FRANCESCO VALENTI
ET NOMINE ET ARMIS LEONTINI, STORIA DELLA CITTÀ Dai bizantini al terremoto del 1693
PREMESSA
La positiva accoglienza ricevuta dal mio precedente lavoro1 e gli incoraggiamenti ricevuti dagli amici, mi hanno spinto a continuare ad indagare le vicende relative a Lentini dopo la fine dell’impero romano. Questo libro è, pertanto, la continuazione ideale del precedente volume dal titolo Leontinoi, storia della città e, come il precedente, non ha la pretesa di essere la storia di Leontinoi o di Lentini è, invece, soprattutto e soltanto una sintesi2, che partendo dalle notizie desumibili dalle fonti, dalle evidenze archeologiche e da quello che è stato scritto sino ad oggi, sulla storia e l’archeologia di Leontinoi, prova a ricostruire brevemente le origini e l’evoluzione soprattutto topografica e urbanistica della città. Una sorta di percorso ideale, che partendo dai primi villaggi di capanne sparsi sulle colline intorno al bacino idrografico del San Leonardo, arriva agli attuali schemi urbani. Pertanto scopo di questo lavoro, così come del precedente è, semmai, quello di fornire uno strumento per una presa di coscienza, per una acquisizione di consapevolezza, per un recupero di identità3. Spetterà ad altri scrivere la storia di Lentini. La parte relativa al terremoto del 1693 riprende in gran parte un mio precedente lavoro pubblicato nel 1992 dal titolo La città dimenticata. Lentini 1693-1696, da tempo assente dagli scaffali delle librerie e da molti richiesto. Penso di fare cosa gradita ripropononendolo, pur con lievi modifiche e i doverosi aggiornamenti. Per esigenze di brevità è citata solo la bibliografia più recente, comprensiva della letteratura precedente. VALENTI 2007. “[…] Vi sono dei momenti nei quali una sintesi, e foss’anche in apparenza prematura, può rendere maggior servizio di quel che non possono molti lavori di analisi […]”, cfr. BLOCH. 3 Anche se forse, “sapere dove è l’identità è una domanda senza risposta” (José Saramango). 1 2
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INTRODUZIONE
Qualche anno fa alla voce Memoria dell’Enciclopedia Einaudi Jacques Le Goff scriveva: ”L’assenza o la perdita involontaria di memoria collettiva nei popoli e nelle nazioni, può determinare turbe gravi dell’identità collettiva”. La Sicilia è in generale una regione afflitta da “turbe gravi dell’identità collettiva”, spesso frutto di manipolazioni e di traumi più o meno coscienti4. Così si tenta di mitizzare alcuni periodi e dimenticarne altri. Per Lentini, soprattutto per il periodo che va dai bizantini all’arrivo degli spagnoli tutto ciò è ancora più drammatico, manca una storiografia, non c’è desiderio di investigare il passato, non ci sono luoghi e spazi dove il passato e non il suo feticcio, possa essere compreso e mostrato. Manca l’idea propria di città. La stessa storia di Lentini di Sebastiano Pisano Baudo per il periodo in esame presenta poche notizie e se non fosse per la lunga pletora delle poesie di Giacomo, il libro sarebbe quasi inconsistente. Recentemente, dopo la “scoperta” del medioevo siciliano, anche per Lentini qualcosa si intravvede e soprattutto le recenti pubblicazioni di Laura Sciascia5 e di Henri Bresc6, permettono di tracciare a grandi linee la storia della città, ferma da tempo, soprattutto per il suo territorio, agli studi di Matteo Gaudioso7 e di collegarla a quella del resto dell’isola.
4 Non a caso Pirandello scriveva così è se vi pare o uno nessuno o centomila. Per non citare i tentativi fatti da Martino di Montblanch per azzerare la memoria feudale dell’isola. Cfr. in merito, LA LUMIA 1969. 5 Si pensi ad esempio al volume relativo alle Pergamene Siciliane dell’Archivio della Corona d’Aragona, d’ora in poi SCIASCIA 1994. 6 Su Bresc ad esempio, da ultimo, i suoi interventi nel volume TABULARIO SANTA CHIARA. 7 GAUDIOSO 1925.
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BIZANTINI E ARABI
Vicende storiche
I lunghi secoli della dominazione romana avevano fatto della Sicilia una terra estranea alle guerre e l’invasione dei Vandali prima e dei Goti poi e la successiva guerra greco-gotica8, non avevano scosso il lungo periodo della pax romana. Per tale motivo l’isola aveva suscitato l’interesse dei grandi proprietari terrieri e della Chiesa, con la conseguente costituzione di grandi latifondi9. L’arrivo dei bizantini in Sicilia non portò sostanziali modifiche all’ordinamento politico e sociale dell’isola10. I latifondi del patrimonio imperiale e quelli della Chiesa, tramite un contratto di enfiteusi, spesso più di fatto che di diritto, alla fine dell’età imperiale erano condotti da piccoli e medi proprietari, che oltre alla coltivazione dei cereali, che rimase sempre la prima risorsa dell’isola, lasciavano ampi spazi al pascolo, soprattutto nelle aree marginali11 e provvedevano alla coltivazione di altre essenze destinate all’autoconsumo. In questa forma di frammentazione dei latifondi, tra affittuari e coloni, si possono riconoscere le origini di quello che sarà il cosiddetto insediamento sparso, archeologicamente ben documentato per l’età bizantina in altre parti dell’isola12. Sulle invasioni dei Vandali cfr. gli ancora validi GIUNTA 1958; COURTOIS 1955, p. 191. CRACCO RUGGINI 1980, pp. 3-96. 10 Sulla storia della Sicilia dai Bizantini a Federico II si consiglia la lettura del III volume della Storia d’Italia a cura di G. Galasso, edita dall’Einaudi con interventi di A. Guillou, F. Burgarella, V. Von Falkeanusen, U. Rizzitano. V. Fiorani Piacentini e S. Tramontana. 11 Sulla definizione di “area marginale” cfr. TRAINA 1989, p. 683 e sgg.; TRAINA 1990, pp. 14-15. 12 Sulle problematiche del cosiddetto insediamento sparso e le sue caratteristiche, PACE ACSA, I, p. 321, IV, p. 141; D’ALESSANDRO 1978, pp. 7-24; CRACCO RUGGINI 1980, pp. 73-74. 8 9
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Naturalmente in un complessivo quadro di pace sia interna e sia esterna, non c’erano particolari esigenze di difesa, pertanto la popolazione viveva in villaggi rurali, gruppi isolati di casolari e piccoli borghi disseminati sul territorio. Lo sviluppo degli insediamenti agricoli portò conseguentemente allo spopolamento dei centri urbani, soprattutto quelli più piccoli, anche se, sostanzialmente, le vecchie poleis sopravvissero. Le città dell’interno come Enna, Agira, Centuripe, e quelle portuali come Catania, Lilibeo, Palermo e Siracusa, continuarono a costituire i centri di riferimento per la vita politica e soprattutto religiosa dell’isola, pur nel complessivo decadimento del tessuto sociale e delle strutture urbane13. Nel VII secolo l’avanzata delle armate islamiche nell’Africa del nord e la conquista dell’Egitto, della Cirenaica e del Magrib, fecero della Sicilia bizantina la retrovia del fronte della guerra. Il ruolo strategico dell’isola e la sua importanza nel nuovo scacchiere militare è confermato dalla presenza a Siracusa dell’imperatore Costante II e del dislocamento nel porto della città dello stolus Siciliae, una sorta di forza navale di intervento rapido. Ciò nonostante, dopo l’uccisione dell’imperatore bizantino e la partenza del suo successore, la città fu saccheggiata durante una scorreria partita dal porto di Alessandria e la popolazione si disperse per le campagne - per munitissima castra et iuga montium - in cerca di rifugio14. Dalla fine del VII secolo, con l’intensificarsi delle incursioni arabe, preludio della invasione vera e propria15, in molte città si costruirono nuove cinte murarie o si ripristinarono le antiche fortificazione di età classica, che nonostante secoli di inutilizzo anche se non erano particolarmente fatiscenti16, erano spesso insufficienti a garantire un valido sistema di difesa, al punto che la popolazione sparsa sul territorio preferiva trovare rifugio nelle colline più alte17, le cui pendici erano difese da profonde cave, come ad esempio Pantalica18. Sulle città siciliane in età bizantina cfr. FASOLI 1974; SANFILIPPO 1980; GIUNTA 1987. Paul. Diac. Hist. Lang., V 13 (MGH, SRL, p. 150); AMARI, SMS, I, pp. 216-217. 15 La prima incursione degli arabi provenienti, probabilmente, dalle coste siriane, è del 652. Cfr. AMARI, SMS, I, p. 194. 16 Cinte murarie abbastanza efficienti sono presenti a Siracusa, Palermo, Catania, Lilibeo, Messina ecc. per una sintesi sulle fortificazioni siciliane in età bizantina cfr. MAURICI 1992. 17 Sulle sommità delle colline erano spesso costruiti i cosiddetti phrouria contrapposti agli indifesi choria, già ricordati in occasione della guerra gotica. Cfr. PROCOPIO DI CESAREA, III, p. 40. 18 L’antico insediamento indigeno, nei pressi di Sortino, dopo secoli di abbandono, tra il VII 13 14
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Tra il 692 e il 695, in coincidenza con l’abbandono del fronte africano è la costituzione del thema siciliano19 l’isola diventò il centro nevralgico del sistema difensivo bizantino, che comprendeva anche l’Italia meridionale e conseguentemente si ebbe una militarizzazione della società e dell’amministrazione, che tuttavia non riuscì ad impedire in maniera efficace il susseguirsi delle incursione arabe in Sicilia. Nel 700 fu occupata Pantelleria, che era rimasta completamente isolata dal thema siciliano e dove si erano rifugiati numerosi profughi provenienti dall’Africa. Nel 705 fu nuovamente saccheggiata Siracusa o, più verosimilmente, i sobborghi della città. Altre incursioni con l’impiego di truppe numerose si ebbero tra il 720 e il 730 e ciò potrebbe fare pensare che gli arabi, forti dei successi militari ottenuti in Africa e in Spagna, si preparassero ad invadere l’isola. Nel 740 un corpo di spedizione comandato dal generale Habib ibn Abi Ubaydah sbarcò in Sicilia e con un forte contingente di cavalleria attaccò Siracusa, che fu costretta a chiedere l’aman (la pace) tramite il pagamento della giziah20. I cronisti arabi dell’epoca sottolinearono l’abbondanza del bottino razziato e la tattica utilizzata per assediare la capitale bizantina dell’isola, che farebbe pensare a come gli arabi pensassero seriamente a conquistare la Sicilia21. Assediare città fortificate ed impegnarsi in scontri in campo aperto infatti, sono scelte tattiche che hanno poco a vedere con semplici, anche se continue e proficue, scorrerie di un gruppo di predoni. e l’VIII secolo divenne uno dei centri più importanti e popolati dell’isola, proprio in coincidenza con il saccheggio di Siracusa e la fuga della popolazione nei punti più inaccessibili del territorio. Cfr. AMARI, SMS, I, pp. 216-217. Per una bibliografia generale sul sito, cfr., s. v. Pantalica, BTCGI, XIII. Con l’eccezione di Pantalica e di altri poche località, la popolazione preferiva disperdersi per le campagne piuttosto che concentrarsi in pochi e popolosi insediamenti, che offrivano scarse possibilità di difesa. Cfr. FALKHENAUSEN 1980, p. 73. Sono soprattutto “le cave” strette vallate dalle scoscese pareti, di cui è ricco il tavolato Ibleo a costituire i luoghi ideale per rifugiarsi durante le scorrerie arabe. 19 La parola thema in origine significava corpo d’armata. Per legare i militari alla regione veniva loro distribuita della terra in cambio del servizio militare, per cui il servizio militare diveniva di fatto obbligatorio ed ereditario. Si creava così un sistema che limitava l’uso dei mercenari e conseguentemente le spese e radicava nella regione le truppe. Sull’istituto tematico e la Sicilia, cfr., tra gli altri, BURGARELLA 1983, pp. 195-198. 20 AMARI, SMS, I, pp. 229-301. Sugli aspetti giuridici del jahad musulmano cfr. SCARCIA AMORETTI 1974. 21 AMARI SMS, I, pp. 360-361. Habib sbarcato in Sicilia e organizzato il quartier generale, mandò suo figlio Abd ar Rahaman, con un numeroso contingente di cavalleria a contrastare la sortita dell’esercito bizantino e ad assediare Siracusa. Si tratta in sostanza dello stesso metodo che sarà utilizzato nel 827 durante l’invasione vera e propria, dal generale Asad.
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Con la sottomissione di Siracusa Habib era ormai certo di conquistare l’isola, ma una rivolta berbera di notevole entità e il conseguente richiamo delle truppe in Africa, salvò temporaneamente la Sicilia dall’occupazione. I bizantini approfittarono della tregua sul fronte siciliano per contrastare l’invasione islamica verso oriente. Leone III Isaurico (716-741) prima e Costantino V (741-775) poi, ottennero notevoli successi. Nel 747 la flotta bizantina sconfisse quella musulmana al largo di Cipro mentre le truppe di terra riconquistarono importanti città in Armenia e Mesopotamia. Più problematico era il fronte occidentale, infatti nel 751 Ravenna, la capitale dell’esarcato, fu conquistata dai Longobardi e nel frattempo i Franchi si preparavano a consolidare la loro posizione in Europa anche grazie all’appoggio del papato. La riorganizzazione del thema di Sicilia diventava una scelta prioritaria per gli iconoclasti bizantini. Leone III aveva già pesantemente limitato il potere della chiesa di Roma in Calabria e Sicilia, con l’annessione forzata delle sedi episcopali dell’Italia meridionale alla chiesa di Costantinopoli e il provvedimento aveva avuto come logica conseguenza la grecizzazione del clero, il passaggio dal rito latino a quello greco nella liturgia e lo sviluppo di comunità monastiche di tradizione orientale come i Basiliani. La confisca del patrimonio della chiesa Romana (patrimonia Sanctus Petri) in Calabria e Sicilia inoltre, aveva assicurato al thema di Sicilia una solida base economica22. Come narrano i cronisti arabi (Ibn al Athir, An Nuwayri ecc.) la Sicilia fu fortificata con la costruzione o il restauro di castelli e torri e non ci fu monte che non avesse una sua torre, mentre una flottiglia sorvegliava continuamente le coste23. A partire dal IX secolo ripresero le scorrerie degli arabi e nel 827 l’armata condotta dal generale Asad ibn al Furat iniziò la conquista vera e propria dell’isola, che rispetto alle precedenti incursioni adesso si presentava fortificata e ben difesa. La guerra si protrasse per più di mezzo secolo e si concluse solo nel 965 con la conquista di Rometta24. I musulmani assediarono Lentini tra l’846-847. Secondo le fonti
GIUNTA 1974; BULGARELLA 1983, p. 190 e sgg. AMARI, BAS, I, p. 363, II, p. 113. 24 L’elenco con le date di conquista delle singole città è in AMARI, SMS. Per una sintesi cfr. MAURICI 1992, pp. 20-21. 22 23
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arabe25, non appena gli assalitori furono in vista della città, la popolazione si rinchiuse dentro le mura e mandò dei messaggeri ai comandanti delle truppe di stanza a Castrogiovanni (Enna) e a Siracusa, concordando anche un piano per sconfiggere gli assalitori, quando le truppe bizantine sarebbero giunte nei pressi di Lentini avrebbero accesso per tre notti di seguito dei fuochi su un monte vicino la città e all’alba del quarto giorno le truppe bizantine avrebbero attaccato i musulmani e i soldati acquartierati a Lentini avrebbero tentato una sortita. Il comandante dell’esercito arabo Fadhl-Ibn Giàfur, venne a sapere del piano e accese per tre notti dei fuochi sul colle prescelto e il quarto giorno, non appena i soldati di Lentini uscirono per la sortita, li sconfisse ed occupò la città ormai priva di difesa26. L’occupazione araba portò sostanziali modifiche all’assetto politico e sociale dell’isola27, che fu divisa in tre parti amministrativamente autonome. Nel Val di Noto molte città stipularono con gli emiri un accordo che, dietro il pagamento di un tributo, le lasciava “libere” e protette dal potere centrale, sin quando rimanevano cristiane ma, man mano che le popolazioni si convertivano all’Islam, il pagamento del tributo scomparve così come le città tributarie. Nelle campagne si ebbe una ulteriore frammentazione della proprietà. Gran parte della terra divenne di proprietà dello stato e distribuita a berberi che avevano combattuto in Sicilia, una minima parte fu data a coloni arabi giunti in Sicilia dopo la sua occupazione e la rimanente parte rimase in mano ai vecchi proprietari. Gli arabi introdussero come è noto nuove essenze arboree, come il carrubo, gli agrumi, la canna da zucchero (cannamela), il pistacchio e nuove tecniche agricole e di pesca, che almeno nei nomi e nei toponimi sopravvivono, dopo più di un millennio, ancora oggi28. 25 E’ singolare che sulla conquista musulmana della Sicilia si abbiano soprattutto fonti arabe, mentre sono pressoché inesistenti le fonti bizantine, ciò potrebbe far pensare ad un completo degrado culturale dell’isola, chiusa in un particolarismo esasperato. Cfr. in merito le considerazioni di GATTO 1992, pp. 176-212. 26 L’assedio e la conquista di Lentini sono descritti da Ibn-al-Atir e Ibn-Haldin, in, AMARI, SMS, I, pp. 451-452. 27 La popolazione siciliana era formata da arabi e berberi militari o coloni venuti in Sicilia dopo la conquista. Siciliani cristiani e convertiti, ed ebrei. Ai cristiani e agli ebrei fu in generale garantito il diritto di culto e se alcune sedi episcopali sparirono e anche vero che altre se ne formarono e che molte rimasero attive sino all’arrivo dei normanni. 28 Si vedano ad esempio i termini noria, zenia, saia ecc. riferiti alle tecniche idrauliche, sciabbica per la pesca ecc. Sull’influenza della cultura araba nella lingua siciliana si vedano, GIUFFRIDA 1957; PELLEGRINI 1986.
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Lentini, forte rocca e il suo territorio
Non abbiamo molte notizie su Lentini e sulla sua forma urbana in questo periodo. La città in età tardo antica si era notevolmente spopolata e la sua popolazione distribuita sul territorio ma, nonostante la decadenza e l’abbandono del centro urbano, continuò ad essere punto di riferimento per la popolazione che abitava nelle campagne, probabilmente grazie anche alla cattedra episcopale e al prestigio che ebbero alcuni dei suoi vescovi, soprattutto nelle controversie tra la chiesa di Roma e quella di Bisanzio29. La cattedrale dedicata a Santa Maria la Cava30, posta secondo una consolidata tradizione su una terrazza che sovrastava da ovest il fiume Lisso, allo sbocco della valle San Mauro e costruita probabilmente su un precedente edificio pagano, diventa di fatto il centro politico e sociale della città31. Con il susseguirsi delle incursioni arabe si può ipo29 Relativamente a questo periodo sono da ricordare Lucido, al quale papa Gregorio Magno spedisce due lettere (GREGORII, Registrum, XII, 15, 48; PISANO BAUDO SDC, pp. 105-112), nella prima invita il vescovo a consacrare la persona indicata “ex congregatione eadem”, nella seconda raccomanda il nuovo amministratore del patrimonium Syracusanarum partium della chiesa Romana nella persona del chartularius Adriano e lo invita insieme ad altri vescovi siciliani a far rispettare certe regole sulla retribuzione dei clerici precedentemente stabilite; Luciano, che partecipa ai lavori del Concilio Lateranense del 649 e ne sottoscrive gli atti (PISANO BAUDO, SDC, p. 110. Concilium Lateranense a. 649 celebratum, ed. Rudolf Riedinger, ACO ser. secunda, volumen primum, 3, 31, 111, 177, 247, 392-293, 1984); Costantino, che ricoprì importanti incarichi diplomatici per conto dell’imperatrice Irene e del papa Adriano I, di cui era fraterno amico. La figura del vescovo Costantino è, soprattutto localmente, ricordata solo per una leggenda relativa all’abbandono della cattedra episcopale dopo le prime scorrerie arabe, cfr. PISANO BAUDO SDC, pp. 112-115. In realtà Costantino era una delle personalità più in vista dell’episcopato siciliano e doveva partecipare al Concilio di Nicea del 787. Amico personale del papa romano Adriano I è convocato dall’imperatrice Irene ed incaricato di consegnare al pontefice una lettera (29 agosto 784) con l’invito a partecipare ai lavori del Concilio. Misteriosamente nella delegazione imperiale giunta in Italia non c’è però Costantino, la lettera è consegnata al papa dopo qualche mese dal vescovo di Catania Teodoro e dal suo diacono Epifanio, i quali al Concilio parleranno a nome dei vescovi di Sicilia esprimendo ampio consenso al patriarca orientale Tarasio in aperta opposizione al potere di Roma. Cfr. GERBINO 1991 p. 25 con bibliografia precedente. Secondo PIRRI Costantino sarebbe stato abate di Santa Maria de Palatiis ad Alunzio. Da una analisi dei codici nei quali sono narrate le origini della storia della chiesa di Lentini appare evidente come l’area lentinese sia quella, che pur mantenendo la sua fedeltà alla chiesa bizantina è aperta al dialogo e all’influenza della chiesa di Roma, cfr. in merito le interessanti considerazioni proposte in GERBINO 1991. 30 Il toponimo fa facilmente pensare alla architettura rupestre del quartiere intorno alla chiesa e forse alla chiesa stessa, realizzata in parte dentro una grotta. Sono frequenti nell’altopiano ibleo casi del genere, come ad esempio l’omonima chiesa di Cava, d’Ispica, realizzata proprio allo sbocco di una cava dentro una grotta.
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tizzare che, la particolarità del sito della città, che come abbiamo visto era stata da sempre una città soprattutto rupestre, attirò all’interno della valle San Mauro, protetta dal vecchio, anche se fatiscente, circuito della cinta muraria di età classica32, parte della popolazione che sino a quel momento aveva preferito abitare nelle campagne ed è anche probabile, che fosse ripristinato, almeno in parte, l’antico sistema difensivo di età dionigiana, incentrato sia su tratti delle antiche mura di cinta di età classica, sia sulle piazzeforti poste sulle alture principali, riprendendo quindi il vecchio schema urbano della città di età greca. Negli atti relativi al martirio dei Santi Alfio, Filadelfo e Cirino, redatti intorno al 964, l’indicazione mesopoli utilizzata per Lentini potrebbe essere un chiaro riferimento ad un centro abitato chiuso tra due colli, che corrisponderebbe alla valle San Mauro33. Pur nel silenzio delle fonti coeve, si può facilmente pensare, così come proposto gia da S. L. Agnello34, che il quartiere intorno al Castellaccio e sul Tirone fosse l’hisn, il quartiere alto protetto da una cinta muraria, contrapposto al rabad, il quartiere basso, dove vivevano le classi meno abbienti, che si doveva estendere alle pendici del colle e soprattutto lungo il corso del fiume Carrunchio (l’attuale quartiere di San Paolo). Nonostante la conquista Lentini non divenne una città di fede islamica tout court, anche perché in generale gran parte della Sicilia era considerata “terra da convertire” ancora nel X secolo, una terra da indottrinare sia politicamente sia religiosamente35 e l’elemento greco, soprattutto a Lentini continuava ad essere presente se non prevalente. Dopo un breve periodo di decadenza la città divenne ben presto, come descriveranno successivamente i geografi arabi, un popoloso borgo fortificato, i cui abitanti erano dediti alla agricoltura ed alla PISANO BAUDO SDC, pp. 90-91. Cfr., MESSINA 1979, pp. 25-68. AMARI SMS, p. 316-317; VALENTI 1993. 33 La storia dei santi Alfio Filadelfo e Cirino è tramandata da sei codici manoscritti tra i quali il più noto ed antico è il Vaticano greco n. 1541 o codice di Grotta Ferrata, datato al 964. Successivamente il racconto agiografico è stato ripreso, tra gli altri, da GAETANI 1657, MAURO 1691, PIRRI, LANCIA DI BROLO e, alla fine del XIX secolo, da PISANO BAUDO SDC. Più recentemente MESSINA 2001. L’edizione critica del Codice 1581 è in preparazione a cura del prof. Youval Rotman dell’Università di Yale. 34 AGNELLO 1987, p. 40. 35 Cfr. in merito le considerazione in BRESC 1984, pp. 73-87. La Sicilia araba è una terra dove la convivenza tra ebrei, cristiani di rito latino e di rito greco e musulmani è considerata normale. 31 32
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pesca36. Il limite orientale della città era costituito dalle pendici del Colle San Domenico37, quello occidentale dal colle San Francesco38, mentre a nord dall’attuale piazza Umberto, oltre il Carrunchio e il Lisso iniziava la campagna con i suoi borghi. La principale tipologia abitativa continuava ad essere la casa rupestre, che destava ammirazione tra gli arabi (Al Muqadasi)39. Le grotte che si aprivano numerose nei fianchi delle colline di San Mauro, Metapiccola, Tirone, San Francesco, erano, come in precedenza, opportunamente modificate, con l’aggiunta di portichetti coperti con tettoie di frasche o tegole e, a volte, con la costruzione di alcuni vani in muratura nella parte anteriore. Alcune cavità più piccole erano utilizzate come deposito per la legna o per ospitare gli animali da cortile e, qualche volta, anche piccole greggi di ovini. Le abitazione si aprivano su terrazze, poste a più livelli paralleli nei fianchi dei colli ed erano raccordate tra loro da stradelle o scalette, ricavate nella roccia. Nell’attuale centro urbano, si possono ancora identificare nuclei di grotte abitazioni intorno alla antiche chiese di San Giuliano, di Santa Margherita, nella omonima valle, a quella di Santa Maria la Cava e nei pressi della chiesa dell’Immacolata, tutti in gran parte riutilizzati sino a qualche ventennio fa ed è probabile, che anche diverse chiese e luoghi di culto fossero ricavati dalle grotte. E’ necessario ricordare ancora una volta, che sino ad oggi non sono stati scoperti nel territorio di Lentini affreschi di età bizantina. Nonostante gli studi, anche recenti40, c’è ancora purtroppo chi, come già Vito Amico più di due secoli fa, si ostina a 36 AMARI, BAS, I, pp. 71-72. Gli arabi, cfr. MAURICI 1992, p. 62 e sgg., con bibliografia precedente, a partire dal 962, con il susseguirsi di notizie circa una probabile invasione bizantina e per prevenire eventuali insurrezioni, preferirono mantenere la popolazione in grossi centri fortificati. Si vedano in merito soprattutto le disposizioni del califfo fatimida Mu’izz, che ordinò che in ogni iqlim (distretto) della Sicilia si costruissero una madina hasina (città fortificata) e una gami (moschea) e di non permettere che la popolazione vivesse sparpagliata nel territorio. Cfr. inoltre, BRESC 1984, che ha evidenziato come questa disposizione avesse anche una carattere fiscale e culturale; il concentramento della popolazione permetteva di controllare la presenza alla preghiera del venerdì. 37 La collina dove sorge l’attuale chiesa dedicata alla Santa Croce. 38 La collina dove è attualmente il Cimitero. 39 Al Muqadasi (X secolo), descriverà Lentini circondata da una poderosa cinta muraria, munita di torri e con le case costruite in pietra, probabile riferimento proprio alle abitazioni rupestri della città o a case in pietra costruite con conci di calcare estratti dalle cave che abbondavano nel suo territorio. Lentini è anche annoverata, per la breve distanza dal mare e per la navigabilità del suo fiume (San Leonardo), tra le città portuali. Cfr. AMARI. BAS, II, p. 672. 40 Tra gli ultimi sono da segnalare GIGLIO 2002 e PIAZZA 2007, pp. 151-157.
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vedere “le mani di greco stile”41 in affreschi che nella migliore delle ipotesi sono di età alto medievale42. L’uso della grotta non è da considerare come una tipologia edilizia povera, ma piuttosto più funzionale rispetto alla casa in legno o in pietrame. La grotta infatti è meno soggetta agli sbalzi di temperatura e di umidità ed è in grado di assicurare condizioni di vivibilità discrete in ogni periodo dell’anno. Questa tipologia abitativa caratterizzava anche i villaggi rurali che, nascosti nelle cave disseminate nel territorio in tutto il vasto territorio di Lentini, ospitavano i contadini ed i pastori e le comunità di monaci ed eremiti con i loro luoghi di culto43.
Cana Barbara, insediamento rupestre. AMICO I, pp. 584-594. Per una sintesi sulle chiese rupestri di Lentini cfr. soprattutto MESSINA 1979; MESSINA 1994 e GIGLIO 2002. 43 Come sul Colle San Basilio, cfr. la relativa voce nella BTCGI. Altri insediamenti ancora in parte inediti sono in contrada Castellana, Cozzo Scirino, Valsavoia, Cana Cava Barbara, Vallone Maccaudo, Cozzo Telegrafo, ecc. Di questo periodo sarebbe, secondo l’agiografia lentinese, anche la fondazione dell’eremo di Santa Maria Adonai nei pressi di Brucoli. Manca sino ad oggi un censimento completo sugli insediamenti rupestri esistenti nel territorio di Lentini, un primo elenco, limitato però soltanto ai luoghi di culto è in MESSINA 1974 e MESSINA 1994. Sugli insediamenti rupestri della Sicilia medievale si vedano, inoltre, UGGERI 1974, pp. 195-230; BRESC 1976; NICOLETTI 1980; BRESC 1983, pp. 129-144. 41 42
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Dovevano anche coesistere delle tipologie più complesse, case in muratura fatte con conci di arenaria e/o con una corte interna, su cui si aprivano i vani dell’abitazione. Nel complesso la città, oltre che a insistere in gran parte, soprattutto nella parte settentrionale, sullo stesso sito di età classica, aveva ereditato sostanzialmente anche lo stesso schema urbano e la tipologia abitativa, con grotte abitazioni riadattate e case spesso ad un solo livello, con accanto piccoli orti o cortili interni44. Non sono stati sino ad oggi messi in luce molti resti archeologici riferibili al periodo compreso tra il V e il X secolo. L’archeologia siciliana, che negli anni passati è stata particolarmente concentrata sulle vestigia di età greca e successivamente preistorica, ha scoperto l’età bizantina e araba solo di recente. Pertanto molte testimonianze sono andate perdute o poco studiate. Tracce di una fortificazione probabilmente di età bizantina sono ancora visibili in c/da Galermo a sud della Piana di Catania e su una altura che sovrasta la c/da Ossini, tra i comuni di Francofonte, Lentini e Militello. A qualche chilometro ad ovest di Lentini erano i resti di una piccola chiesetta, scavata in parte da Paolo Orsi nel maggio del 1923, dopo una segnalazione dell’ispettore onorario Rosario Santapaola Ragazzi45, che rappresenta una delle scoperte archeologiche più importanti relative a questo periodo. L’edifico era a pianta basilicale ad una sola navata di m 12 x 7 circa e diviso in due parti da un muro trasversale ricoperto da lastre di marmo e poste secondo Orsi a livelli diversi. L’abside era orientata verso est, costruita con grandi conci ben squadrati e decorata con un mosaico policromo. Il pavimento della chiesa era realizzato a mosaico, con piastrelle di calcare ma, successivamente, a questo primo pavimento furono sovrapposti delle lastre di porfido e di marmo di colore verde. Intorno all’edificio era una piccola necropoli nella quale fu ritrovato un piccolo tesoretto di monete arabe. L’edifico, che secondo Orsi si potrebbe datare tra il VI e il VII secolo, anche se piccolo doveva essere molto elegante e 44 Questa è la descrizione di Lentini, costituita più da horti che da domus, che si può desumere dagli atti relativi al martirio dei Santi Alfio, Filadelfo e Cirino, che pur narrando fatti avvenuti nel terzo secolo, secondo la maggior parte degli studiosi descrive la città dell’VIII-IX secolo. Cfr. PACE ACSA, IV, pp. 153-154; GEBBIA 1996, pp. 21-24. 45 Sulla chiesa di c/da Zitone, ORSI 1942, pp. 59-68, PACE ACSA, IV, pp. 152-153; 334-335; 403, 420. Più recentemente è stata proposta una datazione intorno all’anno mille cfr. GIGLIO 2003, pp. 121-124.
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Contrada Zitone, decorazione marmorea (ORSI 1942).
legato ad un culto importante della città o ad una villa rustica46. Per il periodo arabo le testimonianze della presenza musulmana a Lentini, così come in gran parte della Sicilia diventano pressoché impalpabili47. Tracce di un cimitero con rito musulmano sono state individuate nell’attuale piazza Umberto e datate, solo in base ad una esame antropologico al XIII secolo, mentre sarebbe più probabile far risalire tali sepolture, proprio per il luogo dove sono state rinvenute, al periodo dell’occupazione araba della città48. 46 Sarebbe opportuna una revisione dei dati di scavo e uno studio approfondito del monumento e dell’area dove esso insisteva, in quanto è da supporre una diversa e più tarda cronologia della chiesetta (forse gli inizi dell’età normanna). 47 Biagio Pace affermava che se si dovesse dimostrare la presenza dei musulmani in Sicilia in base ai monumenti, forse si dovrebbe negarla, tanto erano evanescenti ed incerti i resti archeologici sino ad allora scoperti, né si può spiegare tale evanescenza con la semplicistica affermazione della distruzione dei monumenti durante la conquista normanna. 48 BASILE 1995, p. 386. La città in età araba è arretrata sul circuito delle mura di età classica, la necropoli di rito musulmano di piazza Umberto è da riferire a questo periodo e non all’età federiciana, infatti nel XII e nel XIII secolo la città avrà una espansione che farà della attuale piazza principale uno dei nuclei più importanti della città e quindi sarebbe improbabile che l’area fosse utilizzata come cimitero. Cfr. in merito capitoli successivi.
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Dalla stessa area provengono alcuni frammenti di ceramica databili tra la fine del IX e il X secolo, rinvenuti, durante gli scavi fatti agli inizi degli anni Novanta del secolo appena trascorso, durante lavori per la messa in opera di cavi elettrici. Il Castellaccio, centro nevralgico del sistema difensivo di età greca e bizantina avrà avuto di sicuro dei rifacimenti o dei restauri durante il dominio arabo, ma purtroppo anche i recenti scavi non permettono di ricostruire le successioni stratigrafiche delle strutture, soprattutto per i periodi più antichi. Nel vasto e fertile territorio di Lentini l’introduzione di nuove culture e tecniche di coltivazione permisero di sfruttarne al meglio le potenzialità, anche se lasciarono sostanzialmente invariato, pur migliorandolo, l’assetto agricolo di età tardo antica e bizantina. Certamente abbondavano i vigneti49, le piantagioni di lino e canapa50, uliveti e campi di cereali ed inoltre coltivazioni di leguminose, come le fave, utilizzate anche per la rotazione agraria. Una notevole risorsa era costituita dall’allevamento degli ovini e dei bovini, che utilizzavano i pascoli delle zone collinari mentre dalle boscaglie si ricavava legname e carbone. Grande attenzione era posta alla cura degli argini dei fiumi, dei torrenti e dei canali, che come graffiti solcavano tutto il territorio, lungo le loro sponde erano coltivati ortaggi e alberi da frutta e non si ha notizia né di alluvioni né di paludi o di pantani51. L’approdo alla foce del San Leonardo e il fiume, ancora ben navigabile, continuano ad assicurare alla città il collegamento via mare52. Pur nella quasi totale assenza di resti e manufatti, infatti sino ad oggi non sono stati rinvenuti resti riferibili al IX e X secolo53, la preNei diplomi e negli atti tramandatici soprattutto a partire dal XII secolo le case coloniche sono spesso citate insieme ai vigneti e palmenti. 50 Il toponimo Burriuni, deriverebbe da borro, forma italianizzata del greco bothros - fossa (cfr. i vocaboli botro e burrone), e indica una vasca per la macerazione delle fibre di lino e canapa. La contrada Burriuni, nei pressi di Lentini, sarebbe da riferire proprio alla lavorazione e alla macerazione delle fibre della canapa, dalla quale si ricavano anche le corde. 51 Pressoché sconosciuti sono nelle descrizioni dei geografi dell’epoca sia le paludi del Pantano sia il Biviere, la cui formazione risale a qualche secolo dopo. 52 E’ appena il caso di ricordare che Lentini sino all’età normanna è considerata una città marinara. Cfr. COLUMBA 1891, pp. 110-111. 53 In contrada Ossini nei pressi di un vecchio casolare sono state rinvenuti alcuni frammenti di ceramica databili al X secolo e nella struttura del casolare è riconoscibile un cantonale più antico forse relativo al periodo in esame. Per casi simili cfr. ARCIFA 2000. 49
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senza della cultura araba è documentata nelle campagne di Lentini soprattutto nella toponomastica e nei successivi diplomi di età normanna e sveva54 e ciò ci permette di immaginare un territorio con casali, case coloniche e borghi, a volte autosufficienti, di cui purtroppo non conosciamo l’esatto stato giuridico55, la proprietà, la consistenza demografica56 e l’estensione. Sono toponimi di origine araba, ad esempio, quelli con prefisso rahal – casale, come Ragameli57, Randacina58, Arbiato59, Rasinec60, Rapsi61 o quelli con prefisso qal’at o qasr - luogo fortificato o torre, come Catalicciardo62 e Cassara63. Risalgono al periodo arabo anche altri toponimi, presenti nel territorio di Lentini e riferibili al regime delle acque come Galici64, Chadra65, Margi66, Favara67.
PELLEGRINI 1986, pp. 127-149. E’ stato proposto che i toponimi con prefisso rahal, posti generalmente in luoghi aperti, dipendessero gerarchicamente da quelli con prefisso qal’at, (cfr. BRESC 1984, p, 76 e MAURICI 1992, p. 198. MOLINARI 1994, p. 366 e sgg.) quindi Catalicciardo (la fortezza o la rocca di Licciardo, secondo CARACAUSI DIZIONARIO), sarebbe predominante nei confronti dell’insediamento della vicina contrada Arbiato. 56 E’ certo comunque che nella Sicilia araba gran parte dei siti rurali hanno origine nelle epoche precedenti, soprattutto di età tardo imperiale e bizantina, quindi si ha in generale un fenomeno di persistenza se non di ri-occupazione dei siti, cfr. in merito, MOLINARI 1994, p. 366 e sgg. 57 Tra Buccheri e Francofonte, citato nei diplomi medievali come Rahalmeni o Rachalmenum , cfr. SELLA 1944, p. 98. 58 Nei pressi di c/da Cillepi, citato nei diplomi medievali come Randachina o Randachini, cfr. HUILLARD BREOLLES, p. 456; SELLA 1944, p. 98 . 59 Nei pressi della Piana di Catania, citato nei diplomi medievali come Rahalbiato, cfr. GREGORIO Biblioteca, II, p. 464 BARBERI 1879, p. 268. 60 Rahal Senec, forse Ambelia–Vignazze nei pressi di Scordia, cfr. GARUFI 1882, p. 12; MAIORANA 1913, p. 119. 61 Secondo GAUDIOSO 1916, I, p. 46 deriverebbe da Rahal Hipsa. 62 Nei pressi del Biviere, GAUDIOSO 1925, p. 55 63 Tra Carlentini e Villasmundo. È Probabile che il toponimo Cassara, dall’arabo qasr, castello, con il quale è chiamata una piccola ma importante per la sua posizione, collina nei pressi di Lentini, faccia riferimento proprio all’esistenza di una torre o di un fortilizio, cfr., CARACAUSI DIZIONARIO. 64 Torrente ad ovest del Biviere, deriverebbe da halig, canale. Cfr. CARACAUSI DIZIONARIO. 65 Stagno, cfr. CARACAUSI DIZIONARIO, nei pressi di Francofonte. 66 Acquitrino, cfr. CARACAUSI DIZIONARIO, tra Lentini e Francofonte. 67 Sorgente cfr. CARACAUSI DIZIONARIO, a sud di Carlentini. 54 55
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IL MEDIOEVO Dai Normanni a Federico II
Vicende storiche
La dominazione araba della Sicilia, nonostante il risveglio economico e sociale, non fu serena e forse proprio a causa della esasperata litigiosità degli emiri essa non durò a lungo. Nel frattempo dalle coste calabresi nuove genti si apprestavano a venire sull’isola: i Normanni. Invadere la Sicilia non era facile, essa era culturalmente e socialmente arabizzata, ma l’accordo di Melfi del 1059 tra il papa Leone IX e i Normanni, con il quale questi ultimi si impegnavano a combattere i saraceni, il desiderio di riscossa dei cristiani, che culminò qualche anno dopo con la prima crociata e lo spirito di avventura di un popolo, come quello normanno, considerato dai loro contemporanei errabondi e senza fissa dimora, spinsero Tancredi di Altavilla a tentare l’impresa. L’occasione propizia si presentò nel 1060. L’emiro di Siracusa Ibnat Tumnah in guerra contro l’emiro di Agrigento chiamò in aiuto i Normanni. I due figli di Tancredi, Ruggero d’Altavilla e Ruggero il Guiscardo ebbero rispettivamente il comando concreto della spedizione e il comando dell’impresa. Nel maggio del 1061 fu occupata Messina, successivamente con l’aiuto di Pisa e Genova68 fu allestita una flotta e con questa si portò a buon fine la spedizione. Nel 1071 fu assediata dal mare e per terra Palermo, che dopo cinque mesi fu espugnata e divenne da subito il centro del potere normanno sull’isola. Tra il 1085 e il 1088 furono conquistate Catania e Siracusa e nel 1091 Butera e Noto e 68 Le due città marinare commerciavano da tempo frumento con la Sicilia e con le loro navi accompagnavano i pellegrini cristiani in Terra Santa o quelli arabi-spagnoli in viaggio verso La Mecca. La presenza di navi pisane e genovesi nei porti siciliani non era quindi una novità. L’aiuto dato ai normanni va visto nell’ottica di avere in seguito più favorevoli condizioni commerciali per i traffici da e per l’isola. Cfr. PERI 1958, pp. 422-469, PERI 1962, pp. 531-618, ABULAFIA 1977, pp. 279-280.
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con la presa di queste due ultime città l’occupazione normanna dell’isola fu completata69. La conquista della Sicilia fu presentata al papa come una sorta di crociata ante litteram e in questa ottica Ruggero ottenne da Urbano II quel complesso di norme note come Legazia apostolica, racchiuse nella bolla Quia propter prudentiam tuam del 1098, che dava ai sovrani normanni la potestà di nominare i vescovi siciliani e, in assenza del legato pontificio, di far osservare le norme impartite dal papa70. Ruggero si affrettò a riconfermare alcune sedi episcopali, come Palermo, Catania, Siracusa, Agrigento e ne fondò altre, come Patti e Cefalù, tutte vicine al mare, unica eccezione Troina, nel cuore della Sicilia, ma in una posizione che permetteva il controllo della viabilità tra il nord e il sud e tra l’est e l’ovest dell’isola, ben presto però, soppiantata da Messina71. La latinizzazione della Sicilia, anche nel senso di riportare il clero sotto il controllo della chiesa di Roma72, era necessaria perché i gruppi di cristiani73 ancora presenti in Sicilia intorno al 1060, soprattutto nel Val Demone e sui Nebrodi, non avevano dato alcun contributo alla conquista dell’isola, anzi soprattutto le popolazioni rurali non avevano visto di buon occhio l’arrivo dei cavalieri d’oltralpe, non a caso Goffredo Malaterra, l’apologeta ufficiale di Ruggero I considerava i cristiani di Sicilia come greci “infidelissimum genus”. Lo stesso vescovo di Palermo, tale Nicodemo definito “timidus et natione graecus” fu infatti declassato, mentre il nuovo vescovo di Agrigento, Gerlando di Borgogna abitava in un palazzo difeso da una torre nei pressi del castello della città. La Sicilia dopo la conquista normanna si presentava come una terra populo dotata trilingui74, un insieme di razze, fedi, lingue e culture 69 Sulla conquista normanna della Sicilia si vedano i classici: MALATERRA; AMARI SMS, III; CHALANDON 1960; TRAMONTANA 1980; tutti con bibliografia precedente. 70 Sulla Legazia apostolica si veda tra gli altri, FODALE 1970. 71 Sulle date di fondazione o di rifondazione delle sedi episcopali siciliane si vedano soprattutto, PIRRI e STARABBA 1893. 72 Su questo argomento fondamentale è WHITE 1984. 73 Si tratta soprattutto di cristiani di rito greco e per certi versi legati culturalmente al mondo bizantino. 74 PIETRO DA EBOLI, Carme I, III, 56, p. 15. […] Hactenus urbs felix, populo dotata trilingui […].
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diverse. Convivevano così come in età araba ma con maggiore libertà, ebrei, soprattutto nel Val Demone; musulmani, diffusi in tutto il Val di Noto e nel Val di Mazara e cristiani, con immigrati latini di varia provenienza75. Era quindi necessario amalgamare e soprattutto governare le varie anime dell’isola. Per fare questo giunsero sia dall’Italia meridionale sia dall’impero bizantino funzionari, notai, uomini d’arme come Giorgio d’Antiochia76, religiosi77, mentre gli arabi diedero il loro contributo all’amministrazione normanna soprattutto con geografi, ingegneri, tecnici e letterati78. Gli anni di Ruggero sono considerati tra i più splendidi per la Sicilia, basti solo pensare ai monumenti di Palermo, dalla Cappella Palatina alla Martorana, dalla Cattedrale a San Giovanni degli Eremiti ecc. Alla sua morte il potere passo a Guglielmo I, soprannominato “il Malo” che dovette fronteggiare una serie di rivolte nel meridione d’Italia e in politica estera l’alleanza del papa Adriano IV, unico pontefice d’origine inglese del medioevo, con Federico Barbarossa e Emanuele Comneno di Constantinopoli. Guglielmo con una accorta politica matrimoniale seppe abilmente allearsi con il re di Inghilterra Enrico II Plantageneto a cui fece sposare sua figlia e guadagnarsi così i favori del papato. Il suo successore Guglielmo II detto “il buono” trasse i frutti dall’operato del padre, al punto che la Sicilia rafforzò i suoi legami con l’Inghilterra e ritornò ad avere un ruolo importante nel Mediterraneo. Solo il violento terremoto del 1169, che provocò notevoli danni alla Sicilia orientale79, turbò il regno di Guglielmo II. Catania fu distrutta a fundamentis, così come Siracusa e Lentini80. L’economia della Sicilia 75 TRAMONTANA 1975, TRAMONTANA 1977, pp. 15-23; PERI 1990, pp. 85-95; MAURICI 1992, pp. 101-104. Si vedano inoltre, sulla presenza dei vari gruppi linguistici e culturali, GARUFI 1940, ALESSIO 1946, GIUNTA 1974, WHITE 1984. 76 Ammiraglio della flotta normanna a cui furono dedicati a Palermo il famoso ponte e la chiesa detta appunto dell’Ammiraglio. 77 Soprattutto monaci seguaci della regola di San Basilio a cui fu affidato il compito di evangelizzare la popolazione rurale e di controllare nello stesso tempo le campagne e poi, Carmelitani e Benedettini. Si veda in merito WHITE 1984. GIUNTA 1974 e PERI 1990, pp. 73-84, tutti con bibliografia precedente. 78 AMARI BAS e AMARI SMS, III. 79 Le cronache del terremoto del febbraio del 1169 sono descritte da FALCANDO e da ROMUALDO. 80 FALCANDO, […] Leontinum nobile Syracusanorum oppidum eadem terrae concussione subversum, oppidanorum plerosque recentium aedificiorum mole consumpisit […].
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orientale subì una forte stasi ad eccezione di Messina, dove gruppi di mercanti genovesi già dal 1116 svolgevano con profitto il commercio dei cereali e dei prodotti della pastorizia con una loro casa e un fondaco e dove successivamente, nel 1189, analoga concessione fu fatta ai pisani81.
Lentini, Santa Maria la Cava, catino di parata in protomaiolica, sec. XIII.
81 Si veda in merito ABULAFIA 1977. Pisani e genovesi svolgevano stabilmente la loro attività a Messina mentre genovesi e veneziani erano a Palermo, I mercanti delle repubbliche marinare erano presenti anche nel Nord-Africa e da tempo commerciavano anche con i musulmani, cfr. GOITEIN 1971.
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La prematura morte di Guglielmo II, avvenuta nel 1189, quando il sovrano aveva solo 36 anni, diede il potere a Enrico VI, figlio di Federico Barbarossa, sposatosi con Costanza di Altavilla, figlia di Ruggero II e zia di Guglielmo “il Buono”. In Sicilia il nuovo sovrano però dovette fronteggiare l’opposizione di Tancredi, figlio naturale di Guglielmo II, proclamato re da un gruppo di nobili nel 1190. Si trattava di un tentativo, anche se di breve durata, per affermare l’indipendenza della Sicilia nei confronti degli stranieri e per affermare la sovranità del popolo siciliano82. Nel 1194 Tancredi morì e Enrico VI con l’aiuto delle navi genovesi, pisane e veneziane sbarcò a Messina e nel Natale dello stesso anno a Palermo, oltre alla corona di imperatore e di re di Germania, ad Enrico fu posta anche quella di re di Sicilia. In Sicilia questo avvenimento portò una serie di sconvolgimenti. Molte terre furono sottratte ai vecchi proprietari ed assegnate a nobili tedeschi. I parenti di Tancredi deportati e i suoi sostenitori torturati e fatti uccidere83. Questo furor theutonicus si abbatté anche sulle città, che furono poste sotto l’amministrazione di fidati ufficiali regi e stratigoti pagati dal fisco. Il regno di Enrico VI durò poco, il sovrano morì all’età di 32 anni di dissenteria e il sistema amministrativo appena inaugurato entrò subito in crisi. La sua vedova, Costanza, pensando più agli interessi della Sicilia che a quelli dinastici, cacciò i funzionari tedeschi e volle presso di sé il giovane figlio Federico, che fece incoronare re di Sicilia e che poi affidò alla tutela del papa Innocenzo III. Alla morte di Costanza le truppe papali sbarcarono a Palermo e sconfissero il siniscalco imperiale Marcualdo di Anweiller, riuscendo a scacciare definitivamente l’odiato “straniero” (1200). Appena Federico divenne maggiorenne si affrancò immediatamente dal controllo del pontefice, impegnandosi contemporaneamente in una serie di guerre finalizzate a consolidare o a riacquisire le prerogative imperiali. Gli anni del regno di Federico sono ancora oggi mitizzati84. Il gio82 Si utilizza questo termine solo per comodità, in quanto non esiste ancora l’idea del popolo siciliano né l’identità siciliana. 83 Si veda ad esempio il pretendente al trono Guglielmo III, morto in circostanze misteriose o l’arcivescovo di Salerno, torturato e giustiziato. 84 Sarebbe inutile e ozioso elencare la vasta bibliografia su Federico II, per una ottima sintesi si rimanda all’ancora validissimo KANTOROWICZ.
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vane imperatore riportò la Sicilia agli antichi splendori del periodo di Ruggero, pur governandola con il pugno di ferro. Deportò i musulmani, che si erano rifugiati nel Val di Mazara in Puglia, tolse ai Pisani e ai Genovesi parte delle concessioni e li espulse da Siracusa. Reintegrò il demanio regio, fece abbattere fortezze e costruirne delle nuove. Fondò nuove città come Augusta e Terranova-Gela in cui furono deportati gli abitanti delle terre che si erano a lui ribellate85. Egli divise amministrativamente la Sicilia in due parti, il cui confine fu posto sul fiume Salso86, strinse accordi politici e commerciali con i regni dell’Africa Settentrionale, ripopolò Malta e incoraggiò Bizantini e Longobardi a stabilirsi in zone spopolate della Sicilia. Diede nuove leggi, che furono trascritte nel cosiddetto Liber Augustalis, coniò monete87, ecc. Ebrei e Musulmani furono messi sotto la protezione dell’imperatore. Agli ebrei fu concesso di dare denaro in prestito con l’interesse del 10% mentre fu vietato ai cristiani88. Sotto Federico inoltre, l’agricoltura, la produzione della seta, l’industria della tintura e quella mineraria ebbero un singolare impulso. L’imperatore fu un mecenate ed egli stesso un artista e curioso indagatore di tutte le scienze. Federico si circondò di filosofi e poeti arabi, scienziati ebrei, amò poco i teatranti, i mimi e i giullari, che anzi spesso bandì, ritenendoli immorali, preferendo le cavalcate e le battute di caccia e di pesca, l’astronomia e l’allevamento degli animali. Durante il suo regno si scrissero libri in latino, in arabo e greco. Lo affascinava il movimento dei pesci e il volo degli uccelli. Scrisse un trattato dal titolo De arte venandi cum avibus con cui esaltava l’uso del falco nella caccia. Nella sua corte si parlava il franco-normanno, ma presso di lui poeti e cantori composero poesie in volgare e dettero vita a quella che venne chiamata Scuola Poetica Siciliana, crogiuolo di cultura da cui nacque e assunse a dignità di lingua il nuovo volgare italiano.
Una valida sintesi su queste problematiche è in MAURICI 1995. Sicilia ultra Salsum e la Sicilia citra Salsum. La prima comprendeva la Sicilia occidentale, governata dal secretus Panormi, mentre la seconda quella orientale e parte della Calabria sotto la giurisdizione del secretus Messanae. Entrambi dopo i moti del 1240 furono sostituiti da un unico magistrato, il magister camerarius. 87 Il corpus delle leggi fu redatto da Pier delle Vigne in un latino elegante e corretto, mentre le monete, le cosiddette Augustales, si rifacevano ai coni della Roma imperiale e recavano l’effigie di Federico II. 85 86
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Pur risiedendo poco in Sicilia egli la amò profondamente e alla sua morte (1250), per testamento, vennero reintrodotte tutti i privilegi che l’isola aveva ai tempi di Guglielmo II “il buono. Lentini durante gli anni di Federico II ebbe una notevole importanza politica. Le cronache riferiscono che a Lentini fu convocato il primo parlamento dell’isola, celebrato nel 1233 e che successivamente i magistrati della città sedettero permanentemente nel parlamento siciliano che si riuniva il 1° maggio e il 1° novembre di ogni anno89. Lentini Sigillio di Federico II. essendo città regia ebbe anche riconfermato lo stemma e il motto della città: urbs fecundissima90. Numerosi furono i cittadini lentinesi che ebbero un ruolo importante nella corte di Federico II91, tra questi vanno ricordati il notaro Jacopo, l’inventore del sonetto citato anche da Dante Alighieri92 e il praefetus novorum aedificiorum Riccardo da Lentini, che fu l’artefice del miracolo dell’architettura sveva. Di Jacopo esistono diverse monograSugli ebrei in Sicilia, BUCARIA 1998, con bibliografia precedente. BRESC 2001. Cfr. HUILLARD BREOLLES, anno 1234. 90 Si tratta di privilegi ricevuti in età normanna. Sullo stemma di Lentini cfr, tra gli altri, PISANO BAUDO 1921, CANDURA 1973 e il dizionario di araldica siciliana PALIZZOLO GRAVINA. Come faceva notare già Salvatore Ciancio nell’appendice alla ristampa del III volume della Storia di Lentini di Sebastiano Pisano Baudo (CIANCIO 1693), lo stemma di Lentini è ben diverso da quello oggi rappresentato nel gonfalone della città e negli atti ufficiali del Comune. Esso è formato da un leone rampante visto di profilo rivolto a sinistra (simile a quello di Carlentini) senza corona (simbolo di sudditanza) o più semplicemente da una testa leonina vista di profilo, simile a quella riportata nelle monete di età greca. 91 Oltre ai famosi e pluricitati Jacopo e Riccardo da Lentini negli atti della cancelleria regia sono ricordati un Jacopo da Lentini nunzio del giustiziere Guglielmo di Anglone, mandato da quest’ultimo dall’imperatore a Lucera nel 1235 (cfr. CARCANI, p. 391) e un Jacopo da Lentini castellano della rocca di Corsiliato in Sicilia (cfr. CARCANI, p. 390), che potrebbe anche essere lo stesso Jacopo notaro. 92 Pg., XXIV, 49-63. 88 89
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fie che ne illustrano l’attività letteraria93 mentre la vita, la formazione e l’opera di Riccardo è sino ad oggi pressoché sconosciuta94. Per lui parlano le grandi opere di ingegneria delle quali diresse i lavori e particolarmente le fortezze di Catania, di Castelvetrano, di Milazzo, di Lentini95, di Prato96 ecc. e soprattutto Castel del Monte in Puglia97. Nonostante i favori concessi dall’imperatore, nel 1240 Lentini è tra le prime città ad aderire al parCastel del Monte. tito guelfo guidato da Vinito da Palagonia e a giurare fedeltà al papa98. Dopo la soppressione della rivolta guelfa nel 1247 Federico mandò nella città alcuni magistrati con il compito di reintegrare il patrimonio regio, che era stato smembrato ed occupato abusivamente da feudatari e borghesi ed in parte abbandonato o utilizzato per la coltivazione di viti 99
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MO.
Tra le varie opere cfr. ANTONELLI 1979 e gli atti del convegno LA POESIA DI GIACO-
94 Di Riccardo non si conosce neanche la data di nascita, egli visse presumibilmente tra il 1200 e il 1260. Le scarne informazioni sulla sua vita sono relative soltanto agli incarichi datigli dall’imperatore a partire dal 1233. L’ultima notizia è relativa all’acquisto di una casa che egli comprò nel 1249 ad Augusta, ove probabilmente morì. 95 Su Riccardo e la sua opera in Sicilia cfr., AGNELLO 1935. 96 Sull’attività di Riccardo nel resto della penisola cfr., HASELOFF 1992 e il catalogo della mostra sull’architettura sveva, tenutasi a Prato nel 1975 a cura di BRUSCHI e MARIANI MIARELLI. 97 Su questa fortificazione cfr., tra gli altri, MUSCA 1981, GOTZE 1991 e GRAZIOSI 2003. 98 Cfr. CARCANI, p. 385, in cui è riportata la lettera dell’imperatore al regio giustiziere Guglielmo di Anglone con la quale si ordina di avviare una severa inchiesta nei confronti di Vinito di Palagonia, che aveva sobillato terram Lentini e di espellere dal regno i colpevoli e di confiscarne i beni . 99 WINKELMANN, I, p. 701, n. 924.
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ET NOMINE ET ARMIS
Come ricordato precedentemente i normanni conquistarono Lentini intorno al 1085. Nonostante la posizione strategica della città, per il controllo delle vie di comunicazione tra la costa e l’interno, essa non ebbe riconfermata la cattedra episcopale e fu compresa nella diocesi di Siracusa. Mantenne però un vastissimo territorio i cui confini si possono intuire facilmente da una bolla del papa Urbano II, in cui sono descritti i confini della diocesi di Siracusa100. Edrisi, un arabo al servizio di Ruggero II, descrive Lentini come una prospera città alla quale, dopo aver risalito il fiume che porta il suo nome, approdano le navi cariche di merci101. Nel 1092 la città è governata da Tancredi tramite un visconte di nome Filippo, probabilmente, come ricorda il nome un greco102. Negli anni compresi tra il 1111 e il 1115 a Lentini è attestata la presenza di un dominus Giroldus de Lentina, forse un vassallo di Tancredi di Siracusa, quando questi era governatore di tutto il Val di Noto103. Di qualche anno più tardi (1141) è la fondazione del monastero di rito greco di San Giovanni del Murgo104, che farebbe pensare come una consistente parte della popolazione seguisse ancora la tradizione se non proprio la chiesa greco-ortodossa. Nel 1144 negli atti compare un Pietro de Lentina, regio giustiziere, ma non è possibile capire se fosse signore di Lentini. Il terremoto del 1169 provocò ingenti danni alla città, che fu distrutta quasi completamente. Le cronache del tempo si limitano ad usare l’espressione a fundamentis, che nella sua brevità fa capire come ben Cfr. PIRRI, I, p. 618 e, successivamente, CUSA, p. 549. AMARI BAS, I, p. 72. AMARI, SMS, I, pp. 316-317. 102 CUSA, p. 589. 103 PIRRI, I, pp. 619-620; MÉNAGER, p. 55. 104 ROGNONI 1999, II, p. 523. Non si conosce la località dove fu costruito questo monastero né se l’edificio conventuale fu realmente realizzato. 100 101
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poco si salvò dalla furia della terra. La città subì certo un notevole ridimensionamento, soprattutto demografico, che riuscì a colmare solo dopo parecchi anni. Danni notevoli ebbe anche la fortificazione principale della città, il cosiddetto Castellaccio, al punto che fu necessario riparare diversi tratti della cinta muraria e successivamente, durante il regno di Federico II procedere ad un suo quasi totale restauro105.
Castellaccio, la sala ipogeica prima del restauro.
105 AGNELLO 1935, p. 257. Il restauro voluto da Federico riguardava soprattutto la costruzione di tre torri e il rifacimento delle mura precedentemente realizzate in luto (fango). Si veda in merito la lettera spedita dall’imperatore a Riccardo da Lentini, al giustiziere Guglielmo di Anglone e al secreto Maggiore di Placatore del 17 novembre 1239, […] De eo vero, quod de muris luto confectis in castro nostro Lentini versusus castellum novum feristi melius reformari de incisis cantonibus tribus torribus, constructis in eo […]. Cfr., CARACANI p. 270; HUILLARD BREOLLES, V, p. 509.
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Della forma urbana della città alto medievale e pre terremoto si conosce ben poco, è possibile ipotizzare che lo schema e l’organizzazione planimetrica soprattutto degli attuali quartieri San Paolo e Roggio, considerate le loro peculiarità topografiche e morfologiche e il fenomeno di persistenza urbanistica che caratterizza Lentini106, si siano formate in questo periodo. Il limite settentrionale della città va identificato con l’attuale piazza Duomo, mentre il centro urbano si sviluppava intorno al Tirone- Castellaccio, nella parte mediana e allo sbocco settentrionale della valle San Mauro e sulle pendici del colle San Francesco (attuale quartiere Badia). Nella città o forse, più probabilmente, nel suo territorio gli atti citano l’esistenza della chiesa di Sant’Andrea, donata dalla contessa Adelicia di Adernò alla prioria agostiniana di Sant’Elia Profeta107. Dopo il terremoto e soprattutto con Federico II, Lentini si sviluppò notevolmente e diventò uno dei centri più importanti della Sicilia nonostante la fondazione della vicina Augusta e la sottrazione di parte del suo territorio108. La città, probabilmente, crebbe anche demograficamente, anche grazie all’afflusso di immigrati in particolare calabresi, che formeranno in seguito una consistente comunità, documentata per i periodi successivi, per un quartiere nei pressi del colle Tirone, chiamato “dei Cosentini”109 e di una chiesa dedicata a San Pietro110. 106 Si tratta di quella che gi urbanisti chiamano “legge di persistenza sul piano” e che in sintesi vede la ricostruzione degli edifici pur nel passare dei secoli sempre utilizzando gli stessi schemi urbanistici. Su queste problematiche, per Lentini, si veda VALENTI 1993. Per un esempio di come sia possibile ricostruire antichi schemi urbani anche in presenza di notevoli sconvolgimenti naturali, si veda Pagnano 1992. Si veda inoltre per la metodologia SOMMELLA 1979. 107 WHITE 1984, p. 359. 108 Sulla fondazione di Augusta cfr. tra gli altri, SALOMONE 1905 e più recentemente DUFOUR 1989a. Le relazioni tra Lentini e Augusta in età medievale sono fondamentali per la vita di entrambe le città, Augusta è il porto principale della zona e successivamente della capitale chiaramontana (cfr. MICHELE DA PIAZZA pp. 307, 354, 381) e molte famiglie sia lentinesi che augustane hanno possedimenti nei territori di entrambe le città. 109 […] Homines alterius quarterii terre predicte, vocati Li consentini […]. Cfr. MICHELE DA PIAZZA, p. 78. Non si conoscono le modalità e i tempi dell’arrivo dei “Cosentini” a Lentini, ma è da supporre che ciò sia avvenuto qualche anno dopo il terremoto del 1169 o nei primi anni del regno di Federico II, quindi tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo. Sulla presenza di immigrati calabresi e in particolare cosentini in Sicilia cfr. PERI 1990, pp. 141, 143 e 276. GARUFI 1882, p. 151, cita una “fonte cusentinorum” e in un documento del 1140 una “fonte magno qui dicitur cosentinorum”. Cfr. inoltre PERI 1990, pp. 139-140, per le dinamiche relative all’immigrazione da parte di famiglie provenienti dall’Italia meridionale in Sicilia. 110 La chiesa di San Pietro era ubicata a sudest del Castellaccio, nei pressi della chiesa rupestre del Crocifisso. Purtroppo scavi clandestini e sbancamenti abusivi hanno quasi del tutto cancellato ogni traccia dell’edificio ancora ben visibile sino ad una ventina di anni fa.
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Non è semplice ricostruire lo schema urbano della città in mancanza di testimonianze architettoniche e documentali si può ipotizzare che il nucleo principale della città doveva essere costituito dall’area intorno al Castrum Vetus, sede del potere regio, che con Federico è quasi integralmente restaurato e in parte modificato. Intorno alla fortezza si fabbricarono le case dei nobili, spesso a più livelli e organizzate come piccole fortezze vere e proprie e quelle più modeste, a un solo livello terragno, dei loro sudditi e servitori. La chiesa principale era sempre la ex cattedrale di Santa Maria la Cava, allo sbocco settentrionale della valle di San Mauro. Intorno la chiesa dovevano esserci modeste case terragne e alcune botteghe. L’attuale piazza Duomo era il limite della città, oltre vi erano i fondachi e le aree artigianali come la corderia111. In questi anni un vano catacombale di età imperiale112, che la tradizione indica come il sepolcro dei santi martiri Alfio, Filadelfo e Cirino fu affrescato con l’imagine del Cristo Pantocrator tra la Vegine e San Giovanni Battista113 e inglobato successivamente in una piccola chiesetta dedicata a tre Santi Martiri114. Federico a Lentini fece anche costruire il cosiddetto Castellum Novum da utilizzare come residenza (palatium)115. A seguito del terremoto del 1542 e la sua totale distruzione116, l’esatta ubicazione del Castellum Novum rimane incerta, ma è comunque da ricercare sulla sommità del colle San Mauro. Secondo Giovanni Rizza esso era sulla parte più alta del colle San Mauro, nei pressi della casa Aletta, dove a seguito di una ricognizione effettuata intorno alla metà del secolo scorso rinvenne dei tagli nella roccia rivesti da una opera muraria realizzaSi tratta di una attività molto diffusa a Lentini e ben documentata nei periodi successivi. VALENTI 2007, con bibliografia precedente. 113 CIANCIO 1951, pp. 97-100; MESSINA 1994, p. 52; PIAZZA 2007, p. 157. Nonostante la testardaggine di alcuni “cultori” locali, che li definiscono espressione dell’arte bizantina, gli affreschi si possono datare non prima della metà del XII secolo. 114 SELLA 1944. 115 La distinzione tra castrum e palatium è fondamentale, mentre il primo indica la sede che ospita la guarnigione e la milizia che permanente è di stanza nella città, il palatium è invece la residenza privata dell’imperatore e dove egli risiede quando trascorre i momenti di pausa e di riposo. 116 Cfr. FAZELLO. Il Castellum novum non fu più ricostruito dopo il terremoto e nella cartografia di LENTINI del 1584, è rappresentato in parte fatiscente sulla testata nord del colle San Mauro. Appare comunque strano che sino ad oggi non sia stata trovata alcuna traccia del palazzo imperiale, che doveva avere anche se non proprio come il Castellaccio, una robusta struttura muraria. 111
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Il Castellaccio (Lentini 1584)
ta con piccoli blocchi, simile a quelle conservatesi sul Castellaccio e pertanto da mettere in relazione con una opera di fortificazione di età federiciana117. Sulla testata nord del colle San Mauro, nei pressi dell’attuale proprietà Cimino, è abbastanza frequente vedere conci e tracce di muratura di età greca e medievale e rinvenire frammenti di ceramica databili tra il XIII e il XV secolo. E’ probabile, che il Castellum novum forse realizzato, così come il Castellaccio, sul sito di una delle piazzeforti volute da Dionigi a difesa della città e che ne abbia in qualche modo riutilizzato lo schema e che esso si trovasse proprio sulla testata nord del San Mauro, in una posizione più avanzata rispetto alla casa Aletta e a ridosso degli edifici più importanti della città, come la ex cattedrale118. La costruzione Castellum novum non portò sostanziali modificazioni all’assetto topografico ed urbanistico dell’area intorno allo sbocco settentrionale della valle, che fu occupata, soprattutto sulle pendici del colle da alcune case di famiglie nobiliari e quelle più modeste dei loro servitori. RIZZA 1980, pp. 121-122. Sul Castellum novum cfr. AGNELLO 1935, pp. 287-289 e la relativa scheda in CASTELLI MEDIEVALI DI SICILIA, p. 403 con bibliografia precedente. 117 118
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Nei pressi del Castellum novum era la chiesa dedicata a San Nicola de Castelo novo119, che farebbe pensare ancora una volta ad un culto di origine greca120. Qualche centinaio di metri più ad ovest, sul colle San Francesco era il convento dei frati Minori Conventuali, fondato nel 1225121. In esso aveva abitato San Antonio da Padova, durante una tappa del suo pellegrinaggio verso Assisi122. Considerato ben presto uno dei più prestigiosi dell’isola, nel 1252, sotto il provinciale Giacomo de Pernis vi si era
Chiesa dell’Immacolata, portale laterale. SELLA 1944. Il culto di San Nicola nasce e si sviluppa in oriente intorno al VI secolo per poi giungere in Italia con i bizantini. Il suo culto soprattutto in Italia Meridionale ebbe fortuna nel primo medioevo. Sul Santo si veda DEL RE 1966. 121 PIRRI, I, p. 674; PISANO BAUDO SDC, pp. 151-152. D’ALATRI 1987, p. 25 e sgg.; PELLEGRINI 1979. 122 PIRRI, I, p. 674. 119
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tenuto il Capitolo generale dell’ordine123. Dell’antico edifico rimane solo parte dell’architrave dell’ingresso principale, oggi murata nel lato occidentale dell’attuale chiesa dell’Immacolata. Sull’architrave è inciso il nome NICOLAUS a ricordo del fabbro Nicolò schiacciato da un grosso masso e richiamato miracolosamente in vita dal santo. Nei pressi del convento erano numerose grotte, alcune affrescate di cui rimane solo qualche labile traccia124. Nell’ambito dell’attuale chiesa di San Francesco di Paola, secondo Pisano Baudo, che riprende una notizia di Vito Amico125, era la chiesa dei cavalieri templari dedicata a Sant’Andrea126. La chiesa del Crocifisso
Nei pressi della chiesa di San Pietro era la chiesa del Crocifisso127. Si tratta di una delle chiese più importanti della Sicilia rupestre, che purtroppo l’incuria e l’ignavia sia dei cittadini sia delle istituzioni, ha portato negli ultimi quaranta anni ad un rapido e irrimediabile degrado128. La chiesa è formata da due vani quadrati simmetrici ed affiancati129. Al centro del lato est del primo vano fu scavata l’abside a sezione 123 Provinciale Ordinis Fratrum Minorum Vetustissimum Secundum Codicem Vaticanum 1960, Eubel, Quarocchi, 1902, p. 69 e sgg.; P. m. Cagliola a Melita eiusdem Ordinis ac Provinciae alumno, Almae Siciliensis Provinciae Ordinis Minorum Conventualis S. Francisci manifestationes novissimae sex explorationibus complexae [...], Venetiis, 1644, p. 48 e sgg. 124 Il convento secondo la tradizione era stato fondato accanto la grotta con l’omonima chiesa dedicata a Sant’Andrea, cfr. PIRRI, I, p. 674; AMICO, I, p. 589; PISANO BAUDO SDC, p. 151. 125 AMICO, I, s. v. Lentini. 126 PISANO BAUDO SDC, p. 158. La notizia sembra priva di fondamento, in quanto una chiesa dedicata proprio a Sant’Andrea e probabilmente eretta dai Templari era nei pressi del Biviere. 127 Sulla Chiesa cfr, tra gli altri, CIANCIO 1951, pp. 61-92; AGNELLO 1957, pp. 192-200; MESSINA 1979, pp. 36-48; MESSINA 1994, pp. 147-148; ROMEO 1995; VELLA 1995, pp. 451-542; GIGLIO 2002. 128 Gli affreschi della chiesa erano sino alla fine dell’ultima guerra mondiale ancora in ottimo stato di conservazione. Essa era stata inserita nell’elenco dei monumenti più importanti della Sicilia orientale già nel 1917 e pubblicata a più riprese dai maggiori studiosi di arte medievale. Cfr, MESSINA 1979, p. 38 per la bibliografia e le vicende storiche. Negli ultimi venti anni i soliti vandali hanno provveduto a sfregiare e staccare affreschi, a fare scavi e scassi nelle pareti alla ricerca della solita e sempre improbabile truvatura o altri non meglio specificati tesori. Le migliori riproduzioni degli affreschi lentinesi sono in ROMEO 1995; IMMAGINI RUPESTRI e GIGLIO 2002. 129 Secondo Carmela Vella (VELLA 1995) la chiesa fu realizzata nel periodo “tardo paleobizantino” (sic!). Il vano a sud sarebbe anteriore e quello a nord posteriore.
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ogivale130. Sul lato ovest quasi di fronte all’ingresso è stato successivamente ricavato un ambiente rettangolare e un altro vano perpendicolare a questo ultimo. L’altro ambiente, che oggi ha un ingresso autonomo, realizzato forse dove in origine era solo una finestra, con le successive trasformazioni subite dalla grotta è attualmente collegato al primo ambiente attraverso una ampia apertura semicircolare131. Sul lato nord presenta due vani rettangolari paralleli adibiti ad ossari132. Sotto il piano di calpestio è un ambiente con volta a botta nel quale sono ricavati gli essicatoi per i cadaveri. La decorazione della chiesa presenta almeno cinque cicli di affreschi spesso sovrapposti, purtroppo oggi in pessimo stato di conservazione. A destra dell’ingresso principale, nell’abside è il Cristo Pantocratore assiso in trono tra due coppie di angeli. Il Cristo indossa una tunica rossa e un mantello dall’ampio drappo, con la mano destra benedice e con la sinistra regge il Vangelo. Iconograficamente ricorda il Cristo del Duomo di Cefalù, anche per i particolari del mantello e la resa dei particolari del volto. Segue poi un pannello con la Crocifissione, di cui rimane solo un tratto del volto di Cristo e della croce. Questo dipinto che si può datare al XIII secolo, doveva essere uno degli affreschi più antichi della chiesa e dal quale la chiesa prendeva il nome. La parete nord presenta purtroppo ormai solo le tracce di diversi dipinti sovrapposti, i più recenti dei quali databili al XVII secolo, raffiguranti la Madonna con il Bambino133. Accanto sono due pannelli, uno con un santo che non è possibile identificare e un altro con San Nicola134. Accanto all’abside, sul lato nord era una specie di sedile di pietra ormai completamente distrutto. 131 La chiesa presenta numerosi rimaneggiamenti di cui l’ultimo è datato 1764 (la data è posta sopra il portale d’ingresso). CIANCIO 1951, p. 63 riporta per errore 1746, così come PISANO BAUDO SDC, pp. 255-256. In quella data la chiesa fu annessa ad un convento di eremiti ormai abbandonato posto nella balza rocciosa soprastante. 132 CIANCIO 1951, p. 68, ricorda che nei registri dei morti della chiesa di San Luca risultava spesso l’annotazione: “Cuius cadaver sepultum fuit in venerabili ecclesia S. Crucifixi”. Inoltre i morti dell’epidemia di “Spagnola” che imperversò alla fine del XIX secolo furono sepolti in questa chiesa. Intere generazioni di medici lentinesi e carlentinesi hanno studiato utilizzando ossa provenienti da questa chiesa. 133 Oggi questi affreschi sono irrimediabilmente perduti, CIANCIO 1951, riuscì ad individuare almeno dieci immagini mariane. 134 ROMEO 1995, p. 58. 130
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Chiesa del Crocifisso, Pantocrate.
Nel vano di fronte l’ingresso, nella parete ovest, era raffigurata una scena di threnos o compianto su Cristo morto, che qualche anno fa è stata staccata e portata al Museo Archeologico di Lentini. L’immagine presentava il Cristo con il volto appoggiato sul petto della Madonna, tra San Giovanni Evangelista, Giuseppe di Arimatea, Nicodemo e le myrophores e nello sfondo il Calvario con le tre croci. Lo stile Chiesa del Crocifisso, Deesis, particolare. popolare dell’affresco, che ricorda le pitture su tela fa proporre per la sua datazione la fine del XVII secolo. Nella parete di fronte all’altare è raffigurata la Vergine con il Bambino. La Vergine, dal volto giovanile, è seduta su uno sgabello e indossa una veste di colore rosso e un mantello blu riccamente drappeggiato. Del Bambino non rimane che solo labile traccia. In fondo all’ambiente principale sul lato nord sono cinque pannelli 39
Chiesa del Crocifisso, San Giovanni Battista.
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rettangolari, raffiguranti un santo vescovo, San Giovanni Battista, San Leonardo, la Vergine con il Bambino e Santa Elisabetta, dei quali mancano le parti inferiori che furono distrutte per aprire il passaggio con il vano adiacente. Il santo vescovo è rappresentato nell’atto di benedire, ha il volto scarno, incorniciato da una barba bianca. La veste è riccamente decorata con orbicoli. Sotto l’affresco si intravvedono, nella parte inferiore del pannello, le tracce di altri due affreschi più antichi. San Giovanni Battista è dipinto su uno strato di intonaco, che copre un dipinto più antico con lo stesso soggetto. Il Santo ha addosso una pelle di animale, che lascia nuda la spalla sinistra e il petto. Il volto magro ed emaciato è incorniciato dai capelli arruffati e da una folta barba. A sinistra del volto è la scritta S. IOH(ANNE)S e a destra BATISTA, mentre nel rotolo retto dalla mano sinistra si legge: ECCE/ AGNUS/ DEI ECCE/ QUI TOL/ LIT PE/ CATA MU/NDI. L’immagine di San Giovanni ricorda iconograficamente uno schema molto usato in Sicilia che trova raffronti, tra gli altri, nella cripta di San Marciano a Siracusa135. San Leonardo ha il volto con una folta barba bianca e nella mano stringe una catena. A destra del volto c’è la scritta LEONARDUS. Del pannello della Vergine con il Bambino si conserva solo il volto della Vergine con il nimbo giallo e quello del Bambino con il nimbo crucifero. Santa Elisabetta ha un nimbo di colore giallo e un velo rossastro. La veste è di colore marrone con alcune ombreggiature, le mani sono aperte in atteggiamento di preghiera. A sinistra e a destra del volto c’è la scritta S(AN)C(T)A HELISABETH. Di fronte all’ingresso sono due grandi pannelli in cui sono raffigurati un Cristo Viandante e un San Cristoforo. Il Cristo ha un portamento maestoso il volto incorniciato dai capelli e da una lunga barba, si appoggia con la mano sinistra ad un pastorale e regge con la destra il Vangelo136. Cronologicamente il dipinto si può datare al XVII secolo. 135 Sulla rappresentazione di San Giovanni Battista nei monumenti di Siracusa cfr., tra gli altri, BOTTARI 1963, p. 47. 136 Questa figura era stata identificata da PISANO BAUSO SDC, p. 255, da CIANCIO 1951, p. 78 e da AGNELLO 1957, p. 198 come San Paolo, ma la presenza di un nimbo crucifero toglie ogni dubbio sull’identificazione.
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Chiesa del Crocifisso, San Pietro.
San Cristoforo è raffigurato nell’atto di attraversare il mare, in maniera grossolana, con la testa molto più grande del resto della figura e del Cristo bambino, che porta sulla spalla. Nella mano ha un rotolo su cui è scritto XP(IST)OFORI S(ANCTA)M / SPECIE(M) QUI/ CU(M)QUE TU/ ETUR ILLO/ NA(M)QUE DIE / NULLO LANG(UORE). L’affresco si può datare al XV secolo. Nella parete sud si conservano alcuni dei dipinti più antichi della chiesa e risalenti al XII-XIII secolo. Nella parte superiore di un pannello che raffigura un santo vescovo e del quale rimane solo qualche traccia della tunica, si intravvedono tre ordini di formelle, dipinte precedentemente, nelle quali si riconoscono la visione di Santo Stefano137 e alcune scene del Giudizio Universale con le teste mozzate dei dannati immerse tra le fiamme. Più recenti sono i pannelli che rappresentano una Vergine con il Bambino, San Calogero, di cui rimane solo la scritta [K]ALOKERUS, San Pietro e Santa Chiara questi ultimi ormai del tutto scomparsi. 137 MESSINA 1994, p. 147. Localmente questa raffigurazione è stata scambiata per una Annunciazione.
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Chiesa di San Mauro.
Nel breve ambulacro che conduce nell’ambiente sud, a sinistra dell’ingresso rimangono le tracce di un affresco raffigurante un Vescovo, che la tradizione identificava come San Neofito, primo vescovo lentinese mentre secondo Messina si trattava di Sant’Eligio138.
Sulla parte meridionale del colle San Mauro doveva esserci un modesto insediamento benedettino attestato proprio dal toponimo Mauro (compagno di San Benedetto) e di una chiesa rupestre che attualmente presenta tracce di modesti affreschi seicenteschi, raffiguranti degli angeli musicanti e la testa di un monaco139 e di alcuni ambienti, pieni di materiale di riporto, di difficile interpretazione sia per la loro destinazione sia per la cronologia.
CIANCIO 1951, p. 69. MESSINA 1994, p. 147. Secondo PISANO BAUDO SDC, p. 107. La lettera di San Gregorio al vescovo di Lentini Lucido, nel quale è citato un presbitero di un convento di Lentini o della sua diocesi, che chiedeva essere ordinato, potrebbe fare riferimento proprio a questo convento, di incerta anche se di antichissima fondazione. Da quanto scritto da WHITE 1984, p. 28, l’ipotesi di Pisano Baudo potrebbe essere accettata. Sulla chiesa rupestre cfr. CIANCIO 1951, pp. 101-106; MESSINA 1979, p. 50. 138 139
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Tracce di un’altra chiesa rupestre di età normanna sono nella valle San Mauro. La grotta, che la tradizione locale vuole dedicata a San Giorgio è in gran parte franata e colma di detriti. Essa conserva tracce di alcuni affreschi policromi raffiguranti dei santi, che considerato lo stato della grotta non è possibile meglio identificare140. Fuori della città, secondo una antica tradizione, era il convento dei Carmelitani141. Esso fu fondato nel 1200 e costruito nel 1220 alla periferia orientale del centro urbano, con annessa la chiesa dell’Annunziata142. L’edificio conventuale, secondo la tradizione locale era nei pressi dell’attuale via Lecce, dove è attualmente l’icona della Madonna del Castello. Non si sa molto del convento e della sua struttura anche se sino alla metà del secolo scorso, negli agrumeti limitrofi alla attuale via Bosco Cappuccio, non era raro il rinvenimento di strutture murarie di età medievale e nei pressi di un vasca per la raccolta delle acque di un agrumeto limitrofo alla via Lecce si conservava un breve tratto di una scalinata monumentale, che secondo i contadini faceva parte dell’antica chiesa dell’Annunziata. Ad oriente di Lentini, nella valle Falconello, forse facente parte di un complesso monastico143 era la chiesa rupestre di Santa Margherita, uno dei monumenti più importanti del periodo normanno-svevo esistenti a Lentini. Attualmente la grotta presenta una pianta longitudinale orientata in senso nordest-sudovest e una differenziazione liturgica degli spazi, con la parte più esterna destinata ai fedeli e quella interna ai sacerdoti. La parete di fondo ha due piccole absidi semicircolari, di cui quella più grande è a profilo ogivale con altare a mensa144. Nella parete sinistra è Secondo MESSINA 1994, p. 148, si tratterebbe della chiesa di Sant’Andrea. PISANO BAUDO SDC, p. 107, che cita degli atti dell’Ordine Carmelitano redatti da P. Giovanni Battista de Lezzara e afferma che il convento di Lentini sarebbe il primo d’Europa fondato nel l’837 e abbandonato a seguito della conquista musulmana di Lentini. Non tutta la storiografia, compresa quella dell’Ordine del Carmelo concorda con questa notizia e nega la fondazione del convento di Lentini prima del 1200 affermando che la più antica fondazione dell’ordine è a Messina (cfr. PIRRI, I, p. 674; WHITE 1984, p. 376, che esclude fondazioni carmelitane in Sicilia prima del 1235; GIANNINOTO 1986) . Un antico privilegio del 1648, citato dal CONVERSANO stabilisce comunque il primato di fondazione del convento di Lentini. Sempre secondo CONVERSANO la data di fondazione del convento andrebbe corretta da 837 a 537, perché nell’837 la Sicilia stava subendo l’invasione araba. 142 PISANO BAUDO SDC, pp. 149-151. 143 La chiesa secondo MESSINA 1979, p. 53, poteva essere pertinente al primo convento dei Carmelitani. 144 Il MESSINA 1979, p. 54, propone in base all’esame stilistico di questa abside, simile a 140 141
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una apertura che conduce ad un piccolo vano, forse un vano sepolcrale, in cui sono le tracce di tre arcosoli, coevi forse ad alcune tombe a fossa, che si possono ancora osservare sul pianoro roccioso soprastante la chiesa. La decorazione pittorica, forse una delle più antiche del territorio di Lentini, oggi molto guasta a causa di alcuni tentativi di intonacare tutta la grotta, doveva essere molto interessante e ricca e fare parte di un progetto pittorico, che aveva lo scopo di scandire gli spazi delle pareti ad uso cultuale. Le figure recano didascalie in greco e conferma ancora una volta come il territorio di Lentini fosse tra quelli meno arabizzati del Val di Noto145. Sulla parete frontale si riconoscono, ancora in
Chiesa di Santa Margherita, San Gregorio. quella della chiesa di Santa Lucia al Tirone e a quella del Crocifisso, che queste tre chiese fossero state realizzate dalla stessa cerchia di cavatori, che operarono a Lentini in età normanna. 145 Questo spiegherebbe l’appartenenza di molti appezzamenti del territorio di Lentini al monastero greco del San Salvatore di Messina. Cfr. SCADUTO 1947, p. 190.
discreto stato, almeno dodici pannelli. Nella parte superiore, sopra l’altare sono cinque medaglioni che raffigurano i quattro evangelisti e l’Agnus Dei, sovrapposto all’altare in cui è raffigurata una Deesis. Negli angoli superiori è l’Annunciazione, con l’angelo Gabriele nel lato sinistro e la Vergine in quello destro. Degli affreschi dei pannelli inferiori rimane solo qualche traccia ad eccezione di un San Gregorio dentro l’absidiola accanto all’altare. Sulle pareti laterali si conservano, ancora in discreto stato, almeno sette pannelli per lato, raffiguranti alcuni santi non meglio identificati e gli affreschi raffiguranti Santa Lucia, Santa Margherita, una Annunciazione, San Pietro, San Giacomo e San Paolo. Nel vano sepolcrale a sinistra è la Vergine assisa in trono e San Nicola con le tre fanciulle146.
Chiesa di Santa Margherita, San Nicola e le tre fanciulle.
146 Sulla chiesa si veda AGNELLO 1969, pp. 247-260; MESSINA 1979, pp. 53-60. GIGLIO 2002, con bibliografia precedente.
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Il Castellaccio
Il monumento che più di tutti rappresenta Lentini nel medioevo e ne condiziona l’assetto urbanistico è comunque il cosiddetto Castellaccio147. Esso fu realizzato su una precedente fortificazione di età greca, forse nel quartiere Foceas148 secondo l’interpretazione di Schubring149, che riprende Vito Amico150 o su una delle piazzeforti volute da Dionigi a difesa dei magazzini di granaglie, che egli fece costruire a Leontinoi151. Della storia del castello si hanno diverse notizie desumibili soprattutto dalle fonti di età medievale. La più antica è del 1223 e ricorda che Federico deportò parte dei ribelli agrigentini nei castelli di Siracusa e Lentini152. Del 1239 è la lettera con la quale Federico II loda l’operato di Riccardo per i restauri effettuati153. Dopo la morte dell’imperatore nel castello trovarono rifugio i cosiddetti Ferracani (1267), sostenitori del partito guelfo in aperta opposizione contro gli svevi, che dopo un lungo assedio si arresero solo per la mancanza d’acqua154. Carlo d’Angiò lo ispeziona nel 1273155 e nel 1274 il castello di Lentini è citato tra i castra citra flumen Salsum156. Lo statuto sui castelli siciliani assegna nello stesso anno al castello di Lentini un castellanum militem et servientes sex157 e successivamente (1281) le sue provvigioni sono equiparate a quelli dei più importanti castelli di Sicilia158. Nel 1282 dopo che la furia popolare aveva ucciso Papirio Comitini, che si era rifugiato nel castello di Lentini, Pietro d’Aragona nomina castellaNonostante il progredire della ricerca archeologica a Lentini la monografia più importante e completa su questo monumento rimane quella di Giuseppe Agnello (AGNELLO 1935) Più recentemente ma senza alcuna novità rispetto allo studio di Agnello la scheda in CASTELLI MEDIEVALI DI SICILIA, pp. 399-403 con bibliografia precedente. 148 Thuc., V, 1, 4. 149 SCHUBRING, p. 386. Si veda inoltre COLUMBA 1891, p. 117; RIZZA 1951, pp. 1-9; VALENTI 2007. 150 AMICO, p. 585, che pone sul colle denominato “Cosentina” una antica fortificazione. 151 Diod, XIV, 58, 1. 152 AGNELLO 1935, p. 23 e 261 che cita una notizia non confermata riportata in PISANO BAUDO SDL, II. 153 STARABBA 1888, p. 13, doc. IX. 154 NEOCASTRO; MURATORI, p. 839. 155 STHAMER 1914, p. 48. 156 STHAMER 1914, p. 20. 157 STHAMER 1914, p. 140. 158 PISANO BAUDO SDL, II, p. 147. STHAMER 1916, p. 155. 147
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no della fortezza di Lentini Riccardo Passaneto159. Nel 1299 Federico d’Aragona riorganizza le difese del castello prima della battaglia di Falconara160. Durante la guerra tra i Ventimiglia e i Chiaramontani nel castello di Lentini furono imprigionati il conte Franceschello figlio del Ventimiglia e altri nobili, affidati per ordine di Pietro III a Ruggero Passaneto161. Vittima di una congiura però il Passaneto si ribella al re e si rifugia dentro la fortezza, che è cinta d’assedio da Blasco Alagona. Solo con l’ausilio di una macchina bellica, che tempesta il castello di pietre Ruggero Passaneto si arrende162. A seguito dei guasti subiti durante l’assedio, re Pietro (1339) concede a Lentini l’estensione delle gabelle per riparare le mura della città e i baluardi del castello163. Nel 1354 nel Castellaccio trovano rifugio i chiaramontani che si erano ribellati a Ludovico d’Aragona e vani sono i tentativi di espu-
Castellaccio, accesso alla sala ipogeica prima del restauro. 159 Si tratta di una notizia riportata da PISANO BAUDO SDL, II, che cita dei documenti dell’archivio aragonese, pubblicati dalla Soprintendenza agli archivi della Sicilia. 160 SPECIALIS, VI, 12. 161 MICHELE DA PIAZZA, p. 529; FAZELLO, III, p. 84. 162 MICHELE DA PIAZZA, p. 547. 163 Dal libro dei privilegi della città di Lentini citato in PISANO BAUDO SDL, II, pp. 202203.
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gnarlo, al punto che Ludovico è costretto a ritirarsi a Catania. L’anno successivo anche a seguito di una grave penuria di viveri Manfredi Chiaramonte si rifugia con i cittadini più in vista nel Castellaccio e resiste ad un nuovo assedio. Nel 1360 il castello è espugnato da Artale Alagona, solo grazie al tradimento dei soldati di guardia, nonostante la realizzazione di un muro posto davanti l’entrata, per bloccare ogni tentativo di sortita e una violenta tempesta di sassi lanciati ininterrottamente dalle catapulte164. Il nuovo ordinamento dei castelli siciliani voluto da re Martino nel 1398 assegna a quello di Lentini un castellano, un vice castellano e dodici servienti165. Si tratta di provvigioni uguali ai maggiori castelli della Sicilia e nonostante la città facesse parte della Camera Reginale166, il suo castello, per l’importanza che aveva, era sotto il governo diretto del re.
Lentini vista dal Castellaccio. MICHELE DA PIAZZA , p. 79. CAPITULA REGNI SICILIAE, I, V, p. 135. 166 La cosiddetta Camera Reginale era la dote che le regine di Sicilia avevano per il mantenimento della loro corte. Essa fu istituita da Federico III d’Aragona per Eleonora d’Angiò e comprendeva oltre che rendite anche il possesso di alcune città tra le quali Lentini, Mineo, Vizzini, Siracusa ecc. e di gran parte dei loro territori. Essa fu ufficialmente abolita nel 1537. 164 165
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Nel 1414 sono assegnati al castello di Lentini un castellano, un vice castellano, un portiere, dodici servienti e un cappellano167. Alfonso d’Aragona concede nel 1434 la fortezza al lentinese Vincenzo Gargallo168. Con l’introduzione dell’artiglieria nelle tattiche di guerra è probabile che il castello subì delle trasformazioni, che sino ad oggi non è possibile documentare. Il terremoto del 1542 provoca il crollo di alcune torri, al punto che le successive relazioni degli ingegneri spagnoli proposero di realizzare una nuova città fortificata (Carlentini) piuttosto che il loro restauro169. La mancata realizzazione della nuova città in onore di Carlo V, almeno come era prevista nei progetti originali, consentono il restauro del castellaccio, che nel 1675 è talmente fortificato da scoraggiare i francesi dall’assediarlo170. Qualche anno dopo la fortezza fu probabilmente utilizzata e/o trasformata in prigione per i debitori, così come quella di Siracusa. Distrutta dal terremoto del 1693 verosimilmente non fu più ricostruita anche se in un più tardo documento del 1735 si ricorda l’approvvigionamento di polvere da sparo per la guarnigione del castello171. Da un punto di vista topografico quello che attualmente è denominato Castellaccio occupa la parte mediana di una collina di calcarenite dalle ripide pendici, di cui la parte più alta denominata Metapiccola degrada verso settentrione, con un sistema di terrazze, sino alla attuale piazza di Lentini, con i toponimi di Lastrichello, Castellaccio, Tirone, Roggio. Il Castellaccio vero e proprio si estende con una forma pressoché rettangolare per circa mq 10.000 ed è separato fisicamente dal sistema appena descritto da due tagli artificiali, i cosiddetti fossati. Quello più a nord è largo circa metri 20, lungo oltre 80 e profondo circa 13 metri, quello a sud è largo circa 30 metri, lungo circa metri 70 e profondo circa 15 metri. Nella parte mediana dei due fossati sono degli istmi ricavati nella roccia, che restringono in parte la larghezza dei fossati (circa 4 metri) e probabilmente servivano per l’appoggio del ponte AGNELLO 1935, p. 266 che riporta un documento d’archivio custodito a Palermo. La notizia si deduce da una lapide trovata nel castellaccio nel 1814 e trascritta negli atti del comune di Lentini nello stesso anno. 169 Si veda la relazione sullo stato delle difese della città di Lentini del viceré F. Gonzaga datata 31 Luglio 1546 all’imperatore Carlo V e custodita nell’Archivio Generale Simancas. 170 In quella occasione per timore di un imminente attacco, l’antica tavola della Madonna Odigidria fu custodita temporaneamente nel castello, per cui successivamente fu chiamata con l’appellativo di Madonna del Castello. 171 AGNELLO 1987, p. 41. 167 168
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Castellaccio, planimetria (Agnello 1935).
levatoio. Le pareti dei fossati presentano dei tagli strombati equidistanti. I tagli iniziano sul ciglio della collina per una profondità di circa metri 1, per poi livellarsi con la parete del fossato e formare come dei cunei rovesciati, con il vertice in mezzo alla roccia, all’interno della cortina muraria. Essi servivano per rotolare dei massi verso gli assalitori. La terrazza del Castellaccio era inaccessibile anche da est dalla parte della valle Ruccia e da ovest, dalla parte della valle San Mauro, attraverso dei tagli della parete rocciosa che avevano reso a strapiombo le pendici di già ripide dell’acrocoro. Le strutture murarie attualmente visibili sono, nonostante i recenti scavi, in gran parte di difficile lettura e datazione172. Riferibili all’età Sul Castellaccio la Soprintendenza di Siracusa ha effettuato dei primi “restauri” tra il 1985 e il 1987 sotto la direzione dell’architetto Pavone (una prima sintesi è in PAVONE 1987, pp. 4352) e una lunga campagna di scavi tra il 2005 e il 2007 diretta dal dott. Lorenzo Guzzardi. In particolare i primi interventi dopo la sua acquisizione da parte del Comune con l’interessamento dell’allora ispettore onorario avv. Alfio Sgalambro, riguardarono la cosiddetta sala ipogeica e il consolidamento delle mura meridionali, nonché la realizzazione di una stradella di accesso da nord, che tagliò un banco di roccia che costituiva uno sbarramento di accesso. I risultati degli scavi più recenti si spera possano essere pubblicati al più presto. 172
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Castellaccio, il fossatto settentrionale con i piombatoi.
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classica sono alcuni filari di conci, che si innestano con le mura che proteggono il lato meridionale, che formano un muro lungo circa m 10 e parte di un pavimento in opus signinum trovato all’interno della cosiddetta sala ipogeica. Le mura di età medievale racchiudono invece tutto il perimetro della collina. Sulla parte mediana della scarpata rivolta verso la valle San Mauro si può osservare un muro alto più di metri 10 costruito ad emplecton e largo circa metri 2. Il muro segue l’inclinazione del declivio e ricorda altre realizzazione del periodo svevo, soprattutto per le sigle lasciate dai lapicidi, come la clessidra, lo zigzag e la T. Questo muro potrebbe essere quello realizzato da Riccardo da Lentini, al posto di quello di luto ricordato nella lettera di Federico II del 1239173. Sotto la scarpata è un ampio tratto di muro, crollato dalla parte superiore della collina e rimasto miracolosamente intatto, al punto da sembrare un muro autonomo, con ancora visibili altri contrassegni dei cavatori dei conci174.
Castellaccio, il crollo del muro ovest. 173 L’espressione si riferirebbe al legante utilizzato per le pietre. Mura con fango e pietre (tabial da cui deriva il siciliano tabbia) erano comuni nelle costruzioni arabe. 174 Gia Agnello aveva messo in relazione questi segni con quelli del castello Maniace a Siracusa, cfr. AGNELLO 1930, p. 276 e più recentemente ZORIC 1995, pp. 409-414. Per il significato dei marchi di cava si veda, inoltre, BIANCHI 1997, pp. 25-37.
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Castellaccio, marchi dei lapicidi.
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Sul versante opposto rimane solo un breve tratto di muro, in quanto gran parte della cinta muraria è franata nella vallata sottostante. Su questo lato del castello è visibile una piccola absidiola che chiude un vano rettangolare, probabilmente si trattava di una chiesetta utilizzata dalla guarnigione. Sul lato settentrionale si conservano due ampi tratti di mura, lunghi circa metri 15 e larghi metri 2,50 circa che potrebbero far parte delle torri realizzate da Riccardo. Gli scavi recenti hanno messo in luce proprio il crollo di queste torri che dovevano avere una altezza di almeno metri 10. Una terza torre si conserva in parte sul lato meridionale. Essa era realizzata con Castellaccio, Arx triquetra. una fitta muratura di conci rettangolari di circa metri 1,60 X 0,50 che formano un muro alto circa metri 10 e lungo circa metri 15. I conci man mano che il muro si innalza sono sempre più piccoli e tenuti tra loro da una malta cementizia. Il muro forma quasi un angolo acuto e all’interno ha una ambiente rettangolare in gran parte crollato. Si può ipotizzare che si tratti di parte dell’arx triquetra, che aveva i vertici rivolti verso i tre capi della Sicilia e ricordata da C. M. Aretium e da Fazello e distrutta dal terremoto del 1542175. L’approvvigionamento idrico della fortezza era in parte assicurato mediante delle cisterne di cui almeno tre si conservano, anche se colme in parte di detriti all’interno del castello. Al centro del pianoro è la cosiddetta sala ipogeica, un vano sotterraneo rettangolare, di circa 175 ARETIUS XVIII, V. FAZELLO, I, p. 186. […] Altera quoque Regio Tironis nomen habens, cum superiori Triquetrae arci parte eversa […].
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Castellaccio, cisterna.
metri 17 x 6, ricoperto da una volta a botte a sesto acuto, alla quale si accede mediante una ripida scalinata176. Nella volta della sala sono presenti dieci caditoie che comunicano con l’esterno. Le pareti recano alcuni graffiti tra cui l’anno 1579, che attesterebbe la frequentazione dell’ambiente almeno sin a quella data. Durante i lavori di restauro effettuati nel 1986, sotto l’attuale piano di calpestio fu ritrovato parte di un pavimento in opus signinum e sul lato occidentale della sala ignoti scavatori avevano realizzato una galleria di circa metri 2, che aveva intercettato un muro di grandi conci isodomi di età greca. La destinazione d’uso di questo vano rimane incerta, secondo Scerra essa potrebbe essere una grande cisterna da mettere in relazione con le torri soprastanti177, mentre più probabilmente essa doveva essere una sorta di magazzino. 176 Durante i restauri del 1986 la scalinata fu rivoltata, per cui la faccia a vista originale adesso si trova murata. 177 SCERRA 1995, p. 437.
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Alla base meridionale del colle su cui si erge il Castellaccio sono presenti numerose caverne, tra le quali quella denominate “delle palle”, perché al suo interno furono trovate numerose palle-proiettili di pietra. La grotta è una vasta latomia, forse originariamente di età greca, lunga circa metri 30. Sulla volta della grotta è presente un foro circolare, di circa metri 1 di diametro, oggi occluso, con incavati dei gradini, che doveva condurre all’interno del castello. In realtà il Castellaccio, così come si conosce sino ad oggi, doveva essere solo una parte, il cosiddetto dongione, di un più ampio sistema difensivo, che doveva comprendere gran parte del colle Tirone. Non è pensabile infatti che il sistema difensivo della città medievale fosse limitato solo al Castellaccio vero e proprio, anzi esso come sino ad oggi è stato proposto risulterebbe alquanto isolato dal resto del centro urbano178. Pertinenti al Castellaccio dovevano anche essere tutta una serie
Castellaccio, la sala ipogeica prima dei restauri. 178 Il castello doveva in generale assolvere a diverse funzioni: tenere a bada gli abitanti della città, difendere la città da attacchi interni ed esterni, ospitare una adeguata guarnigione, nonché i funzionari dello stato, che all’interno del castello dovevano assolvere alle loro funzioni. Inoltre la sua posizione doveva essere di cerniera tra il centro urbano e le campagne o il porto. Il palatium all’interno doveva essere al di fuori dalla gittata delle macchine da guerra e dalle frecce, che è da considerare tra i m 100 e 300. Lo stesso valeva per le case più prossime alla cinta muraria, anzi questa distanza spesso veniva raddoppiata. Per alcune disamine sulle tecniche di difesa e costruzione dei castelli siciliani si veda SANTORO 2001, pp. 42-59.
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Castellaccio, “la grotta delle palle”.
di torri e cisterne ancora in gran parte visibili proprio sul Tirone. In particolare almeno quattro cisterne a forma di silos e scavate nella roccia, sono presenti nell’area più a nord del Tirone, sotto gli edifici moderni, mentre una profonda cisterna rettangolare che si raggiunge attraverso una ripida scalinata ed utilizzata come rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale, è presente sul versante occidentale del colle, in direzione dell’attuale piazza Oberdan. La profondità della cisterna farebbe pensare a quella realizzata da Artale Alagona e ricordata da Michele da Piazza179. Sul lato del colle Tirone rivolto verso la via Bricinna è presente ed ancora in parte visibile, una sorta di torre circolare di circa metri 3 di diametro, parzialmente inglobata nelle murature delle vecchie abitazioni fatiscenti e altre tratti di mura sono presenti sulla via Flavio Gioia. E’ da considerare inoltre che proprio la presenza di numerosi palazzi-torri attestati a Lentini nel 1584 accanto al Castellaccio siano da riferire proprio al sistema di difesa della città180. 179 MICHELE DA PIAZZA, p. 79 […] infima putei castra predicti unde aqua habuerat originem […]. 180 Cfr. LENTINI 1584.
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Castellaccio, Ingresso cisterna.
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Il Castellaccio e il Tirone costituivano dunque una sorta di cittadella fortificata al cui interno erano sia il castello vero e proprio sia alcune case nobiliari181. All’interno di questo sistema difensivo le fonti pongono l’esistenza di un convento di Clarisse fondato a Lentini nella prima metà del XIV secolo del quale sono ancora visibili alcuni dei muri182. Nell’ambito del Castellaccio è anche la piccola chiesa rupestre dedicata a Santa Lucia, che presenta un ciclo d’affreschi databili tra il XIII e il XIV secolo, realizzati forse quando la chiesa fu annessa al convento delle Clarisse. La grotta ha una pianta quadrangolare con tre piccole absidi semicircolari nella parete est. Le tre absidi sono decorate, quella centrale con il Cristo Pantocrator, seduto in trono e la mano benedicente; quella a destra con la figura di Santa Lucia che si adatta alla curvatura dell’absidiola e manca di una porzione della parte inferiore. La santa ha una ricca veste di color turchese e un mantello di color rosso. Sul capo ha un sottile nimbo giallo. Ai piedi sul lato destro è una piccola figura di orante. Forse la committente del dipinto. Nell’altra abside la decorazione è ormai svanita. Sulla parete di sudest sono raffigurati un santo vescovo, con il pastorale nella mano Il Castellaccio, ipotesi planimetrica
181 Sino a qualche tempo fa in una abitazione tra la via Bricinna e la via Flavio Gioia era una grotta che aveva una finestra bifora e una piccola scalinata. Secondo gli abitanti della zona si trattava dell’accesso segreto al castellaccio (sic!). Anche se la notizia sembra inverosimile, in realtà confermerebbe l’esistenza di una cittadella fortificata ben più ampia del solo Castellaccio. 182 Nell’Antiquarium di Lentini era una lapide recuperata nei pressi dei ruderi del convento da Salvatore Ciancio con la data del 1673.
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Lapide sepolcrale dal convento delle clarisse.
Chiesa di Santa Lucia, Santa Lucia.
Chiesa di Santa Lucia, particolare.
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Chiesa di Santa Lucia, San Nicola.
sinistra mentre con la destra benedice, una Mater Domini, un altro santo vescovo, probabilmente San Nicola183 e un santo cavaliere, forse San Giorgio. Opere d’arte di età Normanna e Sveva
Pochissime sono le testimonianze e le opere d’arte per il periodo compreso tra la dominazione bizantina e l’arrivo dei normanni e solo nella devozione ai santi e ai martiri (reliquiari o altri piccoli oggetti di culto) si può trovare qualche memoria della produzione artistica dell’epoca. Tra i pochi manufatti di età normanna e sveva conservati a Lentini un posto di primo piano hanno la Stauroteca e il Cofanetto Eburneo della chiesa Madre, l’acquasantiera della chiesa della Fontana e la tavola della Madonna del Castello.
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MESSINA 1994, p. 147.
La Stauroteca conservata presso la chiesa Madre di Lentini fu pubblicata per la prima volta da Antonino Salinas184. Le sue origini non sono certe e la tradizione locale la indica di proprietà del convento dei Francescani e dopo la soppressione degli ordini religiosi, depositata presso l’attuale chiesa Madre185. La stauroteca è formata da una lastra di steatite di cm 13,5 x 8,3 che al centro ha una incisione cruciforme, nel quale è posta una crocetta lignea a due bracci, di cui attualmente manca quello superiore. Al centro della crocetta è un piccolo incasso trasversale, probabilmente destinato ad accogliere una reliquia, un frammento della Santa Croce. Il braccio più lungo della croce divide la lastra in quattro parti. Nei due pannelli superiori sono raffigurati due angeli oranti e in quelle inferiori due figure nimbate e coronate, una maschile e una femminile. Si tratta probabilmente di Santa Elena e dell’imperatore Costantino, che nell’iconografia bizantina sono rappresentate il più delle volte insieme. Il Salinas che ebbe l’opportunità di vedere l’oggetto alla fine del XIX secolo affermava che accanto alla figura maschile era la traccia del nome Costantino e a lettere di colore rosso il nome di Sant’Elena. La provenienza della stauroteca lentinese, anche se incerta, è da ricercare in ambiente monastico di cultura greca, operante a Bisanzio o strettamente a contatto con gli ateliers della capitale. Cronologicamente essa si può collocare tra il XI e il’XII secolo. Lentini, chiesa Madre, Stauroteca.
SALINAS 1903. Secondo SALINAS 1903, p. 320 fu portata a Lentini da Fragalà nel 1517, insieme ad altre reliquie. Notizia ripresa recentemente da PETTIGNANO 2000, pp. 35-41. Per AGNELLO 1951, p. 316, era invece conservata presso il monastero dei Francescani. Sulla Stauroteca, più recentemente, PIAZZA 2004, pp.123-124; PIAZZA 2007, pp. 169-170, con bibliografia precedente. 184 185
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La presenza nella chiesa Madre della città di un cofanetto d’avorio, la cui provenienza è ignota e probabilmente da mettere in relazione alla traslazione delle reliquie dei tre santi martiri Alfio Filadelfo e Cirino avvenuta nel 1517186. Le cronache del tempo ricordano che la spedizione, formata da laici ed ecclesiastici, una volta penetrata nel convento basiliano di Fragalà per rapire le reliquie dei tre santi, trovò due cassette, di cui una in avorio, poiché in questa erano delle reliquie Lentini, chiesa Madre, cofanetto eburneo. proprie del convento, sarebbe stata lasciata187. Esso ha una forma rettangolare di circa mm 155 x 80 x 93 ed essendo di piccole dimensioni è interamente realizzato in avorio188. La decorazione è formata da piccole rosettine intagliate e dorate, inscritte in cerchietti con contorni filettati di rosso e verde. La parte frontale è divisa in tre parti, quella centrale più piccola ospita una croce con la base formata da cerchietti profilati di verde. Nelle due parti laterali, di forma quadrata, sono nove rosette decorate dentro dei cerchietti tratteggiati in verde. Il lato posteriore racchiude ventiquattro rosettine, simili a quelle della parte anteriore. I due lati brevi hanno la stessa decorazione a rosettine (quindici per lato). Il coperchio ha cinquanta rosettine dorate e una cornice di piccoli cerchietti concatenati come perline. Secondo Agnello il cofanetto di Lentini è proprio quello citato dagli atti del XVI secolo sulla traslazione dei Martiri e si potrebbe datare tra l’VIII e il XII secolo. Esso sarebbe stato opera, probabilmente, di artigiani (gli stessi 186 Per le vicende legate alla traslazione delle reliquie dal convento basiliano di Fragalà a Lentini si veda PISANO BAUDO 1921. 187 PISANO BAUDO SDC, pp. 171-196; PISANO BAUDO 1921. 188 In genere questo tipo di scatole hanno una struttura di legno rivestita d’avorio.
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monaci basiliani?) che conoscevano la tradizione artistica bizantina dell’Italia meridionale. Più recentemente la Davì, basandosi su alcune analogie stilistiche con oggetti simili conservati nella Cappella Palatina di Palermo e nel museo di Cividale Friuli, ha proposto una cronologia più tarda, intorno alla seconda metà del XII secolo189. L’acquasantiera era conservata sino al 1980, prima che venisse trafugata per poi essere ritrovata dopo circa dieci anni, presso la chiesa della Fontana190. Essa fu segnalata per la prima volta dal Salinas191 e successivamente pubblicata più dettagliatamente da Luce Belfiore192, da Nancy Fabbri193 e in ultimo da Carmela Vella194. L’acquasantiera o come proposto recentemente da qualche studioso, un piccolo fonte battesimale, è ricavato da un blocco di marmo bianco di Carrara alto circa cm 31 e di cm 44 di diametro. In origine forse si trattava di un capitello di età romana rilavorato per l’abbazia di Santa Maria di Roccadia. La decorazione è formata dal ciclo di otto mesi, da maggio a dicembre, raffigurati con otto figure di contadini e dai relativi cartigli con l’indicazione del mese. Tra ogni figura è una protome leonina vista di fronte. Maggio è rappresentato con una figura che reca in mano un mazzo di fiori. La figura del mese di giugno ha un cesto sulla spalla. Quella di luglio ha sulla spalla un attrezzo, forse una falce. Agosto ha un bastone da cui pende un cesto di frutta. Settembre è dentro un tino con mosto e uva. Ottobre ha un vaso per il trasporto del mosto. Novembre è raffigurato nell’atto di 189 Sul cofanetto cfr. SALINAS 1903, AGNELLO 1962, pp. 307-315 e da ultima DAVI’ 1995, pp. 199-198. Su questo tipo di oggetti si veda anche l’ancora valido VENTURI 1907, I, p. 512. 190 L’acquasantiera fu rubata nel 1982 da alcuni balordi, che ritenevano di poter guadagnarci qualcosa rivendendola a trafficanti senza scrupoli. La Guardia di Finanza di Catania la ritrovò dopo qualche anno presso un antiquario di Catania, ma “l’esperto” chiamato a periziare l’opera la dichiarò falsa e quindi fu restituita. Saputo la cosa feci pervenire all’ufficiale che aveva condotto l’operazione una dettagliata descrizione dell’opera e alcune foto, per tentare di fa risequestrare l’acquasantiera, ma l’antiquario dichiarò che essendo un “falso” la aveva distrutta. Con altri amici tentammo infine di provare ad acquistarla tramite un mediatore, ma senza successo. L’acquasantiera si era volatilizzata. Dopo qualche anno i carabinieri del nucleo Tutela Patrimonio Artistico di Palermo la recuperarono e questa volta, a Palermo, con il parroco don Sebastiano Castro, in un caldo pomeriggio d’estate effettuammo la perizia. Dopo varie vicissitudini adesso l’acquasantiera è custodita presso la chiesa Madre di Lentini. 191 SALINAS 1903. 192 BELFIORE 1948, pp. 322-325. 193 FABBRI 1979, pp. 230-233. 194 VELLA 1997, pp. 22-25 con bibliografia precedente.
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Lentini, chiesa Madre, acquasantiera.
seminare. Dicembre ha sulle spalle un maiale. L’acquasantiera di Lentini, datata generalmente intorno alla prima metà del XIII secolo, è considerata unanimemente una delle sculture più pregevoli del medioevo siciliano, al pari dei capitelli del chiostro di Monreale. La cosiddetta tavola della Madonna Odigitria o del Castello195, secondo la tradizione fu trovata sulla spiaggia di Agnone da marinai catanesi e lentinesi. Essi non riuscendo a trovare un accordo sul possesso dell’immagine, si affidarono alla sorte, presero la tavola, la posero su un carro di buoi e li lasciarono liberi di scegliere dove andare. I buoi con passo sicuro si diressero verso Lentini, dove l’immagine giunse il 24 giugno del 1240196. La tavola fu quindi consegnata ai magistrati che la custodirono nel castello, per cui prese il nome di Santa Maria del 195 La
prima segnalazione si deve a SALINAS 1903. Si tratta d un racconto comune in varie aree della Sicilia per giustificare la straordinarietà del ritrovamento. Analogo episodio è narrato, ad esempio, per il quadro della Madonna nel santuario di Chiaramonte Gulfi. 196
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Castello. Nel 1675 fu portata presso la ex cattedrale di Santa Maria la Cava e dopo il terremoto del 1693, custodita presso la nuova chiesa dedicata a Santa Maria la Cava e ai Santi Alfio Filadelfo e Cirino dove è tuttora conservata197. Purtroppo il dipinto ha subito negli anni notevoli guasti, tra cui un infelice restauro effettuato nel 1972. L’iconografia segue schemi classici con la Madonna raffigurata di fronte, a grandezza naturale e con il Bambino in braccio. La Vergine ha una tunica di colore blu ed un maphorion di Lentini, chiesa Madre, La Madonna del Castello. colore marrone scuro. Il Bambino, con il capo leggermente rivolto a sinistra, indossa l’himation di color ocra e ha nella mano sinistra un libro. Cronologicamente, la tavola, che riprende modelli di tradizione bizantina, è stata recentemente datata ai primi anni del XIII secolo198. Il territorio
Il territorio di Lentini in età normanna è uno dei più vasti e ricchi della Sicilia orientale, i suoi confini settentrionali si possono ricavare, pur con qualche difficoltà, da un diploma del 1102 relativo ai confini della diocesi di Catania, attribuito a Tancredi di Siracusa e pubblicato da Cusa e poi da Starabba199. In particolare essi comprendevano, parte del Fiume di Musa (il Simeto?) e terreni da seminare, gli oleastri di PISANO BAUDO SDC, p. 145. Anticamente la tavola si credeva opera di San Luca, perché prima di un restauro fatto nel 1665 pare che ci fosse nella parte inferiore del dipinto la scritta LUCAS AD LEONTINOS. 198 Localmente il dipinto è considerato bizantino anche perché ricorda prototipi costantinopolitani. Sulla cronologia della tavola cfr. DE CASTRIS 1986, BARBERA 1994, p. 94 e da ultimo PIAZZA 2007, pp. 158-159. 199 CUSA, p. 549. Lo stesso atto redatto tradotto in latino in epoca incerta e pubblicato da DE GROSSIS. Cfr. inoltre STARABBA 1893, p. 55. 197
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Ucuth Ezemboutz vicino al lago di Gornalunga (piccoli laghetti alla foce del fiume), la grotta del horion Soumethe (nel feudo Simeto), la chiesa delle grotte del Cordaio (nel feudo Bonvicino-Carmito), il torrente Dittanio e il Simeto dal passo di Santa Anastasia (forse la Giaretta, oggi chiamato Primosole) sino al mare. Esiste anche un altro diploma sempre attribuito a Tancredi che spinge i confini della diocesi di Catania più a sud ma che probabilmente fu redatto qualche anno più tardi per giustificare la richiesta (1125) del vescovo di Catania Maurizio che chiedeva al re dei pascoli200. Il territorio di Lentini a ovest comprendeva parte dei territori delle odierna Ramacca, Palagonia, Mineo e Vizzini; a sud giungeva sino a Sortino e Buccheri, che era considerato un fortilizio nel territorio di Lentini201, ad est il limite era il mare almeno sino a Brucoli e a nord, come abbiamo visto il fiume Simeto. A seguito del terremoto del 1169 cambiarono alcuni tratti del paesaggio intorno Lentini, il fiume omonimo, che a breve avrebbe cambiato nome202 deviò in parte il suo corso, la portata d’acqua diminuì facendogli perdere in parte l’antica navigabilità203 e la foce si impantanò, formando una vasta palude costiera204. Le campagne che durante l’età araba erano disseminate di casolari e fattorie continuarono a vedere l’opera di numerosi contadini, che vivevano nei casali in cui era suddiviso il territorio. Un primo elenco di casali e di località si può ricostruire attraverso le fonti diplomatiche di età normanna e sveva e dalle decime ecclesiastiche, che citano nel territorio di Lentini il furion simeto (1102), probabilmente in località San Demetrio nei pressi del bivio Iazzotto205; il casale de Carchorache (1104) oggi contrada Curcuraggi206, 200 DE GROSSIS, p. 61. Secondo BRESC 1995, pp. 95-96, si tratta di una anticipazione sul sigillion reale concesso nel 1125 al vescovo catanese Maurizio, Cfr. MÉNAGER, pp. 169-171. 201 Sulla storia di Buccheri si veda ARMINIO 1990. 202 Il San Leonardo è ricordato ancora in età normanna con il nome di Fiume di Lentini. La sua attuale denominazione risale a qualche tempo dopo, a seguito della sua donazione ai Templari. Cfr. infra. 203 La navigazione con barche citate in alcuni atti del XVIII e XIX secolo non si riferisce ad una navigazione fluviale vera e propria, ma solo al passaggio di piccole barchette a fondo piatto lunghe qualche metro, utilizzate soprattutto da pescatori e cacciatori. Cfr. PERI 1990, pp. 22-23, TABULARIO SANTA CHIARA, perg. 24, cita nel 1324 il San Leonardo come flumen de Barcis mentre le navi di carico restano alla fonda ad Agnone o a Brucoli. 204 Il cosiddetto Pantano, bonificato durante la prima metà del secolo appena trascorso. 205 CUSA, II, p. 550. 206 Oggi nel territorio di Melilli. PIRRI I, p. 619. Il casale è menzionato in una donazione alla
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il casale S. Basili de Flumine Frigido (1136)207, il casale rahal Masoris o casale Rahalmassar (1145)208, il casale Palagoniae (1169)209, il casale Millarini (1169)210, il casale Rahal Senec (1170)211, il casale Callurae (1177)212, il casale de Bilis (1192)213, il casale Bulgherano (1229)214, oltre a quelli noti in età araba come Rahalbiato215, Racagliusi216, Rataglusu217 e Rayalmichi218. Sono inoltre presenti il Pantanum Salsum219, il bonus lacus piscarriae, magnus lacus e malus lacus220, Il lacus parvus, denominato, Balleth o Mulleth, citato in un diploma del 1114221. Di tutti questi casali purtroppo sino ad oggi non si conosce l’estensione né il tipo di economia, anche se è ipotizzabile che essi continuassero la tradizione di età tardo romana e bizantina delle coltivazioni di cereali e legumi. La costa bassa e paludosa costellata da tamerici e chiesa siracusana da parte di Tancredi conte di Siracusa, inoltre è anche citato con il toponimo Carthuci in un diploma del 1169 di Alessandro III in cui sono elencati i casali della chiesa siracusana (PIRRI, I, p. 639) e Coratrachi nelle decime ecclesiastiche del 1308-1310, cfr. SELLA 1944, p. 100. MESSINA 1994, p. 61. 207 PIRRI, II, p. 977. SELLA 1944, p. 99. Il casale fu donato da Ruggero II al monastero del San Salvatore di Messina. 208 Oggi nel territorio di Scordia. PIRRI, II, p. 936; GARUFI 1882, p. 56. 209 PIRRI, I, p. 622; SELLA 1944, pp. 96, 100. 210 PIRRI, I, p. 623. 211 Forse contrada Ambelia-Vignazze oggi nel territorio di Militello. GARUFI 1882, p. 12; MAIORANA 1913. MESSINA 1994, p. 62. 212 PIRRI, II, p. 980. 213 CUSA, II, p. 555. 214 PIRRI, II, p. 936; SELLA 1944, p. 98. 215 Vedi supra. 216 GREGORIO Biblioteca, II, p. 464. 217 AMICO, II, p. 362. 218 GREGORIO Biblioteca, II, p. 478. 219 HUILLARD BREOLLES, I, p. 168. 220 CUSA, p. 549; DE GROSSIS, p. 61. Si tratta di una donazione fatta da Tancredi conte di Siracusa, insieme ad alcuni fondi e terre a sud del Simeto e vicino ai colli di Lentini, alla chiesa di Catania nel 1102, e successivamente confermata, nel 1126, dal re Ruggero I. Cfr. DE GROSSIS, p. 61. [...] ad flumen Leontini ... et infra terminos habetur bonus lacus piscarriae, que est prope cryptas propinquas montibus Leontini, et habetur alter malus lacus, qui est inter Huctmuse, et magnum lacum, et quandoque siccat, et sunt Piscarie et totum istum et causam [totam] donavi ego Tancredus [...]. 221 PISANO BAUDO SDL, III, p. 178, che non cita la fonte. Il toponimo è presente nel diploma del 1102 con i confini della diocesi di Siracusa. Cfr. CUSA, p. 549. DE GROSSIS e inoltre STARABBA 1893, p. 55
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oleastri era utilizzata per la pesca fluviale e in parte il pascolo.222 Altri importanti insediamenti erano quelli fondati dagli ordini cavallereschi, tra cui i Templari. Essi ricevettero in dono, già dal conte Ruggero, gran parte dei territori subito a nord della città e intorno al bacino idrografico dell’attuale San Leonardo223, già appartenuti all’antico vescovato di Lentini224. Donazione poi riconfermata da Federico II nel 1210225. Ai cavalieri si deve la realizzazione del Biviere e la costruzione di alcune chiese poste nei punti nevralgici del territorio, come quella in contrada Bulgherano vicino Scordia226, dedicata a S. Nicolò de templo227 e quella dedicata a San Bartolomeo e a S. Leonardi de templo nei pressi del Pantano, citata in un diploma del 1210228 e di cui non si conosce l’esatta ubicazione229. Nell’ambito del casale Rahalbiato in un piccolo insediamento rupestre posto all’interno di una piccola cava, che domina da sud la Piana di Catania, è la chiesa dedicata a San Anania230. L’area oggi si presenta in gran parte sconvolta, per i lavori di sbancamento che sono stati effettuati per asportare roccia e sabbia calcarea. La grotta in cui è la chiesa, a causa delle opere di sbancamento non è facilmente individuabile e difficile si presenta l’accesso. Essa ha uno sviluppo longitudinale, con un’aula quadrata con soffitto piano e la zona presbiteriale con Cfr. MESSINA 1994, p. 65. Il flumen Leontini a seguito delle donazioni fatte ai Templari, che nella parte mediana del suo corso eressero pure una chiesa dedicata a San Leonardo cambiò nome. Il culto di San Leonardo di Nobiliacum o di Limoges, protettore dei prigionieri, in Sicilia fu introdotto dai normanni e si affermò definitivamente tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, soprattutto grazie ai Templari, cfr. COLAFRANCESCHI 1966, coll. 1204-1208. Sulla fortuna di questo culto nel territorio di Lentini, attestato anche dal vasto repertorio iconografico legato al santo presente nelle chiese rupestri, cfr. MESSINA 1979 e MESSINA 1994. 224 Cfr. PIRRI, I, p. 674; PISANO BAUDO SDC, p. 163. In particolare i terreni delle contrade Catalicciardo, San Leonardo, San Giovanni, San Lio, Trigona e Bullito. 225 HUILLARD BRÉHOLLES, pp. 167-169. 226 Il casale di Scordia era stato donato all’ordine, nel 1146 da Enrico di Bubio, cfr. GARUFI 1910, I, 68; WHITE 1984, 365. 227 GAUDIOSO 1925, p. 45; CUCUZZA 2002, con bibliografia precedente. 228 DE GROSSIS, pp. 61-62. […] tenimentum terrarum et nemoris Ecclesiae S. Leonardi de templo […]. 229 Potrebbe essere forse nei pressi della contrada Sperone. Alcuni contadini raccontano della presenza di una grotta con affreschi, che non sono riuscito a localizzare, tra le contrade Guastella e Sperone. La posizione delle due chiese consentiva il controllo del medio e basso corso del fiume e delle strade limitrofe. 230 MESSINA 1979, pp. 70-75, con bibliografia precedente. 222 223
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soffitto a botte chiusa all’interno di una grande abside semicircolare. Le due parti della chiesa erano divise da una iconostasi di cui rimane traccia nella volta. La distinzione delle due parti era accentuata anche dai diversi livelli dei piani di calpestio. L’altare era probabilmente realizzato con un cubo di roccia posto al centro dell’abside semicircolare nel presbiterio. Le pareti laterali dell’aula erano scandite da tre arcatelle cieche per ogni lato, poggianti su semipilastri. Della decorazione pittorica rimane solo qualche labile traccia all’interno delle arcatelle, si conservano parte del volto di un angelo, forse San Michele e i nimbi di due santi con l’iscrizione greca HA[IA] forse Sant’Elia. Cronologicamente la chiesa, una delle più antiche del territorio di Lentini si colloca agli inizia del periodo normanno231.
Chiesa di “Santalania”, l’abside. 231
MESSINA 1994, p. 149
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Non mancano gli insediamenti rupestri, che continuano una tradizione già presente in età ellenistica e romana232. La loro cronologia, in mancanza di studi, è abbastanza difficile anche perché si tratta di un fenomeno, che nelle campagne lentinesi persiste per diversi secoli. Piccoli abitati rupestri sono presenti sulle alture a nord di Lentini come a Valsavoia, Armicci, Timpunazzo, Bonvicino, Galermo, Piano Meta, Scordia, Castellana, San Basilio, Fiumefreddo; ad ovest sul Cozzo Scirino, a Roccazzo, Ossini, Passaneto (queste ultime località nei pressi di Francofonte) ed ancora in contrada Ceusa, e Muraglie. Vicino a Pedagaggi a Fontana Paradiso, località dove esisteva già un antico insediamento preistorico e nella vicina Piana dei Monaci, il cui toponimo ricorda la presenza di qualche eremitaggio. In contrada Cuppodia, dove in una grotta è ricavato un piccolo edifico di culto seicentesco. Ad est di Lentini a San Calogero, Piano Torre, Cozzo Telegrafo, Frandanisi, Cava Maccaudo, Cava Cana Barbara ecc. Molti di questi insediamenti insistono su aree già occupate in età preistorica, ellenistica e tardo antica, segno che le potenzialità dei terreni circostanti sono rimaste intatte per più secoli233. In alcuni insediamenti è presente anche un piccolo luogo di culto come la grotta dei Santi Anargiri, sulla sponda settentrionale del fiume San Leonardo, in contrada Sant’Ilario. La grotta è a pianta quadrangolare, preceduta da un vestibolo rettangolare aperto a nordovest. La decorazione è formata da sei pannelli rettangolari, che contengono altrettanti affreschi, raffiguranti: due una Mater Domini, uno un Santo di cui non è possibile, dato lo stato di conservazione del dipinto precisare l’identità; due l’immagine di due Santi Monaci e nella parete centrale i Santi Anargiri Cosma e Damiano con, nella parte inferiore del pannello, la didascalia HORU(M)/ SAN/TOR(UM)/ HOC/ MARTI/RUM(M) EST/ DIE/ SE(PT)E(M)BRIS, che allude alla data di nascita dei santi (27 settembre) e la dedica dell’offerente ME/ ME(N)/ TO D(OMI)NE/ FAMU/LI TUI/ MATH(E)I/ PULLIC[INI], nome alquanto comune nella onomastica siciliana234. Per lo stile degli affreschi la chiesa si può datare intorno alla metà del XIII secolo235. 232 VALENTI 2007. 233 In realtà il paesaggio agrario delle campagne lentinesi per più di duemila anni è rimasto invariato e solo negli ultimi 100 anni, con la coltivazione estensiva di agrumi e la costruzione di nuove strade esso ha subito delle modificazioni significative 234 MESSINA 1994, p. 70, nota 42. 235 MESSINA 1994, pp. 69-70; più recentemente PIAZZA 2007, pp. 155-156.
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Chiesa dei Santi Anargiri, i Santi Anargiri.
Chiesa dei Santi Anargiri, planimetria.
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Il Biviere di Lentini
Tra il XII e il XIII secolo il territorio di Lentini e il paesaggio intorno alla città subisce una notevole trasformazione con la realizzazione del Biviere. La vasta area che in antico formava i famosi campi leontini236 ospiterà uno dei più grandi bacini idrici della Sicilia. Le origini del Biviere sono state oggetto di studio soprattutto alla fine del XIX secolo, quando vennero redatti i primi progetti di risanamento del bacino e nei diversi progetti di bonifica la sua nascita si datava, generalmente, al medioevo237. Di diverso parere era il Casagrandi, che rifacendosi alla tradizione locale, dalla quale traeva origine una vecchia filastrocca, collegava le origini del Biviere al mito di Ercole238. Egli infatti, partendo dalla narrazione diodorea della saga dell’eroe greco in Sicilia, proponeva di identificare il Biviere con il lago (L‘mnh) che, secondo Diodoro, sarebbe stato scavato dall’eroe pr˘ m∂n tÍi p˚leji239, Lo studioso, inoltre, giustificava la mancanza di ogni ulteriore riferimento sul Biviere nelle fonti antiche, con le sue più che modeste dimensioni, appena quattro stadi di circonferenza240. Sempre secondo il Casagrandi, l’ampia superficie che il bacino aveva raggiunto in età medievale e moderna, sarebbe stata originata dai terremoti, ed in particolare da quello del 1169, che avrebbe causato la deviazione del corso di alcuni affluenti del San Leonardo, facendone confluire le acque nel lago e, conseguentemente, reso il fiume non navigabile. Le ipotesi del Casagrandi sono state già da tempo giudicate prive di fondamento dai maggiori studiosi del problema241. In realtà il lago che, come indicato dagli eruditi di età moderna, era un bacino artificiale, Cic., Verr. 2, III, 112-113 Per una sintesi sulla storia del Biviere si veda, VALENTI 1998. 238 Ercole [...] a sua eterna memoria ci scavò il lago, e poi disse, si dovrà chiamare lago erculeo [...]. 239 Diod., IV, 24. 240 Uno stadio = m 184,953. 241 HOLM, I, p. 74, nega l’esistenza del lago nell’antichità. COLUMBA 1891, pp. 101, 107, 143, è dello stesso avviso. ORSI 1930, pp. 34-37, pensa che il lago, se esisteva, era quasi del tutto insignificante. AGNELLO 1935, p. 294, è dello stesso parere di Orsi. PACE ACSA, II, p. 421, critica l’opinione del CASAGRANDI 1898 e nega che il lago sia naturale. MANNI 1981, p. 113, nega che il Biviere possa essere il lago fatto da Ercole e descritto da Diodoro. 236 237
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nell’antichità non doveva esistere242 perché, oltre agli accenni alquanto confusi presenti nella narrazione diodorea, esso non è citato in alcuna delle fonti di età greca, romana e alto medievale, ad eccezione di un controverso frammento attribuito a Licofrone, nel quale sono descritte le letali caratteristiche delle acque di un laghetto esistente nel territorio di Leontinoi, più verosimilmente identificabile con il laghetto di Naftia, nei pressi di Palagonia, allora compreso nella Moneta di Lentini con i pesci. chora di Leontinoi ed oggi nel territorio amministrativo di Mineo243. Prive di fondamento sono anche le ipotesi, risalenti ad una locale tradizione tarda ottocentesca, che vedrebbero un riferimento dell’esistenza del lago nell’antichità in alcune monete di Leontinoi coniate durante l’età di Timoleonte, raffiguranti un pesce insieme a due o più chicchi di orzo. Le origini del Biviere sono state anche oggetto di una lunga disputa, che ha visto contrapposti numerosi storici ed archeologi, tra i quali il Columba, l’Orsi, l’Agnello ed altri. Il Columba che negò l’esistenza del lago nei diplomi federiciani, propose come primo documento nel quale il Biviere è espressamente nominato, l’atto di donazione redatto l’11 maggio del 1399 dal duca di Montblanc, per conto di re Martino, a favore di Ughetto Santapau e pose, conseguentemente, la formazione del lago in un momento non meglio precisato del XIV secolo244. Per Paolo Orsi il lago si sarebbe formato in età federiciana, infatti 242 Probabilmente l’area del bacino era, forse, soggetta solo a periodici impantanamenti, dovuti, soprattutto, alle precipitazioni meteoriche. 243 Scol. Lycophr. fr. 11; Plin., N. H., XXXI, 2, 27; CIACERI 1911, p. 26; MANNI 1981, p. 113. 244 Cfr. Archivio di Stato di Palermo, Cancelleria del Regno vol. XXXVII f. 145 [...] donacionem Bivarii terre Leontini seu irium et redditum et proventur ipsius factam eidem Huguetto suiusque heredibus in compotum unciarum auri centum sexaginta quas ipsum bivarium extimatum fuit valere annuatim [...].
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secondo lo studioso, il primo documento nel quale è indicato il Biviere sarebbe una lettera di Federico II, datata 1240, con la quale l’imperatore approvava l’operato di Maggiore di Plancatore ed i provvedimenti da lui adottati nei confronti di Iacopo Peregrini. Agnello propose l’identificazione del Biviere con qualcuno dei laghetti o delle peschiere citati (bonus lacus piscarriae, magnus lacus e malus lacus) in una donazione fatta da Tancredi conte di Siracusa, insieme ad alcuni fondi e terre a sud del Simeto e vicino ai colli di Lentini245, alla chiesa di Catania nel 1102, e successivamente confermata, nel 1126, dal re Ruggero I246. Sempre secondo Agnello, il Biviere sarebbe stato anche il lacus parvus, denominato, Balleth o Mulleth, del quale non abbiamo indicazioni topografiche più precise, citato in un diploma del 1114247. Recenti studi hanno evidenziato la scarsa attendibilità di questa ipotesi, che tra l’altro vorrebbe il lago già esistente in età alto medievale, infatti le località indicate nella donazione di Tancredi e in gran parte ben identificate, sono poste entro i confini storici della diocesi di Catania, confini che non oltrepassarono mai, a sud, il corso del Gornalunga e, verso il mare, il territorio compreso tra questo ultimo fiume e il San Leonardo248. Sempre entro i confini della diocesi etnea sarebbe il lacus parvus, denominato, Balleth o Mulleth. Considerando che il Biviere non è menzionato nel racconto agiografico della vita dei santi martiri Alfio, Filadelfo e Cirino e relativo alle origini della chiesa di Lentini (X secolo circa)249 e nella accurata descrizione del territorio di Lentini lasciataci dal geografo arabo Edri245
tas [...].
CUSA, p. 549; DE GROSSIS, p. 61. [...] nostrarum terrarum Leontini ... lacus ad cryp-
246 DE GROSSIS, p. 61. [...] ad flumen Leontini ... et infra terminos habetur bonus lacus piscarriae, que est prope cryptas propinquas montibus Leontini, et habetur alter malus lacus, qui est inter Huctmuse, et magnum lacum, et quandoque siccat, et sunt Piscarie et totum istum et causam [totam] donavi ego Tancredus [...]. 247 Potrebbe essere uno dei piccoli laghetti esistenti alla foce del Gornalunga? 248 Cfr. inoltre la bolla di Urbano II del 1091 con i confini della diocesi di Siracusa pubblicata in STARRABBA 1893, p. 56 e sgg. [...] A castello videlicet limpiados incipiens haec parrochia ad flumen salsum ubi in mare cadit et sicut ascendit veniens supra inter divisionem castri iohannis et anaor et inde tendit ad morrenum (Mauroneum secondo la trascrizione del PIRRI, I, p. 618) descendens iusum ad flumen de calata elphar. et vadens inde usque ad pontem ferri. et inde tendit huet athain (il Dittaino). quod vadit iusum in flumen de paternono huetemusae (il Simeto). sicut hoc flumen currit iusum cadens in mare. Et inde per maritima usque saracusam. a saracusa vero tota loca maritima usque ad castrum limpiados quod est catha. ubi incepit haec divisio. [...] 249 Codice Vaticano Greco 1591.
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Biviere, la diga di sbarramento.
si250, la sua formazione sarebbe più tarda. Essa, probabilmente, risalirebbe al periodo compreso tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, quando i Templari, a seguito di una donazione fatta da Rainaldo da Modica (1195-1198), con il consenso di Enrico VI e Costanza d’Altavilla, ricevettero, come riportato nel testo di un diploma, parzialmente ritrascritto dal Pirri251, alcuni terreni nel territorio di Lentini, siti tra il basso corso del fiume San Leonardo e la costa ionica. I monaci-cavalieri a seguito di tale atto, per realizzare una grande riserva da utilizzare per la caccia e la pesca sbarrarono, dapprima con opere precarie, qualche centinaio di metri prima che le sue acque confluissero nel San Leonardo, l’alveo del fiume Trigona-Galici. In un diploma di qualche anno dopo (1210) Federico II, dietro supplica del Gran Maestro Guglielmo, riconfermava all’ordine dei Templari, precisandone ulteriormente i confini, la precedente donazione fatta dal conte Rainaldo da Modica, dando ad essi anche il possesso del pantanum salsum (il Pantano di Lentini)252, il diritto di pescare le alose per totum fluvium Lentini (il San Leonardo con i suoi principali Cfr. AMARI BAS, p. 72. PIRRI, I, p. 674. 252 MESSINA 1979, p. 64, lo identifica con il pantano Gelsari. 250 251
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affluenti), e la licenza di utilizzarne le acque per incrementare il parvum pantanellum253. Appare molto verosimile che il parvum pantanellum, allora poco più che un grande stagno, possa essere proprio il Biviere, infatti nel medio e basso corso del San Leonardo non sono presenti altri stagni o pantani, ad eccezione di quelli costieri già citati nel diploma federiciano e le acque del flumen Leontini (comprese quelle del Trigona) senza grandi opere idrauliche potevano essere facilmente utilizzate per alimentare il pantanellum. Il parvum pantanellum, che per tutto il medioevo rimarrà di proprietà regia254, diventerà, dopo poco più di trenta anni, anche a seguito della sostituzione delle prime precarie strutture già esistenti, con una più robusta e permanente diga in muratura, il più consistente vivarium citato in una lettera di Federico II datata 1240, con la quale l’imperatore approvava l’operato di Maggiore di Plancatore ed i provvedimenti da lui adottati nei confronti di Iacopo Peregrini, che avuto in gabella il
Le case del Biviere. 253 HUILLARD BRÉHOLLES, pp. 167-169, [...] tenimento quod dicitur Pantanum Salsu in tenimento Lentini cum pertinentiis suis ........eidem domui militiae templi obtulit nec non barcam usum piscandi per totum fluvium Lentini, piscariam quoque alosarum in ipso flumine videlicet a Petra lata que est subtus ecclesiam Sancti Helie consista juxta ripam ipsius fluminis usque ad passagium Sancti Georgii ... eidem domui Templi ut liceat fratibus ipsius domus sumere aquam ab ipso flumine et ducere per conductum per terra ipsius domus in parvum pantanellum suum; et piscariam ibi habere ad utilitatem ipsius domus libere et sine molestia alicujus [...]. PIRRI, II, pp. 935-936. 254 Il Biviere, nonostante le concessioni imperiali, rimarrà fino alla fine del XIII secolo di esclusiva pertinenza regia.
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vivarium (il Biviere), il flumen (il San Leonardo), ed il piverium (il pantano?), di Lentini non aveva saldato la somma prevista dal contratto. A seguito della canalizzazione del basso corso del Trigona-Galici (dall’arabo canale), già ricordata anche dal Fazello e dello sbarramento realizzato dai Templari, il San Leonardo, perdendo gran parte del contributo idrico del suo maggiore affluente, scese ulteriormente di portata perdendo, nel giro di qualche decennio, anche la navigabilità. Dalla fine del XIII secolo, la storia del Biviere è abbastanza conosciuta. Esso fu dato nel 1300 a Ugonetto di Lazzaro e, nel 1363, dopo essere ritornato alla regia curia, la regina Costanza concesse il pesce del lago in elemosina alle suore del monastero di Santa Chiara di Lentini. Nel 1366 Federico III donò il fondo a Matteo Montecaten, conte di Agosta. Quindi lo ebbe Manfredi d’Alagona e nel 1392 Ughetto Santapau, barone di Licodia. Il possesso alla famiglia Santapau fu confermato dal re Alfonso il Magnanimo e ribadito nel 1510 da Ferdinando di Alagona. Da quella data il lago rimase in possesso dei Santapau, per passare poi alla discendente famiglia dei principi di Butera e, in mancanza di loro eredi maschi, ai Trabia.
Planimetria del Biviere.
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La Basilica del Murgo
Tra i vari ordini religiosi, che giunsero in Sicilia a seguito della conquista normanna un ruolo di primo piano ebbero i Cistercensi255. A Lentini essi fondarono la loro prima casa nel 1176256 con il titolo di Santa Maria di Roccadia257. Spogliati dei loro beni da Federico II, l’imperatore con un diploma del 1224 restituì loro le terre con i vigneti, i pascoli intorno al convento e tutti i loro beni e diede ordine di costruire nel feudo Murgo, nei pressi di Agnone, una nuova abbazia per i monaci di Santa Maria di Roccadia258.
Basilica del Murgo, portale d’ingresso. 255 L’ordine era stato fondato nel 910 in Francia. L’arrivo dei primi monaci in Sicilia risalirebbe agli anni intorno al 1140. Cfr. WHITE 1984, pp. 20-254. Il primo convento fu fondato tra il 1157 e il 1161 a Prizzi con il titolo di San Michele, che fu subito dopo cambiato in Sant’Angelo. Cfr. WHITE, p. 255-256; KOLZER 1994, pp. 96, 99. 115; FODALE 1994, p. 356. 256 Cfr. MANRIQUE III, V, n. 2 e JANAUSCHEK 1877. Recentemente FAILLA 1995, basandosi su alcuni scritti di eruditi seicenteschi e documenti d’archivio ha proposto alcune suggestive ipotesi sulle fondazioni cistercensi a Lentini, che risalirebbero al 1070. 257 PIRRI, I, p. 674. Si veda inoltre l’utile sintesi in GIBILISCO 2001 con la ricca bibliografia. Purtroppo spesso si confonde la basilica del Murgo con il primo convento dei monaci cistercensi, che invece secondo le cronache seicentesche era a oriente di Lentini su una collina, cfr. AGNELLO 1930, p. 237 e FAILLA 1995, con bibliografia precedente. 258 HUILLARD BREHOLLES, II, p. 454.
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Basilica del Murgo, planimetria (AGNELLO 1935).
L’abbazia del Murgo non fu mai ultimata, probabilmente perché Federico proprio in quegli anni, pur continuando ad avere simpatie per l’ordine monastico, cominciò una lunga lotta contro il papato259. Oggi di quello che doveva essere un grandioso edificio rimane ben poco260. Nei pressi di Agnone Bagni, nell’ambito dell’ex feudo del barone Riso, si conservano i muri perimetrali della chiesa, lunga metri 83 e larga nel transetto metri 28, per una altezza di circa metri 3 e uno spessore di metri 2,70. L’edifico doveva avere tre navate e dopo il lungo transetto altrettanti absidi con lo spazio scandito da tredici pilastri per lato, che dovevano formare altrettante piccole volte a crociera. Nel lato rivolto ad ovest rimane ancora la parte inferiore del portale d’ingresso, largo metri 5,28, scandito da due grandi semipilastri. I muri perimetrali conservano i semipilastri su cui dovevano essere impostate le volte delle navate laterali. Oltre il transetto rimane solo la parte inferiore, inglobato in murature settecentesche del grande arco dell’abside centrale. 259 L’abate cistercense Giovanni di Casamari era a capo della cancelleria imperiale e nel 1215 lo stesso imperatore aveva chiesto di essere ammesso all’ordine. Pare inoltre che, alla sua morte, il 13 dicembre del 1250, Federico fosse sepolto con l’abito cistercense. Cfr. FARINA e VONA, p. 213. 260 Lo studio principale sulla basilica del Murgo rimane quello di Agnello 1935, più recentemente una sintesi è in ALBERTI 1995.
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La tavola della Madonna di Roccadia.
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ANGIOINI, ARAGONESI E SPAGNOLI
Morto Federico261 II il potere passò dapprima a Corrado IV, che incontrò notevoli resistenze262 e poi, dopo la sua morte (1254), a Manfredi, figlio naturale di Federico. Manfredi cercò di proseguire la politica del padre, concesse privilegi a Pisani e Genovesi e accolse nella sua corte poeti ed artisti. Egli dovette fronteggiare però, l’opposizione di molte città isolane, che avevano desiderio di vivere “more civitatum Lombardiae et Tusciae” e quella del papa, che era fermamente intenzionato di togliere agli Hohenstaufen la corona di Sicilia. Lentini, che già nel 1240 era stata tra le prime ad aderire al partito guelfo, si proclamò indipendente, ma nel 1256 il suo esercito guidato dal nobile Ruggero Fimetta fu sconfitto a Favara. Ruggero fu costretto a fuggire e a trovare rifugio nel castello di Lentini per poi andare in esilio insieme a molti nobili siciliani, tra i quali il conte Alaimo. Il partito guelfo intanto, anche su indicazioni del papa, considerò la possibilità di dare la corona di Sicilia al re di Francia Luigi IX. Luigi rifiutò l’offerta ma la fece accettare a suo fratello Carlo d’Angiò, che venne in Italia e sconfisse Manfredi a Benevento (1266). Quindici giorni dopo Carlo era riconosciuto re di Sicilia dalle maggiori città dell’isola263. Carlo d’Angiò iniziò subito una politica di vessazione nei confronti dell’isola, aumentando le tassazioni, inoltre egli si recò in Sicilia solo una volta, di passaggio, mentre andava a Tunisi. Egli non amava la Sicilia e non fece niente per farsi amare e il feudalesimo instaurato 261 Sulla storia della Sicilia dal Vespro al periodo borbonico si consiglia la lettura del XVI volume della Storia d’Italia a cura di G. Galasso, edita dall’Einaudi con interventi di G. Giarrizzo e V. D’Alessandro. 262 Ad esempio a Messina Pietro Ruffo, che era stato eletto vicario per gli Hohenstaufen, cercò di trasformare la sua carica in una signoria personale. 263 La fine degli Hohenstaufen segnò l’inesorabile tramonto del ruolo che la Sicilia aveva avuto sino ad allora nell’ambito del Mediterraneo e come prima aveva visto piombare su di sé la furia teutonica, ora subiva il domino francese.
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dagli angioini aveva tutte le caratteristiche di una occupazione militare. Carlo spostò, con scarso senso di opportunismo, il centro della politica a Napoli, che diventò la sua capitale, compromettendo definitivamente i suo rapporti con la Sicilia. I nobili isolani cercarono dapprima di unirsi a Federico d’Antiochia, un altro figlio naturale di Federico II e poi di appoggiare la politica di Corradino di Svevia, che nominò suo vicario per la Sicilia Corrado Capece, che sbarcato a Sciacca (1267) con un esercito, ebbe subito l’appoggio di Agrigento, Augusta, Caltanissetta, Catania, Lentini, Terranova (Gela), che si ribellarono agli angioini. A Lentini il partito favorevole agli svevi, i cosiddetti “fetenti” costrinse i sostenitori degli angioini “i ferracani” a rifugiarsi nel castello da dove controllavano la città, ma per mancanza di viveri furono costretti poco dopo ad arrendersi. Carlo d’Angiò comprendendo il pericolo che si stava delineando affrontò Corradino, che fu sconfitto a Tagliacozzo e subito dopo catturato e ucciso (1268). Ciò nonostante Lentini rimase fedele alla causa sveva, seguendone le sorti e dopo la sconfitta di Centruripe la città si consegnò a i francesi. I beni dei nobili fedeli agli svevi furono quindi confiscati a vantaggio dei Francesi e dei nobili rimasti loro fedeli264 e fu instaurata una politica di repressione nei confronti delle città siciliane, che si videro occupate da guarnigioni di soldati. Tutto questo portò ai famosi fatti del Lunedì di Pasqua del 31 marzo 1282 e alla rivolta dei Vespri Siciliani. I Francesi in ogni parte dell’isola furono trucidati e i pochi che scamparono chiesero asilo e protezione alla Chiesa. Nel giro di poche settimane la Sicilia si liberò dalla “mala signoria”. La rivolta dei Vespri è stata spesso considerata una sorta di manifestazione di riscatto voluta dai Siciliani, ma in realtà essa fu soprattutto un momento di un più ampio progetto politico, che utilizzando il malcontento del popolo, favorì l’affermazione degli Aragonesi nel Mediterraneo. A Lentini la rivolta scoppiò il 5 aprile. Il governatore Papirio Comitini, che con tasse sempre più esose opprimeva i cittadini fu costretto a trovare rifugio nel castello, che fu assalito dai lentinesi al comando di Giovanni La Lumia e poco dopo espugnato. Comitini fu fatto prigio264 Il conte Alaimo che era stato mandato in esilio dagli svevi ritornò in Sicilia dopo la battaglia del 1266 e fu premiato da Carlo d’Angiò con la nomina di Giustiziere e successivamente nominato Strategoto di Messina. Su Alaimo, tra gli altri si veda, AMARI 1969 e FAVARA 1969.
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niero e subito dopo ucciso. Nello stesso tempo la rivolta scoppiò a Francofonte, a Palagonia, a Militello e negli altri comuni vicini, nel frattempo il governo di Lentini fu assunto da Giovanni Foresta, capitano del popolo. Pietro III d’Aragona, che aveva sposato Costanza, figlia di Manfredi, vantava precisi diritti di successione sul regno di Sicilia265. Nella sua corte erano numerosi fuoriusciti, che tramavano contro gli Angioini, tra i quali Giovanni da Procida, già medico di Federico II e poi cancelliere del regno sotto Manfredi e si diceva che fosse stato lui ad organizzare la rivolta del Vespro e a propiziare la venuta del re spagnolo in Sicilia. La rivolta siciliana favorì l’arrivo di Pietro III, che era già pronto con una flotta a partire alla volta della Sicilia, infatti l’ambasceria del Parlamento dell’isola, che gli offriva la corona del regno lo raggiunse a Porto Fuegas, alla foce dell’Ebro. Pietro III accettò e giunse a Palermo il 4 settembre del 1282, accolto trionfalmente. In Parlamento egli si impegnò a garantire il rispetto delle leggi di Guglielmo II in cambio della fedeltà delle città e dei nobili. Carlo d’Angiò preferì ritirarsi dall’isola e si attestò in Calabria, iniziando una lunga guerra, che vide per mare e per terra fronteggiarsi francesi e aragonesi. Alla morte di Pietro III (1285) i Siciliani erano più che mai decisi a continuare la guerra contro i franco-angioini e nonostante il loro mancato appoggio al figlio Giacomo, succedutogli al governo, all’altro figlio Alfonso e al fratello del re Federico, alla fine votarono in Parlamento fedeltà a quest’ultimo, nonostante la minaccia di scomunica del papa Bonifacio VIII266. Federico fu proclamato re a Catania nel gennaio del 1296 e i Siciliani in quella occasione dimostrarono la ferma volontà di essere protagonisti della loro storia. Lentini si schierò con Federico, che nel 1299 è nella città per organizzare le difese e rafforzare il castello, dove lascia una numerosa guarnigione. Bonifacio VIII proclamò subito una crociata contro Federico e la guerra riprese con alterne fortune sino al 1302, con la pace di Caltabellotta. Il trattato di pace prevedeva che sino alla morte di Federico il neo.
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In realtà a Pietro interessava tramite la Sicilia espandere i suoi commerci nel Mediterra-
266 Alfonso aveva preferito l’Aragona alla Sicilia e aveva stipulato con il papa Bonifacio VIII diversi accordi (trattati di Junquera e di Anagni del 20 giugno 1295), con i quali aveva ceduto la Sicilia al papa in cambio della Sardegna e della Corsica.
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regno di Sicilia sarebbe rimasto agli aragonesi per ritornare poi agli angioini267. Federico per rafforzare il suo potere nell’isola accentuò la feudalità. Creò nuovi nobili e più di trecento cavalieri alle cui dipendenze si doveva muovere l’esercitò. I feudi divennero inalienabili e ai baroni fu concesso il potere di esercitare la giustizia penale, con la conseguenza che in Sicilia si formarono stati nello Stato, in cui il potere del re non arrivava. Lentini, che era stata fedele al sovrano ed era stata compresa nella camera reginale, ricevette la visita di Federico nel settembre del 1302 e in quella occasione, il monarca in segno di riconoscenza per i servigi svolti nominò Riccardo Passaneto conte di Garsiliato e delle terra di Mazzarino e insignì con il titolo di barone Filippo Sgalambro e Pedro da Lentini. Giovanni La Lumia, Adinolfo di Marziliato, Filippo La Lumia e altri furono nominati cavalieri, con l’incarico di presidiare la città e il suo vasto territorio268. La città inoltre ricevette nel 1313 il privilegio dell’uso delle Consuetudini di Messina269. Alla morte del re il potere passò a Pietro II (1337) e le ostilità tra le famiglie nobili ripresero con alterne fortune. Lentini rimase fedele agli aragonesi e per questo fu più volte assediata, subendo gravi danni. La sua fedeltà fu premiata con l’istituzione di nuove gabelle e del titolo di città, concessole dal re il 19 gennaio del 1339 e quindi con la dignità del Senato, l’Ufficio del Patrizio e uso del sigillo, inoltre poteva riscuotere e incassare le gabelle per il vino e le merci esonerate dalla dogana270. Nel 1347 l’isola al pari di altre terre d’occidente fu colpita dalla peste nera. Catania e Trapani dovettero essere evacuate. Non si conosce il numero dei morti, che fu sicuramente altissimo, forse perché nel caos generale si tralasciò di annotarli. Nel 1350 le guerre tra i nobili ripresero. Lentini era una cittadella fortificata in mano a Manfredi Chiaramonte, che cerca di conquistare Catania, roccaforte degli Alagona. Nel 1355 Federico IV detto il Semplice diventa re di Sicilia ed è 267 Il trattato di Caltabellotta rappresenta un compromesso che nessuno delle parti aveva intenzioni di rispettare, infatti gli angioini non avevano intenzione di aspettare la morte del re e gli aragonesi di cedere la Sicilia ai francesi. 268 PISANO BAUDO SDL, II, pp. 195-197, che riporta anche le fonti diplomatiche. 269 Il testo del decreto è in PISANO BAUDO SDL, II, p. 197. 270 ACL, Libro dei privilegi, foglio 378. Il testo del decreto è trascritto integralmente anche in PISANO BAUDO SDL, II, pp. 202-204.
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costretto a venire a patti con in nobili siciliani per mantenere il potere. Intanto nel 1356 i francesi occuparono Messina, che tennero per diversi anni con la speranza di usarla come testa di ponte per occupare la Sicilia. Le lotte fratricide in Sicilia nonostante il pericolo francese continuarono. Nel 1359 Lentini, roccaforte chiaramontana è assediata da Artale Alagona. La guarnigione all’interno della città resistette per diverse settimane ed è solo dopo il tradimento di alcuni soldati, che la città è espugnata e il suo castello conquistato.
Atto di compravendita, (TABULARIO SANTA CHIARA).
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Nel 1361 Federico sposò Costanza d’Aragona, che lo avvicinò alla corte di Pietro IV. In quegli anni il re si impegnò in una intensa attività diplomatica, che gli permise di conservare l’integrità del regno e di allontanare il pericolo francese dalla Sicilia271. Per mantenere il regno il re fu costretto a fare numerose concessioni ai nobili siciliani, i quali di fatto avevano diviso l’isola in piccoli stati dove difficilmente l’autorità della corona arrivava, come a Palermo dove i Chiaramonte erano i signori assoluti o a Messina dove “regnavano” i Palizzi. Federico era consapevole di tutto ciò e prima di morire lasciò un testamento con cui la figlia Maria veniva nominata erede universale, mentre al figlio naturale Guglielmo assegnava Malta e Gozo. Maria era inoltre vincolata nel testamento a mantenere l’integrità del regno evitando le ingerenze degli Angioini di Napoli e degli Aragonesi. Il compito della giovane sovrana non era facile e Artale Aragona per evitare una lunga guerra fratricida, convocò a Caltanisetta i maggiorenti dell’isola, per costituire un governo di coalizione detto dei “Quattro Vìcari” formato da Artale Alagona, Manfredi Chiaramonte ammiraglio del regno e conte di Modica, Guglielmo Peralta conte di Caltabellotta e Francesco Ventimiglia conte di Geraci. Il tentativo di Artale Alagona non andò a buon fine e la regina Maria fu rapita, portata in Aragona e fatta sposare a Martino II figlio di Pietro IV (1392). In base al testamento di Federico IV i baroni avrebbero dovuto opporsi alle nozze, invece al suo arrivo in Sicilia, accompagnato dal duca di Montblanc, Martino ricevette l’omaggio dei nobili ad eccezione degli Alagona di Catania e dei Chiaramonte di Palermo. Lentini e molte altre città chiesero al re di mantenere i privilegi avuti in precedenza da Federico e da Pietro II. Il nuovo sovrano concesse a Lentini il mero e misto imperio, ovvero il diritto di esercitare la giustizia anche per i reati che prevedono come pena l’esilio, la mutilazione o la condanna a morte e inoltre confermò il titolo di città. In realtà gli aragonesi non avevano nessuna intenzione di governare la Sicilia ma solo di espandere il loro controllo nel Mediterraneo, infatti alla morte della regina Maria nel 1401, avvenuta a Lentini272, Martino sposò Bianca di Navarra e alla morte del fratello Giovanni, divenuto sovrano di Aragona avocò a se anche la corona di Sicilia. A seguito di alcuni trattati nel maggio del 1372 i francesi lasciarono Messina. Una epigrafe oggi nella chiesa dell’Immacolata ricorda l’avvenimento. Il corpo della regina fu poi trasferito a Catania dove fu sepolta. 271 272
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Lentini, Piazza Umberto, piatto in protomaiolica, fine XIII secolo.
Lentini, Castellaccio piatto smaltato, XV secolo.
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La Sicilia era di fatto diventata una parte del regno di Aragona e da lì a poco sarebbe stata governata, per circa quattro secoli solo da un viceré273. Il potere dei baroni ovviamente aumentò, al punto che nel 1434 il castello di Lentini fu concesso a Vincenzo Gargallo, che ottenne anche la potestà di esercitare il mero e misto imperio. La città, legata alle sorti della camera reginale iniziò un periodo di lunga decadenza anche perché le sovrane si disinteressarono completamente Lentini, Castellaccio, brochetta smaltata, XV di gestire il loro patrimonio. secolo. L’agricoltura languiva, le campagne erano infestate da briganti e non erano rare le epidemie274. Nel 1516 divenne re di Spagna Carlo V, che iniziò un lungo periodo di guerre. Nel 1537 il re abolì la camera reginale e i beni passarono al regio demanio. Per sostenere le ingenti spese della guerra contro i Turchi Lentini rischiò di essere venduta e privata dalla sua indipendenza. Il Senato per mantenere l’autonomia della città fu costretto ad offrire al viceré Ferdinando Gonzaga ventimila ducati d’oro (1537) e per reperire la somma necessaria impose nuove tasse e a cedette parte del suo territorio a privati. Se tutto questo non bastasse nel dicembre del 1542 un terribile terremoto distrusse gran parte del Val di Noto. Il sisma a Lentini provocò ingenti danni. Il Castello Nuovo fu completamente distrutto, il Castellaccio danneggiato seriamente, molte abitazioni crollarono. La crisi della città sembrò irreversibile e gli ingegneri spagnoli piuttosto che restaurare le difese di Lentini, proposero al viceré di spostare il sito della città sul colle Meta e di rifondarla con il nome di Carlentini 275. Tra la metà del XVI e la prima metà del XVII secolo Lentini piombò in una profonda crisi, decadendo sempre più. Se tutto ciò non bastasse nel 1575 una epidemia di peste decimò la popolazione sicilia273 Nell’aprile del 1415 arrivò il primo viceré di Sicilia, il duca Giovanni di Penafiel. Da questo momento l’isola cessò anche di avere una propria storia e le sue sorti rimasero legate a quelle del regno di Spagna. 274 Sui dati demografici cfr. CANCILA 1989, p. 115. 275 Relazione delle cose di Sicilia fatta da don Ferrando Gonzaga all’imperatore Carlo V,
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na. Una parte di cittadini si trasferì nel nuovo sito attirata dalle concessioni di privilegi e dalle esenzioni fiscali della nuova città, altri rimasero nel vecchio sito, ricostruendo, pur con mille difficoltà, la città con il precedente schema urbano, altri ancora abbandonarono completamente quei luoghi. Nel frattempo l’aumento delle tasse e disastrose annate agrarie276 continuarono ad impoverire la città, che subì anche un calo demografico277. Il terremoto del 1693 segnò un ulteriore impoverimento della città, che impiegò circa settanta anni per completare l’opera di ricostruzione.
Lentini, chiesa dell’Immacolata, epigrafe che ricorda la morte della regina Maria. Archivio Generale Simancas, E. 1117 – 34, pubblicata da F. Carreri, in Documenti per servire alla storia di Sicilia, volume IV: […] i nemici, .....havrebbono anchora se calati in terra, andassero a Leontino, essendo quella città non manco grossa, ne manco abbondante di Cathania, et posta nel medesimo piano. Questa città di Leontino, non è stata havuta per sin a miei tempi di alcun stima, non di meno io giudico che fusse una commoda scala a poter dannificare il Regno, et l’occuparla molto facile essendo il viaggio della marina là, non più di XX miglia tutto piano. Oltre a ciò la terra è aperta et inetta a difendersi con altro che con un giornata. Per tutti gli incovenienti adunque, che dall’occupatione di detto luogo, potevano derivare mi risovetti a fortificarlo perché assicurati Leontino et Cathania, essendo Syracusa poco più oltre viene a chiudersi in mezzo di detto porto così nocivo dalle sudette città Syracusa et Cathania, che li stanno dai lati et Leontino che gli sta di fronte […]. Su Carlentini, inoltre, PISANO BAUDO LCC; MAZZAMUTO 1986; DUFOUR 1989a, DUFOUR 1989b, pp. 106-127. 276 In particolare nel 1658 e nel 1671. Cfr. tra gli altri, CANCILA 1982. 277 La popolazione di Lentini passa dai 14.756 del 1569 ai poco più di 10.000 nel 1681. Per i dati sulla popolazione siciliana a partire dal secondo medioevo, cfr. LONGHITANO 1988.
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Lentini urbs fecundissima
Per la ricostruzione topografica e sociale di Lentini nel periodo angioino e aragonese un valido aiuto è rappresentato dalle recentissima pubblicazione dei tabulari dei monasteri della Santissima Trinità e di Santa Chiara278, oltre che dalle cronache di Michele da Piazza279 e dalle decime ecclesiastiche.
Stemma di Lentini. TABULARIO SANTA CHIARA. Si tratta di una serie di pergamene, con atti notarile e scritture private che hanno come oggetto il trasferimento della proprietà o l’affitto di immobili, terreni e in qualche caso anche di schiavi, di Lentini e del territorio. La data di fondazione del monastero di Santa Chiara è alquanto incerta. Secondo PISANO BAUDO SDC, p. 158, che cita un documento conservato nell’archivio della Reale Cancelleria esso fu fondato nel 1312, con il patrocinio della regina Eleonora d’Angiò, nei pressi del Castellaccio, nel luogo ove esisteva un antico tempio dedicato a Cerere. Già prima della fondazione del convento Aloisia Fimetta aveva insediato una piccola comunità di pinzocchere con la propria casa nel quartiere Tirone, non sottomessa alla regola francescana, cfr, SCIASCIA 1994, p. 85. Il monastero della Santissima Trinità fu fondato nel 1348, per testamento del nobile Guglielmo de Marchese. L’edifico sorgeva in terra Leontini in capite Cosentinorum. 279 MICHELE DA PIAZZA, soprattutto nella parte relativa alla presa della città e alla sconfitta del partito dei Chiaromonte. 278
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Nelle decime relative agli anni 1308-1310 per Lentini sono annotate le chiese di Santa Maria la Cava, di San Teodoro, di San Tommaso, di San Nicolò del Castello Nuovo, di San Giorgio, di Santa Venera, di San Pietro de Cosentini280, di San Domenico, dei Santi Biagio e Lucia, di Santa Lucia, dei Santi Tre Fratelli, di Santa Maria d’Anglono, di Sant’Antonio, di Santa Margherita, dei Santi Ippolito e Andrea, il monastero cistercense di Santa Maria di Roccadia e la comunità della chiesa della Santa Croce di Messina e i presbiteri greci Ruggero, Riccardo, Bartolomeo e Nicolò281. L’indicazioni del Castello Nuovo per la chiesa di San Nicolò, fa ovviamente riferimento alla posizione della chiesa presso omonimo castello così come quella relativa a San Pietro de Cosentini nel quartiere dove abita l’omonima comunità. Michele da Piazza descrivendo la conquista di Lentini da parte di Artale Alagona cita il castrum vetus, il castellu novu, il quarterio cunsintini e il quarterio Tyroni. Da un esame dei documenti dei monasteri della Santissima Trinità e di Santa Chiara Bresc ha provato a ricostruire la topografia di Lentini282, che in età aragonese doveva essere composta da tre quartieri Tirone, Castello Nuovo e Cosentini posti sulle alture e separate da valloni e da una parte più bassa formata dai rioni Bucciria vecchia, Cannagine, Ciminia, Giudecca e Carmelo. Il quartiere del Tirone era di antica formazione, posto intorno al castellaccio era sede soprattutto di case di aristocratici, come quella di Aloisia Fimetta, di Guglielmo Raimondo Moncada283, del cavaliere Matteo de Domino Santoro e di Manfredi Alagona. Nella parte bassa, vicino alla chiesa di San Giuliano erano alcune case con orti284. La presenza di orti si possono ricondurre alla topografia della città tardo anti280 SELLA 1944, pp. 251-253. Si può ipotizzare che si tratti di una chiesa di rito greco-bizantino, anche perché Lentini è una delle aree della Sicilia orientale dove l’elemento greco-bizantino è più persistente. Sempre nelle decime ecclesiastiche dei primi anni del 1300 è attestata a Lentini la presenza di presbiteri greci, una comunità greca e degli schiavi greci sono citati negli atti del TABULARIO DI SANTA CHIARA, cfr. perg. 90. 281 SELLA 1944, pp. 96-97. 282 TABULARIO SANTA CHIARA, pp. 139-158. 283 Il nobile possiede un Hospicium con grande stalla. 284 VALENTI 2007, pp. 170-171. Altri orti sono segnalati dentro la città come ad esempio, gli Orti del Calafato (TABULARIO SANTA CHIARA, perg. 69). Il termine calafato attesta la presenza a Lentini di maestranze specialistiche legate alla marineria. In COLUMBA 1891, p. 111, sono citati dei documenti conservati all’Archivio di Palermo nei quali Lentini, con Augusta, Siracusa e Catania è indicata come base navale per le azioni contro gli angioini. Nei portolani di età moderna, inoltre, nella costa tra Brucoli e Agnone sono segnalati diversi punti di approdo e in par-
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ca e alto medievale, nel proastion Anzianoi285, citato nella storia agiografica dei santi Alfio, Filadelfo e Cirino, sono a più riprese seppelliti i personaggi del racconto: Isidora, Neofita, Mercurio ed i venti soldati convertiti dal martire Alfio, Talleleo, Samuele Ebreo286. Proprietarie del sobborgo ed addette alla pietosa pratica del seppellimento sono le nobili donne Giustina e Tecla287, che successivamente erigeranno nel luogo del sepolcreto una chiesa. La chiesa e l’area circostante in età medievale è nota anche con il toponimo “Le Madonne”288. Allo sbocco settentrionale della valle Ruccia, nei pressi del sepolcreto, gli atti dei martiri citano l’esistenza di un quartiere rupestre abitato da ebrei289. Il quartiere Castello Nuovo si era formato durante gli anni di Federico II, sulla testata nord del colle San Mauro, intorno all’omonimo palazzo imperiale. Il quartiere faceva capo alla parrocchia di Sant’Anticolare, da sud verso nord, La Plajola, il Poio Falcone, la Cala dell’Acqua dolce, la Punta della Nave, la Cala di Donna Pulpa capace di contenere più galeotte, il Monte della Salina, la Punta di Cucciovia capace di contenere dodici galeotte, le Rocche di San Calogero, il Ridotto, la foce del fiume di San Calogero, la Punta di San Calogero, le Rocche di San Calogero, la Cala di Cannitello capace di contenere quattro brigantini e altrettante galeotte, la Punta di Cannitello, il porto di Agnone con i magazzini e la torre di guardia. Cfr. MASSA 1709, II. 285 Il proastion era un possedimento terriero sub-urbano di una persona facoltosa. Sulla suddivisioni del territorio nel periodo bizantino, si veda PACE ACSA, pp. 135-201; GUILLOU 1977, pp. 318 e 335. 286 Le notizie desunte dal codice, di cui una copia è conservata nel tesoro della chiesa di Santa Maria la Cava e sant’Alfio a Lentini, furono rielaborate dal gesuita lentinese Filadelfo Mauro in MAURO 1691 e riprese da LANCIA DI BROLO e dal lentinese PISANO BAUDO SDC. La narrazione agiografica è stata oggetto, anche in tempi recenti, di numerose critiche che spesso ne hanno negato ogni fondamento storico, cfr. COLUMBA 1891, AMORE 1945, GUGGINO 1969, p. 9; MORINI 1991, p. 150 e da ultimi, GERBINO 1991, MESSINA 2001, pp. 194-211, MOTTA 2004, p. 305 e sgg., STRAZZERI 2006, pp. 647-685. Non è questo il luogo per discutere circa l’autenticità, l’attendibilità e l’antichità del codice, che presenta molti riferimenti alle lotte tra la chiesa di Roma e quella di Bisanzio. Si veda, ad esempio, la presenza costante, anche in sogno, di sant’Andrea, capo della chiesa bizantina in tutte le vicende più importanti della narrazione e nell’investitura del primo vescovo lentinese Neofito. Su questo delicato problema, si veda LANZONI 1917, pp. 55-84; PACE ACSA, IV, pp. 153-154, 303; MORABITO 1961, coll. 832-834; GERBINO 1991, STRAZZERI 2006. 287 MAURO 1691 pp. 162, 268; AMICO, I, p. 590; LANCIA DI BROLO, pp. 112, 114-115, 130; PISANO BAUDO SDC, pp. 4, 56, 84. 288 MAURO 1691, p. 162; LANCIA DI BROLO, p. 112; PISANO BAUDO SDC, p. 4, nota 7, 84; MESSINA 1979, pp. 34-37. 289 MAURO 1691 p. 208; LANCIA DI BROLO, p. 122; PISANO BAUDO SDC, p. 58. Esistevano quindi a Lentini due quartieri abitati da ebrei, uno ai margini della Corderia Vecchia e uno più vecchio allo sbocco del quartiere San Paolo. La presenza dei due quartieri è attestata anche nei documenti di archivio relativi al periodo compreso tra il 1500 e il 1700, cfr. CIANCIO 1693.
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Chiesa di San Giuliano.
drea290 intorno alla quale erano le case di altri nobili come l’hospicium di don Santoro de Grasso e quello di Matteo Alagona e la rucha dicta di lu Puzu di Miser Richardu291. Erano inoltre presenti case e taverne appartenenti a famiglie più modeste, come quella Giovanni Colloridi, di Tommaso di Palagonia e del notaio Matteo de Billando. Il terzo rione denominato dei Cosentini, secondo Bresc era sul colle ad oriente del Tirone, nei pressi dell’attuale chiesa della Santa Croce, mentre in realtà esso doveva trovarsi nei pressi dell’attuale chiesa del Crocifisso dove sono ancora visibili, nonostante i saccheggi e le devastazioni, i resti della chiesa dedicata a San Pietro292. Nei pressi era la casa del nobile Francesco Castelli, appartenente al partito dei Chiaramontani. Nella città bassa, posta allo sbocco settentrionale della valle San 290 La posizione della chiesa non è stata ancora localizzata, ma va cercata nel versante orientale del colle. 291 TABULARIO SANTA CHIARA, perg. 58, si tratta forse di una antica casa di Riccardo da Lentini? 292 Cfr. CIANCIO 1951.
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Ruderi della chiesa di San Pietro.
Mauro, i quartieri Bucciria vecchia e Cunnagine, caratterizzati da botteghe, taverne e piccole case, facevano capo alla parrocchia di San Tommaso (nei pressi dell’attuale piazza Alemagna)293. I quartieri Ciminia294 e Giudecca, quest’ultimo nell’area intorno all’attuale via Aspromonte, ospitavano taverne e fondachi. La Bucceria nuova era invece nei pressi dell’attuale chiesa della Fontana. La viabilità principale della città era formata dalla grande strada denominata Corso, sulla quale si aprivano una accanto all’altra botteghe artigianali e commerciali e taverne e che, dallo sbocco della valle San Mauro portava alla Platea Magna, l’odierna piazza Umberto. Le tipologie edilizie erano costituite da case con cortili e/o con grotta, sala, camera, catoio, la casa del forno, la casa del pozzo, porticato e pennata, che si sviluppavano orizzontalmente295. C’erano anche le case 293 Lo sbocco della valle San Mauro, piazza Vittorio Veneto era nota sino alla metà del XX secolo con il toponimo scanneria. Cfr. VALENTI 1991. 294 Il toponimo che deriverebbe dal latino tardo Chiminia allude alla presenza di una ciminiera, ma da i documenti d’archivio non è chiaro se si tratti di un forno per ceramiche, per la calce o altro. 295 TABULARIO SANTA CHIARA, perg. 73.
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grandi, nei pressi della Ciminia, disposte intorno ad un cortile e composte da una sala, una camera, un pozzo, un forno e da una casa scoperta296. Nei pressi della Conceria c’erano anche, solo case con grotte. Esistevano poi case a più piani, chiamate palacium297 mentre altre case avevano uno spazio comune, che comprendeva l’ingresso, il cortile e/o il pozzo298. In questa città vivono circa 5000 abitanti pari a circa 1000 fuochi ed è considerata dai Chiaramontani una piccola capitale. La società lentinese era composta perlopiù da cavalieri299 mentre tra i pochi nobili hanno un ruolo di primo piano i Fimetta, i Sanbasilio, i De Lentino, i Passaneto e i Lamia. Alla fine del XIV tra le famiglie nobili emergono i Mortillaro, i Sigona, i Riciputo, i Ciminia e i Grasso. C’erano poi anche ricchi proprietari terrieri, senza titolo nobiliare, come Gugliemo de Markisio di professione giudice, Giacomo Benintendi, Goffredo Raccami, Bartolomeo Trombino, Bernardo Guzarello ecc.300 Tra i notai le pergamene ricordano la famiglia Guercio, i Cupparelo e i Girifalco301. Nella Lentini di età aragonese il clero aveva un ruolo importante, sia perché c’erano numerose chiese e conventi sia per la per la presenza costante in città del vescovo di Malta302, il cui vescovado aveva moltissimi possedimenti nel territorio. Nel 1315 il vescovo maltese Nicola si considerava cittadino di Lentini e parecchi lentinesi facevano parte del capitolo della cattedrale maltese, come ad esempio Antonio de Notar Jacobo de Magistro Nicolao, canonico nel 1378303 o Tuccio de Benenato, canonico di Malta e parroco della chiesa di Santa Maria la Cava nel 1400304. TABULARIO SANTA CHIARA, perg. 43. TABULARIO SANTA CHIARA, perg. 27. 298 TABULARIO SANTA CHIARA, perg. 42 e 43. 299 Si tratta però di un titolo che poco centra con la feudalità, in quanto il più delle volte la cavalleria è formata da bellicosa gioventù e da avventurieri. Cfr. MICHELE DA PIAZZA. 300 Cfr. SCIASCIA 1994, pp. 18-19; TABULARIO SANTA CHIARA, pp. 145-146. 301 Il titolo di notaio era in genere il trampolino di lancio per accedere alla nobiltà. 302 Nel 1480 l’assenza del vescovo di Malta dalla sua sede è talmente sentita che la città chiederà il sequestro dei suoi beni :“li renditi di lu piscupu et altri li quali habitanu in Sicilia”. Cfr. WETTINGER 1993, p. 769. 303 ASV Reg. Suppl., 48, ff, 225v-227v. Alla meta del XVIII secolo il vescovo di Malta manteneva possedimenti (Feudi Favara, Cillepi e Cuppodia) e allevamenti di bestiame nel territorio di Lentini, come ad esempio in contrada Catalicciardo, cfr. GRILLO 1981, pp. 126-127. 304 FODALE 1983, p. 204. 296 297
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Gli ordini monastici erano presenti con il convento delle Clarisse, fondato a Lentini nel 1312, dalla regina Eleonora, sulla sommità del colle Tirone305. In poco tempo era diventato uno dei più prestigiosi dell’isola, le suore erano state insignite del Reale Ordine militare di san Giacomo della Spada306. Aumentato il numero di suore, fu necessario costruire altri due conventi, uno posto sul colle San Francesco e uno nei pressi della parrocchia di san Pietro. I Francescani osservanti giunsero a Lentini nel 1470307 e costruiro-
La Madonna della Catena. PIRRI, I, p. 675. PISANO BAUDO SDC, p. 159. 307 PIRRI, I, p. 674. In PISANO BAUDO SDC, p. 153, è indicata la data del 1470. Il convento e la chiesa, prima dedicata a Santa Maria di Gesù e successivamente alla Madonna della Catena erano sul piano delle Fiera (accanto all’attuale Istituto Manzitto). In questa chiesa, utilizzata come cimitero per le famigli nobili lentinesi e ormai diroccata, era la tomba monumentale di Elenora Branciforte, oggi esposta nel Museo di Palazzo Bellomo a Siracusa. 305 306
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no la loro casa ai margini del Piano della Fiera. Nell’area del convento e dentro la chiesa, dedicata a Santa Maria di Gesù, venivano seppelliti i nobili della città308. La chiesa fu successivamente dedicata alla Madonna della Catena309. I Domenicani, a Lentini, eressero il loro convento nel 1480, in quella che allora era la periferia della città, sulla Platea Magna310 l’odierna piazza Duomo. Gli Agostiniani avevano la loro casa fuori della città nella valle di Santa Margherita311. Dopo il terremoto del 1542 si trasferirono all’interno del centro urbano accanto alla cattedrale di Santa Maria la Cava.
Il convento della Ss. Trinità, (Lentini 1584) Sul mausoleo, cfr. BOTTARI 1962, p. 102, tav. CLXVI. Il simulacro della Madonna è ancora oggi all’interno dell’edifico che potrebbe crollare da un momento all’altro. La statua di alabastro opera probabilmente del Gaggini, fu fatta scolpire dal barone Sebastiano Sgalambro. 310 Fondato nel 1480. PIRRI, I, p. 674. Il convento dopo il 1693 fu ricostruito sullo stesso sito e la chiesa demolita agli inizia del XX secolo. 311 PIRRI, I, p. 674, non riporta la data di fondazione. Secondo PISANO BAUDO, SDC, p. 158 fu fondato nel 1508. Nella seconda metà del ‘500 esiste una importante casa dell’ordine in città e una chiesa dedicata a San Nicola da Tolentino accanto alla ex cattedrale di Santa Maria la Cava. 308 309
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Altri esponenti di spicco del clero erano i priori degli ordini cavallereschi e, oltre i templari, erano presenti i Teutonici, che hanno possedimenti ma non una loro casa312 e i cavalieri della Commenda di San Calogero affidata all’ordine di San Giacomo della Spada, onorificenza che verrà poi donata al convento della Trinità313. Il primo ospedale di Lentini, Chiesa della Ss Trinità, La regina Eleonora attribuisce alla badessa del convento l’ordine sito nei pressi della chiesa di san di San Giacomo. Mercurio o della Fontana, fu fondato nel 1551, sotto il titolo di San Giacomo della Spada e l’annessa chiesa dedicata a Maria Immacolata. Nel 1612, il Senato della città ne affidò la direzione ai frati di san Giovanni di Dio314. La comunità ebraica lentinese nel 1454 conta settantadue case, circa quattrocento persone ed è nella media dell’isola315. Essi abitano il quartiere della Judeca, con case e botteghe, nei pressi della chiesa dei Tre Santi Alfio, Filadelfo e Cirino e si dedicano soprattutto all’artigianato316. A seguito del decreto del 31 marzo del 1492 emanato da re Ferdinando fu ordinato a tutti gli Ebrei di Sicilia di lasciare l’isola entro tre mesi. Quelli di Lentini furono tra i primi ad andarsene, ma una violenta tempesta li costrinse a trovare rifugio nel porto di Catania, dove rimasero per qualche tempo317. A Lentini c’erano pure degli schiavi, cosa abbastanza comune in tutta la Sicilia. Le pergamene dei due Tabulari citano il massaro Nicola Vaccaro, che nel casale Curcuraci possiede tre schiavi, due africani Pietro e Barra e un terzo forse greco, di nome Nicola318. Il massaro 312 ALIBRANDI 1988, pp. 339-340. 313 TABULARIO SANTA CHIARA, perg. 87. 314 PISANO BAUDO SDC, p. 161. 315 BRESC 2001, p. 123. 316 Si tratta dell’area compresa tra la attuale via Aspromonte e Bosco Cappuccio. Le pergamene ricordano tra gli altri, Grazia Muxitta, che ha delle case e delle botteghe (TABULARIO SANTA CHIARA perg. 26) e la casa solerata del “prete” Salvo (TABULARIO SANTA CHIARA, perg. 27). Non è da escludere che un altro gruppo di ebrei abitasse nell’attuale rione San Paolo, vedi CIANCIO 1963. 317 PISANO BAUDO SDL, II, p. 244. 318 TABULARIO SANTA CHIARA, perg. 44.
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Nicola Colloridi ha una coppia di schiavi greci, Marino e Dimitri e una schiava negra, Allegranzia. Ciò si spiegherebbe con la vicinanza di Lentini ai due centri principali della pirateria siciliana Siracusa e Augusta, quest’ultima sotto il governo del conte pirata Guglielmo Raimondo Moncada. Il terremoto del 10 dicembre 1542 provocò notevoli danni alla città e soprattutto al suo apparato difensivo, al punto di far concepire ai viceré Ferrante Gonzaga, prima, e Carlo De Vega, poi, la realizzazione di una nuova città, l’odierna Carlentini, sulla sommità del colle Meta. La città nonostante tutto fu Lentini, Madonna con bambino, collezione ricostruita sullo stesso sito, pur con privata. un leggero spostamento verso settentrione, al di fuori del perimetro della cinta muraria di età medievale di parte del centro urbano e, in gran parte, utilizzando lo stesso schema urbanistico precedente. A Lentini nel frattempo arrivarono anche nuovi ordini religiosi, come i Cappuccini, che costruiscono il loro convento sul colle Ciricò319 e i Minimi di San Francesco di Paola che ebbero dal Senato della città l’antica chiesa di Sant’Andrea, già appartenuta ai templari320. Per ricostruire la topografia e l’urbanistica di Lentini nel periodo compreso tra il terremoto del 1542 e quello del 1693 abbiamo una serie di descrizioni della città lasciateci dai maggiori eruditi del tempo oltre a importante fonte documentaria, una carta manoscritta che raffigura la città nel 1584321, ed integrando la carta con le descrizioni degli eruditi e i documenti d’archivio, possiamo farci una idea abbastanza vicino alla realtà di come fosse organizzato il centro urbano. 319 Il convento f u fondato nel 1550 e ricostruito nel 1608. Cfr. PIRRI, I, p. 674; PISANO BAUDO SDC, p. 155. 320 PISANO BAUDO, SDC, p. 158. La notizia sembra poco attendibile, anche perché i Templari non avevano possedimenti dentro Lentini ed inoltre i loro beni, dopo la soppressione dell’ordine, erano passati ai cavalieri Gerosolomitani e ai Teutonici. Una chiesa dedicata a Sant’Andrea era al Biviere territorio già proprietà dei Templari. 321 LENTINI 1584.
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Al censimento del 1548 la popolazione era di 2.919 fuochi e tra le città della Val di Noto era seconda soltanto a Catania322. Secondo il Fazello (1550 circa) Lentini, è a cinque miglia dal mare323, su tre colli e altrettanti valli; ad un miglio da essa324, verso settentrione è il Biviere, un grande lago ampio circa venti miglia, ricco di pesci, che rende l’aria della città malsana. L’erudito domenicano, inoltre, partendo dalle fonti di età classica relative la greca Leontinoi, ne illustra le mura e ricorda i monumenti più importanti, tra i quali il Castellaccio, con la sua torre triangolare, che sarebbe di epoca greca e colloca inoltre sul colle Tirone il primo insediamento calcidese325. Nei pochi documenti di questo periodo conservati nell’archivio comunale risulta che nella città erano presenti varie corporazioni di artigiani tra le quali quella dei taverneri, dei burdunari, dei cordai, dei custureri, degli argienteri, degli speziali e dei conzaturi, che attesterebbero la presenza di vivaci scambi commerciali326 soprattutto durante la celebrazione della Fiera, che era considerata una delle più importanti dell’isola e vedeva in città la presenza di moltissimi mercanti, al punto da suscitare l’invidia e la gelosia delle città vicine327. La rappresentazione cartografica del 1584 mostra la città, da settentrione, a “volo d’uccello” e reca in calce una dettagliata didascalia, ricca di ben settantasette denominazioni, che indicano le principali chiese, i conventi, gli edifici pubblici, le case patrizie ed i toponimi di alcune contrade alla periferia del centro urbano. La carta è di cm 42,5 x 56 ed è conservata presso la Biblioteca Angelica di Roma. Essa fu redatta su incarico del vescovo agostiniano Angelo Rocca che, con il priore generale dell’ordine, Spirito Anguissola, tra il 26 settembre del 1583 e il 12 giugno del 1586 visitarono i conGli abitanti della città, secondo il rivelo del 1583, erano 12.449. Sulla popolazione delle città siciliane, si veda LOGHITANO 1988. 323 Pari a m 7434,2. 324 Pari a m 1486,84. 325 FAZELLO, I, pp. 184-203. 326 Libro Rosso del Comune di Lentini, Ordinanza del 1549 con l’elenco completo delle corporazioni e degli artigiani presenti a Lentini e l’ordine che le corporazioni devono seguire per la processione in onore dei Santi Alfio, Filadelfo e Cirino. Un altro elenco è nel vol. 13 delle scritture del Capitolo dell’Excattedrale di Lentini. 327 Libro Rosso del Comune di Lentini, Dispaccio del 18 Aprile 1559; PISANO BAUDO SDL, II, p. 271. La Fiera di Lentini era tanto importante che nel 1287, tutta la popolazione di Augusta si era recata a Lentini per la Fiera e che la città, essendo rimasta vuota era stata conquistata dagli Angioini senza combattere. 322
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venti agostiniani dell’Italia meridionale. Essi, come indicato nel resoconto del viaggio, redatto da Angelo Rocca, giunsero a Lentini il 16 giugno del 1584328. Nella città, tra gli edifici religiosi elencati nella legenda, si distinguono: S.to Loito, la chiesa di S.ta Maria di Jesù, S.to Luca, la Matri ecc.a, S.to Dominico, S.to Masi, la fontana di li Sancti Martyri, S.to Antonj, S.to Francesco, S.to Franc.o di pad. e S.to Marciano. Tra gli edifici pubblici: li fundachi, locu di li mirchiesj, locu di li pannerj, locu di li curviserj, li casi dello secreto, lo ponti di S.ta Maria, lu castellu et la turri ditta triquetra, la Corderia, la buchiria, lo hospitalj maiurj, la regia duana e la porta reale. Tra gli edifici privati: li casi di Beneventano, li casi di Zacco, li casi di Pulia, li casi di Russo, li casi di Mangia meli, li casi di Falcuni, li casi di Costanzo e li casi di Anphuso. Nella periferia della città sono indicati: lo Carmino, Pertusillo, Carleontini città, Hyerapolj, la valli di li pinti dattili, la Meta picchiula anti la carrara, li aulivi m[...], li casi di Catasta, li vuchi di li cappuccini e la valli della sco[...]. La cartografia di Lentini ci restituisce una città edificata abbastanza disordinatamente, posta su tre colli, con reminiscenze architettoniche legate ancora all’età medievale. La città è rappresentata priva di mura329, fatto questo alquanto insolito in una città antica ed arroccata intorno alle due fortezze del Castrum Vetus o Castellaccio e del Castellum Novum, che nella carta è raffigurato in rovina. Essa è attraversata da due torrenti, il Lisso e il Carrunchio su cui sono gettati numerosi ponti. Le case patrizie più antiche sono costruite intorno alla fortezza federiciana del Castellaccio e le più recenti occupano le pendici del colle Evarco o San Francesco, intorno alla chiesa Madre, dedicata a Santa Maria la Cava. Le sedi delle corporazioni più importanti sono lungo la strada, che dalla piazza antistante la chiesa di Santa Maria la Cava conduce alla piazza del Mercato. Sono presenti anche numerose chiese e conventi tra i quali quello dei Carmelitani, quello dei Francescani e quello dei Domenicani. La periferia Nord occidentale della città 328 LENTINI 1584. La visita del vescovo nei vari conventi fu preannunciata con una lettera con la quale si chiedeva ad ogni convento di preparare una relazione con una descrizione della città accompagnata da un disegno con la veduta della città. 329 Furono probabilmente distrutte con il terremoto del 1542.
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Veduta a“volo d’uccello” di Lentini (Lentini 1584)
è occupata dai cordai che in questo luogo esercitano la loro attività330. Non esistono delle vere e proprie piazze o luoghi pubblici ad eccezione di lo chiano di la dugana, l’attuale piazza Umberto, e della valli di S.ta Maria la Cava, l’attuale piazza Oberdan. Le case, riprodotte in modo schematico, sono generalmente disposte a schiera lungo delle piccole ed anguste strade, che si individuano appena o, più semplicemente, disposte casualmente l’una accanto all’altra, specialmente sulle pendici dei colli. In mancanza di mura, il limite politico amministrativo tra la città e il contado è dato dalle Barre di San Domenico, rappresentate nella carta da una sorta di asta orizzontale posta tra il muro absidale della chiesa dei Santi Alfio, Filadelfo e Cirino331 ed un edificio antistante. Ai margini della città sono presenti dei nuclei di abitazioni raggruppate confusamente. Solo alcuni edifici emergono per il loro profilo più evidenziato o per la forma. 330 Nella attuale toponomastica questa zona è ancora indicata con il nome di corderia vecchia. Sui toponimi di Lentini, cfr. VALENTI 1991. 331 Questa chiesa era stata costruita dopo la traslazione delle reliquie dei tre Santi Martiri avvenuta 1517 e riedificata nel 1573, anno in cui fu istituito il Capitolo dei Canonici, cfr. PIRRI, I, p. 673; PISANO BAUDO SDC, p. 130.
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Altre informazioni si possono ricavare dal resoconto delle Sacre Visite effettuate dai vescovi di Siracusa Giovanni Orosco De Arzès (1562-1574) e Gilberto Isfar et Corrillos (1574-1579), nelle quali sono elencate le chiese i monasteri e i conventi presenti nella città. Nel primo documento (1573) sono citate le chiese di San Nicola, San Giorgio, San Teodoro, San Tommaso, San Pietro, San Luca, Santa Maria la Cava, Santa Maria del Castello, Ss. Trinità, Santa Venera e Santa chiara. Nel secondo (1579) le chiese di Sant’Alfio Filadelfo e Cirino, Sant’Andrea, Santa Tecla, Santa barbara, Santa Maria del Soccorso, Santa maria del Riso, Santa Lucia, Santa Caterina Himeris, Santa Caterina, Sant’Ippolito, San Domenico, Santa Maria [...], Santa Mariula, Santa Maria della grotta (con molta probabilità una chiese rupestre), Santa Maria delle monache, San Biagio, San Marziano, Santa Maria degli infermi, Ss. Trinità, monasteri di San Benedetto e Santa Maria della Pietà e le confraternite di Santa Maria di Gesù, di San Leone papa, di Sant’Antonio e di Sant’Anna, San Basilio. Il Territorio
Il territorio della città332 in età angioina e aragonese era densamente popolato e suddiviso in casali, masserie, tenimenti e feudi333, che appartenevano sia a famiglie lentinesi sia a feudatari che risiedevano in altre parti dell’isola, come i Fimetta, i Lamia, i Mortillaro, i Passaneto e i Salerno mentre le contrade vicino Augusta appartenevano quasi esclusivamente ai Moncada. Si è già accennato alla presenza del vescovo di Malta nel territorio di Lentini, che possedeva feudi nelle contrade Cuppodia, Favara, Cillepi, altri feudi appartenevano ai numerosi ordini religiosi presenti nella città e in particolare alle Clarisse, che avevano terreni nelle contrade Bracconieri, Piano Torre, Cangemi, Cassara e San Giuliano334. Ai
332 Non si conosco i confini certi del territorio di Lentini, che si estendeva ad ovest sino a Mineo. Considerato che esso era di circa 19.000 salme nel 1854, ai quali si devono aggiungere i territori di Carlentini (circa 6.000 salme) e Francofonte (circa 4.000 salme) si può facilmente supporre un totale di circa 29.000 salme. Per un elenco dei feudi esistenti nel territorio di Lentini BARBERI 1879. 333 Lo studio fonda mentale sul territori di Lentini nel secondo medioevo rimane quello di GAUDIOSO 1925. 334 Cfr. TABULARIO SANTA CHIARA, pergg. 1, 2, 18, 96, ecc.
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monaci dell’abbazia di Roccadia appartenevano terreni in contrada San Pietro e Risicone335, alla Commenda di San Giacomo della Spada il feudo di San Giorgio, il feudo San Calogero e lu fiumi di Bilithi336 ecc. Ai cavalieri gerosolimitani erano passati i possedimenti dei templari sul fiume San Leonardo337. La casa ospedale sul pianoro di Santa Maria degli Ammalati era dei militari religiosi di San Lazzaro338. Altri territori appartenevano alla chiesa di Catania, che già in età normanna vantava diritti nel territorio di Lentini339. Molti proprietari di feudi avevano costruito sui loro terreni delle torri, sia per ospitare in caso di pericolo i contadini che coltivano i campi vicini, sia per cercare di accrescere la popolazione all’interno del feudo340. Nel territorio di Lentini si contavano almeno una decina di torri, comprese quelle di Militello e Palagonia, che controllavano inoltre la viabilità tra Lentini e Gela o quella di Silvestro (Bonvicino)341 e del Pantano, sulla via per Catania342. La fondazione di Francofonte è un PIRRI, II, p. 1303. PIRRI, I, p. 675. 337 PIRRI. I. p. 936. 338 Si sconosce la data esatta della fondazione, che comunque è da ricercare in età normanna, infatti l’ordine di San Lazzaro era giunto in Sicilia già alla prima metà del XII secolo. Cfr. BERTRAND 1932, p. 77. WHITE 1984, 373. PISANO BAUDO SDC, p. 247. La chiesa, già pericolante, fu demolita dolosamente nel gennaio del 1991, facendo ricadere la colpa al terremoto del 13 dicembre 1990. All’interno era e una grande tela con la Madonna e una balaustra in ferro battuto, che furono trafugate negli anni intorno al 1960. La tela dovrebbe essere ancora nell’abitazione di qualche lentinese, essa infatti fu prestata al parroco D’Asta per una mostra e poi portata via frettolosamente, mentre della balaustra si erano perse le tracce. Di essa PISANO BAUDO SDC, p. 165, ha lasciato una descrizione, che ha permesso di recuperarla. 339 GAUDIOSO 1925, p. 85. 340 Si tratta di tentativi per trasformare il feudo in “terra”, e quindi rendersi autonomi dal governo della città, come ad esempio cerca di fare il nobile Galvagno de Lando, che tenta di fondare un centro abitato a Curcuraci, feudo della vescovo di Siracusa. Cfr. CAMPI 1662, p. 23. 341 A Bonvicino doveva esserci forse un palatium, le cronache riferiscono che Artale Alagona, reduce da Siracusa, mentre si recava a Catania fu avvertivo di una imboscata che il partito dei Chiaramontani gli aveva preparato vicino alle splelonche dei Riggitani (oggi bivio Jazzotto) nei pressi della villa di Silvestro. Il feudo apparteneva alla regina Eleonora, che lo cedette a Matteo Alagona, il quale ribellatosi al re Martino fu spogliato dal feudo, cfr. BARBERI 1879, pp. 225226. Resti di una costruzione medievale e frammenti di ceramica medievale sono ancora visibili in contrada Bonvicino a monte della strada statale. 342 GAUDIOSO 1925, p. 77, elenca le torri di Francofonte e Cadra, quelle di Militello, di Palagonia, di Passaneto, di Ossino, di San Calogero, di Agnone, del Pantano, di Sabuci, di Silvestro-Bonvicino, di San Basilio e di Galermo. Le fondamenta della torre del Pantano erano ancora visibili sino alla metà del secolo scorso nei pressi della masseria Cassarino. I resti di un’altra torre, detta di Cento Insalate, sono nell’omonima contrada sulla strada provinciale che porta da Carlen335 336
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tentativo riuscito di trasformare la doppia baronia del feudo Bulfida e del feudo di Cadra, con la costruzione di due piccoli fortilizi, in un unico possedimento autonomo. La torre di Cadra fu costruita da Giovanni de Lamia nel 1375 e comprendeva ventisei case. Attualmente del fortilizio, che sorge su di un’ansa del torrente Canale, rimane parte di grande torre posta nel mezzo di un cortile fortificato di forma rettangolare irregolare343. Nello stesso anno fu realizzato un fortilicium nel feudo Bulfida che comprendeva sessantuno case e la chiesa di San Nicolò che costituiranno il primo nucleo abitativo della futura Francofonte344.
Chiesa della Madonna degli Ammalati, cancello balaustra. tini e Brucoli. Niente rimane della torre di San Calogero, mentre una torre che dominava il promontorio della Costa Saracena era ancora in parte visibile sino agli inizi degli anni 70 del secolo scorso, prima che la speculazione edilizia la facesse sparire.. 343 AMICO, I, p. 185; SELLA 1944; CASTELLI MEDIEVALI DI SICILIA, pp. 395-396 344 Per la storia di Francofonte si vedano, GAUDIOSO 1916, GAUDIOSO 1925 e GAUDIOSO 1970.
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Francofonte, la torre di Cadra, planimetria (GAUDIOSO 1970).
Chiesa della Madonna dei Malati.
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Chiesa della Madonna dei Malati, iscrizione sopra il portale.
Altre torri, soprattutto nei pressi della costa345, erano state realizzate gia dalla fine del XIV secolo per volontà regia, allo scopo di avvistare e segnalare la presenza di corsari346 e di navi francesi. Nel territorio di Lentini le coltivazioni principali erano costituite soprattutto da cereali e legumi, che venivano esportati tramite il caricatore di Agnone347 e di Brucoli348 e in piccola parte da canna da zucchero. Nelle zone umide, accanto alle fiumare, abbondavano i vigneti, i campi di canapa, lino e di sesamo. Non mancavano i palmenti e i mulini. Una importante risorsa economica era il Biviere, i cui proventi deri345 La torre di San Calogero, di Agnone e di Brucoli, svolgevano questo compito. Cfr. gli interventi di AGNELLO 1971 e MAURICI 1987. 346 Sulla presenza dei corsari nelle coste della Sicilia, CONDE 1988, pp. 156-159; AGNELLO 2005. Tra i vari comandati di navi corsare va ricordato il già cavaliere templare Ruggero da Flor, che al servizio di Federico d’Aragona assalta diverse navi francesi e con il ricavato del bottino paga sei mesi di stipendio ai soldati della guarnigione del Castello di Lentini. 347 Sull’importanza di questo approdo per l’economia della città si veda CABIBBO 1990. 348 Il San Leonardo dalla seconda metà del XIII secolo è solo un flumen barcis.
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Planimetria di Francofonte.
vanti dalla pesca erano notevoli349. Intorno al bacino erano anche numerose risaie e coltivazioni di orzo e grano. Non mancavano inoltre uliveti, pascoli e boscaglie, soprattutto nelle colline a sud e a ovest della città350. La città Carleontina
La fondazione della città si inserisce nell’ambito di un progetto più generale che vede nel ‘500, la Sicilia e il suo avamposto Malta, come cuore del sistema Mediterraneo difensivo e dissuasivo, originariamente in funzione anti turca e poi anti francese. La Sicilia come baluardo della potenza spagnola. Tutta la fortificazione della Sicilia è influenzata dall’evolversi delle vicende politiche europee e ottomane. Dalla supremazia turca nel Mediterraneo nella prima metà del XVI secolo alla prima sconfitta nella battaglia di Malta del 1564 e successivamente nella battaglia di 349 350
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Sul Biviere, VALENTI 1998. GAUDIOSO 1925, p. 78 e sgg.
Lepanto. Sarà però successivamente la politica espansionistica francese a costituire un pericolo per la Spagna e per i suoi possedimenti nel Mediterraneo. La riorganizzazione delle difese militari della Sicilia è legata ad un processo ben più complesso, che ha come scopo quello della riorganizzazione dello spazio geografico, del territorio e conseguentemente della viabilità e delle città. Quindi la fondazione di Carlentini non è solo la storia di una città murata, ma la pianificazione della difesa attraverso uomini, mezzi, modelli architettonici e la loro gestione. Per questi motivi nel ‘500 lo sforzo per passare da un sistema di difesa di tipo medievale ad uno più efficace e moderno, che assorbirà gran parte delle risorse economiche e sociali dell’isola, non è più lasciato all’iniziativa delle singole città ma pianificato e, soprattutto, in parte finanziato dal potere centrale, che stanzia annualmente 100.000 fiorini per provvedere alle necessarie opere di fortificazione ed è il potere centrale che decide quali città vanno fortificate e il come e il quando. Il pericolo Turco con tutto il suo impatto emotivo nell’immaginario collettivo ha lasciato tracce ben evidenti nella cultura isolana (allarmi la campana sona .... oppure: vengono i Turchi e ti mangiano ecc. oppure i toponimi che ancora oggi si incontrano, ad esempio, nella vicina costa Ionica lo sbarcatore dei turchi), quindi, ovviamente la prima cosa da fare era fortificare la costa e le città costiere più importanti: Palermo, Messina, Augusta, Siracusa, Trapani, Milazzo. Per il nostro territorio il saccheggio di Augusta pose subito il problema di fortificare la costa tra Siracusa e Catania e, considerato che nella famosa relazione del viceré Gonzaga del 1546 si legge di come la difesa di Lentini e del suo territorio fosse pressoché nulla, probabilmente anche a causa delle distruzioni seguite al terremoto del 1542, il viceré decise, nel disperato tentativo di dare risposte adeguate per la difesa e sicurezza alle popolazioni, compresa quella di Augusta, la fondazione sul Piano Meta di una città fortificata, che oltre a controllare la costa, impedisca l’accesso alla Piana di Catania. Purtroppo la strenua difesa dei cittadini di Lentini, legati ai loro privilegi alla fine ebbe come conseguenza l’esistenza di due città e di innumerevoli conflitti, che potremmo dire si trascinano sino ad oggi. Già nel 1574 il nuovo viceré si lamentava di come la fortezza di Carlentini fosse caduta nell’oblio e di come fosse stata privilegiata la difesa di Augusta, segno evidente di un mutamento nella politica militare della Sicilia. 111
Carlentini, planimetria di T. Spanocchi.
Carlentini fu fondata nel dicembre del 1550 su progetto dell’ingegnere militare Piero di Prato, che prevedeva un impianto urbano ortogonale con due grandi strade principali di 10 metri di larghezza, che collegavano direttamente le porte della città e strade secondarie di 4 metri, in diretto rapporto con i bastioni. Due piazze per organizzare le batterie di artiglieria e il munizionamento e il loro rapido trasporto nei punti nevralgici delle mura351. La fondazione di Carlentini è il prototipo della città imperiale, centro fortificato e nello stesso tempo città contadina, pur inserita in uno schema urbano ortogonale. Secondo alcuni studiosi ciò aveva una duplice funzione, da un lato dare un ordine ad una popolazione “raccogliticcia”, proveniente dalle più disparate classi sociali e alla quale mancavano i riferimenti spazio temporali, dall’altro costituire tra lo 351 Il progetto realizzato da Pietro di Prato non fu portato a compimento e man mano che le nuove difese di Augusta furono realizzate e anche a seguito della vittoria di Lepanto, cessò anche l’interesse degli ingegneri militari per la piazzaforte di Carlentini. Sulle vicende di Carlentini in generale PISANO BAUDO LCC. Per gli aspetti riguardanti i progetti delle fortificazioni di Carlentini, GUIDONI MARINO 1977. Da ultimo, DUFOUR 2000 con bibliografia precedente.
spazio fisico della città e la popolazione un rapporto di stretta dipendenza socio economica e quindi sociale352. Alla fine del XVI secolo il cambiamento della politica militare spagnola, ebbe come conseguenza anche l’abbandono del progetto di Pietro di Prato. L’architetto Tiburzio Spannocchi nel 1578 modifica l’assetto urbanistico della città353. E’ abbandonato lo schema urbano a crocevia ipotizzato da Piero di Prato in funzione delle porte delle mura e si privilegia un impianto ortogonale più regolare e con le strade che non tengono conto della posizione dei bastioni e delle vie di accesso alla città. Al centro del piano Meta è realizzata una grande piazza quadrata, forse una piazza d’armi, con accanto una piazza rettangolare scandita in due parti su cui si aprono logge e botteghe. Il progetto di Spannocchi introduce per Carlentini una differenziazione tra spazio civile e spazio militare, ereditata dal medioevo, ma interpretata in chiave moderna e ha come motivazione l’incentivazione al popolamento, infatti alla modifica del progetto seguiranno anche tutta una serie di privilegi e facilitazioni per chi volesse abitare nella città354. Nel frattempo anche la cinta muraria, ancora non del tutto completata è definitivamente abbandonata355. A questo punto sono necessarie alcune riflessioni di ordine urbanistico. Si può dire che Carlentini da un punto di vista militare non è come idea una novità o offra spunti nuovi, recenti studi negano addirittura ogni influenza nello schema tipologico sulla realizzazione delle fortificazioni di Valletta, come invece qualche studioso proponeva alcuni anni fa356. Essa riprende dei modelli già ben noti, si può invece dire che pur con caratteristiche militari essa è soprattutto pensata come una normale città, un modulo stereotipato ripetibile all’infinito e in vari luoghi come ad esempio a Vittoria357. Carlentini risente nello schema urbano anche di tutta una serie di DUFOUR 2000. GIUFFRE’ 1980, pp. 38-39. 354 In questa ottica si veda anche la concessione di una fiera, tolta a Lentini, cfr. PISANO BAUDO, LCC. 355 Molti studiosi di urbanistica ritengo Carlentini una sorta di “occasione” mancata, cfr. DUFOUR, 1989b, p. 119. 356 HUGHES 1976, pp. 1-40; GUIDONI MARINO 1977, pp. 8-9; GIUFFRE’ 1980, p. 38. 357 GUIDONI MARINO 1977, pp. 17-20. 352 353
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Carlentini nel 1584 (Lentini 1584).
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Carlentini planimetria del 1720.
influssi, che vanno dalle “moderne” concezioni degli spazi urbani e di cui le colonie fondate dagli spagnoli nel sud America rappresentano i prototipi, alla tendenza di considerare la città come “macchina bellica”, pianificata dall’alto, senza la partecipazione dei cittadini e strettamente controllata dall’autorità centrale, senza lasciare spazio all’attività dell’artista-architetto e alla creatività delle maestranze locali e questo è, probabilmente, il maggior limite nella sua realizzazione. Una città in cui la popolazione non fu messa in condizione di dare una dimensione architettonica propria e senza una committenza di stampo umanistico, una semplice macchina di difesa. Il terremoto del 1693, che nella città di Carlentini non provocò molti danni e la successiva ricostruzione non modificarono l’assetto urbanistico, che rimase pressoché invariato sino ai nostri giorni, ma lasciò più spazio all’iniziativa locale, rendendo Carlentini quella che oggi conosciamo.
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IL TERREMOTO DEL 1693
Il terremoto del nove ed undici Gennaio 1693358 distrusse nello spazio di un “Miserere”359 gran parte delle città della Sicilia sud-orientale. Secoli di arte, cultura e storia vennero spazzati via. Chi in quei giorni, da una contrada all’altra, percorreva le polverose strade del Val di Noto aveva davanti agli occhi un paesaggio apocalittico: ovunque era morte e distruzione360. Lentini, che attraversava una profonda crisi subì un durissimo colpo. Su come trascorsero i lentinesi quei terribili momenti ci sono pervenuti diverse relazioni e numerosi racconti, tra i quali quello del canonico Cirino Mauro361, testimone oculare di quei terribili giorni e quello del Pisano Baudo362. Nella sostanza esse non sono diverse dai resoconti pervenutici dalle altre città distrutte dal sisma363. La prima scossa di terremoto il nove Gennaio 1693, sorprese i lentinesi nel cuore della notte. Come è naturale, in questi casi, le persone uscirono dalle proprie case e si riversarono nelle strade, nelle piazze, nelle campagne o nelle chiese, per chiedere aiuto a Dio ed ai Santi. Il terremoto, ai più, doveva sembrare una sorta di castigo divino364, preludio all’imminente fine del mondo365. “[...] Sarà forse il tempo di 358 Il testo di questo capitolo si rifà a grandi linee su quello già da me pubblicato in VALENTI 1992a. 359 BOCCONE, p. 3. Sugli effetti del terremoto nelle città del Val di Noto si vedano inoltre: MONGITORE, BURGOS, AURIA e BOTTONE. Per uno studio scientifico sul terremoto del 1693, BARBANO e COSENTINO, pp. 517-522. 360 MUGLIELGINI, p. 19. 361 MAURO 1703. 362 PISANO BAUDO SDL III, pp. 3-22. 363 Per una sintesi storica sulle città distrutte dal terremoto del 1693, NICOLOSI 1982. 364 DUFOUR 1981, pp. 525-563. 365 Alle numerose scosse di terremoto, che per tutto il 1693 si ripeterono, seguì, nel Giugno del 1964, anche una eclisse di sole, che contribuì non poco a turbare gli animi della popolazione.
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quella Profetia quod praetereuntes nautae dicunt: Hic olim erat Siciliae regnum?”366 Solo alle prime luci dell’alba, cessato in parte lo spavento, i lentinesi ritornarono nella loro città e cominciarono l’affanosa ricerca della propria casa e di quelle dei parenti e degli amici. Si iniziò a recuperare i morti seppelliti dalle macerire, a curare i feriti, ad aiutare i più bisognosi. Durante questa prima scossa erano crollate le parrocchie di santa Venera, di san Teodoro, di san Tommaso e di san Luca, il convento delle Clarisse con l’annessa chiesa367. La successiva scossa dell’11 gennaio farà altre vittime e metterà in fuga, definitivamente, dalla città i lentinesi superstiti. “Leggitore sè hai cuore compiangene la sciagura, che col fissare lo sguardo fuora di essa, non potrai discernere, e dire qui fù Lentini; ma vedrai bensì un labirinto di sassi, ed una scena di spaventi, populata à scheletri d’orrore”368. Questa seconda scossa distrusse la Matrice dedicata a Santa Maria la Cava, la chiesa dei santi Alfio, Filadelfo e Cirino, la parrocchia di san Pietro, il convento del Carmine, il convento dei Domenicani con la relativa chiesa e gli altri edifici. La particolare configurazione topografica di Lentini, rinserrata entro delle strette valli, fece si che il terremoto nella città non lasciasse “...piedra sobre piedra...”369 Incerto fu il numero delle vittime370: 4.200 secondo l’Auria371 e il Gallo372, 4.000 secondo il Muglielgini373, 3.000 secondo Aprile374, 1.212 secondo Boccone375. M. CENTORBI, Relatione, in GIANFORMAGGIO 1928. PISANO BAUDO SDL, III, p. 4. 368 MUGLIELGINI, pp. 144-145. 369 Archivio Historico National di Madrid, Secreteria de Sicilia, Legajo 2225, Relazione del Duca di Camastra al Viceré Uzeda del 14 Giugno 1693: “[…] En 21 de dicho febrero pusse en la noticia de V. E. mi arrivo a Lentin donde no halle piedra sobre piedra de suerte que siendo ympossibile reedificar la nueva ciudad en el mismo sitio se ha deliverato después de vario pareceres y muchisimos devatates fabricarla de nuevo en el Poyo de san Pedro aque se darà principio después sea acavada la presente cosecha por hallarse sembrando dicho Poyo, esperando tambièn que la suprema authoridad de V. E. los facilite el consientimento Apostolico e de su Magestad por ser el referido Poyo de las pertinencias dela Abadia de nuestra senora de Rocadia: se considera que el numero delos que perecieron en dicha llegarà al pie de tres mill y mill en Carlentin que también quedò toda arruinada […].” 370 Il numero dei morti nelle varie città distrutte dal sisma è naturalmente abbastanza controverso. Cfr. NICOLOSI 1982, pp. 116 - 133. 371 AURIA, p. 47. 372 GALLO 1804, p. 466. 366 367
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I Lentinesi superstiti trovarono rifugio sul Piano della Fiera376; qui eressero delle baracche e costruirono, con dei tronchi di legno, una cappella, dove vennero esposte le ostie consacrate, che due sacerdoti, D’Alessandro e Cadorna, avevano recuperato dalle macerie delle chiese377. Il vicario generale preposto alla ricostruzione, don Giuseppe Lanza, duca di Camastra378, fu preceduto alla fine di gennaio dall’arrivo del commissario, don Scipione Coppola, che, “....se aplicò a expurgar de cadaveres a quellas ruinas,.....”379 e ad organizzare i superstiti. Nel frattempo la popolazione, che subiva all’aperto i rigori dell’inverno, ottenne dal viceré la soppressione dell’editto, emesso dal Senato di Lentini qualche giorno dopo il sisma, che proibiva ai lentinesi di andare ad abitare altrove ed in particolare nella vicina Carlentini380. Secondo il Baudo381, dopo la soppressione dell’editto, circa 1.400 persone, tra le più agiate, andarono via da Lentini e, di esse, circa 900 si stabilirono a Carlentini. Il 21 febbraio arrivò a Lentini il duca di Camastra. Egli, dopo aver effettuato un rapido giro tra le macerie, per rendersi conto personalmente dei danni subiti dalla città, ascoltò le richieste dei lentinesi, il cui intento principale era quello di ricostruire al più presto le loro case382. La popolazione superstite aveva, però, in merito opinioni contrastanti. Secondo alcuni bisognava costruire Lentini sul vecchio sito, secondo altri bisognava riedificarla altrove. La presenza di un partito a favore dell’abbandono del vecchio sito rivela, probabilmente, come per altri centri383, una notevole disgregazione del tessuto sociale, frutto, forse, di quella crisi economica, che aveva radici già nel secolo precedente. MUGLIELGINI, p. 144. APRILE, p. 388. 375 BOCCONE, p. 23. 376 L’attuale villa Marconi e la piazza degli Studi costituivano l’antico Piano della Fiera, che tra l’altro ha dato il nome all’odierna area urbana a monte della attuale via Piave. Sulla toponomastica di Lentini ed i vari quartieri, VALENTI 1991, p. 54. 377 PISANO BAUDO SDL, III, p. 8. 378 ACL, decreto del viceré Uzeda, del 20 gennaio 1963, di nomina dei Vicari Generali e dei Commissari. Sulla figura del duca di Camastra si veda. SCICHILONE 379 Archivio Generale Simancas, Segreteria provinciale, Legacio 1428, anno 1693. 380 ACL, decreto viceré Uzeda, del 12 marzo 1693, che revoca il Bando del Senato di Lentini. 381 PISANO BAUDO SDL, III, p. 13. 382 GALLO 1975, pp. 52-53. 383 DUFOUR- RAYMOND 1990, p. 26; DUFOUR 1985a, pp. 475, 486. 373 374
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Da questo punto di vista si può affermare, che la ricostruzione della città è soprattutto la ricostruzione del suo tessuto sociale384. Non ci è dato sapere quali gruppi economici o sociali (artigiani, contadini, nobili ecc.) spingessero nell’una o nell’altro direzione, come inoltre ignoriamo quale fosse in merito la posizione del clero e dei rappresentanti degli ordini religiosi. Chi propugnava il ritorno nel vecchio sito probabilmente pensava di poter mantenere le posizioni di privilegio, che possedeva prima del sisma. Il precedente possesso di lotti edificabili migliori, il luogo dove esercitare il commercio o la propria professione posto in posizione di prestigio, come ad esempio lungo le vie principali o sul Piano della Fiera, la speranza di occupare lotti e spazi migliori abbandonati a seguito della morte o del trasferimento, altrove, dei precedenti proprietari, la possibilità di poter utilizzare materiale di costruzione di risulta proveniente dalle vecchie case distrutte, ecc., erano tutti dei buoni motivi per voler rimanere nel vecchio sito. Per contro, la possibilità di avere una migliore posizione per costruire la propria casa, di poter annullare i precedenti svantaggi legati alla posizione topografica della propria bottega, di iniziare ex novo la propria vita in un sito dove non vi erano antichi retaggi legati a precedenze e privilegi, la speranza che la ricostruzione su un nuovo sito portasse facili ed immediati guadagni, erano buoni motivi per voler abbandonare la vecchia città. Il vecchio sito, inoltre, era, da un punto di vista igienico, poco salubre, perché esposto ai venti provenienti da Ponente, che portavano le pestifere esalazioni del Biviere verso il centro urbano; inoltre i due corsi d’acqua, il Lisso e il Carrunchio, che attraversavano la città in senso sud-nord, erano a tutti gli effetti delle fogne a cielo aperto. Il viceré Uzeda era, in genere, contrario al cambiamento di sito, perché, tra l’altro, trasferire un centro urbano in un altro luogo significava dover ridefinire tutto l’apparato difensivo del territorio che faceva capo alla città385 e gran parte del sistema viario. Queste direttive erano ben note al duca di Camastra che, però, per provvedere celermente alla ricostruzione doveva tener conto delle esigenze e delle pressanti richieste degli abitanti dei vari centri. A Lentini, come DUFOUR 1985a, p. 476. Per tutto il XVI e il XVII secolo, il problema della difesa delle coste, per prevenire possibili incursioni saracene, aveva costituito per i vari viceré uno dei problemi principali da risolvere. Cfr. CAMILLIANI 1554, CAMILLIANI 1584. AGNELLO 1963; DUFOUR 1989a; DUFOUR 1989b, MAZZAMUTO 1986. 384 385
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a Noto386, coloro che volevano cambiare sito erano la maggior parte. Il 9 aprile, in attesa di indicazioni definitive da parte del vicario generale, il Senato di Lentini pubblicò un editto in cui era espressamente vietato costruire nuove case e trasportare altrove i materiali delle case diroccate387, perché nel frattempo venisse scelto il luogo dove riedificare la città. Il duca, dopo una serie di ricognizioni sul territorio, scelse come nuovo sito, per la ricostruzione di Lentini, il Piano della Fiera, ad oriente della vecchia città, in una zona aperta ed elevata. Stranamente, tutti si opposero alla volontà del vicario generale. Si fece osservare che in quel luogo mancava l’acqua, il vento vi soffiava incontrastato, che l’aria era cattiva. Questa unanime opposizione388 alla volontà del duca farebbe pensare ad una ritrovata concordia tra gli abitanti di Lentini. In realtà, si può supporre che chi voleva la ricostruzione della città in un altro luogo fosse rimasto deluso perché, forse, nel sito prescelto, non aveva trovato i vantaggi sperati. A chi tra i nobili aveva intravisto la possibilità di poter vendere, speculando, i propri terreni per la ricostruzione della città, la scelta di questo luogo dovette sembrare alquanto infelice, in quanto il Piano della Fiera, appartenendo alla città389, non comportava oneri di esproprio, che avrebbero gravato sul Senato della città390, né possibilità di speculazione. 386 DUFOUR-RAYMOND 1990, p. 27. Diversa era la situazione delle città baronali come Avola e Grammichele, dove il cambiamento di sito fu deciso dal feudatario proprietario della città e non dagli abitanti. Il problema del cambiamento di sito si pose anche per Catania dove fu alla fine deciso di ricostruire la città sul medesimo luogo ma con un diverso schema urbano. Cfr. Consiglio ed istruzioni fatte dal Vicario Generale Duca che fu di Camastra, col voto dell’Ill.mo Senato, e corpo Ecclesiastico, per la nuova reedificazione della città di Catania, 28 Giugno 1694 (Conservato nella Biblioteca Ursino Recupero di Catania); inoltre FICHERA 1925; FICHERA 1934. 387 ACL, bando del Senato di Lentini del 9 aprile 1963, che vieta l’asportazione dei materiali di costruzione dalla vecchia città. 388 Non è chiaro nei documenti d’archivio se questa volontà unanime sia espressione di tutte le classi presenti in città o solo dei componenti del Senato. 389 Il vasto territorio di Lentini, a causa della grave crisi economica della fine del Cinquecento, era stato in gran parte ceduto a privati. Il Piano della Fiera era uno dei pochi terreni ancora di proprietà della città. Sulla cessione del territorio di Lentini, cfr. PISANO BAUDO SDL, II, pp. 271-284. 390 Il problema dell’esproprio dei terreni non è mai evidenziato nella storia delle città della Val di Noto ricostruite dopo il terremoto del 1693. Possiamo verosimilmente supporre che a Lentini, come per l’analogo caso di Noto, l’esproprio delle aree per la costruzione della città fosse a carico di tutta la collettività. Cfr. DUFOUR-RAYMOND 1990, p. 29.
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Il duca di Camastra, per non fomentare ulteriori disordini, accolse il reclamo dei lentinesi ed incaricò nel frattempo l’architetto fra’ Angelo Italia391 di scegliere un nuovo sito e di disegnare la pianta della città. Fra’Angelo Italia, di cui si sconosce la formazione e gran parte della vita, era un architetto abbastanza famoso in Sicilia. Egli aveva progettato la matrice di Palma di Montechiaro nel 1666392, si era occupato della costruzione della chiesa di San Francesco Saverio a Palermo e della Casa di Terza Probatione393. A Messina, tra il 1672 e il 1686, aveva diretto i lavori della chiesa di San Francesco e a Polizzi aveva progettato la chiesa del Nuovo Collegio394. Il gesuita, quando ricevette l’incarico del duca di Camastra, si trovava ad Avola395, dove era stato chiamato dal marchese di Terranova per sovrintendere alla ricostruzione di quella cittadina. Egli giunse a Lentini verosimilmente alla fine di aprile396. Dopo attente ricognizioni sul territorio intorno la città, propose di ricostruirla sul poggio San Pietro, un terreno di proprietà dell’abbazia di Santa Maria di Roccadia397, lontano dal lato di Ponente oltre un miglio dal vecchio sito. Il poggio, vicino a delle sorgenti di acque potabili e nei pressi della strada che portava a Francofonte398, rispondeva ai canoni che Vitruvio teorizzava per la costruzione di una città399. La scelta di questo sito doveva essere subordinata a due fattori topografici ben precisi: non bisognava distaccarsi troppo dal Biviere né dal caricatore di Agnone, perché da entrambi dipendeva tutta l’economia della città. Inoltre era auspicabile non avvicinarsi troppo alla costa, per motivi di difesa400, né al Biviere, perché la sua vicinanza era causa di gravi 391 Sulla formazione culturale e le esperienze progettuali di fra’ Angelo Italia, cfr. STELLA 1968; DUFOUR–RAYMOND 1987; BOSCARINO 1980, pp. 394-397. 392 BOSCARINO 1981, p. 115. 393 ARCHIVIUM ROMANUM SOCIETATIS IESU, voll. 162-164 (anno 1684-1699). 394 DUFOUR-RAYMOND 1987, p. 13. 395 DUFOUR-RAYMOND 1990, pp. 30-31; DUFOUR 1985, pp. 483-484. 396 DUFOUR-RAYMOND 1987, p. 20. 397 PISANO BAUDO SDC, pp. 166-168. 398 PISANO BAUDO SDL, III, p. 15. 399 Vitr. I. 400 Era precisa volontà del viceré evitare che le città di nuova fondazione venissero costruite vicino alla costa, perché poco difendibili. Questo problema condizionerà anche la scelta del nuovo
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Avola, planimetria.
malattie401. Scelto il sito e disegnata la pianta della città, toccò alle maestranze locali eseguire le direttive dell’architetto402. Il Senato della città diede immediatamente incarico ad Alfio Olivieri di stimare i terreni403 ed ai capomastri Mario e Giuseppe Di Mauro di tracciarne la pianta. Si procedette quindi all’assegnazione dei lotti: “...debba comparire et haver comparso, conferirsi et haver conferito nel poggio San Pietro et innanzi di Mario e Giuseppe Di Mauro capimastri eletti dal sito di Noto, che alcuni cittadini avrebbero voluto riedificare a Vendicari, vicino al suo caricatore. Cfr. DUFOUR-RAYMOND 1990, p. 28. 401 Il problema della insalubrità delle “aree” (l’aria stagnante), considerate portatrici di gravi malattie, era una costante nei dibattiti, per la costruzione di nuove città, durante tutto il XVI e il XVII secolo. Anche per il Piano della Fiera, tra l’altro, si era lamentata la poca salubrità dell’aria e, nello stesso tempo, con palese contraddizione, l’eccessiva esposizione ai venti. 402 Compito dell’architetto Italia era soltanto la scelta del sito e il progetto della nuova città. Cfr. ACL, libro di esito Aprile 1693. ...“costerà alla città di Lentini per modellare la pianta, onze 16, oltre ai costi di trasporto, onze 10 e di soggiorno onze 7.16.4.” .
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detto Senato... ... et ogn’uno di loro si facesse assignare dalli suddetti Di Mauro il terreno ripartito per la situatione e fabrica delle case necessarie ad ogni capo famiglia”404. Il 18 Luglio 1693, con bando del Senato si diede ordine alla popolazione di trasferirsi sul poggio San Pietro405. Il viceré Uzeda sancì la decisione del vicario generale, confermando tra l’altro alla “nuova” Lentini lo stemma406 che, come il precedente, recava il leone rampante di profilo ma con il motto “nova Leontina civitas”. Questo stemma, da quel momento, verrà riportato in calce a tutti i documenti emessi dal Senato della città.
Lentini, stemma della città. 403 ACL,
libro di esito Aprile 1693. ACL, bando del Senato del 15 giugno 1693, che ordina il censimento informativo per conoscere le esigenze di ogni famiglia. Bando del Senato del 19 agosto 1693, che ordina ai capi famiglia di presentarsi presso i capimastri preposti all’assegnazione dei lotti. 405 ACL, bando del Senato del 18 Luglio 1693, che ordina il trasferimento nel poggio San Pietro. 406 La scelta dello stemma e dell’appellativo che contraddistingueva le città demaniali era prerogativa del re o, come in questo caso, probabilmente del viceré. cfr. CANDURA 1973. 404
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Tutti i cittadini ebbero gratuitamente i lotti da edificare e per la costruzione degli edifici pubblici furono eletti deputati don Giuseppe Beneventano e don Francesco Bonfiglio. Fu dapprima iniziata la chiesa della Matrice, che doveva ospitare l’orologio407. Nella piazza antistante fu costruita una baracca che doveva, nel frattempo, servire per il culto e una baracca per le riunioni del Senato della città e per ospitare il duca di Camastra durante le sue visite408. Furono, quindi, costruite le baracche per ospitare gli ordini religiosi e lungo la strada principale o delle Maestranze si iniziarono ad erigere le prime case409. In assenza di un forte potere centrale le direttive dettate da fra’ Angelo Italia per la ricostruzione verranno ben presto disattese. Dapprima alcune famiglie si stabilirono nell’area destinata alle strade della nuova città, altre occuparono abusivamente alcuni lotti, stravolgendo lo schema urbanistico. A nulla valsero i continui bandi che il Senato di Lentini fu costretto ad emanare per ricordare ai cittadini di seguire le direttive indicate nella pianta della città410. Il vicario generale duca di Camastra, nell’ottobre del 1694, per porre fine alle continue inosservanze, si fece consegnare l’originale della pianta, in modo da impedire ulteriori manomissioni, non autorizzate, al progetto di fra’ Angelo Italia e impose, nello stesso tempo, il trasferimento forzoso di tutti gli abitanti sul poggio San Pietro411. Quest’ultima decisione si era resa necessaria perché a Lentini si era cominciato a formare una sorta di opposizione al volere del vicario generale. Questa opposizione porterà nel giro di qualche anno al definitivo abbandono del poggio San Pietro e al ritorno sul vecchio sito. E’ probabile, che il sito prescelto e il progetto di fra’Angelo Italia avessero ancora una volta scontentato i cittadini, o forse, più verosimilmente, l’opposizione e le modifiche al progetto dell’architetto erano frutto di dissensi tra i gruppi di potere, non meglio identificabili, presenti nella città. 407 ACL, lettera del Duca di Camastra al Senato di Lentini del 15 ottobre1694, per la costruzione dell’orologio. 408 ACL, lettera del Duca di Camastra al Senato di Lentini del 28 marzo 1694, per la costruzione della baracca che dovrà ospitare il Senato della città. 409 PISANO BAUDO SDL, III, p. 19. 410 ACL, bandi del Senato dal 10 dicembre 1693; lettera del duca di Camastra al Senato di Lentini, del 14 dicembre 1693. 411 ACL, lettera del duca di Camastra al Senato di Lentini, del 20 Ottobre 1694, per chiedere la consegna dell’originale della pianta della città redatta da fra’ Angelo Italia.
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La città di Lentini si confermerà, quindi, ancora una volta, fonte di preoccupazione per le autorità di Palermo412. Nella Primavera del 1696, dopo ripetute proteste e pressioni da parte della popolazione, il Senato di Lentini chiederà al Tribunale del Regio Patrimonio di abbandonare definitivamente il poggio San Pietro e di ritornare nel sito della vecchia città413. Che tipo di città aveva progettato fra’ Angelo Italia sul poggio San Pietro? Una città poligonale come, per esempio, Grammichele o Avola? Una città con una griglia di strade perpendicolari come Noto? Dove era il poggio San Pietro? Sono queste alcune delle domande, che chiunque studi il problema della ricostruzione di Lentini dopo il 1693 si pone. A noi non è pervenuta alcuna documentazione cartografica della città progettata dall’architetto Italia, anche se abbiamo notizie, nei vari bandi emessi dal duca di Camastra o dal Senato di Lentini414, dell’esistenza di un piano regolatore, affidato alle maestranze locali415 e che servirà come base per la distribuzioni dei lotti alle varie famiglie, Per cercare di dare delle soluzioni a questi interrogativi, in assenza di fonti e di indicazioni toponomastiche sul poggio San Pietro, nelle cartografie dell’Istituto Geografico Militare, bisognerà partire da una attenta analisi del territorio vicino Lentini e successivamente, individuato il sito, pensare, anche in base alle precedenti e coeve esperienze, che tipo di pianta potesse, l’architetto Italia progettare in presenza di determinate condizioni geotopografiche. Per cercare di localizzare il poggio San Pietro, in mancanza di notizie provenienti da fonti d’archivio, bisognerà avvalersi delle antiche cartografie generali della Sicilia o di quelle più dettagliate, che rappresentano il territorio di Lentini, redatte intorno a quegli anni, integrando le eventuali indicazioni con una attenta analisi topografica e l’osservazione diretta sul sito. Quando fra’ Angelo Italia, tra l’aprile e il maggio del 1693, compie 412 I cittadini di Lentini già in occasione della fondazione di Carlentini aveva dato filo da torcere alle autorità vicereali. Infatti avevano chiesto dapprima di cambiare sito e successivamente si erano opposti alle scelte effettuate. Cfr. PISANO BAUDO SDL, II, pp. 248-271. 413 ACL, scritture del Comune anno 1696; bando del Senato di Lentini, del 6 marzo 1696, che ordina l’abbandono del Poggio San Pietro. PISANO BAUDO SDL, III, pp. 20-22. 414 Nei vari bandi del Senato e nelle lettere del Duca di Camastra si raccomanda di seguire il disegno della pianta e di non occupare lotti destinati ad altri usi o scopi. 415 Era compito delle maestranze locali la distribuzione dei lotti e la esecuzione del progetto dell’architetto.
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le ricognizioni topografiche sul territorio di Lentini, sappiamo che il poggio San Pietro è ricoperto di alberi e fecondo di erbe, con vicino sorgenti di acque potabili. Esso è oltre un miglio ad occidente dalla città distrutta e nei pressi della strada per Francofonte. Da una nota di pagamento emessa nel luglio del 1693 dal Senato di Lentini, per la costruzione dell’acquedotto della nuova città, si deduce che nei pressi del poggio scorreva il torrente Alaimo “...per far venire l’acqua d’Alaymo nel Poyo San Pietro, onze 440.20.3....”416. Il terreno del colle era prevalentemente argilloso e questo fu, secondo il Baudo, uno dei motivi che scatenarono il malcontento della popolazione verso questo sito417 e ne giustificarono il successivo abbandono. Nella carta della Sicilia redatta dallo Schmettau nel 1719418, anche se il territorio intorno Lentini è descritto accuratamente, il toponimo Poggio San Pietro non è riportato. Un’altra cartografia molto dettagliata del territorio di Lentini, conservata nell’archivio della Direzione centrale di Statistica419 e redatta verosimilmente nella prima metà del secolo scorso, non riporta il toponimo Poggio San Pietro. Un’ultima carta, inedita420, conservata nell’Archivio Storico del Comune di Lentini, pur riportando tutte le contrade presenti nel territorio della città, non cita il poggio San Pietro. Osservando il territorio di Lentini, ad occidente della città si possono notare una serie di colline, che degradano da sud verso nord, con ripide pendici e separate tra loro da profonde valli. Di esse, solo due colline presentano, distanti oltre un miglio (circa Km 1,500)421 e meno di due miglia, caratteristiche tali da poterle identificare con il poggio San Pietro: il colle Anime del Purgatorio ed il colle Roggio. Sono, queste, due colline di circa m 65 di quota, attualmente incolte e di natura prevalentemente argillosa. La prima ha una superficie di ACL, libro di esito aprile 1693. “[…] Sopravvenuto l’inverno dovettero sospendersi i lavori di costruzione, poiché essendo il sottosuolo del Poggio un ammasso di creta, la nascente città si convertì in fangosa palude, che cagionò gravi e generali malattie. Il popolo allora fece rumore e molti risoluti gridarono di voler ritornare all’antico sito […]”. PISANO BAUDO SDL, III, pp. 19-20. 418 Si tratta della prima carta della Sicilia redatta con criteri scientifici. Essa fu eseguita dal barone Schmettau per ordine del governo austriaco. L’originale è conservato a Vienna e una copia è nel Museo archeologico di Palermo. 419 CASAMENTO 1986, p. 117. 420 La carta è stata riprodotta anche in SANFILIPPO 1983, fig. 63. 421 Un miglio siciliano è uguale a m 1.486. Per le unità di misura vigenti in Sicilia si veda PERI 1990, pp. 289-290. 416 417
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circa mq 200.000, ha una forma vagamente circolare e presenta tutt’intorno un dolce pendio. La seconda ha una superficie di circa mq 900.000 ed è orientata, per la lunghezza, in senso Nord - Sud, con ripidi pendici soltanto sul lato Nord - Ovest, da dove domina il Biviere di Lentini. Sul lato Est guarda l’odierna città e presenta una leggera conca. A Sud del colle Anime del Purgatorio vi è la regia trazzera Lentini - Francofonte, l’odierna strada provinciale Mercadante - Francofonte - Pedagaggi. Le due alture, anche se adesso sono separate dalla strada statale 194, Catania - Ragusa, in passato dovevano costituire un unico complesso collinare. Ad oriente dei due colli, alle loro falde, scorre, anche se attualmente il suo letto è in gran parte interrato, un torrente e tutta la zona intorno all’alveo del fiume prende il nome di contrada Alaimo. Oltre il torrente, verso est, vi è una vasta area pianeggiante, occupata attualmente da case popolari e da installazioni sportive di recente costruzione. Dei due colli, il poggio Roggio ove sorge il costruendo opedale di Lentini, potrebbe essere identificato con il poggio San Pietro, infatti la particolare forma del colle, battuto specialmente nel versante est e sud dai raggi del sole e protetto a nord sia dai venti di tramontana sia dalle esalazioni del Biviere, rendono questo sito idoneo per l’impianto di una città. Il colle è, inoltre, abbastanza vicino al Biviere; quindi lo sfruttamento del lago, una delle risorse principali per l’economia della città, era possibile senza aggravare i problemi, che la scelta di un nuovo sito, più distante, poteva comportare. Ai piedi della collina, ad est, la vasta area pianeggiante esistente poteva essere sfruttata per lo svolgimento della Fiera, che sappiamo, dopo un anno di sospensione, si svolse regolarmente a partire dal 1694422. Dal sito, infine, era possibile vedere la vecchia città distrutta dal terremoto, e ciò avrebbe reso il trasferimento dei cittadini, da un punto di vista emotivo, meno traumatico. Varie ricognizioni e l’osservazione diretta sul colle, effettuate prima dei lavori di costruzione del nuovo ospedale, hanno rilevato la presenza di numerosi cumuli di antichi blocchi squadrati, di calcare e di pietra bianca, con tagli, modanature e riseghe. Si tratterebbe, verosimilmente, dei materiali provenienti dalla città distrutta dal terremoto del 1693 e portati, dai Lentinesi, sul poggio San Pietro per ricostruire la nuova città. Erano presenti, inoltre, numerosi frammenti di ceramica, di 422
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Libro Rosso Comune di Lentini. PISANO BAUDO SDL, III, p. 19.
tipo refrattario, di colore bruno nerastro e di maiolica da mensa, di colore bianco con decorazioni di colore azzurro, databile intorno al XVII secolo. Dalla scelta di questo luogo, come si può facilmente intuire, sarebbero stati avvantaggiati soprattutto i pescatori del Biviere, in quanto il poggio, rispetto alla vecchia città, era più vicino al lago. I pescatori, a differenza di altre categorie di artigiani, erano l’unica corporazione che poteva continuare ad esercitare la propria attività anche se la città non era stata ancora ricostruita. E’ probabile che, per tutto l’inverno del 1693, il pesce abbia costituito la principale risorsa alimentare dei Lentinesi, contribuendo non poco ad accrescere l’importanza di questa corporazione423. Ciò spiegherebbe perché la chiesa di Sant’Andrea, protettore dei pescatori e patrono della corporazione, fosse stata già ultimata nel 1694424 quando le altre chiese, compresa la Matrice, erano state appena iniziate.
Biviere, chiesa di Sant’Andrea. 423 La corporazione dei pescatori e più tardi dei pescivendoli, ha rappresentato per Lentini una categoria sociale molto attiva nella vita della città. Famoso era lo spettacolo pirotecnico offerto, sino alla metà del secolo scorso, dai pescatori, il 10 Maggio, in occasione della festa del santo patrono di Lentini. 424 La chiesa, che attualmente è nella proprietà dei principi Borghese, nei pressi del bacino prosciugato del Biviere, reca sulla facciata, sotto la croce, la data del 1694.
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La città
Le città ricostruite ex novo e/o in nuovi siti, dopo il terremoto del 1693425, si possono idealmente dividere in due gruppi: le città a pianta poligonale, come ad esempio Avola e Grammichele426 e le città cosiddette a “griglia”, con una o più strade principali parallele e una serie di strade perpendicolari come ad esempio Noto427, Catania428, Francofonte429, Scordia430, Comiso431 ecc. Per il primo tipo di città era presupposto necessario la presenza di una ampia area pianeggiante dai confini ben precisi. Il secondo tipo di città si poteva costruire anche sulle pendici di una collina, che tra l’altro consentiva una sistemazione scenografica degli edifici su diversi livelli paralleli. A Lentini, vista la particolare conformazione del terreno che, tra l’altro, è molto simile alla collina delle Meti su cui fu ricostruita Noto432, è molto probabile che fra’ Angelo Italia progettasse una città “a griglia”433. Si può pensare che la nuova Lentini, nei progetti dell’architetto, doveva essere una città con edifici monumentali, che avrebbero dominato gli spazi urbani antistanti e le case dei cittadini meno abbienti434. Nella pianta, la nuova città, presumibilmente, doveva presentare una via principale rettilinea e pianeggiante, che attraversava in senso nord-sud la parte mediana del poggio San Pietro e una, o più verosimilmente, come per Noto, due piazze principali. Questo schema in fondo riprendeva la vecchia suddivisione urbana e sociale della città distrutta, con una piazza antistante la cattedrale di Santa Maria la Cava, una piazza del mercato, che nella vecchia città era antistante la chiesa dei 425 BOTTARI 1958; BOTTARI 1964, LOJACONO 1964; CARACCIOLO 1964; GUIDONI MARINO 1977. 426 Su Grammichele cfr. GUIDONI MARINO 1980, pp. 407- 441. 427 Sulla architettura di Noto, cfr. CANALE 1976. 428 BOSCARINO 1966. DATO 1983. 429 GAUDIOSO 1969. 430 BOSCARINO 1981. 431 BOSCARINO 1981. 432 DUFOUR-RAYMOND 1990, fig. 11. 433 Alcune fotografie agli infrarossi, fatte prima della realizzazione del nuovo ospedale, hanno proprio rilevato l’esistenza di una griglia di strade ortogonali sul colle. 434 La spettacolarità del paesaggio urbano qui, come a Noto e nelle altre città ricostruite dopo il sisma, sarebbe stata data dal contrasto tra la diversa tipologia degli edifici.
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santi Alfio, Filadelfo e Cirino e la via delle Corporazioni o delle Maestranze435 come asse viario principale della città e di collegamento tra le due piazze. In questo schema urbano, le facciate delle chiese e degli edifici più importanti erano orientate verso est e le case delle corporazioni erano costruite a destra e a sinistra della strada principale. Essendo i lotti distribuiti gratuitamente dal Senato, alla loro assegnazione, ogni chiesa, ordine religioso o semplice capo famiglia doveva partecipare secondo principi gerarchico-sociali. La scelta dei lotti da assegnare per la costruzione delle chiese spettava per prima alla Matrice di Santa Maria la Cava e poi alle altre chiese. I conventi dovevano probabilmente essere costruiti prevalentemente nella parte alta della collina, tra le chiese e le case principali e in siti “[…] non contigui alle
Noto, Planimetria di fra Angelo Italia. 435
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piazze ne remote dall’abitato […]”436. I lotti per la costruzione delle case dei nobili dovevano essere distribuiti secondo il ruolo che le famiglie patrizie occupavano nella vita sociale. Esse sarebbero probabilmente sorte, come è facilmente immaginabile, vicino ai centri del potere civile e religioso: la casa del Senato, la chiesa Madre o la sede della milizia regia. Gli artigiani avrebbero preferito i lotti intorno alla chiesa di cui seguivano il culto o alla casa della corporazione alla quale appartenevano o nei pressi di luoghi idonei allo svolgimento delle loro attività: la piazza del mercato o l’area della fiera. La parrocchia di San Luca, l’unica delle parrocchie preesistenti in città, che verrà ricostruita nel vecchio sito dopo il 1696 e le case dei suoi parrocchiani, appartenenti principalmente alle classi più povere, dovevano occupare, come nella città distrutta, la parte più vicina al luogo dove si sarebbe svolta la fiera, nel nuovo schema urbano la parte più ad est della città, posta nella parte inferiore del colle. La presenza di una parte bassa della città occupata da famiglie povere è attestata in un documento conservato all’archivio Comunale di Lentini, dove si fa riferimento ad “[…] Alcuni mal avveduti cittadini di codesta havessero eletto per sito di loro habitazione la parte bassa della città.... rispondevano non poterlo ottenere ad altra miglior parte […]”437. Queste case povere438, che dovevano aprirsi su un’area comune interna, caratterizzeranno, dopo la decisione di ricostruire lentini là dove sorgeva prima del terremoto, il quartiere di San Paolo439. Il voler riprendere urbanisticamente la vecchia suddivisone sociale aveva come indubbio vantaggio la possibilità di far ritrovare, in breve tempo, alla popolazione, i punti di riferimento della vita sociale e pubblica, infatti mantenendo invariato il rapporto e la posizione tra e degli edifici, delle piazze, delle chiese, della casa della corporazione, del luogo del mercato, ecc. l’inserimento e l’adattamento alla nuova realtà si rendevano automatici e, nel caso della ricostruzione di una città dopo un terremoto, anche meno traumatici. 436 Lettera del Vescovo di Siracusa ai Giurati di Noto del 9 Maggio 1693 con le norme che le case degli ordini religiosi devono seguire per la scelta dei lotti e la costruzione degli edifici. 437 ACL. Lettera del Duca di Camastra, del 21 Giugno 1695, al Senato di Lentini. 438 Si tratta delle comuni case rurali della Sicilia orientale. Cfr. PECORA 1959, p. 102; PECORA 1973, pp. 277-336; DUFOUR 1985b. 439 Sui quartieri e la toponomastica di Lentini cfr. VALENTI 1991.
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Il ruolo della Chiesa
Leggendo i pochi documenti custoditi negli archivi locali non appare chiaro quale sia stato il ruolo e la posizione della chiesa e più segnatamente del clero di Lentini nelle vicende connesse al terremoto del 1693. Non sappiamo se tutto o parte di esso fosse favorevole a costruire la città altrove, quale sia stato il suo ruolo sulla scelta del nuovo sito e quale posizione assunse quando il Senato della città, dopo aver scelto di ritornare nel vecchio sito, decise di opporsi alla volontà del vicario generale. E’ difficile credere, che il numeroso clero secolare e i religiosi degli ordini monastici presenti nella città440 assistessero passivi alle vicende connesse con la ricostruzione, anche perché la Chiesa nei centri colpiti dal terremoto svolse un’opera di aggregazione sociale notevole e, già prima dell’arrivo del vicario generale preposto alla ricostruzione, il clero aveva organizzato e riunito i cittadini441 intorno alle immagini sacre e alle reliquie dei santi. Successivamente, come ad esempio a Noto442, contribuirà non poco alla ricostruzione della città e alle relative scelte urbanistiche ed architettoniche443. Anche a Lentini, come abbiamo visto, la Chiesa riunì ed organizzò il popolo. Anche se le feste dell’Annunziata e dei santi Martiri non furono celebrate, il 20 Maggio si celebrò regolarmente il Corpus Domini444. Successivamente, il duca di Camastra si servirà delle immagini sacre e dell’attaccamento dei lentinesi verso le reliquie dei santi per convincerli a trasferirsi sul poggio San Pietro. Organizzò, pertanto, una solenne processione al suono di tamburi e di trombe e di musici impiegati per la circostanza, allo scopo di accompagnare la traslazione delle reliquie con la solennità imposta dalla presenza del Santissimo Sacramento. Sul colle fece costruire una cappella per la loro custodia. Questa cerimonia aveva un ulteriore significato: consacrare ufficialmente il luogo dove sarebbe sorta la nuova città. Il percorso della processione 440 E appena il caso di ricordare che Lentini, prima del terremoto annoverava ben otto parrocchie e numerosi conventi. 441 Fondamentale è l’opera di aggregazione sociale svolta dalla chiesa nelle città distrutte del Val di Noto, a Catania come a Siracusa, a Noto, Lentini, Vizzini ecc. Cfr. DUFOUR 1981. 442 DUFOUR-RAYMOND 1990, p. 35 e sgg. 443 DUFOUR 1981. 444 ACM, vol. 23 delle scritture del Capitolo dell’ex cattedrale.
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diventava, dunque, il mezzo per stabilirne il perimetro e il percorso delle strade principali e per definire gli spazi comuni445. Limitare il ruolo della chiesa locale solo a mero esecutore degli ordini del vicario generale, è, però, riduttivo. Le continue dispute tra il clero delle principali chiese della città, quella di Santa Maria la Cava e quella dei Santi Alfio, Filadelfo e Cirino, che sicuramente coinvolgevano anche i fedeli446, avranno contribuito, dapprima, a chiedere al vicario generale di far ricostruire Lentini in un altro luogo e, successivamente, all’abbandono del poggio San Pietro e alla richiesta di tornare sul vecchio sito447. E’ probabile che, dopo l’unificazione, subita più che voluta, nel 1694-95, dei due Capitoli, il clero ed i fedeli della chiesa dei santi martiri Alfio, Filadelfo e Cirino sperassero di far prevalere nel nuovo sito il culto dei tre Santi Martiri. La devozione verso i tre Santi Martiri, a partire dalla seconda metà del secolo precedente, era cresciuta sino a far venire meno il culto e il prestigio della chiesa di Lentini, chiesa Madre, i tre Santi. Santa Maria la Cava448. LEVY e SEGAUD 1983. Le dispute tra il clero delle varie chiese di Lentini sono attestate già a partire dai primi anni del XVI secolo. Per una sintesi sulle controversie, cfr. VALENTI 1992b, dove è riportato il “Sommario di tutte le sentenze proferite da diversi tribunali sopra le giurisdizioni del Reverendo Capitolo della Collegiata di Lentini e del Reverendo Archidiacono di quella come prima dignità”, Palermo 1764. 447 La storia della chiesa di Lentini presenta per tutto il ‘500 un lento ed inesorabile processo di trasformazione, molto probabilmente legato alla lunga e tormentata crisi economica che la città attraversa in quel periodo. Questo processo culminerà, nei primi anni del XVIII secolo, nella costruzione della nuova chiesa Madre e l’instaurazione di un nuovo ordine gerarchico all’interno del clero e tra le varie chiese. 448 La chiesa ed il culto di Santa Maria la Cava erano sostenuti principalmente dalla locale aristocrazia, la cui ricchezza era basata sullo sfruttamento agricolo di ampi feudi. La crisi dell’agricoltura, che a partire dalla seconda metà del XVI secolo colpisce tutta la Sicilia, porta all’impoverimento di questa classe sociale e all’abbandono della città, facendo venire meno anche le entrate della chiesa Madre. La classe artigiana, che seguiva invece il culto dei tre Santi Martiri, risentirà meno della crisi economica, continuando a sostenere la chiesa dei Santi Alfio, Filadelfo e Cirino ed il loro culto, che nel frattempo diventerà quello principale della città . 445 446
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Successivamente, quando sul poggio San Pietro si cominciò a costruire la chiesa Madre449, probabilmente il clero ed i fedeli della chiesa dei Santi Alfio, Filadelfo e Cirino, non ritenendosi soddisfatti, si opposero e propugnarono il ritorno nel vecchio sito. Queste controversie si trascineranno anche dopo l’abbandono del poggio San Pietro, nel 1696, quando si dovette scegliere nella vecchia Lentini il luogo dove costruire la nuova chiesa. Appare evidente che la scelta del sito ne avrebbe influenzato anche le possibilità economiche, le cui rendite erano basate in gran parte su offerte dei fedeli e gabelle su immobili siti nel centro urbano, ed inoltre avrebbe potuto contribuire al prevalere di uno dei due culti. Dovette intervenire con tutta la sua autorevolezza il vescovo di Siracusa, Asdrubale Termini, per far riappacificare il clero delle due Collegiate, decretando l’unione dei due capitoli e di tutti i privilegi delle precedenti chiese450 e disponendo che la nuova Matrice sorgesse nell’area occupata dalle rovine della chiesa dei Santi Alfio, Filadelfo e Cirino con il titolo di “Chiesa Madre di Santa Maria la Cava e dei Santi Alfio, Filadelfo e Cirino della città di Lentini”, ponendo così fine alle dispute451. Il fallimento
Non dovette essere facile, per il duca di Camastra, a giudicare dai continui richiami all’osservanza delle norme prescritte ai deputati alla ricostruzione e al Senato di Lentini, che probabilmente non aveva parere unanime nelle sue decisioni, attuare tutte le norme previste per l’assegnazione dei lotti e per la costruzione degli edifici. Si può ragionevolmente pensare che proprio questa cronica inosservanza delle norme sia stata la principale causa che motivò l’abbandono del progetto di fra’ Angelo Italia e il conseguente ritorno sul vecchio sito. Classi sociali, clero, ordini religiosi, tutti avevano di che lamentarsi o da proporre modifiche. Tutta la corrispondenza tra il vicario genera-
PISANO BAUDO SDL, III, p. 19. PISANO BAUDO SDC, p. 140 e sgg.; PISANO BAUDO SDL, III, pp. 24-30. 451 Si veda il portale della attuale chiesa Madre che reca in alto l'effige della Madonna e dei tre Santi Martiri. Lo stemma del vescovo Asdrubale Termini è, invece, nella parte mediana a sinistra della facciata. 449 450
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le ed il Senato della città, tra la fine del 1693 e il 1695, è caratterizzata da continui richiami all’osservanza del progetto di fra’ Angelo Italia e alla risoluzione delle controversie tra il clero contro i nobili o il popolo, tra i privati cittadini contro il clero o verso il popolo, tra gli ordini religiosi contro i nobili, tra i Il duca di Camastra. mercanti contro gli ordini religiosi, ecc. Tutti lamentano ingiustizie, disuguaglianze, mancati introiti. Appare evidente, anche se non espressamente dichiarato, che ciò è causato dal prevalere degli interessi privati sugli interessi della città, anzi è proprio la città da ricostruire la causa di tutti i guai. Il mancato accoglimento delle “giuste” proteste o delle modifiche proposte al progetto originario porta alla sfiducia verso l’ordine costituitosi nella nuova città. La distribuzione dei lotti, che a molti dovette sembrare poco conveniente452, la mancanza di nuove prospettive di vita, il prevalere dei vecchi egoismi, il voler fare a tutti i costi i propri interessi a scapito della collettività fecero sì che il Senato, nel 1696, chiedesse ed ottenesse, dal Tribunale del Regio Patrimonio, di ritornare sul vecchio sito. La ricostruzione che il viceré e il vicario generale, dopo aver effettuato i primi interventi d’urgenza, avevano demandato alle amministrazioni delle singole città, qui non fu realizzata secondo gli schemi previsti. Lentini non aveva una vera e propria classe politica, sufficientemente forte, che potesse prendere in mano le sorti della città, a differenza di Noto, dove la potente famiglia Landolina in città deteneva il potere, o di Avola e Grammichele, città baronali, rette da un forte potere centrale, che decideva e disponeva senza tener conto della volontà dei cittadini. 452 La distribuzione dei lotti era stata fatta, probabilmente, tenendo conto solo dei titoli in possesso delle famiglie e non considerando le effettive condizioni di reddito. E' evidente, quindi, che un artigiano, anche se in possesso di un reddito superiore, doveva scegliere il suo lotto dopo un nobile decaduto. Questo dovette suscitare il malcontento di gran parte degli artigiani, che costituivano la classe economica portante della città.
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La ricca e potente aristocrazia, che in tutte le città ricostruite della Val di Noto, si assumerà l’onere di soprintendere alla ricostruzione, a Lentini era andata via da circa mezzo secolo. Le più prestigiose famiglie lentinesi sono emigrate altrove, in gran parte nella vicina Catania e, i neo ricchi, per loro formazione culturale, sono troppo presi a consolidare il loro potere per pensare ad un’opera così “rivoluzionaria”, come costruire una nuova città, con tutte le innovazioni anche sociali che essa comportava. Il clero a sua volta era troppo preso da dispute interne e difficilmente avrebbe potuto svolgere quella funzione di mediatore tra le parti o di centro di potere temporale, che altrove svolgerà con efficacia. La mancata realizzazione della nuova città sarà stata causata dell’assenza di una forte volontà politica e di un forte potere centrale. Lentini perse l’occasione per diventare una nuova città o forse per diventare veramente città. La rivoluzione nelle scenografie urbane e nell’architettura portata dal Barocco, non essendoci classi sociali in grado di comprenderne pienamente la spinta innovativa, che essa comportava, passerà lontana da questi luoghi. L’ingegnere Formenti453, già aiutante di Grunenberg, architetto militare al servizio del viceré Uzeda, preposto alla stesura del nuovo piano regolatore nel vecchio sito454, forse memore di quanto era accaduto negli anni precedenti, si limitò a raddrizzare qualche strada del vecchio schema urbano e ad allargare la piazza del mercato. I Lentinesi erano persone troppo suscettibili e fonte costante di preoccupazione per la corona, per poter proporre troppe innovazioni. Doopo i tre anni passati sul Poggio San Pietro, Lentini fu quindi ricostruita sul precedente sito e utilizzando in sostanza il precedente schema urbano di origine medievale. Le tre città progettate nel Val di Noto da fra’ Angelo Italia (Avola, Lentini, Noto), avranno destini diversi. Avola con la sua pianta poligonale rappresenterà, almeno negli intenti, la città perfetta. Noto verrà ricostruita sul nuovo sito e con una impareggiabile forma urbana, in cui le ricche facciate dei palazzi e delle chiese formano una sorta di scenografia architettonica, che fa da sfondo alla vita quotidiana. Lentini, urbanisticamente, verrà ricostruita con la stessa “confusione” nota agli Su questo ingegnere si veda, DUFOUR 1991. ACL, Bando del Senato del 6 Marzo 1696, che ordina l’abbandono del poggio San Pietro e il ritorno sul vecchio sito. 453 454
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storici ed agli eruditi del Cinquecento. Essa rimarrà solo un grosso borgo agricolo, un insieme di masserie urbane455 costruite intorno alle chiese, alle piazze, alle case dei nobili, ai monasteri. La classe dirigente di allora non seppe o non volle sfruttare l’occasione che si era presentata “propizia”per dare alla città una nuova immagine e anche un nuovo ordine morale e sociale. Della pianta di fra’ Angelo Italia si perse ogni traccia; si volevano, probabilmente, evitare ripensamenti da parte del viceré e del vicario generale456. Il toponimo “poggio San Pietro” scomparve, probabilmente da quel momento, dalle carte ufficiali. Una sorta di “damnatio memoriae” scese sugli anni passati sul Poggio San Pietro e su quie lontani avvenimenti e per molti e come se esse non fossero mai accaduti.
455 Il termine, anche se può sembrare improprio, compare nella relazione allegata al Piano Regolatore della città redatto da F. MARESCOTTI, C. PELLEGRINO ROSSI e D. SANFILIPPO. 456 Il duca di Camastra nella relazione (conservata nell’Archivio Generale di Simancas) fatta al Viceré per illustrare quanto fatto per la ricostruzione delle città del Val di Noto, per Lentini alla fine scriveva: “…Vadano al diavolo loro e la loro stramaledettisima città”.
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156
INDICE
5
Premessa
9
Bizantini e Arabi
7 23 31
117
139
Introduzione
Il medioevo Dai Normanni a Federico II Et nomine et armis
Il terremoto del 1693 Bibliografia
Finito di stampare nel Maggio 2008 Publisicula Industria Grafica Editoriale - Palermo
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