STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO UFFICIO
STORICO
EDOARDO SCALA
LA GUERRA DEL 1866 ED ALTRI SCRITTI
ROMA - 1981
PROPRIETA'
LETTERARIA
Tutti i diritti riservati Vietata la riproduzione anche parziale senza autorizzazione
Tipografia Ht'.g ionalc - Roma - 1981
PRESENTAZIONE
E'
ormai divenuto un luogo comune affermare che in Italia
i buoni studi di storia militare sono rari,
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La storia militare italiana
ha poche opere e pochi autori che valgono la pena di essere letti con atl<.:nzione » scrive un noto giornalista con propensioni storiografiche su un grande quotidiano e gli fa eco un docente universitario ~u 11,u rivista specializ7,ata « Non si può certo dire che lo studio de i problemi della storia militare sia particolanm:ute coltivato in
It alia ». Sen za voler togliere nulla all'autorità di queste affermazioni, riteniamo che le condizioni di salute della storia militare italiana non siano tanto precarie. Esiston o, è vero, alcune carenze negli studi più specificamente rivolti all'esame dei rapporti tra politici e militari in tempo di pace , carenze che si stanno peraltro progressivamente eliminando, ma per quanto attiene alla storia militare propriamente detta, l'Italia conta una schiera di studiosi di assoluto rispetto. E' vero piuttosto che le opere di questi storici, per lo più ufficiali di carriera, non hanno avuto una grande diffusione editoriale e sono spesso quasi introvabili sul mercato. L ' Ufficio Storico ha deciso pertanto di procedere alla ristampa, integrale o parziale, di alcune di queste opere al fine di contribuire a quel risveglio di interesse per gli studi storici che si sta diffondendo nel Paese. In questo primo volume della collana sono ripresentati alcuni scritti del Generale Edoardo Scala, storico militare assai attivo nel trentennio che va dal 1926 al 1956, dando la precedenza a La guerra
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. LA GuuaA DEL
1866
ED ALTlU SCJUTTI
del I866, a tutt'oggi la pi~ completa sintesi degli avvenimenti bellici di quell'anno. Seguono, ordinati cronologicamente, alcuni capitoli tratti da altre -opere nei quali vengono messi a fuoco particolari momenti dell'evoluzione dell'arte e della tecnica militari.
h. CAPO
UFFICIO STOllICO
IL GENERALE EDOARDO SCALA *
• Articolo pubblicato sul n.
3/1rfio
della « Rivista Militare».
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prime manifestazioni dell'attitudine di Edoardo Scala a partecipare attivamente alla vita culturale si ebbero a Palermo, quando egli era, poco più che ventenne, sottotenente nel 14" reggimento fanteria della Hrigata << Livorno » . Erano i primi anni del secolo XX, la sociologia militare faceva i primi passi e la campagna propagandistica contro il supposto militarismo delle Forze Armate italiane era divenuta molto intensa. Formatosi in un ambiente imbevuto di cultura umanistica - il padre era professore di liceo - il giovane ufficiale, che i rapporti" informativi concordemente descrivono come molto studioso, sente una forte spinta ad uscir fuori daU' ambiente della caserma e confrontarsi con la vita della cultura e con il mondo esterno alle Forze Armate. Sono infatti degli anni fra il 190 5 e il 1908, e si noti che egli era nato a Ragusa nel 1884, una conferenza pubblica su La funzione tecnica e la missione educativa degli ufficiali subalterni e un articolo per il quotidiano L'Ora riguardante La saldezza dell'Esercito e l'antimilitarismo. Un giovanissimo sottotenente che affrontava un vasto pubblico su argomenti tanto impegnativi era certamente dotato di grande sicurezza di sé e di assoluta fiducia nelle proprie idee, due qualità che Scala conserverà per tutta la vita. La destinazione nel 1908 alla Scuola Militare di Modena, nella quale si formavano allora gli ufficiali di fanteria e di cavalleria, aderisce bene alle sue naturali propensioni verso l'insegnamento e la divulgazione. A Modena, il tenente Scala insegna arte militare e tiene anche pubbliche conferenze su vari argomenti. Ci è pervenuto il testo di quella, tenuta nel 1911 all' Università Popolare, su L 'Esercito moderno. Con citazioni di scrittori militari, ma anche di Orazio e del prediletto Carducci, egli, già allora, tende ad una maggiore comprensione da parte della collettività nazionale della vita e delle esigenze dell'Esercito e ad una più stretta e cosciente integrazione di quest'ultimo nella vita sociale e culturale del Paese. Quanto fosse integrato il nostro autore nella cultura « civile >>, lo dimostra la laurea in giurispruden za da lui conseguita nello stesso anno.
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LA GUE RRA Dt::L
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EO ALTR I SCRITTI
La grande guerra lo sottrae all'insegnamento ed egli inizialmente t 1i partecipa con il T49° fanteria, poi con il 7 1 ° ed infine con J/ suo vecchio 34°. Ferito nell'autunno del 1915 da uno shrapnel austro - ungarico, ritorna per un bret1e periodo a Modt·na come insegnante di quei corsi accelerati che fornirono migliaia e migliaia di ufficiali di complemento ai reparti mobilitati. Tornato al fronte, ha modo nei giorni difficili di Caporetto di guadagnarsi una medaglia d'argento, comandando un battaglione del 71° sul Globocak. Terminata la guerra, il maggiore Scala è assegnato alla Scuola di Applicazione di fanteria di Parma, or,e insegna storia politico miìitare dal 1920 al 192 3. Si apre un periodo assai fruttifero per lo studioso che inizia anche una intensa attività di scrittore, destinata a continuare negli anni seguenti, quando sarà a Torino come allievo, e subito dopo come docente, della Scuola di Guerra. Appartrn gono agli anni rii Parma i primi lavori storici, come le Le:lioni di storia politico - militare, L a guerra russo - giapponese e Le istituzioni m i1itari sabaude nei secol i XV e XVI, un argomento quest'ultimo che egli continuerà ad approfondire negli anni successivi. Anche durante il periodo di esperimento, con il grado di tenente colonnello, presso ii Comando del Corpo d'Armata di 'forino , Edoardo Scala continua a svolgere un'attività che gli è assai congeniale: quella di con ferenziere . Particolarmente importante, perché delinea in modo estremamente chiaro il programma cui restò fedele per tutta la vita, è il discorso su Il Paese, la Scuola e gli studi mil itari in Italia, tenuto presso la Scuola di Guerra. Al centro della sua relazione è la necessità di giungere ad una saldatura fra Esercito e Nazione che faccia perno sulla funzione àviie delle Forze Armate e sulla rivalutazione della forma zione culturale degli ufficiali, basata, quest'ultima, sulla conr,inzione che « la cultura militare non è che una parte della cultura generale». Anche per questo, ,e un esercito nazionale . .. non può, infatti, considerarsi come una istituzione a sé, che possa vivere una vita troppo diversa e lontana da quella della Nazione ». Altre conferenze, che risentono probabilmente delle idee del Vacca Maggiolini, che fu suo insegnante, furono in seguito riunite nel volume Napoleone I, l'uomo, l'italiano, lo stratega, pubblicato nel 1926. Particolarmente notevole è la terza parte del libro, la più matura, che illustra la campagna del 1806 contro la Prussia e traccia un sintetico ma preciso quadro del 'arte militare napoleonica. Nel periodo fra il 192 5 e il 1929, anno della sua promozione a colonnello, Edoardo Scala è dapprima aggiunto di Pietro Mara-
1 I. GEN.f.RALE EJlOARJ>O SCALA
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vigna, poi suo successore, nella cattedra di storia militare del massimo istituto culturale dell'Esercito. Sono gli anni in cui vedono la luce numerose pubblicazioni di carattere storico, direttamente collegate alìa sua attività di docente. Fra esse: L a g uerra per la success ione di Spagna: la cam pagna del 1712 nelle Fiandre; Federico 11 e la guerra d i movimento nel secolo XVIll : la ca mpagn a del 1757; Lezioni su alcune campagne di Napoleone I; La campagna del 1849; La campagna franco germanica del 1870 - 1871: le manovre di Metz e di Sédan; La campagna napoleonica J el 1805; La g uerra nella storia antica: la manovra centrale del console C lauJio Nerone nel 207 a.C. e il volume gemello dedicato a-La cam pagn a del 54 a.C. n elle Gallie . Bastano i titoli di questi libri, apparsi tutti nei bret e ciclo di cinque anni, per dare un'idea suffìciente di quanto fosse ampio il raggio della ricerca storiografica del loro autore. Nell'armo 1929 viene pubhli,:ato presso la Casa Editrice ,, Tiber n di Roma una delle opere più note e meglio articolate di Scala: L a guerra del 1866 per l'unità d ' Italia. Renché destinato anche ai lettori non specialisti, il hbro si raccomanda per l'equilibrata sintesi de!!Ji avvenimenti politico - militari, al cui centro si colloca la sfortunata giornata di Custoza. Densa di informazioni anche sugli aspetti minori della campagna, l'opera non rinuncia ad individuare, senza parzialità e senza riguardi, le responsabilità dei più alti comandanti e resta, ancor oggi, il più moderno saggio di storia militare specificamente dedicato all'argomento. Durante la permanenza a Torino e poi a Milano, ove comanderà dal 19p al 1934 !'8' fanteria « Cuneo )), così come in seguito a Roma, Edoardo Scala ha l'incarico dell'insegnamento della storia militare nelle Università delle tre città. Terminato il periodo di comando a Milano, il colonnello Scala viene chiamato a Roma per dirigere la Ri vista Ji F anteria, che aveva assunto particolare importanza in seguito alla sospensione delle pubblicazioni della Rivista Militare Italiana. A quest'ultimo periodico non era mancata negli anni precedenti una sua collaborazione, destinata a 1·iprendere allorché la Rivista Militare sarebbe tornata alla luce nd secondo dopoguerra. Alla Rivista d i Fanteria il nuouo direttore diede notevole im pulso, arricchendone il contenuto e portandola ad occuparsi anche di materie 11011 professionali, ad esempio con ampie recensioni di importanti not ità letterarie. 1
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LA GUF.R RA DEL
1866
F.I> A LTRI SCRITTI
E' di quegli anni il volumetto La nostra fanteria 1914 - 1935 che, dietro un aspetto modesto, racchiude una lucida e rapida sintesi del!'evoluzione della tattica della fanteria italiana durante la prima guerra mondiale. Nello stesso periodo Edoardo Scala, promosso nel frattempo generale di Brigata, cura La pubblicazione delle opere dedicate alle milizie sabaude dagli antichi scrittori Gian Francesco Galeani Napione e Giovanni Antonio Levo. Nel riprendere un argomento cui si era in precedenza più volte dedicato, egli traccia nell'am pia e informata prefazione un breve ma chiarissimo disegno della storia della guerra in Italia. La capacità di presentare al lettore in modo limpido e comprensibile anche gli argomenti più ponderosi è una qualità che Scala conserverà in tutta la sua lunga attività di scrittore, giovandosi forse del!' esperienza m aturata attra11erso la sua intensa opera di conferen ziere. L'inizio della seconda guerra mondiale vede il generale Scala al comando della Divisione di fanteria (( LeJ;nunu », impegnata nella breve campagna del giugno 194n sulle Alpi Occidentali. Co/locato i'anno successivo nella riserva, 11iene richiamato m servizio e dirige nel 1942 -43 la Rassegna di Cultura Militare, nella quale erano confluite la Rivista di Fanteria, la Rivista di Artiglieria e Genio e il giornale di inform azione politico - m ilitare Le Forze Armate, assumendo così il controllo di tutti i periodici del/' Esercito. Anche in un periodo estremamente difficile, durante il quale la stampa era sottoposta a pesanti e convergenti pressioni, dimostra il suo equilibrio e la sua capacità di tenere un costante contatto con il lettore. Passata la bufera della guerra, Edoardo Srala riprende immediatamente la sua attività di scrittore. E' del 1948 La riscossa dell'Esercito, pubblicato dall' Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, un libro che, dichiaratamente , non vuole essere un lavoro storiografico compiuto, ma una rivendicaz ione immediata dell'azione, della lotta e dei sacrifici dell'Esercito dopo l' 8 settembre 194 5, allora pochissimo conosciuti. Gli episodi di reazione ai tedeschi nei tragici giorni successivi all'armistizio, la difficile resisten za dei reparti rimasti nei Balcani e nell'Egeo, le operazioni delle unità dell'Esercito che con peso crescente partecipano alla guerra sul fronte italiano, trovano in Scala un eloquente e commosso illustratore, dando vita ad un libro il cui valore morale va al di là dei pregi storiografici, che pure non mancano.
I L GENERALE
EDOARDO SCALA
Il
Subito dopo, il generale Scala si dedica ad un'impresa di grandissima ampiezza, cui certamente pensava già da parecchio tempo. Si tratta di dedicare alle fanterie italiane, dalle origini preromane alla seconda guerra mondiale, un'opera storiografica di enorme mole che possa sostenere il confronto con la monumentale Storia dell 'artiglieria italiana, dovuta all'iniziativa di Carlo Montù ma redatta da numerosi scrittori. Il generale Scala affronta l'impresa da solo e in età niente affatto giovanile. Tuttavia, nel giro di pochissimi anni, dal 1950 al 1956, vengono pubblicati, sotto l'egida dell'Ispettorato dell'Arma di fanteria, dieci grossi volumi, per un complesso di oltre settemila pagine. Dalle fanterie italiche a quella romana, dalle milizie comunali alle compagnie di ventura, dai combattenti italiani nelle armate napoleoniche alle guerre del Risorgimento, la storia delle fanterie viene fatta praticamente coincidere, ed è giusto che sia wsì, con la storia generale della guerra e del!' arte bellica in Italia. Anche i volumi dedicati ai due conflitti mondiali ed alle guerre coloniali (nei quali crebbe l'importanza delle altre Armi), mentre descrivono l'azione fondamentale e preminente della fanteria, disegnano in effetti una vera e propria storia militare dell'Italia moderna. Ricchissimi di in/ormazioni anche su gli episodi minori sono poi i tre volumi dedicati alle specialità dcli' Arma, granatieri, alpini e bersaglieri, e quello che tratta, dal Risorgimento alla Resistenza, della partecipazione dei volontari, singolarmente o in Corpi speciali, alle guerre sostenute dall'Italia. Sembra impossibile che un lavoro di tanta ampiezza e varietà dt argomenti sia stato affronta to e portato a termine da un solo scrittore senza aiuti di sorta e in così breve tempo. Eppure, Edoardo Scala con la Storia delle fanterie italiane combatté e vinse, con una operosità senza precedenti, la sua più difficile battaglia. Negli stessi anni egli, tuttavia, non trascurò la collaborazione a riviste e periodici ed a diverse opere collettive. Fu, inoltre, il promotore ed organizzatore del M useo finalmente dedicato in Roma alla più antica delle Armi, svolgendo anche le funzioni di vice presidente dcll' Associazione nazionale del fante. A pochi anni dalla morte, che lo coglierà nel 1964, Edoardo Scala è ancora molto attivo come scrittore, pubblicista e conferenziere. Proprio nella stessa città di Palermo che, nel lontano 1905, aveva visto il suo primo approccio con il pubblico, tenne nel 1 960
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la sua ultima conferenza sulL'apporto della Sicilia al Risorgimento italiano. Si concludeva così l'intensa attività di Edoardo Scala, studioso attento e operoso scrittore, che riuscì sempre a combinare la ricerca storiografica con un incessante sforzo volto a far uscire la cultura militare dal chiuso della specializzazione per inserirla nel!'ampia corrente della vita culturale italiana.
VINCENZO GA LLINARI
PARTE PRIMA
LA GUERRA DEL
1866
l. LE CAUSE DELLA 'GUERRA E LA PREPARAZIONE POLITICA
Dopo la costituzione del Regno d'Italia, due mète occorreva ancora raggiungere per conseguire l'unità della Patria: Roma e Venezia. L'occupazione di Roma - già affermata necessaria dal Cavour e poi, morto il grande ministro (6 giugno 1861), dal Ricasoli che gli successe nel Ministero, e da Garibaldi, che, nella sua generosa impazienza, aveva già fatto un tentativo per liberare Roma e ricongiungerla all'Italia (Aspromonte, 19 agosto 1862) - veniva contrastata dalla Francia, poiché l'Imperatore Napoleone III, per ragioni di p<>litica interna, non poteva acconsentire aJl'abolizione del p<>tere temporale dei Papi. Per evitare all'Italia l'umiliazione di vedere Roma ancora occupata da armi straniere, il 15 settembre 1864, il Ministero Minghetti aveva anzi conclusa colla Francia una convenzione, per la quale il Governo italiano s'impegnava a rispettare cd a far rispettare l'integrità territoriale dello Stato pontificio, e quello francese si obbligava a far sgombrare il territorio romano dalle proprie truppe. La convenzione doveva avere effetto soltanto quando la capitale del Regno d 'Italia, da Torino, fosse stata trasferita in un'altra città; e, infatti, quando, col passaggio della capitale a Firenze ( 1865), gli Italiani dimostrarono di avere rinunziato a Roma, poté iniziarsi il richiamo delle truppe francesi dagli Stati pontifici.
* * * Ugualmente difficile appariva l'esaudimento dei voti degli Italiani per la liberazione del Veneto, per quanto « il sentimento pubblico in Itali a fosse già tutto rivolto al componimento dell a indipendenza cd unità nazionale, con un fervore , un desiderio, una fede che trascorrevano all'impazienza >1 (1). (1) Relazione ufficiale italiana snlla campagna del 1866.
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LA GUE RRA D EL
1866
ED ALTRI SCRITTI
Alla soluzione del diffì.cile proble ma - che interessava l'esistenza stessa della nazione ( < in quanto il trattato <li Zurigo, confermando i patti di Villafranca e lasciando l'Austria padrona del Mincio e dell'Oltrepò mantovano, le aveva mantenuto tanta potenza offensiva di qua dalle Alpi da rendere quasi illusoria la proclamata indipendenza italiana » (I) - era possibile pervenire : o correndo l'alea di una guerra dell'Italia sola contro l'Austria, od ottenendo la cessione del Veneto con pacifì.ci negoziati, oppure, infine, profittando dell 'alleanza con un'altra nazione ostile all'Austria per una guerra contemporanea, che rendesse meno difficile la vittoria. Esclusa, per la nostra in1preparazione, la possibilità di impiegare il primo mezzo, il Ministero La Marmora aveva tentato la via dei negoziati cd avrebbe offerto al Governo di Vienna un indennizzo pecuniario, se il Nigra, ambasciatore italiano a Parigi, non lo avesse avvertito della impossibilità di ottenere dall'Austria la cessione del Veneto mediante un compenso in danaro. Si pensò al.lora <li riscattare i diritti turchi sui Principati danubiani del principe Couza e di offrire quindi i Principati stessi all'Austria in cambio del Veneto; ma , intanto, per opera del Bismarck, sì andava preparando la possibilità di quell'alleanza italo - pruss iana, che l'acume politico del Cavour aveva già intuìto come possibile. Infatti, fìn dal gennaio 186!, per proposta appunto del Cavour, il Re Vittorio Emanuele II aveva inviato a Berlino il generale Alfonso La Marmora quale ambasciatore straordinario, incaricato di presentare le congratulazioni del Governo italiano a S.M. il Re di Prussia pel suo avvento al trono; ma anche per esaminare l'opportunità di una futura alleanza fra l'Italia e la Prussia contro l'Austria (2).
(1) Relazion e ufficiale iLaliana sulla campagna del 1866 in Italia. (2) Il C:avour aveva infa tti scriLto, il 16 gennaio 1861, al La Marm ara, circa la mi ssione affidatag li : << .•• quanto alle questioni generali, che si attengono all 'indirizzo della nostra politica ed a lle condizioni generali della Penisola, E lla facc ia comprendere in primo luogo che l' Italia unita ha vero e permanente interesse di slringere intime relazioni con la Prussia, a cui è riserbata parle tanto importanLe 11ella costituzione avvenire della Germania. Questo interesse appare evidente ove si consideri che ambedue i Governi fonda no la loro forza e traggono autorità dal principio nazio nale e dalla leale osserva nza delle istituzioni liberali e ch e all'uno e all'altro incombono le stesse d ifficol tà nel serbare incolume l'indi pendenza comune, da qualunque lato dovessero sorgere i pericoli e le conflagrazioni » . Cfr. LA MARMORA : Un po' più di luce, ecc.
1.1,;
CAIJ.~E DELLA GUERRA E Li\ PRF.Pi\ Ri\ZIO N E
POLITICA
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Le trattative così ap5rte fra i due Governi furono lunghe e laboriose. Riprese una~?,(irna volta, nel 1862, dal Ministero Farini Pasolini e quindi, nel luglio 1865, dallo stesso La Marmora, parvero definitivamente troncate nell'agosto dello stesso anno, per effetto della convenz,one di Gastein (14 agosto 1865) tra l'Austria e la Prussia. Fu allo~ che il La Marmara, per mezzo del conte Malaguzzi, fece un << ìiJEimo tentativo diretto ad ottenere pacificamente dall'Austria i possèsst italiani che ancora stavano sotto il dominio dell'Impero n; ma anche questo tentativo non conseguì il successo sperato. L'intermezzo pacifico segnato tra l'Austria e la Prussia dalla convenzione di Gastein era destinato, per altro, a durare assai poco. Esso doveva servire soltanto a dar tempo alla Prussia, guidata dal Bismarck, di isolare politicamente l'Impero austriaco e di meglio preparare l'esercito. Ad assicurare la neutralità della Francia il Bismarck ebbe, neli'ottobre del 1865, a Riarritz, un colloquio con Napoleone III. il quale promise che la Francia non sarebbe intervenuta nella guerra prossima, nella speranza di ottenere, nel caso di una villoria prus·· siana, dei compensi sul Reno. Resa in tal modo la Prussia sicura sul Reno, il Bismarck riprese le trattative con l' Italia e, ai primi di marzo 1866, fece pregare dall'ambasciatore prussiano a Parigi l'ambasciatore italiano di chiedere al Governo di Firenze che venisse inviato a Berlino un ufficiale dell'esercito « pour traiter la question rnilitaire )> . Per un così delicato incarico il La Marmara scelse il generale Giuseppe Govone (1), al quale venne raccomandata la massima circospezione, autorizzandolo a venire ad accordi veri e propr~ soltanto nd caso che il Governo prussiano si mostrasse veramente deciso alla guerra. li Govone giunse a Berlino il 14 marzo e, insieme col conte di Barrai, ministro italiano alla capitale prussiana, conferì subito col Bismarck; ma dal colloquio, come egli scrisse subito al La Marmora, riportò l'impressione che la Prussia fosse ancora lontana dal pensare alla guerra e che quindi la progettata alleanza si dovesse riferire soltanto ad eventualità non immediate. Le trattative sareb(1) li compianto generale Govone, sebbene non avesse che 40 anni, era riputato uno dei più colti ecJ esperti ufficiali dell'esercito italiano; egli non era neppur nuovo ai cimenti diplomatici, avendo già disimpeg nato, per incarico sempre cJel La Marmora, missioni confidenziali a Vienna ed a Berlino nel r850 e nel 1851 , dando sempre prova di tatto finissimo e di rara fermezza . 2. -
u.s.
Li\ GUERRA f> EL
1866
E O ALT RI SCRITTI
bero state probabilmente interrotte anche questa volta a causa delle reciproche diffi<lenze (r), se, intanto, Napoleone III, sperando nella guerra prossima un mezzo per ingrandire la Francia sul Reno, non avesse spinto l'Italia a concludere al più presto con la Prussia una alleanza anche generica (2). Superati finalmente tutti gli ostacoli, il giorno 8 aprile poté essere firmato a Berlino il trattato che stabiliva l'alleanza offensiva e difensiva tra la Prussia e l'Italia con le condizioni seguenti: - la guerra d oveva essere condotta con ogni energia e nessuna delle due Potenze aJleate pcteva concludere armistizio o pace senza il consenso deJ!'altra; - tale consenso non pcteva venir rifiutato quando l'Austria avesse ceduto all 'Italia il Veneto (3) ed alJa Prussia territori equivalenti ; (1) A queste d iffidenze accennava il lknedeui, ambasciatore fra ncese a lk rli110, d ue settimane dopo l'iniz io delle trattative: « L ' inviato italiano ha proposto un contratto impegnante alla guerra a data sicura cd in un certo senso immediata ; Bismarck gli ha risposto che la Prussia non sapeva ancora se poteva fare la guerra all 'Austria, e meno ancora a qual momen to la g uerra poteva venire dichiarata così che, per conseguenza, egli poteva contrarre soltanto impeg ni eventual i. l due plt:nipotcnziari si sono tenuti rispettivamente ~u tale terreno. lo realtà t:ssi diffidavano e diffidano ancora l'uno dell"altro. A Firen ze si temi: che, ve nut a in possesso di un atto che metterebbe in ct:rto modo Lutte le fo rze dell'ltalia a sua disposizione, la Prussia ne faccia conoscere il contenuto a Vit:nna, per spingere con tale intimidazione il Governo austriaco a farle pacificamente le concessioni desiderate; a Berlino si teme che l'ltalia, una volta condotte le trattative sulle basi che essa desidera, informi d elle trattati ve stesse l 'Austria per ottenerne la cessione de!Ja Venez ia mediante un compenso pecuniario. << Mi sembra evidente che tali preoccu pazioni hanno pnrtato i negoziatori a tenersi in guardia tanto bene, che durante i primi giorni essi non sono riusci ti ad intendersi su akun punto » . Cfr. : Les origines tliplomatiqucs de la guerre dc 1870 - 7 1. (2) In data del 23 marzo il N igra, nostro ambasciatore a Parig i, teleg rafava, infatti, al La Marm ora: H L 'Empereur a <lit au prince Napoléon que si la Prusse fasa it la paix séparée avcc l'Autrichc, et si l'Autriche s'avisait d c tomber ensuite sur nous, la Fra nce ne le permettrait pas ..... Je vous engage ... à sig ner mcme Lraité d 'alliance offensive et défensive gencrique ». Ed in data 30 marzo, il conte Arese, in viato a Parig i per m eglio accerta rsi delle disposizioni personali dell' Tmperatore, telegrafava : cc Napoléon trouve utile la signaturc du traité avcc Prusse; mais il désirc donner cc conseil commc a mi et sans aucune responsabilité ». (3) Con telegramma del 28 marzo sped ito al Harra1, il La Marmora tentò di far includere fra i territori, dei quali l'Italia doveva ottenere la cessione,
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LE CAUSE D~LA C UE RRA E LA PREPARAZIONE J>OLITICA
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- il trattato doveva considerarsi senza efficacia qualora la l'ru ss ia non avesse dich~rato la guerra all'Austria entro tre mesi d :rlla firma del trattato stesso; ne l caso che l'Austria avesse inviato navi da guerra nel Baltico, l' Italia s'impegnava ad inviare la sua flotta in aiuto a quella pruss iana. Come si vede, il trattato non era pienamente reciproco, poiché, 111cntn.: impegnava l'Italia alla guerra se la Prussia ne avesse preso l'iniz iativa , non faceva eguale obbligo alla Prussia nel caso che l' Italia avesse dichiarato per la prima la g uerra all 'Austria o ne Iossc stata assalita. L'Austria tentò, infatti, di prevenire l'azione degli alleati prendendo, dall '8 al 20 aprile , provvedimenti militari così minacciosi contro l'Italia, da indurre il La Marmora a rompere gli indugi e ad ordinare il richiamo alle armi delle classi in congedo. Gli avvenimenti, così, precipitarono. Compreso il pericolo della doppia ~uerra ormai sicura, il Governo austriaco offrì allora all 'ltalia, per mezzo di Napoleone III, la cessione del Veneto (5 maggio 1866); ma il Gabinetto di Firenze, per osservare lealmente il trattato con la Prussia, rifiutò. Ad evitare il conflitto imminente, la Francia, l'Inghilterra e la Russia proposero un Congresso per definire le varie questioni; l'Austria pose la pregiudiziale che nessuna Potenza dovesse uscire dal Congresso ingrandita di territorio, e quindi la guerra s1 rese inevitabile. InCatti, il 16 giugno, la Prussia invadeva la Sassonia cd il giorno 20 l'Italia dichiarava a sua volta la guerra all ' Austria .
anche il Tremino. " . .. Jc cro,s auss1 néccssaire de comprendre le Trentino, où valléc supérieure de l'Adige, dans !es limites naturelles dc l' ltalie ». Ma il Rismarck considera va invece il Trentino com e pane della Confederazione germanica ed il Barrai aveva dovuto rispondere al La Marmora: « Bismarck m 'a dir que le Trentin, faisa nt part dc la l..<)nfédération gcrmanique, il étaiL impossible de stipuler à l'avance sa cession à l'Ttalie; mais cc qui ne pourrait pas se faire avant la guerre, pourrait parfaitcment s'effectucr pendant ou aprt:s, surtout en adressant un appel aux populations » .
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LA PREPARAZIONE MILITARE ITALIANA
La guerra italo - austriaca del 1866 ci suggerisce meditazioni pm dolorose ed ammonimenti più efficaci che non le altre campagne del nostro Risorgimento perché la sconfitta che subì l'esercito italiano, nella sua prima prova di esercito di una nazione già costituita, avrebbe potuto e dovuto evitarsi, qualora non fossero stati commessi tanti e così gravi errori e si fosse meglio sfruttata la superiorità delle nostre forze . La situazione nella lJUale la campagna si iniziò era, infatti , per l'Italia assai favorevole. Non si trattava più di un ardito e quasi disperato tentat ivo, effettuato, come nel 1848 e nel 1849, da un piccolo Stato contro la grande Austria; o di una guerra, durante la quale doveva lasciarsi - come nel 1859 - il merito della sperata vittoria ad un esercito alleato venuto a portarci il suo aiuto, per richiedere poi una riconoscenza che poteva trasformarsi in soggez10ne. Nel 1866, invece, noi eravamo in grado di lanciare 300.000 Italiani , tratti da tutta la Penisola oramai costituita in nazione, contro un esercito le cui forze più importanti erano costrette ad agire in. un altro teatro di guerra, di fronte ad un altro degnissimo avversario. Il rapporto delle forze, rispetto alla massa che l'Austria avrebbe potuto direttamente contrapporci, era, per conseguenza, favorevole a noi e la vittoria non ci sarebbe probabilmente mancata, yualora gli uomini che ci guidavano fossero stati all'altezza della situazione. Giova, per altro, ricordare che, nel r866, la proclamazione del Regno d'Italia era ancora troppo recente, per avere già cancellato tutte le differenze che tradizioni storiche, consuetudini e legislazioni diverse avevano determinato fra gli abitanti delle varie regioni e che la campagna del 1866 si svolse mentre l'Italia era ancora in piena crisi di consolidamento e <li sviluppo, così che, mancato il Cavour, i governanti - pur sentendo la necessità di completare l'unità della Patria e di dare all'uopo la precedenza alla liberazione
LA PREPARAZIONE MILITAR E ITALI ANA
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del Veneto - non potevano avere già compiuto il tirocinio necessario per g uidare un grande Stato e per rivolgere efficacemente verso un unico scopo energie e forze ancora assai diverse fra loro.
* * * La preparazione militare italiana nel 1866 avrebbe dovuto rappresentare il risultato complessivo di tutti quei provvedimenti, coi quali si era tenuto conto della n ecessità inderogabile di una nuova g uerra coJl' Austria. Tali provvedimenti vanno esaminati: sia nei riguardi della preparazione dell'eserci to, sia rispetto alla sistem az ione difensiva - offensiva del territorio. Per quanto riguarda l'esercito, gli storici più autorevoli e gli studiosi, che con maggior acume e più viva passione indagarono sulle cause dalle quali ci derivò l'immeritata sconfitta di Custoza, sono concordi nel sintetizzare tali cause nella cattiva organizzazione del Com ando supremo de1l'esercito e nella troppo di scorde azione dei comandanti più elevati , che, nonostante le virtù militari dimostrate dai soldati (virtù riconosciute ed ammirate dallo stesso n emico) (1), non seppero conseguire la vittoria ; nonché nell 'eccessiva eterogeneità che doveva allora purtroppo lamentarsi tra i com ponen ti delle nostre forze militari. L 'esercito del 1866 - che, in seguito all a legge che proclamava Vittorio Emanue 1e II Re d ' ltalia (17 marzo 1861), aveva preso il nome di Regio Esercito Italiano aveva dovuto subire, in fatti, molteplici trasformazioni, le più importanti del le quali si debbono agli ordinamenti emanati successivamente: il 25 marzo 1860 (2), il 23
(1) Cfr.: Rapporto uflìciale dell'arcid uca Alberto su lla battaglia d i C:ustoza. (2) C:oll 'ordinamento Fanti del 25 marzo 1860, !"esercito era stato d iviso in 13 Divis ioni attive, che, sul piede di g uerra, dovevano costituire 5 Corpi d 'armata ed una Di visione di cavalleria di riserva. Le prime 5 Divisioni risul tarono composte di truppe sarde ; le altre d i truppe toscane ed emilia ne e presidiarono provincie diverse da quelle d'origine. Nel r86o venne pure riordinata (R.D . 17 g iugno) l'arm a di arLig lieria con la creazione di 5 Comandi territoriali, retti da maggiori generali , e di 8 reggim enti su 1 2 compagn ie. Di queste compagnie, 8 erano provenienti dall 'antico esercito sardo, 2 dal toscano, 2 dall 'emiliano. I reggimenti 1", 2 ", 3° e 4° erano di ari iglieria da piazza ; g li altri (5°, 6", 7° e 8°), costituiti su 1 2 batterie da battaglia, erano invece da campagna. L 'arma del genio, fo rte di 32 compagnie, era stata di visa (5 maggio) in 2 reggimenti zappatori su 3 battaglioni di 4 compag nie.
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I.A G UJ::KRA DEL
1866
ED ALTRI SCRITTI
marzo 1862 (1), il 18 dicembre del 1864 (2) ed il 30 dicembre del 1865 (3). I primi tre di tali ordinamenti furono imposti dalla necessità di raccogliere, intorno all'antico esercito sardo - piemontese, tutte le forze militari , regolari e volontarie, delle diverse regioni successivamente an nesse al Piemonte, mediante un'opera lenta e non facile di amalgama, il cui merito spetta ai diversi ministri della guerra succedutisi in tale periodo di tempo e specialmente al Fanti ed al L a Marmara. L'antico esercito sardo - piemontese (e, dopo il 1859, sardo lombardo) era, così, cresciuto rapidamente di numero; passando
(r) Con l'ordinamento dd 23 marzo J862 (ministro Petitti), incorporate le nuove milizie provenienti dall'annessione delle Marche, dell'Umbria e del Regno delle Due Sicilie, l'esercito era stato ordinato su 6 Corpi d'armata. 17 Divisioni tli fanteria, 1 Divisione di cavalleria <li riserva ed una Riserva generale tli artigl ieria. Il Corpo d "armata era cnsLiLuiLo <la 3 Divisioni di fanteria (ad eccezione del V , che ne aveva soltanto 2), , Rrigat-i di cavalleria, T Squadrone guide, 1 Compagnia zappatori, , Distaccamento del Corpo di amministrazione, r Distaccame nto del treno. La Divisione di fanteria si componeva di 2 Brigate, 2 Battaglion i bersag lieri e 3 Batterie da battaglia. La Divisione di cavalleria aveva 4 Reggimenti di linea e 2 Batterie a cavallo. La Riserva generale d 'artiglieria era costituita da 11 Batterie. (2) L 'ordinamento del dicembre 1864 si riferì, in generale, a modificazion i amministrative, suggerite dalle gravi condizion i finanziarie <lello Stato. Con esso ven ne prevista la costitu zione dell'esercito, sul piede di guerra, in 7 Corpi d'armata, 1 Di visione di cavall eria di riserva e T Riserva genera le di artiglieria. li Corpo d'armata doveva avere 44.000 uomini, 5 .000 cavalli, 60 cannon i; la Divisione di cavalleria <li riserva: 4.226 uomini, 3.7g8 cavalli e 12 pezzi ; la Riserva generale d'artiglieria (18 batterie e 18 colonne muniz ioni di riserva): 4.135 uomini, 2.792 cavalli e 126 cannon i. ( 1) Nel 1865, prevalen<lo ancora le esigenze economiche, vennero lice11 z iate in anticipo alcune classi e, 11el 1866, proprio alla vigilia della campagna, erano state sospese, sempre per economia, le operazioni di leva. Così, secondo il Pollio, l'esercito poté scendere in campo soltanto con 220.000 uomini, 37.000 cavalli e 456 can non i. Come g ià ricordava il Bava - Beccaris, nel suo pregevolissimo studio sull'esercito italiano, per tutto l'esercito vigeva la legge sul reclutamento del 1854, per la quale ogni cittad ino poteva venir chiamato alle armi all 'età di 21 anni. Il contingente annuo era <li circa 200.000 inscritti, dei quali solo 80.000 restavano disponibili per le numerose esenzioni. I disponibili erano divisi in due categorie: la prima di 40 - 50.000 uomin i, era obbligata al servizio per 11 anni, cli cui 5 alle armi e 6 in congedo; la seconda era obbligata al servizio per 5 ann i e veniva esercitata in pace per 40 o 50 g iorni all'anno. Le 5 classi di seconda categoria, con le 6 più vecchie delle provi nciali, da vano gli uomini necessari ad accrescere la forza <lell 'esercito, mediante parziale o totale chiamata di esse, a seconda del bisogno. V 'era poi un piccolo nucleo <li or<linanza, con ferma continua di 8 anni alle armi .
I.A
l'R l::l'AKAZ IONE MILITARE
ITALIANA
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prima, con l'unione delle truppe toscane cd emilian e, da una forza complessiva sul piede di guerra di r27.577 uomini a quell a di 183.363 uomini , e quindi, nel 1864, all a forza di 3rr.978 uomini , 42.867 cavalli e 536 cannoni ( 1 ). Per tali circostanze, è doveroso riconoscere - come scrive il Vacca Maggiolini - che il giovanissimo esercito italiano del 1866, per la sua stessa gioventù e per la sua costituzione eterogenea, doveva necessariamente avere saldezza inferiore, non poteva considerarsi alla stregua dell'esercito austriaco, ricco di tradizioni secolari gelosamente custodite ed abilmente sfruttate. A tale deficiente saldezza, altre qualità tecniche e morali dell 'esercito e del soldato italiano avrebbe potuto però largamente supplire. Ora, se, all'inizio della campagna del 1866, l'esercito italiano, pur essendo animato da profondo sentimento patriottico e da una fid ucia forse eccessiva nel proprio valore (fiducia n ata dai successi conseguiti nel 1859 e nel 1860), non rappresen tò, di fronte al n emico, una forza corrisponde nte al numero dei suoi armati , ciò ebbe a ve rificarsi pen:h é, pei mol ti dc.:mc.:nti eterogen ei c he lo componevano e per la deficiente istruzione dei « quadri l>, esso non aveva ancora acquistato tutta la coesione indispensabile.
( r) Circa gli uffìcial i, è bene ricorda re qua nto, in proposito, scrisse il llava - Heccaris, nello studio citato: (( U no degli effetti immediati e più important i di q uesto ampliamento fu l'a umento notevole <lei "Quadri". N ell' esercito sardo, l'anno in nanzi, per la formaz ione dei nuovi Corpi, era stato necessario nomi nare sottotenenti in numero notevolmente maggiore dell'usato e decretare numerose promoz ioni ; lo stesso fatto accadde nell'esercito toscano, ch'eras i più che raddoppiato; nell'em iliano, creato <li pianta, gli ufficiali provenienli J allc.: truppe regolari J dl'AusLria, d i Parma, <li Modena, del Papa e dello stesso Piemonte, o reduci da lle milizie venete o roma ne del '48 e del '49, ebbero in pochi mesi tale aumento, da ottenere rapidissime promozioni. Q uesti sistemi irregolari <li nomi ne e di avanzamenti, dovuti alle imperiose necessità del momento, condussero a <l un impoverimento nella qualità dei " Quadri", poiché vi entrarono persone che, pure essendo animate <la sentiment i <li sano patriottismo, difettavano di cultura, di esperienza e di capacità militare » . Con decreto del 13 marzo - come ricorda lo stesso autore - vennero pure riordinate le Scuole d i reclutam enlo degli ufficiali : all'Accademia m ilitare di Tor ino furono ammessi solamente g li aspiranti alle arm i speciali; la Scuola militare di Modena e quella di cavalleria di Pinerolo furono riservate a preparare i giovan i destinati a d ivenire rispettivamente ufficiali nelle armi a piedi di linea ed uffic iali <li cavalleria. Il Liceo militare di Firenze e la Scuola militare di Parma furon o mutati in collegi militari.
LA <:UERRA DEL
1866
t::D ALTRI SCRITTI
N é poteva avven ire d iversamente, date le g ravi, sostanziali differen ze che già esistevano fra i diversi eserciti, ch e su ccessivamente avevano contribuito a formarlo.
* * * Nel 1866 l'esercito italiano era dunque anch'esso, come tutto quanto si riferisce alla nostra politica interna ed estera, in crisi di crescenz a e risentiva dell ' impreparazione degli elementi direttivi, posti di fronte all 'ingrandirsi dello Stato ed all 'accrescersi dei conseguenti bisogni. Scomparso il Fanti e costituitosi il Ministero L a Marmora, la prep arazione militare aveva subìto, nel 1865, una interruzione, dovuta essenz ialmente alle precarie condizioni del Bilancio ed anche al fatto che - per le incertezze e gli indugi verificatisi, come già si è detto, nella preparazione poli tica - l'eventualità dell a guerra non era sembrata allora imminente. Er:i no stati, infatti, tolti 30.000 uom ini dalla forza bi lan ciata e non si era provveduto alle deficienze dei « quadri », in modo che l'esercito, che avrebbe potuto contare su circa m ezzo milione di armati (dei quali trecentomila atti alle operazioni attive), risultò, all 'inizio delle ostili tà, costituito di soli 220.000 uomini . Aggiungasi che i provvedi menti straordinari adottati per l'entrata in guerra - guale l'assegn azione dei richiamati alle unità dell'esercito permanente e la conseguente creaz ione dei quinti battaglioni nei reggime nti di fanteria e dei noni battag lioni bersaglieri; la form azione di nuove batterie d 'artiglieria e <li nuovi re parti del genio - contr ibuirono a rendere ancora più evidente la d eficienza numerica e qualitativa dei « quadri » e quella mancanza di omogeneità, della quale si è già detto abbastanza. Nel giugno del 1866 facevano, infatti, parte dell 'esercito italiano clementi provenienti dall'esercito sardo per il 5,65°~; dall'esercito austriaco per il 4,6o daH'esercito della Lega per il 2,54° o; dall'esercito borbonico per il 4,8o 'ì~ e dalle chi amate alle armi delle classi 1860 - 1865 e dalla 2' categoria della classe 1864 per 1'82,31%. Per quanto riguarda gli ufficiali , la Relazione ministeriale del marzo 1866 permette di rilevare le n otevoli differenze di provenien za e di preparazione esiste nti nei « quadri » . G li ufficiali erano, in totale, 15.758, e di essi : la m età appartenenti alle antiche provincie, 2/ 16 alla Lombardia, 2/ 16 alle provincie napaletane, 1/ 16 alla T oscana, 2/ 16 alle altre provincie del Regno cd 1 / 16, infine, 0
~ ;
LA
PREPARAZIONE
M I L ITARE
I TALIANA
alle provincie venete e romane. Circa una metà avevano quindi già tatto, con l'esercito sardo - sia come ufficiali, sia come militari di truppa - tutte o gran parte delle campagne del 1848, '49, '55, '56, '59, '60 e '61; un c.iuarto, proveniente dai varì eserciti italiani discio lti o dai volontarì, aveva partecipato ai numerosi fatti d'arme svoltisi in Italia dal 1848 in poi ; l' ultimo c.iuarto, infine, uscito d ai Collegi militari o proveniente dai sottufficiali dopo il 1861, aveva preso parte soltanto a qualche campagn a contro il brigantaggio. C irca la preparazione culturale degli ufficiali , la Relazione italiana sulla campagna dice che il 43 ~~ di essi provenivano dalle varie scuole militari preesistenti al 1859 od istituite dopo quell 'epoca ; il 50° u dai sottufficiali e soltanto il 7°~ dall 'ufficialità improvvisata nelle regioni annesse negli anni 1859- '60. La nostra Relazione ufficiale - pur ricordando che, così composto, l'esercito italia no, nonostante lo spirito che lo animava e le cure poste a disciplinarlo cd addestrarlo alla guerra, non poteva rappresentare una potenza militare pari alla sua massa - mette in rilievo l' impurlauza dei p rovvedimenti presi: sia per facilitare l'amalgama dei diversi ele menti « conservando intatte le leggi, le pratiche e le costumanze dell 'antico esercito sardo », sia per migliorare l' arma mento. Tutta la fanteria era stata, infatti , provvista d'armi rigate (1); l' artiglieria disponeva di nuovi cannoni rigati da campagna (2); aveva costituito p archi d'assedio, raccolto in grande quantità il materiale da ponte e dato ai suoi arsenali ed alle sue officine quello sviluppo che era richiesto dall' assetto militare del Regno. Anche pel rifornimento dei cavalli alla cavalleria cd all 'artiglieri a - rifornimento che incontrava in Italia non lievi difficoltà - si era provveduto nel miglior modo possibile. Per conseguenza le condizioni complessive dell 'esercito italian o, ne l r866, erano soddisfacenti, ed il ministro della guerra, generale di Pettinengo, nella relazione presentata al Re prima dell 'inizio della campagna, poteva affermare che le truppe erano bene istruite, tanto che, « ricercando fra i varz eserciti europei, non vi era che
(1) La fanteria di linea era armata 186o, cal. 17,5, con tiro efficace sino ai i bersaglier i, di carabina m od. 1856. (2) Cannoni <li bronzo da 96, mod. le batterie di riserva avevano, invece, il tag na i cannoni da 86.
<li fu cili a percussione, rigati, mod. 400 m e gittata massima di 600 m ;
1863, con g ittata efficace di 2.500 rn; cannone da 121 ; le batterie da m on-
LA GUERRA l>EL
1866
ED ALTRI SCRITTI
l'esercito francese che potesse, per qualità tecniche degli uomm1, dirsi uguale o superiore a quello italiano >>. Ed infatti - anche secondo la nostra Relazione ufficiale sulla campagna - all'inizio della guerra l'esercito, materialmente considerato, era forte di numero, bene armato, mobilitabile in poco tempo. Molto però lasciavano a desiderare i provvedimenti intesi a mantenere efficienti le unità mobilitate ed a fornire le riserve ed i presidii occorrenti. Anche ammettendo che la chiamata al1e armi di tutte le classi di leva di Ta e 2 " categoria avesse dato ai corpi un numero di unità superiore agli organici (in modo da rendere possibile di costituire una prima riserva di complemento cogli uomini delle classi più antiche della 1 " categoria e con parte di quelli della 2a), mancavano i << quadri » per organizzare i reparti ; così che sarebbe stato necessario costituire un numero assai considerevole di nuovi corpi di riserva, con ufficiali sottratti ai corpi mobili, proprio nel momento di cominciare la guerra. Inoltre tutta .la riserva così costituita non avrebbe potuto essere sufficiente per tutte le esigenze che avrebbero potuto verificarsi dalle Alpi e dal Po sino alla Calabria ed alla Sicilia, ed a tale insufficienza si tentò di riparare mediante la istituzione della guardia nazionale mobile << che doveva dare 220 battaglioni di 5 - 600 uomini l'uno, cioè circa 125.000 uomini di milizia da presidio)>; ma, sempre per la mancanza dei « quadri », questa istituzione ebbe un valore soltanto effimero. « D 'altra parte, la mancanza di una buona seconda riserva » - conclude la Relazione - << era inevitabile conseguenza della soverchia giovinezza del Regno e della necessità di impiegare nelJe operazioni, fin dal primo momento, tutte le forze militari disponibili per rendere meno incerta e più pronta la vittoria ».
FORMAZIONE DELL'ESERCITO PER LA GUERRA COMA NDANTI:: IN
ITALIANO
CAPO: S.M . TL RF.
Capo di Stato Maggiore: generale d'armata La Marmara. Aiutante generale: luogotenente generale Petitti. Sottocapo di Stato Maggiore: colonnello Bario/a. Comandante del l'artiglieria: luogotenente generale Valfrè. Comandante del genio: luogotenente generale M enabrea. Intendente generale : maggior generale Berto/è- Viale.
LA l'REl'ARAZIONF. MILITARE
l
ITAL.I ANA
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CoRPO n' ARMATA
Comandante: generale d'armata Durando 3" e 5° sq uadrone cavalleggeri di Lucca (198 cavalli). 15" compagnia del 1 ° reggimento zappatori. Equipaggio da ponte: 3" compagnia del 1 ° reggimento. Servizi: Parco d 'artiglieria: rn" e 15" compagrna del 2° reggimento artiglieria. Parco del genio: 2 " compagnia del 1 ° reggimento treno. Ambulanza. Intendenze (sussistenze). I Divisione: luogotenente generale Cerale: Brigata Pisa (29" e 30" fanteria), maggior ge nerale di Villarey 8 battaglioni, 3.681 combattenti. Brigata Forlì (43° e 44° fa nteria), maggior generale Dho - 8 battaglioni, 3.554 combattenti . 18" battaglione bersaglieri - 479 combattenti. 10" e 13'' batteria del 6" artiglieria - 12 pezzi. f e f squadrone guide - 212 cavalli. 2 " compagnia del 1" reggimento zappatori. Servizi: 8" compagnia del 1" reggimento treno. Colonna munizioni. Ambulanza divisionale. Sussistenze. II Divisione: luogotenente generale Piane!/ : Brigata Aosta (5° e 6" fanteria), maggior generale Dall'Aglio 8 battaglioni, 4.507 combattenti. Brigata Siena (31 ° e 32° fanteria), maggior generale Cadolino 8 battaglioni, 4.or8 combattenti. 17" battaglione bersaglieri - 484 combattenti. 13" e rf batteria del 6° artiglieria - 12 pezzi.
1./\ GUERRA DEL
18(,6
F.ll ALTRI
SCRITTI
1 ° e 2 ° squadrone guide - 210 cavalli. 8" compagnia del 1 ° reggimento zappatori.
Servizi: Analoghi a quelli della I Divisione. 11l Divisione: luogotenente generale Brignonc: Brigata granatieri di Sardegna (i'. e 2 ° granatieri), maggior generale Gozzani di Treville - 8 battaglioni, 3.784 combattenti. Brigata granatieri di Lombardia (3" e 4" granatieri), principe Amedeo di Savoia - 8 battaglioni, 3.572 combattenti. 37" battaglione bersaglieri - 488 combattenti. 1 ' e 2" batteria del 6° artiglieria - 12 pezzi. T e 2'' squadrone cavalleggeri di Lucca - 247 cavalli. 8" compagnia del 1 ° reggimento zappatori. 0
Servizi: Analoghi a quelli della I Divisione. V Divisione: luogotenente generale Sirtori: Rrigata Brescia (19° e 20" fanteria), maggior generale di Villahermosa - 8 battaglioni, 3.990 combattenti. Brigata Valtellina (65° e 66° fanteria), maggior generale Lopez 8 battaglioni, 3.832 combattenti. 5" battaglione bersaglieri - 494 combattenti. 1 " e 2 a batteria del 9° artiglieria - 12 pezzi. 3" e 4" squadrone cavalleggeri Lucca - 208 cavalli. 15" compagnia del r" reggimento zappatori. Servizi: Analoghi a quelli della I Divisione. Riserva: maggior generale A ribaldi Ghilmi: 3", 8" e I 3° battaglione bersaglieri - 4 battaglioni, 1.991 combattenti. 3", 12" e 15" batteria del 9° artiglieria - 24 pezzi. Reggimento lancieri di Aosta (5 squadroni) - 608 cavalli. 5" squadrone guide - rn9 cavalli. 2 ",
LA PRl::t'AKAZIONE MILITARF. IT ALI ANA
TI CoRPo
n'ARMATA
Comandante: luogotenente generale Cucchiari Lancieri di Novara (5 squadroni); Ussari di Piacenza (5 squadroni) - Totale: r.009 cavalli - maggior generale Dc Barral. 17" compagnia del 1° reggimento zappatori. Equipaggio da ponte: 1 " compagnia del 1" reggimento. Servizi: Analoghi a quelli del I Corpo. IV Divisione: luogotenente generale Mignano: Brigata Regina (9'' e rn" fanteria), maggior generale Carini 8 battaglioni, 3.756 combattenti. Brigata Ravenna (37" e 38" fanteria), colonnello Tarditi - 8 battaglioni, 4-030 combattenti. 1 " e 21 " battaglione bersaglieri - 2 battaglioni, 1.005 combattenti. 4", s" e 6" batteria ciel 6" reggimento artiglieria - 18 pezzi. 1 " compagnia del 1 ° reggimento zappatori. Servizi: Analoghi a quelli della
r Divisione.
VI Divisione: luogotenente generale Coscnz: Brigata Acqui (17" e 18" fanteria), maggior generale Schiaffino - 8 battaglioni, 4.026 combattenti. Brigata Livorno (33° e 34° fanteria), maggior generale Radicati - 8 battaglioni, 3.933 combattenti. r5" e 20" battaglione bersaglieri - 2 battaglioni, 941 combattenti. 1", 6" e 8" batteria del 9° reggimento artiglieria - 18 pezzi. 14" compagnia del 1° reggimento zappatori. Servizi: Analoghi a quelli della I Divisione. X Divisione: luogotenente generale Angioletti: Brigata Umbria (53° e 54° fanteria), maggior generale Masi 8 battaglioni , 4.300 combattenti.
I.A GUERRA DEL
1866
ED ALTRI SCRITTI
Brigata Abruzzi (57° e 58° fanteria), maggior generale Peyron - 8 battaglioni, 4.005 combattenti. 24° e 31" battaglione bersaglieri - 2 battaglioni, 855 combattenti. 4", i' e r2a batteria del !i' reggimento artiglieria - 18 pezzi. 18" compagnia del 1" reggimento zappatori. Servizi: Analoghi a quelli della I Divisione. XIX Divisione: maggior generale Longoni : Brigata Calabria (59° e 60" fanteria), colonnello Adorni - 8 battaglioni, 2.626 combattenti. Brigata Palermo (67° e 68° fanteria), colonnello Caffarelli - 8 battaglioni, 3.173 combattenti. 33" e 40° battaglione bersaglieri - 2 battaglioni, 817 combattenti. 10", 1 1" e 12" batteria del 7° reggimento artiglieria - r8 pezzi. t" compagnia del 2 '' reggimento zappatori. Servizi: Analoghi a quelli della I Divisione.
III
CoRPo
n ' ARMATA
Comandante: generale d 'armata Della Rocca Lancieri di Foggia (5 squadroni) ; cavalleggeri di Saluzzo (5 squadroni) ; cavalleggeri di Alessandria (2 squadroni) - Maggior generale di Pralorno. 16" compagnia del 2° reggimento zappatori. Equipaggio da ponte: 6" compagnia del 1° reggimento. Servizi: A.naloghi a quelli del I Corpo. Vlf Divisione: luogotenente generale Bixio: Brigata del Re (1° e 2° fanteria), colonnello De Pomari - 8 battaglioni, 3.817 combattenti. Brigata Ferrara (47'' e 48° fanteria), maggior generale Novaro 8 battaglioni, 3.434 combattenti.
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LA l' REl'ARAZ IO!',;E MI LITARE IT ALIANA 31 - -- -- - -- - - -- - - - - - -
9·· e 19" battaglione bersaglieri - 2 battag lioni, 868 combattenti. 1", 2" e 3a batteria del 5" reggimento artiglieria - 18 pezzi. 2 " squadrone cavalleggeri di Alessandria - 122 cavalli. 8" compagnia del 2 " reggimento zappatori.
Servizi: Analoghi a quelli della I Divisione. V III Divisione: luogotenente generale:: Cugia:
Brigata Piemonte (3° e 4° fanteria), maggior generale Noaro 8 battaglioni, 4.058 combattenti. Brigata Cagliari (63'' e 64° fanteria), colonnello Gabet - 8 battaglioni, 3.687 combattenti. 6" e 30" battaglione bersaglieri - 2 battaglioni , 954 combattenti. i, 8" e 9" batteria del 6° reggimento artiglieria - 18 pezzi. 4" S(luadrone cavalleggeri di Alessandria - 109 cavalli. i compagnia del 2 " reggimento zappatori .
Servizi: Analoghi a quelli della l Divisione.
IX Divisione: luogotenente generale Govone: Brigata Pistoia (35" e 36" fanteria), maggior generale Bottaco 8 battaglioni, 3.772 combattenti. Brigata Alpi (51° e 52" fanteria), maggior generale Danzini 8 battaglioni , 3.980 combattenti. 27° e 34° battaglione bersaglieri - 2 battaglioni, 918 combattenti. 4\ 5" e 6" batteria del 5" reggimento artiglieria - 18 pezzi. 5" compagnia del 2° reggimento zappatori. Servizi: Analoghi a quelli della I Divisione.
XVI Divisione: principe Um berto di Savoia: Brigata Parma (49° e 50° fanteria), maggior gener ale Ferrero 8 battaglioni, 3.654 combattenti. Brigata mista (8'' e 71° fanteria), colonne llo De Sauget - 8 battaglioni , 3.305 combattenti . 4" e I 1 " battaglione bersaglieri - 2 battaglioni, 872 combattenti.
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LA GUERRA DEL
1866
E D A LTRI SCRITTI
rn', n " e 12" batteria del 5" reggimento artiglieria - 18 pezzi. 3" sguadrone cavalleggeri di Alessandria - 114 cavalli. 12" compagnia del 2 ° reggimento zappatori. Servizi: Analoghi a quelli dcl1a 1 Divisione.
TRUPPE A DISPOSIZIONE DEL COMANDANT E GENERALE DF.1.1.' F.SF.RCITO
Divisione di cavalleria di linea: luogotenente generale Dc Sonnaz : brigata (Savoia e Genova cavalleria), maggior generale Soman - ro squadroni, 1.023 cavalli . 2 " brigata (Nizza e Piemonte Reale cavalleria), maggior generale Cusani - ro squadroni, I .2IO cavalli. i'' e 2 " batt eria a cavallo del 5'· reggimento artigl ieria - 12 pezzi. Artiglieria di riserva : colormellu Balcgnu : i, 8", 9'' e 14" batteria del 5° reggimento artiglieria; 7', 14" e r5" batteria del 7" reggimento artiglieria; 16" del 6° e 13" del ~)° reggimento artiglieria; totale 54 pezzi. 1"
Le forze di questi tre Corpi d'armata, destinati, come vedremo, ad operare sul Mincio, erano in complesso : - 216 battaglioni, 101.660 combattenti ; 62 S<.Juadroni, 7.074 cavalli; 47 batterie, 282 pezzi.
IV GoJU>O n'ARMATA Comandante: generale d'armata Cialdini brigata di cavalleria (lancieri di Milano; cavalleggeri di Montebello; cavalleggeri di Lodi). 2 " brigata di cavalleria (lancieri di Firenze; lancieri Vittorio Emanuele; cavalleggeri del Monferrato). 4 batterie da campagna; 1 da montagna; 2 equipaggi da ponte ; 2 compagnie zappatori. Servizi. 1"
LA
PREPARAZIONE MILITARE
ITALI ANA
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Xl Divisione: generale Casanova: Brigate Pinerolo e Modena; 2 battaglioni bersaglieri; 3 batterie da campagna; 1 compagnia zappatori. XII Divisione : generale Riwtti: Brigate Casale e Como; 2 battaglioni bersaglieri; 3 batterie da campagna; 1 compagnia zappatori. XIII Divisione: generale Mezzacapo: Brigate Savona e Bologna; 2 battaglioni bersaglieri; 3 batterie da campagna; 1 compagnia zappatori. XIV Divisione: generale Chiabrera: Brigate Reggio e Marche; 2 battaglioni bersaglieri; 4 batterie cb campagna; 1 compagnia zappatori. XV Divisione: generale Medici: Brigate Pavia e Sicilia; 2 battaglioni bersaglieri; 3 batterie da campagna; T compagnia zappatori . XVII Divisione: generale Cadorna: Brigate Napoli e Toscana; 2 battaglioni bersaglieri; 3 batterie da campagna; I compagnia zappatori. XVIII Divisione: generale Della Chiesa: Brigate Cremona e Bergamo; 2 battaglioni bersaglieri ; 3 batterie da montagna; 1 compagnia zappatori. XX Divisione: generale Franzini: Brigata Ancona e brigata mista (7° e 72°); 2 battaglioni bersaglieri; 3 batterie da montagna; 1 compagnia zappatori. Artiglieria di riserva: colonnello Mattei: 2 batterie di 12 pezzi da 40 G.R. ;
3. - U.S.
LA GUERRA DEL
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ED ALTRI SCRITTI
batterie di 25 pezzi da 16 B.R.; 4 batterie di 25 pezzi da 8 B.R.; totale 174 pezzi.
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Il IV Corpo d'armata, che doveva venire destinato ad agne sul basso Po, ebbe, in complesso, la forza di: 144 battaglioni, 63.795 combattenti; 30 squadroni, 3.503 cavalli; 37 batterie , 354 pezzt.
Oltre l'esercito regolare, venne costituito, al comando del Garibaldi, un corpo di volontad, pel quale era stato stabilito un organico di 10 reggimenti su 2 battaglioni. Non appena, col decreto del 6 m aggio, venne aperto l'arruolamento, i giovani accorsero a presentarsi agli appositi Consigli , pres-
so ciascun capoluogo di circondario, in tale numero che, mancando le armi e gli oggetti di vestiario ed equipaggiamento, fu necessario sospendere l'arruolamento. Tuttavia, per quanto l'arruolamento dei volontart fosse stato prima previsto per il numero di rn.ooo, finirono con esserne arruolati ben 40.000 e si portarono da 2 a 4 per reggimento i battaglioni , ciascuno dei quali venne costituito su 6 compagnie. Si poté formare , inoltre, uno squadrone di guide montate ed equipaggiate a loro spese. L'artigli_eria venne fornita al corpo dei volontar1 dall'esercito re1rolare. ~- I! IO luglio, i 10 reggimenti volontari vennero riunltl rn 5 brigate (Haugh , Pichi , Orsini, Corte, Nicotera) ed il corpo poté assumere (31 agosto) la forri1azione e la forza seguente: Comandante: generale d'armata Garibaldi 5 brigate di volontari - 42 battaglioni , 33.480 combattenti; I battaglione bersaglieri · 400 combattenti. 3 batterie del 5° artiglieria. 1 batteria da montagna. Totale: 33.886 combattenti e 24 pezzi.
LA PRE PARAZIONE MILITARE ITALI ANA
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* * * Esaminiamo ora i provvedimenti che erano stati presi m esame od attuati circa l'assetto difensivo del . territorio. Fin da quando la Lombardia era stata unita al Regno di Sardegna, dopo la guerra del 1859, era apparsa evidente la necessità di supplire alla mancanza di una frontiera militare sulla linea del Mincio, che, colle fortezze di Peschiera e Mantova, era rimasta in potere degli Austriaci. Al riguardo, era apparsa prima evidente la necessità di costruire un campo trincerato sulle alture di Lonato e Castiglione, di chiudere con opere permanenti le strette delle alte valli lombarde, fortificando, per coprirne gli sbocchi, Brescia e Rergamo; di sistemare a difesa la linea dell'Adda, rafforzando Pizzighettone; di fare, infine, di Pavia la base della difesa della Lombardia, assicurandone, col fortificare Stradella, il collegamento col sistema piemontese Genova - Alessandria - Casale. Si era, inoltre, pensato anche alla con venienza di appoggiarsi fortemente al Po, tra il Ticino e l'Adda ed anche tra l'Adda e l'Oglio, per collegare il sistema di difesa della Lombardia con quello dell'Emilia e, all'uopo, erano se mbrate particolarmente idonee a tale scopo Piacenza, Cremona, Casalmaggiore. Intanto i Governi provvisod della Toscana e dell'Emilia, strcttisi in lega difensiva ed offensiva ed affidata la suprema direzione delle loro cose di guerra al generale Fanti, avevano riconosciuta la opportunità di fortificare Bologna, destinata a facilitare la difesa dell'Emilia ed a coprire la Toscana. Il Governo sardo, all'uopo consultato, aveva riconosciuto la convenienza di tale provvedimento e subito si erano iniziati i lavori, « adattando in fretta a difesa la vecchia cinta della città e circondandola di una cerchia di fortini di terra nella pianura e sulle colline sovrastanti )) . Per opporsi più efficacemente ad una eventuale offensiva austriaca, era stata presa in esame anche la convenienza di fortificare altre città di minore importanza, più vicine al Po (quali Ferrara, Mirandola e Guastalla), e qualche lavoro era stato anzi già eseguito a Mirandola; ma il terreno tra il basso Po e l'Appennino non era sembrato adatto alla costituzione di una salda frontiera artificiale. Ad assicurare il collegamento del sistema difensivo emiliano con quello sardo - lombardo si era deciso poi di fortificare Piacenza, facendone una doppia testa di ponte sul Po ; ma, per la sua posi-
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zione arretrata rispetto alle frontiere del Mincio e del basso Po, Piacenza era sembrata più adatta come << piazza di primo concentramento e di rifugio» , che non come perno di manovra per le operazioni, ed era stata riconosciuta la necessità di fortificare sul Po qualche altra località che - come Cremona, Casalmaggiore, Brescello o Guastalla - permettesse di agire più prontamente sul fianco del nemico che si fosse avanzato sia dal Mincio sia dall'Oltre - Po mantovano. Sul finire del gennaio r862, era stata istituita, infine, una Commissione permanente per la difesa dello Stato, presieduta da S.A.R. il Principe Eugenio di Savoia Carignano, con l'incarico di « studiare quale assetto di difesa meglio si convenisse all'Italia di fronte ali' Austria >>. Nell 'assolvere il suo mandato, la Commissione doveva tener presente la necessità di « evitare, per quanto era possibile, la costruzione di nuove fortificazioni, la cui importanza avesse a cessare allorché l'Italia fosse giunta ai suoi naturali confini; di accrescere le difese permanenti nei soli punti giudicati essenziali in vista di una prossima guerra coli' Austria e di farlo in modo che i lavori fossero condotti al termine in breve tempo e con non troppo rilevante dispendio ». In un suo primo progetto, esposto al Ministero della guerra alla fine del marzo 1862, la Commissione aveva proposto di: - costruire una doppia testa di ponte a Casalmaggiore, punto di concentramento e perno di manovra preferibile a Piacenza ; - sistemare le fortificazioni di Bologna in modo da pcter difendere, all'occorrenza, la città con poche forze ; - fortificare Brescia per opporsi ad un'incursione nemica da Peschiera e per poter concorrere alJa difesa delle valli lombar<le , che dovevano venire sbarrate con piccole opere permanenti. Pel collegamento tra Casalmaggiore e Bologna, si reputavano sufficienti le guarnigioni di Modena e di Parma. Gli studì più accurati fatti su Casalmaggiore dimostrarono, però, ben presto l'impossibilità di compiere i lavori in un tempo relativamente breve, data l'eccessiva ampiezza che sarebbe stato necessario dare alla doppia testa di pente ; e la Commissione propose, molto opportunamente, al Ministero dell a guerra di invitare i generali d'armata, a ai quali doveva spettare, secondo il caso, di mandare ad esecuzione il piano di difesa che trattavasi di stabilire», ad esporre la loro opinione al riguardo.
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I pareri dei generali interpellati furono diversi e discordi, e la scelta di Cremona o Casalmaggiore od altro punto sul Po come località da fortificare rimase sospesa. Sulla fine del 1863, allorché sorse fra la Prussia e l'Austria la l)Uestione pei Ducati dell'Elba, Ja nostra Commissione permanente <li difesa compilò un nuovo progetto, proponendo che: - venissero compiuti gli studì per la difesa attiva delle valli lombarde ; - si fortificasse Cremona con opere in terra, in modo da costituirvi una testa di ponte difendibile con una Divisione; - Cremona, con Piacenza e Pizzighettone, dovesse formare iI nucleo del sistema difensivo contro l'Austria ; - si cominciassero a sostituire con poderose opere permanenti i lavori di fortificazione campale intorno a Piacenza ed a Rologna, in modo che queste città si potessero efficacemente difendere anche con deboli presidi i; - si affrettassero intanto i lavori delle ferrovie destinate a mettere in comunicazione tra loro e colla valle del Po i punti principali dei due versanti dell' Appennino peninsulare, allo scopo di facilitare la radunata sul Po delle truppe sparse nella penisola. Tale progetto venne presentato al Ministero della guerra nel gennaio <lel 1864; ma venne deciso di fortificare subito Cremona e di soprassedere sui lavori proposti per Piacenza e Bologna. L 'allontanarsi delle probabilità di una guerra con l' Austria, il passaggio della capitale da Torino a Firenze, i progressi crescenti dell'artiglieria, impedirono poi l'effettuazione dei provvedimenti ed imposero nuovi orientamenti agli studi in corso. Occorreva, infatti, pensare a proteggere 1a nuova capitale da ogni offesa proveniente dal basso Po e, per conseguenza, spostare il centro di gravità del sistema di difesa del Regno rispetto all'Austria da ovest a sud, quantunque gran parte dei magazzini e delle fabbriche militari si trovassero ancora in Piemonte. Così, mentre diminuiva l'importanza di Piacenza, aumentava quella di Bologna ed ancora più urgente diveniva il collegamento delle due piazze. Infatti , il Ministro <lel1a guerra, col dispaccio del q febbraio 1865, « constatando le migliorate condizioni politiche del Regno, le quali consigliavano a non differire ulteriormente lo studio del sistema generale difensivo di tutta l'Italia l>, affidava alla Comrnis-
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sione permanente per la difesa l'incarico di studiare un << nuovo progetto generale di difesa dello Stato, che rispondesse nel miglior modo a tutte le eventualità». Anche questa volta i pareri dei membri della Commissione non furono concordi intorno al valore strategico di Bologna cd alla scelta di qualche altra località da fortificare tra Bologna e Piacenza. Unanimi nel negare a Bologna una funzione offensiva, i membri della Commissione erano di scordi circa l 'dficacia della piazza anche in caso di guerra difensiva, poiché alcuni la ritenevano utilissima: sia a proteggere la radunata dell'esercito, sia a coprire la via della nuova capitale; altri consigliavano di conservare Bologna fortificata per semplici considerazioni di convenienza ed altri, infine, reputando la piazza inutile e perfino dannosa, proponevano <li considerarla nuovamente come città indifesa. Quanto alle nuove fortificazioni destinate a collegare Bologna a Piacenza, si pensò nuovamente a I3resccllo cd a Guastalla; ma anche contro l'attuazione di questo progetto sorsero difficoltà simili et quelle che già avevano fatto rinunziare all'idea di fortificare Casalmaggiore. Finalmente, in seguito a nuovi studi, la Commissione poté compilare un progetto particolareggiato, nel quale, per quanto si riferiva alJa difesa terrestre verso l'Austria, riconfermando quanto era stato già proposto nel gennaio 1864, date le nuove condizioni del Regno, si reputava necessario di proporre: (< 1 ° - Un grande aumento di potenza difensiva ed offensiva alle fortezze di Piacenza e Bologna, per fare della prima una grande piazza da guerra con campo trincerato permanente a guisa di doppia testa di ponte sul Po (secondo un progetto approvato dalla Commissione nel dicembre 1864), e della seconda una grande piazza da guerra con doppio campo trincerato: uno cioè nella pianura per la difesa della città, e l'altro in collina (secondo un progetto approvato dalla Commissione nel gennaio r865); assegnando a Piacenza l'ufficio di appoggiare le operazioni dell'esercito per la difesa della Lombardia e dell'Emilia e a Bologna quello di coprire nel modo più efficace le principali com unicazioni tra la bassa valle del Po e la Toscana ed offrire un punto d'appoggio alle truppe operanti sul basso Po. « 2 ° - Costruire a Cremona una testa di ponte sulla sponda sinistra del Po (secondo un progetto già esistente), allo scopo di assicurare momentaneamente un secondo passaggio sul Po a valle di
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Piacenza, al fine di agevolare una difesa di fianco della Lombardia attaccata dalla linea del Mincio, facendo sistema con Pizzighettone e Piacenza. 3° - Aumentare e migliorare le opere difensive di Pizzighettone (secondo un progetto approvato dalla Commissione sino dal gennaio 1863) coll'intento di estendere l'azione di Piacenza sul1' Adda, assicurando un passaggio importante su questo fiume alle truppe operanti sulla riva sinistra del Po. «
« 4" - Costruire una nuova piazza di carattere puramente difensivo nella parte centrale dell'Emilia, in un sito da scegliere dietro ulteriori stud1 del terreno (Guastalla o Reggio), per collegare le due piazze di Piacenza e Bologna, coprire le varie comunicazioni dirette tra la valle del Po e la Toscana, particolarmente quelle che provenivano dai distretti mantovani. « 5" - Chiudere con opere di sbarramento tutte le strade che attraversano l'Appennino tosco - emiliano, a fine di accrescere valore ali' Appennino medesimo come linea difensiva.
<1 6" - Sollecitare la costruzione delle ferrovie Spezia - Genova e Sarzana - Parma e l'apertura di strade rotabi li sui gioghi dcli' Appenn ino, per faci litare le comunicazioni tra i forti che si dovevano engere » .
Tutte le opere sopraccennate venivano dichiarate urgenti; ma, date le difficoltà, che, come si è accennato, si erano opposte alla compilazione di un progetto definitivo, questo non poté essere presentato al Ministero della guerra prim a del 9 aprile 1866, cioè quando l'imminenza della guerra non ne permetteva più l'attuazione. Si poterono iniziare soltanto i lavori ch e si riferivano a Cremona cd a Pizzighettone; ma non fu possibile di provvedere a tutti i pericoli che presentava il confine stabilito daJla pace di Zurigo. Questo, infatti, svolgendosi dallo Stelvio al basso Po per il Garda ed il Mincio (pur dando una certa tranquillità per il lago e le due linee fluviali che lo rappresentavano), presentava tratti estremamente delicati e lasciava all'Austria il possesso di località atte ad agevolarne singolarmente le eventuali operazioni offensive, come Peschiera ed il Serraglio sul Mincio e Rorgoforte sul Po (1). (1) Cfr.: Relazione ufficiale italiana sulla ca mpagna del 1866.
III.
LA COSTITUZIONE DEL COMANDO ITALIANO E I DISEGNI DELLE OPERAZIONI
Perché potesse riuscire veramente efficace nella guerra imminente, l'accordo concluso, come già si è detto, a Berlino per l'alleanza italo - prussiana, avrebbe dovuto essere completato da un accordo militare. A tale scopo il La Marmora - pur limitandosi a dargli semplici istruzioni verbali di indole più politica che militare aveva incaricato di iniziare le trattative necessarie (1) il generale Govone; ma questi poté, al riguardo, scambiare appena qualche idea col Moltke (2), il quale mostrò di considerare l'intervento italiano necessario soltanto a costringere l'Austria a dividere le proprie forze (3). (1) Nella lettera con la quale il La Marmora prese ntava al conte di Barra i il genera le Govone, era, infatti, d etto molto opp ortunamente : ,, Le but de la mission dc M. le général Govone est <le s·assurer des combinaisons mil itaires que, par suite de la situation politiq ue actuelle, le gouvernem ent dc sa Majesté le Roi dc Prusse pourra it vouloir concerter avec nous pour la défense commune » . (2) A mettere m eglio in luce l'opera del Govone, si riporta, in proposito, quanto egl i stesso espose nel suo diario: « NelJe discussioni avute col conte dì Bismarck e col generale Mol tke sulle operazioni militari eventuali, sostengo com e erroneo il concetto delle <lue armate di Sassonia e Slesia. Sostengo la concentrazione di una sola massa, che cammini " coude à coude" per la Boemia verso Gèirlitz. Bismarck mi dice di sosten ere quest'opinione con Moltke. Moltkc mi d:ì le rag ioni delle due armate e poi mi dice: " Ma voi, che sostenete la concentrazione in Prussia , voi non seguite poi tali massim e in Italia. Io ved o due eserciti: Cialdini sul Po, il resto sul Mincio". Rispondo : " Ma n on si possono svelare oggi i nostri progetti; ci si forma, si formano le Di visioni ; ma sono sicuro che, cominciando le ostilit;Ì , non si avrà che un solo esercito, sia sul Po, sia sul Mincio" )) . Cfr. U. GovoNE : Il generale G . Govone . (,) Il 5 marzo 1866 il Moltk e scriveva, infatti, al Bismarck: ,, Le operaz ion i saranno con dotte con r eciproca, completa indipendenza su teatri di g uerra dist inti ed in vista di gravi interessi particolari. li vantaggio non è che le operazioni siano combinate ; ma che esse siano simultanee )> .
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Soltanto più tardi , al princ1p10 di giugno, il Moltke inviò al La Marmora il von Bernhardi, addetto alla legazione prussiana a Fi renze, con una memoria la quale esponeva dettagliatamente le vedute del capo di Stato Maggiore prussiano sulla condotta generale della campagna (1). In proposito, il 6 giugno, a Palazzo Vec(1) C irca l'azione italiana durante la guerra, la Memoria del von Bernhardi diceva: « Pour compléter, pour consolider ces succès qu 'elle espère, pour les rendre irrévocables et définitifs, la Prusse compte sur la coopération activc et incessante de son allié. Mcme dans la position victorieuse à laquclle nous tendons, le son de la g uerre dans sa totalité pourrait encore se trouver compromis, s'il était permis à l'ennemi de lancer contre l'a rmée prussien ne tout ce qu i resterait de troupcs, renforcés, ne fut que temporainement, par l'armée qu ' il aura it en premier lieu opposée à l' ltalie. li impone clone surtout que l'armée italienne ne perde jamais de vue son adversaire, qu'elle le serre dc bicn près; qu'enfin l'armée au trichienne d 'Italie ne puisse jamais se diriger vers le Danube et contre l'armée de la Prusse, sans etre talonnée de près par l"armée italienne, comme de l'a utre ct>té les effons, que fera la Prusse pour frapper au coeur la puissancc cnncmie, ne permettront jamais à l'Autrichc dc détacher vers l'ltalie des renforts qui pourra ient lui donner la supériorité de nombrc sur ce théatre de guerre. « C 'est à notre avis, je le répètc, le point essentiel entre nous. Le principe adm is, il fau d rait que l'armée italiennc, loin dc se laisser arreter par le Quadrilatère, t!ìche au contraire de donner a ses opérations, dès le commencement de la guerre, une direction qui lui prépa re !es voies pour su ivre son adversaire, lorsq uc cclui - ci sera forcé <le se retirer dans les provinces centrales de [' Empire autrichien. « H eureusement le Q uadrilatère n'est plus appuyé, du coté du Po, à un terrain neutre et inabordablc comme l'Emilia, soumise au St. Siège, l'aurait toujours eté ; et l'Autriche a negligé dc fairc ce qui aurait pu conserver a u Quadrilatèrc son ancienne importance, m eme cn face des nouvelles combinaisons territoriales que présente la consolidation du royaume d 'ltalie; elle à negligé d e transformer Padoue en piace forte de premier ordre. « Ces circostances permettent de tourner le groupe de fortercsses tant redouté. En raison précisement des cha nccs nouvelles, qu 'offre le th éatre de la guerre dans son état actuel, les autorités m ilitaires en Prusse avaient cru prévoir que l'armée italienne ne formerait pas cettc fois, comme dans les guerres precédentes, à Piacenza, et Alessandria ses dépots, ses m agasins de munitions de guerre; qu'cllc se bascrait, au contrai re, sur llologne, Ferrare et Ancòne, et meme dans quelque sens sur son a rmée navale, supérieure à celle dc l'Autriche, et que partant de cettc base elle tornerait le Quadrilatère, en passant le Po à peu près ;Ì la h auteur de Ferrare, pour avancer sur Padoue et Vicence. « La manière dont les cantonnements de J"armée italienne ont été d isposés, l'établissement d'un corps d'armée aussi nombreux que celu i du général C ialdin i entre Rologne et le Po, donncnt lieu de croire que l'état - maj or de Sa Majesté le Roi d 'Italie en a jugé dc meme. Si la plus g rande moitié de
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ED ALTRI SCRITTI
chio in Firenze, il von Bernhardi ebbe una lunga conferenza col La Marmora; ma questi , sorpreso di vedere incaricato di trattare tali argomenti uno scri ttore e non g1a un generale, si mostrò, durante il colloquio, assai riservato (1).
l'armée italienne a été concentrée sur le C hiese et l'Oglio pour avancer <le là sur le Mincio et pour opérer le passage, nous supposons que cc sont les difficultés locales que presente le passage du P o dans sa partie inféricure, la possibilité d 'y éch ouer et la néccssité de di viser l'attcntion de l'ennemi, q u i ont motivé ces disposiLions et qu 'clles n 'impli<1uent pas l'intention <le s'engager J 'abord dans le siège Je quelquc piace forte ». La Memoria formulava, quindi, le diverse ipolesi possibili, raccomandando, sconfitto il nemico, di marciare anch e al d i l:ì delle Alpi Carniche : « L 'armée italienne pourra pcut - étre meme prévcnir l' ennemi au débouché des m ontagncs, à Villach , s'emparcr de Trieste par une division détachée et établir ainsi des communications dircctes avec son armée navale. e< Si l'armée italienne, arri vée aux ancicnnes limites <le la Vénetie, se trouve Lrop affaiblic par de no m breux détachcmenLs, laissés en obser vation devant !es places fones ; si elle hésite à continucr son mouvement offcn sif; si enfìn la partic active de cetre arméc ne se crnyait plu s en mesure de rien cntreprendre; si cc n'est quel<1ues unes dc ccs opérations insignifica ntes eL sans valeur réelle, qu'on est conveirn de qualificr de diversions, dans cc cas elle laisscrait encore à l'Autrich e la faculté de réunir le LoLal Je ses fo rccs, d 'abord contre la Prusse, sauf à se retoumer ensuite contre l'ltalie )). A facilitare l'esecuzione di questo piano il von Bernhardi su ggeriva, come vedrem o, una spedizione in Dalmazia g uidata da Garibaldi, con l'incarico di provocare l'insurrezion e in Ungheria. ( 1) A proposito di tale colloquio, il von Bernhardi (dr.: Der Krieg 1866 gcgen Uesterreich) scrisse: u 6 g iugno 1866. Alle 3, conferenza con il La Marmora, in un'oscura stanza di Palazzo Vecchio. « L ' impressione che nel complesso mi lascia il La Marmora, dopo un dialogo di due ore, non è punto sodd isfacente; mi rimane il penoso dubbio che egli non sia a ll'altezza ciel suo còmpito, anzi eh 'egli non sappia rendersi conto della vera essenza del problema che deve r isolvere. Il La Marmora è di sua natura un uomo mediocremente intelligente, è cresciuto nello strello àmbito di uno Stato Ji terzo grado; ambiente nel t(uale egli è salito in alto e nel quale il suo spirito si è venuto formando. Costrello a gua rdare ad un orizzonte più vasto, egli ... diventa malsicuro. Egli si preoccupa specialmente cli <1ue i piccoli disegni che si attuano in uno spazio limita to e null'altro vuol e se non l'acquisto <lella Venezia p er l'Italia. Q uanto dalla presente crisi può derivare per la situa zione m ond iale lo lascia indifferente. Anzi il pensiero che l'Italia possa avere un interesse ad una ragione di esser vi immischiata gli sembrerebbe probabilmente avventuroso ; e chi volesse muovere un ta le pensiero, gli d iverrebbe forse sospetto. L'l conquista del V eneto egl i la considera con questo spirito e con quesLi sentimenti. Essa non gli sembrerebbe acqu istata con una completa vittoria sull 'A ustria quando perdurassero le guarn igioni austriache qua e là sperdute nelle fortezze dell 'alta Italia. Invece
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Inoltre il 19 giugno, quando era appena giunto al Quartier Generale a Cremona, il La Marmora ricevette una nota dell'Use<lom, inviato straordinario e ministro plenipotenziario del Re di
essa potrebbe ri1enersi compl eta, anzi assicurata, q ualora egli avesse in lasca la chiave di queste fortezze, anche se l'Austria, altrove invitta, anzi dal canto suo vittoriosa contro la Prussia, rimanesse con una forza né rotta, né disordinata. « La progettata spedizione di Garibaldi gli ripugna, perché egli teme che Garibaldi lo possa condurre più in );Ì di t1uanto egli vuole, e che la guerra fi nisca per uscire fuori da quegli stretti con fi ni nei q uali egli la vuol mantenere. Per queste ragioni egli vedrebbe volemieri naufragare questa spedizione e, se dipendesse da lui, la manderebbe senza d ubbio a vuoto. Poich é egli, come molti dei suoi conterranei, considera ancora il Piemonte ccme il vero Stato ed il resto d ' Italia come una semplice appendice, e rivolge ogni suo sforzo a condurre la guerra fuori del Piemonte, non come un vero italiano ; ma come un Piemontese. In fine il P iemonte è il paese che piL1 gli preme e che in ogni caso deve essere coperto e pro1e110, e che a nessun patto ru<'> essr-re ahbandonato. « Sul Piemonte ci si deve essenzialmente basare, e ne segue, come indeclinabile necessità, che r1ui ci si debba ritirare in caso disgraziato. Questo non fu manifestato chiaramente, perché ciuesto caso disg raziato non fu supposto, né accennato; ma dove potrebbe farsi una ritirata se non appunto indietro, su quella base dove si sono prepara i i i mezzi per ricostruire un 'armata hattula ? Si aggiunga a ciò che il La Marmora dimostra quella ostinatezza che è propria degli uomini di limitata capacità » . E <]Ui il von Bcrnhardi giustificava l'opinione, che s'era fatto della insufficiente capacità del La Marmora, riferendo testualmente il dialogo e traendone occasione per mettere in evi denza l' indecisione del generale itanano. TI 7 g iugno il von Bcrnhardi fu ricevuto da Vittorio Emanuele Il, del quale scrisse, invece: « Vittorio Emanuele ha un aspetto che impone; su ciò non può esservi diversi i à di pareri. Pare che abbia energia ed un intelletto fine, pronto e: sano. Si. arguirebbe ch'egli sa ciù che vuole e che voglia a nche ottenere ciò che egli vuole. Semhra, come si suol dire, tagliato luno d 'un pezzo >>. TI Moltke - in risposta al von Bernhardi, che g li aveva riferito il colloquio avuto col La Marmora - scriveva in data del 15 giug no: cc Ho visto con rammarico dalla sua interessante lettera del 9 corr. che non vi è m olto da sperare dalla cooperazione dell ' Ital ia. E ' strano com e non si comprenda a Firenze ch e sarebbe evidentement e più faci le d ' impadronirsi del Q uadrilatero bat tendo gli Austriaci in rasa campagna, che assediandone le pia zze fort i . .. .. lo spero ancora che Re Vittorio Emanuele - Eg li è nello stesso tempo uom o di Staio e soldato - comprenderà meglio le cose e che, magari all' ultimo m om ento, al momento decisivo, saprà condurre le sue belle e numerose truppe attraverso il Polesine a tagliare le più importanti comunicazioni del Q uadrilatero cd avviluppare Venez ia per terra e per mare, per marciare poi diritto al cuore degli Stati austriaci » .
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Prussia a Firenze, circa (< il sistema di guerra che la Prussia proponeva all'Italia per la prossima campagna >> ( r). In detta nota erano ripetute le stesse idee già espresse dal von Bernhardi, idee che si possono riassumere nella proposta che l'Italia conducesse la guerra decisamente ed a fondo, senza indugiarsi attorno aJle fortezze del Quadrilatero , spingendosi a minacciare la stessa capitale nemica e concorrendo, mediante l'intervento dì Garibaldi, a fomentare l'insurrezione in Dalmazia ed in Ungheria.
( 1) Il Ca nonge scrisse giustam ente che la nota dell'Usedom trattava la questione dell'offensiva iLaliana troppo superficialmente. Ecco, del resto, testualmente riportalo il tratto della nota che si riferiva alle operazioni che avrebbe dovuto effettuare l'esercito italiano: « Quanto alle opera zioni analoghe delle forze italiane, queste non dovrebbero essere impiegate ad assediare il Quadrilatero; ma piuttosto ad attraversarlo o aggirarlo, per battere !"esercito nemico in campo aperto. Non v'è quasi luogo a dubitare, considerate specialmente le proporz ioni numeriche, che l'esercito italiano non possa trovarsi in breve tempo padrone del Venelo, Lranne Venezia, Verona e Mantova, i cui presidii dovrebbero, è vero, essere tenuti in iscacco da corpi di osservazione di for za ragguardevole. I generali italiani sara nno senza dubbio i migliori giudici delle operazioni di cui si tratta. Pur tuttavia, per procedere d'accordo colJa Prussia, bisognerà che ritalia non si contenti di penetrare fì no alla frontiera settentrionale della Venezia; ma si apra la strada verso il Danubio e vada ad incontrarsi colla Prussia, nel centro della Monarchia imperiale; che marci su Vienna, a dir breve. Per assicurarsi il possesso durevole della Venezia, bisogna prima aver ferito nel cuore la potenza austriaca. (( Se l'Italia volesse restringere la sua azione militare a Udine o a Belluno per darsi all'assedio delle fortezze, che ne avverrebbe? Essa fermerebbe inevitabilmente tutta la g uerra. I nfatti essa permetterebbe all 'armata austriaca di ritirarsi tranquillamente verso il nord per rafforzare l'esercito imperiale contro la Prussia. Allora, coll'aiuto probabile della Baviera, quelle forze r iunite potrebbero arresLare l'offe nsiva prussiana e ridurla a difensiva obbligata. Cosl, venendo a rimanere vani i vantaggi prima conseguiti, bisognerebbe fo rse conchiudere una pace ch e, tanto per la Prussia, quanto per l'Jtalia, non risponderebbe affatto né ai primi concetti, né ai g ravissimi sacrificì fa tti. Per a lJontanare così spiacevole evento, per cui o prima o poi i due alleati si vedrebbero costretti a ricominciare da capo l' impresa, la Prussia crede dover insisLere qua nto più pU<Ì sulJa necessità di spingere dalle due parti l'offensiva sino ag li estremi limiti, vale a dire sino alle mura delJa capitale. « Ammettendo per un istante che l'opposto avvenisse, e considerando in particolare la posiz ione della Prussia, la cooperazione dell'Italia verrebbe difatti ad esserle dann osa più che noi sa rebbe la neutralità assoluta. La neutral ità avrebbe almeno trattenuto nel Q uadrilatero e paralizzalo a vantaggio della Prussia una intera annata austriaca; la cooperazione vittoriosa, ma non bene intesa e ra ffre nata n el suo corso, ricaccerebbe quella stessa armata verso la Prussia, cui, per conseguenza appu nto di quella a lleanza, verrebbero a
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Entrambi i due tentativi più sopra ricordati non portarono, però, alla conclusione desiderata, e - sia per la solita diffidenza, sia per le nostre condizioni militari ed i nostri particolari obbiettivi no!l sembrò possibile né opportuno di coilegare in qualche modo le operazioni dei due eserciti alleati. Per conseguenza, nel 1866, l'Italia entrò in campagna contro l'Austria d'accordo con la Prussia soltanto circa la contemporaneità
scemare le probabilità di buon esito. Ma il governo del Re, mio augusto sig nore, s'affida pienamente alla lea ltà del suo alleato, sicché non può ammettere la probabilità che ciò avvenga. Tuttavia, per il rapporto strategico, la marcia dell'esercito italiano su Vienna potrehbe sembrare pericolosa, la scala delle operazioni troppo lunga, le risorse troppo lontane. Ma, a mano a mano che ci si avvicina con l'esercito prussiano, il pericolo scema e la vittoria fina le diviene sempre più probabile. « D 'altronde vi è un modo infallibile di assicurare ai due eserciti la più efficace cooperazione sopra un terreno comune. Questo terreno è l'Ungheria. li Governo prussiano ha fatto studiare accuratamente la questione ungherese in quest'ultimo tempo ed ha acquistato la convinz ione che quel paese, aiutato in pari tempo dall'Italia e dalla Prussia, potrà servire loro a sua volta di a nello di congiunzione e di appoggio strategico. Dirigasi, per esempio, sulla costiera orientale dell 'Adriatico una forte spedi zione, che per nulla indebolirebbe l'esercito principale, poiché la si prenderebbe per la massima parte dalle file dei volomarì, mettendola sotto gli ordini del generale Garibaldi. Secondo tutte le informazioni giunte al governo prussiano, essa troverebhe le pii'1 cordiali accoglien ze tra gli Slavi e gli Ungheresi, coprirebbe il fianco dell'esercito marciante su Vienna, e gli procurerebbe la cooperazione e le risorse tutte di quelle ampie regioni. All' incontro, i reggimenti ungheresi e croati dell 'esercito austriaco presto rifiuteranno di battersi contro truppe che nei loro paesi sara nno state amichevolmen te ricevute. Dal nord e dai confini d ella Slesia prussiana un corpo volante, composto, per quanto possibile, di cleme nti nazionali, potrebbe entrare nell'Ungheria e raggiungervi le truppe italiane e le forze nazionali che non avrebbero tardato a formarvisi. L 'Aust ria, di tanto scapiterebbe, di quanto ci avvantaggeremmo noi ; ed i nostri colpi la ferirebbero allora non nelle estreme parti, ma nel cuore. << Per tutte queste ragioni, il governo prussiano an nette grandissima importanza a questo affare d 'Ungheria e all·az ione concorde coll 'Italia sua alleata su quel terreno; ed io propongo al Gabinetto fiorentino di provvedere in comune alle spese necessarie a preparare l'accoglimento delle sopradette spedi zio ni e ad assicurare la loro cooperazione su quei paesi. Ecco l'idea generale del pia no di campagna, che il sottoscritto, secondo le istruzioni del suo Governo, ha l'onore di sottoporre al Gabinetto italia no. Appunto perch é tocca ta nto da presso gli interessi generali, appunto perché mira alla cooperazione delle due armate verso uno scopo comune, il G overno prussiano si lusinga che sarà favorevolmente accolto dal Governo italiano, e che contribuirà poten temente al fel ice esito di questa g rande impresa n.
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dell'inizio delle operaz1001, ed il Comando italiano rimase libero di agire nel modo e nella direzione che avesse ritenuto più opportuni ( T).
Benché alla guerra si pensasse da tanto tempo, la costituzione del Comando su premo dell'esercito si presentò come un problema di non facile soluzione per le difficoltà che si opponevano alla scelta del capo di Stato Maggiore. Vittorio Emanuele II aveva espresso il desiderio di assumere personalmente il comando dell'esercito (2); ma, per rispetto alle norme costituzionali, la condotta effettiva delle operazioni doveva essere affidata al capo di Stato Maggiore. I candidati pili in vista per tale carica, dopo la morte del Fanti, erano i generali La Marmora, Cialdini e Della Rocca. Benché i primi due possedessero maggiori titoli, il Re avrebbe preferito la nomina del generale Della Rocca, già suo capo di Stato Maggiore durante la campagna del 1859; ma, temendo che il La Marmora ed il Cialdini non si sarebbero rassegnati facilmente a dipendere dal Della Rocca, rinunziò a tale designazione. Ad eliminare poi gli attriti palesi o latenti, che si sarebbero purtroppo determinati tra il Cialdini ed il La Marmora qualora uno dei due fosse stato chiamato all'alta carica, il Sovrano pensò di affidare il comando di due armate di pari importanza al La Marmora ed al Cialdini e di tenere un corpo di riserva al comando
( 1 ) TI La Marmora (cfr. Relazione del 20 dicembre 1868), a proposito del colloquio avuto il 6 giugno col von Bernhardi, scrive che (( mai gli era venuto in testa di considerarlo come un plenipotenziario od incaricato militare >) e che il colloquio fu <( una conversazione interamente accademica >>. Circa la nota dell'Usedom, anche il Canonge trova naturale che il La Marmora (< la mettesse prudentemente in disparte ))' data la leggerezza con la quale veniva in essa considerata facilissima e sicura l'avanzata dell'esercito italiano su Vienna. (2) 11 proclama emanalo dal Re agli Italiani, in daia del 20 giugno, finiva, infatti, con queste parole: (( Io dò lo Stato a reggere al mio amatissimo cugino il principe Eugenio e riprendo la spada di Goito, di Pastrengo, <li Palestro e di S. Martino. Io sento in cuore la sicurezza che scioglierò pienamente questa volta il voto fatto sulla tomba del mio magnanimo genitore. lo voglio essere ancora il primo soldato dell'indipendenza italiana >> . Ed il generale Petitti scrisse, in proposito: (( Decisa la guerra, Vittorio Emanuele palesò il suo franco volere di assumere in essa il comando del proprio esercito l> ,
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del Della Rocca. Comandante supremo dell'esercito avrebbe dovuto essere il Re, coadiuvato dal generale Petitti. Ma l'opposizione del Cialdini fece fallire anche questo disegno ( r), ed allora il La Marmora - che era anche capo del Governo invitò ripetutamente ad assumere la carica di capo di Stato Maggiore lo stesso Cialdini; ma questi, forse temendo di non poter usufruire di tutta la necessaria libertà d'azione, rifiutò, pur dichiarando che egli si sarebbe assoggettato a rimanere alla dipendenza del La Marmora (2). Questi , secondo il Petitti, (( era esitante ad assumere il comando di un esercito di tanta mole »; e soltanto quando già gli avvenimenti incalzavano dovette rassegnarsi ad accettare la nomina a capo di Stato Maggiore dell'esercito (( per evitare che giungesse il momento di entrare in campagna senza che quel posto fosse occupato » (3). Egli ebbe a suo collaboratore, con la qualifica di aiutante generale, il Petitti; ma, come si vede, la nomina del La Marmora (1) Intatti, in data del q maggio, il Cialdini, scrivendo al La Marmora, dopo avergli francamenle consigliato di riunire il comando dell'intera armata sotto la sua mano cd essersi dichiarato pronto a mell ersi in sottordine a lui, per un comando di due o Lre divisioni al più, concludeva: " E ' egli supponibile che noi obbediamo ciccameme al Petitti, quando ci darà gli ordini in nome suo od in quello del Re ? Se obbediamo, Petitti sarà il vero genera le in capo, cosa che non mi pare conveniente per molte ragioni ». (2) « Al suo rifiuto » - narra il Pctitti - t< il C ialdini aggiunse la dichiarazione che si sarebbe assoggettato alla dipendenza del solo La Marmora, con che escludeva dall' ufficio cli Capo di Stato Magg iore ogni altro generale, perché nessuno voleva per certo che si facesse una scelta, per la quale il vincitore di Castelficlardo e di Gaeta avesse a rifiutare il suo concorso alla guerra. Le pratiche non furono brevi e vennero trattate tra il Re, La Marmora e Cialdini; cd io vi entrai, perché, per la fìducia che avevano in mc questi ultimi due, fui spesso incaricato di portare dall' uno a ll'altro le reciproche comu111cazioni » . (~) Il La Marmora stesso - nella sua Relazione del IO luglio 1869 - scrisse in proposito che t< dovette risolversi, malgrado una grandissima ripugnan za, ad accettare il posto cli capo di SLato Maggiore » , carica che - secondo quanto egli stesso aveva già scritto nella Relazione del 20 Jicemhre 1868 - « non gli avrebbe permesso latitudine ed indipendenza nel dare ordini e direz ioni; ma neanche talvolta di tutto conoscere, sia delle intenzioni concepiLe, sia delle disposizioni date intorno a lui. « .•. Q uesta qualità (di Capo di Stato Maggiore), se mi permetteva di proporre, suggerire, consigliare, ragionare, mi vietava per altro di agire di proprio impulso ed emanare ordini chiari, precisi, assoluti come è nella mia natura, e mi cosLringeva a tacere, cedere, transigere con le mie convinzioni onde evitare urti, sconcerti, complicazioni e maggiori danni )> .
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era il risultato di un compromesso, purtroppo non sufficiente ad eliminare le divergenze di idee, che dovevano avere un così deleterio influsso anche sul corso della campagna. Cosa, questa, tanto più deplorevole, in quanto che il La Marmora, presidente del Consiglio dei ministri e ministro degli esteri fino all'apertura delle ostilità, non ebbe tempo e modo di concretare un vero e proprio piano di guerra (1), come sarebbe stato indispensabile.
* * * Dato l'andamento del nostro confine con l'Austria, si erano manifestati, intorno al modo di condurre le operazioni, diversi paren. Secondo alcuni , ._sarebbe stato necessario: scegliere Bologna a base delle operazioni, effettuare dimostrazioni verso il Mincio e verso Borgoforte ed invadere il Veneto dal basso Po, passando questo fiume a monte di Ferrara. Passato il Po, l'esercito doveva marciare per Padova e per Vicenza, sulle più vitali comunicazioni del Veneto col cuore della Monarchia austriaca. Se l'esercito nemico, probabilmente raccolto nel Quadrilatero, ne fosse uscito, sarebbe stato necessario dargli battaglia ; se esso, invece, vi si fosse rinchiuso. sarebbe stato conveniente di lasciare un Corpo d'osservazione intorno alle fortezze e marciare col resto delle truppe verso Vienna. Tale era il disegno dal quale si riprometteva una più sicura vittoria il generale Cialdini, che di esso aveva a lungo studiata l'attuazione, trovandosi al comando del Dipartimento militare di Bologna.
(1) Il Della Rocca scriveva, infalti, <la Vicenza il 5 agosto 1866: 11 Per me che ho visto tutto, pesato tutto, ma nca però un dato essenzialissimo ed è <li sapere quale fosse il piano di campagna, se pur ve n'era uno ». Il La Marrriora, nella sua Relazione del 10 luglio 1869, scriveva in proposito: <1 Ben comprendevo tJUanto sarebbe stalo conveniente recarmi prontamente all'armata ed assumere in tempo le funzioni di Capò di Stato Maggiore; e molto insistei per cedere il mio posto di capo del Governo al barone Ricasoli, già destinato a succedermi. Se non che, complicandosi maggiormente la politica in quei g iorni, e non volendo il barone Ricasoli a nessun costo assumere la presidenza ed il portafoglio degli esteri fìnché la gu erra non fosse dichiarata, dovetti rimanere in Firen ze. Per cui, dei preparativi per la mobilitazione dell'eserci to mi potei poco occupare; e solo mi era lecito di quan<lo in quando concertare col ministro della guerra le disposiz ioni generali per il riparto e concentramento di esso >>.
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Secondo un altro parere, sarebbe stato, invece, pm conveniente di basarsi su Cremona e su Piacenza, eseguire qualche dimostrazione sul basso Po, invadere il Quadrilatero dal Mincio e battere l'esercito nemico sfruttando la superiorità delle nostre forze, investire le fortezze del Quadrilatero e procedere oltre. Questo secondo concetto proponeva il La Marmara (1); né noi possiamo sorprenderci troppo di una così aperta divergenza <li idee ,
(1) Nella sua Relazione in data IO luglio 1869, rispondendo alJa domanda del ministro della guerra << quale fosse la direttiva strategica dal principio alla fine della guerra )l, il L'l Marmora scrisse in proposito: <( E ' noto a tutti come due opinioni o sistemi diversi prevalessero nell 'esercito sul modo di invadere e attaccare gli Austriaci nella Venezia. Nessun generale italiano per<> ha mai pensato, io credo, che si potesse traversare o girare il Quadrilatero senza occuparsi delle fortezze. Credevano gli uni, massime dopo il trasporto della capitale, che l'attacco principale dovesse farsi dal basso Po; altri opinavano (e mi affretto ~, dichiarare che fui sempre di questa opinione) che ogni operazione <lai basso Po doveva riuscire lenta, difficile e piena di peri,uli ; po cui un insuccesso, o una semplice sorpresa ai fianchi o alle spalle, o la rottura di alcuni argini, poteva produrre un vero disastro. Invece, operando dal Mincio, era assai più facile separare e paralizzare successivamente le vari e piazze e meglio si appoggiavano le operazioni del Tirolo. Se la vittoria ci sorrideva, si poteva dall'una o dall'altra parte progredire anche oltre Verona. In caso d'insuccesso, invece, potevamo sempre ricirarci e riordinarci fra Cremona e Pi:icen7.a, senza temere che il nemico s'inoltrasse in Lombardia o si avvenLurasse sulla destra del P o. Nel primo caso, si sarebbe trovaLo esposto pel suo fianco sinistro; nell'altro, coli' Appennino e Bologna di fronte, un gran fiume alle spalle, il mare da una parte, il noslro esercito dall'altra, avrebbe probabilmente pagato cara la sua temerarietà, se si fosse arrischiato a marciare sulla ca pitale. << Dei molti scritti militari pubblicati dagli Austriaci, giudici competenti e oramai disinteressati in questione, neppure uno, che io sappia, ammelle che noi potessimo progredire vittoriosi dal basso Po. Tutti censurano più o meno severamente un siffatto concetto. Lo stesso generale C ialdini ed i suoi fauto ri, nelle loro ultime pubblicazioni, mostrano di apprezzare giustam ente le conseguenze di un insuccesso in quel teatro di guerra. Io era di tutlo ciò talmenLe con vinto, che da principio intendevo lasciare due sole Divisioni sulla destra del Po: l'una ver so Ferrara, appoggiata a Bologna; l'altra tra Modena e Guastalla, appoggiata a Piacenza. Ma io dovevo pur tener conto dell'opinione degli altri generali, e massime del generale Cialdini che, avendo molto studiato e fatto studiare il Polesine, manifestava il convincimento si potesse utilmente operare da quella parte. (( In un colloquio che ebbimo insieme (d i cui bene non mi ricordo la data, ma benissimo il risultato), dopo una lunga discussione, cademmo d'accordo si dovesse agire contempora neamente col grosso dell'esercito dal Mincio, e con un corpo distaccato pur considerevole dal basso Po. Checché si sia poi 4· -
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date le ragioni profonde che la determinavano e considerando i vantaggi offerti dall'attuazione dell'uno e dell'altro disegno; nonché le difficoltà, quasi ugualmente gravi, che si sarebbero opposte all'effettuazione di entrambi. Anche la Commissione permanente della difesa nazionale, nell a sua relazione del 9 aprile 1866, aveva, infatti, ricordato la speciale importanza di Piacenza, atta a proteggere il fianco destro delle nostre truppe qualora queste avessero operato per 1a sinistra del Po verso il Quadrilatero, attraverso il Mincio ; ma aveva, nel1o stesso tempo, messa in rilievo anche la funzione di Bologna, destinata ad appoggiare le nostre operazioni contro il Veneto, attraverso il basso Po. Circostanza, questa che contribuì ad accreditare, nell 'ambiente militare, la possibilità, offerta dal terreno, di una doppia linea di operazione in caso di guerra contro l'Austria (1).
detto di questa divisione dell 'esercito, cotanto censurata come un errore strategico, e da taluni perfino par:1gonato a quello commesso dai Prnssi:ini per penelrare in Boemia, io - comunque partig iano, come già dissi, dell'attacco dal Mincio - sostengo che l:J. di visione dell'esercito da parte nostra non è stato un errore ... (poiché), da <jualunque parte si fosse presentato l'arciduca Alberto con i suoi 70 - 75.000 uomini, potevamo opporgli forze o poco o o molto superiori . « . . . E' estremamente probabile ch e l'arciduca Alberto ci avrebbe lasciato occupare le alture tra il Mincio e l'Adige senza contrastarcele. Ma allora, una volta colà fortemente stabiliti, qualunque operazione si fosse voluta tentare (o di isolare o di assediare le piazze o di procedere oltre in u na direzione qualunque), il di vidersi di nuovo era indispensabile i, . A difendere il La Marmora, circa la di visione delle forze italiane, il Chiala ricordò anche il parere dello ]omini a favore <li tale concetto: << Una doppia linea d'operazione può essere conveniente quando si ha una superiorità numerica così pronun ziata che si possa manovrare per due direzioni sen:,.a che si corra il pericolo di veder l'u no dei propri Corpi sopraffatto dal nemico. In questa ipotesi sarebbe un errore l'aumentare le proprie forze su d i una sola fronte e <li privarsi così dei vantaggi d ella superiorità , riducendo una parte delle proprie forze all 'impossibilit:Ì di agire >> . Ma, a tale riguardo - nota opportunamente il Vacca Maggiolini - la citazione non sembra affatto convincente, perché, per valersi dell'autorità dello ]omini , occorrerebbe dimostrare che le venti Divisioni italiane non avrebbero potuto operare utilmente impiegandole riunite o sul Minc io o sul Po : il che pur, essere dubbio pel Po; ma assolutamente non è vero pel Mincio. (Cfr.: La guerra nei secoli XVTTT e XIX) . (1) Anche uno studio di un ufficiale wiirttemberghese, il Biffa rt, pubblicato nel 1863, parlava delle due linee di operazione possibili per l 'esercito iLaliano nel caso di una guerra contro l' Austria.
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In proposito, mi sembra opportuno di riassumere quanto, al riguardo, scriveva il Barone ( 1) : << Contro la forte posizione del Quadrilatero, due sole erano le direzioni possibili di attacco: affrontarla dal Mincio od aggirarla dal basso Po ». l due concetti possono così enunciarsi: l'uno, quello dell'attacco diretto : « portare la massa delle forze nel mezzo del Quadrilatero, tagliare le comunicazioni tra le fortezze e, presa una posizione centrale, dare od accettare battaglia »; l'altro, quello dell 'attacco aggirante: << far base d i Bologna e, pel basso Po e pel basso Adige, entrare nel Veneto, tag li are le comunicazioni del Quadrilatero col Friuli e prendere il Quadrilatero medesimo di rovescio >J . Finché la capitale era rimasta a T orino ed il Piemonte aveva rappresentato la base della potenza militare del Regno, l'idea dell'attacco dalla parte del Mincio era stata accolta senza contrasti ; ma il trasferimento della capitale a Firenze non aveva potuto non fare sorgere il concetto di attaccare, invece, il Quadrilatero dal basso Po, con un attacco aggirante, i fautori del quale sostenevano la loro opinione - continua il Rarone - con ragioni politiche, strate~iche e tattiche. " Attaccando dal basso Po, sarebbe stato, infatti , possibile coprire la capitale, tagliare al nemico le comunicazioni col Friuli , stornare una sua offensiva in Lombardia e nell 'Emilia, schivare gli ostacoli del Mincio e del medio Adige , trarre più facilmente il nemico a battaglia campale o, se si fosse chiuso in Verona, assediarvelo in condizioni assai migliori che non avanzando dal Mincio, atteso che Verona era meno fortificata da est che non da ovest. Un attacco dal basso Po avrebbe poi favori to anche la possibilità di far concorrere la flotta alle operazioni. L 'esperienza delle campagne del 1848 e del 1849, ammonendo circa le difficoltà che si opponevano ad un attacco frontale contro il Quadrilatero, confortava i fautori del!'attacco aggirante, molto più che, dopo il 1859, 1'Austria aveva considerevolmente aumentata l'efficienza delle fortezze. l fautori dell 'attacco diretto ricordavano, invece, la necessità di non allontanare l 'esercito da quelle provincie piemontesi, che dovevano somministrargli i migliori elementi ; la opportunità di far base di Piacenza - Cremona - Pizzighettone, che, nel loro insieme, facil itavano sia le operazioni offensive sia quelle difensive, mentre Bologna si prestava soltanto alla difesa; i considerevoli vantaggi (1 ) Cfr. E N RI CO llARON E: La campagna per l'indipcndcn:w e l'unità d'Italia, voi. II: Campagna del 1-866 in Italia, T orin o, 1929.
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che si potevano trarre da una contemporanea invasione del Trentino. « Essi giudicavano utile », dice il Barone, << rompere la linea del Mincio ed impadronirsi di Peschiera, e non disperavano di espugnare Verona coi perfezionati mezzi di attacco. Inoltre i fautori del!' attacco frontale non reputavano agevole di attaccare Verona da est, a causa della forte posizione di Caldiero; giudicavano difficile il passaggio del Po in presenza del nemico (1), troppo gravi le difficoltà opposte alle operazioni tra il basso Po ed il basso Adige, dallo stesso terreno e dalle fortificazioni di Rovigo>>. Queste diverse opinioni erano state già dibattute da qualche anno, dando luogo a contrasti ed a polemiche senza alcun risultato concreto, quando, aggravatasi la situazione politica, al principio di maggio venne effettuato un primo concentramento di 30.000 u01nini circa tra rmola e Modena e di 50.000 tra Piacenza e Cremona. Tale prima radunata, a carattere puramente difensivo, fece ritenere che il Ministero si fosse deciso ad effettuare un'azione principale diretta dal Mincio ; ma in realtà non era stata presa ancora alcuna decisione, non ostante l'imminenza nella guerra. La scelta di un disegno delle operazioni continuava ad essere assai difficile per il cozzare delle opinioni e per la diversa valutazione delle difficoltà che l'attuazione dei due piani avrebbe sicuramente incontrato. Perché il nostro giudizio possa essere più sereno al riguardo, non sarà inopportuno di esaminare, coll'illustre storico già citato, tali difficoltà. Avrebbero reso più difficile la riuscita dell'attacco dal Mincio le circostanze seguenti : - muovendo dalla Lombardia, l'esercito avrebbe avuto sul suo fianco sinistro l'impaccio delle Alpi bresciane e del lago di Garda, che copriva l'alto Adige e le comunicazioni di Verona col Tirolo opponendo un formidabile ostacolo all'aggiramento del Quadrilatero da nord. Sola linea d'operazione possibile verso il Tirolo sarebbe stata quella di Val Chiese su Riva e Trento, racchiusa fra strette continue e sbarrata dai forti austriaci. Sul fianco destro l'esercito italiano, avanzante dalla Lombardia verso il Mincio, avrebbe avuto invece il non facile ostacolo rappresentato dal Po; - il corso del Mincio, tra Peschiera e Mantova, avrebbe offerto qualche possibilità all'attacco nel tratto fra Monzambano e la sponda settentrionale del lago di Mantova. Questo tratto, lungo soltanto 23 km, offriva alle operazioni uno spazio troppo limitato. (r) Anche la Relazione ufficiale austriaca accenna alle gravi difficoltà che avrebbe incontrato l'attuazione del piano del Cialdini.
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Non sarebbe stato possibile di passare il Mincio se non fra Goito e Monzambano per manovrare poi verso Verona - Pastrengo, alle spalle di Peschiera, o verso Ronco - Legnago, allo scopo di dare battaglia fra Mincio ed Adige; - scarso aiuto avrebbe potuto trarsi dalle ferrovie, perché la linea Milano - Venezia correva troppo a nord rispetto alla direttrice del movimento ed era interrotta da Peschiera, e la linea Mantova - Verona, almeno all'inizio delle operazioni , avrebbe potuto giovare più agli Austriaci che non agli Italiani; - nel caso che gli Austriaci, piuttosto che accettare battaglia, si fossero appigliati ad una difensiva appoggiata dal sistema Verona - Pastrengo - Ciriano, la campagna sarebbe andata per le lunghe. Qualora le operazioni principali si fossero svolte, invece, dal basso Po, l'attuazione del piano del Cialdini avrebbe incontrato le difficoltà seguenti: - l'ostacolo stesso del Po; - passato il Po, le operazioni offc::nsivc:: avrebbero potuto procedere o ad oriente o ad occidente delle valli veronesi. Agendo ad occidente di questa zona di ostacolo, le operazioni avrebbero dovuto mirare alla fronte Legnago - Mantova: il che sarebbe stato utile soltanto nel caso di operazioni perfettamente coordinate con un'offensiva sul Mincio. Ad oriente delle valli veronesi la zona di terreno atta alle operazioni militari avrebbe avuto una larghezza di 45 - 50 km , fra Sermide e Cologna, a cavallo dell a strada Ferrara - Rovigo - Padova - Vicenza; - fra Po ed Adige il terreno del Polesine, per i numerosi canali che lo solcano e le paludi che vi si trovano, avrebbe costituito, rispetto ad operazioni militari effettuate cc.:i forze considerevoli , una zona di ostacolo profonda circa 20 km; - il passaggio dcll 'Adige sarebbe stato reso ancora più difficile dalle fortificazioni d1 Rovigo e da quelle di Legnago, che avrebbero permesso agli Austriaci di molestare sul fianco la nostra avanzata.
* * * Animato dal lodevole desiderio di eliminare, alla vigilia della guerra, una così deplorevole divergenza di idee fra i due generali, « entrambi confortati dal favore dell'opinione pubblica ed entrambi rivestiti dell 'autorità che loro derivava dall'aver condotto prece-
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<lcntcmente altre imprese militari fortunate », il generale Petitti tentò di conciliare (1) in qualche modo i due concetti operativi, facendo sperare al Cialdini che il suo piano, tendente ad operare dal basso Po, sarebbe stato tenuto nella dovuta considerazione, nel quadro generale delle operazioni. Anzi al Cialdini venne conferito il comando di ben otto Divisioni: forza con la quale - secondo quanto egli stesso affermò - egli avrebbe potuto puntare oltre la linea dell'Adige (2). Circostanza, questa, che, insieme colle assicurazioni del Petitti , finì col convincere il Cialdini : sia che la divisione dell'esercito in due masse non sarebbe stato un male irrimediabile; sia della possibilità dell'adesione del La Marmora ad un'azione principale dal basso Po (adesione che il La Marmora, come si rileva dai documenti, non aveva chiaramente espressa). Ad uscire dalla equivoca situazione così creatasi ed a decidere finalmente sulla direzione nella quale esercitare lo sforzo principale dell'esercito, il La Marmora ed il Cialdini ebbero un colloquio a Bologna, il 17 giugno, quasi :ilb vigilia dell'apertura delle ostilità; ma non possiamo fare a meno di rilevare come in tale occasione - che avrebbe dovuto essere decisiva per la scelta del disegno (1) Fin dal 29 marzo il generale Petitti aveva, infatti, richiamata l'attenzione del generale La Marmora sulla necessità che, tanLo lui quanto il Cialdini, dall'opinione pubblica additati come i più probabili condottieri di una guerra contro l'Austria, s'intendessero sulla soluzione del tanto discusso problema, se cioè convenisse operare dal Mincio o dal basso Po. A quest'amichevole invito del PetiLti, il generale La Marmora rispondeva in data rr aprile: « Cialdini ha passato qui due giorni e ti posso con gran piacere annunziare che siamo più d 'accordo di quello che si poteva credere. Cialdini credeva che noi avessimo in pensiero di assediare una dopo l'altra le fortezze del Quadrilatero; m entre io sono pure d'opinione col C ialdini che, guando potessimo disporre di sufficienti forze, conviene passare in mezzo alle forLezze, mascherare le principali ed andare oltre; massime se l'esercito prussiano potesse, vincitore, avvicinarsi al VeneLo >> , (Cfr. CmALA: Ancora un po' più di luce mg/i eventi politici e militari dell'anno 1866, Firen ze, 1902). (2) TI La Marmora, nella sua Relazione del 10 luglio 1869, scrisse al r iguardo: « ... da prima il generale Cialdini accettava il comando del Corpo del basso Po, composto di 5 Di visioni; e più tardi lo stesso generale ne chiedeva altre tre. A tale richiesta io aderivo, in seguito alle assicurazioni e sollecitazioni che mi veni va no fatte dal generale Petitti per parte del generale Cialdini ... Ho ceduto solo perché il Peti tti mi assicurava che il generale Cialdini si sentiva in grado, colle 8 Divisioni, non solo di varcare il Po, ma di espugnare Rovigo e progredire anche oltre».
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delle operazioni - il La Marmora non abbia mostrato tutta la necessaria fermezza. Pur non condividendone il parere, egli lasciò, infatti, il Cialdini nella convinzione che l'azione principale si sarebbe svolta dal basso Po, ed anzi - almeno secondo quanto ebbe ad affermare lo stesso Cialdini - promise di eseguire semplici dimostrazioni sulla sinistra del Mincio, in modo da facilitare al TV Corpo d'armata il passaggio del Po. Solamente quando la massa del Cialdini si fosse saldamente affermata nel Polesine, l'armata del La Marmora si sarebbe unita ad essa per agire ulteriormente. Se il passaggio del Po non fosse riuscito, il Cialdini avrebbe dovuto, invece, unirsi alla massa del Mincio per operare con tutte le forze da quella direzione. Come si vede, a Bologna non venne ben precisata la reciproca funzione delle due armate e non venne eliminato l'equivoco già esistente fra i due generali circa l'operazione principale. 1 documenti (r), ormai di pubblico dominio, stanno a dimostrare, al riguardo, come il Cialdini non abbia saputo rassegnarsi (1) Circa il coll0<.1uio di Bologna, il C iald ini racconta: « A Bologna il generale C ialdin i propose come condizione sine qua non che si eseguisse una seria dim ostrazione sul Mincio, onde trarre in inganno il nemico da quel lato, mentre si sarebbe tentato dall 'altro lo studiato passaggio del Po. Il generale La Mar mora accettò la proposta e promise di limitarsi a semplice dimostrazione. Si convenne altresì che, se il passaggio del Po fosse riuscito e se si fosse preso terra solidamente nel Polesine, tutto il resto deJl 'esercito sarebbe accorso, a marce forzate e valendosi della ferrov ia , a riunirsi al Corpo del Cialdini. Se invece il passaggio del Po non fosse riuscito, il Corpo del C ialdini sarebbe andato, senza perdita <li tempo, a riunirsi al resto dell'esercito sul Mincio ». Il La Marmora - che, a proposito del colloquio di Bologna, nella sua Relazione del 10 luglio r869, aveva già affermato che (< nessun accordo era stato sta bilito sui particola ri dell'a zione rispetti va » - nell' opuscolo Schiarimenti e rettifiche ribadisce lo stesso concetto ed agg iunge : « In segu ito e dipendentemente dai successi ottenuti, o l'esercito si sarebbe riunito tutto da una parte o si sarebbe considerevolmente rinforzato l'esercito del Po qualora fosse riuscito ad espugnare Rovigo ed a portarsi sull'Adige. Di dimostrazion i sul Mincio per parte del Corpo principale, a Rologna, non se ne fece parola ». Ma, lasciando da parte le Relazioni e gli scritti pubblicati dopo la campagna, la deleteria permanenza dell 'equivoco viene dimostrata in modo lampante anche dalla corrispondenza scambiata tra il Cialdini ed il Comando Supremo dell'esercito dal 20 al 24 giugno. Da i documenti, che qui si offrono alla m editazione dei lettori, si rileva in modo non dubbio che, anche dopo il colloquio d i Bologna, il Cialdini effettivamente considerava la dimostrazione sul Mincio come condi zione essenziale per passare il Po. Non si comprende,
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disciplinatamente a rinunziare alle sue convinzioni e sia rimasto, anche dopo il colloquio di Bologna, nella certezza che il passaggio del Po da parte del IV Corpo dovesse venir preceduto da una dimostrazione in forze sul Mincio. In quanto al La Marmora (al quale per conseguenza, come il La Marmora non ahhia rilevato, durante il colloquio, l'errore del C ialdini e non abbia chiarito meglio il suo concetto. Ecco, ad ogni modo, i documenti relativi:
A S.E. il generale comandante il I V Corpo d'armata. - Ferrara. Cremona, 20 giugno 1866. D'ordine del Re, questa mattina si è mandata all'Austria la dichiarazione cli g uerra, avvertendola che fra tre giorni si darà principio alle ostilità. Salvo il caso che gli Austriaci non accettino questa dilazione di tre giorni, le ostilità com inceranno il mattino del 23. Durante questi g iorni le truppe dovranno g uardarsi a prendere tutte quelle misure e precauzioni necessarie in faccia a l nemico. - A. La Marmara. A S .é'. il go,nalf' Cialdini. - Ferrara.
Cremona, 2 1 g iugno 1866. Non essendo venuta risposta austriaca , non si potrebbero cominciare ostilità prima del 23; anzi da parte nostra non si farà nulla fino al 24, che per combina z ione trovasi essere anniversario Sa n Martino. - li generale d'armata: A. La Marmara .
Generale L a Marmara. - Cremona. 21 g mgno 1866. Mio tentativo passaggio Po dev'essere preceduto da seria dimostrazione sul Mincio. Avvertitemi al più presto se pensate farla il 24, onde io dispon ga passaggio per la notte dal vent icinque al ventisei. - Generale Cialdini .
A S.E. il generale Cialdini. - Ferrara.
Cremona, 2 1 g iugno 1866. Sono g iunto Cremona prendere comando dell'esercito. Domani sarò Piadena. Le mando ordine del giorno alle truppe, che fec i io stesso. Mi dica cosa fa e quando tenterà passaggio Po. - Vittorio Rmanuclc.
A. S.M. il R e. - Cremona. Ringrazio V .M. suo dispaccio. Mi occupo infiniti dettagli onde accrescere probabilità passaggio Po. Dopoché V.M. avrà fatto una dimostrazione sul Min cio, lo tenterò. Salute e spirito truppe eccellenti. Attendo ordine del g iorno V.M. per darlo subi to a lle Divisioni. - Generale Cialdini.
A S.E. il generale Cialdini. - Ferrara.
Piadena, 22 g iugno 1866. Generale La Marmora in g iro dare istru zioni comandanti Corpo d 'armata. C redo poter assicurarle che g iorno 24 sar~ fatta dimostrazione sul Min-
IL COMANDO
ITALIANO F.
I
mSEGN I
DELLE O l'ER/\ZION I
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evidentemente era man cata l'energia necessaria ad imporre al Cialdini la propria volontà), egli non si preoccupò della coordinazione degli sforzi e ritenne anzi opportuno che le due masse si considerassero quasi come indipendenti o che almeno le loro operazioni non potessero o non dovessero essere strettamente collegate. cio secondo informazioni che si avranno sul nemico. Ritorno generale La Marmora maggiori schiarimenti. - L 'aiutante generale: Petitti.
Generale Cialdini. - Ferrara.
Piadena, 22 giu gno 1866 - ore 5,30 pom. Generale La Marmora ritornato. Domani si passa il Mincio e cavall eria perlustra il paese al di là. - L 'aiutante generale: Petiui.
Generale Cialdini. - Ferrara.
Canneto, 22 giugno T866.
Oggi percorsi parte della linea, domattina passo Mincio con nove Divisioni fanteria cd una cavalleria, tre rimangono di riserva, poche forze pare che abbiamo in presenza ed occupano Valeggio, Villafranca e Roverbella. Spero tra breve essere sull'Adige cd esserle di aiulO pd suo moviirn.:11to ; nell'istesso tempo si batterà Borgoforte. Tre Brigate di Cucchiari si avanzeranno (ìno alle Grazie, una attacca coll'artig li eria di là del Po. Saluti. - Vittorio Emanuele.
A S.M. il R e. - Ccrlungo.
23 giugno 1866. Ricevuto stanotte suo telegramma. Auguro felice a V .M. an niversario S. Martino. Tenterò passaggio Po notte 25 al 26. - Generale Cialdini.
Al generale Petitti. - Canneto o Piadena.
Ferrara, 22 g iugno 1866 - ore 9. Prego d irmi con la maggiore sollecitudine se domani a mezzogiorno posso occupare J"isola di Ariano, nella q uale sono rit orna ti piccoli distaccamenti austriaci. - Generale Cialdini.
Cenerale Cialdini. - Ferrara. (Urgentissimo)
Cerlu ngo, 23 gi ugno 1866. Abbiamo passato il Mincio, senza resistenza ; occupiamo diversi punti sponda sinistra, tra cui Valeggio, <l i più Curtatone e Montanara. In guanto all'occupazione dell 'isola Ariano, faccia interamente ciò che crede, essendo 10 troppo lontano. - Generale d 'armata La Marmora. A S.F.. generale La M armora. - Cerlungo.
Q uesta notte stabil isco mio tiuartiere generale a Porporana, a quattro chilometri dalla foce <lel Panaro. Tutto va bene. Prego informare S.M. - Generale Cialdini.
I.A G UERRA DEL
1866
El> .~ I.TRI SC RITTI
Da quanto si è detto si rileva che il nostro piano di guerra sorto, purtroppo, da un compromesso che sarebbesi dovuto ad ogni costo evitare - può così riassumersi: « attaccare il Quadrilatero dal Mincio con una massa principale, aggirarlo in pari tempo con una massa secondaria dal basso Po, e completare l'offensiva con l'invasione di un corpo di volontari (Garibaldi) nel Tirolo, allo scopo di tagliare le comunicazioni austriache anche da quella parte (r). In conseguenza, si rinunziò a quell'unità di comando, che è così importante in guerra; l'esercito italiano venne diviso in due masse - una delle quali, inferiore numericamente al nemico che doveva affrontare (2) - ed iniziò le operazioni senza che i Capi fossero concordi sul piano d 'attuare (3), contro un avversario risoluto, compatto, riunito nel cerchio formidabile del Quadrilatero e guidato, come vedremo, da un solo capo energico ed intelligente. (1) Cfr. R ARO NE : np . cit . (2) Com e forze combattenti , il C ialdini aveva 63.795 fanti. 3.503 ca valieri e 354 ca1111oni; di cui soltanto 168 da campagna. L 'arciduca Alberto aveva 71 .824 fanti, 3.536 cavalieri e 168 cannoni. Le nostre forze, quindi, per quanto riguarda l'armata <lei Po, risultavano inferiori a guelle austriach e di circa 8.000 uomini, quasi pari per la cavalleria e più che doppie soltanto per l'artig lieria. Ma le condizioni del terreno fra basso Po cd Adige avrebbero tolta la superiorità dell'artiglieria, met:'i della t1uale, non essendo da campag na, non avrebbe potuto manovrarvi. (Cfr. Pou .ro: <:usto za - 1866 , Torino, 1903). (3) Scrisse, in proposito, il La Marmora (cfr. Relazione del 10 luglio 1869, già citata): « ... il 17 giugno a Bologna . . . nessun accordo venne stabilito sui particolari dell'azione rispetti va, che per m e era troppo evidente non dovesse, né potesse, combinarsi a punti no. C iascuno dalla parte sua avrebbe ag ito secondo le occorrenze e colla necessaria energia, per modo da battere o paralizzare il nem ico, attraendolo ora da una parte ora dall'altra ,, . A questa singolare concezione del La Marmora, circa il mod o di intendere il compromesso oramai fatalmente determinatosi fra i due concetti operativi, devesi evidentemente attribuire la lettera del La Marmora al Cialdini, datata da Cremona il 2 1 g iug no, lettera che, purtroppo, non poteva che prolungare l 'equivoco. « V.E. è stata in via telegrafica informata della dichiaraz ione di guerra e dell'apertura delle ostilità il giorno 23. I comandanti g enerali dei tre primi Corpi , essendo più sotto mano del Comando in capo dell'esercito, riceveranno d irettam ente gli ordini e le istruzioni . V.E., all ' incontro, viene considerata come comandante d i Corpo distaccato, e, avend o S.M. approvato il progetto dalla E.V. comunicatomi a Bologna, Ella riceve ampia facoltà d i cominciare e progredire le operazioni di g uerra in quel senso che le sembrerà più opportuno, a seconda dell e circostanze. Solo La prego d i tenermi sempre al corrente di og ni cosa » .
11. COMANDO ITALIANO E
I
DISEGNI
DELLE O l'ER AZ IONI
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E' bene ora accennare anche al concetto operativo adottato per l'impiego dei volontar~, le cui forze , come già si è <letto, ammontavano a circa 40.000 uomini. A questo riguardo è già stato ricordato come, nel comunicare al La Marmara le idee del Moltke sullo svolgimento delle operazioni, il von Bernhardi prima e l'Usedom poi suggerissero di affidare a Garibaldi il còmpito di guidare una spedi zione in Dalmazia e di favorire l'insurrezione in Ungheria (T). Il La Marmara, però, non fu di questo parere - e, a dire il vero, non senza ragione! - poiché egli riteneva che << nessuna impresa fosse possibile al di là dcli ' Adriatico finché la nostra flotta (1) La Memoria del von Bernhardi diceva, in proposito: << Il est d'ailleurs encore un moyen puissant de faciliter !'offensive italiennc et il forme aux yeux <lu gouvernement de Sa Majcsté le Roi de Prusse une des parties plus impor1an1es d11 plan généra l dcs npératinns de l;i guerre. C'est l'expcdition dc Garibaldi en Dalmatie et l'insurrection de la Hongric et dcs scs dipendances, qui en sera la suite. Cette insurrcction, préparée de longue main, peut facilemenl prendre des proportions ménaçantes, et d 'ail leurs elle sera bientùt renforcéc par Ics prisonnicrs et Ics déscrteurs hongrois et italiens, que la Prussc aura soin dc faire passer dans leur pays nata!. Elle privcra de prime abord l' Autriche de presque la moitié des ses ressources, et, san s mcttrc cn lig ne de compre la démoralisation qu 'elle ne manquera pas de jetcr dans le rangs de l'armée en nemie, elle attircra dc plus nécessairement su r elle une partie des forces, que l'Autrichc compte employer contn: la Prusse et l' Italie. « Sous le rapport des opérations militaires, l' insurrection aura très probablcmcnt pour premier effet d'accélerer la retraite de l'armée autrichienne d 'ltalic. C'est probablement de préference dans cette arméc quc l'Autriche voudra prendrc Ics troupcs, qu'ellc sera forcéc d 'opposer à la Hongric en armes. Et, de plus, Garibaldi avançant sur Fiume et sur Trieste, l' insurrection faisant dcs progrès et montrant ses band es armées jusriu 'aux limitcs dc la Styrie, l'Autrichc se verra forcée d 'obéir à une nécessité impéricusc et d 'abandonncr un théatre de guerre trop éloig né, où son arméc se trouvcrait bientot isoléc et hors d 'état dc concourir à la défense du centre dc !'Empire, mìnacé de si près et <le Lant de cfaés à la fois. « Plus tard, :Ì l'époquc décisivc dc la campagne, l' insurrection, soutcnuc par Garibaldi, facilitcra dc beaucoup !'offensive dc l'armée italicn nc, avancéc jusqu - cn Styric et dans la dircction du Danuhe ... « Aux yeux du Cabinet militaire <le Sa Majcsté le Roi, mon maìtre, rien n'est plus urgent: que cle donncr à cctte cxpédition des dimcnsions proprics à en assurcr le succès, et d 'accélércr son départ, afin quc son influcnce se fassc sentir dès le commcnccmcnt de la guerre sur les ri ves du Po et m em c sur Ics champs de bataillc dc la 13ohemc » .
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LA GUERRA
UEL
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ED ALTRI SCRITTI
non si fosse resa padrona di quel mare, con il distruggere o paralizzare la flotta nemica n, ed anche perché, « non credendo conveniente uno sbarco al di là dell'Adriatico all'inizio della guerra», pensava che i volontari' dovessero venire impiegati nel Tirolo (1). A proporre a Garibaldi questo progetto - che appariva anche al Cialdini come l'unico possibile, almeno all'inizio della campagna - nei primi di giugno il La Marmara inviò a Caprera il colonnello di Stato Maggiore De Vecchi, al quale Garibaldi espose allora un suo disegno, che - secondo la Relazione ufficiale - era quello « non già di tentare una puntata nella Dalmazia, attraverso le provincie slave del mezzodì, verso l'Ungheria e porre piede nell'Istria alle spalle di Pola; ma di sbarcare presso Trieste, occupare <..JUesta città e m anovrare verso nord , sul rovescio delle Alpi Giulie e Carniche, per impadronirsi dei passi che dal Veneto conducono nelle valli della Sava e della Drava ». Il De Vecchi non negò che tale progetto avrebbe potuto effettuarsi dopo l'inizio delle operazioni , a situazione chiarita , e Garibaldi accettò di agire intanto per il Tirolo, assicurando che, in ogni caso, avrebbe obbedito al Comando dell'esercito (2). La riunione dei volontart continuò quindi a farsi anche a Bari, Barletta c.: Trani, soltanto allo scopo di effettuare, occorrendo, qualche dimostrazione e di tenere incerto il nemico, sino all'ultimo momento, sulla loro destinazione. Appena iniziate le ostilità, Garibaldi ottenne, però, dal ministro della guerra che anche i volontar1 che si trovavano in Puglia venissero trasportati sul teatro delle operazioni. ( •) Nella sua Relazione del 20 dicembre 1868 il La Marm ora dice, non sen7,a amarezza, in proposito: •< G iammai ho pensato ad impiegare i volontari fuori del Tirolo ... Così per a ltro non la pensavano altri personaggi imponanti, che, lusingati dai variopinti progetti degli emigrati ung heresi ed affascinati dalle solite teori e dei rivoluzionari e di convinzione e di professione, convenuti a Firenze da tutte le parti, si lasciavano dare ad in tendere che le popolazioni dalmate, croate cd ungheresi, si sarebbero sollevate come un sol uomo per fare causa com un e coll' Italia ... « Quanto fossero illusorie le spera nze dei professori e dilettanti di insurrezioni, lo ha provato il contegno delle popolazioni ungheresi, croate e dalmate durante la guerra >> . (2) Garibaldi scrisse, in proposito, al Re: ,, Certamente ho anch "io, come gli altri, il mio piano di campagna. Espongo le mie idee se sono consultalo e, naturalmente, ho piacere di vederle messe in opera; ma non farò mai d ifficoltà a d eseguire i comandi del capo supremo dell 'armata )).
IL COMANDO ITALIANO E
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DISEGNI
DELLE OPERAZIONI
Cl concetto <lei La Marmora circa l'impiego dei volontari: è accennato nella seguente lettera <lei 19 giugno, da Cremona, avente per oggetto: « Missione affidata al Corpo dei volontari » e indirizzata a Garibaldi a Salò: « L'intenzione di S.M. è che alla S. V. sia affidata, fin da adesso, 1a difesa del lago di Garda e dei varii passi che dal Tirolo mettono nelle vallate lombarde. Al suo comando sono quindi sottopaste, siccome ne avrà già ricevuto avviso, sia la fl!)ttiglia, sia l'artiglieria recentemente inviata per l'armamento delle batterie locali. « Rotte le ostilità e di mano in mano che le forze sotto i suoi ordini si completeranno in numero ed in organizzazione, Ella agirà contro gli Austriaci: o per il lago o per le montagne, come meglio crederà. Suo scopo sarà di penetrare nella Valle dell'Adige e di stabilirvisi in modo da impedire ogni comunicazione tra il Tirolo e l'armata austriaca in Italia. Se le popolazioni del Tirolo italiano si mostrassero favorevoli alla nostra causa, Ella è autorizzato a trarne partito. " In questo suo campo d 'azione è necessario che Ella tenga presente la dichiarazione emanata dal Governo, che avrebbe rispettata la neutralità svizzera, a condizione, bene inteso, che lo sia pure dall'armata nemica ». Come si vede, anche quest'ordine, invero assai vago, non dava a Garibaldi quelle informazioni e quelle disposizioni che sarebbero state necessarie a coordinare meglio le operazioni con quelle del!'esercito regolare, del quale, pure, i volontari dovevano proteggere l'ala sinistra.
IV. LA MOBILITAZIONE E LA RADUNATA DELL'ESERC ITO
ITALlANO
A completare quanto si riferisce alla preparazione militare italiana per la campagna, non sarà inopportuno di accennare anche al modo nel quale si svolsero le operazioni per la mobilitazione ed i trasporti per la radunata. Le disposizioni successivamente emanate dal Ministero della guerra per 1a mobilitazione d ell 'esercito - da quando l'eventualità della guerra apparve come possibile e prossima, a tutto il 27 aprile furono le seguenti : 11 marzo : chiamata alle armi degli uomini cli seconda categoria della classe 1844 per l'istruzione annuale;
-
25 marzo: ripresa pel 25 aprile delle operazioni cli leva
della classe 1845, operazioni c he al principio dell'anno erano state sospese per economi a; 1 ° aprile: emanazione di alcune norme circa la destinazione preventiva del personale, che, in caso cli mobilitazione, sarebbe stato chiamato a costituire i depositi ;
aprile: richiamo deg li ufficiali dall 'aspettativa;
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1°
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18 aprile : sospensione delle licenze; 27 aprile: richiamo di tutti i militari cd impiegati mili-
tari in licenza. Ma, mentre il Governo italiano iniziava i suoi preparativi gradatamente e con la prudenza necessaria a non fare attribuire ad ess i il significato di una vera e propria provocazione, l'Austria si p reparava alla guerra oramai paleseme nte e telegrammi da Trieste e eia Vienna, in data del 24 e del 25 aprile, annunziavano al La M armora il richiamo gener ale di tutti i soldati disponibili d ell'Impero. Questo procedimento, messo in relazione con la nota del 26 aprile, con la quale il Gabinetto di Vienna espon eva a quello di Berlino il proposito dell' Austria di disarmare al n ord , verso la Prus-
LA MOBILITAZIONE E LA RADUNAT A DELL.ESERCITO
ITALIA N O
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sia, ma di mobilitare l'esercito contro l'Italia, indusse il La Marmara a rompere gli indugi. E, dopo aver fatto constatare ufficialmente la precedenza degli armamenti austriaci verso l'Italia, si affrettò a prendere i provvedimenti imposti dalle circostanze. Per conseguenza le operazioni per la nostra mobilitazione divennero palesi, e, infatti, in data del 27 aprile, venne disposto per l'immediata incorporazione degli uomini di seconda categoria della classe 1844 e, in data del giorno 28, per la costituzione dei depositi. Nello stesso giorno 28 si diramarono, inoltre, gli ordini e le istruzioni per il richiamo delle classi già in congedo illimitato, richiamo che doveva effettuarsi nei giorni 5, 7 e 9 m aggio e che si riferiva ai soldati delle classi 1834- '35 - '36- '37- '38- '39- '40, a qualunque provincia del Regno appartenessero; nonché a quelJi delle classi 1841 - 1842 del treno d'armata, che erano stati m andati in congedo poco prima, ed agli uomini della seconda categoria delle classi 1840 e 1841. Costituiti i depositi dei Corpi , gli uomini del le classi richiamate vi affluirono in un numero complessivo che :iscese a 129. 496. Di questi, come ricorda, con bene giustificato compiacimento, la nostra Relazione ufficiale: Si presentarono nel giorno stabilito . Si presentarono posteriormente, ma prima di incorrere nella diserzione Furono dichiarati disertori: - ma poscia si presentarono spontaneamente - furono arrestati . - rimasero ancora latitanti al 30 settembre Mancarono alla partenza, a tutto il 30 settembre, per giustificati motivi . Totale
121 .802 2.429
341 367 2.o~p 2.465 129.496
Da queste indicazioni risulta che, degli uomini delle classi in congedo illimitato, soltanto 1'1,62% dei militari richiamati non aveva ancora raggiunto, al 30 ottobre, senza giustificati motivi, i rispettivi reggimenti. Circostanza che bene dimostra con quale concordia e con quale entusiasmo il giovane Regno si accingesse alla guerra per l'unità nazionale.
I.A GUERRA OEL
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ED A LTRI SCRITTI
* * * Mentre si compivano le operazioni ricordate, il Governo - data la necessità di non tardare ad assumere almeno un atteggiamento difensivo, poiché già verso la metà di maggio l'Austria avrebbe potuto trovarsi in grado di iniziare le operazioni contro l'Italia prendeva anche le disposizioni per la radunata dell'esercito attivo verso Piacenza e verso Bologna. I movimenti a tale uopo necessarì dovevano iniziarsi nella notte dal 2 al 3 maggio ed essere ultimati pcl giorno 5, giorno nel quale doveva cominciare, come si è detto, l'invio ai Corpi dei richiamati. Il problema della radunata non era certo facile a risolversi. Al 1 ° di maggio le truppe italiane si trovavano ancora disseminate nelle varie provincie del Regno cd occorreva costituirne rapidamente due masse: l'una tra Lodi , Cremona e Piacenza ; l'altra intorno a Bologna, mentre al sollecito andamento dei trasporti relativi si opponeva il fatto che tra Piacenza e Bologna era disponibile soltanto una linea ferroviaria (r47 km) ad un solo binario ; cosicché, dovendo eseguirsi contemporaneamente i trasporti degli uomini e dei materiali da Piacenza a Bologna e viceversa, verso le due zone di radunata, si sarebbe incorsi in notevoli indugi, che occorreva evitare. Ad ovviare, per quanto era possibile, all 'insufficienza della linea Bologna - Piacenza, il Ministero della guerra dispose allora che i Corpi d 'armata che dovevano costituirsi a Lodi, a Cremona ed a Piacenza, venissero formati d alle truppe stanziate in Lombardia, in Piemonte e nell'Emilia occidentale, usufruendo delle linee ferroviarie: M'l ~ Lodi - Piacenza t ano . 1.10 - C,remona f T rev1g Brescia - Treviglio - Cremona
.no Torl
-
nonché di alcune di quelle della Toscana, lungo le quali dovevano affluire i reparti provenienti per mare dalle provincie meridionali e sbarcati a Livorno ed a Genova. T ali reparti dovevano raggiungere le zone di radunata usufruendo delle linee ferroviarie:
i
Livorno p·1st01a . - Bol ogna - p·iacenza . F 1renze Genova - Novi - Tortona - Piacenza
LA MOBILITAZIONE E LA R ADUNATA DELL'ESERCITO ITALIANO
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Con criterio analogo, al Corpo d'armata che si doveva raccogliere presso Bologna, al comando del Cialdini, vennero assegnate le truppe già dislocate nei dipartimenti di Bologna e di Firenze e quelle delle provincie meridionali , che più facilmente avrebbero potuto affluire sulle linee: Lecce - Ancona - Bologn a Livorno ~ . . , , P1st01a - Bo1ogna . F uenze J L
Così vennero ridotti al mm1mo possibile i trasporti su1 tratto Piacenza - Bologna, secondo le disposizioni che erano state già preparate fin dal tempo di pace. << Prima che tanta massa d 'uomini si mettesse in movimento », dice infatti la Relazione ufficiale, << si era stabilito un concorde sistema di rapide mosse convergenti su vastissima scala, approfittando, nella più larga misura, di tutti i mezzi disponibili dì celere locomozione,- in guisa da evitare incrociame nti , soverchi ingombri sulle linee e lunghe fermate; ed il problema logistico era risolto prima che ne cominciasse l'attuazione effettiva». Data la necessità di porsi in grado di difendere la frontiera, che in quei giorni poteva venire minacciata dall ' Austria, si dovette trasportare nel minor tempo possibile il maggior numero di uomin i e la maggior quantità di materiale e, all' uopo, si adottò molto opportunamente il criterio di non servirsi delle ferrovie se non per trasportare la fanteria ed il carreggio; mentre le truppe a cavallo, in gran parte dislocate non molto lontano dalle zone di radunata, dovevano pervenirvi coi propri mezzi. Secondo tale concetto, il Ministero della guerra, con telegramma del J maggio, ordinò ai comandanti dei di partimenti di tenere le truppe pronte a muovere al primo cenno ed il giorno 2 sped ì loro le tabelle di formazione dei Corpi d 'armata colle istruzioni necessarie per effettuare i movimenti di radunata. << Ma, poiché » - dice la Relazione - « non sarebbe stato possibile regolare da Firen ze il collocamento delle truppe nei luoghi di riunion e, né provvedere d a momento a momento agli inconvenienti di vari a natura che potevano darsi nell 'esecuzione di quel gran movimento, ne fu affidato l'incarico e l'iniziativa al comandante del dipartimento di Mil ano per le truppe destinate ai Corpi I, II e III (Lodi, Cremon a e Piacenza) ed a que llo di Bologna per le truppe destinate al IV Corpo d 'armata » . 0
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LA GIJF.RR/\ J>t: L
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ED ALTRI SCRITTI
I comandanti dei dipartimenti suddetti regolarono, infatti, l'afflusso dei reparti nelle zone di radunata. Le truppe che dovevano raggiungere Piacenza per la linea Pistoia - Bologna - Piacenza vennero trasportate prima di quelle destinate a Bologna, in modo da lasciare poi disponibile tale linea per la radunata del IV Corpo. Le truppe provenienti dalle provincie napoletane, dalla Sicilia o dalla Sardegna vennero sbarcate a Livorno ed a Genova e, per cura dei Comandanti delle Divisioni territoriali locali, furono successivamente trasportate, secondo le richieste e le indicazioni telegrafi.che dei comandanti dei dipartimenti di Milano e di Rologna. Le truppe già stanziate nel dipartimento di Milano, essendo vicinissime ai luoghi di radunata, vi affluirono, lJUalche giorno dopo le altre, per evitare il soverchio ingombro degli alloggiamenti; cosicché se, pel 6 di maggio, la maggior parte delle forze si trovò già riunita a Lodi, Cremona, Piacenza e Bologna, soltanto tra il 2 ed il 15 maggio le Divisioni ed i Corpi d'armata poterono dirsi veramente costituiti. Per potere predisporre i movimenti nccessarì per la radunata, il Ministero della guerra aveva dovuto fare il computo dei mezzi di trasporto che potevano mettere a disposizione le Società ferroviarie, la marina da guerra e la marina mercantile ed impiegarli in modo da ottenere il massimo rendimento, secondo gli accordi presi al riguardo coi Ministeri della marina e dei lavori pubblici . Le truppe delle provincie meridionali, che dovevano essere trasportate per mare nell 'Italia superiore, vennero raccolte presso i porti d 'imbarco. Questi furono: - per le truppe provenienti dalla Sicilia: Girgenti, Trapani, Palermo, Milazzo, Messina, Catania e Siracusa ; - per le truppe delle provincie napoletane: Reggio, Pizzo, Paola, Napoli e Gaeta; - per quelle della Sardegna: Cagliari. Per i trasporti ferroviarì le Società avevano raccolto i loro materiali mobili sulle principali vie del movimento e, cioè, sulle linee: Torino_ Milano
~ Treviglio - Cremona
t Lodi - Piacenza
Torino - Alessandria - T ortona Genova - Navi - Tortona ~ p·1sto1a . - Bo1ogna Firenze .. I~1vorno Lecce - Ancona - Bologna
~
Piacenza
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MOBll, lTAZ IONJ:: F. LA R ADUNATA DELL ' ESERC ITO ITALIANO
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« Nei luoghi poi di maggior moto i i - aggiunge la Relazione come Pistoia, Bologna, Piacenza, Milano, Lodi, Cremona, Codogno, ufficiali di Stato Maggiore e commissari governativi regolavano l'arrivo e la partenza delle truppe, il movimento e la direzione dei convogli ; sicché le cose procedettero con sufficiente regolarità, senza gravi inconvenienti e soprattutto senza che ostacolo alcuno si frapponesse alla effettuazione del movimento generale gi usta il concetto del Ministero. « Essendo quella la prima volta che l'Italia si trovava nel caso di dover muovere e radunare improvvisamente tanta quantità di truppe per mezzo delle ferrovie , sen za che si fossero fatti prima appositi studi, fu devoluto totalmente alle direzioni dell'esercizio delle Società il regolare il movimento dei convogli secondo le richieste dell'autorità militare, radunando, distribuendo, dirigendo i loro materiali sulle varie linee conforme al bisogno. I movimenti pit1 complicati furono sulle linee lombarde, e specialmente intorno a Codogno, ove, sulle medesime lince e nelle medesime direzioni su cui viaggiavano traini di truppe , si dovettero pure mandare traini di viveri . E vi fu un momen to di dubbio se si dovesse da Milano a Codogno soprassedere allo invio delle truppe per lasciare libero il corso ai traini che dovevano trasportare le vettovaglie per le altre già radunate; ma tanta fu la solerzia e l'energia dei capi a dirigere, e la diligenza ed attività delle persone cui incombeva l'esecuzione, che anche quelle difficoltà si poterono superare. « Vuolsi rammentare che non esistevano allora i tronchi da Brescia a Cremona e da Codogno a Cremona. La mancanza di quest'ultimo singolarmente fu sensibilissima, dovendo le truppe scendere a Codogno e proseguire a piedi, sopra una sola strada, sino alle loro destinazioni. « Provvedutosi per tal modo alla prima necessità di radunare sollecitamente un buon nerbo di truppe, tale da fronteggiare un possibile attacco degli Austriaci, il Ministero ebbe miglior agio a disporre per la formazione di altre quattro Divisioni, richiamando a tal fine d al sud al nord i Corpi che erano colà rimasti: le quali Divisioni si formarono nel g iugno a Piacenza ed a Bologna ». <<
Mentre la situazione politica andava chiarendosi ed induceva a ritenere la guerra oramai come imminente, le Unità dell'esercito si completarono e, presso i Corpi, venne provveduto anche all'istruzione degli uomini di seconda categoria.
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LA GUERRA OEL
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t:I> ALTRI SCRITTI
Dal 15 al 19 giugno la massa destinata ad operare sul Mincio (Corpi d'annata I, li e III) si avanzò dall'Adda al Chiese, in modo da poter coprire meglio la Lombardia e da avvicinarsi, per quanto era possibile, al IV Corpo. L'esercito italiano venne così ad assumere uno schieramento più adatto alla guerra offensiva che stava per iniziare ; ed il 20 giugno, alla dichiarazione di guerra (1), le ( 1) La dichiarazione di guerra consistette nel la seguente lettera indirizzata, <l'ordine del Re Vittorio Emanuele, dal La Marmora all 'arciduca Alberto. Essa venne porlata a Mantova dal colonnello di Stato Maggiore Bariola, sottocapo <li S.M. dell'esercito, il 20 giugno alle h. 6,30. Da Mantova venne spedita a Verona all'arciduca Alberto, al yuale dovette pervenire alle h. 13 circa: CoMANDO JN CAPO DF.LrL' BsERCITO ITALIANO
A S.A.I. l'arciduca Alberto, coma ndan te in capo le truppe austriache nel Veneto. « L 'Impero auslriaco ha più d 'ogni altro contribuito a tenere divisa ed oppressa l'Italia, e fu cagion e principale deg li incalcolabili danni materiali e morali che da molti secoli hn dovuto patire. Oggi :rncor;1 che ventidue m ilioni di haliani si sono costituiti in nazione, l'Austria sola, fra i grandi Stati del mondo civile, si rifiuta a riconoscerla. Tenendo tuttora schiava una delle più nobili nostre provincie, trasformandola in un vasto campo trincerato, di là minaccia la nostra esistenza, e rende impossibile il nostro svolgimento politico interno cd esterno. Vani riuscirono in questi ultimi anni i tentati vi ed i consigli di potenze amiche per rimediare a questa incompatibile condizione di cose. Era quindi inevitabile che l'Italia e l'Austria si trovassero a fronte al primo manifestarsi di qualche complicazione europea. « Le pretese iniziative dell 'Austria ad armare e la ripulsa che oppose alle pacifiche proposte di tre grandi Potenze, mentre facevano palese al mondo quanto fossero ostili i suoi disegni, commossero l' Italia tutta da un capo all'altro. « Ond'è che S.M. il Re, custod e geloso dei diritti del suo popolo e difensore dell ' integrit:ì nazionale, si sente in dovere di dichiarare la guerra all'Impero Austriaco. « D'ordine quindi del prefato Augusto mio Sovrano, significo a V.A.I., qual comandante le truppe austriache nel Veneto, che le ostilità avranno principio dopo tre giorni dalla data della presente; a meno che V.A.I. no n volesse aderire a questa dila zione, nel qual caso la pregherei di volermelo significare>>. Dal Quartier generale di Crem ona, 20 g iugno 1866.
Il generale d 'armata Capo di Stato Maggiore dell'esercito italiano Alfonso La Marmora Dicendo << le ostilità avranno principio dopo tre g iorni dalla data della prese nte » , il Capo di Stato Maggiore italiano inten<leva fissare il termine
LA MOBILITAZIONE E LA
RAD UNAT A DEL L ' ESERC ITO
diverse Unità avevano la di slocazione di
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e
cui
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alle seguenti pagine
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pel cominciamento delle ostilità al compiersi di tre volte ventiquattro ore, dal momento della conseg na di quella dich iarazione, che fu fatta, come dicemmo, tra le 6,30 e le 8,30 ant. del 20. Al Quartiere generale austriaco, invece, iJ calcolo fu fatto sulla base di tre giorni interi dal mezzodì del 20. Da ciò una d ifferenza di circa 5 ore in meno da un lato e in più dall'altro. L'arciduca non dette risposta alcuna. Nello stesso g iorno il ministro degli affari esteri del Regno d'Italia notificava a tutti gl i agenti diplomatici e consolari del Re l'avvenuta dichiaraz ione di guerra e fissava il modo di « regolare sul m are l'esercizio dei diritti del governo italiano >>. Un decreto reale istituiva una Commissione delle prede con sede in Firenze e ne determinava le attrihuzioni e la procedura. Nello stesso giorno il generale C ialdini ema nava il seguente ordine del g iorno per il IV Corpo d 'armata: Ufficiali. sottufficiali e soldati del lii Corpo d'a rmata. « Ripigliamo le arm i, auspice e duce Re Vittorio Emanuele. Non ci muove ambizione di dominio, né desiderio di conquista. Altro non cerch iamo fuorché di far libera la misera Venezia, terra non a ustriaca , ma altamente italiana. " Altro non vogliamo fuorché compiere la indipendenza e l'unità del nostro paese. Sacro per og ni anima ge nerosa e cittadina è questo cc\mp ito. C i accompagnano quindi i voti di quanti nel m ondo amano la Patria. Allo annunz io della sospirata impresa sparvero fra noi gare municipali e differenze politiche, tacquero rivalità di uomi ni e discordie di partiti . Tutti ci demm o fo rtemente la mano. Spettacolo solenne, esempio suhlime che insegna all'Ttalia in qual m odo possa, volendo, raddoppiare sempre la sua potenza. « All'armi dunq ue! La sa ntità dello scopo, la grandezza dei mezzi, la concord ia degli animi preparano la vittoria . O ra a noi di conseguirla. All'armi dum1 ue! « Lascia mo al nemico le minacciose bravate e le superbe parole. TI linguaggio dell'ira e dell'orgoglio non fu mai argom ento di forza, né di giustizia. « Noi invece ricord iamo quietamente come la nostra bandiera corresse l"Ttalia da Torino a Marsala per la splendida via dei nazionali trionfi. N oi invece, traendo dal passato tranquilla fiducia nell 'avvenire, attendiamo calmi e sicuri gli ordini del Re Guerriero, attend iam o i d ecreti del destino e la senten za del cannone )).
Dal Quartier generale di Bologna,
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g iugn o 1866. TI generale d'armata E . Cialdini
L/1 GUERRA DEL
1866
EO 1\ LTRI SCRITTI
QUARTIER GENERALE PRINCIPALE: Cremona I CoRPO D'ARMATA: Quartier generale: Castiglione delle Stiviere.
1" Divisione: Pozzo 1engo (1). Divisione: Quartier generale: Rivoltella. Brigata Aosta: Villa Arrighi (ad est di Rivoltella). Brigata Siena (2): Casa Montani e C ampagnola (ad ovest di Rivoltella). 3" Divisione: Volta. 5" Divisione: Quartier generale: Cavriana. Brigata Brescia: Monte Breda (a nord - est di Cavriana). Brigata Valtellina: Cavriana. Riserva: Solferino e S. Cassian o. 2"
III CORPO n'ARMATA: Quartier generale: Gazoldo.
7''
Divisione: Goito (-3). 8" Divisione: Cerlungo. 9a Divisione: Motta. 16'' Divisione: Quartier generale: Cadcnazzo. Brigata Panna : Rivalta. Brigata mista: Settefrati. Brigata cavalleria: Caigole. II CoRPO D'ARMATA: Quartier generale: Castellucchio (4).
f
Divisione: Quartier generale: Cesole. Brigata Regina: Cesole. Brigata Ravenna: Canicossa.
( 1) Il 29° reggimento fanteria (Rrigata Pisa) era mancante di due compagn ie del III battaglione, ch e rimasero dist accate a Rocca d 'Anfo. (2) Il 32° reggimento fa nteria (Brigata Siena) era mancante di un battaglione, distaccato a Salò. (.,) Un battaglione del 1 ° reggimento era tuttora a Piacen za. Uno d i volontari veneti, formato poco prima come V battaglione dello stesso reggimento, era stato sciolto il 17, e g li uomini di cui si componeva erano stati riparLiti Lra Lutti i reggimenti del III Corpo. TI nuovo V battaglione del 1' reggimento fu, dopo ciò, costituito nel modo sLesso degli altri. (4) Pel passaggio dell'Oglio a Gazzòlo fu g ittato dai ponLieri del II Corpo un ponte di barche e cavalletti.
LA MOBILITAZIONE E LA RADUNAT A DELL' ESERC ITO ITALI ANO
] I
6a Divisione: Quartier generale: Castellucchio. Brigata Acqui: Montanara. Brigata Livorno: Castellucchio. 10" Divisione: Quartier generale: Gabbiana. Brigata Umbria: Campitello. Rrigata Abruzzi: Gabbiana. 19' Divisione: Gazzòlo (1). Brigata cavalleria: Marcaria e Sarginesco. Divisione cavalleria: Medole, Castiglione delle Stiviere, Robecco e Guidizzolo. Riserva generale d'artiglieria: attorno a Cremona. IV CoRPo
v'ARMATA:
Quartier generale: Ferrara.
Divisione: Galliera. 12" Divisione: presso Cento. r3" Divisione: F errara. 14" Divisione: S. Giovanni m Persiceto. 15" Divisione: Mirandola. 17" Divisione : Altedo. 18' Divisione: Argenta. 20" Divisione (allora composta soltanto del 38" e 39° battaglione bersaglieri e del 7° reggimento fanteria) : Ferrara. 1' Brigata di cavalleria: Pontelagoscuro, Francolino, Cologna, Mesola, con posti lungo il Po, tra la foce del Panaro e Mesola. 2 " Brigata di cavalleria: Mirandola, Carpi, Guastalla, Novi, con posti !ungo il confine mantovano e fino alla foce del Panaro. Riserva d'artiglieria: Bologna. 11'
( 1) La 19" Divisione aveva allora presenti tre soli reggimenti di fanteria, perché il 68" (Briga ta Palermo) era stato trattenuto provv isoriamente a presidio e.li Cremona, Pizzighettone e Pavia, e non raggiu nse la Divisione se non il 27 g iugno.
V. LE FORZE AUSTRIACHE IN ITALIA
L'organizzazione militare dell'Austria non era stata mutata dopo il 1859. La durata normale del servizio alle armi era di 8 anni e di 2 all a riserva; ma, in realtà, i contingenti non compivano se non una ferma di 3 anni. L'esercito austriaco comprendeva: 80 reggimenti fanteria di linea, a 4 battaglioni su G compagme; 14 reggimenti confinar,, a 3 battaglioni; I reggimento cacciatori imperiali , a 7 hattaglioni ; - 32 battaglioni cacciatori; 12 reggimenti corazzieri , a 5 squadroni (uno a 6); 12 reggimenti dragoni , a 5 squadroni ; 14 reggimenti ussan; 13 reggimenti ulani ; 12 reggimenti artiglieria da campo (a IO batterie ciascuno e 9 di razzi); I reggimento artiglieria d'assedio e da costa, a 4 battaglioni; 2 reggimenti gemo, a 4 battaglioni; 6 battaglioni piomert; 50 squadroni treno. L'effettivo di pace era di 200.000 uomini circa; quello di guerra di 6o3.ooo. Oltre queste truppe, l'Austria aveva ottime n1ilizie per la difesa locale. Tali erano la: - milizia di frontiera 2 1.000 uomm1 orca; - cavalleria <lei confini militari 4 . 000 uomm1 orca; milizia di Trieste 1.000 uom1m orca; milizia d'Istria 7.700 uomini circa; milizia del Tirolo e del Voralberg, composta di tre bandi,
LE
i' ORZE i\USTRIA C:HE I N
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il primo di 8 battaglioni di tiratori nazionali, il secondo di 21 compagnie (3.000 uomini) di tiratori volontar1 (Tiroler Scharfeschutzen) e, infine, d i 187 compagnie della La.ndsturm tirolese (36.ooo uomini). In complesso le milizie comprendevano 72.700 combattenti. Gli organici austriaci non contemplavano come normale la formazione in Divisioni; la Unità tattica era rappresentata ancora dalla brigata, costituita da 2 reggimenti di linea, un battaglione cacciatori ed una batteria montata. La brigata di cavalleria era di 2 o 3 reggimenti con una batteria a cavallo. Il Corpu d 'annata, unità strategica, comprendeva 3 o 4 brigate di fanteria, un reggimento di cavalleria ed una riserva di artiglieria <li 5 o 6 batterie. Nel 1866 l'Austria aveva 7 Corpi d'armata organicamente costituiti fin dal tempo di pace; gli altri si dovevano formare al momento del bisogno. La fanteria era armata del fucile Lorenz, reputato una buona arma; l'artiglieria di cannoni di bronzo rigati, caricantisi dalla bocca, di tre calibri, come lJuelli italiani.
* * * Il Governo austriaco si era deciso ad aumentare gli effettivi delle sue truppe fin dal 7 marzo; ma, invece di ordinare immediatamente la mobilitazione generale, aveva preferito mobilitare per periodi successivi, per non fare precipitare gli avvenimenti. Ciò non ostante, le forze austriache contro l'Italia furono pronte assai prima di quelle mobilitate contro la Prussia. Il 12 marzo vennero ordinati alcuni cambiamenti di guarnigione atti ad avvicinare i Corpi ai loro depositi ed alla frontiera. Dal 23 al 25 aprile furono messi sul piede di guerra i Corpi d 'armata del sud; si provvedette ai quadrupedi , ai traini del1'artiglieria cd alla cavalleria; si richiamarono i congedati di tutta la Monarchia e si incorporarono le reclute dell'ultima leva. Dal 26 aprile al 7 maggio si provvide a presidiare le fortezze e da11'8 maggio alla fine di giugno si costituirono 80 quinti battaglioni di fanteria e 16 nuovi battaglioni cacciatori. In complesso, con queste misure , l'Austria ebbe alle armi una forza <li 536.000 uomini, da dividere in due armate. Quella del nord si componeva di 7 Corpi d 'armata, 3 Divisioni di caval1eria ed una riserva d 'artiglieria, ossia di 203 battaglioni ,
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LA G UF.RR /\ UEL
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ED ALTRI SCRITTI
154 squadroni e 92 batterie con 736 pezzi, al comando del « Feldzeugmeister » Henedck. L 'armata del sud era costituita dai Corpi d'armata V, VII e TX, da una Divisione di fanteria detta di riserva , e dalle truppe poste a difesa del Trentino, dell'Istria e del Veneto. In complesso, compresi i presi dii delle piazze forti , l'Austria disponeva in Italia di 194.000 uomini. I Corpi destinati alle operazioni in Italia, contando solamente i combattenti, avevano la forza seguente:
ARMATA AUSTRIACA DEL SUD C ()MA N DAN'J.'J.i: S.A.I . L' ARCff)UCA A LBJ::J.,ff()
V CORPO D ' ARMATA Comandante: generale d'annata Rodich
Brigate I3aucr, Moring, Piret: 2 1 battaglioni, batterie, 20.800 fanti, 313 cavalli , 40 pezzi.
2
sl1uadroni, 6
VII CORPO n 'ARMA"l'A Comandante: generale d'annata Maroicic
Brigate Toply, Scudier, Welscrshcimb: 21 battaglioni , drone, 6 batterie, 20.000 fanti , 144 cavalli, 48 pezzi.
T
squa-
I
squa-
IX CORPO n'ARMATA Comandante: generale d'armata Hartung Brigate Kirchberg, Wekbecker, Bok: 21 battaglioni, c.lrone, 6 batterie, 19.500 fanti , 132 cavalli, 48 pezzi. DIVISIONE DI FANTERIA J>l RISERVA
Comandante: generale d'armata Rupprecht Brigate Weimar e Benko: fanti, rn pezzi.
12
battaglioni,
2
batterie,
11.300
RISERVA DI CAVALLERIA
Brigate Pulz e Bujanovich: valli , 8 pezzi.
20
squadroni,
1
batteria,
2.900
ca-
D ai dati di cui sopra si rileva come l'armata del sud disponesse, per le operazioni, di 75 battaglioni, di 24 squadroni, di 21 batterie, ed avesse una forza complessiva di 71 .6oo fanti, 3.489 cavalli e T54 pezzi.
LE
FORZI::
AUSTRIACHE
IN
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IL COMANDO DELL'ARMATA DEL SUD ED IL DISEGNO D 'OPERAZIONE AUSTRIACO
L'armata austriaca del sud, destinata ad operare in Italia, era stata posta al comando dell'arciduca A lberto. Questi era figlio dell'arciduca Carlo - che, nel 1797, nel 1805 in Italia e nel 1809 in Germania, si era dimostrato degno avversario di Napoleone I - ed era stato istruito nell'arte militare dal padre stesso. Aveva già comhattuto in Italia nel 1848 e nel 1849, distinguendosi a Mortara. Nel J 855, durante la guerra d'oriente, aveva comandato un 'armata di 150.000 uomini raccolta sul Danubio; ma, nel 1860, quando, in seg uito all 'occupazione dell'Italia centrale e meridionale, pareva che stessero per riaprirsi le ostilità contro il Regno di Sardegna, aveva accettato il comando di un semplice Corpo d'armata a1la dipendenza <lei maresciallo Benedek. L'arciduca era, per conseguenza, già ben preparato all'esercizio ciel comando in Italia, comando che gli venne affidato nella speranza di una meno difficile vittoria, a malgrado del desiderio <ld Henedek , che soltanto per spirito di disciplina si rassegnò ad assumere, invece , la direzione delle operazioni contro la Prussia. Ecco quanto il <• Feldzeugmeister 1) v. Srndieri dicen del comandante l'armata austriaca del sud: « ... Nel 1866 il feldmaresciallo arciduca Alberto aveva 46 anni. Dalla sua prima gioventù si era dedicato agli studì militari. Soldato fino alla punta dei capelli, non era secondo a nessuno per l'amore della sua professione e per la devozione all'Imperatore. Egli era severo e non raramente duro, per sé come per gli altri, e possedeva un carattere fermo nei suoi propositi, incrollabile nelle avversità. In un tempo in cui pochi studiavano, egli, dedito indefessamente allo studio delle guerre (e specialmente di quelle combattute dal glorioso suo genitore), primeggiava fra i generali austriaci. Per vedute strategiche e per la condotta delle operazioni era indubbiamente superiore al suo Capo di Stato Maggiore , geo. v. John; ma, per la parte tattica, a causa della grande miopia, doveva necessariamente rimettersi a quelli che lo circondavano )) . L 'arciduca Alberto ebbe un abilissimo collaboratore nel suo Capo di Stato Maggiore, il feldmaresciallo John, che con tale carica si era già distinto aJla dipendenza dell ' Imperatore, durante la seconda parte della campagna del 1859.
LA G UERRA DEL l
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ED A LTRI
SCRITTI
* * * Secondo i disegni concepiti a Vienna sulla condotta della campagna, mentre la maggior parte delle forze austriache doveva opporsi alla Prussia, l'armata del sud, trovandosi in condizioni d'inferiorità di fronte all'esercito italiano, avrebbe dovuto tenere in Italia un atteggiamento difensivo, appoggiandosi al Quadrilatero; salvo poi a riunire sul teatro di guerra italiano tutte le forze austriache, dopo avere sconfitto la Prussia. L'arciduca Alberto, assumendo il 9 maggio il comando dell'armata del sud, lasciò le truppe alla sua dipendenza dislocate nelle loro ordinarie guarnigioni, finché non ebbe le necessarie informazioni sull a radunata dell'esercito italiano. Nell'attesa di tali notizie, egli raccolse il materiale ferroviario nei centri più opportuni , in modo da mettersi in grado di compiere, in sole due giornate, la riunione delle sue forze nella zona che sarebbe risultata più conveniente. Il 29 maggio il Comando austriaco ebbe conoscenza d ella separazione degli Italiani in due masse, ed allora l'arciduca Alberto decise di profittare dell'errore iniziale degli avversari e concepì una manovra centrale, da effettuare fra le due annate nemiche. Tale disegno - che così bene rispondeva agli esempi napoleonici ed agli insegnamenti dell'arciduca Carlo - venne chiaramente precisato nella lettera in data del 3 giugno indirizzata dall'arciduca Alberto all'Imperatore d 'Austria ; lettera che si reputa opportuno di riportare integralmente anche per gli interessanti giudizi: che essa contiene sulle forze e sui disegni degli Italiani. « Dopo il telegramma del 29 maggio circa la dislocazione del reale esercito sardo, debbo comunicare che questo ha già compiuto l'iniziato cambiamento di fronte (r). Se prima potevasi supparre che il nostro nemico, riunendo tre Corpi d'armata nei Ducati e sul basso Po e lasciando la Lombardia sgombra quasi del tutto di truppe regolari, mirasse principalmente ad un attacco del Veneto, aggirante rispetto al nostro sistema di fortezze, la presente dislocazione delle sue truppe fa credere ora, con tutta sicurezza, che gli Italiani abbiano sostituito al loro primo progetto quello di trattenere le nostre forze sul Mincio colla parte maggiore del loro esercito, per
( 1) L 'arciduca Alberto allude va ai movimenti compiuti dai Corpi d'armata iLaliani I, II e Ili per portarsi dal basso Adda verso il Chiese.
I.E
i'ORZE
1\I JSTRI AC H E
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ITA LI A
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rompere, con la parte minore, la .linea del Po nella direzione Ferrara - Padova. Quindi, secondo i casi e nella supposizione di prosperi successi, le due masse italiane dovrebbero riunirsi davanti a Verona. « Contemporaneamente a tali operazioni - che , secondo ogni verosimiglianza, possono essere simultanee - la flotta italiana, imbarcati 5 reggimenti di volontad ed altre truppe regolari, dovrebbe tentare uno sbarco su qualche punto della costa adriatica; mentre gli altri Corpi franchi attaccherebbero i passi del Tirolo (1 ) . A si ffatto disegno sembra, infatti , che si debba attribuire la nuova disl~ca7:ione assunta dalle truppe italiane negli ultimi quattordici g1orm. << Per quanto concerne le condizioni morali delle forze avversarie, le informazioni che ho ricevuto fin'ora sono assolutamente contraddittorie; ma, dal pronto accorrere della gioventù italiana alla formazione del Corpo <lei volontari, dovrei argomentare che gli animi siano generalmente molto esaltati, ciò che non può non avere qualche influenza sull'esercito. Per quanto rig uarda le condizioni materiali , risulta, invece, da molte notizie, che l'approvvigion amento sia alquanto manchevole, e che lasci molto a desiderare anche quanto si riferisce ai mezzi di trasporto e particolarmente ai cavalli dell 'artiglieria. Infatti sembra che le batterie italiane debbano entrare in campo con soli 4 pezzi e che il parco assegnato organicamente alle singole Divisioni debba essere lasciato indietro (2). « Del resto corre voce che il Governo imperiale francese, per sovvenire alla sensibile mancanza di cavalli nell'esercito italiano, sia deciso a cedere all 'Italia i cavalli di 2 reggimenti di cavalleria (3). « In quanto alle I.R. truppe sottoposte al mio comando, posso assicurare che sono tutte animate del miglior spirito e che sono provviste <li tutto, salvo che di scarpe e di borracce per la fanteria. L 'apprestamento a difesa e l'armamento delle fortezze è terminato quasi dappertutto; l'approvvigionamento è completo fin dal 25 maggio. Pcl 7 del mese corrente saranno poi qui pronti alcuni traini
(1) Come si vede, mentre l'arciduca aveva una chiara idea dei più probabili intendimenti del Comando ita liano sin dal pr inci p io di giugno, egli pensava alla possihilità di una spediz ione di volontari in D almazia, data la parz iale riunione dei volontari stessi n elle Pug lie, a lla ri . (2) Queste notizie erano inesatte . (3) Anch e queste notizie non rispondevano alla veriti1.
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LA GU ERRA UEL
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ED ALTRI SCRT'f'TI
che mancavano. La dislocazione dei 3 Corpi d'armata a11a mia dipendenza è Ja seguente: - V Corpo a Verona, colle sue tre brigate a Villafranca, San Bonifacio e presso Verona; - VT[ Corpo a Padova, col1e sue brigate nella zona Padova Rovi go - Este - Montagnana ; - IX Corpo a Vicenza, colle truppe a Bassano, Thien e, Lonigo, Cologna e Campo Sampiero. (( Finora non ho creduto opportuno di riunire la brigata Ji cavalleria del colonnello Pulz cd ho lasciato: - il Verona; -
1°
reggimento ussari cd il 13° reggimento ulani in
il 3" ed i] 13° reggimento ussan m Padova ed a Rovigo; J'n° ussari e il 12'' ulani a Vicenza ed a Cittadella.
« La brigata mobile del colonnello Zastavnikovic, col Comando in Conegliano. ha per obbiettivo principale l'osserv;:iz ione dei monti bellunesi e friulani, nonché quella del litorale tra Piave e Tagliamento. Essa occupa i punti pii:1 adatti a tale scopo ed ha un battaglione distaccato in Treviso. << Il Corpo della milizia costiera (Kusten - Corps), coll'aiuto delle guardie comunali, copre i] Friuli fino al Tagliamento e l'Istria fino a Pola. Le truppe del Tirolo sono disposte divise in mezze brigate, sotto Comandi particolari per le diverse valli, che costituiscono tante diverse zone di difesa. Una potente riserva è disponibile nella valle dell'Adige, tra Bolzano e Trento, per accorrere in ogni caso verso i punti minacciati. « La dislocazione delle truppe, che ho qui accennato a larghi tratti, mi offre la possibilità di riunire, in due marce al più, i tre Corpi d 'armata mobili e la brigata di cavalleria del colonnello Pu]z. Dato l'attuale schieramento delle forze nemiche e le presupponibili intenzioni del Comando italiano, ho cerc:.ito, colla più matura ponderazione, quale sia il punto più adatto alla riunione delle mie forze. « Mi sembra evidente che i rno mila italiani raccolti in Lombardia, a due o tre marce al più da Verona, nostra base strategica (Haupt - Depoplatz) e chiave del nostro sistem a difensivo, sarebbero perfettamente in grado di trattenerci nel Quadrilatero, salvo il caso che noi, p er opporci al contemporaneo irrompere del IV Corpo dal basso Po, volessimo correre l'alea di vederci tagliata da quei mo mila uomini la via di Verona e di trovarci , in seguito a qualche fatto
LE
FORZE
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d 'armc a noi sfavorevole, presi in mezzo alle due masse nemiche. D'altra parte si deve pensare che il passaggio del basso Po, non contrastato, darebbe in brevissimo tempo in mano agli Italiani le nostre comunicazioni; mentre quei tanti infiammabili elementi rivoluzionarì, che sono qui rimasti, permetterebbero al nemico di approfittare di tutte le risorse locali. <( Così stando ora le cose, volendo io tenere d 'occhio ed essere in grado di parare le minacce di entrambe le masse nemiche, non saprei scorgere posizione centrale più atta allo scopo che (lUella sul1'Adige, tra Montagnana e Lonigo, poiché da essa, sia per Verona, sia pel basso Adige presso 13adia, con una sola marcia forzata potrò gittarmi su una o sull'altra delle Armate italiane che prima mi si o ffra vulnerabile >> .
* * * In conformità al concetto espresso neJ1 'ultima parte della letche abbiamo riportato, l'arciduca Alberto emanò gli ordini perché la radunata dell'armata del sud fosse compiuta tra Verona e Lonigo il 14 giugno, giorno nel quale le sue forze assunsero, infatti , la seguente dislocazione : t n ;i
-
V Corpo (Rodic h): Brigata Bauer a Verona; . Brigata Moring a Caldiero; . Brigata Pirct a S. Bonifacio;
-
VII Corpo (Maroicic): Brigata Welsersheimh a Montagnana; . Brigata Toply a Megliadino; . Brigata Scudier a Rovigo;
IX Corpo (Hartung): Brigata Bok a Bagnolo; . Brigata Kirchberg a Lonigo; . Brigata Wekbccker a Pavarazzo ; -
Divisione fanteria di riserva (Rupprecht) : . Brigata Weimar a Verona; . Brigata Benko a Albaredo; Brigata cavalleria (Pulz), lungo il Mincio ; Brigata mobile (Zastavnikovic), a Conegliano.
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I.A GUt:RR A Dt:L
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ED AL TRI SCRI TTI
Così l'arciduca poteva sorvegliare, con la brigata Scudier, il basso Po e con la brigata Pulz la linea del Mincio; mentre i due Corpi d'armata, Vll (a Montagnana) e V (a Veron a), costituivano masse di copertura rispettivamente verso il Mincio e verso il Po, ed il IX Corpo e la Divisione di riserva formavano la massa di manovra. Riflettendo sulla propria situazione e sui partiti ai quali il Comando italiano avrebbe potuto appigliarsi, 1'arciduca Alberto considerò come più pericolosa per gli Austriaci l'eventualità di un contemporaneo passaggio, d a p arte degli Italiani , del Po e del Mincio e di un successivo attacco della linea dell ' Adige, eseguito, con le forze riunite, dal Cialdini e d al La Marmora. Per sfuggire a tale pericolo e per approfittare del tempo in cui le forze nemiche sarebbero rimaste necessariamente ancora divise, l'arciduca decise di passare dall'attesa strategica alla offensiva, gettandosi prima contro l'armata del Mincio, che era infatti la più pericolosa: sia perché più forte, sia perché, non fermata d a troppo gravi ostacoli, er:1 :mc.hf'. h pi ù vicina all a linea di comunicazione austriaca di Val Lagarina. Così, dando alla sua manovra centrale un raggio d 'azione più ampio ed assicurandosi il vantaggio della iniziativa, egli moltiplicava in suo favore le probabilità di riuscita ed avrebbe quindi potuto, dopo avere sconfitto il La Marmora, portarsi contro il Cialdini, che sarebbe stato intanto fermato dalle fortificazioni di Rovigo e dalle difficoltà opposte, nel Polesine, dallo stesso terreno e d ai numerosi corsi d 'acqua. Ora, se l'azione si multanea delle due armate italiane, qualora fosse stata effettuata, avrebbe risposto all'ipotesi più pericolosa per g li Austriaci, l'avanzata dell'armata itali ana del Mincio prima di quella del Cial dini avrebbe favorito, evidentem ente, la m anovra ideata dall'arciduca. Era quindi necessario che il Comando austriaco facilitasse al La Marmara il passaggio del Mincio in modo da paterlo battere prima che il Cialdini passasse il Po; e fu appunto con questo scopo che l'arciduca Alberto fece lasciare intatti i ponti sul Mincio, lasciò pochissime truppe sulla linea di confine e raccolse attorno a Verona il suo esercito, pronto a gettarlo sul fianco sinistro del La Marmara: sia che questi, passato il Mincio, avesse proseg uito la marcia verso il basso Adige, sia che avesse sostato attorno a Villafranca. In base a tale concetto, il Comando austriaco (al quale veniva intanto segnalata la presenza di truppe italiane nel Trentino, sul
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Garda, sul Mincio e sul Po), dopo aver comunicata, lo stesso giorno 20, all'imperatore la dichiarazione di guerra ricevuta, ordinò di: sgombrare le località della sponda destra del Po; - occupare militarmente la ferrovia Rovigo - Verona; - riunire sull'Adige tutta l'armata del sud , compresa la brigata Scudier, che doveva venir trasportata da Rovigo a Verona per ferrovia ; - lasciare, a guardia del basso Po, un solo battaglione ed il 13" reggimento ussari, al comando del colonnello Szapary, al quale venne prescritto di ritirarsi lentamente, di fronte a forze preponderanti , distruggendo tutti i ponti sui corsi di acqua; - prendere, infine, le disposizioni più opportune per garantire il segreto sui successivi movimenti delle truppe austriache. In conseguenza di tali disposizioni, l'armata austriaca del sud , alla sera del 22 giugno, aveva assunto la seguente dislocazione: V Corpo (Rodich) a Chievo; Vll Corpo (Maroicic) a S. Massimo ; IX Corpo (Hartung) a S. Lucia ; Divisione di riserva (Rupprecht) a P,istrengo. 11 carreggio era stato lasciato sulla sinistra dell'Adige, a San Michele. Così le forze austriache erano state raccolte in una zona di pochi chilometri quadrati, pronte a lanciarsi sul nemico. Sull 'Adige, all'altezza di Ponton, vennero gittati due ponti; un altro fu gittato a Pescantina, altri due a Bussolengo. Le alture di Pastrengo furono rafforzate con trinceramenti, atti ad aumentarne il valore difensivo.
6. -
u.s.
VI. LE OPERAZIONI DELL'ESERCITO ITALIANO: IL PASSAGGIO DEL MINCIO
Come è stato già <letto, i tre Corpi d 'armata italiani che dovevano operare sul Mincio - assumendo, il 20 giugno, la dislocazione già indicata - risultavano schierati in modo più adatto alla progettata offensiva. La fronte complessiva del loro schierame nto, già superiore a 60 km, era stata, infatti , ridotta (dal Garda a Cesoie, presso Scorzarolo sul Po) a circa 4-2 km. I Comandanti dei Corpi <l 'armata - secondo le proposte fatte al riguardo, fin dal 16 maggio, <lai generale Durando al Ministero della guerra - si erano costituite particolari riserve, servendosi di reparti delle varie armi tolti alle rispettive Divisioni. Così il 1 Corpo - che, schierato da Peschiera a Volta, aveva una fronte di 16 km, sulla quale il Durando riteneva <li dover impiegare tutte e quattro le sue Divisioni - aveva formato la sua riserva con quattro battaglioni bersaglieri e con quattro batterie di artiglieria, tolte alle Divisioni, alle quali erano stati assegnati, in cambio, due squadroni di cavalleria per ciascuna. Analoghi provvedimenti aveva preso anche il Della Rocca, comandante il III Corpc, presso il quale venne assegnato uno squadrone di cavalleria a ciascuna delle Divisioni dipendenti. Furono così suddivisi fra le Divisioni ed i Quartieri generali dei due Corpi d'armata: il reggimento guide, il reggimento cavalleggeri di Lucca cd il reggimento cavalleggeri di Alessandria.
* * * Le informazioni sull'esercito nemico, pervenute successivamente al La Marmora nei giorni 15- 19 giugno, facevano ritenere come probabile che: - il V Corpo austriaco, abbandonata la zona tra Mincio ed Adige, si fosse riunito intorno a Verona; - altre truppe nemiche fossero in marcia da Verona a Vicenza e da Padova a Rovigo ;
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OPERAZIONI
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MI NCIO
quasi tutta l'armata austriaca del sud stesse per raccogliersi sulla sinistra dell'Adige, tra Verona, S. Bonifacio, Legnago e Monselice (Corpi V e IX) ed anche sul basso Adige , attorno a Rovigo (VII Corpo) (1); - quattro ponti fossero stati gittati sull'Adige, rispettivamente a Settimo, Pescantina, Ponton e Zevio ; - fossero stati minati i ponti sui corsi d 'acqua del Polesine. Tali notizie convinsero sempre più il La Marmara che l'arciduca Alberto intendesse, almeno temporaneamente, limitarsi a difendere il Veneto, usufruendo della linea dell 'Adige ed appoggiandosi a Rovigo. In base a tale convinzione, egli si propose di impadronirsi, nel mattino del giorno 23, dei ponti sul Mincio fra Monzambano e Goito (I e III Corpo); nonché dei fortini avanzati di Curtatone, Montanara e del Serraglio (Il Corpo), cercando di tagliare le comunicazioni fra Mantova e Borgoforte. Il presidio di quest'ultima località, attaccato lungo le due sponde del Po, doveva venire indotto alla resa specialmente con azioni di artiglieria (2). ( 1) Una lettera, inviata in clata del 20 giugno, dal C iald ini al Comando supremo definiva come (< grave >> la notizia che il nemico aveva abbandonato la linea del M incio. Tale notizia faceva, infatti, riLenere al Cialdini ch e l'arciduca Alberto avesse intuìto il suo disegno ed intendesse opporsi con tutte le forze alle operazioni del IV Corpo. (2) La nostra Rela zione ufficiale dice in proposito: " Questo disegno di operazioni dinanzi a Mantova e contro Rorgoforte era sv iluppato in un progetto elaborato dal Comando superiore del Genio, che fu comunicato al comandante del TT Corpo d 'armata per istru zione su l da farsi. G li fu ordinato di fa r passare per Viadana sulla destra del Po una brigata con una batteria ed una compag nia del genio con un buon ri forni mento d i attrezzi da lavoro, la quale, per G uastalla, d oveva portarsi a cingere il forte di Motteggiana (testa di ponte di Borgoforte sulla sponda destra) sul Colatore Zara. Fu disposto che fosse subito ristabilito dai pontieri del Ir Corpo il ponte di barche in fa ccia a Roretto p resso Brescello. I materiali a ciò occorrenti dovevano esservi condotti da Piacenza a rimorchio da piroscafi del Po. Furono mandati ordini ad Alessandria ed a Piacenza per raccogliere immediatamente, col mezzo delle fe rrovie, su Regg io da C)() a 100 cannoni da 16 rigati e da 40 rigati, approvv ig ionati a 200 colpi per pez zo, sotto gli ordini del colonnell o di arLiglieria Balcg no. Erano tra quelli i 6o cannoni da 16 che dovevano essere somministrati dall 'arsenale di Alessandria per l'armamento d i Cremona, più altri 30 pezzi da 16 e 6 pezzi da 40 da sommin isLrarsi dall'arsenale di Piacenza. Da queslo ultimo dovevano contem pora neamente essere spediti a Lonato per ferrovia altri 6 cannoni da 16 rigati, che per cura dei Comandi del I e TTI Corpo dovevano essere condotti a Ca-
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ALTRI SCR ITTI
Per conseguenza, in attesa di poter ini ziare le ostilità, venne ordinato ai Corpi I e lll di « fare tutto il possibile perc:hé gli Aurtriaci non rompessero i ponti sul Mincio » e, a tale uopo, le Divisioni più vicine al fiume (Divisione f del I Corpo et del III Corpo) inviarono qualche reparto di fanteria e di cavalleria a guardia dei ponti di Monzambano, di Borghetto e di Goito. A tutti i Comandi venne inoltre raccomandato di « g1-tardarsi militarmente », per quanto, sulla sponda sinistra del Mincio, non si notasse se non qualche pattuglia di cavalleria nemica. Nei giorni 20 e 2 1 giugno vennero riordinate le truppe e, in seguito ad ordine ricevuto dal La Marmara, il Comando del I Corpo fece avanzare la Ta Divisione a Monzambano e la 2 a a Pozzolengo. Il 22 giugno il Comando supremo si trasferì a Canneto sull'Oglio. Le scarse informazioni ( 1) avute in tale giorno sul nemico affermavano che il V Corpo d 'armata austriaco si trovava sull a sinistra
sLellucchio a disposizione del comandante del Il Corpo per l'altacco di C urratone e Montanara. Ma queste disposizioni, date il 20, soffrirono ritardi a motivo della ristreuezza del tempo, per la mancanza d i un numero suffi. ciente di rimorchiatori sul Po e per la impossibilità in cui trovassi la d irezione delle ferrovie d i soddisfare subito alla ingente richiesta repentina di carri da carico in Alessandria e Piacenza ad un tratto. I 6 pezzi da 16 destinati a Castellucchi o rimasero, per effetto di un equivoco, a Castiglione delle Stiviere sino al 25 g iugno ». Per le operazioni contro Borgoforte vedasi schizzo a pag. <JJ. (1) A proposito del servizio delle informazioni presso l 'eser cito italiano nel 1866, il Pollio ricorda opportunamente quanto seg ue: << L ' uflìc io <l' informaz ioni fu organizzato nel T863 dal colonnel lo di Stato Maggiore Edoardo Driguet, già Capo di Stato Maggiore del ge nerale Govone, comandante delle truppe d'operazioni nell 'isola di S icilia. (< L 'u fficio è quello stesso che funzionò nella ca m pagna del 1866. « Gli agenti principali del colonnello Driquet erano il capita no Ceresa di Bonvillaret a Brescia, il capitano Carenzi a F errara ed il benemerito patriotta Alberto Cavalletto, capo dell'emigrazione veneta, a Torino. « ln poco tempo si ebbe la soddisfazione di raccogliere i dati sulla composizione e forza dell'esercito au striaco dislocato nel Veneto, in T irolo, Trieste, Istria e Dalmazia: non solo, ma anche i tracciati e profili di tutte le opere di fortificazione esistenti in quelle provincie ed il loro armamento. Quei dati, che prima dell'aprirsi della campagna vennero comunicati a chi poteva no interessare, furono poi, a g uerra fi nita, trovati di un' esattezza, se n on matematica, certo molto soddisfacente. (< L ' u marzo 1866 il colonnello Driquet ebbe online tliretlo ed improvviso dal mi ni stro della g uerra d i partire subito col ge nerale Govone per Ber-
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OPERAZIONI
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dell 'Adige e che il VII Corpo, da Caldiero, S. Bonifacio e Lonigo, era in marcia verso Rovigo ed il basso Po. La linea del Mincio appariva sorvegliata soltanto da pattuglie di cavalleria. Tali informazioni non potevano che confermare il concetto operativo del La Marmora, il quale emanò, infatti, gli ordini per l'attuazione di esso, attuazione che doveva avere inizio il giorno 23, all 'aprirsi delle osti lità (1), nel modo seguente: - il l Corpo doveva passare il Mincio con tre Divisioni: la 1 " D1visione (Cerale) a Monzambano; la 3a (Brignone) su u n ponte gittato ai molini di Volta e la 5' Divisione (Sirtori) a Borghetto ;
lino, mantenendo il segreto sulla sua nuova m1ss1one. Il colonnello partì nelle 24 ore, senza poter dare a chicchessia la consegna dell'ufficio, e n on rientrò in Italia che ai primi di gi ugno, <1 uando il Quartiere generale princi pale era già costituito a Piacenza. e, D11r;111tr. l':1ssenz:1 del colonnello Driquet, la direzione dell 'uff-ìc.:io in formazioni era stata assunta dal colonnello Avet. « 11 colonnello DrilJUet si g iovt> dei pochi g iorni che r imanevano prim a dell' inizio della guerra per imprimere maggiore attività ai nost-ri agenti e per moltiplicarne il numero, in modo da costituire una fitta rele sopra anche alle principali vie di comunicazione nell' interno dell'Impero austriaco; nessun fatto di q ualche importanza militare poteva verifìcarsi nel campo avversa rio, senza che se ne fosse avuta informazione ..... « Da lj Uanto sopra, il fatto che il nostro Comando non venne avvertito che gli Austriaci si erano concentrati presso Verona il 22 ed avevano passato l'Adige il 23, si deve, in sostanza, attribu ire alle tre cause seg uenti: 1) alle severissime disposizioni date dall'arciduca, per le ljUali le sue colonne di marcia non poterono essere oltrepassate da chicchesia 2) all ' insuffìcie ntissima ricognizione fatta dalla D ivisione di cavalleria di riserva il 23 giugno; 3) al profondo convi ncimento, che regnava nel Q uartiere generale principale, che gli Austriaci si sarebbero limitati in Italia ad una pura difensiva. << Si riteneva, e ciò era verosimil e, che per l' Austria fosse di capitale importanza il riportare una vittoria sulla P russia. << La perdita della Venezia doveva essere per lei questione secondaria: ed infatti, fino dal 5 maggio, l'Imperatore d'Austria ne aveva proposta la cessione all' Imperatore Napoleone, com e prezzo del la nostra neutralità. <( Simile idea prevaleva anche nelle sfere militari prussiane ; ma così non la pensò l'arciduca Alberto >> . (1) Essendo pervenuta la d ichiarazione d i guerra all 'arciduca Alberto soltalllo alle h . 13 del giorno 20, gli Austriaci cred evano, come già si è detto, che le ostilità sarebbero cominciate soltanto alle h . 13 e non g ià al mattino del 23 g iug no.
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ED ALTRI SCRITTI
- il III Corpo d'armata doveva passare il Mincio a Goito. La 7" Divisione (Bixio), passato il fiume , doveva prendere pnsizione verso Belvedere, per proteggere il passaggio delle altre truppe ; - la r6" Divisione (Principe Umberto) doveva dirigersi a Roverbella; la 9" (Govone) a Villa Bona e 1'8" (Cugia) doveva invece gittare un ponte a Ferri e recarsi a Pozzòlo; - la Divisione di cavalleria (De Sonnaz) aveva l'ordine di raggiungere Goito di buon mattino e di attendervi ulteriori ordini; - il II Corpo doveva impadronirsi, con la 6~ Divisione (Cosenz), di Curtatone e Montanara; tenere le Divisioni rn" ( Angioletti) e 1f (Longoni) pronte a portarsi su Goito e Villafranca ; inviare, infine, la f (Nunziante) verso Borgoforte; -
la riserva d'artiglieria doveva restare a Piadena;
- - il Comando del genio aveva l'incarico di provvedere alla costituzione delle teste di Ponte in corrispondenza di Valeggio e di Goito; - il grosso bagaglio doveva nmanere nelle partenza;
1ocalità
di
- il Comando Supremo si sarebbe trasferito a Cerlungo. In base a tali disposizioni, il passaggio del Mincio si effettuò senza incontrare resistenza da parte del nemico, del quale venne notata soltanto qualche pattuglia di cavalleria, e, alla sera del 23 giugno, i tre Corpi d'armata del Mincio avevano assunto la seguente dislocazione:
CoRPO.
l'' Divisione (Cerale): a Monzambano, con l'avanguardia (Vil-
larey) a Torrione. Divisione (Pianell): sulla destra del Mincio, a cavallo del Redone, fronte a Peschiera. 5" Divisione (Sirtori): il 20" reggimento della brigata Brescia con l'artiglieria e la cavalleria in Valeggio; l'altra brigata (Valtellina) ed il 19~ reggimento a Borghetto. 3" Divisione (Brignone): tutta sulla sinistra del Mincio, a n ord di Pozzòlo, con un ponte ai molini di Volta. 2"
A Volta rimase la riserva del Corpo d 'armata.
1.1,;
Il
OPERAZIONI
DELL'ESERCITO
ITALI ANO
AL
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CoRPO.
Divisione 19" Divisione 6a Divisione 4a Divisione
10"
fil
(Angioletti): a Gabbiana. (Longoni): ad Ospedaletto. (Cosenz): a Curtatone. (Nunziante): presso Borgoforte.
GoRPO.
7" Divisione (Bixio): a Belvedere. 16" Divisione (Principe Umberto) : a Roverbella. W Divisione (Cugia): a Pozzòlo, con un ponte a Ferri. 9" Divisione (Govone): a Villabona. Brigata cavalleria di Corpo d'armata (Pralormo): alle Sei Vie. Riserva di artiglieria: a Piadena. Divisione cavalleria: tra Mozzecane e Quaderni. Per quanto riguarda il IV Corpo, esso si preparava a passare il Po con 7 Divisioni, in corrispondenza della confluenza col Panaro. L'8a Divisione, secondo gli ordini del Cialdini, doveva eseguire una dimostrazione da Ariano, per Adria, su Cavarzere; ma, per agire, si doveva attendere che il La Marmora avesse fatto la sperata dimostrazione sul Mincio. Avuta, il giorno 23, la notizia che il Mincio era stato passato, il IV Corpo affrettò i preparativi per il passaggio del Po. In quanto ai garihaldini, essi erano, il 23 giugno, incanalati per le valli bresciane ed avevano raggiunto, con le teste delle colonne, Rocca d'Anfo e Breno. Il Corpo dei volontari - del quale rimanevano ancora alcuni reparti a Brescia, a Desenzano ed a Bergamo - non era, però, al completo e 4 reggimenti , provenienti dalla Puglia, si trovavano ancora in viaggio. Circa il modo nel quale vennero eseguiti gli ordini del La Marmora, ceco quanto ricorda la nostra Relazione ufficiale: "I
CORPO
« 1"
u · ,1RM ,\T A.
Divisione.
« Alle ore 7,30, tostoché gli zappatori <ld ge nio ebbero esplorato il ponte <li Monzambano, che fu trovato praticabile, e rotto il cancello che ne chiu<leva lo sbocco sulla sponda sinistra, per ordine del generale Cerale il maggior
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I.li GUERRA
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ED ALTRI SCRITTI
generale Rey di Villarey, comandante la brigata Pisa, passò il Mincio colle seguenti truppe: - una compagnia del 18° battaglione bersaglieri (capitano Pasdli); - il 29" reggimento fanteria (colonnello Dezza), mancante di due compagnie; - il 3° st1uadronc del reggimento guide (capitano Martini); - una sezione della 10" batteria del 6" reggim ento (capitano Piolatti) cui ne fu poscia aggiunta un'altra: 4 pezzi in tutto. «
Le vedette austriache erano scompa rse.
« Quelle truppe attraversarono velocemente il
piano sotto la Brentina ed ascesero le alture di monte Sabbione. La compagnia bersaglieri si spinse fino alla strada Valeggio - Salionze, oltre il Torrione. Il Il battaglione del 29". seguìto dall 'artiglieria, corse lungo il Mincio fin sotto a Valeggio. L., squadrone guide spedì subito pattuglie a sinistra verso Peschiera sin oltre Salionze, in avanti sino di là dal monte Vento, e a destra sino a Valeggio. Dopo le 9 il generale di Villarey collocò il 29" reggimemo e la sezione di artiglieria sul monte Sabbione (fronte a Peschiera), e la compagnia bersaglieri sul culmine del monte Magrino, d'ondc, riposando, poteva scorgere vastissimo tratto di terreno, legandosi a destra cogli ava mposti della 5;• Divisione, che seppesi avere occupalo Valeggio. Mezzo squadrone di guide f u posi-o al Torrione i:l"a ltro mezzo alla casa 1-'ravecchia, cui mandato di guardar la fronte con vedette e pattuglie dalla stretta di monte Vento (sulla strada Valeggio - Oliosi) sino al Mincio, d 'accordo con alcune piccole guardie poste dal comandante del 21 :J° regg imento a breve dista nza, dinnanzi alla sua posizione . .Frattanto il resto della I a Divisione rimaneva sulle alture presso Monzambano. guardando a Peschiera. Sul cader del giorno, il generale di Villarcy fece stendere a guard ia sulla fronte, tra le due strade Valeggio - Oliosi e Valeggio - Salionze, un battaglione del 29° reggimento (il li) e raccogliere le guide su Torrione e su Pravccchia. Un battag lione del 30" (i l lll), mandatogli a rinforzo dal comandante della Divisione nella serata , fu posto a nord di monte Sabbione, a g uardia del terreno tra la strada Valeggio - Salionze ed il Mincio, cioè a sinistra del battaglione del 29". << C',osì rimase la 1;' Divisione a cavallo ciel Mincio, colla fronte a nord e il Quartier generale in Monzambano, s ino al mattino seguente. « Fu posto subito mano a rafforzare il ponte, ch'era in assai cattivo stato, e fu anche segnata e incom inciata una testa di ponte; ma quel terreno, così basso e scoperto tra il ciglione d ella Brentina e il f-iume, era talmente signoreggiato da fronte e da fianco dalle alture delle due sponde, dal forte di monte Croce e dal m onte Guardia pure tenuto dagli Austriaci da non comportare artificiali difese di qualche valore». « 2•
Divisione.
11 Il generale Piancll fece avanzare la brigata Siena con una batteria sulla strada Pozzolengo - Peschiera, a prendere posizione sulle alture a nord e nord - est di Pozzolengo, tra il Casale S. Giacomo e lo scolo Redone, e portò la brigata Aosta con 2 pezzi d 'artiglieria a destra verso Monzambano, sulle alture tra la Colombara Melchiorre ed il Redone, a sinistra della D ivisione.
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LE
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DELL'ESERCITO
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MINCIO
Di quest 'ultima brigata ritenne due battaglioni del 5° reggimento insieme col 17° battaglione bersaglieri e 4 pezzi d 'artiglieria come riserva centrale dietro a l monte Rompicollo, dappresso al passo del Cantone sul Redone. La sua cavalleria si raccolse sulla sua sinistra alla casa Ceresa presso S. Giacomo. Furono scambiate alcune cannonate della casa Prandina col forte di monte Croce. Anche i forti III e VI tirarono qualche colpo contro drappelli spinti innanzi ad esplorare. In quelle posizioni, a cavallo al Redone, coprendo Pozzolengo e guardando a Peschiera, con una linea d'avamposti da monte Meneghi a casa Ceresa e col Quartier generale in Pozzolengo, rimase la 2" Divisione fino al dì seguente n.
" 5" Divisione. « Preceduta dal 5° battaglione bersaglieri (maggiore Reggio), la Divisione sfilò per la strada Cavallara da Castellaro a Borgheuo. Tn brevi istanti, riconosciuto il ponte, rotto il cancello, i bersaglieri ascesero l'erta su cui torreggia la rocca di Valeggio e si impossessarono di quelle alture. Dinanzi a loro si dileguarono i pochi cavalieri austriaci rimasti alle vedette. Il generale Sirtori fece passare il fiume alla intera brigata Brescia (maggior generale di Villahermosa), aHa cavalleria (maggiore Colli di .Felizzano) ed alla maggior parte dell'artiglieria della Divisione (maggiore Olive ro) ; mandc'i uno squadrone di cavalleria ad esplorare sulla strada Ji C asldnuovu eJ uu alt, o su <judla di Villafranca; coi battaglioni I e lI del 20" reggimento stese un cerchio di guardie sopra un arco di 1.500 a 2.000 metri di raggio attorno a Valeggio, con sentinell e sull:i line.a San Zeno - Rarozina - Vittori - dinanzi alla Casa Nova - e alla Darina lino alla strada di Roverbella, con 2 cannoni sulla strada di Villafranca e 2 su quella di Roverbella, e ritenne in Valeggio gli altri sei battaglioni della brigata Brescia, il 5° bersaglieri e 4 pezzi. Quivi pose il suo Quartier generale. Due plotoni del 3" squadrone cavalleggeri di Lucca furono mandati alle prime g uardie, cioè uno sulla strada di Villafranca e l'altro su quella che conduce a Ripa, presso la Casa Barozina, insieme con una g ranguardia del 20° fanteria. Questo ultimo plotone distaccò un caporale con 6 uomini verso Santa Lucia del Tione, come posto d'avviso. La brigata Valtellina (maggior generale Lopez) coi rimanenti 4 pezzi d'artiglieria e tutto il grosso traino della divisione reste'> accampata sulla strada del Mincio, sul ciglione di Monticelli, con due battaglioni distaccati più innanzi, a Borghetto. La cavalleria tornò alla battuta, che fu di pochi chilometri, recando notizia della ritirata verso Verona delle ultime truppe austriache r imaste di qua dall'Adige e dell 'avanzare della cavalleria di riserva italiana da Goito verso Villa franca ; ma, intanto eh 'ella correva ancora il paese, un drappello d"ulani austriaci, sbucando all'improvviso dai campi tutti coperti di piame che fiancheggia no la strada da Valeggio a Villafranca, sotto al monte Mamaor, sorprese il maggiore Colli che, accompagnato da un solo trombetta, s'incamminava da Valeggio ad incontrare il drappello mandato verso Villafran ca, e lo inseguì sino a vista delle prime guardie del 20° regg imento » .
,, ?" Divisione. << Circa alle 6 antimeridiane la Divisione giungeva ai mulini d i Volta. TI ponte fu gittato nello spazio di I ora e ¾. La Divisione passò ed andb
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f.l> ALTRI SCRITTI
a prendere pos1z10ne sul cigl io ad est di Pozzùlo (fronte ad est). TI grosso traino rimase pur tuttavia sulla sponda destra e due compagnie del 4° battaglione furono lasciate a guard ia del passo sulle due sponde. La cavalleria della D ivisione non dovette spingersi molto innanzi, poiché il suo campo d 'esplorazione era preoccupato da quello delle Divisioni 5" e 7'1 e dalla riserva di cavalleria. li generale Rrignone pose il suo Quartier generale in Pozzòlo e, col consenso del comando del I Corpo, fece g ittare un secondo ponte vicino al primo, presso la Casa Bonati, a ciò bastando i materiali dell'equipagg io messo a sua disposizione. « La riserva del Corpo d 'annata eseguì il movimento comandatole e rimase a ccampata dinanzi a Volta. « Il generale Durando, recatosi d i prima mattina a Monzambano e poscia a Valeggio a sopravvegliare le operazioni e prendere voce del nemico, pose in quel giorno il suo Qua rtier generale a Volta ».
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o ' ARMATA .
cc A vendo le vedette austriache lasciato libero lo sbocco di Coito sino dalla mezzanotte, il capitano di Stato Maggiore della 7" Divisione, che vi slava a g uardia , fece visitare il ponte per assicurarsi che non fosse minato. G iungevano quivi al mattino i generali La Marmora e Della Rocca, e circa alle ore 7 S.M. il Re. Tutto era già 111 ord ine per da1· principio al passaggio. Rotta la sbarra, il 9° battaglione bersaglieri passò, seguìto dal 19°, da due sezioni d'a rtiglieria e dalla brigata di cavalleria del Hl Corpo (cavalleggeri di Saluzzo e lancieri di Foggia). Formate con quelle truppe due colonne, d i un reggimento di cavalleria, un battaglione bersaglieri e una sezione d 'artiglieria ciascuna, le si avviarono, sotto gli ordin i del magg ior generale di Pralormo, sulle strade che condu cono a Pozzòlo e Valegg io, a fine di coprire la costruz ione di due ponti che dovevano essere gittati dai pontieri del Ili Corpo presso Torre di Coito e Ferri, cd agevolare il passaggio alla destra al I Corpo. La testa di una di quelle colon ne si incontrò, sul ciglione di Pozzòlo, coll"avanguardia della f' Divisione (Brig none). « Intanto la Divisione di cavalleria del generale Dc Sonnaz passò essa pure il Mincio, ed ebbe ordine (dal generale Della R occa) d'avanzarsi nella direzione di Vill;1franca e di esplorare largamente la pianura. « A tale uopo il generale O e Sonnaz partì la sua Div isione in due colonne, d i una brigata ed una batteria ciascu na ; condusse la prima brigata (Soman) a sinistra per le Sei Vi e su Quaderni, ed avv iò la seconda (Cusani) sulla strada Roverbella - Mozzecane. « Sfilata la cavalleria, circa alle ore 9 e 1/2, il grosso della Divisione Bixio passò a sua volta. Avuta la certezza che non v·erano truppe nem iche là vicino, il generale Bixio ebbe ordine di andar d ifilato a porsi sulla linea di Belvedere, invece di fermarsi sulla li nea di Villabona, e fu comandato che anche i suoi carriaggi lo seg uissero. Conforme a tal ordine quel generale avviò sulla strada di Roverbella la brigata del Re con due sezioni d'artiglieria e il 5° squadrone del reggimento lancieri di Foggia m esso a sua disposizione, e sulla strada da Massimbona a Sei Vie la brigata Ferrara col resto dell'artig lieria e il 3° squadrone del reggimento cavalleggeri di Alessandria. Prim a
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di giungere alle Sei Vie, riebbe dal general e Pralormo i suoi bersaglieri e le sue sezioni <l 'artiglieria; e con queste truppe e lo squadrone d'Alessandria s' incamminò verso Belvedere. Il briga<liere De Fornari fece rompere la ferrovia e la linea telegrafica a<l est <li Roverbella, spinse una colonna di fianco a Castiglione - Mantovano, e ne fece esplorare i dintorni. Avvenne quivi uno scontro tra una sezione del 5° squadrone del reggimento Foggia (capitano Cavalli) ed un drappello del 13° ulani, nel (1uale un ulano rimase morto, due furono fatti prigionieri e tre cavalli presi. La 7a Divisione s'accampò a cavallo alle strade Goito - Villafranca e Massimbona - Villafranca, colla destra (brigata del Re) a Pellaloco e Palazzino S. Lorenzo, il centro (bersaglieri e lo squadrone cavalleggeri) a Malvicina e Belvedere, la sinistra (hrigata Ferrara) a Remelli, e<l il Quartier generale prima in Belvedere poi alla Malvicina, con avampnsti sulla fronte. Quel larghissimo assetto (più di 4 chilometri e mezzo di fronte) si spiegava per le notizie che Villafranca era sgombra e che non avevasi alcun sentore di nemi co vicino, e per la scarsezza dell'acqua su quell 'arido terreno. << Mentre la coda della 7" Divisione si allontanava dallo sbocco del ponte di Goito e la testa della 1fr' Divisione non v' era ancor giunta, alcuni audaci scorridori austriaci s'erano appressati verso Mantova alla casa Giraffa, a breve distanza del ponte. Fu mandato contro di loro un drappello di bersaglieri, dinanzi al qual~ disp:1rvero. « Le Divisioni 16" (principe Umberto) e 9" (Govone) si collocarono, come era detto nell'ordine del Comando del [II Corpo <lei 22; la prima, cioè, colla sinistra a Roverbella, la destra alla Rotta e il Quartier generale a Marengo; e la seconda colla sinistra presso la Casa Nova, la destra alla Casa l.3ertone di sopra ed il Quartier generale alla Casa Marsiletti. L'8" Divisione (Cugia) no n poté dar principio al passagg io del fiume sino alle 2 pomeridiane a motivo delle difficoltà che s' incontrarono a render praticabili gli approcci al ponte sotto Ferri. Saputo che Pozzòlo era occupato dalla 3" Divisione, il generale Cugia dispose le sue truppe dappresso alla strada Massimbona · Villafranca, attorno a lla Casa Pace Guerrienti, guardando a Villafranca e Valeggio. « La hrigata <li cavalleria del III Corpo s'accampò vicino alla strada che da Marengo conduce a Pozzòlo, dinanzi alla casa Aldegati. (< La Divisione cavalleria di riserva copri va il lII C',orpo colla destra (2" brigata) a Mozzecane e la sinistra ( 1 " hrigata) a Quaderni, ove il generale De Sonnaz pose il suo Quartier generale. Mise avamposti sulle strade, legandosi a sinistra con quelli della 5" Divisione atla Casa Pozzi, verso Valegg io, ed estendendosi a destra sino a Grezzano, donde furono mandate pattuglie più a destra, sino a Nogarolo. « A tutti i traini delle Divisioni fu fatto passare il Mincio. « Il Q uartier generai<:: del III Corpo fu trasferito da Gazoldo a Goito. « Premeva fortificare i passi di Goito e Valeggio. TI luogotenente colonnello Veroggio, comandante del genio del Hl Corpo, segrnì una testa di ponte pc! primo di quei punti, e l'incarico dell'eseguirla fu dato al maggiore Ferreri, a disposizione del quale fu perci<'> posta la 8" compagnia del 2 ° reggimento zappatori addetta alla 7a Divisione. Ma le braccia mancavano e mancù il tempo lluando l'urgenza si fece sentire. A Valeggio il maggiore Garavaglia immaginò una testa di ponte che avrebbe compreso il villagg io e l'altura che gli sovrasta da nord, da ovest e da sud, e sarebbe stata fiancheggiata da altre
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opere da costruirsi sulle alture della spon<la <lestra del Mincio; lavori di non poca mole, pei quali sarebbero abbisognati, secon<lo il computo dell 'ingegnere medesimo, otto giorni almeno, supposto che si avessero uomini, arnesi e materiali a <lovizia. lntanto fu posto mano a costruire spalleggiamenti per a rtig lieria sull 'altura a nord del villaggio, alla testa del parco della villa Maffei. Ma prima di sera ogni lavoro fu sospeso per ordine del Comando del I Corpo. La mattina di poi il generale Menabrea, recatosi a Valeggio ed abboccatosi col maggiore Garavaglia, approvò il progetto di lui e fece premura al comando del I Corpo perché gli fosse <lata qualche compagnia del genio. « In conseguenza di ciò, fu mandato ordine alla 2 " Divisione che avviasse a Va leggio la sua compagn ia di zappatori; ma l'eseguimcnto di quest'ord ine, ritardato già dalla distanza, trovò incaglio nelle inaspettate vicende del giorno 24. Il maggiore Garavaglia era ancora intento a raccogl iere uom1m e material i, quando incominciò la ritirata. « Anche a Pozzòlo il generale Menahrea proponcvasi di fare costrurrc llualchc opera da coprire i ponti : e ne dette l'ordine il 23 sera, al maggiore Ferreri (del genio del lTl Corpo), ma qui pure mancò il tempo. Di più il generali: slt:sso propose al Coman<lo Supremo di far g iuart: un ponte gallegg iante a Rorght:tto, vicino al pon ti: fisso, come avevano fatto i Francesi nel 1859, e sostituirt: poi ponti stabili tanto a quello come all'altro di Pozzòlo. Ma né il I né il Hl Corpo avevano più matt:riali da ponte disponibili per quel bisog no, e l'equipaggio del Il Corpo era verso Castellucch io, .lontano da Borghetto » .
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II CoRvo
o 'ARMAT A .
•< La 6~ Divisione (Cosenz) eseg uì quanto le era stato coman<lato; s' impadronì, senza trar colpo, dei fortini di Curtatone e Montanara e prt:st: posizione su quella linea, colla brigata Ravenna alla <lestra, di contro a S. S il vestro, la brigata Acqui a Monta nara e la br igata Livorno a Curtatone. TI generale Cosenz pose il suo Q uartier generale in Montanara. << La 10 " Divisione (Angioletti) si raccolse su Gabbiana e spinse la sua avanguardia a S. Lorenzo; la 19" (Longoni) passò l'Oglio a Gazzòlo e si accampò presso Ospedaletto. li Quartier generale del lI Corpo e la ca valleria addetta al corpo stesso rima.~ero fermi il 23 i,.
Qualora si esamini la dislocazione assunta dai tre primi Corpi d 'ar mata nostri, ben si rileva come l'armata del Mincio - benché oramai non lontana dal nemico - risultasse divisa in sci masse, come ricorda la nostra Relazione ufficiale. La massa principale, forte di 7 D ivisioni di fanteria (1\ 5a e 3" del I Corpo e le altre quattro del III) ed una di cavalleria (74-000 uomini con 138 cannoni), schierata lungo la fronte Monzambano Roverbella, per oltre 15 chilometri verso Verona, e per una linea
I.E OPERAZIONI
llELl. ' F.SF.RCITO
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di 9 chilometri verso Mantova, da Roverbella al Mincio. Di tale massa, 20. 000 uomini circa (r" e 5" Divisione) si trovavano sul limitare dell 'anfiteatro morenico del Garda (che ebbe sempre una speciale importanza ogni qualvolta si combatté tra Mincio ed Adige); altri 43.000 erano nella pianura tra Pozzòlo, Quaderni, Mozzecane e Rotta, ed i rimanenti 10.000 (9" Divisione) sulla strada Goito Mantova. Una Divisione (la 2") in osservazione verso Peschiera. Una Divisione e ¼ (la 6" e la brigata Ravenna) in osservazione verso Mantova. La brigata Regina avviata, per la destra del Po, contro Borgoforte. Le Divisioni 10" e 19" destinate a rinforzare la massa principale, ma rimaste ancora a 16- 18 chilometri a sud di Goito. La riserva generale d'artiglieria a Piadena. Come si vede, l'errore iniziale della separazione delle forze veniva, con tale schieramento, reso ancora più grave. Infatti, i Corpi d'armata l e 111 avevano le loro truppe <lisseminate su una fronte di 35 km (da Pozzolengo a Villabona), a cavallo del Mincio; ed il Il Corpo, spinto ad operare verso Mantova e contro Borgoforte, non era in grado di accorrere tempestivamente in aiuto degli altri due, nel caso, assai probabile, che si fossero incontrate considerevoli resistenze nemiche sulla sinistra del Mincio (1). Come, nelle sue Relazioni, troppo tardi deplora lo stesso La Marmora, nulla o ben poco fu fatto per chiarire la situazione. La Divisione di cavalleria De Sonnaz si avanzò soltanto fino a Villafranca e, durante il giorno, i suoi reparti in esplorazione si spinsero ad appena 16 km dal Mincio, per ripiegare, nella stessa sera del 23, a prendere gli alloggiamenti , soltanto ad 1 km ad est di quelli del1'8" Divisione, ferma a Belvedere. Ciò ben dimostra come il La Marmora - in base al preconcetto che le truppe dell'arciduca Alberto non avrebbero opposto resistenza
(1) Qualora si tenga presente che da Verona a l Mincio corrono circa 20 chilometri e che la dista nza <la Ospedaletto, sed e della 19" Divisione e da Curtatone, sede <ldla 6" Di visione, a Villaboua, sede <lelle truppe più vicine del Ili Corpo (9" Divisione), era in vece di oltre 30 chilometri , si vedd come le truppe del Il Corpo fossero troppo lontane per poter appoggiare tempestivamente l'azione dei Corpi I e HL
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se non sulla linea del!' Adige - non ritenesse probabile una sorpresa nemica. Senza ammettere una tale illusione, non si potrebbe comprendere come la riserva d'artiglieria fosse stata lasciata ancora a Piadena e come i comandanti dei Corpi I e III, già così vicini al nemico, ignorassero ancora le intenzioni del Comando Supremo sulle operazioni da compiere dopo il passaggio del Mincio. Pure non era mancato qualche indizio di un probabile mutamento nelle intenzioni attribuite al nemico! ... Se le informazioni raccolte nei giorni precedenti avevano confermato, come già si è detto, che gli Austriaci si erano raccolti sul1'Adige, nel pomeriggio e nella sera del giorno 23 si ebbe, invece, notizia della presenza di truppe nemiche in marcia di qua dal!' Adige, da est verso ovest. La nostra Relazione ufficiale narra in proposito: << Nel pomeriggio del giorno 23 l'attenzione dei bersaglieri del 18" battaglione (1" Divisione), appostati sulla vetta del monte Magri no, fu richiamata da un gran polverìo che scorgevasi nella campagna a nord di Villafranca, diretto da est a ovest. Il capitano Paselli spedì subito al generale di Vil1arey un biglietto, col quale gli annunciava che forti colonne austriache movevano da Verona verso Peschiera al!'altezza di Villafranca. Il generale fece trascrivere quel biglietto e lo spedì al Comando della Divisione in Monzambano. Il colonnello Dezza ed il capitano di Stato Maggiore Sismondi, mandati dal generale Vil1arey a riscontrare quella cosa, scorsero anch'essi ben distinta la traccia polverosa che segnava precisamente la strada maestra Verona - Peschiera, a circa IO km a nord di ViJlafranca, mentre un altro immenso polverìo a sud - ovest di Villafranca disvelava il movimento della cavalleria del generale De Sonnaz. << Da quelle notizie il generale di Villarey dedusse la possibilità di un attacco della guarnigione di Peschiera rinforzata, contro quella sua posizione e perciò volse tutta l'attenzione sua verso Oliasi e Salionze. Né diversamente opinò il comandante della Divisione, quando, essendo venuto verso sera a trovare il generale di Villarey sul monte Sabbione, gli fu da questo generale spiegato meglio il senso di quella espressione all'altezza di Villafranca che, contenuta nel biglietto d'avviso, gli aveva fatto parere assurda la notizia di un movimento di truppe da Verona a Peschiera, tanto più che sapeva essere stata avviata su Villafranca la Divisione di cavalleria, cui potevasi attribuire quel polverìo all'altezza di quella terra. E ,
LE O PERAZIONI
DE LL' ESERCITO
IT ALI ANO
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anzi , per mettere il generale di Villarey in grado di meglio fronteggiare quel supposto attacco, il generale Cerale lo rinforzò con un battaglione del 30° reggimento. « Del resto, considerando tutto ciò come cosa che interessasse particolarmente la 1 " Divisione e non già tutto l'esercito e fidando nella forza della Divisione m edesima, cui per ogni caso potevano dare prossimo appoggio la 2 a e la 5', non ne fu dato avviso al comandante del Corpo d'armata, ma soltanto al comandante delle truppe in Valeggio, per mezzo di una pattuglia spedita per ordine del generale di Villarey; <JUell'avviso non pervenne però al generale Sirtori. << Inoltre, la sera stessa del giorno 23, il comandante della 5a Divisione, avendo udito incidentalmente che un vetturale proveniente da Verona asseriva di avere incontrato, nell'uscire al mattino da questa città per porta S. Zeno, un Corpo di 4 o 5.000 uomini di truppe austriache in marcia, volle personalmente interrogarlo; ma il vetturale nelle sue risposte non avendo saputo dare che indicazioni vaghe e poco verosimili , il generale Sirtori non credette dare ad esse importanza, né quindi di riferirne al Comando del Corpo d 'armata. << Nella notte sul 24 giugno il posto di cavalleria, distaccato nella direzione di S. Lucia del Tione, segnalò una pattuglia di ulani austriaci proveniente da quella parte, la quale, all'avanzarsi del plotone cui quel posto apparteneva, retrocedette. Ne fu mandato avviso al comandante dello scompartimento (settore) d 'avamposti; ma sembra che non gli giungesse, come non g iunse al comandante della Divisione. Comunque sia, non era quello certamente un indizio tale da doversene argomentare la presenza di un grosso Corpo nemico verso S. Rocco di Palazzolo, potendosi supporre che <.]Ud drappello appartenesse alla cavalleria che sino alla mattina del 23 aveva guardato la linea del Mincio. « Finalmente anche a Mozzecane giunsero da Verona, nel pomeriggio e nella sera del 23, n otizie della entrata cd uscita di molte truppe austriache marcianti verso ovest; ma andarono disperse nei privati collO<JUI n. In complesso si trattava di indizf eloquenti e di not1z1e che, per quanto vaghe cd incerte, avrebbero potuto in qualche modo far prevedere al La Marmora la possibilità di un incontro con le forze austriache di qua d all'Adige ; ma alle informazioni non venn e attribuita troppa importanza ed esse non vennero comunicate né
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al Comando Supremo, né ai Comandi dei Corpi I e lll. Solamente il Comando del II Corpo d'armata informò il La Marmara delle dicerìe raccolte presso gli abitanti; dicerìe, secondo le quali il presidio austriaco di Mantova sarebbe stato, nel successivo giorno 24, rafforzato fino a raggiungere la forza di 20.000 uomini. Altri avvisi circa i movimenti delle truppe austriache mandati anche dai privati , data l'efficacia delle precauzioni prese dal nemico, o non pervennero affatto, o giunsero, oramai troppo tardi , dopo il 24 giugno. Per conseguenza, il La Marmora rimase fedele al suo concetto operativo ed emanò, nel pomeriggio del giorno 23, i seguenti ordini: <<
Al comandante del I Corpo.
<< Per domani, 24 giugno, V.E. darà le seguenti dispasizioni : una Divisione continuerà a rimanere sulla destra del Mincio. Le altre tre Divisioni, che sono sulla sinistra del fiume, vorranno essere disposte: due Divisioni tra Sona e Santa Giustina; la terza osserverà Peschiera e Pastrengo, occupando specialmente Sandrà, Colà e Pacengo. Il Quartier generale del I Corpo dovrà essere a Castelnuovo. Sulla sua destra Ella sarà collegata al 111 Corpo d'armata, che occuperà la linea Sommacampagna - Villafranca. Le truppe che muovono partiranno tutte dagli attuali loro accantonamenti prima delle ore 4 a.m. >>.
«
A I comandante del III Corpo.
<< Domani mattina, prima delle ore 4, si avanzerà colle debite precauzioni colle sue quattro Divisioni, disponendole come megl io crederà, fra Villafranca e Sommacampagna. Ella sarà alla sua destra collegato col II Corpo, che occuperà Roverbella e Marmirolo, per mezzo della cavalleria dell 'anzidetto Il Corpo. Il I Corpo d'armata, col Quartier generale a Castelnuovo, si protenderà per Sana e Santa Giustina verso Pastrengo».
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Al comandante della Divisione di cavalleria.
« Domani, giorno 24 corrente, Ella stabilirà la sua Divisione fra Mozzecane, Quaderni e la Gherla, col suo Quartier generale a Quaderni. I movimenti occorrenti saranno tutti iniziati prima delle ore 4 antimeridiane >).
... Le operazioni italiane contro Borgoforte.
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Al comandante del Il Corpo.
« Nella giornata di domani - ferme rimanenJo le disposizioni date anteriormente per la brigata, che, sotto gli ordini del generale Mignano, deve agire contro la testa del ponte di Borgoforte - la S.V. vorrà, col rimanente delle due Divisioni di destra, occupare Curtatone e Montanara, inoltrarsi nel Serraglio e minacciare la straJa fra Mantova e Borgoforte. Le altre due Divisioni, prima delle 4 a. m. , passeranno il Mincio a Goito, e si porteranno: l' una a Marmirolo, l'altra a Roverbella. La cavalleria del suo Corpo d 'armata collegherà la posizione del suo Corpo d 'armata con quello del generale Della Rocca, che prenderà posizione tra Villafranca e Sommacampagna. Nel giorno 25 le sue Divisioni di destra, se ne avranno il campo, appoggeranno l'operazione contro Borgoforte ». Quest'ultimo ordine veniva più tardi modificato dal seguen te telegramma: << A parziale modifica dell 'ordine speditole per staffetta, collochi una brigata sola a Marmirolo e l'altra a Goito >> .
Come si vede, tali ordini del Capo di Stato Maggiore dell 'esercito si limitavano ad indicare a ciascun comandante di Corpo d 'armata i movimenti da eseguire il giorno dopc; ma nulla dicevano : né ci rca la situazione generale, né sulle intenzioni attribuite al nemico, né, infine, sul concetto d 'azione comune.
VII.
GLI ORDINI DATI DALL'ARCIDUCA ALBERTO IL 23 GIUGNO
Il colonnello Pulz aveva informato il Comando austriaco che gli Italiani avevano passato il Mincio; l'arciduca Alberto aveva ricevuto, inoltre, la mattina del giorno 23, la notizia dell'avanzata delle truppe italiane verso Mantova e verso Borgoforte. Un ufficiale dello Stato Maggiore austriaco, dopo una ricognizione eseguita verso il Mincio, aveva poi riferito che non aveva scorto alcun indizio di movimenti italiani a nord di Valeggio; ma che reparti di considerevole entità erano stati segnalati in marcia a sud d i Valeggio, sino a Villafranca. Tali notizie confermarono nell'arciduca Alberto il disegno <li attaccare sul fianco sinistro gli Italiani provenienti dal Mincio e che egli riteneva diretti verso I' A<lige; e, ad affrettarne 1'attuazione (dopo avere, alle ore II , informato verbalmente i comandanti di Corpo d 'armata delle sue intenzioni), egli emanò il segu ente ordine: Disposizioni pel pomeriggio del 23 giugno. Dietro le informazioni avute dal Comando Supremo dell'armata in data di oggi a mezzogiorno, l'armata nemica, anticipando il termine di tre giorni da essa stessa stabili to, ha varcato la frontiera questa mattina ali' alba, a Goito, Valeggio e Monzambano e si è avanzata nella direzione principale di Villafranca. In seguito a ciò, determino quanto segue: << Divisione di riserva: di questa Divisione la brigata del colonnello Saxe - Weimar dovrà avanzare quest'oggi, alle 5 pom., da Pastren go a Sancirà , e di staccherà truppe a Castelnuovo. << Il V Corpo d'armata lascerà, parimenti alle 5 pom., il bivacco presso Chievo e si dirigerà a S. Giustina e spingerà quivi una brigata a Sana, se questa località non fosse peranco occupata dal nemico o lo fosse debolmente. Appena occupate le tre suindicate località, queste dovranno essere messe in istato di difesa, e si dovrà attentamente osservare il terreno verso Salionze, Oliasi e Somma<<
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campagna. A questo scopo la 2 " compagnia del genio del 2 ° reggimento zappatori è messa a disposizione del V Corpo d'armata e dovrà partire immediatamente per il campo di Chievo. << La brigata del maggiore generale Benko, come pure il VII ed il IX Corpo d'armata, la riserva ed i parchi rimangono nelle attuali loro posizioni. « Per avere a disposizione, per la progettata marcia in avanti di domani, un grosso Corpo di cavalleria, determino che 3 squadroni del 3° ussari, 3 del I' 11 ° ussari e 2 del 12° ulani (in tutto, otto squadroni) debbano formare una brigata sotto gli ordini del colonnello Bujanovich. A questo colonnello verrà, per la giornata di domani, addetto il capo di Stato Maggiore Kovacs. Questa brigata stabilirà il proprio campo stasera a Santa Lucia e spingerà gli avamposti verso Villafranca. Per le operazioni di domani essa sarà riunita alla brigata Pulz. I due squadroni ulani marceranno, alle 5 pom., verso Lugagnano per coprire la marcia del V Corpo e manderanno pattuglie verso Sona per mettersi in comunicazione ~ogli avamposti verso Villafranca. « Onde avere, per tutti i casi, sufficienti passaggi sull'Adige, si costruiranno, nella giornata, dei ponti militari a Ponton e Pescantina, che saranno ultimati per domani alle 6 ant.; ricordo inoltre che esiste un ponte semipermanente a Pastrengo. Il ponte presso Casa Burri verrà rotto questa sera. I pionieri del IV battaglione, non occupati nella costruzione dei ponti, dovranno trovarsi domattina alle ore 2, senza equipaggio da ponte, presso S. Massimo. « Il Quartier generale principale si trasferirà questa sera a S. Massimo. « Ordino che le truppe, destinate a prender parte alle operazioni di domani, abbiano a fare un altro rancio questa sera . Esse consumeranno il vino e la minestra e conserveranno la carne cotta ; per cui autorizzo la somministrazione della doppia razione di quest'oggi. << Per le ore 3 ant. di domani tutto dev'essere pronto per la maroa 111 avanti; le truppe dovranno quindi consumare per tempo il caffè. <( I sigg. comandanti dei Corpi d 'armata e delle truppe avranno, infine, cura di provvedere che le truppe sieno fornite di quattro giorni di viveri, cioè viveri per due giorni da portarsi dagli uomini e per altri due giorni sui carri. << I grossi bagagli rimarranno per ora nei luoghi ove attualmente si trovano ».
GLI ORDINI DATI .D/\LL,ARCIDUCA ALB EJffO
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In ottemperanza a tali disposizioni: - la Divisione di riserva (Rupprecht) si portò a Sandrà, dove giunse prima di sera e spinse la sua avanguardia verso Castelnuovo; - il V Corpo mosse da Chievo e, per Croce Bianca, si portò sulla strada <li Peschiera. Giunto alla Presa, il generale Rodich venne informato che Santa Giustina, Sona, Castelnuovo e S. Giorgio in Salice erano ancora sgombri. In base a tali notizie, il Rodich decise di mandare una brigata (Moring) a Sona, un'altra (Piret) a Castelnuovo ed un 'altra, infine (brigata Bauer), ad Albarello e S. Giorgio in Salice.
Alle ore 18,45 l'arciduca Alberto emanava le sue disposizioni per il giorno 24. <<
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Verona, 23 gmgno, ore 6,45 pom.
Disposizioni pel 24 giugno 1866:
<< Come fu già accennato nelle disposizioni emanate quest'oggi nel pameriggio, tutte le truppe dovranno essere pronte alla marcia alle ore 3 ant. ed il Comando della Divisione di riserva, colla brigata del maggior generale Benko, da Pastrengo si avanzerà a $andrà per riunirsi quivi colla brigata del colonnello Sax- Weimar. L'ulteriore avanzata di questa Divisione si effettuerà sopra Castelnuovo. « Il V Corpo d'armata da Santa Giustina e Sona avanzerà, colle due brigate che occupano Santa Giustina, verso S. Giorgio in Salice e con la brigata di Sona verso la strada ferrata, nella direzione di Casazze. « Il IX Corpo d'armata, ora a Santa Lucia, avanzerà, possibilmente coperto a settentrione dall'argine della ferrovia per Massalacqua, e prenderà la direzione di Sommacampagna; attaccherà questa località, se è occupata, e vi si stabilirà fortemente. << Questo Corpo sarà seguìto dal VII Corpo d'armata, che partirà da San Massimo; e, non appena il IX Corpo si sarà avanzato verso Sommacampagna, manderà una brigata lungo 1a ferrovia per Casazze, onde dare il cambio alla brigata del V Corpo, la quale r~entrerà al s_uo ~orpo d'armata. Le altre due brigate del VII Corpo nmarranno m nserva. « Compiuto questo spiegamento, la Divisione di nserva avanzerà da Castelnuovo ad Oliosi ; il V Corpo verso San Rocco d i Pa-
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lazzolo ; la brigata del VI[ Corpo a Zerbare; mentre il IX Corpo terrà fermo, quale perno, a Sommacampagna e si stenderà verso Berettara. Le due brigate del VII Corpo destinate a costituire la riserva, rimarranno sulla ferrovia , all'altezza di Sona. « La cavalleria, sotto g li ordini del colonnello Pulz, cioè le brigate Pulz e Bujanovich, avanzerà, portandosi all'altezza del IX Corpo, coprendone il fian co durante la sua marcia verso Somm acampagna. E ' suo còmpito speciale di provvedere alla sicurezza del fianco sinistro di tutta l'armata. « Nel caso che sfavorevoli circostanze costringessero ad un a ritirata, i Corpi si dirigeranno sui ponti, già accennati nelle disposizioni di oggi, di Pescantina, Pastrengo e Ponton; e cioè la Divisione di riserva a Ponton, il V ed il VII Corpo a Pastrengo, il IX Corpo a Pescantina. « La brigata cavalleri a Pulz eventualmente ripiegherà per San Massimo a Verona. ,, Il Quartier gene rale principale raggiungerà, col VII Corpo, Son:i , clove dovranno essere di retti lutti i rapporti "· Alle ore 2 1 ,30 del 23 giug no venne mandato inoltre alla brigata di cavalleria Bujanovich, dal capo di Stato Maggiore dell 'arciduca Alberto, il seguente ordine: « Domattina per tempo uno squadrone riposato, sotto il comand o di un capitano specialmente adatto, d ovrà esser diretto verso Isola della Scala e Bosolore, nel tratto medio tra il Mincio e l' Adige, per raccogliere notizie e per vedere se il nemico si avan za d a Leg nago verso Verona. Tutti i rapporti, da farsi ad intervalli di tempo, dovranno spedirsi al Comando dell a fortezza <li Verona, significandone il contenu to per via telegrafica al Comando supremo dell'arm ata ».
VIII. LA BATTAGLIA DI CUSTOZA (24 GIUGNO 1866)
LA SITUAZIONE INIZIALE
Essa risulta dagli ordini, già riportati, dei due Comandi e, nell'imminenza della battaglia, può riassumersi nel modo seguente. Tra gli Italiani nessuno pensava veramente ad una battaglia imminente, tanto che le truppe - salvo quelle della Divisione Ilrignone - venivano ancora seguìte dal carreggio e che la cavalleria, invece di procedere avanti, nella necessaria esplorazione, si trovava tutta indietro. Alcuno dei generali conosceva chiaramente gli scopi delle marce e le intenzioni del Comando Supremo; le truppe, per gli errori commessi nel regolarne il movimento, erano digiune e già stanche prima ancora di aver marciato. 11 generale La Marmora, accompagnato da due sole guide, sorvegliava personalmente la marcia delle colonne, invadendo le attribuzioni deg li inferiori e non preoccupandosi troppo del nemico, che egli supponeva sempre fermo di là dall'Adige. L 'esercito austriaco era, invece, pronto ad avanzare secondo un concetto di manovra ben chiaro e pienamente noto ai comandanti delle grandi unità; le truppe sapevano, inoltre, di marciare verso il necessario, sanguinoso epilogo della battaglia. L'arciduca Alberto, sorretto dalla fermezza <lei suo carattere , era così deciso a<l attuare il suo ardito concetto e così fiducioso nella vittoria , che - malgrado due telegrammi pervenutigli successivamente alle ore 20 ed alle ore 24 del 23 giugno, telegrammi che gli annunziavano, erroneamente, che il Cialdini aveva già passato il Po - rimase fedele alla sua idea di dar battaglia l'indomani all'armata del Mincio e si limitò a distaccare, contro quella del Po, un solo squadrone verso Isola della Scala. Circa il rapporto delle forze belligeranti, il compianto generale Pallio stabilisce un confronto, che crediamo opportuno di riportare per la sua eloquenza:
I.A GUERRA DEL
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ED ALTRI SCRITTI
a) sulla sinistra del Mincio: -
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Italiani (3 Divis. del I Corpo - III Corpo - cavalleria di linea): 59.000 baionette - 5.800 sciabole - 144 pezzi; Austriaci (V, VII I, IX Corpo - Di vis. Rupprecht - cavalleria di riserva) : 72.000 baionette - 3.500 sciabole 168 pezzi;
b) in Peschiera e davanti a Peschiera: -
Italiani (Divis. PiancH): 9.000 baionette - 200 sciabole 12 pezzi; Austriaci (combattenti del presidio, non tutti disponibili per una sortita): soltanto 2.000 combattenti nominali ;
(( e) a Mantova, a Borgoforte e davanti a tali piazze:
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Italiani _(II Corpo): 33.500 baionette 72 pezzi;
-
Austriaci (presidio) : 6.500 combattenti nominali ;
1.000
sciabole -
d) sul basso Po : - Italiani (_lV Corpo) : 64.000 baionette - 3.500 sciabole 354 pezzi; - Austriaci (r battagl. - 4 squadr. - presidio di Rovigo): 3.000 combattenti al massimo;
e) non utilizzati in operazioni militari : -
Italiani (artiglieria di riserva, rimasta a Piadena): 54 pezzi ; Austriaci (brigata Zavtavnikovic impiegata per tenere a freno le popolazioni del Veneto): 6.500 baionette 148 sciabole - 8 pezzi.
« Si veda dunque - conclude il Pollio - in quali deplorevoli condizioni noi andammo ad affrontare la battaglia cd in quali eccellenti condizioni , invece, si disponeva l'arciduca a darla. Si veda con quale giusto criterio gli imperiali si di sponevano ad affrontare un'azione tattica, che poteva essere decisiva, come fu , e quali terribili conseguenze per noi si delineavano, già il 23, in seguito ai confusi critcrii, alla mancanza di unità di direzione, alla scarsa
LA II ATTAGLT1\
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DI <..:1JSTOZA
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preparazione ed alla poca previdenza del Comando Supremo ed in seguito all'idea preconcetta che il nemico facesse : non quello che poteva riuscire a noi più dannoso, ma quello che poteva essere per noi più comodo! » .
lL TERRENO
Il terreno sul quale si svolse la battaglia è rappresentato daJle colline dell'anfiteatro morenico del Garda e dal loro degradare nel piano; ma - sia nella sua parte settentrionale, collinosa, sia in quella a sud, in pianura - esso offriva ai combattenti buone condizioni di percorribilità, buone posizioni per la difesa, e, nello stesso tempo, facili vie di attacco per l'offensiva. << L'anfiteatro morenico del Garda scrive il Vacca Maggiolini - domina I' Adige colla sua morena laterale e degrada perciò da quel lato con un versante piuttosto accentuato e quasi ininterrotto, formando un netto ciglione, rivolto :id est, delineato ad un dipresso da Pastrengo, Santa Giustina, Sona e Sommacampagna. A sud di Sommacampagna il ciglione è però interrotto dallo sbocco nella pianura del vallone di Staffalo. " Verso sud - est e verso sud, cioè verso Villafranca e verso Valeggio, le morene frontali si presentano, invece, anziché in linee continue di alture, come gruppi di colline isolate, le quali hanno sempre versanti non difficili. Tale separazione delle morene frontali in gruppi corrisponde all'esistenza, in tutto l'anfiteatro, oltreché degli avvallamenti concentrici tra morena e morena, anche di avvallamenti dovuti all'erosione delle acque, solcanti l'anfiteatro stesso dal nord al sud. In tali avvallamenti scorre, passando dall 'uno a1 l'altro col suo corso tortuoso, il Tione, che nasce verso Pastren go e va a gettarsi nel Tartaro. Come corso d 'acqua, il Tione non ha importanza; ma in parecchi punti le sue sponde d'erosione sono piuttosto difficili. « Gli avvallamenti meridiani, di cui si è detto, possono servire a distinguere le colline - per quanto capricciosamente disposte in tre gruppi: uno, occidentale, racchiuso tra il Mincio ed il solco seguìto dalla strada . Valeggio - Castelnuovo; uno, centrale, tra detta strada e l'avvallamento segnato al nord dalla striscia piana , lunga circa 6 km, detta depressione di Guastalla, ed al sud dalla valle inferiore del Tione dopo l'ansa di Serraglio; un terzo gruppo, orientale, tra la depressione ora detta e la pianura verso Veron a » .
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LA G UERRA DEL
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ED ALTRI SCRITTI
Fra i tre gruppi di alture, il più compatto ed il meglio definito
è - secondo il Pollio - quello orientale, il quale, benché interrotto dalla gola di Staffalo, può considerarsi che abbia fine nella pianura con le alture di Custoza, i cui versanti sud - orientali sono diretti verso Villafranca. 11 Pallio così enumera e giudica le posizioni difensive che il campo di battaglia puteva offrire: « Buonissi ma è quella del monte Vento, che trova il suo prolungamento verso ovest nel Torrione e monte Sabbione: meglio ancora, per azione puramen te difensiva , nel monte Bianco. « Un'altra discreta posizione difensiva, nel gruppo centrale, si trova n el ciglione di S. Lucia del Tione. Essa però, mentre si collega facilmente a sinistra colla posizione del monte Vento, è debole a destra, a causa dello sperone ava nzato ed a dolce pendenza che finisce presso Serraglio e presso Pianure. << li g ruppo di alture di Custoza assume la più grande importa nza, essenzialmente perché là com batté la maggior parte delle forze austriache (i 73 circa) e là si decise la giornata; ma non ha specialissima importanza tattica. « Esso è costitu it o da due linee di alture pressoché parallele, dirette verso nord - est, che si raccordano, dopo essersi alquanto abbassate, in un poggio centrale, stretto ed allungato, sul q uale sorge il villaggio di Custoza. Esse formano come una conca aperta a nord - est verso la depressione di Staffalo. « La linea d 'alture a nord di Custoza, che si accentua nel Belvedere (punto più elevato: r72 m ) e nei monti Arabica e Molimcnti, presenta un a cresta tondeggiante e degrada a terrazze, a versanti piuttosto facili. Essa si raccorda colle alture a nord delle gole di Staffalo per monte Codi e bosco dei F itti. << La linea d 'alture ad est di Custoza, che si accentua nel monte Torre e nel monte dell a Croce (che è il punto più elevato: 153 m ), presenta versanti piuttosto dolci verso la pianura. Ha cresta assai sottile e termina bruscamente nella gola di Staffalo. << Dall a linea d 'alture a nord si ha buona fronte difensiva verso nord e verso nord - est; fronte che può considerarsi quasi come un a continuazione di quella monte Vento - Santa Lucia. « Verso nord - est, cioè verso le alture di Pellizzara, Berettara, Casa del Sole, le colline ad est di Custoza (monte Torre e monte Croce) h anno caratteri difensivi assai mediocri; n on permettono che limitato sviluppo di forze cd hanno di fronte come un altopiano,
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generalmente dominante, che permette l'impiego di molta artiglieria. « Mig liori caratteri hanno le alture Belvedere - monte Molimen ti, perché a dossi più larghi e versanti degradanti a terrazze. Importantissimo poi è il poggio di Custoza, centro dcli 'azione tattica in q uella zona. << Per i caratteri già descritti , la linea delle alture Belved ere mon te Molimenti si presta bene per un'azione offensiva diretta verso nord ; sia perché dette alture sono come unite alle alture contrapposte della Berettara e di Pellizzara, sia per le successive posizion i d 'artiglieri a che esse offrono, sia perché si può d i là facilmente proteggere l'avanzata di truppe nella depressio ne di Guastalla. « Dietro tutte queste posizioni , sorge come un a cittadella il mon te Mam aor, che domina tutte le alture antistanti (192 metr i) e che presenta una buonissima fronte difensiva, esattamente verso nord , lunga circa 2 k m, ed una, più ristretta, fronte verso est per un'azione d iretta su Custoza. « La fronte verso n ord trova i I suo prolu ngamento ad ovest in una linea di piccole alture fin presso a C. Zeno. « In genere tutte le alture hanno poca elevazione e versanti n on troppo diffic ili per la fanteri a. « La coltivazione non è molto fitta, a causa della natura sassosa di questo terreno collinoso. Attualmente vi sono molti vign eti che, nel 1866, non esistevano ; per esempio sull' altura a n ord di Oliasi e su lle falde settentrionali d el monte Croce, che allora erano a gerbido. « Si deve perciò consider are che, nel giorno della battaglia, il terreno era più facilmente percorribile <li quello che non sia ora. (< Le sommità del le tante colline di questa zona forniscono eccellenti punti d 'osservazione, specialmente il monte Bianco, il monte Cricol , il monte Vento, Santa Lucia, il Belvedere, il monte della Croce, il monte <lei Rosolotti (a sud <li S. Rocco di Palazzolo), q uota 142, ecc. « In quell 'epoca, una sola buona strad a attraversava questo terreno da nord a sud , ed era quell a d a Castelnuovo a Valeggio. V'erano però parecchie strade di campagna in ogni senso e che eran o atte al passaggio dell'artiglieria. « La parte piana del campo di battaglia, a causa anche del terreno di natura sassosa, non aveva fitta coltivazione ed era facilmen te percorribile tanto d alla fanteria, q uanto dalla cavalleria.
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« In un prolungamento della fronte orientale del monte Mamaor si osserva un ciglione, da cui si domina per più di un chilometro la pianura verso est e che si accentua presso Torre Gherla. Esso però si perde ripiegando più sotto, verso est. « Diverse buone e discrete strade attraversano la pianura: le migliori dirette dal Mincio a Verona per Villafranca. << Villafranca assume yuindi la sua importanza da questo fatto, che era nodo di comunicazioni; e dall'altro, che è a metà distanza fra le alture ed i terreni acquitrinosi. Però tale importanza era limitatamente strategica e limitatissimamente tattica. La sua importanza nacque, per così dire, durante la battaglia e fu , direi quasi, negativa, perché i nostri comandanti ritennero che l'azione principale dovesse, tosto o tardi , decidersi là presso; e questo non avvenne. << Di ben altra importanza è Valeggio, non solo perché ha alle spalle il ponte sul Mincio di Borghetto, ma perché segna il passaggio dalla parte collinosa alla parte piana del campo di battaglia, per le tante strade che da <-]Ud punto si dipartono, fra le quali la più breve rotabile che a noi si offrisse dal Mincio a Verona, per la eccellente posizione difensiva e controffensiva che esso presenta. « Si può considerare che tale posizione abbia un'estensione di ci rca 3 km quasi da nord a sud , coi robusti caseggiati dal villaggio al centro. Si poteva avere splendida azione d'artiglieria verso sud-est, verso est e verso nord - est. Azione meno buona offriva verso nord ; ma la si poteva sostenere con artiglieria collocata sulla riva destra ».
La battaglia di Custoza fu una battaglia d'incontro e, per conseguenza, non si può parlare di veri e propri concetti d'azione nel campo tattico. Essa è la conseguenza dei concetti operativi nel campo strategico; concetti dei quali, tanto per ciò che si riferisce all'arciduca Alberto, quanto per quello che concerne il L a Marmara, si è già detto abbastanza. Tuttavia sarà bene ricordare quanto il La Marmora stesso scrisse nel suo primo rapporto del 30 giugno 1866 circa gli intendimenti con i quali egli aveva dato gli ordini già ricordati per il 24 giugno. Egli dice, in proposito, che gli ordini pel 24 dovevano rispondere al concetto di << gettarsi arditamente tra le piazzeforti di Verona, Peschiera e Mantova, separarle l'una dalJ'altra e prendere una forte posizione tra la pianura di Villafranca ed il gruppo di colline tra Valeggio, Sommacampagna e Castelnuovo, la quale favorisse lo svolgimento successivo delle operazioni ».
LA BATTAGLIA DI
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LA MARCIA DEGLI ITALIANI
IL I CoRPo
n'AR~ATA.
Appena ricevuti gli ordini del La Marmara per il giorno 24, il generale Durando, comandante il I Corpo, fece diramare ai Comandi delle Divisioni dipendenti il seguente preavviso (23 giugno, h. 16 circa) : cc Prevengo V.S. che domani , alle ore 3,30 antimeridiane, le Divisioni dovranno muovere per procedere ad ulteriori operazioni. Sospenda qualunque lavoro avesse intrapreso. I viveri per posdom ani saranno presi negli alloggiamenti attuali. Manderò ordini più tardi )). Fra le ore 17 e le 18 del giorno 23 furono, quindi, compilati gli ordini seguenti : Alla
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Divisione:
(( Domani (24) le Divisioni 1", 5" e 3" eseguiranno i movimenti che appresso : « La 1" Divisione, seguendo la strada da Valeggio a Castelnuovo, andrà a frapporsi tra Peschiera e Pastrengo, osservando ambedue quelle posizioni. A tal uopo la S.V. porrà una delle sue brigate con una batteri a a Castelnuovo, fronte verso Peschiera, e ripartirà l'altra brigata, ponendo un reggimento a Sandrà, fronte a Pastrengo, l'altro a Colà rivolto nell a direzione medesima. Porrà il suo battaglione bersaglieri in P acengo, fronte a Peschiera, e distribuirà la sua seconda batteria come crederà meglio tra le posizioni di Sandrà e Colà. A ciascuno dei tre distaccamenti di Sandrà, Colà e Pacengo assegnerà un drappello di cavalleria pel servizio di esplorazione. Il suo Quartier generale sarà in Castelnuovo. « La 5' Divisione da Valeggio, per San Giorgio in Salice, andrà a prender posizione a Santa G iustina, e la 3" da Pozzolo, per Valeggio e Sommacampagna, a Sona. << Ella ordinerà al comandante delle sue truppe in Sandrà di collegarsi a destra colla 5• Divisione ed a sinistra colle truppe postate in Colà. « Il Quartier generale e la riserva del Corpo d'arm ata si stabiliranno in Castelnuovo. << Sulla destra di questo I Corpo, il II[ Corpo d'armata occuperà la linea Sommacampagna - Villafranca.
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LA GUERRA DF.L
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ED ALTRI SCRITTI
<< La 2 " Divisione rimarrà sulla destra dcì Mincio, tra Pozzolengo e Monzambano, osservando Peschiera. (< S'intende che la marcia da eseguirsi a tal uopo vorrà essere effettuata con tutte yuelle precauzioni che sono richieste dalla possibilità di uno scontro col nemico. (< Converrà provvedere con forti scorte alJa sicurezza del traino che fa sèguito alla Divisione ed a quella del convoglio della Divisione stessa, che, tutto unito, dovrà percorrere più tardi la stessa linea di marcia. Le piL1 rigorose misure d'ordine dovranno essere prese a tale oggetto >> .
Alla 5" Divisione: « Domattina (24) le Divisioni r", 5" e 3'' esegrnranno movimenti che appresso: « La 1 " Divisione, per la strada da Valeggio a Castelnuovo, andrà a prender posizione tra Sancirà, Colà, Pacengo e Castelnuovo, osservando verso Pastrengo e Peschiera. << La Divisione della S.V., per la linea più diretta (Fornelli , S. Rocco di Palazzolo, S. Giorgio in Salice, Osteria del Bosco), si recherà a prender posizione a Santa Giustina. « La J' Divisione, per Valeggio, Custoza, Sommacampagna, si porterà a prender posizione a Sona. « Ella dovrà collegarsi a sinistra colla 1 " Divisione, a destra colla 3". « Il Quartier generale e la riserva del Corpo d 'annata si stabiliranno in Castelnuovo. (( Sulla destra di questo l Corpo, il III Corpo d'armata occuperà la linea Sommacampagna - Villafranca. ,< La 2 " Divisione rimarrà sulla destra del Mincio, tra Pozzolengo e Monzambano, osservando Peschiera. << S'intende che la marcia da eseguirsi a tal uopo dovrà essere effettuata con tutte quelle precauzioni che sono richieste dalla possibi lità di uno scontro col nemico>>.
Alla 3" Divisione: Dopo aver dato un cenno del movimento delle Divisioni 1 " e 5" : << La Divisi one della S.V. , per Valeggio, Custoza e Sommacampagna, si porterà a Sana. Si collegherà a sinistra colla 5" Divisione , e a destra col III Corpo d'armata, che occuperà la linea Sommacampagna - Villafranca ».
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Dopo aver accennato allo spostamento del Quartier generale e della riserva del Corpo d'armata, al còmpito assegnato alla 2 a Divisione e, infine, a1Ja possibilità di uno scontro col nemico, l'ordine diceva: << Dovendo i due ponti gittati sul Mincio presso Pozzolo rimanere sul sito, la S.V. vi lascerà provvisoriamente una conveniente guardia, che verrà poi rilevata dalle truppe del Ili Corpo)). Al Comando della riserva del Corpo d 'armata: Dopo un accenno alla marcia del I e del III Corpo: « La riserva comandata dalla S.V. partirà da Volta alle ore 5 antimeridiane e, per la strada Borghetto - Valeggio, si recherà a Castelnuovo, ove prenderà posizione in seconda linea, dietro ad una bri gata della ra Divisione, che colà dovrà rimanere in osservazione verso Peschiera. Lascerà in Valeggio un battaglione di bersaglieri per la scorta dei convogli, che successivamente giungeranno colà. Converrà che, nello appressarsi a Peschiera, e lla prend:-i n1ttc le precauzioni per la sicurezz;a del suo fianco sinistro >>. Alla
2"
Divisione:
Dopo aver accennalo a tutti i movimenti da compiersi dalle grandi Unità: « La Divisione della S.V. rimarrà sulla destra del Mincio, osservando Peschiera, e prenderà, a tale uopo, guella posizione che le parrà più conveniente, tra Pozzolengo e Monzambano >>. La diramazione di questi ordini venne effettuata dopo che S.M. il Re ed il generale La Marmora, venuti a Volta, ebbero conferito col generale Durando. Portati da ordinanze che non erano pratiche dei luoghi, gli ordini del Comando del Corpo d 'armata non giunsero alla 1" Divisione, in Monzambano, se non a notte inoltrata ed alla 5-', in Valeggio, soltanto all'alba del giorno 24.
*
* *
Secondo le disposizioni del Durando, la 1 " Divisione (Cerale) doveva percorrere, per recarsi al luogo assegnatole, la strada da Valeggio a Castelnuovo. Era nel pensiero del comandante del l Corpo ch e il Cera.le, passato il Mincio a Monzambano, per Torrione - ove era già la sua avanguardia (Villarey) - si fosse recato a rag-
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ED ALTRI SCRITTI
giungere la strada Valeggio -Castelnuovo presso monte Vento, per proseguire poi verso Castelnuovo. Il Cerale, interpretando l'ordine alla lettera, passato il Mincio col resto della Divisione e tutto il carreggio, discese invece il fiume per la carrareccia di riva sinistra sino a Valeggio, ove, come era prevedibile, si imbatté nelle truppe della 5" Divisione (Sirtori), già incolonnate sulla strada Valeggio - Castelnuovo e dirette, per Fornelli, a San Rocco di Palazzolo. Il Cerale, dopo avere lasciato passare la 5" Divisione, ottenne di poterla seguire subito e cominciò ad attraversare Valeggio verso le ore 7. Il carreggio delle due Divisioni fu fermato in Valeggio, sull a sinistra del Mincio, per ordine del Durando. L 'avanguardia della 1 " Divisione (Villarey), che aveva avuto ordine di procedere su Castelnuovo, si era mossa alle 3,30 ed era andata sulla strada Valeggio -Castelnuovo a monte Vento, ad attendere il grosso della Divisione, aspettandone invano l'arrivo sino alle ore 8. La 5" Divisione (Sirtori) - che, ricevuti gli ordini in ritardo, aveva iniziata la marcia soltanto alle ore 5 - si era incolonnata lungo la strada, assai cattiva, che per Fornelli conduceva a La Pernisa cd a San Rocco di Palazzolo. Il ritardo frapposto dal Sirtori nell'iniziare il movimento, arrestando la marcia della 1 " Divisione, accrebbe i danni dell'errore commesso dal Cerale. Ma tale errore non doveva essere, purtroppo, il solo! In fatti, )'avanguardia della 5" Divisione (generale Villahermosa ), giunta a S. Zeno, ingannata da informazioni errate, proseguì per la strada di Castelnuovo, con l'idea di raggiungere S. Rocco per Oliosi, ignorando che la strad a di Castelnuovo era assegnata invece aJla 1 a Divisione. Per conseguenza, il generale Villahennosa, giunto presso monte Vento, trovò la posizione già occupata dal generale Villarey, ne oltrepassò le truppe e, ad un chilometro <la Oliasi, incontrò le prime pattuglie nemiche. Richiamato da un biglietto del Sirtori sulla strada giusta, il Villahermosa pensò di raggiungere S. Rocco per Oliosi, e proseguì nella direzione già presa ; ma alle 7,30, mentre giungeva ad Oliasi , ven ne sottoposto ai tiri delJ 'artiglieria austriaca già in posizione a S. Rocco. Egli schierò subito le sue truppe, pose in batteria i due pezzi dei quali disponeva ed aprì il fuoco contro l'artiglieria nemica. Intanto la 5" Divisione, il cui comando troppo tardi si era accorto di non essere preceduto da alcuna avanguardia, continuava a
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marciare in direzione di La Pernisa, dove, giunta alle h. 7,45, venne sorpresa dalle fucilate e dai tiri dell'artiglieria nemica appostata a S. Rocco. Nel frattempo la 2 " Divisione (Pianell) si era trasferita a Monzambano con la brigata Aosta e l'artiglieria, fronte a Peschiera; mentre la brigata Siena era ancora ferma a Pozzolengo. La 3a Divisione (Brignone), partita senza carreggio alle ore 4 dai Molini di Volta, passando da Valeggio, si diresse a Custoza ed a Sommacampagna. Il comandante del I Corpo (Durando) era, verso le ore 7, in Valeggio insieme col La Marmora (venuto per raccomandargli di tener d'occhio il Cerale), quando udì le artiglierie dei forti di Peschiera ed un nutrito fuoco di fucileria verso Villafranca.
IL
III
CORPO
u ' ARMATA.
Il generale Della Roc...:1 , :1ppena ricevute le disposizioni per il giorno 24, aveva emanato il seguente ordine: « Domani (24) il III Corpo d'armata occuperà le postz1oni tra Villafranca e Sommacampagna, colla cavalleria a Rosegafcrro, i parchi ;i Quaderni, l' Intendenza ai Dossi ed il Quartier generale a Custoza. « Alle ore r ,30 dopo mezzanotte le truppe si metteranno in marcia con tutte le precauzioni di guerra, seguite però dai loro bagagli, scortate e fiancheggiate sulla destra. « La Divisione Cugia, per la strada Pozzolo - Remelli - Quaderni - Rosegaferro, si porterà a Sommacampagna, seguendo il piede delle colline, e vi prenderà posizione, collegandosi a sinistra colle truppe del I Corpo. « La Divisione Bixio, per la strada da Massimbona a Villafranca , si porterà, senza entrare in quella città, alle Ganfardine, cioè al centro della posizione. « La Divisione Principe Umberto, per la strada di Mozzecane, si porterà in posizione avanti Villafranca, collegandosi a sinistra colla Divisione Bixio, cd indietro ed a destra colle truppe di cavalleria del II Corpo, il quale sarà a Roverbella, e facendo riconoscere Povegliano. << La Divisione Govone, per Villa Bona - Massirnbona - le Sei Vie - Basternelle - Quaderni - Rosegaferro, si porterà in posizione a Pozzo Moretta, al piede del monte Torre. 8. - U.S.
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LA GUERRA DE L
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F.ll ALTRI
SCRITTI
<< La brigata di cavalleria (reggimenti Foggia e Saluzzo) seguirà la strada della Divisione Bixio fino all'altezza di Rosegaferro, dove si stabilirà. ,< I parchi d'artiglieria e del genio rimonteranno la riva destra del Mincio, lo passeranno a Ferri ed andranno a Quaderni. << L'Intendenza militare con i servizi dipendenti, per la stessa strada dei parchi, si recherà ai Dossi presso Rosegaferro, sulla strada da Villafranca a Valeggio. « I carri ed i cavalli del Quartier generale, passando il Mincio a Ferri, si recheranno a Custoza, passando per Valeggio. Essi partiranno solo alle ore 3,30 antimeridiane. « Il Quartier generale, cogli squadroni d 'Alessandria, partirà alle ore 4 antimeridiane. « 11 Comando del genio collegherà Goito a Villafranca con filo telegrafico il più sollecitamente possibile. « I ponti non andranno tolti fino a nuovo ordine )). Quest'ordine - dice la nostra Relazione - pervenne circa alle ore 9 alb 9" Divisione , gi11nt:1 poco prima al posto assegnatole pcl giorno 23 ed ancora intenta alla sistemazione d egli accampamenti ; circa alle ore 23,30 alla 16" Divisione ; quasi alle ore 23 a11 '8"; e circa a mezzanotte alla 7°; non giunse affatto alla brigata di cavalleria. Non fu perciò possibile di anticipare il rancio del 24 alle truppe, alcune delle quali avevano avuto que1lo del 23 assai di buon'ora. Per conseguenza, la marcia del III Corpo si iniziò verso le ore 3,30 senza che i soldati avessero avuto il rancio ed usufruito del necessar10 rtposo. In tali condizioni , ed anche a causa dei contrattempi verificatisi per l'oscurità e pel carreggio, la 16" Divisione impiegò 5 ore a raggiungere Villafranca (ro chilometri). Giunto a S. Giovanni , S.A.R. il Principe Umberto, poiché le pattuglie in esplorazione annunziavano la presenza di cavalleria nemica, arrestò la colonna, prese le precauzioni necessarie a formare prontamente i quadrati e mandò uno squadrone in ricognizione. L'8" Divisione (Cugia), riuscita a fatica ad attraversare Quaderni , verso le ore 6 si incamminò per i Dossi verso Sommacampagna. L a i Divisione (Bixio), che aveva dovuto anch'essa ritardare, avendo incontrato il carreggio dell'8" Divisione, venne avvertita, verso le ore 6, che la cavalleria nemica era stata segn al ata. li Bixio fece allora ridurre le distan ze e gli intervalli alla fanteria e proseguì la m arcia verso Villa.franca.
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La 9" Divisione (Govone), dopo avere avuta la marcia ritardata dai carreggi della Divisione di cavalleria e della Divisione Bixio, si trovava verso le ore 6 incolonnata sulla strada Massimbona - Villafranca, attendendo di poter proseguire da Remell i su Pozzo Moretto. La brigata di cavalleria (di Pralormo) era rimasta ferma alle Sei Vie. La Divisione di cavalleria (De Sonnaz) non si era mossa ed era rimasta dislocata con la brigata Sornan a Quaderni e la brigata Cusani a Mozzecane. IL
II
CoRPO o'ARMATA.
Ricevuto l'ordine del L a Marmora, il generale Cucchiari , comandante il Il Corpo d 'annata, scrisse al Comando Supremo « non essergli possibile muovere le sue truppe così presto, come l'ordine avuto gli prescriveva; che però avrebbe procurato di metterle in moto quanto prima potesse >>. Ordinò intanto che « il reggimento ussari <li Piacenza, la 1~/ Divisione (Longoni), la J0 (Angioletti) e due squadroni del reggimento lancieri di Novara muovessero, dopo avere consumato il rancio, alle ore 3,30, sfilando nell'ordine sopradetto pel ponte di Goito, ed andassero a porsi: g li ussari a Mozzecane; ]a 19" Divisione ed i due squadroni del Novara a Roverbella ; la 10" Divisione : metà a Marmirolo e metà a Goito. « Tutti i reparti dovranno collegarsi tra loro e colle truppe del III Corpo d'armata». In ottemperanza a tali ordini : la 19" Divisione partì alle 4 da Ospedaletto per Roverbell a; la rn" Divisione mosse alle ore 6 d a Gabbiana per Coito; la 6a Divisione (Cosenz) rimase a Curtatone; - la f Divisione (Mignano) si avvicinò a Borgoforte. 1
LA MARCIA DEGLI AUSTRIACI
LA D1v1s10NE
DI RTSF.RVA.
La Divisione di riserva austriaca (Rupprecht) doveva muovere da Sandrà su Castelnuovo e p oscia su Oliasi, regolando il suo movimento sulla marcia del V Corpo.
I.A GUcRRA OEL
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ED ALTRI SCRITTI
Il Rupprccht fece partire la brigata Weimar da Sandrà alle ore 4 e dispose che l'altra brigata (Benko) seguisse a11e ore 5. Trovato alle ore 6,30 Castelnuovo sgombro, il Rupprecht proseguì su Oliosi con la brigata Benko divisa in tre colonne (una per la strada principale, una per la contrada dei Maschi e Campagna Rossa, l'altra lungo il Tione) e con la brigata Weimar che, disposta nella stessa formazione, seguiva a 30' di distanza, dopo aver lasciato in Castelnuovo un battaglione e distaccata verso Peschiera una compagnia. IL V
CORPO D ' ARMATA.
Il V Corpo (Rodich) doveva, con le brigate Bauer e Piret, marciare su S. Giorgio in Salice e con la brigata Moring spingersi da Sona verso Casazze. Da questa fronte avrebbe poi dovuto proseguire verso S. Rocco di Palazzolo. Il Rodich, come si è già detto, aveva però già fatto occupare dalla brigata Bauer S. Giorgio e, il 24 mattina, spinse le brigate I3auer e Piret a S. Rocco e la brigata Moring alle Zerbarc. Quest'ultima brigata, non appena rilevata da un'altra del VII Corpo, avrebbe dovuto raggiungere le altre due a S. Rocco. IL VII
CORPO D'ARMATA.
Il VII Corpo (Maroicic) inviò la brigata Scudier per le Casazzc alle Zerbare (per sostituire la Moring), mentre le altre due brigate del VII Corpo, costeggiando la ferrovia, si avvicinavano a Sona.
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CoRPO u' ARMATA.
Il IX Corpo (Hartung) marciò direttamente per Caselle d'Erbe a Sommacampagna, che occupò prima <leJle ore 6, senza incontrare alcuna resistenza.
* * * Alle ore 7,30 del giorno 24 l'arciduca Alberto, ritenendo che gli Italiani marciassero verso l'Adige, ordinò: - alla brigata Pulz di risparmiare i cavalli; - al IX Corpo di collocare una brigata a Sommacampagna, una alla Berettara e l'altra a Cà del Sole;
I.A BATTAG LIA nI CUSTOZA
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al VII Corpo di far avanzare la brigata Scudier per Zerbare su monte Godi e di far sostare le due altre brigate a Casazze; - al V Corpo di marciare verso S. Lucia non appena la Divisione di riserva avesse oltrepassato Oliosi e di dirigersi a monte Vento ; - alla Divisione di riserva, .infine, di prendere posizione tra Oliasi e Monzambano e di distruggere il ponte presso questa ultima località.
LA SITUAZIONE VERSO LF. ORE 7 DEL 24 G IUGNO ITALIANI.
Il Quartier generale era stato stabilito a Cerlungo. Il L a Marmora se ne era allontanato con piccolissima scorta, senza comunicare le località verso le quali si dirigeva. I Corpo (Durando): Quartier generale m Valeggio: 1 " Divisione (Cerale) con l'avanguardia (Villarey) a monte Vento, la testa del grosso all'altezza di Casa Tirodella, il carreggio a Valeggio ; 2" Divisione (PianeU) con la brigata Siena presso Pozzolengo, la brigata Aosta a Monzambano, il carreggio a Castdlaro Lagusello ; - 5" Divisione (Sirtori): aveva l'avanguardia (Villahermosa) ad Oliasi, fronte ad est; il grosso con il 19° reggimento alla Pernisa, la brigata Valtellina sul ciglione di S. Lucia del Tione; il carreggio a Valeggio; - 3" Divisione (Brignone): si trovava incolonnata sulla strada Valeggio - Sommacampagna, con la testa a Torre G herla ; il carreggio sulla destra del Mincio, ai Molini di Volta; - riserva del Corpo d 'armata (Ghilini) a Valeggio. 111 Corp o (Della Rocca): Quartier generale in marcia su Villafranca: - 8" Divisione (Cugia): in marcia verso Sommacampagna, con l'avanguardia ai Dossi; il grosso incolonnato sull a strada Dossi Quaderni ; il carreggio a Quaderni ;
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- i Divisione (Ilixio): sulla strada Massimbona - Villafranca, con la testa a Villafranca; il carreggio in coda alla Divisione; - 16" Divisione (Principe Umberto) con la brigata Parma a nord di Villafranca, a S. Giovanni, la brigata mista a Mozzecane, il carreggio a Roverbella. La distanza tra le due brigate era dovuta all'ingombro causato in Mozzecane dal carreggio della brigata d i cavaJleria che vi accantonava; - 9" Divisione (Govone): era ancora in marcia sulla strada Massimbona - Villafranca, diretta a Pozzo - Moretto, con la testa all 'altezza di Remelli e col carreggio alle Sei Vie; - brigata di cavalleria (Di Pralormo) era ferma alle Sci Vie. II Corpo (Cucchiari): Quartier generale in marcia su Goito: - 1</ Divisione (Longoni): in marcia, con la testa a Sacca, a 4 chilometri circa da Goito ; IO" Divisione (Angioletti): in marcia, con la testa a Castcllucchio, a circa 14 cliilorn<..:tri <la Guitu; Divisione di cavalleria (De Sonnaz) col Quartier generale e la brigata Soman fermi a Quaderni e con la brigata Cusani ferma a Mozzecane.
AusTRIAc1.
Quartier generale principale a Sona. Divisione di riserva (Rupprecht) con la brigata Benko ad un chilometro circa a sud di Castelnuovo e la brigata Weimar in Castelnuovo. V Corpo (Rodich): Quartier generale a Palazzolo :
- Brigata Bauer tra Forni e S. Rocco ; - Brigata Piret presso J3rolino, a nord - ovest di S. Rocco; - Brigata Moring in marcia da Sona su S. Rocco con la testa a Casa Spolverina; - artiglieria di Corpo d 'annata presso Corte.
IX Corpo (Hartung): Quartier generale in Sommacampagna: -
Brigata Wekbeckcr presso Cà del Sole; Brigata Kirchberg in Sommacampagna ;
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- Brigata Bok in marcia su Sommacampagna lungo la ferrovia, con la testa all'altezza di Mancalacqua; - artiglieria di Corpo d 'armata a Sommacampagna; cavalleria in marcia su Staffalo, presso Cà del Sole. VII Corpo (Maroicic) : Quartier generale alla stazione di Sommacampagna: - Brigata Scudier alle Zerbare ; - Brigate Toply e Welsersheimb, con l'artiglieria del Corpo d'armata, in riserva generale a Sana. Cavalleria in esplorazione verso Guastalla vecchia a monte Godio. Cavalleria dell'armata: - Brigata Pulz presso Ganfardine; - Brigata Bujanovich in marcia verso Ganfardine, presso Accademia.
LO SVOLC.IMENTO DELLA BATTAGLIA
Il terreno, la direzione delle colonne e le disposizioni dei due Comandi, più che ad una vera battaglia, dovevano dar luogo ad una serie di incontri slegati, che occorre esaminare particolarmente. CoMBATTIMENTo
m
VrnLAFRANCA .
Verso le ore 8,30 alla Divisione Principe Umberto ed alla Divisione Bixio, grazie all'esplorazione di uno squadrone del reggimento Alessandria (spintosi, per ordine del Principe, a quattro chilometri oltre Villafranca), venne confermata la presenza dell a cavalleria austriaca. La due Divisioni presero allora le precauzioni del caso ed il generale Bixio invitò i generali di cavalleria di Pralormo e De Sonnaz a portarsi avanti ; ma non fu possibile di aderire a tale invito, sia perché la cavalleria non aveva ricevuto alcun ordine dal Comando Supremo, sia perché le strade erano ingombre del carreggio della fanteria. Il colonnello Pulz intanto, raccolta presso Casa Accadem ia anche la brigata Bujanovich , mandò pattuglie verso Villafranca; e, ricevuta la notizi a che presso quell 'abitato si trovavano due reggimenti di cavalleria italiana, decise d'attaccarli.
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Per conseguenza egli si portò da Accademia a Ganfardine, e, quindi, per la strada Sommacampagna - Villafranca, si spinse a sud, con le due brigate schierate nel seguente modo: - in prima schiera il 13° reggimento ulani ad est della strada ed il 1° ussari ad ovest ; -
in seconda schiera la brigata Rujanovich con l'artiglieria.
Nel marciare verso ViJlafranca, il 13° reggimento ulani distanziò il 1° ussari e, incontrate ben presto le truppe della r6a Divisione itaJiana (4° battaglione bersaglieri e 49° reggimento fanteria), le caricò immediatamente, spingendosi a fondo fin dentro i quadrati della nostra fanteria. Questa si difese con grande valore, ·m a i cavalieri austriaci, trascinati dallo slancio, arrivarono sino all'abitato di Villafranca ed all'argine della ferrovia. Entrarono allora in azione, molto opportunamente, i due nostri squadroni di cavalleggeri di Alessandria, giunti in quel momento a Villafranca con il generale Della Rocca, al quale servivano di scorta. Essi caricarono arditamente gli Austriaci: prima tra la ferrovia e la strada Villafranca - Verona, poi lungo il fronte della 16" Divisione. Durante questa improvvisa azione, durata pochi minuti, i cavalleggeri di Alessandria vennero trascinati contro il 1° reggimento ussari, che arrivava proprio allora tra la fossa di Berettara e la strada Villafranca - Sommacampagna; e, caricati alla loro volta da forze soverchianti, i due squadroni italiani furono costretti a ripiegare, scoprendo le truppe della 7" Divisione, la cui testa (9° battaglione bersaglieri e 48° reggimento fanteria) sboccava proprio allora da Villafranca. Il 1 " ussari caricò le fanterie della 7" Divisione ; ma, sottoposto al fuoco dell'artiglieria a breve distanza e minacciato sul fianco sinistro dal 5° squadrone dei nostri cavalleggeri di Foggia, dovette indietreggiare. I cavalleggeri di Alessandria tentarono allora d'inseguirlo; ma l'apparire del Bujanovich con altri 7 squadroni austriaci li obbligò a ritornare fra i quadrati della nostra fanteria. Contro questa il Bujanovich poté caricare ripetutamente; ma poi venne costretto a ripiegare a nord di Ganfardine. Durante queste azioni, dato il valore col quale si era difesa la fanteria italiana, la cavalleria austriaca aveva lasciato sul campo 13 ufficiali, 309 uomini , 403 cavalli ; ma essa disponeva ancora d i altri 11 squadroni.
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D a parte nostra avevamo a portata d 'azione ben 20 squadroni di cavalleria di linea e 10 squadroni di cavalleria leggera: ossia altri 30 squadroni ancora intatti , che avrebbero dovuto essere lanciati verso Sommacampagna, per sfruttare e completare il successo; ma che vennero tenuti, purtroppo, fermi. Le cariche austriache avevano, in tanto, suscitato il panico nel carreggio, panico che si era propagato sino a Goito ed a Massimbona, essendosi dati i conducenti borghesi del carreggio alla fuga. Il Comando del III Corpo d 'armata arrestò allora la marcia della i Divisione su Ganfardine, marcia che, se proseguita, avrebbe messa poi la Divisione in grado di interven ire nell'azione verso le alture di Custoza e monte Torre, ove si sarebbe decisa la giornata. CoMBATTIMENTO
])J
M oNGAB 1A E DI MONTE C RICOL.
L'avanguardia (Villahermosa) della 5" Divisione era, verso le ore 7,30, ad Oliosi e stava per incamm inarsi verso S. Rocco, men tre il grosso della divisione marciava, senza avanguardia, verso la Pernisa, quando, come si è detto, si udì tuonare l'artiglieria austriaca da S. Rocco. Il generale Sirtori mandò allora il 19° reggimento fanteria ed una batteria oltre il Tione ad ocrnpare la Pernisa e trattenne in seconda linea, sull'altura di S. Lucia, la brigata Valtellina e l'altra batteria. Le truppe austriache, che si opponevano a quelle dell a s" Divisione, erano quelle della brigata Bauer (V Corpo) che, gi unta a S. Rocco e visti gli Italiani ad Oliasi e verso la Pernisa, si era schierata con tre battaglioni a Palazzina, fronte ad ovest, verso cioè al Villaherrnosa, e con 2 battaglioni e la batteria a Forni, fronte a sud, contro il r9'' fanteria, conservando ancora due battaglioni in riserva a S. Rocco. Precisamente a guell'ora la testa della colonna centrale della brigata Benko (Divisione austriaca di riserva) raggiungeva monte Cricol e con l'artiglieria apriva il fuoco, a meno di r.ooo metri , su Oliosi. Il generale VilJahermosa ordinò allora al 5° battaglione bersaglieri di prendere d'assalto monte Cricol ; ed i bersaglieri, attaccando con impeto alla baionetta, riuscirono, infatti, a fare indietreggiare gli Austriaci. Ma fu un effimero successo, poiché, sopraggiunto il grosso della colonna centrale del Benko, la posizione su monte Cricol venne rioccupata dagli Austriaci, che riuscirono a tenerla, non ostante venissero sottoposti al fuoco della propria artiglieria. Questa, mes-
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sas1 tn batteria alla Brusa, e scambiatili per nem1c1, tirò contro di loro ben 108 colpi. La colonna di destra della brigata Benko minacciava intanto di aggirare la sinistra del Villahermosa, costringendolo a distaccare un battaglione verso Campagna Rossa, per fronteggiare tale minaccia. Erano circa le ore 7,45, quando la testa de1la 1 a Divisione ita1iana raggiungeva Oliasi. Vincendo la riluttanza del generale Cerale, che sosteneva la impossibilità che il nemico fosse in forze considerevoli, il generale Villarey aveva ottenuto, infatti, che la sua intera brigata (Pisa) avanzasse a sostegno del Vi1lahermosa ; ed aveva fatto schierare le sue truppe, col 29" reggimento a destra, a cavallo della strada della Mongabia, ed il 30° a sinistra, verso monte Torcolo. Il rn" battaglione bersaglieri , accorso in testa alla Divisione , ed il battaglione del 20", che, come si è detto, era stato mandato dal Villahermosa a Campagna Rossa, vennero a prendere posto sulla linea della brigata Pisa, lra il 29" l'.<l il 30° reggi mento. Compiuto lo schieramento, il Villarey diresse il 30° verso le alture ad est di Casa Zenati e lanciò le truppe all'attacco. Benché la nostra artiglieria - :/4 batteria appena - non n e potesse sostenere l'azione, la brigata Pisa assaltò risolutamente e, malgrado la morte del suo generale, si impadronì di Fenile, Mongabia, monte Cricol e Casa Zenati, ricuperando perfino e togliendo due pezzi agli Austriaci. Durante questa vigorosa azione, il generale Cerale, come se le truppe impegnate non fossero alla sua dipendenza, continuò tra nquillamente ad avanzare alla testa della brigata Forlì, incolonnata per quattro sulla strada rotabile. L'entrata in azione della brigata Pisa, il suo successo, il sapere la brigata Forlì già vicina, indussero allora il Villahermosa a<l abbandonare Oliasi per avvicinarsi alla sua Divisione; e, senza avvisarne il Cerale, egli scese nel vallone del Tione e si diresse alla Pernisa. Dalla parte degli Austriaci il Rupprecht faceva avanzare intanto anche la brigata Weimar a sostegno della brigata 13enko, ed il Rodich schierava la brigata Piret a destra della Bauer, fronte ad ovest, sollecitando anche la brigata Moring ad accorrere. Anche da Peschiera una colonna di 400 uomini con 4 pezzi e 30 cavalli circa, al comando del capitano Ballàcs, si era nello stesso tempo avanzata sino a Feliona, sul fianco sinistro della brigata Pisa.
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Questa si trovò cosl minacciata sui due fianchi e senza soccorso immediato, perché il Cerale, non ancora persuaso dell'importanza dell'azione, continuava a marciare con la brigata Forlì in colonna
di via. Fu allora che si verificò un episodio, che per quanto breve, doveva pesare grandemente sulle sorti della battaglia. Il comandante la cavalleria del V Corpo austriaco aveva mandato da Corte uno squadrone del 16" reggimento ulani (Bechtolsheim) per disturbare la marcia degli Italiani. Lo squadrone, passato il Tione e salito sull'altura di Fenile, accortosi della ritirata della brigata Benko, scese sulla rotabile Castel nuovo - Valeggio e si lanciò contro la testa della colonna Cerale. Alla comparsa improvvisa degli ulani, la batteria che marciava in testa alla colonna indietreggiò e si cacciò in mezzo alla fanteria. Gli ulani la inseguirono mettendo il disordine fra i nostri battag lioni e, attraversando la colonna, arrivarono sino al bivio di Oliosi. Per l'efficacia della sorpresa, i battaglioni della brigata Forlì ebbero, da questa azione improvvisa, tale scossa morale, che per il momento non poterono sostenere, come sarebbe stato necessario, la brigata Pisa. Così un solo squadrone nemico, pur perdendo ben 86 uomini sopra un effettivo di forse 100, riuscì a scompigliare un 'intera brigata. La Divisione di riserva austriaca si affrettò allora a profittare di questo momentaneo vantaggio, e si dispose a riprendere monte Cricol. Il primo attacco, pur venendo effettuato da ben 7.000 Austriaci contro 4-500 Italiani , venne respinto ; ma, ripetutasi l'azione austriaca con un tentativo di aggiramento per la valle del Tione, eseguito da un battaglione e da un plotone di ussari, i cavalieri austriaci arrivarono nuovamente di sorpresa sulla brigata Forlì non ancora riordinata; i generali CeraJe e Dho vennero feriti, le truppe nuovamente scompigliate, in g uisa che la maggior parte di esse, per la giornata, non fu più in grado d'entrare in azione. Il colonnello Dezza, che, morto il Villarey, aveva assunto il comando della brigata Pisa, dopo avere respinto tenacemente il nuovo attacco nemico, venne costretto a ripiegare, avendo le ali minacciate e vedendo lo scompiglio della brigata Forlì. Gli Austriaci tentarono di sfruttare il successo contro la nostra destra; ma vennero presto fermati da due squadroni di lancieri di Aosta, giunti allora sul campo , per ordine del comandante il I Corpo d'armata.
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CoMBATTIMENTo DI Ouos1.
Il comandante del V Corpo austriaco, durante l'azione di monte Cricol, aveva fatto avanzare la brigata Piret ed il reggimento Renedek della brigata Bauer a Brolino e poscia li aveva diretti a soccorso del Rupprecht verso Oliosi. Alle ore 8 quelle truppe poterono occupare il villaggio abbandonato dal ViUahermosa. Il comandante del II battaglione del 43° (brigata Forlì), capitano Gamberini, accorse allora, di sua iniziativa, ad Oliosi e riuscì a penetrare nell'abitato; ma fu costretto a retrocedere. Anche il comandante del IV batt aglione del 44°, maggiore Aronni, volle ritentare la prova e riuscì, infatti, ad occupare Oliasi ed a tenerlo per oltre mezz'ora; ma poi, dopo una lotta micidiale, data la grande superiorità numerica del nemico, fu costretto anche egli ad abbandonare la posizione alla brigata Piret. Così la 1;• Divisione italiana era già tutta in ritirata. Di essa, soltanto qualche reparto opponeva ancora una vivace resistenza al nemico; resistenza che, sebbene episod ica e sleg:it:1, riuscì ad imporre agli Austriaci una pausa nel combattimento. COMBATTIMENTO DELLA PERNISA.
Intanto la nostra 5" Divisione si era impegnata a fondo. Il 1~)° reggimento fanteria stava, come si è detto, alla Pernisa con una batteria, allorché la brigata Piret ed il reggimento austriaco Renedek mossero verso Oliasi per attaccare la 1 " Divisione. Il colonnello Garin, comandante il 19", agendo di propria iniziativa, attaccò arditamente sul fianco il reggimento Benedek, respingendolo fino alla Palazzina. Ren tosto però gli Austriaci, rinforzati da un battaglione cacciatori, contrattaccarono e respinsero i battaglioni italiani, che non poterono venir soccorsi dalla brigata Valtellina, ancora troppo lontana. TI 19° reggimento si raccolse allora a S. Lucia; gli Austriaci non oltrepassarono il Tione perché il comandante del V Corpo non volle impegnare la riserva. Si ebbe quindi anche qui una pausa nella battaglia. COMBATTIMENTO DI MONTE VENTO.
Il generale Durando, ignaro dei combattimenti nei quali si erano pure impegnate due Divisioni del suo Corpo, era rimasto a
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Valeggio sino alle ore 8,30; poi si era deciso a recarsi a monte Vento, precedendo la sua riserva di Corpo d 'armata. Ricevette casualmente per via, da un cavalleggero ferito, le prime notizie sullo scontro verificatosi verso Oliosi e, raggiunte le pendici di monte Vento, poté farsi un'idea degli avvenimenti. Egli inviò allora in soccorso della brigata Pisa due squadroni di lancieri di Aosta, squadroni dei quali si è già ricordato l'opportuna entrata in azione, cd ordinò di prendere posizione a monte Vento alla riserva. Questa era stata ridotta di forza per un equivoco, in base al quale erano rimasti ancora sulla destra <lcl Mincio un battaglione bersaglieri cd uno squadrone. Comunque, l'artiglieria (25 pezzi) prese posizione a monte Vento; due battaglioni bersaglieri si schierarono davanti ad essa, un terzo battaglione con la cavalleria rimase in riserva . .In totale il Durando disponeva, a monte Vento, di r.480 fanti , 600 sciabole e 25 pezzi. L 'azione venne così ripresa verso le ore 10,30 con un duello di artiglieria. Se, data la distanza, gli effetti m:1teri:ili cb nostri tiri furono assai scarsi, l'entrata in azione dell 'artiglieria italiana impressionò tuttavia gli Austriaci ed impose loro una certa prudenza. CoMBATTIMENTO DI MONTE TORRE E MONTE CROCE.
Alle ore 6 circa, il comandante della 3:' Divisione, in tnarcia verso Sommacampagna, incontrò il La Marmora, che ordinò al generale Brignone di occupare monte Torre e monte Croce. Erano forse le ore 8 quando i granatieri di Sardegna ed una batteria raggiungevano quelle alture e, siccome non si erano ancora avuti indizii di combattimento se non verso Villafranca, si schierarono fronte a sud - est. La brigata granatieri di Lombardia, con un'altra batteria, fu invece fatta proseguire sino al Gorgo e fermata poi in quella bassura. Il generale Rrignone aveva avvisato il Principe Amedeo, comandante la brigata, che si sarebbe subito ripresa la marcia verso Sommacampagna, poiché l'occupazione di monte Torre veniva attribuita ad una semplice precauzione. Venne allora permesso ai soldatt della brigata Lombardia, stanchi cd assetati, di attingere acqua ai pozzi delle cascine, nella certezza che si trattasse di una breve sosta durante la marcia. Fu appunto mentre le truppe riposavano che l'artiglieria austriaca (tre batterie) le sottopose improvvisamente ai suoi tiri dalle alture a nord di Staffalo.
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Il comandante il IX Corpo austriaco (Hartung), ricevuto, infatti, alle ore 7,45, l'ordine di occupare Cà del Sole, la Berettara ed il ciglione di Staffalo, vi aveva inviato due brigate tenendo l'altra in riserva a Sommacampagna. Accortosi della presenza degli Italiani su monte Torre e monte Croce, l'Hartung decise di attaccarli prima che si rafforzassero e preparò l'attacco delle sue brigate col fuoco deJle tre batterie delle quali disponeva. La brigata Wekbecker doveva avanzare dal Boscone (pendici a sud di Cà del Sole), per Staffalo, su monte Croce; la brigata Bok da Balconi Rossi , per Mascarpinc, doveva raggiungere lo stesso obbiettivo. Il generale Brignone, lontano dal supporre che le alture a nord di Staffalo fossero occupate dal nemico, venne, così, sorpreso prima dal fuoco dell 'artiglieria austriaca e quindi dalla notizia che anche le fanterie nemiche muovevano all'attacco. Egli ordinò allora ai granatieri di Sardegna di cambiar fronte e di ~olgersi a nord - est ; al battaglione bersaglieri di accorrere a monte Croce; alla brigata granatieri di Lomhardi:1 di portarsi sulle alture di Custoza. Obbedire, sotto il fuoco nemico, a tali disposizioni non riuscì mol to facile, ed il nuovo schieramento venne assunto non senza qualche disordine. Il Principe Amedeo schierò la brigata granatieri di Lombardia a cavallo della strada Gorgo - Staffalo, a11'altczza dell a Cavalchina, sino alle falde del monte Croce, col 4° reggimento a sinistra, il 3" con l'ala destra a monte Arabica e Molimenti , la batteria a monte Torre. Gli Austriaci attaccarono i granatieri di Sardegna con due reggimenti della brigata Wekbecker e con un reggimento della brigata Bok (9 battaglioni, meno 2 compagnie: 6.500 fucili contro 4.400). I nostri granatieri avevano il vantaggio della posizione; gli Austriaci quello della superiorità numerica e delle artiglierie più numerose. I granatieri di Lombardia, che non avevano ancora ultimato il loro schieramento, vennero attaccati invece nel vallone del Gorgo dall'altro reggimento della brigata Bok. F erito, durante l'azione, il Principe Amedeo, la brigata ebbe un momento di indecisione che avrebbe potuto produrre gravi conseguenze, se il generale Brignone, dopo avere respinto l'attacco a monte Torre, non avesse lanciato due battaglioni dei gran atieri di Sardegna verso il Gorgo, sul fianco sinistro degli Austriaci, ricacciando questi sino al vallone di Staffalo , dove vennero raccolti dalla brigata Scudier. Questa brigata aveva ricevuto infatti, verso le ore 8,30, dal Comando Supremo austriaco, l'ordine di portarsi per Zerbare su monte
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Godio; e poco dopo, dal comandante del Corpo d'armata, quello di avanzare anche oltre monte Godio. Visto che monte Arabica dominava monte Godio, lo Scudier aveva deciso di occupare monte Arabica e Molimenti sul fianco dei granatieri di Lombardia, e, dopo una vivace lotta, era riuscito ad impadronirsi, non solo delle alture ora dette, ma, verso le ore 10, con l'ala destra, anche di Custoza; mentre l'ala sinistra concorreva con la brigata Bok in un nuovo assalto contro monte Torre e monte Croce. Dopo un combattimento accanito per la difesa delle falde e delle vette dei due monti suddetti, l'importante posizione si poteva considerare perduta per gli Italiani, quando arrivò in soccorso di questi la 8" Divisione (Cugia). Questa Divisione (proveniente <la Pozzolo e diretta a Sommacampagna, per la strada Remelli - Rosegaferro - Dossi) alle ore 7,30 era già arrivata al Tione, quando cominciò ad udirsi il rumore del combattimento di Villafranca. Il generale Cugia - avuta segnalata la presenza Jdla cavalleria nemica ~ fece: allora serrare le colonne e proseguì, con le truppe così raccolte, verso Pozzo - Moretto; ma, intanto, sulla sinistra della Divisione, a monte Torre ed a monte Croce, si impegnava la lotta della f Divisione italiana contro il IX Corpo austriaco. Il maggiore Bava Beccaris, comandante l'artiglieria divisionale della 8a Divisione, si portò allora, di sua iniziativa, su monte Torre, dove il generale Brignone gli accennò alla situazione, richiedendo un immediato soccorso. Il Bava Beccaris condusse allora una delle sue batterie sul monte Torre, seguìto dal colonnello Ferrari, comandante il 64° reggimento fanteria , il quale, ubbidendo ad un generoso sentimento di cameratismo, accorse anch'egli, senza attendere ordini, col suo reggimento, in aiuto della 3a Divisione. Raggiunte le alture di monte T orre e monte Croce, il 64° reggimento ne scacciò il nemico e respinse un contrassalto di due battaglioni del 19° reggimento austriaco con tanto vigore, da costringere l'intera brigata Wekbecker e parte della Bok a ritirarsi sino a Somm acampagna. Il resto della Divisione Cugia si schierò in pianura, fra monte Torre e Pozzo - Moretto. Ad un altro favorevole e brillante episodio doveva dar luogo l'azione della 9a Divisione. Verso le ore 8 il generale Govone era con l'avanguardi a a Quaderni, dietro a tutto il carreggio della 7" ed ai parchi del III
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Carpe d 'armata, quando, iniziatasi la battaglia, egli si affrettò ad abbandonare la strada per superare l'ingombro dei carri ed a raggiungere, attraverso i campi, Pozzo - Moretto. Arrivato, circa alle ore 9, nei prati di Prabiano, il Govone ven ne richiamato dal Della Rocca verso Villafranca; ma il combattimento che intanto si svolgeva sulle vicine alture di Custoza, di monte Torre e di monte Croce, consigliò, invece, al comandante la 9" Divisione di accorrervi almeno con parte delle sue truppe. Egli inviò, inCatti, la brigata Pistoia, che marciava in coda, a Villafranca e condusse la brigata Alpi, le 2 batterie cd il battaglione bersaglieri all'attacco di Custoza. Questa altura - già caduta, come si è detto, in possesso della brigata austriaca Scudier - alle ore IO fu , così, nuovamente occupata dagli Italiani. Da Custoza il Govone, concentrando i fuochi delle sue batterie successivamente sul palazzo Maffei, sul cimitero e sulle alture di monte Arabica, costrinse anche il resto della brigata Scudier a sgombrare quelle pusizioni cd a raccogliersi alle Zerbare. Verso le ore 11, per una resipiscenza del generale Della Rocca, anche la brigata Pistoia venne a raggiungere la brigata Alpi e, così, tutta la 9" Divisione venne nuovamente riunita a Custoza. Per quanto riguarda la 2 " Divisione, il generale Piandl a Monzambano, sentendo imperversare la lotta sulla sinistra del Mincio, aveva mandato ufficiali e pattuglie ad assumere notizie sull 'andamento del combattimento. Verso le ore rn, poiché le notizie ricevute accennavano sempre più ad un nostro insuccesso, il Pianell , dando una non facile prova di iniziativa, fece passare il Mincio, per il ponte di Monzambano, a quattro battaglioni e ad una batteria della sua Divisione, agli ordini del colonnello Pasi, e li mandò contro l'ala destra austriaca verso il Torrione. Contemporaneamente egli ordinò alla brigata Siena di portarsi da Pozzolengo a Monzambano.
LA SITUAZIONE DEI BELLIGERANTI ALLE ORE 11
Ricordati così i diversi episodi, nei yuali si divise la lotta durante la sua prima fase , sarà bene - per potere avere un 'idea sufficientemente chiara dello svolgimento ulteriore della battaglia - riassumere la situazione determinatasi verso le ore 11.
9. - U.S.
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T10NE.
Gli Italiani avevano la r" Divisione in disordinato ripiegamento su Valeggio, salvo forti nuclei di valorosi, ancora in lotta col1e truppe della Divisione di riserva austriaca, che era stata anch 'essa gravemente provata. Per noi sono degne di speciale ricordo le azioni di Campagna Rossa, monte Torcolo, Maragnotte, Cà Bruciata, Prà Vecchia, le cariche delle guide, i contrattacchi del1 '8° battaglione bersaglieri. La 5" Divisione aveva la brigata Valtellina ancora intatta a S. Lucia del Tione e la brigata Brescia scossa dai combattimenti della Pernisa e di Oliosi. La riserva <lcl I Corpo era in azione a monte Vento. La 2 a Divisione in marcia, con un distaccamento verso il Torrione, col resto verso Monzambano. Gli Austriaci avevano: la brigata Piret e la brigata Bauer del V Corpo d'armata impegnate in mmb~1ttimento temporeggiante, rispettivamente fronte a monte Vento e<l a S. Lucia; la brigata Moring, ancora intatta, a Palazzolo, in riserva. La Divisione di riserva - già tutta impegnata, come si è detto, contro la 1 a Divisione italiana - aveva le truppe in disordine.
An EsT
DEL T10NE.
Gli Italiani combattevano eroicamente ed avevano riportato qualche non facile successo a: - Custoza, monte Arabica, Molimenti, con la 9a Divisione, così ben comandata dal generale Govone ; - monte Torre, monte Croce e Pozzo - Moretto con gli avanzi della 3" Divisione (Brignone) e con la ga Divisione (Cugia); - Villafranca: due Divisioni di fanteria, una Divisione e ¼ di ca.valleria del III Corpo italiano, il cui intervento avrebbe avuto un valore decisivo, erano tenute ferme dal Della Rocca, troppo preoccupato dagli episod1 della mattina e dall 'incertezza della situazione. Del II Corpo le Divisioni Angioletti e Longoni si trovavano rispettivamente ancora a 15 ed a 17 chilometri <lal campo di battaglia.
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Gli Austriaci avevano, invece : - il VII Corpo: con la brigata Scudier in disordine alle Zerbare e con le brigate , ancora intatte, W elsersheimb alla Berettara e T oply a Cavena. Del IX Corpo, la brigata Kirchbcrg, che non aveva ancora combattuto, era a Cà del Sole; le altre <lue brigate Wekbecker e Bok verso Sommacampagna, gravemente provate ed incapaci, per il momento, di agire. In complesso, verso le ore I T, la battaglia era ancora indecisa ed avrebbe potuto finire con una gloriosa vittoria degli Itali ani, i quali disponevano ancora di numerose truppe fresche, specialmente alle ali del loro improvvisato schieramento, e precisamente all'ala : - sinistra: della Divisione Pianell , che però non poteva impegnarsi tutta, dato il còmpito assegnatole di osservare Peschiera; - destra: di due Divisioni di fanteria e di una Divisione e mezza <li cavalleria, che non entrarono in azione per l'ostinazione del Dell a Rocca; nonché delle due Divisioni del II Corpo, ancora troppo distanti per poter arrivare in tempo utile. Dall a parte del Mincio, gli Austriaci non avevano forze fresche disponibili alle ali ; ma disponevano ancora di 4 brigate intatte al centro : ossia, da destra a sinistra, delle brigate Moring, Welsersheimb, T oply e Kirchberg. N ella prima fase della battaglia, gli Austri aci avevano avuto un notevole vantaggio dalla parte di Oliosi e della Pernisa; ma erano stati respinti da Custoza, da monte Torre e da monte Croce. Se essi, in questo momento della battaglia, avessero avuto l'ala destra assai forte e capace di impadroni rsi dei ponti di Monzambano e di Valeggio, gli ordini dati dall'arciduca Alberto alle ore 7,30 avrebbero potuto avere una completa attuazione.
* * * Purtroppo, a malgrado delle molte circostanze a noi favorevoli, la vittoria doveva toccare al nemico! La Divisione di riserva austriaca, che aveva lottato sino alle ore II , costretta a di vidersi in parecchi nuclei contro gli avanzi della 1 " Divisione italiana, tenacemente aggrappati agli ostacoli del terreno, riuscì, finalmente, verso le ore 12,30 a superarne la gloriosa resistenza e si avanzò nella grande ansa del Mi ncio, puntando sulla sinistra d i monte Vento, mentre la colonna Ballàcs - uscita, come sappiamo, da Peschiera - marciava verso il ponte di Monzambano.
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Circa alla stessa ora, anche la brigata Piret si decise a muovere da Oliosi e, riuscita a scacciare i nostri bersaglieri d a Casa Busetta, vi pose in azione tre batterie contro M. Vento. Ai primi colpi, il generale Durando, ferito alla mano destra, dovette lasciare il comando del I Corpo d 'armata al generale Ghilini . Gli avanzi della 1" Divisione italiana, riunitisi ad ovest di monte Vento, avendo già consumate tutte le munizioni, stavano per essere sopraffatti, quando intervennero molto opportunamente le truppe della 2" Divisione, condotte dal colonnello Pasi. Questi dal Torrione si era portato a Case Pasquali e, da quest'ultima località, avanzando risolutamente, aveva attaccato la D ivisione di riserva austriaca, respingendola nuovamente sino a Fontana. Per la presenza della brigata Piret, min acciosa contro il suo fianco destro, il Pasi non poté insistere ulteriormente nell'azione, benché g li fosse arrivato in rin forzo un battaglione del 44° reggimento, già di scorta al carreggio, ed accorso per iniziativa del suo comand ante: maggiore Menotti. Il generale Pianell intanto, raccolta a Monzambano la sua Divisione, con sei battaglioni, due squadroni e quattro pezzi , non esitava a passare il Mincio ed a marciare verso il Torrione in soccorso del Pasi, lasciando un battaglione sul Redone e quattro, con i quattro cannoni, a <lifesa del ponte sul fiume. Nell'eseguire il suo movimento, il Pianell si imbatté nel 13° battaglione Cacciatori imperiali , che dal Rupprecht era stato diretto a Mon zambano. Questo reparto, assalito improvvisamente dai nostri bersaglieri e dalle guide e cannoneggiato, attraverso il fium e, d alle artiglierie di Monzambano, perdette in pochi minuti 730 uomini e venne disperso. Così, verso le ore 14, l'azione delle truppe della 2" Divisione italiana obbligò la Divisione di riserva austriaca a ritirarsi a monte Cricol, dove essa rimase immobile per tutto il res to de1la giornata. In tal modo il generale Pianell, con la sua illuminata iniziativa, coprendo indirettamente Valeggio (ove si eran o raccolti i d ispersi e dove si trovavano i carreggi delle Divisioni r" e 5'), riuscì a risparmiare alla nostra annata del Mincio una sconfitta completa. fi.
OONTRATTACOO T>E LLA BRTGA'l'A VALTELLINA .
Della 5" Divisione era rim asta ferma a S. Lucia la brigata Valtellina, ch e fronteggiava la brigata Bauer. Questa, dopo avere in-
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La seconda fase della battaglia di Custoza (24 giugno 1866).
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viato sulla destra del Tione un battaglione cacciatori, aveva due reggimenti sulla sinistra verso Forni. Alle ore 13 circa, per iniziativa del suo comandante, maggiore Reverberi, il 3° battaglione del 66° reggimento mosse all'attacco dei cacciatori austriaci e riuscì a respingerli oltre il Tione, sino alla Pernisa. Trascinati dall'esempio, tutti gli altri battaglioni della brigata Valtellina seguirono immediatamente il movimento, portandosi a contatto delle due brigate austriache Moring e Bauer. Soltanto dopo un 'ora gli Austriaci si decisero a contrattaccare; ma il Sirtori non ritenne opportuno d'attendere l'urto di forze così soverchianti e fece ripiegare in buon ordine la brigata Valtellina al Tione. Nel passare sulla destra del Tione, sottoposte al fuoco improvviso di 21 pezzi austriaci, le truppe, che poco prima avevano attaccato il nemico con tanto vigore, si disordinarono e si diressero verso Valeggio. Per conseguenza, alle ore 15 il Bauer poteva occupare S. Lucia e, con un battaglione, monte Mamaor. L'ABBANDONO Ili MONTE VENTO.
Intanto, a monte Vento era continuata l'azione dell'artiglieria. Come si è detto, difendevano tale importante posizione gli avanzi della 1 " Divisione e la riserva del I Corpo d'armata: 3 battaglioni bersaglieri, 27 pezzi e 7 squadroni (circa 3.000 uomini). Verso le ore 15, viste apparire le truppe della brigata Bauer sul ciglione di S. Lucia, la brigata Piret mosse all'attacco di monte Vento, con una forza di circa 9.000 uomini, sostenuti da 20 pezzi. Il generale Ghilini, che aveva sostituito il Durando nel comando del I Corpo, ordinò allora la ritirata su Valeggio, dove il Sirtori, raccolti gli avanzi delle tre Divisioni, aveva assunto l'organizzazione della difesa. Gli Austriaci del Piret, oramai esausti , non poterono inseguire ; le truppe delle brigate Bauer e Moring si volsero, invece, verso Custoza.
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NUOVI ATTACCHI AUSTRIACI OONTRO LE POSIZIONI DI CusTOZA.
Dopo la riconquista delle alture di Custoza da parte della 9" Divisione italiana e quelle di monte Torre e di monte Croce per opera della 8" Divisione, si era iniziato un duello d'artiglieria tra
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39 pezzi italiani e 56 austriaci; duello che era durato sino alle ore 12,30, guando entrarono in azione altri 16 pezzi austriaci. Sotto la protezione della loro artiglieria - di tanto superiore numericamente a quella italiana - il generale Hartung, comandante del IX Corpo austriaco, mandò a riattaccare Custoza, per Molirnenti, un reggimento della brigata Kirchberg. L 'attacco venne però respinto dagli Italiani, che, con brillante controffensiva, riuscirono ad occupare Molimenti. In quel momento pervenne agli Austriaci un ordine emanato dall'arciduca Alberto alle ore 11,30. Esso disponeva che il VII Corpo d'annata inviasse una brigata a monte Godio - allo scopo di collegare, per Guastalla Vecchia, le truppe del VII con gue1Je del V Corpo - e che il IX Corpo effettuasse un nuovo attacco contro monte Torre e contro Custoza. In ottemperanza a queste prescrizioni, circa alle ore 15, il generale Maroicic fece occupare monte Godio dalla brigata Toply; ma non fu possibile agli Austriaci rinnovare l'attacco di Custoza, perché l'azione - già tentata, come si è visto, dal IX Corpo con poche forze - era stata nettamente respinta. Intanto il generale Govone, viste le penose condizioni del)e sue truppe (da 24 ore digiune e decimate dalle perdite subìte durante l'accanita lotta sostenuta), verso le ore 15, mandò a chiedere rinforzi al generale Della Rocca; ma questi non credette di poter aderire, come non aveva aderito ad un'analoga richiesta già fattagli dal Cugia alle ore 14,30. Poco dopo, il Govone rinnovò al Della Rocca la domanda di rinforzi e richiese almeno un rifornimento di munizioni; ma il comandante del III Corpo gli rispose: per le munizioni, di usufruire di quelle della Divisione Cugia, che si era già impegnata; e, per i rinforzi, si limitò a scrivere al generale Longoni della 19a Divisione di affrettare la sua marcia e di farsi precedere, intanto, dalla artiglieria << perché il nemico ingrossava tra Villafranca ( ?) e le colline». Alle ore 15,30, verificatasi nella battaglia una nuova pausa e tacendo le artiglierie, il generale Govone, sperando la giornata finita, ordinò di fare avanzare il carreggio della 9" Divisione per fare distribuire il rancio alle truppe. L ' uLTIMO ATTACCO AUSTRIAo o
E T.'ARBANl.)()N O J>I Cus -roz A.
L'arciduca Alberto, avuta, verso le ore r5,30, notizia della occupazione di monte Vento e di S. Lucia, rispettivamente da parte
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della Divisione di riserva e del V Corpo, ordinò che alle ore 17 venisse rinnovato ancora una volta l'attacco di monte Torre e di Custoza con tutte le truppe disponibili dei Corpi, V, Vll e IX. Per obbedire a tale ordine: ~ il generale Maroicic (che già aveva la brigata Toply a monte Godio) spinse la brigata Welsersheimb verso il ciglione di Staffalo; - il generale Hartung portò innanzi il 7° reggimento, l'unico che gli fosse rimasto ancora intatto, al Boscone, sulla sinistra della brigata Welsersheimb;
- il generale Rodich inviò la brigata Moring e due battaglioni della brigata Bauer da S. Lucia a Custoza. Gli avanzi delle brigate Scudier, Ri.ik e Wekbecker dovevano servire a proteggere una eventuale ritirata austriaca, occupando rispettivamente le Zerbare, la Berettara e Sommacampagna. In conseguenza, durante questa, che doveva essere la fase veramente decisiva della battaglia, circa 15.000 Austriaci dovevano attaccare le pmizioni italiane da nord - est; mentre ~1ltri 8.oon avrebbero concorso ali' attacco da ovest verso est, minacciando il tergo d elle nostre truppe. Queste ultime, oramai rappresentate soltanto dalla <)" Divisione, dalla 8" e dagli avanzi della 3", non disponevano che di 10.000 uomini e di 14 pezzi. Circa alle ore 16 la ripresa del fuoco da parte del!' artiglieria austriaca preannunziò al Cugia ed al Govone l'approssimarsi dell'attacco decisivo. Nuove richieste di soccorsi vennero allora rivolte dai due generali al Della Rocca, ed anche il Principe Umberto, il generale Bixio, gli stessi ufficiali del seguito insistettero presso il comandante del III Corpo perché si accorresse alla battaglia; ma i I Della Rocca rimase irremovibile. Alle ore 16,30, anticipando sull'ora fissata dall'arciduca Alberto per l'attacco, le brigate Welsersheimb e Ti.iply si avanzarono, per la Ragoline e monte Arabica, al Belvedere e la brigata Moring puntò da S. Lucia su Custoza; mentre il 7" reggimento di fanteria austriaco attaccava ancora una volta monte Croce. Tutta questa azione venne sostenuta da un imponente spiegamento delJ 'artiglieria, venuta a prendere posizione a Molimenti , senza che la nostra, da tre ore esposta al fuoco, potesse controbatterla, per mancanza di munizioni. Gli Italiani, ciò non ostante, continuarono a combattere valorosamente; ma invano.
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Al1e ore 17,30 Custoza venne occupata dagli Austriaci ed il Govone dovette ordinare la ritirata, che si effettuò sotto la protezione del 52° reggimento fanteria, il quale, per assolvere il suo difficile compito, non esitò a contrattaccare energicamente il nemico. La Divisione Cugia, perduto monte Croce, dovette sgombrare anch'essa. Le truppe continuarono a combattere alla spicciolata sulle falde del monte e nella pianura sostenute dalle cariche dei lancieri di Foggia e di Lucca, e riuscirono a trascinare a braccia sino a Valeggio alcuni pezzi d'artiglieria, per non abbandonarli al nem1eo. ll generale Della Rocca, ancora prima che la 8" e la 9' Divisione avessero iniziata la ritirata, aveva già date disposizioni perché anche le Divisioni 7" e 16" ripiegassero, dirigendosi verso Goito. La 16" Divisione iniziò il ripiegamento alle ore 17,30; la 7'', con la Divisione di cavalleria, ehbe l'incarico di proteggere la ritirata; ed il generale Bixio si proponeva di resistere fino all'indomani, quando un ordine del La Marrnora gli prescr isse di seguire il movimento a scaglioni.
In questo momento la cavalleria austriaca ricomparve, avanzando lungo il fosso della Berettara. Si trattava di 8 squadroni che, ributtati due nostri squadroni del Genova, arrivarono improvvisamente sulle fanterie d~lla 7" Divisione, che resistettero tenacemente, respingendoli e decimandoli. Alle ore 21,30 anche il generale Bixio, con le truppe della 7" Divisione , si ritirò per la strada di Massimbona. LA 19"
DIV ISIONE .
Le due Divisioni del 11 Corpo d 'armata, che erano destinate a coordinare la loro azione con quell a delle nostre truppe operanti sulla sinistra del Mincio, vennero considerate dal generale Cucchiari come indipendenti. Il Comando del II Corpo d'armata non intervenne, infatti, mai : sia che il Cucchiari ritenesse suo còmpito principale badare soltanto alle Divisioni che dovevano operare attorno a Mantova; sia che egli non pensasse all'importanza della battaglia. La 19' Divisione aveva passato il Mincio alle ore 8 e con l'avanguardi a aveva raggiunto Marengo, quando la comparsa di alcuni conducenti del treno borghese in fuga fece temere al generale Longoni una nostra sconfitta. Egli decise allora di retrocedere sulla
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strada del Mincio; ma poi , non scorgendo alcun altro segno di una nostra ritirata, riprese la marcia verso Roverbella, dove la Divisione giunse soltanto verso le ore 12,30 con gli uomini esausti dalla fatica. Da Roverbella il Longoni non paté non sentire l'intenso cannoneggiamento presso Custoza; ma, pur sapendosi destinato a partecipare all'azione del Ili Corpo, egli non si mosse, né assunse informazioni. Quando, alle ore 16, gli arrivò dal DelJa Rocca l'ordine di accorrere e di farsi intanto precedere dall'artiglieria, egli inviò a Villafranca due sole batterie, che vi giunsero alle ore 17,30; m entre le fanterie della Divisione, date le difficoltà incontrate nell 'incolonnamento e le condizioni delle strade ingombre dal carreggio in ritirata, arrivarono a Mozzecane soltanto verso le ore 19, dopo avere impiegato ben 3 ore per percorrere 5 chilometri appena.
LA
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La 10" Divisione, partita dagli alloggiamenti tra le ore 5 e le 6, in una sola colonna, incontrò a Castellucchio il carreggio d'armata che ostruiva la strada di Goito e dovette, per conseguenza, ritardare notevolmente la marcia. Tale ritardo venne poi reso più gr ave da un grand'alt di un'ora fatto a Ri valta. Ripresa la marcia alle ore 10,30, la Divisione arrivò così a Coito soltanto alle ore 13,30 e vi incontrò il La Mannora. Questi ordinò all'Angiolctti di p roseguire su Massimbona e di schierarsi, con la sinistra al Mincio e la destra verso Roverbella, a contatto colla Divisione Longoni, col còmpito di impedire agli Austriaci di avanzare d a Valegg io su Goito, per la sinistra del Mincio. Le truppe della 10" Divisione erano, però, affrante per la fatica e per il caldo e soltanto alle ore 18 il generale Angio!etti poté occupare le posiz ioni assegnategli, rimanendovi sino alle ore 22, cioè fino a quando la Divisione venne richiamata a Coito. « Non si può fare a meno di notare )) - ricorda in proposito il Pollio - « che, ad onta di tutti gli inciampi , dei contrordini, del caldo opprimente e di altri gravi inconvenienti, le truppe delle Divisioni Longoni ed Angioletti avevano marciato benissimo, rimanendo in piedi per 24 ore, quasi sen za interruzione. « Peccato ch e quelle valorose truppe, per una serie di errori e di equivoci, non abbiano potuto far sentire m enomamente la loro azione nella battaglia] ».
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PERDITE.
Le perdite furono quasi eguali per i due eserciti. Esse ammontarono precisamente (tra morti, feriti e dispersi) per gli: Italiani: ad ufficiali 334 e ad uomini di truppa 7.04.8; - Austriaci : ad ufficiali 325 e ad uomini di truppa 7.642 (1). CONSIDERAZTONT SULLO SVOLGIMENTO DELLA BATTAGLIA
La battaglia di Custoza fu una battaglia d'incontro, che sorprese gli Italiani, i quali avrebbero però potuto conseguire ugualmente la vittoria, qualora fossero stati meglio comandati ed avessero potuto sfruttare più efficacemente i vantaggi offerti dal terreno, che ben si prestava: sia ad una tenace resistenza, sia ad una successiva, fortunata controffensiva.
Le Posizioni di monte Torre, di Custoza
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di monte Vento
erano, infatti, particolarmente adatte ad un efficace impiego della fanteria ; mentre la pianura avrebbe potuto favorire l'energica azione dell~ nostra cavalleria e lo sfruttamento della sua superiorità numerica. Per far questo, sarebbe stato necessario che , ·d opo la prima sorpresa, il nostro Comando si fosse orientato rapidamente sulla situazione e avesse deciso opportunamente e tempestivamente sul da farsi. Invece l'impressione prodotta dal disordine dei carreggi, dalle ferite dei generali Durando e Cerale e del Principe Amedeo, dalla disordinata ritirata compiuta da qualche reparto, dall'accanimento dimostrato dal nemico, fece credere al La Marmora la giornata perduta quando le sorti di essa erano ancora indecise e mentre sarebbe stato ancora assai facile di conseguire la vittoria. Sotto questa penosa impressione - non tenendo alcun conto: né delle forze che avevamo ancora disponibili (2), né delle gravi (1) N ell'esposizione dei singoli episodi della battaglia di Custoza abbiamo seguito fedelmente la Relazione ufficiale italiana, g ià più volte citata. (2) A noi, oltre al IV Corpo d 'armata, rimanevano impiegabili sub ito circa 6o.ooo uomi ni; mentre altri 25.000 stavano riordinandosi ed erano poco d istanti dal grosso. Anche la riserva d'artiglieria - dimenticata a Piadena e la cui azione sarebbe stata così importante durame la battaglia - sarebbe potuta accorrere con una sola giornata <li marcia !
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condizioni nelle quali, dopo una giornata di combattimento accanito, si trovava il nemico - il comandante italiano (nonostante che il Re ed altri generali si fossero pronunciati a favore di una nostra immediata controffensiva), nella notte dal 25 al 26 giugno, ordinò la ritirata di tutta l'armata del Mincio su Cremona e su Piacenza. La battaglia di Custoza, che avrebbe potuto e dovuto risolversi con la nostra vittoria, c'impose quindi un'i mmeritata sconfitta, quasi esclusivamente per deficienze assai gravi nell'azione del Comando; tanto che chi legge i relativi documenti non può non rammaricarsi che il rispetto alle norme costituzionali abbia impedito a Vittorio Emanuele ll di assumere effettivamente e personalmente il comando dell'esercito! Infatti, anche dopo Custoza, la magnanima figura del Padre della Patria ci appare degnissima della nostra ammirazione e della nostra nconoscenza. Come abbiamo già detto, il Re si era mosso da Ccrlungo verso le ore 4, dirigendosi al ponte di barche di Pozzo1o con tre aiutanti di campo e <p1:1ttro o cinque , tra palafrenieri e soldati. Da Pozzolo egli si diresse verso Valeggio e, udito per via il cannone in direzione di Villafranca, credette giustamente che la nostra cavalleria del De Sonnaz avesse incontrato la cavalleria nemica. Il che dimostra come il Sovrano ritenesse che la Divisione di cavalleria si fosse portata - come avrebbe dovuto - avanti alle (anterie, oltre Villafranca. Arrivato in Valeggio, il Re seguì i granatieri di Lombardia sino alla bassura di Prabiano, al ponte sul Tione. Non udendo più il cannone verso Villafranca, mandò un ufficiale ad informarsi e si diresse ai Coronini, donde salì a monte Torre. Qui il suo arrivo venne salutato da due o tre granate austriache, provenienti dalla Berettara. In quel momento si presentò al Re il La Marmora. << Maestà, sono gli Austriaci alla Berettara », esclamò il generale; ed il Sovrano gli rispose: (( Glielo avevo pur detto io!)), dimostrando, con questa frase, di non aver mai condiviso l'idea che il nemico si trovasse sulla sinistra dell' Adige. Lasciato il La Marmora che cercava di giustificarsi con la frase « V.M. ha giusto dire; ma bisognerebbe poter saper tutto», il Re si diresse verso le ore 8,30 a Villafranca, facendosi precedere da un suo ufficiale incaricato di invitare il Della Rocca (( a forzare il nemico sul /ìanco sinistro>> (1), il che dimostra come il Sovrano si fosse reso (1) Così lo stesso Della Rovere, nella relazione scritta nel 190 0, basandosi su un suo Diario, narra questo particolare: « il Re (da m onte Torre) si
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immediatamente conto dell'efficacia che avrebbe potuto avere, nel volgere a nostro favore le sorti <lella battagli a, una puntata del III Corpa su Sommacampagna. Nell'abitato di Villafranca il Re incontrò il Della Rocca e dovette certo ripetergli il suo desiderio di minacciare il fianco sinistro degli Austriaci; ma il Della Rocca allegò l'ordine, ricevuto poco prima dal La Marmara in persona, di « tenere la posizione sino a nuove disposizioni sue » ed il Re ritornò allora nuovamente a Prabiano. Per via si imbatté negli ufficiali mandati dal Rrignone a Villafranca per chiedere soccorsi ; ed allora il Re stesso mandò subito un ufficiale del sèguito, il Della Rovere, in cerca del La Marmara, per invitarlo ad ordinare alla 9" Divisione di accorrere a monte T orre. Il Della Rovere, non riuscendo a trovare il La Marmara cd imbattutosi invece nel Govone, gli trasmise direttamente l'ordine del Re: ordine che, come sappiamo, non faceva che confermare le decisioni già prese spontaneamente dal Govone~ ( 1 ). avviò a Villafranca con il La Marmara e vi giu nse verso le ore 9. li La Marmora lasciò S.M. poco prima di giungere al paese. Raggiunta la strada di Villafranca, il Re mi ordinò di precederl o e di dire al generale Della Rocca che doveva fo rza re il nemico sul fianco sinistro, puntando su Sommacampag na. << M i recai a Villafranca, cercai il Della Rocca fuori e dentro il paese; mentre stavo per raggiungerlo, vidi veni re S.M. che, incontratosi col Della Rocca, conferì con lui, senza che io, naturalmente, compissi la mia missione. << D opo, S.M. si diresse nuovamente verso Prabiano. << Mentre camminava in quella direzione, si incontra rono porlatori di premurose richieste di soccorso del generale Brignone. Allora il Re mi ordinò di cercare La Marmora e di dirgli <li mandare subito la Divisione Govone a monte Torre. « Non Lrovando subito il La Marmora, decisi di cercare Govone che, per fortuna, trovai subito; si fu allora (saranno state poco piì1 delle 9) ch e gli comunicai l'ordine del Re. << li Govone, il quale veniva con la sua Di visione dalla strada di Quaderni, diede suhito le disposiz ioni perché si recasse immediatamente a monte Torre la brigata Alpi e mandò a chiamare la brigata P istoia che, per ordine del Della Rocca, era diretta a Villafranca ». (1) Così l'episodio venne lumeggiato dall'attore principale e dai Lestimoni oculari: Dal generale Govone (rapporto del 28 gi ugno): ,e La Divisione riprese la marcia alle ore 1,30 ant. del 24 nella d irezione di Q uaderni e Rosegaferro per prendere pos izione a Pozzo - Moretto, in ri.serva della 1 7a ed 8" Di visione ...
LA GUERRA DEL
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Il Re, dalla strada Valeggio - Villafranca, assisteva al combattimento della 3" Divisione, quando gli si presentò di nuovo il La Marmara per pregarlo di recarsi a Valeggio; ciò che egli fece tra i granatieri di Lombardia in rotta, invano cercando di trattenerli. Giunto al ponte sul Tione, Vittorio Emanuele, apprendendo la notizia della ferita del Principe Amedeo, esclamò : « o morti o feriti i miei figli, non importa; purché non siano prigionieri». Proseguì poscia su Valeggio con l'animo angosciato, ma ancora con la speranza che i generali Cugia e Govone avrebbero tenuto forte e che il Della Rocca li avrebbe sostenuti; nulla sapeva ancora del Cerale e del Sirtori. Il Re arrivò a Valeggio dopo mezzogiorno e vi soslÒ attendendo il La Marmara; ma, non vedendolo e non vedendo arrivare neppure il Quartier generale, proseguì per Cerlungo, ove giunse alle ore 15 circa. A Cerlungo il Re ricevette un telegramma del Cialdini annunziante che il gittamento dei ponti sul Po procedeva bene e che il IV Corpo avrebbe potuto passare facilmente il fiume; notizia, quest:1, che g li suggerì l'idea di pater ricominciare la battaglia l'indomani, mentre il Cialdini avrebbe passato il Po. Ma, poiché a tale scopo occorreva rimanere sul Mincio, il Sovrano mandò ancora ufficiali in tutte le direzioni in cerca del La Marmara; e, non vedendolo giungere, si decise ad invi are un suo aiutante a Valeggio, perché « ordinasse in nome suo, a chi comandava in quel luogo, che quella posizione fosse tenuta ad ogni costo »,
« La Divisione arrivò alle 8 a nt. con la testa a Quaderni. Si sentiva il cannone a Villafranca ; per ev itare gli ingombri (d el carreggio della 7a Divisione), d iressi la testa a sinistra , per le vie di campagna, ai prati di Prabiano. « Se non che, alle 8,30, un ordine del comanda nte il TTI Corpo mi pervenne di mutare la prima direz ione e di dirigermi a sinistra della Di visione, nella pianura di Villafranca. " Per giungere al più presto nella nuova direzione, ordinai alla brigata Pistoia, non ancora impeg nata nella campagna, di portarsi a V illafranca per Rosega ferro, mentre dirigevo la brigata Alpi sulla grande strada Villafranca Valeggio, tra Dossi e Gh erla. « Quando la brigata Alpi fu impegnata, in questa via mi pervenne u n ordine del comandante il III Cor po e di S.M., che incontrai sulla mia strada, di recarmi ad appoggiare la Divisione Rrig none nella posizione di Custoza >). Dal capitano Biraghi, addetto allo Stato Maggiore del III Corpo d 'armata: (< • • • Alle 8 incontrai il generale Govone con la testa della Divisione a i prati di Prabiano e gli com u nicai l'ordine del Della Rocca di abbandonare la prima direzione (di Pozzo - Moreno) e <li obliyuare a destra e venire a m ettersi in linea a nord di Villafra nca, accanto alla 7" Divisione ... )>.
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cd un altro a Villafranca, per raccomandare al Della Rocca di « tenere fermo a Villa franca sino ali'indomani ». Questa sua fiducia nella nuova giornata, l'apprezzamento esatto della situazione, il Re rivelava agli ufficiali del suo seguito con una frase in dialetto piemontese, che suonava circa: « domani riprenderemo la lotta e somministreremo al nemico una buona lezione!». Infine, impaziente di altri indugi, telegrafava egli stesso al Cialdini, alle ore 16,30: « Da questa mattina siamo attaccati su tutti 1 punti. Battaglia accanita. Abbiamo tutto l'esercito contro di noi. Passi immediatamente il Po. Non so dirle esito battaglia: dura ancora, essa è dubbia, molte perdite. Divisione granatieri in fuga. Mio figlio Amedeo ferito; le scriverò più tardi, se potrò>>. Ma gli ordini del Sovrano non furono eseguiti: il Sirtori, comandante in Valeggio, malgrado le insistenze dei suoi stessi inferiori e l'assenza del nemico, ripiegò su Volta ; il Della Rocca rispose che non si sentiva sicuro a Villafranca e che si ritirava come il La Marmor:1 gli aveva ordinato; il Cialdini telegrafò che non poteva affrettare il passaggio del Po. Riepilogando, a mettere in luce quanto sarebbe stata efficace e fortunata l'azione personale del Sovrano, qualora egli avesse tenuto effettivamente il comando dell'Fsercito, occorre ricordare che il Re, purtroppo inascoltato, aveva, come si è visto, già prevenuto il La Marmora de1Ja possibilità di incontrare il nemico oltre il Mincio e di qua dall'Adige; sicuramente intuìto l'opportunità di un attacco del Della Rocca su Sommacampagna; e, infine, reputato possibile di riprendere l'offensiva il 25 giugno. Idea, questa, resa purtroppo vana dalla titubanza del Cialdini, dallo sbigottimento del La Marmara, dagli errori del Del1a Rocca !
* * * Assai diminuita, non ostante le di lui indiscutibili benemerenze militari e politiche, appare invece, dopo Custoza, la figura del generale Alfonso La Marmora. Abbiamo già visto come egli - persuaso che il nemico si trovasse oltre Adige e che la nostra avanzata di là dal Mincio dovesse rappresentare quasi una semplice marcia di trasferimento - avesse lasciato, nella mattina del 24- giugno, il Quartier generale di Ceri ungo con due guide ed un solo ufficiale d 'ordinanza, senza informare alcuno dell'itinerario che si proponeva di percorrere.
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Poco dopo le ore 5,30 egli era giunto a Valeggio e vi era rimasto fino alle ore 7, cercando di rimediare agli inconvenienti prodotti, come si è visto, dagli incrod delle colonne e dal carreggio del I Corpo d'armata; poscia aveva marciato verso Custoza, dopo aver raccomandato al Durando di sorvegliare il Cerale. Per via, il cannone, che si udiva verso Villafranca, lo aveva indotto ad accorrere verso quella località e, facendo svanire le sue illusioni, lo aveva avvertito della possibilità di una battaglia. Incontrata la Divisione Brignone, il La Marmora, con buon intùito tattico, aveva ad essa ordinato di occupare le alture di Custoza, dove egli stesso l'aveva preceduta, portandosi su monte Croce. Viste le truppe austriache del IX Corpo, il comandante italiano mandò l'ufficiale d'ordinanza a raccomandare al Brignone di accelerare la marcia; e da un ufficiale della 8" Divisione, incontrato a monte Croce, fece portare al generale Cugia l'ordine di schierarsi con la sinistra a contatto della 3'' Divisione e con la destra collegata con le truppe della Divisione 13ixio. Verso le ore 8 era giunto su monte Torre anche il Re, ed il La M annora, dopo una breve conferenza col Sovrano, si diresse a Villafranca; dove, informato delle cariche della cavalleria austriaca, pose la Divisione di cavalleria De Sonnaz agli ordini del Della Rocca, raccomandandogli di « tener fermo in quella posizione >> che avrebbe coperto, in ogni caso, la linea di ritirata dell'esercito. Quindi il La Marmora ritornò ancora verso Custoza e, mcontrato di nuovo il Re nei prati di Prabiano, lo pregò di recarsi a Valeggio, ove doveva arrivare da Cerlungo il Quartier generale ; imbattutosi poscia nella 9" Divisione, ordinò al Govone di portarsi a Custoza, movimento che il Govone , come sappiamo, aveva già iniziato per suo conto. Ciò fatto, il La Marmara (senza pensare neppure un momento a costituirsi uno Stato Maggiore anche provvisorio, che gli permettesse di dirigere la battaglia e lo dispensasse dal galoppare egli stesso in cerca dei diversi comandanti), attratto dal combattimento, stava per tornare su monte Torre, quando vide i granatieri di Lombardia che si ritiravano in disordine. Impressionato da tale fatto, il La Marmara, alJe ore T r, si diresse verso Valeggio, dove la confusione e l'ingombro, a causa dell'affollarsi del carreggio e delle truppe sul ponte del Mincio, erano al colmo. Quello spettacolo accrebbe la depressione del La Marmora, gli fece credere senz'altro ad un disastro irreparabile e lo
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indusse a recarsi, « per assicurare la ritirata », a Goito, dove gmnse quasi alle ore 14. Così il La Marmora lasciò senza comando l'esercito, proprio nel momento in cui sarebbe stato più necessario di coordinare gli sforzi dei generali dipendenti, rimasti senza ordini e senza direttive. Egli scrisse, poi , di essersi recato a Goito per far fronte cc al pericolo che il n emico, irrompendo da Valeggio, puntasse poi su Goito e per disporre la rn" Divisione a Massimbona »; ma egli avrebbe potuto provvedere ugualmente a tale necessità, con un ordine portato da un 'ordinanza. Il La Marmara si preoccupò quindi di coprire la ritirata, quando disponeva ancora di metà del suo esercito ed avrebbe ben potuto profittare degli errori del nemico e volgere a nostro favore le sorti della giornata!
A proposito del Della Rocca, sarà opportuno Ji aggiungere qualche altra considerazione sull'azione da lui svolta durante la battaglia. Il comandante del III Corpo d'annata era entrato in campagna coll'animo disgustato, per non essere stato prescelto alla carica di Capo di Stato Maggiore dell'esercito e, a quanto pare, col proposito di attenersi strettamente agli ordini del La Marmara, nel quale egli non aveva troppa fiducia. Verso le ore 9,30, respinti gli attacchi della cavalleria austriaca, il genera'.e Bixio aveva chiesto al Della Rocca l'autorizzazione a continuare il movimento su Ganfardine, che era l'obbiettivo assegnatogli. Il Della Rocca rispose negalivamente ed impedì cosl l'avanzata della nostra 7" Divisione, che avrebbe permesso al Bixio di appoggiare direttamente la Divisione Cugia. Pare che questa determinaz ione debba attribuirsi all'ordine ricevuto poco prima, dal La Marmora, di cc tener fermo in Villafranca ». Per iniziativa dei comandanti le Divisioni 16" e 7", erano state poi fatte avanzare pattuglie di cavalleria, le quali assicurarono che la pianura era sgombra; ma, ciò non ostante, il Della Rocca, che pure disponeva di tre Divisioni, chiamò a sé anche la Divisione Govone, benché sapesse che la lotta si faceva sempre più accanita a monte Torre e che il generale Cugia si era già impegnato in quell a direzione. E dire che gli sarebbe bastato impegnare qualcuno <lei
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30 squadroni dei quali disponeva, per avere notizie sulla situazione e per liberarsi dai suoi timori!! Assai strano appare poi il fatto che il Della Rocca, pur avendo impegnate, sulla sua sinistra, due Divisioni del suo Corpo d'armata, non abbia creduto suo dovere di recarsi sul posto od almeno di inviarvi ufficiali del suo Stato Maggiore per accertarsi della situazione. Egli giustificò il suo proposito di non muoversi <la Villafranca con la necessità di coprire la ritirata: preoccupazione, questa, che dovette dominare nella sua mente, prima ancora che la battaglia fosse impegnata a fondo , e che gli fece commettere quello che, senza dubbio, si deve considerare il più grave fra i tanti errori della giornata. Ci ripugna il credere che un generale avente il passato del Della Rocca abbia voluto limitarsi alJ'csecuzione letterale degli ordini r.icevuti , per astio verso il La Marmara. E' più probabile, invece , che egli, nell'infausta giornata, non abbia saputo ben discernere quale fosse il suo dovere in quel grave momento e quanto fosse opportuno e necessario di agire decisamente e soprattutto spingere avanti la cavalleria. Non lasciando - a malgrado delle insistenze dei suoi generali comandanti di Divisione - accorrere le sue truppe dove già ferveva la lotta, e persistendo in tale errore per tutta la giornata, sino al punto da ordinare alla Divisione Longoni, <li accorrere, non già a Custoza dove si combatteva, ma a Villafranca <love tutto era tranquillo fin dal mattino, il Della Rocca dimostrò una vera e propria incapacità ad orientarsi sulla vera situazione e ad agire in conseguenza. Egli sapeva, infatti, di aver di fronte soltanto la cavalleria austriaca; e, invece di impiegare quella di cui disponeva (assai superiore, di numero, alla nemica), a contrattaccare vigorosamente, la adoperò a coprire materialmente il terreno davanti a Villafranca. Che dire poi degli ordini dati per la ritirata? Il Della Rocca avrebbe dovuto pensare a proteggere il ripiegamento della 8" e della 9" Divisione scendenti da Custoza e da monte Torre ed a frapporre tra esse e l'imbaldanzito nemico le Divisioni 16" e ancora intatte; ed invece iniziò il ripiegamento della 16" verso Goito, mentre ancora si combatteva a Custoza. Sino all'ultima ora della giornata, la vittoria poteva venire costretta a sorriderci da un efficace intervento del Della Rocca. Se egli avesse avviate le sue Divisioni 7" e 16" su Custoza e su monte Torre, gli Austriaci non avrebbero potuto opporre neppure un uomo al nuovo urto, e la notte li avrebbe visti in marcia verso l'Adige.
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* * * Ben diversa fu , per fortuna nostra, l'azione del generale Pianell. L'i ncarico di osservare Peschiera non gli impedì, infatti, di tenersi informato su quanto accadeva sulla sinistra del Mincio e di intervenire efficacemente e tempestivamente nell 'azione. Per avere un'idea esatta dell'iniziativa del Pianell bisogna ricordare che l'ordine datogli di osservare Peschiera era tassativo e che un combattimento sulla sinistra del Mincio non avrebbe rappresentato un motivo sufficiente a giustificare 1'abbandono della sua particolare missione ; tanto più che, tra gli avvenimenti probabili, vi era anche quello che gli Austriaci sboccassero da Peschiera, sul tergo dell'armata del Mincio. L 'iniziativa del Pianell importava dunque una ben grave responsabilità ; responsabilità che egli seppe assumersi, dando prova di sicuro intùito tattico e di alto sentimento militare. L'i ntervento della 2 a Divisione avrebbe potuto riuscire, è vero, assai più utile, se fosse stato ~pinto più a fondo; ma bisogna tener conto che il Pianell ignorava che la fase decisiva della battaglia si svolgeva verso Custoza e monte Torre e che la guarnigione di Peschiera, avendo già fatta una sortita per la sinistra del fiume, non poteva più compierne un'altra per la destra. Comunque sia, fu appunto la 2 " Divisione che arrestò definitivamente l'avanzata della Divisione austriaca Rupprecht, che, riuscendo a raggiungere Valeggio, avrebbe reso assai precarie le condizioni dell'armata del Mincio ed assai più difficile il nostro np1egamento.
L'azione di comando svolta dagli altri generali - salvo quella del comandante del I Corpo, che appare insufficiente, e quella del comandante la rn Divisione, << meravigliosa per incoscienza » - fu ottima. Peccato che sia mancato tra loro l'accordo, non sufficientemente preparato ed opportunamente guidato dal Comando Supremo, il quale avrebbe dovuto illuminare meglio i generali dipendenti sulla situazione generale, sugli obbiettivi da raggiungere e sugli scopi da conseguire. Anche i generali si esposero coraggiosamente al pericolo, anche più di quello che fosse necessario ed utile alla direzione del com-
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battimento; ma non poterono, con la loro azione particolare, riparare agli errori del Comando Supremo, come tentò di fare specialmente il Govone. Gli ufficiali degli altri gradi dimostrarono le più nobili virtù militari e, come abbiamo già ricordato, non furono pochi quelli che, nei momenti più gravi, seppero dar prova di illuminata iniziativa. Le truppe si batterono bene, e quelle di alcune Divisioni sopportarono eroicamente il digiuno, la fatica e .le gravissime perdite. A conclusione di guanto è stato già detto, ci sembra opportuno di riportare la breve, efficacissima sintesi fatta dal Pallio circa le caratteristiche dell 'azione italiana, prima e durante la giornata di Custoza: « Da parte degli Italiani non vi fu ... nessun piano d'azione (ogni comandante, abbandonato a sé stesso, agì come poté, senza potersi preoccupare di quanto avveniva altrove): quindi una azione slegata in sommo grado, una successione di sforzi , sterili di risultati, perché non coordinati e non appoggiati r; episodi di strenuo valore, anche azioni tattiche in più larga scala ben pensate e ben riuscite, un gran logoramento <li forze e di energie in alcuni reparti; intere Divisioni rimaste con le armi al piede tutta la giornata o quasi. Risultato finale: la sconfitta ! )) , Nel settore di si nistra 1 2.000 Italiani avevano urtato alla spicciolata contro 32.000 Austriaci; nel settore di destra, tra mattina e sera, 24.000 Italiani si erano trovati di fronte a 48 .000 Austriaci; nel pomeriggio la lotta si svolse fra 30. 000 Austriaci e 15.000 Italiani, menlre altri 20. 000 si trovavano immobili a poca distanza f Da parte austriaca, l'unità di comando si rivelò, invece, efficace e costante dal principio alla fine della battaglia ; l'azione dell'arciduca Alberto fu decisiva senza essere inva<lrnk; l'impiego delle riserve opportuno e tempestivo. La battaglia <li Custoza fu anche per gli Austriaci una sorpresa; essi supponevano, infatti , il nostro esercito in marcia dal Mincio al medio Adige ed invece lo incontrarono sul terreno coll inoso tra Sommacampagna e Peschiera, venendo ad urtare, così, non già con tro il fianco sinistro degli Italiani, m a contro le loro teste di colonna. Il concetto dell'azione austriaca ne fu turbato, quantunque, come già si accennò, si sia poi voluto far credere (deducendolo dall'ordine dato al Rupprech t di distruggere i ponti sul Mincio) che l'arciduca Alberto avesse pensalo ad attirarci verso Sommacampagna cd a minacciarci la ritirata puntando su Valeggio.
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Ma il turbamento, derivato dalla sorpresa, fu di breve durata ed è da ritenersi che, non appena notata l'importanza particolare delle posizioni di monte Torre e di Custoza, il Comando austriaco rivolse ripetutamente contro di esse, cercandovi bene a ragione la decisione delJa battaglia, il massimo sforzo, impiegandovi allo scopo le riserve. Se presso l'esercito austriaco prevalsero, il 24 giugno, lo spirito offensivo delle truppe e la perseveranza <lei Capi nel condurle ripetutamente all'attacco, gli Austriaci non seppero - e forse non poterono, per le gravi perdite e per la stanchezza - profittare della vittoria, sfruttando la conseguita occupazione di Custoza e di monte Vento con un vigoroso inseguimento.
* * * Il 25 giugno, dopo la battaglia, circa 90.000 Italian i, superst1t1 dell'armata del Mincio, con 166 cannoni, stavano in posizione difensiva, colla fronte rivolta a nord, l'ala destra fortemente appoggiata al Mincio e ancora in possesso del ponte di Goito, l'ala sinistra nella pianura, il centro avanti, sulle alture di Volta e di Cavr iana. Se fosse st::ita richiamata da Piadena la riserva d'artiglieria, sarebbero stati disponibili in tutto 202 cannoni. Con quelle truppe, con quei mezzi e da quella posizione sarebbe stato ancora passibile di riprendere l'offensiva oltre il Mincio, oppure verso nord, qualora il nemico avesse tentato di penetrare nell a Lombardia dalla linea Peschiera - Valeggio. Gli sbocchi da Mantova sulla destra del Mincio erano guardati da 13 o 14.000 fanti (combattenti), con 24 cannoni, distaccati sotto gli ordini del generale Cosenz (6" Divisione e brigata Ravenna). Le vie di ritirata pel basso Oglio, verso il Po cremonese, erano perfettamente assicurate ( 1 ) . Ciò non ostante, nel Comando Supremo dell 'esercito, « e per i fatti Jel 24, e per quelle prime conseguenze che ne aveva visto in quel giorno e nelJa notte di poi e ne vedeva tuttavia nella giornata del 25 » ( T), prevaleva il consiglio più prudente : quello di un ulteriore ripiegamento. « Che vale il nasconderlo? », scrisse poi in proposito il Petitti al La Marmora il 1 ° agosto r 868. « Per tutto il 24 ed in parte del 25 giugno al Quartier generale e in parecchie truppe la condizione dell'esercito fu creduta molto più grave ... .. » (2). ( r) Cfr. Relazione uflìciale, TI, 6. (2) L UIG I CmALA : Ancora un po' più di luce, ecc.
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Pel deleterio influsso di questa penosa impressione, furono dettati i telegrammi annuncianti l'esito della giornata del 24 al generale Cialdini ed al Ministero della guerra e la lettera a Garibaldi con le disposizioni per il Corpo dei volontari:. Ecco i telegrammi: «
Generale Cialdini; Ferrara
Cerlungo, 2 5 giugno (spedito alle ore 4,30 da Cerlungo; presentato alla stazione di Goito alle ore 16,45; giunto a Ferrara alle 18,40 !). << Austriaci, gettatisi con tutte le forze contro i Corpi Durando e La Rocca, li hanno rovesciati. Non sembra finora che inseguano. Stia quindi all'erta. Stato armata deplorabile; incapace agire per qualche tempo, cinque Divisioni essendo disordinate (T) - A. La Marmora >>. «
Ministero guerra; Firenze
Cerlungo, 25 giugno 1866, ore 5 « Austriaci gettat1s1 1en con tutte le loro forze contro Corpi Durando e La Rocca, verso Valeggio e VilJafranca, li hanno rovesciati. Stanotte tenevamo ancora Valeggio, Pozzolo, Goito; ma stato armata deplorevole, incapace agire per qualche tempo ; cinque Divisioni (Cerale, Rrignone, Sirtori, Govone, Cugia) disordinate; non sembra per ora Austriaci vogliano inseguire. Si dispone per energica difesa Goito, Volta, Cavriana, Solferino. Abbiamo fatto perdite che non si possono finora valutare. Cerale, Durando, Principe Amedeo feriti; Villarey morto. Principe Umberto ha fatto prodigi di valore; sua Divisione, quantunque abbia sofferto assai , è in buon ordine ; Divisioni Pianell , Longon i e Angioletti ancora intatte A . La Marmora )>. Il Capo di Stato Maggiore Generale al comandante dcì Corpo dei volontar1 italiani Cerlungo, 2 5 giugno 1866 << La giornata di ieri (24) fu una giornata campale, con esito infelice per noi. Ad impedire maggiori danni e preparare l'esercito «
( 1) Per errore nella trasm issione delle cifre, la frase « stia quindi all'erta » non era decifrabile nel telegramma r icevuto dal Cialdin i.
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a riprendere nuovamente l'offensiva, è stato riconosciuto necessario di abbandonare la linea del Mincio, per prendere una forte posizione difensiva sulla linea Cremona, Pizzighettone, Piacenza. « Il movimento comincerà questa sera. Se ne d à comunicazione alla S. V. per sua conoscenza e perché, se le è possibile, veda di coprire le principali città che, come la patriottica Brescia, si trovassero espaste al nemico. Del resto a Lei è lasciata la più ampia latitudine di agire, sia di mantenersi nelle posizioni ora occupate, sia di gettarsi sui monti e condurvi operazioni di montagna, con quella maestria che Le è propria. Anche per la flottiglia, V.S. è autorizzata a decidere secondo le circostanze, non dubitando che, se corre pericolo, Ella saprà mantenerla, finché non sia altrimenti possibile. Queste misure difensive, ben inteso, dovranno durare soltanto il tempo che occorrerà all 'esercito per riprendere l'offensiva - A. La lW.armora ». «
Generale Cialdini; Ferrara Ccrlungo, 25 giugno 1866, ore 12 (spedito da Piadena alle ore 17; ricevuto a Ferrara alle 19).
Abbiamo ripassato .il Mincio, siamo in posizione sulla destra. Guardiamo organizzarci alla meglio. Credo converrebbe che aspettasse di un giorno a passare Po, avendo io oggi notizie sicure, che le farò pervenire, del luogo ove è il nemico. Non essendo attaccati, terno che sia andato in gran forze verso di Lei. Se invece vuole ancora darci battaglia, cercherò attirarlo verso Piacenza, per facilitare movimento ed indi io, con otto Divisioni, guarderei da Piacenza andarla a raggiungere; mentre il nemico sarebbe ancora fermo a Piacenza. Che fare? Risposta immedi ata! - Vittorio Emanuele». «
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Al Ministero della guerra; Firenze Dal Quartier generale di Cerlungo, 2 5 giugno 1866, ore 4 pom. (confidenz iale)
« Stante insuccesso giornata ieri, presentando gravi difficoltà eseguire ulteriormente piano strategico adottato per la presente campagna, si è perciò deciso fare movimento addietro; non per eseguire ritirata, ma per adottare altro piano di guerra - A. L a Marmora » .
IX. LE OPERAZIONI DEL IV CORPO D 'ARMATA ITALIANO
Dal mattino del 24 giugno il grosso del IV Corpo d'armata (sette Divisioni) era riunito presso la confluenza del Panaro nel Po, con due Divisioni a monte e cinque a valle. Dimostrazioni erano state fatte, il giorno 24, a Sermide ed a Revere. Nel pomeriggio del 25 i battaglioni bersaglieri delle cinque Divisioni, che stavano a valle della confluenza del Panaro, con le compagnie del genio e nove batterie, dovevano riunirsi presso la sponda del Po a S. Biagio, essere traghettati a sera sull 'a ltra riva e proteggere, quindi, il gittamento di due ponti. Analogamente i bersaglieri ed il genio delle altre due Divisioni dovevano proteggere il gittamento di un ponte a monte di S. Biagio. Il generale Cialdini contava di passare subito il Po e di porre il suo Quartier generale, la sera del 26, in Trecenta. Nella notte dal 26 al 27 egli sperava poi di raggiungere, con due Divisioni ed una brigata di cavalleria, l'Adige e di mandare una Divisione a proteggere il .fianco sinistro del suo Corpo d'armata verso Legnago. Egli disponeva inoltre che, passato il Po, due Divisioni prendessero posizione tra Castel Guglielmo e Runci, pronte a muovere su Rovigo; una Divisione ed una brigata di cavalleria guardassero i passi a sud delle valli grandi veronesi ; una Divisione e la riserva d'artiglieria, in posizione centrale a Trecenta e Bagnolo, rimanessero quale riserva del Corpo d'armata e, finalmente, un 'altra Divisione rimanesse a guardia dei ponti sul Po. Tutte queste forze avrebbero potuto, in caso di bisogno, venir raccolte in qualunque direzione nelle 24 ore. Il 24 giugno a sera tutto era stato già così predisposto, quando cominciarono a giungere al Cialdini le notizie sulla battaglia di Custoza contenute nei telegrammi già riportati. Al primo telegramma del Re sulla giornata del 24, il Cialdini rispose telegraficamente:
LE Ol'ERAZION I DE L
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CORPO
Il.ARMATA ITALIANO
Sono desolato notizia che mi dà V .M. ; generale La Marmara mi aveva promesso ]imitarsi a semplice dimostrazione. V oglio sperare non infausto esito giornata. Io passerò domani come era disposto. Non è possibile cambiare d isposizioni ; sarebbe rovinoso >> . Alle 23,15 il generale Cialdini riceveva un nuovo telegramma, spedito anch 'esso da Vittorio Emanuele II (h. 22,30 del 24 giugno), telegram ma che diceva: « Combattimento finito col giorno. Perdite immense. Molti general i feriti. Nemico ci fece molti prigionieri. Divisione Sirtori, Divisione granatieri, Divisione Cerale, che è ferito, m olto non tennero. Quelle Della Rocca fecero tutte buona resistenza. Dato ordine ripassare Mincio. Guarderò tenere Volta e, riposate truppe, riprendere offensiva; m a mi mancano quelle tre Divisioni, che manderò organi zzare altro luogo. Siamo orribilmente stanchi )) . A <.JUesto telegramma - che non abrogava l'ordine di passare il · Po contenuto nel telegramma precedente - il generale rispondeva immediatam ente : << Risultato battaglia oggi è grave e mi pone in grande perplessità, perché con un passo falso si può compromettere sorte guerra e fors'anche del Paese. Domani risolverò q ualche cosa e ne informerò V.M. >>. Il generale Cialdini passò la notte a F errara, sotto l'impressione dei telegrammi ricevuti dal Re; telegrammi , dopo i quali egli non ricevette altre comunicazioni. E ' facile immaginare quali gravi preoccupazioni tormentassero il generale, che - avendo progettato di eseguire il passaggio del Po durante una d imostrazione effettuata dal La Marmara sul Mincio, allo scopo di attirare da quella parte l'attenzione del nemico - vedeva ora che la dimostrazione si era mutata in una g rande battaglia e che questa aveva avuto esito sfortunato. Tale battaglia avrebbe dovuto, è vero, essere, rispetto ai propositi del Cialdini, assai più efficace di una semplice dimostrazione, poiché tutte le forze dell'arciduca Alberto avevano dovuto volgersi verso il Mincio, consentendo così il passaggio del Po senza contrasto; ma è anche vero che la gravità delle notizie avute, la mancanza di più precise informazioni e l'essersi svolto l'inizio delle operazioni in modo diverso da quello preventivamente concertato col generale La Marmara, dovevano porre il generale Cialdini in una grave perplessità. <<
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LA CIJF.RRA DEL
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ED ALT RI SCRITTI
In tale stato di animo, alle ore r,45 ant. del giorno 25, il C ialdini spedl al generale Franzini, incaricato <li procedere attraverso ]'isola di Ariano, il seguente telegramma: <( Ho dovuto cambiare progetto; ritorni al più presto a Ferrara colJa sua Divisione. Ripieghi ponti alla Mesola e rimandi barche a Comacchio » ( 1); e, nello stesso tempo, così telegrafò anche al ministro della guerra: (( Disastro accaduto sul Mincio cambia molto situazione. Passando domani Po, temo compromettere sorti Italia. V.S. che ne pensa? ». A quest'ultimo telegramma il generale riceveva la seguente risposta, non atta certo a farlo uscire dall'incertezza ed a suggerirgli una pronta decisione: « Recente avviso E.V. che, per nuova situazione, una doppia operazione sul Po e sul Mincio può compromettere Regno Italia, credo necessario continuare dimostrazioni sul Po, ma preparare tutto per un pronto concentramento truppe, o secondo ordini del Re. Oggi, ovvero domani, succeder~ qu:1khc fatto che indicherà partito più opportuno e modo di esecuzione. Prego farm i conoscere determinazioni prese di concerto col Re, e darmi notizie che possa avere>>. In tale penoso stato d'animo, il Cialdini volle riunire, alle ore 14 del 25, a Bondeno, i comandanti di Divisione in un Consiglio di guerra, al quale intervennero soltanto i generali Casanova, Ricotti, Mezzacapo, Chiabrera, Cadorna e Della Chiesa, poiché, data la distanza alla quale si trovavano, non erano potuti intervenire il Medici ed il Franzini. I sei comandanti di Divisione credevano ancora di dover ricevere le ultime disposizioni per il passaggio del Po. Rimasero, per conseguenza, assai sorpresi quando videro arrivare il Cialdini, accompagnato dal generale Piola Case1li, suo capo di Stato Maggiore, e notarono subito che egli appariva in preda a . . . gravi preoccupaz10m. Riuniti nella casa presso la quale era stato posto il Quartier generale della Divisione Ricotti, il comandante del Corpo d'annata comunicò ai suoi dipendenti il telegramma ricevuto dal Re. <( Esso >>, narra il generale Mezzacapo, << accennando ad un grande combatti( 1) Questo tdegramma è ri portato dal Chiala nel libro Ancora un po' più di luce, ecc., a pag. 320. Non se n'è rinvenuto l'origi nale nell"Arch ivio storico dello Stato Maggiore; ma il diario della Divisione Franzini ne conferma l 'esistenza.
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mento avvenuto, a Divisioni scomposte, agli episodi del Principe Amedeo ferito, del Principe Umberto riparatosi nel Quadrato, ed affermando che per <.JUalche tempo non sarebbe stato d a contare sulle forze di quella parte dell'esercito che stava sul Mincio, faceva pensare ch e le forze del IV Corpo d 'armata fossero le sole sulle quali , in quelle condizioni e per qualche tempo almeno, il Paese potesse contare » ( 1 ) . Sebbene nella lettera sopra citata il Mezzacapo, circa trent'anni dopo il fatto, non potesse ricordare il testo preciso del telegramma, è evidente che il dispaccio letto dal Cialdini fosse quello da Cerlungo alle ore 22,30 del 24 giugno, ricevuto a Ferrara alle 23,15, e firmato « Vittorio Emanuele >>; tanto più che il telegramma, spedito dal generale La Marmora soltanto alle ore 4,30 del 25, non giunse, come sappiamo, a Ferrara se non alle ore 18,40. Dopo avere letto il telegramma del Re, il generale Cialdini espose la situazione, non certo lieta, e soggiunse: « Ora , se prima mi ero assunta la responsabilità, credo venuto il momento <li dividerla con loro. Se passo il Po, sono sicuro di non trovare resistenza e<l avere g li appl ausi della stampa; ma a me sta ben più a cuore l'Italia. H o telegrafato a La Marmora, a Petitti, al ministro della guerra: nessuna risposta! Se il nemico, imbaldanzito della vittoria, fa inseguire e tormentare i nostri dalla cavalleria, e col grosso dell'annata, passando da Borgoforte, marcia su Modena e di là fa una punta sulla Capitale, chi difende la famiglia Reale ed il Governo? » (2). Il generale Raffaele Cadorna, che, essendo il più anziano dei comandanti di Divisione, era destinato a succedere al Cialdini in ogni evenienza, prese per il primo la parola (3) e propose che n on si rinunziasse al passaggio del Po ; ma, come egli stesso scrive, e< fin dall'inizio del suo dire, cd appena trasparì che il suo avviso sarebbe stato di passare il Po per rinnovare la battaglia, <l ' un subito il Cial(1) Cfr. lettera in viata dal generale Mezzacapo al generale Corsi nel 1895 (Ufficio storico ùello Stato Maggiore del R. Esercito n. 460). (2) Lettera del generale Chiabrera al generale Corsi. (3) Il generale Carlo Mezzacapo, nella citata lettera al Corsi in data r8 ge nnaio 1895, narra che il generale Chiabrera, come per intuito, disse doversi ugualmente passare il Po; ma fu interrolto da chi gli stava accanto, perché quella proposta, senza corredo ùi rag ioni, si vedeva che partiva " più dal cuore che non dalla mente n. Ma il generale C h iabrera, con lettera scritta aù Acqui, il 5 febbraio 1895, dichiara recisamente di non avere egli « emessa alcuna opinione di passare il Po » .
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I.A GUERRA DEL
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dini troncò la sua parola, col pretesto di aggiungere qualche schiarimento aggravante sulla situazione; ed intanto, non con le parole, ma con lo sguardo e con l'animazione dell'esporre, si appalesava indisposto per la piega che il Cadorna aveva manifestato con la sua parola. Ond'è che, da quel momento, questi dovette considerare quella convocazione di generali fatta per ricevere ordini, non già per esprimere liberamente il loro parere >> (1). Dopo il Cadorna, « vedendo taciturni e come interdetti i convenuti », prese la parola (come egli stesso scrisse) il generale Mczzacapo: « esposi che, da quanto era stato comunicato, sorgevano per noi daù nuovi, dei yuali bisognava tener conto. Avevamo ritenuto d'avere di fronte forze molto deboli ed invece le avevamo viste eseguire un vigoroso movimento offensivo sotto gli ordini dell'arciduca Alberto, figlio di valente generale, il quale aveva manovrato e doveva presumersi che continuasse a manovrar bene. Epperò poteva egli sboccare da Borgoforte e prendere sul fianco ed in coda il IV Corpo d'armata, mentre questo attraversava il Po ; questo essere il peggio r.hc poteva succedere a questo Corpo, sul quale momentaneamente il Paese poneva ogni fiducia. Da questa ipotesi, la meno favorevole di tutte, si doveva concludere essere più opportuno di ogni altro partito di muovere incontro al nemico nel punto in cui esso e noi ci saremmo incontrati a manovra compiuta, e questo punto poteva essere Nonantola. In ogni caso ne sarebbe risultata la congiunzione delle nostre forze a quelle dell'esercito principale sulla destra del Po, cosa che premeva molto nelle condizioni poco liete in cui il telegramma ci annunciava che queste ultime fossero » (2). Quando il generale ebbe finito di parlare, il Cialdini, visto che nessun altro prendeva la parola contro l'idea espressa dal Mezzacapo, soggiunse: « E' questa appunto la mia idea » ('3). Gli altri generali interpellati furono d'avviso che, qualora fossero state confermate le prime notizie avute sulla disfatta toccata il giorno innanzi all'armata del Mincio, sarebbe stato un grave errore l'eseguire, in quel momento, il progettato passaggio del Po.
( 1) L ettera <lei generale Cadorna al generale Corsi. (2) Non è raro il caso che al nemico vittorioso siano attribuiti progetti inverosimili. Così il generale Gneisenau, dopo la battaglia <li Ligny (16 g iug no 1815), aveva creduto che Napoleone avrebbe puntato su Lieg i per passare la Musa ed andare ad attaccare i Russi sul fianco destro, minacciando così anche g li Austriaci (Pou10: Waterloo, 284). (~) Lettera del generale Mezzacapo al generale Corsi.
LF. OPE RAZ ION I
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IV
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I T AL IANO
Per conseguenza, il generale Cialdini decise di far continuare i preparativi già ordinati per eseguire il passaggio del fiume n ella notte d al 25 al 26, ri servandosi di mandare ordini in contrario dopo avere ricevuto le ulteriori informazioni già richieste, sulla battaglia di Custoza, al generale La Marmara (1 ).
* * * Ricevu te le informazion i attese coi telegrammi del La Marmora e del Re già riportati, il Cialdini si decise ad ordinare la ritirata ; decisione, questa, che faceva svanire anche l' ultima speran za di una n ostr a immediata rivincita. Non si comprende, a dire il vero, come il Cialdini potesse ritenere possibile che l'arciduca Alberto potesse passare il Po a Borgoforte per tagliare ogni via di ritirata al IV Corpo d 'armata. Tale ipotesi - dice il « Complemento alla storia dell a Campag na del 1866 in Italia» - doveva apparirgli infondata, poiché il comandante del IV Corpo aveva avuto. prima ancora che cominciassero le ostilità, noti zie precise sulle forze del nemico, e - qualora egli avesse tenuto conto delle perdite da esso subìte in una grande giornata campale e dei distaccamenti che l'arciduca avrebbe dovuto pur lasciare contro l'armata del Mincio - avrebbe potuto facilmente ritenere che, nella peggiore ipotesi, l'arciduca Alberto avrebbe potuto opporgli forze eguali e non già superiori ; tanto più che le notizie da lui ricevute, fìno al momento in cui decise di rinunziare al passaggio del Po, davano per disordinate soltanto tre nostre Divisioni dell'armata del Mincio. La Relazione ufficiale austriaca - ricorda il (< Complemento » già p iù volte citato - , esaminando la situazione dell 'armata dell'arciduca Alberto dopo la battaglia d i Custoza e q uella delle forze italiane sul Mincio e sul basso Po, ammette che il miglior partito , al quale l'arciduca avrebbe potuto attenersi, sarebbe stato quello d i portare rapidamente l'armata imperiale sull'Adige o sul basso Po e piombare sulle truppe del C ialdini , qualora questi, invece di raggiungere l'armata del Re, avesse continuato le sue operazioni per penetrare nella Venezia. Q uesto disegno, che - secondo la Relazion e - « non avrebbe esposto, in caso di insuccesso, ad alcun pericolo le forze austriache ))' doveva venire effettuato nel modo seguen te : (1) Lettera del generale R icotti al generale Cors i.
LA GU ERRA DE L
1866
ED ALTRI SCRITTI
« Le truppe imperiali, formate su più colonne, il 26 giugno mattina avrebbero dovuto marciare verso l'Adige, per trovarsi il giorno 28 a Trecenta, concentrate sulla riva m eridionale <lel Canal Bianco. Un reggimento di fanteria e qualche squadrone di cavalleria sarebbero stati lanciati lungo il Mincio, per continuare a guardare l'annata del Re in ritirata verso l'Oglio » . Secondo la Relazione austriaca, gli ordini d ati in questo senso dall'arciduca il mattino del 25 vennero revocati alla sera, perché notizie giunte al Quartier generale austri aco, nel pomeriggio d el 25, annunziarono la ritirata generale delle truppe italiane anche dalle sponde del Po. Per conseguenza - poiché il concetto austriaco veniva reso impossibile dalla m ossa del Cialdini - l'arciduca Alberto decise di raccogliere le sue truppe sulle coll.ine a nord di Villafranca e di riposare. Del resto, la rete stradale, fra il Po e l'Adige, non avrebbe permesso di raggiungere Trecenta, se non formando dell'armata austriaca due sole colonne o, a.l massimo, tre (valendosi della ferrovia Isola - Badi;, come strad;1 ordinaria), le quali si sarehhero presentate sulla fronte Massa Superiore - Badia Polesine, contro le forze riunite del Cialdini , in difficili condizioni di spiegamento e di collegamento, perché separale dalle Valli grandi veronesi. N é p uò credersi che un movimento d egli Austriaci verso Trecenta non esponesse le forze ad alcun pericolo, perché, in caso di rotta, la testa di pon te d i Legnago non sarebbe stata sufficiente a far passare, in una giornata, l'intera annata austriaca del sud sulla sinistra d e!1' Adige.
* * * Alla sera del 25 giugno, alle ore 18,30, quando il Cialdini aveva g1a presa, come sappiamo, la decisione ed emanati gli ordini per la ritirata, riceveva qtlcst'altro telegramma che, per essere alquanto in contraddizione coi preceden ti, non poteva non aumentare le incertezze del generale : « Non abbiamo nemico in presen za ; temo che ahbia aumentato le sue forze verso di Lei, ma non posso dirlo in maniera certa. Mi dica cosa Ella fa, se si sente di resistere qualche giorno nella posizione che prenderà, passato il Po. « Guarderò di essere al più presto da Lei ; ma mi ci vuole sette od otto giorni; qui posizione non è tenibile, cd avanzando anche bisognerà lasciare troppe forze per d ifenderci d ai due lati. Mi risponda a Pi adena - Vittorio Emanuele » .
1.F,
LA RITIRATA DEL
OPF.RAZ IONJ
IV
DE L
IV
CoRPO DAL
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Po
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ITALIANO
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EMILIA.
Frattanto al Quartier generale di Ccrlungo, mentre si diramavano gli ordini fin qui esposti (ordini suggeriti dal prevalente consiglio dei più prudenti), giungeva, alle ore 13 del giorno 25, il generale Govone. Questi riuscì per un momento a far prevalere l'idea di sospendere la ritirata dal Mincio; ma, alla sera, mentre egli ritornava alla sua Divisione lieto del risultato ottenuto, giungeva la risposta del Cialdini ai telegrammi speditig li durante la giornata, risposta formulata come segue ed indirizzata al Re: (( Dopo disastro ieri e ritirata oltre Mincio, sarebbe follìa pensare passaggio Po. Ciò comprometterebbe sorti Paese, Dinastia. Dati ordini per concentrarmi verso Bologna. Domani Le spedirò lettera con aiutante di campo». Questo telegramma finì per far prevalere nuovamente il consiglio più prudente, benché il riordinamento dell'armata del Mincio procedesse assai bene. Pure avendo decisa la ritirata al Chiese ed all 'Oglio, il nostro Comando Supremo riteneva però necessario che il Cialdini non abbandonasse le sponde del Po, ed alle ore 18,30 del giorno 25 il La Marmora così telegrafava al Comando de.I lV Corpo: << Re ha ricevuto vostro telegramma. Capisco che, dopo giornata 24, rinunciate vostro progetto su Rovigo. M a vi prego cal damente non abbandonare Po, anzi continuare dimostrazioni per passar lo, onde noi possiamo prendere migliore posizione JJ . Ed alle ore 8 telegrafava ancora: <( Nostro progetto lenta ritirata su Cremona , facendo passaggio Po per unirci a lei , quando movimento sia pronunciato, prego avanzare in modo da darci la mano, ed impedire che nemico disturbi sboccando dai Distretti ». Ma, ciò non ostante, il generale Cialdini rimase irremovibile nella determinazione di ritirarsi, non ritenendosi neppure obbligato ad ubbidire agli ordini che gli giungevano dal gran Quartier generale, data la libertà <l'azione che gl i era stata concessa con la lettera in data 21 giugno 1866, già da noi riportata. Per conseguenza, egli rispose al La Marmora: << 26, ore 15,30. Dopo giornata 24 e vostra ritirata, giudico pericolosa mia permanenza sul Po. Domani a mezzogiorno quattro mie Divisioni saranno presso Modena, tra Non antola e Bastiglia, con brigata di cavalleria a Mirandola e cordone vedette da Borgoforte
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F.r> ALT RI SCRITTI
all'Isola di Ariano, per sorvegliare il Po. Il 29 tutto il lV Corpo sarà concentrato fra Modena, Rubiera e I3astiglia, meno Divisione Franzini che sarà I3ologna. In simile posizione osservo sbocchi Distretti e Pontelagoscuro e proteggo vostra ritirata senza abbandonare Bologna e Firenze ». Il La Marmora, ricevuto questo telegranuna, rassegnò le proprie dimissioni. Così, dopo tante incertezze, il ripiegamento del Cialdini fece sfuggire del tutto all'armata del Mincio la possibilità di una pronta rivincita; benché alla ritirata di entrambe le armate fosse stato, bene a ragione, contraria la volontà del Re, il quale dovette rassegnarsi alle decisioni dei suoi generali per rispetto ai vincoli costituzionali (1). Mentre gli Austriaci restavano immobili ed i nostri Corpi che più avevano sofferto nella giornata del 24 si rimettevano prontamente, e già apparivano a tutti assai meno gravi le conseguenze della battaglia di Custoza (non ostante le penose ansietà che commuovevano il cuore della Nazione all'annunzio della ritirata dell'esercito), il Comando Supremo italiano venne, il giorno 27, nella determinazione di fermare l'armata del Mincio sulla linea del]'Oglio: non ottima per sé stessa ; ma, nelle condizioni di allora, con Joo.ooo uomini raccolti a massa, coll'appoggio di Cremona e colla vicinanza del IV Corpo, non del tutto cattiva.
(I) In proposito in <lata <lei 13 lug lio, il generale Genova di Revel scriveva al fratello: " Cosa inaudita, furono i nostri capi che ci hanno proclamat i vinti il 24. Fu da essi che gli Austriaci, i quali si preparavano alla ritirata, seppero di doversi considerare come v incitori, senza aver nemmeno visto le divisioni che stavano nei corpi d'armata di Cucchiari e Della Rocca! Quando il 26 andai per una comm issione <lei princi pe Umberto dal Re, egli mi fece entrare. Era con La Marmora. « Il Re mi disse: Prepariamo una ritirata ben ordinata. U na ritirata, diss' io, m a perché? Maestà, abbiamo tante forze ancora, e gli Austriaci non osano inseguirci! Ma! disse il Re facendomi segno coll'occhio che era La Marmora a volerlo. << Escii con La Marmora e questi mi disse che voleva rassegnare la carica non più tenibile di Capo di Stato Maggiore dell' Esercito! << Pensare che una settimana dopo succedeva Sadowa! << Se ci fossimo fermati al Mincio! Basta, a g iudicare dalla mia divisione, il mio parere sarebbe di non dare per ora ricompensa alcuna, <1ualunque fatto succeda ; si vedrà tutto quello che faranno in ogni occasione le nostre truppe per ottenerne l> .
LE OPERAZIONI .llf.L
IV
CORPO
o ' ARMAT A
ITALIANO
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In quanto al IV Corpo d 'armata, esso aveva assunto, dal 29 giugno al 2 luglio, la seguente dislocazione : Quartier generale del Corpo d'armata: a Modena. 14" Divisione (Chiabrera): a Bastiglia. 15" D ivisione (Medici): a Sorbara. r3" Divisione (Mezzacapo): a Modena. r8" Divisione (Della Chiesa): a Modena. 12" Divisione (Ricotti): a Castelfranco. II" Divisione (Casanova): a Rubiera. 17' Divisione (Cadorna): a Rubiera. 20" Divisione (Franzini): a Bologna.
* * * Il giorno 29 giugno, in un Consiglio di guerra, che venne tenuto a Parma ed al quale partecipò anche il Cialdini , viste le migliorate condizioni dell 'esercito e le impazienze dell a Nazione, che non sapeva rassegnarsi all'imme ritata sconfitta, vennt: con crdalo un nuovo
pi ano offensivo, secondo il quale il Cialdini doveva ritornare sul Po, ad in vestire Borgoforte e a ritentare il passaggio del fiume ; mentre. il La Marmara, appoggiato all'Oglio, avrebbe impegnato il nemico, per muovere poi, quando il Po fosse stato passato, a congiungersi con l'armata del Cialdini. Ma, quando queste operazioni cominciavano ad avere m1z10, giunse al Comando italiano un telegramma di Napoleone III, che annunciava che l'Austria, per suo mezzo, cedeva il Veneto. L 'arciduca Alberto, chiamato in Austria per salvare l'Tmpero minacciato al cuore dalle vittorie prussiàne, lasciato un sol Corpo d'armata in Italia, si affrettava ad accorrere con tutte le altre forze sul Danubio e, quando l'esercito italiano, il giorno 8 luglio, passò il Po, g li Austriaci, per le fe rrovie del T irolo e del Friuli, erano già in movimento verso la loro capitale. All 'esercito italiano sfuggiva così l'onore della rivincita. Dopo la proposta di Napoleone III, il Comando italiano ebbe un momento di incertezza circa l'opportunità o meno di proseguire le operazioni; ma il giorno 12 il Ricasoli, presidente dei ministri , insistette telegraficamente per la ripresa energica deJla guerra. L'esercito fu organizzato su due armate: una di osservazione, costituita d a due Corpi d 'armata (Il e III) formati da tre Divisioni <li fanteria e da una Divisione di cavalleria ciascuno e posti al comando del Re, con a capo di Stato Maggiore il L a Marmara, con
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U.S.
LA GUERRA Ilei.
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E C A LTRI SCRITTI
il compito di concorrere all'occupazione del Veneto e di assicurare le retrovie dell'armata principale. Questa, costituita da 4 Corpi d'armata (I, IV, V e VI) di 3 Divisioni di fanteria e di r brigata di cavalleria ciascuno, e da un altro Corpo d'armata (VIII) costituito con 2 Divisioni di fanteria e con 2 brigate di cavalleria (forza complessiva: 150.000 uomini), fu messa agli ordini del Cialdini, col còmpito di « marciare a grandi giornate verso l'Isonzo, cacciarne gli Austriaci, appoggiarsi a Trieste, e, se il caso lo avesse richiesto, passare le Alpi e marciare su Vienna » ( 1 ) . 11 giorno r9 luglio, a Padova, il Cialdini inviava in Val Sugana la Divisione Medici del VI Corpo per compiervi, in armonia alle azioni di Garibaldi in Val Chiese, operazioni tendenti alla conquista del Trentino, e spingeva verso il Friuli tutto il V Corpo (Cadorna), che faceva subito seguire dal grosso dell'esercito. Ma, giunto con questo ad Udine il 26 luglio, il Cialdini apprese la nuova della tregua d'armi conclusa, la sera del 24, dal Governo italiano col Comando austriaco. La tregua, della durata di otto giorni , cominciava la mattina del 25 ed obbligava tutte le truppe ad arrestarsi su i punti estremi raggiunti dalle teste di colonna nella loro avanzata, in attesa dell 'esito delle trattative dell'armistizio, che si sarebbero svolte nel frattempo. Questa decisione era stata presa dal Governo italiano in seguito alla notizia della tregua già conclusa dalla Prussia con l'Austria senza darne preventiva comunicazione all'Italia, ad essa legata da un trattato di alleanza. Durante la tregua, il Bismarck, che aveva ormai conseguito tutti gli scopi della guerra, il 26 luglio concludeva a Nikolsburg un armistizio con l'Austria, che garantiva a questa l'integrità territoriale, eccettuata la Venezia. L'armistizio venne concluso senza la partecipazione ed il consenso dell'Italia, poiché il Bisqiarck ritenne che il . consenso deJI 'Italia non potesse essere negato giacché si verificava la condizione fissata nell'articolo 4 del Trattato dell'8 aprile: cioè l'Italia acquistava il Veneto. LE OPERAZIONI DI GARIBALDI NEL, TRENTINO.
Il generale Garibaldi, partito con i suoi volontari il 20 giugno da Brescia per Salò ed Anfo, il 24 occupava il ponte sul Caffaro e la posizione di monte Suello. (1) Cfr. Complemento alla st oria della cam pagna del 1866 ficio storico del Corpo di Stato Maggiore.
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Italia, Uf-
- ~ ITALIANI
m ....... AtJJTff/ACI Le operazioni degli Italiani dopo Custoza.
LA C. UERR/\ DE L
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ED ALTRI SCRITTI
Ricevuta il 24 la notizia della sconfitta di Custoza e l'avviso della ritirata dell'esercito su Cremona e Piacenza, Garibaldi radunò le proprie truppe fra Lonato e Esenta. Il giorno 30, ricevuti altri tre reggimenti di volontad, lasciò questi a proteggergli le comunicazioni e col grosso ritornò sulle posizioni del Caffaro per riprendere le operazioni interrotte. Contemporaneamente inviò 4 battaglioni in Val Camonica, per occupare il passo del Tonale. Il Kuhn, avute assicurate, dall a vittoria di Custoza, le sue comunicazioni, il 2 luglio mosse alla controffensiva su Rocca d' Anfo ed in Val Camonica. Il 3 si combatté a monte Suello, dove il successo toccò ai garibaldini; il 4 a Vezza d'Oglio, dove gli Austriaci riuscirono a respingere i volontar1 su Edolo. Il successo di monte Suello ed il mancato aggiramento per la Val Camonica da parte deg li Austriaci, dopo il successo di Vezza, nonché l'arrivo di altri reggimenti volontad, spinsero Garibaldi a riprendere l'offensiva. Dopo alcune azioni a Lodrone, alla sera del 13, Garibaldi giunse a Storo con 18.000 uomini cd occupò Condi no sul Chiese cd Ampola in Val di Ledro. Il giorno 16 gli Austri aci attaccarono Condino. Il combattimento ebbe esito incerto ; ma gli imperiali si ritirarono ed i garibaldin i rioccuparono le loro posizioni ed iniziarono l'investimento del forte d'Ampola, che il giorno 10 cadde in loro potere. Preoccupato dall'avanzata della Divisione Medici in Val Sugana, il Kuhn decise di risolvere la partita con i garibaldini ed il giorno 21 mosse su due colonne, una di 6.000 uomini e l'altra di 4.500, contro le loro posizioni. Le truppe garibaldine di Bezzecca cedettero ; ma tennero ferm o quelle di Condino. Allora Garibaldi , spostate le proprie riserve in Val di Ledro, impegnò intorno all'abitato di Bezzecca un accanito combattimento durato tutta la giornata e finito con la riconquista dell 'abitato da parte degli Italiani. La Divisione Medici intanto, respinti gli imperiali a Primolano, procedeva su Borgo e Levico, ove, battute le truppe inviatevi da Verona, prendeva posizione. Il 24 luglio occupava Pergine, sgombrata dagli Austriaci. Nello stesso giorno la Divisione Cosenz, inviata di rincalzo, g iungeva a Borgo ed i garibaldini a Riva. Su queste posizioni le truppe volontarie ven nero sorprese dalla tregua del 24 luglio.
X. LA GUERRA SUL MARE
Per quanto si riferisce al rapporto delle forze fra le due marine da guerra contrapposte, si potrebbe ripetere quanto già si è detto a proposito delle forze terrestri. Anche per la flotta l'Italia era, infatti, in condizioni di riportare facilmente la vittoria; e l'avrebbe senza dubbio conseguita, se anche a Lissa non fossero intervenute, in favore del nemico, quelle stesse circostanze che dovevano determinare il nostro insuccesso di Custoza. Infatti, subito dopo la proclamazione del Regno d'Italia, dal r86T ;il 1866, la marina da guerra era stata oggetto di proposte e <li snidi anche da parte del Parlamento ; ed i ministri che successivamente avevano retto il Dicastero della marina - quali il Cavour, il Menabrea, il Persano, il Cugia e l' Angioletti - avevano cercato di provvedere all'incremento della nostra flotta per quanto era possibile, date le esigenze inesorabili del Bilancio. Al principio del 1866, per le solite ragioni di economia, ave-· vamo però in armamento soltanto un terzo del naviglio combat-· tente, e, non appena la guerra sembrò finalmente sicura, si dovettero prendere i provvedimenti per armare al più presto le navi in disan~o, in modo da poter disporre, nei primi giorni del mese di maggio: - delle fregate corazzate Re d'Italia, M aria Pia, S. Martino, Principe di Carignano; delle corvette corazzate Terribile e Formidabile; della cannoniera Palestro ; del vascello Re Galantuomo; - delle fregate ad elica Principe Umberto e Gaeta; - del1e corvette ad elica Vinzaglio e Confienza; - degli avvisi a ruote Messaggero ed Esploratore. In complesso si trattava di 14 navi - alle quali ben presto se ne aggiunsero molte altre - che rappresentavano una forza navale sicuramente superiore a quella nemica, per quanto le unità fossero
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ED ALTRI SCRITTI
assai diverse, sia per la diversa provenienza (flotte militari sarda, napoletana e toscana), sia per la scarsa omogeneità delle loro caratteristiche (velocità, autonomia, armamento offensivo e difensivo). Ad aumentare quanto più fosse possibile l'efficienza delle nostre forze navali, altri provvedimenti venivano, nell'imminenza del conflitto, reputati necessart, poiché gli armamenti straordinad del!' Austria facevano ritenere già « venuto il momento di dare ai nostri armamenti navali quell 'estensione ragguardevole che era ormai possibile » ( r ). Col R. Decreto del 3 maggio, tutte le navi disponibili vennero chiamate a costituire I' « armata di operazione)), che fu divisa in tre squadre: « da battaglia » (fregate corazzate), « sussidiaria » (fregate e corvette ad elica), e « da assedio >> (legni corazzati minori e n avi meno veloci) (2). Alla stessa data del 3 maggio, il ministro, generale Angioletti preannunziava all'ammiraglio conte Carlo Pcllion di Persano la nomina a comandante in capo della flotta e, con altra lettera del 7 maggio, lo stesso ministro invitava il Persano ad assumere il comando a Taranto, dove l'ammiraglio giunse il 16 maggio. Quando il Persano ne assunse il comando, la flotta « appariva ancora come un'armata improvvisata poiché l'armamento si era fatto in breve tempo e l'istruzione non era giunta a quel grado di perfezionamento che si poteva desiderare i> (3). A Taranto le navi « avevano fatto grandi esercizi d 'artiglieria, ma non avevano eseguito evoluzioni >J (3) come sarebbe stato necessario, non essendo stati i
( r) Cfr. Relazione del ministro generale Angioletti a S.M. il Re, in data del 3 maggio 1866. (2) La squadra da battaglia venne composta con le fregale corazzate Re d'Italia, Re di Portogallo, M aria Pia, San Martino, Castt:lfidardo, Ancona e con l'avviso a ruote Messaggero. La squadra sussidiaria, posta al comando del vice - ammiraglio conte Albini, venne formata con le fregate ad elica Maria Adelaide, Duca di Genova, Principe Umberto , Vittorio Emanuele, Carlo Alberto, Gaeta, Garibaldi, con le corvette ad elica Principessa Clotilde, San Giovanni, Etna e con la corvetta a ruote Guiscardo. La squadra da assedio fu cosLit uita come segue : fregata corazzata I'rinpice di Carignano, ariete corazzato Affondatore, corvette corazzate T erribile e Form idabile, cannoniere corazzate Palestro e Varese e avviso a ruote Esploratore. (:ù D eposizione del contrammi raglio Vacca dinanzi all'alta Corte di g iustizia.
I.A GUER RA SUL MARE
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comandanti sufficientemente esercitati a manovrare con le navi riunite ( T) . (1) Notizie più dettagliate circa le condizioni della flotta si potranno trovare nella lettera del ministro Angioletti all'ammiraglio Persano, in data del 7 maggio, che riportiamo integralmente: (< Nel momento che !'E.V. si accinge a partire per prendere possesso dell ' importante comando che le è stato affidato dal governo del Re, credo conveniente precisarle lo stato attuale delle cose politico - militari, per norma della sua condotta. << Il governo di S.M. t stato obbligato ai poderosi armamenti ordinati m questi ultimi giorni dall'attitudine minacciosa che l'Austria ha assunto ai nostri confini e di fronte alle nostre coste. <( L'esercito nostro si va riunendo e mobilizzando sul Mincio e sul Po, diviso in quattro corpi con sede a Bologna, Piacenza, Cremona e Lodi. Esso ha di fronte l'esercito austriaco appoggiato sul quadrilatero. « L 'Austria ha di più raccolti 14 mila uomini a Pola ed altrettanti a Trieste, più un corpo di .)5 mila uomini scaglionali tra Nahresina ed Udine; la sua marina è in completo armamento nel porto di Pola; su di essa si attendono a giorn i precise informazioni. Le si acchiudc lo stato del suo naviglio. « Da parte nostra, alle informazioni già date all 'E.V. debbo aggiungere che l'arsenale di Ancona è stato fornito di tutti i materiali e le macchine necessarie a provvedere e riparare una flotta. Nel suo porto e nella sua rada sono stati disposti parecchi corpi morti per ormeggio delle navi da guerra. Vi è un deposito di 27 mila tonnellate di carbone e di . . . razioni di viver i. « Il porto è stato chiuso da una catena che solo durante il giorno lascia libera una piccola entrata. Ordini furono dati per corroborare la difesa del porto con mine sottomarine. Ad Ancona non mancano mezzi d 'imbarco e sbarco, sandali, pontoni e 4 barche - cisterne, delle quali una a vapore. « Dopo di Ancona, il secondo porto in Adriatico, sul quale possono fare assegnamento le nostre forze navali, è Manfredonia ; ma il sottoscritto, considerando la superiorità della nostra marina sull'austriaca e quindi la quasi certezza che in caso di guerra non è della parte difensiva che grandemente ci dovremo preoccupare sulle coste meridionali del Regno, e considerando che, essendo Manfredonia una rada aperta, il nemico 11011 vi si potrebbe validamente stabilire, ha riguardato questo punto come solo luogo di ricovero, lasciandovi un deposito di 5 mila tonnellate di carbone, con una barcaccia di ferro nuova per l'imbarco di esso e viveri. « Terzo punto strategico per la marina in Adriatico è fuor di dubbio Brindisi; e lo scrivente ha raccomandato al suo collega della guerra di fare qualche piccola opera di fortificazione che bastasse a difenderlo da un colpo di mano nemico. << Però questo Ministero non ha potulo fare di Brindisi il secondo punto di approvvigionamento della flotta, per non esservi acqua sufficiente per grosse fregate. Nel porto interno di Brindisi non possono entrare per ora bastimenti che hanno più di m 4,50 di tirante d 'acqua, e per entrare nella rada ove sono 9 a 10 metri di acqua, non vi è che un canale, la cui profondità massima è di 8 a 9 metri. Mentre si spingono i cavamcnti con alacrità, il
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El) ALTRI SCRITTI
Secondo le concordi affermazioni di molti scrittori e uo,mnt politici del tempo, le condizioni morali <lei << quadri » e dei vad Ministero dei lavori pubblici ha promesso d i far marcare con gavitelli il detto canale. A Brindisi vi sono due barche in ferro della marina ed un deposito <li 5.200 tonnellate di carbone. « Avendo dovuto abbandonare Brindisi come luogo di rifornimento, tanto per la sicurezza dell 'ancoraggio quanto per la sua vicinanza e posiz ione strategica, il sottoscritto si è deciso di stabilire in T aranto il secondo luogo dell'approvvigionamento della flotta. << A Taranto si è disposto per stabilire un 'officina cli ripara zione, un magazzino di materiali diversi, un deposito di carbon fossi le e di viveri ... razioni. Oggi vi sono 3.200 tonnellate di carbone. Altre 1 .ooo si è ordinato che vi siano portate subito eia Messi na e 2.500 vi saranno trasportate dall' Inghilterra, i di cui primi carichi sono in viaggio. A Taranto vi è un bastimento <li guardia (Eridano), il cui comandante, il luogotenente di vascello Caramagna, comanda il deposito, coadiuvato da un ingeg nere, un m acchinista, un sottoccmmissario ed un aiutante contabile. •< Ordini furono dati perch é Na poli vi spedisca una barca a vapore per servizio della rada. Preghiere furono date alla Cuerra per armarvi qualche batteria di di fesa. « Oltre di ciò, ammiraglio, noi abbiamo un deposito di carbone in Bari di ton nellate 2.000, uno in Messi na di to nnellate 10.000, e, oltre i depositi d i Napoli e Genova ed altri secondari, una riserva al Varignano, di 15.000 tonn .. << U n servi zio di scoperta e vigilanza sulle nostre coste si sta orga nizza nd o per mezzo di semafori a bandie ra . Le si acchiude la nota dei punti ove essi saranno stabiliti . « Capo di un tale servizio è l'ispettore dei telegrafi cav. Pellegrini. Si stan no raccogliendo parecchi documenti degli studi fatti fino ra nella mira della eve ntualità di una g uerra in Adriatico; essi saranno trasmessi, appena possibile, all' E.V. « 11 suo capo di stato maggiore, comandante d' Amico, per la posiz ion e che ha finora occupat a presso questo Ministero, trovasi in caso di fornirle maggiori particolari sulle nostre risorse. Quello d i cui dolorosamente difettiamo, ammiraglio, è <li bacini di carenaggio. L 'E.V. può fare asseg namento : 1) sul bacino di Genova per qualunque nave, esclusi solo il Re d'Italia e il Re di Portogallo; 2) sul bac ino di Napoli per qualunque nave, escluse le fregate corazzate, la Maria Adelaide, l'Umberto ed il Duca di Genova; 3) sopra di uno scalo di alaggio alla Spezia per navi inferiori a 3.000 tonnellate; 4) sopra uno scalo di alaggio a Genova, u n altro a Palermo p er piccoli bastimenti di grandezza non superiore al Tanaro. « Inoltre si lavora alacrem e nte ai hacini di carenaggio di Livorno, Messina e Spezia ; ma non prima di novembre potremo avere il prim o. Altri due scali di alaggio, uno alla Spezia e l'altro a Livorno, potranno essere pronti alla lìne dell'anno. •< L 'E.V. comprende bene che, stando le cose politiche nella posiz ione accennata, le ostilità potrebbero da parte dell 'Austria essere aperte di sorpresa mentre noi non vogliamo in m odo alcu no prendere l 'offensiva.
LA GUERRA SUL MARE
equipaggi erano buonissime, mentre non si può dire che la scelta del comandante avesse risposto in modo perfetto ai voti della marina, e, in genere, dell'opinione pubblica (1). Il Persano (2), che avrebbe desiderato di avere il contrammi~ raglio Anguissola, ebbe, invece, quale capo di Stato Maggiore, il
« Sarà hene nota re all'E.V. che il governo del Re si trova nel momento attuale, meno che con l'Austria, in buoni rapporti con tutte le potenze d'Europa, e specialmente con la Prussia e con la Francia. cc L 'E.V., appena in Taranto, si com piacer~ informare lo scrivente Ministero, col tdegrafo, del suo avviso sulla convenienza di rafforzare la stazione di Ancona, cosa che era nell 'idea del sottoscriLLo, face ndovi stabilire la terza squadra dell'armata ; ma che non ha effettuato per non dividere le forze. L "E.V. si compiacerà pure informare il Ministero se crede che la squadra del vice - ammiraglio Albini si debba riunire in Taranto o altrove. « Ammiraglio, a mc non resta che augurarle felice viaggio, e, all 'occasione, completa vittoria J,. (1) li Persano, non ostante fosse gi:ì staLo ministro della marina cd a malg rado dclresaltazione ch e era stata fa tta del valore da lui dimostrato nell'espug nare Ancona, aveva fasciato più volte dubbiosa l'opi nione pubblica. Alcun i g li rimproveravano la poca compelenza dimosLrata per l'investimento colla Governolo ed un tenore di viLa non sempre esemplare; ma è certo ch e, nel 1866, gli venne affidato il comando: sia per il grado che rivestiva, sia per le inframmettenze politiche, sia, infine, per la convinzione di non avere disponibile un amm iraglio migliore. Q uanto apparisse difficile trovare un u omo ch e assumesse la responsabilità di comandare la flotta, viene dimostrato, del resto, dalle d ifficoltà incontrate nel trovare, nell'imminenza della guerra, un nuovo minislro della marina, che succedesse al generale Angioletti, costretto a ritornare nelle file dell'esercito. Soltanto il 20 g iugno venne nominato ministro della marina il Depretis. (2) Il Petrucelli della Gattina scrisse dell 'ammiraglio Persano: (< L 'Ammi raglio è un uomo di 60 an ni, biondo, il tipo britannico congiunto alla vivacità francese. Lo vidi minisLro della marina alla Cam era, imbarazzatissimo della sua parte, segnatamente quando gli toccava di parlare. Q ui però, sul ponte di una ammiraglia, circondato di ca n noni, egl i si trnv;i meglio al suo posto, sa il nome. d i tutte le cose, conosce la voce di tutti gli element i, il sig nificato di ciascun segnale e nulla lo turba. Lo stesso uomo che una frase, un sogghigno, una interru zione balzava d 'a rcioni, resta impassibile davanti alla tempesta, le palle e le bombe. Persano fece la sua carriera nella m arina sarda. La sua azione principale è stata la presa di Ancona nel 1860; le altre imprese sono secondarie » . Ma il Randaccio, di opinione affatto diversa, scrisse, a proposito della nomina del Persa no: ,, Re, mi11is1 ri, senatori, depulali, nessuno, dei fatti del Persan o, sap-1:va quello che tu tta la marina sapeva, ch e molti cittadini sapevano o almeno sospettavano. Quando fu nota a Genova la nomina di lui, si alzò un grido genera le di dolente meravig lia ; ma il Governo non l'udì ! )).
LA GUERRA OF.I.
1866
ED ALTR I SCRITTI
capitano di vascello d'Amico, giovane di 36 anni, che - secondo il Guerrini - era ricco di intelligenza, provveduto di una buona cultura tecnica, tenace al lavoro, ostinato nel carattere; ma che non navigava da circa 6 anni, per i numerosi incarichi avuti. Giunto a Taranto, l'ammiraglio rivolse, il 16 maggio, all'armata un proclama, nel quale raccomandava ad ognuno di « porre nella parte che gli competeva il maggior impegno, la massima sollecitudine, la più assoluta abnegazione ed il miglior buon volere a conseguire l'istruzione militare in tutta la sua pienezza» ed affermava la sua speranza di « corrispondere degnamente » alla fiducia in lui riposta, soggiungendo (( se penso l'eletta gente che mi è dato di comandare, alla santa causa che siamo chiamati a propugnare, ai sentimenti che formano l'aspirazione di ogni cuore italiano, oso, senza tèma d'incorrere in spavalderia, volgere la speranza in certezza. Iddio mi sostenga nel vaticinio come sono sicuro che niuno di noi fallirà nel nobile intento!>>.
* * * Le forze navali delle quali potevamo complessivamente disporre all'inizio delle ostilità risultano dallo specchio seguente: NAVIGLIO DA GuERRA DELLA MARINA ITALIANA
IL 20 GI UGNO
1866 Uislocamcnto tonnellate
Navi
in
Fregata Re d'Italia Fregata Re di Portogallo . Fregata An::ona Fregata Maria Pia Fregata Castelfidardo Fregata S. Martino . Fregata Principe di Carignano . Ariete Affondatore Corvetta Terribile Corvetta Formidabile Can noniera Palestro Carinoniera Varese Fregata Roma . Fregata Messina
I
Armamcnt,, cannon i
5700 5700 4250 42:;o 42:;o 4250 4086 4070 2700 2700 2000 2000 57or
36
39118
22
4 2:)
20 5 5
1../\ GUERRA SU L MARE
Navi
Batteria Guerriera Batteria V ora gin e .Fregata Venezia Fregata Principe Amedeo Fregata Palestro Fregata Conte Verde Cannoniera Temeraria poi Cappelli11i Cannoniera Impavida poi Faa di Bruno Cannoniera Audace. Vascello ad elica Re Galantuomo Fregata ad elica Duca di Genova Fregata ad elica Carlo Alberto Fregata ad elica Vittorio Emanuele . Fregata ad elica Garibaldi Fregata ad elica Italia . Fregata ad elica Principe Umberto Fregata ad elica Gaeta Fregata ad elica Maria Adelaide Fregata ad elica Regina Corvetta Magenta Corvetta I'rin::ipessa Clotilde Corvetta S. Giovanni Corvetta Etna . Ca nnoniera Veloce Cannoniera Ardita Cannoniera Montebello Cannoniera Vinzaglio Cannoniera Confienza . Cannoniera Curtato11e . Corvetta a ruote Govemolo . Corvetta a r uole Cuiscardo Corvetta a ruote Fieram osca Avviso Messaggero Av viso F.sploratore A vviso Sirena . Avviso lchnusa T rasporto ad elica Città di Napoli Trasporto ad elica Città di Genova T rasporto ad elica Cavour Trasporto ad elica Volturno . Trasporto a ruole Indipendenza Trasporto ad elica Washington Trasporto ad elica Calatafimi Corvetta ad elica Caracciolo.
I
Dislocamento
A rm an1ento
1n tonn ellate
cannoni
1850 1850 2701 2780 2780 393 2 642
642 642 38oo
:I
3515 3200 341 5 3680 3680 350c 11.)80
3459 2 913
2552 2182 1780 1524 2 74 2 74 215
:I ·I
22 22 20
10 4 4 4 4
262 262 215
4 4
1700
12
1400
2
1400
8
IOOO
2
IOOO
2
354 45° 3730 3730 1470 1 935 1600 1400 269
3
1578
J2
2
4 4 2 2 2 2
2
7I
LA GUERRA DF.L I 866 ED ALT RI SCRITTI
* * * Per quanto riguarda le forze navali nemiche, esse risultano dalla tabella seguente: LA
SQUADRA AUSTRIACA
NELLA CAMPAGNA
Na v i
Fregata Erzherz og Ferd. Maximilian Fregata Habsburg . Fregata Prinz. Eugcn . . . Fregata Kaiser Max . . . Fregata Don f uan de Au.<tria Fregata Drache . Fregata Salamaner Vascello Kaiser . Pregata Novara . Fregata Fiirst S: hwarzenbcrg Fregata Craf Radetzky Fregata Adria . . . . . . Fregata Donau . . . . . Corvetta Erzherz og Friedrich Cannoniera Hum Cannoniera Seehund Cannoniera Streeiter Can noniera Reka Cannoniera Velcbich Canncniera Wall. . Cannoniera Dalmat . Piroscafo Kerka . . Piroscafo N arenta Piroscafo Santa Lucia Piroscafo Kaiserin Elisabeth Piroscafo Creif . . . . Piroscafo Andreas Hofer . Piroscafo Vulkan Piroscafo Triest . Piroscafo Studium
DEL
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Dislocamento
Arm,:1mc nto
in 1unndlate
c.1nnoni
5 130 (4TH) 5130 (47H) 3588 (3240) ~588 (3240) 3588 (3 240) y)65 (2268) 3:ifr5 (2268) 5194 (5166) 2 497 ( 2485) 25 14 (2468) 2198 (2330) 21 98 (2330) 2198 (2430) 1474 (I267) 869 (926) 852 (9o9) 852 (909) 852 (9o9) 869 (926) 852 (909) 869 (926) 50 1 (534) 501 (SH) 1 353 ( 1443) 1470 (1570) T26o ( 1 344) 770 (82 1) 675 (72n) 1102 (n 75) (- ) 1400
18 18 3° 30 30 26 26 (J2 51 46 31 31
(32) (32)
Cv) (31) (31) (28) (28)
(50)
~I
22 4 4 4 4 4 4 4 6 6 6 6 2 (3)
4
2
4
La flotta austriaca era comandata dall'ammiraglio Tegetthoff, giunto al comando delle forze navali in assai giovane età. A metterne in rilievo le qualità ed a far meglio risaltare la differenza tra
LA GUERRA SU L MARI,;
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il Tegetthoff cd il Persano, ci sembra opportuno di riportare integralmente quanto venne scritto, in proposito, in un libro di autore rimasto ignoto, pubblicato nel 1871, ed avente per titolo La guerra italo - prussiana contro l'Austria nel ,866, narrata da un ufficiale italiano: « Uno sguardo gettato nel golfo di Taranto, e nel porto di Pola, basterà a manifestarci l'attitudine che palesano di già i due ammiragli nel predisporre la loro gente alla prossima azione e potrà svelarci fin d 'ora come ognuno di essi comprenda la propria missione e si proponga compirla. Tegetthoff, non preoccupandosi troppo del molto che gli manca, consacra ogni sua cura a ricavare il maggior utile possibile da quanto possiede. Persano non vede che ciò di cui difetta: non ha, né dà pace se non gli si promette fornirgli quanto dice indispensabile, ed ogni giorno fa nuove domande di materiale e di uomini. << Tegetthoff non accorda requie né giorno né notte ai suoi equipaggi: li addestra in ogni servizio, li centuplica per mille bisogni. A ciò attende pure Persano; ma, 111enlre il primo si lrova ovunque colla fisonomia raggiante di soddisfazione e, con parole che esprimono il suo buon contento, ispira fiducia ed emulazione, il secondo di nulla si mostra soddisfatto e tra~pare da ogni tratto del suo volto quel malcontento interno che male può dissimulare. « T egetthoff studia, indaga ogni arte più fi.na del suo mestiere per rendere meno sensibile la propria riconosciuta inferiorità di forze effettive, ed ogni giorno insegna ai suoi marinai un nuovo artifizio che li renda più forti innanzi al nemico. Fa perciò addestrare tutti i bastimenti in legno a coprirsi i fianchi, secondo un metodo impiegato dagli Americani, colle catene - gomene , intrecciate su sbarre <li ferro. Con ciò egli persuade gli equipaggi di questi legni che in tal guisa essi sono altrettanto forti quanto le navi corazzate. Ad aumentare l'efficacia delle sue poche e deboli artiglierie di bordo, prescrive che non abbiasi mai ad usare delle medesime se non a tiri convergenti di bordate, mercé i quali, puntati i cannoni del medesimo fianco di un legno in modo che a distanza normale di tiro concentrino in un sol punto i loro proietti, c scaricandoli tutti contemporaneamente, si ottiene un'efficacia distruttiva assai maggiore che non con tiri separati, divergenti e successivi. Questa scuola di puntamento egli fa praticare dai suoi cannonieri , come la sola che possa tornar utile. Persano non ha fervida immaginazione per consimili cose, non cerca nuove risorse in utili combinazioni tattiche, ma si attiene alle vecchie teorie, ormai insufficienti alle nuove ma-
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ED /\1.TRI SCRITTI
rine: tiene in un continuo moto le sue ciurme, ma senza un metodo coordinato alle necessità del momento. « Tegetthoff convoca a continue conferenze i suoi capitani: loro spiega minutamente le sue teorie, inculca ai medesimi che nelle prossime battaglie non è il cannone che debba decidere della vittoria, ma la forza dell'urto di navi contro navi, che cerchino cacciare la propria prua nel fianco del nemico; il saper combinarsi in due o tre legni contro di un solo per opprimerlo, smantellarlo, colarlo a fondo o rendersene padroni. Infine Tegetthoff, animato dall'entusiasmo del proprio mestiere, pieno di fede nella sua volontà di ferro, eccita altrettanti sentimenti nei suoi subalterni e nei loro equipaggi, ed infonde a tutti quell'orgasmo e quel dispregio del pericolo che sente nel suo proprio cuore. Persano, all'incontro, non comprende la suprema necessità di penetrare le menti dei suoi capitani delle stesse sue idee, dei suoi piani di battaglia; non li raduna perciò attorno a sé, non spezza loro il pane della scienza navale, loro non fa risaltare la superiorità della sua esperienza e dei suoi talenti; infine, non scuote, non esalta in verun modo l'eccitabile fibra dei giovani suoi ufficiali e nulla loro apprende di quanto da un momento all'altro possono trovarsi nel caso di dover mettere in pratica esecuzione )>.
Circa il modo di impiegare la flotta, gli obbiettivi da conseguire, il piano da svolgere, soltanto in data del] '8 giugno il ministro Angioletti inviò al Persano le istruzioni necessarie con la seguente lettera: « In attesa dell'annunzio che questo Ministero sarà per darle, m tempo debito, della dichiarazione di guerra, e della conseguente convenienza di cominciare senza indugio per parte nostra le ostilità, credo opportuno di farle tenere fin da ora le prime istruzioni generali, alle .quali l'E.V. vorrà attenersi: « 1) sbarazzare l'Adriatico dalle navi da guerra nemiche, attaccandole e bloccandole ove si troveranno;
« 2) risparmiare Trieste, a meno che ivi non si trovino navi da guerra nemiche, nel qual caso anche Trieste potrà essere trattata come gli altri punti della costa. Risparmiare Venezia fino a che un attacco contro di essa non sia espressamente ordinato;
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3) stabilire la sua base di operazione in Ancona, ove farà pervenire i suoi rapporti, e da Jove riceverà gli ordini ulteriori dal Quartier generale del Re; «
« 4) trattare la marina mercantile nemica o neutra a forma di quanto è prescritto dal Tit. IV del vigente codice della marina mercantile. « Qualora l'E. V. avesse da fare osservazioni a queste istruzioni, La p'.egherei a volermele far pervenire per il latore di questo dispaccio. 11 Credo pure opportuno il prevenirla ora, per il momento in cui le ostilità dovranno cominciare, che il Ministero glielo annuncerà con un telegramma ché l'E.V. avrà la compiacenza <li ripetere al Ministero parte per parte, cifra per cifra; ma non partirà fino a che non abbia ricevuto un secondo telegramma, col quale le si d irà "Sta bene. Viva il Re!", del quale pure vorrà assicurare ricevimento prima di partire». D;1 t:1le lettera appare chiaro - secondo il Guerrini - che il concetto essenziale delle istruzioni date alJ 'ammiraglio era quello di condurre senza indugio le operazioni , non appena dichiarata la guerra, " andando a ricercare la forza navale nemica, attaccandola se avesse accettato battaglia, bloccandola se si fosse chiusa in un porto, sbarazzandone, nell'un modo o nell'altro, l'Adriatico. Tali istruzioni vennero accettate dal Persano che, in data del 10 giugno, scrisse al ministro: « Sono pronto a muovere colla flotta al primo cenno ed ho fede che l'armata posta al mio comando saprà corrispondere alla fiducia del Sovrano, del suo Governo e della nazione. Così Dio mi aiuti. Evviva il Re! ». Così il Persano - anche se in seguito doveva più volte scrivere al ministro della marina invocando altri provvedimenti o lamentando le deficienze (delle navi, dei « quadri» e degli equipaggi) alle quali non era stato ancora possibile di trovare rimedio adeguato - assumeva interamente la responsabilità delle operazioni (1). Dichiarata la guerra all'Austria, il Persano ne venne avvertito telegraficamente dal Depretis il 20 giugno: « Oggi dichiarata guerra
(1) Durante il processo al c1uale, dopo Lissa, fu sottoposto il Persano, venne affermato che egli, non avendo il Ministero presi sollecitamente i provved imenti <la lui chiesti, tentò di essere esonerato dal comando, senza nuscrrv1.
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En ALTRI SCRITTI
Austria. Si attenga istruzioni riservate 8 corrente. Aspetti telegramma convenuto per muovere da costà. Ad Ancona si spediscono intanto altri dispacci per V.E. ». Ma, giuntogli il dispaccio che lo autorizzava a portare la flotta ad Ancona, il Persano non si mostrò pronto ad abbandonare Taranto, dimostrando fìn da allora « quella tendenza agli indugi, quella sorda resistenza agli ordini del Governo, che caratterizzano - secondo l'atto di accusa contro di lui - la sua condotta nella sfortunata campagna e che tanto contrastavano con l'ardore e con l'impazienza di cui si diceva in preda», e raggiunse senza incidenti Ancona soltanto il 25 giugno. A<l Ancona la flotta stava rifornendosi di carbone, quando, annunziata dall'Esploratore, la flotta austriaca, all 'alba del 27 giugno, si presentò in vista del porto. Il Persano le mosse allora incontro ; ma il T egetthoff, vista la superiorità della flotta italian a, si ritirò rapidamente, senza essere inseguito dalle nostre navi con quella prontezza, che sarebbe stata desiderabile. La nostra flotta rientrò nel porto per completare i rifornimenti ; il Pcrsano rifcrÌ al Depretis sull 'incursione nemica, col seguente telegramma: « Squadra austriaca presentatasi avanti Ancona all 'alba. Noi avevamo Re d' Italia col fuoco nelle tramogge per fermento carbone, Re di Portogallo macchin a quasi inservibile, Ancona peggiore stato, Varese e Palestro con macchinisti im.periti chiedenti sbarcare. Terribile con metà batteria, Carignano non ancora imbarcata la sua, e tutti facenti carbone. Però in breve tempo eravamo parati ad attaccare il nemico, che, avendoci visti prendere formazione, prese caccia dirigendo Pola. Ripreso ancoraggfo per sistemare guasti. Bastimenti pronti terranno crociera fuori porto. Occorrendo metterò bandiera sul S. Martino. Prego sollecito invio vapori celerissimi , più ottimi macchinisti ».
* * * Il non avere voluto o potuto accettare la sfida del TegetthoH e l'avere lasciato che la flotta nemica si ritirasse indisturbata, resero an cora più vive le impazien ze della nazione e più gravi i dubbi sulle qualità <lei Persano, <lei quale qualcuno propose la sostituzione. M a, invece di togliergli il comando della flotta, il Depretis cercò di indurre l'ammiraglio ad una condotta delle operazioni più en ergica, con le seguenti, dettagliate istruzioni inviategli in data del 4 lug lio:
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« J. - Al ricevere del1e presenti istruzioni, !' E.V. con l'armata da lei dipendente si recherà in trac-eia della squadra nemica, ed, incontrandola, l'attaccherà senz'altro, giusta le istruz ioni 3 giugno, n . 1014, e porterà il combattimento fino alle ultime sue conseguenze, allo scopo di ottenere un risultato compiuto e decisivo. << 2. - Se la squadra nemica, o frazione della medesima, fosse incontrata nell'atto di ripetere gli stessi movimenti eseguiti nella giornata del 27 p.p., la E.V. dovrà attaccare e combattere le navi austriache, e nel caso in cui il nemico si allontanasse, dovrà essere senza posa inseguito, sia per tagliarlo fuori dai suoi porti <li rifugio onde costringerlo ad accettare battaglia, sia per tenerlo bloccato nel sito in cui andasse a ricoverarsi.
« 3. - Se la squadra austriaca si trova ricoverata nel porto di Pola, o, sfuggendo alla caccia della nostra armata, avesse il mezzo di rientrare nel predetto porto, ]' E.V. bloccherà Pola con forze sufficienti per mantenere il blocco, tenendosi in posizione conveniente, fuori del tiro delle artiglierie dei forti che difendono Pola e la rada di Fasana.
« 4. - Riparandosi la flotta nemica m Venezia od in qualche altro porto militare, l'E. V. si comporterà in modo analogo a quanto le viene prescritto col precedente. Sono confermate, per riguardo alle città di Venezia e Trieste, le istruzioni espresse nel dispaccio 3 giugno precitato. « 5. - Qualora la squadra austriaca si sparpagliasse per i vari
porti fortificati del suo estremo litorale, !'E.V. avrà cura <li separare l'armata in gruppi ben combinati dal lato della forza offensiva e difensiva, e con i medesimi terrà in osservazione le navi austriache nei punti ove sono ricoverate. Tali potrebbero essere Trieste, Pola, Fiume, Lussino, Zara, Castello di Cattaro. A seconda della eventualità, V.E. dovrà regol arsi per distaccare quel numero di gruppi che meglio siano indicati dalle circostanze, mantenendosi in continua relazione coi m ed esimi, onde non siano per avventura sorpresi da gruppi nemici riuniti o <la forze preponderanti. « 6. - Non rinvenendo la squadra austriaca a Pola, o trovandone solo una parte, è d 'uopo che venga organizzato colla massima cura il servizio degli incrociatori cd esploratori onde raccogliere notizie per conoscere dove si trova il nemico ed in quali porti abbia cercato rifugio.
1 2. -
U.S.
LA G UERRA DEL
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E D ALTRI SCRITTI
« 7. - La missione degli esploratori nelle guerre mar1tt1me acquista una maggiore importanza nell'Adriatico, così frastagliato da isole ed intersecato di canali che offrono riparo sicuro al nemico, ne nascondono le mosse e si prestano alle facili sorprese; abbia cura d'inviare ad Ancona le istruzioni pei legni leggieri che sono stati noleggiati dal Governo e che vi saranno indirizzati appena siano allestiti.
8. - Si avverte come il servizio degli esploratori sia quello esclusivo di scoprire il nemico, di garantire il nucleo delle forze navali da sorprese e di raccogliere informazioni e notizie. Le navi di esplorazione non devono impegnarsi in combattimenti; ma, sfuggendo il nemico, muovere invece sollecitamente ad avvertire l'ammiraglio o il comandante superiore. «
« 9. - Lo scopo essenziale della nostra campagna in Adriatico dev'essere, innanzi tutto, quello di rendersi padroni dell'Adriatico stesso, di liberare quel mare dalla squadra austriaca; incontrando il nemico, d'inseguirlo, attaccarlo e vincerlo, o, quanto meno, ricacciarlo nei porti e bloccarlo in guisa che non possa uscire dai medesimi. (( IO. - Bloccata la squadra austnaca m Pola, l'E.V. s'impadronirà dell'iso!a di Cherso, dalla quale si terrà in continua comunicazione colle navi che sono occupate a bloccare il porto <li Pola. Da quella posizione, oltre ad assicurare la divisione di blocco, può sorvegliare Fiume e il Quarnero, nonché gli sbocchi dei canali del1'alta Dalmazia. Questo ultimo scopo può forse richiedere di occupare l'isola Meleda, che domina i canali interni ed il mare al largo. Occorrendo, l'E.V. può cercare di premunire con opere di fortificazioni provvisorie la località scelta per l'ancoraggio dell'armata, onde qul::sta rimanga meglio protetta, e perché, ad evenienza, quel sito travisi in condizioni di ricevere pur anco una spedizione di truppe da sbarco, alcuni pezzi d'artiglieria delle navi con le risorse che offrono i legni da guerra per sé stessi sono i mezzi da potersi adoperare onde rendere meglio sicura una posizione occupata. -Dovrà pure essere organizzato un sistema di vedette sul.le alture per segnalare i movimenti delle navi nemiche. << 11. - Sempre nel caso che siansi neutralizzate le forze nemiche o con un combattimento o col blocco, ]'E.V. tenterà di impadronirsi con un colpo <li mano della ferrovia che, costeggiando per un tratto il golfo, fa capo a Nabresina, da cui si diramano le linee fer-
LA GUERRA SUL MARE
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rov1ane di Venezia, Vienna e Trieste. Tale operazione avrà per iscopo di distruggere la strada ferrata ed i fili telegrafici. Si previene però che in quelle località gli Austriaci avevano formato un campo di osservazione. << 12. - Verrà visitata la rada di Trieste catturando quelle navt austriache da guerra che vi si trovassero ancorate, con avvertenza che bisogna guardarsi dall'accostarsi troppo al litorale, che può essere seminato di mine, e dall'esporsi al fuoco dei forti che difendono quella rada.
(< 13. - Saranno pure visitate le isole meridionali della Dalmazia e, se in quei porti vi sono navi nemiche, per meglio sorvegliarle, l'E.V. s'impadronirà dell'isola di Lagosta, erigendovi fortificazioni provvisorie con i mezzi indicati sopra.
« 14. - Procurerà di mantenere una crociera alla bocca del1'Adriatico, tra Capo Linguetta e Capo Santa Maria, la quale si tenga in perenne comunicazione coi semafori di quella costa e trasmetta le notizie importanti concernenti l'entrata ed uscita di navi da guerra, di prede fatte, d'informazioni assunte od altre consimili.
" 15. - L 'E.V. si manterrà in continua relazione con Ancona e con Brindisi, tenendo informato il quartier generale di S.M. cd il sottoscritto di tutte le operazioni ordinate dall 'E.V. e compiute dalle navi da .l ei dipendenti. Adoprerà ogni mezzo perché non restino mai impedite od interrotte le comunicazioni tra le navi della nostra armata ed il nostro litorale, e soprattutto colla base di operazione, che resterà sempre il porto di Ancona. Darà allo scrivente una relazione, se è possibile, giornaliera sugli avvenimenti occorsi. « 16. - I posti semaforici sulle coste nemiche, i fili telegrafici e sottomarini, si dovranno distruggere per togliere od interrom-
pere le comunicazioni sul litorale austriaco; farà visitare i bastimenti di commercio per verificare se portino contrabbando di guerra, attenendosi alle istruzioni che le furono in proposito indirizzate. « 17. - Tutte le operazioni contemplate nei sette ultimi paragrafi (dal TO a.I 16) saranno eseguite tosto che l'armata abbia o distrutta la squadra nemica, o la tenga rinchiusa e bloccata nei porti; salvo, ben inteso, il caso in cui particolari circostanze consiglino di agire diversamente.
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ED ALTRI SCRITTI
« 18. - Ad opportuna informazione dell'E.V., il sottoscritto si pregia prevenirla che con il 18 corrente saranno inviati in Rrindisi 21 pezzi d'artiglieria <li grosso calibro per difenderne la rada. « r9. - li sottoscritto avrebbe desiderato che la flotta avesse un piano di campagna combinato con quello dell'esercito; ma questo piano pcl momento è impossibile; mi sono dunque limitato a dare all'E.V. delle istruzioni più determinate di quelle che le furono rimesse precedentemente. Avverta però l'E.V. che non è esclusa l'idea di un 'azione combinata, o quella di uno sbarco sulle coste dell 'Istria o del Canale di Trieste; il Governo riunirà ad Ancona a questo scopo tutti i mezzi di cui può disporre.
Ritenga l'E.V. che in Messina e, principalmente in Ancona, si riuniranno i mezzi ed i materiali che si potranno maggiori per l'approvvigionamento e le riparazioni delle navi che compongono l'armata. << 20. -
e< 2 1. - L'E.V. deve pur ritenere aver il comandante il secondo dipartimento promesso che il 12 corrente l'Affondatore sarebbe allestito. Questo legno prenderà il mare subito, cd anche prima se sarà possibile, e sarà accompagnato dalle fregate Carlo Alberto e Principe Umberto e dalla corvetta Governolo. Vorrà indicare in quali acque intende si riuniscano al resto della flotta. << 22. - Finalmente l'E.V. vorrà provvedere, perché, avvenendo fatti d 'armi, mi sia inviata al più presto una d ettagliata relazione da farsi conoscere al pubblico ».
Inoltre il Depretis si recò personalmente ad Ancona, dove la flotta veniva intanto aumentata di altre unità, e promise al Persano il concorso di 6.000 uomini dell 'esercito, per gli sbarchi da effettuare sulle isole e sulle coste dalmate, l'occupazione delle quali avrebbe offerto al nostro Governo dei pegni per ottenere migliori con<lizioni di pace. Con questo concetto e<l in ottemperan za alle istruzioni di cui sopra, il Persano pensò di occupare l'isola di Lissa, che all'uopo venne fatta riconoscere dal d'Amico, il quale raccolse tutte le notizie circa i porti, le insenature, le fortificazioni dell'isola. Ricevute le informazioni necessarie per effettuare lo sbarco, l'ammiraglio emanò l' « ordine generale per le operazioni di attacco e di sbarco nell'isola di Lissa », ordine in data del 17 luglio, al quale, il giorno dopo, facevano seguito altre istruzioni, che, fra le altre cose, disponevano:
I.A GUERRA SllL M ARE
« Domani 18, all'alba, l'annata si recherà ad attaccare l'isola di Lissa per impossessarsene. La flottiglia, sotto gli ordini della Montebello, prima dell'albeggiare deve essere a terra presso l'isola Spalmadore; la sua missione è quella di tagliare il cordone elettrico sottomarino, se ve n'è uno, che unisce Lissa a Lesina, di distruggere quei semafori che vi potessero essere, ed impedire che soccorsi o corrispondenze passino da Lissa a Lesina. « L 'Esploratore rimane in crociera tra l'isola di Sant'Andrea e la Pclagosa. Il M essaggero resta in crociera a disposizione del comandante supremo. Sono adibiti al servizio di rimorchio per i bastimenti che ne avessero bisogno, il Guiscardo per il primo gruppo, il Fieramosca per il secondo e terzo gruppo, il San Giovanni per la squadra non corazzata. « Il primo gruppo delle corazzate, comandato dal contrammiraglio Vacca, attaccherà Porto Comisa; il secondo gruppo, agli ordini immediati del comandante supremo, attaccherà San Giorgio dal lato di ponente; il terzo gruppo, affidato al comandante Riboty, attaccherà Porto S. G iorgio dal lato di levante ; le fregate in legno sono destinate a battere Porto Mancgo per effettuarvi lo sbarco, dopo aver fatto tacere le batterie. « Se il primo gruppo corazzato facesse tacere la batteria a tramontana di Porto Comisa e quelle dell 'interno, prima che le fregate in legno siano riuscite a far tacere le batterie di Porto Mancgo, il primo gruppo defilerà per battere su questo punto, e le fregate non corazzate effettueranno lo sbarco a Porto Comisa, tenendosi ben serrate sotto la costa, a scirocco del porto stesso. cc La forza di cui disponiamo è esubera nte per la missione che dobbiamo compiere; è quindi inutile di esporre di soverchio le navi che ci servono per più importanti fazioni ». Seguivano disposizioni dettagliate circa le speciali missioni affidate a ciascun gruppo di navi.
In ottemperanza a tali ordini, il giorno 18 luglio venne iniziato l'attacco di Lissa. Mentre la divisione navale del contrammiraglio Vacca apriva il fuoco, con scarsa efficacia, contro le batterie alte di Porto Comisa, la divisione dell'Albini attaccava Porto Manego, ed il gru ppo principale di navi, al diretto com ando del Persano, faceva fuoco sul forte San Giorgio. Il Saint - Bon, accostata la For-
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mirlabile al forte, riusciva a farne esplodere la polveriera, mentre il Riboty faceva saltare la batteria austriaca Schmidt. Tali successi avrebbero dovuto venire sfruttati immediatamente effettuando lo sbarco; ma il Persano ordinò invece di attaccare con due navi le batterie n ell'interno del porto e concesse agli equipaggi una notte di riposo. Il giorno r9 vennero nuovamente sottoposte al fuoco delle navi le opere del forte San Giorgio, che, durante la notte, erano state riattate dagli Austriaci. Il Persano ordinò al Saint - Bon di penetrare con la Formidabile dentro il porto, ordine che il Saint- Bon eseguì, dimostrando grande abilità <li comandante ed intrepido coraggio; ma n eanche nella giornata del 19 venne effettuato alcuno sbarco (1). La flotta aveva messo fuori combattimento 120 uomini <lei difensori e<l era riuscita a smontare molti pezzi delle opere austriache, ma aveva consumato molto carbone cd aveva stancato gli equipaggi. L a mattina del 20 il Persano, essendo sopraggiunto il Piemonte con altri 500 uomini di fanteria, aveva ordinato all'Albini l'cffettuaz.ione dello sbarco, quando l'Esploratore segn alò la presenza di « bastimenti sospetti )>, n ei quali vennero poco dopo riconosciute le navi n emiche. Il Tegctthoff aécorreva infatti da Pola in aiuto del presidio di Lissa: fin almente la flotta nemica si offriva al Persano per la p rova decisiva! L A BATTAGLIA DI LISSA.
Per meglio seguire i vart episodi della rapida lotta, svoltasi su un mare burrascoso e sotto la pioggia, ri teni amo utile atten erci per intero alla completa, veriJica eJ efficace esposizione fatta dal Randaccio (2). Non appena fu cer to che i (( bastimenti sospetti >> avvistati dall'Esploratore erano le navi nemiche, il Persano segnalò alla flotta: " le n avi scoperte sono nemiche; preparatevi al combattimento )>; quindi diede gli ordini perché venisse sospeso lo sbarco e la flotta si r iunisse e si schierasse con le navi in linea. Alle h. IO, quando la squadra austriaca era già in vista, il Persano ordinò alla flotta di disporsi in linea di fila e di muovere verso (r) VEccm: Storia generale della marina militare. (2) RANOACCIO: Storia delle m arine m ilitari italiane.
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il nem1co. Egli, intanto, lasciò il Re d'Italia per imbarcarsi su l'Affondatore. Tra le ore 10,45 e le TJ, la testa della linea italiana stima di essere a tiro delle prime navi nemiche e comincia il fuoco. L 'ammiraglio Tegetthoff, dirigendo quasi per mezzo giorno, si avanza rapidamente e non ha tempo di fare alla sua squadra il segnale già preparato: « Lissa deve essere vittoria l> ; segnala invece di serrar le distanze, di correre a tutta velocità ed alla divisione corazzata di assalire il nemico e affondarlo. Le sue navi di sinistra più prossime rispondono al fuoco degli Italiani; quindi il fuoco, da principio poco efficace da una parte e dall'altra, si apre su tutta la linea. La divisione corazzata austriaca, primo il Ferdinand Max , nave ammiraglia, taglia la linea italiana precisamente nell'intervallo tra l'Ancona ed il Re d'Italia, e ne investe tutto il centro e la testa dell'ala sinistra; ma, fallito dovunque il cozzo, avendo subito gli Italiani presentate le prore, passa negli interstizi. 11 furno di 3G piroscafi, che tutti corrono sforzando le mac-
chine, e quello di tanti colpi di grossi cannoni , ottenebra il campo <li battag lia. Il contrammiraglio Vacca oltrepassa col suo gruppo (Principe di Carignano, Castelfìdardo, Ancona), nell 'impeto della corsa, la linea di fronte austriaca; quindi , descrivendo un gran circolo, piega a sinistra, cioè a tramontana, con l'intenzione di doppiare la retroguardia nemica. Questo movimento è veduto da Tegetthoff, il quale, temendo per le sue navi di legno, manovra per soccorrerle e mettere tra due fuochi il gruppo del Vacca, facendo pure dirigere a tramontana le proprie corazzate; ma fu manovra inutile. Perocché il commodoro von Petz, comandante del vascello K aiser, e delle divisioni di legno austriache , avvedutosi come il grosso delle navi corazzate italiane stesse innanzi all'ala diritta dell'angolo d'assalto austriaco, aveva deviato alquanto a diritta, con le sue navi sempre formate nell 'ordine primitivo (1), tranne la K erka e la N arenta che, (1) La relazione dello Stato Maggiore austriaco e.lice che il commodoro von Petz si vide dinanzi la squadra di legno nemica nella direz ione di Lissa. Nell' intenz ione di assalirla, filò a diritta, facendo segnale e.li seguirlo nella scia. Le sette maggiori navi di legno formate in angolo, si restrinsero perciò verso il mezzo, e seguirono da vicino il Kaiser, presso a poco nel seguente ordine: N ovara, Friedrich, .Radetz ky, Adria, Sch tuarzenberg, Donau. (La N ovara, con le sue potenti macchine, era andata innanz i alle a ltre na vi). Volume V, pag. 68.
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Battaglia navale d 1' L'issa.
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per poca velocità, erano rimaste tre miglia addietro; onde il Kaiser, vertice dell'angolo, venne a trovarsi in faccia il Re d'Italia, la Palestro e la San Martino uscite allora di controbordo dall'incontro con le corazzate di Tegetthoff, e di fianco il gruppo del Vacca, il quale però si era lasciato arrestare dal vivo fuoco diretto contro di lui dalle navi di legno, ordinate sul lato sinistro dell'angolo austriaco. Sono le 11 e mezza in circa. Giunge da Comisa la cannoniera corazzata italiana Varese, e si mette alla coda della linea delle corazzate: in questo stesso momento entra nella mischia l'Affondatore. La prima nave nemica che incontra è l'avviso E lisabeth che, ripetitore di segnali , cercava di raggiungere la sua nave ammiraglia; gli tira un colpo del suo cannone prodiero da 300, ma lo fallisce; dirige allora per investirlo, ma quello accosta tutto a sinistra, descrivendo il più piccolo circolo che egli possa, e facendo fuoco ; anco l'ariete accosta a sinistra; ma non riesce a mettersi in linea perpendicolare al fianco dell'avviso, il quale, piccolo ed agile, ha descritto già un semicircolo, quan<lo l'ariete non ha ancora compito un quarto di circolo. L'Affondatore in fine prosegue e si trova su la sinistra del Kaiser. Gli tira e lo colpisce con un proiettile da 300, che g li uccide o ferisce sei uomini , gli smonta un cannone sul ponte, e gli porta via telegrafo e bussola. Risponde il vascello con ripetute fiancate concentriche e passa tanto vicino all'Affondatore che, da ambo i bordi, si fa fuoco coi moschetti: poi l'ariete, bersagliato dai colpi di altre navi nemiche vicine, vira di bordo e si allarga. Vi era stato leggermente ferito il tenente di vascello Gregoretti, comandante della torre prodiera. Sembra però - e parecchi testimoni oculari lo affermano - che per alcuni istanti l'Affondatore si trovò in rotta quasi parallela al vascello, di modo che, accostando a sinistra, lo poteva investire. Al contrario, l'ammiraglio Persano, che stava nella torre, ordinò « alla diritta». Il capo dello stato maggiore d 'Amico, il comandante di bordo Martini ed altri ufficiali, si arrischiarono a suggerirgli « a sinistra, ammiraglio, a sinistra ». Ma quegli severamente << comando io» replicò, compiendo la sua manovra. Le fiancate del Kaiser pare lo avessero spaventato, anco dentro all'impenetrabile torre dell'Affondatore (1f Dopo di che volle fare una volta tonda, per investire nuovamente il vascello; ma per il lungo tempo che gli abbisognava a (1) Deposizione Pergola.
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compiere un'intiera evoluzione, e per essere poco ubbidiente al timone ( 1 ), l'ariete mancò a sé stesso. L'ammiraglio Persano comandò allora di dirigere verso la squadra del viceammiraglio Albini, cui voleva dar ordini. Il Kaiser, liberatosi dall 'Affondatore, vede davanti a sé il Re di Portogallo, il quale si era avanzato « con l'intenzione di separare la squadra di legno austriaca da quella corazzata, ed agevolare così alla squadra di legno italiana il combattimento con la nemica » (2) e senza più, il commodoro von Petz, <( fidando nella solidità e nel peso della sua nave », dirige per investire la corazzata italiana, e, come le è presso, le scaglia tutta la sua fiancata di sinistra: però i colpi riescono troppo alti. Il comandante Riboty ha imitato suhito la manovra dell'avversario, venendo tutto su la sinistra, a fine di presentare la prora, ed investirlo a sua volta; ma le due navi stavano già troppo vicine ed il cozzo avviene non perpendicolarmente , ma sotto un angolo acuto. Il vascello, che ha investito la corazzata su la murata di sinistra , a prora, perde il bompresso, e la holc-:na che cade, e resta sul ponk del Re di Portogallo: tutto l'albero di trinchetto gli casca in coperta, abbattendosi sul fumaiuolo, e fracassandolo: le due navi , dopo l'abbordo, si scostano alqu anto, e si prolungano: il Re di Portogallo scarica allora sul Kaiser, con un fuoco di fila a granata, tutta la sua fiancata. Il vascello, involto nel fumo della scarica, cd in quello densissimo che esce dal suo fumaiuolo frantumato, sparisce: il Riboty, e tutti sul Re di Portogallo, credono sia colato a picco. ( 1) (( Quanto alla lentezza di manovra, se è in parie conseguenza della grande lunghea.a di questa nave, e della scarsa sua velocità, devesi pure, in qualche proporzione, attribuire alla poco giudiziosa e malissimo eseguita installazione del frenello, ndla quale i periti sottoscritti hanno riconosciuto i seguenli difetti: (( 1) non trovarsi la bacra d el timone nel piano dei due capi del frenell o, onde è for za infletterne la direzione mediante due rulli ad ogni capo, con non lieve incremento negli attriti del sistema ; « 2) non essere i due rulli suddetti, e le varie pulcggie ciel m eccanismo, d'un diametro proporzionato, né di forma ben adatta a un fre nello di catena: (( 3) essere sommamente debole il modo di congiunzione delle parti rettilinee del frenello, composte di spranghe di ferro tondo, di 25 millimelri d i diametro, con g rave pericolo d 'avaria tJuando per g irare rapidamente fosse portata tutla la barra da un lato, correndo la nave a tutta forza » . (Relazione dei perili, ammiraglio Prova11a e ingegnere MaLLei, all'Alta Corte di giustizia). (2) Deposi zione Rièoty, Rendiconti, ccc. Anche la relazione dello Stato Magg iore auslriaco attribuisce questa intenz ione al R iboty.
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L'ammiraglio Tegetthoff, con le sue corazzate, presso che tutte unite, rientra nel fitto della battaglia, la quale è adesso divenuta generale e confusa: i piroscafi , correndo a tutta velocità, s'incrociano per ogni verso: talora amici tirano sugli amici (1). Impossibile essendo di vedere tutto l'insieme, racconteremo i fatti di ciascuna nave. Abbiamo lasciato il Re d'Italia in faccia della squadra di legno austriaca. Incrociandosi al principio con quella corazzata, era passato tra il Ferdinand Max, e (probabilmente) il D . Juan de Austria, facendo un fuoco di fila, e ricevendo una fian cata che gli uccise un marinaio. Avrebbe potuto proseguire, ed assalir le navi di legno nemiche; ma il comandan te Faa di Bruno, fido all'ordine di massima, dopo di aver tentato di speronare la cannoniera austriaca Dalmat, vira per la contromarcia su la sinistra, cercando di raggiungere il suo prodiere, l'Ancona. Viene così ad incontrare una seconda volta le corazzate di Tegetthoff, che tornavano alla carica. Una di esse (forse, il Kaiser Max), assai veloce, si muove per investire di poppa il Re d' Italia, ma questo evita, serpeggiando, l'urto. Essendosi le due navi appressate molto, si accende da ambo i lati un veemente fuoco di moschetteria: sul Re d'Italia la guardia marina l vancich Giustino, colpito in petto da una palla, cade estinto. La corazzata austriaca, allargatasi alquanto, lancia su la poppa dell'italiana una fiancata convergen te, che le rompe il timone e lo rende inutile (2). Al tempo stesso una granata appicca fuoco alla camera dell'ammiraglio; ma in breve è spento.
( r) Anch e pnma di questo momento della battag-lia era accaduto il fatto seguente: « Era tale la confusione che nel girare di hordo, e mentre inseguivo la retroguardia austriaca, una corazzata abbordò la mia, e fece una scarica di cannoni sulla mia nave, il Carignano, e ci accorgemmo che il leg-no che ci attaccava non era austriaco, ma italiano. A bordo, g li artig-lieri si prepararono a rispondere, ma, accortici dell'errore, tentammo subito d'impedire maggiori disastri: e non ci volle poco a ch iamare all 'ordine i marinai ». (Deposizione dell'ammiraglio Vacca, Rendiconti, ecc.). (2) « Quando la fregata corazzata ci fece fuoco di poppa, vi fu un istante in cui il bastimento non ubbidì p iù al timone; il comandante se ne accorse, io pure: animai i sotto uffiziali alla ruota per girarla, ma essa resisteva. Calai g iù in batteria, e trovai che i frenelli erano in buono stato : anelai nella camera del comandan te, e fu là che scopcrsi essere il timone rotto cd inutilizzato l) . (Rapporto <lell' uffìziale pilota Russo C iuseppe).
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Adesso il Re d'Italia trovasi circondato da navi austriache. 11 comandante Faa di Bruno, fermo e tranquillo, va avanti a tutta forza, e risPonde con fiancate al fuoco nemico ; minacciato d'investimento, vuole accostare a sinistra; ma il timone non opera; in questo istante vede una corazzata austriaca che dirige per coglierlo in pieno sul fianco sinistro; comanda di arrestare la macchina e dare addietro, unica manovra possibile; e sperando forse che nell 'abbordo, ormai inevitabile, potrà saltare con la sua gente su la nave nemica, ordina l'arrembaggio generale in coperta, e al comandante della batteria, tenente di vascello Gualtiero, di far fuoco ancora una volta. Gli ordini sono eseguiti; la gente monta sui casseri; uffìziali, marinai, soldati, il deputato Boggio, coi fucili e con le pistole, fanno fuoco vivissimo sul nemico irruente. Era il Ferdinand Max, nave ammiraglia. Il comandante von Sternek, collocatosi a metà delle sartie di trinchetto per veder meglio, aveva scorta improvvisamente di prora, quasi ferma, una corazzata; la riconobbe, al grigio colore, nemica; e difilato le era venuto addosso, con l:1 velocità di I, nodi e mezzo. La nave austriaca arresta la macchina a dicci metri dall'italiana, e le conficca, quasi perpendicolarmente, lo sprone nel fianco sinistro, due metri e mezzo incirca innanzi alla macchina. Si ode un fracasso orribile; una breccia di 136 piedi quadrati (r), 78 dei quali sotto la linea d'immersione, è aperta nel fianco del Re d'Italia, il quale prima s'inclina a destra, poi tutto a sinistra, ed immerge l'ampia ferita nelle onde agitate. Faa di Bruno, saldo al suo posto, benché ferito in una gamba, vede che la bandiera, abbattendosi la nave, potrebbe essere afferrata dal nemico, vicinissimo; ordina di ammainarla; un marinaio sta per eseguir l'ordine; ma parecchi uffiziali che non hanno compresa l'intenzione del comandante, si oppongono, e la guardia marina Razzetti, respingendo il marinaio, rialza la bandiera, che, per altro, era stata calata di poche dita. Un'ultima scarica parte dal Re d'Italia: poi, chi lo può, si butta in mare. Faa di Bruno, sul suo palco di comando, con un colpo di pistola, si uccide. ( 1) Dalle traccie rimasle sulla prora del Ferdinand Max, apparve che il suo sperone si era addentrato per 8 piedi nel corpo del R e d'Italia, e la breccia fatta fu misurala di piedi 136. TI disegno dello sperone, prima e dopo il cozzo, fu pubblicato nella relazione della 1" Commissione d' inchiesta, allegato 18.
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In due minuti il Re d'Italia è colato a picco. Cinquecento uomim, inghiottiti dal vortice che l'enorme mole forma affondandosi, sono spariti. Gli Austriaci dicono aver Tegetthoff voluto salvare i naufraghi della nave italiana, ma che egli, minacciato in quel mentre da una corazzata nemica, fu costretto a provvedere alla propria, anziché all'altrui salvezza. Gli Italiani dicono <li avere gli Austriaci fatto fuoco su naufraghi, che nuotavano intorno alle navi loro, chiedendo mercé, cd averne ucciso e ferito alcuni, de' quali citano i nomi ( 1 ). E sarà vera una cosa e l'altra. Rivolgiamo altrove lo sguardo. Poco lungi dal Re d'Italia era il Re di Portogallo, avviluppato <( dalle navi di legno austriache a sinistra, e da due corazzate a destra. Risponde al loro fuoco schivando le prue delle corazzate; molti proiettili colpiscono l'alberatura; l'uffiziale in secondo, Emerico Acton, è ferito da una scheggia <li granata in fronte , e, medicato, torna al suo posto; una granata scoppia in coffa di maestra, e<l uccide o ferisce parecchi gabbieri » (2). li comandante Riboty tenta investire una fregata, che pargli essere, ed era in realtà, la Novara, ma due corazzate austriache si presentano e gli impediscono quella manovra. Allora, dice egli, « cercai con gli occhi i compagni miei , le altre navi nostre, e mi vidi solo in mezzo al.la squadra nemica. Mi feci strada: diressi per uscire ed uscii; il nemico dovette lasciarmi passare » (2). In questo momento vede affondarsi il Re d'Italia: quindi, obbedendo ad un segnale del contrammiraglio Vacca, va a prendere il suo posto nella linea delle corazzate (3). In quel viluppo di navi (ché le austriache combattevano tutte, anche i piroscafi a ruote Elisabeth e Andreas Hofer) si trovava cziandio la Palestro. Nel primo movimento in avanti, essa, poco
(1) Raprorto dell'uffizialc Gualtiero (Atti dell' inchiesta). (2) Deposizione Riboty, R endiconti, ecc., pag. 216. (3) « Il Re di Portogallo, tosto dopo il suo urto col Kaiser, fu minacciato a sinistra da alcune navi <li legno austriache, a diritta da due corazzate: e per un certo tempo separato dalle navi del suo gruppo, si trovò in posizione critica, e poté difendersi solamente con grandi sforzi dai suoi avversari. Mentre la nave era occupata a riparare i danni sofferti nell'urto, volle cozzare una fregata di legno austriaca per aprirsi una via, ma ricevette da essa in pieno una scarica concentrata che gli danneggiò di nuovo lo scafo e gli alberi. Finalmente riuscì al valoroso capitano di liberarsi ». (Relazione dello Stato Maggiore austriaco, voi. V, pag. 76).
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veloce, e troppo discosta, come fu detto già, dal Re d'Italia, aveva perduta la formazione ed era incappata in mezzo alla squadra nemica. Parecchie corazzate e navi di legno austriache tentano d'investirla ; ma non riescono, per l'abilità con cui l'uffiziale pilota Andrea De Agostino, che sta al timone della Palestro, sa evitare gli urti: la stessa nave ammiraglia, Ferdinand Max, l'investe, però di sbieco , ai giardinetti, le fa cadere l'albero di mezzana, e con esso, attaccata alla sagola in bando, la bandiera del piccolo pavese, una parte della quale è strappata, al passaggio, da un sottuffiziale austriaco ( 1): infine, la corazzata Drache (2) le scaglia a tiro di pistola una fiancata concentrica nella poppa, ed appicca fuoco ad una quantità di carbon fossile che vi era stato messo per appoppare la nave. Su la Palestro, nell'ardore della battaglia, non si accorgono dell'incendio se non quando ha già preso forza; il comandante Cappellini ordina di allagare la santa - barbara, ciò che è subito fatto. Ma l'incendio divampa: le navi austriache si allargano, e, quasi presaghe òdla sorte che toccherà alla Palestro, l'abbandonano. Allora Cappellini, cessando di combattere il nemico esterno, si volge contro quello che ha, più terribile, a bordo; l'intero equipaggio è adoperato per spegnere il fuoco. Al tempo stesso mette la prora al vento, affì nché 1c fiamme vadano fuori bordo; ma quella prora riportandolo in mezzo ai nemici, e già il Don Juan essendosi mosso, per ordine di Tegetthoff, ad inseguirlo, Cappellini governa verso la linea delle corazzate italiane, la quale fa un movimento per andargli incontro. Ormai è a ridosso della linea amica; gli si accosta l'Affondatore, ed il capo dello stato maggiore d'Amico gli grida col porta - voce: « salvate l'equipaggio; mandiamo le lancie! » . Cappellini , tranquillo, risponde non esservi pericolo, aver egli bagnate le polveri. L'Affondatore si allontana. Il viceammiraglio Albini segnala al Governolo di recarsi a soccorrere la Palestro: quello va, ed offre l'opera sua ; il ( 1) « Cadde il suo albero di gabbia, cd il picco di trinch etto, l'ultimo con una gigantesca bandiera tricolore, presso il castello di prua del Ferdimmd Max: il pilota Carcovich l'aspettÌ>, correndo avanti, e dopo un vano tentativo di strappare la sagola tenne ferma la bandiera, sotto un violento fu oco di moschetteria, ad un rampone: cd essa restò a bordo come trofeo anche quando le clue navi si staccarono )>. (Relazione dello Stato Maggiore austriaco, voi. V , pag. 79). (2) Gli austriaci dicono che l'onore d i questa fian cata è disputato tra le cora zzate Drache e Don fuan.
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Cappellini gli fa la stessa risposta fatta all'Affondatore: gli chiede inoltre di dargli il rimorchio e di mettergli la prora al vento, non potendo egli più governare, per danni cagionati dal fuoco nella tlmomera. Il Governolo cseguisce; ma i rimorchi si spezzano. In questo punto, accorre presso la nave in fiamme anche l'Indipendenza, che ammaina una lancia per aiutare quella del Governolo ed attaccare nuovi rimorchi alla Palestro. T1 tenente di bordo, Ernesto Viterbo, ritto sulla prora, dirige l'operazione: il comandante Cappellini manda la guardiamarina Fabrizi a dirgli di far presto: dispone intanto il modo di sbarcare la gente. Sono le 2,30 pomeridiane, allorché si ode lo scoppio successivo di tre granate nel corridoio: due secondi dopo, un'eruzione terribile, come di vulcano; la Palestro e il suo equipaggio sono anmcntat1. Pochi frantumi piovono sul Governolo, sull'Indipendenza e sulle loro lancie, che salvano la guardiamarina Fabrizi e 25 marinai, malconci i più; soli superstiti di un equipaggio di 228 uomini. Anche il San Martino, posto al centro della linea italiana, aveva manovrato come il Re d'Italia , incrociandosi al principio con Ìe corazzate di Tegetthoff, ed oltrepassandole. Dopo di che , avea combattuto con varie navi, e ricevuto, a breve distanza, una fiancata nella poppa, che fracassò quanto cravi nella camera del comandante e vi appiccò il fuoco. Spento questo, una granata suscitò un altro incendio nei camerini di destra. Il San Martino trovavasi aliora circondato da due corazzate e da una corvetta di legno nemiche: ma, sforzando la potente sua macchina, se ne liberò, allontanandosi per un buon tratto dalla mischia, ed unendosi poi al gruppo del Vacca, col segnale (< a riva, ché non sono in grado di stare in linea )) ( 1 ). Ultima nella linea italiana veniva la Maria Pia. Durante il primo periodo del combattimento, si era ristretta a far fuoco sul ne(1) « Nel momento <lei secondo incendio si era nella pos1z10nc di essere avvolti da tre leg ni nemici, due cora zzate ed una corvetta che cercavano di abbordarci. La manovra che tentai per evitare queste tre navi mi riuscì, passando in m ezzo a due di esse a brevissima distanza, facendo vivo fuoco dai due lati, tanto da offenderle efficacemente, e nasconder loro la mia posi zione. Al finire <li questa man ovra, ed al dileguarsi del fumo, mi sono trovato discosto dai bastimenti nemici, e visti i nostri quasi tutti riuniti su la mia sinistra, ho diretto verso di loro per riunirmi ». (Ra pporto del comandan te Roherti del 2 1 luglio).
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mico; nel secondo periodo, cioè nel ritorno offensivo delle corazzate austriache, le venivano addosso quattro di esse. La Maria Pia, sforzando la macchina, si liberò dalle due meno celeri: tentò poi di investirne una terza, che le si era traversata di prua, ma quella evitò il cozzo. (( Passai », scrive il comandante Del Carretto, (( randeggiandola quasi a toccare, scaricando la batteria, e facendo fuoco di moschetteria dai portelli; ma eravamo tanto vicini che puntando a tutta inclinazione non si poteva colpire a linea d'acqua il (1). In questo incontro la Marza Pia ricevette nella camera di poppa due granate che levarono incendio : per la qual cosa andò fuori di tiro a fine di spegnerlo. Mentoveremo pure l'Ancona, terza nave del gruppo Vacca. Il comandante Piola che già, al principio della battaglia, aveva notato che << il giro della riserva, avvicinando la squadra di legno nemica, la allontanava dalla vera posizione del combattimento, che era là dove stavano le corazzate » (2), veduto poscia in pericolo il Re d'Italia, si era staccato dal suo gruppo per portargli aiuto; trovata per via ,, una corazzata ne111ica a due alberi che, con la. macchina ferma, pareva studiasse la sua rotta », tentò d'investirla, ma invano ; dopo di che, l'Ancona, unitasi al Re di Portogallo, ritornava alla squadra. Ora, secondo gli Austriaci, la corazzata, che l'Ancona voleva investire, altro non era che l'avviso Elisabeth il quale, minacciato dall'opposta parte anco dalla Varese, avrebbe destramente guizzato di mezzo ai due, che si sarebbero invece investiti l' un l'altro. Un fatto è certo: che l'Ancona e la Varese s'investirono, rimanendo malconcia l'ultima. Dobbiamo in fine , nostro malgrado, parlare della Terribile. Chiamata da Comisa la mattina del 20, partì per l'armata prima del la Varese: quindi, fatto segnale a questa, che erale sottoposta, di continuar la sua via, si fermò (3): rimessasi in cammino, a bell'agio, arrivò agli estremi confini del campo di battaglia al momento in cui il Kaiser, mezzo sfasciato, usciva dal fumo dirigendo per
( r) Rapporto del comandante Del Carretto. Gli austriaci dicono che << una corazzata italiana tirò una fiancata, il fumo della quale entrò per i portelli di una corazzata austriaca, senza che si vedessero i proiettili n, e ne deducono che avesse tirato a sola polvere. E' probabile che quella corazzata fosse la Maria Pia, la quale aveva puntato a tutta inclina zione. (2) Rapporto del comandante Piola, del 22 luglio. (3) Deposizione .FincaLi.
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Porto S. Giorgio; la Terribile si contentò di tirargli , a gran distanza, alcuni colpi innocui. Al Kaiser teneva dietro una cannoniera austriaca, debole, lenta: impossibile che sfuggisse allo sprone della Terribile; ma questa lasciolla stare. « Dopa », riferisce l'uffìziale pilota della corazzata italiana (1), « girammo in contromarcia fuori di portata del tiro; non saprei per quale motivo (ma, credo, per indecisione) vidi che girammo intorno a noi stessi, e dopo alcuni di questi giri che durarono una mezz'ora approssimativamente, la Terribile entrò nella linea di fila ordinata dal Principe di Carignano ». Accaduti cotesti fatti particolari , al contrammiraglio Vacca che, in quel frattempo, aveva sparato insieme al Castclfidardo una quantità <li cannonate inutili, venne pure una buona idea: di riunire cioè la sparsa squadra corazzata; e come egli, ed i più dei comandanti, ignoravano tuttavia dove fosse l'ammiraglio supremo, alzò su la sua nave il segnale << formate una linea di fila senza distinzione di posto 1>. L'ordine venne in poco tempo eseguito, e la nuova linea di otto corazzate italiane si avviò per mezzogiorno libeccio. Torniamo all'Affondatore che lasciammo in cammino verso la squadra del viceammiraglio Albini. Questa, ordinata la battaglia, era rimasta per qualche tempo lontana, da tre a quattro miglia, dal punto in mi si combatteva. « Poi 1) - scrive il viceammiraglio << tentai d'impegnarmi con i legni misti austriaci , cercando perciò l'opportunità di un intervallo libero da corazzate nemiche, senza imbarazzare mai la manovra delle nostre; avvicinatele molto (2), trovai l'attacco sviluppato su tutta la linea; ma le tre corazzate austriache, spingendosi a tutta forza negli intervalli delle nostre corazzate di testa, e con direzione verso la nostra colonna, mi costrinsero ad eseguire un movimento rapido di contromarcia, mercé cui tutta la mia squadra doveva presentare la prua al nemico, mettendosi in posizione meno pericolosa : quando vennero le corazzate nostre a far piegare sulla sinistra le corazzate assalitrici. << Una seconda occasione mi è apparsa favorevole alle ore 10,55, quando scorsi la coda dei legni misti quasi isolata, e fu allora che segnalai di serrare la linea per avvicinarsi al nemico. Il cannoneggiamento frattanto continua vivissimo fra le corazzate, ma vengo novellamente deviato da due corazzate nemiche, che tentano di abbordare la seconda squadra; però la riserva, e due corazzate di ( T) Rendiconti, ecc. (2) Sempre però fuori tiro.
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battaglia respingono il nemico (1). In questa fase del combattimento, mi era parso possibile di tagliare la ritirata dei legni misti, che piegavano a tutta corsa verso il canale di Lissa, col vascello in testa, già considerevolmente danneggiato, con albero di trinchetto abbattuto, avviluppato in denso fumo sulla prua; e veramente sarebbe stato ovvio di cambiare ad un tempo l'ordine di marcia ; m a sotto il riflesso del ritardo pei segnali, e per l'insieme che esigeva siffatto movimento, prescelsi di compierlo per la contromarcia. « In questo momento, alle 11 ,30, si sommerse la pirofregata Re d'Italia, mantenendo le sue bandiere inalberate. A questo infausto avvenimento, pensai non doversi disturbare per nulla il corso del combattimento (2). « Alle 11,35 la seconda squadra non aveva ancora del tutto compita la su indicata manovra, che le corazzate nemiche poggiavano nel canale di Lissa. Alle ore 11,40 cessa il fuoco da ambe le parti. Nei primi movimenti , qualche pirofregata ha lanciato delle bordate alle corazzate nemiche, approfittando degli intervalli delle nostre corazzate, ma, a mio credere, a forte distanza ». Come disse il viceammiraglio Albini , gli Austriaci poggiavano, cioè andavano verso Porto S. Giorgio: primo il Kaiser, seguìto dalla cannoniera Reka: poi le altre navi di legno. Parve allora all' ammiraglio Persano che il momento fosse opportuno a dividere in due la squadra nemica : onde alzò su l'Affondatore il segnale « raddoppiate la retroguardia nemica >> e, subito dopo, (( caccia generale con libertà di manovra e di cammino». Per questi segnali, tutta l'armata apprese, per la prima volta, che l'ammiraglio Persano era su l'Affondatore. Come il viceammiraglio Albini eseguisse gli ordini riferiti di sopra, lo disse egli medesimo: comandando una contromarcia; ed il Principe Umberto, il quale, . visto il segnale dell'ammiraglio supremo, si era già mosso per dar caccia e, stimando di essere a tiro, cannoneggiava sul nemico, dovette retrocedere. Anche la squadra delle corazzate, ora comandata dal contrammiraglio Vacca, aveva dal Persano ricevuto ordine di << avvicinarsi a sostenere l'attacco>> ed crasi avvicinata.
(1) Superfluo dire che il viceammiraglio s' ingannava: le corazzate austriache non pensarono mai ad assalirlo. (2) Proprio cosl sta scritto nell 'originale. Questo rapporto del viceammiraglio Albini fu, con pungenti note, pubblicato dal Persano, nell'opuscolo già citato: L'Ammiraglio C. di Persan o, ecc.
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Al segnale di << caccia generale » il Re di Portogallo usd d alla linea delle corazzate, spingendosi innanzi, ma, dice il comandante Riboty, << vedendo che non si faceva verun segnale né di approvazione, né di disapprovazione a questa mia manovra: vedendo che, insomma, ero solo a muovere verso la squadra nemica, credetti d'avere forse sbagliato, e che quella non fosse l'intenzione del comandante in capo: onde ripigliai il mio posto » ( 1 ). Vedute queste manovre, l'ammiraglio Tegetthoff comandò alle sue navi di unirsi e di seguire quella ammiraglia: e correndo velocemente a mezzogiorno, formò un nuovo ordine di battaglia: le corazzate in prima linea, le navi di legno in seconda e terza linea, tranne il Kaiser e la Reka, entrati già nel Porto San Giorgio. E' poco più di mezzogiorno. La Formidabile è partita per Ancona. L'Affondatore prolunga la linea delle corazzate del Vacca , si mette alla loro testa; e, segnalando lo seguitassero per la contromarcia, dirige verso la squadra austriaca, lontan a quattro o cinque miglia. L 'armata italiana è tutta riunita: la squadra di Albini è venuta a collocarsi alla destra di quella del Vacca. Alle ore 12,40 l'ammiraglio Persano segnala di << attaccare il nemico subito che sarà a portata >1; poco poi l'Affondatore e qualche altra nave aprono il fuoco, cui risponde il nemico, ma non sono a tiro ; alle 1 ,o6 segnala di « battersi a tiro corto »; alle r ,35 di « eseguire prontamente l'ordine dato »; alle r ,40 di << formarsi prontamente in linea di battaglia senza soggezione di posto >> ; infine alle 2,30, segnala alla squadra corazzata che « ogni bastimento che non combatte non è a suo posto ». Ma cotesti segnali producevano questo effetto : << un poco si andava celeri, un poco si ritardava, un poco si andava a dritta , un poco a sinistra, perdendo molto tempo in questa inazione, ed allargandosi dalla squadra austriaca >> (2). L 'Affondatore, sempre alla testa dell'armata, guidava queste mosse. Il capo dello stato maggiore d 'Amico aveva bensì consigliato all'ammiraglio supremo di assalire i nemici, spingendosi innanzi con l'Affondatore, anche solo; ma fu come dire al muro.
(1) Deposizione Riboty. (2) Deposizione Vacca, R endiconti, ecc., pag. 105.
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Intanto la squadra austriaca, che si era andata lentamente appressando a Porto S. Giorgio, vi entra verso le ore tre. L'armata italiana rallenta il corso, poi volge a ponente. La battaglia di Lissa è finita. Durò, vera battaglia, un'ora ; dalla prima all'ultima cannonata trascorsero due ore in circa: le squadre nemiche stettero in presenza l'una dell'altra quattro ore e mezza. Non ostante la superiorità numerica che ancora rimaneva al Persano e che gli avrebbe permesso di rifarsi prontamente dell'insuccesso, egli nulla tentò, e, dopo essere rimasto « padrone delle acque del combattimento» fino a sera, ricondusse la flotta ad Ancona (1); mentre al Tegetthoff rimaneva la certezza che (( la preponderanza di navi e di cannoni più numerosi e di maggior calibro poteva venire compensata dalla bravura dei marinai austriaci » (2).
( 1) 11 Pcrsano venne sottoposto a processo davanti al Senato costituito in Alta Corte di Giustizia . Il Senato g iudicò che la battaglia era stata perduta per la colpevole inettitudine dell'ammiraglio, che fu radiato dai ruoli della R. Marina. (2) Ordine <lel giorno del T egetthoff in data del 21 luglio.
Xl. LA FINE DELLA GUERRA
Il periodo di tregua avrebbe dovuto finire il 2 agosto; ma intanto l'Austria, ormai sicura a nord , concentrava, dietro le sue truppe, tra il 27 luglio e il 2 agosto, ben 7 Corpi d'armata, coi quali credeva di potere prontamente e sicuramente arrestare i progressi del Cialdini. Essa si preparava così a resistere alle insistenze deJl'Imperatore Napoleone III, il quale avrebbe voluto trattare anche la questione del Trentino. La tregua venne protratta di altri 8 giorni. Alla sera del 9 agosto le forze austriache sull'Isonzo raggiungevano i 200 .000 uomini, mentre le condizioni dell'esercito nostro ~rano tutt'altro che confortanti (r).
L'ARM1snz10 01 CoRMoNs.
Di fronte ai pericoli imposti dalla situazione, il La Marmora, abbandonato dall'alleato (2) e senza speranza alcuna di poter otte-
(1) " Singolare pos1Z1one è quella <lei nostro esercito! Se gli Austriaci facessero davvero ed avessimo un piccolo rovescio, <la questo a<l un disastro inaudito vi sarebbe un breve passo >>. Questo g iudizio del Pianell veniva riconfermato, il 29 luglio, col seguente: « L'esercito è in una posizione assurda, impossibile per continuare la guerra ». Ed il Cialdini, il 27 luglio, scriveva al Re: « Spinto da considerazioni politiche e prescindendo da tutte le regole della militar prudenza, io giunsi frettolosamente dall'Adige all 'Isonzo, in condizioni che non permettono a queste truppe di andare oltre, senza esporsi a sicura rovina » . (2) Pure l'intervento italiano aveva facilitato efficacemente le operazioni prussiane contro l'Austria; e lo stesso Thiers, in un suo discorso al Parlamento francese, non esitò a mettere in luce quanto alla vittoria prussiana <li Sadowa avesse concorso l'alleanza italiana: " Alle due pomeridiane la battaglia di Sadowa era vinta dagli Austriaci. Cosa impedì che fosse vinta fino alla fine del giorno? Lo sapete? Eran necessari 40.000 o 50.000 uomini alla destra austriaca per trattenere il Principe Reale che g iungeva a marcia forzata;
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nere un serio appoggio da parte della Francia (1), decise, sotto la propria responsabilità e nonostante l'opposizione del Ricasoli, di firmare il duro armistizio di Cormons, che ci obbligava a sgombrare il Trentino già occupato e che, per il tramite di Napoleone III, ci attribuiva il Veneto nei suoi confini amministrativi. L'armistizio fu concluso il 1 2 agosto, fra il generale Petitti e il generale Moring, alle condizioni seguenti: L'armistizio comincierà col giorno 13 agosto alle ore 12 meridiane e durerà quattro settimane, vale a dire fino al 9 settembre. « Le ostilità non potranno ricominciare che mediante un preavviso di giorni IO. In difetto di preavviso l'armistizio s'intenderà prolungato. << 1 ° -
« 2 ° - I limiti dei territori occupati dalle truppe saranno per la durata dell'armistizio i seguenti, cioè:
u n'ora di rita rdo e sarehhe arrivato troppo tardi! Ora non cran solo 50.000 uomini, ma da qo.ooo a 140.000 i snidali austriaci disposti tra il Mincio e l' Adige. Ebbene? Conchiudete: fu l'Italia, che, al principio degli avvenimenti, aveva dato alla Prussia il possente impulso dell'esempio; alla f-ine le diede il soccorso che le mancava. Fu <lessa a decidere l'evento! ». (1) Immediatamente dopo la sconfitta di Sa,lowa (3 luglio), l'Au stria si era affrettata a cedere il Veneto alla Francia ed aveva chiesto la m ediaz ione di Napoleone III per una rapida conclusione della pace. L'Imperatore dei Francesi aveva invitato il Re di Prussia e il Re d 'Italia ad aderire. Ecco la lettera che Napoleone lII inviò a Vittorio Emanuele lI , a proposito della conclusione della tregua: << Mio sign or fratello, Appresi con piacere che V.M. ha aderito a ll 'armistizio ed ai preliminari di pace firmati tra il Re di Prussia e l'Imperatore di Austria. ,, E ' dunque probabile che una novella ~ra di tranquillità si aprirà per l'Europa. V.M. sa che ho accettato l'offerta del Veneto per preservarlo da ogni devastazione e prevenire un' inutile effusione di sangue. << Mio intento fu sempre di renderlo a sé stesso, onde l'Italia fosse libera dalle Alpi all 'Adriatico. << Padrone del suo destino, il Veneto potrà quanto prima col suffrag io universale esprimere la sua volontà. ,, V.M. riconoscerà che in questa circostanza l'azione della Francia si è ancora adoperata in favore dell'umanità e dell' indipendenza dei popoli. Rinnovo, ecc. ecc.
«
<<
Saint Cloud,
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Napoleone ».
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«
Per le truppe austriache: « a) l'attuale confine lombardo - veneto dal lago di Garda
al Po; b) il Po fino ad un chilometro al di sotto d'Ostiglia e di là una linea retta fino a 7 chilometri e mezzo, al di sotto di Legnago, sull'Adige, presso Villa Bartolomea; « e) il prolungamento di detta linea fino alla Fratta, la sponda destra di questo corso d'acqua fino a Pavruano, di là una linea che per Lobbia va al confluente del Chiampo coll' Al pone: quindi la sponda destra di quest'ultimo si no alla cima Tre Croci al confine politico; << d) il confine politico dallo sbocco del fiume Ausa Porto Buso fino presso Villa. Indi un perimetro di 7 chilometri e mezzo, intorno alle opere esterne di Palmanova, il quale, cominciando a Villa e passando tra Gonars e Morsano, termina a Percotto Torre , la sponda sinistra del torrente Torre fino a Tarcento, e di là per Prato Magnano a Salt fra Oropo e Gemona. « Al Tagliamento, la sponda sinistra del T agliamento sino al piede del Monte Cretci, ed il dorso dei monti che separano le valli di San Pietro e il Gorto fino al Monte Coglians sul confine politico; « e) intorno al forte Malghera un perimetro di 7 chilometri e mezzo. Il Governo italiano è in facoltà di valersi della parte della ferrovia da Padova a Treviso compresa in tale perimetro; << f) lo stesso perimetro di 7 chilometri e mezzo intorno alle altre opere di fortificazioni esterne di Venezia. Nelle località alle quali non si estendono uno di questi perimetri, la laguna, e se esistono canali esterni in prossimità di questi, la sponda interna dei canali stessi. « Il forte di Cavanella d'Adige non sarà occupato né dall 'una né dall 'altra truppa. << La navigazione del canale di Loreo e del Po di levante sarà libera. « Per le truppe italiane: « g) i limiti di ,tutte le parti del Veneto che non sono occupate dalle truppe austriache. «
<<
3° - L'approvvigionamento di Venezia sarà libero.
« 4°
- L 'accesso ne' territori riservati alle truppe austriache è
interdetto alle truppe regie ed ai volontarii italiani. Egualmente alle
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truppe imperiali ed ai volontarii austriaci è interdetto l'accesso ne' territorii riservati alle truppe italiane. « E' però fatta facoltà agli ufficiali di un esercito di attraversare per ragioni di servizio il territorio riservato all'altro, mediante scambievole accompagnamento. « 5° - Si farà il reciproco scambio dei prigionieri; l'Italia li consegnerà in Peschiera e l'Austria in Udine.
« 6° - Gli impiegati italiani che si trovano nei territorii occupati dalle I.R. truppe non saranno molestati, e non lo saranno reciprocamente gl'impiegati militari austriaci in ritiro, che si ritrovano nei territorii occupati dalle truppe italiane. « 7° - E' ammesso il ritorno degli internati d'ambo le parti: però non potranno entrare nelle fortezze occupate dalle truppe del Governo dal quale furono internati » .
* * * Durante le trattative, fu telegrafato l'ordine di sgombrare il Trentino al Medici ed a Garibaldi. Questi, che, dopo la giornata di Bezzecca, si disponeva a marciare su Trento, rispose semplicemente <<Obbedisco», e ripiegò con i suoi volontar1 verso Vestone.
LA PACE DI PRAGA.
Il 23 agosto, a Praga, venne conclusa la pace fra la Prussia e l'Austria. Questa si obbligò a riconoscere la fine della Lega germanica, tutti i mutamenti territoriali e tutte le nuove istituzioni statali che sarebbero state create negli Stati tedeschi del nord; a cedere alla Prussia tutti i diritti su lo Schleswig - Holstein, nonché a pagare un'indennità di guerra di mo milioni di lire. Dopo la pace, alla quale parteciparono anche gli Stati germanici sconfitti , vennero costituite le due leghe: degli Stati del nord e di quelli del sud. L'egemonia prussiana sugli Stati germanici del nord era stata esplicitamente riconosciuta; su queJli del sud la Prussia doveva facilmente conseguirla, guidata com'era daJl'acume politico del Bismarck, accontentandosi di modeste indennità, non imponendo mutamenti territoriali, e stringendo con gli altri Stati tedeschi quel-
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l'alleanza offensiva e difensiva che doveva riuscire pm così efficace nel rendere possibile e sicura, nel 1870 - 71, la vittoria della Germania contro la Francia e la proclamazione dell'Impero germanico.
LA PACE DI VIENNA.
A Vienna, il 3 ottobre, il nostro plenipotenziario , generale Menabrea, fumò il trattato di pace italo - austriaco. Questo determinò 11 nuovo confine fra le due Potenze secondo la frontiera amministrativa stabilita già nel 1815, tra il Lombardo - Veneto e l'Impero austriaco; stabilì in 87 milioni e mezzo di lire la quota di debito pubblico che doveva venire assunta dall'Italia per la Venezia, e riconobbe infine la cessione del Veneto all'Italia, cessione effettuata per il tramite della Francia . . Il 21 ottobre gli abitanti della Venezia si pronunciarono all'unanimità (1) per l'annessione del Veneto al Regno d'Italia, ed il 7 novembre 1866 Venezia poté accogliere trionfalmente il Re Vittorio Emanuele li.
(r) Nell 'apposito plebiscito, hen 647.246 cittadini votarono per l'annessione e soltanto 69 si dichiararono contrarì.
PARTE SECONDA
ALTRI SCRITTI
UTILITA' DELLA STORIA MILITARE*
I negatori dell'utilità della Storia basano la loro convinzione su due argomenti che, anche se possono sembrare giusti e fondati a prima vista, non reggono, a nostro parere, ad un esame ponderato ed al confronto con la realtà e, per conseguenza, non possono portare che a conclusioni errate. Il primo si basa sulla profonda modificazione indubbiamente oggi imposta alle forme de1Ja guerra dal perfezionarsi e dal moltiplicarsi delle armi, dei mezzi di trasporto e dei mezzi di comunicazione, che ora rendono sempre più grandioso il concerto terribile delle battaglie e che, aumentando sempre più la mobilità e la celerità delle masse armate, agiscono con crescente efficacia sullo spazio e sul tempo delle operazioni belliche. Il secondo argomento viene suggerito dal fatto che la guerra - non più provocata da ragioni dinastiche o da diversità di religioni o da bisogno d'indipendenza; ma da cause economiche, dalle quali dipende l'esistenza stessa dei popoli - è troppo mutata nei suoi motivi, nei suoi aspetti e nelle sue conseguenze, perché l'esperienza del passato possa riuscirci utile anche nel presente, nel quale la lotta non si limita più alle forze armate; ma si estende a tutto il popolo, ne consuma tutte le risorse e ne impiega tutte le energie. Cominciamo col rispondere alla prima obiezione e facciamolo con le stesse parole di un nostro non dimenticato maestro: il generale Arturo Vacca Maggiolini: << Ogni guerra ha indotto i più - scriveva egli nel 1926 (1) - nell'errore che tutti i precedenti principf fossero mutati e che un'epoca assolutamente nuova, originale, incominciasse per la condotta delle operazioni. Dopo la guerra anglo - boera, parve finito per sempre il prevalere dell'offensiva, finito il regno dell'arma bianca; il corpo a corpo non si sarebbe visto mai più. Gli Stati Uniti giunsero sino ad abolire la baionetta; ma la teoria era errata. Le deduzioni tratte da
• Dalla Premessa al volume I della Storia delle Fanterie italiane, Le Fanterie di Roma, Roma, T9SO, pagg. XIX - XXIX. (r) VACCA MAGGIOLINI: La guerra nei se::oli XVIII e X IX .
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quella sola guerra non potevano aver base sufficiente per prendere decisioni così estreme e, del resto, uno studio più approfondito avrebbe provato che se ne erano esagerati alcuni caratteri. Difatti i Giapponesi, pochi anni dopo, seppero ridare il primato all'offensiva e riportare la baionetta all'alto posto in cui l'aveva collocata lo Scobelew. « Se il progredire delle scienze e dell'industria ha offerto ed offrirà sempre nuovi e più potenti mezzi all'arte militare, non per questo - e qui sta l'essenziale - mutano i grandi principi della guerra. Questi permangono invariati attraverso i secoli; si dimenticano nei tempi di decadenza <lell 'arte; ma, quando la guerra è fatta da chi veramente la comprende, i vecchi principi sono tolti dall'oblio e tornano in onore. « La ragione di tale costanza dei principi direttivi che regolano la lotta armata sta nel fatto che, col mutare dei tempi, il fenomeno della guerra muta soltanto in alcune delle sue manifestazioni; ma permane in quelle più profonde, che sono più difficili ad intendere ed a padroneggiare c che riguardano, non il m ateriale, ma l'uomo "· Del resto basterebbe citare, in proposito, quanto scrisse lo stesso Napoleone Buonaparte nelle sue (( Memorie)): « Ogni guerra ben condotta è una guerra metodica. I principi della guerra sono quelli che hanno diretto l'azione dei grandi capitani di cui la Storia ci ha trasmesso le alte gesta: Annibale, Cesare, Gustavo Adolfo, Turenna, il Principe Eugenio di Savoia, Federico il Grande ... Lo studio delle loro campagne, fatto con cura, sarebbe un trattato completo dell'arte bellica: i principii che si devono seguire nella guerra, sia offensiva, sia difensiva, ne fluirebbero come da una sorgente . .. « Fate la guerra come Alessandro, Annibale, Cesare, Gustavo Adolfo, Turenna, il Principe Eugenio e Federico; leggete e rileggete la storia delle loro campagne: è questo il solo mezzo per diventare grandi capitani e per sorprendere i segreti dell'arte». Ma, oltre che col citare il pensiero degli altri, riteniamo opportuno rispondere alla lamentata obiezione col nostro stesso ragionamento, per dimostrare che se, nelle compagini militari, i fattori materiali hanno acquistato, con le nuove armi ed i nuovi mezzi, una crescente importanza, la Storia può essere ancora feconda di preziosi insegnamenti per quanto si riferisce ai fattori spirituali ed intellettuali, la cui preminenza, nell 'efficienza delle forze annate, non si può certo negare.
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La guerra, come è noto, è un severo, sanguinoso confronto di forze spirituali, intellettuali e materiali. Per conseguenza - facendo astrazione dal terreno che, più che elemento del1a lotta, è l'ambiente nel quale questa si svolge, e trascurando gli avvenimenti casuali, come quelli che, essendo estranei alla volontà umana, non possono costituire speciale materia di studio noi dobbiamo ricordare che i fattori, dai quali deriva in ogni tempo la risoluzione dei conflitti armati, sono appunto quelli spirituali, intellettuali e materiali. I fattori spirituali, ai quali la Storia c'invita ad attribuire sempre la maggiore importanza e che hanno un così grande valore specialmente per la Fanteria, sono rappresentati dal complesso deJJe aspirazioni, delle energie morali, dei sentimenti, per l'influsso dei quali i popoli ritengono a volte necessario interrompere le opere feconde della pace per affrontare i disagi, i sacrifici, i pericoli della guerra e possono dimostrarsi, rispetto agli avversari, più decisi ad offrire alla mutevole Dea della Vittoria, per ottenerne il favore, un maggior tributo di valore, di sofferenze e di sangue. Ora, in un esercito del presente, veramente nazionale e quindi emanazione diretta del popolo, negli attuali organ ismi militari a ferma breve, non è certo possibile infondere nei soldati quella salda volontà di superare ogni prova, quella capacità di sacrificio e quel disprezzo del pericolo che sono indispensabili a vincere, ove a compiere gli altissimi doveri verso la Patria i giovani non sieno stati già efficacemente preparati presso lo stesso popolo del quale rappresentano la forza più valida. Deve considerarsi per conseguenza ovvio come, per poter fare sicuro affidamento su q uesto fattore di vittoria più d'ogni altro efficace, l'esercito debba avere la più fervida collaborazione del Paese. I fattori intellettuali trovano, invece, la loro più alta espressione nelle qualità, affinate dalla cultura, del Comandante e dei Capi di un esercito. E', infatti, lo stratega che, in base alle notizie che possiede sul nemico, agli ammonimenti della Storia e dell'esperienza, alla conoscenza di tutti i molteplici dati, dai quali deriva la soluzione dei gravi problemi imposti dalla situazione, addita alle forze annate che da lui dipendono i più importanti obiettivi, determina le operazioni necessarie a conseguirli e, poiché lo scopo principale di un esercito in guerra deve essere sempre la distruzione delle forze dello Stato avversario, concepisce e dirige le manovre atte a rendere, anche sul campo di battaglia, meno difficile la vittoria decisiva.
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Dei fattori intellettuali fanno parte - e parte importantissima anche la preparazione generale e tecnica dei quadri, chiamati a guidare i loro reparti nell'attuazione degli ordini dei comandanti superiori , rispetto ai quali gli ufficiali di un esercito odierno non rappresentano soltanto esecutori passivi ; ma debbono essere collaboratori consapevoli, intelligenti e capaci. Ora, come noi stessi abbiamo avuto già occasione di affermare (I), la cultura tecnica militare non è che un innesto, la cui vita ed il cui svi luppo derivano direttamente dalla robustezza e dalla vitalità del tronco sul quale esso si effettua: cioè dalla cultura generale, che i giovani hanno acquistato frequentando le scuole civili. Per conseguenza, più alto sarà il livello culturale raggiunto nella nazione, più sicura sarà la speranza di avere ufficiali capaci di adempiere alla loro missione, graduati ai quali affidare con meritata fiducia i più piccoli reparti , e specialisti per tutte le macchine che, in misura sempre crescente, servono ad aumentare l'efficienza delle forze armate. I fattori materiali, infine:, vcngon0 rappresentati dalla forza numerica, dalla quantità indipendentemente dalla qualità, dai corpi senza le anime dei combattenti; e sono oggetto di quelle leggi dell'organica militare che, prescrivendo la generalità dell'obbligo al servizio, la sua durata, il tempo delle ferme in relazione alJo sviluppo demografico ed alle possibilità economiche dello Stato, concorrono a creare la forza numerica degli eserciti. Fra i fattori materiali vanno, inoltre, compresi anche tutti quei mezzi, ormai innumerevoli, necessari all'efficienza delle forze armate ed allo svolgimento delle operazioni militari; mezzi che, raccolti dall'organica ed impiegati dalla logistica, dall a tattica e dalla strategia, sono: - - di vita, e quindi interessano tutte le risorse di cui può disporre il Paese; - di lotta: quali gli ordigni destinati a moltiplicare la forza dell 'uomo in quell'opera di distruzione e di . strage, con la quale inesorabilmente si svolge la guerra ; mezzi tutti che derivano, nel loro complesso, dallo sviluppo econo!]lico, industriale e commerciale della nazione e dai progressi in essa conseguiti dalle scienze ;
(1) E. ScALA: Lo studio della Storia del Risorgim ento flefle scuole medie, comunicazione fatta al X II Congresso naz ionale della Società per la Storia del Risorg imento.
UTILITÀ DELLA STORl i\ MlLITi\RE
di trasporto: ferrovie, navi, aeromobili , autocarri, carreggi a trazione animale, imbarcazioni per le vie fluviali , ecc.; - di comunicazione: apparecchi telegrafici, telefonici, radio, apparati ottici e via dicendo. Ora, per tutti i fattori determinanti della vittoria come della sconfitta, riesce, noi crediamo, ben chiaro che, nell'assicurare alle forze armate tutti i mezzi necessari alla loro efficienza, finiscono con l'intervenire tutte le attività dell'intera nazione, la quale deve sempre ricordare che - come ammoniva Niccolò Machiavelli - << tutte le arti che si ordinano in una civiltà, per cagione del bene comune degli uomini, tutti gli ordini fatti in quella, per vivere con timore delle leggi e di Iddio, sarebbono vani , se non fossero preparate le difese loro » ( 1 ). I diversi fattori dell'efficienza bellica - che soltanto per un'opportunità, che ci permetteremmo di dire didattica , abbiamo enumerato come distinti - sono però sempre da considerare, nel rapporto delle forze complessive dei belligeranti, intimamente e costantemente collegati da vincoli molteplici e da reciproche relazioni; ed, a questo riguardo, reputiamo superfluo indugiarci nella citazione degli esempi storici , i quali bene ci ricordano come eserciti , moralmente saldi e ben forniti di tutti i mezzi materiali indispensabili, siano stati sconfitti perché posti agli ordini di comandanti incapaci e di ufficiali non idonei a svolgere l'azione di comando loro spettante; come sia ancora più spesso toccata l'onta della disfatta a truppe ben comandate e potentemente armate, nelle quali , per la deficienza <lei fattori spirituali, le anime dei soldati non si siano trovate salde ed unite nell'ora del pericolo od, infine, come il successo sia mancato anche ad eserciti fiduciosi nella vittoria, fermamente decisi a conseguirla e guidati da capi intelligenti, soltanto per una troppo grave insufficienza e per una palese inferiorità dei mezzi materiali. La già accennata distinzione fra i diversi fattori dell'efficienza delle forze armate rappresenta un'indispensabile premessa per le considerazioni tendenti a contrapporre la nostra opinione sull'utilità e sulla necessità degli studi storici a quella dei non pochi intellettuali che, abituati a chiedere alle macchine l'obbedienza ad ogni loro pensiero e ad attribuire ad esse una preminente importan za, ritengono che la Storia non pnssa più essere, specialmente per quanto si riferisce ( ,) N.
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M ACH IAVELU :
Proemio all'arte della guerra.
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alJa guerra ed all'impiego delle forze militari, « maestra della vita », come l'aveva definita, venti secoli or sono, Marco Tullio Cicerone. Se il presente, infatti, ha già contrapposto alle macchine da guerra degli antichi eserciti i moderni carri armati; alle sarisse dei Macedoni, ai giavellotti dei Romani ed alle frecce dei balestrieri, i moderni fucili e le mitragliatrici; alle antiche baliste i cannoni a tiro rapido ed a grande gittata; alle prime imbarcazioni di Giasone e di Glauco le attuali navi fasciate di acciaio e pronte ad ogni offesa; alle vaganti mongolfiere i dirigibili ed i sempre più veloci e Potenti aeroplani, possiamo sicuramente prevedere che l'avvenire, portando a sempre nuove, impensate scoperte, vedrà aumentare l'importanza dei fattori materiali e fatalmente modificarsi, se non l'essenza della guerra, le possibilità logistiche, i procedimenti tattici , la rapidità delle manovre e tutte le forme della lotta armata. Noi non intendiamo, infatti, mettere in dubbio i progressi della scienza e l'importanza dei nuovi mezzi di lotta e, se fossimo convinti che l'efficienza militare Potesse dipendere soltanto dai fattori materiali, se supponessirno veramente p<>ssibile una completa sosti-
tuzione, negli eserciti contrapposti , delle macchine agli uomini, dubiteremmo senza dubbio anche noi dell 'utilità della Storia. Ma, poiché, nelle forse inevitabili guerre del futuro, anche quando si saranno moltiplicate ancora di più le armi e le macchine, avranno sempre preminente importanza i fattori intellettuali e spirituali, la Storia potrà ricordarci ancora, a nobilissimo esempio, le magnanime figure dei condottieri , le cui concezioni e le cui gesta non furono certo meno grandiose e meno ardite di quelle del presente, ed i popoli, che già seppero difendere il loro onore, la loro indipendenza e la loro stessa vita con una così tenace concordia e con una tale prontezza ad ogni sacrificio, da vincere anche eserciti meglio armati e numericamente più forti . Quando si ricordi, infatti, Annibale cd il suo grandioso disegno di attraversare la Spagna, oltrepassare i Pirenei, valicare le Alpi e scendere in Italia, raccogliendo intorno al suo piccolo esercito i popoli italici già diffidenti od ancora ribelli alla giovane forza di Roma; quando si pensi alla perizia militare ed all'acume politico con cui Cesare sottomise la Gallia, invase la Ilritannia e debellò in Africa gli ultimi resti delJ'esercito pompeiano; qualora si svolga il pensiero a Gustavo Adolfo di Svezia, ad Eugenio di Savoia, a Federico II di Prussia ed a Napoleone Buonaparte e si ricordino i loro disegni operativi, non si può certo dubitare che tutto quanto riguarda le ardite concezioni strategiche o tattiche dei Capi militari del passato, si ri-
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pete e si ripeterà sempre anche nell'avvenire e che, almeno in questo, la Storia riesce ancora feconda di utili insegnamenti, ritrovando le leggi, illustrando i principi, rimettendo in onore i consigli che possiamo trovare nelle (< Memorie » dei più grandi Capitani. Il cervello dell'uomo ha potuto essere, infatti , affinato attraverso i secoli dalla maggiore cultura ; ma non ha aumentato la sua potenza creativa; tanto è vero che alcun poeta moderno può essere ritenuto superiore a Dante, che pur sorse nell'oscuro medio evo; alcun artista attuale può essere paragonato a Raffaello ed a Michelangelo, alcuno scienzato ha potuto superare Leonardo da Vinci e Galileo Galilei. Per conseguenza, per quanto ha attinenza coi fattori intellettuali, dobbiamo convenire che è appunto il passato che può illuminare il presente ed efficacemente guidarci verso l'avvenire. Consapevole di questa verità, Napoleone I, già prossimo a morire, sognava a Sant'Elcna di poter ritrovare nell'al di là tutti i grandi Capitani del passato e di rievocare con loro le gesta da ciascuno compiute ; ed , appunto perché convinti dell 'utilità degli studi storici, i Capi militari, n ell'accingersi ad ogni campagna, presero sempre in esame gli esempi del passato e le soluzioni già trovate per gli stessi problemi dai predecessori, così che anche ai giorni nostri le concezioni degli strateghi traggono ancora ispirazione da lluellc di Annibale, di Scipione l'Africano, di Cesare e di Napoleone. Un ragionamento analogo ed una analoga conclusione valgono anche per i fattori spirituali. Se la civiltà, nel suo costante progresso, ha potuto influire sul singolo uomo, educandolo e migliorandolo, essa ha ben poco influito sulle collettività umane, nelle quali gli istinti hanno ancora ed avranno sempre il sopravvento ogni qualvolta esse siano trascinate verso una difficile conquista o qualora siano sottoposte ad una grave prova e ad un improvviso pericolo. Agli indomabili impulsi che ancora governano i sentimenti delle folle umane non si sottraggono, se non in piccola parte, per virtù della disciplina, le masse armate, sempre capaci di subire smarrimenti improvvisi e di conseguire insperate vittorie, sempre sottoposte agli stessi bisogni morali e dominate dagli stessi istinti, sempre sensibili agli stessi incitamenti, atti ad esaltarne le vi rtù ed a meglio cementarne la compagine, così che le sobrie allocuzioni di Cesare somigliano perfettamente ai proclami di Federico II, ai bollettini di guerra n apoleonici, agli ordini del giorno di quasi tutti i condottieri italiani, inglesi , francesi, americani, russi, che furono gli attori principali della prima e della seconda guerra mondiale. ·
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Per conseguenza, se il presente e l'avvenire hanno imposto ed imporranno una trasformazione sempre più profonda cd un accrescimento sempre più notevole delle armi e dei materiali, sono rimasti e rimarranno sempre preminenti, nel procurare la vittoria, quei fattori intellettuali e spirituali, nell'esaminare il decisivo influsso ~ei quali, gli _studi storici possono offrirci ancora e sempre una guida sicura e prez10sa. Sebbene la Storia non possa suggerire esempi per ogni caso particolare, rimedi per ogni male, idee per ogni singolo episodio, essa può, infatti, fornirci i suggerimenti che scaturiscono dalle concezioni dei grandi Capi militari e permetterci di misurare, attraverso 1c gesta delle compagini armate del passato, gli sforzi che potremo richiedere alle energie morali dei futuri reparti. E veniamo alla seconda obiezione di coloro che negano ormai ogni utilità alla Storia militare. Finite, ma non dd tutto, le guerre di religione, compiuta la lunga serie di quelle dinastiche, risuhe, almeno per i popoli più forti, tutte le questioni di nazionalità - salvo quelle che anche gli ultimi trattati di pace hanno lasciato insolute e perfino inasprito -, le cause delle guerre, da quella russo - giapponese dd 1904 al conflitto mondiale del 1914 ed a quello del T939, ebbero, è vero, in questo secolo, ed avranno sicuramente anche nel futuro, un carattere squisitamente economico. Per conseguenza, come abbiamo visto durante la prima guerra mondiale e più ancora nella seconda, gli eserciti ed i popoli scenderanno in campo: non più per risolvere questioni che si possano comporre con la rinunzia ad una fortezza, ad una città, ad una Provincia; ma per conquistare i mezzi necessari alla loro stessa esistenza; per assicurarsi le condizioni indispensabili al rendimento del lavoro, le materie prime cd i mercati per la produzione ed il maggior spazio necessario al loro sviluppo demografico. La guerra tende e tenderà dunque ad essere la continuazione di una pol{tica sospinta da necessità più impellenti e chiamata a risolvere problemi più ardui e rappresenterà ancora, purtroppo, l'ultima ratto almeno nelle competizioni che, riferendosi, non soltanto all'i ntegrità morale degli Stati ed a quella materiale dei loro territori, ma anche e soprattutto alla vita presente ed all'avvenire delle nazioni, non potranno essere risolse che con le armi. Ma, anche sotto questo aspetto, i conflitti bellici, nelle loro cause più profonde, nei loro scopi, nelle energie che richiedono, non sono
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troppo dissimili da quelli del passato ed anzi presentano particolari analogie con la guerra dell'antichità più remota, nella quale i popoli, con le improvvise invasioni e le cruente sovrapposizioni di cui ancora ci parla la leggenda e la Storia, dovettero muovere alla ricerca cd alla conquista di nuove terre, spinti dalle necessità del loro presente e dalle aspirazioni per il loro avvenire. Appunto per questo, nell'ultimo capitolo, aggiunto dopo il primo conflitto mondiale alla sua << Introduzione allo studio della Storia militare », Domenico Guerrini ammoniva di tornare all'esame delle antiche emigrazioni dei popoli che, anche nel lontanissimo passato, tentavano, proprio come nel presente, di conquistare, se non lo spazio necessario aJla loro vita, migliori condizioni per la loro esistenza, materie ~rime per il loro lavoro, nuovi proficui mercati per i loro commerci. All'evoluzione verificatasi nelle cause e, per conseguenza, negli scopi delle guerre, un 'analoga evoluzione ha corrisposto, è vero, anche nella preparazione delle forze armate, per quanto riguarda la loro org:m izzazionc, le loro armi cd il numero c!t'.i loro r:omh:1ttenti. I figli della Patria « sol di rabbia armati », vittoriosi a Walmy contro i soldati del Brunswick, avevano dimostrato possibile e necessario - come due secoli prima avevano già insegnato in Ital ia Niccolò Machiavelli ed Emanuele Filiberto di Savoia - il ritorno agli eserciti nazionali. Ritorno che, pur offrendo agli Stati una difesa più sicura, non riuscì ad eliminare completamente quella distinzione fra cittadini e soldati, per la quale, se i conflitti armati imposero anche ai civili ansietà, sofferenze e miserie, soltanto alle forze militari dei diversi popoli essi minacciarono i pericoli della lotta armata, attribuirono la responsabilità delle sconfitte ed offrirono il vanto de Ile vittorie. Tale distinzione non può più sussistere nel presente, nel quale un popolo, chiamato a difendere l'indipendenza, la religione e la sua vi ta stessa, deve essere convinto che vana sarà ogni speranza di vittoria, qualora esso non impegni, per conseguirla, tutte le sue risorse demografiche, economiche, finanziarie, industriali ed agricole, poiché - come dimostrano concordemente tanto le più antiche che le più recenti - le guerre non potranno essere che lotte decisive e conflitti tendenti alla rapida, completa distruzione morale e materiale dei popoli nemici. Qualora si considerino, infatti, le masse delle forze armate odierne, non si può non ricordare come, in appena un secolo e mezzo, le piccole Divisioni dell'Armata d 'Italia, con le quali il Buonaparte
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conseguì, nel 1796, le sue prime vittorie; l'Armateli a di nserva, con cui il Primo Console capovolse improvvisamente, nel 1800, a Marengo, la situazione degli eserciti francesi ed austriaci nella penisola; i 35.000 Sardo - Piemontesi che, nel 1848, iniziarono coraggiosamente la prima guerra per la nostra indipendenza, si siano trasformati in Armate ed in Gruppi di Armate, forti di centinaia di migliaia di soldati ed in eserciti che, raccogliendo tutte le possibilità demografiche della nazione, hanno contato, nei più recenti conflitti, milioni e milioni di combattenti. Gli innumerevoli soldati delle guerre future, forniti di sempre più formidabili mezzi, costituiranno forse masse ancora più imponenti e più celeri, impiegate da capi arditissimi nelle manovre più audaci, contro le forze e contro i centri vitali dello Stato nemico, poiché, nel terribile duello che non consente esclusione di colpi, essendo in giuoco l'esistenza stessa della nazione, alcun necessario sacrificio di vite e di ricchezze potrà sembrare infecondo sperpero di sangue prezioso e di inestimabili beni. E ciò tanto più, in quanto la ricerca della vittoria, il bisogno di conseguirla al più presto ed in ogni campo, la possibilità di gettare nella fornace ardente sempre nuove energie e di impiegare mezzi sempre più perfezionati, finiranno probabilmente col costringere i popoli a dimenticare i patti stabiliti nei sereni giorni della pace; romperanno tutti i vincoli, compresi quelli derivanti dal timore delle sanzioni morali e delle rappresaglie, renderanno lo sforzo bellico tanto più imponente, in quanto le mète perseguite saranno reputate più necessarie. Ma, se questa apocalittica visione - conseguenza dell'accresciuta mole degli eserciti e del perfezionarsi e del moltiplicarsi dei mezzi materiali - si riferisce all'avvenire, essa ci ricollega non meno efficacemente anche col passato, per quanto riguarda il cuore e la mente degli uomini; nonché gli aspetti ed i caratteri di una lotta, nella quale si impegnano ormai, proprio come nelle guerre più antiche, non soltanto le forze armate di uno Stato, ma tutti gli strati sociali e tutte le risorse di un popolo. Noi possiamo dunque concludere la nostra rapida sintesi sui fattori dell'efficienza bellica e sull 'evoluzione della guerra, col riaffermare l'utilità, anche attuale, degli studi storici. La Storia - nei cui capitoli più importanti noi troveremo la conferma della nostra nobile discendenza da Roma e delle migliori tradizioni della nostra stirpe - costituisce e costituirà sempre, infatti, la base della cultura militare. Essa, specialmente con lo studio di
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quei periodi , dai quali più evidenti risultano le innegabili relazioni del passato con il presente e con l'avvenire, vincendo ogni ingiusta diffidenza e correggendo ogni incauto errore, potrà aiutarci efficacemente a formare Capi degni del Comando ed uomini di azione pronti , coraggiosi, avveduti; ci ricorderà il dovere <li essere sempre più concordi ; ci indurrà, se pure è possibile, ad amare ancor più fortemente l'Italia, ad avere fede nel suo immancabile avvenire, ad offrire il nostro contributo al compimento della sua missione nel mondo.
LE ARMI DA FUOCO E LA LORO DIFFUSIONE NEGLI ESERCITI ,x,
L 'attribuzione delle scoperte della polvere ptr1ca a Bertoldo Schwartz può considerarsi oramai una semplice leggenda, visto che le armi da fuoco dovettero essere adoperate dagli antichi Cinesi e che i Greci impiegavano, specialmente negli assed1, materie atte ad incendiare le mura e le macchine da guerra nemiche. Negli eserciti romani si usarono, con gli stessi scopi, speciali artifizi per lanciare materie incendiarie a distanza cd, anche nel medio evo, materie infiammabili, composte di zolfo, petrolio, canfora, bitume o resina, salnitro e polvere di carbone, vennero lanciate contro i combattenti nemici e contro le loro macchine da guerra: sia dagli Arabi, sia dagli Europei che, dopo avere appreso l'uso di tali proietti durante le Crociate, adoperarono ampolle di vetro o di terracotta piene di materie incendiarie, che venivano scagliate contro il nemico e che impiegarono le stesse materie , specialmente nei combattimenti navali e durante gli assedi, adoperando per il lancio anche gli archi e le balestre. Dell'esistenza di ordigni capaci di lanciare materie infiammabili abbiamo prova nella Storia delle Crociate ed anche nei « Libri della Biccherna » della Repubblica di Pisa, libri, uno dei quali nota il pagamento di 20 soldi a Orlando Johannis per << centum ùis missis querc ... ad prohivcndum ignem parabula >> . Fra i mezzi che venivano impiegati allo scopo di cui sopra, ricordiamo gli stomboli ed anche le balestre a ballotte. Gli stomboli erano, a quanto sembra, pezzi di legno vuoti, nei quali, med iante un altro pezzo di legno che agiva da stantuffo, si spingeva una pallottola di carta, imbevuta di sostanze resinose e già accesa, con una forza tale da farla pervenire ad una certa distanza. Il passaggio da questi ordigni alle armi da fuoco vere e proprie, per quanto graduale, dovette essere abbastanza rapido. Si trattava ,
* Dal volume Il della Storia delle Fanterie italiane, Le Fanterie nel medio evo e nell'era moderna, Roma, 1951, pagg. 275 - 288.
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infatti, di conseguire scopi che erano analoghi e che gli effetti sulle cose e sugli uomini già conseguiti dai proietti incendiar1 dimostravano assai importanti. Le prime armi da fuoco dovettero essere quelle pesanti e prec isamente le bombarde, le quali erano caricate dalla culatta, che veniva chiusa dal masculo o cannone ripieno di polvere. Ogni bombarda era dotata di tre mascoli. Le bombarde erano di ferro e venivano rinforzate da cerchioni dello stesso metallo, che portavano, nella parte superiore, una tacca per la mira. Esse lanciavano grosse palle di pietra e poi di ferro, avevano calibri che raggiungevano perfino i 530 mm. Nel Quattrocento le bombarde vennero fatte d i bronzo e, per il tiro curvo, cominciarono ad usarsi i mortai. Le bombarde venivano legate ad un ceppo di legno, che faceva da affusto e che venne più tar<li perfezionato con l'applicazione delle ruote. Esse erano molto pesanti e <li difficile traino. La famosa bombarda di Galeazzo Maria Visconti , costruita nel castello di Milano nel 1471 e chiamata la Galeazza vittoriosa, pesava kg 8600 ; mentre le p:11lt'. raggiungevano il peso di 640 libbre ~iascuna, tanto che un carro poteva trasportarne soltanto quattro. Per il traino della bombarda occorrevano due carri e diciotto coppie di buoi. Che l'invenzione delle armi da fu oco non potesse essere collegata, almeno in Italia, con la scoperta dello Schwartz, nato a Gossler soltanto nel 1330, viene dimostrato anche dal fatto che, nel << Libro delle Provvigioni » di Firenze, è riportato un documento in data dell ' u febbraio 1325, col quale il Governo <li quella Repubblica. nello stabilire le provvigioni per l'anno T326, autorizzava i Priori delle arti ed il Gonfaloniere di giustizia, nonché i Dodici Buoni Ramini, ad incaricare una o due persone esperte della fusione di palle di ferro e di cannoni di metallo, da impiegare poi nella difesa della città e delle terre ad essa sottoposte. Il primo autorizzato dalla Repubblica alla fusione del!e palle e dei cannoni (bombarde) fu Rinaldo di Villamagna, il quale venne nominato magister bombardarum. Un cannone primitivo venne poi impiegato nel 1356, all 'assedio di Rellangero, da Amedeo VI di Savoia, detto il Conte Verde, cd in un inventario del Comune di Bologna, in data del 2 gennaio 1397, figurano « unu m sclopum parvum a cava!ito; septem sclopos de (erro dc quibus sunt tres a manibus » . Infine, proprio nello stesso anno 1397, l'esercito dei Della Scala di Verona usava una rudimentale mitragliatrice, di cui Giovanni Cittadella ci dà particolari tali
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da farla considerare come la progenitrice degli H agelbuchse impiegati dagli Svizzeri nel 1444 contro il Delfino di Francia (poi Re Luigi X I), nella battaglia della Birsa. Ma si trattava di artiglierie molto imperfette, spesso più pericolose per chi doveva impiegarle che per il nemico; tanto che non godevano la fiducia degli stessi artiglieri, che se ne servirono, e sempre con qualche riluttanza, soltanto negli assedì e non già nelle battaglie in campo aperto. Come è noto, a malgrado della fama che già circondava le bocche da fuoco di Alfonso d'Este (1), il Machiavelli non dimostrò molta fiducia nelle artiglierie e lo stesso Guicciardini lamentava il loro tiro troppo lento. li Vasari , nelle « Vite di Giuliano e di Antonio da San Gallo n, narra dal canto suo che Giuliano da San Gallo, alla difesa della fortezza di Lorenzo il Magnifico detta la Castellina, « veggendo gli homini star lontani dalla artiglieria e maneggiarla e caricarla e tirarla timidamente, si gettò su quella e l'acconciò di maniera che indi in poi a nessuno fece male; avendo ella prima ucciso molle persone le guaii , nel tirarla, per poco giudizio loro, non avevano saputo far sì che nel tornare addietro non offendesse J> . Ma alla riluttanza degli artiglieri all'impiego delle prime bocche da fuoco ed alla sfiducia degli scrittori militari dovevano ben presto rispondere i molteplici perfezionamenti, per i quali i pezzi, distinti in cannoni, obici, mortai, falconetti , colubrine, ecc. (i primi moschetti, più pesanti degli archibugi, dovettero far parte anche essi dell'artiglieria) divennero gradatamente capaci di un tiro meno lento e più preciso ed acquistarono una mobilità sempre maggiore. Le artiglierie vennero impiegate per la prima volta in campo aperto nella battaglia di Molinella da Bartolomeo Colleoni, trainate , su affusti a ruote , da diverse coppie di buoi. Lo stesso Colleoni fece someggiare le spingarde leggere perché potessero ovunque seguire le Fanterie. Soltanto circa venti anni dopo la morte di lui, Carlo VIII di Francia ebbe buone artiglierie campali su affusti trainati da cavalli , che non si dimostrarono, però, molto efficaci nella battaglia di Fornovo.
(1) Nella battaglia <li Ravenna (1512), l'artiglieria del Duca Alfo nso <l 'Este passò rapidamente dalla destra all'estrema sinistra, dietro lo schieramen to italo spagnolo, per bat tere di fronte e di fianco l'avanzata francese. Fu guesto il primo impiego delle artig lierie campali a massa.
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Noi non ci occuperemo, dati i particolari scopi di quest'opera, delle artiglierie e ricorderemo soltanto, in rapida sintesi, i progressi delle armi da fuoco portatili. Queste, che in principio suscitarono anch 'esse l'ostilità della maggior parte dei combattenti, dati il loro tiro molto lento e poco preciso, i pericoli dell'impiego e la poca maneggevolezza delle prime armi ( 1 ), si affermarono soltanto dopo avere conseguiti successivi perfezionamenti. La prima arma da fuoco portatile dovette essere lo scoppietto, che cominciò ad usarsi nella seconda metà del Quattrocento e che era costituito, almeno al suo apparire, da un cilindro di metallo (ferro o rame), nel quale veniva inserita, come manico, una bacchetta di ferro. Per l'impiego dell'arma lo scoppettiere teneva questa bacchetta impegnata sotto l'ascella sinistra e lo sparo veniva provocato mediante l'accensione, per mezzo di una miccia tenuta a mano, della polvere da innesco, collocata in una piccola cavità , posta in corrispondenza del foro praticato nel cilindro di metallo eò :1ttr:wcrso il quale l'accensione si comunicava alla carica. Questa veniva collocata nel cilindro e debitamente compressa e su di essa veniva immessa la palla da lanciare. Si trattava, quindi, di armi ad avancarica , poco maneggevoli, dal tiro lento e molto incerto, dalla gittata molto limitata e così pesanti che, per tenere l'arma orizzontale, rivolta verso il bersaglio, era necessario appoggiare il cilindro metallico su un 'apposita forcin a piantata a terra. Più tardi , al manico, prima costituito, come già si è detto, da una bacchetta di ferro, si sostituì la cassa di legno, sagomata in modo da rendere meno incomodo il maneggio dell'arma. Poi una parte della cassa venne trasformata in calcio, che lo scoppettiere appoggiava, nell'impiegare lo scoppietto, non già alla spalla destra, ma al petto. Anche il cilindro metallico, allungandosi cd assottigliandosi, venne gradatamente trasformato in una canna, nella quale il foro per l'accensione della carica fu praticato, non più nella parte superiore ; ma, per facilitare la mira, sul lato destro, in corrispondenza dello scodellino per la polvere da innescare. L ' accen(1) Bastava un po' di umidità per rendere gli archibugi temporaneamente inservibili . .Frequenti erano inoltre gli inconvenienti ch e si verificavano nel caricare quelle armi . li Hrantome, nella sua opera Courennels franrois ricorda che molti archibugieri restavano fer iti alla g uancia destra ed al naso. L 'Ariosto, nell'Orlando Furioso chiama l'archibugio cc abominoso ordigno ».
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sione di questa avveniva sempre per mezzo della miccia ; ma questa, invece di essere tenuta dallo stesso scoppettiere, veniva sorretta da un ordegno a scatto che la metteva a contatto con l'innesco. Il sistema di sparo fu detto, in queste armi, a serpentino. Dallo scoppietto che, per la sua imperfezione, non poté certo diffondersi negli eserciti del tempo, si passò gradatamente all'archibugio e poi al moschetto e quindi al facile. L 'archibugio fu uno scoppietto alquanto perfezionato e subì anch'esso successive modificazioni che, perfezionandolo sempre più , permisero, ad esempio, di passare dall 'archibugio a miccia a quello a ruota. Esso poté quindi diffondersi, nel corso del seco!o XVI, anche negli eserciti, che poterono costituire appositi reparti di archibugieri. Questi portavano a tracolla una bandoliera, alla quale erano appese le cariche di polvere già preparate, in modo da abbreviare il tempo necessario per i] caricamento. Dalla bandoliera pendeva anche il sacchetto per le palle; mentre alla cintura dell'archibugiere restava impegnata la fiasca per la polvere. Dalo il pe!-io Jdl 'archibugio, era ancora necessario, per adoperarlo, la forcina di sostegno; forcina che rimase indispensabile quando all'archibugio si sostituì il moschertto, notevolmente più pesante; ma capace di un tiro meno impreciso e di una gittata meno breve. Alla fine del secolo XVI vennero armati di moschetto reparti di moschettieri che, come era già avvenuto per gli archibugieri , costituirono quella specialità della Fanteria, alla quale venne affidata l'azione lontana; mentre ai picchieri rimase l'azione vicina e quella di urto. Col perfezionarsi e col diffondersi delle armi da fuoco, il numero degli archibugieri prima e dei moschettieri dopo aumentò gradatamente, finché la loro proporzione rispetto ai picchieri nelle Fanterie, da un decimo, quale era in principio, finì per raggiungere la metà dei Fanti. Questa affermazione delle armi da fuoco portatili avvenne gradatamente e non senza la necessità di vincere la diffidenza dei Fanti, diffidenza che, nel 1510, era ancora così profonda, che uno scrittore, Giacomo di Grassi, nel suo libro « Ragione di adoperare sicuramente l'arme », pubblicato a Venezia nello stesso anno, esalta ancora la picca come l'arma più sicura della Fanteria del tempo. « Siccome - egli scrive -- la sola spada, fra tutte le armi che si portano a canto, è la più honorata, come quella che manco inganni riceve che niun'altra, così, tra le armi d 'hasta, la picca è la più sincera, la più honorata e nobil'arm a di ciascun'altra J>.
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Dal moschetto si passò quindi al facile , detto poi fucile, nel quale l'accensione dell'innesco veniva provocata, non più per mezzo della miccia ; ma mediante un cane o percuotitoio, che batteva sull'innesco una pietra focaia. Fu appunto l'uso di questa pietra che suggerì il nuovo nome dell'arma. I perfezionamenti neLle anni da fuoco portatili , ai quali abbiamo sommariamente accennato, si riferiscono quasi tutti al modo di comunicare il fuoco alla polvere da innesco. Essi servirono, quindi , come l'uso di preparare le cariche in precedenza, a rendere il tiro meno lento. Contemporaneamente, aumentando la lunghezza Jdla canna, si cercò di aumentare la gittata e, sagomando sempre meglio la cassa, si rese l'arma più maneggevole. Con l'andare del tempo fu poi gradatamente perfezionata anche la polvere da sparo, per renderla meglio atta ad imprimere alla pallottola una maggiore velocità iniziale e quindi una maggiore forza di penetrazione. Qualità, quest'ultima, particolarmente importante per colpire i Cavalieri , nonostante le loro armi difensive sempre più spesse e sempre piì1 pesanti. Secondo quanto egli stesso scrisse nc::lla sua autobiografia, anche Benvenuto Cellini fece accurate ricerche sulla proporzione più opportuna dei vari ingredienti nella composizione della polvere e nel raf fìnarla. Nel tentare di raggiungere questi scopi, intervennero perfino l'astrologia e la superstizione, come dimostra lo strano consiglio che dava Buonaventura Pistofìlo, il quale, nella sua « Oplomachia », pubblicata a Siena nel 162I, affermava che, ,, mettendo tra la paila e la polvere il segno significante il primo e l'ultimo della luna, che sia dominato da qualsivoglia pianeta, eccetto di Mercurio e del Sole (sic!), ma, per fare effetto maggiore, sia dominato o da Saturno o d a Venere, si vedrà effetto tale, che non sarà arma difensiva che resistere possi )) . La diffusione delle armi d a fuoco, che ormai permettevano ai Fanti di abbattere i cavalli ed i Cavalieri , indussero questi ultimi a proteggersi contro il nuovo pericolo ed a curare sempre più le loro armi difensive, che vennero completate in modo da coprire, non soltanto le parti più vitali del corpo, ma anche tutta la persona. Nel soddisfare questa nuova necessità, si distinsero gli armaiuoli italiani e specialmente i Milanesi ed i Bresciani: i primi che, per la robustezza e la bellezza dei loro elmi, delle corazze e degli scudi, acquistarono meritata rinomanza anche all 'estero; i secondi che fabbricavano lame e spade, non meno ri nomate di quelle di Toledo.
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Se le armature del Quattrocento erano state semplici e non avevano sfoggiato molti ornamenti, quelle dei Cavalieri del secolo XV divennero sempre più complesse e più ornate, cosi da costituire pregevoli opere d'arte, il cui costo aumentò in modo tale, che dette armi furono riservate ai Principi ed ai Cavalieri più ricchi. C'erano armature da combattimento, da parata, da giostra e da duello ed in esse si poteva ammirare, non soltanto l'abilità degli armaiuoli; ma anche ] 'arte degli incisori e dei cesellatori, che resero gli elmi, le corazze e gli scudi del tempo tanto pregiati. Basta visitare 1a Reale Armeria di Madrid, dove si possono ancora ammirare le armature di Cado V , alcune delle quali fabbricate dai Negroni a Milano, ed anche la nostra Armeria di Torino, dove sono esposte le armi di Emanuele Filiberto di Savoia e quelle di molti altri Principi, per farsi un'idea dell'importanza e della perfezione alla quale erano pervenute le opere dei fabbricanti di armi. Fra gli armaiuoli milanesi più famosi sono da ricordare i Missaglia, i Negroni, i Modrone ed altri. Alcuni di essi ottennero, in compenso della loro opera, perfino titoli nobiliari e furono incaricati di approntare splendide armature anche per Sovrani stranieri, come fece, ad esempio, nel 1435, Tomaso Missaglia per Luigi XI, Re di Francia, ed il maggiore dei Negroni per l'Imperatore Carlo V. Insieme a questi artisti, le cui opere possono ancora ammirarsi nelle nostre Armerie, è doveroso ricordare anche i maestri addetti alle fabbriche d'armi, come ad esempio, Giovanni da Pampusa, specialista nella fabbricazione delle corazze; Giacomo da Cantano, armorum fabcr, Martino del Pizzo, lodato fabbricante di archibugi. Molto rinomate furono anche le fabbriche di armi di Brescia, fra le quali va specialmente ricordata, per le spade, quella di Antonio Piccinina (,) e dei suoi figli e, per le armi da fuoco , quella di Caninazzo da Gardone. Gli armaiuoli e gli spadari italiani incidevano sulle armi da essi fabbricate il loro nome od il segno del maestro od il marchio delle rispettive fabbriche e le armi potevano essere sottoposte alla prova od alla mezza prova per farne risaltare la resistenza alle diverse offese.
(T) Antonio Piccinino, morto ottantenne nel T589, fu definito dal Morig ia come « il primo uomo, non solo d 'Italia, ma anche d' Europa, per fare una lama di spada o pugnale o coltello o qualunque arma da tagliare, che tagliava ogni sorta di ferro ».
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Gli Statuti dell'arte dei corazzai e spadari .fiorentini del r325 prescrivevano che i fabbricanti di armi fornissero ai richiedenti le armi commissionate (( talia qualia promictunt, aut meliora »; mentre gli Statuti degli armaiuoli del 1410 ordinavano: (( quod quilibet magister dictae artis teneatur et debeat suum signale sive suam stampam, cum quo seu qua stampat, seu signat, seu stampare ve! signare solitus est corazas, spadas et alia arma )) e, dopo avere prescritto di depositare e di fare registrare il marchio di fabbrica, minacciano per gli inadempienti onerose multe. Dopo avere provveduto alla protezione dei Cavalieri dalle armi da fuoco , si pensò di dover proteggere anche i cavalli, con apposite barde sempre più pesanti; ma questi provvedimenti, come le complete e troppo pesanti armature dei Cavalieri, non tornarono affatto a vantaggio dell a Cavalleria poiché, non soltanto immobilizzarono il Cavaliere appiedato; ma fecero perdere all'Arma la sua principale caratteristica, che era senza. dubbio quella dell'impeto e della celerità. M a la complessità cd il peso delle armi difensive usate dalla Cavalleria divennero a poco a poco tali, da rendere, come già si è accennato, assai faticoso il combattere e da impacciare i movimenti del Cavaliere e del cavallo, così che le armi difensive dovettero abbandonare col tempo la gara con quelle offensive, rappresentate ormai dalle armi da fuoco, già sufficientemente progredite. La ricerca dell'invulnerabilità aveva tolto alla Cavalleria le sue qualità caratteristiche ed il Montaigne, nei suoi (< Saggi », deplorava, a questo proposito, che, se qualche combattente restava ucciso per un difetto dell'armatura, un numero non minore di Cavalieri si perdeva per il peso delle proprie armi; ed affermava : (< Car il semble, à la verité, à voir le poids des notres armes et leur espesseur, que nous ne cherchons qu'a nous dcffendre, et en sommcs plus chergéz que couverts ». Infatti, dopo avere invano ricercato l'incolumità nella complessità e nella robustezza delle armi difensive, la Cavalleria tentò di impiegare anch'essa le armi da fuoco restando in sella, e si ebbero gli archibugieri a cavallo, il cui primo impiego sembra dovuto a Giovanni dalle Bande N ere, che venne poi imitato in Francia da Piero Strozzi ; mentre più tardi Gustavo Adolfo di Svezia doveva cercare di disciplinare, col caracollo, la manovra dei suoi Cavalieri
LE ARMI DA F UOCO E LORO nlFF USIONE NEG LI ESERC ITI
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per impiegare le pistole (I), delle quali erano armati. Ma anche questi tentativi , nonché c.:iuelli di rinunziare a qualche parte dell'armatura, in modo da diminuirne il peso complessivo, non ebbero un successo durevole e la Fanteria con le sue armi da fuoco prevalse sempre più sul campo di battaglia; mentre, nella seconda metà del Cinquecento, la nobile arte degli armaiuoli, vanto anch'essa dell'ingegno e del lavoro italiani, cominciava a decadere. Poco più di un secolo dopo anche le picche, le alabarde e le partigiane cedettero gradatamente il posto ai fucili ed iniziarono quella decadenza che, già preannunziata dal Manesson - Mulct nel 1684 (2), doveva divenire completa e definitiva non appena, per l'invenzione della baionetta a manico vuoto del Vauban, il fucile poté ugualmente servire come arma da fuoco e come picca. La Fanteria, che era stata la prima ad abbandonare gli scudi ed a rinunziare poi gradatamente alle altre armi difensive , divenuta ormai dominatrice del campo di battaglia, poté avere finalmente un armamento omogeneo, che rappresentò, per la nostra Arma, un grande e sicuro progresso, poiché ne rese l'addestramento più rapido, l'impiego più efficace ed il coordinamento del fuoco col movimento, fino ad arrivare all 'urto, assai più facile e redditizio. Se, infatti, quando la Fanteria poté essere composta tutta di fucilieri e l'azione di fuoco venne sopravalutata, essi preferirono le formazioni sottili , gli scrittori militari del secolo XVIII non tardarono a mettere in rilievo anche l'importanza dell'urto, importanza che doveva poi essere ancor meglio dimostrata dagli impetuosi Fanti della rivoluzione.
(1) Le pistole, inventate, come vuole la tradiz ione, da Camillo Vitelli da Pistoia nel 1546, era no in orig ine piccoli archibug i, che si diffusero specie in Francia ed in Italia, e che furono utili in particolar modo alla Cavalleria. Le usarono, ad esempio, i Raitri tedeschi e gli Stradiotti di Venez ia. Soltanto nel secolo XVII le pistole furono perfezionate ed ebbero un 'impug natura a calcio. ( 2) M ANESSON - M u LET : Traux de Mars, nella quale opera l'autore scriveva : « On remarque qu'excepté dans les combats de campag ne, les piqu ie rs sont fort inutiles >•.
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INTENDENTI, COMMISSARI ED AMMINISTRA TORI NEGLI ESERCITI SABAUDI*
Il bisogno di provvedere a tutte le esigenze ed all'amministrazione degli eserciti è stato sempre sentito, nei diversi periodi della storia e presso tutti gli Stati, fin da quando la necessità delle provvidenze logistiche e dei provvedimenti amministrativi cominciò ad affermarsi come una condizione essenziale per la stessa efficienza delle istituzioni militari. Si può dire, anzi, che i problemi inerenti alla vita, al movimento, ai bisogni spirituali e materiali degli eserciti siano sorti contemporaneamente al costituirsi delle prime masse armate , come dimostrano gli esem pi , che si possono trarre, al riguardo, dalle disposizioni legislative di ogni Governo e di ogni tempo. Tali disposizioni - quasi spontaneamente suggerite dalle circostanze ed assai semplici prima, quando le esigenze militari erano le stesse dei popoli nomarli eri i vad servizi degli eserciti potevano considerarsi ancora allo stato rudimentale - vennero imposte poi da necessità sempre più evidenti e furono rese sempre più complesse, quando, per le guerre continue, l'importanza degli eserciti si accrebbe ed i loro bisogni divennero più precisi, favorendo il moltiplicarsi, ed a volte il sovrapporsi, degli organi logistici ed amministrativi. Giova ricordare in proposito alcuni esempi storici, i quali, anche se si riferiscono a tempi troppo lontani dal nostro e ad eserciti troppo diversi dagli attuali, rappresentano il frutto dell'esperienza dei nostri predecessori, fra i quali non possiamo non attribuire una particolare importanza ai Principi Sabaudi, che, come è noto, furono quasi tutti guerrieri e quasi sempre affidarono alle loro istituzioni militari il prestigio della loro Casa e la sicurezza dei loro Stati. Cominceremo, all'uopo, da Emanuele Filiberto, che Torquato Tasso considerò come il più valoroso Principe d'Italia e che bene a "' Articolo apparso sul n. 3 / 1937 della ,< RivisLa <li Commissariato e dei Servizi Amministrativi Militari ».
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ragione viene ricordato come il vero fondatore della Monarchia Sabauda, della quale seppe rivendicare i diritti e della quale riottenne tutti dominì, al di qua ed al di là delle Alpi. Ricordiamo brevemente, all'uopo, le disposizioni del vincitore di S. Quintino per l'amministrazione dell'esercito lnomina del tesoriere delle guerre: 1 ° maggio 1560 e di un « Veedorc (controllore) generale di tutte le mostre, battaglioni e gente della milizia )) : IO gennaio 1561 I e mettiamo nel dovuto rilievo il fatto che lo stesso Emanuele Filiberto vol1e assicurarsi la possibilità di produrre nei suoi Stati stessi, senza ricorrere all'estero, quanto era necessario all'esercito. E ciò specialmente per quanto riguarda le armi, con l'istituzione delle fonderie <li Vercelli, di Monmelliano e di Torino. Quest'ultima anzi poteva dirsi destinata a provvedere l'esercito delle armi, degli esplosivi, degli affusti per l'artiglieria e del carreggio. Infatti essa comprendeva, oltre alla fonderia per i cannoni vera e propria, anche una fabbrica d'armi da fuoco portatili , un'officina per le polveri e per le munizioni e disponeva di una speciale maestranza ptr la costruzione degli affusti e del carreggio. A tutta l'organizzazione suddetta presiedeva, a quanto pare, il Comandante dell'artiglieria, coadiuvato da uno speciale Contadore , il quale, per quanto riguardava le sue particolari attribuzioni amministrative, dipendeva dal Conta<lore generale delle milizie. Per quanto le guerre continue lo distogliessero da un'opera di riordinamento amministrativo veramente efficace, anche il figlio di Emanuele Filiberto, Carlo Emanuele I, volle provvedere all'amministrazione dell'esercito, la quale venne affidata al seguente personale, esclusi i segretarì ed i commessi. Vecdore
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Contadore Primi commissari - controllicri Commissar1
Tesoriere generale Tesorieri particolari Ufficiali del soldo
I contadori ed i commissari avevano affidata la stipulazione dei diversi contratti; i tesorieri e gli ufficiali del soldo dovevano, invece, provvedere ai pagamenti. Successivamente l'ufficio del Tesoriere generale venne chiamato << Ufficio del Soldo >>. Il personale sopra ricordato, durante le numerose guerre <li Carlo Emanuele I, venne notevolmente aumentato ed una parte di
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esso (commissari cd ufficiali del soldo) venne destinata a seguire materialmente gli eserciti ducali, per provvedere a tutte le necessità ed ai relativi pagamenti. Sempre nell'intento di rendere la Savoia ed il Piemonte .i ndipendenti dall'estero, per quanto riguardava l'armamento degli eserciti, anche Carlo Emanuele l diede importanti disposizioni circa l'obbligo di consegnare alle fonderie i rottami di metallo, gli appalti per la fabbricazione delle micce, la proibizione di esportare metalli . Notevole è la costituzione, sotto il Duca Vittorio Amedeo f, di un « Consiglio sugli occorrenti di guerra >> (7 dicembre 1635), che noi possiamo considerare come un vero e proprio ente centrale, << incaricato di provvedere all'equa distribuzione delle armi alle truppe, di invigilare sugli abusi che si commettevano per la leva , di fissare le somme che dovevano pagare le diverse Comunità, di verificare i conti e di vigilare sugli approvvigionamenti d'ogni spene ». Il Consiglio degli occorrenti di guerra venne soppresso il 27 febbraio 1652. Con R . « Viglietto » in data 9 aprile 1667, Carlo Emanuele II istituì un « Consiglio dcli'Artiglieria e delle Munizioni di guerra » che, presieduto dal Generale di Artiglieria, << diresse i servizi amministrativi, le fabbriche e i laboratori, provvide allo studio ed alla deliberazione su tutte le questioni tecniche dell'Arma (artiglierie, munizioni, armi, traini), compilò progetti , stabilì i prezzi ed ordinò i pagamenti relativi. Tale Consiglio ebbe frequenti rapporti con quello, già costituito nel 1635, « delle fabbriche e delle fortificazioni di S.A. )), il quale provvedeva invece alle fortificazioni ed alle munizioni di guerra. Molti dei servizi vennero affidati ad imprese private. Per il vestiario, dovevano provvedere i Corpi, i quali lo fornivano ai soldati ; i com andanti di compagnia provvedevano alle richieste relative, alla distribuzione ed al pagamento. Anche la cura degli ammalati venne affidata a medici ed a chirurghi civili. Nel 1667 venne prescritto che ciascun Comune, sede di presidio, destinasse una casa come ospedale. Questo doveva funzionare ad appalto e nei relativi contratti era stabilito che gli appaltatori dovevano provvedere a tutto quanto fosse necessario agli infermi, usufruendo in compenso dell'esenzione di alcune tasse
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e ricevendo l'indennizzo stabili to, da riscuotere presso l'Ufficio del soldo. Con norme analoghe venne regolato il servizio religioso e la fornitura del materiale di casermaggio. Notevoli riforme introdusse neJl'amministrazione dell'esercito sabaudo Vittorio Amedeo Il, riordinandola in modo da renderla più rispondente alla necessità di effettuare le maggiori economie possibili. G li organi amministrativi furono all'uopo riuniti in un ufficio solo, detto (( Ufficio Generale del Soldo» , al quale, nel 1691, vennero affidate le attribuzioni inerenti alle paghe e alla compilazione dei bi lanci militari ; nonché alla provvista dei viveri e dei foraggi ed al funzionamento del servizio sanitario. L'Ufficio Generale del Soldo venne riordinato con un apposito regolamento in data 29 giugno 1695, per iI quale fu costituito : dal Contadore, cui spettava l:1 direzione di tutti i servizi amministrativi e contabili, da alcuni segretari e dagli ufficiali del Soldo. L'Ufficio doveva compilare i bilanci, eseguire le registrazioni contabili, vigilare sul servizio sanitario, tenere esatto conto di tutte le economie possibili e di quelle già effettuate. Dall'Ufficio, organo centrale, dipendevano dei (( Commissad », i <.JUali, stando presso le truppe , tenevano la contabilità di quanto si doveva alle truppe stesse, ai vari forn itori ed ai Comuni, in compenso delle somministrazioni ricevute. Con editto del 2 1 giugno 170<) i Commissari vennero sostituiti dagli ufficiali del Soldo, i quali rappresentavano gli organi esecutivi e locali dell'Ufficio centrale. Questo a poco a poco assunse la trattazione di ogni affare e la tenuta dei conti e si suddivise in <.JUattro uffici diversi. Di essi il primo trattava dei conti generali , della parte amministrativa, del servizio delle truppe e dei contratti in genere; il secondo di tutti gli affari (ruoli, riviste, paghe, vestiario, caserme, ecc .) riguardanti la fanteria, l'artiglieria e g li invalidi ; il terzo adempiva le stesse attribuzioni del secondo per l'arma di cava11eria ed il quarto, di tesoreria, provvedeva alle riscossioni ed ai pagamenti. Nel 1717 Vittorio Amedeo II a ffidò l'amministrazione dello Stato al « Generale delle finanze », come era avvenuto già prima e, per quanto riguarda l'amministrazione militare, al Contadore generale. Il generale delle finanze presiedeva ad un << Ufficio gene-
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SE RV IZ I
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ESF.RC!T I SABAU DI
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rale delle finanze », con relativo Consiglio, dal quale dipendevano tutte le aziende economiche. Il Contadore generale, per l'amministrazione dell'esercito, continuò ad avere alle sue dipendenze l'Ufficio generale del Soldo, il quale finì per essere, nel 1730, il vero amministratore dell'esercito. Per quanto si riferisce alle artiglierie, alle armi , agli esplosivi, alle fortificazioni ed alle fabbriche militari, nel 1678 era stato ricostituito il cc Consiglio delle fabbriche e fortificazioni », il quale era a capo d ' una azienda, da cui dipendeva un personale amministrativo (Contadori, ripartiti nelle più importanti località fortificate) ed un personale tecnico d 'ordine, costituito d a sovrastanti, misuratori ed operai. Tale azienda, il 17 marzo 17TT, venne unita a quella di artiglieria ; così che si ebbe un « Consiglio dell'artiglieria, delle fabbriche e delle fortificazioni », presieduto <lal gran Maestro d 'artiglieria, dal Primo Ingegnere e dal Primo Architetto. L'azienda che ne dipendeva era di visa in tre uffici, corrispondenti ai tre servizi dai guaii prendeva il nome. Sotto la sorveglianza del Consiglio, doveva vigilare su ogni particolare del servizio amministrativo un << Intendente Generale », alla cui dipendenza erano posti guardamagazzini e contabili, ingegneri per i progetti, misuratori, sovrastanti , coll audatori , stimatori per l'esecuzione dei lavori e per il pagamento di essi. Un segretario era inoltre incaricato di tenere in ordine g li archivi ed al corrente gli inventari. L 'azienda disponeva di una cassa propria, tenuta d a un tesoriere, coadiuvato da un controllore. Il Consiglio dell'artiglieria, delle fabbriche e delle fortificazioni cessò di funzionare il 28 giugno 1730 ed in sua vece venne incar icato l' « Intendente generale di artiglieria » di provvedere, mediante appalti con imprese private, alle opere di fortificazione, alle fabbriche di munizioni ed all 'artiglieria. Il Consiglio dell 'artiglieria, delle fabbriche e delle fortificazioni doveva però essere nuovamente ricosti tuito nel 1787. Carlo Emanuele III fece iniziare la costruzione dell'arsenale nel 1736 (il relativo progetto era stato compilato nel 1730) e vennero impiegati all ' uopo i soldati delle compagnie maestranze e minatori . Ricostituito nel 1787 il Consiglio dell'artiglieria, delle fabbriche e delle fortificazioni, esso ebbe, oltre al personale di prima, anche un Munizioniere generale, un Segretario del Laboratorio chimico
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metallurgico, un Ricevi tore dei salnitri, un Direttore della R. Raffineria, un Direttore delle RR. polveri, un Commissario direttore delle sale d 'armi. Durante la domin azione francese, l'Ufficio generale del Soldo venne soppresso (7 settembre 1800) e trasformato in un Commissariato di guerra ed anche l'azienda dipendente dal Consiglio dell'artig lieria, delle fabbriche e delle fortificazioni venne sciolta. Soltanto l'Arsenale di T orino continuò a fabbricare fucili e cannoni per gli eserciti napoleonici. Tramontato l'astro napoleonico e tornato negli Stati Sabaudi Vittorio Emanuele I, questi ricostituì tutti g li enti amministrativi esistenti nello Stato prima del di lui esilio in Sardegna. Per quanto il periodo dal 1815 abbia visto una spiccata tendenza alla militarizzazione dell'amministrazione e dei servizi, pure il Re di Sardegna ricostitu ì anche l'Ufficio generale del Soldo (27 settembre 1814) e continuò a provvedere alle esigenze dell'esercito mediante appalti per y_uanto riguarda i I vettovagliamento, il vestiario e l'equipaggiamento, il materiale di casermaggio ; ma usufruì della R. Manifattura d 'Armi a fuoco in T orino e dell' Arsenale per le ar tiglierie e le armi portatili . Per gli esplosivi, a quanto sembra, anche la fornitura di essi fu data in appalto. Dall 'esame delle numerose disposizioni emanate sotto il Regno di Vittorio Emanuele T, risulta infatti : - per il vettovagliamento : che l'Ufficio del Soldo, mediante i suoi organi esecutivi, doveva dare in appalto la confezione del pane e dei viveri di riserva; - per il vesti ario: secondo l'autorizzazione del 18 agosto 1814, i Corpi dovevano fare confezionare il vestiario, dietro somministrazione del.le stoffe occorrenti per parte dell 'Ufficio generale del Soldo; - per il materiale di casermaggio: la forni tura veniva data in appalto nelle diverse regioni degli Stati Sabaudi. Il territorio dello Stato si divideva, all ' uopo, in « Contadi » e, ad esempio, per l'impresa delle Caserme del Contado di Nizza, l'appaltatore doveva provved ere ai letti, mobili, utensili ad uso dei soldati , sia infermi che sani , cd alla loro distribuzione; nonché alla paglia ed alla legna, da fornire , come i mobili , « in qualunque posto, sì fisso che accidentale, in cui sarebbe stata dislocata la truppa, in conformità degli ordini dell'Ufficio del Soldo l> .
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Agli appaltatori venivano concessi speciali privilegi ed esenz10n1. Per la R. Manifattura d'Armi a fuoco in Torino, l'apposito regolamento, pubblicato il 25 luglio 1814, era diviso in diversi capitoli, ciascuno composto di numerosi articoli. I capitoli avevano rispettivamente per titolo: la scelta delle materie prime; le verifiche e prove alle quali dovevano venir sottoposte le diverse parti d'armi confezionate; le provviste per il servizio della Manifattura; la disciplina e l'istruzione dei lavoranti; le gratificazioni loro spettanti; il prezzo al quale doveva cedersi ai lavoranti la materia prima. Dal regolamento suddetto e specialmente dagli ultimi capitoli di esso si rileva che gli operai venivano impiegati secondo uno speciale contratto di lavoro, per il quale essi dovevano ritirare dalla Manifattura, pagandole , le 1naterie prime, e consegnare quindi le parti d 'armi già confezionate, ricevendo il compenso stabi lito soltanto dopa che le dette parti d'armi fossero state debitamente verificate e<l accettate. Vittorio Emanuele I si preoccupò ben presto di riordinare tutte le disposizioni riguardanti l'a1nministrazione militare ed, infatti, nel 1815, venne pubblicato un « Regolamento economico per l'Amministrazione della Marina» , e, nel 1817, un « Regolamento per l'amministrazione della Guerra » . Que,sto, già prescritto dalle RR. Patenti del 19 novembre 1816 ed approvato da S.M. il Re con R. Viglietto del 15 dicembre 1817, dimostra la cura con la quale l'allora Primo Segretario per la Guerra e Marina, Generale di S. Marzano, intendeva provvedere, oltreché all 'ordinamento dell'esercito, anche all'amministrazione <li esso. Per tale regolamento venne abolito l'Ufficio generale del Soldo e le attribuzioni di esso vennero affidate ad una « Azienda Generale <li Guerra » . Le attribuzioni che l'Azienda Generale di Guerra veniva così ad assumere erano quelle riguardanti « i ruoli, le rassegne, il soldo, il vestiario, gli equipaggi , l'armamento, le tappe, i Corpi di guardia e le caserme delle RR. Armate di terra, come pure le somministrazioni di granaglie, pane, luce, fieno, biada, paglia, letti, mobili ed utensili di caserma e per i campi)) e, finalmente, << l'organizzazione, il licenziamento, l'ispezione e la verifica della contabilità ed amministrazione dei Corpi di ogni Arma )>. Al § 2 " del Regolamento stesso veniva prescritto che << pel disimpegno delle sopradescritte incombenze, oltre l'Ufficio dell 'In-
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tendenza Generale, venissero costituiti 7 Commissariati di Guerra: uno per ciascheduna Divisione militare, composti da un Commissario di guerra e da quel numero di Sotto - Commissari e scritturaii che saranno determinati dall'Intendente Generale di Guerra, proporzionatamente al lavoro che vi sarà in ciascuna Divisione )). Le nomine dei Commissari e dei Sottocommissari dovevano effettuarsi dal Re, dietro proposta del Primo Segretario di Guerra e Marina. Si prescriveva inoltre (cap. 2" § 1°): « L'Intendente general:: di Guerra, essendo destinato alla Direzione degli affari economici della Milizia, avrà sopra i Consigli per l'amministrazione dei Corpi delle RR. Truppe le stesse autorità e prerogative già state accordate al Contadore generale )>. L 'Intendente generale doveva: - dare le istruzioni agli impiegati dipendenti, tenendo presenti, per le cose più importanti, << le direttive date dal Primo Segretario di Guerra e Marina, al quale dovevano venire proposte quelle nuove disposizioni che apparissero necessarie al vantaggio del servizio e detta economia »; - sorvegliare che i Commissari cd i Sottocommissari di guerra tenessero sempre in perfetto ordine ed aggiornati i libri di cassa, delle categorie, del dcconto, delle merci, dei grani, della distribuzione del pane, dei letti, del fieno e della biada; nonché i registri delle riviste e dei viveri esistenti nelle rispettive piazze forti; - far osservare il regolamento delle tappe, in occasione di marce, di alloggiamenti e di accampamenti; - vigilare perché, presso l'Azienda generale di guerra, venissero osservate tutte le disposizioni vigenti.
li regolamento trattava inoltre (cap. 3") dei contratti, che dovevano venire stipulati dall'Intendente generale di guerra coll'intervento del Consiglio delle Finanze. A questo proposito giova ricordare che i Commissari ed i Sottocommisari di guerra potevano, soltanto nel caso che ci fosse il pericolo che la truppa rimanesse sprovvista, provvedere direttamente ai generi occorrenti per otto in dieci giorni, per dar tempo all'Intendente generale di provvedere. Il capo 4" del Regolamento si riferiva alla distribuzione e contabilità del pane, della legna, dei foraggi e dei letti; il capo 5° alla formazione dei ruoli; il 6° alle riviste sul terreno. Per queste ultime era prescritto che se ne facessero due in ciascun mese e che dovessero servire, non soltanto a controllare il numero dei presenti e le ragioni delle eventuali assenze; ma anche se l'uniforme e la tenuta
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era conforme al prescritto e se i soldati erano vestiti, armati e provveduti a dovere dei loro arredi. Per gli eventuali inconvenienti i Commissari di guerra pntevano muovere osservazioni ai Comandanti dei Corpi. Il capo 7° del Regolamento aveva per titolo cc dei giornalieri » e si occupava delle carte periodiche e dei « giornali del pane, dei letti, del fieno e della biada»; il capo 8°, intitolato << delle livranze )), dava le prescrizioni circa le somme spettanti a ciascun militare e sul modo di riepilogarle per trimestre. L 'ordinamento amministrativo adottato da Vittorio Emanuele [ non dovette essere profondamente modificato da Carlo Felice. In un editto di questi, editto col quale, « persuaso della somma convenienza di provvedere, durante la pace e quanto meno è imminente il pericolo della guerra, a quelle provviste di riserva, che si omettono in alcun Paese, saviamente governato» , il Re disponeva che si facessero speciali « approvvigionamenti di riserva >> per tutte le piazze forti , per u11 totale di L. 544.600. Tutte le provviste suddette dovevano venir fatte dall'Azienda generale di guerra, secondo le disposizioni date dal Primo Segretario di Guerra e Marina e gli appalti per le provviste stesse e per i lavori occorrenti dovevano venire concessi col riserbo necessario, « senza alcuna pubblicità di forma ». Quando, nel 1831, a Carlo Felice successe sul trono Re Carlo Alberto, l'esercito sardo - piemontese consolidò la sua organizzazione in relazione ai tempi; ma la costituzione dei Servizi, destinati a sopperire alle esigenze materiali, in quel periodo di nobili ideali, di generose impazienze e di ardenti passioni politiche, non venne adeguata alle reali necessità; così che l'insufficienza delle provviden ze logistiche concorse in misura assai notevole agli insuccessi del 1848 e del 1849, come ricorderemo meglio in un prossimo studio.
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(< ARTE»
DI NAPOLEONE*
Raimondo Montecuccoli - che, in uno dei volumi della pregevole Collezione diretta dall'Ojetti: « le più belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi», il Maresciallo Cadorna bene a ragione considera come « uno dei maggiori capitani dei tempi moderni » - , nei suoi « Aforismi dell'arte bellica », definì la guerra quale « un'azione d'eserciti offendentisi in ogni guisa, il cui fine si è la vittoria )>, In tale azione reciprocamente offensiva, fra le forze armate degli Stati belligeranti, riuscirà a conseguire più facilmente l'intento desiderato l'esercito che abbia saputo conferire maggior vigore alla propri;i offesa ; che ahhia potuto rendersi in tempo superiore all'avversario e dimostrarsi meglio fornito di quella forza, che, secondo lo stesso Napoleone, si può valutare, anche per gli eserciti - così « come per la quantità dei movimenti in meccanica >> - « col prodotto della massa per la velocità ». Vincere significa, per conseguenza, dimostrarsi, rispetto al nemico, più capaci di compiere uno sforzo più grande; e ciò: sia disponendo di una maggiore massa; sia con la possibilità di imprimere alle proprie operazioni una maggiore velocità di movimento. La massa di un esercito equivale alla somma delle « qualità» e delle « quantità » che entrano a far parte della sua compagine e risulta dal complesso di tutti i fattori: spirituali, intellettuali e materiali, che contribuiscono a determinarne l'efficienza. P~r potere disporre di una massa maggiore di quella dell'avversano, occorre, per conseguenza: - raccogliere nel maggior numero e preparare nel miglior modo possibile, fin dal tempo di pace, uomini e materiali; - accrescere - od almeno non diminuire - durante le operazioni guerresche, l'efficienza di tutti gli elementi della massa di cui si dispone.
• Da l volume N apoleone l - L'uomo - L'italiano - Lo stratega, Torino, 1926, pagg. 109 - 134.
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T ali condizioni si effettuano mediante l'applicazione di quel principio, che noi soldati diciamo dell'economia delle forze; principio che Napoleone applicò, nelle diverse circostanze, sempre in modo mirabile, impiegando, sin dall'inizio di ogni periodo di ostilità, la massa delle sue forze sul teatro d 'operazione principale, alla ricerca della battaglia decisiva. Egli stesso ammoniva, in proposito : << Per obbligare il nemico a dichiararsi vinto, non è necessario essere vittoriosi in tutti i teatri di operazione ed in tutti i punti di ciascuno di essi. li metodo più sicuro è quello di ottenere, sul teatro d 'operazione principale, un successo che rompa l'equilibrio a danno del nemico ». E , particolarmente per quanto si riferisce al campo tattico, scnveva: << La condotta della battaglia deve essere simile a quella del!'assedio di una piazza forte. Occorre riunire tutti i fuochi sopra un punto; fatta la breccia, l'equilibrio verrà rotto e, da guel momento, tutte le resistenze saranno inutili )). Per conseguire, nelle operazioni, una maggiore celerità di movimento, sfruttando nel modo più redditizio tutte le energie della massa disponibile, occorre dopo avere scelto opportunamente gli obiettivi strategici o taHici piÌì importanti da conseguire - assicur;irsi la libera disponibilità delle proprie forze, impedendo all'avversario di opporsi efficacemente allo svolgimento delle manovre e dei movimçnti necessarì a raggiungere gli obiettivi stessi . E' questo il principio della « libertà d'azione » che Napoleone I osservò fedelmente, per tutte le sue vittorie: sia prendendo costantemente, con l'offen siva pronta e vigorosa, l'iniziativa delle operazioni, sia ricorrendo a tutti quei sistemi di corpi d 'osservazione e di copertura, destinati a proteggere il suo esercito da ogni sorpresa ed a facilitargli il conseguimento degli scopi più importanti. Napoleone l ottenne, nelle sue molte guerre, la rottura dell'equilibrio a danno dei suoi nemici, non soltanto assicurandosi, nel punto più importante, la superiorità morale e materiale, ma anche con l'opportuna scelta della direzione dei suoi attacchi e con la rapidità delle sue mosse: vale a dire coi suoi sistemi di manovra. Di tali sistemi Napoleone I non ne impiega che due: o la manovra avvolgente, che egli attua quando dispone di una massa numericamente maggiore rispetto a quella del nemico; oppure la manovra centrale, che egli tenta ed effettua quando, disponendo
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di forze inferiori a quelle dell 'avversario, profitta della separaz10ne delle masse nemiche, per batterle successivamen te. Nelle sue M émoires Luigi Gerolamo Gohier, Presidente del Direttorio esecutivo del 18 Brumaio, ricorda, in proposito, la conversazione avvenuta nel 1799 fra Napoleone I ed il generale Moreau , il giorno del loro primo incontro. « - E' sempre - ebbe a dire il Moreau - il gran numero che batte il piccolo. « - Avete ragione - ribatté il Bonaparte - è sempre il gran numero che batte il piccolo. « - Ciononostante, generale - inter venne allora il Gohier con delle piccole annate voi ne avete battute delle più grandi. << Anche in questo caso, però - rispose egli - è sempre il numero minore che è stato battuto dal maggiore. Allorché con minori forze ero in presenza di un grande esercito, riunivo rapidamente il mio e cadevo come un fulmine su una delle sue ali e la rovesciavo. Approfittavo poi del disordine che questa manovra inevitabilmente prod uceva nell'esercito nemico, per attaccarlo in un altro punto e, sempre a forze riunite, lo battevo così, a frazioni , e la vittoria che ne era il risultato era sempre il trionfo del gran numero sul piccolo ». Esaminiamo brevemente le due diverse manovre che permisero più spesso a Napoleone I di applicare efficacemente i principì dell'arte militare: sia sfruttando nel modo più redditizio la preesistente superiorità del suo esercito con la manovra avvolgente; sia creando le condizioni della necessaria superiorità, anche di fronte a nemici più forti, con la manovra centrale. L A MANOVRA AVVOLGENTE.
L a manovra avvolgente consiste nella rapida e segreta raccolta delle forze in località prossima al teatro d 'operazione e nella veloce marcia di queste forze sino ad occupare una linea geografica, che domini le comunicazioni del nemico. Questo - sorpreso dalla minaccia che tende a staccarne l'esercito dal paese, dal quale esso trae l'alimento deJle indispensabili energie spirituali e materiali - o fugge in disord ine e viene battuto alla spicciolata, oppure si sente costretto a combattere « col fronte rovesciato 1J, vale a dire facendo fronte verso quella parte del territorio che doveva coprire e difendere. Il successo di questa manovra riposa essenzialmente su la demoralizzazione che subisce il nemico e sulla esaltazione delle virtù militari
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che alle proprie truppe deriva dalla certezza di avere sorpreso o di sorprendere le forze avversarie: rapporto di energie spirituali veramente decisivo, che pochi sanno far volgere a proprio vantaggio al momento opportuno. Il metodo che Napoleone I seguiva, per l'attuazione di questa manovra, può essere così esposto. I. -
La preparazione dei mezzi.
a) Organizzazione delle forze in unità capaci di soddisfare a determinati compiti tattici e strategici e loro raggruppamento in relazione agli obiettivi da raggiungere (Divisioni, Corpi d'armata, Riserva di cavalleria e, nella campagna del 1812, anche Armate). b) Provvedimenti logistici, destinati ad accrescere la rapidità della marcia (molteplicità di colonne e di scaglioni, riduzione delle impedimenta, sfruttamento delle risorse locali, ecc.). e) Creazione di una base provvisoria, là dove l'annata, giunta sul tergo del nemico, dovrà sostare per aLLenderc l'effetto della manovra (adattamento di vecchie piazze forti per raccogliervi ospedali, magazzini, viveri, munizioni, ecc.). Queste basi provvisorie avevano il vantaggio di concedere grande libertà di manovra alla armata, sicché essa poteva, per qualche giorno, abbandonare la sua linea di com unicazione ed attendere tranquillamente l'organizzazione di un'altra, in direzione più propizia. Talvolta queste basi secondarie risultavano dalla parte opposta della base principale, ossia a tergo del nemico, come nel 1800 , Milano e Pavia; nel 1805 Augusta e Monaco; nel 1807 Varsavia e T horn, nel 1813 Dresda. Napoleone giunse sino a crearsi due, tre ed anche quattro basi di operazioni provvisorie, quando gli occorse grande libertà di manovra per far fronte contemporaneamente a più nemici come nel 1809, nel 1812 e nel 1813.
d) Preparazione dei mezzi atti a permettere il cambiamento della linea di operazione; previdenza, questa, che, consentendo molteplici ed inaspettate combi nazioni strategiche, gli permetteva di sconvolgere i piani avversari e di sorprendere il nemico con mosse imprevedute. 2. -
L'esecuzione della manovra.
a) Scelta della posizione da occuparsi a tergo o sul fianco del nemico (questa posizione è indicata generalmente dalla intersezione
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della linea di ritirata nemica, con una linea geografica notevole). Se il nemico aveva già iniziato le operazioni offensive e la sua linea di ritirata era unica, come nelle manovre di Arcole e di Ulma, la scelta della posizione riusciva facile; lo era assai meno se le linee di ritirata aperte all'avversario erano parecchie, come nel 18o6, prima di Jena, e nel 1813 dopo Bautzen. Se il nemico non aveva ancora iniziato le sue operazioni, era . necessario indurlo all'azione, col disporre, ad esempio, truppe in dati punti del teatro della guerra, a guisa di richiamo; oppure spargendo notizie tendenziose, come nel 1800 e nel 1805. Ottenuta l'avanzata dell'avversario, il caso rientrava in quello precedente. b) Formazione di distaccame nti (Corpi d 'osservazione) destinati ad indurre il nemico a rimanere nella posizione in cui si trovava per tutto il tempo necessario allo svolgimento della manovra. Tale compito ebbero le truppe del Sérrurier verso Valenza nel 1796; quelle del Watrin davanti a Chivasso nel 1800; quelle del Ney <lavanti al Mack nel 1805; guelle del Bernardotte davanti al Bcningsen nel 1807; quelle del Davout ad Eckmi.ill nel 1809. e) Radunata dell 'esercito, che Napoleone I eseguiva sempre al coperto: o di avanguardie strategiche, come negli anni 1796, 1807 e 1809, o dietro linee geografiche importanti come, ad esempio, nel 1800 dietro le Alpi , nel 1805 dietro il Reno, nel 18o6 dietro il Franken Wald , nel 1812 dietro il Niemen. d) Tras ferimento dell'armata in una zona che Napoleone chiama di agguato e di attesa strategica, nella quale egli attendeva che il nemico si compromettesse, avanzandosi inconsideratamente sino a rendere possibile la manovra avvolgente. Si ricordi , ad esempio, l'attesa strategica che precedette la manovra di Bassano nel 1796, queHa del 18o6 tra Bamberg e Wi.irzburg, quella del r807 a Varsavia, dd 1809 ad Ingolstadt, del 1814 a Nogen t sur Seine. Questa attesa strategica non sempre era necessaria, dipendendo l'opportunità di essa dalla condotta del nemico. e) Marcia offensiva a massa sul tergo del nemico, eseguita con rapidità fulminea, come nel r796, nel 1800, nel 1805.
f) Occupazione de1Ja linea geografica dominante le comunicazioni avversarie; così nel 1800 la stretta di Stradella, nel 1805 il Lech, nel 1809 l'Inn, ecc., e sosta per attendere l'effetto della manovra. r6. - U.S.
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g) Battaglia decisiva se il nemico restava unito, scontri parziali se si divideva.
h) Inseguimento a fondo con tutto l'esercito senza tregua, sino all'annientamento completo delle forze nemiche come nel 1805 e nel 18o6. La manovra avvolgente aveva per risultato la disgregazione morale dell'avversario, prima ancora della battaglia. Se essa poteva venire compiuta integralmente, i risultati erano decisivi; se non riusciva completamente, si aveva sempre il vantaggio di acquistare terreno senza sangue e di mettere l'avversario in una situazione assai difficile. La manovra avvolgente, per i suoi risultati decisivi, fu spesso preferita da Napoleone I che, infatti, l'attuò: - nel 1796 a Piacenza, Borghetto, Bassano, Arcole; - nel 1800 a Marengo ; - nel 1805 ad Ulm a ed Hollabriin ; - - nel 1806 a Jcna - Auerst:i.dt; - nel 1807 a Friedland; - nel 1809 a Landshut e ad Eckmiill ; - nel 1812 a Wilna ed a Smolensko; - nel 1813 a Lipsia, Bautzen, Dresda; - nel 1814 a Rrienne, Montmirail, Soisson, Saint Dizier. LA MANOVRA CENTRALE.
Il concetto al quale s'ispira la manovra centrale è invece quello di battere, una dopo l'altra, le frazioni deJl'esercito avversario con la massa del1e proprie forze. Condizione necessaria perché la manovra riesca è la impossibilità che le frazioni nemiche si riuniscano in tempo sul campo di battaglia. Per ottenere questa certezza, è indispensabile quindi che le frazioni nemiche sieno separate le une dalle altre o da ostacoli topografici, o da un considerevole spazio di territorio, oppure vengano trattenute da distaccamenti e da corpi di osservazione, atti ad impedirne la tempestiva riunione. La manovra centrale può eseguirsi : o contro nemico già diviso, o contro nemico che abbia le sue forze riunite. ln questo secondo caso occorre provocare il frazionamento della massa avversaria con una vigorosa azione preliminare, che Napoleone chiamava « colpo offensivo ».
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Esaminiamo separatamente i due casi. Napoleone I doveva attuare la separazione della massa avversaria prima di procedere successivamente contro le diverse parti di essa quando aveva di fronte due o più nemici aventi interessi diversi e linee di comunicazione divergenti; oppure un solo avversario, steso su una fronte troppo larga. Allora egli, raccogliendo rapidamente le proprie forze in corrispondenza del centro nemico, lo assaliva vigorosamente rompendolo, per poi manovrare tra le due ali avversarie così separate. Esempi del colpo offensivo, preludiante alla manovra centrale, sono: la puntata su Montenotte nel 1796 per separare gli Austriaci <lai Sardi; quella su Sombreffe nel 1815 per staccare i Prussiani dagli Inglesi. Lo svolgimento della manovra centrale preceduta da colpo offensivo passava per le seguenti fasi. La preparazione della manovra. a) Scelta del punto nel quale eseguire il colpo offensivo. Generalmente era il luogo dove le forze avversarie alleate si collegavano, oppure il centro della fronte nemica. b) Dimostrazioni per distogliere l'attenzione dell'avversario dal punto minacciato. e) Concentramento, eseguito con rapidità e segretezza, allo scopo di attuare la sorpresa.
d) Preparazione di nuove linee di comumcaz10ne. L 'esecuzione.
a) Attacco del punto scelto per la rottura della fronte nemica ed inseguimento di una delle ali, per allontanarla dall'altra. b) Inizio della manovra per linee interne, di cui l'inseguimento ora detto costituiva generalmente il primo atto. Il dispositivo per la manovra variava giornalmente, a seconda dei mutamenti della situazione. Generalmente aveva una di queste tre forme: 1) un Corpo d'osservazione teneva a bada una frazione nemica mentre il grosso attaccava l'altra; 2) le frazioni nemiche venivano impegnate, ciascuna da un distaccamento, mentre la massa napoleonica si poneva in una posi-
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zione centrale, attendendo che l'una o l'altra delle frazioni dell'esercito avversario si avanzasse; 3) mentre un distaccamento osservava una frazione nemica e la massa principale operava contro l'altra, un terzo distaccamento stava pronto a cadere sul fianco dell'una o dell'altra frazione. Questo dispositivo aveva il vantaggio di paralizzare in parte una possibile contro - manovra, consistente generalmente nella tempestiva ritirata della frazione assalita. Anche la manovra centrale contro una massa nemica già divisa offriva due casi: o Napoleone era completamente libero di agire, oppure era legato dalla necessità di proteggere una data zona di territorio o di osservare una piazza forte, come nel 1796, nel 1813, nel 1814, rispettivamente per Mantova, Dresda e Parigi. Nel primo caso le operazioni si svolgevano come si è detto prima; nel secondo caso invece la manovra veniva preceduta da un periodo di attesa strategica o d 'agguato, simile a quello già ricordato a proposito della manovra avvolgente. l principali esempi di questo periodo di attesa strategica sono quelli del 1796 prima di Castiglione, Arcole e Rivoli, del 1805 attorno a Vienna prima d'Austerlitz, del 1807 attorno a Varsavia, del 1813 attorno a Goerlitz ed attorno a Lipsia. Da questa posizione di attesa che Napoleone assumeva presso il punto da proteggere, egli moveva offensivamente, non appena il nemico, o per necessità topografiche o per errore di calcolo, frazionava le sue forze. Evidentemente, perché l'attesa non fosse vana, era necessario che il teatro d'operazione presentasse, attorno alla zona nella quale stava l'armata in agguato strategico, una barriera geografica montana o fluviale con pochi sbocchi; sicché la separazione delle colonne nemiche destinate a superarla fosse inevitabik, Tale era nel 1796 il teatro d'operazione attorno a Mantova; tale nel 1813 quello attorno a Dresda e nel 1814 attorno a Parigi. La preparazione.
La preparazione della manovra, nel caso sopra esaminato, cioè quando Napoleone era vincolato ad una data località da difendere o da osservare, comprendeva :
a) l'occupazione degli sbocchi dell'ostacolo montano o fluviale, con distaccamenti di forza tale da poter trattenere le colonne
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nemiche sino a che il grosso non avesse battuto la maggiore o la più pericolosa di esse. Evidentemente la forza di questi Corpi d'osservazione doveva venire proporzionata al valore del comandante nemico e delle sue truppe; b) scelta del luogo d a occupare colla massa, che Napoleone chiamava << posizione centrale di manovra » in relazione alle distanze dai punti di sbocco, alla direzione probabile dei principali attacchi nemici, alle resistenze dei Corpi d 'osservazione loro opposti: Verona nel novembre 1796, Augsbourg nel 1807. Alla posizione centrale di manovra facevano naturalmente capo le linee di operazione dei Corpi d 'osservazione;
c) preparazione di lince di manovra, ossta, miglioramenti di strade, gittamcnto di ponti, costruzione di opere campali , ecc.; d) creazione di una o più basi provvisorie, che Napoleone chi amava i suoi « centri d' opemzione )) ove raccoglieva magazzini, ospedali, depositi di munizioni. A volte il centro d'operazione coincideva con la posizione centrale di manovra ; altre volte era da essa distante, così nel 1813 Goerlitz è la posizione centrale, Dresda è il centro d'operazione. Al centro d'operazione faceva no capo la linea di comunicazione dell'Armata e quelle dei suoi Corpi d'osservazione.
L'esecuzione della manovra. L'esecuzione della manovra passava per le seguenti fasi:
a) combattimenti fra i Corpi d 'osservazione e 1c colonne nemiche; b) decisione sulla direzione d a dare alla massa principale, base ai risultati dei combattimenti sopra detti. A volte questa decisione veniva presa con apparente ritardo, e ciò accadeva quando i primi fatti d 'arme non avevano fornito a Napoleone tutti i dati necessari sulla situazione; in
c) attacco della frazione nemica più pericolosa, a preferenza mediante un'azione avvolgente, per ottenere dalla vittoria il massimo e più pronto risultato possibile, per portarsi poi a fronteggiare le altre colonne nemiche;
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d) marcia del grosso ad assalire la seconda frazione deJle forze avversane, già trattenuta sino a gucl momento dal Corpo d 'osservazione;
e) nuova battaglia seguita dall'inseguimento. Dal poco che si è detto risulta che la riuscita della manovra centrale dipende essenzialmente dal carattere del generale in capo e dalle qualità militari dei comandanti dei Corpi d'osservazione. Le altissime doti personali che richiede l'attuazione di questa manovra, la rende, infatti, propria dei grandi capitani; i quali, però, per condurla a termine con successo, hanno bisogno di essere coadiuvati da comandanti in sott'ordine che siano veramente decisi ad ubbidire a gualunque costo al loro Capo, per facilitargli la vittoria decisiva. Capace di adattare rapidamente il suo disegno operativo al mutare, anche improvviso, della situazione, Napoleone I effettuò l'una o l'altra delle manovre già esaminate anche durante la stessa campagna, contro il medesimo avversario. Lo studio delle campagne napoleoniche - scrive, infatti, il Marav1gna - (( dimostra esaurientemente come, di fronte agli avvenimenti, egli sia più volte passato da una forma all'altra di manovra, a seconda delle circostanze; però, qualunque essa sia, non vi è esempio alcuno in cui la soluzione adottata astragga dal principio della libera disponibilità delle forze razionalmente economizzate e non si ispiri alla più grande semplicità di concezione ed alla massima vigoria di esecuzione. La guerra napoleonica è guerra decisiva ; per conseguenza, l 'Imperatore ricerca con la manovra il massimo risultato. Se gli è possibile, egli si ripromette, anzitu tto, di conseguire la sorpresa d ell'avversario in piena crisi di radun ata e nella direzione per esso più pericolosa, onde arrivare alla disorganizzazione completa ed irreparabile delle energie combattive dell'avversario. Esempi classici: la campagna del 1800 e quella invernale del 1807. « Sebbene Napoleone riesca guasi sempre ad essere pronto ad entrare in campagna prima dei suoi avversari, tuttavia il caso sopra indicato non sempre si avvera; ed allora: o il nemico ha ancora la sua massa divisa in aliquote separate da grande spazio, o form a una massa unica e pronta ad agire. Nel primo caso - che è il più frequente - Napoleone mira ad impedire la riunione in unica massa delle forze nemiche ed a piombare, con la rapidità del fulmine ,
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sulla più vicma, o più favorevolmente disposta, per batterla con la superiorità di forze che egli ha saputo assicurarsi e mantenere; pronto, a successo decisivo ottenuto, a ripetere la stessa manovra contro ciascuna delle altre aliquote. Nel secondo caso: l'Imperatore riesce, con abile combinazione di finte e di puntate a fondo , ad indurre l'avversario a dividersi, ed allora si ricade nella manovra centrale; in caso contrario, la manovra napoleonica, a seconda delle circostanze: o assume il carattere di un avvolgimento di ala, o di avviluppamento per ambedue le ali , ovvero - più frequentemente di manovra a fronte rovesciato. « Se l'Imperatore può giustamente considerarsi il dio dell'offensiva, il maestro insuperato della condotta della guerra di invasione - così conclude il chiarissimo scrittore - tuttavia egli non ha esitato ad assumere un vero e proprio atteggiamento difensivo tutte le volte che si è trovato: o in forze assolutamente inferiori rispetto al nemico; oppure in condizioni tali, che, a suo giudizio, l'atteggiamento offensivo non presentava sufficienti garenzie di buona riuscila.
Coerente al principio fondamentale da lui stesso mai violato: che la vittoria non può derivare se non da una reale superiorità di forze materiali e morali, Napoleone non si sarebbe mai abbandonato ad un'inconsiderata aggressività, se i mezzi nccessarì e sufficienti per ritenersi superiore all'avversario gli fossero, o transitoriamente o permanentemente, mancati. « Napoleone, in tali circostanze: o si attiene all'attesa, oppu re alla difensiva manovrata; sempre, però, con il preciso e deciso intendimento di passare all'offensiva nel momento opportuno ; all'audacia sostituisce, allora, la prudenza; alJa travolgente impetuosità, la fine schermaglia. « lnvano si cercherebbe, adunque, uno schema nell'arte napoleonica, una forma normale di manovra, una soluzione - tipo dei var, casi concreti: a seconda delle circostanze, egli d à una soluzione appropriata al problema operativo; ma tutte le soluzioni hanno come fattor comune la riunione delle forze, mirante all'azione decisiva, fulminea, che assume costantemente un carattere di estrema violenza, fattor comune e carattere, che costituiscono lo "stile" dell'Imperatore, o come egli stesso lo appella: son génic, sa manière ». «
Napoleone scrisse che « l'arte della guerra è arte semplice, tutta di esecuzione >>; ma, poiché l'esecuzione alla quale egli si rife-
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riva consiste nella divinazione di ciò che farà il nemico, nella concezione della manovra decisiva, nella raccolta dei mezzi, nella volontà che abbatte ogni ostacolo, nella fermezza che non si fiacca davanti ad imprevisti accidenti, nella prontezza che coglie a volo le occasioni, nello ascendente che trascina gli uomini, nella resistenza fisica necessaria a tale formidabile lavoro; si comprende come simili condizioni sieno difficilmente raccolte in un uomo e si spiega la scarsezza dei grandi capitani. E di quanto sia stato grande Napoleone I, come stratega e come tattico, noi saremo, io credo, ancora più convinti, rievocando, in rapidissima sintesi, tutta la sua attività di comandante di eserciti. Quando, il 27 marzo 1796, egli assume per la prima volta il comando di un esercito, sia pure piccolo come l' Armée d'Italie, la preparazione di Napoleone I può dirsi già completa. Egli muove, infatti, senza alcuna incertezza a conquistare la prima vittoria con quella stessa manovra per linee interne, alla quale chiederà poi invano la sua vittoria ultima ; t'. Dego - Montcnotte, nel 1796, è simile a Montmirail-Montereau nel 1814 ed a Ligny- Waterloo nel 1815. I piani da lui già compilati, le lettere da lui indirizzate al Direttorio, prima ancora delle sue prime vittorie, contengono già, della sua consapevole superiorità, la più solenne affermazione; e, se il Governo continua a fargli pervenire consigli da lui non richiesti, egli non ne tiene conto, pur sapendo di rischiare la carriera, la gloria e la sua vita stessa. Con un'indipendenza sempre maggiore, egli effettua così pienamente il disegno già da lui formulato; ogni tappa della sua marcia vittoriosa costituisce una nuova prova della sua felice ed illuminata intuizione; ogni nuova vittoria afferma, di fronte ai suoi avversari e specialmente davanti ai suoi stessi generali ed ai suoi soldati, la di lui superiorità di stratega e <li tattico incomparabile! A ventisette anni, egli divide, infatti, le masse nemiche, costringe con tre vittorie, minacciando Torino, il Piemonte alla pace; aggira con improvvisa, ardita manovra l'ala sinistra degli Austriaci a Piacenza, li insegue a Lodi, entra in Milano, dove può finalmente offrire alle sue truppe i viveri , le vesti, le armi, i quadrupedi di cui erano prive; corre quindi a rompere la linea nemica sul Mincio, assedia Mantova e, rendendo vano, con la meravigliosa prontezza delle decisioni e con la forza del carattere , ogni tentativo dell'Austria per liberarla, la costringe alla resa. Egli può, quindi, nel 1797, marciare finalmente su Vienna; ma arresta in tempo il suo volo vitto-
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rioso per offrire alla Francia la pace, ad essa ormai più necessana e da essa ancor pii:1 desiderata di una nuova vittoria. Nel 1798 minaccia, attraverso l'Egitto e la Siria, le vie commerciali del nemico più accanito ; sostituisce in Francia il Direttorio, ormai senza energia e sen za autorità, e, come Primo Console, si prepara ad aggiungere alla gloria del generale quella del governante e del legislatore, quando, dopo avere offerto invano la pace, è costretto ancora alla guerra. Valica, quindi, nel 1800, le Alpi, ritorna in Lombardia, annulla di un colpo, in una sola battaglia, con una sola vittoria, a Marengo, tutti i su ccessi che l'Austria, battendo tutti gli altri generali francesi, aveva conseguito durante la sua assen za e ritorna nuovamente in Fran cia, dove, più glorioso e più potente, può finalm ente dedicare tutte le sue energie all 'opera di ricostruzione, che appariva urgente ed indispensabile. In soli due anni, dopo avere, con le paci d i Luneville e di Amiens, conseguita la tregua ch e gli era n ecessaria, con opera sagace, illuminata e pronta di governo, con ferisce uno stabile assetto alle .finanze, provvede degnamente all'istruzione pubblica, rior dina
la magistratura, promulga il Codice Civile e prepara nuove leggi , quasi tutte ispirate a romana sapienza; pacifica la Vandea, placa, col Concord ato, l'osti lità del Pontefice, spegne ogni voce discorde , sventa le congiure ordite contro di lui; e, traendo anche da esse profitto, consegu e <lavanti al popolo di Francia tali e tante benemerenze, che ormai facile gli riesce passare, a traverso il Consolato a vita, alla costituzione dell' Impero. Durante il Consolato e nel primo anno del suo impero egli forma la Grande Armata, l'esercito possente, il mezzo sicuro, col quale minaccerà l'Inghilterra per assalire invece l'Austria e marciare trionfalmente su Vienna e vi ncere i due Imperatori avversari ad Austerlitz nel 1805; per battere i Prussiani a Jena e ad Auerstad t e r aggi ungere Berlino nel 1806; per battere i Russi a Friedland e raggiungere Tilsit nel 1807 ; per battere g li Spagnoli a Burgos ed imporre alla Spagna la sua volontà a Madrid nel 1808; per battere nuovamente gli Austriaci e giungere ancora a Vienna nel 1809; per battere infine i Russi a Borodino e violare , sia pure invano, n el 1812, Mosca, la loro Città santa, la capitale delle loro tradizioni! La rivelazione del suo genio militare non poteva essere pi ù felice e più completa! Il suo sogno di dominare tutta l'Europa ed effettuare l'idea dell'Impero universale di Dante sta per effettuarsi. Il solco lasciato sui libri dalla sua mano impaziente, le vie già percorse dal suo sguardo ansioso sulle carte, durante la sua prepara-
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zione, si trasformano in itinerarii effettivamente percorsi dai suoi soldati vittoriosi. La sua mente, guidata dagli ammonimenti della Storia, intuisce in tempo i disegni dei vecchi e dei nuovi nemici ; concepisce piani di guerra mirabili per tutti i teatri di operazioni; provvede alla raccolta di sempre nuovi eserciti con tutti gli espedienti dell'organica; trova soluzioni opportune per ogni più arduo problema di logistica; ripara prontamente, sui campi di battaglia, agli errori dei suoi generali e trae immediato partito da quelli dei suoi avversari; dispensa a ciascuna delle migliaia di anime che lo seguono un raggio della sua luce, la forza del suo impeto, la fede della sua stessa certezza, e, << quando, nell'istante più cruento, nella fase più decisiva della battaglia, egli percorre la linea delle sue truppe e grida: Soldati, spiegate le vostre bandiere. Il momento è venuto!, egli vede tutti i suoi uomini trasalire impazienti »; nulla - com'egli stesso doveva poi scrivere - gli sembra impossibile, e chiamando a raccolta attorno alla sua meravigliosa energia tutte le diverse attitudini dei suoi fedeli, si ostina contro ogni ostacolo, infrange ogni resistenza, segue il mutare degli eventi coll 'immediato ed efficace mutare delle disposizioni; costringe, malgrado tutto e malgrado tutti, la Vittoria a sorridergli ancora; e, quando egli vede finalmente venirgli incontro l'angelo alato a portargli una nuova corona di mirto, scaglia contro l'ultimo baluardo nemico l'irresistibile impeto e la sempre giovane forza della sua Vecchia Guardia! Di Napoleone generale i critici hanno affermato che, nell 'impresa di Spagna e più ancora nella campagna di Russia, egli abbia cominciato, come un grande astro luminoso, ad offuscare la sua fiamma nelle ombre del tramonto. Forse , infatti, nel 1808 e più ancora nel 1812, cominciò a mancargli la fortuna già stanca; non certo la luce del suo genio militare! Anche nel 1813, infatti, egli strappa ancora ai nemici molteplici ben più difficili vittorie a Lutzen ed a Bautzen; respinge sdegnosamente i patti che gli si offrono ed, accresciuta, con i mirabili accorgimenti dell'organizzatore, la forza del suo esercito, muove nuovamente contro il nemico aumentato di numero e lo vince ancora a Dresda ; per toccare poi la sua prima vera sconfitta a Lipsia, quando, nei quattro giorni della prova terribile, egli giuoca disperatamente la sua carta con la stessa fermezza di carattere, che aveva già dimostrato nelle tre giornate di Arcole ! Dopo la sconfitta corre a chiedere nuove forze alla Francia, e, benché ormai tutto gli manchi, egli combatte strenuamente e fino al-
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l'ultimo, in difesa del suolo francese, con appena pochi uomini - troppo vecchi o troppo giovani, veterani o reclute, già stanchi o non ancora istruiti - mancanti, come i suoi primi soldati, di cavalli, di armi e perfino del pane. E con un così minuscolo esercito impegna la sua lotta suprema, tiene testa alle minacce titubanti dello Schwarzenberg, come a quelle, ardite ed implacabili, del Bhicher; vince questi nei cinque combattimenti che costituiscono la battaglia strategica di Montmirail, vince quegli a Montereau ed induce ancora i potenti avversari a chiedere a lui, ormai quasi inerme, un arm1st1z10. Animatore instancabile di sempre nuove energie, mentre tenta, in tutti i modi, di sorreggere la Francia perché essa non lo abbandoni nell'ora del più grave pericolo e della suprema difesa, celando nel saldo cuore le sue ansie ed il suo strazio, egli concepisce quindi la più ardita delJe sue manovre ed avvolge lo Schwarzenberg a Saint Dizier, compiendo ancora l'ultimo, disperato tentativo per arrestare l'invasione nemica ; m a la fede di Parigi gli viene improvvisamente a mancare cd il suo gesto arditissimo non gli dà la vittoria. Egli trascina allora, con foga indomata ed indomabile, in soccorso della Capitale, i miseri avanzi dell'esercito che ancora gli rimane; mentre le truppe nemiche, entrate in Parigi, violano, per la prima volta, la sede del suo Impero. Abbandonato improvvisamente il troppo piccolo Regno dell'Isola d'Elba, e tornato in Francia, costretto ancora una volta alla guerra, egli improvvisa, come per incanto, nuovi eserciti e conduce ancora una volta l'Armata del Nord alla vittoria a Ligny, per cadere poi definitivamente, due giorni dopo a Waterloo, oramai abbandonato per sempre dalla Fortuna e dal Destino.
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Scrisse, bene a ragione, Ugo Foscolo: << a virtù cittadine corrispondono virtù militari», poiché, in pace cd in guerra, le compagini armate traggono dal popolo al quak appartengono ogni energia fisica, intellettuale e spirituale. Per conseguenza la guerra, non sentita e non voluta dalla nazione, non poteva essere desiderata dall'esercito, emanazione diretta del popolo; ma, come la nazione assistette al suo inizio con muta rassegnazione, l'esercito dovette obbedire per l'efficacia di quella profonda disciplina che, specialmente come è intesa tra noi, non può considerarsi una vana parola e rappresenta, anche per i cittadini, un nobilissimo esempio. Quasi tutti i Quadri superiori erano stati ech1c;itÌ al rnlto delle memorie del nostro Risorgi1nento ed avevano partecipato con entusiasmo alla prima guerra mondiale. Essi non potevano, quindi, amare i Tedeschi, nostri nemici di ogni tempo, e che, dd resto, anche nei loro rapporti pseudo - camerateschi, nulla facevano per essere amati; tanto che l'esercì to, dopo una ben dolorosa esperienza, fu il primo a comprendere quanto fosse inutile fare assegnamento su cosiffatti alleati ed, a malgrado di tutta l'attività propagandista della stampa ufficiale ed ufficiosa, fu anche il primo a riconoscere l'impossibilità di perseverare nel grave errore commesso dalla politica. Poco preparato, almeno per quanto riguarda il materiale ed ìn grave crisi di organizzazione (recente istituzione della divisione binaria, fornita di armi più numerose, ma troppo povera di uomini; sostituzione del vecchio fucile 1891 col moschetto 1938 appena iniziata; artiglieria da rinnovare, grave deficienza di carri armati ed assoluta mancanza di quelli pesanti, impoverimento dì tutti i mezzi materiali in seguito alle recenti campagne ddl 'Africa orientale e della Spagna, insufficienza dei Quadri e specialmente degli ufficiali subalterni, mancata preparazione e poco avveduto reclutamento degli ufficiali di complemento, depauperamento di Quadri, dì uomini e di armi a favore della milizia volontaria per la sicurezza nazionale, ecc.), l'esercito, già pienamente consapevole di tutte queste
* Dal volume Li
rÌJCOjsa dd!'H.scrr:ito, Rom;l, 1948, pagg.
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deficienze, non poteva affrontare la lotta - come ingiustamente e stoltamente qualcuno osa affermare - per la fallace illusione di muovere verso una rapida avventura ; né per l'orgogliosa sicurezza del1a vittoria e tanto meno perché fosse inconsapevole di tutte le difficoltà e di tutti i pericoli che il conflitto avrebbe sicuramente imposto. Nel partecipare alla guerra, esso non era entusiasta; ma rassegnato. Nessun Capo, nessun ufficiale, nessun soldato, salvo qualche giovane illuso ed inesperto, si lasciò accecare dal miraggio di un facile e pronto successo; ma tutti fin dal principio previdero la lunga durata d ell'accanitissima lotta e la possibilità d'una sconfitta. l Capi sapevano, infatti, che l'esercito non era certo preparato ad un conflitto, che soltanto la malafede od i troppo facili entusiasmi per la « guerra - lampo» - la cui possibilità era per noi esclusa <lai terreno e doveva necessariamente dipendere anche dai provvedimenti del nemico - inducevano alcuni a ritene re , con incoscie nte faciloneria, breve e sicuramente vittoriosa. Il generale Umberto Spigo, già Segretario generale della Commissione Suprema di Difesa, nel suo libro « Premesse tecniche della disfatta )) ' ha documentato la scarsa disponibilità di materiali e le modeste possibilità industriali ed economiche della nazione che, nel T940, non era affatto in condizioni di sfidare il Destino. Il generale Carlo Favagrossa - successivamente, dal 1939 al 1943, Comnmsario generale, Sottosegretario e Ministro della Produzione Rellica in un suo interessante volume (1) ha già svelato, con la fredda e precisa eloquenza del!e cifre, quanto, nella imminenza della prova, fossero limi tate le nostre scorte, insufficienti le materie prime disponibili, gravi le deficienze di armi, di munizioni, di mezzi corazzati, di autocarri, di velivoli , di carbone, di energia elettrica e di carburante e come la pericolosa situazione fosse stata ripetutamente esposta al Capo del Governo in tutta la sua gravità. Se tutte queste deficienze erano allora ignote alla nazione, assordata dalle affermazioni ottimistiche della propaganda, non erano certo ignorate dall'esercito, c he sapeva anche troppo bene di non avere: né tutte le armi, né tutti i mezzi dei quali disponevano gli altri, che già partecipavano o che dovevano partecipare alla titanica lotta. Nelle poche divisioni che, alla vigili a e nei primi giorni del nostro intervento, fu possibile approntare, Capi e gregari dovettero subito constatare quanto materiale mancasse alle improvvisate Unità ( 1) Generale CARLO FAVAr.RossA: Perché perdemm o la guerra, Milano, 1946.
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e come alJe gravi deficienze di armi, di quadrupedi, di automezzi, non potessero certo supplire le Circolari, con le quali - confessando, dopo le ripetute richieste dei Comandi interessati, l'impotenza della Patria a sopperire tempestivamente a tanti bisogni - si finiva col fare assegnamento sulla disciplina delle truppe, sull'abnegazione dei Quadri e sull'iniziativa dei singoli comandanti. Ma questi, guardando i loro soldati con quella paterna sollecitudine che è nelle nostre tradizioni migliori, non potevano fare altro che << divorare le lagrime in silenzio », pur essendo decisi a compiere fino all'ultimo tutto il loro dovere. Preoccupati delle effettive condizioni dell'esercito, molti ufficiali ricordavano la Francia del 1870, quando gli affollati campi e le brillanti riviste di Chàlons avevano dato luogo alle fallaci illusioni ed alle fatali impazienze del popolo francese, costretto a subìre, dopo appena pochi giorni, l'improvvisa del usione delle prime sconfitte; ma constatavano anche che l'Italia, a malgrado dell'apparente potenziamento dell'esercito, nel 1940 non poteva abbandonarsi ad alcuna speranza ; che il nostro popolo aveva accolto il nostro intervento con un accorato riserbo e, pur non conoscendo tutte le cause che già ci predestinavano ad una umiliante e pericolosa condizione di inferiorità, aveva reputato ingiusta cd inutile la guerra ed era rimasto estraneo a tutto qu anto si riferiva ad essa ed alle forze armate, costrette quindi a combatterla senza incoraggianti consensi e senza speranze di vittoria. Poteva, infatti, affermarsi che, fra tutte le guerre alle quali aveva partecipato il nostro esercito in ogni tempo: dalle lotte per l'adempimento de1la missione liberatrice ed unificatrice del nostro Risorgimento a quelle per la conquista dcl1e nostre colonie; dalla prima guerra mondiale alla riaffermazione del nostro dominio in Libia ; dalla conquista dell'Etiopia alla guerra di Spagna, l'imminente conflitto avrebbe imposto all'esercito, come a tutte le altre forze armate, le prove più ardue ed i più duri cimenti ed avrebbe costituito, per i formidabili interessi posti in g ioco, per il numero dei nemici, per le nuove armi ed i nuovi mezzi che vi si sarebbero impiegati, come per la diversità e l'estensione dei teatr.i di guerra, la lotta più accanita e più difficile tra quelle già sostenute. Tuttavia, anche nelle sue penose condizioni morali e materiali, serrati i suoi ranghi in disciplinata compagine, sorretto soltanto d alle sue tradizioni , fedele ad ogni costo ai suoi doveri , l'esercito non poté non obbedire ed ascese in silenzio il suo Calvario ; rimase sottoposto al pericolo, non soltanto per i giorni e per le ore delle incur-
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sioni aeree, ma per mesi e per anni; non dovette subìre solamente le prove del combattimento, ma anche le crudeli ansietà impostegli dalle minacce incombenti sulle famiglie lontane; resistette tenacemente alle più dure fatiche, al caldo dell'Africa, al gelo della Russia, come alla fame cd alla sete. Eppure la sua anima non si disgiunse mai da quella della nazione della quale tutti i soldati intuivano i dubbi angosciosi, sentivano la crescente ansietà, comprendevano pienamente le aspirazioni alla pace. Ma, se inferiore ai progressi degli altri eserciti era l'armamento , se così gravi erano le deficienze dei mezzi di trasporto, se così limitate ed insufficienti ad una lunga prova apparivano le risorse della nazione, non certo più confortanti erano, nell'imminenza della guerra, le condizioni dell'esercito per quanto si riferisce alle energie morali. 11 fascismo, specialmente nei primi anni, aveva esaltato, è vero, la nostra decisiva vittoria del 1918, si era studiato d'infondere in tutti i cittadini la consapevolezza della missione attribuita all 'Italia, aveva riconosciuto ed onorato il valore dei decorati, il sacrifizio dei feriti e l'olocausto dei Caduti; ma poi l'esaltazione delle virtù ciel nostro popolo non aveva impedito di constatare come le imprese tentate od effettuate non fossero proporzionate alle nostre effettive possibilità ed alle reali condizioni della Patria. Anche il principio dell'assoluta apoliticità delle istituzioni militari, prima solennemente proclamato come un indiscutibile dogma, era stato in seguito dimenticato ed errori sempre più gravi avevano contribuito a deprimere, specialmente nei Quadri, quei fattori spiritual~ che sono sempre i più efficaci e ncccssad per combattere e per vmccre. Perché il giudizio dei lettori sul nostro esercito possa essere basato sulla conoscenza di tutte le circostanze che fatalmente prepararono e resero poi inevitabile l'immeritata sconfitta, reputo necessario ricordare, in brevissima sintesi, i provvedimenti inopportuni, successivamente presi soltanto per rispondere alle esigenze del momento ed i più grav.i errori dovuti al crescente dominio deJle necessità politiche su quelle strettamente militari. Per quanto possa riuscirmi do!orosa, questa breve rievocazione mi sembra indispensabile, visto che il Paese non poté intuire, nel! 'ansioso, accorato silenzio delle nostre compagini militari , la gravità di certe disposizioni che, esaltate come benefiche dalla stampa, sembrarono tali anche alla massa dei cittadini ; mentre dovevano, pur~
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troppo, inevitabilmente infirmare la coesione, l'efficienza e perfino il prestigio delle nostre forze annate. Sullo spirito degli ufficiali aveva già influito in modo deleterio la legge dell' 11 novembre 1923 la quale, stabilendo gli ordinamenti gerarchici delle varie amministrazioni dello Stato, aveva voluto istituire, tra i funzionari ad esse appartenenti, un'impossibile disciplina unitaria, tendente a sommare insieme addendi eterogenei ed a creare legami non sempre necessari ed efficaci. Ne era derivato un lungo Decreto, con innumerevoli tabelle ed allegati, col quale si era tentato di stabilire, fra i diversi impiegati dello stesso ordine, una parità che non poteva essere che semplicemente teorica, anche se la legge si era proposto, come suo scopo principale, il livellamento delle condizioni economiche dei funzionari e<l aveva preso in esame , per conseguenza, il semplice fattore materiale. E poiché, per equiparare i gradi delle diverse gerarchie, si era scelta come esempio quella vigente per le forze armate, la legge aveva potuto stabilire, con un lungo e paziente lavoro burocratico, che un generale d 'esercito, come allora dicevasi, avesse lo stesso stipendio e lo stesso grado del Primo Presidente della Corte di Cassazione; che i generali di Armata usufruissero dello stesso trattamento degli ambasciatori ; che i generali di Divisione percepissero gh stessi assegni dei ministri plenipotenziad di seconda classe, d ei professori universitari stabili di prima classe, dei consiglieri di Stato, dei direttori generali al Ministero dei Lavori Pubblici e così via dicendo, con una esemplificazione che, pur essendo interessante, diventerebbe assai più complessa, passando dai funzionari del gruppo A a quelli del ruolo B ed agli impiegati del gruppo C. Ma, se la legge del 1923 aveva voluto effettuare la parificazione, del resto non sempre giusta e completa, nel trattamento economi co del personale dei diversi Dicasteri avente lo stesso grado, essa non poteva certo stabilire un' uguale parificazione nei compiti, nelle responsabilità, nella specie e nell'estensione dei doveri. Il provvedimento legislativo aveva quincli suscitato, come era da prevedere, confronti e contrasti, gelosie ed invidie, dannose discussioni in sordina ed equivoci a volte gustosissimi, come quello, ad esempio, di un giovane Prefetto politico che, in occasione di una festa nazionale, invece di prendere posto fra le autorità invitate, affacciò la pretesa di passare in rivista le truppe del presidio, ritenendosi in tutto equiparato - secondo una delle famose « tabelle di cl assifi cazione del personale appartenente al gruppo A » allegate all a legge
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più sopra ricordata - ad un generale di Corpo <l'armata, il cui grado - sosteneva in buona fede il funzionario - era evidentemente superiore a quello del colonnello comandante il presidio. Ora l'uso ed il conseguente abuso di queste famose tabelle di classificazione non poteva riuscire di pieno gradimento agli ufficiali delle forze armate, che compresero e sentirono come fosse impossibile parificare attribuzioni completamente diverse ed estendere a tutte le categorie dei funzionari un carattere militare che, nel maggior numero dei casi, era destinato a rimanere soltanto apparente. Scriveva non invano Andrea Gavet che « l'ufficiale è il solo funzionario al quale lo Stato sembri assegnare un mandato generale dell'autorità sovrana, con l'affidargli i cittadini e col costringere questi a prestargli obbedienza ». Costretti, anche in tempo di pace, ad osservare in silenzio una severa disciplina, a raggiungere, in qualsiasi momento, la sede loro assegnata, a preparare moralmente e tecnicamente i giovani loro affidati alla guerra e destinati a sopportare, più degli altri cittadini, non solamente le fatiche , i disagi ed i pericoli dei conflitti :irmati, ma :mc:h~ le t~rribili responsabilità che derivano dal disporre della vita dei proprt uomini, gli ufficiali avevano sofferto per tale equiparazione. Anche se non li umiliava , avvicinandoli alle altre categorie di funzionari, ugualmente rispettabili e benemerite, essa sembrava non voler riconoscere il carattere particolare della loro missione; non rispettava quelle tradizioni dalle quaJi, in tutte le forze armate, trassero e traggono l'alimento più prezioso le energie spirituali; non teneva il debito conto del fatto che la carriera delle armi, imponendo particolari obblighi e perfino il sacrificio dell a vita e richiedendo una vocazione spontanea e profonda , somiglia, sotto certi aspetti, a<l un vero e proprio sacerdozio, che non poteva essere sottoposto alla concezione, puramente materialistica, sull a quale si basava la lamentata riforma del 1923. Gli effetti della disposizione furono comunque delcter1. << La funesta legge del 1923 - ha scritto recentemente in proposito il generale Quirino Armellini ( 1) - , disconoscendo le particolari esigenze e le speciali caratteristiche degli ufficiali, appiattendo, burocratizzando, avvilendo, togliendo prestigio alla carriera militare, falsando di conseguenza il concetto ed il valore dei gradi che le sono connessi, doveva ineluttabilmente incidere sul.le qualità dell'ufficiale. ( r) Generale (Ju rR1 No Militare », anno JT, n. 10.
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Equiparato ormai ad un <.JUalunquc impiegato dello Stato, obbligato anch'esso ad iscriversi al partito e a diventarne gregario, da questo e dai suoi organi palesi ed occulti sorvegliato, controllato, con ogni libertà conculcata; costretto a nascondere ed a mascherare le sue idee e<l i suoi pensieri; dominato pian piano dalla paura gerarchica, diventata paura generale, l'ufficiale svilì il suo carattere, che ipocrite Circolari, intese a mascherare tutta l'opera assiduamente svolta per distruggerlo, di tanto in tanto esaltavano». Gli effetti della legge del 1~)23 divennero ancora peggiori quando, con successive disposizioni, si estese l'uso della divisa a tutti i funzionari dello Stato, a quelli di governo delle Colonie, agli istruttori della G .I.L., agli universitari, ecc.; così che, confusa fra tante uniformi multicolori, perfino la nostra divisa perdette gradatamente il suo prestigio. «
Un influsso ancora più grave per lo sp1r1to dei nostri ufficiali doveva esercitare, senza dubbio, anche l'istituzione della milizia yo]ontaria che - creata, rnmt~ fu r1ctto, per la necessità di disciplinare lo squadrismo - fìnì poi col moltiplicare sempre più le sue attribuzioni, i suoi Comandi, le sue legioni, le sue ingerenze nella vita nazionale e per prosperare, come una pianta parassita, a scapito delle più antiche e senza dubbio più salde istituzioni militari. L'equiparazione <lei gradi della milizia con quelli dell'esercito, gli inevitabili rapparti che costringevano a volte vecchi ed esperti colonnelli a dimostrare la loro deferenza disciplinare a giovanissimi luogotenenti generali, spesso non aventi nell'esercito altro grado che quello di sottotenenti di complemento; il dover passare alle legioni le armi ed il materiale <lei reggimenti e dei depositi resero spesso assai difficili i camerateschi rapporti imposti dag li ordini superiori. I pericoli derivanti dalla costituzione della nuova forza armata divennero ancora più gravi quando, in un secondo tempo, per le benemerenze conseguite dalla milizia nella rioccupazione della Libia, venne totalmente dimenticato il principio che, all'atto della mobilitazione, le legioni dovevano sciogliersi e gli improvvisati Quadri ed i militi riprendere nell'esercito il grado ed il posto che a ciascuno effettivamente spettava. Per il voluto oblìo di questa disposizione l'Italia fu costretta ad avere, in pace cd in guerra, non uno, ma due eserciti diversi ed inevitabilmente rivali, con un sempre maggiore onere per le finanze dello Stato e con la conseguente necessità di dividere fra le due istituzioni i pochi materiali e le non molte armi disponibili; così che
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l'esercito dovette vedere menomate, a favore della milizia, le sue dotazioni, aprirsi nei suoi magazzini incolmabili vuoti, diminuire, per tenere efficienti le troppe legioni, perfino il numero degli stessi . . . suoi uormm. Un'azione ancora più deleteria e più pericolosa per l'efficienza della nostra fanteria venne svolta, a favore della milizia, anche tra i militari appartenenti alle classi in congedo. Non ci fu ufficiale di complemento che, appena compiuto il servizio di prima nomina, non fosse insistentemente invitato, perfino con la promessa di più rapidi avanzamenti, di un trattamento disciplinare meno severo e di una vita meno disagiata, a passare nella milizia; non ci fu militare che, tornato a casa dopo la ferma, non venisse indotto, perfino con minacce più o meno palesi, ad iscriversi nelle forze armate del partito fascista, rendendo così inutili i progetti di mobilitazione ed incerto l'effettivo gettito delle diverse classi in congedo per gli ufficiali e per la truppa dell'esercito. Un'ulteriore menomazione delle energie spirituali dei nostri ufficiali derivò poi dal fatto che alcuni di loro, giudicati inetti nell'esercito, trovarono sempre aperte le braccia della milizia, dove, con le promozioni ottenute per benemerenze politiche, finivano a volte per conseguire un grado superiore a quello dei camerati di un tempo. In modo analogo ogni inchiesta disciplinare, sempre severamente svolta nell'esercito fino alle sue ultime conseguenze, veniva spesso conclusa con eccessiva indulgenza nei reparti della milizia, nella quale, nei casi più gravi, si puniva a volte con un semplice trasferimento l'ufficiale che, per la stessa mancanza, sarebbe stato indubbiamente cancellato dai ruoli dell'esercito. Nelle esercitazioni, nelle riviste militari, alle grandi manovre, venendo a contatto per necessità di servizio, l'esercito e la milizia dimostravano la loro diversità nella preparazione dei Quadri , nella disciplina dei reparti, nel modo di concepire il dovere; e tali differenze - che, pur evidentissime, gravi e pericolose, non provocarono alcun adeguato provvedimento - non potevano non mortificare lo spirito dei nostri ufficiali. Non saranno certamente mancate, da parte delle autorità militari competenti , proteste e tentativi di porre r.imedio a mali così gravi ed a pericoli così evidenti; ma il partito aveva finito col considerare la milizia come la necessaria difesa del regime, l'aveva dichiarata intangibile e l'interesse politico dominava, come in tante altre cose, quello militare.
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Si profittava anzi di ogni occasione per conferire alla milizia una sempre maggiore importanza e ad essa si affidavano, con un indirizzo non sempre conforme alle vere esigenze dell'esercito, l'istruzione premilitare e post - militare, un notevole concorso alla preparazione degli ufficiali di complemento con le legioni della milizia universitaria e perfino quella difesa contraerea alla quale i militi non erano convenientemente preparati, come apparve, purtroppo, evidentissimo in occasione delle prime incursioni aeree, che fecero temere, in molte città, più i tiri contraerei dc11a milizia che Ie stesse bombe nemiche. Deficienze, queste, gravissime, alle quali, trattandosi della « guardia armata della rivoluzione )), non era permesso neppure accennare ed a malgrado delle quali l'esercito doveva dar prova verso la nuova istituzione di un cameratismo che non poteva essere spontaneo, come ben dimostrarono i numerosi incidenti e le accanite baruffe che, all'inizio della guerra, si dovettero lamentare dovunque fra militi e soldati. Se non avesse avuto una sempre più complessa organizzazione permanente anche per il tempo di pace, la milizia avrebbe potuto effettivamente continuare, come si affermava in teoria, le nobili tradizioni del volontarismo italiano ed unire l'impeto e la fede degli entusiasti alla tradizionale disciplina dei reggimenti; ma, col continuo aumento delle sue legioni, essa rimase volontaria soltanto nella denominazione ed, in realtà, costituì un inutile e dannoso duplicato dell'esercito. Con questo non si vuol certo negare che anche la milizia potesse avere nei suoi ranghi giovani veramente entusiasti e combattenti veramente degni di questo nome ed, anzi, è doveroso riconoscere che non pochi reparti di militi, se meglio inquadrati e governati con una più severa disciplina, avrebbero potuto fare molto e bene; ma nessuno poteva dubitare che la diversità del trattamento disciplinare e di quello economico, i continui tentativi fatti dalla milizia a detrimento dell'esercito, l'accaparramento degli ufficiali <li complemento e dei militari delle classi anziane, il grave depauperamento della disponibilità delle armi e dei mezzi subìto dall'esercito dovessero costringere i nostri ufficiali << a divorare le lagrime in silenzio H , all'angoscioso pensiero delle delusioni e dei pericoli, nei quali sarebbe incorsa fatalmente la Patria. Anche la ripartizione degli ufficiali in due ruoli diversi - ripartizione imposta, è vero, <lai giusto desiderio di trovare il modo di
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accelerare la carriera dei migliori ; ma destinata evidentemente a dividere i Quadri dell'esercito, che prima formavano una sola famiglia - ebbe una dannosa ripercussione sul morale degli ufficiali. E ciò tanto più in quanto, benché tale ripartizione fosse giustificata dalla necessità di migliorare le condizioni degli ufficiali appartenenti al ruolo Comando, con successivi provvedimenti vennero, invece, di tanto aumentati i vantaggi accordati a quelli del ruolo Mobilitazione, che non pochi ottimi ufficiali, costretti a desiderare l'inamovibilità per i bisogni della famiglia, vennero indotti a chiedere spontaneamente il passaggio in quest'ultimo ruolo. Sottoposti anch'essi al mutevole corso delle vicende politiche, gli ordinamenti, le uniformi, le attribuzioni dell'esercito vennero poi troppo spesso modificati e, per quanto ad ogni riforma si affermasse che si trattava ormai di promulgare un codice definitivo ed immutabile, le innovazioni continuavano a succedersi con tanta rapidità, che non c'era il tempo di applicare una disposizione, senza che ne venisse emanata un'altra, assolutamente diversa; così che l'esercito dovette subìre continue scosse e l'ufficiale rimase sempre più incerto e sempre più preoccupato della sua sorte. Anche alcune leggi, come, ad esempio, quella sull'avanzamento degli ufficiali, destinate a riconoscere i particolari titoli di alcuni , non poterono tenere il debito conto degli interessi e della sensibilità della maggioranza ed il criterio dell'esame comparativo, adottato per regolare la promozione dei generali, che è senza dubbio il migliore in teoria, divenne, in un mondo ormai completamente asservito all'influsso politico, anch'esso deleterio, perché finì col portare agli alti gradi gli elementi ritenuti più devoti al regime e fece valere benemerenze politiche assolutamente estranee all'effettiva attitudine al comando. Così, ad infirmare negli ufficiali le qualità del carattere, si diffuse a poco a poco la convinzione che, per fare dimenticare qualche lacuna nella preparazione professionale ed a volte periìno per stornare i pericoli di una inchiesta disciplinare, bastasse poter contare qualcuno di quei titoli nel campo politico, che la grande massa dell'esercito non avrebbe vo'uto riconoscere. Che dire poi dei fiduciari del partito fascista, introdotti nei singoli reparti, nei Comandi e perfino negli stessi Ministeri militari, fiduciarf che osservavano gli atteggiamenti degli ufficiali e finivano con l'imporsi, capovolgendo la gerarchia , perfino anche ai colleghi di grado superiore? Così l'influsso della politica si esercitò, in modo sempre più dannoso, sulla nostra preparazione, sulle energie morali dei Quadri,
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sui fattori spirituali di tutto l'esercito e finì col rendere a volte possibile che i migliori clementi venissero sacrificati e che gli opportunisti ed i politicanti - del resto assai pochi e facilmente individuabili - conseguissero i posti più ambiti, imponendo all'esercito - proprio nella fase che avrebbe dovuto essere di più intensa preparazione alla guerra - quelle amare delusioni che, pur non riuscendo ad infirmare la g1urata prontezza ai più difficili doveri , finirono ben presto col mutare i fervidi entusiasmi di un tempo in una muta cd accorata rassegnazione. La gravità di una tale situazione, con tutti i pericoli che ne derivavano, non era certamente sfuggita ai Capi, ai quali incombeva, al di sopra e al di fuori di ogni considerazione politica, l'efficace preparazione dell'esercito; ma, dopo le ripetute e finalmente accolte dimissioni del compianto generale Bonzani, la carica di Capo di Stato Maggiore aveva perduto molta parte della sua importanza ed i Sottosegretar~ di Stato alla Guerra, costretti a seguire le vicende politiche più che le fasi dei nostri apprestamenti militari, non potevano certo dedicarsi con la neet:ssaria costanza all'efficace preparazione alla guerra che, spesso apparsa imminente ed a volte lontana , veniva già considerata da tutti come un male ormai inevitabile. Come se tutto questo non bastasse, non mancarono, purtroppo, altri provvedimenti che non potevano non influire sulle qualità dei Quadri. Il fascismo, preoccupandosi dello sviluppo demografico, aveva incoraggiato in ogni modo la celebrazione dei matrimoni e, per conseguenza, aveva fatto aumentare rapidamente il numero degli ufficiali e dei sottufficiali , anche giovanissimi, aventi famiglia ; vale a dire obblighi che, volere o no, ne limitano, specialmente in pace, la disponibilità; molto più che i modesti assegni, le condizioni economiche spesso precarie, il crescente numero dei figli, aumentandone le preoccupazioni, finivano inevitabilmente col deprimere gli entusiasmi per la carriera e davano vita a quel « territorialismo », che il maggiore Forlenza ( 1) ha pittorescamente definito: << figlio infelice, ma legittimo dell'insufficiente trattamento economico». Sempre per favorire lo sviluppo demografico, a malgrado delle proposte in contrario delle autorità militari, il Governo aveva esteso la tassa sul celibato anche agli ufficiali, con un provvedimento che ( 1 ) L u 1G1 FoRLENZA:
anno II, n. 5.
Accuse e difese degli ufficiali,
in <<
Rivista Militare »,
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non poteva non sembrare discu tibile, dato il fatto che, per le guerre combattute, per le cariche ricoperte, per essere rimasti troppi anni nelle colonie, non pochi ufficiali non avevano potuto, anche volendolo, scegliersi una compagna e visto che, presso i migliori eserciti del mondo, a parità delle altre condizioni, vengono, invece, preferiti i Quadri che, sempre pronti a partire per qualsiasi destinazione ed a rischiare la vita, rinunziano anche al conforto della famiglia. A malgrado di queste considerazioni, gli ufficiali celibi nelle nostre forze armate, non soltanto venivano tassati; ma finivano per attendere a lungo, e talvolta invano, la promozione alla quale avevano diritto, possedendo, secondo i più severi accertamenti, tutti 1 requisiti necessari per ottenerla. Un'altra scossa dovettero subire i nostri Quadri anche quando il Governo fascista , che prima aveva offerto la sua ospitalità a tanti profughi dalla Germania, volle partecipare alla lotta antisemita, allontanando improvvisamente dai nostri reparti molti ottimi ufficiali, nonostante i favorevoli giudizi meritati, i servizi resi, i saldi vincoli di. cameratismo che li univano ai commilitoni. Il provvedimento, imposto anch'esso dalla politica, venne discusso e quasi da tutti biasimato e l'eroico sacrificio del ten. colonnello Morpurgo, che volle cadere fra i suoi soldati nella guerra di Spagna ed alla cui memoria venne poi conferita la medaglia d 'oro al valore, commosse profondamente gli ufficiali e rese più evidente la nuova illegalità, più gravi le incertezze sulla carriera, più fondati i timori di nuove, eventuali sorprese. I continui progressi della chimica, della fisica e della meccanica, suggerendo l'impiego di nuovi esplosivi ed imponendo l'adozione di sempre nuovi mezzi di lotta, di trasporto e di comunicazione, tendevano, intanto, ad aumentare sempre più l'importanza dei fattori materiali e - mentre, per la mancanza delle materie prime, si rendeva sempre più grave la nostra inferiorità rispetto agli altri eserciti - facevano apparire opportuna, per la necessità della divisione dei compiti, una specializzazione del personale e dei reparti, che non poteva non infirmare la coesione dell'esercito e la solidarietà dei suoi componenti, determinando, è vero, una nobile gara nel rendimento; ma attenuando l'efficacia dei legami che prima derivavano dall 'omogeneità delle formazion i. La fanteria , ad esempio, l'Arma che - come dicono i regolamenti tattici di tutti gli eserciti - è destinata a svolgere un'azione preminente sui campi di battaglia, finì per comprendere, data la complessità dell'armamento e la molteplicità dei compiti, i mitraglieri, i carristi, i cannonieri ,
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i guastatori, i paracadutisti e le nostre stesse divisioni dovettero distinguersi in Grandi Unità d'assalto, da montagna, tipo coloniale, corazzate, motocorazzate, autotrasportate, aerotrasportabili, costiere, ecc. Data la molteplicità dei mezzi <li lotta, di trasporto e di comunicazione assegnati o da assegnare ai reparti, la tecnica finì con l'avere nelle nostre Scuole un'importanza preminente a scapito della loro tradizionale funzione etica e, per conseguenza, mentre i fattori intellettuali dovevano orientarsi sempre più verso il tecnicismo e risolvere i problemi che ne derivavano ed i fattori materiali affermavano in modo sempre più evidente la loro crescente importanza, quelli spirituali - che pur furono, sono e saranno sempre i più necessart nel determinare l'efficienza di ogni compagine armata finivano col perdere, almeno in parte, la loro efficacia. Ho già accennato a11a trasformazione della nostra divisione di fanteria da ternaria in binaria che, se inferiore nel numero degli uomini rispetto a quelle degli altri eserciti - presso i quali facevano ancor parte delle divisioni tre ed anche quattro reggimenti di fanteria - avrebbe dovuto essere assai meglio fornita di anni e di mezzi. A ridurre la fanteria nella divisione da quattro a tre soli reggimenti la prima era stata la Germania, durante la guerra 19141918 ; ma in proposito il Ludendorff aveva apertamente confessato che, con questo espediente, si era cercato, non già di migliorare l'efficienza della divisione; ma di supplire alla già sentita mancanza degli uomini. Nel nostro esercito l'innovazione, reputata troppo ardita e dannosa da molti competenti, avrebbe dovuto rispondere alla n ecessità - data l' importanza attribuita all'azione di fuoco n el facilitare il movimento e nel preparare l'urto - di stabilire una proporzione più opportuna tra la quantità delle armi ed il numero degli uomini da impiegare nell'attacco. Si disse anche che , composta, per quanto riguarda la fanteria, di soli due reggimenti , la divisione sarebbe stata più maneggevole, più mobile, più facilmente trasportabile e si pensò che l'innovazione avrebbe potuto servire a ridare vita alle nostre vecchie e gloriose brigate. La famosa Circolare 9000 definiva la divisione binaria come la Grande Unità hase, inscindibile nel combattimento, destinata particolarmente all'urto e<l alla penetrazione , in<..Juadrata normalmente nel Corpo <l'annata e capace di agire in un settore, la cui ampiezza, per quelle di prima schiera, veniva ridotta a rnoo - 1500 metri.
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Per conseguenza le attribuzioni, assegnate presso gli altri eserciti, compreso il tedesco, alla divisione, vennero affidate nel nostro ai Corpi d 'armata, con una diminuzione di compiti che non poteva non influire sui requisiti dei comandanti e sul prestigio dei Quadri più elevati. Alla prova del fuoco, come era stato facilmente previsto, la nostra divisione si dimostrò troppo povera di uomini, incapace d i alimentare efficacemente l'azione penetrativa ed inferiore a quelle degli altri eserciti, anche per il numero delle armi e dei mezzi materiali. L 'innovazione, ancora non del tutto attuata all'inizio dell a seconda guerra mondiale, rese inoltre necessario lo spostamento di numerosi reparti , spezzò gli efficacissimi vincoli creati dalla tradizione, impose difficoltà gravissime per la costituzione dei nuovi reggimenti di artiglieria divisionale, che si dovettero necessariamente formare col concorso dei vecchi e col passaggio dei gruppi, degli uomini e dei quadrupedi da un reggimento all 'altro. L'esercito dovette, per conseguenza, superare una nuova, difficile prova e partecipare alla guerra con le nuove Grandi Unità ancora incomplete e con le vecchie che non avevano più la primitiva efficienza; con reggimenti di fanteria appartenenti a brigate diverse ed a volte aventi sede in diverse circoscrizioni territoriali ; con quelli di artiglieria costituiti da tre soli gruppi, provenienti da diversi Corpi e da ogni regione d 'Italia ; con quadrupedi di requisizione non addestrati e non allenati al traino; con i reparti del genio spesso comandati da giovani sottotenenti di complemento ; con tutte le Unità inquadrate in modo assolutamente insufficiente. All'inizio dell a guerra, i generali che comandavano le nuove divisioni dovettero ricorrere ad ogni espediente per superare le innumerevoli difficoltà inerenti alla formazione dei reparti, per completarli e per affiatarli fra loro. Ci furono divisioni di nuova formazione, al cui reggimento di artiglieria d a campagna vennero mandati uomini provenienti da Corpi motorizzati, che non erano stati mai a cavallo; altri reggimenti di artiglieria che, anche a guerra iniziata, non avevano cavalli che per le due prime batterie di ciascun gruppo e che si trovavano nell 'impossibilità di provvedere al traino delle terze batterie ed all a formazione dei reparti viveri e munizioni. L'assoluta insufficienza delle disponibilità si rese poi evidente, fin dai primi giorni, anche per i mezzi di trasporto che, ad ogni spostamento delle divisioni, dovevano essere sfruttati al massimo e che, pur marciando di giorno e di notte e mettendo a dura prova personale e macchine, riuscivano soltanto con un notevole ritardo
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a trasportare l'ingombrante materiale dei reggimenti e degli altri reparti di visionali. Pure, a malgrado e.li tutti questi errori, di tante scosse improvvise e di così dolorose constatazioni, tutti gli ufficiali continuarono in silenzio a dar prova della loro abnegazione ed a dedicarsi alla loro opera che, anche sè non poteva più conseguire tutti i suoi nobili scopi, sarebbe riuscita sempre utile al Paese, visto che qualche cosa si poteva ancora salvare, che l'onore militare imponeva di tener fede al giuramento prestato e che la milizia si mostrava, in ogni occasione, sempre più impaziente di sostituire definitivamente l'esercito. Ho già fatto menzione del] 'inevitabile tendenza al tecniosmo impressa alla nostra preparazione e poiché troppo spesso si cade in una voluta confusione fra Quadri effettivi e Quadri di complemento cd, a volte, fra le tante cause delle nostre presenti sciagure, si cita anche la deficiente cultura attribuita agli ufficiali , reputo necessario dedicare qualche pagina anche a questo argomento. Se volessimo ricordare la distinzione fatta dallo Spencer fra popoli e società militari e popoli e società industriali, noi dovremmo riconoscere che il nostro popolo, nelle qualità più profonde della sua indole, appartiene al secondo tipo, presso il quale la struttura sociale - come scriveva il Guerrini (1) - non risponde alle esigenze della guerra; ma principalmente a quelle della pace . Circostanza, questa, che deve pur ricordarsi come fondamentale nell'aiutarci a riconoscere in noi ancora fatali le tracce dei sentimenti ereditati e.la quei « sav1 » del Cinquecento, che il Guicciardini descrive specialmente abituati a preoccuparsi ciascuno del « suo particulare » e che non sentivano « il bisogno di spendere i loro denari per mettere in pericolo la vita e !Cl àttù, quC1nto per riposarsi e salvarsi>). Ma, oltre all'influsso innegabile di secolari tendenze, altre cause intervengono ancora ad impedire che in Italia l'esercito sia così profondamente conosciuto, da lasciare senza alcun credito i troppo severi g iudizi che su di esso vengono pronunziati, specialmente in questo periodo, mentre il rispetto alla legge sembra ormai in disuso e neppure coloro che avrebbero il preciso dovere e.li farlo ricordano che il vilipendio alle nostre forze armate è da considerarsi come un vero e proprio reato.
( 1) D oMENTco T orino, 1 9 22.
G n ERRINI :
lntroduz wne allo studio della Storia militare,
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Infatti, anche nell'oscuro e travagliato presente, permangono ancora nel Paese i pregiudizi di un tempo ; pregiudizi ai guaii la propaganda contraria alle istituzioni militari si sforza di conferire un nuovo vigore, incoraggia ndo ancora una volta le fallaci credenze, per le quali si riconosce all'ufficiale il diritto ad una certa benevolenza per i suoi sentimenti, ma non sempre per la profondità delle sue meditazioni ; non si dubita della sua attività fisica, ma se ne ignora quasi del tutto quella in tellettuale; si può ammettere forse il valore che egli può dimostrare al servizio della Patria; ma non si crede alla sua quotidiana fatica e generalmente si ritiene che la cultura professionale dell 'ufficiale si riduca, in ultima sintesi, alla conoscenza dei regolamenti dell' Arma alla quale egli appartien e. Per questa ingiusta convinzione, derivante da tempi ormai sorpassati, si considera ancora la carriera militare come la più atta alle giovinezze esuberanti , ma non fatte - come si dice comunemente - per languire sui libri ; si domandano immeritate indulgenze ai professori per gli alunni H che non debbono continuare gli studi ( !) perché aspirano a diven tare uffi.ciali » e si perpetua, infine, sia pure senza saperlo, l'errore che deriva dal considerare come antitetici la toga e la spada, il cuore e la mente, il pensiero e l'azione. Così il Paese continua a ritenere i corsi delle Accademie militari assai meno difficili di quelli universitari; aLla generalità dei cittadini sfugge la crescente complessità degli studi militari ed i vincoli, pure innegabili, che esistono fra questa branca <lei sapere e tutte le altre dello scibile umano ; alla maggior parte dei governanti, infine, appare doveroso l'esame dei problemi che si riferiscono alla Scuola ; ma non del tutto necessario il ricordare che, accanto alla organizzazione scolastica civile, un'altra ne è sorta a poco a poco - senza dubbio ancora suscettibile di perfezionamenti, ma già salda e completa - nella quale, passando d agli Istituti preparatori alle Accademie militari, alle Scuo!c di applicazione e <li perfezionamento, gli ufficiali possono finalmente pervenire all'lstituto superiore <li Guerra, dove, attraverso studi severissimi, le loro menti si preparano ad offrire, perfino alle decisioni dei comandanti, un contributo veramente prezioso. Ed ecco perché, nell'iniziare la carriera delle armi, i giovani si mer avigliano di trovare negli Istituti militari , non soltanto la palestra di ginnastica, la sala di scherma, il maneggio per l'equitazione, il campo per gli esercizi fisici e militari; ma anche le austere sale di studio, nelle guaii lungamente si pensa e si medita, e le aule dove
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gli insegnanti sperano di poter sovrapporre, come su salda ed indispensabile base, alla cultura generale anche la conoscenza di quelle discipline, delle quali gli allievi ignoravano perfino l'esistenza. Appunto per questi innegabili legami fra la Scuola civile e la preparazione professionale degli ufficiali, il livelJo culturale dei nostri Quadri non poté non risentire le conseguenze di quella diminuzione della cultura generale che, come io stesso dovetti constatare nei lunghi anni del mio insegnamento universitario, si era purtroppo verificata, specialmente negli ultimi anni del regime fascista. C'era stato, inoltre, un certo periodo, nel quale le disposizioni emanate dal Ministero della Guerra, abolendo i concorsi per gli insegnanti, suggerendo di curare esclusivamente la preparazione professionale degli ufficiali, tendendo ad abolire gli esami finali anche n egli Istituti militari, concorsero a diminuire il prestigio delle nostre Scuole, a far progredire il tecnicismo a scapito della cultura generale e ad affidare, infine, la preparazione dei giovani che aspiravan? alla carriera militare ad insegnanti non sempre esperti e capaci. Bisogna , però, riconoscere che, se con questi provvedimenti il livello culturale dei nostri Quadri doveva finire con l'abbassarsi - in analogia, del resto, con quanto avveniva per gli allievi di <.JUasi tutte le Scuole civili - le intenzioni, le speranze e le finalità del legislatore erano quelJe di curare nei giovani, più che le qualità culturali, quelle ciel carattere, in modo da avere, in pace ed in guerra, ufficiali meglio preparati a sopportare le responsabilità ed a decidere prontamente. Ed anche se, a malgrado di così buone intenzioni, la Scuola militare italiana, prima tenuta in grande onore anche all'estero, perdette parte del suo prestigio, non si può negare, senza cadere in una voluta esagerazione, che anche all 'inizio della st'.conda guerra mondiale i nostri Quadri effettivi disponevano <li una buona preparazione professionale. Poiché gli ufficiali in servizio permanente non rappresentano, in un esercito mobilitato, che una esigua minoranza, si era poi cercato di aumentare il numero di quelli cli complemento, reclutandoli in tutti i modi e da tutte le provenienze: con i corsi della milizia universitaria, dei reggimenti, delle Scuole allievi ufficiali cli complemento, con quelli per « alte personalità », ecc., ecc .. Ne era conseguita una grave eterogeneità nella preparazione dei giovani, corrispondente alla eterogeneità del loro reclutamento.
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Tuttavia gli ufficiali di complemento, ai quali fu necessano affidare l'inquadramento ed il comando di quasi tutte le piccole Unità dell'esercito, offrirono alla guerra un contributo veramente prezioso, anche se non conoscevano bene il soldato e se risentivano, naturalmente più degli altri, dei sentimenti d ella nazione, contrari alla guerra. Inconvenienti ancora più gravi derivarono, inoltre, dalle rapide promozioni, spesso conferite soltanto per benemerenze politiche, e dall'insufficienza dei provvedimenti presi per aggiornare - come sarebbe stato indispensabile, dati i successivi ordinamenti imposti all'esercito ed i sempre nuovi mezzi di lotta - le cognizioni dei Quadri in congedo, i quali, dopo avere compiuto soltanto il servizio di prima n omina e qualche breve corso serale presso le diverse Sezioni dell'Unione n azionale ufficiali in congedo, furono richiamati, all 'inizio della guerra, coi gradi di maggiore e di tenente colonnello; gradi, dei quali moltissimi, a malgrado delle elevate qualità morali , non potevano compiere efficacemente tutti i non facili J overi. Chiusa la pur necessaria digressione sulla preparazione culturale dei Quadri, reputo opportuna qualche altra considerazione sulle sofferen ze morali, sui sentimenti e sulle virtù dei nostri ufficiali che, fra tante amarezze, cercano sempre conforto nel dedicarsi alla loro missione educativa e nel fiducioso affetto dei loro soldati. Per quanto riguarda questi ultimi - ha scritto recentemente un onesto ed esperto soldato, il generale Pagano (1) - << noi abbiamo conosciuto la mitezza degli umbro - toscani e dei marchigiani, la calda generosità romagnola, l'apparente scontrosità siciliana, la taciturn a fedeltà dei sardi, ecc.; ma, in fondo, il popolo italiano d à un tipo di soldato unico al mondo, che non tradisce la sua provenienza prevalentemente contadina. Rotto al pacifico lavoro dei campi , schivo dalla lotta armata finché la necessità non lo costringe, abituato alle privazioni , di una sobrietà proverbiale nel cibo e nelle bevande alcooliche, egli è un paziente, resistente e disciplinatissimo combattente. Esuberante di affetto, buono di animo, generoso e sentimentale, cerca il Capo che lo guidi a buona sorte. A lui si affida pienamente, se intuisce - come sempre intuisce per il buon senso che accompagna il suo semplice ragionamento - che il Capo (1) Cft-. S A LVATORE tare », anno l, n. 5.
P AGAN O:
Discorso sulla disciplina, in « Rivista Mili-
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è un uomo che vale e che merita la sua fiducia. Gli si affeziona, se costui ha fatto di tutto per meritare il suo affetto, curando di evitargli fatiche inutili e cercando di procurargli ogni benessere possibile nel vitto, nell'alloggio, nelle sue piccole necessità. cc La nostra disciplina militare è intonata a queste relazioni sentimentali tra inferiore e superiore. Si stabiliscono in tal modo, fra l'ufficiale e i suoi soldati, legami indissolubili e destinati a permanere anche quando, nelle avversità della lotta, ogni vincolo disciplinare gerarchico tende a spezzarsi e, davanti allo spettro della morte, può prevalere l'istinto della conservazione )>. Tuttavia una delle accuse più ingiuste che si muovono contro gli ufficiali, con l'evidente scopo di introdurre anche nell'esercito i crited della lotta di classe, esaltando le virtù dei gregarì in contrapposto con la presunta incapacità dei Capi, è quella che attribuisce a questi ultimi, pur destinati a vivere fra i loro soldati, a conoscerne i sentimenti, a constatarne l'evoluzione delle idee, quell 'assenteismo dai problemi psicologici e sociali che, per fortuna, per quanto riguarda il nostro esercito, non si è mai verificato, salvo che nella fantasia troppo accesa dei denigratori. Basterebbe che questi signori leggessero, per constatare le relazioni che effettivamente intercorrono fra soldati ed ufficiali, il nostro Regolamento di disciplina che tende, non già a dividere l'esercito in caste, come a volte ancora si pensa; ma ad unire in una grande famiglia tutti i militari, creando quella solidarietà, che è sempre la forza più vera di ogni compagine armata e che diventa decisiva nel pericolo, permettendo di convogliare, nel rispetto della gerarchia, tutti gli sforzi verso l'unica mèta. Solidarietà che deriva dalla disciplina che ciascuno deve sapere imporre spontaneamente a se stesso e che viene volontariamente compresa ed accettata come un supremo dovere dai Capi e dai gregari: tutti ugualmente premiati dai doni inestimabili della vittoria e tutti ugualmente minacciati dai danni e dall'onta della sconfitta. E la disciplina - anima e virtù più preziosa di ogni compagine bellica - è stata, è e dovrà essere sempre sentita ed osservata dalle nostre forze armate: non già come un semplice complesso di fredde regole imposte con la minaccia di severi castighi, ma come il p rimo fondamento e l'indispensabile hase di quella cooperazione che, nella dura vita dei campi, nell'ansietà delle vigilie, n ell'accanimento delle battaglie, deve unire i pensieri , i sentimenti, le volontà di tutti i combattenti.
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La disciplina, quale la intendono e l'osservano gli ufficiali italiani, è quella che più direttamente deriva dal latino discere: più che proporsi un'azione repressiva, mira ad un'alta funzione etica; non vuole soffocare le anime e comprimere le volontà colla pesante minaccia delle punizioni, ma renderle solidali e concordi e guidarle verso il comune obbiettivo; e, se ricorda i doveri da compiere, accanto e prima degli obblighi dell 'inferiore, enuncia quelli del superiore, quasi a significare come, nella gerarchia, il dovere esista per tutti i gradi e sia anzi assai più difficile per quelli più elevati. Il Regolamento vigente, anch'esso ora oggetto di tanti ingiusti apprezzamenti, non considera affatto i1 soldato come un automa; ma richiede cc che egli abbia un nobile concetto di sé medesimo» e tragga dall'importanza del fine che si propone « una elevatezza di pensieri e di sentimenti proporzionata all' ufficio che è chiamato a compiere >l, in modo da poter effettivamente offrire tutte le proprie forze « di corpo, di intelletto e di cuore, alla difesa deJla Patria e delle leggi » e da rendersi abituale lo spirito di abnegazione e di sacrificio, per il quaJe il militare diventa « atto a sopportare i disagi e le privazioni , intrepido nei pericoli, generoso in ogni occorrenza ». Per conseguenza, la nostra disciplina non costituisce un insopportabile peso, ma è umana ed iJluminata; non serve e non può se vire a dividere, ma ad unire le anime dei soldati a c.iuelle degli ufficiali ed è quindi assolutamente infondata anche l'accusa, tornata ancora una volta di moda, secondo la quale i nostri ufficiali vivono una vita troppo lontana da quella dei gregad, ai quali si sentono, invece, costantemente uniti dalla comunanza dei doveri e dei quali hanno sempre diviso la sorte. A riconoscere i saldi legami che, nel nostro esercito, secondo i critcrì della più sana democrazia, uniscono i soldati e g li ufficiali, basti ricordare, del resto, come questi ultimi si preoccupino sempre del benessere morale e materiale dei primi; cerchino di educarli ai migliori sentimenti, li ricordino con affetto anche nelle lettere alle famiglie lontane, parlando, a seconda dei casi, dei « loro figlioli )) o dei « loro ragazzi ». Se rileggiamo poi le ultime lettere ed i testamenti lasciati dai Caduti nella prima guerra mondiale - lettere e testamenti già da alcuni anni raccolti e pubblicati da Antonio Monti - non possiamo mettere in dubbio nemmeno l'affetto fedele e devoto dei soldati per 1 loro Capi e l'ammirato orgoglio di questi per le virtù dei loro gregan. 0
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A proposito de <e la psicologia delle folle in armi » , scriveva con ragione il generale Bastico, dopo il primo conflitto mondiale: cc Chi ha seguito da vicino le vicende della grande guerra, sa bene che, anche nei reparti pit1 disciplinati e più saldi, la massa è piuttosto propensa a compiere interamente, ma semplicemente il proprio dovere, ch e non a compiere ad ogni ora atti di eroismo ; tuttavia essa li compie quand o l'esempio dei Capi la infiammi e la trascini ai più ardui cimenti ». « I soldati sanno - ammoniva il tenente colonnello Lébaud (r) che, senza ufficiali, essi sarebbero incapaci di agire. Quante volte non è avvenuto, infatti, che delle Unità si sbandavano quando tutti i loro ufficiali erano stati posti fuori combattimento ? . . . La coesione tra ufficiali e soldati è il vero segreto di questa macchina moderna che è l'esercito in guerra». Tale coesione è stata sempre intima e spantanea in tutti i reparti del nostro esercito, nel quale, in ogni guerra, i Quadri di qualsias i grado, dal sottotenente al generale, hanno saputo sempre pagare di persona cd unire, anche nei 1nomenti più gravi , all'efficacia dell'ammonimento quella sen za dubbio maggiore dell'esempio, come dimostra l'alta percentualità degli ufficiali caduti nella prima guerra mondiale ed anche in quella della quale tutti piangiamo le conseguenze. Una relazione ufficiale austriaca sulla g uerra 1915 - 1918 al fronte italiano afferma ed esalta questa veri tà che alcuni, per il loro spirito di parte, vorrebbero ora disconoscere. « Gli ufficiali italiani - dice la relazione - si battono da veri eroi e sempre in testa ai loro soldati. Si spiega così il gran numero di essi che cadono sul campo. Ma i soldati, quando vedono cadere i loro comandanti, diventano dei leoni, nell'evidente desiderio di vendicarne la morte )). Appunto a proposito degli ufficiali effettivi - contro i quali si accaniscono in partico!ar modo i calunniosi giudizi di coloro che vogliono ad ogni costo distruggere le nostre migliori istituzioni Angelo Gatti notava (2): << Chi degli Italiani ebbe figli ufficiali di professione al principio della guerra (e chi ebbe figli ufficiali di complemento, ugualmente provati, può dire la stessa cosa!) sa ch e di quindicimila ufficiali effettivi nel maggio 1915, ne rimasero forse quattromila nel novembre 1918. Il settantadue per cento scomparve. Fu facile sarcasmo dire, un giorno, che ufficiali effettivi non n e ( 1)
Cfr. Lieut. col.
(2) Cfr. A NGELO
Commandcr, Parigi, J 922. Nel tempo della tormenta, Roma, 1919.
L ÉB/\UD:
GATTI:
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morivano più. E' vero: non ce n'erano più. La guerra li aveva distrutti l » . Da quanto ho già avuto occasione di dire si può desumere che, all'inizio del secondo conflitto mondiale, il nostro esercito non era affatto in grado di sostenere una lunga lotta, specialmente per quella povertà di mezzi materiali, che lo avrebbe fatalmente messo, fin dai primi giorni, in condi zioni di assoluta inferiorità rispetto a tutti gli altri eserciti belligeranti ; condizioni che non sarebbe stato possibile modificare; ma che sarebbero, anzi, peggiorate col tempo, man mano che gli altri avessero adottato nuovi mezzi, trovato armi più perfette, rivelato i segreti della loro preparazione. Consapevoli di tale innegabile inferiorità, che non poteva non influire sulle loro energie spirituali e sulle impareggiabili virtù del nostro soldato, costretti a combattere ed a far combattere i loro uomini quasi inermi contro nemici armatissimi , gli ufficiali, turbati dal troppo frequente succedersi di innovazioni non sempre opportune per l'efficienza morale dei reparti, dubitavano fìn dai primi giorni di poter conseguire la vittoria, specialmente: in una guerra non compresa e non voluta dal popolo, contro gli alleati del primo conflitto mondiale, al fianco di coloro che erano stati sempre, in ogni periodo della storia, i nostri tradizionali nemici e che, uniti agli Austriaci, dal 1915 al 1918, avevano reso così grave e sanguinoso lo sforzo, così lunga ed accanita la lotta, così difficile, se pur così gloriosa, la decisiva vittoria del nostro esercito. Ha scritto Summer W elles (1): « Lo Stato Maggiore italiano era sfavorevole alla guerra e venni informato da più di una fonte che, nei ranghi delf esercito, l'avversione alla partecipazione dell'ltalia al conflitto era fo rmidabile » . Ufficiali e soldati sentivano che, nel secondo conflitto mon~ dialc, i g loriosi Caduti dell'altra guerra, raccolti n ei cimiteri del Grappa e di Redipuglia, non si sarebbero certo levati a formare, davanti ai loro reparti, un 'invisibile, gloriosa avanguardia e sarebbero rimasti dolenti e delusi nel vederli uniti ai loro nemici del Carso e del Piave. Tuttavia l'esercito, per quella disciplin a che ho già ricordato, non poté che obbedire e lo fece, pur sapendo che, oltre alle armi, ai quadrupedi, ai materiali, gli sarebbero questa volta mancati anche i nobili incitamenti del 19 15, i voti concordi della nazione e tutti
( 1) S u MMER
W ELLES: Ore decisive, Roma, 1945.
IL NOSTRO ESERCITO ALL,INIZIO DELLA G UERRA
quegli efficacissimi tonici che ad un esercito in guerra non possono pervenire se non dall'anima stessa del popolo. Oltre, infatti, a sapersi quasi inerme, l'esercito - nell'affrontare la prova senza neppure la speranza di potere offrire alla Patria ancora una volta la vittoria - dovette sentirsi disperatamente solo e, tuttavia, non esitò a compiere il suo consapevole sacrifizio. Questa è la verità, di fronte alla quale, se i cittadini si chiedon o perché i soldati obbedirono, i soldati possono, con maggior ragione, domandarsi come mai la nazione, che pur l'avrebbe potuto, non osò manifestare in alcun modo la sua volontà contraria alla guerra e, piuttosto che scongiurare la grave iattura già presentita, preferì chiudersi in un accorato riserbo. L'Italia già conosce quanto sia a volte difficile l'obbedire; tanto che bene a ragione, fra i titoli di onore per i quali, nel ricordo del nostro popolo, diventa sempre più gloriosa la figura di Giuseppe Garibaldi, insieme alla disperata difesa della Repubblica romana, alle difficili vittorie di Calatafi.mi e del Volturno, all'ardita conquista di Palermo, ha voluto comprendere, con eguale, <lcvota ammirazione, anche l'accorato « obbedisco » del 1866, col quale l'Eroe, già in procinto di liberare Trento, riconobbe il supremo dovere della disciplina. Del resto, come potrebbe la nazione rimproverare all'esercito l'obbedienza della quale diede prova nel J940, mentre, in questo burrascoso dopoguerra, è costretta ad ammettere che, nelle pubbliche assemblee, i rappresentanti eletti dal popolo osservino la più severa disciplina di partito e decidano, anche sulle questioni relative alla stessa esistenza ed al1'avvenire del Paese, secondo gli ordini dei dirigenti la rispettiva fazione, piuttosto che secondo le proprie convinzioni personali e la propria coscienza? Nell'intraprendere la lunga e difficile lotta, la disciplina non venne imposta ai nostri soldati dall'oscuro timore delle probabili sanzioni; ma dalle tradizionali virtù delle quali l'esercito non poteva mancare , anche perché ogni suo gesto contrario alla guerra sarebbe stato interpretato, in Italia ed all'estero, come una riluttanza ad affrontare il pericolo. Ma, anche se il soldato non poté che obbedire in silenzio, i suoi Capi più elevati e più direttamente responsabili non mancarono di esprimere al Governo i loro dubbi sulla durata e sull'esito della guerra, le loro ben giustificate apprensioni per la nostra evidente impreparazione ed il loro parere nettamente contrario al nostro intervento nel conflitto. In ogni caso essi non mancarono di tentare
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di procrastinare la prova, in modo che l'esercito potesse affrontarla dopo avere provveduto almeno allo strettamente indispensabile; e fu evidentemente per i suggerimenti dei Capi militari che il Ministro degli Estèri dell'epoca venne indotto a dichiarare che l'Italia non avrebbe potuto scendere in campo prima del 1942. Gli avvenimenti però precipitarono. La Germania, conquistata in poche settimane la Polonia, fece subitamente crollare la resistenza dd Belgio, del Lussemburgo, dd1'0landa e della stessa Francia e le sue Armate poterono avanzare dal Reno alla Manica, dalla famosa Maginot, aggirata e rotta, a Dunyucryuc. Per le rapide vittorit germaniche, l'indugio già richiesto dai nostri Capi militari sembrò a chi guidava allora la nostra politica ormai inutile; il tempo troppo prezioso; il nostro immediato intervento indispensabile e le nostre povere divisioni binarie che, durante la non belligeranza, avevano già dovuto più volte constatare I'i nsufhcienza ddle armi, dei mezzi e delle possibilità, dovettero prepararsi, ,, divorando le lagrimc in silcn1.io :,;, a dare sangue e vita, po-tendo sperare soltanto che Dio proteggesse l'Italia. Ma la guerra - come del resto avevano preannunziato i nostri nemici di allora - fu lunga e finì col divampare a poco a poco per tutti i cidì, i mari, le terre dd mondo, richiedendo all'esercito - come alle altre forze armate - sforzi sempre più difficili, imponendogli teatri di guerra sempre più lontani e diversi, disperdendo, per le necessità create dalla politica e non già per motivi militari, le sue Unità in Africa orientale, in Francia, in Albania, in Grecia, in Russia, in Jugoslavia, ìn Dalmazia, nel Montenegro, in Libia, in Tunisia, con uno sparpagliamento <li forze che, contrario a<l ogni dogma militare, per le perdite subìte dalla nostra eroica marina mercantile, per il controllo esercitato dai Tedeschi sui trai;porti ferroviari, per le interruzioni di ogni linea di comunicazione, doveva rendere poi impossibile la tempestiva riunione delle nostre truppe nel momento del più grave pericolo.
INDI C I
INDICE DEI NOMI
- AActon, Americo, 189. Adorni, Ignazio, ~o. Alberto ve<li Asburgo, Federico Rodolfo d', Arciduca d'Austria. Albini, G iovanni Battista di, 166, 169, 181, 182, 186, 190, 193, 194, 195.
Albricci, Alberico, 2<>5, 266. Alessandro, Ili di Macedonia, 2o6. Alfonso, I d'Este, 219. Amedeo vedi Savoia Ferdinando di. Angioletti, Oiego, 29, 86, 87, 92, n5, n8, 130, 138, 150, 165, 166, 169, 1 74·
Anguissola, Amilcare, 169. Annibale, Barca, 2o6, 2 ro, 21 1. Antonio da S:m (;allo ved i Giamberti, Anlonio. Aramini, Mario, 324. Arihaldi G hilini, Carlo Emanuele, 28, r 17, 132, 134.
Ariosto, Ludovico, 220. Armellini, Quirino, 286. Aronni, U lisse, J 25. Asburgo, Alberto Federico Rodolfo, Arciduca J'Auslria, 2 1, 50, 58, 68, 75, 76, 8o, 83, 84, 93, 99, 101, 102, 103, 108, 116, 131, 135, q6, 148, 156, 157, 158, 161.
Asburgo, Carlo Luigi (;iovanni d ', Arciduca d' Austria, 75, 76. Avet, Enrico, 85. Avogadro di Casanova, Alessandro, 33, 154, 161.
- BBadoglio, Pietro, 2<>5, 314. Ra istrocchi, Federico, 265.
Balegno di CarpenelO, Placido, 32, 83. Ballàcs, capitano austriaco, 123, 131. Bariola, Pompeo, 26, 68. Barone, Enrico, 51 , 58. Barrai de Monceauvrard, Giulio Cesare, 17, 18, 19, 40. Rastico, Ettore, 301. Bauer, Ferdinando, 79, 101, 116, n8, 122, 123, 125, J30, 132, 134, 136.
Bava Beccaris, Fiorenzo, 22, 23, 128. Benedek, Ludwig August von, 75, 125. Benedetti, Vincenzo, 18. Reningsen. Lcvin Augusto Teofilo, 241.
Benko, maggior generale austriaco, 100, 101 , I 16, n8, 122, 123. Beraudo di Pralormo, Eugenio, 9<), 91, 115, II8, 120. Rernardotte, Jean Baptiste, 241. Bernhardi, Theo<lor von, 41 , 42, 45, 46, 59· Bertolé Viale, Ettore, 26. lliffort, Max, 50. Bisrnark - Schonhausen, Otto von,
79, 30,
43,
16,
17, 18, 19, 40, 162.
Bixio, Gerolamo (Nino), 30, 86, 87, 90, Tl3, 114, ll5, 118, 137,144, 145. Bluchcr, Gehhard Leberecht, 241. Boggio, Pier Carlo, 188. Bok, colonnello austriaco, 79, 120, 127, 128, 13 1, q6.
Bonaventura, Pistofilo, 222. Ronomi, Ivanhoe, 265, 2(ii. Bonzani, Alberto, 291. Bottacco, Carlo Massimiliano, 31. Brantome, Pierre de Bourdeille, signore di, 220. Brig none, Filippo, 28, 85, 86, 90, 103, 113, n7, 126, 127, 128, 141, 142, 144. Bujanovich, August, 1 00, 102, 120, 121.
Li\ GUERRA DEL
334
1866
-C Ca<lolino, Tito, 27. Cadorna, Raffaele, 33, 154, 155, r56, r6r, 162, 237, 259, 260. Caffarelli, Eligio Baldassarre, 30. Caninazzo da Gardone, 223. Canonge, Frcderic, 44, 46. Cappellini, Alfredo, 190, 191. Carcovich, pilota della nave austriaca Ferdinand Max, 190. Carducci, Giosuè, 7. Carenzi, Giovanni, 84. Carlo, Alberto, 235. Carlo arciduca vedi Asburgo, Luigi Giovanni d', arciduca d 'Austria. Carlo, Emanuele I, 228, 229. Carlo, Emanuele Il, 229. Carlo, Emanuele IIT, 231. Carlo, Felice, 235. Carlo VITI. re di Francia, 219. Carlo V, Imperatore, 223. Casa nova vedi Avogadro di Casanova, Alessandro. Cavalleui, Alberto, 84. Cavour, Camillo Benso di, 15, 16, 20, 165. Cellini, Benvenuto, 222. Cerale, Enrico, 27, 85, 86, 87, 95, .1 J I , 11 2, 113, 117, 123, 124, r39, 142, 1411, 1 5°, 153· Ceresa di Bonvillaret, Ottavio, 84. Cesare, Gaio G iulio, 206, 210. Chiabrera Castelli, Emanuele, 33, 1511, 155, 161. C hiala, Luigi, 50, 54, 149, r54. C ialdini, Enrico, 32, 40, 46, 47, 48, 49, 52, 53, 54, 55, 56, 57, 58, 59, 65, 69, 80, 83, 87, 103, 142, 143, 150, 151, 152, 153, 154, 155, 156, 157, 158, 159, r6o, 161 , 162, 197. Cicerone, Mare.o Tullio, 210. C ittadella, Giovanni, 218. Claudio, Nerone (console), 9. Colleoni, BarLolomeo, 219. Colli di Filizzano, Corrado, 89. Corsi di Ilagnasco Poliearpo, Cesare Valentino, 155, 156, 157.
ED ALTRI SCRITTI
Coscnz, Enrico, 29, 86, 87, 92, 11 5, 149, 164Cucchiari, Domenico, 29, 57, 115, 118, 137, 160. Cugia, Efisio, 31, 86, 87, 91, TT3, 114, 117, 128, 130, 135, 137, 142, 144, 145, 150, 165. Cuoza, principe danunbiano, 16. Cusani Confalonieri, Tppolito, 32, SJO, 118.
-D Da Cantano, Giacomo, 223. Dall'Aglio, Giovan Ballista, 27. D'Amico, Edoardo, 170, 180, 185, 195. Dante, Alighieri, 2n , 249. Danzini, Alessandro, V. Da Pampusa, Giovan~i, 22 1. Davout, Luigi, 24 1. De Agostino. Andn:a , 191>. De Barai, Carlo, 29. De Fornari, G. Lu.ca, 30, 91. Dc Genova, di Pettinengo, Ignazio, 25. De Gordon, Caminazzo, 223. Del Carretto, Francesco Saverio, 192. Della Chiesa, Camillo, 33, 154, 16r. Della Rocca vedi Morozzo della Rocca, Enrico. Della Rovere, Alessandro, 140. D ella Rovere, Giuseppe Paolo, 141. Del Pizzo, Manino, 223. Depretis, Agostino, 169, 175, 176, 180. De Sauget, Guglielmo, 31. De Sonnaz vedi Gerhaix de Sonnaz. De Vecchi, Ezio Camillo, 6o. Dezza, Giuseppe, 88, 94, 124. Dho, Luca, 27, 124. Diaz, Armando, 265, 266, 267. Di Giorgio, AnLonino, 265, 267, 268. Di Grassi, G iacomo, 221. Di Pettinengo vedi De Genova, Ig naz10. Di Revel, Genova vedi Thaon di R evel, Genova. Di Villamagna, Rinaldo, 218. D ragamiroff, Michele, 25_1. Driquet, Edoardo, 84, 85.
INDICI
Durando, Giovanni, 27, 82, <)O, 109, 111 , 112, 11 3, 11 7, 126, 132, 134, I 39, 1 44, 150.
- EEisenhower, lJwight, 306. Emanuele Filiber10, duca di Savoia, 213, 223, 227, 228. E ugen io di Savoia, Carignano principe di, 36, 46, 2o6, 210.
-FFaà di Bruno, Emilio, 187, 188. Fabrizi, guardiamari na, 19 1. Faldella, Emilio, 311. Fanti, Manfredo, 21, 22, 24, 35, 46. F:iri ni. Domenico. 17Favagrossa, Carlo, 282. Federico IJ il Grande, 9, 206, 210, 211. Fergola, guardiamarina, 185. Ferreri, C'..amillo Pietro, 92. .Ferrero. Emilio Maurizio, 31. Fincati, Luigi, 192. l·ischcr, di Kilverston, Giovanni, _308. Forlenza, Luigi, 291. Foscolo, Ugo, 281. Francesco Galeani Napione vedi Galeani Napione di Cocconato, Gian .Francesco . .Franzini Tibaldeo, Paolo, 33, 154, 160, 161. Fries, comanda nte 29a Divisione, 314.
335
Garin di Cocconato, Alberto Teofilo, 125. Gasparotto, Luigi, 265, 266. Gani, Angelo, 301. Gavet, Andrea, 286. Gerbaix de Sonnaz, Maurizio, 32, 86, 90, 91, 93, J15, n8, 120, 140, 144. Ghilini vedi Aribaldi Ghilini, Pietro. Giambeni Antonio (dello da San Gallo), 219. Giamherti G iuliano (detto da San Gallo), 219. Giasone, 210. Giovanni dalle Rande Nere vedi Giovanni dei Medici. Giovanni dei Medici, 224. c-;iuliano da San Ga llo vedi Giambeni, Giuliano. Glauco, 210. Gneisenau, August Wilhclm Neidhart von, 156. Gohier, Luigi (ìerolamo, 2_19. Govone, Giuseppe, 17, _3 1, 40, 84, 86, 87, 91, 11_3, 11 5, 11 8,128, 129, q o, 135, 136, 141 , 142, 144, 145, 148, 150, 159. Gozzani di Treville, Alessandro, 28. GrcgoreLti, tenente di vascello, 185. Gualtiero, Enrico, 188, 189. Guerrini, Domenico, 170, 175, 2 13, 2 95· Guicciardini, Francesco, 219. Gustavo, Adolfo, 2o6, 224 . Guzzoni, Alfreclo, 305, 309, 31 1, 312, 3 13, 31 4, 3 ,5, _316, 3 17·
- H-G(;abet, Giovanni Claudio, 3 1. Galeani Napionc di Cocconato, Gian Francesco, 10 . Galilei, Galileo, 21 r. Gallinari, Vincenzo, 12. Ga ravaglia, Luigi, 91, 92. Garibaldi, G iuseppe, 15, 34, 42, 43, 45, 58, 59, 6o, 61, I 50, I 62, J 64, 200, 303.
Hartung, comandante del IX C.A. austriaco, 79, 81 , 11 6, 118, 127, 135, 136. Ha vet, Achille, 310. Huhe, comanda nte del X IV C.A. germanico, 312, 3 13, 31 4, 315, 316.
-
I -
Ivancich, Gi ustino, 187.
LI\ GU t:RR/\ DEL
J866
-J Johannis, Orlando, 217. John, feldmaresciallo austriaco, 75. )omini, Enrico, 50.
- KKcssclring, Albert, 313. Kirchbcrg, comandante di brigata austriaca, 79, u8, 131, 135. Kovacs, ufficiale austriaco, 100. Kuhn, von Kuhnenfeld, Franz, 164.
-L La Marmora, Alfonso Ferrero dc, 16, 17, 18, 19, 22, 24, 26, 40, 41, 42, 43, 46, 47, 48, 49, 54, 55, 56, 58, 59, 60, 61, 62, 63, 68, 80, 82, 83, 84, 85, 86, 90, 93, 94, ~, 103, ro8, 109. 111 , ll3, 115. 11 7,126,137, 138, 139, 140, 141 , 142, 14:~, r44, 145, 146, 149, 150, 151, 153, 155, 157, r59, 160, 161, 197. Lébaud, tenente colonnello, 301. Leonardo, da Vinci, 211. Levo, Giovanni Antonio, 10. Longoni, Ambrogio, 30, 86, 87, 92, 115, I 18, 130, 135, f37, r_,8, 146, 150. Lopcz, Tito, 28, 89. Lorenzo il Magnifico, vedi Medici, Lorenzo de. Lundendorff, Erich, 274, 293. Luigi XI, re di Francia, 219, 223.
ED ALTRI SCRITTI
Maria Visconti, Galeazzo, 218. Maroicic, generale austriaco, 79, 81, I 16, 120, I36. Martini di Cigala, Enrico Giuseppe, 88. Martini, Federico, 185. Masi, Luigi, 29. Mattei, Emilio Mauro, 33. Mattei, Felice, 186. Medici, Giacomo, 33, 154, 16!, 162, r64, 200. Medici, Lorenzo de, 219. Menabrea, Luigi Pederico, 26, 92, 165, 201. MenotLi, Massimiliano, 132. Mezzacapo, Carlo, .~3, 154, 155, 161. Michelangelo, Buonarroti, 211. Mignano vedi Nunziante di Mignano, Alessandro. Minghetti, Marco, 15. Mi~sagli;i , Tommaso, 22~. Montecuecoli, Raimond o, 227, 237. Montgomery, Bernard Law, 306, 3 17. Moreau, Jean - VicLor, 239. Moring, Carlo, 79, 101 , I 16, 118, 123, 130, 131, 134, 1:)6, 198. Moltke Helmuth, Karl Hernhard von, 4o, 4 1 , 43, 59. Montaig ne, Miche!, 224. Monti, Antonio, 300. Montù, Carlo, 11. Morigia, Paolo, 223. Morozzo della Rocca, Enrico, 30, 46, 47, 48, 82, 9D, g8, I I 3, 117, 121, 129, 130, r_,1, 135, 136, 137, 140, 141 , 142, 143, 144, 145, 146, 150, 153, 160. Morpurgo, Giorgio, 292. Mussolini, Benito, 265, 268, 269.
- M-N Machiavelli, Niccolò, 209, 213, 219. Mack, Karl , 241. Malaguzzi, Valerio Alessandro, 1.7. Manca - Thiesi di Villahcrmosa, Ernesto, 28, 89, n 2, n 7, 122, 123. Manesson - Mulct, 225. Maravigna, Pietro, 9, 246.
N apoleone, l imperatore, 8, 206, 2IO, 2II , 213, 237, 240, 241, 242, 243, 244, 247, 248, 249, 250. Napoleone, III imperatore, 19, 161, 197, 198.
9, 75, 156, 238, 239, 245, 246, 15, 17, 18,
INDICI
337
Ney, Michele, 241. Nigra, Costantino, 16, 18. Noaro, Agostino, 3 1. Novaro, Antonio, 30. Nunziante di Mig nano, Alessa ndro, 29, 86, 87, ~. n 5.
Prnvana di Sabbione, 1'111111 •<'11, 1X(,. Pulz, comandante b riga 1:1 d1 1.1 v:il ll'I 1:1 austriaca, 78, 79, 80, <)<), 1'1", 1o ~. II6, 120.
- 0 -
Radicati Ji Primaglio, Carlo, 29. Ra ffae llo, Sa nz io, 21 1. Randaccio, Carl o, 182. Ra zzett i, Michel e, 188. l{egg io, Luig i E nrico, 89. Reisoli , C'..esa re, 26 1. Reverberi , An tonio, 134. Rey di Villarey, Onorato, 27, 88, 94 , 95, TIT, 112, 123, 124, 150. Riboty, Aug usto Antonio, 18 1, 182, 186, 189, 195. Ricasoli, Betti no, 15, 48, 161. Ricotti Magnani, Cesare Francesco, 33, 1 54, 1 57· Roatta, Mario, 309. Roberti, Amilcare, 19r. Rodich, comandante V C.A. austriaco, 79, 81 , 10r, n6, n8, 123. Rosi, Ezio, 309. Rossi, Carlo , _)16. Rupprecht, comandante di brigata austriaca, 79, 81 , 101 , 104, 115, u6, TT8, T23, 125, 132, 147, 148. Russo, G iuseppe, 11 8.
Ojetti, Ugo, 237. Olivero, Eugenio, 89. Orazio Fiacco, Quinto, 7. Ottolenghi, Giuseppe, 257.
- PPagano, SalvaLore, 29B. Pariani, Alberto, 265, 273. Pascili, Augusto, 88, 94. Pasi, Ra ffaele, 129, T_p. Pasolini, Pier D esiderio, 17. Patton, George, 306, 310. Pellegrini, ispetlore dei telegrafi, 168. Pellion Carlo ved i Persano, Carlo Pellion, conte di. Persano, Carlo Pcllion, conte di, 166, l 67, T74, 175, 176, 18o, 181, 182, 185, T86, I94, 195, 19i>. Petitti Bagliano di Roreto, Agostino, 22, 26, 46, 47, 53, 57, 149, 155, 198. Petruccelli della Gattina, 169. Pettinengo vedi De Genova di . Petz, Anton von, 183, 186. Peyron, Giacomo, 30. Pianell, Giuseppe Salvatore, 27, 86, 88, T04, II3, I 17, 129, T3T, 1.)2, 147, 150, 197. Picci nino, Antonio, 22_~. Piola Caselli, Alessandro, 192. Piola Caselli, Angelo, T54· Piolatti, Pietro, 88. Piret, comandante di bri gata austriaca, 79, TOT , II8, 123, 125, 130, 132, 1 34· Pollio, Alberto, 22, 58, 84, 103, 104, T06, 138, 148, T56. Pralormo vedi Rcraudo di Pralormo, Eugenio.
22. -
u.s.
- R-
- SSavoia, Amedeo Ferdinando di, d uca d'Aosta, 126, 127, 139, 142, 143, 150, 155, 218. Saxe - Weimar, colonnello comandante di brigata a ustriaca, 99, 101. Scala, Edoardo, 5, 7, 8, 9, 10, II , 1 2 , 206, 326, 329. Schiaffino, Mario, 29. Schreiber, Ottorino, 310. Schwartz, Bertoldo, 217, 218. Schwarzenberg, Carlo Filippo di, 231. Scipione l'Africano vedi Scipione Publio Cornelio. Scipione Publio Cornelio, 21 1 .
LA GUERRA DEL
1866
Scobelew, 206. Scudier, comandante di brigata austriaca, 79, 81, 116, 117, 120, 127, 129, 131, 136. Scudieri, Feldzeugmeister, 75. Senger, Etterlin Prido, 313, 314, 315, 316. Sérrurier, Jean Matthieu, 24r. Sirtori, Giuseppe, 28, 85, 86, 89, 95, 112, n7, 122, 134, 142, 143, 150. Sismondo, Felice, 94. Soman, Luigi, 32, 90, 115, 118. Spencer, 295. Spigo, Umberto, 282. Sternek, Max Freiherr von, 188. Strozzi, Pietro, 224. Summer, Welles, 303. Szapary, colonnello austriaco, 81.
-T 'l'arditi, Carlo, 29. Tasso, Torquato, 227. Tegetthoff, Wilhelm von, 172, 174, 176, 182, 183, 185, 187, 190, 191, 195, 1()6. Thaon di Revel, Genova, 16o. Thiers, Marie - Joseph - Louis Adolphe, 197. Toply, comandante di brigata austriaca, 79, 120, 131, 135, 136. Turenna, Enrico de La Tour d 'Auvergne, 2o6.
ED ALTRI SCRITTI
VVacca, Giovanni, 166, 181, 183, 185, 187, 189, 191, 192, 193, 194, 195. Vacca Maggiolini, Arturo, 8, 23, 50, 105, 205. Valfrè di Bonzo, Leopoldo, 26. Varanini, Luigi, 259, 260. Vasari, Giorgio, 219. Vauban, Sebastien Le Prestre, 225. Veroggio, Benedetto, 91. Villahermosa vedi Manca - Thiesi di Villahermosa, Ernesto. Villarey vedi Rey di Villarey, Onorato. Visconti, Galeazzo Maria, 218. Vitale, tenente, 324. Vitelli, Camillo, 225. Viterbo, Ernesto, 191. Vittorio, Amedeo I, 229. Vittorio, Amedeo Il, 230. Vittorio Emanuele I, 232, 233, 235. Vittorio Emanuele ll, re d' Italia, 16, 21 43, 46, 56, 57, 68, 69, 140, 142, 151 , 153, 155, 158, 198, 201.
WWatrin, generale francese, 241. Weimar, comandante di brigata austriaca, 79, 116, n8, 123. Wekbecker, comandante di brigata austriaca, 79, n8, 127, 128, 13r, 136. Welsersheimb, comandante di brigata austriaca, 79, 120, 131, 136.
- UUlig, ufficiale tedesco, 312. Umberto di Savoia principe di Piemonte., 31, 86, 87, 91, n3, II4, 118, 120, T50, T55, J6o. Usedom, Guido von, 43, 46, 59·
- ZZavstavnikovic, colonnello, 78, 104. Zingales, Francesco, 313, 314.
79,
INDICE DEL TESTO
Pag.
Presentazione
Il Generale Edoardo Scala
3
)>
5
Pag.
15
)>
20
))
40
LA GUERRA DEL 18()6 (Prima edizione, Roma 1929)
I.
- Le cause della guerra e la preparazione politica .
11.
- La preparazione militare italiana
lll.
- La costituzione del Comando italiano e operazioni
diseg ni delle
IV.
- La mohiliLazione e la radunata dell'esercito iwlia110 .
))
62
V.
- Le forze austriache in Italia .
))
63
VI.
- Le operazioni dell'esercito iLal iano: il passagg io del Mincio
))
82
Vll. - Gli ord ini dati dall'arciduca Alberto il 23 giugno
))
99
VTII. - La battaglia d i Custoza (24 giugno 1866)
))
to3
IX.
- Le o perazioni del IV Corpo d "armata italiano
))
152
X.
- La guerra sul mare
)1
165
X I.
- La fine della guerra
))
1
PARTE
97
SECONDA
ALTRl SCRITTI Pag.
205
Le armi da fuoco e la loro diffusione negli eserciti .
))
217
Intendenti, commissari ed amministratori negli eserciti sabaudi .
))
227
Utilità della Storia militare .
LA GUE!t.l(A l>EL
L'
«
arte» di Napoleone .
lodicc dei nomi .
1866 };))
Al.1'Rr SC:ltl1'Tr
Pag.
237
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