atomico di media potenza (20 chiloton) possa distruggere o danneggiare gravemente più di un gruppo tattico; irrompere lungo le direzioni che consentano la convergenza degli sforzi nello scontro con le riserve nemiche delle grandi unità di prima schiera. I lineamenti dell'azione, nel quadro della suddetta concezione, sono estremamente variabili. Nell'attacco contro posizione difensiva a caposaldi non cooperanti: di norma settore d'azione divisionale pari a 15 + 20 chilometri; articolazione della divisione su 2 raggruppamenti in primo scaglione e uno in riserva; articolazione dei raggruppamenti su 2 gruppi tattici in primo scaglione e uno in riserva oppure su due o tre gruppi tattici uno dietro l'altro (caso di brecce di limitata ampiezza); intervalli e distanze fra i gruppi tattici di un raggruppamento da 1,5 a 3 chilometri e fra i raggruppamenti tattici da 3 a 5 chilometri; assegnazione a ciascun raggruppamento in primo scaglione di una posizione di attesa e della base di partenza (che possono coincidere), di un obiettivo di attacco (ubicato oltre le strutture statiche, ma ravvicinato rispetto a quello divisionale}, di una direzione di attacco, eventualmente di un settore di azione, e di una o più linee di attestamento per coordinare l'avanzata con gli interventi atomici predisposti a richiesta; orientamento alla riserva sull'impiego prevedibile ed assegnazione della zona di dislocazione iniziale e degli itinerari di movimento. La preparazione dell'attacco ha inizio con interventi atomici sui caposaldi che occorre distruggere per consentire la rapida penetrazione. Il controllo immediato degli effetti delle esplosioni - elemento di fondamentale importanza - è affi-
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dato ad osservatori terrestri ed aerei e, qualora i risultati delle esplosioni risultino inferiori al minimo preventivato, o si reiterano o si modifica il piano di attacco (es. restringendo il settore di penetrazione di un raggruppamento). Subito dopo gli interventi atomici si applica il piano di fuoco convenzionale (preparazione di brevissima durata) per integrare e prolungare gli effetti degli interventi atomici e per neutralizzare gli elementi non colpiti dal fuoco atomico che possano opporsi direttamente alla penetrazione dell'attacco). I gruppi tattici in primo scaglione, preceduti dall'esplorazione ravvicinata e da elementi per l'apertura dei varchi nei campi minati, muovono rapidamente lungo le direzioni più agevoli e remunerative, si spiegano quando incontrino resistenze che superano valendosi del fuoco dei carri, dell'azione dei bersaglieri, del fuoco di appoggio e della cooperazione dei gruppi tattici laterali. Nei gruppi tattici la posizione reciproca carri-bersaglieri varia: precedono i carri in situazione di scarsa reazione controcarri e di assenza di ostacoli minati, i bersaglieri in caso contrario. Nella prima fase dell 'attacco, i caposaldi arretrati, colpiti da ordigni atomici, sono battuti ad intervalli irregolari dall'artiglieria. L'azione va improntata a rapidità e spregiudicatezza senza preoccupazione dei caposaldi non investiti, che è sufficiente controllare, e delle reazioni manovrate che, quando necessario, possono essere neutralizzate dalle riserve dei raggruppamenti e della divisione. Superati i caposaldi avanzati, l'attacco può essere spinto senza interruzioni in profondità o sostare per essere coordinato con successivi interventi atomici oppure perché arrestato; in questo ultimo caso può risultare necessario o conveniente ricorrere a nuovi interventi atomici. Superati gli e lementi statici, i raggruppamenti in primo scaglione puntano di slancio e con manovra convergente contro le riserve delle grandi unità di prima schiera. La riserva divisionale è impiegata per alimentare lo sforzo, o come e lemento di manovra, o per bloccare le eventuali puntate avversarie. Il gruppo squadroni cavalleria blindata può essere impiegato durante l'organizzazione dell'attacco per controllare gli intervalli o per costituire uno schermo a copertura del dispositivo divisionale e, durante lo sviluppo dell'azione, per la protezione dei fianci o per ristabilire e mantenere il contatto qualora il nemico ripieghi. L'impiego dell'artiglieria è accentrato quando ed in quanto e possibile; è decentrato quando ed in quanto necessario. Le unità del genio sono impiegate essenzialmente per assicurare la viabilità. Gli aerei leggeri e gli elicotteri svolgono ruoli d ' importanza fondamentale ai fini della
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condotta dell'azione, in particolare dell'osservazione locale e dell'esercizio del comando. L'attacco contro una posizione difensiva a piccoli caposaldi cooperanti è più dispendioso quanto ad apertura di ampie brecce con l'impiego di armi atomiche, ma più agevole ai fini delle azioni manovrate convenzionali per cui, operata una rottura, è molto meno difficoltoso eliminare i tronconi superstiti. Il dispositivo di attacco è simile a quello dell 'azione contro la posizione a caposaldi non cooperanti ed anche i lineamenti dello sviluppo dell'azione non sono molto diversi: apertura delle brecce ritenute necessarie nei vari ordini di caposaldi e loro tenuta sotto il fuoco convenzionale finché i primi scaglioni non giungano a distanza di sicurezza; allargamento, se necessario, delle brecce con azione manovrata dalle unità convenzionali; irruzione in profondità. L 'a ttacco contro difesa manovrata presenta linee di organizzazione e di sviluppo particolari. La difesa s i basa essenzialmente sulla manovra, sulle armi atomiche e sul binomio ostacolo-dispostivo mobile di vigilanza. Il forzamento dell'ostacolo e l'eliminazione del dispositivo di vigilanza materializzano perciò gli obiettivi dell'attacco che può essere scandito in tre tempi: forzamento su ampia fronte mediante la costituzione di numerose teste di ponte; eliminazione del dispositivo di vigilanza con manovre laterali fra le varie teste di ponte ed afflusso del grosso delle forze; penetrazione in profondità su ampia fronte con dis positivi sufficientemente diradati, ma atti a distruggere, con l'appoggio atomico, le riserve nemiche. Il dispositivo divisionale iniziale è caratterizzato da fronte più ampia e profondità minore di que lle per l'attacco contro posizioni basate su caposaldi; ad esempio: due raggruppamenti in primo scaglione, ciascuno a rticolato in tre gruppi ta ttici in primo scaglione e una riserva, oppure tre raggruppamenti in primo scaglione, ciascuno articolato in due gruppi tattici in primo scaglione e una riserva . Il forzamento è effettuato di notte, possibilme nte con il concorso di aviosbarchi ed elisbarchi. La penetrazione è condotta con un dispositivo atto a realizzare tempestivamente la convergenza e d a parare possibili manovre sui fianchi (di norma due raggruppamenti in primo scaglione con due gruppi tattici in primo scaglione e una riserva). Tutta l'azione è, dunque, informata al concetto di avanzare su fronte ampia per porre la difesa nell'alternativa: o di concentrarsi per conseguire la superiorità sulle aliquote dell'attaccante e conseguentemente di consentire a queste di impiegare remunerativamente l'arma atomica e di fare convergere agevolmente gli sforzi, o di tentare di contenere tutte le aliquote avanzate dell'attacco
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e consegu entemente di venirsi a trovare in situazioni di inferiorità su tutta la fronte. La divisione corazzata che attacca deve disporre di un adeguato numero di crediti di intervento atomico da spendere condotta durante, mentre il piano di fuoco atomico dei comandi superiori al livello divisionale deve includere un certo numero di interventi d'interdizione contro le riserve nemiche in profondità. L'attacco contro avversario in posizione mediamente organizzata a difesa de lineato nella nuova edizione della 1800 è, dunque, ben diverso, non solo per la presenza delle armi atomiche tattiche, da quello indicato nella edizione precedente sotto il titolo attacco contro posizioni organizzate che era un caso d'impiego considerato, a ragione, del tutto eccezionale. Ma la nuova edizione, oltre che disporre diversamente la materia e semplificarne i contenuti, eliminando l'eccessiva casistica della precedente edizione, distingue l'attacco, senza impiego di armi atomiche, contro avversario in posizione scarsamente organizzata a difesa da quello in terreno libero, prima tratta ti sotto un unico titolo. Al primo attribuisce lo scopo di rompere la difesa in uno o più punti, penetrare e convergere in profondità, aggirando od accerchiando i tronconi intermedi; al secondo quello di rompere il più rapidamente possibile il dispositivo dell'avversario e mettere fuori causa la sua massa carrista. Nell'attacco contro avversario in posizione scarsamente organizzata a difesa, l'azione è riferita ad una situazione di incertezza da parte dell'attaccante circa le esatte possibilità di reattività della difesa, specie per quanto riguarda le anni controcarri ed i campi minati. Da qui l'esigenza di un dispotivo profondo, al livello divisionale e di raggruppamenti tattici in primo scaglione, di norma articolati in tre gruppi tattici uno dietro l'altro (con prevalenza di bersaglieri quello in primo scaglione, di carri quello in secondo scaglione e costituito solo da carri quello in terzo scaglione) oppure in due gruppi tattici (uno su di un battaglione bersaglieri rinforzato con aliquote di carri in primo scaglione ed uno su di un battaglione di soli carri o di carri rinforzati con a liquote di bersaglieri in secondo scaglione). L'azione del gruppo tattico in primo scaglione: è intesa ad obbligare l 'avversario a scoprire l'organizzazione dei suoi fuochi specie di quelli controcarri, ad eliminare le difese più ravvicinate e neutralizzare le rimanen: ti, ad aprire varchi nei campi minati ed occuparne gli sbocchi; consiste nell'impiego delle unità bersaglieri accompagnate dal fuoco dei carri ed appoggiate da que llo di artiglieria; è sviluppata
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in prevalenza dai bersaglieri che muovono da una base di partenza molto ampia ed attaccano con i . plotoni avanzati largamente inte rvallati ed accompagnati dalle basi di fuoco avanzate per armi e tiro teso, da basi di fuoco mobile costituite dai carri, dalla b ase di fuoco unica di mortai mcdi; si conclude con il forzamento della zona marginale delle difese nemiche da parte de i be rsaglieri che debbono conquistare i punti difesi al di là dell 'eventuale fascia minata, c reando così le premesse per l'impiego del gruppo tattico successivo. Per fare fronte a possibili azioni avversa rie dura nte l 'avanza ta, il gruppo tattico attiva le eventuali basi controcarri predisposte dai bersaglieri e inte rviene con i carri facenti parte del gruppo s tesso. L'azione del gruppo tattico in secondo scaglione: segna la fase centrale dell'attacco del raggruppame nto e, nel caso d ell 'articolazione di questo su due gruppi tattici, l'atto r isolutivo; è meno sistematica di quella del g ruppo tattico in p rimo scaglione ed è condo tta a ritmo più serrato; è sviluppata in prevalenza dai carri, m entre il compito dei bersaglieri t:: <l'integrare l'azione dei carri in un'intima combinazione realizzata di massima in seno al complesso dell'ordine compagnia carri-plotone bersaglieri; si s viluppa con un dispositivo non schemat izzabile, ma che in nessun caso deve concretizzar si in due complessi omogene i per manentemente paralleli nel senso della fronte e dissociati in profondità. Il momento critico dell'azione è il trafilamento attraverso i varchi aperti nei c ampi minati ed esso va s uperato anche media nte l'apporto notevole del fuoco di a rtiglieria ed eventualmente dell'aviazione. Il gruppo ta ttico muove di massima da una posizione di attesa, supera di slancio le basi di pa r tenza de l gruppo tattico in primo scaglione, p enetra a tt raverso i varchi aperti da questo ne lla fase precedente, r icompone le sue formazioni ed attacca l'obiettivo lungo una determinata direzio ne , assorbe eventua lmente le unità carri già assegnate a l g ruppo tattico in p rimo scaglione. L'azione del gruppo ta ttico in terzo scaglione, ove questo sia presente, è diretta a risolvere l'attacco del raggruppamento di cui , eventua lmente r inforzato con le uni tà bersaglieri già facenti parte del gruppo tattico in primo scaglione, rappresenta la riserva; s i concreta o nel determinare la caduta dell 'obiettivo di attacco del raggruppamento, sia scavalcando il gruppo tattico in secondo scaglione, sia rinforzandone l'azione, s ia agendo lungo una nuova direzione rivelatasi redditizia ed economica oppure nel manovrare per completa re il successo colto da l gruppo tattico in secondo scaglio ne o per sfruttarlo in profondità de terminando, in quest'ultimo caso, la
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ripresa del movimento da parte di tutto il raggruppamento. La riserva divisionale può essere impiegata o per rinforzare l'azione del raggruppamento il cui successo appaia decisivo ai fini dell'attacco divisionale, o per portare lo sforzo in profondità dopo aver scavalcato il raggruppamento antistante, o per attaccare lungo una nuova direttrice, o per manovrare al fine di completare o sfruttare il successo colto dai raggruppamenti tattici avanzati. Il gruppo squadroni di cavalleria blindata, al termine dell'esplorazione tattica terrestre, è recuperato per svolgere durante l'attacco eventuali compiti di sicurezza sui fianchi o sul tergo o per far parte della riserva, successivamente per riattivare l'esplorazione tattica qualora il nemico rompa il contatto. L'azione della divisione corazzata nell'attacco contro avversario in posizione scarsamente organizzata a difesa diventa più rapida e disinvolta quanto meno consistenti sono le forze avversarie e l'organizzazione della difesa. Essa si concreta in un a ttacco a l quale la divis ione passa direttamente dall'avvicinamento senza soluzione di continuità. I raggruppamenti si articolano in gruppi tattici, variamente disposti nel senso della fronte e della profondità, che sono frequentemente a costituzione omogenea. L'azione, a titolo largamente orientativo, può essere così delineata: le unità carri, seguite da quelle bersaglieri, avanzano in formazioni di avvicinamento precedute dall 'esplorazione ravvicinata che ad un certo momento si arresta o per aver raggiunto gli elementi dell'esplorazione tattica terrestre già a stretto contatto con il nemico o di fronte alla reazione avversaria; l'artiglieria s i schiera tempestivamente su posizioni avanzate e sviluppa una breve preparazione rapidamente seguita dall'appoggio; le unità carri, sempre seguite da quelle bersaglieri, continuano ad avanzare in formazioni aperte; ad una distanza dall'obiettivo compresa tra i 1500 e 1000 m, le unità carri, appoggiate dall'artiglieria, cominciano nell 'ambito di ciascuna compagnia ad alternare il fuoco mirato ed il movimento, mentre le unità bersaglieri continuano ad avanzare a bordo dei loro mezzi tenendosi inizialmente a circa 400 m dai carri e riducendo poi tale di s tanza fino a 200 ma mano a mano che i carri si avvicinino a ll 'obiettivo; quando i carri sono a circa 300-400 m dall'obiettivo, l'artiglieria allunga il tiro e i bersaglieri scendono dai propri mezzi costituendo - solo se necessario - le loro basi di fuoco con le armi di accompagnamento; successivamente, l'artiglieria continua l'appoggio o passa all'interdizione vicina, i carri irrompono s ull'obiettivo già di strutto o neutralizzato almeno in parte dal fuoco, le unità bersaglieri avanzano nella scia dei
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carri per assaltare, rastrellare, e, se necessario, consolidare la posizione (caso in cui i carri superato l 'obiettivo si dispongano temporaneamente al di là di esso) oppure, non appena terminato il rastrellamento, montano nuovamente sui mezzi per seguire i carri (caso in cui i carri proseguano su altro obiettivo in profondità). Ancora a maggiore spregiudicatezza è improntato l'attacco contro avversario in posizione scarsamente organizzata a difesa, quando esso gode del sostegno del fuoco atomico. L'applicazione dei procedimenti per l'attacco contro posizioni mediamente organizzata diventa molto più agevole. Di massima è sufficiente un numero di interventi atomici limitato, per la maggior p arte predisposti a richiesta e diretti sulle riserve della difesa quando si accingano a contrattaccare o contenere. La divisione corazzata nell'attacco in terreno libero può dover combattere contro una grande unità corazzata, meccanizzata o di fanteria. Nei primi due casi l'azione si traduce in un combattimento d'incontro con unità similari ed i procedimenti sono sostanzialmente simili; nel terzo caso, l'azione è analoga a quella dell'attacco contro avversario in posizione scarsamente organizzata a difesa. Scopo dell'azione nei primi due casi è rompere il più rapidamente possibile il dispositivo avversario e mettere fuori causa la sua massa carrista. L'azione della divisione si fonda su: manovra dei carri appoggiati a perni di manovra temporanei realizzati dai bersaglieri; fuoco manovrato dall'artiglieria; sfruttamento dell'ostacolo naturale e possibilmente di quello artificiale; concorso delle forze aeree tattiche. Criteri di massima: impostazione di una manovra spregiudicata, non legata alla rigida copertura delle linee di rifornimento, ma sviluppata lungo le vie tattiche che consentano di · rinserrare e spezzare il dispositivo nemico o di cadere, in successione di tempi, su aliquote di esso; adeguamento della manovra a quella del nemico senza persistere in una manovra preconcetta; utilizzazio ne di tutte le armi disponibili, senza lasciarsi trascinare dalla tendenza a voler risolvere il combattimento solo con le unità carri; esatta valutazione delle possibilità della fanteria nemica. La divisione si articola in raggruppamenti tattici e questi, di massima, in gruppi tattici di costituzione molto variabile. Carri e bersaglieri agiscono spesso per compiti distinti, anche se strettamente interdipendenti; la riserva, di regola, è costituita essenzialmente da carri. L'azione del gruppo squadroni di cavalleria blindata è simile a quella delle altre s ituazioni, ma il numero delle pattuglie è maggiore e queste sono più robuste dati i grandi spazi nei quali agiscono e la necessità di assicurare la
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rapida penetrazione, mentre il grosso del dispositivo esplorante ha il compito principale di sostenere le pattuglie anziché svolgere azioni di forza. Notevole il concorso degli aerei leggeri e degli elicotteri all'attività informativa. L'azione delle unità carri è più che mai basata sul fuoco e tende soprattutto a mettere fuori combattimento i carri nemici; scopo che persegue cercando di portare, con successive puntate offensive, tutto il fuoco disponibile contro singole aliquote dei carri nemici mediante la combinazione fra direzioni e formazioni: le direzioni per cadere possibilmente sul fianco del dispositivo nemico obiettivo del momento, le formazioni per poter agire immediatamente nella giusta direzione con tutto il fuoco disponibile. I carristi, insomma, devono manovrare con intelligenza e di continuo e la loro manovra deve essere integrata e protetta dai bersaglieri. L'azione delle unità bersagli eri s i concreta nei compiti di costituire perni di manovra temporanei diretti ad ostacola re l'azione dei carri nemici ed a favorire quelle dei propri carri; di eliminare gli eventuali elementi fissi (perni di manovra) nemici; di inserirsi integra ndola nella manovra delle proprie unità carri . La nuova edizione della 1800 introduce, nell'ambito dei perni di manovra temporanei, la distinzione tra caposaldi controcarri e schie ramenti contrucarri. Il caposaldo controcarro: è una concentrazione di potenza di fuoco controcarri su di una posizione topogi-aficamente e tatticamente idonea; è presidiato da un battaglione o da una compagnia bersaglieri rinforzata ; comprende posti di osservazione e allarme, una cintura periferica di fuoco controcarri protetta se possibile da mine sparse ed una organizzazione di fuochi interni contro le infiltrazioni di fanteria; è costituito, quando si ritenga conveniente fermare temporaneamente il movimento di tutto il complesso divisionale o di una parte di questo, pe r imporre il combattimento là dove il terreno offre le migliori condizioni . Lo schieramento controcarri: ha conformazione lineare e carattere ancora più speditivo di quello del caposaldo controcarri; sfrutta di norma il valore impeditivo di un ostacolo naturale che interdica ai carri armati una redditizia direzione di attacco. Nel combattimento d'inco ntro con unità similari, l'azione d'artiglie ria deve avere la massima tempestività ed a tale scopo occorre che, a prescindere dagli organi di collegam ento tattico e dal normale sistema di osservazione terrestre ed aerea, i qua dri delle unità carri e di quelle bersaglieri sappiano designare gli obiettivi, osservare ed eventualmente correggere il tiro. Gli obiettivi che interessano l'artiglieria sono soprattutto le unità carri e quelle
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di fanteria corazzata o meccanizzata, i perni di manovra o comunque gli elementi statici, l'artiglieria nemica. Le azioni di fuoco sono: quella controcarri per concentramenti, l'appoggio, l'interdizione vicina, la controbatteria, lo sbarramento a favore dei propri perni di manovra, la repressione. Delle forme d'intervento rives tono particolare importanza le cortine nebbiogene sopratutto a favore delle unità carri che debbano sganciarsi dal combattimento ravvicinato. L'azione del genio pionieri è dire tta principalmente ad assicurare in ogni circostanza continuità e rapidità al movimento di tutto il complesso divisionale e, in via subordinata, a concorrere all'organizzazione dei caposaldi o degli schieramenti controcarri. L'impiego di anni atomiche non muta, anche nel caso dell'allacco in terreno libero, i lineamenti generali dell'azione. Esso richiede, come sempre: un'organizzazione accurata dell'azione informativa per individuar e tempes tivame nte i possibili obiettivi atomici remunerativi; inte rventi atomici da effettuare a richies ta, possibilmente predisposti in corrispondenza delle presumibili zone di probabili concentrazioni nemiche; lo sfruttamento rapido degli effeui dell'esplosione; il ricorso a tutte le misure intes e ad evitare il formarsi di obiettivi atomici re mune rativi per il nemico. La nuova edi zione ti.dia 1800 dedica un capitolo al contrattacco della divi sione corazzata nel quadro della battaglia difensiva in cui la divisione stessa adempia il ruolo di riserva di corpo d'armata o di armata e venga impiegata, per intero o per aliquota, per sviluppare l'azione in sostituzione od a reiterazione di quella delle riserve divis ionali o per svilupparla contro penetrazioni profonde. Il contrattacco co ntro nemico fronteggiato ha lo scopo di distruggere le forze nemich e pe netrate , ristabilire la s ituazione e tende re a disorganizzare il dispositivo avversario in profondità. L'obiettivo della divisione è di norma oltre il primo ordine di caposaldi; il dispositivo varia in funzione della situazione, del terreno e della disponibilità dello spazio di manovra; i procedimenti dell'azione s i uniformano a quelli dell'attacco contro unità similari od a quelli contro avversario in posizione scarsamente organizzata a difesa, a seconda che il contrattacco sia rivolto contro unità corazzate o meccanizzate o contro unità prevalentemente di fanteria. In entrambi i casi , qualora il contrattacco si sviluppi con l'impiego di armi atomiche, la divisione: te nde con azioni serrate ad obiettivi molto profondi; muove, una volta sviluppati gli interventi atomici, con tutto l'appoggio di fuoco convenzionale possibile, impiegato prevalentemente per completare le distruzioni operate dalle armi
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atomiche ed assicurare la neutralizzazione degli elementi superstiti; impegna un'aliquota delle sue forze contro il dispositivo avversario a contatto con la posizione di contenimento e spinge l'altra aliquota sull'obiettivo divisionale. Il contrattacco contro nemico in movimento - i cui presuposti sono la limitatezza delle penetrazioni nel senso che esse interessino solo alcuni settori e la stabilità del resto della posizione difensiva non seriamente compromessa - ha lo scopo di distruggere le forze nemiche penetrate e possibilmente ristabilire la situazione fino ai caposaldi di primo ordine. Qualora m anchino i due presupposti, non rimane che manovrare in ritirata e reiterare la difesa sulla seconda posizione difensiva. La divisione di norma si articola in: scaglione esplorante, costituito dal gruppo squadroni di cavalleria eventualmente rinforzato, per individuare, ritardare e logorare l'attacco; scaglione di arresto, costituito da un raggruppamento tattico con prevalenza di bersaglieri e con artiglierie in propr io, per· dare un colpo di arresto alla penetrazione nemica; scaglione di manovra, costituito <la uno o più raggruppamenti tattici con prevalenza di carri e con a rtiglieria in proprio, per distruggere il dispos itivo agendo sui fianchi. Qua lora la divisione sia sostenuta da armi a tomiche, le impiega sulle forze penetrate in profondità, in particolare sulle r iserve, f SScnzialmente a favore dello scaglione di manovra. Nello sfruttamento del successo la divisione tende ad annientare, mediante l'inseguim ento, il nemico ed a raggiungere un obiettivo od uno scopo strategico. I lineamenti dell'azione sono simili a quelli indica ti nell'edizione 1952, ma nella nuova edizione l'attenzione è richiamata su due casi estremi: nemico completamente battuto ed in rotta; nemico battuto, m a che mantiene il controllo della situazione e manovra in ritirata. Nel primo caso l'audacia no n è mai troppa. La divisione articola le sue forze in due raggruppamenti tattici, preceduti da forti avanguardie, e in una riserva; i raggruppamenti si articolano in gruppi tattici, disponenti di ampia libertà di manovra, i quali possono ottenere risultati decisivi se rivolgono la loro azione iniziale all'occupazione delle località il cui possesso determini l'incapsulamento del nemico; la riserva, costituita prevalentemente dai carri, dà continuità e velocità all'azione complessiva assicurando il ritmo della progressione, eliminando eventuali forze nemiche accerchiate che intendano o possano ostacolare il raggiungimento dell'obiettivo finale, impedendo l'afflusso di forze fresche. Spetta invece alle grandi unità di fanteria che seguono l'eliminazione delle altre forze nemiche accerchiate. La
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manovra divisionale risponde a criteri di celerità e di decisione al fine d 'impedire la riorganizzazione di qualsiasi forma di difesa. Nel secondo caso - nemico battuto, ma che ancora manovra - l'audacia va ponderata. La divisione - sempre rinforzata da unità pionieri e pontieri come, del resto, nel primo caso - ristabilisce il contatto con il grosso nemico mediante un'aliquota delle forze; avvolge od aggira il nemico con le restanti forze per incapsularlo e distruggerlo; impegna frontalmente la retroguardia del nemico con un massimo di forze e la elimina mediante attacchi diretti su di un fianco e sul tergo; si articola in raggruppamenti, dotati di artiglieria, ed eventualmente in gruppi tattici, i quali convergono i loro sforzi verso l'obiettivo più redditizio ai fini della disorganizzazione delle forze nemiche; può anche ricorrere ad un'azione di sfondamento frontale, ma solo quando il terreno impedisca la manovra di fianco od il nemico sia riuscito ad organizzare una valida resistenza. Nell'inseguimento, valido è l'aiuto di unità paracadutiste lanciate all'occupazione preventiva di punti di ripiegamento obbligati. L'inseguimento va condotto senza tregua, anche di notte. Qualora la divisione beneficii di armi atomiche, lo sfruttamento del successo si svolge a ritmo ancor più serrato e tende ad obiettivi molto profondi. L'impiego delle armi atomiche è essenzialmente diretto contro le riserve e, in caso di nemico non in rotta, contro le resistenze che impediscano l' irruzione in profondità. Tre capitoli - Xl, XII, XIII - della nuova edizione considerano rispettivamente l'azione della divisione corazzata nella manovra ritardatrice, quella nella occupazione preventiva di una posizione ed infine quella della difesa a tempo determinato di una posizione. Della manovra ritardatrice è sottolineato lo scopo preminente, qualunque sia la situazione, di ritardare e logorare il nemico. Ciò non vuol dire che la manovra tenda a guadagnare tempo - aspetto considerato essenziale nell'edizione precedente - ma che talvolta il guadagno del tempo può essere addirittura irrilevante rispetto agli altri, ancorché alla manovra si ricorra sempre o per proteggere il ripiegamento di una grande unità complessa (azione di retroguardia) o per consentire a questa il tempo di organizzarsi a difesa. L'utilizzazione dello spazio come fattore incrementale della potenza difensiva consente, infatti, di sviluppare in ampiezza e di reiterare in profondità il logoramento dell'attaccante, offre la possibilità di ripetere su posizioni successive l'irrigidimento della difesa infliggendo notevole logoramento all'attacco con il fuoco sviluppato fin dalle maggiori distanze utili, impone all'attacca nte un ulteriore
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logoramento rendendogli l'alimentazione tattico-logistica vieppiù onerosa. L'impiego delle unità corazzate e delle armi atomiche accentua la convenienza per il difensore di utilizzare lo spazio: le prime favoriscono la remuneratività degli irrigidimenti inducendo il nemico a concentrarsi ed a subire l'offesa; le seconde, oltre potenziare le prime, permettono la rapida ed estesa creazione di interruzioni e di zone contaminate. La condotta della manovra è condizionata dall 'ampiezza e dalla profondità del settore assegnato alla divisione - che può variare tra un minimo di 8 + 1O chilometri ed un massimo di 40-50 - a seconda delle caratteristiche del terreno, del rapporto di forze. I casi possibili considerati nella nuova edizione sono tre: sellare relativamente ristretto (articolazione della divisione in due aliquote alternantisi nell'azione ritardatrice in corrispondenza di posizioni intermedie successive e degli interspazi); settore non molto ampio e terreno non compartimentato (divisione accentrata nelle m a ni del comandante senza necessità di una forte riserva); sellare multo ampio e terreno compartimentato (articolazione in raggruppamenti in primo scaglione e in una riserva tenuta in misura di sorvegliare lo spazio interposto fra i due raggruppamenti avanzati). L'articolazione della divisione in due aliquote, alternantisi nell'azione, è eccezionale perché tale è il caso del settore ristretto; normale è l'articolazione, riferita ad una posizione intermedia ed allo spazio e questa antistante, in uno scaglione ritardatore ed in uno scaglione di arresto: il primo con il compito di tenere il contatto con il nemico, ritardarlo, logorarlo, fornire notizie; il secondo con quello di logorarlo ed arrestarlo temporaneamente. I lineamenti generali dell'azione ammettono molteplici variazioni - la pubblicazione cita a mo' di esempio tre casi: la convenienza di rinforzare lo scaglione ritardatore con unità carri quando il nemico avanzi con potenti unità corazzate; quella di fare maggiore affidamen to sulle azioni statiche rendendo particolarmente forte lo scaglione di arresto quando le proprie unità siano scosse o provate; quella di dare maggiore rilievo a lle azioni dinamiche qualora le proprie unità siano efficienti e manovriere ed il terreno non offra appigli favorevoli - ma in ogni caso le modalità dell'azione debbono aderire a criteri di impiego basati essenzialmente sul fuoco, sulla costituzione di perni di manovra specialmente là dove il terreno abbia un elevato indice di percorribilità, sulla posa di mine da parte delle unità bersaglieri e di artiglieria con il semplice concorso delle unità de l genio pionieri divisionale a lle quali ultime spettano, principalmente, i lavori di
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interruzione, di viabilità e di passaggio dei corsi d'acqua. L'impiego di armi atomiche conferisce alla manovra ritardatrice maggiori possibilità di ritardare e logorare l'avanzata nemica e favorisce, di norma, più l'azione del difensore che non quella dell'attaccante. L'impiego di armi atomiche non modifica peraltro in misura notevole i procedimenti ed i dispositivi della difesa, ma richiede un'accurata azione informativa, la massima tempestività degli interventi in corrispondenza delle località in cui sia prevedibile o possibile il manifestarsi di obiettivi atomici remunerativi, la previsione di contrattacchi locali da parte di gruppi tattici a sfruttamento delle esplosioni, la cura per evitare il formarsi, specie nell 'ambito degli schieramenti di artiglieria e dei servizi, di obiettivi atomici sfruttabili dal nemico. Circa l'occupazione preventiva di una posizione viene sottolineato che l'operazione ha lo scopo di creare le premesse per un'azione successiva in situazioni tanto offensive che difensive e che passa attraverso tre fasi - movimento, prima occupazione, occupazione definitiva - sviluppabili con modalità differenti a seconda del compito che la divisione deve adempiere dopo aver occupato la posizione. In particolare: il movimento è caratterizzato sempre dalla massima rapidità; il dispositivo è in relazione essenzialmente alla situazione nemica ed al tempo occorrente al nemico per prevenire la divisione corazzata sulla posizione; la prima occupazione si attua di massima in due tempi (occupazione dei tratti, più importanti da parte del gruppo squadroni cavalleria blindata oppure del reggimento omonimo ricevuto in rinforzo; sostituzione di questo da parte dell'avanguardia del grosso divisionale con nuova proiezione in profondità o no dello sca glio ne blinda to a seconda dei compiti connessi con la successiva azione della divisione, ai quali si uniformano anche le modalità relative alla definì tiva occupazione della posizione). La divisione corazzata nella difesa a tempo determinato di una posizione ha il compito, qualunque sia la situazione, di guadagnare tempo senza cedere spazio. Nell'enunciazione del compito la nuova edizione elimina la dizione ad oltranza contenuta nella pubblicazione del 1952. Lo schieramento della divisione è molto simile a quello da assumere per la manovra ritardatrice, ma se ne differenzia l'azione di resistenza che deve essere condotta a fondo e che comporta il mantenimento della posizione. La divisione si articola in uno scaglione ritardatore ed in uno scaglione di arresto e basa la sua azione su: ritardo e logoramento imposti all'avanzata nemica dal primo dei due scaglioni sostenuto dal fuoco a distanza dell'artiglie-
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ria e potenziato dalle interruzioni predisposte; resistenza in posto e reazione di fuoco delle unità bersaglieri sostenute dall'artiglieria; contrattacco della riserva diretto a colpire con il fuoco il fianco od i fianchi del dispositivo nemico arrestato frontalmente dalle unità bersaglieri. L'impiego delle armi atomiche incide sia sul dispositivo sia sui procedimenti con strette analogie al caso della manovra ritardatrice; il contrattacco appogiato da fuoco atomico può tendere a ristabilire in un determinato settore una situazione compromessa, può anche essere sferrato preventivamente e cioè prima che lo scaglione di arresto sia stato impegnato seriamente. Gli ultimi tre capitoli - XIV, XV, XVI - che trattano rispettivamente la cooperazione delle forze aeree tattiche, le trasmissioni, i servizi, completano la pubblicazion che, oltre per tutto quanto abbiamo sunteggiato, si differenzia dall'edizione precedente per il rilievo che in tutti i vari capitoli viene dato all' impiego dell'artiglie ria, del genio, appunto delle trasmissioni, dell'aviazione leggera ed alla branca logistica, questa ultima considerata premessa indispensabile per il successo in ogni situazione. Vi sono, inoltre, nella pubblicazione, la ripetizione e l'esaltazione dei requisiti propri dei comandanti delle unità corazzate già messi in evidenza nella precedente edizione: spirito d'iniziativa e capacità di rapida decisione. Nella divisione corazzata la cooperazione interarma segna le normali forme del reciproco concorso; essa tende a trasformarsi in effettiva combinazione, la quale è conseguibile solo mediante un continuo ed incessante addestramento, la cui esigenza, già sottolineata nell'edizione del 1952, viene qui ribadita in misura altrettanto categorica ed assoluta. La trattazione dell'impiego dei raggruppamenti e dei gruppi ta ttici contenuta nella pubblicazione del 1957 aumenta l'importanza di questi e accentua la necessità della conoscenza e della assimilazione della dottrina da parte dei quadri di tutte le armi, tanto più che nel periodo di elaborazione della regolamentazione un reggimento corazzato o un battaglione carri vennero inseriti organicamente nella divisione di fanteria. L'edizione 1957, in conclusione, rappresenta non solo l'adeguamento della normativa d'impiego della divisione corazzata all'avvento dell'arma atomica tattica in armonia con le pubblicazioni della serie dottrinale 600, ma anche un'evoluzione significativa dei criteri e dei procedimenti tattici rispetto all'edizione del 1952, derivante da un ulteriore approfondimento delle esperienze belliche, comprese quelle di Corea, dalla ricca messe d'insegnamenti ricavati da una maggiore pratica addestrativa e dal progres-
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so dei nuovi materiali e, in particolare, di nuovi mezzi, quali ad esempio gli elicotteri, che aprivano fin d'allora nuove e maggiori prospettive di rendimento delle unità corazzate in un'eventuale guerra futura.
3. La nuova edizione della pubblicazione 1700 - Norme d 'impie~o del reggimento di cavalleria blindata 7 - diramata a circa sei mesi dalla nuova edizione della 1800, ricalca con stretta analogia, anche sotto il punto di vista strutturale e formale, le idee-guida, i criteri e le modalità fondamentali di azione di questa ultima, adattandoli naturalmente alla diversità di compiti, di costituzione, di articolazioni e di fisionomia del reggimento di cavalleria blindata (R.C.B.), solo parzialmente assimilabile ad un raggruppamento corazzato 8_ Come per la 1800, anche per la 1700 la bivalenza costituisce la caratteristica essenziale, in quanto i criteri ed i procedimenti in essa fissati si riferiscono sia ad operazioni con l'impiego di armi a tomiche, sia a quelle condotte prevalentemente od esclusivamente con mezzi convenzionali. Le allre caratteristiche della pubblicazione sono anche queste le stesse della 1800: completezza e semplicità. A tali scopi sono trattati nella nuova edizione anche gli argomenti relativi alle trasmissioni, ai servizi ed alla cooperazione delle forze aeree tattiche e vengono eliminate quella certa m acchinosità e quella casistica spinta dell'edizione precedente. Anche per il reggimento di cavalleria blindata, come per le unità corazzate, trattandosi di unità manovrie ra, fle ssibile e destinata ad operare nelle fasi fluide, l'impiego non può essere rigidamente codificato e non può essere legato a dispositivi fissi, in quanto la sua azione si basa sempre sulla rapidità e sulla sorpresa. Sono le stesse caratteristiche fondamentali del reggimento - mobilità, corazzatura, considerevole potenza di fuoco, flessibilità organica, ampia flessibilità di trasmissioni - a svincolarne l'impiego da ogni schematismo, sia quando il reggimento operi isolato, sia quando agisca inquadrato in una brigata di cavalleria, di norma riserva di corpo di armata o di armata, od in un raggruppamento di forze in prevalenza corazzate, di costituzione contingente, sia quando eventualmente è assegnato in rinforzo ad una divisione. Esso sfrutta nel miglior modo le sue caratteristiche allorché è impiegato con procedimenti offensivi, su terreni adatti alle prestazioni dei suoi mezzi (terreni di pianura e
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collinosi con ricchezza di viabilità), in settori di azione ampi che favoriscano la manovra. Si articola in gruppi tattici, corrispondenti di massima ai gruppi squadroni, ed opera di massima di giorno, mentre finché possibile muove di notte. I suoi compiti normali sono: l'esplorazione tattica terrestre (E.T.T.), il contrattacco, il completamento o lo sfruttamento del successo, la manovra ritardatrice, l'occupazione preventiva di una posizione, la protezione di un fianco di una grande unità, il collegamento tattico fra grandi unità largamente intervallate, l'azione antiaviosbarchi. I compiti eventuali possono essere: la difesa a tempo determinato di una posizione, l'attacco. I compiti possono essere adempiuti con o senza l'impiego di armi atomiche. Non esiste un ordine di priorità od una prevalenza d'importanza di alcuni compiti rispetto ad altri; esistono maggiori probabilità d'impiego in uno piuttosto che in un altro compito, secondo ]a fase operativa che si considera. A ciascuno dei compiti, la nuova edizione della 1700 dedica un intero capitolo precisando scupi, dispositivi, procedimenti ed illustrando l'influenza esercitata sull'adempimento dei compiti dall'eventuale impiego di armi atomiche. Nella trattazione sono ricalcati parzialmente, come già detto, concetti e lineamenti della pubblicazione 1800 per cui omettiamo di riassumerli, m entre ci soffermiamo su quelli che presentano qualche novità o qualche aspetto <li particolare interesse rispetto alla edizione precedente ed alla pubblicazione 1800, rilevando fin d'ora che non viene soppresso il termine tradizionale di distaccamento, ma è conservato, inteso come elemento intermedio di un determinato dispositivo - nell'esplorazione tattica terrestre e nella manovra ritardatrice - e che il termine autoportati della precedente edizione viene sostituito da quello di meccanizzati. I1 distaccamento è, comunque, di norma costituito da un gruppo tattico. Il R.C.B. nell'esplorazione tattica terrestre: ha il compito di prendere contatto con il nemico, penetrare il più profondamente e rapidamente possibile nel suo dispositivo e determinarne natura, entità, schieramento ed atteggiamento; si articola, nella sua forma completa, dall'avanti all'indietro, in pattuglie esploranti, dis taccamenti esploranti, grosso (o riserva); opera secondo i procedimenti tradizionali non sostanzialmente modificati rispetto al passato. L'avvento delle armi atomiche esalta il valore della ricerca informativa ed accentua conseguentemente l'importanza dell'esplorazione tattica terrestre in tutte le fasi della battaglia. Il R.C.B. è poco vulnerabi]e all'offesa atomica perché opera con formazioni diradate in settori normalmente ampi: non ha perciò necessità di
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modificare sensibilmente dispositivi e procedimenti. L'azione esplorativa è particolarmente indirizzata alla individuazione degli elementi difensivi o degli assi di sforzo del nemico ed alle zone nelle quali possano prevedibilmente manifestarsi obiettivi atomici remunerativi per cui diventa più che mai necessario lo stretto coordinamento tra E.T.A. e E.T.T .. Il R.C.B. nell'attacco - compito di carattere eccezionale opera o contro avversario su posizione scarsamente organizzata o su terreno libero contro unità similari. In entramhi i casi, si articola normalmente in due gruppi tattici in primo scaglione ed uno in riserva. Nel primo caso, si ha, di solito, un attacco per avvolgimento che comporta: un'azione di fissaggio, da parte di un complesso prevalentemente meccanizzato, di entità di ·norma inferiore al gruppo squadroni; un'azione di manovra diretta ad attuare l'avvolgimento, svolta da un complesso costituito prevalentemente da carri con aliquote di meccanizzati e di pionieri; un orientamento della riserva, formata soltanto od in prevalenza da carri, a rinforzare l'azione di manovra. Nel secondo caso, l'azione è caratterizzata da un maggiore dinamismo, è impostata sulla manovra dei carri appoggiati a temporanei perni costituiti dai meccanizzati ed è spesso la risultante delle azioni condotte dai singoli gruppi tattici che operano di solito ampiamente intervallati. Nell'attacco contro avversario in posizione scarsamente organizzata: il gruppo tattico di fissaggio, sotto la protezione di propri elementi di sicurezza o di quelli di altre unità già a contatto, va a schierarsi su di una data posizione avanzata, mentre il gruppo tattico di manovra si porta sulla base di partenza ovvero continua l'avvicinamento verso una prestabilita linea di partenza; il gruppo di fissaggio e l'artiglieria impegnano con il fuoco il nemico ed il gruppo di manovra avanza in formazioni aperte possibilmente verso un fianco esposto del nemico; normalmente precedono i carri, seguiti dai meccanizzati che avanzano finché possibile a bordo dei loro mezzi; il gruppo, dopo aver sopravvanzato l'esplorazione ravvicinata, riceve da questa la sicurezza dei fianchi; a distanza variabile fra i 1000 e i 1500 m dall'obiettivo, i plotoni carri cominciano ad alternare il fuoco mirato ed il movimento, seguiti dai meccanizzati che a mano a mano serrano sulle formazioni dei carri; quando i carri giungano a non più di 300+400 m dall'obiettivo, me ntre l'artiglieria e le anni di accompagnamento spostano il tiro in profondità o lateralmente, i meccanizzati scendono dai propri mezzi costituendo - solo se necessario - le loro basi di fuoco con le armi di accompagnamento;
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successivamente, i carri irrompono sull'obiettivo, sparando se necessario con 1~ mitragliatrici di bordo, e lo superano per disporsi temporaneamente al di là di esso oppure per proseguire su di altro obiettivo ed i meccanizzati avanzano nella scia dei carri per assaltare, rastrellare e, se necessario, consolidare la posizione ovvero, non appena ultimato il rastrellamento, rimontare sui mezzi e seguire il movimento dei carri; la riserva è impiegata o per rinforzare l'azione di un gruppo tattico in primo scaglione o per agire lungo una nuova direzione rivelatasi più economica e redditizia nel corso dell'attacco o per sfruttare il successo in profondità. Nel caso di una posizione meglio organizzata e sistemata, sono necessari dispositivi più profondi e procedimenti più sistematici e il R.C.B. può attaccarla soltanto a sfruttamento di esplosioni atomiche e sempre che sia notevolmente rinforzato od inquadrato in una brigata ; in una situazione siffatta, opera con i procedimenti di un raggruppamento corazzato. L'attacco in terreno libero contro unità simila ri: è atto che ricorre frequentemente nei compiti offen sivi del R.C.B.; si fonda sulla tempestiva attività informativa, sull'azione manovrata dei carri, sullo sfruttamento dell'ostacolo, sul concorso di fuoco dell' artiglieria e, quando disponibili, delle forze aerotatliche; tende a rompere l'uni tarietà della formazione nemica per colpirne in tempi successivi le aliquote frazionate; ricerca la sorpresa e deve realizzarla mediante il coordinamento di tutte le unità evitando l'impiego episodico di loro aliquote, specie di carri. Nell'ambito di un gruppo tattico comprendente una batteria da campagna semovente: gli elementi esploranti, con il concorso degli aerei leggeri, effettuano l'esplorazione; i meccanizzati ava nzano fin ché possibile a bordo dei mezzi e quindi scendono per costituire perni di manovra che si identificano di massima in temporanei schieramenti controcarri; i carri effettuano successive puntate offensive per portare tutto il fuoco disponibile contro singole aliquote di carri avversari, cercando di cadere sul fianco del reparto nemico e con formazioni che permettano di colpire immediatamente il nemico con tutto il fuoco disponibile; l'artiglieria di rinforzo deve, durante l'intera azione, improntare gli interventi alla massima tempestività, stante la mobilità degli obiettivi, e sviluppare azioni di appoggio, d'interdizione, di sbarramento, di repressione a favore dei meccanizzati, azioni controcarri (per concentramenti) a favore dei carri e cortine nebbiogene soprattutto per coprire i movimenti. L'impiego delle armi atomiche non muta sostanzialmente i procedimenti. I procedimenti di attacco, sia nel primo che nel
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secondo caso, sono molto diversi da quelli previsti nella precedente edizione della 1700; mentre quelli per l'attacco in terreno libero contro unità similari, sono quasi identici a quelli indicati nell'edizione 1957 della pubblicazione 1800. Essi sono validi anche per il contrattacco, compito di carattere normale, al quale in difensiva il R.C.B. può essere chiamato od inquadrato in una brigata di cavalleria in riserva di corpo di armata o di armata, o eccezionalmente in rinforzo ad una divisione corazzata, o isolato come riserva di corpo d'armata, in sostituzione di una riserva divisionale costretta all'azione di contenimento, o quando viene incaricato di reiterare la reazione di movimento svolta dalla riserva divisionale. La condotta del contrattacco nel primo e nel secondo caso è analoga a quella prevista per la divisione corazzata o per le sue aliquote; nel terzo caso, nel quale il R.C.B. si propone di distruggere le forze nemiche pene tra te e di ristabilire la situa zione, la condotta ed i procedimenti del contrattacco si uniformano a quelli dell'attacco contro avversario su posizione scarsamente organizzata, qualora le forze da eliminare siano costituite prevalentemente da fanteria, od a que lli dell'attacco contro unità similari, qualora la reazione sia rivolta contro unità corazzate o ·meccanizzate. Il R.C.B. nel completamento e nello sfruttamento del successo, dovendo agire in situazione operativa mutevolissima, incerta e dominata dall'imprevisto, opera con grande dinamismo e tende a raggiungere obiettivi il più possibile profondi, importanti ai fini dell'incapsulamento e dell'annientamento del nemico. Nella nuova edizione, è sottolineato che, sebbene le due fasi siano trattate separatamente, ne lla dinamica della battaglia moderna la loro tradizionale sequenza nel tempo e nello spazio è di mollo all~nuata e spesso in pratica le due fasi possono compenetrarsi. Nel completamento de l successo, i lineamenti dell'azione ed i procedimenti sono analoghi a quelli dell'attacco; nello sfruttamento del successo, azione per la quale il R.C.B. è particolarmente idoneo per le sue caratteristiche, essi sono simili a quelli del raggruppamento corazzato sia che il R.C.B. operi inquadrato in una brigata sia che agisca isolato. Di norma, quando isolato, raggiunge il più celermente possibile l'obiettivo situato a notevole profondità, eseguendo un largo movimento aggirante per cadere sul tergo del nemico, frontalmente impegnato da altre forze, e articolandosi in robuste pattuglie esploranti, in due gruppi tattici aventi aliquote di artiglieria ed in una riserva, prevalentemente di carri, orientata per assicurare continuità e velocità al movimento. Assegnato in rinfor-
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zo ad una divisione corazzata destinata allo sfruttamento del successo, il R.C.B. è di norma impiegato per svolgere l'E.T.T. sulla fronte della divisione o per proteggere un fianco od i fianchi di questa. Nella manovra ritardatrice, il R.C.B. può essere impiegato, isolato od inquadrato in una brigata di cavalleria, o per ritardare e logorare il nemico che muova offensivamente verso lo schieramento difensivo in fase di organizzazione, o per proteggere il ripiegamento di una grande unità di prima schiera. Scopo della manovra - ricorda la nuova edizione - qualunque sia la situazione è non solo di guadagnare tempo, ma anche, e a volte soprattutto, di logorare il nemico. Tre i casi che s i differenziano, come del resto nella pubblicazione 1800, in base al fattore ampiezza del settore assegnato al R.C.B., ampiezza che può oscillare tra i 10 ed i 30 chilometri, con un massimo di tre direzioni principali. Il caso più complesso, che è poi quello normale, si r iferisce al settore molto ampio, nel quale il R.C.B. si articola in distaccamenti ritardatori, a loro volta comprendenti pattuglie ritardatrici e scaglione di arresto, e riserva. Il dispositivo corris ponde nella struttura fondamentale a quello previsto per l'E.T.T .. La condotta della manovra ritardatrice è caratterizzata da aggressività, dinamismo e larga reazione <li fuoco . I procedimenti non si differenziano sostanzialmente nei vari casi e possono adattarsi sia all'intero R.C.B., sia al singolo distaccamento, naturalmente in proporzio ne diversa. Di essi gli aspetti essenziali sono: la resistenza in posto dei meccanizzati, le puntate locali dei carri, l'ampio ricorso al fuoco di artiglieria, la necessità dello stretto coordinamento delle varie azioni, l'impiego della riserva o per ritardare il nemico lungo una nuova direzione centrale od eccentrica rispetto a quelle controllate dai distaccamenti, o per imporgli un più lungo tempo di arresto in corrispondenza di zone favorevoli agli interventi atomici della difesa, o per parare tentativi di aggiramento; in ambiente atomico sono essenziali l'accentuazione dell'attività esplorativa ed i contrattacchi a sfruttamento degli interventi atomici. La manovra delineata nella nuova edizione ammette molteplici variazioni secondo la situazione, il terreno, l'efficienza del R.C.B., l'entità e la natura degli eventuali rinforzi; e ssa, comunque, nelle sue linee generali, ovviamente in scala ridotta, è del tutto analoga a quella delineata per la divisione ed il raggruppamento corazzati nella pubblicazione 1800. Circa i compiti del R.C.B. nella protezione del fianco esposto di una grande unità, nel collegamento tatticn fra due grandi unità,
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nell'azione contro aviosbarchi, la nuova edizione ripete, sia pure ampliandoli, i lineamenti ed i procedimenti d'impiego dell'edizione 1950. Nel caso della protezione del fianco di una grande unità, tratta entrambi i casi: fiancheggiamento mobile o fisso. Per l'impiego nel collegamento tallico fra grandi unità intervallate, la nuova edizione precisa che l'impiego del R.C.B. presuppone che le possibilità di penetrazione dell'avversario nell'intervallo siano limitate a poche direzioni e presuppone altresì che le grandi unità provvedano direttamente alla loro sicurezza. I lineamenti dell'azione variano a seconda che le grandi unità da collegare siano in atteggiamento offensivo, difensivo, in ripiegamento. Nel primo caso il R.C.B.: muove con il grosso in posizione arret ra ta rispetto ai gruppi tattici in primo scaglione delle grandi unità e regola il proprio movimento sulla progressione di questi; si articola nelle linee generali come nel caso dell'E .T.T., con una riserva molto robusta per sorvegliare il settore e per parare con azioni manovrate le minacce nemiche. Nel secondo caso il R.C.B., rinforzato quando operi in un settore molto ampio con aliquote di pionieri di arresto e di semoventi controcarri: concreta la sua azione nella occupazione di posizioni idonee a sbarrare le più probabili provenienze degli eventuali attacchi ne mici diretti contro il fia nco delle grandi unità; si schiera approssimativamente all'altezza dei caposaldi avanzati delle grandi unità adiacenti per ingannare il nemico sulla reale esistenza dell'intervallo e per guadagnare spazio in avanti per l'eventualità di una successiva manovra ritardatrice; assume un dispositivo conforme a quello previsto per la difesa a tempo determinato di una posizione (pattuglie esploranti spinte molto in avanti ed una robusta ri serva centrale o più ri serve settoriali costituite prevalentemente da carri); contrattacca nel le situazioni favorevoli e, in que lle sfavorevoli, o conduce a fondo la difesa delle posizioni o sviluppa una manovra ritardatrice. Nel terzo caso - grandi unità in ripiegamento - il R.C.B.: si disloca in posizione arretrata rispetto alle retroguardie delle grandi unità per poter contrattaccare sul fianco le forze nemiche che tentino di aggirare le retroguardie; assume un dispositivo a nalogo a quello previsto per la manovra ritardatrice, con elementi esploranti e ritardatori spinti il più avanti possibile e con una robusta riserva centrale e più riserve settoriali. Nell'azione contro aviosbarchi - diretta a distruggere le aviotruppe nemiche o, quanto meno, ad impedire che esse, una volta presa terra, assolvano il loro compito - anche la nuova edizione continua a distinguere il caso di aviosbarchi in forze e quello di aviosbarchi di piccole unità.
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Nel primo caso - maggiormente sviluppato nella nuova edizione il R.C.B., sia isolato sia inquadrato in una brigata di cavalleria: ricerca al più presto informazioni sulla dislocazione, sulla entità e sul probabile obiettivo dell'aviosbarco; trae tutto il vantaggio possibile dalla scarsa mobilità e dalla limitata potenza di fuoco iniziali delle aviotruppe nemiche; sfrutta al massimo il terreno per costringere il nemico contro linee di ostacolo; utilizza e manovra tutti i mezzi possibili, ma impiega il grosso delle forze e, in particolare, la riserva a situazione sufficientemente chiarita, evitando di farsi ingannare dall'avversario; si articola in robuste pattuglie esploranti, grosso, riserva prevalentemente di carri. La condotta dell'azione può assumere sviluppi diversi, ma di massima risponde generalmente ad uno sviluppo che prevede: la presa di contatto con il nemico ad opera delle pattuglie esploranti che hanno compito informativo e non di combattimento; l'articolazion e del grosso in gruppi tattici preceduti da leggeri elementi di sicurezza; )'attacco, sempre che possibile, del nemico per distruggerlo, o, in caso di forze nemiche soverchianti, la effettuazione di una manovra ritardatrice interponendo il grosso del R.C.B. fra il nemico e l'obiettivo a cui questo te nde, o, se le due precedenti azioni non siano effettuabili, la difesa <ldl'ubiettivo stesso (in questo caso l'azione si uniforma a quella della difesa a tempo determinato di una posizione) in attesa del contrattacco da parte di altre unità; l'impiego della riserva in funzione di una delle tre soluzioni adottate. L'azione contro gli aviosbarchi di piccole unità o di nuclei di paracadutisti si sviluppa attraverso due fasi: isolamento della zona di lancio, rastrellamento. I procedimenti restano quelli già indicati nella edizione 1950. Il compito de lla difesa a tempo determinato di una posizione non era considerato, come tale, nella vecchia edizione, ma vi trovava un certo riscontro, almeno in materia di modalità esecutive, nel compit<;> di scaglione di sicurezza eliminato nell'edizione 1958. Trattasi, ad ogni modo, di un impiego del R.C.B. del tutto eventuale, che presuppone la mancanza di altre forze più adatte. Lo schieramento del reggimento non si differenzia notevolmente da quello considerato per la manovra ritardatrice. Esso prevede, infatti, un'articolazione frontale in settori di gruppo tattico ed in profondità in pattuglie ritardatrici e scaglione di arresto (del quale ultimo fa parte la riserva). La condotta dell'azione è però diversa notevolmente da quella della manovra ritardatrice perché comporta il mantenimento ad ogni costo della posizione. Essa è caratterizzata
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dalla: azione esplorativa, logoratrice e di ritardo delle pattuglie ritardatrici, sostenute da fuoco di artiglieria e potenziate da interruzioni predisposte ed attuate dai pionieri del genio e/o di cavalleria e, eventualmente, da minatori; resistenza in posto e dalla reazione di fuoco dei meccanizzati, sostenuti dall'artiglieria, allo scopo di creare le condizioni migliori per il successivo intervento dei carri; tempestiva e decisa azione di contrattacco dei carri. La nuova edizione accenna poi alla possibilità di impiego di unità di cavalleria nella difesa a tempo determinato per sbarrare una direttrice operativa montana. È evidente il riferimento alla situazione ed al terreno dello scacchiere nord-orientale italiano. Le modalità esecutive si concretano in uno sbarramento della rotabile di fondo valle e del terreno immediatamente adiacente con: i meccanizzati che costituiscono elementi dife nsivi, di massima dell'ordine del plotone, sui fianchi della valle; i carri (tutti o solo parte), col sostegno di aliquote di meccanizzati e dell'artiglieria eventualmente assegnata, che agiscono frontalmente con intenso fuoco mirato. L'azione va coordinata, qua ndo necessario, con quell a delle unità a lpine operanti sull'alto nel caso che il nemico abbia la possi bilità di manovrare per aggirare le unità di difesa del fondo valle. L'edizione 1958 della 1700 è, ad un tempo, figlia di quella del 1950 e affine all'edizione 1957 della 1800. Le norme in essa indicate, così come quelle dell'edizione precedente, hanno valore di criteri fondamentali ai quali i comandanti dei vari livelli - dal reggimento a lla squadra - debbono ispirarsi per adeguare con s pirito d' iniziativa e con scioltezza l'impiego delle proprie unità a lle varie situazioni contingenti, specialmente mutevoli in a mbiente atomico. Essa, al pari della edizione 1957 della 1800, si esprime alla luce delle esperienze belliche e della teoria dell 'eventuale impiego dell'arma atomica tattica e si ispira perciò al concetto della bivalenza. Rivolta ad una unità di cavalleria, utilizza il linguaggio moderno, ma valorizza le doti tradizionali dell'arma e in particolare quella dell'abituale capacità a flettere i dispos itivi ed a dare vita a complessi, anche modesti, capaci di alto rendimento. La edizione 1958 della 1700 non è nuova esclusivamente per la sua bivalenza, ma, come del resto abbiamo rilevato nei riguardi della edizione 1957 della 1800, perché segna, nonostante le ripetizioni quasi letterali di molti criteri e procedimenti de l passato, un passaggio evolutivo di fondo che si avverte più che dal raffronto con il testo della precedente edizione e dalle parziali differenze terminologi-
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che e strutturali rispetto a questa ultima, dall'intonazione generale del discorso e dalla visione in prospettiva del futuro campo di battaglia.
4. In materia di dottrina logistica e di regolamentazione riguardante l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi ci siamo limitati, nei riguardi delle pubblicazioni edite in passato, a qualche cenno molto sommario e ad elencarle in nota. Il radicale rinnovamento dottrinale e le grandi trasformazioni ordinative, organiche e funzionali operati nella branca logistica dallo stato maggiore dell'esercito durante la seconda metà degli anni cinquanta, sotto la guida del generale Liuzzi, in parallelo di quelli delle branche informativa e tattica, meritano di soffermarvisi un po' meno in superficie per più ordini di motivi. Le incidenze sulla logistica della comparsa sul campo di battaglia dell'arma atomica tattica e degli altri nuovi mezzi bellici non furono da meno di quelle sulla tattica. Molti dei sostanziali mutamenti introdotti nella nuova dottrina tattica derivarono dalle condizioni di favore o dai condizionamenti riduttivi de terminati dalla nuova logistica figlia delle esperienze di guerra, dall'ulteriore evoluzione del progresso scientifico e tecnico, dalle numerose esercitazioni - ricordiamo la Life fine, la Deep Water, la Latemar III, la Freccia azzurra III - svolte in quegli anni per ricavare orientamenti e indicazioni validi per ga_rantire l'alimentazione continua e rapida della lotta anche in ambiente atomico. Un altro motivo è quello che senza uno sguardo, sia pure fuggevole e panoramico, alla logistica non si sarebbe in grado d 'intendere pienamente e nel s uo reale valore né la nuova dottrina tattica, né il lavoro compiuto nel periodo che stiamo esaminando per porre tutte le branche dell'esercito, in un'armonica e pondera ta visione di tutte le esigenze, in sintonia con i tempi. La revisione della logistica, qualora fosse m ancata, avrebbe ridotto la nuova dottrina tattica ad una pura e semplice esercitazione intellettualistica, priva di efficacia pratica, pe rché l'arte e la scienza militare sono il prodotto di tre funzioni essenziali, una delle quali è appunto la logistica. Come abbiamo sopra ricordato, la pubblicazione di base della dottrina logistica fu la 6300 del 1955; ad essa fecero seguito dal 1957 in poi altre pubblicazioni e circolari di carattere dottrinale 9,
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intese soprattutto a mettere in luce i riflessi logistici dell'arma atomica tattica, e istruzioni di carattere organizzativo-procedurale, amministrativo e tecnico IO che, nel loro insieme, conferirono alla materia, ancorché diluita ne lle varie pubblicazioni, sufficiente completezza nell'attesa della rielaborazione di una nuova 6300 che avesse una veste organica a ppropriata e colmasse le lacune tuttallora esistenti nella regolamentazione in vigore_ La revisione della dottrina logistica fu lenta e graduale, ancora di più lo furono quella dell'organizzazione e del funzionamento dei servizi di campagna e del rinnovamento ordinativo ed organico degli organi logistici di re ttivi cd esecutivi. Alla fine degli anni cinquanta, non tutte le pubblicazione logistiche erano ancora state portate a compimento, ma oramai i lineamenti generali erano già chiaramente definiti ed in gran parte attuati. Anche se non esisteva una nuova aggiornata edizione della pubblicazione 6300, la fisionomia logistica reale dell'esercito aveva assunto tutti i principali lineamenti e le fondamentali carat tt::ristiche che le saranno propri per molti annì a venire. Senza seguire la prassi attuata nei confronti delle pubblicazioni tattiche e senza riferirsi specificatamente alle singole pubblicazioni e circolari, te ntiamo di tracciare un quadro sommario e sintetico della nuova dottrina Jogistka, mclten<lone in rilievo i caposaldi essenziali e le motivazioni che ne determinarono la scelta. La battaglia deve essere vinta anzitutto nel campo logistico. Le nuove strutture delle grandi unità , l'enorme importanza del fattore aereo in tutti i suoi aspetti, l'immanenza del1e varie forme, tra le quali anche quelle A.B .C., dell'offesa nemica, che si estende su tutto il territorio nazionale, rendono più difficili le già complesse e onerose operazioni di r accolta, conservazione e distribuzione dei materiali. La fonte preminente e propulsiva del sistema, entro il quale si inseriscono ed agiscono i servizi delle grandi unità operanti, diventa lo scacchiere operativo (termine indicativo anche del gruppo di armate). Per legare l'organizzazione logistica di scacchiere ai minori reparti vengono previsti anelli intermedi, cosicché ogni grande unità acquista a tale riguardo una propria fisionomia logis tica costante, ma suscettibile di variabili in relazione a fattori contingenti. Il territorio dello Stato viene suddiviso in zona delle operazioni e zana territoriale. Nella prima agisce l'esercito di campagna. In profondità essa viene suddivisa in: zana di schieramento dei reparti (Zo. Rep.), zona dei servizi di 1a schiera (Zo. Prim.S.), zona dei servizi d'intendenza (Zo.S.I.) che, a sua volta, si s uddivide in zona avanzata dei servizi d'intendenza (Z.A.S_I.) e in zona arretrata dei servizi d'in-
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tendenza (Z.Ar.S.I.). Nella zona territoriale (Zo.T.) si dislocano gli organi dei servizi territoriali, la cui attività è svolta a favore delle unità addette alla difesa del territorio e di quelle dell'esercito di campagna per le quali costituiscono la base dei rifornimenti e degli sgomberi. Essi, nell'ambito dell'azione coordinatrice della intendenza generale (I.G.) - che presiede a tutta la logistica di guerra hanno il compito di concorrere a produrre, riunire ed inoltrare ai servizi di campagna tutti i mezzi occorrenti, di ricevere gli sgomberi, di riparare e riutilizzare il materiale riparabile e reimpiegabile. Provvedono direttamente all'inoltro ed allo sgombero dei materiali di ogni specie fino alla Z.Ar.S.I., avvalendosi dei trasporti per ferrovia, per via acquea, e ogni qualvolta possibile fino alla Z.A.S.I .. I servizi di campagna funzionano, nell'adempimento dei compiti ad essi attribuiti, anche da organi di collegamento tra i servizi territoriali e le unità o peranti, avviando e distribuendo quanto ricevono dalla Zo.T., utilizzando a favore dell'esercito di campagna le risorse locali <ldla Z.0., riparando e ricuperando i materiali riutilizzabili, sgomberando nella Zo.T. i materiali eccedenti od inservibili. L'organizzazione ed il funzionamento dei servizi di campagna - sanità, commissariato, armi e munizioni, trasmissioni, genio, lavori ponti strade, motorizzazione, A.B.C., veterinaria e rimonta, trasporti, tappe, postale e telegrafico, amministrazione ai quali si aggiungerà nel 1958 quello delle onoranze ai caduti in guerra - fanno capo agli organi di comando da cui dipendono. Pe r l'impiego gli organi direttivi ed esecutivi di ciascun servizio (così distinti in base al carattere prevalente delle rispettive funzioni) dipendono perciò dal comandante dell'unità. In ciascuna unità il comandante è responsabile dell'impiego dei servizi, esplica tale attività attraverso i suoi normali organi di comando e si avvale di questi per il coordinamento fra operazioni e servizi. Il coordinamento dei servizi viene effettuato dall'Intendenza al livello di scacchiere, dal capo ufficio se rvizi nelle grandi unità. Nell'ambito dei singoli servizi esistono, ai vari livelli, un organo direttivo ed uno o più organi esecutivi. L'organo direttivo è responsabile del funzionam ento del servizio, più specialmente per quanto ·concerne l'andamento tecnico-amministrativo interno del servizio stesso; quello esecutivo è responsabile della esecuzione delle disposizioni ricevute e del funzionamento dei mezzi di cui è dotato per la materiale esecuzione del servizio. Gli organi direttivi ed esecutivi di ciascun servizio hanno perciò una duplice dipendenza: di comando - che ha sempre precedenza rispetto a quella tecnico amministra-
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tiva - per l'impiego e per le questioni disciplinari dall'organo di comando dell'unità alla quale sono addetti; tecnico-amministrativa per il funzionamento ed in particolare: gli organi direttivi dall'organo direttivo di grado immediatamente superiore, gli organi esecutivi dell'organo direttivo esistente nella unità di cui fanno parte. I materiali ed i mezzi si suddividono in: dotazioni, in distribuzione organica ai reparti (1 a linea) ed alle grandi unità inferiori all'armata (2a linea), da ma~tenere a numero, di massima, con frequen za giornaliera; scorte, custodite dai servizi territoriali, di scacchiere o di armata, variabili in relazione alla situazione operativa, da mantenere a numero, con frequenza periodica varia, in relazione al ritmo prevedibile dei consumi. L'attività generale dei servizi è suddivisa in gradi, corrispondenti ad unità di vario rango: 1° grado, reggimenti e minori reparti autonomi; 2° grado, brigate, divisioni, corpi d'armata; 3° grado, armate e scacchiere operativo; 4° grado servizi territoriali. I gradi costituiscono gli anelli della catena funzionale logistica. L'attività di primo grado è propria degli organi ed elementi dei servizi che fanno parte organica delle unità; la loro mobilità deve essere totale ed immediata per cui essi devono essere dotati di mezzi di trasporto sufficienti al caricame nto integrale delle dotazioni. L'attività di 2° grado - che il corpo d 'armata svolge solo a favore delle proprie truppe e servizi, non avendo perciò in proprio il compito di anello della catena, ma .selcrfunzione di controllo - è svolta da unità e formazioni dei vari servizi a carattere campale, con mobilità totale entro 24 ore con i mezzi di trasporto in organico e con il rinforzo eventuale di unità del servizio trasporti. L'attività di 3° grndo è svolta da formazioni tipiche dei vari servizi scaglionate sulla fronte ed in profondità: stabilimenti e formazioni principali, costituenti il grosso della base logistica d'inte ndenza, dislocati nella Z.Ar.S.I. e d articolabili (mobilità piuttosto modesta, comunque proporzionata all'entità delle attrezzature e delle scorte ad essi assegnate); stabilimenti e formazioni avanzate (frazioni), costituenti l'immediato s upporto logistico delle grandi unità inferiori all'armata, dislocati a portata dei mezzi di trasporto delle grandi unità (con mobilità maggiore di quella degli stabilimenti e formazioni principali e capacità di spostamento graduale, di norma, per via ordinaria). All'organizzazione di tali settori viene attribuita, a seconda della loro importanza, la figura di: delegazioni di intendenza (D.I.) (veri e propri distaccamenti dell'intendenza); centri logistici (raggruppamenti di frazioni di stabilimenti di intendenza). Il centro logistico costituisce ai fini
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dello schieramento, della difesa e dell' impiego, un complesso unitario posto sotto unico comando e continua a far parte integrante dell'intendenza o della delegazione di intendenza che lo costituisce. I criteri fondamentali da seguire nei riguardi del funzionamento dei servizo sono: agevolare fino al limite delle possibilità le operazioni delle unità, non appesantire le unità ed i servizi a diretto contatto delle unità, tenere in riserva aliquote di materiali e di mezzi per fronteggiare esigenze impreviste, regolare i rifornimenti e gli sgomberi in modo da ridurre al minimo i trasbordi. Il funzionamento e lo schieramento dei servizi vanno plasmati di volta in volta sulla situazione, sul terreno e sul1e esigenze operative per cui, come per le truppe così per i servizi, non esistono regole e schemi d'impiego valevoli per tutti i casi. Di massima: nella Zo.Pri.S. vengono dislocate soltanto unità di servizi mobili e leggere e l'entità dei loro materiali corrisponde generalmente alle dotazioni di 2 8 linea, mentre la profondità della Zo.Pri.S. stessa si aggira intorno ai 40-60 chilometri; nella Z.A.S.I. (intendenza e, se costituite, delegazioni d'intendenza) si dislocano le unità dei servizi a carattere semicampale con scorte in parte su ruote (la profondità della Z.A.S.I. si aggira sui 50-;-70 chilometri); nella Z.Ar.S.I. si dislocano gli stabilimenti complessi, in genere specializzati e dotati delle scorte previste. La profondità della Z.Ar.S.I. si estende fino al margine posteriore della zona delle operazioni. I reparti prelevano i materiali ed i rifornimenti, con i propri mezzi, presso i posti di distribuzione materiali ed eventualmente possono essere riforniti a domicilio con i mezzi di trasporto di 2 a linea dei reparti trasporto delle grandi unità; la Z.A.S.I. viene rifornita normalmente con le unità trasporti d'intendenza e, finché possibile, inoltrando fino ad essa i convogli ferroviari provenienti dalla Zo.T.; le brigate, le divisioni ed i corpi d'armata prelevano dalle formazioni della Z.A.S.I., di massima con i propri mezzi. I rifornimenti diretti ai servizi di intendenza avvengono, di norma, a cura dei servizi territoriali per via ferroviaria, acquea ed eventualmente ordinaria. La scelta delle zone di schie ramento ed il raggruppamento dei mezzi disponibili devono tenere conto della necessità della difesa vicina, la quale rien tra nei compiti e nella responsabilità della grande unità che ha giurisdizione sulla zona stessa. La potenzialità e la flessibilità del funzionamento, infine, sono assicurate mediante l'accentramento, finché possibile, dei mezzi di trasporto e dei reparti di manovalanza. I criteri generali di organizzazione e di funzionamento dei servizi di campagna del la pubblicazione 6300 conservano la loro
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sostanziale validità anche dopo l'avvento dell'arma atomica tattica, la quale però accresce le esigenze da soddisfare, impone maggiori consumi riducendo in contrapposto la disponibilità di risorse, rende più complessi i compiti dell'organizzazione, ne accentua le difficoltà di funzionamento. Sotto il profilo logistico sono obiettivi atomici remunerativi le fonti di produzione, i canali di rifornimento, i complessi e le infrastrutture del sistema di alimentazione aventi maggiore importanza ai fini operativi o maggiore incidenza sul potenziale bellico e quelli che, pur non essenziali, consentano, per la loro concentrazione, distruzioni massicce. Le modalità ed i procedimenti che garantiscano, in ambiente atomico, la continuità funzionale al sistema logistico e consentano di restituirlo alla sua primitiva efficienza ove me nomato in una qualche sua parte, non possono derivare che dall'esaltazione dei tradizionali principi della sicurezza, della flessibilità, della mobilità e della manovra. La s icurezza rispetto alle offese atomiche va ricercata nel diradamento delle formazioni entrn i limiti della funzionalità del sistema, nel frazionamento delle risorse, nella protezione del persona le e · del materiale. La flessibilità - intesa come elasticità organizzativa ed articolabilità delle formazioni, intercambiabilità dei vari organi ai fini dell'adempimento dei compiti per ciascuno previsti - va realizzata mediante: la disponibilità di comandi logistici atti a sostituirsi, senza soluzione di continuità, ai comandi di eguale o diverso rango non più in grado di funzionare; lo studio accurato degli schieramenti, specie de i centri logistici, ciascuno dei qua li deve essere in misura di sostituire con immediatezza gli elementi contigui nei rispettivi compiti di sostegno; la predisposizione di sistemi multipli di trasporto. La mobilità è da rice rcare: assegnando organicamente alle unità dei servizi delle grandi unità un numero di mezzi di trasporto che ne consenta la completa a utonomia di movimento; diminuendo il peso logistico di talune di ta li unità; ri vedendo le dotazioni; conferendo agli stati m aggiori logistici ed agli organ i direttivi dei servizi a ttrezzature mobili e mezzi di sistemazione campale che ne rendano possibile il funzionamento in ogni luogo ed in qualsiasi circostanza. La mobilità va altresì ricercata mediante l'opportuna dislocazione dei mezzi di trasporto, le predisposizioni per l'immediato e redditizio impiego di tali mezzi (organizzazione del movimento, dei cantieri di scarico, degli spostamenti ipotizzati, ecc.), il ricorso ai trasporti aerei (aeroplani, elicotteri) ed infine la capacità di propul s ione delle menti e degli spiriti dove la mobilità ha la sua prima origine. La manovra -
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intesa soprattutto come manovra di mezzi - si attua diradando e schierando i mezzi in base ai principi di sicurezza, flessibilità, mobilità, conferendo alle unità avanzate una più spiccata autonomia, costituendo adeguate riserve, pianificando i movimenti, assicurando l'efficienza delle reti di comunicazione e delle trasmissioni, articolando opportunamente i comandi logistici, costituendo organi di comando alternati. Elemento fondamentale dell'organizzazione logistica, sia nella Z.O. sia nella Z.T., è il centro logistico, in quanto risponde alla naturale applicazione dei principi di sicurezza, flessibilità, manovra nell'ambiente atomico e si concreta attraverso la dislocazione in adeguata zona di materiali, mezzi ed attività di più servizi (struttura mista). Esso adempie le funzioni di sostegno logistico a unità determinate, concorre all'adempimento di analoghe funzioni da parte dei complessi similari viciniori, realizza il diradamento e la protezione in ragione antiatomica. Sua caratteristica fondamentale è la polivalenza, l'attitudine cioè di ciascun centro, per la disponibilità dei m ezzi, dei materiali e delle attività di più servizi, a conferire sostegno logistico tendenzialmente completo. I centri logistici avanzati sono organi essenzialmente distributori dei rnaleriali essenziali; quelli arretrati adempiono funzioni più complete. La divisione costituisce, di massima, tre centi-i logistici: due in posizione avanzata, uno in posizione arretrata e disloca in ognuno i normali posti di distribuzione e dotazioni miste su ruote dei materiali essenziali. La superficie dei centri logistici divisionali si aggira intorno ai 40 chilometri quadrati, quella dei centri logistici della Z.A.S.I. ai 60 chilometri quadrati, mentre la distanza fra gli elementi costituenti ciascun centro è in relazione alle caratteristiche del terreno, alla rete delle comunicazioni ed al peso logistico del centro stesso. La protezione dalle offese atomiche è da considerare nell'ambito della sicurezza generale offerta dal sistema di o rganizzazione per centri logistici e non va ricercata nei grandi intervalli · fra i singoli elementi di ciascun centro. Naturalmente ai più ampi spazi strategici e tattici corrispondono più ampi spazi logistici e perciò la maggiore profondità della Zo.Pri.S. e della Zo.S.I., ma sempre nei limiti di non compromettere la funzionalità del sistema e dei vari elementi che lo costituiscono. È peraltro indispensabile la predisposizione particolareggiata di misure di emergenza per fronteggiare con immediatezza le situazioni di gravissima crisi che si determinano nelle località colpite dall'offesa atomica, tenendo sempre in potenza un'organizzazione a sé stante che possa far leva, senza remore, sul personale,
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sui materiali, sui mezzi, sulle formazioni logistiche dislocate in prossimità delle zone colpite. Tale organizzazione prende il nome di O.E.Z.E.D.. La Zo.Pri.S. e la Z.o.S.I. si configurano in una scacchiera di aree di dimensioni diverse, variamente distribuite nel senso della fronte ed in quello della profondità fra truppe e servizi, in modo da evitare sovrapposizioni fra dislocazioni delle une e degli altri. Compatibilmente con le esigenze di altra natura, la costituzione e l'organizzazione di centri logistici va estesa in profondità alla Zo.T .. Questa, difatti, è suscettibile di trasformarsi, in un qualche settore, da un momento all'altro in Z.Op. per l'intervento, anche massiccio, di unità dell'esercito di campagna in seguito ad aggiramenti verticali ad ampio raggio, ad operazioni anfibie, ad azioni di guerriglia, a sovvertimenti dell'ordine pubblico. L'avvento dell'arma atomica tattica quasi non muta la fisionomia logistica delle unità ai vari livelli. Il battaglione e la divisione conservano, ai rispettivi livelli, la fisionomia di anelli della catena logislica; l'anello reggimenlo vede invalidala la sua funzione logistica dall'articolazione della divisione in raggruppamenti e gruppi tattici; il corpo d'armata, complesso tattico a costituzione variabile, continua ad esserre svincolato da oneri logistici ad eccezione di quelli connessi all'attività di 2° grado di rifornimento e di riparazione a favore dei propri supporli ed all 'allività di controllo nei confronti delle grandi unità dipendenti, a favore . delle quali può esplicare funzioni logistiche nell'ambito del servizio trasporti; l'armata si appoggia, sotto il profilo logistico, all'organizzazione di scacchiere, eccezione fatta per i casi in cui operi isolata. Lo scacchiere resta la fronte propulsiva e prellllnente dell'organizzazione di cui è responsabile il comandante dello scacchiere. L' intendenza di scacchiere indirizza, coordina e disciplina l'attività logistica, avvalendosi anche dei delegati intendenti che, per sua delega, coordinano un certo numero di centri logistici, dislocati nel settore di pertinenza, ed adeguano l'organizzazione logistica dipendente alle esigenze della grande unità complessa avente giurisdizione operativa nel proprio settore. I riflessi dell'impiego dell'arma atomica nell'ambito dei singoli servizi incidono sull'organizza zione e sul funzionamento di ciascuno di questi in misura diversa. L'incidenza è massima sul servizio di sanità, su quello dei trasporti e su quello A.8.C., ma anche tutti, gli altri servizi di campagna necessitano di notevoli e non meno sensibili mutamenti strutturali ed organici, tendenti a mettere i vari organi in condizioni di fare fronte ai maggiori impegni riguardanti l'aumentata entità dei ma-
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teriali e dei loro consumi, delle attività lavorative e delle esigenze della sicurezza. Verso la fine degli anni cinquanta la dottrina logistica era stata già posta completamente in fase con quella tattica ed anche il processo di revisione delle funzioni, delle strutture, delle articolazioni e degli schieramenti dei vari organi poteva dirsi ultimato. L'intensa attività addestrativa fatta svolgere a ll'esercito in quegli anni confermò la validità degli orientamenti espressi in sede dottrinale. Nel quadro dell'organizzazione logistica divisionale, in un primo tempo furono decise soluzioni definitive per i servizi di sanità e di commissariato, per la compagnia mista servizi e per l'autoreparto. Venne potenziata la sezione di sanità; vennero trasferite al livello d'intendenza la sezione panettieri e la sezione vestiario, lavanderia e bagni; venne rivisto l'organico della compagnia mista servizi per assicurarne l'articolabilità in tre aliquote a funzionamento autonomo in relazione alla prevista costituzione di tre centri logistici divisionali e vennero inseriti in ciascuna aliquula personale tecnico e manovalanza; l'autoreparto divisionale venne portato da 4 a 6 sezioni. In un secondo tempo, dopo altre esercitazioni sperimentali, vennero rese definitive, con correzioni suggerite da queste ultime, le soluzioni transitorie adottate in precedenza nei riguardi dei servizi armi e munizioni, trasmi ssioni, materiali del •gento, motorizzazione. Il parco e l'officina mobile divisionale vennero fusi in un unico organo, il reparto rifornimenti riparazioni recupero (R.R.R.) divisionale; questo venne ordinato su: comando, ufficio amministrazione, 3 officine leggere strutturalmente identiche (1 ° grado di riparazioni), 1 officina media articolabile in sezion i pe r il surplus del 1° grado e per parte del 2° g rado; I parco mobile anche questo articolabile (nuclei leggeri-nucleo medio), con dotazioni commisurate alle reali possibilità di riparazione e cambio nell'ambito divisionale in ambiente atomico. A ciascuna officina venne affiancato un nucleo di parco, armonizzando l'articolazione degli organi di rifornimento e di riparazione in a liquote a funzionamento autonomo, intercambiabili, decentrabili, dislocate sul terreno in base a criteri di aderenza e di diradamento. Dagli esperimenti ancora in corso nel 1959 si attendevano ulteriori e lementi di valutazione sulla capacità generica del reparto R.R.R. a soddisfare le esigenze di riparazione e di rifornimento al livello divis ionale e sulle lavorazioni da svolgere presso i posti manutenzione, le officine leggere e l'officina media. Sulla base delle unanimi valutazioni raccolte nelle varie esercitazioni logistiche venne con-
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fermata l' esclusione del corpo d'armata dalle funzioni logistiche ad eccezione di quelle già stabilite nella regolamentazione in vigore (attività di 2° grado a favore delle proprie truppe o servizi; esecuzione di trasporti anche a favore delle grandi unità dipendenti e di attività connesse a detto servizio; azione di controllo nei confronti di tutte le unità dipendenti, ecc.) - e venne eliminato definitivamente l'anello logistico reggimentale, limitando l'assegnazione ai comandi di reggimento di un poslo manutenzione per le unità reggimentali. L'esercitazione Latemar III, fatta svolgere dalle unità alpine, consentì di raccogliere risultati di notevole importanza sulla pratica applicazione dell'organizzazione delineata nella pubblicazione 630 della serie dottrinale nell'ambiente montano ed alpino. Essa mise in luce che il valore dei criteri dottrinali della 630 erano risultati accentuati nella loro importanza nel particolare ambiente, non erano necessari mutamenti nella fisionomia logistica della brigata alpina, ma occorreva aumentare la capacità di autotrasporto nell'ambito della granùt: unità e potenziare altresì l'autogruppo di manovra del corpo d'a1mata alpino, nonché migliorare le possibilità di manovra nel campo logistico mediante una più adeguata disponibilità di elicotteri (accentrati al corpo d'armata), aerei leggeri , telefoni, mezzi di trasporto speciali. Alle esercitazioni, di carattere nazionale e N.A.T.O., riguardanti l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi dell'esercito di campagna, si accompagnò un'esercitazione, su scala nazionale, intesa a: addestrare i comandi e gli organi nazionali militari alla pianificazione relativa alle principali attività logistiche e all'adozione di tempestivi provvedimenti per fronteggiare le situazioni impreviste; sperimentare l'applicazione delle procedure stabilite per le richies te e per l'attuazione dei trasporti; esaminare i problemi dell'appoggio logistico fra organi interalleati ai vari livelli; collaudare i criteri sanciti nella memoria 630 per quanto aveva tratto ai centri logistici. L'esercitazione consentì di: constatare la sostanziale validità della nuova dottrina logistica; esperimentare il nuovo ordinamento militare regionale nell'appoggio logistico alla Z.O.; migliorare l'efficienza degli organi preposti ai rifornimenti ed ai trasporti; rilevare, ancora una volta, la necessità di disporre di adeguate scorte di materiali dei vari servizi e l' insufficienza delle disponibilità. I dati relativi al movimento fittizio di materiali dai depositi centrali ai magazzini regionali ed alla situazione del traffico per ferrovia e per via ordinaria 11 si concretarono, riferiti ai singoli giorni di esercitazione, in cifre impressionanti, sufficienti peraltro a dare una
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pallida idea della complessità e della gravosità del problema dei rifornimenti. Al livello nazionale, vennero, infine, conseguite in quegli anni alcune realizzazioni riguardanti una nuova catalogazione dei materiali 12, l'organizzazione del servizio rifornimento, ricambi, accessori, materiali di consumo 13, il reciproco appoggio sanitario fra le forze terrestri, marittime ed aeree 14, le zone sanitarie 15, la costituzione di un'organizzazione responsabile delle riparazioni di emergenza dei danni alle installazioni vitali per lo sforzo bellico 16. La dottrina logistica venne, dunque, messa in fase con la nuova dottrina tattica. La sua elaborazione procedé in parallelo con quella di questa ultima e ne seguì la metodologia speculativo-sperimentale. La visione integrale ed unitaria del problema operativo, riferita simultaneamente agH aspetti strategici, tattici e logistici, conferì alla nuova normativa completezza e concretezza. Il riconoscimento esplicito del ruolo di condizionamento che la logistica esercita sulla strategia e sulla tattica nella guerra muderna 11011 fu e non rimase una mera enunciazione di princ ipio, ma fu il richiamo ad una realtà alla quale si ispirò tutta la nuova regolamentazione tattica e ordinativa. Anche nel passato, per essere la logistica la branca dell'arte e della scienza militare che tratta le attività intese ad assicurare all 'esercito quanto abbisogna per vivere, muovere e combattere nelle migliori condizioni di efficienza, le vittorie strategiche e tattiche avevano qu2si sempre avuto come premessa l'adeguatezza di organizzazione e di funzionamento dei servizi. Nella seconda guerra mondiale - che era stata una guerra di materiali - il successo aveva arriso alla coalizione più ricca e meglio organizzata logisticamente. Ma già la prima guerra mondiale era stata essenzialmente una guerra logistica. Più che nella guerra di posizione, la logistica rappresenta peraltro il principale fattore di successo in quella di movimento, che esige una ancora più stretta interazione tra truppe e servizi. L'avvento dell'arma atomica tattica esapera il concetto ed è per questo che la battaglia deve essere vinta anzitutto nel campo logistico. Un'affermazione siffatta ebbe allora il significato di un ordine rivoluzionario, inteso a fare abbandonare del tutto una mentalità inveterata che molto frequentemente era valsa a sottovalutare la realtà della guerra, della battaglia e dello stesso combattimento. Le incidenze logistiche dell'arma atomica vennero valutate in tutta la loro portata, ma prima ancora, fin dalla diramazione della pubblicazione 6300, lo stato maggiore aveva inquadrato la logistica e, in particolare, la
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organizzazione ed il funzionamento dei servizi dell'esercito di campagna, in una riforma radicale di riassetto delle idee per garantire i punti di partenza, senza voler peraltro predeterminare i punti di arrivo. La logistica era stata rappresentata come la prima realtà con cui bisogna misurarsi se non si vuole vanificare la strategia e la tattica. La 6300 aveva posto termine ad una separazione che era stata troppe volte una delle cause principali degli insuccessi e talvolta del soverchio impiego delle energie e dei mezzi . La logistica della pubblicazione 6300 era assai più costosa di quella precedente e più di quella lo era la logistica della memoria 630, ma entrambe tenevano conto realisticamente dell'es igenza di rapportare gli obiettivi s trategici e tattici alle possibilità effettive e di sfruttare queste ultime in ogni occasione e nel migliore dei modi per accrescre le capacità operative. In entrambe le pubblicazioni, s'intese attribuire alla logistica non solo la migliore fun zionalità possibile, m a anche la maggiore economicità. La nuova organizzazione logistica risultò più ricca, più snodata e più elastica; il funzionamento dei servizi più agile, più pronto e più semplice, malgra do la maggiore complicazione generata dal più alto costo, dall'enorme aumento dei consumi, dalla smis urata ampiezza degli spazi operativi e dalla vulnerabilità senza precedenti del sistema logistico alle offese delle nuove armi. Per la prima volta ne ll'esercito italiano, la logistica ed i criteri di organizzazione e di funzionamento dei servizi vennero inseriti in pos izione preminente ne ll a dottrina generale d 'impiego delle forze e definiti, nelle loro modalità e procedimenti, alla luce dei principi fondamentali di sicurezza, flessibilità, mobilità e manovra. L'esame critico particolareggiato della nuova dottrina logistica richiederebbe molto spazio e d esorbiterebbe dai limiti che ci siamo prefissati. Merita peraltro di essere sottolineato, in aggiunta a quanto già scritto, il rilievo che la nuova dottrina logistica dà, in materia di servizi dell 'esercito di campagna, alla mobilità e conseguentemente al servizio dei trasporti ed alla manovra e conseguentemente alla disponibilità di una riserva logistica. Il servizio trasporti costituisce fattore essenziale dell 'attività logistica... in quanto qualsiasi allo tattico o strategico e qualsiasi funzione logistica si traducono sempre in un'attività di trasporto. L'organizzazione del servizio è attribuita alla competenza degli stati maggiori ed abbisogna di un'azione coordinatrice nel quadro generale dell'attività logistica e di uno stretto collegamento con gli organi addetti alle operazioni; ric hiede capacità di previsio-
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ne e di manovra, che comporta disponibilità di riserve, impiego e lastico ed economico dei m ezzi, tempestività d'intervento e immediatezza nel superare crisi ed imprevisti; va realizzata con visione unitaria mediante uno stretto coorclinamento dei vari sistemi di trasporto, impiegati secondo il loro massimo rendimento; non può fare a meno di un'accurata organizzazione del movimento e degli itinerari. A tali considerazioni sul servizio dei trasporti si allaccia il concetto dei servizi di riserva, logica conseguenza dell'importanza acquisita dalla logistica nella guerra moderna ed in particolare in quella in ambiente atomico. Un comando di grande unità, oltre la riserva di truppe, deve disporre di riserve logistiche per i rifornimenti straordinari ed urgenti e per sostitui re i mezzi ed i materiali distrutti all'improvviso dall'offesa atomica. Da qui la costituzione di centri logistici funzionanti c on il compito eventuale di sostituzione di un centro logistico distrutto. È da ricordare, infine, che la logistica non aveva mai occupato nella <lottr.ina dell 'esercito italiano il posto che le sarebbe spettato, non solo per la grande povertà di materiali e di mezzi dalla quale l'esercito era stato sempre afflitto fin dalla nascita, ma anche per la tendenza generale dei quadri, compresi gli ufficiali di s tato maggiore, a pr ivilegiare la s trategia, la tattica e l'organica e ad ambire l'assegnazione ad incarichi di comando o di ufficio relativi alle branche operazioni, informazioni, addestramento, ordinamento piuttosto che alle intendenze ed agli uffici servizi, dimentichi che la costituzione di stati maggiori mode rni era stata determinata, sopra ttutto, dalle esigenze logistiche. Ciò non significa c he nelle guerre passate, in particolare nella prima guerra mondiale. i ~ervizi non fossero stati in grado di funzionare - la campagna contro l'Etiopia era stata una formidabile impresa logistica di pieno successo - ma solo che l'attendervi era stato costantemente giudicato meno remunerativo, anche a i fini della carriera, che non l'espletare altri compiti. La' nuova collocazione assegnata alla logistica ne l quadro dottrinale ebbe dunque tra l'altro il grande merito di dare inizio a l tramonto definitivo di un modo d 'intendere sbagliato e pernicioso le funzioni degli stati maggiori e di ribaltare la valutazione dell'importanza relativa delle varie branche dell'attività tecnico-militare nelle quali, ai diversi livelli di comando, la branca informativa adempie la funzione del sapere, quella strategica e tattica la funzione del volere e quella logistica la funzione del potere, senza la quale il conoscere ed il volere non possono tradursi in azione.
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5. La grande rivoluzione dottrinale della seconda metà degli anni cinquanta non interruppe e neppure rallentò il processo di sviluppo della regolamentazione negli altri settori, a cominciare da quello riguardante la tecnica di addestramento nel quale venne continuata, perfezionata, completata l'opera di innovazione iniziata fin dal 1945 e via via ampliata ed approfondita nel decennio successivo. Nello stesso campo della dottrina, lo stato maggiore dell'esercito non volle rinviare a dopo l'elaborazione, la sperimentazione e la diramazione delle pubblicazioni della serie 600 e di quelle annesse, l'aggiornamento della terminologia, e provvide senza indugi a rielaborare, aggiungendo nuove definizioni, eliminando quelle superate, modificando e completando altre, il Nomenclatore organico-tatticologistico 17. Erano passati appena cinque anni dall'edizione 1951, che aveva abrogato e sostituito quella (1935) di quindici anni prima, ma durante il breve periodo la dottrina tattica e logistica, come pure gli ordinamenti, indipendentemente dalle nuove impostazioni conseguenti l'avvento dell'arma atomica tattica, avevano subito uno sviluppo evolutivo prof9ndo e rapido, soprattutto perché akuni dei mezzi comparsi durant~ la seconda guerra mondiale e la guerra di Corea - e tra essi, i più rivoluzionari, a prescindere dalle armi atomiche, quali ad esempio i missili e l'elicottero - avevano esteso la loro possibilità d'impiego dal campo strategico a quello tattico ed avevano già inciso non poco sui criteri e le modalità della battaglia aeroterrestre e in particolare del combattimento. Le pubblicazioni concernenti l'impiego, l'addestramento e la logistica edite dopo il 1951 18 avevano introdotto nel linguaggio tecnico-mii itare nuo vi termini, avevano fatto cadere in disuso altri, di altri ancora avevano messo in evidenza l'incompletezza o addirittura il contrasto in relazione all'affermarsi delle nuove esigenze ed all'evolversi d el pensiero militare. L'edizione del 1951 includeva 586 vocaboli, la nuova 859 per l'aggiunta di 311 termini e la soppressione di 25 dei vecchi. Ben 228 definizioni dell'edizione 1951 vennero del tutto o parzialmente modificate ed aggiornate. I crite ri ai quali si ispirò il nuovo testo furono quelli di: introdurre o disciplinare o sistematizzare la terminologia riguardante alcuni argomenti importanti quali, ad esempio, la pianificazione del fuoco, il servizio informazioni - sui quali la dottrina in vigore o taceva o si esprimeva sommariamente o contraddittoriamente; accennare all'evoluzione dottrinale e te rminologica relativa all ' incidenza del fattore ato-
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mico, ma con cautela ed evitando anticipazioni suscettibili di creare dubbi o confusioni in una materia tuttallora in studio; inserire i termini che, di evidente accezione nel linguaggio comune, erano impiegati in quello militare in senso diverso; mantenere, anzi accentuare, il carattere enciclopedico del manuale; facilitare con espedienti tipografici la ricerca dei termini collegati tra di loro; adottare una veste tipografica che facilitasse l'aggiornamento della pubblicazione senza dover ricorrere alla ristampa. Anche ai fini di una migliore intelligibilità dei capitoli successivi di questo volume, ci sembra opportuno accennare ad alcune delle innovazioni più significative. Nella terminologia organica il termine Grande Unità - riferito, secondo l'accezione tradizionale, sia alle grandi unità complesse (corpo d'armata, armata, gruppo di armate) sia a quelle elementari (brigata e divisione) - viene definito a sé s tante, sopprimendo i termini e le definizioni relativi ai divers i tipi di grande unità, per considerare in loro vece specificamente i vari tipi di divisione e di brigata, in base al concetto che la specializzazione organica delle grandi unità si arresta, in effetti, al livello divisionale, mentre le grandi unità di ordine s uperiore, vale a dire quelle complesse, stante la loro costituzione variabile, non sono caratterizzabili in modo permanente sulla base della specie delle grandi unità elementari che inglobano. La divisione corazzata è definita come Grande Unità di cui i carri costituiscono l'aliquota base, sanzionando così il principio che i carri rappresentano lo strumento fondamentale di questo tipo di divisione e che le altre armi hanno in definitiva il compito di facilitarne l'azione. Viene reintrodotto il termine di Divisione meccanizzata, soppresso nell'edizione del 1951, sebbene nessuna divisione di tale tipo fosse prevista per il momento nel nuovo ordinamento, per non ignorare un tipo di divisione già esistente presso altri eserciti e particolarmente idonea a compiti dinamici, essendo imperniata su fanteria meccanizzata sorretta da una consistente aliquota di carri. Ad eliminare le incertezze e le confusioni dei termini fino ad allora usati indifferentemente e spesso impropriamente, definito che cosa debba intendersi per mezzo corazzato, la nuova edizione adotta e definisce il termine unità corazzata, precisando che questo ha un signfficato generico in quanto abbraccia, organicamente od occasionalmente e in proporzione opportuna, unità carriste, di fanteria meccanizzata, di cavalleria blindata, di artiglieria semovente e di genio corazzato. Vengono riprese e completate le definizioni dell'edizione 1951 dei termini combinato (interforze) per indicare unità
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o comandi costituiti di due o più forze armate, integrato (interalleato), per indicare unità o comandi costituiti di elementi di nazionalità differenti ma della stessa forza armata, combinato-integrato (interforze-interalleato) che comprende unità o comandi costituiti da più forze armate di più paesi. Nella terminologia tattica la manovra è definita impiego e combinazione nel tempo e nello spazio delle forze e dei mezzi a disposizione per raggiungere malgrado le reazioni nemiche uno scopo determinato; l'area della battaglia come lo spazio su cui l'attacco e la difesa svolgono gli atti fondamentali della propria manovra strategica e in correlazione vengono definite l'azione offensiva, quella difensiva, la battaglia, il combattimento, l'atto tattico, voce questa ultima che compare per la prima volta definita come insieme di predisposizioni e sviluppo di operazioni tendenti a conseguire un particolare scopo nel quadro del combattimento. Altri termini di carattere generale che trovano posto, o nuova definizione, sono: diradamento; perno di manovra (elemento difensivo statico che favorisce la manovra di unità mobili tendenti ad attaccare o a contrattaccare e che può identificarsi con un caposaldo o con un caposaldo controcarri); demolizioni distinte in strategiche, tattiche, di campagna, ed in r elazione al tempo a disposizione per attuarle, in normali e speditive; interruzioni (rielaborazione del significato); distru zione e inutilizzazione delle quali, congiuntamente a quelle delle demolizioni e delle interruzioni, viene precisata la successione delle operazioni e dei tempi (approntamento, caricamento, brillamento) attraverso i quali si realizzano. Il mascheramento diviene genericamente una forma di difesa dell'osse rvazione nemica (l'altra è l'occultamento) che, a seconda del procedimento, assume la forma della mimetizzazione o della simulazione. Viene messo ordine sull'inizio dell'attacco il quale, in via transitoria, viene individuato, nell' ambito di una divisione e brigata di prima schiera e di un raggruppa mento o gruppo tattico avanzato, nel momento in cui gli elementi più avanzati superano la linea di partenza (margine anteriore della base di partenza). Successo e completamento del su ccesso, che già figuravano ne ll'edizione 1951, ampliano il loro significato e la loro definizione viene fatta aderire al concetto che il successo consiste nella creazione di brecce nelle posizioni difensive nemiche mediante l'azione delle divis ioni di prima schiera con l'eventuale concorso delle divisioni di seconda schiera, mentre il completamento del successo è l'azione mirante ad estendere i risultati realizzati dall'attacco delle divisioni di prima schiera al fine di creare le premesse
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per lo sfruttamento del successo, di competenza delle divisioni di prima schiera e, qualora queste siano state impiegate per il raggiungimento degli obiettivi di attacco, delle grandi unità di seconda schiera. Modificata, analogamente all'azione offensiva (scopo: distruzione del nemico mediante il combattimento al quale lo si costringe), la definizione dell'azione difensiva (scopo: arrestare la spinta offensiva o bloccandola o esaurendola e in ogni caso distruggendo la maggiore quantità possibile delle forze nemiche). Vengono inoltre definite e meglio precisate le forme principali della difesa: difesa ad oltranza (a tempo indeterminato o a tempo determinato) e manovra in ritirata (manovra di ripiegamento o azione ritardatrice). Altre voci introdotte: posizione intermedia, tratto vitale, posizione di contenimento, mentre la definizione del caposaldo sottolinea che questo perde il requisito dell'impenetrabililà, non si articola più obbligatoriamente in scllori di compagnia, può essere presidiato, in via normale, anche da unità di ordine inferiore al battaglione. Un sensibile rimaneggiamento subiscono anche i termini contrassalto - reazione di movimento esplicata con immediatezza dai rincalzi delle minori unità - e cont rattacco che viene inteso come reazione di movimento in campo tallico,· organizzata e predisposta, esplicata dalle riserve con la preparazione e l'appoggio di tutto il fuoco disponibile. La controffensiva è un complesso di alli offensivi, susseguenti ad un'azione difen siva, sviluppata allorché la mutata s ituazione operativa consente la ripresa dell'iniziativa in ambito strategico. Un argomento di notevole importanza che viene disciplinato in modo organico è la saldatura del fuoco - continuità di fuoco fra due elementi difensivi cooperanti, realizzata con la parziale sovrapposizione dei settori di azione normali delle armi automatiche, o, quando le condizioni ambientali non consentano il tiro mirato, con le direzioni di arresto automatico - della quale sono precisate le modalità di realizzazione, introducendo termini nuovi e modificando le definizioni di altri già esistenti: arresto automatico, settore d'azione, direzione di arresto automatico, obiettivo di arresto automatico, punto di saldatura, linea di saldatura, limite di se llare. Radicale il cambiamento del termine concetto di azione, la cui nuova definizione riportiamo in nota 9; esso è la base dell'ordine di operazione, documento o comunicazione verbale, redatto o espresso in forma precisa e sintetica, con cui il Comandante ragguaglia i dipendenti sulla situazione e sul compito ricevuto, notifica i suoi intendimenti in merito all'operazione da svolgere, assegna i compiti e fissa le principali modalità di azinne. La definizione del termine
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pianificazione del fuoco, argomento del tutto nuovo per il nomenclatore, è completata da quelle relative al piano di fuoco, tiro predisposto, serie di tiri predisposti, dando così rilievo all'esigenza ed ai caratteri della moderna pianificazione del fuoco, messa ancor più in evidenza dal secondo conflitto mondiale e dalla guerra di Corea. Tali esperienze avevano, infatti, accentuato la tendenza all'impiego del fuoco pianificato, senza peraltro escludere, anzi sottolineando, la necessità della flessibili là del fuoco, sia perché la potenza del fuoco moderno consente di conseguire rapidamente effetti decisivi, da cui la convenienza di sviluppare il fuoco d'iniziativa senza attendere che si svelino le sorgenli di fuoco nemi che (e conseguentemente la necessità della azione pianificata), sia perché diventano frequenti il combattimento notturno ed il largo ricorso all'impiego della nebbia artificiale, mentre l'individuazione degli elementi attivi nemici che ostacolano l'azione diventa estremamente difficile. Altri chiarimenti della nuova edizione riguardano la differenza lra ur~unizzuz.iune della difesa (complesso delle predisposizioni volte ad impiegare proficuamente ed armonicamente tutti gli elementi a dispos izio ne della difesa, a coordinare l'azione ed a convogliarla al compito da adempiere) e sistemazione della difesa (complesso di provvedimenti messi in atto per potenziare il terreno ai fini difensivi: fortificazione campale, ostacolo, sgombero del campo di tiro, ecc.). L'edizione 1951 aveva già rilevato la differenza tra direzione di attacco e direttrice di attacco; la nuova edizione l'accentua definendo: la prima, via tattica, materializzata dalla congiungente di alcuni punti del terreno ben individuati, a cavaliere della quale un battaglione o una unità minore sviluppa il s uo al.tacco; la seconda , via tattica, individuata da una successione di posizioni lungo la quale si sviluppa lo sforzo di una G.U., di un raggruppamento tattico o di una colonna di atLacco p er raggiungere l'obiettivo d'altaccu o quello eventuale, compendia e riassume più direzioni di attacco. Sanziona inoltre il s ig nificato dei termini via tattica che abbraccia in senso ge'nerico sia la direzione c he la diretlrice di attacco e di dirett rice operativa che rappresenta sul piano strategico l'equivalenle della direttrice di attacco. Profondamente modificate risultano le definizioni di settore di atLacco - striscia di terreno avente in genere andamento normale alla fronte assegnata in casi particolari ad un battaglione o unità minore in luogo de lla dire zione d 'attacco - e di settore di azione, definito striscia di terreno, avente in genere andamento normale alla fronte, entro la quale una unità può liberamente svolgere la sua azione; nel suo
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interno si sviluppa la direzione di attacco o il settore d'attacco; il settore di azione è anche lo spazio angolare entro il quale una determinata arma o unità di tiro può intervenire in relazione alle sue caratteristiche. Le innovazioni più numerose e notevoli sono nel settore della terminologia logistica. Di alcune definizioni e di alcuni dei nuovi termini concernenti la ripartizione del territorio ai fini logistici e le funzioni logistiche delle unità abbiamo trattato nel sunteggiare la pubblicazione 6300 che è la fonte principale del nuovo nomenclatore. Compiti, costituzioni e mezzi degli organi dei servizi trovano tutti la loro definizione esauriente riprodotta dalla 6300, ma anche la complessa m ateria relativa all'organizzazione dei movimenti e dei trasporti, trattata sommariamente nella 6300 nell'attesa del rifacimento della regolamentazione in vigore che risaliva al periodo dell'anteguerra, trova il suo ampio sviluppo, precorrendo i tempi e dando largo spazio alla chiarificazione dei concetti-base, alìa trafila attraverso la quale si sviluppano l'organizzazione e l'esecuzione dei trasporti ed ai <lm.:wnenti che materializzano l'una e l'a ltra (organizzazione del movimento, organizzazione degli itinerari, organizzazione della strada, carta dell'organizzazione stradale, organizzazione dei trasporti, pianificazione dei trasporti, richiesta di traspurli, richiesta di movimento, esecuzione dei trasporti). La terminologia riguardante l'arn1a atomica, già apparsa timidamente, e non avrebbe potuto essere diversamente, nell 'edizione 1951, occupa nella nuova edizione un posto meno periferico ed eccentrico mediante l'inclusione di molti termini, che venivano entrando nell'uso, da armi atomiche - complesso degli ordigni atomici e dei relativi mezzi di lancio che si dividono in armi nucleari ed armi termonucleari, a seconda che si tratti di ordiJ{ni nucleari od ordigni termonucleari e rispettivi mezzi di lancio - ad esplosione atomica aerea, in superficie o sottoterra, e all'analisi dell'obiettivo atomico. Anche la materia riguardante la difesa dall'offesa dal cielo subisce un rimaneggiamento; così, ad esempio, viene introdotta la distinzione tra difesa antiaerei e protezione antiaerei: la prima, che un tempo abbracciava sia le misure attive sia quelle passive, designa ora solo le predisposizioni e le misure a carattere attivo e si suddivide in difesa aerea, se svolta dall'arma aerea, e in difesa contraerei se svolta dalle artiglierie o da altre armi con base a terra. Un argomento, quasi completamente nuovo, è la terminologia relativa al servizio informazioni. Il nuovo testo raccoglie voci di carattere generale: servizio informazioni operativo (S.I.0.), controspional{J{io, sicurezza, notizia (dato grezzo relativo
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al nemico od all'ambiente naturale), informazione (dato sottoposto a valutazione ed elaborazione da parte degli organi informativi); definisce i documenti in cui si materializza l'attività informativa: piano di ricerca, piano generale delle informazioni, varie specie di bollettini d'informazione. Ampia la trattazione dei termini relativi all'addestramento, appena sfiorati nell'edizione 1951, derivante non solo dall'importanza che si veniva sempre più conferendo alla materia, ma anche dalla razionalizzazione e tecnicizzazione alle quali s'ispirava la nuova regolamentazione addestrativa che richiedeva perciò esattezza nelle definizioni dei termini. Metodo addestraLivo e tecnica addestrativa vengono definiti con stretto rigore quasi scientifico e obiettivo di addestramento, ciclo d'addestramento, natura dei cicli (preliminare, avanzato, di specializzazione) assumono un significato tecnico ben preciso, mentre tutto l'insieme della terminologia addestrativa sta a dimostrare la profonda trasformazione che si era venuta compiendo nella formazione e nella istruzione del soldato.
6. Gli interventi, che potremmo chiamare di routine, negli altri settori della regolamentazione furono molteplici, soprattutto nei riguardi delle istruzioni tecniche 20 - molte furono traduzioni di quelle in vigore nell'esercito degli Stati Uniti 21 - in seguito alla graduale sostituzione, iniziatasi nel quinquennio precedente, delle armi e dei mezzi, vetusti o superati, comunque risalenti alla seconda guerra mondiale o addirittura al periodo prebellico. L'ammodernamento dell'armamento e dell'equipaggiamento impegnò intensamente i vari uffici dello stato maggiore dell'esercito, gli ispettorati di arma, le direzioni generali del ministero ed i servizi tecnici i quali tutti dovettero provvedere, oltre che a diramare le varie istruzioni riguardanti le nuove armi ed i nuovi mezzi, al lavoro di normale routine e di aggiornamento delle pubblicazioni relative all'impiego delle varie unità 22, alla tecnica d'impiego ed alle procedure ordinative 23, ai quaderni di caricamento 24 , alla catalogazione dei materiali 25. Al di là della routine fu, invece, l'intervento diretto dello stato maggiore nella regolamentazione concernente l'attività addestrativa 26 che, ai fini di un più sicuro rendimento e di una maggiore uniformità del livello medio da perseguire, venne centralizzata quanto ad impostazione, organizza-
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zione, attrezzature didattiche, tipi di infrastrutture, perfezionando e completando quanto era stato fatto e si era continuato a fare negli anni precedenti, dal 1945 in poi 27. La pubblicazione 600 della serie dottrinale, come abbiamo rilevato, nell'indicare i nuovi procedimenti, la cui caratteristica fondamentale era la bivalenza, sottolineava che le innovazioni riguardavano essenzialmente l 'attività concettuale ed organizzativa dei comandi di grande unità e non interessavano l'azione dei minori reparti. la cui regolamentazione d 'impiego conservava la sua piena validità, a meno di evidenti contrasti con la nuova dottrina. Vera sul piano del principio generale, l'affermazione andava peraltro intesa in senso relativo in quanto, ad esempio, la sola maggiore utilizzazione dello spazio come fattore incrementale della potenza difensiva ed elemento di condizionamento della manovra, non era senza conseguenze anche sul piano d ella dottrina delle minori unità. Vi erano poi altri fattori, indipendentemente dall'impiego delle armi atomiche tattiche, che inducevano alla rielaborazione di almeno parte della regolamentazione d'impiego e di tecnica d 'impiego delle minori unità, quali, ad esempio, il nuovo armamento ed i nuovi organici delle unità fondamentali d 'impiego, del livello di battaglione od equivalente, e delle stesse unità minori pe r le quali diventava normale agire in situazioni di maggiore autonomia ed isolamento. Esisteva anche un altro motivo che induceva alla revisione ed alla rielaborazione della regolamentazione tattica delle unità minori ed era che quella in vigore era partita dal basso, cioè dalla squadra, per salire fino alla divisione, mentre la serie dottrinale 600 era tornata a trattare la materia secondo il me todo tradizionale della discesa dal quad ro genera le strategico-militare a quello particolare dell'impiego delle grandi unità e dei raggruppamenti e gruppi tattici. Era, infine, opportuno e conveniente suddividere i compiti di elaborazione della dottrina, riservando agli uffici dello stato maggiore dell'esercito il lavoro di studio, di esperimentazione e di regolamentazione della grande tattica e dell'impiego dei complessi tattici maggiori fino al livello del gruppo tattico compreso, stante la loro fisionomia pluriarma, e delegando agli ispettorati di arma, d'altra parte anche questi organi dello stato maggiore centrale, l'attività relativa alla tecnica d 'impiego delle minori unità di ogni singola arma. Tale ripartizione di compiti esaltava l'importanza degli ispettorati d'arma ai quali veniva attribuita, in più dell e funzioni ispettiva e tecniça già proprie , anche quella di regolare la tecnica d'impiego della squadra, del plotone e
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della compagnia, o unità equivalenti, ciascuno per le formazioni minori della rispettiva arma, naturalmente nel quadro deJla dottrina d'impiego delineato nelle pubblicazioni riguardanti le formazioni tattiche pluriarma, e, comunque, l'impiego e la tecnica d'impiego comune a più armi. Una delle prime pubblicazioni ad essere rielaborata a cura dell'ufficio addestramento e regolamenti dello stato maggiore dell'esercito fu, appunto, la pubblicazione 2000 della serie dottrinale - Le pattuglie 28 - essendo parso necessario definire subito i nuovi criteri d'impiego e le nuove modalità di azione di tali minori formazioni chiamate a svolgere, nel nuovo ambiente operativo, un ruolo più ampio e più decisivo che nel passato. Se già nel passato la concentrazione degli sforzi determinava, sia nell'attacco sia nella difesa, la esistenza di spazi vuoti, che occorreva controllare e dominare, nel nuovo ambiente operativo la maggiore ampiezza e profondità degli spazi di azione, il più accentuato diradamento dei dispositivi e l 'aumentato ricorso alla manovra esaltano l'impiego delle pattuglie a tutti i livelli e per tutte le armi. La conoscenza particolareggiata e continua nel tempo del nemico e del terreno, l' individuazione tempestiva delle minacce, l'esigenza della sicurezza, la rimozione rapida delle insidie, la creazione dei presupposti necessari per la manovra ai vari livelJi ordinativi rendono il pattugliamento un mezzo irrinunciabile che interessa direttamente tutte le armi, pur restando, nei suoi aspetti offensivi, attività di preminente importanza pe r le unità di fanteria e corazzate. Esso richiede ora per la sua esplicazione elementi provvisti s pesso di grande mobilità e sempre di adeguato armamento. Ora il pattugliamento si sviluppa su spazi e per tempi notevoli, si basa essenzialmente sul dinamismo e continua ad essere improntato ad aggressività, come pure a svolgersi con frequenza di notte, per cui accanto alle pattuglie appiedate, già considerate nell'edizione del 1949, vengono prese in esame quelle: motorizzate (veicoli a trazione totale del tipo autovettura da ricognizione ed autocarri leggeri), che muovono su automezzi ed agiscono a piedi; quelle meccanizzate che muovono ed agiscono sui mezzi di combattimento di c ui sono dota te (carri armati, veicoli da trasporto blindati o, in mancanza di questi, autovetture da ricognizione) che lasciano, per agire a piedi, soltanto se necessario; infine quelle eliportate che utilizzano l'elicottero solo per il trasporto, al pari di quelle motorizzate che si servono per lo stesso scopo dell'automezzo, ma combattono appiedate. Alle pattuglie di ricognizione, di collegamento, di sicurezza e di combattimento dell 'edizione 1949 si aggiungono
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quelle esploranti, la cui funzione s'identifica con quella della pattuglia di esplorazione già prevista per le unità di fanteria nell'ambito dell'esplorazione ravvicinata. Resta in vigore la denominazione di pattuglia di allarme per quella impiegata in coda al dispositivo, o sul fianco, nell'ambito della retroguardia o del distaccamento fiancheggiante mobile. Tutte le pattuglie possono essere indistintamente del tipo appiedato, motorizzato o meccanizzato e la loro forza può variare da un minimo di 3-6 uomini (pattuglia di ricbgnizione, pattuglia di sicurezza, pattuglia di collegamento) ad un massimo di plotone fucilieri rinforzato (pattuglia di sicurezza o di esplorazione a notevole distanza o su ampia zona e pattuglia di combattimento). Le formazioni variano secondo il tipo e la forza, la situazione, la morfologia del terreno, gli ostacoli da superare. Le più comuni sono: per le pattuglie appiedate, in fila, aperta, a cuneo ed a riccio; per le formazioni meccanizzate, in fiia, spiegata. Il piano dell'attività di pattugliamento e l'organizzazione dell'azione della pattuglia - il primo impostato e redatto dal comando di divisione o di brigata con la partecipazione dei comandi di raggruppamento e di gruppo tattico, l'altra effettuata dal comandante della pattuglia sulla base degli ordini ricevuti riguardanti in tutto od in parte il tipo, la forza, il compito, la composizione, le informazioni sulla situazione, l'orario e la località di partenza ed eventualmente del rientro, l'itinerario, l'eventuale concorso di fuoco, l'uniforme, i contrassegni, la parola d'ordine - trovano nella nuova edizione uno sviluppo molto più definito e particolareggiato che in quella del 1949. I compiti e le modalità di azione dei vari tipi di pattuglia appiedata restano quelli noti, ma maggiori sono le precisazioni riguardanti l'armamento e l'equipaggiamento, nonché i p rocedimenti per il movimento, per il contrasto del pattugliamento nemico, per il controllo degli spazi vuoti, per la protezione delle operazioni di apertura dei passaggi nelle zone di ostacolo, per l'esecuzione di colpi di mano, ecc. Nuovi i procedimenti fissati per le pattuglie di combattimento meccanizzate che agiscono mediante l'agguato ed il pattugliamento mobile e per le pattuglie esploranti, queste normalmente del tipo appiedato o motorizzato. Ed è proprio alle pattuglie di combattimento ed a quelle esploranti che la nuova pubblicazione dedica grande spazio, anche perché sono quelle che, congiuntamente a lle pattuglie di sicurezza, debbono o possono essere costrette a fare ricorso al combattimento. La pattuglia esplorante vi ricorre solo se costrettavi da situazioni impreviste e da reazioni avversarie che le impediscano lo sganciamento, mentre le pattuglie di ricognizione e di collegamento lo
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evitano finché possibile. La nuova 2000, in sintesi, non è tanto una rielaborazione della vecchia, ma una pubblicazione che completa, perfeziona ed aggiorna l'impiego e la tecnica del pattugliamento, ne inquadra la maggiore importanza e ne sottolinea la maggiore frequenza sul nuovo campo di battaglia, caratterizzato dall'avvento della arma atomica tattica, e, per l'esercito italiano, dalla meccanizzazione di un'aliquota della fanteria del battaglione, nonché dall'impiego di nuove armi controcarri (lanciarazzi e cannoni senza rinculo) e di nuovi mezzi (elicotteri). Nel campo della regolamentazione di arma, di competenza degli ispettorati, l'Ufficio dell'ispettore delle truppe corazzate procedé, fra il 1956 e il 1959, in parallelo con l'assegnazione e la ridistribuzione organica alle unità di carri medi e leggeri, alla definizione dei lineamenti d'impiego e della tec nica d'impiego delle minori unità carri, aggiornando l'edizione 1954 dell'Istruzione del capo-carro e dell'equipaggio 29, n. 1100 della serie dottrinale e, sulla base della nuova edizione della pubblicazione 1800 - Norme d'impiego della divisione corazzata - elaborando ex novo, sottoforma di bozza di stampa, i regolamenti relativi al plotone ed alla compagnia carri 30, mediante la diramazione delle pubblicazioni 1200 e 1300 della serie dottrinale. Sebbene riferila essenzialmente alle minori unità del battaglione carri, tale regolamentazione fu intesa come estensibile sia agli squadroni carri dei reggimenti di cavalleria a fisionomia carrista sia, con opportuni adattamenti, agli squadroni carri dei reggimenti di cavalleria blindata. La nuova regolamentazione mise molto bene a fuoco gli aspetti tecnici e tattici dell'impiego di tali unità e costituì, nel suo insieme, un vademecum completo ed aggiornato che, partendo dalle generalità sul carro e sul suo equipaggio, attraverso le istruzioni particolareggiate per il movimento e lo stazionamento, lo sfruttamento del terreno, l'impiego delle armi di bordo, la difesa contro l'offesa atomica e lo sgombero dei feriti dal carro, risaliva fino all'unità tattica fondamentale del combattimento carrista - la compagnia carri - della quale, com e del resto del plotone, esaminava tutti gli aspetti, dalla costituzione e caratteristiche alle modalità di azione nelle varie situazioni operative (marce, stazionamento, combattimento, ricerca e presa di contatto, avvicinamento, attacco contro avversario in posizione scarsamente organizzata a difesa, attacco su terreno libero, sfruttamento del successo, contrattacco, manovra ritardatrice, difesa a tempo determinato di una posizione, compagnia di rincalzo) e nelle azioni particolari (notturne, nei boschi, negli abitati).
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Costituita da un plotone comando e da tre plotoni carri, ciascuno di questi ultimi su 5 carri, la compagnia ha come sue caratteristiche fondamentali la mobilità e la potenza di fuoco che può sfruttare al massimo allorché è impiegata offensivamente, a massa, di sorpresa. Compito, situazione ed ambiente naturale ne condizionano le formazioni - in colonna, in linea, a cuneo diritto o rovescio, a scalare - delle quali la linea e la colonna costituiscono quelle di base, essendo le rimanenti variazioni di esse. Le sue forma zioni non s'identificano necessariamente con quelle dei suoi plotoni, per cui la compagnia può, ad esempio, operare in colonna con i plotoni a cuneo oppure a scalare e nell'interno della compagnia i plotoni possono assumere formazioni uguali o differenti fra loro. Il gioco delle formazioni e lo sfruttamento del terreno hanno importanza, ta lvolta determinante, nell'impiego della compagnia sia per l'azione di fuoco - ch e è il principale mezzo di azione della compagnia carri - sia per sottrarre i carri, obiettivo ambito dal nemico, a ll'osservazione di q uesto e di proteggerli per quanto possibile dalle offese. Il successo va ricercato nel costante coordinamento <lei fuoco e del movimento, a lternando l 'azione dei plotoni ed assicurandone il r eciproco appoggio ed il fuoco è tanto più e fficace, specie n el combattimento contro mezzi similari, quanto più felice è la combinazione fra direzioni e formazioni. Le unità carri no n sono normalmente in grado di risolvere da sole il combattimento e di massima sono impiegate in cooperazione con la fanteria corazzata o non e con altre armi (artiglieria e genio) e con l'aviazione. La compagnia carri costituisce: elemento di rinforzo quando è assegnata ad una unità di fanteria di ordine superiore ; elemento di forza quando è inserita in un complesso tattico nel quale l'unità di fanteria sia di ordine pari od inferiore alla compagnia. La compagnia carri può essere pe rciò impiegata isolata, inquadrata nel battaglione, a rinforzo di unità di fa nteria di ordine superiore, inserita in un gruppo tattico corazzato ed in compiti offensivi e difensivi. L' impiego di soli carri non può essere escluso, specie nelle situazioni fluide del combattimento, ma l'azione della compagnia isolata per compiti particolari va, sempre ch e possibile, integr ata da que lla di elementi di fante ria. Le armi atomiche non incidono sui criteri e sui procedimenti della compagnia, ma richiedono che questa agisca con formazioni e dispositivi di marcia e di sosta diradati quanto è più possibile in relazione al compito, attui le misure protettive intese a ridurre gli effetti delle offese, operi con spregiudicatezza allorché la sua azione tenda a sfn,ttare l'effetto
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delle esplosioni atomiche. In un dispositivo esplorante, la compagnia di massima fa parte della riserva o grosso ed in un dispositivo di sicurezza in movimento nel quadro di un'avanguardia di fanteria normalmente gravita tutta o con la sua maggiore aliquota sul grosso dell'avanguardia, mentre nell'avanguardia di un raggruppamento corazzato fa parte di un complesso pluriarma che si identifica con il grosso di avanguardia. Nella sicurezza in stazione, se isolata attua in proprio il dispositivo di protezione (pattuglie, posti di sbarramento, rincalzo), se inserita nel sistema di avamposti di un complesso di forze di ordine superiore fa normalmente parte del grosso di avamposti quale elemento di contrattacco. Nell'avvicinamento: se in rinforzo ad una unità di fanteria di ordine superiore, muove con un dispositivo di avvicinamento nel quale rappresenta una potenziale base di fuoco mobile a favore della fanteria od una riserva corazzata per contrattaccare m ezzi s imilari; se inserita in un gruppo tallico corazzato, occupa il posto che meglio le consenta <l'intervenire prontamente, con l'eventuale cooperazione dei bersaglieri, contro le improvvise minacce nemiche. Nell'attacco può essere impiegata contro avversario in posizione, di norma scarsamente organizzata, o su terreno libero contro avversario in movimento. Le vengono assegnati: una posizione di attesa, la base di partenza per l'attacco, la direzione di allacco ed eventualmente un settore di azione, l'obiettivo di attacco, la zona di raccolta. Nell'attacco contro avversario in posizione scarsamente organizzata a difesa, le modalità di azione variano secondo che la compagnia sia in rinforzo ad una unità di fanteria di ordine superiore o sia inserita in un gruppo tattico corazzato ed in questo ultimo caso a seconda che il g ruppo tattico sia con carri e bersaglieri in pari rapporto, o a prevalenza di carri, o a prevalenza di bersaglieri. Quando la compagnia carri è in rinforzo ad una unità di fanteria di ordine supe riore, il ruolo preminente e decisivo spetta alla fanteria, mentre è compito de lla compagnia carri cooperare essenzialmente con fuoco di accompagnamento. L'azione orientativamente si sviluppa attraverso una fase di organizzazione ed una di esecuzione. La prima si realizza mediante intese ed accordi tra il comandante delle unità di fanteria, al quale spetta emanare gli ordini, ed il comandante della compagnia carri e la ricognizione congiunta del settore di azione. La seconda, variabile in rappor to al terreno, agli sviluppi che l'attacco può assumere ed a lle caratte ristiche delle bocche da fuoco dei carri, consiste in una sequenza di operazioni che può essere così schematizzata: sosta sulla posizione di attesa,
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mentre l'unità di fanteria si porta sulla base di partenza; raggiungimento della posizione iniziale coincidente o no con la base di partenza; fuoco di accompagnamento dei carri, possibilmente schierati a scafo sotto, a favore della fanteria contro obiettivi noti o presunti, in precedenza individuati e concordati con il comandante della fanteria; avanzata della compagnia carri, normalmente a sbalzi di plotone, su posizioni più ravvicinate coincidenti, di massima, con linee di attestamento prestabilite; parata, con il fuoco e con la manovra, delle minacce nemiche rivolte ai fianchi dell' unità di fanteria; intervento se necessario col fuoco anche nei settori laterali ed eventuali puntate offensive nel caso in cui, fallito l'attacco, l'unità di fanteria debba sganciarsi e ripiegare; raggiunto l'obiettivo con od al seguito della fanteria, assunzione di un dispositivo atto a fronteggiare gli eventuali contrassalti nemici; raggiungimento della zona di raccolta prestabilita o determinata nel corso dell'attacco. Quando la compagnia carri sia inserita in un gruppo tattico corazzato e faccia parte del gruppo insieme ad una compagnia bersaglieri, l'azione si concreta o in un attacco lungo una unica direzione, normalmente con i carri in testa o in un attacco per avvolgimento. Nel primo caso, la compagnia: avanza in formazione di avvicinamento preceduta da elementi in esplornzione ravvicinata; supera poi tali elementi costretti ad arrestarsi dalla reazione nemica; seguita dai bersaglieri, continua ad avanzare adattando la sua formazione e assumendo, se necessario, il dispositivo di attacco; i1"lizia, da una distanza che può variare dai 1500 ai 1000 m dall'obiettivo, ad alternare il fuoco ed il movimento di massima a sbalzi di plotone; a distanza di 300-400 m dall'obiettivo, irrompe su di questo senza più fermarsi e lo supera di slancio per disporsi temporaneamente al di là di esso o per proseguire eventualmente su altro obiettivo. Nell' attacco per avvolgimento, l'azione si concreta invece nel fissaggio dell'avversario con il fuoco dell'artiglieria e dei bersaglieri e nell' avvolgimento, ed investimento con il fuoco, dell'obiettivo su di un fianco o sui fianchi od eventualmente sul tergo. L'attacco si fonda, perciò, essenzialmente sull'azione manovrata e di fuoco della compagnia carri e sull'azione prevalentemente di fuoco dei bersaglieri. L'attacco su terreno libero contro avversario in movimento, di massima, non può essere preventivamente organizzato e l 'esito favorevole dipende, in larga misura, dalle condizioni che gli fa il terreno, dalla tempestività delle informazioni, dalla rapidità di concezione e di decisione del comandante della compagnia e da l grado di addestramento dell'uni-
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tà. Esso può essere diretto contro unità di fanteria (caso eccezionale) o contro unità corazzate o meccanizzate. Nel primo caso, se la compagnia si trova in posizione idonea per il tiro apre immediatamente il fuoco con i cannoni e con le mitragliatrici e quindi, dopo questa azione di fuoco, normalmente di breve durata, assalta, di preferenza con la formazione in linea, alla maggiore velocità e con la maggiore irruenza; se la compagnia carri, invece, al momento dell'incontro non si trova in posizione idonea o favorevole per il tiro, assume rapidamente la formazione più adatta all'azione di fuoco ed attacca senza indugi le forze avversarie, possibilmente su di un fianco. Nell'attacco contro unità similari, la compagn ia deve tendere a distruggere con l'impiego del proprio fuoco il maggior numero di carri nemici. A tale fine si avvale dei propri carri per mettere fuori combattimento quelli nemici e della fanteria cooperante, ed eventualmente del concorso dell'artiglieria, per facilitare l'azione dei carri. Quest'ultima di massima è regolata dai seguenti criteri: sfruttamento del terreno per crearsi le migliori condizioni (dominio, campo di tiro, copertura, luce, ostacoli, ecc.) di tiro; impiego di formazioni che consenta no l'azione immediata di fuoco di tutti i plotoni, pur non escludendo, in qualche caso, il mantenimento iniziale di un plotone in rincalzo; ricerca di direzioni che cadano sul fianco o sul tergo del nemico e che comunque permettano la concentrazione della maggiore quantità di fuoco contro s ingole a liquote dei carri avversari; apertura del fuoco dalle massime distanze consentite per il tiro mirato dalle gittate utili e dal terreno; sfruttamento della conoscenza dei m ezzi e dei procedimenti dell'avversario; ricerca de lla sorpresa; impiego della fanteria cooperante per la costituzione di temporanei perni di manovra fissi, per la neutralizzazione e l'annientamento della fanteria avve rsaria, per l'integrazione dell'azione dei carri mediante nuclei di fanti particolarmente addestrati ad agire in intima combinazione con i carri. L'azione della compagnia si concreta in successive puntate, condotte da direzioni e con formazioni redditizie, dirette a colpire con tutto il fuoco disponibile i carri avversari. L'azione manovrata dei carri assume ampiezza e sviluppo maggiori o minori a seconda che la compagnia agisca insieme ad una compagnia bersaglieri o sia solo rinforzata da un plotone bersaglieri. Nel primo caso, l'azione dei bersaglieri è normalmente distinta da quella dei carri, anche se con questa strettamente interdipendente, e si concreta nella costituzione o di un caposaldo controcarri o di uno schieramento controcarri appoggiato, sempre che possibile, ad un ostacolo. Nel secondo
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caso, il plotone bersaglieri, a bordo finché possibile dei propri m ezzi, segue da vicino l'azione della compagnia carri per opporsi alla fanteria eventualmente operante all'immediato seguito dei carri avversari, per proteggere i carri dalle insidie ravvicinate, per inserirsi eventualmente negli intervalli fra i perni di manovra, costituiti da altre unità bersaglie ri, agendo di sorpresa ed alle minime distanze contro i carri avversari. La compagnia carri di rincalzo può essere impiegata per scavalcare una compagnia avanzata, sfruttare e completare il successo delle compagnie avanzate, respingere contrattacchi diretti ai fianchi od al tergo delle compagnie avanzate, estendere un fianco del dispositivo del battaglione, specie nelle azioni di avvolgimento . Di massima, il battaglione carri impiegato unitariamente nell' attacco si schiera con tutte le compagnie avanzate; non è peraltro da escludere che mantenga una compagnia in rincalzo, specie quando la situazione sia incerta od il terreno non consenta lo spiegamento dell'intero battaglione. Nello sfruttamento del successo la compagnia opera normalmente inserita in un raggruppamento del quale può costituire, insieme ad un'unità bersaglieri , uno dei gruppi tattici in primo scaglione oppure la riserva. Nel contrattacco la compagnia agisce secondo procedimenti analoghi a quelli dell'attacco ed in particolare: se il contrattacco è di retto contro avversario temporaneamente arrestato da altre unità, i procedimenti si uniformano a quelli dell 'attacco contro avversario in pos izione scarsamente organizzata a difesa; se contro nemico in movimento, si uniformano a quelli dell'attacco in terreno libero. Nella manovra ritardatrice, la compagnia può essere impiegata nell'ambito di uno scaglione di presa di contatto e di ritardo o di una grande unità corazzata (od aliquota di questa), facendo parte o dello scaglione ritardatore (caso poco freque nte) o di quello d'arresto, con il compito, in entrambi i casi, di ritardare e logorare il nemico con il fuoco evitando d ' impegnarsi in combattimenti ravvicinati. Inclusa nello scaglione di arresto, la compagnia costituisce, o concorre a costituire, la riserva dello scaglione stesso e, di massima, si schiera riunita a tergo o su di un'ala della posizione presidiata dai bersaglieri. Nel ripiegamento da una posizione intermedia alla successiva, essa di norma ripiega per ultima con compito di retroguardia. La sua azione assume·una delle seguenti forme od una combinazione di queste: se l'avversario è già a contatto balistico e tende a serrare sotto, la compagnia effettua puntate controffensive avanti la posizione per guadagnare tempo a favore delle unità bersaglit:ri ripieganti; se l'avversario è già a
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contatto ed incalza, si limita inizialmente ad un'intensa azione di fuoco e quindi retrocede a scaglioni di plotone alternanti fuoco e movimento; se non si è ancora verificato il contatto, può attendere l'avversario, schierata su zona idonea fra le due posizioni successive, per colpirlo a distanza e ritardarlo oppure ripiegare direttamente, con un unico sbalzo, sulla posizione intermedia successiva. Nella difesa a tempo determinato di una posizione, la compagnia concorre, con i bersaglieri e l'artiglieria, a guadagnare tempo senza cedere spazio. Essa assume uno schieramento simile a quello di quando agisce nella manovra ritardatrice nell'ambito dello scaglione di arresto e opera normalmente con un contrattacco per colpire sul fianco l'avversario frontalmente arrestato o contenuto dalle unità bersaglieri o per eliminare le punte delle penetrazioni avversarie non arrestate. La compagnia, in qualche caso, può all'inizio essere temporaneamente schierata s ulla posizione di arresto per svolgere azioni statiche di fuoco, ma deve essere restituita al più presto al suo compito caratteristico di contrattacco. Le azioni statiche di fuoco devono essere sviluppate sfruttando al massimo il terreno ai fini della protezione (possibilmente a sca fo sotto) e dell'osservazione. Lo sguardo riassuntivo limitato alla pubblicazione 1300 e non esteso alle altre due pubblicazioni - 1100 e 1200 - della serie relativa alle minori unità carri ci è parso sufficiente a dare l'idea del grande progresso evolutivo compiuto in breve tempo nei riguardi dell'impiego e della tecnica d'impiego di tali unità ed in particolare del rilievo sempre maggiore conferito dalla nuova regolamentazione tattica a tutti i livelli, ma peculiarmente a quelli meno elevati, alla tecnica d'impiego, intesa come conoscenza e padronanza dei mezzi di combattimento per sfruttarne appieno le prestazioni, ed a quella addestrativa per fondere uomini e mezzi in efficienti strumenti di lotta. C'è anche nella 1300 la preoccupazione, sempre del resto presente nella dottrina dell'esercito italiano, di ricercare il giusto equilibrio tra la tendenza ad attribuire alle norme valore vincolativo assoluto e quella di considerarle puramente orientative. La pubblicazione ricorre ad un'estesa casistica, ma nella varietà e fluidità delle possibili situazioni nelle quali può trovare impiego una minore unità carri, sarebbe risultata lacunosa un'esposizione che non avesse elencato i principali casi medi tipici ed i diversi criteri e le diverse modalità esecutive ai quali, per ciascuno di essi deve ispirarsi e conformarsi l'azione, gli uni e le altre da plasmare, di volta in volta, con elasticità alle situazioni
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contingenti. C'è, infatti, nella pubblicazione esaminata e nelle altre due lo sforzo per semplificare il più possibile criteri e procedimenti, i quali non vengono enunciati in forma dogmatica ed assoluta, ma di ognuno di essi vengono date le motivazioni e le spiegazioni anche illustrate - 43 figure - che ne rendano chiara l'applicazione e ne evitino la deformazione. Un'altra pubblicazione della stessa serie dottrinale che vide la luce nel 1959, quasi a completamento sul piano concettuale della materia riguardante le minori unità carri, fu la n . 1150 Orientamenti sulla caccia ai carri 31 che ripropose, alla fanteria in genere ed a quella corazzata in particol a re, una forma di combattimento che, nonostante le positive esperienze de lla seconda guerra mondiale, era caduta in ombra e, comunque, era stata fino ad allora trascurata dalla regolamentazione. La pubblicazione parte dalla premessa che in tutte le situazioni, ma in specie in quelle difensive, tutte le unità delle varie armi, servizi compresi, sono interessate alla difesa ravvicinata contro i carri armati avversari e che tale difesa si basa prevalentemente sull'impiego dell'arma controcarri e della mina. Ma indipendentemente dalla forma di difesa generalizzata, ne esiste un'altra, propria della fanteria, consistente nella lotta ravvicinata ed organizzata fondata su procedimenti d'azione particolari, appunto la caccia ai carri, che ha due scopi, uno immediato che si concreta nella distruzione od immobilizzazione dei carri avversari ed uno mediato che tende a creare e diffondere nell'ambiente carrista avversario la psicosi dell'incombenza del pericolo. La caccia ai carri si concreta in azioni di sorpresa, le quali hanno carattere episodico quando affidate a pattuglie cacciatori isolate, ma possono anche essere inserite nel quadro della difesa di una posizione affidandole a gruppi cacciatori operanti coordinatamente con le altre unità di fanteria. Essa non esige personale apposita· mente specializzato, ma è una particolare forma del combattimento di fanteria cui, in linea di principio, debbono essere addestrati tutti gli assaltatori. Le principali armi e mezzi utilizzabili sono: il moschetto automatico, il fucile mitragliatore, il fucile con il tromboncino, il lanciarazzi controcarri, la mina anticarri, la bomba a mano controcarri, gli ordigni esplosivi ad effetto ritardato. Essa obbedisce a criteri di carattere generale che interessano tanto il preventivo agguato quanto il successivo attacco ravvicinato, mentre la sua tecnica poggia su procedimenti che, semplici nella loro enunciazione, sono di difficilissima attuazione perché esigono l'automatica coordinazione di azioni individuali fra loro interdipenden-
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ti strettamente. L' agguato consiste, oltre che nel mascheramento, nello sfruttamento del terreno non tanto ai fini della protezione quanto a quelli, essenziali, dell'occultamento (fossi, muretti a secco, gradini, cunette, argini, alberi, caseggiati, integrati o sostituiti da buche individualt). Il successo dell'attacco ravvicinato dipende essenzialmente dalla conoscenza delle caratteristiche dei carri armati avversari e dei loro punti deboli, dalla corretta valutazione della situazione del momento ai fini della sorpresa, da una tecnica di esecuzione acquisibile mediante un perfetto e continuo addestramento. Le azioni isolate sono affidate a pattuglie cacciatori che, lasciandosi sopravanzare dai carri avanzati avversari, organizzano e conducono i loro attacchi ravvicinati contro le unità carri retrostanti. Tali pattuglie, a costituzione ed armamento variabili, agiscono in corrispondenza di punti di obbligato passaggio ed attaccano di preferenza: il carro o i carri di testa quando agiscono in corrispondenza di punti di obbligato passaggio dove s ia possibile, immobilizzando i primi mezzi, arrestare il movimento della intera colonna nemica; il carro o i carri di coda negli altri casi. I procedimenti di azione sono in parte diversi a seconda che l'attacco si svolga contro una unità carri in movimento lungo una rotabile, o in corrispondenza di un piccolo ponte, o in zone boscose, u su di una rotabile nell'interno di un piccolo centro abitato, o in corrispondenza di selle o di strette. Oltre le unità carri in movimento, la pattuglia cacciatori può anche attaccare unità carri in sosta ed in questo caso l'azione ha tutte le caratteristiche del colpo di mano. Le azioni coordinate con unità di fanteria sono affidate a gruppi cacciatori e sono di più facile esecuzione che non quelle affidate a pattuglie isolate. Un gruppo cacciatori è costituito da sei elementi ed è destinato a costituire una rete semplice di buche individuali secondo uno schema predeterminato. I cacciatori rimangono in agguato nella rispettiva buca in attesa che uno o più carri entrino nella rete; quando ciò avviene: il cacciatore armato di tromboncino affiora dalla buca, solleva l'arma, fa partire il colpo e ricarica; il cacciatore armato di moschetto automatico e di bombe controcarri attacca il carro od i carri sfuggiti all'attacco con tromboncino ed elimina gli equipaggi avversari che discendono dai carri immobilizzati. Dall'unione di due reti semplici si ottiene una doppia rete che consente di controllare in funzione controcarri una fronte di 500 metri. La unione si realizza affiancando due reti semplici, nella seconda delle quali la disposizione dei singoli cacciatori è invertita e lo schema è ruotato di 180° rispetto a lla prima. Le reti cacciatori
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possono essere impiegate per potenziare l'azione di un posto di sbarramento, di un caposaldo controcarri, di una minore unità di fanteria incaricata della temporanea interdizione di una via di facilitazione, nonché per controllare gli intervalli fra i caposaldi non cooperanti. Le azioni coordinate presuppongono il ricupero dei gruppi cacciatori che debbono pertanto disporre di mezzi di trasporto, da lasciare occultati, nelle vicinanze della zona d 'impiego. La caccia ai carri può .anche inserirsi nel combattimento fra unità carriste, si possono cioè avere azioni coordinate con unità carri. Su terreni coperti e compartimentati, unità carri di ordine anche modesto sono spesso costrette a rompere l'unitarietà della loro azione di movimento e di fuoco sì che il combattimento contro unità similari finisce nel frantumarsi, a cavallo della strada, in scontri episodici, i cui protagonis ti finiscono per essere solo i carri di testa delle opposte formazioni. In tali circostanze diventa quanto mai opportuna la presenza, in c iascuna formazione di carri, di pattuglie cacciatori che possano attaccare di sorpresa i carri avversari e possano anche sventare analoga azione condotta da cacciatori avversari.
7. L'attività essenziale dell'esercito in tempo di pace, anzi la sua stessa ragione d'essere, è l'addestramento. A tale principio lo stato maggiore de ll'esercito si era sempre ispirato anche n el passato, fin dal suo nascere, m a , come abbiamo avuto modo di constatare, dalla prima guerra d'indipendenza alla seconda guerra mondiale, l'esercito era sempre sceso in campo con un livello di preparazione ora più ora meno mediocre, mai soddisfacente. Ciò era dipeso in gran parte, oltre che dall'insufficienza <lei mezzi fina nziari necessari all'applicabilità del principio, da altre concause non meno determinanti: la pletora degli impegni extraistituzionali o comunque di ordine subordinato; la gravosità dei servizi territoriali, presidiari e di caserma; i livelli di forza insufficienti a dare vita ad unità tattiche organiche; la inveterata abitudine della abituale posposizione de ll 'addestramento al tiro ed al combattimento a quello formale; la mancanza di un'organizzazione addestrativa centralizzata ed uniforme che regolasse l'impostazione, i programmi e la m etodologia dell'intera attività. I vecchi regolamenti d'istruzione dei quali eccellente quello del generale Pallio - non erano andati
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molto spesso al di là della semplice enunciazione dei principi e dei criteri, magari anche delle modalità esecutive, ma per i motivi che abbiamo appena citato, o per altri di diverso ordine, non avevano consentito la messa in piedi di un'organizzazione affidabile, all'infuori di quella delle scuole centrali. La triste lezione della seconda guerra mondiale fu una vera e propria staffilata che ebbe l'effetto di produrre, in alto ed in basso, un profondo mutamento di mentalità, prima ancora che una diversa collocazione reale dell'attività addestrativa al tiro ed al combattimento nella scala delle priorità da soddisfare. All'esperienza sofferta si unirono l'esempio e gli stimoli dell'eserci to britannico nei riguardi dei gruppi di combattimento durante la guerra di libe razione e la complessità e varietà dei mezzi di nuova dotazione che pose ro l'addestramento su di un piano notevolmente diverso rispetto a que llo passato, incrementando la necessità di un'organizzazione addestrativa complessa e di una tecnica addestrativa scientificamente studiata, che assicurassero la più redditizia utilizzazione del personale, dei mezzi e del Lempu. Che l'addes tramento professionale dovesse costituire per l'esercito l '_att ività essenzia le, tutti erano stati sempre convinti , ma durante la guerra di liberazione e nel periodo successivo i capi di stalo maggiore dell'esercito - i generali Berardi, Ronco, Cadorna, Marras, Cappa, Pizzorno - fecero tutto il possibile, riuscendovi, per trasfonde re in tutti i quadri il nuovo modo d' intendere e di praticare l'addestram ento e per tradurre a regola d 'arte in modalità di svolgimento, consone ai postulati della moderna psicologia, pedagogia e metodologia, le teorie e le concezioni riguardanti l'attività addestrativa militare. Il generale Liuzzi, sulla base delle esperienze del decennio precedente, volle che venisse compilato uno specifico manuale d ell 'organizzazione e de l metodo addestrativi, con carattere assoluto e generale, dal quale non si dovesse derogare. Il settore nel quale furono indubbiamente compiuti i più grandi progressi pratici in quel periodo fu proprio quello addestrativo, in quanto fu messa gradualmente in piedi, ed alla fine istituzionalizzata, un'organizzazione didattica di vera avanguardia, s pecia lmente se posta in relazione alle non laute disponibilità finanziarie ed a quanto realizzato in paesi più ricchi dell'Italia con spesa assai maggiore. Alla fine degli anni cinquanta, tutti gli ufficiali in servizio permanente venivano reclutati dall'accade mia militare ritrasferita a Modena, i cui i corsi duravano due anni e ai quali facevano seguito a ltri due anni di studio presso le scuole di applicazione d'arma in Torino_ Al termine dei quattro anni, i giovani ufficiali compivano un
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quinto anno applicativo presso i centri di addestramento reclute e le scuole d'arma. La scuola di guerra in Civitavecchia provvedeva, mediante corsi biennali, ai quali si aggiungevano un anno applicativo ed un anno di esperimento, alla formazione degli ufficiali di stato maggiore. Numerosi i corsi di ogni genere presso le varie scuole aventi lo scopo di aggiornare e valutare gli ufficiali ai vari livelli gerarchici e di conferire loro determinate specializzazioni. Nume rosi anche i corsi all'estero, con il risultato di allargare gli orizzonti mentali, favorire la conoscenza delle lingue, aggiornare la cultura professionale, sprovincializzare l'esercito e favorirne un inserimento sempre più valido nell'organizzazione militare del patto atlantico. Per gli ufficiali di complemento esistevano due scuole allievi ufficiali, presso le quali i giovani aspiranti alla nomina ad ufficiale frequentavano un corso di quattro mesi e mezzo, dopo di che venivano avviati alle scuole di arma e di specialità. Analogo sistema era seguito per la formazione dei sottufficiali: un primo periodo comune a tutte le armi presso la scuola allievi sottufficiali ed un secondo periodo, applicativo e di s pecializzazione, presso le scuole d 'arma o di specialità che, oltre i molteplici corsi per ufficiali, sottufficiali e specializzati, specializzavano anche i militari di leva destinati a particolari incarichi. I cittadini chiamati alle armi passavano il primo periodo di formazione militare presso i centri addestramento reclute (C.A.R.) prima di essere avviati alle scuole di specializzazione od ai reggimenti. Fra scuole e centri di addestramento l'esercito venne a disporre di ben 43 istituti d'istruzione, tutti dotati, od in procinto di esserlo, di organi e di mezzi addestrativi moderni (pubblicazioni e documenti, infrastrutture, attrezzature didattiche, materiali di consumo) da fare invidia alle scuole ed agli istituti professionali civili. In una conferenza tenuta in Trieste nel 1957 per inaugurare l'anno accademico della Dante Alighieri, il generale Liuzzi poté affermare: «Recatevi presso due scuole o centri analoghi nello stesso giorno e ne lla stessa settimana: troverete che vi sono svolte le stesse istruzioni, con gli stessi sistemi, con gli stessi piani di lezione. Entrate in qualsiasi caserma di reggimento o di battaglione e domandate di visitare le aule e le attrezzature didattiche: vi saranno mostrate. Oggi il soldato non solo consuma i suoi ottimi pasti in refettori attrezzati, ma prende parte in apposite aule a quelle istruzioni che non si svolgono all'aria aperta. Ed anche l'addestramento a più basso livello, quello dei militari di truppa nelle sue numerose specializzazioni, è rigorosamente codificato e suddiviso in cicli» 32.
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A provvedere a codificare la materia fu proprio la pubblicazione n. 9fR33 che definì l'organizzazione addestrativa, motrice dell'e-
sercito, condizionandone lo sviluppo ad un duplice ordine di fattori: uno di carattere generale, uno di carattere tecnico. «Hanno preminente importanza tra i fattori generali - è scritto nella pubblicazione - l'ambiente politico-sociale del Paese, che esprime la coscienza militare del popolo ed il suo spirito combattivo, intesi come consapevolezza di difendere e salvagu ardare gli interessi della collettività nazionale; l'ambiente economico, che oltre a definire entità e qualità di mezzi esistenti, indica, con il tipo di economia prevalente, la qualificazione del potenziale umano e, di conseguenza, la preventiva disponibilità di personale specializzato, indispensabile alle organizzazioni militari moderne; la politica militare del Paese che definisce i compiti e la struttura dell'Esercito ed impone, o meno, l'immediata disponibilità di G.U. operativamente efficienti per far fronte alle situazioni di improvvisa emergenza. Fra i fattori economici sono: il sistema della coscrizione obbligatoria con il conseguente periodico rinnovarsi del personale da istruire e formare; la durata della ferma che stabilisce il tempo disponibile; la dottrina; il sistema ordinativo-logistico c he indica possibilità e limitazioni dell 'attività addestrativa. I criteri che definiscono l'organizzazione, sulla base dell'esperienza del secondo conflitto mondiale ed in rapporto a lla evoluzione dei fattori generali e tecnici, sono: impianto di una organizzazione addestrativa territoriale distinta dalla organizzazione operativa; mantenimento in pace di reparti ed enti operàtivi con aliquote di personale istruito sufficienti ad assicurare l'immediato impiego, event_u almente dopo rapide e limitate operazioni di mobilitazione, il che comporta il frazionamento della classe di leva in scaglioni e la contrazione dei tempi dell'istruzione di base; adozione di un sistema addestrativo pianificato che ripudi le forme artigiane e utilizzi una catena di enti di istruzione specializzati in ciascuna fase del ciclo addestrativo; adozione di un'organizzazione che agisca p er tempi distinti e successivi; ricorso ad una tecnica addestrativa che consenta la razionale utilizzazione degli organi e dei mezzi, allo scopo di raggiungere, con appropriati procedimenti, uniformi e soddisfacenti risultati; criteri di economia in rapporto ai mezzi, la cui disponibilità è vincolata dalle ristrettezze e dalle scadenze annuali del bilancio (attenuazione della distinzione fra organizzazione addestrativa territoriale ed organizzazione operativa)». L'addestramento delle truppe viene con seguentemente organizzato in tre progressivi
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cicli addestrativi strettamente interdipendenti: I ciclo essenzialmente tecnico, II ciclo tecnico-tattico, III ciclo tattico. Il I ciclo ha lo scopo della formazione del combattente individuale e della sua ulteriore specializzazione nell'incarico per il quale è selezionato e si sviluppa in tre fasi (addestramento preliminare, avanzato, di specializzazione), delle quali la prima e la seconda si svolgono presso i C.A.R. e gli enti funzionanti da C.A.R. e la terza presso le scuole d'arma, i vari enti addestrativi dell'organizzazione territoriale o le unità d'impiego. Il Il ciclo serve a formare le unità elementari (il plotone per la fanteria, le sue specialità e per la cavalleria; il gruppo per l'artiglieria da campagna, pesante campale, pesante e contraerei leggera; la batteria per l'artiglieria contraerei pesante; il plotone per il genio pionieri di arresto; la unità di lavoro per le altre specialità del genio e pe r i servizi; l'unità d ' impiego per le trasmissioni), si sviluppa in un'unica fase di apprendimento e di applicazione dei procedimenti d'impiego propri di ciascuna arma o servizio e si svolge presso le unità e gli enti d'impiego. Il III ciclo ha lo scopo di perfezionare l'addestramento di II ciclo in un ambiente strettamente operativo e si sviluppa in tre fasi: impiego delle unità elementari e di quelle fondamentali (il battaglione per la fanteria e le s ue specialità, il gruppo squadroni per la cavalleria, il gruppo per l'artiglieria, il battaglione ed i reparti autonomi per il genio, la compagnia per le trasmissioni); impiego in cooperazione interarmi ed interforze, che comprende contemporaneamente il perfezionamento dell'addestramento delle unità elementari e l'addestramento dei quadri; esso si svolge presso le unità e gli enti d'impiego. Il I e il II ciclo ed ogni fase dei due cicli hanno proprie moda lità di svolgimento ed applicand i programmi centralizzati fissati dallo stato maggio re dell'esercito, d'intesa con gli ispettorati d'arma; il III ciclo può svolgersi in modo completo solo nel caso in cui sussistano sufficienti disponibilità di quadri, di forza e di mezzi. L'attività addestrativa del III ciclo è rivolta precipuamente all'addestramento dei quadri per impostare e risolvere problemi di coordinamento e di cooperazione, affinandone, con l'esercizio, l'azione di comando, ma è condizionata: dalla disponibilità dei quadri (ufficiali, sottufficiali, graduati) dopo aver soddisfatto le preminenti esigenze del I ciclo (fase di specializzazione) e del Il ciclo, parti fondamentali della ferma; dalla consistenza organica delle unità, raggiunta con i soli scaglioni in III ciclo e conseguente rapporto comandanti-truppe; dalla disponibilità di terreni di addestramento, fondi, carburanti e munizioni. Le forme
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addestrative del III ciclo sono: le esercitazioni con le truppe a fuoco o in bianco, nell'ambito di ciascuna arma e nel quadro della cooperazione; le esercitazioni per quadri singoli, sul terreno e sulla carta; le esercitazioni per posti comando, al tavolo o sul terreno. L'organizzazione dell'addestramento del III ciclo, a differenza di quelle del I e del II ciclo, non può essere pianificata in modo particolareggiato dello stato maggiore dell'esercito, che elabora le direttive di larga massima che definiscono, di voltra in volta o annualmente, - direttive della serie 44... - i principali obiettivi addestrativi del III ciclo e indicano gli elementi per la pianificazione, che spetta poi ai comandi delle grandi unità. L'organizzazione addestrativa della pubblicazione 9/R soddisfa in primo luogo il postulato, già indicato dal generale Liuzzi nella circolare N. 4455/R.I. del 1 gennaio 1955: più tecnica di impiego che impiego. Oltre l'addestramento del personale di leva, l 'esercito deve curare quello: delle riserve istruite prontamente impiegabili senza preventivi periodi di addestramento (personale proveniente dal servizio permanente o quadri di complemento e truppe posti recentemente in congedo); delle riserve istruite impiegabili soltanto dopo un preventivo aggiornamento nel grado e nell'incarico (personale congedalo d a tempo); delle riserve non istruite, impiegabili soltanto dopo un complelo cic lo addestrativo. Al fine <li mantenere ad un buon livello a ddestrativo le riserve istruite, precettabili per l'esercito di campagna o pe r la difesa interna del territorio e per l'organizzazione territoriale, vengono previs ti periodici richiami alle armi per la frequenza di corsi d'is truzione e pe r la prestazione di attività di comando o di servizio presso corpi ed enti vari , anche in occasione di esperimenti di approntamento delle unità. Quale forma addestrativa complemen ta re dei richiami per gli ufficiali in congedo, è la partecipazione di questi a cicli di e sercitazioni delle unità ed a cicli di conferenze a cara ttere doltrinale e tecnico. Sono, infine, indicati i lineamenti dell'organizzazione addestrativa in guerra che c ompete agli organi territoriali, in quanto le unità e gli enti operativi debbono in guerra essere sollevati dai normali compiti addestrativi preliminari all'impiego. L'organizzazione addestrativa territoriale del tempo di guerra non può non ispirarsi agli stessi criteri fissati per i tre cicli del te mpo di pace, ma va pianificata in modo da produrre, nel più breve tempo possibile ed in adeguata entità, personale istruito per la costituzione ex novo e per la ricostituzione di unità ed enti. Essa deve mettersi in grado di rifornire complementi alle grandi unità sia per e lementi singoli allo scopo di ripianare le perdite normali, sia p er
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reparti organici quando sia necessario riordinare grandi unità molto provate. L'addestramento dei quadri è svolto: nella fase formativa, presso le scuole di reclutamento come in tempo di pace; nella fase di aggiornamento, presso le scuole d'arma o gli enti scolastici vari. Quello individuale, generico e di specializzazione, presso i C.A.R. e quelli di II e III ciclo presso campi di addestramento. I programmi di sviluppo vanno redatti in modo da svolgere le parti fondamentali in termini di tempo ristretti, ma sufficienti per attivare il flusso dei complementi prima dell'esaurimento delle riserve istruite di pronto impiego e per ripianare le prevedibili perdite con i complementi. Al passaggio dalla organizzazione di pace a quella di guerra occorre, perciò, potenziare l'organizzazione di pace e costituire campi di addestramento in località idonee alle istruzioni dei reparti fino al livello di gruppo tattico. Nella seconda parte, la pubblicazione 9/A imposta e risolve il problema addestrativo dal punto di vista tecnico, definendo: gli organi, i mezzi addestrativi ed il metodo per la risoluzione dei problemi di addestramento; i compiti, le attribuzione e le responsabilità dei comandanti e degli organi collegiali e le reciproche relazioni; l'organizzazione interna e le procedure di ciascun organo, dall'ufficio addestramento dello stato maggiore dell'esercito all'ufficio operazioni-addestramento-informazioni-ordinamento dei reggimenti; le procedure di lavoro dei comandanti di reparto a cui è affidata l'esecuzione dell'addestramento. Ogni problema addestrativo richiede una soluzione che va ricercata attraverso la definizione dell'obiettivo, la valutazione analitica della situazione, la sintesi e la conclusione e la trasformazione della decisione in un ordine addestrativo. L'obiettivo addestrativo costituisce lo scopo da raggiungere; è precisato dall'autorità superiore; è, in sostanza, il termine preminente del problema, a lla luce del quale viene definita l'importanza relativa della situazione e viene svolta l'analisi di ciascun elemento: tempo, live llo d'istruzione del personale, istruttori, consistenza organica dell'unità, infrastrutture, attrezzature didattiche e materiali di consumo, pubblicazioni ed istruzioni di riferimento. Il lavoro di sintesi e di conclusione costituisce la parte più impegnativa e si esplica attraverso il confronto fra le varie deduzioni parziali tratta dall'analisi di ciascun elemento della situazione, lo scarto di quelle in contrasto con le altre di maggiore importanza, l'armonizzazione e la fusione delle deduzioni residue nella decisione finale. Questa indica l'obiettivo, gli argomenti dell'istruzione da impartire, le modalità essenziali dell'organizzazione, la eventuale suddivisione dell'attività
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addes trativa in fasi, i criteri di massima per l' impiego del personale istruttore e dei mezzi addestrativi disponibili e le disposizioni generali per il controllo dell'attività addestrativa. L'ordine per l'addestramento ha forma e finalità diverse a seconda del livello gerarchico dell'organo che lo elabora: direttiva, memoria addestrativa, programma di istruzione di massima, programma di istruzione particolareggiato. Definite le attribuzioni fondamentali dei comandanti e degli stati maggiori prepos ti all'addestramento e le loro relazioni, la classificazione degli organi con funzioni preva lentemente concettuali (ufficio addestramento de llo s tato maggiore dell'esercito, ispettorato di arma ed ispettorato o direzione generale dei servizi, comandi militari territoriali o comandi di corpo d' armata), di quelli con funzioni prevalentemente organizzative (comandi di divisione e di brigata e comandi di reggimento) e dei com andanti delle unità fondamentali d 'impiego e delle minori unità, la pubblicazione e lenca una lunga serie di modalità esecutive e presenta i fac-simile dei vari documenti ine reuli la pianificazione e la programmazione delle istru zioni e dei mezzi connessi.
8.
Vedremo in un pross imo capitolo il lavoro compiuto nel campo dell'ordina mento e degli organici, ma ci sembra che q uello compiuto in materia di dottrina e di addestramento basti da solo a conferire al quinquennio della seconda metà degli anni cinquanta un primato di pres tigio e validità assoluto rispetto a tutto il passato. La riorganizzazio ne dell'esercito, inizia tasi nell'autunno-inverno 1943, sviluppatasi gradatamente ma incessan temente d al 1945 al 1949, incrementata dopo l'adesione dell'Ita lia al patto atlantico dalla comune volontà dei vertici militari italiani eù alleali e dagli aiuti m ilitari degli Stati Uniti, via via perfezio nata nel primo quinquennio degli anni c inquanta mediante l'intensa e fervorosa opera dei capi di stato maggiore succedutis i in quegli a nni, toccò negli anni 1955-'59 un livello di completezza cui turale, dottrinale e addestrativa mai raggiunto in passato e sul quale si espressero in termini più che lusinghie ri tutti i numerosi autorevoli esponenti dei comandi N .A.T.O. e delle miss ioni estere che ebbero modo in tali anni di venire a contatto, durante le riunioni, le eserc itazioni, le visite alle unità, con la realtà espressa dal nuovo esercito, nuovo nello spirito, nella mentalità, nell'impos tazione e nelle strutture.
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L'opera di riorganizzazione poté dirsi finalmente pressoché compiuta, nonostante che rimanesse ancora da fare per potenziarla e migliorarla. Il perfezionamento non ha mai fine. Se nel campo della dottrina occorreva procedere, muovendosi lungo il nuovo binario segnato dalle pubblicazione della serie 600 e derivate, ad ulteriori approfondimenti ed esperimentazioni, in quello dell'addestramento, nonostante la validità dell'organizzazione realizzata, s'imponevano ulteriori miglioramenti in materia di aule e di attrezzature e soprattutto di aree addèstrative e di poligoni di tiro. Non minore lo sforzo da compiere nel campo dei materiali da rinnovare per sostituire quelli che proprio la intensa attività addestrativa veniva logorando e quelli superati da altri più moderni. Ma a tale riguardo - reperimento di aree addestrative e di poligoni di tiro e completamento e rinnovo dei materiali - la responsabilità trascendeva i vertici militari ed investiva quelli politici, che avrebbero dovuto provvedere a superare le difficoltà finanziarie, sociali e quelle costituite altresì da interessi particolaristici che si opponevano a colmare l'area depressa dei campi e poligoni addestrativi e quelle esclusivamente finanziarie che o stacolavano il completamento delle dot azioni delle unità, l'approvvigionamento delle scorte, afflitte da notevoli e sen s ibili lacune, il rinnovo dei materiali quanto meno cercando di ottenere dagli Stati Uniti d'America l'ampliamento di quegli aiuti in mezzi convenzionali che da qualche tempo venivano considerevolmente assottigliandosi. L' intervento politico, come vedremo, o mancò, o non avvenne nella misura che sarebbe stata necessaria, o fu indirizzato, sia pure in parte, a scopi settoriali particolaristici. Resta comunque il fatto che a lla fine degli anni c inquantà l'esercito italiano non solo era uscito dalla voragine in cui era caduto 1'8 settembre 1943, ma era rinato a nuova vita ed aveva raggiunto un livello di e ffic ienza e di o peratività soddisfacente e quale comunque raramente o forse mai aveva toccato nel passato. L'esercito, malgrado talune persistenti gravi lacune, era uno s trumento militare di tutto prestigio nell'ambito nazionale e della N.A.T.O. sotto il profilo spirituale, culturale, dottrinale, ordinativo, addestrativo, funzionale e p e rfino dell'armamento e dell'equipaggiamento, perché, in definitiva, i materiali di dotazione di quel periodo erano analoghi a quelli degli altri eserciti occidentali, anche se presso alcuni di questi aveva già avuto inizio l'attuazione di provvedimenti diretti a sostituire, ammodernare e potenziare armi e mezzi che ormai accusavano dovunque i segni della vetustà.
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NOTE AL CAPITOLO LVI 1 Rivista Militare, 1957, I, pg. 5: La battaglia difensiva in terreni di pianura e collinosi con impiego di armi atomiche. Ibidem, 1958, V, pg. 715. La pubblicazione 620. Memorie sull'azione offensiva in terreni di pianura o collinosi con impiego di armi atomiche. Ibidem, 1958, VI, pg. 875: / risultati del ciclo sperimentale sulla battaglia dife nsiva in m ontagna con impiego di armi atomiche. 2 Rivista Militare, 1957, I, pg. 24. Critica sulla concezione del caposaldo difensivo, del gen . Paolo Supino. 3 Rivista Militare, 1957, I, pg. 21. 4 Ministero della difesa . Stato maggiore dell'esercito. Ufficio Servizi. Sez. S.M. Norme generali pe r l'organizzazione logistica ed il funzionamento dei servizi in guerra. Roma, I 955. La pubblicazione, for mato 17,5 X 12, approvata dal gcn. Liuzzi, consta di generalità, 17 capitoli, 183 pagine, 309 paragrafi numerati, 16 tavole. Generalità: il problema logistico; l'oq!,a11iu aziune logistica. Capo / : organi per il funzionamento dei servizi in campagna . Capo li: crite ri generali di organizzazione. Capo Ili: criteri generali di funzionamento. Capo TV: dipendenze. Capo V: servizio di sanità. Compiti del servizio; attrib uzioni degli o rga ni direttivi; o rgani esecutivi e loro compiti; funzionamento del servizio (servizio di igiene e sanità; raccolta, sgombero e cura dei feriti e dei m a lati; risana me nto del campo di bauaglia, riconoscimento dei morti e loro tumulazione; rifornimento, ricupero, sgombero e riparazione del materiale sanitario; rifornimento idrico; servizio medico-legale; concorso delle associazioni di soccorso). Capo VI: servizio di commissariato. Compiti del servizio; attribuzioni degli organi dire ttivi; organi esecutivi e loro compiti; funzionamento del servizio (servizio di vettovagliamento: vettovagliamento mediante affluenza da tergo, mediante utilizzazione delle risorse locali, con viveri d a combattimento o di riserva, in circostanze speciali; servizio vestiario, equipaggiamento, lavanderia e bagni: rifornimento, recupero, riatta mento, sgombero, lavatura della biancheria e bagni igienici, rifornimento idrico). Capo VTT: servizio armi e munizioni. Compiti del servizio; attribuzione degli organi direltivi; organi esecutivi e loro compiti; funzionamento del servizio (rifornimento d elle munizioni, dei materia li, riparazione dei materiali, recupero e sgombero). Capo VIII: servizio delle trasmissioni. Compiti del servizio; attribuzioni degli orga ni direttivi; organi esecutivi e loro compiti; funzionamento del servizio (materiali delle tras missioni: rifornimenti, riparazioni, recuperi, sgomberi; impianti di telecomunicazioni). Capo IX: servizio materiali del genio. Compiti; attribuzioni degli organi direttivi; organi esecutivi e loro compiti; funzionamento del servizio (rifornimenti, riparazioni, lavorazioni ed allestimenti, recuperi e sgomberi; materiali per i lavori del campo di battaglia). Capo X : servizio lavori, ponti e strade. Compiti del servizio; attribuzioni degli organi direttivi; organi esecutivi e loro compiti; funzionamento del servizio (lavori vari, strade, ponti e traghetti, rifornimento idrico, servizio antincendio). Capo XI: servizio della motorizzazione. Compit i del servizio; attribuzioni degli organi direttivi; organi esecutivi e loro compiti; funzionamento del servizio (automotoveicoli e mezzi di combattimento, complessivi meccanici. ricambi. gomme, cingoli, batterie e materie di consumo; riparazioni di
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veicoli e di complessivi meccanici; carburanti, lubrificanti e fustame; soccorso e recuperi). Capo Xli: servizio atomico, biologico, chimico (A.B.C.). Compiti del servizio. Capo XIII: servizio di veterinaria e rimonta. Compiti del servizio; attribuzioni degli organi direttivi; organi esecutivi e loro compiti; funzionamento d el servizio (profilassi, disinfezione, controllo igienico e sanitario, sgombero, ricovero, cura e recupero dei quadrupedi feriti od ammalati ; rifornimento quadrupedi; rifornimenti materia li veterinaria e mascalcià). Capo XIV: servizio trasporti. Compiti del servizio; attribuzioni degli organi direttivi; funzion amento del servizio (trasporti per ferrovia, per via ordinaria, per via aerea, per via a cquea). Capo XV: servizio delle t appe. Compiti del servizio; attribuzioni degli organi direttivi; organi esecutivi e loro compiti; fun zionamento del servizio (servizi di t a ppa, benessere del soldato, campi prigionieri, recupero dei materiali di interesse generale, utilizzazione delle risor se locali). Capo XVI: servizio posta le e telegrafico. Compiti: attribuzioni degli organi direttivi; funzionamento del servizio. Capo XV/li: servizio di amministrazione. Compiti del servizio; attribuzio ni degli organi direttivi; organi esecutivi e loro compiti; funzionamento de l servizio. Le tavole contengono schemi di organizzazione, di funzionamento, ecc. 5 Stato maggiore dell 'esercito. Ufficio a ddestramento. Sezione regolamenti. Norme d'impiego della divisione corazzala. N° 1800 della serie dot trinale. Roma, 1957. La pubblicazione, formato 17,5X 11 ,8, approvata dal gen. Liuzzi, consta di premessa , 16 capitoli, 138 pag ine, 164 pa ragrafi n umerati , 3 allegati. Capo/: Costituzio ne e caratteristiche d ella divisione corazzata (costituzione e caratteristiche). Capo li: Criteri generali d'impiego e compiti (criteri; compiti). Capo lll: Il movimento per via o rdinaria e lo staziona mento (movimento, st azionamento). Capo TV: La divisione corazzala ne lla ricerca e presa d i contallo (generalità, dispositivo esplorante, dis positivo di sicurezza e grosso divisionale). Capo V: Generalità s ull'attacco de lla divisione corazzata. Capo VI: «La divisione corazzata nell'attacco, con impiego di armi atomiche, contro a vversario in posizione mediamente organizzata a difesa (generalità, lineamenti dell 'azione offensiva nel quadro dell'armata, a ttacco della divisione corazzata contro posizione difensiva mediamente organizzata). Capo Vll: La divisione corazzata nell'attacco contro avver sario in posizione scarsamente organizzata a difesa (generalità, organizza. zione, preparazione, lineamenti dell'azione). Capo VI Il: La divisio ne corazzata ne ll'attacco in terreno libero (generalità, lineamenti dell'azione). Capo I X : La divisione corazzata nel contrattacco. Capo X: La divisione corazzala nello sfruttamento del successo (generalità, lineamenti d ell'azione). Capo Xl: La divisione corazzala nella ma novra ritardatrice (generalità, lineamenti dell'azione). Capo X ll: La divisione corazzata ne lla difesa a tempo determinato di una posizione. Capo XIV: Cooperazione delle forze aeree tattiche (generalità, esplorazione lattica aerea, interve nto diretto nel combattimento, avio1;fornimento). Capo XV: Le trasmissioni nella d iv isione corazzata (generalità, o rganizzazione ed esecuzione, le trasmissioni nei vari casi d 'impiego d ella divisione corazzata). Capo XVI: I servizi della divisione corazzata (generalità, servizio di sanità, servizio armi e munizioni, servizio della motorizzazione). Allegato / : Trasmissioni radio per comando divisione corazzata. Allegato 2: Trasmissioni a filo per comando divisione corazzata. Alle?,ato 3: Schizzo dimostrativo dello schieramento d ei servizi della divisione corazzata. 6 La costituzione nel 1957 era la seguente: 1 reggimento carri, 1 reggimento bersaglieri, 1 reggimento artiglieria, 1 g ruppo squadroni cavalleria blinda ta, 1 battaglione genio pionie ri, 1 compagnia trasmissio n i, I sezione aerei leggeri, unità va rie dei servizi. Nella costituzione del 1952 la divisione corazzata comprendeva : 1 reggimento
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carristi, 1 reggimento bersaglieri, 2 reggimenti di artiglieria (comprendenti gruppi da campagna, controcarri e contraerei), 1 gruppo di cavalleria blindata, I compagnia genio pionieri, 1 compagnia collegamenti, unità dei servizi. 7 Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento. 3° sezione-regolamenti. Norme d'impiego del reggimento di cavalleria blindata. N° I 700 della serie dottrinale. Roma, 1958. La pubblicazione, formato 18 x 11,7, approvata dal generale Liuzzi, consta di: premessa, 17 capitoli, 136 pagine, 160 paragrafi numerati, 3 allegati. Capo I: Costituzione e caratteristiche del R.C.B.. Capo Il: Criteri generali d'impiego. Capo III: Compiti. Capo IV: li R.C.B. nel movimento per via ordinaria e nello stazionamento. Capo V: li R.C.B. ne ll'E.T.T.. Capo VI Il R.C.B. nell'attacco. Capo VII: li R.C.B. nel contrattacco. Capo VIII: il R.C.B. nel completamento e nello sfruttamento del successo. Capo IX: Il R.C.B. nella manovra ritardatrice. Capo X: Il R.C.B. nell'occupazione preventiva di una posizione. Capo Xl: Il R.C.B. nella protezione del fianco esposto di una G.U.. Capo XII: Il R.C.B. ne l collegamento tattico fra GG.UU. ampiamente intervallate. Capo XIII: Il R.C.B. nell'azione contro aviosbarchi. Capo XIV: Il R.C.B. nella difesa a tempo determinato di una posizione. Capo XV: La cooperazione delle forLe aeree tattiche. Capo XVI: Le trasmissioni nel R.C.B .. Capo XVII: I servizi nel R.C.B .. Allegato 1: Organigramma elci R.C.B.. Allegato 2: Grafico tipo delle trasmissioni radio nel R.C.B. Allegato 3: Schizzo dimostrativo del dispositivo logistico del R.C.B.. 8 Costituzione del R.C.B. nel 1958: comando: compagnia comando reggimentale su 2 plotoni (I trasmissioni, 1 servizi), 1 nucleo officina leggera: I sezione aerei leggeri: 3 gruppi squadroni a costituzione mista. 9 Stato maggiore dell'esercito. Uffic..:io se1·vi:Li. Memoria orientativa sui riflessi logistici dell 'impiego dell'arma atomica. N° 630 della serie dottrinale. Roma, 1957. La pubblicazione, formato 23x 17, approvata dal generale Liuzzi, consta di premessa, parte prima di 2 capitoli, parte seconda di 4 capitoli, parte terza di I capitolo, di un'append ice, di 5 allegati, di 81 paragrafi. Ha gli scopi di delineare criteri organizzativi e procedimenti di azione, sia generali, s ia caratteristici dei singoli servizi, per l'efficienza e la funzionalità dell 'apparato logistico nell 'ambiente a tomico e cli definire le incidenze nel campo logistico dei nuovi procedimenti tattici. La parte prima - Generalità - tratta d ell'influenza dell'offesa atomica sull'organiz. zazione logistica e dei criteri fondamentale di organizzazione conseguenti all'offesa atomica. La parte seconda - Lineamenti dell'organi zzazione logistica. Fisionomia logistica delle unità ai vari livelli - è dedicata al centro logistico, all'organizzazione della zona delle operazioni, della zona territoriale e dello scacchiere operativo, alla fisionomia logistica delle unità ai vari livelli. La parte tena - Riflessi dell'impiego dell'arma a/umica nell'ambilo dei singoli servizi - esamina la nuova organizzazione e le varianti da introdurre in quella d el passato nei servizi di sanità, commissariato, armi e munizioni, trasmissioni, materiali del genio lavori, ponti e strade, motorizza. zione, A.B.C., veterinario, tappe, postale e telegrafico, amministrazione e trasporti. L'appendice sottolinea !'«organizzazione di emergenza di zone eccezionalmente danneggiate» (O.E.Z.E.D.). Gli allegati riguardano lo schema di un centro logistico divisiona le e di un centro logistico della Z.A.S.I., il quadro di affiancamento degli enti della gerarchia d 'intendenza agli enti d ella gerarchia operativa, lo schema di funzionamento d ell'organizzazione logistica, il quadro dell 'affiancamento degli enti della gerarchia di intendenza agli enti della gerarchia operativa nel caso di coincidenza di un 'armata con uno scacchiere. Gli annessi compresi nella edizione
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1961 sono costituiti dalla circolare S .M.E. Servizi 16300/ 181 del I-III-1958 e dalla circolare 63000/181 S.M.E. Servizi del 25-IV-1958, entrambe a firma del generale Liuzzi. Stato maggiore dell'esercito. IV Reparto. Ufficio servizi. Sezione 1•. Pubblicazione n° 5377. Memoria orientativa sui riflessi logistici dell'impiego dell'arma atomica (già drcolarc n° 630/S). Precisazioni. Circolare n ° 16300/181 del l-III-1958. Tdcm. Lineamenti dell'organizzazione logislica in offensiva. Circolare n° 63000/181 <le i 25-IV-1958. IO Servizio di commissariato. Guida nuclei ispellivi di regione e di corpo d 'armata, 1959. Ristampa. Condizioni generali da osservare per gli acquisti dei vari generi d 'impiego comune, per le lavorazioni di materiali inte ressanti il vettovagliamento, il vestiario, l'equipaggiamento, la giacitura, il riscaldamento ed i vari servizi delle for.~e armate dello Stato, nonché per la vendita dei materiali stessi non più adatti al servizio. 1958, numero categorico 2199. Servizio della moloriz.zazione. Nomenclalore tecnico-aulomobilislico inglese-ita liano, 1955, n. cat. 5153. Norme relative alla concessione e ritiro del cerlificalo di idoneità alla condotta di automezzi in servizio mi/ilare, circ. n° 3500/3 S.A. del 15-11-1958, n. cat. 5392. Norme per la geslione e la con1abili1à dei lavori presso gli stabilimenti, le officine ed i laboratori vari dell'esercito, 1958, n. cat. 5424. Servizio armi e munizioni. Prezzi da applica re al munizionamenln r.nntt>.rmlo nel fascicolo provvisorio del cannone da 57/50 (ci re. n. 545, G.M., 1954, pg. 1642). Norme pe r la cos1i1uzione dei depositi di maleriali esplosivi (circ:. n. 290, 10-V-1959, G.M. 1959, pg. 965). Servizio del genio. Norme per la compilazione dei disciplinari e per il collaudo degli impianti elettrici di illuminazione, ecc. (circ. n. 524, 3 l-X- 1955, G.M. l 955, pg. 2057). Norme per la compilazione dei disciplinari e per il collaudo degli impianti di riscaldamento (circ. n. 522, 31-X-1955, G.M. 1955, pg. 2056). Norme per la compilazione dei disciplinari e per il collaudo degli impianti fissi di cucina per la truppa (circ. n. 524, 3 1-X-1955, G.M. 1955, pg. 2057). Servizio di sanità. Caricamento della sezione di sanilà mod. 1950, 1955, n. cat. 5074. Caricamenlo dell'ospedale da campo mod. 1950, n. cat. 5076 (circ. n. 72, 21-1-1956, G.M. 1956, pg. 241). Norme di pronto soccorso ai colpiti da scariche elellriche (c:in:. n. 423, 5-IX-1956, G.M. 1956, pg. 189 1). Servizio dei trasporti. Condizioni e tariffe per i trasporti delle cose sulle ferrovie dello S1a10, 1959, n . cat. 4956. Pubblicazioni comuni alle varie armi, corpi e servizi. Armi e mezzi in dotazione a/l'esercito, 1955, n. cat. 5081. Munizioni, dotazioni e procedure per il rifornimento, 1958, n. cal. 5369. Organizzazione del se rvizio rifornimenw parti di ricambio, accessori, materie di consumo, 1958, s.n. cat., circ. n. 10454/R/18 1 S.M.E. Servizi. Guida per i nuclei ispettivi di regione e di corpo d'armata, 1958, s.n.c:at.. Reparto R.R. divisionale, c irc. n. 100003-S/J 81 S.M.E .. Servizi, 1958. Servizio onoranze ai caduti in guerra - capitolo aggiuntivo delle N.G .S. 1955 (capo XVIII), circ. n. 10461-0/1811545, 1959, s.n. cat. 11 In un articolo ufficioso apparso nel 1958, nel numero V, pg. 725, d ella Rivista militare, con il titolo Panorama logislico, riguardante , tra l'altro, le risultanze e le conferme tratte dalle esercitazioni logistiche ad alto live llo svolte nel periodo precedente, vennero riportati graficamente: nell'allegato 1, i dati relativi al movimento fittizio <li materiali dei depos iti centrali ai magazzini d'intendenza e a i magazzini regionali; nell'allegato 2, quelli riguardanti il relativo traffico ferroviario; nell'allegalo 3, il traffico per via ordinaria. Tra carichi secchi e carich i liquidi, di routine e s traordinari, ri sultò ch e il peso delle scorte a 30 giornate da muovere era pari a circa 450 mila tonnellate e che il fabbisogno g iornaliero di rifornimenti per l'esercito di campagna non era inferiore alle 15 mila tonnellate.
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In seguito ad accordi in campo N.A.T.O. venne tracciato un programma per l'attuazione di un sistema unico ed uniforme per la codificazione dei materiali militari in modo da: assegnare a ciascun materiale un dato di codificazione, comprendente la denominazione e la descrizione ed il numero unificato di codificazione (numero di codice di classe, numero unificato di nomenclatura), da impiegare in tutte le operazioni di approvvigionamento, immagazzinamento, rifornimento; far beneficiare tutte le forze armate dei dati d'intercambiabilità studiati dai singoli servizi di ciascuna di esse; rendere possibi le il confronto fra i materiali similiari attraverso la semplice lettura del rispetlivo dato di codificazione. Venne stabilito che a ciascun materiale venisse attribuito un numero unificato di codificazione costituito da 13 cifre, di cui le prime due individuanti il gruppo di classi di appartenenza del materiale, la terza e la quarta la classe X, la quinta e la sesta la nazionalità, le rimanenti sette il materiale nell'ambito della sua classe. La suddivisione dei materiali nei noti gruppi «A», «B» e «C» venne sostituita dal nuovo sistema di classificazione. 13 L'organizzazione del servizio rifornimento, ricambi, accessori, materiali di consumo venne regolata dalla circolare n. 10454-R d ello S.M .E. - Ufficio servizi - e dalla circolare n. 6220/6° dell'ufficio del Segretario generale. Essa si basò sul concetto e sulla definizione di livello, intendendo per il livello il numero dei giumi di autonomia necessari ad un ente per fan:, fruute al ripianamento dei consumi reali d i un determinato materiale di rifornimento. Vennero considerali: a) un livello teoricu, espresso in giorni, utilizzato dagli organi direttivi logistici per stabilire dati approssimati ai fini della d eterminazione di livelli pratici; b) un livello pratico espresso in quanlità di materiali, calcolato per ciascun materiale ed utilizzato dagli enti per le operazioni di rifornimen to. Il livello pratico doveva essere determinato in base a l tasso di consumo medio di dascun materiale (dedotto con procedimento statistico) cd al consumo reale (di un anno o s ua frazione) e riportato, per ogni voce, sulla scheda situazione materiali. Venne , inoltre, s tabilito uno scadenzario delle richieste vale a dire l'intervallo di tempo fi ssato per l'inoltro, da parte di ciascun organo logistico, d elle richieste di ripianamento d ei consumi a ll 'unità logistica di grado superiore. Vennero, infine, stabiliti Ire ordini di li velli pratici: a) livello massimo (massima quantità di un determinato materiale di riforn imento che poteva essere detenuto da un ente); b) livello di richiesta (quantità. raggiunta la quale, doveva essere inoltrata la richiesta di rifornimento, alla data fissata da llo scadenzario, all 'ente logis tico superiore); e) livello minimo (quantità minima, raggiunta la quale, dovevano essere inoltrate richieste urgenti per l'immediato reintegro). 14 TI reciproco appoggio sanitario fra forze terrestri, navali, aeree venne regolato dalla circolare dello S.M.E. - Ufficio servizi - n. 12541 -S/181, alla q ua le venne unita una memoria, in cui venne ro trattati g li a rgom enti riguardanti: lo sgombero e la cura dei feriti e malati delle forze marittime ed aeree; g li sgomberi via mare e via aerea; i rifornimenti di mate riali sanitari pe1· le forze marittime ed aeree. La memoria fu il frutto di un lavoro interforze. IS La creazione di zone e località sanitarie, raccomandata d a ll"art. 13 della Convenzione d i Ginevra del 12-VIII- 1949, richiese un lungo lavoro, conclusosi solo nel 1958. Furono delimitate 15 zone sanitarie, di cui 12 attribuite all'esercito. Le zone sanitarie de ll'esercito avrebbero costituito, a ll'atto de ll 'emergenza, la zona di sgombero dei fe riti e malati d ell'esercito di campagna e della difesa territoriale e gli ospedali militari territoriali avrebbero assunto la fun zione di organi sanitari di 3 ° grado per le forze della difesa interna de l te rritorio.
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Nel quadro della difesa civile venne concordata con i mm1sten mteressati una organizzazione responsabile delle riparazioni di emergenza dei danni alle installazioni vitali per lo sforzo bellico: Organizzazione mista per le riparazioni di emergenza (O.M.I.R.E.), responsabile delle riparazioni che le diverse amministrazioni statali non fossero in grado di effettuare con i propri mezzi. Venne previsto che l'O.M.I.R.E. sarebbe stata posta alle dipendenze del Consiglio supremo di difesa, vi sarebbero stati rappresentati i ministeri e gli organi di Stato interessali oltre che i comandi militari, avrebbe compreso un organo centrale coordinatore e più organi periferici coordinatori ed esecutivi. Circa l'O.M.l.R.E. venne predisposto e presentato un apposito provvedimento legislativo. 17 Ministe ro della Difesa. Stato maggiore d ell'esercito. Ufficio addestramento. 3° sezione regolamenti. Nomenclatore organico-tattico-logistico. Roma, 1956. La pubblicazione, formato 21.5 X 15, approvata dal generale Liuzzi, consta di 123 pagine e 859 voci. 18 Pubbl. n. 1800 Norme d'impiego della divisione corazzata . n. 2700 Norme per l'impiego di reparti carristi nelle unità di fanteria. Circ. n. 400/R Note orientative su alcune questioni d'impiego. Pubbl. n . 5100 Caratteristiche d'impiego della artiglieria divisionale. n. 8.400 Schieramento e s uperamento dei campi minati. Circ. n. 9000 Norme sull'organizzazione e l'impiego dei collegamenti nelle GG. UU. operanti. Pubbl. n. 4977 (numero categorico) (Raccolta dei documenti unificati STANAG). Direttiva n. 10 Norme di cooperazione aeroterrestre del Comando forze alleate del sud Europa.
Pubbl. n. 5032 (numero categorico) Norme per l'organizzazione, la direzione e lo svolgimento delle esercitazioni. Puhhl. n . 9/R L'addestram ento militare. Pubbl. n. 9500 Programma per l'addestramento di 1° ciclo delle reclute ai C.A.R .. Pubbl. n. 9600/R/I Prugrummi per l'uddestramento dei minori reparti fucilieri nel 2° ciclo. Pubbl. n. 6300 Norme generali per l'organizzazione logistica e il funzionamento dei servizi. 19 Concetto d'azione: espressione sintetica delle intenzioni del comandante circa l'impiego delle forze e dei mezzi a sua disposizione per assolvere il compito ricevuto. La formulazione precede nel tempo la compilazione dell'ordine di operazion e e, nella carta, le disposizioni esecutive. Ciò consente: nei Comandi di G.U., agli SS.MM. di organizzare l'azione e di preparare le disposizioni esecutive; a tutti gli enti a cui l'ordine di operazione è diretto, di avere sin dall'inizio chiara conoscenza del filo conduttore e degli elementi essenziali della operazione. L'indicazione del concetto di azione non è n ecessaria in tutti gli ordini di operazione. Per le unità minori che agiscono in modo semplice ed unitario, essa può risultare superflua ed identificarsi col compito e con le modalità di esecuzione. Per le unità maggiori (G.U. - sempre per le GG.UU. strategiche: armata) un solo concetto di azione, chiamato altrimenti disegno di manovra o intendimenti operativi, può essere valido per un periodo di parecchi giorni e dare origine a più ordini di operazione successivi. Il concetto di azione deve contenere tutti e soli gli elementi indispensabili a caratterizzare l'azione ed orientare le menti degli SS.MM. e dei comandanti dipendenti. Sarà più breve e scarno nelle unità minori, più esteso e ricco nelle unità maggiori. Gli elementi che possono rientrare nella formulazione del concetto d'azione (non tutti sempre necessari) sono: nell'attacco, gravitazione delle forze e del fuoco, azioni concomitanti, obiettivi successivi, direttrici (o direzioni) d'attacco, successione degli sforzi, sicurezza dell'azione; nella difesa, direzioni o direttrici più pericolose da sbarrare e posizioni su cui svolgere la resistenza, tipo di resistenza (ad oltranza, a tempo determinato), gravitazione delle forze, del fuoco, dell'ostacolo e della difesa e.e.,
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orientamento d'impiego della riserva, funzione delle unità in zona sicurezza. Nell'ambito delle GG.UU. di ordine più elevato, l'impiego delle armi atomiche potrà costituire elemento fondamentale del concetto d'azione. 20 Addestramento dell'artiglieria. Voi. i . Add. del pezzo. Fase.: cannone da 155/45 - parte r•. Istruzione sul materiale e sulle munizioni (circ. n. 151 , 22-111-1954, G.M. 1954, pg. 437). Idem. parte 11°. Servizio del pezzo (circ. n. 241 , 6-V-1954, G.M. 1954, pg. 254). Idem. Fase.: cannone da 94150. Parte II"; Servizio del pezzo (circ. n. 242, 6-V-1954, G.M. 1954, pg. 754). Idem. Fase.: obice da 149119 mod. 42-50. Parte 11°. Servizio del pezzo. Idem. Fase. cannone da /4(YJ0. Parte 11°. Servizio del pezzo (circ. n. 255, 14-V-1954, G.M. 1954, pg. 771). l.d em. Fase.: cannone da '.XY50. Parte r•. Mate riale e munizioni (circ. n. 419, 18-VIII- 1954, G.M . !954, pg. 1215). Idem. Voi. IV. Istruzione sul tiro. Parte II". Tiro contro obiettivi terrestri. Testo (circ. n. 529, 31-X-1954, G.M. 1954, pg. 1591). Jdem. Voi. /. Add. del pezzo. Fase.: cannone da 94150. Parte 1°. Materiale e munizioni (circ. n. 46, 15- 1-1955, G.M . 1955, pg. 119). Idem. Fase.: obice da 105/22 smv. M7. Parte 11°. Servizio del pezzo (circ. n. 313, 15-Vl-1955, G.M. 1955). Idem. Voi. V. Istruzione pe r i reparti specialisti di artiglieria divisionale. La sezione ae rologica (ci rc. n. 592, 16-Xrl-1955, pg. 2362). Idem . Voi. /. Add. del pezzo. Fase.: cannone da 94150. Parie / 0 , Materiali e nwnizim,i (circ. n . 46 , 15-1-1955, G.M. 1955, pg. 11 9). Tdem . Fase.: obice da 105/22. smv. M7. Parte n •. Se i-vizio sul pezzo (ci rc. n. 313, 15-VI-1955, G.M. 1955. pg. 11 57). Id em. Vo{. V. / s/ru zio rie pe , i reparti specialisti di artiglieria divisionale. La sezione aerologica (circ. n. 592, 16-XH-1955, G.M. 1955, pg. 2362). Idem. Voi. I; Add. del pezzo. Fase.: mortaio da 107-MJO. Parte 1°. Materiali e munizioni (circ. n. 184 , 5-1\/-1956, G.M. 1956, pg. 512). Idem. Voi. IV. Istruzione sul tiro. Parie II", tiro cunt ru obiettivi te rrestri. Allegati (cire. n. 212, 16-V-1957, G.M. 1957, pg. 924). Ide m . Fase. : complesso q11adruplo da 20 mm. Parte II". Servizio del pezzo. (circ. n. 364, 8-Vlll-1956, G. M. 1956, pg. 1673); Idem. Voi. l. Add. del pezzo. Fase.: obice da 203/25 . Parte n•. Materia li e munizioni (cire. n. 113, 14-11-1958, G.M. 1958, pg. 578). Idem. Fase.: mortaio da 120 mm. A.M. 50. Parte n •. Servi zio del pezzo (circ. n. 121, 14-11 - 1958, G. M. 1958, pg. 622). Idem. Voi. IV. Istruzione sul tiro. Parte Il". Tiro contro obiettivi terrestri (testo) (cire. n. 558, 29-X-1958, G.M. 1958, pg. 1918). Fascicolo provvisorio del munizionamento da '.XYSO, 105/22 e 155/23 (circ. n. 79, 6-1-1954, G.M. 1954, pg. 286). l struzione provvisoria pe r la manutenzione del cannone da 4fY56 MI (circ. n. 94, 4-11-1954, G .M. 1954, pg. 310): idem: obice da 105122 smv. M7 (circ. n. 95, 4- 11 -1954, G.M. 1954, pg. 310); idem: cannone da 76162 smv. MJB (circ. n. 96, 4-11 -1954, G.M. 1954, pg. 311) idem: cannone da 76150 smv. MIO (circ. n . 243, 6-V-1954, G.M. 1954, pg . 755); idem: cannone da '.XY50 smv. M36 (circ. n . 244, 6-V-1954, G.M. 1954, p g. 755); idem: cannone da '.XY50 (circ. n . 246, 7-V- 1954, G.M. 1954, pg. 756); idem: sul munizioname nto del cannone da 57/50 (cire. n. 247, 8-V-1954, G.M. 1954, pg. 756); idem: cannone da 57 s.r. (circ. n. 469, 25-IX-1954, G.M. 195, pg. 1424); idem: cannone da 75 s.r. (circ. n ° 470, 25-IX-1954, G.M . 1954, pg. 1424); idem: sul munizionamento del cannone da 76155-17 Jbs (eirc. n. 518, 20-X-1954, G.M. 1954, pg. 1580); idem: sul munizionamento del cannone da 8&127-25 lbs (circ. n° 528, 26-X-1954, G.M. 1954, pg . 159 1); idem : cannone da 8&127 (circ. n. 79, 25-1-1955, G.M. 1955, pg. 169). Cenni desc rittivi sulle spolette a d.e. meccaniche M500, M501, M502 (cire. n. 335, 30-Vl-1955, G.M. 1955, pg. 1203). Idem sulle spolette I.O. mod. 40 per piccoli e medi calibri (circ. n. 173, 22-III-1956, G.M. 1956, pg. 489). Balistica esterna. Voi. II: Balistica sperimentale (circ. n. 524, 14-XI-1956, G.M. 1956, pg. 2088). Istruzione provvisoria per la manutenzione dell'obice da 203/25 - istruzione per la manutenzione - (circ . n . 525, IS-XI-1956,
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FILIPPO STEFANI
G.M. 1956, pg. 2088); complesso quadruplo da 12,7 (circ. n. llO, 12- ll-1958, G.M. 1958,
pg. 577); idem obice da 149119. mod. 41-51 e mod. 42:50 - istruzione per la manutenzione (circ. n. 209, 29-III-1958, G.M. 1958, pg. 936). Voi. I. Fase.: complesso quadruplo da 20 mm. Parte [•. Materiale e munizioni (circ. n° 213, 14-IV-1958, G.M. 1958, pg. 942). Idem. Fase.: obice da 203/25. Parte JI•. Servizio del pezzo (circ. n. 288, 8-V-1958, G.M. 1958, pg. 1232). Idem. Fase.: cannone da 90'50 smv. M36. Parie [•. Materiale e munizioni (cire. n. 288, 8-V-1958, G.M. 1958, pg. 1232). Idem. Mortaio da 107 M30. Parte JI•. Servizio del pezzo (eire. n ° 289, 8-V-1958, G.M. 1958, pg. 1233). Istruzione provvisoria per la manutenzione del cannone da 4fY56 mod. Tll (cire. n. 339, 31-V-1958, G.M. 1958, pg. 1346). Cannone da 14fY30. Materiale e munizioni (circ. n. 22 1, 6-IV-1939, G.M. 1959, pg. 761). Cannone da 14fY30. Materiale e munizioni (circ. n. 232, 6-IV-1959, G.M. 1959, pg. 811). Mortaio da 120 mm. A.M. 50 - Materiali e munizioni (circ. n. 422, 20-VII-1959, G.M. 1959, pg. 1333). Obice da 149119. Materiale e munizioni 1959 (circ. n. 502, 8-X-I959, G.M. 1959, pg. 2060). Tiro ridollo col mortaio da 120 mm (eire. n. 503, 8-X-1959, G.M. 1959, pg. 2060). Cannone da 90'53 M36 su sm v M47 e m itragliatrice di bordo. Manutenzione (circ. n. 534, 6-XI-1959, G.M. 1959, pg. 2107). Obice da 105/14. Manuten zione (eirc. n. 574, 17-XI-1959, G.M. 1959; pg. 2234). Armi portatili. Proiet w razzo da esercitazione italiano per Bazooka da 88 mm (eirc. n. 358, 15-VII-1954, G.M. 1954, pg. 1046). Istruzione provvisoria per la pulizia e la buona conservazione delle armi portatili. Fase.: fucile sem iautomatico Ml Garand (ci rc. n. 256, 14-V-1954, G.M. 1954, pg. 772). Idem. Fase.: carabina M2 Win chester (cire. n. 479, 29-IX-954, G.M. 1954, pg. 1464). Idem. Fase.: fucile mitragliatore Browning M/919. (B.A.R.) (e ire. n. 482, 6-X-1954, G.M . 1954, pg. 1465). Idem . Fase.: m ortai da 60 a 81 (circ. n. 480, 29-lX-1954, G.M. 1954, pg. 1464). Idem. Fase.: mitragliatrice cal. 12,7 Browning (eire. n. 515, 20-X-1954, G.M. 1954, pg. 1579). Idem. Fase.: lanciarazzi 60 Bazuuka (circ. n. 515, 20-X-1954, G.M . 1954, pg. 1579). Idem. Fase.: lanciarazzi da 88 Bazooka (circ. n. 517, 20-X-1954, G.M. 1954, pg. 1580). Idem moschetto automatico Sten (eire. n. 466, 9-X-1957, G.M. 1957, pg. 1776). Idem manutenzione della pistola automatica Be retta ca/. 9, mod. 34 (cire. n. 112, 14-11 -1958, G.M. 1958, pg. 578). Varie riguardanti il Liro e le armi. Norme di sicurezza da osservare nella esecu zione di tiri con le varie armi della fanteria. Aggiunte e varianti (circ. n. 76, 29XII- 1958, G.M. 1959, pg. 388). Misure di sicurezza nelle esercitazioni di tiro a proietto (circ. n. 368, 27-VI-1959, G.M. 1959, pg. 1209). Norme provvisorie per la bonifica dei poligoni. Cire. n. 104 (circ. n. 495, 29-IX-1955, G.M . 1955, pg. 2015). Norme tecniche per l'impiego dei radiogoniometri camp ali (cire. n. 4 99, 2-X-1955, G.M. 1955, p g. 2023). Equipaggiamento di taratura ME-73 (circ. n. 365, 8-VIII-1956, G.M. 1956, pg. 1673). Istruzioni sul tiro delle armi della fa nteria (pubbl. n. eat. 5352, 1958). Modalità di allenamento agli scoppi ravvicinati (pubbl. senza n. eat., 1959). Istruzione tecnica sull'impiego del poligono animato Failla (pubbl. n. cat. 5320. 1957). Trasmissioni. Istruzione sulle stazioni radio SCR-508, SCR-528, ANIVRC-5 (eire. n. 101 , 18-U-1 955, G.M. 1955, pg. 298). Antenne e sistemi di ante nne (eirc. n. 128, 9-TJT-1955, G.M. 1955, pg. 384). Norme tecniche d'impiego dell'autoradio CL-51 (circ. n. 142, 18-Ill-1955, G.M. 1955, pg. 417). Istruzione sulla centrale telegrafica TC-3 (cire. n. 221 , 4-V-1955, G.M. 1955, pg. 848). Idem s ul provavalvole /-/ 77 (eire. n. 222, 4-V-1955, G.M. 1955, pg. 848). Idem sulprovavalvole l-177(circ. n. 221 , 4-V-1955, G.M. 1955, pg. 848). Idem sul provava/vole 1-177 (eirc. n. 222, 4 -V-1955, G.M. 1955, pg. 849). Idem sul centralino F ed FMKI, MKI, MKTll (cire. n. 233, 7-V-1955, G.M . 1955, p g. 863). Idem s ul cavo bicoppia a spirale (circ. n. 235, 7-V-1955 , G.M. 1955, p g. 864). Idem sul raddrizzatore RA-87 (cire. n. 293, I-VI-1955, G.M.1955, p g. 1104). Idem sul voltometro 1-166 (eirc. n. 316, 20-VT-1955, G.M. 1955, p g . 1162).
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Idem sui cenlralini MKTT a 15 e a 40 linee per telescriventi (circ. n. 383, I-VTII-1955, G.M . 1955, pg. 1457). Idem sui terminali radio ANI TRC-8, ANITRCT e sulla stazione ripelilrice per ponle radio ANI TRC-12 (circ. n. 532, 5-XI-1955, G.M. 1955, pg. 2066). Idem sulle stazioni radio BC-312, BC-312 X, BC-342, BC-314, BC-344 (circ. n. 534, 12-IX-1955, G.M. 1955, pg. 2067). Idem su appara/i di prova T-61-A, l-61-B, J-61-C (circ. n. 579, 10-XIl-1955, G.M. 1955, pg. 2344). Idem sulla stazione radio 510 (circ. n. 580, 10-Xll-1955, G .M. 1955, pg. 2345). Fondamenli di elellricità (circ. n. 49, 20-1-1956, G.M. 1956, pg. 201). Istru zioni sul raddrizzatore R-83-A (circ. n. 50, 20-1-1956, G.M. 1956, pg. 202). Ricerca dei guasti e riparazioni delle s tazioni radio (circ. n. 5 1, 20-1-1956, G.M. 1956, pg. 202). Equipaggiamento vulcanizzatore TE-54-A, TE-54-B e TE-55-B (circ. n. 136, 29-II-1956, G.M. 1956, pg. 432). Istruzione per l'impiego del complesso di misura TE- 17-E (c irc. n. 137, 29-11-1 956, G.M. 1956, pg. 433). Telefoni EE-8, EE-BA, EE-8B (circ. n. 138, 29-U-1956, pg. 433). Apparato ripetitore TC-18 (circ. n. 139, 29-II-1956, G.M. 1956, pg. 434). Prescrizione lecnica n° l : tecnica di costruzione delle linee campali (circ. n . 140, 29-ll-1956. G.M. 1956, pg. 435). Apparati telescriventi riperforawri TC-16 e 17 (circ. n . 141 , 29-11-1956, G.M. 1956, pg. 435). Istruzione sugli apparati SCR-608-A e SCR-628-A (circ. n. 242, 9-V-1956, G.M. 1956, pg. 1255). Idem provvisoria sulla staziune ad onde me1riche tipo 0.D. (circ. n . 282, 15-VI-1956, G.M. 1956, pg. 1389). Stendi/ilo R.l,.26 (c irc. n . 283. 15-VI-1956, G.M. 1956, pg. 1389). Vo/1ometru d ellru11icu TS-505/U (c: i1T. n. 284, 15-VI-1956, G.M. 1956; pg. 1390). Frequenzimetri ad assorbimento 1-129-A ed 1-129-B (circ. n. 285 , 15-VI-1956, G.M. 1956, pg. 1390). Circuili ed equipaggiamenti fondam entali in telescrivente (circ. n. 286, 15-Vl-1956, G.M. 1956. pg. 139 1). Uni1à di linea BE-77, BE-77A e BE-77B (circ. n . 287, 18-Vl-1956, G.M. 1956, pg. 139 1). S tazioni telescriventi EE-97, EE-98, .t::b'-98A, EE-102 (circ. n. 309, 29-Vl 1956, G.M. 1956, pg. 1437). Stazione radio CPRC-26 (ist ruzioni provvisorie pe r l'impiego) l " serie di aggiunte e varianti (circ. n. 310, 3-Vll-1956, G.M. 1956, pg. 1438). Istru zio ni s ulle telesc riventi TG-7-A, TG-7-13 e TG-37-B (circ. n. 493, 30-X-1956, G. M. 1956, pg. 2038). Prestazioni minime delle reti telefoniche (circ. n. 494, 20-X-1956, G.M. 1950, pg. 2037). Apparato di prova 1-199 e l -199A (circ. n . 495, 30-X-1956, G.M. 1956, pg. 2038). Istruzione sulle s/azion i radio SCR-593-A e SCR-593-C (c irc. n. 497, 30-X-1956, G.M. 1956, p g. 2038). Ins tallazione di materiale radio e interfono su carro leggero M24 (c irc. n. 498, 30-X-1956, G.M. 1956, pg. 2039). Generatore di segnale 1-72-G, H. /, K , L ed M (cir c. n . 4 99, 30-X- 1956, G.M. 1956, pg. 2040). Generalure di segnali /~208, f-208-8, i-208-D (circ. n. 557, 30-XI-1956, G.M. 1956, pg. 2202). Apparati convertitori di chiamata EE-100-Tl, EE- 100-A (frequenza vocale), EE-101-A (frequenza vocale) (circ . n. 581, 22-X ll- 1956, G.M. 1956, pg. 2232). Complesso antenna direlliva AS-8!/GR (cfrc. n ° 103, 27-11- 1957, G.M. 1957, pg. 365). Apparato di prova TS-26'TSM e TS-26AITSM (c irc. n . 104, 25-11- 1957 , G.M. 1957, pg. 366). Convertitori M-222 e M-222-A (circ. n. 105, 25-11-1957, G.M. 1957, pg. 366). Norme di s icurezza per la prevenzione infortuni dovuti a scariche elettriche (circ. n. 235, 3 1-V-1957, G.M. 1957, G.M. 1957, p g. 1096). Tstruzione s u stazioni radio ANIP RC-8, ANIPRC 9 e ANIPRC-10 (circ. n. 249, 12-VI-1957, G.M . 1957, pg. 1146) Idem su cenlralini tele fonici BD-71, BD-72, BD-72A, BD-72B (circ. n. 267, 19-VI-1957, G.M. 1957, pg. 1188). Idem su complesso ripetitore TC-19 (intermedio) (circ. n. 280, 24-VI-1957, G. M. 1957, pg. 1231). Manutenzione campale delle stazioni radio ANIPRC-8, ANIPRC-9, ANIPRC-10 (circ. n . 293, 28-VI-1957, G.M. 1957. pg. 1247). Complessi di manutenzione ME-40 e ME-53 (circ. n. 308, 14-VII-1957, G.M. 1957, pg. 1268). Staz ione radio ANIGRC-9 (c irc. n. 342, 25-VI-1957, G.M. 1957, pg. 1336). Generatore di o nda quadra TS-583AIU e TS-583BIU (circ. n . 467, 14-X-1957, G.M. 1957, p g. 1776). Strumento
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universale TS-297IU (circ. n. 469, 15-X-1957, G.M. 1957, pg. 1778). Apparati di manutenzione ME-13-A, B, C, D, (circ. n. 507, 13-XI-1957, G.M. 1957, p g. 1870). Misuratore d'impedenza dei quarzi TS-683/TSM (circ. n. 509, 13-XI-1957, G.M . 1957, pg. 1871). Stazione radio SCR-506-A (circ. n . 501. 13-XI-1957, G.M . 1957 , pg. 1871). Istruzione sugli apparati di prova TS-303/G, TS-303AIG, TS-303BIG (circ. n. 511 , 13-XI-1957, G.M. 1957, pg. 1872). Stazioni radio ANITRC-1, IA, IB, IC, ID, IE e IG. Stazioni radio terminali ANITRS-3, 3A, 38, 3C, 3D, 3G. Sta zioni di relé ANITRC-4, 4A, 4B, 4C, 4D, 4E, 4G e complessi amplificatori ANITRA-I, IA, IB, IC e ID. Volume primo. Desc rizione. Impianto. Funzionamento. Manutenzione preventiva (circ. n . 56, 18-1-1957, G.M. 1958, pg. 143). P serie di aggiunte e varianti all'istruzione sui telefoni EE-8, EE-8A, EE-8B (circ. n. 93, 6-11-1958, G.M. 1958, pg. 545). Complesso per prove sugli strumenti di misura ANIGSM-IB (circ. n . 125, 24-II-1958, G.M. 1958, pg. 633). Centrale telefonica TC-2 (circ. n. 175, 22-III-1958, G.M. 1958, pg. 784). Gruppi elettrogeni PE-75C, D, J, K, PO, S, T, V, W, AA, AB, AC, AD, AE, AF (circ. n ° 176, 22-III-1958, G.M. 1958, pg. 784). Manutenzione e riparazione dei materiali delle trasmissioni presso le unità di campagna dell'Esercito statunitense (problemi vari e generalità) (circ. n. 283, 6-V-1958, G.M. 1958, pg. 1230). Oscilloscopio BC-I 060-A (circ. n. 284, 6-V-1958, G.M. 1958, pg. 1230). S tazione radio CPRC-26. Ist ruzioni provvisorie per l'impiego, aggiornate con la J• serie di aggiunte e varianti 51 l&'I del maggio 1956 (circ. n. 285, ti-V-1958, r..M. 1958, pe. 1211). Apparatn pmva I -S I. l ,nr.alizzazinnP. dP.i guasti nei circuiti telefonici in cavu (circ. n. 365, 9-VI-1958, G.M. 1958, pg. 1436). Telefoni EE-8, EE-8-A, EE-8-B, (/ 0 ristampa) (circ. n. 381. 23-VI-1958, G.M. 1958, pg. 1453). Istruzione provvisoria sul frequenzimetro SCR-Zll (circ. n. 366, 9-VI-1958, G.M. 1958, p g. 1436). Fondamenti di telefonia e telegrafia manuale (1° ristampa) (circ. n. 382, 23-IV-1958, G.M. 1958, pg. 1453). Fondamenti della radio (circ. n ° 470, 12-VTTT-1958, G.M . 1958, p g. 1636). Prima ristampa dell'istruzione della stazione radio 610 (radio se t scr-609-A, B, SCR-610-A e B) (circ. n. 471, 12-Vlll-1958, C.M. 1958, pg. 1637). Istruzione sul raddrizzatore RH-87 (circ. n. 599, 18-XI-1958, G.M. 1958, pg. 2028). i struzione per la manutenzione del frequen zimetro TS-175/U (circ. n. 68, 18-1-1959, G.M. 1959, p g. 379). A ttenuatori TS-402/U e TS-402 AIU (circ. n. 144, 10-III-1959, G.M. 1959, pg. 515). Sta zioni radio ANIGR C 3, 4, 5, 6, 7 e 8 (circ. n. 216, I-III-1959, G.M . 1959, pg. 751). Prescrizione tecnica n° 4. Uso e manutenzione del telefono F(circ. n. 382, 6-Vll-1959, G.M. 1959, pg. 1239). 1° serie di aggiunte e varianti alla pubblicazione. Prescrizione tecnica n. I: tecnica di costruzione delle linee campali (circ. n . 396, 13-VII-1959, G.M . 1959, pg. 1282). Apparato radioricevente AnlGRR-5 (circ. n. 447, 19-VII-1959, G.M. 1959, pg. 1517). Stazioni radio ANITRC-1, IA, IB, IC, ID, IE e IG. Stazioni radio temzinali ANITRC-3, 3A, 3B, 3C, 3D, 3II, 3G. Sta zioni radio relé ANITRC-4, 4A, 4B, 4C, 4D, 4E, 4G, e complessi amplificatori ANITRA I, JA, IB, JC e ID. Voi. li: teoria, riparazione, prove, tabelle componenti, schema elettrico dei circuiti (circ. n. 48, 8-X-1959, G.M. 1959, pg. 2013). Attenuatori TS-402/U e TS402AIU (circ. n. 144, 10-lll-1959, G.M. 1959, pg. 515). Servizio automobilistico. Istruzione sul servizio automobilistico. Vol. II. Impiego degli autoveicoli in relazione alle leggi della trazione meccanica. Caratteristiche e prestazioni dei principali autoveicoli in dotazione ai reparti dell 'esercito. Edizione 1954 (circ. n. 129, l -lll-1954 , G.M. 1954, p g. 362). Nomenclatore tecnico-automobilistico Ediz. 1955 (circ. n. 88, 3-II-1958, G.M. 1958, p g. 3717). Abrogazione delle pubblicazioni n° 3708 e 370&'a concernenti il servizio automobilistico (circ. n. 196, l-lll-1959, G.M. 1959, pg. 671). Manuale per la riparazione del motore Ford pe r carro armato mod. GAA-GAF e GAN, n. cat. 4984, ed . 1955. Manuale di uso e manutenzione
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semovente M-7 con obice da MM 105 N, n. cat. 5170, ed. 1956. Manuale uso e manutenzione SMV. M7 con cannone da 8&127, n. cal. 517 1, ed. 1956. Autoveicoli comuni, speciali e mezzi corazzati di produzione estera in servizio nell'esercito. Caratteristiche e prestazioni dei principali loro tiri; n . cat. 5172, ed. 1956. Cambio cross drive (Allisoin CD 850-4) per e.a. M47, n. cat. 5234, ed. 1956: Direttive tecniche per l 'uso e la conservazione dei veicoli ruotati e cingolati, n. cat. 5254, ed. 1956. Direttive tecniche per l'uso e la conservazione dei veicoli ruotati e cingolati, senza numero categorico (circ. n. 6900, T-VT-1957). Carro armato M47. Torretta. Sistemi di brandeggio o di elevazione, n. cat. 5280, ed. 1958. Autocarro GMC 2 1/2 t 6X6 CCKW-352e CCKW 353, n. cat. 5316, ed. 1958. Istruzione sui dispositivi antincendio installati a bordo dei mezzi corazzati, n. cat. 5333, ed. 1958. Manuale di i.•olo aeroplano L-21 A, n. cat. 5367, ed. 1958. CP 56 (6X6) (OIM mod. 6600). Autocarro per materiale da ponte classe 60. Istruzione per le riparazioni, n° cat. 5385, ed. 1958. CP 56A (6x6) OM. Au1ocarro per materiale da ponte classe 60. Norme per l'uso e la manulenzione, n. cat. 5986. Istruzione sulla conservai.ione dei mezzi ruotati e cingolati (non in servizio) e dei relativi gruppi e complessivi di scorta, n. cat. 5440, ed. 1960. Norme pratiche per le operazioni di ricupero campale e riparazione di fortuna degli autoveicoli, Senza n. cat., ed. 1957. Manurenzione veicoli cingolati, n. cat. 5550, ed. 1957. Servizio di commissariato. Istruzione sulla cucina rotabile campale. Mud. 1953 da 200razioni, n. cat. 5351, ed. 1958. Servizio sanitario. Istruzione per l'igiene dei militari dell'esercito, n. cat. 3718, ed. 1957. Nuovi elenchi delle imperfezioni e delle infermità riguardanti l'attitudine fisica al servizio militare, n. cat. 4783, cd. 1956. Difesa A.B.C. Istruzione sugli aggressivi chimici e difesa ch1m1ca campale ed. 1956 (circ. n. 27 1, 28-V-1956, G.M. 1956, pg. 1346). Note sugli aggressivi biologici e sugli incendiari, ed. 1956 (circ. n . 556, 30-Xl -1956, G.M. 1956, pg. 2201). Norme per l'impiego, la manutenzione e la conservazione della maschera mod. T.35 (circ. n. 113, 14-11-1959, G.M. 1959, pg. 469). Genio. Immaga zzinamento nel territorio nazionale, n. cat. 5285, ed. 1956. Istruzione provvisoria sui botloni innescati antiuomo A. U.52 e anticarro AC52, n. cat. 5147, ed. 1956. Impiego e manutenzione del trattore cingolato Carterpi/lar mod. D7, n. cat. 5276, ed. 1957. Riscaldatore a benzina Evans mod. 203435 per carri officina, n. cat. 5294, ed. 1957. Impiego e manutenzione della pressa idraulica portatile da 10 t Blackhawk mod. S.71, n. cat. 5295, ed. 1957. Impiego e manutenzione del gruppo elettrogeno parlatile mod. W3M-3K. W.-A.C. n. cat. 5296, ed. 1957. Manuale d 'impiego e manutenzione. Catalogo delle parti del martello pneumalico ribattitore InpersollRand mod. 6 CND, n. cat. 5318, ed. 1957. Officina motorizzata per riparazioni del genio, n. cat. 5324, ed. 1957. Manuale d'impiego e di manutenzione. Catalogo delle parti della sega portatile pneumatica Timberhog con lama da 24 pollici, n. cat. 5350, ed. 1958. Manuale d'impiego e di manutenzione. Catalogo parti di ricambio del martello pneumatico a vanghetta. Classe da 25 lb. Esagono da 7/8 poli. Mandrino da 2 314 poll. Gardner Denver mod. 28A (28G), n. cat. 5353, e d . 1958. Idem. Catalogo delle parti della trapanatrice da legno pneumatica portatile n. 2 Thor n. 62 mod. 958, n. cat. 5354, ed. 1958. Istruzione per i cannelli ad aria acetilene, per i saldatori, per i cannelli per vernice e per rivelatori di perdite di alogenuro Prest-0-Lite. Istruzioni per la valvola di controllo pilota. Parte n. 12R29 Prest-0-Lite, n. cat. 5355, ed. 1957. Attrezzi per il servizio ai trattori Carlerpillar, n. cat. 5356, ed. 1957. Istruzione per l'uso e la manutenzione dei trapani, rettificatrici e martelli elettrici portatili della Milwaukee Electric Tool Corporation. Elenco delle parti della rettificatrice. del trapano. Cura e
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manutenzione degli attrezzi elettrici United States Electric Tools: trapani, n. cat. 5357, ed. 1957. Istruzione per la cura e l'impiego del cannello per saldare, pressione Smith fondente per la saldatura e taglio di metalli, n. cat. 5358, ed. 1957. Macchine utensili di precisione South Bend, Torni di precisione, trapani a colonna, limatrici. Istruzioni per montare il tornio sul banco. Elenco illustrato delle parti di macchine utensili. Catalogo delle parti del tornio. Comando motore del tornio per officina South Bend, n. cat. 5359, ed. 1957. Impiego del bruciatore Aeroil. Istruzione per l'uso di tutti i cannelli Aeroil della serie n. 99, n. cat. 5360, ed. 1957. Istruzione per la manutenzione e riparazione di cannelli per il taglio e la saldatura ossiacetilenica: Parte 2•. Regolatori, n. cat. 5361, ed. 1957. Porta utensili Armstrong per torni, piallatrici e limatrici, n. cat . 5362, ed. 1957. Manuale d'impiego e manutenzione. Catalogo delle parti della sega circolare pneumatica portatile per la lavorazione del legno Mail mod., P-128 con la lama da 12 pollici, n. cat. 5384, ed. 1958. Idem. Catalogo delle parti dell'escavatore pneumatico per argilla Worthington mod. W-14, classe da 25 lb. esagono da 7/8 di pollice per mandrino da 23/4 di pollice n. cat. 5405, ed. 1959. Martello pneumatico per argilla Indipendent Pneumatic Thor n. 412, mod. 4913. Istruzione per la manutenzione e catalogo delle parti, n. cat. 5425, ed. 1959. Martello perforatore pneumatico portatile per roccia, tipo a secco, da 55 lb. per fioretti con impugnatura esagonale da I x4x 1/4 di pollice, mod. Worthington-WS-55, n. cat. 5426, ed. 1959. Mart ello demolitore pneumatico da 80 lb con mandrino della misura di I I/4x6 di pollice le Roi-Cleveland mod. Pneumatic Thor mod. 63N, n. cat. 5429, ed. 1959. Ponte e guide d'acciaio M2 (nuovo tipo) con guide maggiormente distanziate, n. cat. 5241, ed. 1956. Tavole di tiro. Mortaio da 107 M30, bomba H.E.M. 329 (circ. n. 48, 15-1-1955, G.M. 1955, pg. 120). Obice da 155/23 (circ. n. 127, 9-III-1955, G.M. 1955, pg. 383). Mortaio da 81 mm. mod. 35 (circ. n. 318, 25-VI-1955, G.M. 1955, pg. 1163). Mortaio da 81 mm mod. 35 con impiego di munizionamento americano (circ. n. 319, 25-VI-1955, G.M. 1955, pg. 1164). Cannone da 155154 (circ. n. 319, 25-1-1956, G.M. 1956, pg. 242). Tiro di esattezza. Foglietto di tiro (circ. n. 433, 3-VIII-1959, G.M. 1959, pg. 1406). Varie. Istruzione sull'uso delle fotografie aeree (circ. n. 51, 18-1-1955, G.M. 1955, pg. 122). Il sistema da 100 miglia completo (circ. n . 24, 7-V-1955, G.M. 1955, pg. 863). Teoria ed impiego degli strumenti di misura (circ. n . 564, 7-XII-1955, G.M. 1955, pg. 2153). 21 La gran parte delle istruzioni tecniche riferite ai materiali di provenienza dagli Stati Uniti furono la traduzione fedele del testo inglese, edito dall'esercito o dalla stessa ditta costruttrice. Le elenchiamo citandone il numero ·categorico e l'anno dell'edizione italiana, avvertendo che quasi tutte sono state ricordate con il titolo nella nota precedente: 5107, 1955; 5241, 1956; 5138, 1954; 5350, 1958; 5425, 1959; 5353, 1958; 5354, 1958; 5318, 1957; 5296, 1957; 5294, 1957; 5324, 1957; 5170, 1956; 5316, 1958; 5234, 1956; 5273, 1957; 4984, 1955; 5280, 1958; 5075, 1959; 5064, 1959; 5181 , 1956; 5089, 1959; 5146, 1956; 5179, 1956; 5196, 1956. 5131, 1956; 5237, 1957; 5287, 1959; 5141, 1956; 5255, 1956; 5125, 1955; 5115, 1956; 5143, 1956; 5200, 1957; 5105, 1955; 5144, 1955, 5091, 1956; 5176, 1956; 5057, 1958; 5104, 1955; 5189, 1956; 5101, 1955; 5101bis, 1955; 5449, 1959; 5090, 1957; 5093, 1955; 5094, 1958; 5177, 1955; 5124, 1955; 5209, 1957; 5180, 1956; 5343, 1958; 5300, 1959; 5365, 1959; 5154, 1956; 5302, 1959; 5269, 1957; 5259, 1957; 5201, 1957; 5201 bis, 1959; 5205, 1956; 5126, 1955; 5121, 1955; 5235, 1957; 5182, 1956; 5137, 1956; 4669, 1955; 5186, 1957; 5 332, 1959; 5257, 1957; 5258, 1956; 3178, 1956; 5291, 1958; 5285, 1958.
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22 In materia d'impiego delle unità, oltre le già ricordate pubblicazioni della serie 600 e le pubblicazioni 1700 e 1800, venne curata nel 1959 la ristampa delle seguenti pubblicazioni: Impiego tattico delle armi atomiche, prima ristampa dell'edizione 1957; L'esplorazione, ristampa dell'ed. 1950; La squadra fucilieri quarta ristampa dell 'edizione I 947; li plotone fucilieri, quarta ristampa dell'ed. 1948. Vennero, inoltre, rielaborate od elaborate ex novo: - Stato Maggiore dell'ese rc ito. Ufficio addestramento. 3° Sezione regolamenti. Le pattuglie. n. 2000 della serie dottrinale e n. 5413 categorico. Roma, 1959. La nuova edizione, approvata dal generale Liuzzi, a brogò e sostituì l'edizione 1949. - Ministero della difesa. Sta to maggio re dell 'esercito. Ufficio addestramento e regolam enti . 3° sezione regola m e nti . Agg re.~sivi chim ici e difesa chimica campale, n . 4200 della serie dottrinale e n . ca t. 5 194 . Ro ma, 1956, a pprovata dal generale Liuzzi. Abolì e sostituì l'Istruzione sugli aggressivi chimici e sulle nebbie artificiali - Voi. I Norme generali, del 1941 - Idem come sopra. Note s ugli agg ressivi biologici e sugli incendiari. n. 4200 della serie dottrinale; n . ca t. 52 15, a pp rovata dal gene rale Liuzzi. - Ministe ro de lla difesa . S .M.E . ls pettorato dell'a rma di artiglieria. Artiglieria della divisione di fanteria. I gruppi da cam pagna e pesante campale. n. 5200 d ella serie doUrinale, senza n. ca t., Roma, 1958. Abrogò l'edizio ne 1953 {circ. n . 267 e n . 274 del 10-IV-1959, G.M. 1959, pg. 267 e p g. 274). - Idem com e sopra . Artiglie ria della divisione di fanteria. Tl gruppo e.a.I.. n . 5201 della serie dottrinale; sen za n . cal., Roma, 1954 (circ. n. 334, 25-VI-1954, G.M. t 954, p g. 907). - Minis tero d ella d ifesa. S. M. F.. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione regolamenti. Schie ram ento e su pe ram ento dei campi minati. n. 8400 della serie dottrinale e n . cat. 50 87, Ro ma , 1954, a pprovata dal generale Pizzomo. - Ministe ro d ell a difesa. S. M.E. Ufficio dell'is pettore delle truppe corazzate. Istruzione del capocarro e dell'equipaggio. n . 1100 de lla se rie dottrinale e n. cat. 5130, Roma, 1956. - Minis te ro della difesa . S.M.E. Ispettorato de ll'arma di artiglieria. Costituzione e fun zioname nto del/'A.A.0 .C. campale. n . 5204 della serie dottrinale, senza numero categorico, Roma, 1955 {circ. n . 185, 5-IV-1956, G .M. 1956, g. 513). - Minis tero della di fesa. S.M. E . I spe ttorat o de ll'arma di artiglieria. Aviazione leggera dell'esercito. La sezione aerei leggeri d'artiglieria (circ . n . 266, 12-VI-1957, G.M. 1957, pg. 11 88). - Ministero della d ifesa. S.M.E. Ufficio dell 'ispe ttore d elle truppe corazzate. 1" serie di aggiunte e varianti alla pubblicazione 5130 Addestramento del capocarro e dell'equipaggio {cire. n . 475 , 15-Vl-1955, G.M . 1955, pg. 1993). - Ministe ro della difesa. S.M.E. Ufficio dell'ispettore per le tra smissioni. Istruzione per le esercitazioni dei reparti trasmissioni (circ. n. 525, 26-X-1957, G.M. 1957, pg. 1911). - Ministero della difesa. Stato Maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. Sezione addestra mento Addestramento della fanteria. Voi. I. Istruzione formale. 1 a ristampa ed. 1954 (circ. n. 2, 10-V-1957, G.M. 1958, pg. 3). - Ministero della difesa. Stato maggiore dell 'esercito. Istruzione sul mascheramento. Parte prima. li mascheramento campale delle armi di fanteria. (circ. n. 114, 14-II-1959, G .M. 1959, pg. 469). Idem. Parte seconda. Il masche ramento dei mezzi mobili (circ. n. 115, 14-II-1959, G.M. 1959, pg. 470).
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- Ministero della difesa. Stato maggiore delJ'esercito. Ispettorato dell'arma di fanteria. Istruzione sull'addestramento alpinistico e sciistico militare. Parte Ili". Addestramento sciistico. Tecnica sciistica (circ. n. 291, 5-V-1959, G.M. 1959, pg. 965). Idem. Parte 1•. Nozioni di carattere generale (circ. n. 328, 5-Vl-1959, G.M. 1959, pg. 1071). Venne, inoltre, rielaborata ed aggiornata la seguente pubblicazione dell'ispettorato dell'arma di artiglieria: Addestrame nto dell'artiglieria. Voi. IV. Istruzione sul tiro. Parte 11•. Tiro contro obiettivi terrestri. (n. cat. 4960, 1958). Idem. Allegati (n. cat. 4961, 1956). L'ispettorato dell 'arma di artiglieria diramò le seguenti circolari: n. 110, Programmi per l'addestramento individuale e di specializzazione (1956); n. 111 Programmi per l'addestramento di II ciclo (1958); n. 120 Misure di sicurezza nelle esercitazioni di tiro a proiello (1959); n. 130 Tiro ridotto col mortaio da 120 mm (1959). - Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ispettorato dell'arma di fanteria. Orientamenti sulla caccia ai carri. n. 11 50 della serie dottrinale; n . cat. 5417. Roma, 1959. Non vennero né aggiornate né ristampate le seguenti pubblicazioni che rimasero in vigore nel testo delle vecchie edizioni: Impiego delle artiglierie controcarri divisionale (n. 5900 della serie dottrinale, senza numero categorico) del 1951; Impieg,u del /(eniu piunieri divisionale e organizzazione dei lavori nella divisione di fanteria (n. 8100 della serie dottrinale; n. cat. 4953) del 1952; Norme sull'organizzazione e fun zionamento dei centri collegamenti (n. 9100 della serie dottrinale; n. cat. 4992) del 1952. 23 Direttive tecniche per l'addestramento antidisturbo dei marconisti (circ. n. 314, 24-Vl-1954, G.M. 1954, pg. 884). Metodo per l'addestramento alla ricezione ed alla trasmissione. Voi. l (circ. n. 49, 15-1-1955, G.M. 1955, pg. 121). Norme per la compilazione dei disciplinari e per il collaudo degli impianti di riscaldamento (circ. n. 522, 31-X-1955, G.M. 1955, pg. 2056). Norme per la compilazione dei disciplinari o per il collaudo degli impianti fissi di cucina per la truppa (circ. n. 524, 31-X-1955, G.M. 1955, pg. 2057). Doveri del sottufficiale in congedo (cìrc. n. 563, 28-Xl-1955, G.M. 1955, pg. 2153). Vademecum per operatori marconisti e per specializzati trasmissioni radio delle varie armi (circ. n. 47, 18-1-1956, G.M. 1956, pg. 200). Raccolta di d isposizioni riguardanti il personale militarizza to (circ. n. 375, 12-VII-1956, G.M. 1956, pg. 1691). Norme per la compilazione dei messaggi (circ. n. 336, 18-VII-1956, G.M. 1956, pg. 1530). Norme per la compilazione dei m essaggi - 1a ristampa - (circ. n. 508, 13-XI-1957, G.M. 1957, pg. 1870). Istruzione per le esercitazioni dei reparti trasmissioni (circ. n. 525, 26-Xl-1957, G.M. 1957, pg. 525). Vedecum dell'apparecchiatura di linea (circ. n. 527, 27-Xl-1957, G.M. 1957, pg. 1912). Vedemecum del marconista operatore pontiradio (circ. n. 528, 27-XI-1957, G.M. 1957, pg. 1913). Manuale per l'ufficiale delle trasmissioni. Appendice al voi. II - Formulario e tabelle (circ. n. 537, 9-Xl-1957, G.M. 1957, pg. I 934). Vedemecum di procedura radiotelegrafica e radiotelegrafonica per operatori marconisti e per specializzati trasmissioni delle varie armi (circ. n. 111, 13-11-1958, G.M. 1958, pg. 577). Vedemecum di procedura per l'operatore centralinista (circ. n. 469, II-VIII-1958, G.M. 1958, pg. 1636). Vademecum di procedura per l'operatore telescriventista (circ. n. 486, 4-IX-1958, G.M. 1958, pg. 1665). Vedemecum per l'apparecchiatore telegrafonico (circ. n. 495 , 10-IX-1958, G.M. 1958, pg. 1733). I" serie di aggiunte e varianti alla pubblicazione Norme per la compilazione dei messaggi (circ. n. 530, l 7-X-1959, G.M. 1959, pg. 2105).
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24 Caricamento della sezione sanità, mod. 1950, n. 5074 (circ. n. 485, 23-IX-1955, G.M. 1955, pg. 2003). 25 Gli aggiornamenti, le aggiunte, le varianti e gli errata-corrige al Catalogo dei materiali del gruppo C (servizio di artiglieria) furono numerosi e costanti ed essi vennero tutti annotati nel Giornale Militare di quegli anni, precisamente: circ. n. 78, 9-1-1954, G.M. 1954, pg. 286; c irc. n. 92, 20-1-1954, G.M. 1954, pg. 309; circ. n. 116, 9-II-1954, G.M. 1954, pg. 345: circ. n. 152, 23-III-1954, G .M. 1954, pg. 437; circ. n. 48, 15-1-1995, G.M. 1955, pg. 120; circ. n. 87, 5-11-1955, G.M. 1955, pg. 252; circ. n. 125, 9-III-1955, G_M. 1955, pg. 382; circ. n . 131, 10-III-1955, G.M. 1955, pg. 386; circ. n_ 286, 20-V-1955, G.M. 1955, pg. 1094; c irc. n. 288, 23-V-1955, G.M. 1955, pg. 1095; circ. n. 366, 25-VII-1955, G.M. 1955, pg. 1278; circ. n. 382, 30-VIl-1955, G.M. 1955, pg. 1456; circ. n. 443, 3-IX-1955, G.M. 1955, pg. 1746; circ. n_ 444, 9-IX-1955 , G.M_ 1955, pg. 1748; circ. n . 445, 9-IX-1955, G.M. 1955, pg. 1748; circ. n . 460, 17-IX-1955, G.M. 1955, pg. 1972; circ. n . 54 1, 22-Xl-1955, G.M. 1955, pg. 2092; circ. n. 542, 24-XI-1955, G.M. 1955, pg. 2152; c irc. n. 22, 2-1-1956, G.M. 1956, pg. 29; circ. n. 70, 19-1-1956, G.M. 1956, pg. 237; circ. n. 110, 19-Il-1956 , G.M. 1956, pg_ 401; circ. n. 192, 9-IV-1956, G.M_ 1956; pg. 583; circ. n. 480, 19-X-1956, G.M. 1956, pg. 2010; circ. n. 561, 5-XII-1956, G.M. 1956, pg. 2208; c irc. n. 562, 5-Xll-1956, G.M. 1956, pg. 2208; circ. n . 26, 14-1-1957, G.M. 1957, pg. 746; c in.:. n. 147, 23- lll-1957, G.M. 1957; pg. 747; circ. n ° 174; 12-lV-1957, G.M. 1957 pg. 798; d n .:. 11 . 182, 30-V-1957, G.M. 1957, pg. 812; circ. n. 213, 16-V-1957, G.M. 1957, p g. 924; circ. n. 2 14, 16-V-1957, G.M. 1957, pg. 925; circ. n. 215, 16-V-1957, G.M. 1957, pg. 926; circ. n. 294, 2-Vll-1957, G.M. 1957, pg. 1247; circ. n° 295, 2-Vll-1957, G.M. 1957, pg. 1248; circ. n. 296, 2-VII-1957, G.M. 1957, pg. 1248; circ. n. 404, 9-IX-1957, G.M. 1957, pg. 1778; circ. n. 451 , 5-X-1957, G.M. 1957, pg. 1726; circ. n. 452, 5-X-1957, G.M. 1957, pg. 1726; circ_ n. 489, 30-X-1957, G.M. 1957, pg. 1851; circ. n. 490, 30-X-1957, G.M. 1957, pg. 1851; drc. n. 107, 12-II-1958, G.M. 1958, pg. 576; circ. n. 109, 12-II-1958, G.M. 1958, pg. 576; circ. n. 205, 26-III-1958, G.M. 1958, pg. 925; circ. n ° 379, 23-JV-1958, G.M. 1958, pg. 1452; circ. n. 380, 23-Vl-1957, G.M. 1957, pg. 1453; circ_ n. 494, 10-IX-1958, G.M. 1958, pg. 1733; circ- n. 175, 13-III-1959, G.M. 1959, pg. 586; circ. n . 179, 13-lll-1959, G.M. 1959, pg. 612; circ. n . 202, I-IV-1959, G.M. 1959; pg. 673; circ. n. 203, I-IV-1959, G.M. 1959, pg. 674; circ. n. 364, 22-VI-1959, G.M. 1959; pg. 1198; circ. n. 201, 10-IV-1959, G.M. 1959, pg. 673; circ. n. 531, 18-X-1959, G.M. 1959, pg. 2106; circ. n. 532, 18-X-1959, G.M. 1959, pg. 2106; circ. n. 553, 31-X-1959, G.M. 1959, pg. 2175. circ. n. 177, 20-III-199, G.M. 1959, pg. 612; circ. n. 336, 28-V-1958, G.M. 1958, p g. 1343; circ. n. 26, 14-1-1957, G.M. 1957, pg. 102. 26 Ministero della difesa. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti. l" Sezione addestramento. L'addestramento militare. Voi. I Organizzazione dell'addestramento dei quadri e delle truppe presso i corpi. Voi. II. Tecnica addestrativa. Pubblicazione n. 9/R. Roma 1957, Tipografia Regionale. La pubblicazione, formato 17,5 X 11,5, approvata dal generale Liuzzi, consta in totale di 425 pagine. Il Voi. I si articola in 4 capitoli, 78 articoli e 6 allegati. Capo I: Generalità_ Capo II: / cicli addestrativi: scopi, sviluppo ed organizzazione. 1. Cicli Addestrativi. Loro scopi e sviluppo. 2. Organizzazione dell'addestramento di I ciclo. A) Addestramento preliminare ed avanzato. B) Addestramento di specializzazione. Programmi. Organizzazione dell'addestramento di specializzazione presso i corpi. Organizzazione dell'addestramento di specializzazione presso gli enti scolastici. 3. Organizzazione dell'addestramento di II ciclo. A) Generalità. B) Arma di fanteria e sue specialità. C) Truppe corazzate . D) Arma di artiglieria: specialità da campagna, pesante, campale
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e pesante; contraerei leggera (e.a.I.), contraerei pesante (c.a.p.). E) Arma del genio: pionieri di arresto, pionieri, altre specialità. F) Arma délle trasmissioni. G) Servizi. H) Formazione dei graduati di truppa delle varie armi e servizi. 4. Organizzazione dell'addestramento di III ciclo. 5. Considerazioni conclusive sui cicli addestrativi. Capo III: Addestramento delle riserve. Capo IV: Lineamenti dell'organizza zione addestrativa in guerra. Allegato 1: criteri e modalità per la ripartizione delle reclute e per l'ordiname nto dei reparti presso i C.A.R. Allegalo 2: scheda valutativa. Allegato 3: elenco delle pubblicazioni per l'addestramento di specializzazione. Allegato 4: addestramento di specializzazione presso i corpi. Modalità organizzative. Allegato 5: formazione dei graduati di truppa. Allegato 6: gra fico delle possibilità offerte all'addestramento di Ili ciclo. Il Voi. Il si articola in 6 capitoli, 103 articoli, 15 allegati. Capo I: Generalità. Capo Il: Organo e mezzi. Sviluppo della pianificazione. Metodo di risoluzione dei problemi addestrativi. I. Classificazione e definizione degli organi e dei mezzi addestrativi (organi preposti all'addestramento, mezzi addestrativi). 2. Sviluppo della pianificazione addestrativa. 3. Metodo di risoluzione dei problemi addestrativi: enunciazione dell'obiettivo addestrativo, valutazione analitica della situazione addestrativa, sintesi e conclusione, ordine per l'addestramento. Capo III: J comandanti e gli slali maggiori. I. Attribuzioni fondamentali dei comandanti e degli stati maggiori preposti all'addestramento. Loro relazioni. 2. Relazioni fra gli stati maggiori <lei diversi livelli gerarchici: la catena funzional e. Capo IV: Stati maggiori preposti all'addestramento con funzioni prevalentemente concettuali. I. Stato maggiore dell'esercito: l'ufficio addestramento. 2. Ispettorati d'arma. 3. Ispettorati e direzioni generali ·dei servizi. 4. Comando militare territoriale o comando di corpo d'armata: gli uffici O.A. od O.A.O.. Capo V: Stati maggiori preposti all 'addestramento con funzioni prevalentemente organizzative. I. Generalità. 2. Comando di divisione di fanteria: l'ufficio O.A.I.O. 3. Comandi d'arma di comando militare territoriale o di corpo d'armata. 4. Comando di reggimento: )'ufficio addestramento: I ciclo (fase di specializzazione), II ciclo, 111 ciclo; organizzazione di particolari attività addestrative, impiego dei mezzi addestrativi, documenti e relazioni addestrative, organizzazione interna dell'ufficio. Capo IV: I comandanti delle unità fondamentali d'impiego e delle unità minori. Generalità. Programmi d 'istruzione particolareggiati (battaglione di fanteria, gruppo di artiglieria campale, pesante campale, pesante. Mezzi addestrtivi. Corso graduati. Azione del comandante dell'unità fondamentale d'impiego. Funzioni esecutive d ei comandanti delle minori unità. Particolari attribuzioni delle unità autonome e dei reparti reggimentali. Allegato 1: definizione dei mezzi addestrativi. Allegato 2: norme per la scelta dei quadri da inviare ai corsi di specializzazione e per il controllo sull'impiego degli stessi a specializzazione conseguita. Allegato 3: pianificazione annuale dei corsi di istruzione. Allegato 4: norme per la produzione, la distribuzione, l'impiego e la conservazione delle attrezzature didattiche. Allegato 5: norme per le richieste e le assegnazioni dei carburanti e lubrificanti. Allegato 6: pianificazione finanziaria. Allega to 7: scheda di relazione annuale su/l'addestramento. Allegato 8: schema di «memoria addestrativa » diramata dal comando divisione e brigata. Allegato 9: registro di poligoni e delle zone di esercitazioni a fuoco nell'àmbito divisionale . Allegato 10: schema di programma di istruzione di massima per il l ciclo (fase specializzazione). Allegato 11 : schema di programma di istruzione di massima per il Il ciclo. Allegato 12: schema di programma di istruzione di massima per il III ciclo. Allegato 13: organizzazione interna dell'ufficio addestrnmt>.ntn di reggimento. Allegato 14: schemi di programma
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particolareggiato di I (forze specializzazione), li e Ili ciclo compilati dal battaglione di fanteria. Allegato 15: schemi di programma particolareggiati di I (fase di specializzazione), II e III ciclo. 27° Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regolamenti_ Sezione addestramento. Organizzazione dei C.A.R. Norme di funzionamento. Circolare n. 95/R del I-X-1955, Roma, 1955. Stato maggiore dell'esercito. Uffic io addestramento e regolamenti. Sezione addestramento. Pubblicazione d ella serie 9500/R/J riguardanti i programmi centraliz· zati di I ciclo delle reclute presso i C.A.R .. Idem. Pubblicazioni della serie 9600/R/I riguardanti i programmi per l'addestramento dei minori reparti fucilieri nel II ciclo e per l'addestramento individuale e di specializzazione presso i corpi. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio d ell'ispett ore delle truppe corazzate. Pubbl. 960fr.C. 1956. Programmi per l'addestramento di specializzazione. Stato maggiore dell'esercito. Ispettorato d 'artiglieria. Programm i per l 'addestramento individuale di specializza. zione. Stato maggiore dell'ese rcito. Ufficio dell 'ispettore per le trasmissioni. Programmi per l'addestramento di s pecializzazione. Stato maggiore dell'esercito. Ufficio addestramento e regola menti. Sc1.ionc addestramento. Circolare n. 11000 del I-IV-1958 Attività addestrativa di I ciclo degli scaglioni reclute, addestramento di specializzazione. Dal Giornale militare si possono tra rre solo le seguenti indicazioni: Programmi di addestramento dei militari delle trasmissioni. Fase. 2: Trasmettitori di leva. Telefonisti. Stenditori guardafili. Prog ramma per l'addestramento avanzato e di specializzazione (circ. n. 50, 15-1-1955, G.M. 1955, pg. 122). Idem. Fase. I: marconisti. ProKramma per l'addestramento ava11zato e di specializzazione (circ. n . 481 , 20-IX-1954, G.M. 1954, pg. 1465): Programmi di addestramento avanzato di specializzazione dei militari addetti alle trasmissioni delle armi di fanteria, truppe corazzate, artiglieria e geni.o Fase. 18, 19 e 20 (circ. n. 88, 5-ll-1955, G.M. 1955, pg. 252); Programmi di addestramento dei militari delle trasmissioni. Trasmettitori di leva. Fase. 3: telefonisti stenditori guardafili dei battaglioni di corpo d'armata e reparti territoriali. Fase. 4: motoristi per gruppi elettrogeni. Fase. 5: centralinisti (circ. n. 315, 20-VI-1955, G.M. l 955, pg. 1162); Programmi di addestramento dei militari delle trasmissioni. Trasmettitori di leva. Fase. 8: fotografi. Fase. 9: operatori cinematografici (circ. n. 367, 25 Vll -1955, G.M. 1955, pg. 2055); idem. Fase. 6: telescriventisti (circ. n. 520, 26-X-1955, G.M. 1955, G.M. 1955, pg. 2092); idem. Fase. 14: colombieri (ci rc. n. 128, 29-11-1956, G.M. 1956, pg. 420); Programmi pe r l'addestramento individuale di specializzazione) (circ. n. 490, 25-X-1956, G.M. 1956, pg. 2034); Programma di addestramento dei militari delle trasmissioni. Fase. 25: norme e programmi per l'addestramento di II ciclo del personale delle trasmissioni (circ. n. 191, 7-V-1957, G.M. 1957, pg. 862) Corsi allievi ufficiali di· compie.mento (Norme generali per la ammissione e per lo scioglimento) Ediz. 1957 (circ. n. 262, 27-V-1957, G.M. 1959, pg. 907); Aggiunte e varianti alla pubbl. 5347 · ·corsi allievi ufficiali di complemento (norme gene rali per ['ammissione e per lo svolgimento), ed, 1957 - (circ. n. 276, 8-V-1959, G.M. 1959, pg. 121); Programmi per i corsi allievi ufficiali. Fase. I. Ediz. 1958 (circ. n. 404, 15-VIl-1958, G.M. 1958, pg. 1478). - Programmi per i corsi a carattere valutativo previsti dalla legge 12-Xl-1955, n. 1137. Fase. I. Corsi valutativi per i ten . col. dei carabinieri. Corsi superiori d'istituto per capitani dei carabinieri · Corsi di perfezionamento d'arma per i tenenti dei carabinieri (pubbl. n. cat. 5317, 1958). Idem. Fase. Il. Corsi valutativi per i ten. col. delle varie armi dell'eserci to (pubbl. n. cat. 5317. 1957). Idem. Fase. 111. Corsi di
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addestramento delle funzio ni di ufficia le s uperiore p er capitani delle varie a rmi dell'esercito (pubbl. n. cat. 5317, 1957). - Prog rammi per i corsi dell'accademia militare (pubbl. n . cat. 5411, 1958). - Programmi d'insegnamento per i corsi di applicazione delle scuole di applicazione (pubbl. n. cat. 5416, 1959). - Programmi di insegnamento pe r i corsi di aggiornamento pro fessionale delle scuole d'applicazione d'arma (pubbl. n. cat. 5431 , 1959). - Regolamento interno delle scuole di applica zione d'arma (pubbl. n . cat. 5483, 1956). - Corsi di addestramento ed attività alpinistica e sciistica delle truppe alpine (n. cat. 5321 , I 959). Tavole didattiche: Munizioni per le unità di fanteria. Prima serie T.IF.2210 (pubbl. n. cat. 5430, 1959). Munizioni della fanteria. Seconda serie T. IF. 2211 (pubbl. n . cat. 5475, 1960). Pistola cal. 9 mod. 34 e moschetto automatico ca/. 9 mod. 4 T.JF.2205 (pubbl. n. cat. 5401 , 1959). Fucile mitragliatore Browning (B.A.R.) mod. /918. Al, cal. 7,62 (.30) T.JF. 2202) (pubbl. n. cat. 5244, 1956). Carabina Winchester ca/. 7,62 (pubbl. n. cal. 5340). Cannone da mm 57 senza rinculo MI B T.TF. 2207 (pubbl. n. cat. 5330, 1957). Cannone da mm 106 senza rinculo M40 (OM 40 Al) T.IF. 2209 (pubhl. n . cat. 5341, 1957). Milragliatrice Bruwning e.al. 12, 7 (O.SO) a canna pesante T. IF. 2203 (n. cat. 5249, 1956). Mitragliatrice Breda cal. 8 mud. 37 T.JF. 2206 (n. cat. 5396, 1958). Il plotone carri. T.IC. (n. cat. 5278, 1958). Il plotone carri. Cambiamenti di formazione. T. IC. 1702 (n. cat. 5279. I 958). Tiro dell'artiglieria e.a.I.: T.JA 1401 (n. cal. 5406, 1958). Cannone da 4<>'56 Ml mod. lii T. IA 2404 (n. cat. 5522, 1957) Cannone da Bf/27 T.TA 24002 (n. cat. 5268, 1956). Cannone da 90'50 T.TA 2406 (n . cat. 5336, 1957). Obice da 105114 T.IA 2047 (n. cat. 5439). Obice da 105122. T.lA 2401 (n. cal. 5220, 1955). Cannone da 14<>'30 T.IA 2403 (n. cat. 5223, 1956). Obice da 155123. T.TA 2405 (n. cat. 5325). Rottura strutture in cemento armato T.IG 3203 (n. cat. 5224, 1957). Demolizione dei legnami T. IC 3201 (n. cat. 5264, 1956). Demolizione delle nervature T.TG.3202 (n. cat . 5266, 1956). Esplosivi. Generalilà T./G.3204 (n. cat. 5305, 1957). Mine caccenditori. Generalità T. TC.3205 (n. cat. 5319, 1957). Rottura dei ferriti T.IG.3206 (n. cat. 5334, 1957). Sbarramenti stradali. T./G.3209 (n. cat. 5398, 1957). La prevenzione degli incendi. I a serie T. JG.3210 e 2 4 serie T.JG.321 I (n. cat. 5435, 1959). Addestram ento alla difesa ABC. Serie /. T.SM 9001 (n. cat. 5219, 1956). 28 Stato maggio re de ll'esercito. Ufficio addestramento. 3• sezione regolamenti Le paltuglie, n. 2000 della serie dottrinale. Roma, 1959. La pubblicazione, formato 17,5 X 12, approvata dal generale Liuzzi, consta di 88 pagine, 73 paragrafi numerati. Comprende: premessa; capo I: generalità; capo 11: formazioni; capo III: piano dell'attività di pattugliamento; capo IV: organizzazione dell'azione della pattuglia; capo V: pattuglia di combattimento; capo VI: paltuglia esplorante; capo Vll: pattuglia di ricognizione; capo VITI: pattuglia di sicurezza; capo IX: pattuglia di collegamento; capo X: addestramento all 'impiego delle pattuglie; alJegato 1: esempio di ordine di pattu gliamento; allegato 2: modello-tipo di rapporto di pattuglia. 29 Minjstero della difesa. Stato maggiore dell'eserc ito. Ufficio dell'Ispettore delle truppe corazza le Istruzione del capo-carro e dell'equipaggio. N. I 100 della serie dottrinale. Roma, 1956 (n. cat. 5130). 30 Stato maggiore dell'esercito. Ufficio d ell'ispettore delle truppe corazzate. Lineam enti d'impiego delle minori unità carri. Voi. II. Impiego della compagnia. n. 1300 d ella serie dottrinale. Roma, 1958 (n. cat . 5388).
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La pubblicazione, formato 17,5 X 11,5, consta cli 149 pagine. 114 paragrafi numerati. E. articolata in avvertenze; parte prima: Generalità; parte seconda: li movimento per via ordinaria e lo stazionamento; parte terza; La compagnia nel comba11imento; 2 appendici. La parte prima consta del capo I: costituzione e caratteristiche della compagnia carri (costituzione, caratteristiche); capo Il: formazioni; capo III: sfruttamento del terreno; capo IV: fuoco e movimento; capo V: cooperazione carri-fanteria. La parte seconda consta del capo I: marce; del capo II: stazionamento. La parte terza consta del cap. I: criteri generali d'impiego e compiti; capo II: ricerca e presa di contallo (dispositivoi esplorante, dispositivo di sicurezza); capo III: avvicinamento (generalità, compagnia carri in rinforzo ad unità di fanteria di ordine superiore, compagnia carri inserita in un gruppo tattico corazzato); capo IV: attacco (generalità), capo V: attacco contro avversario in posizione scarsamente organizzata a difesa (compagnia ca rri in rinforzo ad una unità di fanteria di ordine superiore, inserita in un gruppo tattico corazzato, gruppo tattico corazzato compagnia carri-compagnia bersaglieri, attacco lungo un'unica direzione con i carri seguiti dai bersaglieri, attacco per avvolgimento, compagnia carri rinforzata da un plotone bersaglieri); capo VI: attacco in terreno libero (generalità; attacco contro forze prevalentemente di fant eria , attacco contro unità similari, lineamenti dell'azione); capo VII: compagnia di rincalzo; capo VIII: compagnia carri nello s fruttamento del successo; capo lX: compagnia ca rri nel contra/lacco; c apo X: compagnia ca rri nella manovra ritadatrice; capo Xl; compagnia ca rri nella difesa a tempo determinato di una posizione; capo XII: compagnia carri in a zioni particolari (azioni notturne, azioni nei boschi, combattimenti negli abitati). Appendice I: allribuz.ioni del comandante di compagnia carri relative all'impiego del fuoco. Appendice 2: trasmissioni. 31 Stato m aggio re dell'esercito. Uffic io de ll'is pe ttore delle truppe corazzate. Orientamenti sulla caccia ai carri. N. 1150 d ella serie dottrinale (n. cat. 5411). Roma, 1959. La pubblicazione, formato 17,5 X 11 ,5, consta di 46 pagine, 45 paragrafi numerati, 5 allegati. Si articola in: premessa; capo I: personale e mezzi; capo II: criteri generali; capo III: azioni isolate (generalità, procedimenti di azione); capo IV: azione coordinate con unità di fanteria (generalità; potenziamento di: un posto di sbarramento, di un caposaldo, di una difesa temporanea; controllo degli inten1alli tra caposaldi; controllo degli intervalli fra i caposaldi minori di un caposaldo a struttura nucleare); capo V: azioni coordinate con unità carri; capo VI: addestramento (individuale, di reparto). Allegato I: sezione di una buca per cacciatori di carri. Allegato 2: schema di «rete semplice». Allegato 3: schema di «rete doppia». Allegato 4: reti semplici cacciatori a potenziamento di un posto di sbarramento. Allegato 5: doppie reti cacciatori a potenziamento di un caposaldo controcarri. Allegato 6: doppie reti cacciatori a potenziamento di una minore unità di fanteria a temporanea difesa di una posizione. 32 Rivista Militare, 1958, II, pg. 185 L'esercito di Vittorio Veneto e l'esercito di oggi, <lei gen. Giorgio Liuzzi, pg. 193. 33 Vds. precedente nota n. 26.
ORDINAMENTO DEiLb1 STATO MAGGIORE ·DELL'tS~RCITd DAL 1950 AL 1976
ORGANIGRAMMA DELLO SME NEL 1950 (primo semestre) F.n. 1105 /ORO. I 25.4.1950 dello S.M.E. ord. Ca.SME
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UFFICIO MOVIMENTI E TRASPORTI
UFFICIO INFRASTRUTTURE
UFFICIO STAMECO (ISPEL)
UFFICIO OOCUM ENTAZIONE
E PROPAGANDA
UFFICIO STORICO
UFFICIO RIVISTA MILITARE
INDICE DEGLI SCHIZZI
l . Le operazioni militari
Italia dell'esercito di liberazione 10 luglio 1943-8 aprile 1945 . . . . . . . . . Pag. 2. L'attacco di Monte Lungo - 8 dicembre 1943 . . . . . » 3. L'attacco di Monte Lungo - 16 dicembre 1943 . . . . » 4. L 'azione di M. Marrone - 31 marzo 1944 . . . . . . . . » » 5. Operazione «Chianti» 28, 29 e 30 maggio 1944 . . . » 6. L'avanzata del C.I.L. (maggio-agosto 1944) . . . . . . 7. Le azioni del C.l.L. su Filottrano 6-9 luglio 1944 » 8. Le forze contrapposte in Italia nella primavera 1944 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 9. Gruppo di combattimento «Cremona». Situazione grafica alla data del 23 gennaio 1945 . . . . . . . . . . . » 10. Gruppo di combattimenLo «Cremona ». Ope razio» ne «Rino» - 2 marzo 1945 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11. Gruppo di combattimento «Cremona». Situazione gra fica alla data del 7 aprile 1945 . . . . . . . . . . . . . . » 12. Gruppo di combattimento «Cremona». L 'avanza» ta dal 23 al 29 aprile 1945 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 13. Gruppo di combattimento « Friuli». Schieramento alla data IO febbraio 1945 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 14. Gruppo di combattimento «Friuli». Opera zione » «Pasqua» (11-14 aprile 1945) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 15. Gruppo di combattimento « Friuli». Avanzata sul Sillaro e sull'Idice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 16. Gruppo di combattimento «Friuli». L'avanzata dal Senio a Bologna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 17. Gruppo di combattimento «Folgore». Schieram ento dei reparti alla data del 7 marza 1945 .. . . 18. Gruppo di combattimento «Folgore». Operazioni tra il Santerno ed il Sillam (12-15 aprile 1945) . .. 19. Gruppo di combattimento « Folgore». Operazioni tra il Sillaro e ['!dice (17-21 aprile 1945) .. . .. . . . 20. Gruppo di combattimento «Legnano». S chieram ento dalla data 23 marzn 1945 .. .. . . .. .. . .. . . in
60 88 89 97 103 106 112
143 146 148 151 155 161 163 168 170
))
172
))
177
))
183
))
188
1214
FILIPPO STEFANI
21. Gruppo di combattimento «Legnano». L'azione
offensiva dal 18 al 21 aprile 1945 ............. . Pag. » 22. L'offensiva finale del XV gruppo d'armate alleate » 23. La controffensiva sovietica (luglio-agosto 1943) » 24. L'offensiva sovietica dell'autunno 1943 .... . ... . 25. La controffensiva tedesca al saliente sovietico di Zhitomir ...... ... ....... ........... . ..... . 26. Le operazioni sulla fronte orientale gennaio-aprile 1944 ... .... ... . .. .......... ... ... .. .... . 27. L'offensiva sovietica nello scacchiere ·settentrio» nale gennaio-marzo 1944 ... . .. . .. . .. . ...... . 28. L'offensiva sovietica dell'estate 1944 . .. ....... . » 29. Operazione «Overlord» - Fase «Neptune» ...... . 30. Raggiungimento della Senna da parte degli alleati 3 1. Linee di contatto sulla fronte occidentale dal 15 settembre al 15 dicembre 1944 .............. . . » 32. La controffensiva tedesca delle Ardenne ....... . 33. La reazione alleata alla controffensiva tedesca » delle Ardenne ........ . ...... .............. . » 34. Il teatro operativo del Paci fico . ...... .. ... ... . 35. La battaglia di Leyte . ... . . ....... .... . ..... . » 36. L'avanzata sovietica in Polonia e Prussia .. . . .. . 37. Le battaglie alleate per la conquista della Germania ........ ...... ................. ... . . » 38. La battaglia di Vienna ...................... . » 39. La battaglia di Berlino . .. . . . ............ . ... .
193 196 243 245
))
-246
))
252
))
255 262 277
))
285
))
288
))
))
297 306 311 313
318 323 332 333
INDICE GENERALE
Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
CAPITOLO XLII -
3
LA DISFATTA. LA RESISTENZA
1. La situazione militare generale dell'Asse dall'estate del 1942 a quella del 1943 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Il tradimento tedesco di Feltre . . . . . . . . . . . . . . . . 3. La disfatta spirituale e morale . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Il gove rno del re . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Il governo di Salò . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Le componen ti della resistenza . . . . . . . . . . . . . . . 7. L 'aspetto politico della resistenza . . . . . . . . . . . . . 8. Le formazioni partigiane ed il Corpo Volontari d ella libertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
CAPITOLO XLIII -
Pag.
»
5 11 14 19 25 34 39
»
42
»
53 61 73
» » » »
» »
LA CAMPAGNA D'ITALIA
1. L'inserimento dell'esercito italiano nella campagna degli alleati in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La campagna degli alleati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. La campagna dei tedeschi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» »
CAPITOLO XLIV - L'ESERCITO ITALIANO NELLA GUERRA DI LIBERAZIONE
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
Il raggruppamento motorizzato .............. . Il C.I.L. .... . ........ ....... . . ....... .... . . Limiti operativi del I raggruppamento e del C.T.l. I gruppi di combattimento .................. . Il gruppo «Cremona» ....................... . Il gruppo «Friuli » .. . ...... ..... ..... ....... . Il gruppo «Folgore ...... . ...... . ........... .
»
87 100
))
121
))
))
»
» ))
128 144 159 173
1216
FILIPPO STEFANI
8. Il gruppo «Legnano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. » 9. I gruppi «Mantova» e «Piceno» . . . . . . . . . . . . . . . . 10. Consuntivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
187 197 198
CAPITOLO XLV - GLI ULTIMI DUE ANNI DI GUERRA NEGLI ALTRI TEATRI OPERATIVI
1. Gli avvenimenti politici e diplomatici . . . . . . . . . . 2. La sconfitta tedesca nella battaglia dell'Atlantico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. L'offensiva strategica aerea degli alleati in Europa 4. Le operazioni in Russia: la controffensiva sovietica dell'estate, l'offensiva autunnale del 1943, la «campagna del fango» dell'inverno-primavera 1944, l'offensiva sovietica dell'estate-autunno dello stesso anno e la liberazione dell'Unione Sovietica . . . . . . 5. L'«Overlord» e la liberazione della Francia . . . . . 6. La controffensiva tedesca delle Ardenne . . . . . . . . 7. La guerra nel Pacifico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8. L'epilogo della guerra nell'Europa occidentale . . 9. L 'epilogo della guerra nell'Europa orientale e nei Balcani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 10. L 'epilogo della guerra ne ll'Estremo Oriente . . . . .
»
221
»
230 236
»
»
» » »
»
»
»
244 273 295 310 317 331 337
CAPITOLO XLVI - EREDITA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE
1. Gli e rrori strategici del tripartito . ........... . .
2. Guerra «mondiale» e guerra «totale» .......... . 3. La direzione politica e militare della guerra nei
4.
5. 6.
7.
vari Stati belligeranti e l 'organizzazione del comando ................................... . Principali fattori che influenzarono la strategia .. L'offensiva e la difensiva in campo strategico e tattico .... .. ....... ... .............. . .... . Il ritorno all'età degli imperi, il bipolarismo politico, il processo di decolonizzazione .......... . L'avvento dell'era nucleare .... . ............. .
))
»
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»
»
362 368
371 379 388 401 406
12 17
INDICE GENERALE
CAPITOLO XLVII - INIZIO DELL'ERA NUCLEARE SPAZIALE (1945-1959) 1. La portata delle nuove armi . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Pag.
4 1I
L'O.N.U. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
Politica strategica sovietica dal 1945 al 1960 . . . . . Politica strategica americana dal 1945 al 1960 . . . L'Europa occidentale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Le principali operazioni militari del periodo . . . . Quindici anni di logica della guerra . . . . . . . . . . .
»
»
4 16 42 1 438 444 440 46 "
1. La strategia della risposta massiccia .......... .
»
481
La credibilità della risposta massiccia ......... . La strategia della risposta flessibile .... . ...... . La strategia compensativa .................. . La situazione di stallo della strategia politica e militare .................... .... .......... . 6. La visione del nuovo ambiente operativo della guerra convenzionale e la nuova dottrina d'impiego delle forze convenzionali aeroterrestri ...... . 7. Le armi spaziali ........................... . 8. Le nuove armi convenzionali aeroterrestri ..... .
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2. 3. 4. 5. 6. 7.
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CAPITOLO XLVIII - LA STRATEGIA E LA TATTICA NEL· L'ERA NUCLEARE E SPAZIALE: DAL DOPOGUERRA AL DUEMILA
2. 3. 4. 5.
CAPITOLO XLXIV - L'ESERCITO
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NELL'IMMEDIATO PE-
RIODO POSTBELLICO
1. La Repubblica, la Costituzione, il trattato di pace 2. La colpevolizzazione del corpo di stato maggiore
dell'esercito, dello stato maggiore generale, dei marescialli d'Italia e dei generali d'armata ..... 3. La politica militare dei governi determinati dalla coalizione del C.N.L. ............. . ...... ... . 4. L'esercito di transizione . ................... . 5. L'esercito del trattato di pace ............ .... .
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555 562
1218
FILIPPO STEFANI
6. La ripresa dell'attività culturale e i grandi dibatti-
ti del dopoguerra . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 1. La nuova regolamentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 8. L'esercito al momento dell'adesione dell'Italia al «Patto atlantico» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
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CAPITOLO L - LA RICOSTRUZIONE E LA RIPRESA 1. La politica interna ed estera italiana dal 1948 al 1960 .................................. · · · · 2. La politica militare italiana dal 1948 al 1954 e gli
3.
4. 5. 6.
1. 8. 9.
10.
11.
12.
stanziamenti di bilancio per l'esercito nel decennio 1948-1957 ............................. . La soluzione data al problema dell'esercito nei limiti del trattato di pace e della disponibilità finanziaria ............................. .. . L'impiego delle varie armi nel progetto del nuovo ordinamento . ............................. . L'esercito di campagna ..................... . L'organizzazione centrale e l'organizzazione territoriale .................... . .............. . L'organizzazione scolastica e addestrativa ..... . Conclusioni sul progetto del nuovo ordinamento ................................... . Sviluppo dell'esercito di campagna ........... . Sviluppo dell'organizzazione centrale e periferica, di quella territoriale, di quella operativa e di quella logistica ........... . .............. . . . Sviluppo dell'organizzazione scolastica e addestrativa .................................. . Conclusione sulla ricostruzione ........ . ..... .
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CAPITOLO LI - LA RICOSTRUZIONE DOTTRINALE 1. 2. 3. 4. 5.
La situazione di partenza ................... . L'area difesa ...................... . .... . . . . La difesa su ampie fronti ............ .. ..... . L'esplorazione ............................ . La divisione di fanteria e la brigata alpina . . ... .
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INDICE GENERALE
6. I reparti carristi nelle grandi unità di fanteria . . . Pag. 7. Carri armati e unità corazzate nel pensiero del generale Liuzzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 8. La divisione corazzata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 9. Il campo minato in campo strategico ed in quello tattico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » » 10. La cooperazione aeroterrestre . . . . . . . . . . . . . . . . 11. La nuova nomenclatura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . »
744 750 756 775 779 783
CAPITOLO LII - LA TECNICA D'IMPIEGO E L'IMPIEGO DELLE VARIE ARMI NEGLI ANNI 19491954 1. L'addestramento individuale al combattimento
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2. Le pattuglie di fan teria, la squadra, il plotone e la
compagnia fucilieri .... ... ... ....... ... . ... . 3. Il battaglione di fanteria . .. .............. ... . 4. Il reggimento di fanteria ed il raggruppamento tattico ......... . ............ .. . ...... . ... . 5. Il reggimento di cavalleria blindata .......... . 6. L'artiglieria .. ...... .. .... . . . .. . ........... . 7. Il genio . . .. .... .. .. . ......... .. ..... .. . .. . 8. Il battaglione mobile carabinieri ... .. .. .... . . . 9. La regolamentazione logistica, tecnica e varia .. .
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849 853 869 881 886 892
CAPITOLO LIII - L'ESIGENZA «SOMALIA» E L' ESIGENZA «TRIESTE ». IL PRIMO RIDIMENSIONA· ME NTO DELLE FORZE
1. Il corpo di sicurezza in Somalia . . . . . . . . . . . . . . .
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La questione di Trieste . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'esigenza « T» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Luci e ombre dell'esigenza «T» . . . . . . . . . . . . . . . . Il taglio degli stanziamenti dell'esercizio finan ziario 1954- '55 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. La gravissima crisi degli inizi della seconda metà degli anni cinquanta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7. La fine di un ciclo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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2. 3. 4. 5.
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919 925 929 935
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942
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949 961
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FILIPPO STEFANI
CAPITOLO LIV - L'AVVENTO DELL'ARMA ATOMICA TATTICA
1. L'esperienza della seconda guerra mondiale e
2.
3. 4. 5. 6. 7.
l'elaborazione della dottrina convenzionale postbellica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. L'azione difensiva nelle circolari 3000 e 3100 e nelle pubblicazioni della serie dottrinale 2000 . . . » La situazione internazionale e interna ed i riflessi sulla politica militare italiana . . . . . . . . . . . . . . . . » Incoerenza tra politica estera e politica militare . » I principali quesiti posti dall'arma atomica . . . . . » Le risposte concettuali italiane all'avvento dell'arma atomica tattica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » Precisazioni sulla dottrina convenzionale in vigore »
971 978 983 990 994 1003 1008
CAPITOLO LV - LA SERIE DOTTRINALE 600 1. Genesi e sviluppo della nuova serie dottrinale
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2. Generalità dell'azione difensiva su terreni di pia-
nura e collinosi con impiego di armi atomiche .. 3. Concezione, organizzazione e condotta della dife-
sa in pianura ed in terreni collinosi .. ... ... . . .. 4. Generalità sull'azione difensiva in montagna con 5. 6. 7. 8. 9. 10.
impiego di armi atomiche .................... Concezione, organizzazione e condotta della difesa in montagna ............................. La manovra in ritirata ....................... L'azione offensiva su terreni di pianura e collinosi L'azione offensiva su terreni di montagna ...... Impiego tattico delle armi atomiche . ..... . . . .. Sintesi della nuova dottrina tattica .......... . .
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CAPITOLO LVI - ALTRI REGOLAMENTI DEGLI ANNI 1955-59
Limiti e sviluppi della serie dottinale 600 . . .... .
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2. Le Norme d 'impiego della divisione corazzata . . .
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1.
1101 1105
1221
INDICE GENERALE
3. Le Norme d'impiego del reggimento di cavalleria blindata ... . ....... . . .. ........ .. . . .. . . .... Pag. 4. Panorama logistico ..... . ................... 5. Il Nuovo Nomenclatore organico-tattico-logistico 6. I lineamenti d'impiego delle minori unità carri e la caccia ai carri ........ . . ........... . . . .... 7. La regolamentazione addestrativa ... . .. . ...... 8. Considerazione conclusiva ................... ))
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Indice degli schizzi ... . ............ . .... . .... .. .
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Indice generale .... .. . . . . . ... . .... . . ..... . . ... .
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1215
Ordinamento de llo stato maggiore dell'esercito dal 1950 al 1976 . ..... . ....... . .. . .... . .... . .... . . .