MENELIK. L'ITALIA E L'ETIOPIA

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Vico MANTEGAZZA MENELIK L'ITALIA E L'ETIOPIA Dieci anni di politica coloniale GI' Italiani allo Scioa 66 8. 0 e Menelik e le donne . Negus Neghesti?! . 10 SENZA FRETTA SENZATREOVE La rottura con l'Italia 06 30 . L'esercito Abissino L'accordo anglo - franco - italiano Milano L'Imperatrice Tajtù .. 46 Libreria Editrice Milanese Ai confini dell'Eritrea 00 2 . 36 1910 Aspettando gli avvenimenti 6 . c

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L'ITALIA E L'ETIOPIA

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DEL MEDESIMO AUTORE

Due mesi in Bulgaria. Con ritratti e incisioni. Milano, Fratelli Treves (1886) . L. 4, Da Massaua a Saati. Con 74 incisioni. Milano, Fratelli Treves La guerra iu Africa. Pag. 500, con illustrazioni. Firenze, Succ. Le Monnier (1890) 4,--L'assedio di Macalle. Con illustrazioni. Firenze, Succ. Le Monnier (1896) . 4, Al Montenegro. Con illustrazioni. Firenze, Succ. Le Monnier (1908) 2,50 Macedonia. 41 incisioni e 1 carta. Milano, Fra telli Treves (1903) . 4, L'altra sponda. 500 pagine con illustrazioni. Mi lano, Antongini e C., ora presso F.lli Treves . 3, Il Marocco e l'Europa, con 62 incisioni e 2 carte. Milano, Fratelli Treves (1906) . 5, Il Benadir. Con 33 incisioni e 3 carte. Milano, Fra telli Trives (1908)

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La Turchia liberale e le Questioni Balcaniche. Con 48 incisioni. Milano, Fratelli Treves (1908) . 6, Questioni di Politica Estera. Con 23 incisioni. Mi lano, Fratelli Treves (Anno 1, 1907) 5, Questioni di Politica Estera. Con incisioni. Milano, Fratelli Treves (Anno II, 1909)

Questioni di Politica Estera. Con 28. incisioni. Mi lano, Fratelli Treves (Anno III, 1908) 5 , Agli Stati Uniti. Con 33 incisioni . Milano, Fratelli Treves (1909) .

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Note e ricordi. Con ritratto. Milano, Libreria Edi trice Milanese (1910) 4,....

MENELIK

Vico MANTEGAZZA
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II I. L'esercito
10 L'accordo
Milano L'Imperatrice
I. I I 10 Libreria Editrice Milanese Ai
1910
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L'ITALIA E L'ETIOPIA Dieci anni di politica coloniale
Italiani allo Scioa I.
Menelik e le donne . .. 10 Negus Neghesti ? ..
rottura con l'Italia
Abissino ..
anglo - franco - italiano -
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confini dell'Eritrea
Aspettando gli avvenimenti

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Tipografia Oliva & Somaschi Via Solferino 12, Milano,

Gli avvenimenti che si preparano in Africa ri chiamano un'altra volta l'attenzione del pubblico sulle nostre Colonie, e, ad un libro come questo che presentiamo ai lettori, il successo non puòman care, sia per il suo carattere d'attualità, sia per il nome del suo autore, Vico Mantegazza, la cui competenza nelle que stioni coloniali e di politica estera è universal mente riconosciuta, e i cui scritti hanno spesso una CC ) anche al di la dei confini, si è occupato con grande passione di tutto ciò che riguarda le nostre colonie, e da molti anni ha sempre preso parte alle polemiche che in varie circostanze si sono svolte a proposito dell' Eritrea e del Benadir. Ed anche alla ~ Camera, del resto, quando vi si discute la nostra politica coloniale o si parla della questione d'Oriente il suo nome è citato dagli oratori che nei suoi libri su queste due questioni trovano argomenti per di fendere le proprie idee o per combattere quelle de gli avversari. Nessuno meglio del nostro autore avrebbe po ditulo traltare un argomento che, oggi, interessa così

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viramente il nostro paese. Per quanto una parte di questo volume non sia nuova, giacchè l'autore ha creduto di servirsi in alcuni capitoli di pagine già pubblicate nei suoi precedenti lavori oggi esau riti (1), gli avvenimenti che si sono succeduti in questi ultimi anni, e la situazione da essi creata è descritta in modo così chiaro ed efficace da renderlo un libro del più vivo interesse e la cui lettura e in dispensabile per tutti coloro che vogliono seguire lo svolgersi degli avvenimenti, rendendosi conto delle loro cause e dei loro effetti. Alcuni documenti dai quali l'autore ha credulo di far seguire alcuni capitoli, la cronologia della Eritrea ed il piccolo elenco di parole amariche, fanno di questo nuovo volume di Vico Mantegazza anche un libro di consultazione.

GLI EDITORI.

(1) La guerra in Africa e l'assedio di Macallè. Due V ... lumi pubblicati a Firenze dai Succ. Lemonnier.

DI

I.

DIECI ANNI DI POLITICA COLONIALE. PRIMA DI ADUA.

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Dopo il Congresso di Berlino Il movimento per l'espan sione coloniale in Lombardia Depretis e la politica co loniale L'on. Mancini I nostri bersaglieri a Mas saua Il primo passo Dogali La Spedizione San Marzano A Saati col generale Baldissera La Francia e la Russia contro di noi - Impreparati! Po litica Tigrina e politica Scioana Lo sdegno del povero Toselli Menelik getta la maschera La rivolta di Batha Agos Il convegno al Mareb Mangascià Gli incoraggiamenti dell'Inghilterra Inghilterra e Italia

Il pa --

Il protocollo del 1891 Un punto oscuro Navi da guerra russe a Obok Le manifestazioni dell'accordo russo -francese Il riserbo della Gran Bretagnatriottismo francese Per la rivincita L'azione dei francesi alla Corte di Menelik Isolati ! La morte di Re Giovanni Dopo Amba Alagi Una lettera di Toselli. .

Complessi e vari, in modo che sarebbe assai dif licile l'indicarli tutti, furono i moventi che spin sero il giovane Regno d'Italia nella via delle Im prese coloniali. All'Italia, assurta da poco alla dignità di Grande Potenza, sembrava sarebbe stato menomato il suo prestigio in Europa, se non avesse seguito le altre polenze nella via delle imprese coloniali, nelle quali non era parso vero di lanciarle alla politica del Gran Cancelliere germanico, lieto che un tale diversivo allontanasse l'attenzione dell'opinione pubblica dalle questioni europee. D'altra parte, in questa corsa sfrenata delle potenze europee alla ricerca di colo nie in Africa e in Asia, l'Inghilterra vedeva un pe ricolo per sè, ove, vicino ai suoi possedimenti, si stabilissero le nazioni con le quali essa aveva già al tre ragioni di conflitto, ed è quindi naturale fosse insistente da parte sua l'incoraggiamento a noi di occupare quei punti dove, la Francia per esempio, avrebbe potuto crearle difficoltà, mentre nulla aveva a temere da parte nostra pei suoi commerci e pei suoi disegni avvenire.

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Eppoi, noi eravamo usciti male dal Congresso di Berlino, col quale tutte le altre Potenze avevano finito per guadagnare qualche cosa, mentre l'Italia, con la famosa politica delle mani nette, aveva dovuto mandar giù il boccone amaro di Tunisi. Avevamo. risposto con un rifiuto alla proposta dell'Inghilterra, d'intervenire con lei nella questione d'Egitto, e ci eravamo poco dopo accorti dell'errore commesso.. Avevamo perduto per la attitudine nostra al Con gresso di Berlino, e per quel rifiuto, ogni influenza, precisamente in quei paesi della costa settentrionale africana, dove, per antica tradizione e per il nu mero dei connazionali stabilitivi, avevamo avuto fino allora una posizione preponderante.

L'idea di poter fare sventolare la nostra ban diera in altri punti della costa africana, di aprire nuovi sbocchi al nostro commercio, checchè da ta luni se ne sia detto dopo, nel periodo delle disil lusioni, sorrideva allora a tutti; e l'opinione pub blica, senza eccezioni, si manifestò favorevole a si mili iniziative. Contribuiva a rendere popolare una impresa di questo genere, specialmente nel Mar Rosso, il fatto, che, su quelle coste, pionieri di civiltà erano stati dei viaggiatori italiani, spingen dosi nell'interno con brillanti e ostinate esplora zioni. Pareva che, su quella parte dell'Africa, l'Italia avesse un diritto incontestato, perchè il sangue di parecchi nobili suoi figli vi era stato versato. Può, a questo propostito, sembrare strano che per l'appunto quella regione, nella quale la politica coloniale fu dopo con maggior vivacità combattuta, sia stata al lora all unisono con tutto il resto d'Italia. Ma era

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L'anno degli ardimenti 5 per l'appunto in Lombardia che si coltivavano con maggiore amore gli studi africani, che fiorivano a questo scopo delle società, che si pubblicavano gior nali, caldi fautori dell'espansione coloniale, e che, passando dallo studio alla pratica, si incoraggia vano e si organizzavano le spedizioni africane. Erano lombardi il Porro che doveva finire così tra gicamente, il Casati, il Camperio, il Vigoni, l'Arco nati-Visconti e non pochi altri.

Era naturale quindi che, quando al principio del l'anno 1883, un giornale, allora ufficioso del Ministro degli Esteri, uscì, annunziando che quello sarebbe stato l'anno degli ardimenti, lasciando intravedere con tali parole l'annunzio di qualche novità in quel senso, l'opinione pubblica accogliesse questo annunzio con manifesti segni di compiacimento e salutasse, pochi mesi dopo, con entusiasmo, la par tenza dei nostri bersaglieri per Massaua.

Mostrarono di aver completamente dimenticato come furono iniziati questi primi passi della nostra espansione coloniale, coloro i quali dissero poi che quella spedizione non fu popolare e da una parte del paese non approvata.

Il vero è, che, tutti d'accordo, il paese e il Parla mento che ne interpretava il sentimento, senza che alcun uomo politico ne dissentisse, videro con sod disfazione il Governo mettersi su quella via, e apri rono il cuore alla speranza che nuovi orizzonti si schiudessero all'Italia.

Sventuratamente allo slancio con cui l'Italia entrava ultima in questa corsa delle Potenze per la conquista di colonie africane, non corrispondeva,

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nè per parte del Paese, nè per parte del Governo, la preparazione necessaria.

Non era uomo adatto a condurre a buon fine simili imprese, il Presidente del Consiglio Depretis, ormai vecchio e tutto assorto nella vita parlamen tare, a tenere a freno con mille mezzi e ripieghi in gegnosi le maggioranze recalcitranti che dovevano sostenerlo e non vedendo mai nulla al di là di quel ristretto ambiente, che apparteneva a un'altra ge nerazione e non comprendeva le aspirazioni dei tempi nuovi. Era sempre stato ostile all'idea che l'I talia dovesse mettersi in un'impresa coloniale qual siasi. Fu, si può anzi dire, il solo che non si lasciò abbagliare dal miraggio delle conquiste coloniali, e cedette a malincuore dinanzi alla corrente generale, che per quella strada voleva trascinare il Governo. Ebbe col Mancini vivaci dispute, e coloro che hanno seguito le vicende parlamentari e politiche di quei tempi, ricordano ancora lo strano spettacolo offerto per un pezzo da due giornali, ispirati l'uno dal Pre sidente del Consiglio, l'altro dal Ministro degli Esteri, i quali polemizzavano vivacemente fra loro l'uno contro, l'altro a favore della politica coloniale. Nè molto più adatto era il Ministro degli Esteri, l'on. Mancini spinto a quella poltica, forse più dal desiderio di cancellare con qualche cosa di nuovo il ricordo dell'errore commesso col rifiuto opposto alle offerte dell'Inghilterra relativa all'Egitto, che da un concetto chiaro e stabilito dell'obiettivo a cui doveva tendere l'Italia, e dei mezzi necessari a rag giungerlo.

Per cui l'impresa fu come abbandonata al caso.

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Gli studi geografici, specialmente per quanto ri guarda l'Africa, erano patrimonio di pochi. Anche nelle classi colte, nessuno, o quasi, sapeva qualche cosa intorno ai paesi che hanno i loro sbocchi al mare sulle coste del Mar Rosso. È rimasto celebre, o per meglio dire, è diventato tale dopo, perchè nes suno ne aveva rilevata prima l'incongruenza, l'or dine dato, fra le altre istruzioni al colonnellý Saletta, di fare, possibilmente, una punta su Cartum !!! E l'ordine era stato dato, o passato al Saletta, dal Mi nistro degli Esteri. Ancora dopo Dogali, l'on. De Zerbi in un brillante articolo sulla nostra situazione in Africa, parlava di Saati (a circa 150 m. sul livello del mare) chiamandolo : questo punto importante dell'altipiano Etiopico !!! Il Bonghi diceva quasi contemporaneamente alla Camera, che incendiando Saati e poi ritirandoci a Massaua, l'Italia avrebbe fatto quel che si era proposto di fare l'Inghilterra marciando su Cartum !!! Dal che si vede che nes suno dei tre sapeva dove fosse nè Saati, nè Cartum, nè la enorme distanza vi è fra Cartum e Mas saua .

Il Mancini non cessa per questo dall'essere stato un grande giureconsulto: il De Zerbi rimane egual mente, malgrado i suoi errori africani, uno dei più geniali e popolari scriitori di quest'ultimo periodo della vita italiana: il grandissimo ingegno e la va stissima mente del Bonghi rimarranno ugualmente indiscusse, incontrastate, anche se a quell'epoca non era riescito a formarsi un concetto molto chiaro di quel che era stata e degli scopi che aveva avuto l'azione dell'Inghilterra nel Sudan. Ma si com

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nostra ignoranza

prende di leggeri come dovessero essere scarse ed errate le nozioni della opinione pubblica intorno alla politica coloniale africana, se tre uomini superiori, sebbene per titoli diversi, ma che avevano tutti e tre, in maggiore o minor misura, un forte ingegno proteiforme e assimilatore, che seguivano le vicende politiche, potevano dire o scrivere tali cose, senza suscitare meraviglia (1). V'erano due modi, due indirizzi, dopo l'occupa zione di Massaua, da dare alla nostra politica co niale. O limitarsi a tenere Massaua come un'ipoteca sulle regioni che hanno il loro naturale sbocco a quel porto, perchè altri non potesse sostituire la propria alla nostra influenza, e cercare nello stesso Mar Rosso e nell'Oceano Indiano altri punti della costa da occupare con pochi sacrifizi, attendendo l'epoca nella quale sarebbe stato più opportuno oc cupare materialmente o assoggettare moralmente quelle regioni - ed era la politica seguita in molti casi dall'Inghilterra ; o far la guerra addirittura e, imponendo condizioni all'Abissinia, irradiare l'in fluenza nostra nelle ricche provincie del Sud, e assicurarci le vie commerciali.

Si può discutere, delle due, quale potesse essere, date le condizioni nostre, l'indirizzo più opportuno;

(1) Per più ampi particolari sulle origini della guerra d'Africa, sugli avvenimenti che precedettero la campagna, e sui combattimenti fino alla battaglia di Adua, vedere i due volumi: La guerra d'Africa e L'Assedio di Macalle di Vico Mantegazza (1906, Firenze, successori Lemonnier), ora quasi completamente esauriti e dai quali sono tolti pa recchi capitoli di questo libro.

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Il primo passo nell'interno 9 a

ma tanto l'una che l'altra avrebbero avuto un obiet tivo stabilito, e se la prima ci sarebbe costata poco, anche i sacrifici per adottare il secondo sistema sa rehbero stati infinitamente minori di quelli a cui ab biamo dovuto sottostare, quando la logica delle cose ci portò a quei successivi conflitti, che ci s'era illusi di evitare, chi lo sa, credendo forse che le nostre chiacchiere avrebbero convinto un popolo fiero e che ha delle tradizioni di indipendenza a darsi spon taneamente nelle mani nostre. Dei due sistemi non ne abbiamo seguito alcuno ed abbiamo scelto la via di mezzo. Dopo Massaua abbiamo voluto occupare le capanne di Saati costruite con la mota e con la paglia e i pozzi di Ua-à. Fino che eravamo rimasti a Massaua, un modus vivendi era possibile col ne gus Johannes. Col porto naturale dell'Abissinia del Nord in mano, potevamo, fino a un certo punto, det tar la legge e domandare dei compensi, almeno com merciali, in cambio dei favori che potevamo fargli, agevolando al Negus lo scarso commercio del suo paese. Ma una volta fatto il primo passo nell'interno, si capisce come, malgrado tutte le platoniche assi curazioni nostre, il Negus (1) per la sua dignità, per il suo prestigio, non potesse tollerare con indiffe renza atti che avevano un carattere di usurpazione da parte nostra. La catastrofe di Dogali richiamò pur troppo l'at tenzione pubblica sull'Africa, e sotto la dolorosa im (1) Il Negus Giovanni.

pressione di quell'eccidio, l'opinione pubblica fu concorde nell'approvare il Governo che si disponeva alla guerra, preparando la spedizione San Marzano. Nel Paese come nella Camera, non una voce di scorde. Ma anche in quella circostanza l'imprepa razione del Governo e del Paese a simili imprese influi sull'esito negativo di quella spedizione che costò all'Italia, senza se ne ottenesse il menomo risultato, parecchie diecine di milioni. La nervosità, l'impressionabilità del nostro Paese obbligarono il Governo a fissare egli stesso, da Roma, i limiti dell'azione nostra, cosicchè, mentre aj generali mandati laggiù si sarebbe dovuto lasciare mano li bera, da Roma se ne ostacolarono invece tutte le iniziative : si impedì persino che il generale Baldis sera con la sua brigata in avamposti facesse, come era stato stabilito, un facile e non pericoloso colpo di mano su Ghinda, che avrebbe sollevato il mo rale delle truppe depresso da una lunga inazione e che - avendo Ghinda a quell'epoca una certa im portanza ---- avrebbe avuto un qualche effetto in Ita lia e fuori. L'ordine di non farne più nulla arrivò al nostro campo(1), quando già tutto era preparato per partire dopo poche ore, e con una marcia not

(1) In qualità di corrispondente del Corriere della Sera e del Morning Post di Londra, aveva seguito il Corpo di operazione, partendo dall'Italia sul Gottardo, sul quale erano imbarcati un battaglione Cacciatori d Africa e il generale Genè. Iniziate le operazioni, insieme all'amico Dulio, che allora rappresentava la « Stefani » e fu poi Governatore del Benadir, ero stato aggregato alla brigata di avanguardia della quale aveva il Comando Baldissera. Uno dei due reg gimenti della brigata era comandato dal colonnello Bara tieri, diventato più tardi Governatore dell'Eritrea.

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Il plauso del paese 11

turna arrivare l'indomani sul far del giorno sotto Ghinda.

La ritirata precipitosa del Negus fu considerata una fortuna. Ci si rallegrò quasi, che dopo aver mandato in Africa un corpo di 20 mila uomini per far la guerra, la guerra non ci fosse stata ! Era inevitabile, fatale, che alla guerra o presto o tardi si dovesse venire. Il farla allora o poco: dopo, sarebbe stato assai meglio che il ritardarla, poichè allora, per un complesso di circostanze po litiche finanziarie e militari, eravamo in migliori condizioni noi, e la superiorità nostra sugli eser citi abissini assai maggiore, e quindi più facile e meno costosa la vittoria.

Invece, per lasciare andare la nostra politica coloniale in Africa secondo la fortuna, senza un. concetto prestabilito, senza un piano a cui coordi nare tutta la nostra azione, e per la debolezza dei Ministeri che si sono succeduti, noi ci siamo tro vati a questo : che la guerra si è dovuto farla lo stesso con maggiore sacrificio d'uomini e di de nari, dopochè risultò evidente l'inutilità dei sacri fici fatti poco alla volta nel corso di parecchi anni. Si iniziò, come ho detto, la nostra espansione co loniale in Africa col consenso e col plauso di tutto quanto il Paese : ma poi tutti i Governi, malgrado il Parl ento avesse sempre approvato tutto quanto per l Africa gli era stato chiesto, ed avesse anzi ac colto sempre con entusiasmo l'annunzio di qualche atto energico, hanno sempre esitato dinanzi all'idea di assumere la responsabilità di una politica e di un'azione decisa. Sono andati avanti a forza di pic

cole misure, di piccole responsabilità, di piccole ini zi tive, le quali sono state sterili di risultati, e non hanno evitato i sacrifici che logicamente dovevano un giorno o l'altro diventare non solo necessari, ma urgenti.

Un'azione a fondo, decisa a stabilire con solide garanzie un protettorato stretto, efficace e general mente più fecondo, almeno per un certo tempo, nelle imprese di questo genere, della vera e pro pria conquista, avrebbe qualche anno prima incon. trato assai minori difficoltà, sia per la diversa situa zione nella quale eravamo noi, sia per la situazione europea. Il ricordo di Tunisi recente, e il fatto del resto che in quella Reggenza la Francia non era ancora riuscita a ben consolidarsi, cosicchè noi po tevamo crearle non lievi difficoltà, obbligava questa nazione ad un certo riserbo e a non ostacolarci in Africa. Eppoi aveva troppe difficoltà interne per poter occuparsi di contrastare con attività l'azione nostra. Il boulangismo, lo strascico di disordini e di désarroi politico che ne era seguito, la instabilità dei ministeri che per un lungo periodo si succe dettero a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro, pa ralizzavano e i patriotti francesi ne muovevano lamento - l'azione e l'influenza sua al di là dei con fini. Per di più la Francia essendo allora isolata in Europa era naturalmente più guardinga. Alle avan ces fatte in mille modi alla Russia, questa rispon deva con molte cortesie, ma con gran riserbo, e senza fare nessun atto che potesse incoraggiare la Francia a un passo qualsiasi con la certezza di averla con sé. A nessuno era ancora venuto in mente

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che lo Czar di tutte le Russie potesse far suonare: dai suoi soldati la Marsigliese !!

Per quanto riguarda le nostre condizioni finan ziarie, eravamo nell'epoca nella quale credevamo di. poter spendere allegramente circa 300 milioni per linee ferroviarie inutili, per cui non sarebbe stato un grande sacrificio la spesa di qualche diecina di milioni per un'azione vasta in Africa che avesse lasciato intravedere buoni risultati (1). Mili tarmente, eravamo assai meglio organizzati e non lo erano punto gli abissini, ai quali Francia e Russia non avevano ancora cominciato a mandare con le armi gli ufficiali per insegnarne il maneggio. La vana speranza di allontanare un conflitto, la man canza di una direzione nella nostra politica colo

(1) « Questo commercio - scriveva nel mio volume La Guerra in Africa, pubblicato nel 1906 (Firenze, successori Lemonnier) e come si è veduto accadde precisamente tutto quello che era facile prevedere ove con la pace tornasse la sicurezza delle comunicazioni in quella regione, per diri gersi al mare -- indipendentemente da qualunque altra con. siderazione prenderebbe la via assai più comoda se non più breve di Suakim , punto che in previsione di questo av venire è considerato di speciale importanza dagli inglesi e da dove, per attirarvi ancora maggiormente il transito, sa rebbe certamente ripresa e in breve tempo compiuta quella ferrovia per mettere in comunicazione diretta Suakim e il mare con Berber, i cui lavori già iniziati furono sospes: quando nella imminenza probabile di un conflitto con la Russia per laquestione Afgana, il governo di Londra troncò a mezzo, richiamando improvvisamente il generale Gra ham , la campagna da questi così brillantemente iniziata contro Osman Digma » .

« Del resto, dopo il protocollo del 1891, con cui l'Inghil terra e l'Italia delimitarono la rispettiva sfera l'influenza in Africa, era chiaro, evidente, che da quella parte la no stra colonia non aveva avvenire, o almeno non poteva spe rarne che uno molto scarso, dato la concorrenza inglese

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niale, al conflitto ci hanno invece costretto ora, quando tutte queste circostanze favorevoli sono ces sate, e sono cresciute le difficoltà.

Al periodo degli amori platonici tra Francia e Russia, è seguito quello dell'alleanza. La Francia, non sentendosi più isolata, ma sorretta dalla potente alleata, ridiventò remuante in Europa e fuori; e quell'attività sua a nostro danno, fino allora paraliz .zata dall'isolamento nel quale si sentiva e dalle dif ficoltà interne, riprese vigore. Compiacendo essa tutte le mire della poltica russa nelle questioni bal caniche, n'ebbe in contraccambio la compiacenza e l'appoggio nella sua contro l'Inghilterra e contro di noi. Così, mentre la Francia repubblicana, nella cui capitale un cittadino diventato poi ministro, sa lutava nel 1867 lo Czar col famoso grido : Vive la Pologne, monsieur, consegnava all'alleata i nikilisti e, sacrificando il concetto della nazionalità, abban pel giorno in cui, interamente domato il madhismo, il Su dan fosse di nuovo aperto al Commercio. Quel giorno giova ripeterlo il Sudan tornerebbe di nuovo il Basso Egitto di una volta, ma in mano degli inglesi, ed anche quel po' di commercio che non prendendo la via più di retta, potesse andare da Cassala al mare avrebbe il suo sbocco naturale e più comodo in un porto anglo-egiziano, a Suakim. In quel porto cioè che l'Inghilterra, antiveden done l'importanza, non ha voluto cedere a noi, riemmeno quando si trattò di aiutare le sue truppe con una nostra colonna partente da Massaua in un'impresa per Cassala, la cittadella base di operazioni di Osman-Digma. Quando sopravvenute altre complicazioni, parve decisa per parte degli inglesi, e se ne parlò alla Camera dei Comuni, l'eva cuazione di quella città, delle trattative che v'erano state con l'Italia non fu tenuto alcun conto, ma fu offerto alla Sublime Porta di occuparla. Un presidio ottomano a Sua kim non comprometteva l'avvenire... » ,

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Alla morte di Negus Johannes 15 donava i polacchi al loro destino, e in Bulgaria si faceva pedissequa di quella politica che mirava a soffocare il sentimento nazionale bulgaro. La Russia a sua volta, mandava missionari in Abissinia, navi da guerra, ad Obok, dove non aveva alcun interesse diretto, ma solo per appoggiare, l'influenza francese su quelle coste. Nemmeno quando gli avvenimenti volsero a noi propizi siamo stati capaci di approfittarne. La morte improvvisa del Negus (1) ci trovò, come al solito, im preparati. L'impreveduto ed improvviso avveni mento poteva forse con una buona politica metterci in condizione di evitare, se non tutte le ostilità par ziali, almeno il grande conflitto contro tutta l'Abis sinia. Potevamo metterci in condizioni tali da es sere noi gli arbitri degli eventi. Invece, aperta la successione, non abbiamo saputo fare altro che aiutare con tutta la nostra influenza l'assunzione al trono imperiale del Re dello Scioa, inimicandoci a morte, per l'appunto, i nostri vicini del Tigrè che avremmo invece dovuto avvincere a noi, se si voleva davvero seguire una linea di condotta prudente e tale da evitare che in Africa sorgessero nuove dif ficoltà ed imbarazzi. Si voleva, e si diceva di volere, una poltica di raccoglimento che non andasse in cerca di nuove espansioni e di nuove avventure: si voleva insomma che l'Italia potesse badare alle cose sue, senza preoccupazioni per l'Africa, ed allora ab biamo pensato bene di tenerci amico lo Scioa lon

(1) Il Negus Giovanni mori a Metemma ma combattendo contro i derrisci.

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tano, e di inimicarci il Tigre ai nostri confini e Mangascià che era il più legittimo pretendente alla successione del Negus! Noi avremmo dovuto allora -- ma allora, quando Menelik aveva bisogno di noi e, senza di noi, non avrebbe potuto cingere la co rona imperiale imporre patti e condizioni con garanzie solide ed efficaci in mano nostra, perchè i patti fossero osservati, se proprio si voleva che dalla parte dello Scioa, col quale erano antiche le nostre relazioni, si spostasse l'asse dell'impero etiopico. Ma poi, giacchè, con la solita imprudenza, avevamo con tribuito a far diventare Menelik Negus di Etiopia, senza garantirci in alcun modo contro di lui, non dovevamo eccitare il sentimento di razza dei Tigrini i quali hanno sempre avuto un grande disprezzo per gli abissini del Sud e ai quali ripugnava la supre mazia scioana ,facendo la parte dei carabinieri per conto di Menelik nel Tigre, talchè v'è stato un pe riodo nel quale sembravamo noi i protetti dello Scioa anzichè i protettori. Alle prime velleità , ai primisintomi e non mancarono che fecero in travedere in Menelik il desiderio di sottrarsi alla in fluenza nostra, noi non dovevamo continuare in quella politica antipatica, che nel Tigre non poteva a meno di alienarci l'animo dei capi, come delle popolazioni, ostili per tradizione all'influenza degli scioani. Dovevamo servirci di Mangascià (1) per te nere a freno Menelik, come ci eravamo serviti di Venelik contro il Negus Johannes e, nello stesso

(1) Il figlio del Negus Giovanni.

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Residenza regale di Menelik ad Addis Abeba .

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TIPI GALLA

L'asse dell'Impero spostato 17

tempo, assicurare quella pace ai nostri confini, che si diceva dover essere la mèta della nostra politica dopo la morte di re Giovanni, lasciando al tempo e alle circostanze di consolidare pian piano l'influenza italiana in quelle regioni. Con questo di vantaggio che, mentre l'aiuto diretto o indiretto di Menelik lontano non ci aveva assicurato, nè poteva assi curarci la tranquillità ai confini con l'asse dell'im pero spostato, l'accordo col Tigre e con Mangascià pretendente al trono etiopico, ci garantiva le fron tiere della Colonia .

Non volendo fare una politica energica, di con quista, ma rimanere in attesa degli avvenimenti, quella condotta era tanto più indicata, inquantochè per l'appunto quelle velleità d'indipendenza da parte di Menelik, e quel considerarci quasi come suoi mandatari nel Tigre, coincidevano con i primi ten tativi seri, fatti da qualche altra nazione, per com batterci allo Scioa.

Nella incerta situazione europea, poteva essere per parte nostra buona politica quella che mirava ad allontanare indefinitamente l'eventualità di com plicazioni in Africa per essere più pronti per ogni eventualità in Europa, ma con quella che fu chiamata la politica scioana e che ha strap pato parole di così vivo e sentito sdegno al com pianto Toselli, in un opuscolo dove si vede l'altezza del suo ingegno e la forza e l'efficacia persuasiva del suo stile polemico pare impossibile non si sia compreso che si sarebbe finito per avere un ri sultato diametralmente opposto a quello che i suoi fautori se ne attendevano.

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Purtroppo, si videro qualche anno dopo, le conseguenze di una politica così improvvida, contro la quale avevano protestato inutilmente tutti coloro che si occupavano della questione africana e ne vedevano gli errori, a cominciare dai generali man dati a Massaua, e che, come il Baldissera e poi T'Orero, furono ad essa sacrificati. Nemmeno dopo, quando col disconoscimento del trattato di Uscialli Menelik gettava la maschera, nemmeno quando era evidente che alla Corte di An totto altre influenze si erano sostituite alla nostra; nemmeno allora, si capì che, malgrado l'antica ami cizia dei viaggiatori italiani con lo Scioa, malgrado le gite dell'Antonelli, e le promesse di Makonnen, non v'era più da fare assegnamento alcuno sulla fede scioana! Menelik aveva avuto da noi tutto quello che voleva : la corona imperiale, l'appoggio contro i nemici che gliela disputavano; aveva avuto armi , denari, munizioni. La nostra amicizia non gli faceva più sperare vantaggio alcuno, e secondo il suo costume, si volgeva a quelli che gli potevano ancora dare qualche cosa, poco importandogli se questi lo spingevano contro i suoi antichi amici. Come mai la nostra cecità a riguardo del Negus Menelik abbia potuto continuare anche quando non era più possibile il menomo dubbio sulle sue in teazioni , e quando era evidente che egli seguiva i consigli di coloro che avevano tutto l'interesse ad aizzarlo contro di noi, è quello che non si è mai riusciti a spiegare. Ma il fatto è che solo dopo gli ultimi avvenimenti, dopo la ribellione di Batha Agos e la prova che il tradimento di costui e di Manga

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Tarda rescipiscenza 29 scià erano stati compiuti in seguito ai consigli di Menelik, furono pronunziate apertamente parole che mostrarono il Governo si era finalmente ricreduto. Il Blanc (1) che ho ragione di credere avesse avuto sin dal principio l'intuito della situazione, disapprovando le nostre tergiversazioni con Mene lik -- in uno splendido discorso, pronunziato alla Camera nel luglio 1893, pose la questione nei suoi veri termini, sia per ciò che riguardava i rapporti nostri con Menelik, sia per il diritto incontestato e riconosciutoci di risolvere, come credevamo meglio, il conflitto fra noi e il Negus senza altri ci avesse nulla a che vedere.

Pur troppo si aprirono gli occhi quando a ri mediare non si era più in tempo, nè era più in poter nostro, malgrado i successi militari ottenuti così al Nord come al Sud della Colonia (2), di mu tare la situazione che s'era andata man mano for mando e che i nostri successi avevano anzi più che mai inasprito. Poichè non era supponibile Menelik potesse assistere indifferente all'annientamento del suo maggior vassallo, e non aspettasse il momento opportuno per tentare la riscossa, non tanto per Mangascià, quanto per sè, e per non perdere ogni prestigio ed ogni autorità in Etiopia.

Era logico, fatale, che con quella nostra politica incerta e senza un obiettivo definito al quale mirare con costanza, facendovi convergere tutti gli sforzi,

(1) Ministro degli esteri nel Gabinetto Crispi.

(2) La presa di Cassala e la battaglia di Coatit seguita dal cannoneggiamento a Senafè del campo di Mangascià.

ETIOPIA

ma accarezzando ora questo, ora quest'altro, do vesse venire il giorno nel quale tutti sarebbero stati contro di noi. Pur rimanendo sempre fedeli - e quanto!-- a Menelik, dopo il convegno al Mareb (1 ), abbiamo accarezzato Mangascià, poi abbiamo col mato di onori e di cortesie Makonnen, sperando nella sua influenza su Menelik, e pensando vaga mente all'Harrar che egli governava in nome del Negus. A tutti si erano date, in epoche diverse e in maggior o minor quantità, armi e munizioni. E tutte quelle armi e quelle munizioni furono poi adoperate contro di noi!

e -

Tutto il nostro studio doveva essere rivolto dopo la morte del Negus Johannes --- ad impedire l'unità etiopica si ricostituisse sotto un altro im peratore, ed invece, prima direttamente con l'aiu tarlo contro Mangascià, e poi in cento altri modi, siamo stati noi che abbiamo aiutato Menelik a rico stituirla, quando quest'unità pareva andare in isfa celo.

Non solo non si ebbe mai un piano prestabilito intorno a quanto si doveva fare in Abissinia di fronte alle discordie dei capi, ma non si ebbe nem meno un concetto esatto relativamente alle regioni che all'Italia conveniva di assoggettare material mente o moralmente. Ora si mirò al Nord, attratti dal miraggio del Sudan e dalle lusinghe dell'Inghil terra, immaginandoci che non fossero mutate le

(1) Il convegno fra il Governatore dell'Eritrea gen. Gan dolfi con Mangascià ed i capi tigrini, nel quale furono giu rati patti che dovevano assicurare col riconoscimento della nostra occupazione la tranquillità della Colonia.

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L'azione parallela... 21

sue disposizioni verso di noi, dall'epoca in cui ci offrì di partecipare con lei all'occupazione del l'Egitto, e ora al Sud.

Non si capi, o non si volie capire che la situa zione era andata pian piano mutandosi dal giorno in cui il Gabinetto Inglese ci fece quell'offerta, che noi credemmo di dover declinare; che in quell'epoca l'Inghilterra aveva bisogno qualcuno dividesse con lei la responsabilità dell'impresa, e le desse i sol dati che essa non aveva, tant'è vero che la stessa offerta fu da lei fatta alla Francia; e che, cambiata la situazione europea, ed essendosi assicurata quella posizione in Egitto, che nessuno più le contestava seriamente, essa voleva rimaner sola in quella re gione, e da sola, pensava già di agire nel momento opportuno, o quando fosse caduta da sè in isfacelo la Madhia sfruttando poscia il commercio del Sudan.

Uno dei punti oscuri della nostra politica colo niale è sempre stato quello della amicizia dell'In ghilterra e della famosa azione parallela che era un luogo comune di tanti discorsi politici, specie all'epoca delle polemiche coloniali, senza se ne sia mai veduto un risultato pratico anche di pic cola entità .

E invece è sempre stata lItalia a rendere dei servigi all'Inghilterra, la quale fu ben lieta - dopo avervici spinto -- di vederci nel Mar Rosso, perchè nulla aveva a temere da noi, potenza giovane, che non poteva avere una grande espansione di commer cio; mentre se avesse preso il nostro posto la Fran cia, paese ricco, di noi più forte ed intraprendente,

specialmente sulla via delle Indie, le avrebbe dato ombra obbligandola a sorvegliarne assiduamente i passi. Se ben si considera la situazione politica di quell'epoca in Europa e le molte parti del mondo nelle quali l'Inghilterra cra in conflitto con la Francia, non era certo piccolo servigio quello in diretto ma sul quale essa contava molto che noi le rendevamo, localizzando l'azione della Fran cia nel Mar Rosso contro di noi, e avendo noi oc cupati quei punti che, in mano della Repubblica, sarebbero stati una minaccia per lei. Ma col suo contegno, in vari periodi sembrò quasi che, dopo aver preferito noi, perchè più deboli, si fosse poi impensierita all'idea che in un avvenire, sia pure: lontano, si potesse diventare un pochino più grandi e acquistare una maggiore influenza in quella parte: del mondo.

L'Inghilterra, e fin qui non v'è nulla a ridire, ha sempre fatto, anzi tutto, una politica inglese. Era un'amica e non un'alleata. Ma anche fra amici si sogliono usare dei riguardi e attenzioni , oltre allo scambio di parole gentili ed affettuose. Or bene, in tutto il periodo delle nostre difficoltà coloniali, l'Inghilterra ebbe sempre l'aria di temere che co desta amicizia sembrasse troppo evidente.

La Russia, in quello stesso volger di tempo, usava continuamente alla Francia la cortesia dï mandare delle navi da guerra nel porto di Obok, e ciò naturalmente serviva a far vedere in un modo appariscente l'accordo e l'amicizia dei due paesi. Malgrado tutte le missioni scientifiche e le velleità di propaganda ortodossa, nessuno poteva credere

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che la Russia, la quale aveva altri obbiettivi, pen sasse, per conto suo, all'Africa. Contraccambiava con l'appoggio che dava alla Francia in Africa, sopratutto contro di noi, la condotta della Repub blica a lei favorevole in tante questioni europee. Come mai, giacchè eravamo amici con l'Inghilterra, di quando in quando, a confermare tale amicizia anche agli occhi degli altri, non capitava mai a Massaua qualche nave da guerra inglese?

Perchè mentre alla Corte di Re Menelik era al lora un continuo andirivieni di russi, i quali, per far cosa grata alla Francia, avevano cercato ed ot tenuto di scalzare pian piano ogni influenza no stra, proprio dacchè noi eravamo andati in Africa, l'Inghilterra era sempre assente in Abissinia? Dopo la incruenta campagna contro Re Teodoro, il nome inglese era rispettato e temuto in Abissinia. Nes suno meglio degli inglesi essendosene andati dopo il successo e ai quali quindi il disinteresse mostrato dava ancora maggiore autorità -- avrebbe potuto controbilanciare in una certa misura le in fluenze a noi contrarie. Non v'era bisogno di man dare in Abissinia dei diplomatici en titre. Vi è in tutti i paesi, e in Inghilterra specialmente, con le numerose sue colonie e l'esperienza che molti vi hanno fatto, un personale esuberante, disposto ad andare dove lo si manda, e ad essere anche scon fessato ufficialmente come è accaduto ai francesi che da Obok lavoravano contro l'Italia. Giovandosi del prestigio che il nome inglese aveva in quelle re gioni , qualche ex-ufficiale di Sua Maestà Britannica che, o col pretesto del commercio o altro, si fosse

recato alla corte scioana, avrebbe potuto rendere a noi importanti servigi, come ne han reso alla Fran cia gli ex -ufficiali o i missionari russi. Sono piaceri che, anche senza essere alleati, tra amici si soglion fare.

So bene che a tutto questo si sarebbe potuto ri spondere che invece, proprio poco prima, quando la questione di Oriente minacciava complicazioni, le squadre italiane ed inglese fecero rotta insieme verso le acque turche, affermando così un accordo che suscitò grandi commenti. Ma questa anzichè essere una obbiezione, fu una conferma che la ami cizia dell'Inghilterra si palesava anche allora con se gni evidenti solo quando giovava a quest'ultima, rifuggendo invece dal manifestarsi quando avrebbe potuto giovare a noi.

La situazione in Europa è ora completamente mutata e si può parlare liberamente di tutto quel periodo che oramai, appartiene alla storia.

Allora la Francia che vedeva nel nostro contegno un ostacolo agli intenti della sua politica in Europa fece tutto il possibile per indebolirci.

Dopo il 1870 il patriottismo francese, e fino a qualche anno fa, ebbe un solo ideale: la ricon quista delle provincie perdute. A questo ideale sacrificò tutti gli altri; e non solo per questo si era gettata prona ai piedi dello Czar, ma soffocando an che i sentimenti umanitari, diventò la protettrice di Menelik, di un sovrano africano che ha sempre esercitata su vasta scala, e con gli orrori che ac compagnano un simile traffico, la tratta degli schiavi. Fu cosa triste è sconfortante per la mo

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derna civiltà, ma, ripeto, logico dal punto di vista della Francia.

I francesi se non il Governo francese ufficial mente d'accordo coi russi, avevano acquistato nello Scioa alla Corte di Venelik una posizione e una influenza preponderante, che esercitavano a danno nostro. Avevano dato armi e munizioni ai nostri nemici, e degli ex-ufficiali dell'esercito della Repubblica, avevano istruito orde abissine nella tattica contro gli europei e nel maneggio delle ar tiglierie.

Ci si trovò in Africa completamente isolati e costretti a provvedere ai casi nostri, senza sperare di poter contare sugli altri. Al problema, giova ri petere, avremmo potulo dare una soluzione, ado perando un po' di energia e avendo un concetto chiaro di quello che si voleva, fin dall'epoca in cui le nostre truppe sbarcarono a Massaua; avremmo potuto darla quando il Negus Giovanni , dopo es sere venuto con il suo esercito fin sotto il forte di Saati, si ritirò in disordine, avremmo ancora po tuto dare alla questione africana un assetto defini tivo e a noi favorevole, quando il caso ci aiutò con la morte del Negus nei piani di Metemma e l'Etio pia, disorganizzata, in preda alle rivalità dei capi, sarebbe stata facile preda a un piccolo esercito come quello che avevamo fin da allora laggiù, pur chè l'energia non ci avesse fatto difetto e il Go verno non avesse temuto di assumere la responsa bilità dell'iniziativa di fronte a quelli che gridavano contro l'Africa per partito preso. In quelle tre cir costanze un'azione decisiva avrebbe dato nelle no

Isolaii 25

L'ETIOPIA

stre mani o con una conquista o con un protetto rato efficace -- si sarebbe veduto poi quale dei due sistemi era da preferirsi tutta quanta l'Etiopia. Non abbiamo avuto il buon senso nè l'avvedutezza di afferrare le occasioni.

Anche dopo l'infausta giornata d'Adua e quando il generale Baldissera era riuscito a liberare il pre sidio di Adigrat, sarewwe ancora stato possibile ri mediare ogni cosa. La storia di quei giorni non è ancora stata scritta nei suoi particolari e forse non lo sarà mai. Delie persone che erano allora al Governo parecchie sono già scomparse ed al tre che molte cose sanno, hanno troppo interesse a tacerle per non aggravare ancora la tristissima re sponsabilità che pesa su quel Ministero Rudini, che, appoggiato dai radicali della Camera e della piazza, salì al potere col programma di liquidare ogni cosa ... anche l'onore d'Italia. Vi fu allora un Ministro della guerra (1) che dal banco del Governo ebbe parole stranissime per non dire altro persino a pro posito della bandiera nazionale: per quella ban diera per la quale tanta balda gioventù era ca duta sul campo! Solo qualche tempo dopo, si seppe a che punto arrivò allora la insipienza e la co dardia di quel Ministero così fatale per l'Italia. Solo qualche tempo dopo si seppe come il Negus impres sionato dall'avanzata di Baldissera, certo che non avrebbe potuto resistervi col suo esercito che già incominciava a sbandarsi, era disposto a restituirci tutti i prigionieri, provvedendo egli stesso per un

(1) Il Riccotti.

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Le responsabilità 27

forte numero di muletti. Ma, a fargli mutare av viso intervennero le notizie di quello che accadeva in Italia; e quindi la assoluta certezza che Baldis sera non sarebbe andato più in là... Ed allora Me nelik raddoppiò invece le sue pretese!

Triste, ignobile fu lo spettacolo offerto all'indo mani di Adua anche da una parte del nostro mondo: parlamentare, quando la formazione del Gabinetto fu ritardata di alcuni giorni per la distribuzione di qualche miserabile sottosegretariato di Stato, mentre migliaia di prigionieri laceri , scalzi, sotto le verghe degli aguzzini s'incamminavano fra le ambe del Tigre verso lo Scioa, senza preoccuparsi se ogni giorno di ritardo poteva prolungare le sof ferenze inaudite di tanta gente ! Errori enormi furono commessi prima sommariamente ho cercato di indicarli. Ma, quando la storia dovrà stabilire le responsabilità, pur es sendo severa per tutti, dovrà concedere qualche at tenuante a coloro che hanno errato avendo però la visione di un grande avvenire per questa nostra patria, mentre non potrà averne alcuna per coloro: i quali non hanno esitato a deprimere il morale del paese, a convertire una sconfitta alla quale si po teva riparare, in un disastro del quale sentiamo an cora le conseguenze e che hanno menomato la po sizione e il prestigio dell'Italia nel mondo; non po trà averne per coloro che per poco non hanno pu nito un valoroso colonnello, che all'indomani di Adua, con le truppe disordinate che aveva sotto mano, scon isse i dervisci che ci avevano preso alle

e

spalle (1), e tutto questo subendo le imposizioni di quella stessa canaglia che allora toglieva le rotaie per non lasciar partire i soldati, e che oggi grida 'viva Ferrer.

Dopo il fatto di Amba Alagi furono pubblicate molte lettere dei nostri ufficiali, lettere nelle quali vibra sempre un alto sentimento del dovere e della patria e che, nella sciagura, furono al paese di con forto, pensando che poteva sempre ciecamente fi dare nel coraggio, nell'abnegazione, nel valore dei suoi figli. Ma in tutte quelle lettere di persone che per essere là da parecchio tempo, avevano certo più conoscenza della situazione dei nostri Ministri, vi era sempre la stessa intonazione; il rimpianto per la politica di tergiversazione che comprometteva ogni cosa laggiù e, pur troppo, anche il vaticinio che qualche cosa di triste avrebbe dovuto finire per succedere.

A quei bravi ufficiali caduti eroicamente ad Amba Alagi, era facile il triste presagio, e fra le molte nobilissime lettere, oltre a quella del Toselli, non è forse inopportuno il ricordare ciò che scriveva, con la data del primo dicembre, cioè sette giorni prima di Amba Alagi, uno dei caduti, il tenente Messina. Non dissimulandosi la gravità della situazione nè la certezza che tanto lui come i suoi compagni fossero destinati a soccombere, dopo aver con virile coraggio raccomandato all'amico a

(1) Il colonnello Stevani il quale con pochi battaglioni riuscì a mettere in fuga forze numerose di dervisci, sal ' vando la Colonia da un disastro.

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Tristi profesie 29, cui s'indirizzava, di preparare i vecchi genitori suoi al triste annunzio, scriveva :

« Dovrei avere parole amare per la nostra patria, ma non è questo il momento. Ti dirò solo che se avremo qualche catastrofe, la dovremo ai tenten namenti, alla incertezza e alla pusillanimità! » .

È giusto, è bello che per la patria versino nobil mente il loro sangue i più prodi fra i suoi figli; ma è triste il pensiero che a quei valorosi, mentre morivano, non solo non abbia sorriso l'idea che il loro sacrifizio sarebbe stato utile per la patria, ma abbiano invece avuto la convinzione che era la con seguenza di errori preveduti, e che il prevedere era stato cosa così facile!

GLI ITALIANI ALLO SCIOA. IL PRIMO TRATTATO.

La niemoria di Sella-Selassiè Una profezia che si è av verata Perchè Menelik non si fece incoronare ad Axum Ailù Malacot Lo Scioa vinto Il bambino Menelik posto in salvo Dieci anni prigioniero · Rie sce a fuggire Riconquista il regno Re Teodoro contro di lui Dopo la presa di Magdala Un dop pio giuoco Beniamino della fortuna La rivolta del degiac Kassa Il cristianesimo degli abissini Il Ne gus Giovanni contro Menelik Domanda che gli si con segni il vescovo Massaia Si presenta al campo di Re Giovanni Per sei ore esposto al sole La franchezza e il coraggio del prelato italiano fanno impressione sul Negus Il Re dello Scioa si sottomette Viaggiatori italiani allo Scioa Il marchese Antinori Le prime relazioni dell'Italia con lo Scioa Una lettera di Vit torio Emanuele La stazione di Left Marefià La So cietà geografica Il Conte Antonelli Diventa grande amico e consigliere di Menelik L'Antonelli deputato -La strada per l'Aussa La morte di Antinori Il primo Trattato.

CARDINALE MASSAIA

La Legazione d'Italia ad Addis Abeba .

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WPNE *

Menelik II, imperatore d'Etiopia Menelik I sarebbe quello della famosa regina Saba è figlio di una schiava e di ras Ailù primogenito di ras Sella -Selassiè, sotto il cui regno lo Scioa ebbe il suo momento di splendore. Sella -Selassiè ha la sciato allo Scioa fama di grande sovrano. Quando dagli amori della schiava Egigayo con il suo figlio Ailù, nacque un bambino, egli volle gli fosse posto il nome di Menelik, perchè si avverasse la pro fezia che a lui era stata fatta da un monaco del paese. Secondo quanto narra il Cecchi (1), sembra che Sella -Selassie, prima di succedere al padre, si chiamasse Menelik e che quel monaco profeta lo. inducesse a prendere il nome di Sella-Selassiè, giacchè quello diMenelik gli avrebbe portato grandi sventure. Gli consigliò invece di chiamare Menelik il figlio del suo primogenito, che con questo nome sarebbe stato il conquistatore di tutta l'Etiopia e sarebbe divenuto il più grande dei Re. Quando Venelik riuscì a riunire sotto di sè tulla

(1) Da Zeita alle Frontiere del Caffa. 3,

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l'Etiopia ed a far tacere le rivalità fra i suoi Ras per rivolgerli tutti contro di noi, sembrò vieppiù strana questa leggenda augurale sulla sua nascita e sul suo nome. Ciò spiega forse come Menelik, quando aveva ancora coscienza di sè, fosse così su perstizioso e credesse alle profezie fino al punto, come si disse, di non essersi fatto incoronare ad Axum perchè vi era stato chi gli aveva predetto sa rebbe morto il giorno dopo la sua incoronazione. Sotto Ailù Malacot la potenza dello Scioa andò declinando fino a che, vinto in una grande battaglia da re Teodoro e sfuggito con pochi de' suoi alla strage, morì pochi giorni dopo. Il vincitore inva deva subito il paese e, per essere ben sicuro che il suo nemico era morlo, ne faceva disotterrare il ca davere a Debra -Behan.

I capi scioani e Darghie, fratello d'Ailù - di ventato poi ras Darghie, erano però riusciti a mettersi in salvo con il piccolo Menelik, l'erede legittimo del trono.

Re Teodoro mandò allora una parte della sua vente contro di loro; li sconfisse e li fece prigionieri.

Lo Scioa, divenuto così una provincia tributaria dell'impero, cadde nell'anarchia, e fu per lunghi anni travagliato dalle feroci guerre tra i vari pre tendenti. Più volte Teodoro dovette intervenire e mise a ferro e a fuoco parecchi paesi, mentre, al con fine meridionale, i galla, approfittando di queste lotte continue, s'erano fatti sempre più audaci.

Menelik rimase circa dieci anni prigioniero di Teodoro, il quale però lo tratto sempre con molta benevolenza, tanto che gli diede per moglie una sua

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I primi anni di regno 35 figlia e lo elevò al grado di degiasmac. Ma al prin cipio del 1865, approfittando della rallentata sorve glianza e aiutato da alcuni suoi fidi, riuscì a fuggire col proposito ben fermo di recarsi allo Scioa e riconquistare i dominii del padre suo. In breve tempo, grazie alla buona memoria che avevano la sciato di sè tanto Sella-Sellasiè quando suo padre Ailù, potè raccogliere un esercito forte e numeroso. Dal clero, rimasto fedele alla memoria di suo pa dre, si fece proclamare re dello Scioa col nome di Menelik II, e riuscì ben presto e senza tanti scru poli a sbarazzarsi dei suoi nemici. Menelik aveva allora ventun anno. Nei primi atti del suo regno dimostrò una certa fermezza e riuscì a rimettere un po' d'ordine un ordine, ben inteso, molto relativo in un paese che era stato per tanti anni travagliato dall'anarchia, e dove erano sempre vive le gelosie tra gli aderenti ai capi che si erano disputati la supremazia.

Dopo i primi due anni di regno fu minacciato da un grave pericolo.

Teodoro aveva deliberato di far la guerra per ridurre un'altra volta lo Sciva tributario. Senon chè mentre radunava i soldati per questa impresa, i primi ufficiali inglesi sbarcavano a Zeila per pre parare la nota spedizione contro di lui, e dovette subito provvedere a difendersi abbandonando ogni proposito di rappresaglia contro Menelik . Il colon nello Merwether, residente politico inglese ad Aden, aveva anzi trattato col re dello Scioa per averlo alleato contro Teodoro, e il re dello Scioa aveva promesso di attaccare alle spalle l'esercito abissino;

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ma poi non si mosse, facendo con gli inglesi, su per giù, lo stesso giuoco che, vent'anni dopo, doveva ri petere con noi, quando, prima, aveva promesso di combattere contro il Negus, e poi di rimanere al meno neutrale.

Per parecchi giorni, dopo la presa di Magdala, gli inglesi, a quanto si disse allora, stettero ad a spettare inutilmente l'arrivo di Menelik, tal quale come noi, a Saati, nel 1888, aspeitammo indarno la notizia di un movimento dell'esercito scioano alle spalle del Negus!

La morle tragica di Teodoro libero Menelik dal pericolo e gli permise di rivedere alcuni amici e pa renti suoi che, meno fortunati di lui, non erano mai riusciti a sottrarsi alla prigionia di Teodoro : fra gli altri lo zio Darghiè, ricevuto allo Scioa con grandi onori e con solenni manifestazioni di gratitu dine per il suo attaccamento. Menelik fu sempre un beniamino della fortuna. Nei momenti più difficili, le circostanze più im pensate e più provvidenziali, sono intervenute ad assicurargli la salvezza. Si era appena liberato dal l'incubo della guerra con Teodoro, quando l'Atiè di Gondar pretese dallo Scioa il tributo e pose il campo ai confini. Ma avvenne subito la rivolta di degiac Kassa, il futuro negus Giovanni, che col ma teriale da guerra lasciatogli dagli inglesi e con nu merose forze contrastò all Atiè (1) la corona e lo costrinse a retrocedere. Più tardi incorse nell'o stilità di Giovanni che, essendosi mosso coll'eser cito per invadere lo Scioa, fu costretto a ritornare

(1) Atié: imperatore d'Etiopia.

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Le concubine 37

sui suoi passi perchè gli egiziani, da Massaua, si avanzavano sull'altipiano. Allontanati i nemici esterni, riuscì poi a domare l'insurrezione dei galla, grazie al valore di ras Gobanà. Ma, mentre cre deva di poter attendere tranquillamente al riordi namento del suo paese, alcuni suoi parenti si ri bellarono. Ne seguì un lungo periodo di turbolenze e di guerre intestine, per le quali corse il rischio di perdere il trono, specialmente quando incomin ciò ad ordire intorno a lui una fitta trama di in trighi quella sua concubina Bafanà, la quale, avendo destato in Menelik una violenta passione, lo domino completamente fino a che non fu co stretta a cedere il posto ad una rivale : l'attuale im peratrice Taitù. La Bafanà che tanta parte ebbe nelle vicende del Re scioano era realmente una grande bellezza. In questo giudizio sono concordi i viaggiatori che, recatisi in quel tempo allo Scioa, ebbero occasione di conoscerla . Malgrado il loro vantato cristianesimo, abissini e scioani, come non hanno scrupoli in fatto di schiavitù, così sono molto disinvolti in materia di costumatezza. Non hanno, è vero, che una moglie legittima, ma possono avere due, tre, anche dieci concubine. I vincoli coniugali si annodano e si sciolgono con molta facilità, specialmente quando vi sono di mezzo i grandi e i potenti. Menelik che aveva sempre accarezzato il sogno di diventare un giorno Negus-Veghesti, colta l'oc casione che re Giovanni era di nuovo impegnato con gli egiziani, si diresse verso Gondar e invase il Goggiam senza incontrare resistenza da parte di

ras Adal il quale fuggi e si rifugiò presso il Negus, a Debra - Tabor.

Il Negus Giovanni allora fece leggere un bando, nel quale, dopo aver detto che un ambizioso per nome Menelik si era permesso di usurpare il titolo di Atiè dell'Etiopia, titolo che spettava a lui solo, annunziava avrebbe invaso lo Scioa per punire il colpevole, al quale avrebbe fatto recidere la lingua. Del resto il Negus, da tempo, diffidava di Menelik e aveva in animo di muovergli guerra, anche per chè sapeva che Menelik accoglieva allo Scioa e ono rava i preti di un'altra religione.

Il clero che fu sempre onnipotente sotto il regno di Giovanni Kassa (1), mal soffriva che allo Scioa si potesse liberamente far propaganda di un'altra religione. Il vescovo Massaia che alla corte scioana aveva saputo acquistarsi la più grande autorità era particolarmente preso di mira. Infatti, nella rispo sta data dal negus Giovanni a Menelik quando questi avanzò proposte di pace (15 gennaio 1873), pose fra le principali condizioni la consegna del vescovo Massaia.

« Io sono Re Cristiano rispondeva il negus Giovanni e debbo per molte ragioni considerare te come eretico, poichè a capo del tuo clero ponesti un vescovo di Roma, il quale tanto operò che riuscì a far abbracciare la religione di Roma a Tecla Sion, uno dei nostri primi teologi. Come prima condizione di pace quindi ti impongo di conse gnarmi costoro, Massaja e Tecla-Sion; poi penserai

(1) Il Negus Johannes.

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Il negus Johannes e Menelik 39

a fornire abbondanteinente di viveri il mio esercito durante il tempo che resterò nel tuo paese. Mi pa gherai ogni anno un tributo di cinquecento schiavi, uomini e donne, di cinquantamila talleri, cinque cento muli, mille cavalli, cinquantamila capi di bestiame, parecchie migiiaia di cunnà, di grana glie e di gambò, di miele e di burro. Mi lascerai il passaggio libero a Debra -Libanos dove voglio far costruire un tempio a Tecla-Haimanot, e verrai a domandarmi perdono con lo sciamma alla cin tura e la pietra sul collo. »

A questa intimazione così provocante, Menelik non rispose e indirizzò al suo popolo un proclama di guerra.

Del vescovo Massaia e delle vicende del suo in faticabile apostolato in Abissinia sarebbe superfluo narrare la storia. Egli stesso ha elevato il più grande monumento alla sua memoria in quella opera colossale sull'Etiopia e sui paesi galla pubbli cata dalla Congregazione di Propaganda fide, e che resterà come documento eloquente, imperituro di una vita tutta dedicata ad un altissimo ideale di carità e di fede.

Ritornato in patria dopo tanti anni, quando per la grave età e la malferma salute non avrebbe po tuto più reggere alla faticosa vita del missionario in quei lontani paesi, fu elevato alla dignili cardi nalizia .

Avendo bisogno di riposo, si era ritirato a Fra scati, dove era un continuo pellegrinaggio di per sone desiderose di conoscere, di avvicinare, di par lare all'illustre vegliardo, che nella sua modestia si

maravigliava di destare tanta e cosi universale am mirazione solo per aver compiuto ciò che reputava il suo dovere. Mentre lavorava con lena alla grande opera sua, provava un solo ed acerbo dolore: quello di essere condannato alla inazione, di non poter più convertire alla fede i poveri galla, che re Mene lik andava massacrando nei suoi semeccià ...

Lo scrittore è tale quale era l'uomo. Nella sua opera il Massaia sorvola su tutto ciò che può met tere in luce il suo coraggio, la sua abnegazione, i patimenti sofferti, le torture, le ripugnanze morali che ha dovuto superare, costretto per il successo della sua missione, a destreggiarsi sempre tra capi o cortigiani sospettosi o feroci e ad accettare per sino la protezione della famosa concubina, di Me nelik, Bafanà : la sirena scioana, come la chiama il vecchi, che a lei fu per l'appunto presentato dal cardinale Massaia .

Pochi ricordano, per esempio, come appena seppe dal messaggio di Giovanni a Menelik di essere causa o pretesto della guerra, egli deliberasse di re carsi in persona dal Negus, facendosi precedere da questa lettera:

« Ho sentito dire che mi cercate: se è così verrà io da voi. Piuttosto che devastare lo Scioa per causa mia, fate di me quello che credete.

« Vi parlo francamente, perchè così vuole quella religione che voi tanto ripudiate. »

Jenelik, informato della decisione del Massaia, per il momento riuscì ad impedirgli la partenza. Ma, fermo nel suo proposito, qualche tempo dopo, il missionario riuscì ad eludere la sorveglianza e si recò al campo abissinn

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cardinale Massaia

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dal Negus

Fattosi annunziare al Nezus, questi lo lasciò per sei ore esposto al sole e al dileggio dei soldati. Tale insulto però non valse turbare menoma mente la serenità di quell'animo invitto. Animesso alla presenza del Re dei Re, questi, non potendo sostenere il suo fiero sguardo, si coprì il viso con lo sciamma e, volgendo altrove il capo, gli fece chiedere dal suo interprete perchè era venuto e che cosa voleva da lui.

Voi minacciate di rovina per me lo Scioa e il suo Re rispose francamente il Massaia.Eccomi nelle vostre mani! A voi è dato disporre del mio corpo, non dell'anima, perchè essa è ser bata a Dio!

L'Imperatore, fortemente scosso e quasi spaven tato da queste animose parole, sembrava cerrasse fra coloro che lo circondavano, qualcuno che lo to gliesse d'imbarazzo; e dopo una breve pausa si fece forza, chiedendogli: Che fai allo Scioa? Predico la religione di Cristo, Ma noi aggiunse con moto altiero il Ne gus Giovanni siamo già cristiani. Vai a predi care la tua fede in mezzo ai galla.

Si può discutere sulla utilità pratica delle mis sioni in certi paesi, dove la gente per lo più si con verte per l'avidità di qualche tallero e dove, gene ralmente, anche quando la conversione è sincera, non muta gran fatto l'indole crudele e immorale del convertito; ma dinanzi a tanta abnegazione, a tanto prodigio di fede, bisogna inchinarsi ammirando.

In quella occasione menelik aveva radunato un

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infinito numero di soldati per opporsi all'invasione. La superiorità nell'armamento dell'esercito di re Giovanni era però tale che non gli lasciava grande speranza di resistere efficacemente. Fra i capi scioani vi era molta esitazione ad impegnarsi in una guerra che poteva aver per resultato la fine dello Scioa. Per parecchie settimane continuò lo scambio di messi fra un campo e l'altro per le trattative di pace. Finalmente, intorno a Menelili, quantunque le condizioni poste dal Negus fossero assai dure, i consigli di pace prevalsero e il re dello Scioa si sottomise. Il Cecchi, che si trovò presente, ha descritto a lungo, in quella sua opera magi strale sullo Scioa e sui paesi Galla, alla quale ho già accennato, la umiliante cerimonia della sotto missione di Menelik che, con la pietra al collo e lo sciamma allacciato alla vita in segno di ubbidienza, si riconobbe tributario del Negus.

Le accoglienze benevole che Menelik fece in quell'epoca ai viaggiatori della prima spedizione italiana, diretta dal compianto marchese Antinori, crearono in Europa una certa corrente di simpatia verso questo re africano il quale non pareva refratta rio ad ogni idea di civiltà, o che, per lo meno, non aveva paura dei wianchi e li trattava con cortese ospitalità. Egli forse capì che questo era il solo modo col quale avrebbe potuto procurarsi delle armi: quelle armi che in un documento ebbe la di sinvoltura di domandare col pretesto, che da buon cristiano voleva impedire la tratta degli schiavi. In Africa il rifornimento e il commercio delle armi erano allora strettamente collegati a scopi selvaggi.

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Le prime relazioni con l'Italia 43.

Le armi servivano, e in gran parte servono tuttora, a razziare, a sterminare, a mutilare e a condurre in schiavitù gli uomini e le donne dei popoli che, inermi, sono dediti alla pastorizia e all'agricoltura. Il commercio delle armi e quello degli schiavi si potevano considerare come una cosa sola. E perciò fu più deplorevole, indipendentemente da ogni con siderazione politica e dal danno che ne abbiamo risentito poi, la leggerezza con la quale, non igno rando lo scopo a cui servivano, abbiamo noi stessi fornito tante armi allo Scioa. L'Italia non ha avuto vere e proprie relazioni: ufficiali con lo Scioa fino al 1872. Molti anni prima v'era stato un tentativo per stabilire relazioni com merciali fra il Regno sardo e l'Abissinia Settentrio nale. Ma si era nel 1838 : la previsione che grandi avvenimenti fossero imminenti in Europa fece di menticare quel progetto.

Soltanto nel 1872, si ripresero le trattative per stabilire serie relazioni commerciali fra l'Abissi nia e l'Italia. Però questa volta, non più con l'Im peratore nè coi ras del Tigre, ma con lo Scioa. Il primo documento che si riferisce alle nostre re lazioni con l'attuale Negus-Negesti ma letlera che il vescovo Massaia scriveva il 25 giugno di quel l'anno al Re Vittorio Emanuele, del quale era stato cappellano a Moncalieri, dicendogli che Menelik lo aveva pregato di metterlo in relazione col Re d'Italia ed annunziandogli l'arrivo in Italia di un ambasciatore scioano.

L'inviato di Menelik, latore di una lettera per Vittorio Emanuele, venne in Italia qualche mese

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dopo e ripartì per lo Scioa verso la fine dell'anno portando al re etiopico una lettera di Vittorio Ema nuele, che lo ringraziava della sua amicizia, della ospitalità accordata ai propagatori della fede cri stiana, e gli raccomandava caldamente di proteggere quei sudditi italiani i quali per amore di studi o per ragione di amichevoli commerci, si fossero re cati allo Scioa.

Quattro anni dopo, con una lettera in data del 4 marzo 1876, il ministro Visconti-Venosta racco mandava al re dello Scioa la spedizione geografica ai laghi equatoriali, della quale era capo l'Antinori e fecero parte il capitano Sebastiano Martini, l'in gegnere Chiarini, e più tardi il Cecchi.

Menelik accolse molto bene il marchese Anti nori e i suo compagni. Anzi, dopo qualche tempo, lece regolare donazione alla Società Geografica, rappresentata dall'Antinori, delle terre di Left Ma refià, dove l'Antinori aveva impiantato una stazione scientifica internazionale, che fu poi per tanti anni il punto di convegno di tutti gli esploratori dell'A frica Orientale, senza distinzione di nazionalità. Per tale concessione e per l'aiuto dato a' nostri viag giatori. Menelik fu anzi nominato membro onorario della Società Geografica. Quando gli consegnarono il diploma, non riuscirono da principio a fargli capire bene che cosa fosse una Società Geografica e che cosa significasse un diploma. Però, dopo qual che tempo, invocava questa sua qualità quando vo leva frugare nelle casse dei viaggiatori ed appro priarsi gli oggetti che gli piacevano: sopratutto le armi. Menelik, in complesso, tratto sempre abba

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Il conte Antonelli 45 stanza bene i viaggiatori, quantumque non li abbia facilitati tutte le volte che hanno voluto spingere le loro esplorazioni nei paesi Galla. Del resto Me nelik nelle gentilezze trovava il suo tornaconto, poichè fu in grazia dei doni più o meno spontanei dei viaggiatori che potè pian piano formarsi qual che corpo di truppa con armi perfezionate, quando non sognava neanche che un giorno l'Italia e poi altre potenze gliene avrebbero fornito a migliaia. In fondo il suo grande desiderio di addivenire ad un trattato commerciale con noi era mosso unica mente dalla speranza di potersi meglio provvedere: di fucili e munizioni; ed il conte Antonelli ha de scritto assai bene in un documento ufficiale, il bel l'uso che il re dello Scioa ne ha fatto (1). Il nome dell'Antonelli è cosi strettamente legato alle nostre vicende africane, nelle quali per paret chi anni la sua influenza è stata preponderante, che non è possibile parlare, sia pure brevemente, come faccio, delle relazioni nostre col re dello : Scioa, poi imperatore d'Etiopia, senza ricordarlo ad ogni momento . Figlio di un fratello del famoso cardinale di Pio IX, il conte Pietro Antonelli, giovane di na tura irrequieta, vivace, non troppo amante dello studio, quando, anche in Italia, vennero di moda gli studi geografici e le esplorazioni africane, si sent altratto verso quella vita d'avventure e parti per lo Scioa, dove si trattenne qualche tempo a Left Marefia presso il marchese Antinori. La partenza del giovane signore romano fece un certo chiasso

(1) Vedi più innanzi.

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nel mondo della capitale e specialmente nella so cietà nera, la quale comprese subito che, malgrado le tradizioni di famiglia e i recenti ricordi della onnipotenza dello zio, quel giovane avrebbe finito per passare nelle file degli usurpatori. All'aristo crazia clericale seccava che il giovane conte si met tesse in certo modo al servizio dell'Italia, sopra tutto per il nome che portava. Viceversa, appunto per questo, nel campo liberale si largheggiò d'inco raggiamenti e d'aiuti al viaggiatore romano, che, tornato dal suo primo viaggio, riparti dopo per lo Scioa (giugno 1882) con l'incarico ufficiale di portare a Menelik una lettera di Re Umberto e ricchi doni. Certamente nessuno pensò nemmeno allora che egli avrebbe fatto tanto parlare di sè, e avrebbe di poi fatto una così fortunata e rapida carriera po litica. Coloro i quali ricordavano il cardinale Antonelli, quando non era ancora sulla cinquantina, trovavano una straordinaria rassomiglianza fra lo zio e il ni pote. Magro, asciutto, nervoso, di carattere piut tosto impetuoso, abilissimo in tutti gli esercizi del corpo, coraggioso fino alla temerità, il conte Pietro aveva molte delle qualità necessarie a chi vuol com piere viaggi d'esplorazione in Africa. Ma aveva al tresi delle qualità, che chiamerò negative, per que sto scopo. Il che fa apparire ancora più strano il l'atto d'essere riuscito a rendersi per lungo tempo, non solo accetto, ma indispensabile alla corte di 1 re capriccioso, instabile e diffidente come Me nelik. Egli aveva concepito l'idea di una Etiopia uni fiali e potente sotto lo scettro di Menelik fino da

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Il concetto dell'Antonelli 47 quando, essendo ancor vivo e in verde età il negus Giovanni, nessuno pensava codesto sogno ambizioso di Menelik potesse mai realizzarsi.

Di tale concetto, al quale informò la sua azione nella speranza che con una Etiopia grande e potente sotto un re amico, l'Italia avesse potuto trarre notevoli vantaggi , si trovano le traccie nei primi suoi rapporti mandati al Governo. Dotato di una tempra d'acciaio, di una volontà ferrea, di una tenacia senza pari, egli cercò sempre di far con vergere a questo fine tutta la nostra azione in Africa. Sventuratamente quando egli credeva di aver toccato la mèta col famoso trattato di Ucialli, i fatti dovevano dimostrare l'errore fondamentale della sua politica, poichè il compimento dell'unità etiopica doveva inevitabilmente rappresentare il più grave pericolo per la Colonia e il maggiore osta colo per la nostra espansione.

Fu poco tempo dopo la conclusione di quel trat tato, considerato allora un grande successo diploma tico, che il conte Antonelli conquistò d'assalto la rappresentanza di uno dei collegi della capitale alla Camera. Dapprima, abituato alla libertà della vita africana, si sentì un po' a disagio. Mi rammento di avergli sentito rimpiangere più d una volta la tran quillità, la calma della quale godeva allo Scioa, dove non aveva la seccatura di dover portare di qua e di là delle carte da visita, di assoggettarsi alle intervi ste dei giornalisti, e alle esigenze dei suoi elettori... Ma questa impressione durò breve tempo: forse qualche settimana. Sfornito di studi seri, ma do tato di un ingegno naturale non comune, seppe

subito adattarsi all'ambiente e arrivò in breve tempo fino a contendere la supremazia nella depu tazione romana al Baccelli, che era da tanti anni considerato come il campione della romanità. Prima che l'on. Crispi pensasse di farne un deputato, credo il conte Antonelli non avesse mai detto due parole in pubblico. Tuttavia non si spavento per questo e sostenne la propria candidatura con una dozzina di discorsi che non saranno stati capoia vori letterari, ma che però ebbero l'effetto voluto . Qualche volta ha usato nella politica metodi... un po'africani; ma la sua violenza di linguaggio, an zichè nuocergli, servì a concigliargli molte sim patie. Mi ricordo, per esempio, un suodiscorso in una riunione popolare nel rione della Regola, a Roma. V'era stato uno sciopero di vetturini, e la riunione era stata convocata, se la memoria non mi tradi sce, per vedere se fosse ancora possibile l'accordo fra padroni e vetturini. L'Antonelli, già deputato, era in tervenuto per metter pace e conciliare le diver genze. L'ambiente era saturo di elettricità: l'Anto nelli cercò di mettere un po' di calma... ma vice versa la perdette anche lui e finì col rivolgere a più di un oratore parole acerbe e severe. Nessun dubbio che se quelle parole fossero state dette da un altro le cose sarebbero andate a finir male. Ma con la sua franchezza, con la sua imperturbabilità, con la sua eloquenza aggressiva, s'impose ai suoi contradittori che, non contenti di dargli ragione, ad adunanza finita ... lo accompagnarono a casa. Se mi dite che queste non sono precisamente le doti

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Palazzo di Ras Makonnen all ' Harrar ,

Limone

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NEGUS GIOVANNI

Il primo incarico ufficiale 19 più adatte per un diplomatico, siamo d'accordo. Qui io parlo però del viaggiatore africano e non del di p:lomatico, e constato che, se aveva molti difetti, l' uomo aveva qualità di primo ordine. Peccato che nella ignoranza completa di tutto quanto si riferisce all'Africa, i varij ministeri che si sono succeduti non abbiano saputo sfruttare meglio que ste sue qualità frenandone nel tempo stesso i di fetti, e si sian lasciali guidare ciecamente da un giovane, dal quale, malgrado la svegliatezza del l'ingegno, non si poteva ragionevolmente preten dere che, andato in Africa per spirito d'avventura, si trasformasse di un tratto in un uomo di Stato

O poco meno. Il primo incarico ufficiale allo Scioa l'Antonelli lo ebbe, come ho detto, nel 1882, e fu in quella oc casione che egli aprì la strada da Assah allo Scioa per l'Aussa, giungendo il 7 marzo 1883 con la sua carovana alla residenza dell'anfari Mohamed, col quale stipulò un trattato. Mentre egli era in viag gio, moriva a Left Marefià il marchese Antinori, e l'on. Mancini in data 12 novembre 1882 gli scri veva che, in seguito a questo doloroso avveni mento, « la missione presso le Menelik rimaneva interamente affidata al suo zelo ell alla sua prudenza »). La Società Geografica dal canto suo in caricaya il dottore Ragazzi di dirigere la Stazione: di Left-Marefià.

Fra l'Italia e lo Scioa fu firmato da Menelik il primo trattato di commercio ed amicizia nel mag gio del 1883. In Italia lo portò lo stesso Antonelli il quale ritornò quasi subito allo Scioa con l'incarico:

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atlidatogli dall'on. Mancini di « condurre a ter i mine le pratiche atte ad agevolare ed assicurare alla nostra nascente Colonia si intendeva Assab), i vantaggi che essa attende da quella via di comu nicazione (la strada per l'Aussa percorsa dall'An tonelli) e da più intime relazioni coi sovrani del l'interno » .

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III. MENELIK E LE DONNE.

ALLA CACCIA DEGLI SCHIAVI.

Come il Bianchi descrive Menelik Vuole sopratutto re gali L'esempio e i consigli di Taitù Non vi sono guanti per le sue mani Antonelli e la regina La cortigiana Bafana Fogli in bianco col suggello reale Il primo matrimonio del Re Da un matrimonio al l'altro La biografia di Taitù pubblicata in Italia I suo risentimento Le sue avventure Il ritratto che ne fece l'Antonelli Adulazioni dei francesi Carnefi cine con armi nostre ! Alla caccia degli schiavi --Le sue spedizioni contro i galla Un zemeccià - I prigionieri La battuta Spettacolo orribile Sfilata dinnanzi al Re I soldati che hanno ucciso ! La tenda di Menelik Le donne La rassegnazione dei vinti Le donne galla Il soldato e la sua prigioniera Il ritorno I fannò Menelik tira al bersaglio contro i galla inermi Spostamento verso il Sud Le varie ca pitali Un carnaio Schiavi regalati a un ospite enropeo !

Su Menelik, su questo monarca africano che con l'aiuto della fortuna e degli errori nostri diventò imperatore d'Etiopia, le opinioni dei viaggiatori sono piuttosto discordi, poichè mentre alcuni fino da trent'anni fa lo descrivevano come un uomo di una certa intelligenza, altri invece, alla stessa epoca, lo rappresentavano come un selvaggio, il quale non aveva altra superiorità sugli altri po tentati africani all'infuori di quella di aver capito che aveva tutto da guadagnare a trattar bene gli europei.

Il cardinale Massaia che lo avvicinò per molti anni ed era riuscito ad esercitare su di lui una influenza grandissima, soleva dire che, in confronto agli altri capi africani, Menelik era veramente qual che cosa di straordinario. Va con tutto ciò non si faceva illusioni, nè sulla sincerità dei suoi senti menti nè sulla moralilà dei suoi costumi . Gli sem brava meno barbaro degli altri. Ecco tutto !

In una cosa tutti i viaggiatori concordano: nel constatare cioè che nessuno si può fidare di lui, e che la doppiezza, comune del resto a tutti gli in dividui della razza amharica, lal Re all'ultimo dei

sudditi, è salita al più alto grado nel carattere di Menelik, capace di sorridere al nemico che farà incatenare domani , o di promettere con centomila giuramenti anche quando è ben deciso a non man tenere affatto la promessa.

Nei suoi primi contatti con gli europei si mani festava di una curiosità infantile, e di una rapa cità che, a dir vero, non aveva nulla di infantile. Il povero Bianchi ha descritto con molta effica cia una visita fatta a Sua Maestà scioana mentre stava giuocando con una trombettina e un lampion cino di carta, non che la disinvoltura con cui faceva aprire le casse dei viaggiatori, appropriandosi gli oggelti che attiravano particolarmente la sua at tenzione. Gli europei erano allora abbastanza ben accolti allo Scioa, ma alla sola condizione portas sero al Re molti regali e fossero disposti a non protestare quando, oltre ai regali, egli voleva del l'altro: magari degli oggetti di uso personale. Le accoglienze erano sempre più liete quando sapeva che il viaggiatore era medico. Questo suo amore alla scienza medica, o per lo meno a chi la pro fessava, si sviluppò subito dopo che il dottor Traversi riuscì a guarirlo da una malattia che lo tormentava da parecchio tempo. Ebbe per molto tempo la passione dei medicinali, e più di un viag giatore, per non soffrire angherie dovette far sa crificio della sua farmacia da viaggio al capriccio di Menelik, al quale pareva di garantire tanto me glio la sua salute quante più medicine raccoglieva nel suo ghebi... Anche se non conosceva affatto il modo di farne uso.

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Quello che ne scrisse il Bianchi 55

Il Bianchi che passò dallo Scioa nel 1879 cosi lo descrive :

« Volendo di lui fare un po' di ritratto, secondo le mie impressioni, dirò ch'egli ha gli occhi troppo sporgenti e mancanti di vita, il naso schiacciato a larghe narici, turate di bambagia contenente una specie di muschio, la bocca troppo grande: due fila di denti magnifici, di un bianco di neve, ma troppo grossi, troppo lunghi e sporgenti e che si scoprono al più leggero movimento delle labbra, carnose, grosse, ripiegate. Ha le guancie polpute, rilevate; la pelle butterata : barba filla di un nero schietto, ma che su quel volto color bronzo non si rileva gran che perchè troppo corta. La sola cosa che può parere bella è la fronte perchè, essendo Menelik completamente calvo, la fronte apparisce abbastanza spaziosa. Ma il frenologo potrebbe an che non trovarvi le protuberanze da lui ritenute necessarie alle facoltà riflessive d'ordine, di me moria, ecc.... mentre altre, d'ordine più materiale, troverebbe forse soverchiamente sviluppate »).

Come si apprende da questa breve descrizione, Menelik, a quell'epoca, era tutt'altro che un bel l'uomo anche per quei paesi, e con l'andar degli anni e la pinguedine non deve certo aver guada gnato in bellezza, sebbene dopo abbia curato molto più la propria persona. Però ha continuato ad andare scalzo, quantunque abbia adottato costumi ricchi , e in questo assai dissimile dai suoi predecessori, poi chè, tanto re Teodoro come re Giovanni, tranne nelle grandi solennità, vestivano sempre in modo poco differente da quello dei loro capi minori. La regina

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Taitù, che in un certo periodo, fu presa dalla pas sione degli articoli d'importazione francese, e fece le più grandi feste specialmente ai viaggiatori fran cesi che ebbero la peregrina idea di portarle dei cappellini, dei manicotti del Louvre o del Bon Marché, aveva comunicato al marito la passione per i cappelli all'europea e per i guanti, sebbene non ne abbia mai trovati di cosi grandi da andar bene per le sue enormi mani.

La regina Taitù ha avuto sempre su di lui un grandissimo ascendente. Anche nelle cose di Stato, Venelik non faceva nulla senza consultarla. Lo seppe bene il conte Antonelli, il quale dovette di scutere punto per punto con la regina Taitù il trat tato di l'cialli (1).

Le donne hanno avuto una gran parte nella vita di Menelik, destinato a subirne il fascino in modo da compromettere talvolta anche la sua auto rità presso sudditi, come gli successe con la fa mosa Bafanà, la quale era arrivata fino al punto di revocare gli ordini del Re senza che questi ardisse di ribellarsi. Vi fu anzi un momento, nel quale, pro fittando delle sciagure che avevano colpito lo Scioa, e delle lotte intestine, la bella cortigiana formulo il disegno d'impadronirsi del potere per uno dei suoi figli, e a questo scopo favori apertamente uno dei ribelli più accaniti contro Menelik. Aveva carpito a Menelik dei fogli in bianco col suggello reale e su questi faceva scrivere gli ordini per incatenare i suoi nemici e per allontanare co loro i quali avrebbero potuto opporre ostacoli allo

(1) Vedi appendice capitolo.

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Il primo matrimonio di Venelik 57 scopo che si era prefisso . Con uno di questi fogli s'era presentata al comandante della fortezza di Enoari, ingiungendogli di rilasciare i prigionieri, che erano nemici di Menelik, e facendosi dare in consegna i tesori e le armi che il Re teneva ivi na scoste e custodite dai suoi fidi. Scoperta la trama Menelik pareva volesse fare chi sa che cosa. Ma ba stò che Bafanà gli chiedesse perdono con qualche carezza, perchè fosse tutto dimenticato. L'unica donna che, per quanto è noto, non abbia esercitato influenza sull animo del re dello Scioa, è stata la sua prima e legittima moglie, la figlia di Teodoro, che egli sposò per ubbidire il Negus, quando era suo prigioniero a Gondar.

In ogni modo questo suo primo matrimonio non ha impedito a Menelik di vivere pubblicamente per tanti anni con la Bafanà, come non gli ha im pedito più tardi di sposare l'attuale imperatrice Taitù. Malgrado l'ostentazione che tutti fanno in Abissinia dei sentimenti cristiani, hanno un modo molto curioso di intendere la religione. Il matri monio è anche per loro una cosa sacra ed indisso lubile. Ma, viceversa, considerano cosa naturalis sima lo sposare la moglie di un altro.

Legandosi con Taitù, Menelik veniva a cadere, come suol dirsi, dalla padella nella brace. Lasciava un'avventuriera per prenderne un'altra, la quale doveva finire, al pari di colei che l'aveva preceduta, per dominarlo completamente. Veramente, al con trario di Bafanà, la Taitù aveva sempre avuto il suo stato civile in regola, come si direbbe da noi, perchè era sempre stata, anche prima di sposare Menelik,la moglie legittima di qualcuno. Il conte

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Antonelli ha raccontato nel modo più completo la storia curiosissima di Taitù e gli episodi della lotta fra lei la sua rivale Bafanà. Si afferma allo Scioa che quella storia, pubbli catada tutti i giornali italiani e tradotta dai viag giatori francesi che la fecero leggere alla Regina, non sia stata una delle ultime cause dell'odio da lei concepito contro gl'italiani in generale e contro il conte Antonelli in particolare. All'apice della sua potenza, divenuta imperatrice di Etiopia e padrona assoluta dell'animo di Menelik, essa avrebbe voluto che nessuno più ricordasse i tempi, nei quali, spo sata a un soldataccio di re Giovanni, era dal marito costrettaa seguirlo apiedi nelle lunghe marcie, come una schiava con la catena ai polsi, ed a macinare negli accampamenti, fra due pietre, la farina per i soldati. L'imperatrice Taitù avrebbe voluto fossero da tutti dimenticate le sue avventure, i suoi cinque o sei mariti e il modo con cui la trattò Menelik nei primi tempi, piantandola una volta in mezzo ad un accampamento per andare a passare tre giorni in un convento dove si era rifugiata Bafanà. Allora, l'attuale Imperatrice non era ancora la moglie le gittima di Menelik. Ma, ben decisa a raggiungere il suo scopo, subì in apparenza rassegnata, tutte le più dure umiliazioni. Quando poi riuscì a dominare completamente il debole Re, minacciò di ritirarsi in un convento se non la sposava religiosamente... per tranquillizzare la sua coscienza di donna cri stiana! Più che ai fugaci onori terreni, diceva, do veva pensare alla salvezza dell'anima ! Ebbe l'abilità di mettere i preti dalla sua

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Taitù sposa ! 59

nel 1887 Menelik la sposava, abbandonando defi nitivamente la bella Bafanà.

Senza pieta per i suoi avversari, appena toccata la mèta, si sbarazzò senza scrupoli di loro e dei suoi tanti mariti ed amanti, che nella sua nuova posizione potevano comprometterla, ricordando i tempi andati. Come il clero si servì di lei per do minare Menelik, ella si servi del clero per far ca dere in disgrazia e togliere d'attorno all'Imperatore tutti coloro che avrebbero potuto opporsi alla sua influenza.

« Pregando Iddio e facendo carezze al Re, scrisse l'Antonelli parlando di lei quando ritornò in Italia dall'ultima sua missione allo Scioa, la sua potenza è andata sempre aumentando fino a diventare l'ar bitra assoluta di Menelik. Ha tratti regolari, salvo l'n piccolo difetto nella mascella superiore che sit benissimo dissimulare quando parla. Il colore della sua pelle è di bruno chiarissimo. È di statura re golare, ha occhi neri, grandi, espressivi, estremità finissime, modi aristocratici, ingegno fino. È di quelle donne che bisogna avere amiche. Guai a chi è loro nemico ! Quando vuole una cosa dal Re la vuole potentemente: ci metterà più giorni, mesi, anni, na riesce ad ottenere ciò che si è prefissa. Non vi è affare di Stato che non passi sotto i suoi occhi. Vuol sapere tutto quello che fa, dice o scrive: il Re. Le piacciono i liquori europei e lo champa gne di Francia: non quello italiano portatole da Maconnen. Qualche volta anzi ne abusa, ed allora potrà essere più simpatica al suo augusto sposo.. non certo ai suoi ammiratori.

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« Dell'incivilimento europeo apprezza le calze di seta, le scarpine, i guanti, che fanno parte del suo corredo.

« Il suo orgoglio, la sua smania di essere tutto, le hanno creato molti nemici. Guai se morisse il Re! Sarebbe lapidata, ed ella lo sa, ed ha accumu lato tutte le sue ricchezze fuori dello Scioa, nelle igrotte del Goggiam , dove andrà nei giorni di de cadenza a godere quello che oggi accumula ». Dall'epoca in cui così la descriveva l'Antonelli, la regina Taitù, a quanto ne scrivono coloro che hanno avuto occasione di vederla recentemente, è molto ingrassata, e come accade a tutte le donne della sua razza quando raggiungono una certa età, sè deformata. Ma non ha mai perduto nè l'energia per guidare suo marito, nè la furberia necessaria per farlo destreggiare in mezzo a tutte le influenze. All'apparenza adunque, perchè più abituato al .contatto degli europei, Menelik potè sembrare mi gliore degli altri capi africani , ma, in sostanza, non lu che un po' più furbo. Ha sempre avuto della ci viltà un'idea molto confusa che si è formato me diante i bibelots, gli strumenti, gli oggetti che gli hanno portato i viaggiatori; parla volentieri di fer rovie, di telegrafo, di telefono e avrebbe voluto tutte queste cose in una volta, sopratutto dopo i racconti che gli fece Maconnen dopo il suo viag gio in Italia; ma per quanto si riferisce ai sen timenti e ai costumi è niente più di un barbaro. So lamente ha capito che certe abitudini , certe cru dellà, certe perfidie, naturalissime in Abissinia, fanno cattiva impressione presso i popoli bianchi

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Profilo nobile e

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e, siccome teneva alla sua riputazione in Europa ha cercato di far le cose più pulite che può. La gene rosità, la lealtà, la mitezza dell'animo che gli hanno attribuito alcuni scrittori è una pura invenzione dei viaggiatori francesi, i quali arrivano --- come stampò una volta in volta in una corrispondenza dallo Scioa il Temps fino a dire che il Negus, mal grado la faccia butterata, gli zigomi sporgenti, la pinguedine e il miscuglio di razza che traspar nel suo profilo, ha un'espressione nobile e cavalle resca ! Egli pure come gli altri re amarici, fa ta-. gliare le mani e i piedi a chi incorre nell'ira sua. e trova non esservi nulla di male a massacrare e mutilare i nemici sorpresi inermi lasciando il di sgraziato esangue in mezzo alla strada.

È triste il pensare che solo con le armi , in gran parte fornite da noi, Menelik ha potuto compiere le carneficine più atroci contro quei poveri galla che una volta tenevano in rispetto l'Abissinia, e a dare un grande sviluppo all'infame commercio degli schiavi.

In un suo rapporto al Governo, il conte Auto nelli che ha seguito più volte Menelik in tali im prese, ha descritto con molta efficacia di colorito che cosa sia uno di quei famosi zemeccià scioani, ai quali il re dello Scioa deve l'allargamento del suo regno e la relativa ricchezza, a cui è pervenuto.

È un documento, la cui lettura desta un senti mento di raccapriccio e v'immerge nella tristezza, pensando che, indirettamente, siamostati i complici di tante infamie, e che la nostra politica coloniale è stata condotta in modo che i nostri rappresentanti

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hanno quasi sanzionato, con la loro presenza, quelle carneficine, delle quali la narrazione ha trovato posto in un Libro Verde assieme alle altre informa zioni circa gli usi e i costumi di un Sovrano amico! Premetto, scrive l'Antonelli, che dirò del zemec .cià contro i galla, come quella spedizione che è più frequente, e non già della guerra propriamente letta, perchè di questa le occasioni sono rare, e ba sterà alla fine darne un cenno che rileverò da infor mazioni datemi da testimoni oculari. Mentre che del zemeccià posso parlare con più conoscenza di causa ed esattezza, avendo più volte io stesso preso parte a simili spedizioni.

« Il giorno fissato dall'auage per la partenza, il Re parte e poco si cura se l'esercito è riunito; esso sa che i ritardatar lo raggiungeranno per la strada. Varcato il confine, la marcia prende il suo vero aspetto; i fanno (specie di saccomanni crudelissimi che precedono gli eserciti abissini) cominciano a galoppare coi loro cavalli e si spingono per conto loro ad una, o due giornate di distanza dall'esercito : le case che s'incontrano sono deserte, il paese è com pletamente abbandonato dagli abitanti che si die dero alla fuga abbandonando tutto, meno il loro be stiame. Siccome i zemeccià si fanno sempre nella stagione in cui i raccolti sono giunti alla maturità e che non resta che la mietitura, queste migliaia di uomini si danno a fare il raccolto ciascuno per proprio conto. La falce devastatrice del soldato passa come una maledizione e distrugge quello che trova; le abitazioni sono date alle fiamme e nella

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primi prigionieri 63

notte le tenebre sono rischiarate per un circuito di molti chilometri da case che bruciano.

Le tappe sono più lunghe e da tutti si cerca una sola cosa: devastare tutto quello che si trova. Co mincia una vera febbre per la caccia all'uomo, feb bre che invade grandi e piccoli, ricchi e poveri.

Più si cammina e più il paese si trova deserto; nelle case si vedono le vestigia della fuga precipitosa e recente.

Ognuno domanda : « Dove sono andati i galla col loro bestiame? » . La stizza e la rabbia eccita i più tranquilli, che partono a tutte le ore del giorno e della notte per cercare indizi onde scoprire dove si sono nascosti i fuggiaschi.

A chi con animo calmo e indifferente assiste a quelle scene, nasce spontaneo nella mente il para gone del cacciatore appassionato che segue con fu rore la selvaggina senza poterla afferrare. Le prime scorrerie parziali che fanno i soldati, le fanno per loro conto, senza esser guidati, nè comandati da nessuno. Tali scorrerie hanno per lo più il risul tato di impossessarsi di qualche timido fuggia sco abbandonato dai compagni, perché o troppo vecchio o troppo malato.

Questi primi prigionieri, dal buon soldato non si uccidono, anzi sono portati dal Re che li utilizza immediatamente per servirsene come spie e cono scere dove si è rifugiato il grosso del bestiame e de gli uomini.

Non basta distruggere le abitazioni, devastare i campi, uccidere gli abitanti; si vuole assolutamente il bestiame bovino, altrimenti il zemeccià fallirebbe

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ed il disonore prenderebbe il posto della gloria. Un interprete speciale prende cura dei primi prigio nieri, i quali vengono interrogati dal Re separata mente, senza che uno sappia della presenza del l'altro. Con questo sistema è facile farli cadere in contraddizione e da questo dedurre la verità. Chi negli interrogatori indicò false vie, viene trattato come traditore e come tale gli si tagliano le mani, oppure lo si uccide con un colpo di fucile Quelli che furono più sinceri sono benissimo trattati, si dà loro un vestiario nuovo e spesso una cavalcatura e diventano le guide dell'esercito inva dente. Questa specie di gente non manca mai nei zemeccià, ed una volta schierati dal partito nemico, non potendo più sperare nei loro che tradirono com pletamente, diventano l'istrumento più pericoloso pei fuggiaschi.

Durante quei giorni di febbrile attività e di in decisione, non si sa mai quello che farà il Re; bi sogna esser pronti a partire a tutte le ore.

Gli interrogatori dei prigionieri si succedono continuamente e nessuno sa quello che ne risulti. II Re, nella marcia, è preceduto da un forte numero di negarit che battono ripetutamente con cadenza monotona e sorda ed a lunghi intervalli. Il baga gliume cammina compatto, protetto alle spalle da un generale, che per turno fa il servizio di retro guardia, chiamato con parola amarica otò.

Il campo si fa in località previamente ignote, scelte dal Re stesso. Mentre si dispone l'accampa mento, il Re col suo seguito va sulle più alte cime dei monti e là è una gara di cannocchiali per poter

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aveva il comando del territorio che costituisce ora la nostra Colonia Eritrea

Il « ghesghessà » 65 scorgere dove fugge il nemico. Si resta delle ore intiere in questa continua osservazione, che, se in fruttuosa, serve ad inasprire gli animi fino alla rabbia più feroce. La fisonomia stessa del Re ha in quei momenti un aspetto indescrivibile; si sente offeso di vedersi wurlato dai Galla. Intanto i sol dali scorarazzano per lungo e per largo tutto il paese, le comunicazioni sono chiuse da tutti i lati, si cammina, si avanza sempre in tutte le direzioni per trovare i fuggiaschi . I paesi abbandonati si succedono tutti i giorni, le vittime sono poche e povere, il bottino è zero. Dalla rabbia passano quasi alla disperazione. Finalmente o per informazioni di spie, o per scoperte fatte dai soldati più arditi, o per indizi veduti col cannocchiale, si riesce a sapere con qualche relativa precisione dove si rifugiarono i fuggiaschi col grosso dei loro averi ed allora non si perde un momento di tempo, il Re lascia l'ac campamento con tutto il bagagliume, colle donne, coi ragazzi, colle provviste, ecc., ordina come guar diani degli accampamenti uno o due generali coi rispettivi eserciti. Il Re con tutta la gente a mulo ed a cavallo parte per una marcia rapida chiamata ghesghessà.

Il Re ordina ai suoi generali le vie che deb bono prendere ed indica press'a poco il luogo di concentramento. Dei generali sono destinati all'a vanguardia, altri per la destra e per la sinistra ed altri per la retroguardia : il Re occupa il centro preceduto dai negarit e circondato da tutti i suoi balamoal e zevegnà: questa la disposizione teorica;

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ma, all'atto pratico, tutti vanno a modo loro e spesso il Re si trova completamente isolato.

Un ghesghessà è una corsa sfrenata e senz'or dine; si vedono trenta o quaranta mila uomini che corrono tutti in una direzioneper loro conto, come gente pazza e frenetica. Il soldato non pensa più al suo generale nè questo al suo Re. Questo turbine di gente solleva nuvoli di pol vere da tutte le parti : nessuno sa dove si va, ma si galoppa sempre. Le schioppettate si odono da ogni lato e la corsa diventa sempre più rapida. Ognuno pensa a sè ed il Re in quei momenti è un semplice soldato, che, se vuole essere rispettato, deve essere prode.

È un fiume di uomini che segue il suo corso vertiginoso. Questa corrente umana va perchè deve andare, ma non si vede più nulla, altro che pol vere; non si ascoltano che schioppettate, spesso ti rate senza ragione, e poi grida, tamburi ed urli senza fine. Accade sovente che dopo otto o dieci ore di questa frenesia, si cominciano a scorgere grossi gruppi di bestiame bovino, guardati già dai soldati scioani; frammischiati a questi si vedono donne, fanciulle e fanciulli sporchi, neri e quasi ignudi che furono fatti prigionieri insieme alle loro mandre; si rallenta la corsa, pur continuando a galoppare e da tutti i lati non si vede che gente e bestiame caduto nelle mani degli Amaa. Sul terreno s'incontra steso qua e là qualche cadavere; nes suno vi bada e si va avanti. Il rumore delle fucilate raddoppia ed il panorama non presenta che gruppi di buoi, di vacche, di capre, di pecore, di prigio

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Momento di orrore 67

nieri che come macchiette coprono campi e col line.

Si arriva fino ai punti più avanzati ed allora si cerca dal Re un luogo elevato da dominare il vasto campo e là si fa sosta un momento per ammirare e per compiacersi dell'opera devastatrice. Le case fumano, le messi sono distrutte, qua e là dal sudi ciume degli indumenti si riconoscono i cadaveri galla e tutta la campagna è diventata, fin dove oc chio umano arriva, un gran campo boario. Il Re guarda tutto ciò con soddisfazione ed orgoglio ed in quel momento di orrore e di desolazione, si deve sentire grande e potente.

Intanto i buoi ed i prigionieri a passo lento e stracco, riprendono la via dell'accampamento; tutti i generali si riuniscono presso il Re, che ha per segnale l'ombrello rosso, si organizza un servizio di scorta e di sorveglianza per la marcia del ritorno, affinchè il frutto della razzia non venga ripreso dai nemici, i quali potrebbero forse sorprendere i vin citori che troppo si dettero all'ebbrezza della vitto ria. I soldati che hanno ucciso si presentano al Re sui loro cavalli di battaglia e declamano le loro glo rie, presenti, passate e future, e in segno di gioia scaricano i loro fucili. Questa declamazione è chia mata focherà, alla fine della quale il soldato salta a terra, si prostra avanti al Re e quindi parte.

La gioia è sul volto di tutti; in quei momenti non si pensa che ai vivi : alle vittime si penserà al campo, ed è là che avverrà il controllo fatale. Da ogni lato si formano gruppi di soldati che scannano i più grassi buoi e se li mangiano allegramente.

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Spesso in quelle circostanze il soldato si dà a delle velleità originalissime; vi è chi si permette il lusso di scannare un bue per mangiarne la sola lingua o qualche pezzo prelibato al suo gusto. Si mangia carne cruda gettando, quando si è sazi, ciò che ri mane; s'incontrano per via interi buoi sgozzati ai quali, per far presto, non si levò neppure la pelle, ma solo piccoli pezzi di carne scelta. Il Re stesso, mancando di provviste, fa uccidere uno, o due buoi e facendo formare coi manti dei suoi servi un riparo, mangia e dà da mangiare così ai suoi generali. Questo accade nei giorni in cui non è vietato l'uso della carne; perchè, se la razzia capitasse in giorno di digiuno, allora il pasto con siste nelle fave, piselli, frumento od altre granaglie trovate già mature sui campi. Terminato il pasto, il Re ha cura che tutta la sua gente abbia possibil mente ripresa la via dell'accampamento e si pone esso stesso, quale otò, per proteggere la ritirata. Si cammina così fino a notte e se non si raggiunge il campo si sceglie un posto per un bivacco provvi sorio. Se non fu portata pel Re neppure la tenda piccola, destinata a queste corse, gli si costruisce una piccola capannuccia e là, sopra fasci di erba, S. M. passa la notte come l'ultimo dei mortali. Du rante la notte i negarit non cessano di essere battuti e regna dappertutto la più sfrenata baldoria. È un fatto caratteristico di questi popoli vederli ecci tarsi colle grida e collo schiamazzo anche quando i loro ventri sono vuoti e le loro bocche aride. Fanno l'effetto di gente ubbriaca mentre avranno bevuto poca acqua. Il mattino seguente, ha luogo l'entrata

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all'accampamento ed è una vera marcia trionfale. Vengono ad incontrare il Re i generali guardiani del campo; appena il Re giunge ha luogo un lauto banchetto, al quale prendono parte tutti i capi ed una parte dei soldati componenti la casa del Re. Intanto che l'accampamento si riempie di reduci dal ghesghessà, un nuovo spettacolo si svolge ed un contrasto assordante nasce di riso e di pianto. Chi ha ucciso un nemico entra nel luogo dove è accam pato e accompagnato dai suoi amici, e cantando la canzonetta di vittoria; giunto alla soglia della propria tenda o del proprio goggiò, l'uccisore brandisce le armi e conta avanti ai suoi compagni le sue pro dezze, quindi spara il fucile e si ritira. Le donne ac. colgono il fortunato guerriero con alte grida di gioia, battimani e col proverbiale li, li, li, acuto e stridente, mentre la parente, o l'amica del soldato gli unge il capo col burro. Intanto poco discosto nello stesso accampamento, nella stessa tenda del vincitore, si annunzia la morte di qualche parente, tutti si radunano e ad alta voce piangono e gri dano; le donne si strappano i tapelli; il pianto dura anche nella notte: quelle stesse donne che poco prima avevano cantato e ballato per onorare il vin citore, cinque minuti dopo sono nella disperazione. L'accampamento in generale presenta lo spet tacolo di festa e di pianto; si sparano i fucili in se gno di lutto e si sparano in segno di vittoria e così tutto questo numeroso popolo guerriero piange, ride, batte le mani, si dispera, canta ed urla, chi per rallegrarsi e chi per rattristarsi. Lutto ed alle gria si confondono fra di loro e non sapete spie

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garvi se è il dolore o la gioia che domina; ma uno forse distruggerà l'altro e farà nascere un nuovo sentimento che è quello dell'indifferenza.

Questi ghesghessà si ripetono due o tre volte in un zemeccià, e coi continui bottini il campo ri gurgita di prigionieri e di bestiame.

È strano vedere la rassegnazione dei vinti. Il prigioniero di guerra diventa ipso facto lo schiavo ed il servo del vincitore. Il soldato invece di cari care le sue donne e le sue bestie da soma si serve subito dei prigionieri, i quali sono trasformati in tanti portatori.

Quella gente già sfinita di forze si adatta al nuovo mestiere finchè ha vita, e quando questa gli manca, cade sulla via : gli si toglie allora il carico, gli si permette di morire; nessuno gli volge uno sguardo. Le donne giovani ed i ragazzi, di famiglie agiate, prendono una fisionomia fra l'incretinito ed il rassegnato.

La donna galla ha un rispetto supremo per la forza; sono esse che eccitano gli uomini alla guerra ed alla resistenza; ma quando vedono che i loro si danno per vinti e che fuggono, lasciandole in preda al nemico, il loro orgoglio si ribella, sentono di sprezzo pei loro fiacchi uomini e seguono i vinci tori con indifferenza e rassegnazione. Appena la razzia è finita, non è difficile vedere un soldato che conduce la sua prigioniera, camminare accanto ad essa; luno e l'altra mangiando tranquillamente i piselli freschi come se nulla fosse accaduto di tra gico. Vi sono casi eccezionali, specialmente in al cune tribù degli Arussi, dove le donne combattono

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Il taglio delle mani 71 cogli uomini e, fatte prigioniere, cercano poi di uccidere a tradimento il loro vincitore. Si distinsero per questi fatti le donne di Albassò e di Cilalu nella spedizione del maggio 1886 .

I Galla, quando hanno perduto le loro donne, i loro igli, i loro vecchi e che si trovano decimati, privi di abitazioni, di alimenti e di bestiame, si ri solvono a far atto di sottomissione. Mandano i loro parlamentari al Re, oppure gridano nella notte da lontano abiet, abiet, ossia : signore, signore ! Grido questo che potrebbe anche tradursi per : misericor dia. I primi parlamentari che arrivano al campo del Re, portano qualche dono e sono sempre rice vuti benissimo. Il Re ha con loro parole benevole e non domanda ad essi che la sottomissione, promet tendo libertà e giustizia per l'avvenire. Sono inca ricati per trattare la pace gli Abbà-Dullà, ossia padri della guerra.

Dopo la prima udienza, i parlamentari s'impe gnano a far pratiche presso tutti gli altri Abbà-Dullà delle tribù vicine. Intanto però la guerra continua sempre. Non si fanno più ghesghessà, solamente l'opera devastatrice è continua e rende quei paesi inabitabili.

Spesso accade che i primi ambasciatori non erano che delle spie: allora la sottomissione non ha più luogo e la collera del Re non perdona. Per mezzo dell'auage si ordina che, ed eccezione delle donne, si tagli la mano destra a tutti i prigionieri. La mattina seguente, quando si leva il campo, si vedono migliaia di uomini seduti in terra con una mano appesa al collo, coll'altra stringendo il polso

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reso monco. Quegli infelici hanno gli occhi inve triti, non gridano, non piangono; si direbbe che hanno perduto il sentimento del dolore: restano là accovacciati e stringono il. polso grondante san gue; altro non fanno. Intanto tutti partono ed essi restano là per terrorizzare i loro superstiti e co stringerli ad una sottomissione.

Arriva finalmente il momento della sazietà nei conquistatori e dell'avvilimento nei vinti. Si man dano doni al Re, si radunano tutti gli Abbà-Dullà e la pace si conclude colla piena sottomissione delle tribù battute. Il proclama orale del Re annunzia la sottomissione ed ordina ai soldati di non più in cendiare le case nè di uccidere, perchè quelle genti sono diventati suoi sudditi. Si nomina un governa tore e s'invitano gli abitanti a ritornare ai loro po sti; l'auage finisce con alcuni ordini da eseguirsi per tutelare la marcia del ritorno.

Questa si fa con lentezza opprimente, causa il numero infinito di bestiame bovino. Durante le mar cie, se il paese è pericoloso, il Re stesso si mette alla retroguardia; diversamente, ricominciano le occupazioni pacifiche di far galoppare i cavalli, op pure di tenere il tribunale. Quando si è vicini a rientrare nei paesi già governati dal Re, dove le co municazioni possono riprendersi senza difficoltà, il Re sceglie una bella pianura, dove fa riunire tutti i prigionieri di guerra e tutto il bestiame preso. Là si conta e si divide : due parti prende il Re ed una il soldato.

Dopo questo il zemeccià è finito, ognuno rientra nelle proprie case.

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Il Re prende la via della sua residenza colla gente della sua casa e congeda i generali. L'entrata è fatta con solennità e con brio; le ban diere sono spiegate, attorniate dai negarit. Tutto il seguito è montato a cavallo ed è un continuo cor rere e scherzare facendo caracollare i propri cavalli avanti il Sovrano, vestiti tutti cogli abiti di guerra, che sono i più belli e i più ricchi che indossino gli Amarici. Gli uccisori di nemici si distinguono da un ramoscello di asparago selvatico, che fissano die tro la nuca, avendo la testa fasciata con dei veli. Questo è il zemeccià scioano contro i Galla. Ma non è tutto. In un altro brano dello stesso rapporto diplomatico, l'Antonelli racconta ciò che fanno prima che arrivi l'esercito del Re i fanno, gente che non ha un capo, che non è diretta da nessuno, che fa la guerra per conto suo al solo scopo di rubare, ben inteso col pieno assentimento del Re. Dove arriva la gente del Re i fanno ci sono stati uno () due giorni prima. Le donne dei fannò formano esse pure una classe a parte; guai se un povero fannò torna dalla guerra senza portare le insegne virili di un nemico ucciso. È sicuro di avere la rivoluzione nella casa e di essere caricato d'insulti.

La donna del fanno, come è crudele coll'uomo che torna a mani vuote, altrettanto è generosa espansiva ed affabile coll'uomo che ha ucciso; lo riceve come si ricevono gli eroi, gli fa ogni sorta di galanterie, vanta la sua bravura, la sua robu stezza e la propria felicità di possedere un uomo cosi potente. Queste lodi le canta a voce alta, fuori

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donne dei
fannò

della capanna, con grande gelosia delle vicine, che non possono dire altrettanto. L'emblema poi viene appeso alla porta dell'abitazione, e, se già ve ne sono altri, la brava donna con compiacenza stra ordinaria mostrerà alle sue amiche i gioielli che le ha riportati il suo uomo. I fannò sono gente di sprezzata e tenuta in nessun conto. Questo dipende pure dal fatto che non riesce quasi mai ai soldati del Re ed a quelli dei generali di arrivare i galla, senza che già non vi sia passato qualche fannò » . Quanto a Menelik, l'amico Dulio, che ebbe occa sione di conoscerlo bene, protestava contro gli en tusiasmi di alcuni per questo re selvaggio e bru tale come tutti gli altri, fin da quando, nel 1888, si stava a Saati sotto la medesima tenda ad aspettare il nemico che non veniva. Anch'egli mi narrò con parole di fiero sdegno che cosa sieno i zemeccia scioani e mi descrisse assai bene le scene feroci di cui si dilettava il Re ei mezzi coi quali si procurava gli schiavi. Peccato che l'ex governatore del Be nadir non si sia mai deciso a pubblicare le sue note di viaggio in un volume a cui non po trebbe mancare il successo! Il Dulio mi racconto fra gli altri un episodio che mette in luce la civiltà dell'attuale Negus-Negesti. In una spedizione del ge nere di quelle alle quali ho accennato, giunto col suo seguito sull'orlo di un burrone, in fondo al quale scorreva un torrente, Menelik scorse alcuni galla che cornpletamente ignudi si bagnavano in quell'ac qua che, secondo una leggenda, doveva avere la virtù di renderli invulnerabili. Menelik, per dimo strare loro quanto si ingannavano, si pose in ginoc

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Lo spostamento delle capitali 75 chio e, presa la mira col fucile, tirò parecchi colpi ferendone alcuni; poi passò il fucile a un europeo che lo accompagnava, invitandolo a fare altrettanto, come se ammazzare la gente fosse la cosa più na lurale del mondo... Ed ebbe l'aria di maravigliarsi molto perchè l'europeo ringraziò, declinando l'in vito.

Con tali sistemi Menelik fece pian piano dello Scioa un regno più vasto e molto più ricco dell'im pero d'Abissinia, direttamente dipendente dal Ne gus. Tutto intento a conquistare i mal difesi paesi galla, la sua politica, per molti anni, fu quella di vi vere in pace ad ogni costo col Re dei Re, pur di aver la mano libera verso il sud. Ebbe cura di mo strarsi sempre disposto a subire qualunque umi liazione perchè trovava largo compenso nelle con tinue annessioni di regioni che gli fornivano sol dati, schiavi e ricchezze.

Con tale intento spostò successivamente la ca pitale del regno da Ankober a Licce, poi Debra Bean, a Antotto e finalmente ad Adis-Abeba, por tandola sempre più a sud. Tale movimento ha sem pre continuato, sia per assoggettare e spogliare nuove genti, sia per aprirsi una via al mare che è sempre stato il sogno di Menelik come lo fu di tutti gli imperatori etiopici. Malgrado i maggiori contatti con gli europei con tinuò sempre nel sistema delle spogliazioni e dei massacri di gente inerme. Ce ne porta testimonianza non sospetta il francese signor Vandenheim in un volume, edito una quindicina d'anni fa a Parigi, nel

quale racconta ciò che ha fatto e osservato durante il suo soggiorno in Abissinia.

Ecco come descrive una spedizione di Venelik nel 1892 contro alcune tribù dei Wollamo, alla quale ebbe l'onore di prender parte per invito dell'impe ratore :

« Dalla sera del 1° dicembre qualche combatti mento parziale ebbe luogo e si videro ritornare dei soldati abissini portando alla bacchetta del loro fu cile le spoglie sanguinolenti dei wollamo evirati e mutilati, ebbri di sangue, cantando canzoni di guerra. Da quel momento, fino al massacro defini tivo, queste grida non cessarono più.

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« ... Appena incominciata la devastazione delle abitazioni e dei campi con l'incendio, i vincitori ritornavano al campo conducendo prigionieri, donne, ragazzi, tutti nudi e carichi del prodotto della razzia.

« Il paese wollamo è incastrato da tre parti nel territorio etiopico : la tattica abissina era molto semplice: consisteva nel circondare i nemici e nel massacrarli ai piedi di una catena di montagne, quasi inaccessibile.

«« Le cifre delle vittime sono dificili a darsi. Il Negus, al quale aveva domandato il numero dei morti, fece fare un censimento in base alle notizie dei capi. Finalmente ebbe la cifra di 96.000 uomini uccisi o fatti prigionieri; ma credo che, riducendo la cifra a 20.000, si è più vicini alla verità ». Dopo una gioconda descrizione del carnaio or rendo, l'accompagnatore del Negus aggiunge: « Non potei impedire ai miei uomini di combat

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Schiavi offerti in dono 77

tere e il mio campo si accrebbe dopo poco tempo di dodici buoi e vacche, di qualche capra e di un dici schiavi. Perché riesca più chiaro questo affare, lascio a lui la parola :

« Quando i miei passarono dinanzi a Sua Maestà gli feci aimablement osservare che ne aveva presi 1800 per la parte sua, mentre io non ne aveva che 11. Il meno che potesse fare era di lasciarmeli.

Va bene mi disse sorridendo teneteli. « Assistetti durante la cernita degli schiavi a delle scene strazianti. Dei fanciulli separati dalla madre, dei fratelli dalle loro sorelle gettavan grida di disperazione che risvegliavano per qual che istante le loro faccie di bruti » .

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IV.

NEGUS NEGHESTI ? L'AIUTO DELL'ITALIA.

dii Una missione dal Negus Johannes La proposta un trattato L'occupazione di Massaua e Menelik An tonelli non ne era stato avvertito ! Una lettera del Negus Johannes a Menelik Taitù contro di noi Si mandano armi allo Scioa Menelik teme il Negus Non vuol compromettersi Si propone come paciere Menelik baldanzoso dopo la ritirata del Negus Ci chiede altre armi E anche soldati ! Si mette d'ac cordo con Tecla -Aimanot Alla morte del Negus Johan nes Si proclama Negus Neghesti Mangascià non lo riconosce La missione di Makonnen in Italia L'in coronazione ad Antotto.

MENELIK .

Taitu.

S534A

Nel 1883, nello stesso anno in cui l'Antonelli aveva firmato il primo trattato con Menelik, il Van cini inviava da Assab una missione straordinaria con doni di Re Umberto al Vegus Giovanni per in durlo a sottoscrivere un trattato d'amicizia e di com mercio con l'Italia. Re Giovanni si prese i doni , il Gran Cordone della Corona d'Italia, che il Branchi, Commissario civile ad Assab e capo della missione, gli consegnò a nome del Re, come Menelik aveva accettato la gran croce dello stesso Ordine, porta tagli dal capitano Martini, ma non volle saperne di firmare trattati. Avrebbe firmato tutto quello che si voleva, ma all'espressa condizione che gli si for nissero delle armi, delle quali aveva bisogno per affermare vieppiù la sua supremazia in Abissinia. Meno astuto di Menelik il quale si contento prima dell'amicizia, sicuro che questa gli avrebbe agevo lato l'acquisto delle armi dopo, il Negus avrebbe voluto prima le armi e poi l'amicizia.

Due anni dopo le truppe italiane occupavano Mas sáua, e la notizia di questa occupazione perveniva

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il 6 marzo a Menelik per mezzo di un corriere del l'alta Abissinia. L'Antonelli, che non ne era stato avvertito il che mostra una volta di più con che mancanza di criteri e di preparazione si procedesse a quella impresa -- fu subito chiamato al ghebi dal Re, che voleva delle spiegazioni.

La notizia aveva prodotto allo Scioa grande im pressione e quell'atto si era giudicato come il pre ludio di guerra prossima e certa fra l'Italia e l'Abis sinia.

Il 26 novembre 1885 il conte Antonelli informava da Antoto il nostro Governo che l'imperatore Gio vanni aveva scritto a Menelik una lettera assai viva contro gli italiani, ordinandogli nel tempo stesso di chiudere la via del mare e di non far passare più nessuno sia dalla parte dell'Aussa che dalla parte del Ciarciar (via di Zeila).

Fu questa informazione dell Antonelli, secondo quanto mi hanno assicurato persone che ebbero occasione di avvicinare a quell'epoca il conte di Robilant, allora Ministro degli Esteri, che fece so spendere l'invio della missione Pozzolini a re Gio vanni proprio quando il Generale stava per partire alla volta dell'altipiano.

Sei mesi dopo lo stesso Antonelli scriveva da Antoto (11 maggio 1886) al Ministro degli Esteri, che la sua situazione nello Scioa era diventata dif icile. Scopo della sua nuova missione presso Me nelik era : di condurre in Italia una missione scioana, che avesse ratificato il trattato di commer cio e di amicizia e di rendere ben protetta e facile la via di Assab. Ma, malgrado tutto il suo buon

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Un rapporto dell'Antonelli 83

volere, non riuscì a concluder nulla, specialmente per l'opposizione della regina Taitù che aveva la più grande influenza sull'animo del Re e che si era mostrata ostile all'Italia subito, dal giorno nel quale seppe dell'occupazione di Massaua. La regina Taitù è di origine tigrina: sposata da Menelik per consi glio dell'Imperatore, vide un affronto ai diritti del suo paese in quella occupazione e non nascose il suo risentimento. Da quel giorno ei fu sempre im placabile nemica.

D'altra parte il Negus invitava lo Scioa a tenersi pronto ad una guerra contro gli italiani.

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« A distrarre l'animo del Re - scriveva l'An tonelli in quel rapporto, in cui riassumeva le circo stanze tutte della sua missione dalle notizie al larmanti che pervenivano dal Tigre, arrivo l'avviso da Ankober che una delle grandi carovane cariche di armi , partite da Assab nei mesi di novembre e dicembre 1881, era prossima ad arrivare.

« Sua Maestà partì da Antoto ed il 25 aprile riceveva con grande soddisfazione un carico im portante, come finora non era mai qui arrivato, di fucili e munizioni. Questo arrivo fu per lo Scioa un vero avvenimento; la mia situazione montò allo zenit dei favori reali e per qualche giorno non si parlò più nè di Massaua, nè di altro che si riferisse all'azione militare italiana diretta contro l'Etiopia »).

Arrivata un'altra carovana di armi, proveniente da Assab, l'Antonelli ritornò alla carica per otte nere che il Re mandasse in Italia una missione :scioana per la ratifica del trattato. Ma Menelik mandava sempre le cose per le lunghe. Non voleva

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fare un atto che l'imperatore Giovanni poteva giu dicare poco riguardoso verso di lui. Insomma, concludeva Antonelli sintetizzando molto bene in poche righe quella politica del Re dello Scioa che, cominciata allora, doveva dal più al meno mantenere sempre lo stesso carattere Menelik vuole la pace coll'Imperatore, perchè al trimenti i suoi generali si ribellerebbero, e nello stesso tempo ha bisogno dell'Europa per avere mu nizioni e armi , senza le quali perderebbe tutto il già fatto. Desidera mantenere buone relazioni col l'Italia, ma vuole evitare ogni attrito con l' Impe ratore.

Le trattative con Menelik continuavano ancora, quando avvenne l'eccidio di Dogali, rendendo ine vitabile la guerra tra l'Italia e il negus Giovanni.. Più che mai allora importava sapere quale atteg giamento avrebbe preso Menelik nell'imminente conflitto, e procurare che egli o cooperasse con noi o non aiutasse almeno il nostro nemico. Ma tutto il buon volere dell'Antonelli non riuscì, e non poteva. riuscire ad ottenere risultati pratici ed efficaci.. Il nostro diplomatico infatti, prima della cam pagna, avvertiva il Governo che il Re avrebbe temporeggiato, che non si sarebbe impegnato con di chiarazioni esplicite, ma non si sarebbe battuto mai contro gli italiani, e se fossero arrivate notizie di successi da parte nostra, allora avrebbe potuto più liberamente agire. In altri termini, precisamente come i contadini dell'Agame o dell'Enderta, Me nelik, secondo lo stile abissino, aspettava a mettersi dalla parte del più forle.

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Durante la guerra con Re Giovanni 85

Non volendo inimicarsi con nessuno, pensò di proporsi come paciere, e fece in questo senso qual che inutile passo: ma intanto gli toccò ubbidire al Negus quando, incominciate le ostilità, gli ordinò di recarsi nei Uollo -Galla per impedire qualunque ribellione, mentre egli si trovava impegnato con gli italiani, come al re del Goggiam aveva ordi nato di fronteggiare i dervisci dalla parte di Gon dar. L'esercito di Menelik, forte di circa 120 mila uomini , di cui circa quindici mila armati di fucili di varie qualità, assicurava la ritirata al Negus nel caso d'insuccesso. Così infrangeva, a nostro danno, la neutralità che aveva pattuito col nostro rappresentante in una convenzione -- che doveva ri manere segreta per non metterlo in imbarazzo di fronte all'Imperatore - ma che, in ogni modo, costi tuiva per lui un impegno preso. Meno male che quella volta il nostro Governo sospese l'invio di 5000 remington, che in quella convenzione per la neutralità, l'Italia aveva assunto l'obbligo di fornire a Menelik nello spazio di sei mesi ! Quando re Giovanni , dopo essere arrivato fino a pochi chilometri dalle trincee di Saati senza osare di attaccare, si ritirò precipitosamente, Menelik di ventò subito baldanzoso. Il Negus, per suggestione dei ras Alula e di webeb, che gli avevano fatto cre dere che Menelik aveva contribuito a fare andare gli italiani a Massaua, gli aveva scritto una lettera monto risentita, dandogli anche degli ordini. Me nelik, offeso, si considerò sciolto da qualunque im pegno e dal giuramento di fedeltà, e scrisse a Re Umberto offrendo la sua cooperazione contro re

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Giovanni , e domandando a Re Umberto che gli an ticipasse la somma necessaria per comprare dieci mila fucili Remington e 400 mila cartucce. Chiedeva inoltre che questi fucili fossero al più presto possi bile spediti ad Assab, di dove si obbligava di farli ritirare, e che la carovana delle armi fosse scortata da 500 0 1000 soldati italiani che egli avrebbe ben accolti nel suo paese.

Chi sa dire quale diverso indirizzo avrebbe po tuto prendere la nostra politica in Etiopia, se ac condiscendendo alla domanda dei fucili, si fosse anche accettata l'altra relativa all'invio di cinque cento o mille soldati ? Nelle imprese coloniali tutto dipende da una prima mossa e dal sapere cogliere l'occasione quando si presenta. Menelik era andato man man ingrandendo il suo regno nelle provincie meridionali, alle quali noi avevamo giustamente mirato fin da principio, ma delle quali dopo l'occu pazione di Massaua non ci siamo più occupati. L'e sercito di Menelik, tranne quelle che gli avevamo regalato noi, non aveva allora che poche armi im perfette, e in ogni modo con munizioni limitate e con l'impossibilità di rifornirsene. Chi sa se quei mille uomini mandati in tempo non avrebbero po tuto assicurare all'Italia e ai suoi commerci quella vasta zona conquistata dagli scioani e che è fra le più ricche e le più produttive dell'Africa? Era quella la seconda volta che un re africano sollecitava l'invio nel suo paese di soldati italiani. Trent'anni prima tre o quattrocento soldati ce li aveva chie sti anche Negussié, e non è dubbio che a quel l'epoca sarebbero bastati quei pochi uomini a de

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Menelik e Tecla -Aimanot 87 cidere delle sorti dell Abissinia. Ma mentre si capisce come tale iniziativa non potesse venir presa dagli uomini che reggevano il piccolo Piemonte e che pensavano a riunire le membra sparse della Patria, si spiega meno perchè non sia stata accolta interamente la domanda del re dello Scioa. Invece furono mandati con grande sollecitudine i soli fu cili, accontentandosi , per correspettivo, di uno di quei soliti trattati che i capi africani - ormai avremmo dovuto saperlo anche noi rispettano fino a che loro fa comodo, salvo a stracciarli con la massima disinvoltura appena credono ciò possa. giovare ai loro interessi.

Nel tornare allo Scioa, Menelik aveva preso la via del Goggiam e si era inteso con Tecla -Aimanot, che aveva egli pure ragione di rancore contro re Giovanni. Tecla-Aimanot aveva ricevuto Menelik con grande deferenza trattandolo già come se fosse Re dei Re. Si mise lo sciamma alla cintura segno di grande rispetto, e si sedette in un trono più basso. La regina Taitù era divenuta di un tratto la più acerrima nemica dell'imperatore Giovanni e in questo suo mutamento d'opinione l'avevano se guita i tigrini che erano alla Corte, e che costitui vano il così detto partito della regina.

Il Negus dopo essersi ritirato con l'esercito in dissoluzione dinanzi alle nostre fortificazioni di Saati, aveva invaso il Goggiam , ma non era riuscito a vincere la resistenza di Tecla -Aimanot, Fu allora che re Giovanni nella speranza di rial zare il suo prestigio militare, molto scosso per i due scacchi subiti, mosse guerra ai dervisci.

L' ETIOPIA

Quando nel marzo del 1889 si sparse in Etiopia la notizia che l'imperatore Giovanni era morto a Metemma in una grande battaglia contro i dervisci, Menelik si proclamò Re dei Re e con la data del 26 marzo scrisse a Re Umberto, domandando l'aiuto dell'Italia con la pronta occupazione d'Asmara per imporsi ai ribelli tigrini , e pregando che non si facessero pervenire armi nel Tigre per la via di Massaua. Menelik ebbe, anche in questo, fortuna, poichè la morte di re Giovanni avvenne proprio nel momento in cui essendo egli pronto per la guerra poteva disporre di ingenti forze per imporsi a tutta l'Etiopia.

Il re del Goggiam, ras Micael dei Vollo Galla, molti altri capi e il clero lo riconobbero subito come Negus-Neghesti.

Solo nel Tigré sorse pretendente ras Mangascià, designato come suo successore dallo stesso Gio vanni ed aiutato da Alula contro Debeb che aveva delle pretese alla successione come parente del de funto Imperatore. Ma rimandando a miglior tempo la sottomissione del Tigre, sicuro che gl'italiani lo avrebbero poi aiutato in quell'impresa, Menelik, in qualità di Negus d'Etiopia, firmò ad Ucialli il fa moso trattato e stabilì col nostro plenipotenziario conte Antonelli l'invio in Italia di una missione, non più scioana ma etiopica, con a capo degiac Macon nen, governatore dell'Harrar.

Ai primi di agosto il generale Baldissera fece occupare l'Asmara, mentre degiac Maconnen era in viaggio per l'Italia dove ottenne, con la garanzia del Governo, un prestito di due milioni dalla Banca

88 L'ITALIA

L'incoronazione ad Antotto 89

Nazionale, e firmò, a Napoli, una convenzione addi zionale al trattato di Ucialli, relativa principalmente ai confini della nostra Colonia.

Il 3 novembre 1889 i Antotto fu celebrata pom posamente la incoronazione di S. M. Re Menelik a Re dei Re di Etiopia e il 5 quella della regina Taitù. Alle due cerimonie assistette come rappresentante dell'Italia il dottore Ragazzi, al quale, finite le fe ste, Menelik diede la decorazione etiopica. Qui finisce quella che chiameremo la prima fase delle relazioni fra Menclik e l'Italia. La seconda, quella che doveva condurre alla guerra, cominciò poco tempo dopo, quando Menelik, interpretando l'articolo 17 del trattato di L'cialli nel senso che po teva, se voleva, servirsi dell'Italia per le sue rela zioni con le Potenze europee, senza però averne l'obbligo assoluto, comunicava direttamente ai so vrani europei la sua assunzione al trono.

CRONOLOGIA DELL' ERITREA.

5 febbraio 1885. Il colonnello Saletta sbarca con 1000 uomini a Massaua.

10 aprile 1885. - Occupazione d'Arafali nella baia di Zula.

7 ottobre 1885. Il Comandante di Massaua stipula la convenzione per il protettorato degli Habab.

Al colonnello Saletta succede il 2 dicembre 1885. generale Genè.

23 gennaio 1886. Sbarca a Massaua il generale Pozzolini per recarsi in missione da re Giovanni.

23 febbraio 1886. -Il generale Pozzolini ritorna in Italia essendo stato sospeso l'invio della missione.

6 agosto 1886. --- Il generale Genè domanda rinforzi

L'ITALIA E L' ETIOPIA

al Ministro della guerra on. Ricotti, temendo ag gressione specialmente da parte di ras Alula an dato a razziare negli Hababs. Il Ministro Ricotti non li mandò.

1 settembre 1886. Piccolo scontro a Zula fra i nostri irregolari e la banda di Debeb.

23 novembre 1886. Il generale Genè fa occupare la posizione di Ua-a per proteggere le carovane:

10 gennaio 1887. -- Ras Alula si lagna dell'occupa zione di Va-a.

14 gennaio 1887. Il generale Genè fa occupare dal maggiore Boretti, con due compagnie di fanteria e degli irregolari, i pozzi di Saati.

16 gennaio 1887. Ras Alula fa arrestaré Salim beni, Savouroix è Piano che andavano in mis. sione dal Negus.

25 gennaio 1887. --- Ras Alula attacca il forle di Saati ed è respinto.

26 gennaio 1887. -- Combattimento di Dogali. La colonna De Cristoforis è distrutta.

27 gennaio 1887. di Ua -a.

Vien ritirato il distaccamento

28 gennaio 1887. Le compagnie del maggiore Bo

94

Cronologia dell' Eritrea 95

retti con una marcia notturna arrivano a ·Mon cullo.

18 marzo 1887. Genè è sostituito a Massaua dal generale Saletta.

17 aprile 1887. -- I servizi d'Africa passano sotto il Ministero della Guerra.

2 maggio 1887. --- È dichiarato lo stato di guerra.

25 ottobre 1887. Menelik offre la sua mediazione fra l'Italia e il Negus.

28 ottobre 1887. Firma della convenzione segreta con Menelik per la neutralità.

8 novembre 1887. Arriva a Vassaua il generale San Marzano con le prime truppe della spedi zione.

25 dicembre 1887. La missione inglese andata dal Negus per evitare un conflitto, senza aver nulla concluso ritorna a Massaua.

27 dicembre 1887. Menelik per ordine del Negus parte da Entotto col suo esercito.

22 febbraio 1888. Ricognizione sull'altipiano del l'Agametta del colonnello Viganò capo di Stato Maggiore con alcune centinaia di irregolari.

26 febbraio 1888. Il Negus è segnalato a Godofe lassi.

27 febbraio 1888. Ricognizione del generale Bal dissera a Sabarguma.

31 marzo 1888. Sono rotte le trattative di pace iniziate dal Negus.

2 aprile 1888. Il Negus arrivato fino sotto Saati inizia la ritirata del suo esercito.

2 maggio 1888. Il generale San Marzano ritorna in Italia con le truppe. Rimane comandante a Massaua il generale Baldissera.

8 agosto 1888. Fatto di Saganeiti. Muoiono il ca pitano Cornacchia e i tenenti Viganò, Virgini, Poli e Brero.

8 ottobre 1888. Il Governo italiano avverte Me nelik ribellatosi a re Giovanni, che quando sarà impegnato col Negus le truppe nostre faranno una punta su Asmara.

9 dicembre 1888. Antonelli informa che Menelik ha iniziato trattative di pace col Negus.

2 febbraio 1889. --- Il maggiore Di Maio fa una ri cognizione su Cheren.

10 marzo 1889. Morte di re Giovanni.

96 L'ITALIA E

Ras OLIÈ fratello dell' Imperatrice,

L ABUMA PETRÒS SUL SUO TRONO.

13 marzo 1889. Baldissera fa occupare da irrego lari l'altipiano dell'Agametta.

26 marzo 1889. Menelik annunzia la sua procla mazione a Negus Neghesti, e insiste per la pronta occupazione di Asmara da parte nostra per aiu tarlo contro i ribelli del Tigre.

2 maggio 1889. Firma del trattato di Ucialli.

2 giugno 1889. Occupazione di Cheren.

16 luglio 1889. Ricognizione del tenente colon nello Piano all'Asmara.

3 agosto 1889. Baldissera occupa l'Asmara.

21 agosto 1889. Maconnen con la missione elio pica sbarca a Napoli.

1 ottobre 1889. L'on. Crispi e Maconnen firmano a Napoli la convenzione addizionale al trattato d'Ucialli.

11 ottobre 1889. L Italia notifica alle potenze il trattato di Ucialli.

Incoronazione di Menelik a 3 novembre 1889. Entotto . Maromen parte dall'Italia per 4 dicembre 1889. lo Scioa.

Cronologia dell'Eritrea 97
7

ETIOPIA

14 dicembre 1889. Il generale Baldissera in se guito a sua domanda per malattia d occhi è eso nerato dal comando e sostituito dal generale Orero.

1 gennaio 1890. Un decreto dà il nome di Colonia Eritrea ai nostri possedimenti nel Mar Rosso.

26 gennaio 1890. -- Marcia del generale Orero ad Adua.

4 marzo 1890. Menelik che ha ratificato pochi giorni prima à Macallè la convenzione addizio nale, consente a farsi rappresentare dall'Italia alla conferenza di Bruxelles.

19 marzo 1890. Giunto a Hausien per andare ad incoronarsi ad Axum ritorna indietro temendo le ostilità dei tigrini.

22 marzo 1890. Si rompono le trattative per la delimitazione dei confini fra i delegati italiani e scioani a proposito del confine Mareb-Belesa Muna, che Menelik non vuole assolutamente con cedere.

4 giugno 1890. -- Il comandante generale Gandolfi sostituito all'Orero, è nominato Governatore ci vile e militare.

27 giugno 1890. --- Il capitano Fara sconfigge un'ordadi servisci che razziavano nei Beni Amer.

98 L'ITALIA
E L'

27 97 settembre 1890. Menelik protesta contro l'ar ticolo 17 del trattato di Ucialli, e dichiara non potrà mai concedere il confine Mareb -Belesa Muna.

11 maggio 1891. -- Nomina della commissione d'in chiesta per riferire sulle condizioni dell'Eritrea.

8 dicembre 1891 . - Convegno sul Mareb.

.8 dicembre 1891. Mesciascia Wuorchid, rappre sentante di Menelik, lascia il Tigre.

28 febbraio 1892. --- Il generale Baratieri è nomi nato Governatore al posto di Gandolfi.

11 maggio 1893. -- Menelik denuncia il trattato di Ucialli. Il Governo italiano (Giolitti) non se ne occupa.

21 dicembre 1893. Battaglia di Agordat.

2 febbraio 1894. Il colonnello Arimondi è pro mosso per merito di guerra.

2 giugno 1894. - Ras Mangascià si reca dal Negus ad Addis Abeba.

17 luglio 1894. Presa di Cassala.

È istituita la prefettura apo :19 seltembre 1894. stolica dell'Eritrea.

99
Cronologia dell'Eritrea

L'ITALIA E L'ETIOPIA

18 diceinbre 1894. Toselli sconfigge Bata Agos ad : Halai. 1 13-14 gennaio 1895. Combattimento di Coatit. Mangascià è sconfitto.

15 gennaio 1895. Cannoneggiamento di Senafè. Decreto di espulsione dei Laz 99 gennaio 1895. ---zaristi.

2 febbraio 1895. - Promozione per merito di guerra del maggiore generale Baratieri. 25 marzo 1895. Occupazione di Adigrat.

Il colonnello Pianavia giunge a: 28 marzo 1895. Vacallè.

5 aprile 1895. Baratieri entra ad Adua. 1 14 aprile 1895. -- Le nostre truppe occupano Fre mona su Adua. È segnalato l'arrivo del Negus 17 maggio 1895. a Voro -Jelu .

2 giugno 1895. È inaugurato il forte di Adigrat.

15 settembre 1895. congedo. Baratieri farle per l'Italia irr

100

Cronologia dell'Eritrea 101 oltobre 1895. Combattimento di Debra -Aila.

11 ottobre 1895. - Una nostra ricognizione spinta fino ad Amba Alagi libera ras Sebat.

18 oltobre 1895. Baratieri giunge a Vacallè e or dina le fortificazioni.

7 dicembre 1895. Combattimento di Amba Alagi.

8 dicembre 1895. Combattimento di Aderà.

10-11 dicembre 1895. Concentramento delle forze della Colonia ad Adtgrat.

16-18 dicembre 1895. -- Partono dall'Italia i primi rinforzi e seguitano le partenze fino al 31 di cembre 1895.

7 gennaio 1896. - Arrivo del Negus a Chelicot.

7 gennaio 1896. -- Arrivo ad Adigrat del primo bat taglione dei rinforzi (alpini).

11 gennaio 1896. --- Tutto l'esercito scioano attacca Macallè ed è respinto.

12-24 gennaio 1896. Partenza di altri ballaglioni.

18 gennaio 1896. -- Il tenenle Partini va al campo nemico.

E'T!OPIA

18 gennaio 1896. Il corpo d'operazione si trasfe risce ad Adagamus. 20 gennaio 1895. -- Il battaglione Galliano esce dal forte di Macallè. 30 gennaio 1896. Il battaglione Galliano arriva al campo di Adagamus. 1-2 febbraio 1896. Il corpo d'operazione si tra sferisce a Mai-Gabetà.

6 febbraio 1896. ---- Partenza del 21° battaglione e del colonnello Pittaluga per Assab. In seguito a ordine telegrafico sbarcano a Massaua.

Partenza di altri 11 hatta 12-19 febbraio 1896. glioni. Defezione di ras Sabat e Agos 13 febbraio 1896. Tafari.

Comhaltimento a Seeta e 14-16 febbraio 1896. Alequà. 26 febbraio 1896. Combattimento di Mai Marat. 27-29 febbraio 1896. Heusch . Partenza della divisione 1 marzo 1896. Battaglia di Adua.

102
L'ITALIA E L'

4 mar : 0 1896 . Baldissera.

Cronologia dell' Eritrea 103

Sbarco a Massaua del generale

3 aprile 1896. Battaglia di Tucruf nella quale il colonnello Stevani sconfigge forze ingenti di der visci.

7 aprile 1896. Il maggiore Salsa sa dal Vegus che i prigionieri sono 2400.

4 maggio 1896. --- Liberazione di Adigral. :

26 oltobre 1896 . Firma del Trattato di pace.

7 novembre 1896. - Parte da Addis Abeba il primo scaglione dei prigionieri che sbarca a Napoli il 3 gennaio 1897.

23 aprile 1897. --- Parte l'ultimo scaglione dei pri gionieri dall'Harrar che sbarca a Napoli il 20 giugno.

7 gennaio 1897. Il generale Baldissera lascia la Colonia .

30 novembre 1897. Nomina dell'on . Martini a Regio Commissario straordinario per l'Eritrea.

15 dicembre 1907. Combattimento di Bahallè fra abissini e le nostre truppe di Benadir nel quale lasciano la vita i capitani Bongiovanni e Moli nari.

16 maggio 1908. - In Addis Abeba viene firmata la convenzione fra l'Italia e l'Etiopia per la delimi tazione dei confini fra l'Eliopia e la Somalia.

COMANDANTI E GOVERNATORI MILITARI E CIVILI DELL' ERITREA

5 febbraio 1885. Il colonnello Saletta nominato Co mandante Superiore.

6 ottobre 1885. Generale Genè nominato Co mandante Superiore.

17 marzo 1887. Generale Saletta nominato di nuovo Comandante Superiore.

10 ottobre 1887. Generale Asinari di S. Marzano nominato Comandante in Capo.

19 aprile 1888. Generale Baldissera nominato Comandante Superiore.

6 novembre 1889. Generale Orero nominalo Co mandante Superiore.

1 4 giugno 1890. Generale Gandolfi nominato Go vernatore Civile e Militare.

104 L'ITAL ! A E L
' ET!OPIA

Cronologia dell'Eritrea 105

28 febbraio 1892. Generale Baralieri nominato Governatore Civile. Generale Lamberti nominato 11 gennaio 1896. Vice Governatore. 22 febbraio 1896. Generale Baldissera nominato Comandante in capo con poteri civili e militari. 28 agosto 1896. - Generale Viganò nominato Vice Governatore. 30 novembre 1897. Martini nominato Regio Com missario Civile Straordinario. 24 gennaio 1907. -vernatore. Salvago Raggi nominato Go

LA ROTTURA CON L'ITALIA . PREPARAZIONE ALLA GUERRA,

Il valore del Negus Teodoro e del Negus Johannes Me nelik evita di mettersi in prima linea La cavalleria galla L'impresa dell'Harrar L'Italia invitata a im padronirsi dell'Harrar La discussione alla Camera La ricca provincia Il Trattato d'l'cialli L'opera dei consiglieri francesi Gli ispirano la diffidenza contro l'Italia Fra Menelik e Antonelli La rottura Il porto di Gibuti Gl'italiani che erano all'Harrar Ma konnen li tratta bene L'ingegnere Capucci Rudinì e il Trattato Le sue intenzioni Il nostro plenipoten ziario lascia lo Scioa Il ministero Rudinì rende ine vitabile la guerra Apre trattative coi nemici del Ne gus I documenti di un libro verde Le conseguenze del convegno del Mareb Il concetto del generale Gan dolfi Il nostro atteggiamento con Mangascià Pa role severe dei generale Gandolfi ex governatore del l'Eritrea Gli agenti francesi Aiutano Menelik alla preparazione della guerra Un francobollo... poli ico Anche Ras Maconnen si volge da un'altra parte La missione Nerazzini Troppo tardi!

Venelik non aveva mai goduto dovevamo essere noi a procurarglielo ! di molto prestigio mi litare. In un paese nel quale sono celebrati gli atti di valore di Teodoro, di Giovanni Kassa, per non parlare che degli ultimi due Negus, non poteva go dere fama di guerriero il re di Scioa che, se aveva combattuto quando da giovane ritornò al suo paese contro gli usurpatori del suo regno, aveva poi sem pre ceduto di fronte ad un nemico forte e agguer rito. Nelle lotte intestine uno, sia o no coraggioso, bisogna si batta per forza, se non altro per difen dersi. Ma anche in queste lotte egli non ha mai combattuto in prima linea, come facevano re Teo doro e re Giovanni: ha sempre preferito lasciare il primo posto ai suoi capi al valore dei quali, specie: di ras Gobanà comandante della cavalleria galla, egli deve la sua salvezza e la sua potenza. Coi nemici forti cercò sempre di evitare il conflitto. Tre o quattro volte ebbe la velleità di resistere a re Giovanni; ma finì sempre per vedere. Mosse guerra al re del Goggiam perchè sapeva

che le forze di Tecla Aimanot erano talmente in feriori da non potergli contrastare la vittoria. L'altra impresa militare di Menelik fu la con quista dell'Harrar che avvenne nel 1883 dopo la difatta dell'emiro Abdallà.

In un rapporto diplomatico, tale impresa, che non ebbe importanza militare, è descritta con que ste poche righe:

( (

« I due eserciti si misero uno di fronte all'altro -a breve distanza : tutti i fuçilieri riuniti dell'Emiro fecero una scarica contro quelli dello Scioa; l'arti glieria mal piazzata ruisci infruttuosa: bastò un nerbo di cavalieri per impadronirsi dei cannoni e uccidere i cannonieri. I fucilieri dello Scioa, uniti e compatti, fecero più scariche, alle quali risposero debolmente quelli dell'emiro : dopo ciò si diedero alla fuga e quei dello Scioa li inseguirono per lungo tratto. Una rapida marcia del Re di dieci ore lo fece entrare, senza difficoltà, nella città di Harrar, vincitore e glorioso. L'emiro fuggi: Menelik, inal berando la sua bandiera, proclamò l'annessione di Ilarrar al regno di Scioa »).

In quel Sud dell'Abissinia che a poco a poco Menelik conquisto, limitato dai Somali a Oriente, dal Sudan orientale ad Occidente e dal Kilimandi al Sud, vi è un bacino commerciale di una grandis sima importanza del quale l' Harrar è in certo modo lo sbocco.

Era là che dovevamo mirare fin da principio, e to all'inizio della nostra impresa, vi fu chi ebbe quel concetto e lo manifestó. Citerò fra gli altri un uomo politico dei più colli che sedelle nella nostra

110 L'ITALIA
E

Un discorso del senatore l'itelleschi 111

Camera Alta, che non fece mai professione di afri canismo, e i cui discorsi nell'Alto Consesso erano sempre ascoltati con la più viva attenzione per il senso pratico che li distingueva, e per la coltura non comune che a questo senso pratico si accop piava nel suo modo di considerare le questioni . Parlo dell'onorevole senatore Vitelleschi, il quale in una seduta del Senato del marzo 1885 accennava in un suo discorso a un territorio ( non molto lon tano dai luoghi da noi occupati, cioè l'Harrar, .al di là di Zeila, ove si sarebbe potuta sviluppare una larga produzione e attività commerciale... »). Anche il Mancini allora ministro degli esteri, per quanto avesse quelle tali nozioni rudimentali del l'Africa da dare le istruzioni a cui ho già accennato altrove al generale Saletta, e da dire in quella stessa seduta che Cheren, a quanto pare, sarebbe situata nel territorio dei Bogos, quando vi erano al Mini stero tutte le relazioni del Cecchi e di altri viaggia tori su Cheren e sui Bogos e tutte le carte segna vano Cheren come capoluogo dei Bogos --- anche il Mancini, ripeto --- malgrado la superficiale cono scenza della questione coloniale, mostrò di condi videre l'opinione del Vitelleschi, poichè così rispon deva :

« Sono in grado di dichiarare che di quel terri torio noi abbiamo fatto oggetto di accurati studi, ed altrettanto facciamo di tutti quei territori adiacenti che possano offrire alle nostre speranze commer ciali e colonizzatrici campo e sede opportuna.

« Posso aggiungere di più che siamo in questo momento alquanto commossi dalle nolizie che ci

giungono da quel vasto e fertile territorio dell' Har rar, dove industriali e commercianti italiani, che ivi trovavansi stabiliti, non sono più tranquilli e sicuri , perchè la numerosa guarnigione egiziana, che finora vi garanti l'ordine e la quiete, nella mas sima parte ne è stata ritirata, e la rimanente ne sarà ritirata in breve.

« Un antico emiro indigeno, d'accordo tra l'E gitto e l Inghilterra vi fu restaurato; ma le vivaci lotte fra le popolazioni de' Somali e dei Galla che abitano il paese, ne minacciano la tranquillità. Laonde i negozianti italiani, con altri di parecchie nazioni europee, si sono rivolti al Governo italiano, con un indirizzo coperto delle loro firme, doman dando sicurezza e protezione in mancanza della quale, essi dicono, sarebbero costretti ad abban donare il paese con le loro merci ed i loro affari, non osando affrontare l'avvenire » ,

Come si vede da questo brano di discorso, non solo v'era stato chi aveva additato questa strada al .l'Italia come la più confacente ai suoi interessi, ma non erano mancati nemmeno gli eccitamenti di connazionali là stabiliti per spingere l'Italia ad una impresa, dei quali essi i giudici migliori vedevano i vantaggi e che allora sarebbe stato faci lissimo il compiere.

Fu, come al solito, una visione breve, fugace. I ministri che seguirono, distratti da altre cure, non vi pensarono più.

Menelik invase l Harrar per il timore cadesse in possesso di qualche Potenza non amica che sbar rasse allo Scioa la via che conduce al mare. Pochi

112 L'ITALIA
E

Menelik s impossessa dell' Harrar 113

sanno che egli avrebbe desiderato di vedere quella regione in mano dell'Italia, e che, mentre i suoi Ras in marcia per cacciare l'Emiro erano già giunti a poca distanza da Harrar, mandò loro ordine di fermarsi per non prevenire l'occupazione italiana! Menelik provvide ai casi propri, prendendo per sè la vasta e ricchissima provincia e assumendo il titolo pomposo di Re dello Scioa, di kaf a, di llar rar e di tutti i paesi Galla. Qualche tempo dopo cambiò ancora questa denominazione in quella più ambita di Negus Neghesti, firmando in questa qua lità il trattato di Ucialli che doveva attirarci tanti guai per l'art. 17, relativo al nostro protettorato sul l'Etiopia (1), che allora parve un grande successo diplomatico e che invece fu la causa, per cui andò distruita ogni nostra influenza alla corte Scioana.

Sono ormai note le vicende di questo trattato, tutti gl'incidenti cui die luogo l'articolo in contesta zione, le proposte, le controproposte, le missioni dell'Antonelli e infine la rottura diplomatica del l'Italia con lo Scioa. Conviene tuttavia precisare il punto del dissenso. Il testo italiano dice : « io con sento di servirmi del Governo del Re d'Italia per tutti gli affari con altri Governi », mentre il testo amarico direbbe « io posso ecc. )).

( (1) Vedi il testo del Trattato, le proposte della regina Taitù, ecc., nella nota in appendice a questo capitolo.

Quando fu data del Trattato comunicazione alle ize, i francesi residenti allo Scioa, misero in sospetto Menelik e la regina Taitù, convincendoli che per l'impegno assunto verso l'Italia rimaneva 8

menomata la loro dignità. Il Negus aveva inoltre partecipato direttamente la sua assunzione al trono alla Regina d'Inghilterra. Il governo inglese, aven do preso atto del Trattato, naturalmente non rispose al Negus e passò la lettera al governo italiano. Fu questo l'incidente che provocó la prima protesta del Negus, alla quale altre seguirono ben presto.

Le trattative per venire ad un accomodamento durarono parecchi mesi, ma non condussero, dice l'Antonelli, ad alcun risultato per l'opposizione vi vissima della regina Taitù e per la mala fede di Menelik, il quale, dopo avere concordato una for mula sostitutiva, presentò alla firma dell'Antonelli un testo, nel quale una parola era stata alterata e ne mutava il significato. Antonelli e Salimbeni si lagnarono con Menelik che non potè negare l'inganno nelle carte che ave va dato a firmare al conte, e chiesero la restitu zione delle proprie. Il Re promise di restituirle, ma non lo fece. Allora l'Antonelli, insieme coi nostri residenti allo Scioa e all'Harrar, conte Salimbeni e dott. Traversi , decise di partire in segno di pro testa.

Fu bene l'insistere fino al punto di provocare una rottura sulla interpretazione data secondo il testo italiano all'art. 17 del trattato?

Io credo di no. Sono convinto che sarebbe stato preferibile rimandare la soluzione a miglior tempo, sacrificando la forma per salvare la sostanza e non sciupare in un tratto più di dieci anni di quel lavoro efficace, che ci aveva assicurato un'influenza prepon derante in quelle regioni. È difficile proteggere chi

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L'ITALIA

Le relazioni diplomatiche... in Africa 115 non vuol saperne di essere protetto, se non si ha l'intenzione di ricorrere ai mezzi coercitivi. Rinun ziando al protettorato, forse la influenza nostra non sarebbe stata cosi repentinamente soppiantala da quella delle Nazioni che avevano aizzato il Negus contro di noi. Comprendo benissimo l'imbarazzo, in cui si sa rebbe trovato l'Antonelli rimanendo allo Scioa dopo quanto era avvenuto. Ma, a parte il fatto che altri poteva andarvi e rimanervi in sua vece, bisogna pensare che in Africa le relazioni diplomatiche non vanno considerate con le suscettibilità riconosciute legittime in Europa. È stato un errore insistere sull'articolo 17 fino al punto di troncare ogni re lazione diplomatica, tanto più che Menelik segui tava a confermare la sua amicizia per l'Italia, e non era affatto improbabile che, tolta di mezzo quella difficoltà, le buone relazioni continuassero. Lo stes so Salimbeni, parlando col Beccari a Suez in oc casione appunto del suo viaggio di ritorno in Ita lia, riconosceva che la risoluzione era stata troppo precipitosa. Insistendo soverchiamente, diceva, su quell'articolo, abbiamo dovuto abbandonare di un tratto una posizione che avevamo acquistato in Elio pia con una lunga preparazione e non senza sacri fici di qualche importanza. L'abbandono equivaleva ad aprire l'adito a tutte le influenze ostili latenti, e che aspettavano il momento propizio per agire con tutta sicurezza a danno nostro. Cominciò da quel giorno, come del resto lo stesso Antonelli aveva preveduto, il tranquillo approvvigionamento di fu cili e munizioni per armare le orde abissine, e la

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organizzazione di quell'esercito formidabile al quale dovevamo più tardi trovarci di fronte

Nelle questioni coloniali, quando una Potenza. abbandona una posizione, ve n'è sempre un'altra pronta a sostituirla. I nostri rappresentanti non erano ancora partiti, che la corte scioana cadeva. completamente sotto l'influenza francese e russa. Uliciali, negozianti e missionari francesi e russi presero la via dello Scioa, ove si potè fare su larga scala e indisturbato il rifornimento delle armi attraverso il possedimento francese di Obok. Oltre al vantaggio politico, la Francia, per l'ostilità tra noi e il Negus, ne ebbe subito uno commerciale importantissimo, al quale convergevano da molto tempo i suoi sforzi: quello di far diventare il porto di Gibuti uno dei principali sbocchi delle ricchezze dell'Abissinia meridionale e di dare un grande svi luppo alla sua colonia di Oboli, che ha avuto ori gini assai modeste e perfettamente simili alla no stra di Assab.

Ghe le disposizioni del Negus, a parte la que stione speciale, non fossero tali da dover determi nare la rottura e che sia stato un errore il provo carla, lo prova il fatto che, non molestato, potè ancora rimanere allo Scioa il Traversi come diret tore della stazione di Left Marefià e che parecchi italiani , e da ultimo il Nerazzini, continuarono ad essere ben trattati all'Harrar da ras Maconnen. Del resto, indipendentemente dal protettorato, la no stra convenzione con l'Inghilterra, già in massima stipulata, aveva posto l'Abissinia nella nostra sfera d'influenza e avremmo avuto sempre modo e veste

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L'ing. Capucci imprigionato 117 per paralizzare l'azione delle potenze a noi ostili. Una volta rotte le relazioni ufficiali, lo screzio di venne necessariamente con litto, che sempre più si acuì fino al giorno in cui Menelik, già deciso e preparato alla guerra, faceva imprigionare, come primo atto di ostilità diretta, l'ingegnere Capucci, perchè corrispondeva col Governatore dell'Eritrea.

Le prime trattative per un accordo col Negus circa la questione del Trattato ebbero luogo verso la fine del 1890, sotto il ministero Crispi che dava istruzioni all'Antonelli di cedere su tutti gli altri articoli e di fare le più larghe concessioni pur di conservare nel testo italiano l'art. 17. Al gabinetto Crispi successe quello dell'on. Di Rudini, e fu sotio quell'amministrazione che lo stesso Antonelli ri conobbe inutile ogni altro passo, persuaso che Me nelik oramai non avrebbe più ceduto.

In un suo dispaccio del 21 gennaio 1891 (rice vuto dall on. Rudinì il 13 febbraio), il conte Anto nelli scriveva: « Credo aver esaurito tutti i mezzi di convincimento : l'imperatore non farà altre con cessioni. Il mio parere sarebbe di accomodarsi con Menelik, abrogando l'articolo 17 ed attendendo un momento più favorevole per svolgere un'azione più energica )).

Dopo il molto biasimo che fu dato all'Antonelli per la sua politica scioana, bisogna rendergli giu stizia e riconoscere che, a questo punto, egli ebbe l'intuito della situazione. Egli capi che la partita era perduta e che per il momento cedere era ancora il minor male. Il giorno stesso, al lungo telegramma che conteneva questo consiglio al Governo ne fece

seguire un altro per riferire una nuova proposta di Menelik : quella cioè di conservare l'art. 17 come si trovava nei due testi, riservandosi alla fine dei cinque anni di proporre modificazioni. Il conte An tonelli riferiva ciò senza tornar sopra a quanto aveva telegrafato alla mattina, mostrando quindi di non prendere sul serio la bislacca proposta e di insistere nel primitivo consiglio. Ma l'on. Di Rudini il quale teneva al protettorato più del suo predecessore, due giorni dopo gli rispose, non accennando affatto alla possibilità dell'abrogazione dell'articolo, nè al con siglio uato dall'Antonelli, con queste parole : « Au torizzo accettare proposta di Menelik lasciando l'ar ticolo 17 come sta nei due testi: la qual cosa man tiene integro il nostro diritto . » Menelik intanto si pente e non vuol più saperne della proposta fatta da lui stesso.

Il conte Antonelli dopo quest'altro diniego di Nenelik, più che mai dev'essere stato d'avviso di rinunziare all'articolo 17, ma, in seguito al tele gramma del ministro Rudinì che poneva fuori que stione l'integrilà del nostro diritto, credette dover suo insistere col Negus, e insistere fino al punto di lasciare con tutti gli altri residenti lo Scioa, malgrado che un atto simile, diplomaticamente, pre luda alle ostilità. Con quella sua condotta egli in terpretava esaltamente le istruzioni e il pensiero del ministro degli esteri ,tant'è vero che il 31 marzo, nell'accusare ricevuta di parecchi telegrammi rela tivi alle fallite trattative, l'on. Di Rudinì scriveva al conte Antonelli : « Riconosco che nelle circo stanze, da loi con molta chiarezza e precisione in

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L'Aziono

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dicatemi , Ella non poteva nè meglio comportarsi nè pigliare una decisione diversa. Non esito quindi a dichiararle che l'operato di lei nella fase conclu siva (veramente di concluso c'era poco) del nego ziato ha la mia intera approvazione »).

Non è nell'indole di questo lavoro la ricerca delle responsabilità sulla questione africana. D'altra parte io credo di aver già dimostrato in altri scritti come tutti i Governi che si sono succeduti nei dieci anni che precedettero la campagna del 1895-96 ne hanno la loro parte, perchè tutti procedettero sempre senza un criterio determinato e senza la menoma conoscenza dell'intricato problema. Tut tavia è evidente che una responsabilità molto grave pesa sul gabinetto Rudinì , il quale, nel 1891, con quella rottura diplomatica si pose in lotta dichia rata con l'imperatore di Etiopia.

Dopo il ritiro del nostro plenipotenziario da Adis-Abeba, due potevano essere le vie da scegliere : o rinunziare completamente a ogni idea di espan sione considerando la partita perduta per sempre, o prepararsi subito alla guerra vigilando con tutti i mezzi possibili perchè la potenza militare del Ne gus non si accrescesse.

Invece il ministero Rudinì , rifuggendo da qual siasi accomodamento, troncò ogni trattativa senza far corrispondere a quella politica risoluta e mi nacciosa il lavoro di preparazione necessario per la guerra, da lui resa prima o poi inevitabile.

Non solo il ministero Rudinì ruppe le relazioni diplomatiche con Menelik, ma quasi immediata mente aprì trattative con Mangascià, nemico più o

meno aperto del Negus, e d'accordo con lui, strap pava il trattato d'Ucialli, per allargare considere volmente i confini della Colonia. Può sembrare strano che, per l'appunto sotto quel ministero, del quale faceva parte l'on. Colombo, si sia fatta una politica di espansione nell'Eritrea : può sembrare ancora più strano, per chi non sa a che punto ar rivasse ed arrivi! l'ignoranza della Camera nella questione africana, che nessuno l'abbia ricor dato in tante discussioni, nelle quali l'on. Di Ru dinì e i suoi colleghi hanno propugnato una poli tica di raccoglimento. Il fatto non è per questo meno vero, e i documenti dei Libri Verdi sono lì a provarlo in modo inconfutabile.

Secondo il trattato di Ucialli e la convenzione addizionale, il confine nostro era stato segnato colla linea Sciket, Saganeiti, Alai, Arafali, escludendo tanto l'Oculo-Cusai e il Saraè dai nostri possessi. Nella convenzione era stabilito che l'Oculè-Cusai e il Sarae avrebbero dovuto formare il famoso stato cuscinetto tra noi e il Tigrè, alla dipendenza dello scioano Mesciascià Wuorkie, rappresentante dello Scioa e di Menelik .

Quelle due provincie passarono sotto il dominio nostro in seguito agli accordi stipulati nell'intervi sta al Mareb fra il generale Gandolfi e ras Manga scià. Dopo di che il rappresentante di Menelik do vette far fagotto e ritornarsene allo Scioa, avendo cercato inutilmente di mettersi d'accordo con noi per riavere le due provincie.

Che la violazione del confine, stabilito nel trat tato, fosse un atto di ostilità aperta contro Menelik,

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La questione dei confini 121 l'on. Di Rudini non poteva ignorarlo. In tutti i rap porti ufficiali del Libro verde, comunicato dallo stesso Di Rudinì (14 aprile 1891), è ripetuto più volte che Menelik non intendeva assolutamente cedere nella questione dei confini.

Dai documenti di quel Libro verde tolgo i se guenti brani: Entolto 29 Agosto 1890. Relazione del conte Salimbeni al Ministro degli Esteri : ... Impossibile ora ottenere amichevolmente il confine del Mareb... llarrar, 19 Selleinbre 1890. Telegramma del capitano Nerazzini : ... Makonnen esorta vivamente a non insistere per il confine al Mareb che Menelik non potrà con cedere mai, onde evitare che si alterino i nostri rapporti amichevoli, ai quali sono legati il suo no me e la sua azione... Adis Abeba, 20 Dicembre 1890. Telegramma del conte Antonelli: ... Circa la questione dei confini mi ripete (Me nelik) quello che ha detto più volte : che cioè può solo concedere quelli fissati dal trattato e dall'ar ticolo della convenzione addizionale... Adis-Abeba, 31 Dicembre 1890. Telegramma del conte Antonelli: ... Per confini non vede disposizioni a vedere Adi Baro, Gura, Digsa. Imperatore intende che sia linea di confine quella accordata l'anno scorso. Il convegno del Mareb ebbe luogo 18 dicembre 1891 : il giorno stesso Mesciascià Wuorchiè che in qualità di rappresentante l'Imperatore risiedeva ad

ET!OPIA

Adua, abbandonò il Tigrè, la sua posizione essendo divenuta incompatibile di fronte ai capi tigrini che trattavano direttamente con noi e stabilivano per la nostra Colonia patti e confini . che Menelik non aveva mai voluto consentire.

Il ministero dellon. Rudinì, trattando con Man gascià e ottenendo da lui, con sfregio dell'autorità sovrana del Negus, una concessione territoriale nel convegno del Mareb, acui il risentimento di Mene lik e distrusse la possibilità di un componimento amichevole nella questione del protettorato. La po litica dell'on. Di Rudinì non trovò allora contrad ditori, e il convegno del Mareb parve un grande successo diplomatico, poichè aveva avuto per risul tato di dare alla Colonia senza combattere due nuove provincie, una delle quali, il Saraè, è fra le più fer tili fra quelle al di qua del Mareb.

E sarebbe stato realmente un successo se, con formemente alle idee del generale Gandolfi che aveva un concetto esatto della situazione, quel pri mo atto di politica tigrina fosse stato il punto di partenza di un indirizzo, ben definito, e costante nei suoi intendimenti e nello scopo da raggiungere, senza aver fretta, sapendo a tempo approfittare delle circostanze. Una volta che la rottura con Menelik era definitiva e che a renderla ancora più irrime diabile noi avevamo strappato le convenzioni stipu late e ci eravamo annessi quei territori che egli ci aveva sempre negati, era nalurale che l'Italia lavo risse Mangascià nelle sue aspirazioni o che, per lo meno, non gli creasse difficoltà cercando, a suo tem po, di mettere contro Menelik l Abissinia settentrio

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Ras Mangascià 123.

nale che mal soffriva la supremazia dello Scioa. E certamente con questa lusinga e con la speranza di avere da noi qualche aiuto nelle sue rivendicazioni , che Mangascià accondiscese a lasciarci quelle due provincie. Ma il Governo d'allora il quale ubbidiva soltanto al desiderio che almeno per un po' di tempo l'Africa non fosse più argomento di discussioni par lamentari, e lieto del successo per aver di tanto, allargato i confini della Colonia, ebbe l'ingenuità di credere che Mangascià avesse falto tali con cessioni proprio per i nostri begli occhi , e non si occupò più dell'Eritrea. Non immaginò neppure quello che era così facilmente prevedibile; che cioè, se ras Mangascià non riceveva da noi un contrac cambio tale da soddisfare la sua ambizione a spese dello Scioa, avrebbe presto o tardi finito per vol tarsi in favore di Menelik che aveva il massimo. interesse di legare a sè, a danno dell'Italia, chi gli aveva disputala la corona imperiale.

La guerra a scadenza più o meno lunga fu così. provocata dalla lunga serie di errori commessi sotto quel ministero, la cui azione contro Menelik assunse un carattere decisamente aggressivo, violando, per fare una politica di espansione, i patti di un Trat tato, su cui noi fondavamo il nostro diritto, disco nosciuto dall'altro contraente. Quella politica, a mio avviso, poteva riuscire: fruttuosa perchè, dato il contegno di Menelik, era naturale da parte nostra si cercassero alleati per tenerlo a freno. L'errore sta nell'aver creato una situazione senza svilupparla con un logico e con forme criterio direttivo. L'errore sta nell'aver pro

vocato a quel modo la guerra, senza aver fatto nessun preparativo per il giorno del conflitto e per mettere Mangascià fra noi e il nostro nemico. L'er rore fondamentale sta nell'aver voluto fare in un certo momento una politica aggressiva, credendo poi che col convegno del Mareb tutto fosse finito, senza pensare che, non mettendo di proposito de liberato i tigrini contro gli scioani, avremmo finito, come avvenne infatti, per inimicarci e gli uni e gli altri, collegandoli ai nostri danni.

In un opuscolo pubblicato quando la notizia del disastro di Amba Alagi commosse l'Italia, e attri buito da tutta la stampa italiana al generale Gan dolfi, così, in un breve periodo, è caratterizzata quella politica:

« La politica coloniale del ministero Rudinì fu una politica nichilista, incosciente. Una politica ne gativa che poggiava sul non riconoscimento di quanto si era fatto si era speso fino allora nel Mar Rosso; l'incoscienza suprema dell'amor proprio na zionale » (1).

Durante i due ministeri Rudini e Giolitti il Ne gus compì un lento e assiduo lavoro per aumentare le sue forze militari, e nel tempo stesso per attrarre a sè Mangascià, il quale, visto che da noi non aveva da sperare che belle parole, un bel giorno si recò ad Adis-Abeba, fece alto di sottomissione, e, ritor nato nel Tigre, preparò d'accordo col suo Impera tore la rivolta contro di noi. Gravissima per questa parte la responsabilità

(1) La nostra politica africana, di un ex -funzionario eritreo.

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Gli agenti francesi allo Scioa 125 dell'infausto Ministero presieduto dal Giolitti, il quale sebbene ripetutamente avvertito di ciò che si preparava ai danni nostri in Abissinia, delle armi che continuamente erano mandate allo Scioa, tutto assorto in ben altre faccende, considerò la cosa co me se non lo riguardasse.

Lo Scioa era stato invaso da agenti francesi che: lavoravano con la più grande attività contro di noi. Al Bremont, morto da pochi anni e che era stato forse il primo fornitore di armi a Menelik, succe dettero a decine i commercianti i quali vendevano i fucili segnati con la marca delle fabbriche dell'e sercito francese e più noto degli altri il Chefneux, di tutti il più attivo e il più intraprendente.

Partiti i nostri rappresentanti, l'ingegnere sviz Ilg che, realmente, tutto intento ai suoi commerci. non si era mai occupato di politica ed aveva sempre mantenuto i rapporti più cordiali con gli italiani che si erano trovati allo Scioa, diventò d'un tratto uno dei più lidi consiglieri del Re: diventò anzi una spe cie di ministro degli esteri di Menelik, come lo chia mavano allora i francesi ; e anche egli non la vorò certo a favore dell'Italia. Ci può dolere che questa sua influenza alla corte scioana non sia · stata adoperata dall'ingegnere svizzero in nostro vantaggio; ma, francamente, non so vedere che di ritto si avesse di lagnarcene, dal momento che noi non ci si era più occupati dello Scioa, e quindi l'in gegnere non aveva proprio nessuna ragione al mondo di compromettere i suoi affari per far pia cere a noi, ormai considerati come nemici del suo signore.

ETIOPIA

Le notizie relative al commercio delle armi , pub blicate su parecchi giornali esteri, quando scop piarono le ostilità e dopo Amba Alagi, durante il ministero Giolitti (1), furono mandate più volte e da parecchie fonti al nostro Governo, il quale seppe a suo tempo che un francese, intimo consigliere del Re dei Re, si era recato a Parigi per l'acquisto di armi e munizioni e per altri affari del Negus, com presa la costituzione di una Società per costruire una ferrovia di comunicazione tra lo Scioa ed i pos sedimenti francesi. A questo francese intrapren dente -- ed anche di ciò fu informata la Consulta il Governo della Repubblica era stato largo di inco raggiamento e di aiuto, pur dichiarandogli che al minimo malinteso sarebbe stato sconfessalo. Era. vamo nell'epoca nella quale non essendo ancora cosi stretto come diventò in seguito, l'accordo fra Russia e Francia, questa si credeva obbligata a qualche riguardo: a salvare almeno le apparenze e la forma. Il che equivale a dire che, in quel tempo una azione oculata, continua, avrebbe potuto avere qualche utile risultato. Ma il Ministero d'allora aveva ben altro da pensare che all Abissinia, ai fortini che i francesi costruivano fra Gibuti e Bia caboba per proteggere la strada carovaniera, alle concessioni che il Negus faceva ad un francese che arruolò dei coloni in Francia e coi coloni condusse allo Scioa anche un ex ulliciale di artiglieria, al servizio postale settimanale e rapido con cammelli

(1) Due membri della Commissione d'inchiesta per l'Africa, del resto, fecero parte di quel Gabinetto.

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Un francobollo rivelatore 127 corridori che in quel tempo venne organizzato fra Harrar e Gibuti! Anche quando a qualche membro di quel Ministero vi fu chi pose sotto gli occhi una lettera proveniente dall' Harrar con un francobollo sul quale era scrilto Protectorat de la côte Somale, come se quella zona africana della Somalia, anzichè a noi in virtù di trattati riconosciuti, appartenesse alla Francia, il Governo non credette mettesse il conto di preoccuparsi di quanto accadeva in Abissinia ! Ci fu anzi chi ebbe l'ingenuità di giu dicare quel francobollo con la relativa leggenda come una conseguenza dell'innocente adesione di Menelik all'Unione postale, e di trovare naturalis simo che, sempre per il servizio postale francese e abissino, abbandonata per il momento l'idea della ferrovia, i francesi facessero gli studi per costruire almeno una strada carreggiabile !

Fu in quel volger di tempo che ras Macorinen, comprendendo come non vi fosse più nulla da spe rare da noi, incominciò a prestare orecchio agli in viti, alle promesse, alle lusinghe dei francesi. Non mancava chi, dall'Harrar o dalla costa, ad ogni cor riere, riferisse premurosamente al Ministero, richia mando la sua attenzione sugli eventi che matura vano allo Scioa, invocando dagli uomini che erano al Governo che lacessero qualche cosa almeno per allontanare un serio pericolo.

Oh! se si pubblicassero dei Libri Verdi con tutti i documenti di quell'epoca ! Eravamo allora in mezzo agli scandali bancari, alle inchieste, agli arresti, ai plichi, ai documenti sottratti... Come poteva il Governo occuparsi di

quanto accadeva allo Scioa e avere il tempo di leg gere i rapporti che gli pervenivano?

Un bel giorno al Ministero degli esteri pervenne la notizia che ras Maconnen, il nostro fido amico, aveva avuto col governatore francese di Gibuti un convegno, preparato da alcuni greci che risiedevano all' Harrar per far gli affari propri e quelli della Francia. Allora anche il ministero si sveglio , allora soltanto penso che qualche cosa doveva fare e mandò con una speciale missione all' Harrar, il noto viag giatore Nerazzini, il quale già aveva reso altri ser vigi nella politica africana.

Ma era troppo tardi ! Maconnen ebbe per lui belle parole, gli fece la più cordiale accoglienza, e forse qualche promessa, ma, oramai, i francesi erano padroni del campo e tutto indicava che lo Scioa si preparava alla guerra contro di noi. Il Governo fu informato della situazione. Ma mentre il Presidente del Consiglio era tutto intento a scongiurare il pe ricolo di perdere qualche voto della maggioranza fra l'imperversare degli scandali, il Ministro degli esteri, l'on. Brin, lavorava a prepararsi la succes sione !... E nessuno si occupava dei nembi che si addensavano laggiù !

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IL TRATTATO DI UCIALLI.

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Credo di far cosa grata al lettore riproducendo il testo del Trattato e facendone in pochi cenni la storia .

Art. 1. Vi saranno pace perpetua ed amicizia co stante fra SuaMaestà il Re d'Italia e fra Sua Maestà il Re dei Re di Etiopia e fra i loro rispettivi eredi, suc cessori, sudditi e popolazioni protette.

Art. 2. Ciascuna delle parti contraenti potrà essere rappresentata da un agente diplomatico accreditato presso l'altra e potrà nominare consoli, agenti ed agenti consolari negli Stati dell'altra.

Tali funzionari godranno di tutti i privilegi ed im munità secondo le consuetudini dei governi europei.

Art. 3. A rimuovere ogni equivoco circa i limiti dei territori sopra i quali le due parti contraenti esercitano i diritti di sovranità, una commissione speciale compo sta di due delegati italiani e due etiopici traccerà sul terreno con appositi segnali permanenti una linea di confine, i cui capisaldi siano stabiliti come appresso : a) la linea dell'altipiano segnalerà il confine etio pico italiano; b) partendo dalla regione di Arafali: Halai, Sa ganeiti ed Asmara saranno villaggi nel confine ita liano; c) Adi Nefas ed Adi Joannes saranno dalla parte dei Bogos nel confine italiano;

ETIOPIA

d) da Adi Joannes una linea retta prolungata da Est ad Ovest segnerà il confine italo-etiopico.

Art. 4. Il convento di Debra Bizen con tutti i suoi possedimenti resterà proprietà del Governo etiopico che non potrà mai servirsene per scopi militari.

Art. 5. Le carovane da e per Massaua pagheranno sul territorio etiopico un solo diritto di dogana dell'8 per cento sul valore della merce.

Art. 6. Il commercio delle armi da e per l'Etiopia. attraverso Massaua sarà libero per il solo Re dei Re di Etiopia.

Ogni qualvolta questi vorrà ottenere il passaggio di tali generi dovrà farne regolare domanda alle auto rità italiane munita del sigillo reale.

Le carovane con carico di armi e munizioni viag geranno sotto la protezione e con la scorta di soldati italiani fino al confine etiopico.

Art. 7. I sudditi di ciascuna delle parti con traenti potranno liberamente entrare, viaggiare, uscire coi loro effetti e mercanzie nel paese dell'altra e go dranno della maggiore protezione del Governo e dei suoi dipendenti.

È però severamente proibito a gente armata da ambe le parti contraenti di riunirsi in molti od in po chi e passare i rispettivi confini allo scopo di imporsi alle popolazioni e tentare con la forza di procurarsi viveri e bestiame.

Art. 8. Gli italiani in Etiopia e gli etiopi in Italia e possedimenti italiani potranno comprare o vendere, prendere o dare in affitto e disporre in qualunque altra. m : era delle loro proprietà non altrimenti che gli in digeni.

Art. 9. È pienamente garantita in entrambi gli Stati la facoltà per i sudditi dell'altro di praticare la propria religione.

Art. 10. Le contestazioni o liti fra gli italiani in Etiopia saranno definite dall'autorità italiana in Mas saua o da un suo delegato.

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Le liti fra italiani ed etiopi saranno definite dalla autorità italiana in Massaua e da un delegato dell au torità etiopica.

Art. 11. Morendo un italiano in Etiopia o un etiope in territorio italiano, le autorità italiane custodiranno diligentemente tutta la sua proprietà e la terranno a disposizione dell'autorità governativa a cui apparteneva il defunto.

Art. 12. In ogni caso o per qualsiasi circostanza gli italiani imputati di un reato saranno giudicati dall au torità italiana.

Per questo l'autorità etiopica dovrà immediata mente consegnare alle autorità italiane in Massaua gli italiani imputati di aver commesso un reato.

Egualmente gli etiopi imputati di reato commesso in territorio italiano saranno giudicati dall'autorità etiopica.

Art. 13. Sua Maestà il Re d'Italia e Sua Maestà il Re dei Re d'Etiopia si obbligano a consegnarsi recipro camente i delinquenti che possono essersi rifugiati, per sottrarsi alla pena, dai dominii dell'uno nei dominii dell'altro.

Art. 14. La tratta degli schiavi essendo contraria ai principii della religione cristiana, Sua Maestà il Re dei Re d'Etiopia si impegna d'impedirla con tutto il suo potere in modo che nessuna carovana di schiavi possa attraversare i suoi Stati.

Art. 15. Il presente trattato è valido per tutto l'im pero etiopico.

Art. 16. Se nel presente trattato, dopo cinque anni dalla data della firma, una delle due parti contraenti volesse far introdurre qualche modificazione, potrà farlo, ma dovrà prevenire l'altra un anno prima, ri manendo ogni e singola concessione in materia di ter ritorio.

Art. 17. Sua Maestà il Re dei Re d'Etiopia consente di servirsi del Governo di Sua Maestà il Re d'Italia per

Trattato di Ucialli 133

tutte le trattazioni di affari che avesse con altre Po tenze o Governi.

Art. 18. Qualora Sua Maestà il Re dei Re d'Etiopia intendesse accordare privilegi speciali a cittadini di un terzo Stato per stabilire commerci ed industrie in Etio pia, sarà sempre data, a parità di condizioni, la pre ferenza agli italiani.

Art. 19. Il presente trattato essendo redatto in lin gua italiana ed amarica e le due versioni concordando perfettamente fra loro, entrambi i testi si riterranno ufficiali e faranno sotto ogni rapporto pari fede.

Art. 20. Il presente trattato sarà ratificato.

In fede di che il conte Pietro Antonelli, in nome di S. M. il Re d'Italia e S. M. Menelik Re dei Re d'Etiopia in nome proprio, hanno firmato e apposto il loro sigillo al presente trattato fatto nell'accampamento di Uc cialli il 25 mazia 1881 corrispondente al 2 mag gio 1889.

(Bollo Imperiale d'Etiopia)

Per Sua Maestà il Re d'Italia (L. S.) PIETRO ANTONELLI.

Alla fine del 1890 fu inviato come rappresen tante dell'Italia, in qualità di residente generale presso Menelik, il conte Salimbeni, il quale ebbe fredda, anzi cattiva accoglienza.

Dopo l'insuccesso del Salimbeni, fu straordi nariamente inviato il conte Antonelli presso llene lik, col compito di riprendere e continuare le trat tative. Il carattere delle difficoltà incontrate, l'am biente e le tendenze della corte di Venelik risaltano nei rapporti dell Antonelli, del quale riproduco qualche brano.

Vel suo primo rapporto in data del 20 dicem

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L'insuccesso della missione Salimbeni 135

bre 1890, l'Antonelli, dopo aver fatto una minuta descrizione della carestia che allora infieriva nello Scioa, scriveva:

Con tutte queste sventure l'abissino non si perde di coraggio, è ammirevole l'abnegazione e pazienza colla quale subisce questa terribile crisi.

Si direbbe che è gente insensibile alla sventura; con calma, e quasi indifferenza, attendono che passino i giorni tristi per uscire dalla lotta più audaci e più forti di prima.

Nella casa del Re ed in quelle dei grandi sono abo liti i tradizionali banchetti del brondò (carne cruda); è già molto se possono regalarsi il lusso di qualche mon tone cotto nella salsa di berberi (pepe rosso).

Il contadino scioano, più laborioso degli altri, non si dà per vinto, e lavora la terra con zappe e vanghe primitive per mancanza di buoi; così riuscirà prima de gli altri a risorgere da questa lotta di miseria.

Questo stato di cose avrebbe fatto supporre che l'imperatore dovesse essere più condiscendente e più premuroso a tenersi cara l'amicizia dell'Italia.

Ma non è così; l'orgoglio è più forte della fame, e la prova si ha dal seguente fatto.

Sembrò a Menelik un gran disonore e un forte in cubo il prestito di due milioni contratto da ras Macon nen in Italia.

Ha fatto conoscere a tutti i capi il debito; poi li ha tassati, dividendo in parte proporzionale i due milioni, e collo stesso sistema domandandone altri due milioni come prestito.

Di solo avorio, muschio, oro e caffè, si dice abbia già messo assieme un valore di circa 300 mila talleri.

Non sarebbe però impossibile che Sua Maestà etio pica abbia preso occasione dal debito, che deve pagare in Italia, per radunare una forte somma, e servirsene poi ad altro scopo. Certo è che senza il motivo del de bito verso l'Italia, e senza la minaccia di pericoli se

ETIOPIA

questo non si toglie presto, Menelik, in questo momento di penuria generale, non avrebbe trovato, tra i suoi sudditi, neppure chi gli pagasse un tallero, mentre con questo sistema spera trovarne e forse li troverà 800.000 talleri.

Il ricevimento che l'imperatore ha fatto a me, come inviato d'Italia, non fu certo strepitoso, ma fu digni toso ed amichevole.

LE CONTESTAZIONI SULL'ART.

17.

Ecco come l'Antonelli racconta nel rapporto le difficoltà sorte a proposito del famoso articolo 17:

Quest'articolo (mi disse l'Imperatore) non destò nessun sospetto fino all'arrivo delle lettere dell'Impera tore di Germania e della Regina d'Inghilterra. In quelle lettere era detto che non potevano scrivermi diretta mente.

La lettera inglese era cortese, mentre quella di Germania era pungente, ed invece del titolo di Negus Neghesti aveva quello di altezza. In tutte e due si ve deva chiaramente che l'Etiopia, a causa dell'articolo 17 del trattato di Uccialli, veniva ad essere considerata come dipendente dall'Italia.

Questa dipendenza è umiliante; non ho mai inteso che ciò debba essere.

Furono attentamente riletti i due testi, ed allora ci siamo accorti che la traduzione dall'italiano all'ama rico non era esatta.

Il testo italiano dice : « io consento di servirmi del Governo del Re d'Italia per tutti gli affari con altri Go verni » , mentre l'amarico diceva icciallaciual ossia che posso. Quindi l'Imperatore mi domandava che quell'ar

136 L'ITALIA
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Il racconto dell'Antonelli 137

ticolo fosse corretto secondo lo spirito del testo ama rico (1).

Risposi a Sua Maestà che il governo italiano può sopprimere quell'articolo, ma non correggerlo, come fu infedelmente tradotto dal suo interprete, e non dal nostro interprete.

La soppressione però di detto articolo scioglie l'l talia da qualunque impegno di assicurare e patroci nare l'integrità dell'impero di Etiopia. Citai i punti dove è più minacciata quell'integrità, e gli dissi che nel congresso di Bruxelles, la Russia e la Francia, ma specialmente la prima, non ammettevano che vi fosse un imperatore di Etiopia. Con tali antecedenti facevo osservare a Sua Maestà, che le conseguenze non pote vano essere che dannose agli interessi dell'impero se l'Italia si fosse disinteressata nella question dell'inte grità di un impero riconosciuto come tale solo perchè sostenuto dall'Italia.

Allora l'Imperatore mi disse che bisognava trovare mezzo di accomodare la questione, che soddisfa. cesse il Governo italiano e non fosse umiliante per la Etiopia, la quale non accetterà mai alcun protettorato. Aderii di buon grado alla proposta dell'Imperatore Nella udienza del 23 gli presentai la convenzione che ho l'onore di qui accludere alla Eccellenza Vostra. La traduzione in amarico era stata fatta da due interpreti e consultai due depterà (ossia dottori) perchè la tra duzione fosse la più corretta possibile. L'articolo terzo incontrò la più vivace opposizione, specialmente da parte dell'imperatrice.

un

(1) La traduzione letterale dell rticolo 17, dall'amarico, è questo : « Di Etiopia Re dei Re dai d'Europa Regni che li vuole affari tutti con (d ") Italia regno appoggio mandare ripetutamente (corrispondere) li sopporterà ».

La versione italiana questa :

« S. M. il Re dei Re d'Etiopia consente di servirsi del Governo di S. Maestà il Re d'Italia per tutte le trattazioni di affari che avesse con altre potenzo Governi» .

C

ETIOPIA

Alla udienza era presente anche il conte Salimbeni. La discussione fu lunga ed animata, specialmente sulla parola protettorato; non si volle ammettere nep pure la più lontana possibilità che un giorno l'Etiopia potesse accettare il protettorato di un'altra potenza.

Dichiarai a Sua Maestà che l'Italia non aveva pro clamato il protettorato sull'Etiopia, ma che, abrogando l'articolo 17, era indispensabile sostituirlo con altro accordo che guarentisse all'Italia la preponderanza della sua influenza in Etiopia. Le spese che l'Italia aveva fatto per l'Etiopia ascendevano a parecchi mi lioni, e non avremmo mai permesso che un suo suc cessore al trono d'Etiopia si rivolgesse ad altra na zione che non fosse l'Italia.

Fui pregato allora di fare un secondo progetto che presentai il giorno seguente (1). L'Imperatore lo lesse attentamente. Non fece alcuna obbiezione; mi disse che a questi due progetti ne avrebbe contrap posto uno lui, ma che intanto era sua intenzione riman dare ogni decisione al prossimo arrivo di Ras Ma connen .

Ho avuto, in seguito, altre conversazioni con sua Maestà, la quale più volte mi ha ripetuto che non de sidera altro che mantenere coll'Italia rapporti di ami cizia e farà tutto il possibile per accomodare in modo soddisfacente le questioni ora pendenti.

Il vescovo Matthios mi ha promesso, da parte sua ogni aiuto; mi riferì che avendone parlato all'Impera

(1) La parte sostanziale del secondo progetto è questa:

« Art. I. L'articolo 17 del trattato italo-etiopico, firmato il 2 maggio 1889 nell'accampamento di Ccialli è abrogato. Art. II. II Governo di S. M. il Re d'Italia dichiara che non ha assunto il protettorato dell'impero d'Etiopia.

(

« L'imperatore d'Etiopia, dal canto suo, impedirà che le altre nazioni mettano l'impero d'Etiopia sotto il loro pro tettorato .

« Art. III. L'imperatore d'Etiopia dà l'incarico al Go verno italiano di garantire i diritti, l'indipendenza e l'inte grità dell'impero d'Etiopia in faccia alle potenze » .

138 L'ITALIA
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Le parole dell'Imperatrice 139

tore, questi gli aveva detto che mai farà cosa alcuna che possa dispiacere al Governo italiano.

Ras Mangascià, oggi potentissimo alla Corte di Menelik , mi fece entiche dichiarazioni; tutto mi fa sperare che l'accordo più completo sarà presto un fatto compiuto.

L'OPPOSIZIONE DELLA REGINA TAITU'

il secondo rapporto dell'Antonelli porta la data del 29 gennaio 1891. Menelik per la questione del l'articolo 17 aveva detto: « aspettiamo Maconnen » . Questi era all'Harrar e fu mandato a chiamare. L'at fesa fu lunga. Finalmente arrivò ed ebbe accoglienza freddissima, perchè accusato di aver troppo ceduto agl'italiani. Dopo qualche giorno recatosi l'Antonelli dal ras, questi, che era preoccupatissimo e soffe rente, gli disse:

Conte Antonelli, il suo affare è finito. Sua Maestà mi incarica di dirle che tiene carissima l'amicizia del l'Italia e che intende rispettare i trattati. Per le que stioni che potrà avere in Europa, si rivolgerà sempre alle potenze col mezzo dell'Italia; ma desidera togliere ogni equivoco di protettorato nell'articolo 17. Sua Mae stà perciò le propone: o di sopprimere quell'articolo, ovvero di correggere il testo italiano in modo che cor risponda al testo amarico.

Il ras, come mi fu poi riferito, non era stato con tento della decisione del re dei re, ed aveva voluto sostenere la nostra parte, ma l'Imperatrice gli disse che egli parlava in favore degli Italiani perchè era stato pagato per farlo. Il vescovo aveva pure sostenute che si dovesse accettare la mia convenzione. Ma chi

ebbe l'abilità di mandare a monte tutti i progetti con cilianti, è facile indovinarlo, fu l'Imperatrice.

La mia risposta al ras fu questa :

La prego di dire a Sua Maestà che non posso ac cettare le proposte che egli mi fa. Ma poichè non voglio che si supponga essere io quello che rende la questione difficile, e non potendo assumere la responsabilità di di una rottura delle trattative, nè quella di accettare accomodamento impossibile, telegraferò a Roma perchè il Governo decida il da farsi.

un

Il giorno stesso fui a pranzo dalle Loro Maestà; dissi all'Imperatore che, sebbene a malincuore per l'interesse suo stesso, non poteva prendere decisione diversa da quella già presa.

Mantenni viva per più di un'ora la discussione sulle proposte dell'Imperatore allo scopo di provare:

1° Che il semplice annullamento dell'articolo 17 significava non avere l'Imperatore riflettuto che si ren deva l'Italia impotente a difendere l'integrità del ter ritorio etiopico di fronte alle potenze;

2° Che il Governo italiano non poteva correg gere il testo italiano senza mancare alla propria di guità;

3º Che la terza proposta, di lasciare, cioè, i due testi quali sono nelle due lingue, era forse possibile, quando l'Imperatore avesse dichiarato per iscritto di accettare il testo italiano.

Allora Sua Maestà l'Imperatrice entrò nella di scussione, con una vivacità insolita, esclamando : Il Governo italiano ha fatto sapere alle potenze l'arti colo 17. Noi pure abbiamo fatto conoscere alle potenze che il detto articolo, come è scritto nella nostra lingua, ha un altro significato. Come voi, noi pure dobbiamo rispettare la nostra dignità.

Risposi che, in considerazione appunto di quello che diceva l'Imperatrice, aveva proposto di abolire l'articolo che era causa di discussione, sostituendolo con altro di maggiore chiarezza. L'Imperatrice non volle

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Antonelli lascia lo Scioa 141

restare senza replicare, e disse : Voi volete la rappre sentanza dell'Etiopia per farci considerare presso le altre potenze come vostri protetti; ma questo non sarà mai.

Protestai contro questa supposizione, pregando la Imperatrice di voler far essa un progetto di accomoda mento .

L'Imperatrice, a sua volta, disse : Voi scrivete e pure scriveremo. E così ebbe termine quell'udienza.

IL PROGETTO DELLA REGINA TAITU'.

In una successiva udienza l'Antonelli propose che l'Imperatore scrivesse al nostro Re parole ras sicuranti sull'articoio 17: ma anche questo acco modamento gli fu impossibile ottenere. L'Impera trice, come sempre, si oppose, e fece essa un con troprogetto che è questo:

Art. I. L'art. 17 del trattato di Ucialli del 2 mag gio 1889 è abrogato. Art. II. Sua Maestà l Imperatore d'Etiopia s'im pegna verso il governo di Sua Maestà il Re d'Italia di non cedere i suoi territori ad alcuna potenza d'Eu ropa, di concludere trattati od accettare protettorati.

L'Antonelli non ottenne nulla e credendosi in gannato da Venelik, bruscamente ruppe ogni trat tativa e lasciò lo Scioa.

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VI.

L'ESERCITO ABISSINO . I GRUNDI CAAPI

L'importazione delle armi allo Scioa I cannoni di Me nelik e la sorpresa in Italia Succede ora lo stesso per il Benadir Ne avevamo regalato anche noi ! Dopo la liberazione di Adigrat Tutto era ancora ripa rabile La base del feudalismo nell'esercito - I Ras Le ribellioni nella storia abissina Il patriottismo abis sino non può esistere Come si mobilizzano le forze etiopiche Il bando imperiale Le promozioni La gerarchia militare L'accampamento Le donne e i quadrupedi Le tende del Negus L'attendamento reale... e l'industria italiana Ras Micael Ras Te samma Il fitaurari Apte Georghis Alle acque di Debra Libanos Medici stregoni Menelik peggio rato L'allarme ad Addis Abeba Ras Oliè Un Ras ex Mussulmano A Borumieda Nei Wollo-Galla.

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Depo la rottura avvenuta a proposito della in terpretazione dell'art. 17 del Trattato di Ucialli, era questione di tempo, ma la guerra era inevitabile. Menelik incominciò subito a prepararsi, aiutato dai francesi, che avevano preso un grande ascendente al Ghebì, e che, come ho già detto, erano, in certo modo, i rappresentanti ufliciosi del Governo della Repubblica. Fu in seguito ai consigli di questi francesi stabiliti allo Scioa, dell'Ilg, oriundo sviz zero, ma completamente legato a questo gruppo di persone, che s'intensificò, in quegli anni, l'impor tazione delle armi, e non solo delle armi portatili ma anche di pezzi d'artiglieria. Da parte nostra si continud nella solita imprevidenza, tantochè, anche quando nel 1896, dopo Amba Alagi, si seppe che Menelik avanzava con tutti i suoi ras, non si credette ancora egli potesse disporre veramente di un pusercito formidabile, come quello che ci siamo trovati di fronte ad Adua, e sembrò una esagera zione, il sostenere la necessità del pronto invio di marantamila uomini , secondo l'opinione manife

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stata, in modo chiaro ed esplicito, dal generale Baldissera.

Ma v'è di più : v'è un fatto singolare, caratteri stico che prova fino a quale punto giungeva quella completa ed assoluta ignoranza nostra relativa mente all'Africa. Quando, durante l'assedio di Ma calle, un telegramma di Baratieri annunziò che gli scioani avevano tirato contro il forte qualche colpo di cannone, si sollevarono esclamazioni di meraviglia da tutte le parti: meraviglia che crebbe straordinariamente, quando si seppe che i nemici avevano, persino cannoni a tiro rapido.

Ebbene, oltre alle informazioni mandate dal Conte Salimbeni nel 1891, esisteva al ministero de gli esteri o della guerra fin da un anno e mezzo fa un rapporto del dott. Traversi, il quale informava il Governo del numero dei cannoni a tiro rapido circa una quarantina che Menelik era riuscito a procurarsi dai francesi Chef'neux e Savoure, che li portarono allo Scioa insieme agli affusti leggeris simi , alle cassette per le munizioni e con tutte le bardature necessarie e adatte ai muletti abissini, molto più piccoli dei nostri. Ma, sia perchè l'e sperienza gli avesse insegnato che i Ministri non leggono le relazioni dei viaggiatori, sia per altra ragione, il Traversi pensò bene di allegare al rap porto... una fotografia, fatta da lui stesso, dei can noni di Menelik allineati in un cortile del recinto reale di Addis Abeba in occasione della visita di ras Mangascià, di quella visita cioè, nella quale fu or ganizzata la guerra contro di noi. Che quel rapporto e quella fotografia fossero stati

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L'esperienza non ha giovato 147 mandati al Governo, venne in mente a qualcuno solo il giorno in cui giunse in Italia il telegramma ricordato di sopra. Allora soltanto si pensò di tu glierli dall'oblio... e dalla polvere addensala sugli scaffali del Ministero.

È possibile fare della politica coloniale a questo modo ?

Purtroppo l'esperienza non ha giovato ! Non più tardi di un anno fa non fu forse una sorpresa per tutti il leggere nei telegrammi recanti le notizie del Benadir che un certo numero di somali erano ar mati di fucili ? Anche laggiù, al Benadir, per questa insipienza nostra, per la ineltitudine di coloro che si occu pano di cose coloniali al Ministero degli esteri, si ripele perfettamente quanto è accaduto per l' Eri trea. Ventre qualche anno fa, quando i somali erano armati soltanto di lancie, e, con un breve sforzo e una tenue spesa, si sarebbero potuto ridurre al do vere le tribù somale che circondano il Benadir e assicurare la tranquillità e la sicurezza a quella nostra Colonia, abbiamo aspettato per agire, che i somali si organizzassero, si provvedessero di armi e potessero avere anche aiuti dal Mullah, in modo che si è dovuto spendere dieci volte di più. E la situazione, malgrado gli ingenui comunicati della Consulta che annunziano la tranquillità più perfetta in tutta la Colonia... generalmente alla vigilia di qualche dolorosa sorpresa, è tutt'altro che chiara !

Si noti bene che, a parte quella batleria, le nelik disponeva altresì dei vecchi canoni che, dopo Debra Ailà, i nostri trovareno sull'Amba Sa

lama. Nei documenti ufficiali pubblicati erano state esattamente specificate tutte le artigliere, delle quali il Negus poteva disporre fino da qualche anno prima, incominciando dai due ottimi pezzi krupp da 9, con abbondanti munizioni, trovati all'Harrar, e da quelli portati dall'Italia da ras Maconnen . Pare, anzi, che dopo i cannoni presi ad Harrar si fosse svegliata al Negus la passione per l'artiglieria, della quale diventò tanto fanatico che vestì subito i suoi artiglieri di rosso e ne fece un corpo scelto, a cui concesse speciali favori. È stata una fortuna che, malgrado tutte queste sue cure speciali e le appari scenti uniformi, i suoi soldati non abbiano saputo servirsene nella guerra del 1896.

L'esercito abissino, a parte i cannoni , cominciò allora la sua trasformazione.

Il solo fatto di aver potuto rimanere riunito per parecchi mesi, provò che codesta trasformazione era già arrivata a buon punto quattordici anni sono .

Erano però arrivati allo sforzo massimo, e non si può pensare senza un profondo senso di tri stezza, come, con altri uomini al Governo, anche dopo Adua; quando il generale Baldissera aveva li berato il presidio di Adigrat, e con la situazione nostra di fronte al nemico completamente mutata, tutte le conseguenze della sconfitta avrebbero po tuto essere cancellate, e, invertite le parti, Menelik che non poteva più oltre tener riunito un cosi grande esercito, avrebbe dovuto pensare seriament: ai casi suoi.

Nell'organizzazione dell'esercito etiopico, sono

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avvenuti parecchi mutamenti, ed anche i più restii hanno accetlato alcune innovazioni. Ma, nel com plesso la vera struttura, come la gerarchia, è rima sta quella di prima. Naturalmente non esiste più, per esempio, quel Turk-bascià, che fino a parecchi anni or sono, prima della guerra, era una delle ( al riche più importanti della gerarchia militare scioana poichè comandava il corpo dei fucilieri. Ma erre rebbe chi, vedendo dato ai titoli di ras, degiac, ecc., un valore corrispondente fino a un certo punto a quello di generale in capo, generale di divisione, ecc., ecc., immaginasse l'esercito etiopico diviso in tanti corpi, formati da tanti divisioni a loro volta composti da altre unità. No. Sebbene Menelik sia riuscito a creare l'unità etiopica, il feudalismo, per quanto domato, rimane il carattere più spiccato delle istituzioni abissine e appare evidente anche nella costituzione dell'esercito. L'autorità civile e mili tare si confondono nelle stesse persone. A Menelik è riuscito di spezzare il feudalismo in questo senso, che, sicuro della cieca obbedienza, ha potuto spo stare qualcuno dei suoi ras, mandandolo, magari in provincie lontane se non gli facevano troppo comodo l'averli vicini, mentre prima il ras era in certo qual modo inamovibile. Ma il substrato della costi tuzione feudale è rimasto, tanto che, Menelik non si è mai fatto illusione sui risultati dell'opera sua e per questo ha voluto designare il successore. Il ras, che ha con questo titolo il grado supe riore nella gerarchia militare, è nel tempo stesso, capo di un certo numero di provincie che egli go verna a suo talento, ricevendo l'investitura dall'Im

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ras

peratore con l'obbligo di pagare un determinato tri buto e di accorrere presso di lui col suo esercito ogni qual volta ne venga richiesto.

Sono insomma dei grandi vassalli i quali obbedi scono e tacciono di fronte a un sovrano che ha sa puto imporsi, ma che, quando questa autorità e que sto prestigio vien meno, si ribellano con grande faci lità; e lottano fra di loro per ambizioni di dominio, per ingrandire il territorio a loro soggetto, o anche contro lo stesso Sovrano nella speranza di pren derne il posto.

Tutta la storia dell'Abissinia è una lunga serie di ribellioni, nelle quali, ora questo, ora quell'al tro vassallo, è riuscito ad imporre agli altri la sua supremazia e a farsi incoroanre Negus nella città santa di Axum.

Menelik ha cercato di svegliare sarebbe me glio dire di creare il sentimento della patria abissina dopo aver formato l'unità dell'Impero. Ma non gli è riuscito. Non era possibile. Tutte le razze che fanno parte nell'Impero etiopico possono tro varsi d'accordo nell'opporsi all'elemento europeo, nel combattere contro il bianco, ma se ciò può dare l'illusione del patriottismo come lo sentiamo noi, non vuol punto dire tale sentimento esista real mente.

Allo stesso modo che il Mareb Mellasc' non ha mai avuto nulla di comune con l'Etiopia, il Tigre non ha stretti vincoli con lo Scioa e gli scioani, anzi chè come connazionali, sono sempre stati conside rati dai tigrini come nemici e designati con un nome che indica il colmo del disprezzo. Se ciò si fosse

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Il bando per la guerra 151 capito a tempo, se l'opera intelligente iniziata dal generale Baldissera non fosse stata bruscamente interrotta, questa unione di tutte le forze dell'Etio pia contro di noi non sarebbe stata possibile. 1 quest'ora forse, come senza colpo ferire fu piantata la bandiera italiana sulle case di ras Alula all A smara, sventolerebbe gloriosa, rispettata e tran quilla molto più innanzi. Menelik non avrebbe forse nemmeno pensato a fare quell'auage, col quale nel 1895 chiamò a rac colta tutti i capi dell'impero per muoverei guerra, certo che molti si sarebbero rivoltati contro di lui ! L'auage, che vuol dire bando, sostituisce, allo Scioa come in tutta l'Abissinia, la nostra Gazzetta ufficiale. I decreti del Re, invece di comparire in un foglio a stampa, sono letti ad alta voce con grande solennità di cerimoniale da un funzionario speciale a ciò delegato, e che, in quel momento, rappresenta la persona del Sovrano. Per chiamare la gente un altro personaggio della casa del Re batte parecchi colpi il numero è stabilito sul negarit. Lo spettacolo è su per giù quello che offre una compa gnia di saltimbanchi , che arrivata in un nostro pic colo paese di provincia chiama il pubblico a colpi di tamburo. Però con l'auage non si scherza, perchè il banditore, dopo aver gridato quello che il Re ordina, e dove i capi coi loro soldati debbono tro varsi il giorno stabilito, legge anche le pene severe comminate a coloro che non obbedissero. Come non è buona scusa per noi dire di non aver letio la Gaz zetta ufficiale e che non si conosceva il tal decreto

o la tal legge, in Abissinia non è ragione am messa il dire di non aver sentito il negarit.

Il giorno stabilito tutti si trovano al posto indi cato, coi loro soldati, con i quadrupedi e con le donne che recano le provviste. È una confusione immensa, un disordine generale. Ma ognuno rimane intorno al proprio capo, e quando, o per le dif ficoltà del terreno o per altra causa qualsiasi succede spesso -- un gruppo rimane separato, que sto marciaper conto proprio fino che non riesce a riunirsi alla colonna di cui fa parte. Dei gradi dell'e sercito il più importante, si è detto, è quello di ras. Qualche volta, come è accaduto per ras Adal del Goggiam, il titolo di ras viene mutato in quello an cora più in alto di negus. Menelik, per un pezzo, non lo volle concedere a ras Mangascià, essendo egli figlio di Re Giovanni e quindi pretendente al trono, temeva potesse essere un titolo di più per aspirare a diventare negus neghesti: cioè Re dei Re. Al grado di ras pervengono coloro che si sono distinti in guerra o che hanno reso grandi servigi al Re. Così Menelik nominò ras, molti anni fa, de giac Gobana in premio della sua fedeltà e del valore da lui spiegato in un momento diflicile per il regno, respingendo un'invasione galla che aveva minac ciato seriamente l'esistenza dello Scioa: e diede l'alta dignità a Maconnen dopo il suo viaggio in Italia, e a ras Oliè forse più che altro perchè fratello della Regina. Mentre Gobanà era già ras, questi ulti mi due figuravano ancora come semplici degiac nello specchio dell'esercito scioano, in un nostro rap porto ufficiale del 1887. Allo Scioa fino a quell'epoca

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La gerarchia militare 153 speltava ai generalissimi il titolo di abbagas; e ve n'erano abitualmente quattro. L'ultimo, morto poco prima della guerra, fu molto amico del conte An tonelli. Tale dignità o grado fu abolita da Me nelik, il quale, come re Teodoro e come re Gio vanni , non ebbe più sotto di sè che dei ras e quando si decise nuovamente a creare una specie di ge neralissimo, non gli diede più alcun titolo speciale. Vengono in seguito: il degiac o degiasmaco che comanda un corpo di truppa più piccolo di quello dei ras ed è ammesso sontanto eccezionalmente nei consigli che tiene il Negus, il fit-aurari, generale di avanguardia, che qualche volta ha maggiore impor tanza dal punto di vista militare degli stessi ras; il cagnasmaco generale di destra, il gherasmac ge nerale di sinistra, e il balambarus capo di una for tezza. Nell'esercito scioano, fino a parecchi anni fa, v'erano pure il scialaka capo di mille uomini , il meto e l'amsa capo di una squadra o pattuglia di 50 uomini. Il soldato semplice si chiama uoltader. Nell'accampamento, il modo con cui sono dispo ste le numerose tende del Re, regola tutta la dispo sizione del campo. La fronte del campo è dalla parte dove si trova l'apertura della tenda -segnale, chiamata desta-dunquan. Con le migliaia e migliaia di donne e di quadrupedi , che seguono l'esercito, nel campo, vi è sempre una grande confusione. Però ognuno ritrova, abbastanza facilmente, il suo posto perchè le tende dei capi sono sempre un po' di verse le une dalle altre o hanno un segnale appunto perchè si possa distinguerle. Il momento culmi nante della confusione è quando il campo vien for

mato, e tutte le donne coi quadrupedi vanno in cerca di foraggi e legna per formare le capanne e per accendere i fuochi. Il Negus ha per sè solo una ventina di tende, destinate ciascuna ad un uso spe ciale, oltre la tenda-segnale. Vi è quella per dor mire, quella per mangiare, quella per i ricevimenti, quella particolare per la Regina, quella per le sue dame, per la cucina, per i personaggi del seguito. Ha su per giù tante tendo quante sono le abitazioni o case del ghebi nella sua capitale; e sono organiz zati con lo stesso sistema gli accampamenti dei capi, che però non possono avere tende in rosso, colore esclusivamente riservato all'Imperatore.

Una volta, le tende reali erano molto modeste e molto semplicemente arredate ; ma per parecchi anni, coi numerosi regali offerti al Negus da di plomatici e viaggiatori e con gli acquisti, pagati o no, fatti in Europa, incominciarono a essere messe con grande sfarzo di tappeti, di mobili e di decora zione. Quelle della Regina sono addobbate con ric che stoffe. Purtroppo a questo lusso scioano, du rante la guerra contro di noi, hanno contribuito non pochi prodotti dell'industria italiana, regalata da noi in altri tempi !

Di tutti i ras, dopo la scomparsa di Maconnen che era il più forte e il più autorevole, quelli sui quali è rivolta l'attenzione del mondo etiopico e che potranno esercitare una grande influenza sulle sorti future dell'Impero, sono ras Oliè, ras Mikael, ras Tesamma e il fitaurari Apte Georghis che senza avere ancora l'alto titolo ha però una grandissima posizione, per la fiducia della quale lo ha onorato,

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Menelik alle acque 155

in questi ullimi anni il Negus Menelik, ponendolo . a capo di una forza armata considerevole e formata degli elementi migliori. E di origine galla e - a proposito di quello che ho detto più sopra sul pa triottismo abissino secondo alcuni lo è ancora di sentimenti. Assolutamente senza coltura, è però pieno di buon senso, di misura e di tatto. Nel fondo dell'animo suo, non ha certamente una grande sim patia per gli europei; ma ciò non gl'impedisce di avere con essi le relazioni più cordiali. Una prova evidente della fiducia del Negus, e della coscienza che Afte Georghis ha di essere forse chiamato a decidere, col suo atteggiamento, delle sorti dell'Impero alla morte di Menelik, l eb bero allo Scioa nel gennaio e nel febbraio scorso, quando si temette imminente la fine del Negus, mentre era alle acque di Debra Libanos. Menelik si era recato a quelle acque, per consiglio... dei dot tori abissini, vale a dire di quegli stregoni nei quali, abissini e scioani hanno spesso molta maggior fede che nei medici europei. Sopratutto ci crede l'impe ratrice Taitù la quale, naturalmente, seguì, anche a Debra Libanos l'imperiale consorte, per curarlo e per sorvegliarlo. Però, a un certo punto, vedendo che con quei bagni quotidiani, nello stato di debo lezza e di deperimento in cui si trovava, il Negus peggiorava rapidamente, anche l'Imperatrice Taitù si decise a chiamare il medico della Legazione fran cese, il capitano Hermeninier. La notizia della fine imminente del Negus si era sparsa nelle provin cie e alla Capitale. A Debra Libanos incomincia vano già ad allluire i capi accompagnati natu

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ralmente da una parte delle loro truppe. Si mos sero, naturalmente senza ricevere ordini e per conto loro. Il Fitaurari Afte Georghis, si affrettò a recarsi egli pure a Debra Libanos con una parte delle sue truppe, e- particolare significante con tutta l'artiglieria: l'arma cioè che contribuisce a dare una forte superiorità all'esercito del quale ha, per sonalmente, il comando. Voleva essere pronto a di fendere l'erede designato dal Negus e ad imporsi con la forza a chi avesse avuto intenzione di ribel larsi - e quindi anche all'Imperatrice, la quale aveva chiamato presso di sè tutti i suoi fidi. Un lieve miglioramento permise di trasportare Menelik ad Adis Abeba, ove giunse preceduto dalle truppe di Afte Georghis. Ma, il miglioramento fu eflimero ed il male, in penose alternative, continuò inesorabile la sua opera di distruzione in quell'or ganismo fortissimo, e di ottenebramento in quella mente una volta così pronta e vivace. Persona che ebbe di recente a visitarlo me ne fece il più sconfortante ritratto. L'uomo già aitante, ritto sulla persona ed imperioso, era .ac casciato su una poltrona : la testa penzolante sul petto, l'occhio spento, l'udito tardo, la parola bal buziente, incoerente. Dillicilmente egli riesciva a comprendere quanto l'interprete gli andava tradu cendo. Stentatamente, dopo molte spiegazioni del l'interprete e del Ministro degli esteri, riesci a comprendere qualche cosa dell'affare di Stato per cui quella persona era andata da lui e gli parlava. Nessuna speranza, nessuna illusione scriveva

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nell'aprile scorso da Adis Abeba il povero Chiesi (1) al Corriere della sera dunque, nella ripresa di questa volontà che va inesorabilmente spegnendosi nella più dolorosa delle agonie. Ras Oliè, fratello della regina Tailù, è di una famiglia originaria dell'Jeggiú, ingrandita dal Ve. gus Giovanni. Con l'appoggio della sorella, per molti anni, cercò di contrastare e per lo meno, di metlere un freno alla influenza preponderante di Macon nen. Per quanto sia oramai da molti anni alla Corte Scioana e vi abbia acquistato una posizione elevata, ci tiene sempre ad essere nativo delle pro vincie del nord e, senza riguardi almeno fino a qualche anno fa manifestava una grande venera zione per la memoria di re Giovanni. Al tempo delle famose contese fra Giovanni e Menelik, tenne sem pre un contegno piuttosto equivoco, ma, in realtà, piuttosto favorevole all' Imperatore, specialmente, quando questi, un po' per scrupolo religioso e un po' per mettere al fianco del re allo Scioa una ti grina, contribui a fargli abbandonare la cortigiana Bafanà e a fargli sposare Taitù. Durante gli ultimi anni di vita di Maconnen, fra quest'ultimo e ras Oliè la rivalità si era accentuata anche per l'inter

(1) Gustavo Chiesi che iniziò la sua carriera africana come corrispondente del secolo a Massaua all'epoca della spedizione San Marzano, da parecchi anni si occupava più specialmente del Benadir dove era stato più volte per conto della Società Milanese che, per molti anni ebbe la gestione della Colonia. Mori nel marzo 1909 ad Addis Abeba . Poco prima di partire aveva pubblicato una voluminosa opera : La Colonizzazione nell' Est Africa, l'opera più completa sulle nostre colonie del Benadir e della Somalia Setten trionale.

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vento di Taitù, la quale pare abbia ereditato dal suo defunto protettore la passione d'imporre matri moni. Sia che in cuor suo di lidasse di Maconnen o che, vedendolo tanto salito in potenza, volesse vieppiù legarlo alla propria famiglia, l'Imperatrice voleva dargli in moglie una sua nipote, figlia di ras Oliè. Vi era però una piccola difficoltà : Macon nen era ammogliato. Ma la regina Taitù non era donna da impensierirsi per così poco, per cui cercò di spingerlo a divorziare, inventando le cose più scandalose a carico della moglie di ras Maconnen il quale sapeva benissimo di dove venivano e a che mirassero le voci calunniose, ma che non volendo romperla con l'Imperatrice, finse di non accor gersene, manifestandole sempre la più grande de ferenza e sommissione. Quando rimase vedovo, Taitù tornò alla carica, ma inutilmente, e ras Olie, non essendovi più ostacoli legittimi, considerò come un'offesa alla sua dignità paterna il persistente ri fiuto di Vaconnen.

Ras Micael, il vecchio ras Vicael è un antico sul tano. E capo dei wollo-galla - una specie di sedi mento lasciato al di qua dello Scioa dalle invasioni galla che hanno messo in forse tante volte l'esistenza dell' Etiopia . Di religione mussulmana, col nome di sultano MohamedAli, era il loro sovrano, quando il Vegus Giovanni, nei primi anni del suo regno, conquistò il paese. L'Imperatore gli fe grazia della vita, purchè tanto lui che tutti i suoi si convertis sero al cristianesimo. Non v'era molto da scegliere : Il Sultano accettò per sè e per i suoi e l'Imperatore stesso in una solenne cerimonia lo tenne a batte .

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simo, facendogli prendere il nome cristiano di Mi cael: poscia gli diede in moglie una sua figliuola, gli conferì il titolo di Ras e lo colmò di onori e di privilegi, lasciandogli il governo del suo paese. Ha un esercito agguerrito, con molti cavalieri, che oc cupa una posizione strategica importantissima do minando dai paesi dei wollo-galla le comunicazioni stradali fra il Tigre e lo Scioa. Per questo il buon accordo con ras Micael è sempre stata una condi zione per la sicurezza dello Scioa. Il paese è fertile, ricco di acqua e atto ad una adunala di truppe nu merose. Venelik vi si recava ogni anno, dopo la fe sta del Mascal, cessate le pioggie alla fine di settem bre, con le truppe che formavano il nucleo più forte del suo esercito, e vi soggiornava due o tre mesi. È a Borumieda, e in quel periodo, che i vari ras Abissini solevano riunirsi sotto la presidenza del Negus e decidere le grandi spedizioni militari. È a Borumieda che avvenne anche l'adunata, quando nel 1891 mossero contro di noi (1). Valendosi di questa circostanza e del suo eser ci'o forte e numeroso, Micael potè conquistare una

(1) Giova a proposito di questo trasferimento periodico di Menelik, scriveva Arnaldo Cipolla in una lettera al Cor riere alla fine dell'anno scorso, il granchio che all'epoca della visita del Martini alla corte abissina prese una parte della stampa italiana, che scambiò l'ordinaria andata di Menelik presso ras Michael come una specie di omaggio che il Vegus-Neghesti si fosse deciso a rendere al governa tore dell'Eritrea, venendogli incontro con il suo esercito. Il granchio anzi fu talmente strombazzato che giunse sino agli orecchi di Menelik, il quale sdegnato che si potesse attribuirgli l'intenzione di rendere un simile onore ad un deggiuc italiano qualsiasi, sospese senz'altro l'andata nei Vollo. La decisione del Negus piombò come una doccia

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Ras Micael

indipendenza maggiore di quella degli altri ras. Avendo egli ragioni di rancore contro Menelik, vi fu un momento nel quale, con una politica che avesse sempre mirato allo stesso fine, si sarebbe forse potuto attirarlo a noi durante il periodo che precedette la guerra.

Ma non si capisce come l'illusione di averlo dalla nostra sia durata ancora, dopo che Macon nen era già al di qua del lago Ascianghi. Se il Ras dal lontano Harrar era giunto fin là, passando necessariamente attraverso tutto il territorio dei Wollo-galla, non era più possibile dubitare del com pleto accordo tra ras Micael e Menelik.

Oramai anche tuttociò non è che storia retro spettiva. Ma mette il conto, mi pare, di ricordarla, mentre, la situazione in Etiopia per la successione al trono, e per le rivalità dei capi potrebbe da un momento all'altro complicarsi...

Ras Tesamma, altro personaggio destinato ad avere una parte importantte nel dramma al quale può dar luogo la successione, e nel quale Menelik ha avuto la più grande fiducia, fino al punto da

fredda sugli entusiasmi dei nostri. Ma Iddio è misericor dioso ; giunse inaspettata la morte di ras Maconnen ; il lutto abissino potè giustificare dinanzi al giudizio d'Italia la de cisione irrevocabile dell'imperatore di non muoversi dalla sua corte è il governatore andò ad Addis Abeba.

Tutto questo è perfettamente vero, ed io pure nello stesso giornale lo avvertii. Solamente non fu la stampa italiana a prendere il granchio. La stampa italiana in generale non fece che pubblicare come gli venivano, e dalla Stefani o sotto forma di comunicati, le notizie confezionate dall'Uf ficio Coloniale della Consulta, che facevano rilevare come un grande successo della politica italiana l'atto di defe renza di Menelik !

16 ) L'ITALIA

Vie di Harrar.

T 6
Dire -Danah.

Dogana a Massaua .

MOM

conferirgli i pieni poteri, quando ebbe assoluta la convinzione della sua fine prossima e della incapa cità a occuparsi più oltre degli affari dello Stato, è di origine galla come Afta Georghis. È stato un compagno di gioventù di Menelik. Ebbero comuni armi , guerre, audaci imprese e, si dice, anche gli amori. Una completa fiducia reciproca corse fra il sovrano e il suo guerriero. Quando le conquiste si estesero Menelik inviò il ras a governare le estre me provincie occidentali verso il Sudan. Per gli abissini le regioni reclinanti verso le pianure ni liache sono considerate luogo di esilio e di morte. Le febbri decimano i figli della montagna quando scendono nei paesi paludosi e torridi del Sudan. Tuttavia Tesamma resistette a lungo in questo ulli cio di fiducia senza ambire ai più tranquilli e più dilettosi soggiorni presso il ghebì imperiale e cercò di trarre profitto più che potè dalle ricchezze na turali di quelle provincie. Ras Tesamma che è della scuola del Vegus e porta in ogni cosa un certo buon senso pratico, ha tratto dagli esperimenti non riusciti di traffici e di coltivazioni la convinzione che l'abissino è e rimarrà come fu nel passato : un guerriero e nulla più, che non capirà mai nulla di commerci e di agricoltura. Noi sappiamo fare la guerra diceva tempo fa sospirando il vecchio ras a un nostro ufficiale ma non riusciremo mai ad essere agricoltori o mer canti (1) (1) Giornale d'Italia del 14 agosto 1909. II

Ras Tesamma 161
*

VII.

L'ACCORDO ANGLO- FRANCO - ITALIANO. MASSALA ABBANDONATA !

La Francia a Obok Lo sviluppo di Gibuti Le ferrovie etiopiche La concessione ai francesi Il disinteresse apparente dell'Inghilterra Dopo la riconquista del Su dan Ferrovia dal Capo al Cairo Fachoda L in fluenza brittannica ad Adis Abeba Il colonnello Har rigton L internazionalizzazione Una missione tede sca Come al Marocco Tre anni di trattative L'accordo fra le tre potenze L'accordo e la questione del Nilo L'interesse dell'Italia La ferrovia dalla Eritrea al Benadir Di qui a cinquant'anni La bu rocrazia eritrea L'indifferenza del Comando dello Stato Maggiore Il porto più importante del Mar Rosso Spese inutili all'Asmara La nuova ferrovia Berber Port Sudan Suakim abbandonata per Port Sudan

Lo sviluppo da prendersi a danno di Massaua e del l'Eritrea Triste constatazione in un documento uffi ciale Un discorso di lord Cromer L'Eritrea ha per duto del suo valore !

Conclusa la pace fra l'Italia e l'Etiopia era na turale che alla Corte di Addis Abeba prendesse più che mai il sopravvento l'influenza francese. Le mire della Francia sull'Abissinia avevano preso consi stenza dall'epoca nella quale aveva posto mano alla creazione del porto di Gibuti. Per molti anni (su una parte della attuale Colonia la sua bandiera sventolava fino dal 1862) la Francia non si occupò affatto di questo suo possedimento, che si chia mava allora la colonia di Obok dal paese che ne era il capoluogo. Ma Obok, la cui occupazione era stata determinata, perchè pareva importante per la Francia avere un punto d'appoggio sulla via da Suez alle Indie quasi di fronte ad Aden inglese, non era un buon ancoraggio, nè si poteva pen sare di farne il punto di partenza per la penetra zione nell'interno del pacse e verso lo Scioa, un po' per le cattive condizioni del porto e un po' perchè sono assui difficili e malagevoli le comunicazioni. Trasportato il capoluogo della piccola colonia a Gi buti le cose mutarono di un tratto, ed il paese,

come il Governo, avendo compreso l'importanza strategica di quel punto, non lesinarono i fondi oc correnti per farne un porto capace di dar riparo alle navi della flotta e di provvedere al loro riforni mento. Quattro anni fa, fu la flotta russa quella che per la prima approfitto di questo punto d'ap poggio, senza del quale avrebbe dovuto fare da Suez in poi senza fermarsi, una traversata molto più lunga. Ma oltrechè dal punto di vista strategico, la colonia acquistò subito una maggiore importanza, poichè si comprese in Francia come, pur di ren dere più facili le comunicazioni dell'Harrar e dallo Scioa con Gibuti, questo porto poteva diventare lo sbocco di tutto il commercio delle ricche regioni del Sud dell'Etiopia e soppiantare in gran parte quelli di Zeila e di Berbera nella Somalia inglese, punti ai quali da tempo immemorabile si dirigono le ca rovane dall'interno. Di qui l'idea della ferrovia da Gibuti ad Addis Abeba passando per Harrar, la cui concessione, insieme a quella per un altro tronco che dovrebbe poi congiungere la capitale dello Scioa, e ora dell'Impero Etiopico, al Nilo Bianco, fu data da Menelik nel 1894 alla Compagnie Gé nérale des Chemins de fer Ethiopiens, della quale erano allora pars magna, oltre all'Ilg, il Chefneux, uno dei tre o quattro francesi che più si adopera rono a rendere la posizione insostenibile al povero Antonelli, e a spingere Menelik contro di noi. In un articolo del decreto di concessione, Menelik si impegnò a non dare altre concessioni di ferrovie

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L'Inghilterra e l'Abissinia 167

dall'Etiopia all'Oceano Indiano che avrebbero po tuto far concorrenza a quella di Gibuti.

Fu resa cioè impossibile la costruzione di una ferrovia Harrar-Zeila di interesse inglese.

Durante tutto questo periodo l'Inghilterra -- al meno apparentemente --- sembrò disinteressarsi del l'Etiopia, o per lo meno, non fece alcun atto dal quale potesse trasparire quale era la politica che in quelle regioni intendeva seguire. Forse non credette nemmeno meritasse di essere presa molto sul serio la concessione alla Società, tanto più che, anche in Francia, molti non dissimulavano i loro dubbi sulla possibilità che la ferrovia si facesse davvero.

Ma, appena la vittoria degli Anglo-Egiziani a Ondurmann sulle orde Madhiste aprì all'Inghilterra l'alta valle del Nilo, il suo interesse per le cose del l' Etiopia si rifece subito vivissimo. Immediatamente innumerevoli missioni militari, scientifiche, com merciali e quest'ultime certamente aiutate dal Governo Anglo-Egiziano nel cui florido bilancio vi è posto per queste, come per tante altre iniziative coloniali -- invasero gli altipiani etiopici.

Le stesse ragioni che in altri tempi spinsero l'Egitto (indipendente, o sotto la sovranità nominale di Costantinopoli) a cercare di impadronirsi del l'Abissinia per assicurare i suoi possedimenti nel Sudan, hanno spinto anni sono i protettori o i pa droni dell'Egitto ad occuparsi vivamente dell Abis sinia, cercando di affermarvi la loro egemonia.

A quelle ragioni che esistevano allora per l'E gitto, altre importantissime se ne sono aggiunte per l'Inghilterra, data la sua posizione in Africa. L'E

tiopia assolutamente indipendente, o nemica, sá rebbe stata un ostacolo alla grande ferrovia dal Cairo al Capo, che deve essere l'affermazione fi nale della preponderanza britannica nel Continente Nero, perchè questa strada non può a meno di pas sare in territorio abissino... Lungo il Nilo, a poca distanza della via che su di esso percorrono fino a Kartum , trasportando ogni anno migliaia di fore stieri, quei magnifici battelli Cook sui quali si pas sano delle settimane, e che sono giustamente con siderati come degli alberghi galleggianti, corre la ferrovia che, meno pittorescamente, ma più rapida .mente, conduce alla città al cui nome è associatu il ricordo delle magnanime imprese di Gordon Pa scià, alla cui memoria è stato eretto un grande mo numento. Ma è stata costruita anche la ferrovia da Kartum a Metemma, il piccolo paese sul confine abissino, nel quale, combattendo egli pure contro i dervisci, trovò la morte il Negus G'ovanni.

Lo politica inglese in tutte quelle vaste regioni africane nella valle del Nilo, e ai confini occiden tali dell'Abissinia, diventò più che mai attiva ed in traprendente. E mentre due anni prima, o poco più, la Gran Brettagna, per ménager la Francia non aveva esitato a rispondere con un mal dissi mulato rifiuto alla sua antica e fedele amica, l'Italia, che pure poco dopo doveva cederle Cassala, si mo strò inflessibile nell'incidente di Fachoda, che mi nacciò di far scoppiare la guerra fra le due nazioni. Un semplice sguardo dato alla carta fa capire l'importanza di quel punto e come con Fachoda, (a cui ufficialmente fu dato dall'Inghilterra un altro

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nome per cortesia verso la Francia) che è sul Nilo, e a poca distanza dal confine abissino, in mano di un'altra potenza, sarebbe stata certamente compromessa la politica inglese che ha per obiet tivo, ormai raggiunto, il dominio incontestato di tutta la valle Niliaca, e come avrebbe incontrato se rie difficoltà per la esecuzione dei suoi vasti dise gni ferroviari. Difatti, dopo Fachoda, l'intluenza britannica diventò ben presto predominante al Ghebi di Adis Abeba, e il colonnello Harrington, che da quell'epoca vi rappresenta il Governo di S. M. il Re Edoardo VII, non durò relativamente grande fa tica ad ottenere, e in un tempo relativamente breve, tutte le concessioni che gli parvero necessarie onde garantire lo sviluppo di quella politica. E prima di tutte, e di tutte le altre la più importante, quella sancita nell'articolo 4 della Convenzione firmata il 15 maggio 1902 ad Addis Abeba, che dà diritto al l'Inghilterra - e al Governo Egiziano, aperta mente, e non già ad una Società privata di Co struire sul territorio abissino una ferrovia per unire il Sudan all'Uganda, dove, oltre alla ferrovia che andrà ad allacciarsi così con quella del Capo, ve ne è già un'altra, in esercizio da parecchi anni, con la quale, in tre giorni, si arriva a Monibasa sul l'Oceano Indiano. Dall'epoca di Fachoda in poi la lotta d'influenza tra la Francia e l'Inghilterra, andò vieppiù accen tuandosi, e il sopravvento rimase a quest'ultima in quasi tutte le circostanze, ed in parte non piccola per merito del colonnello Harrington, col quale agì sempre d'accordo, secondo le istruzioni di Roma, il

nostro rappresentante presso il Negus. Dopo aver affermato la propria preponderanza sull'Abissinia alla sua frontiera occidentale ed essersi assicurata tutti i vantaggi da quella parte, l'Inghilterra miro a paralizzare e ad ostacolare fin dove le fu possi bile, l'azione della Francia dalla parte dell'Oceano Indiano. E quindi alla azione politica fece seguire quella finanziaria. Fu allora organizzata e condotta con la più grande abilità una vera campagna, nel corso della quale dei banchieri inglesi compera rono una grande quantità di azioni della Compagnie des Chemins de fer Ethiopiens onde impossessarsi della ferrovia e della Società, e quindi proporre, come fecero qualche tempo dopo, di internaziona lizzare la ferrovia, guadagnando alla loro causa anche in Francia e non si capisce come oltre a un certo numero di giornali, persino qualche Camera di commercio.

Il Negus ha dato nel 1894 la concessione alla Società francese di tre tronchi , per la costruzione di ciascuno dei quali, oltre questo del 1894, era ne cessario un altro atto di conferma, rimanendo però stabilito che, in ogni modo, la concessione del 1894 costituiva un diritto di fronte ad altri. Il primo tronco è quello da Gibuti ad Harrar, il secondo deve andare da Harrar ad Addis Abeba, e il terzo do vrebbe congiungere Addis Abeba al Nilo Bianco.

La questione della ferrovia -- 0, per meglio dire, di queste tre ferrovie - è passata attraverso varie fasi, e, a due riprese, il Governo della Repubblica francese ha dovuto intervenire con una larga sov venzione alla Società, la quale trovandosi sull'orlo

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Le iniziative tedesche 171 del fallimento, poteva da un momento all'altro pas sare in mano di capitalisti inglesi. La questione etio pica, per queste ferrovie e gl'interessi che ad esse si collegano, aveva assunto una straordinaria impor tanza, che aveva la sua ripercussione in Europa, tan tochè, prima ancora che Francia ed Inghilterra col protocollo del marzo 1904 sulla questione delMaroc co, avessero posto fine alla secolare rivalità, si era già ventilata l'idea di un possibile accordo. Anche per chè da questa lotta non finissero a trarne vantaggio altre Potenze che cominciavano a fare la loro appa rizione in Etiopia presentando offerte lusinghiere al Negus, e il Negus stesso contro di loro. Assai probabilmente, qualche iniziativa tedesca contribuì essa pure a spingere le due Potenze sulla via delle intese.

Nel 1905 una missione tedesca che s'imbarcò a Genova, si recò dall'Imperatore d'Etiopia. La mis sione assai numerosa, e della quale facevano parte parecchi ufficiali, era stata organizzata pomposa mente con l'intendimento potesse fare una certa im pressione sull'animo di Menelik e dargli un'idea della forza e della potenza della nazione che rap presentava. Nessuna altra nazione europea, fino al lora, si era mai presentata con così grande sfarzo di uniformi militari. Anche laggiù allo Scioa, la ri valità Anglo -Germanica, che oramai domina la po litica di tutto il mondo, ha avuto i suoi episodi. Tantochè, sebbene avessero ed abbiano laggiù in teressi in conflitto, nello svolgersi di questi episodi , la Francia e l'Inghilterra si sono sempre trovate d'accordo per agire in modo da impedire, fin dove

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fu possibile, che la Germania prendesse piede in . Abissinia.

Vi è forse stato un momento nel quale a Me nelik sorrise come a poca distanza di tempo sorrise all' Imperatore del Marocco -- l'idea di ap poggiarsi alla Germania per controbilanciare l'azione Anglo-Francese, alla quale, naturalmente, si era unita anche l'Italia. Non bisogna dimenticare, a tale proposito, che come capo di quella missione tedesca allo Scioa fu scelto dall'Imperatore Gu glielmo quello stesso diplomatico al quale fu afli data la missione, che tutti ricordano, al Marocco. E sembrò diffatti che, con qualche modificazione, e adattandolo agli ambienti diversi, questo diploma tico cercasse di svolgere lo stesso programma e con parole non molto dissimili, tanto a Fez che ad Addis Abeba. Presentando cioè la Germania come la nazione più forte di Europa, e come la sola che avrebbe potuto salvare l' Etiopia dalla ingordigia delle altre... purchè, naturalmente, alla Germania ed ai suoi sudditi, lo Scioa fosse stato largo di faci litazioni e di concessioni commerciali. Ma la poli tica inglese - e il colonnello Harrington --- veglia vano. Venelik declinò tutte le offerte, quantunque presentate nella forma più lusinghiera e più sedu cente. Ad una solo non potè rispondere con un re ciso rifiuto, poichè dovette dare il suo consenso alla creazione di una Legazione Germanica ad Addis Abeba. Fu dopo questo tentativo tedesco, che furono ri prese con maggior vigore le trattative per un ac cordo franco-anglo -italiano, cioè fra le tre Potenze

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L'accordo a tre 173 che confinano con l'Etiopia, onde regolare in modo definitivo, per quanto possibile, la questione etio pica. E le trattative furono spinte alacremente, nella speranza di poter addivenire ad un tale accordo, prima arrivasse ad Addis Abeba il titolare della nuova Legazione Germanica, della quale il Negus aveva consentito la creazione. Le trattative durarono a lungo. Circa tre anni. Quando si scriverà, con tutti i suoi particolari, la storia diplomatica di questo periodo, sarà assai fa cile il rilevare dai documenti e dalle date, come codeste fasi corrispondano sempre, e sieno anzi state la conseguenza di avvenimenti svoltisi in altre parti del mondo. Nel tempo stesso è andata pian piano mutando quella che si potrebbe chiamare la situazione internazionale dell'Etiopia. Nè la Germa nia, nè l'Austria hanno ancora potuto creare degli interessi di qualche importanza in Abissinia. Ma hanno mandato però ad Addis Abeba delle mis sioni come del resto han fatto anche gli Stati Uniti, missioni , che se non hanno ottenuto da Menelik le concessioni che ne speravano, sono però riuscite a concludere convenzioni e trattati di commercio, dei quali le Potenze firmatarie del re cente accordo non potevano non tener conto.

L'accordo fra le tre Potenze è stato quindi rela tivamente meno diflicile, appunto perchè, fino adi ora, sono esse sole quelle che hanno veramente de gli interessi da tutelare. Naturalmente in differente misura.

Per l'Inghilterra, la questione dell'Etiopia --- diquell'Abissinia che dopo la vittoria di Magdala con

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tro re Teodoro, le truppe inglesi abbandonarono perchè come fu detto alla Camera dei Comuni da un ministro non metteva il conto di spendere nemmeno una sterlina per paesi che non avrebbero mai reso nulla ! ha una importanza capitale per i suoi domini e per la sua egemonia sul Continente Nero.

Quando si pensa che basterebbe ad una potenza rivale di far saltare alcuni degli sbarramenti del Nilo, per trasformare in un flagello distruttore il gran fiume, al quale l'Egitto deve la sua esistenza e la sua prosperità, si comprende facilmente come gli inglesi, appena parvero loro opportuni il mo mento e le circostanze, abbiano proceduto alla ri conquista del Sudan. Così come si comprende del pari che, per la stessa ragione, appena diventati nuovamente padroni del Sudan, si sieno grande mente preoccupati delle loro relazioni con l'Abissi nia, dal momento che l' Etiopia è padrona del corso superiore e delle sorgenti dei tre grandi alluenti nel Nilo : il Sobat, il Nilo Azzurro e l'Atbara. Quando nel 1840 come osserva giustamente uno scrittore competentissimo in tali questioni , il Darcy gli egiziani deviarono il corso dell Atbara per vedere di domare le tribù degli Hadendoa, ren dendo immediatamente sterili i loro territori, fu dato un esempio che non andò perduto pei padroni attuali dell'Egitto. Del resto hanno durato per secoli le lotte degli egiziani contro gli abissini, appunto per assicurarsi il dominio di questi corsi d'acqua. Non si è padroni veramente dell'Egitto se non avendo in mano il Sudan, ed essendo sicuri della

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Abissinia. La questione del Sudan e dell'Egitto è intimamente legata a quella dell'Etiopia.

Per quanto riguarda l'Italia, sono troppo evi denti gl'interessi che essa ha in Etiopia, o per lo meno nelle sue relazioni con l' Etiopia, dal momento che, tanto la nostra colonia Eritrea come quella della Somalia, confinano con l'Impero del Negus. Non è possibile rimanere indifferenti agli avveni- . menti dell'Etiopia, che hanno sempre un contrac colpo nelle nostre due colonie. Per un lungo tratto anzi l'Eritrea confina con la regione più turbulenta dell'Impero, col regno del Tigrè, i cui abitanti for mano la popolazione più belligera dell'Impero: col regno del Tigré le cui popolazioni sono le più belli cose della razza abissina, e che, mal soffrendo l'ege monia scioana, non aspettano che il momento op portuno per insorgere e rivendicare al Tigrè quella posizione predominante che ebbe per secoli sugli altri regni abissini dello Scioa e del Goggiam .

Dall'altra parte, al sud dell'Etiopia e dalla parte nord occidentale delle nostre colonie della Somalia, altre difficoltà possono sorgere, con altre popola zioni le quali non sempre obbediscono agli ordini del Negus ed alle quali, spesso e sovente, forse per chè non può fare diversamente, il Negus lascia un po' mano libera. L'interesse nostro immediato, in somma, ci poteva far desiderare un assetto dell'E tiopia, fatto per l'appunto sotto gli auspici delle tre Polenze, che, stabilendo per tutte e tre una linea di condotta, date le eventualità che bisogna prevedere, come la morte del Negus, ci mettesse il più che pos sibile al riparo dalle sorprese. Ho detto apposta ci

Il Sudan e
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poteva, perchè, a priori, non era da escludere nem meno un altra politica, per quanto presentasse qual che pericolo : quella cioè di non legarsi e non ipote care l'avvenire. Il pericolo consisteva in questo: che le altre due potenze avrebbero forse fatto ugual mente l'accordo, contro il quale non ci sarebbe stato poi possibile lottare. Nella politica coloniale non si può limitarsi a guardare solo all'indomani. Bisogna pensare anche all'avvenire lontano, senza preoccuparsi, se come nel caso dell'accordo di tre anni fa abbia potuto far sorridere l'idea che l'Italia e i suoi ministri, pole mizzassero ed ir.sistessero perchè fosse ad essa ri conosciuto il diritto di far correre per centinaia e centinaia di chilometri, attraverso terreni difficilis simi ; una ferrovia che costerebbe parecchie centi naia di milioni, per unire l'Eritrea con la nostra co lonia della Somalia, come se ancora fosse in vigore quel protocollo del 1891, col quale tutta quanta l'E tiopia era posta nella zona d'influenza italiana.

Nessuno sa, nè può prevedere, che cosa sarà l'A frica fra cinquant'anni , fra un secolo, e il valore che potrà avere allora questo diritto, sia che l'Italia possa essere in grado d ésercitarlo per conto pro prio, sia possa credere opportuno di servirsene per avere altri compensi !

Per questo, è stata deplorevole la politica che abbiamo seguito in Eritrea anche dopo la scon lilta, pascendoci di illusioni, pur profondeudo som me ingenti in spese di lusso inutili, senza mai avere un programma chiaro e ben definito; all'infuori di quello del quieto vivere. Il Gabinetto Rudinì, con

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Gibuti. Scena d'un matrimonio So alo.

Gibuti Via Roma.

L'on. Rudini e l'Eritrea 177 chiusa la pace con Venelik, stabilì che l'Eritrea do vesse essere retta da un governatore civile. Ma il governo civile che a quell'epoca si voleva istituire, era un governo sopratutto... antimilitare, che l'ono revole Bonfadini avrebbe dovuto altuare, se l'opposi zione vivissima incontrata da questo nome, non avesse fatto smettere al Governo il pensiero della sua nomina. La scelta dell'on. Di Rudinì cadde in vece sull'on. Martini, il quale bel caso anche que sto andò in Africa dichiarando e facendo dichia rare esplicitamente dai suoi amici, che non si sa rebbe mai piegato a quella politica di abbandono voluta... dal Rudinì che lo aveva nominato.

L'ora per giudicare tutto il complesso dell'opera dell'on . Martini nei dieci anni del suo governato rato non è forse ancora venuta. I fatti, e nessuno se lo augura più di me, potrebbero anche dargli ragione.

Certo da Sdua in poi la nostra politica nell'Eri trea, politica seguita da tutti i ministri che si sono succeduti alla Consulta, parve avere un solo obiet. tivo : quello di far sì che della Colonia si parlasse il meno possibile. Facciano pure quello che vo gliono, sembrano essersi dello tutti i ministri pas sati alla consulta, purché non ci clieno seceature, purchè alla Camera non si svolgano interrogazioni o interpellanze. Così sono state man mano ridotte tutte le spese militari. E mentre in queste si fa cevano economie fino all'osso, si è andato sempre crescendo il numero degli impiegati civili. Quando, all'Ufficio Coloniale, non sanno che farsene di qual cuno, finiscono per mandarlo in Eritrea, magari

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creando appositamente cariche ed uffici dei quali nessuno ha mai sentito la necessità. Senza entrare in troppi particolari (1) dirò sol tanto che, economizzando da tutte le spese per l'esercito, sui riassoldamenti, sulle fortificazioni, noi ci troviamo ad avere laggiù delle forze esigue; per cui al menomo accenno di complicazioni sarà necessario mandare laggiù della truppa e in forza considerevole.

È tutto preparato per tale eventualità? Ne dubito. Ne dubito perchè se, da una parte, della nostra si tuazione militare nell'Eritrea non si sono mai oc cupati alla Consulta, dal più al meno, vi è stata la stessa indifferenza da parte del Capo dello Stato maggiore. Non so se col generale Pollio, succeduto al Saletta, le cose hanno mutato. Ma quello che è avvenuto al Benadir a proposito del dissidio Carletti Di Giorgio, tende a far credere tutto vada ancora co me prima, dal momento che si è rassegnati a lasciare ancora al comando delle nostre truppe al Benadir un semplice maggiore, solo perchè all'Ufficio Colo niale non vogliono saperne di avere laggiù un uf ficiale di grado superiore, che il console governa tore sarebbe costretto a trattare con maggiori ri guardi. La forza delle truppe poste sotto ai suoi ordini e l'estensione del paese, esigerebbero che il comandante delle nostre truppe al Benadir avesse almeno il grado di colonnello. Dico almeno, perchè, come si è visto, in territori assai meno vasti e dove

(1) Vedi l'articolo : I pericoli dell'Eritrea, nel Rinasci mento, anno 1907.

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vi sono oliettivi assai più limitati gli inglesi man dano sovente un maggior generale.

Come mai il generale Pollio si rassegna a su bire così, senza discutere, le imposizioni della Con sulta e dell'Ufficio Coloniale ? Come mai non è iniervenuto energicamente, assai prima deil'inchie sta, domandando al Ministero della guerra di far cessare uno stato di cose per le quali non è possi bile ad alcun comandante delle truppe la perma nenza in quella Colonia, se debbono obbedire a Governatori e a quell'Ufficio Coloniale la cui inca pacità è stata tante volte provata e documentata? Eppure, egli non può non comprendere che se domani accade qualche cosa di grave laggiù dal punto di vista militare, la responsabilità morale si farebbe ugualmente risalire a lui. Come allo Stato Maggiore la si fece risalire in gran parte, ed a ra gione, dopo Adua, sebbene, allora potesse invocare come attenuante il fatto che vi era laggiù un gene rale : e un generale ritenuto allora fra i migliori. Quando, dopo Amba Alagi, incominciarono ve ramente le operazioni di guerra e furono mandate in Eritrea forze considerevoli, una delle cause prin cipalissime del disordinato funzionamento di molti servizi fu la mancanza di baraccamenti per mettere al riparo le provvigioni , come per alloggiare le truppe. Simile mancanza ebbe poi conseguenze terribili quando, all'indomani della battaglia di Adua, ritornarono i feriti a centinaia, a migliaia. Le baracche mancavano, perchè erano state traspor tate tulte sull'altipiano quelle costruite a Massaua all'epoca della spedizione San Marzano. E ben in

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teso, tulto era stato fatto di testa del Governatore senza nemmeno interpellare il Capo di Stato Mag giore, che pure ha la responsabilità della prepara zione alla guerra.

Non è stato possibile mai lo stabilire fino a qual punto, in tutto quel periodo che precedette il di sastro, l'azione del Comando dello Stato Mag giore sia stata ostacolata dal Governo. Ma poichè le mansioni dello Stato Maggiore si sa quali sono, e si sa pur troppo tutto ciò che è mancato nella preparazione della guerra africana, non si può a meno di riconoscere che lo Stato Maggiore in quelle tristi circostanze è assolutamente venuto meno al compito suo. Non parlo, ben inteso, degli ufficiali! Un Corpo che ha dato degli eroi come il Toselli, l'Arimondi, il Da Bormida, e tante altre fra le più belle figure di soldato che registri la nostra storia: militare, è degno di tutto il rispetto e, più che del rispetto, dell'ammirazione e della riconoscenza del paese. Intendo parlare della sua organizzazione di fettosa.

Ma come ? Dopo dieci anni che eravamo in Africa, dopo che le nostre truppe erano state tre o quattro volte ad Adua e vi avevano anche tenuto presidio, si doveva sentir dire che le disposizioni per la battaglia decisiva date in un momento di follia, erano state prese su degli schizzi topogra fici approssimativi?

Ciò vuol dire che in tutti quegli anni il Co mando dello Stato Maggiore non aveva dato gli or dini perchè di quelle regioni fossero rilevate carte esatte e particolareggiate, lasciando che il Barattieri

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Solita impreparazione 181

facesse tutto ciò che gli lalentava, senza render conto ad alcuno. Così mancava pure uno schizzo del forte di Adigrat, che pure doveva essere la base d'ope razione nella eventualità di un conflitto. Quanto al forte di Macallè, volendo darne un'idea nella Rivista militare, il Ministro della guerra fu costretto a farne fare lo schizzo, a memoria, da uno dei suoi valorosi difensori !

Inoltre lo Stato Maggiore mancò nel non pen sare a un'altra base d'operazione e di rifornimento a Zula, per la via seguita dagli inglesi nella loro spedizione del 1867. Quando d'un tratto fu deciso l'invio di intere divisioni, sarebbe stato un vantag gio immenso l'avere una doppia linea d'approvvi. gionamento. E si noli che quella da Zula a Senafè sarebbe stata molto meno esposta al nemico. Ci si pensò soltanto nel febbraio del 1906; quando era troppo tardi!

Fortunatamente, se non intervengono circostanze imprevedute e imprevedibili l'ipotesi di una nuova guerra grossa deve essere scartata. Ma non si può scartare in modo assoluto l'ipotesi che da un mo mento all'altro si debba provvedere alla difesa della nostra frontiera eritrea. Or bene, il Comando dello Stato Maggiore, malgrado la triste esperienza del 1905, ha continuato in questo suo assenteismo, quantunque, di ogni cosa sia sempre stato infor mato da voluminosi e particolareggiati rapporti. All'Asmara si sono venduti all'asta, ben inteso col consenso, anzi d'ordine del Ministero della guerra i farsetti a magiia e altri oggetti di vestiario che vi erano nei depositi :

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Grazie a un simile sistema è stato possibile ciò che è avvenuto, a proposito di Massaua e parlo proprio della città di Massaua --- che, da secoli, era certamente il porto più importante del Mar Rosso, e sembrava dover prendere un rapido sviluppo in mano ad una potenza europea, e che invece è an data scemando d'importanza, perchè nessuno se ne è più occupato. Massaua, da tempo immemorabile, era uno degli sbocchi principali del Sudan egiziano, e lo sbocco esclusivo dell'Abissinia, sopratutto prima che l'asse dell'Impero fosse spostato verso sud col l'egemonia scioana. Per quanto al nord e al sud dell' Impero l'Inghilterra e la Francia abbiano aperto nuove vie al mare, una politica oculata avrebbe dovuto mirare a dare il maggiore sviluppo a questo porto : a fare in modo che almeno una parte dei traffici non potesse essere deviata e a crearne, possibilmente, dei nuovi. La stessa ferro via dal mare all'altipiano avrebbe dovuto suggerire al Governo un ben maggiore interesse per Mas saua. Invece questa città, che subito dopo l'occupa zione nostra aveva preso un rapido sviluppo, che è, senza dubbio, la più bella e simpatica città del Mar Rosso, da parecchi anni è stata quasi comple tamente abbandonata. Sul bilancio eritreo, si sono spese somme ingenti per fare di Asmara una città di lusso, mentre a Massaua si lasciano cadere in ro vina palazzi costati all'erario dei milioni. Nulla si fece più per migliorarne le condizioni, e tanto il Governatore che gli alti funzionari della Co lonia da anni non vi hanno mai più passato venti quattro ore di seguito. Vi rimangono solo qualche

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La ferrovia Berbera -Port Sudan 183

ora arrivando dall'Italia. Il tempo necessario per sbarcare e per far mettere sul treno i bagagli ! E, durante il famoso Congresso Coloniale, al quale fu fatta tanta réclame per far credere l'Eritrea fosse già diventata un Eldorado, l'itinerario fu stabilito in modo che anche icongressisti non ci si fermassero che pochissimo, e non han quindi potuto rendersi conto della decadenza, dell'abbandono in cui è la sciata oramai questa città la cui occupazione è stata l'inizio della nostra politica africana, e che aveva, anche prima del nostro arrivo, una così grande im .portanza per i commerci di tutta quella zona del continente nero (1).

Tanto più necessario sarebbe stato l'occuparsene attivamente in quanto che, se, solo tre anni fa, con tanta solennità, dall'Alto Commissario Britannico in Egitto, è stata inaugurata la ferrovia e il porto di Port Sudan, si sapeva però da molto tempo che tale nuova comunicazione ferroviaria dal Nilo al Mar Rosso era una delle basi del vasto programma di lord Cromer per lo sviluppo e l'assetto definitivo del Sudan.

In origine lo sbocco della nuova ferrovia avrebbe dovuto essere Suakim , il porto più importante del Mar Rosso, dopo Massaua. Tanto che, ancora adesso, erroneamente, si dice spesso : la ferrovia Berbera Suakim . Ma ad un certo punto nacquero dei dubbi sulla possibilità di trasformare Suakim in un gran porto, il giorno nel quale lo sviluppo dei traffici lo

(1) Vedi articolo citato.

avrebbe richiesto. D'altra parte Suakim non offre un ancoraggio troppo buono per le grandi navi.

A circa quaranta miglia da Suakim la Commis sione di ciò incaricata, trovò un punto più adatto degli altri e immediatamente furono decisi i lavori per la costruzione del nuovo porto'a Cheilk Bargout (che vuol dire il capo delle pulci o qualche cosa di simile). Un po' per il curioso significato che ha il vecchio nome dato al piccolo paese, composto in tutto e per tutto di una ventina di capanne, un po' perchè sembrò bene anche nel nome stesso fosse implicita un'affermazione dello scopo per il quale si faceva, al porto, e quindi alla città in pochi mesi e come per incanto sorta intorno ad essa, fu dato il nome di Port-Sudan.

Porto e ferrovia è bene notarlo hanno una grande importanza strategica, perchè possono per mettere all'Inghilterra di portare in Egitto le sue truppe dalle Indie più presto e per una via più si cura di quella di Suez che non è una strada sua. Ma sebbene sia stato forse uno degli argomenti deci sivi per la costruzione della ferrovie e del porto, l'importanza loro sarà sopratutto commerciale. Port-Sudan, nessuno ne dubita oramai, diventerà un gran porto in brevissimo volgere di tempo, e che tale sia la convinzione, non degli inglesi sol tanto, ne è una prova il fatto che prima ancora vi sorgessero le costruzioni per gli uffici e per le autorità locali, le grandi Compagnie di naviga zione germaniche, i cui vapori attraversano il Mar Rosso, avevano già cominciato a costruire la sede delle loro agenzie ! Compagnie di navigazione di

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altri paesi ne hanno già imitato l'esempio. Senza troppo deviare dalla loro rotta, i bastimenti potranno appoggiarvi per prendervi o lasciarvi delle merci. Per quanto non sia in condizioni così favorevoli, e la deviazione sia sensibilmente maggiore, Massaua avrebbe dovuto servire a tale scopo, e fino a qualche ano fa, si poteva ancora nutrire la spe ranza che un giorno il suo porto avrebbe preso un maggiore sviluppo, come sbocco dei prodotti di una parte del Sudan e dell'Abissinia.

Purtroppo e una relazione del Governatore del l'Eritrea lo constatò oramai ufficialmente ! questa speranza è finita completamente, dopo la costru zione della ferrovia dal Nilo al Mar Rosso. E non solo per quanto riguarda il Sudan, ma altresì per una gran parte dell' Etiopia settentrionale, giacchè anche gli stessi prodotti, le mercanzie che giungono al nostro confine, prenderanno la via da Cassala a Port-Sudan, anzichè quella di Massua. La linea Ber Bera -Port Sudan, non è che il primopasso della po litica inglese, per rendere tributario di questo porto tutto il commercio di quella parte del Sudan e del l'Etiopia settentrionale. Un'altra ferrovia congiun gerà Cassala a quella recentemente inaugurata. Nel suo discorso inaugurale, lord Cromer, in poche parole, disse quale era il suo programma fer roviario annunziando anche la nuova comunicazione con Cassala .

« Spero disse l Alto Commissario che « fra non molto potrà anche essere aperta la fer « rovia Kadmouh-Abu Hamed, ciò che assicurerà la « comunicazione della ricca Dongola col mare. Fra

Cassala 185

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« breve incominceranno i lavori di irrigazione che « fertilizzeranno le pianure poste nelle vicinanze « della ferrovia, canalizzando le acque del Gasch, e « si procederà alla costruzione di un ponte sul Nilo << Bianco e sul Nilo Azzurro a Kartum . Gli ingegneri «« lavorano a preparare il progetto di una linea che ( allaccerà la ferrovia a Cassala, e di un'altra linea « sulla sponda sinistra del Nilo Azzurro, nonché di « una terza linea fra il Cordofan e Ondurmann » .

« Come si vede, si tratta di tutta una rete ferro viaria che attirerà verso Port-Sudan non solo i pro dotti del Sudan ma altresì gran parte di quelli del l'Etiopia settentrionale, che finora arrivano al mare attraverso la nostra Colonia, e il cui traffico si spe rava potesse essere un giorno uno delle risorse del l'Eritrea.

Oramai non è più possibile farsi delle illusioni. Tutte queste ferrovie costruite o da costruire al di là della nostra Colonia, ma i cui binarî, come a Cassala, si spingono fino a pochi chilometri dai nostri confini, accaparreranno immancabilmente tutto il movimento commerciale di quelle regioni incanalandolo verso Port-Sudan. Dove, del resto, assai più che a Massaua, da tanti anni abbandonata, i commercianti troveranno con la frequenza degli approdi maggiore facilità di scambi.

La conclusione è ben triste. Malgrado i milioni profusi, l'Eritrea ha perduto gran parte del suo va lore, e, dacchè la bandiera italiana sventola su quella costa, anzichè crescere, è diminuita anche l'importanza di Massaua che era il migliore porto naturale del Mar Rosso !

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VIII.

L'IMPERATRICE TAITU . .

LA PROCLAMAZIONE DEL SUCCESSORE.

Il nonno di Menelik La sua discendenza La scomparsa di Maconnen La questione della successione come si presentava tre anni fa Il fratello dell'Imperatrice Candidatura abbandonata Il giuramento del triumvi. rato il Clero abissino L'Abuna e l'Ecceghié La città santa Il Nebrait Il santuario ui Axum Il fale gname Naretti Il trono di Salomone La sterilità di Taitù Contro il triumvirato La Versailles scioana Il messaggio di Menelik al suo popolo La presenta zione dell'erede Una scena commovente Menelik si spegne lentamente Ras Tesamina... si nomina reg gente La proclamazione solenne con l'intervento del clero Menelik III La funzione religiosa Un altro messaggio del Negus moribondo L'assenza di Taitù

Quel che avviene alla morte del Negus alla Capitale Le Legazioni in pericolo Le autorità non ne garanti scono la sicurezza Le manifestazioni di lutto rimoniale per la tumulazione Ligs Jasù Dove è llato Come fu educato Suoi contatti con gli euro pei Il Luigi IX dell'Etiopia La sua opera incom piuta I possibili pretendenti alla successione, nu merosi.

Il ce

sca

Secondo le tradizioni conservate ad Axun, nella città santa dell'Etiopia, l Abissinia avrebbe inco minciato ad essere popolata in un'epoca molto an tica. Dopo il diluvio dei nipoti di Noè sarebbero andati a stabilirvisi, abitando delle cavernie vate nelle montagne. Questa è la leggenda lontana. La leggenda più vicina a noi, dalla quale avrebbe principio la storia dell'Abissinia è quella della Re gina Saba, leggenda che ha parecchie versioni non sempre concordi. Sei re, secondo la tradizione, avrebbero occupato, prima di questa regina il trono, e il primo a nome Aroné, che vuol dire serpente, avrebbe regnato nientemeno che 400 anni. Il Ludolf nella sua storia d'Eliopia dice che gli abissini da principio adoravano i serpenti. Ma, come ripeto, la storia, sia pure nebulosa dell Abissinia incomincia con la famosa regina Saba, regina di Etiopia. Essa aveva sentito molto parlare del sapere, della magnificenza, e della virtù di Sa lomone. Un bel giorno decise di recarsi a fargli visila a Gerusalemme. Partì dal suo paese con un

numeroso seguito e con ricchi doni di pietre pre ziose, di ori e di profumi per offrirli al Re. Arri vata a Gerusalemme, presentò i regali a Salomone, che rimase affascinato dalla sua bellezza. Malgrado avesse già numerose mogli avrebbe voluto... spo sare la bella etiope. La quale, come le donne di tutti i tempi e di tutti i continenti, appena s'accorse della passione svegliata nel monarca, pare si sia un po' divertita alle sue spalle, ora facendogli cre dere di corrispondere al suo amore, ora resistendo... Salomone cosa che succede a tutti gli uomini sotto tutte le latitudini e in tutti i tempi s'inna morò sempre più. Per vincere la resistenza della Regina immaginò uno stratagemma. Organizzò un grande banchetto nel quale furono serviti i cibi più prelibati e più... eccitanti. Natu ralmente il banchetto fu dato in onore della bella etiope. Tanto la Regina che i personaggi del suo seguito fecero onore alle vivande, ma nessuno bevve. A un certo punto, quando i convitati stavano per andarsene, Salomone - vecchio peccatore -- pregò la Regina di rimanere. Consento a restare con te (probabilmente si davano del tu), ma a condizioni che mi rispetterai e che uscirò vergine dal tuo palazzo. Dammi la tua parola. Te la dò -- rispose Salomone ma a tua volta, promettimi che non mi ruberai nulla. Che cosa vuoi ti rubi - rispose ridendo la Regina. Padrona di un vasto impero non in vidio le tue ricchezze. - Non importa -- rispose il Re -- (che, bisogna

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Il rampollo di Salomone 191 ricordarlo, era un sapiente... anche quando sentiva la passione vicino a una bella donna): ho cono sciuto uomini che possedevano immensi tesori, e ciononpertanto rubavano : non dimenticare che io mi terrò sciolto dalla mia parola se non rispetti le condizioni che ti impongo.

Poco dopo, la Regina ebbe sete. Sulle tavole vi erano liquori e vini squisiti, e da una piccola fon tana nel mezzo di una sala usciva un getto d'acqua limpidissima. La Regina andò dritto alla fontana, e dopo aver bevuto ritornò vicino a Salomone. Regina gli disse allora Salomone tu non hai mantenuto la tua promessa e mi appar tieni.

E la Regina cedette. Si direbbe non desiderasse di meglio. Che Salomone, un saggio, considerasse un furto, da parte di una invitata il bere un po' d'acqua alla fontana avendo sete, può sembrare una cosa pa recchio strana. Più strana ancora che la Regina ab bia riconosciuto subito senza discussione, di aver mancato. Ma non importa. Il fatto è, sempre secondo questa versione della leggenda, che, ritornata in Abissinia, mise al mondo un rampollo salomonico, al quale fu posto il nome di Menelik, e che sarebbe il primo Re della Dinastia, che occupa adesso il trono di Addis Abeba. Quando questo rampollo era un giovinetto, la madre lo mandò a Gerusa lemme, a far conoscenza con suo padre, che lo accolse con grandi onori, lo istruì e lo unse Re d'Etiopia nel Tempio. Quando la sua educazione fu

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compiuta, ritornò da sua madre, conducendo ron sè una colonia di ebrei, nella quale vi erano pa recchi dottori della legge. Menelik avrebbe anzi portato con sè le tavole della legge, facendole cu stodire nella chiesa di Axum e che sarebbero andate distrutte all'epoca della invasione mussulmana.

La leggenda della Regina di Saba, che, come ho detto, ha varie versioni, vive da una parte e dal l'altra del Mar Rosso, poichè, secondo alcuni , T'Yemen, che nell'immaginoso linguaggio arabo si gnifica « il paese a mano destra »), sarebbe la terra di Saba, dove nacque la Regina amica di Salomone. Menelik succedeite a sua madre, regnando 29 an ni, e dopo di lui fino all'èra cristiana, cioè per lo spazio di novecentocinquantaselte anni, si sarebbero succeduti sul trono di Etiopia ventun Re. Se fosse realmente così, ognuno di questi Re dovrebbe aver regnato quarant'anni. Cosa assolutamente invero simile. Evidentemente è incompleta la lista dei pri mi successori di Menelik che possediamo, Alla nascita di Gesù Cristo, il Re che regnava sull'Abissinia, si chiamava Za-Bazen. Dalla morte di questo Re, che regnò sedici anni, fino alla pre dicazione di San Frumenzio, vescovo milanese che convertì una gran parte dell'Abissinia al Cristia nesimo, si succedettero ventiquattro Re. Ma, ben poco si sa su quel periodo, per quanto sia noto che Labissinia fosse entrata allora in relazioni commer ciali con l'Impero romano e specialmente con Ales sandria. I commercianti romani avevano comin ciato a penetrare in Etiopia. Adulis era allora un porto abbastanza' animato.

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Successore al trono li Menelik.

Ras MICAEL

Padre dell'Erede al Trono.

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Di tutti questi Re i più noti sono Abreha e Ahzbeha, due fratelli i quali occuparono contempo raneamente il trono, anche perchè mandarono una ambasciata all'Imperatore Costantino a Costantino poli, e perchè è sotto il loro regno che il Cristia nesimo s'introdusse in Ibissinia.

Col Re Kaleb, parecchi secoli dopo, la storia del l'Abissinia entra in una nuova fase. Il Cristianesimo aveva già fatto progressi in Arabia e specialmente nell'Yemen. Ma, all'epoca di Kaleb, salì sul trono dell'Yemen un sovrano nemico dei Cristiani, contro i quali fu organizzata la più crudele persecuzione. Animato da un grande zelo religioso e dai con sigli dell'Imperatore di Costantinopoli Giustino I, Kaleb risolse di correre in aiuto dei Cristiani. Nel 530 traverso il Mar Rosso e sbarcò nell'Yemen con un esercito che gli annali abissini fanno ascendere a 60 mila uomini. L'Yemen cadde in suo potere e una chiesa fu costruita a Sanaa colla più grande magnificenza, perchè diventasse il centro religioso dei Cristiani dell'Arabia. Kaleb si proponeva di impadronirsi della Mecca, di cui la Kaaba era già il santuario nazionale degli Arabi. Va il suo eser ito, sfinito dalla lunga marcia attraverso il deserto, decimato dalla malattia, non riuscì nell'impresa, e i superstili solo attraverso mille difficoltà, poterono ritornare all'Yemen. Questa spedizione diventata leggendaria, è conosciuta dagli Arabi sotto il nome di guerra dell'Elefante.

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Disilluso, Kaleb mandò il suo diadema a Geru salemme, e dopo avere abdicato a favore di suo figlio, andò a finire i suoi giorni in un monastero. 13

L'Yemen, rimase per circa mezzo secolo in po tere degli Abissini che ne furono poscia scacciati da una rivolta nella quale gli yemeniti ebbero aiuto dai persiani. Parecchio tempo dopo fu un altro imperatore, Giustiniano, che cercò di concludere una alleanza con l'Etiopia, per combattere in nome della fede contro i persiani. Un'ambasciata si recò a questo scopo in Abissinia dal Re Guebra Mascal, al quale le cronache bizantine danno il nome di Elasteo. La descrizione del ricevimento avuto da questa mis sione, che è stato conservato, contiene particolari interessanti e curiosi. Il Re d'Etiopia, il quale ri siedeva ad Axum fece una accoglienza grandiosa agli inviati dell'Imperatore bizantino. Li ricevette su un carro coperto di lamine d'oro e tirato da quattro elefanti. Nudo fino alla cintola, aveva sulle spalle una tunica aperta sul davanti e tutta tem pestata di perle. Aveva dei braccialetti d'oro. Sul capo portava un turbante di lino ricamato d'oro, dal quale pendevano quattro catenelle d'oro. Portava un collare pure d'oro e teneva in una mano uno scudo dorato. Lo circondavano i suoi cortigiani e dei suonatori di flauto. Gli ambasciatori si inginoc chiarono dinnanzi a lui. Il Re li fece subito rial zare, e, presa dalle loro mani la lettera, la fece , leggere dall'interprete. Il Negus aderi all'invito di partecipare alla guerra contro i persiani. Ma le condizioni dello Stato gli impedirono poi di man dare delle truppe al di là del mare. Al'epoca del Negus Neghesti Ishama L'Abissinia

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Le dinastie scioane 195

cerse il pericolo di essere invasa dalle orde di Mao melto, quando questi, nel 622, l'anno dell'Egira, si rivolse all'Imperatore di Costantinopoli, Eraclio, al Reli Persia, Chosroes, e al Negus intimando loro di riconoscerlo come l'inviato di Dio.

Fra i Re d'Abissinia uno dei più celebri è Lali bela, che fu chiamato il San Luigi dell'Etiopia e che, realmente, in Abissinia, è considerato come un Santo . Visse alla fine del STI secolo. Si racconta che quando era ancora in culla le api andavano a po sarsi sulle sue labbra. Era poeta, oratore e uomo arditissimo. Si dice avesse deciso di deviare le ac que del Nilo, per impedire la fertilità dell'Egitto, paese mussulmano. Lalibela protesse i cristiani di Egitto che numerosi andavano a rifugiarsi presso di lui.

Na tutti questi Neg'us appartenevano ad altre di nastie. Quella salomonica della quale Menelik era stato il capo stipite per molti secoli regno soltanto allo Scioa, allora regno non grande, senza più pen sare alla riconquista del trono di Axum . Solo per un periodo breve il Re dello Scioa Icon Amloe e pa recchi suoi successori riuscirono a regnare su tutta l'Abissinia, ma come ha fatto ora Menelik non trasportarono la residenza reale ad !xum , e continuarono a risiedere a Tegulet nello Scioa. Nella genealogia della dinastia che vanta origini salomoniche, molte sono le lacune, anche nei tempi più recenti, e non vi è da fare davvero un grande assegnamento nemmeno sui documenti che hanno in certo modo un carattere ulliciale. (Vedi in One del Capitolo l'elenco degli Imperatori d'Elicia ).

Il nonno di Menelik II, Sellah Selassiè, ebbe quat tro ligli maschi e parecchie femmine. I quattro figli furono Haile-Malacot, Ato -Seifu, Darghie e Meirid Azmac-Haile, tutti morti parecchi anni fa. Il primo ebbe un solo figlio : Menelik, l'attuale imperatore. Il secondo ebbe un figlio che morì lasciando a sua volta un l'ampollo morto egli pure. Il terzo ebbe molti figli dei due sessi dei quali uno solo vive e che si vuole sia oggi a Londra. Il quarto ebbe un figlio che finì prigioniero di suo cugino l'imperatore. Menelik II ebbe due figli: un maschio che mori 20 anni fa e una femmina la Oizero (1) Zenditu, mo glie in seconde nozze di ras Gugsa nipote della re gina Taitù e che fu prima moglie di ras Ariam Se lassiè figlio di re Giovanni morto egli pure una ven tina di anni fa. Ras Gugsa è forse quello che avrebbe più titoli, come marito della figlia di Menelik alla. successione.

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Fino a qualche anno fa i candidati al tronoerano : ras Maconen governatore dell' Harrar, ras Oliè fra tello della Regina un nipote di Menelik e il fra tello maggiore di Jassu che si è deciso a proclamare suo successore or fanno alcuni mesi. Fino a qual che tempo fa, però, quando cioè Menelik governava realmente lo Stato, nessuno osava parlare della suc cessione.

Con la morte di Maconnen scomparve tre anni or sono, il più abile e il più diplomatico dei grandi capi abissini; quello sul quale Nenelik sapeva di poter fare assegnamento, specialmente quando doveva

(1) Principessa Zenditu.

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La morte di ras Maconnen 197

traltare coi rappresentanti dell'Europa, e voleva a questi far conoscere il suo pensiero e le sue inten zioni, senza troppo compromettersi. Fu per l'ap punto il Maconnen che egli scelse due o tre volte per mandarlo in Europa come suo ambasciatore, a Roma, a Pietroburgo, a Parigi ed a Londra, tanto che egli aveva finito per rappresentare ed imper sonare, agli occhi dei suoi compatriotti, quella che oramai si chiama laggiù la politica Europea, po litica che secondo gli avversari del Maconnen, era considerata come se avesse un carattere antina zionale.

In fondo, tutti quelli che hanno avuto occa sione di conoscere un po' da vicino il ras dell'Har rar, che tanta parte ebbe negli avvenimenti etiopici dell'ultimo decennio , avevano la convinzione che ras Maconnen era un abissino, nè più nè meno degli altri, e che, per conseguenza, era la più grande delle illusioni quella di credere che, se fosse salito al trono, avrebbe immediatamente inaugurata una politica liberale, aprendo sempre più il suo paese alla in luenza ed alla civiltà europea. Siccome era stato più volte in Europa, egli era riu scito a formarsi un concetto della forza della quale le nazioni europee possono disporre, e quindi della impossibilità, per parte dell'Etiopia, di resistere alla penetrazione della civiltà. Non avendo grandi sim patie per nessuna delle Potenze che aspirano ad esercitare una influenza nel suo paese meno per la Francia, malgrado vi sia stato un pe riodo nel quale pareva si volesse far credere egli fosse addirittura uno strumento della politica della

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Repubblica aveva capito come l'unico mezzo di assicurare l'indipendenza del suo paese fosse quello di mantenere viva la rivalità tra codeste nazioni, fingendo di appoggiarsi ora sull'una ora sull'altra: ma non rompendo mai con nessuna. Egli aveva sem pre ritenuto pericolosa la politica della resistenza contro gli europei, incoraggiata e personificata dalla imperatrice Taitù, che non ha mai osato ribellarsi apertamente al volere del marito, ma che non si è però nemmeno mai molto preoccupata di dissimu lare codesti suoi sentimenti di avversione per la civiltà nostra, e per tutti coloro che, in un modo o nell'altro, la rappresentano.

La sua candidatura era basata sulla forza della quale avrebbe potuto disporre al momento oppor tuno, su una certa aureola che gli derivava dai suoi viaggi in Europa, dalla considerazione che avevano per lui gli europei e sopratutto dai denari, che pare avesse saputo mettersi da parte in varie occasioni, ma anche perchè era al governo del paese più ricco dell'Impero ed al quale la ferrovia di Gi buti, ha dato posizione privilegiata su tutti gli altri. altri.

La candidatura dell'Oliè, che per un momento, dopo la morte di Maconnen, ebbe le maggiori pro babilità; aveva invece l'appoggio dell'imperatrice sua sorella, col programma di un Etiopia chiusa e di una politica di resistenza alle Polenze Europee 1).

(1) Ras Oliè pare anche alcoolizzato Vive ora lontano dal Ghebì e Menelik non ha più voluto sentir parlare di lui dal giorno che in un accesso di demenza fece l'atto di av ventarsi contro l'Imperatore. Alcuni dicono gli si sia av

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Il candidato dell'Imperatore 199

Va adesso quella di ras Oliè è una candidatura abbandonata e al suo posto, il partito, se si può chiamare cosi della opposizione con l'imperatrice Tailù alla festa, ha posto innanzi la candidatura del figlio di ras Oliè; di ras Gugsa del quale ho gà parlato e che ha per moglie l'unica figlia di Me nelik : Che l'imperatrice Taitù sia contraria all'erede designato dall'imperatore non è un mistero per nes suno. Ma, mentre in altri tempi le sarebbe forse riuscito di impedire a suo marito di proclamarlo tale: adesso ha dovuto rassegnarsi e subire. Questa donna astusissima ha sempre esercitato un ascen dente indiscusso su Menelik. Ja, mentre, in gene rale, questo ascendente della moglie, diventa sem pre più forte, man mano che il marito invecchia e la sua mente si indebolisce, in questo caso è avve nuto l'opposto : la sua influenza sempre forte è in vece andata un po' diminuendo in questi ultimi anni. La donna che ha saputo tener testa al Maconnen quando questo ras godeva tutta la fiducia del Negus ed era circondato dall'aureola dei successi diploma tici e militari ottenuti contro di noi, ha dovuto pie gare il capo di fronte ai consiglieri di suo marito che oramai considera come suoi nemici. Che nella qué stione della successione dovessero trovarsi di scordi fra loro il Negus e l'imperatrice era nalurale, dal momento che sono sempre partiti, nell'esami nare l'ardua questione, da un concello diverso. La regina nel favorire questo o quel candidato : prima ventato contro con la sciabola sguainata, e che solo per ri guardo alla sorella non sia stato gravemente punito.

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ras Oliè suo fratello ed ora il figlio suo, mira in somma ad avere sul trono un uomo sul quale poter contare e che le assicuri gli onori e una parte almeno del potere avuto fino ad ora. Il Negus, che pur essendo un sovrano barbaro ha dato in molte occasioni la prova di essere dotato di uno spirito acuto e ha dimostrato di conoscere meglio di chiunque altro il suo paese, nella questione della successione è stato guidato da un solo criterio : quello di assicurare l'unità dell'impero e di impe dire, per quanto sta in lui, che alla sua morte scoppi la guerra civile, e vada a fascio l'opera sua. Certo di poter contare sulla fedeltà cieca di ras Tesamma che dispone di un forte esercito, di ras Micael che come padre del giovanetto Ligg Jassu ha il maggior interesse a che la volontà sua si compia, e di Apthe Georghis che dispone del nerbo più forte e più compatto dell'esercito abissino, Menelik ha co stituito intorno all'erede designato, come un trium virato il quale rappresenta militarmente una forza grandissima contro la quale ha sperato debbano infrangersi tutti i tentativi degli altri ras che avessero velleità di ribellarsi e di proclamare un altro imperatore. Nel tempo stesso, uno di essi essendo il padre, e gli altri due di origine galla, gli è sembrato che opporrebbero la più valida resi stenza contro u pretendente tigrino. Ben in teso se rimangono uniti, serbando fede al giura mento che si dice abbiano prestato al Negus, di aiutarsi a vicenda per far rispettare la sua volontà. È dopo tale giuramento che Menelik si decise a far nota pubblicamente la sua decisione, malgrado

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Topposizione della Imperatrice, che cercò di lot tare sino all'ultimo chiamando in suo aiuto anche il clero. Ma nemmeno i preti, per i quali Menelik ha la massima deferenza, riuscirono a persuaderlo che poteva essere pericoloso l'infrangere a quel modo le tradizioni etiopiche, le quali non consenti rebbero possa essere designato il successore vivente il Negus Neghesti.

Il clero ha in tutta l'Abissinia un potere gran dissimo, contro il quale s'infrange qualche volta anche la volontà dei potenti. Il sacerdote ha un carattere sacro, per cui nessuno osa toccarlo, anche quando chi è potente sa d'averlo nemico. Ciò spiega come , in mezzo a tante rivoluzioni, i preti possano partegyiare impunemente ora per un capo ora per un altro, senza correre rischio di sorta; e non si ricorda che alcuno di essi sia mai stato fatto segno alle vendetle di un ras, nè con la morte nè con la re legazione sulla cima di un'amba, la solita punizione a cui ricorrono i capi , quando vogliono disfarsi di qualche personaggio, la cui morte potrebbe susci lare una reazione nel popolo. I preti abissini, anche nel momento del conflitto e durante la guerra guer reggiata, vanno da un campo all'altro sicuri che nessuno, nè da una parte nè dall'altra, attenterà alla loro vita.

Quanto alla gerarchia viene prima degli altri l Abuna, il capo della chiesa abissina, che emana dalla chiesa cofta d'Egitto, poi l' Ecceghié come capo disciplinare del clero etiopico, il quale eser cita sui preti una autorità assoluta, punendo seve ramente e senza controll:). Anche nel clero abis

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clero abissino

sino, di quando in quando, sorgono vivaci discus. sioni e minaccie di scisma a proposito degli arti coli di fede. Ed in questo caso l'Ecceghié, più an cora dll Abuna, interviene e risolve spesso le que stioni in modo assai spiccio, relegando o magari mandando a morte coloro i quali hanno delle vel leità di riforme, o mettono in dubbio ciò che, se condo l'Ecceghié non deve essere discusso. Per molti anni l'Ecceghié fu un certo Teofilos che si mostrava piuttosto benevolo verso gl'italiani, ed era arrivato all'alto grado dopo una vita molto avventurosa, avendo avuto momenti specialmente sotto il ne gus Giovanni nei quali la sua era forse la mag giore autorità in Abissinia ; qualche volta superiore a quella del Negus. È probabilmente per questo che Menelik non lo vedeva affatto di buon occhio. Fra l'Abuna e l' Ecceghié, all'epoca della guerra contro di noi, non correva buon sangue. L'Abuna era diventato una creatura di Menelik. L'Ecceghié rappresentava invece la tradizione tigrina e la me moria al re Giovanni, il quale non avrebbe certo ammesso, lui Negus, che dei preti russi andassero in Abissinia, come fecero dopo, consenziente l'im peratore scioano, a predicare una religione diversa da quella del popolo abissino. Quell'Ecceghié, come il Negus Giovanni era un intransigente, mentre l Abuna era come Menelik un opportunista anche in fatto di religione. Dal momento che i missionari russi portavano in Abissinia dei rubli sonanti, bi sognava accoglierli festosamente e trattarlibene...

La terza autorità ecclesiastica è quella del Ne brait di Uxum , il quale è in certo modo il vescovo

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della città santa : il custode del Santuario : il prete che incorona i Negus d'Abissinia. Qualche volta i Nebrait finisce per avere maggior autorità dello stesso Ecceghiê, sopratutto se, nella disputa per la successione al trono, ha avuto parte nel decidere in favore dell'uno o dell'altro, e consacrare il nuovo Negus.

Menelik per quanto fosse arrivato fino a poca distanza da Axum , non si fece incoronare l'om pendo così un'antica tradizione, perchè supestizio sissimo, come è sempre stato , temette s'avverasse il vaticinio di uno stregone tigrino il quale aveva predetto il Negus scioano sarebbe morto il giorno stesso se avesse osato farsi incoronare ad Axum .

La chiesa e il santuario di Axum sono oggetto di venerazione per parte degli etiopi. Secondo la tradizione vi si conservò una copia della legge da Salomone data a suo figlio primo re di Eliopia. Re Giovanni fu anch'esso incoronato ad Axum , ed è per quella occasione che il Naretti, il falegname che andato nel Tigrè diventò dopo il suo ministro, co struì quel celebre trono grandioso che suscitó la ammirazione di tutti gli abissini, e che tramanderà ai posteri in quelle regioni la memoria del buon operaio piemontese. Povero Naretti! Fu anche lui una delle vittime della nostra politica coloniale. Dai fasti del potere scese modestamente alle funzioni di interprete presso il comando della spedizione del generale San Marzano, ed è in tale carica che lo co nobbi a Massaua, dove, per molti anni, anche la si gnora Naretti sua moglie ebbe lo stesso incarico.

Per il suo carattere sacro, Axum gode di molti

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speciali privilegi e può dirsi viva una vita a sé. Ma ha una importanza religiosa grandissima, come si vede, il cuo clero può esercitare un'influenza talvolta decisiva nelle lotte per la proclamazione del nuovo Negus.

I parte il desiderio di continuare ad avere parte nel governo dell'Impero, anche dopo la morte del marito, il risentimento della regina Tailù per la scelta di Ligg Jassu, è dovuto anche ad un'altra ra gione. Ligg Jassu, è figlio di una figlia di quella Bafanà che è stata la sua grande rivale, e più for tunata di lei che non ha conosciuto nè le gioie ne i dolori della maternità, ha dato a Menelik pa recchi figli.

Questa sterilità è stata la tortura di tutta la sua vita, quanlunque Menelik, non l'abbia per questo meno amata. E da molti anni, dacchè cioè perdette ogni speranza di aver figli, il suo carattere è mutalo. Ella si racchiuse in sè e sfogò tutta la sua attività ne gli intrighi del ghebi , ora cercando di controbilan ciare l'influenza preponderante di Maconnen, ora cercando di inalzare ai più alti onori i suoi congiunti, e sempre non dissimulando il suo disprezzo per le innovazioni di carattere europeo e la sua disappro vazione al marito che non vi sapeva resistere e finiva per accettarle ed incoraggiarle. Ancora adesso si sente offesa della superiorità che i bianchi affettano di fronte ai neri, superiorità che, naturalmente, ella non riconosce, e della curosità che desta negli eu ropei, dai quali non si fa quasi mai vedere, giacchè non esce mai di casa, se non per andare alla chiesa vicina, - e col viso coperto.

204
L'ITALIA

Con la signorina Cicco di Cola sorella del no stro ministro, lamentandosi per l'appunto di questa curiosità disse una volta con accento eccitato: Sono forse una scimmia ?

I capi ai quali Menelik ha aflidato le sorti del suo successore sanno quali sono i sentimenti della Imperatrice, e temono assai alla morte del marito possa ancora tentare qualche colpo. Tanto che, ad Addis Abeba, corre la voce che appenamorto l' Im peratore, d'accordo, sia già stato stabilito dai trium viri di rinchiuderla in un convento. Certamente di tutto informata l'imperatrice Taitù, ha forse già pensato a premunirsi, ed anche i triumviri hanno da pensarci due volte a mettersi in lotta aperta con questa donna astutissima, che conosce perfettamente l'ambiente nel quale vuole agire, e che ha nelle mani , e in luogo sicuro, una gran parte del tesoro imperiale, e molto denaro: argomento quant'altri mai convincente ed etlicace con capi che non ne hanno. Anche dopo la morte è probabile la vecchia Imperatrice sia temuta, come lo è stata con Venelik vivo : sopratutto quando le riusciva di sottrarlo a tutte le altre influenze.

La famiglia imperiale (1) ha due villeggiature: uma, quella di « Addis Alem » (nuovo mondo), è la preferita da Menelik ; ma Taitù detesta questa vil leggiatura, che il marito s'è creata al modo di una

(1) Racconta questo episodio Giuseppe Piazza in ma delle sue lettere da Adis Abeba alla Tribuna nel luglio scorso . Lettere che ebbero giusto successo , e che sono una preziosa guida per coloro che seguono lo svolgersi degli avvenimenti in Etiopia.

Versailles europea. Taitù, invece, poichè il ma rito è sempre, per una donna che non ha figli, una preda affannosa di tutti i giorni cerca di tirare Menelik verso l'altra villeggiatura, quella di Antotto, precedente sede dell'Imperatore, che le ricorda i tempi felici di una volta.

Quando la famiglia imperiale è ad Antotto, l'A bissinia trepida e trema di ansie ignote. Recente mente, Taitù era riuscita a tirare Menelik ad An totlo per una lunga villeggiatura. Un giorno, non si sa come, si sparse improvvisamente la voce che ad Antotto l'Imperatore era morto... L'Imperatore dovette scendere, a marcie forzate, sulla capitale.

Fu il 18 maggio, (il 10 ghenbot 1901 secondo il computo etiopico) che alla presenza dei capi e del popolo, raccolto nel posto detto Gian-mieda (piazza imperiale) in Adais Abeba, fu letto il messaggio che Menelik rivolgeva loro dal suo letto in un mo mento nel quale pareva s'approssimasse rapida mente alla fine.

Questa specie di testamento politico fu pubbli cato nel testo amarico e nella traduzione francese nel fascicolo di giugno del « Semeur d'Ethiopie » (Dire Daua tipografia Stazar).

Eccone il testo :

« .li popoli di Etiopia, salule !

« Etiopi, figli miei, amici miei, udite il consiglio che Iddio mi ha ispirato, e chio spero Fgli stesso imprimerà negli animi vost .

206
L'ITALIA E

l'n messaggio di Menelik 207

« Allorchè morì l'Imperatore Teodoro, i suoi se guaci, per volersi impadronire l'uno del dominio dell'aitro, sperando l'uno divenir Signore uccidendo Taltro, tutti si sterminarono a vicenda, senza con seguire l'intento.

« Più tardi voi avete visto quel che è stato dei seguaci dell'Imperatore Giovanni. Senza epidemie, senza guerre esterne, per le loro rivalità si sono l'un l'altro distrutti.

« Ora, figliuoli miei, amici miei, che tali rivalità non si rinnovino!!! Che alcuno non agogni impadro nirsi del dominio altrui! Io vi prego che voi viviate in avvenire d'amore e d'accordo, come io vi ho in concordia mantenuti fino ad ora. Se voi sarete con cordi, se voi stessi per rivaleggiare non vi distrug gerete gli uni gli altri, voi non lascerete cader la nostra patria in mano degli stranieri, e nulla di male incoglierà al nostro paese; custodite e difen dete dunque, ciascuno nelle vostre sedi, il vostro paese, e siate e chiamatevi fra voi fratelli.

« Io, per grazia di Dio, ho regnato tutto questo tempo: ma poichè son uomo, ormai quanto altro ancora potrò vivere ? È perciò ch'io vi rivolgo queste esortazioni. Ora, se, come è mio desiderio, piacerà a Dio serbarvi il mio figliuolo stringetevi attorno a lui , e con lui dilendete la patria comune.

« È un sacro deposito che v allido, e ve l'aflido avendo in tutti voi piena fiducia.

« Ma se alcuno fosse per trasgredire queste mie volontà, sia maledetto in cielo e in terra: io stesso ancor vivente lo maledico ! ».

L' ETIOPIA

Questo messaggio fu letto nel maggio. Qualche tempo dopo, nell agosto, Menelik deliberò il passo definitivo. Durante un breve periodo nel quale il male che lo travaglia gli lasciò un po' di quiete re lativa, e si sentì un po' più in forze, radunò ad Addis Abeba la maggior parte dei capi, e, perso nalmente, presentò loro e raccomandò con parole commosse il giovanetto Ligg Jassu, dicendo: Quando io sarò morto, voi avrete in lui, il vostro Signore. Amatelo e rispettatelo come se egli fosse la mia stessa persona. In lui sarà rinovellato il mio nome. Sarà Menelik III. Testimoni oculari, e parecchi dei capi ai quali il moribondo imperatore si era rivolto con quelle parole, hanno raccontato come quella presentazione sia stata una scena veramente solenne che impres sionò tutti gli astanti. Per un momento i suoi capi, avevano visto ancora il loro sovrano ritto della per sona é con l'occhio sfavillante... Ma fu un lampo. Il vecchio imperatore aveva compiuto lo sforzo su premo ! I suoi fidi dovettero sorreggerlo e traspor tarlo nel suo appartamento, seguiti dal giovane Jassu ormai consacrato come futuro Sovrano di Etiopia.

Da quel giorno lo stato di Menelik andò sempre peggiorando in modo da non poter più occuparsi assolutamente delle faccende dello Stato. Due o tre volte si sparse la notizia della sua morte, in seguito a insulti appopletici, che gli riuscì ancora di supe rare, ma perdendo ogni volta gli ultimi brandelli della sua intelligenza una volta così pronta e sve gliata. E intorno a quest'uomo che è oramai l'om

208 L'ITALIA
E

L'IMPERATRICE TAITU.

RAS MAKONEN.

#
X
DEGIAC GARASELLASSI GIÀ CAPO DI ADUA.

gener

DEGIAC GUCSA AREA SELLASSI

nipote di Re Giovanni. - Uno dei tanti pretendenti tigrini. Ora però trattenuto allo Scioa da! Negus.

L Imperatrice e l'erede 209 bra di se stesso, nel quale si è spenta la volontà si riaccese più che mai la lotta fra quello, che si è convenuto di chiamare il partito dell'Imperatrice contrario alla designazione del figlio di ras Micael e i triumviri che, invece, si sono impegnati di difen derla a qualunque costo.

Per un momento, durante la presentazione del fu turo Menelik III, vinto dalla commozione generale, era sembrato l'Imperatrice volesse disarmare. Si sparse persino la voce che l'astutissima donna, che ha sempre pronto qualcuna di quelle combi nazioni-politico -matrimoniali delle quali seppe così abilmente servirsi durante ... la sua carriera, avesse anzi già trovato fra le sue nipoti una fidanzata per il quattordicenne erede. Ma fu una illusione di breve durata. Ognuno riprese il suo posto, e la lotta sorda fra le due correnti si riaccese più viva, certi, ormai, da una parte e dall'altra, che il povero Imperatore non poteva più intervenire. Interpellato in quei giorni da un diplomatico sul l'atteggiamento di Taitù e delle conseguenze che potrebbe avere alla morte del Negus uno dei capi più importanti rispondeva: -- Nessuna donna, nè direttamente nè indiretta mente, regnerà mai in Abissinia e soltanto il desi gnato da Menelik, Ligg Jassu, sarà l'eletto di Dio, il vincitore del Leone di Giuda, il Re dei Re d'Etiopia !

Ai primi di novembre un forte aggravamento nelle condizioni di Menelik fece di nuovo temere la sua fine imminente. Ras Tesamma, che ha preso il sopravvento sugli altri due colleghi del triumvirato, si decise a dare l'ultimo colpo alle speranze della

14

Imperatrice assumendo la Reggenza. Suo padre è stato il tutore di Venelik II : egli sarà il tutore di Menelik III. Il moribondo imperatore che ha in lui la più cieca fiducia, e lo considera come fratello, firmò il messaggio col quale la notizia venne data al suo popolo.

È il 2 novembre. Il ghebi è circondato da un si lenzio di morte. La turba infinita dei capi, dei fun zionari e dei servi passa tacita e mesta. Si contano le ore che ancora restano all'Imperatore. Per questa nuova proclamazione del successore al trono nella persona di Jassu, e della Reggenza affidata al fido compagno di giovinezza di Menelik II, Tesamma ha convocato ad Addis Abeba tutta questa gente e il clero con a capo l Abuma, onde dare alla procla mazione stessa la maggiore solennità con la consacra zione religiosa e smentire così le voci fatte correre dalla Imperatrice sulla opposizione del clero. L'Im peratrice Taitù che ha assistito al suo fianco alla proclamazione fatta nel maggio dall'Imperatore, non assisterà a questo secondo atto, che è in gran parte rivolto contro di lei e col quale viene consacrata la sua esclusione da ogni ingerenza nelle cose dell'Im pero appena Menelik sarà spirato.

e

È l Abuma che con l'assistenza di un clero nume roso, appena tutta questa gente è riunita, celebra la funzione religiosa. Dinnanzi a lui prende posto Ligg Jassu che ha da una parte il padre ras Micael e dall'altra ras Tesamma. Gli altri capi seguono in ordine di grado. Finita la cerimonia religiosa Tesamma prende la parola, per leggere il decreto di Menelik

210 L'ITALIA
E

Ras Tesamma reggente 211

col quale il Negus dichiara di riporre in lui la più ampia fiducia e lo conferma Capo del Governo e tutore del futuro imperatore.

Dopo di ciò il vecchio ed energico galla, che as sume così le funzioni di Reggente, legge un altro do cuniento che dice del pari emanato dall'Imperatore morente, col quale questi esorta tutti gli abitanti del l'Etiopia a continuare con il futuro sovrano nella concordia sempre esistita tra lui e le popolazionidel I'Impero. Tale concordia, come ha fatto nel pas sato la forza dell'Etiopia, così nell'avvenire preser verà il paese dalla decadenza e dal servaggio. Quindi raccomanda ai suoi sudditidi vivere con cordi senza guardare a diversità di stirpe e di reli gioni e a servire fedelmente il successore da lui no minato, il diletto nipote Jassu. Egli è discendente dal suo sangue e discendente perciò dal sangue del grande invitto e sapiente re Salomone di Palestina, eletto da Dio.

I sudditi debbono quindi ripudiare qualsiasi altro pretendente sotto pena di incorrere nelle più gravi pene, stabilite per i ribelli, cioè la perdita della mano destra e del piede sinistro, nonchè sotto pend di incorrere nella maledizione di Christus, se alcuno osasse opporsi a tale sua ultima volontà .

Issai probabilmente Menelik non ha potuto det tare questo decreto. la lutti sanno che questa è realmente la sua ultima volontà. Il decreto letto da ras Tesamma è la parafrasi del messaggio del maggio.

Taitù, come si è visto, non compare, e nessuno parla di lei. Ma, subito dopo, la nuova procla

mazione, avviene qua e làqualche tafferuglio. Sicco me si è sparsa la notzia della morte, incomincia su bito qualche tentativo di saccheggio. Si constata che i disordini - non gravi, perché, smentita la notizia della morte, tutto si arresta sono provocati da gente devota all'Imperatrice. Ras Tesamma repri me con energia e senza riguardi. È la prova gene rale --- si dice - di quanto può accadere quando la morte avverrà realmente.

Un commerciante italiano da lunghi anni stabi lito in Eritrea, ha fornito al Giornale d'Italia infor mazioni interessanti sul modo col quale possono av venire disordini e rivolte alla Capitale a!la scom parsa di Menelik.

Quando muore qualche grande personaggio, - e ciò avvenne alla morte di ras Maconnen una banda armata di soldati dei vari ras, e specialmente della Polizia, comincia a percorrere le vie della Capitale, intimando a ciascun commerciante di chiudere il negozio, insomma, di manifestare il lutto. La forma adoperala da questi soldati non è molto gentile. Con nodosi bastoni, essi sogliono mettere sottosopra le merci, picchiare i padroni, sparpagliare i generi per terra: tutta la canaglia, che viene dietro i sol dati, composta di monelli e di predoni, si getta al saccheggio in tutto a mercato. Chi arriva in tempo a chiudere il suo negozio, è salvo: chi non può farlo, subirà il saccheggio. Gli armeni si rifugiano nel loro quartiere, posto su una collina, vicina al Ghebì: i greci si rifugiano dentro i loro magazzini: gli indiani nelle case dei loro capi: tutti si raggruppano intorno alle capanne armati di tutto punto, poi, si schierano

212 L'ITALIA
E

La difesa delle Legazioni 213

dentro o fuori della cinta della loro abitazione. An che i galla difendono le loro mercanzie: essi tirano legnate da spezzare la spina dorsale, perché non posseggono altra arma che il bastone. Una rivolta avvenne, in questa guisa, quando mori ras Macon nen. Il Negus mandò allora i soldati, che pronta mente poterono domare la rivolta, che però durò due ore: vi u allora in qualche punto del mercato, un vero e proprio saccheggio ».

« Qui sorgono parecchie questioni: quanti soldati possono partecipare a questa furiosa manifestazione di lutto ? Se per caso vi partecipano anche i soldati di Aptie Gheorghis, che è il tutore dell'ordine, nun si potrebbe temere per la sorte degli europei? Le Legazioni hanno una scarsa difesa. Esse sono collo cate tutte quante alla periferia di Addis Abeba, al nord -est del Ghebi. Il luogo, per fortuna, è assai lontano dal mercato, probabile focolare della ri volta ) .

La difesa di queste Legazioni osserva giusta mente il commerciante, scrivendo al Giornale d'Ita lia - è soltanto decorativa: come organizzazione di difesa la Legazione d'Italia è al primo posto, ep pure, non abbiamo che una ventina di servi amhara assoldati, 12 ascari di cavalleria, dello squadrone eritreo di Godafellassi, agli ordini di un maresciallo dei carabinieri. Gli inglesi hanno 8 o 10 indiani; la Legazione russa cosacchi, i tedeschi pochi soldati abissini.

Noi stiamo meglio di tutti quanti: ma è ridicolo di parlare di difesa, almeno, in tali condizioni.

L'ETIOPIA

E solo sperabile che un eventuale movimento non giunga fino alle Legazioni,

Ma il pericolo può sorgere sotto due forme. Può darsi che i soldati di Aptie Gheorghis, che probabil mente saranno fedeli alla causa dell'ordine, siano impiegati a sedare una rivolta di soldati di qualche ras, che voglia opporsi alla successione di Ligg Jassu ed intenda di far valere, con la violenza, dei diritti al trono.

In tale caso, la canaglia potrebbe trovarsi pa drona di fare ciò che vuole perchè i soldati fe deli saranno distratti da altre cure.

La seconda forma di pericolo sarebbe questa, che qualche bianco armeno o greco vedendosi invadere il magazzino, tiri qualche fucilata, per difendere la propria abitazione e le sue proprietà. La folla, in questo caso, potrebbe scagliarsi contro i bianchi, ed allora il movimento di rappresaglia contro tutte le Legazioni potrebbe verificarsi.

Insomma, anche da questa fonte è confermato che alla morte del Negus, non può essere esclusa l'ipotesi che le Legazioni passino un brutto quarto d'ora.

Del resto un primo allarme vi è già stato , come ho narrato, quando Menelik, il quale mesi sono si era lasciato persuadere da Taitù ad andare ad An torto, e un secondo vi fu quando Menelik andò alle acque e il governo della città fu assunto, quando le Georghis credendo Menelik agli estremi , parti egli pure per le acque lasciando il governo al Mini stro dell'Interno. Invitato dal Ministro di Francia co medecano del Corpo Diplomatico a dareaffidamento

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L'ITALIA E

Alla morte del Negus 215 per la sicurezza delle Legazioni e degli europei, il ministro rispose in termini talmente vaghi da far crescere anzichè dissipare le preoccupazioni. « Assai curioso e il modo con cui gli abissini ma nifestano il loro cordoglio. Il lutto consiste nell es sere più sudici del solito. Durante i giorni di lutto non mutano mai abiti, avendo indossato i più sudici che possiedono, e per di più si cospargono di ce nere e di terra. Le donne si mettono a piangere e ad urlare con intonazione gutturale. Gli uomini si graffiano a sangue la pelle posta tra le tempia e gli zigomi. I ras, invece del solito mantello serico rega lato loro dal Negus, vestono mantelli rozzi di lana come quelli dei soldati. Poi si iniziano durante tuttta la notte, spari di fucileria e cannonate. Natural mente, siccome gli spari a salve non esistono, per chè tutte le cartuccie sono a palla, ogni festa fune bre a le sue vittime per le palle di rimbalzo. Ma ora che si tratta della morte del primo imperatore, può darsi le feste assumano una maggiore pro porzione. Dalla conoscenza delle abitudini abissine si può facilmente desumere quale sarà il cerimo niale per la morte del Negus. I capi si raccoglie l'anno nella stanza ove morì il Negus e dopo avere regolata la successione di Ligg Jassu e la reggenza di ras Tesamma se tutto ciò sarà pacifico usci ranno in massa dal Ghebi ed annuncieranno la morte del Negus e la sua successione ordinando in pari tempo gli spari e la cessazione del commercio. Poichè non esiste un cimitero ad Addis Abeba, può darsi che Menelik venga sepolto con altri suoi pre decessori in una delle chiese di Entotto, vecchia

capitale; ma siccome si tratta di un imperatore, e forse anche per non spostare tanti soldati che do vrebbero scortare il feretro da Addis Abeba ad En totto, è probabile che i capi stabiliscano che Mene lik abbia sepoltura in una chiesa di Addis Abeba » .

Il cerimoniale per la tumulazione in Abissinia non consiste che in un seppellimento del cadavere avvolto in uno siamma. Ma già la cassa mortuaria è stata introdotta in Etiopia per ras Maconnen, se polto all'Harrar nel recinto di una chiesa, in una cappella isolata, dove fu innalzato un busto in bronzo. Probabilmente anche Menelik avrà la sua cassa di zinco.

L'erede designato da Menelik II ha da poco com piuti i quattordici anni. La madre, la figliuola di Menelik, morta nel darlo alla luce, aveva il nome poetico di Scioa Aregasc, che vuol dire « felicità dello Scioa » . Nome poetico e di buon augurio per il figlio destinato a salire sul trono di Salomone ! Insieme a quello semitico e camitico del padre scorre nelle sue vene anche un po' del sangue galla della nonna, moglie di Menelik, e di Menelik stesso figlio egli pure di una schiava galla. Ligg Jassu, come fu osservato, nei riguardi etnici, simboleggia perfettamente la comunione, se non la fusione, de due elementi che dominano in Etiopia: l'abissino semitico e il galla camitico. Ha aspetto gentile, quasi femmineo, i lineamenti regolari, i capelli crespi, naso quasi aquilino e gli occhi vivaci e intelligenti, denoterebbero prevalenza di sangue semitico. Il colorito è quello di molti abissini, un bruno chiaro che non ha nulla a che fare coll ebano del negro

1

216 L'ITALIA

Ligg Jassù 217

dalle labbra sporgenti. Fra i galla, vi sono tipi di tinta assai chiara. Ed io'ricordo di aver vedute, an che a Massaua, fra quelle disgraziate che venivano a esercitare un triste mestiere quando vi era il Corpo di spedizione San Marzano, di aver veduto donne di una bellezza veramente straordinaria e il cui co lore non era più scuro di molte signore dopo un mese di bagni di mare. Ligg Jassu è nato nei Wollo-Galla dove risiedeva il padre suo, e, da tre anni soltanto, vive al Ghebi imperiale. L'imperatore, sorvegliando personalmente la sua educazione, ha avuto cura questa avesse sopratutto per base le tradizioni abissine; ma, con trariamente a quanto è stato da molti asserito, non gli ha vietato il contatto con gli europei , sa pendo che, alla fin fine, avrà da fare i conti anche con questi. Parecchi Ministri esteri hanno avuto più volte occasione di vederlo e intrattenendosi con lui ne hanno riportato una impressione piuttosto favo revole. È, del resto, alle Potenze europee, che, per mezzo dei loro ministri accreditati ad Addis Abeba, egli ha partecipato prima che al suo popolo la sua decisione. Assai probabilmente ha voluto avere la adesione e il consentimento delle Potenze, che, in caso di dissensi, possono essere un fattore nuovo nella proclamazione degli Imperatori d'Etiopia. E tale condiscendenza, come le idee troppo moderne, istillate nell'animo del giovanetto, non sono una delle ultime ragioni dell'opposizione di Taitù. Regnerà realmente il giovane Ligg Jassu ?

Non sorgerà alcuno a vantare diritti maggiori di Jui al trono di Salomone.

L' ETIOPIA

È impossibile fare previsioni. L'Impero Etiopico, oggi con confini vastissimi, comprende svariatissime regioni : profonde, aride conche, ridenti e floride vallate, altipiani stupendi, zone montuose, deserti immensi, verdissimi laghi, magnifici corsi fluviali.

E pari alla varietà del suolo è quella delle genti: dei suoi 10 milioni di abitanti che vanno dai negri di tipo inferiore alle belle razze Wollo-Galla, dagli scioani ai tigrini, dai semiti puri agli incroci semi tico-camitici ; e quella delle religioni e dei costumi: dal cristiano al mussulmano, al giudaico superstite con strani riti, fino ai selvaggi adoratori di primitivi feticci. E fra tutto questo miscuglio, una linea di demarcazione, oggi imposta dallo scioano premi nente ed egemone: i popoli agricoltori e pastori, e quelli commercianti e guerrieri, ossia: i vinti e i vincitori.

La matassa degl'interessi e delle aspirazioni è ancora più aggrovigliata dalla superstite coesistenza dei poteri e dei sistemi feudali: dal ras barbarica mente signorile nella sua corte che ricorda assai gli antichi duchi e marchesi longobardi e franchial capo tribù semi-selvaggio, nomade, il quale vive sopratutto del frutto delle scorreria e del brigan taggio.

In tutto questo mal connesso amalgama le am bizioni e le tendenze barbariche, mal represse dal personale prestigio e dominio di Menelik hanno per sistito; e persistono quindi i latenti pericoli antichi di sfacelo. Nè ancora è scomparsa la gelosia con tro l'imperante scioano.

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L'ITALIA E

Luigi XI etiopico

A ciò si aggiunga che nella storia dell'Abissinia non sè esempio di una tradizione dinastica : Il Ne gus-Veghesti (re dei re, fu quasi sempre elettivo : il che in pratica si traduce nell'elezione del negus con la forza delle armi, e più sovente poi in una per manente anarchia.

In tali condizioni etniche e politiche e avendo rotto le vecchie tradizioni, fare appello al patriot tismo» per ottenere il previo e postumo consenso alla designazione di un principe ereditario della casa oggi regnante, è ingenuo.

E Venelik, il quale non è mai stato un ingenuo, ha pensato che l'unico modo per assicurare, per quanto era possibile, la sua discendenza, fosse quello di riu nire intorno a Ligg Jassu delle forze considerevoli.

Nei limiti di una comparazione storica fra paesi e tempi, osservava giustamente nello scorso agosto un pubblicista, (1) se il Negus Giovanni potè dirsi l'Enrico IV dell'Etiopia, Menelik ne fu il Luigi XI. Quando, giovanissimo, sfuggito alla prigionia in cui lo teneva re Teodoro, rivendicò il paterno trono dello Scioa, l'Etiopia era in un periodo di sfacelo feu dale: ridotta, come un tempo l'Italia, ad una « espres sione geografica » : contesa ogni sua provincia fra una folla di ras in perpetua guerra : sospetto ed inviso lo Scioa.

Ed egli fu a lungo per gli abissini « lo scioano»», appellativo di dispregio, come un tempo in Francia per Enrico IV lo fu quello di « bearnese » . Menelik creò e disciplinò il movimento di unifi

(1) Vedi numero del Srcolo del 27 agosto.

Il
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cazione e d'indipendenza: e, sui campi di Adua ha potuto restaurare l'orgoglioso motto dell'antica fede biblica : Vicit Leo de tribu Juda.

Così Menelik ricostituì l'antica unità e potenza etiopica. Il suo prestigio di Negus-Neghesti s'im pose, e se ne valse per dare, mercè un accentra mento autoritario, una certa consistenza unitaria anche agli ordinamenti politici ed amministrativi.

Ma lascia l'opera sua incompiuta. Non bastano, nè una nè due generazioni per la trasformazione completa di un popolo barbaro, nel quale, malgrado tutto questo, continua sempre tenacissima la resi stenza contro l'europeizzazione, poichè anche coloro i quali vi sembrano adesso più favorevoli, sono quasi sempre determinati a tenere tale contegno da considerazioni di opportunità.

Per quanto riguarda lo Scioa è certò più diffi cile possa sorgere subito qualche competitore te mibile, se continuano a rimanere collegati e fedeli al patto giurato, i triumviri, sebbene uno di loro, ras Tesamma, abbia preso, come tutore, una parte preponderante. Ma, a parte ras Guxa, marito di una figlia di Menelik capo del Beghenerder, che non ha una gran forza, ma che potrebbe averla ove fosse sostenuto da altri pretendenti fuori dello Scioa, nel Goggiam , e specialmente nel Tigre vi sono discen denti di Re Teodoro e di Re Giovanni Kassa, i quali vantano diritti alla successione, e vi è poi una quan tità di piccoli capi che mal si rassegnano a un pas saggio della Corona senza la speranza di conquistar qualche cosa, che spinge i grandi capi ad agire...

Nelle lotte per la successione qualche volta vien

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fuori un outsider, come lo fu, per esempio, il pre decessore di Menelik II.

Menelik II, ha messo le cose in modo che, cer tamente, il suo designato ha delle probabilità di riuscire. Non poteva fare di più, contando, ben in teso, che la devozione dei tre capi ai quali ha afli dato il nipote sia sincera, e a nessuno dei tre, i fucili dei quali ciascuno dispone, facciano sorgere morto Menelik l'idea e la speranza di procla marsi imperatore, relegando il giovanetto Jassu su qualche amba a meditare sulla fragilità delle cosa umane.

Non accadrà. Ma quanti conoscono la storia etio pica sanno come, anche questa, sia fra le cose pos sibili.

Il
221

ELENCO DEGLI IMPERATORI D'ETIOPIA.

F. Nilo Verso il Cairo MAR WadiHalfa Dongola PortoSudan Abu -Amed Suakim NiloF. RO-sso Y Berbera Ghinda Wassaud Massala Kartum S'U DAN ERITREA errovia in esercizio costruzione e 5 )

Un capo dei Wollo Galla.

2

1. Davide 2. Salomone 3. Menelick 4. Jamaj 5. Zeghedur 6. Acusemai 7. Ausascio 8. Yevasesio 9. Abralejus 10. Uorede- Thai 11. Handur 12. Vorede-Megascie 13. Ausoja 14. Elalejon 15. Jomatzejon 16. Bassiò 17. Aulet 18. Zanari Hebret 19. Saifai 20. Remehai 21. Handi 22. Sefejal 23.Haghilebul 21. Bebaule 25. Baurisc 26. Mehasic 15

27. Mehaki 28. Naholki 29. Bazion (al suo tempo nacque G. Gristo). 30. Ihenfà -Arad (al

tempo moriva G. C.). 31. Baera-Asghed I 32. Ghermaser 33. Ghermà-Asfer I 34. Serguhai 35. Zerai 36. Seba Asghed. 37. Bezion-ghezà 38. Baudur 39. Saif-Arad I 40. Arbeh e Atzba (venuta di Frumenzio) 11. Asfa I 12 Arfed 43. Amsi 44. Alceadab 15. Geleadab 46. Taziéna 47. Caleb 48. Ghebra -Mascal 19. Costantinos

suo

Baera-Asged II

Jasfa -Jesus

80. Icon Amlac 81. Faghebedea-Lesio II 82. Amada -Sion 83. Saif-Arad II 81. Davide II 85. Theodoros I 86. Isaac 87. Andreas 88. Zara Jacob 89. Behoda -Mariam 90. Iscander 91. Mahod 92. Davide III 93. Claudio 94. Lebene Dinghil 95. Minas 96. Sersa-Dinghil 97. Jacob II 98. Fasil (Fàsil) I 99. Susnob 101. Fasil II 101. Johannes I 102. Jesu I 103. Becafa 104. Jesu II 105. Ejöhas 106. Johannes II 107. Theodoros II 108. Tecla -Ghiorghis 109. ohannes III

226 L'ITALIA
75.
76.
77.
78.
E L'ETIOPIA 50. Uosen Gabaden 51. Frisennai 52. Aderéhas 53. Erle-Udem 54. Ghermà-Asfer II 55. Zergaz 56. Ighenà-Micael 57. Baera-Iclà 58. Gum 59. Asgomegu 60. Litem 61. Jelateme 62. Adegosh 63. Aizur 64. Udem 65. Udedem 66. Udem Asfer 67. Arghen 68. Degnazan 69. Degahzan 70. Ambesa -Udem 71. Adel-Nahod 72. Mahebere-Udem 73. Faghebedea -Lesion I 74. Ighenefa-Aarad
Nagasi-Zari
Asfa II
Jacob I
79.

IX.

AI CONFINI DELL'ERITREA.

UNA BATTAGLIA FRA TIGRINI E SCIQANI.

Sarà rispettata l'autorità di Ras Tesamma? Gli ultimi mutamenti nei Tigre Degiac Abraha Un allievo del l'istituto internazionale di Torino - Non è nostro amico per questo Un colpo di mano sull Asmara MacalleIl castello costruito dal falegname Prima di Amba Alagi! Degiac Sebath nominato governatore del Ti grè Ras Sebath Un veterano del tradimento 11 combattimento di Quoram --- Abraha prigioniero Adua La crociata dei portoghesi Don Cristoforo Gama Un condottiero cavalleresco Giovanni Kassa Come si diventa imperatori in Abissinia Il Tigré L'Eritrea e il Mareb Mellasc' Il Governatore del marePerchè Ras Alula fu nostro grande nemico Politica imprevidente Il malcontento delle popolazioni in Eri trea Mandano reclami a Menelik ! - L'esercito eri treo Economie pericolose Come al solito, impre parati.

Per quello che riguarda lo Scioa se l'autorità di ras Tesamma rispettata, per le ragioni che abbiamo cercato di svolgere, può darsi la sue cessione al trono non dia luogo a gravi disordini. Ma tutti sono d'accordo nel ritenere impossibile l'autorità del nuovo Negus scioano si affermi senza incontrare gravissime difficoltà e senza combattere: nel Tigre. Pare a tutti assai diflicile che quelle fiere popolazioni nelle quali è profondo il disprezzo per gli scioani , che solo la forza, l'abilità e l'astu zia di Menelik erano riuscite a domare, possano rassegnarsi a sottomettersi a un fanciullo di quat tordici anni. D'altra parte, appena scomparsa la mano ferrea che li teneva soggetti, è impossibile non ricomincino le antiche contese fra i vari capi le quali finiranno per ripiombare il Tigrè, come è sempre avvenuto in simili casi, nell'anarchia, fino a che un capo più fortunato e più valente de gli altri non si imponga.

Per evitare tale pericolo Menelik, tempo fa, prese le opportune misure col dare al Tigré un diverso

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ordinamento, stabilendo cioè che un amhara sarebbe stato il Governatore di tutta la regione, esonerando, come noi si direbbe, dal loro ulicio Degiacc Gara sellassi che aveva il governo di Adua, e Degiacc Abraha insediato a Macallé ! Degiacc Abraha è un antico allievo dell' Istituto internazionale di Torino. Parla quindi perfettamente la nostra lingua e conosce benissimo la nostra Colonia. Va, tutto questo non vuol punto dire egli sia amico nostro. Egli è anzi, nel mondo tigrino, uno dei più feroci antieuropei, come è del resto.profondamente antiscioano. Valoroso, audace, e che, fino a poco tempo fa, disponeva di un di screto nucleo di soldati a lui completamente de voti, era considerato un po' come il campione del l'egemonia tigrina, e pare non dissimulasse nem meno le sue ambizioni e la speranza di potersi proclamare ras del Tigre e incoronarsi ad Adua. Per qualche tempo sembrò di tutti i capi del Tigre quello che, al momento dato, avrebbe potuto forse raccogliere intorno a sè il maggior numero di par tigiani. Nel dicembre scorso Arnaldo Cipolla, lal Lasmara, in una delle sue corrispondenze al Cor riere della sera, nelle quali con pochi fratti ellicari ha descritto qual era allora la situazione nel Tigré, diceva per l'appunto che appartenendo egli alla famiglia di re Giovanni, era l'uomo che per le sue qualità intellettuali, per la sua educazione, che noi ci siamo incaricati di accrescere, e per un com plesso di circostanze storiche e politiche, era il personaggio che la morte di Menelik avrebbe po tuto mettere in prima linea. E riferiva, quello che

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Alliero dell'Istituto Internazionale di Torino 231 si sussurrava da parecchio tempo, nell'Eritrea, che cioè, egli era l'uomo audace,' energico, intelligente, rapace quindi di tentare quell'impresa che nella confusione e nell'anarchia di tutta l'Abissinia può dare a chi la compia l'aureola e il prestigio neles sario per farsi proclamare Negus. « L'impresa, è superfluo il dirlo, era la punta su Asmara che nelle condizioni presenti nelle quali si trova la nostra Colonia continuava il Cipolla che prima di essere giornalista è stato un colto ufliciale, il che dà maggior gravità alle sue parole le quali confer mano pienamente quanto io pure ebbi a scrivere ri petutamente in questi ultimi due o tre anni avrebbe, pur troppo, tutte le probabilità di riuscita » .

Anche il fatto di risiedere a Macallè, la certa mente contribuito a svegliare le ambizioni di De giacc Abraha. Sorge a Macallè l'unico palazzo di tutto il Tigre, costruito dal Siretti del quale ho già avuto occasione di parlare, per il Vegus Gio vanni che, ivi, per parecchi anni, fissò la sua resi denza. Nel 1895 questo palazzo è stato una delle cose che fecero impressione quando fu inziata quella marcia al Sud della Colonia che dopo qualche mese doveva condurci ail Jdua. U'n ca stello con le torri merlate agli angoli, in una re gione dove s'incontrano pochissime case, e queste con l'aspetto di miserabili luguri, non può non fare una certa impressione. Indipendentemente da ciò, è davvero sorprendente come un semplice fale gname, il quale iron deve aver certo arricchita di molto la sua coltura artistica nel lungo soggiorno alla corte del Negus, abbia potuto ideare un edi

ficio con linee armoniche e con un certo gusto, e .condurne a termine la costruzione con gente non abituata a tal genere di lavori, con gli scarsi mezzi che il paese offre per preparare e mettere a posto i materiali. Il palazzo, costruito sopra un'al tura, domina tutta la conca: ciò che contribuisce a dargli il carattere di un vero castello medioevale. Non bisogna credere però l'interno dell'edificio possa essere paragonato ad una casa europea. Ma, considerati gli strumenti, i materiali e gli operai, di cui dovette servirsi l'architetto, bisogna sincera mente ammirarne l'abilità nel trovare gli espedienti ei ripieghi. In ogni modo, fino a qualche anno fa, e del resto credo ancora adesso, malgrado le palaz zine che il Negus ha fatto costruire ad Addis Abeba nel suo Ghebì, il castello di Macallè rimane sempre l'opera edilizia più grandiosa di tutta l'Abissinia.

In quel palazzo, nella sala dove il negus Gio vanni riceveva, quindici anni fa, era collocato il fa moso trono di Salomone che è stato il punto di partenza delle fortune abissine del bravo Naretti. Quando l'Arimondi fu a Macallè per qualche giorno, prima del combattimento di Amba Alagi, sui gra dini di quel trono, ove del resto uno per uno tutti gli ufliciali avevano voluto assidersi, veniva imban dito il modesto pranzo : un bivacco originalissimo, del quale è un peccato nessuno abbia pensato a prendere la fotografia. A quante facezie dava al lora argomento quel benedetto trono di Salomone, vuoto da tanto tempo, e sul quale però, a quanto dicevano nel paese, si compiaceva di salire spesso ras Jangascià, quasi ad affermare la sua origine e il

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Prima di Amba Alagi 233

suo dirittý a succedere a colui che l'aveva fatto co struire !

Pochi giorni prima d l 20 novembre, genetliacu della Regina, in quella sala e da quel trono, il mag giore Toselli, alla cui sinistra aveva preso posto ras Sebat, riceveva l'omaggio di tutti i Capi del paese, venuti a farsi riconoscere dal Residente italiano. Lo stesso giorno, con grande solennità e con l'inter vento del clero veniva inaugurato il forte di Enda Jesus, sul quale veniva issata la bandiera nazionale fra il tuonare delle artiglierie e le acclamazioni degli ascari. Qualche giorno dopo, lasciando gli ordini per il completamento del forte, il maggiore Toselli par tiva col suo battaglione per quella ricognizione verso il lago Iscianghi, dalla quale era scritto non dovesse più ritornare !

Se il famoso trono è ancora al suo posto è molto probabile Abraha vi si sia seduto egli pure più volte come faceva il cugino Mangascià...

Ma tale ambizione non dissimula e il presti gio che lo circondava determinarono la sua perdita. Fino à qualche tempo fa a Menelik era sembrata buona politica, pur mandando nel Tigre dei capi scioani, mantenervi anche dei tigrini. Ma nell'estate scorsa si convinse non era più cosa prudente, spe cialmente quando fra questi capi vi erano dei pa renti o dei discendenti di Re Giovanni che potreb bero vantare dei diritti al trono come Degiacc A braha e Degiacc Seiun, figlio di ras Mangascià, capo del Tembien. E fu stabilito il Tigré avrebbe come unico capo un amhara. Stabilito il principio e approfittando della sua debolezza l'imperatrice

L' ETIOPIA

Taitù fece prevalere il suo candidato nella persona di Degiacc Abathe a lei completamente devoto. Man candole la base nello Scioa, ha ella pensato facendo elevare all'alta carica questo giovane poco più che trentenne, di formarsene una nel Tigre? Certo è che, sapendosi come, per insediarsi nel Tigrè avrebbe assai probabilmente incontrato una certa certa resi stenza, ad evidente suggerimento suo, fu dato a ras Oljè l'incarico di aiutarlo con le sue truppe ove occorresse, formando così un fascio di forze a lei devoto. Degiacc Abathe è fra i capi etiopici uno dei più intelligenti, e che il Negus onorò per parecchio tempo della sua fiducia, tanto da nominarlo a una delle cariche più onorifiche dello stato, quella per la quale chi ne è investito, in guerra deve indos sare gli stessi, precisi abiti del Negus e abitare, come il Sovrano sotto una grande tenda rossa per ingannare il nemico e far deviare la sua azione dal corpo d'esercito in mezzo al quale sta il Vegus vero. È un nazionalista intransigente, avverso a tutto ciò che è europeo.

L'Agamè, soltanto nello scorso agosto, fu staccato dal resto del Tigrè e dato a ras Sebath tigrino. Va un tigrino che ha accettato francamente l'egemonia scioana dalla quale ebbe i maggiori benefici, e av verso agli italiani uei quali è unavecchia conoscenza. Discendente dai Sabagadis, già signori dell'Agame, fu grande amico di un altro nostro nemico : di ras Alula , malgrado che, nelle apparenze, gli si mo strasse poco favorevole per riguardo a Mangascià. Alula gli diede in moglie l'unica figlia di suo fra tello. Ogni anno Mangascià faceva la sua escursione

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Un veterano del tradimen'o 235 nell'Agamè per sottomettere con le armi Sebat , ma non vi riusci mai, un pv' per il buon ordina mento delle truppe del suo antagonista, un po' per la inespugnabilità delle montagne dell'Agame, e un po' per il doppio giuoco di Alula.

Quando quest'ultimo cominciò ad estrinsecare il suo programma di ribellione del Tigrè a Venelik, per prxlamare Mangascià imperatore d'Etiopia, nel 1892 riuni ad Hausen tutti i capi del Tigre ed indusse Sebath a fare atto di sottomissione a ras Mangascià, dal quale ricevette subito la promozione da Degiasmacc a kas.

Fu in quel giorno che Mangascià, per far capire ai tigrini quali fossero le sue intenzioni, si mostrò in pubblico con l'ombrello rosso, l'insegna esclusiva mente imperiale. E, da quel giorno, sulle sue lettere e su i suoi documenti, al proprio sigillo ordinario sostituì il sigillo del padre col Leone di Giuda, si gilis che a modo imperiale apponeva in capo alle lettere e non più in fondo come avevil l'alto fino allora.

Ras Sebath , raggirato dalle arti e dai consigli di un nostro disertore dell'Oculè Cusai, si fece fa cilmente persuadere, poco tempo dopo, a pigliar parte alla congiura ordita da ras Alula, ribellandosi a ras Mangascià nel dicembre 1892, quando cioè questi aveva iniziato trattative di sottomissione con Menelik .

Probabilmente Alula voleva sostituire Sebath a Mangascii e completare il suo programma a danno di Menelik : ma, debellato a Memenné, dovette sot

tomettersi acceltando tutti i duri patti impostigli da Mangascià.

Ras Sebath mentre in Adua aveva giurato ad Alula fedeltà e gli aveva promesso il concorso di tutte le sue armi, cedendo poi ai consigli di un suo vecchio e fido capo - Scium Agamè Remmhaebbe paura e non partecipò più alla ribellione di Alula. Con tutto ciò fu chiamato da ras Mangascià a Macallè a discolparsi.

Egli vi andò sicurú del fatto suo : ma appena nel palazzo imperiale, fu disarmato ed incatenato insieme ai suoi figli Degiacc Desta e Degiacc Asghedon ed a tutta la sua gente, e fu relegato sul l'Amba Salama. Dopo il combattimento di Coatit, dall'Amba Salama ras Mangascià lo fece trasferire sull' Amba Alagi, dove lo trovò e lo liberò l'Ari mondi. Qualche giorno dopo si presentava al Go vernatore ad Antalo la moglie di ras Sebath per ringraziare gli italiani di aver liberato il marito, e questi prendeva servizio con noi.

Con tutto ciò, fedele alle buone tradizioni abis sine, che insegnano di mettersi sempre dalla parte del più forte, poco tempo dopo, quando la sorte delle armi ci fu avversa, egli si rivoltò contro di noi. Le fucilate dei soldati di ras Sebath molestarono le nostre truppe nella ritirata. Come si vede ras Sebath è un veterano del tradimento. E se nuovi avvenimenti turberanno la tranquillità del Tigre è certo che egli si vetterà dalla parte tigrina o scioana secondo che a questa o a quella arriderà la sorte delle armi. Oggi è fedele a Menelik, perchè è il rappresentante di Venelik che ha avuto il soprav vento.

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Il combattimento di Quoram 237

Fra scioani e tigrini un combattimento è già av venuto qualche mese fa, poichè, come si prevedeva, Degiacc Abathe ha poluto insediarsi come Gover natore del Tigre solamente dopo aver messo al dovere, e fatto prigioniero Degiacc Abraha. Intanto, la prima dillicoltà la incontrò nelle fila dei suoi sol dati dei quali, una parte, al momento di mettersi in marcia per il Tigrè si sbandò. Non sorrideva loro l'idea di andare a risiedere in un paese non fertile, e di combattere, senza vantaggio proprio, ma sola mente per affermare l'autorità del loro capo, contro. i tigrini soldati assai più valorosi di loro. Per cui fatto le prime tappe dovette retrocedere e riformare il suo piccolo esercito, tanto più avendo avuto no tizia che Degiacc Abraha si era mosso da Macalle per venirgli incontro. I due avversari si incontra rono a Quoram lungo la strada che conduce dallo Scioa al Tigre. Il combattimento, secondo le notizie trasmesse per corriere da Degiacc Abathe a Me nelik, durò dalle tre del mattino ale dieci con per dite considerevoli da una parte e dall'altra. L'esito favorevole per Abathe si decise quando arrivarono sul teatro dell'azione i rinforzi di ras Oliè che mar ciavano a poca distanza dal corpo di Degiacc Aba the, e le truppe del famoso Sebath. Abraha fu ferito e fatto prigioniero e Degiacc Abathe si accampò a Quoram e, poco dopo riprese la marcia per Vacalle e Adua. Adua che è la capitale storica del Tigre, è sem pre stata una delle più importanti città, non solo dell'Abissinia, ma di tutta l'Africa orientale. I viag giatori che la visitarono, descrivono la ricchezza

del suo commercio e il movimento della sua popo lazione che si faceva ascendere a più di dieci mila abitanti. Il negus Giovanni la fece ornare di costru zioni relativamente grandiose, opere per la mag gior parte del buon Varetti. Fra queste la chiesa di Vedani Alen (Salvatore del mondo) e la residenza del Vegus.

Il nome di città come noi europei l'inlendiamo, male si addice del resto ad Adua come agli altri centri di questa regione, nei quali le case sono per la maggior parte delle capanne di paglia, le vie an . guste e tortuose sono delle fugne e dei rigagnoli anzichè delle strade, e dove manca anche ciò, che si trova in uno dei nostri più modesti villaggi. Ma, ogni cosa è relativa, ed Adua, anche così com'era, una quindicina d'anni fa e del resto, non ha fatto alcun progresso poteva considerarsi una metro poli eliopica assai importante, sebbene soggetla ad alternative di splendore e di decadenza.

Già fino dal 1880 quando la visitarono Malteucci, Vigoni e Bianchi, il suo decadimento dovuto ad una terribile epidemia tifosa che aveva decimato la pol polazione, era evidente. Dieci anni più tardi, cioè nel 1890 il povero Salimbeni che in quell'anno vi passava per recarsi alla Corte di Menelik, così ne scriveva : « Adua altra volta popolosa e animata dal frecuente mercato è ora triste e deserta. Pare un cimitero » . Mangascià intendendo fissarvi la sua residenza in un cert periodo, aveva chiesto al no stro Governo di fargli costruire una casa in mura tura. Va poi abbandonò Adua per andare ad abitare il castello di Vacallè.

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La crociata dei portoghesi 239

Vicino ad Adua, sul colle di Fremona che do mina la conca, sorgono gli avanzi di una antica costruzione portughese, ricordo di una delle imprese più ardite, più cavalleresche e più eroiche del me dio evo. Meriterebbe di essere più conosciuta, la storia di quel pugno di uomini -- erano poco più di quattrocento - che sotto il comando di don Cri stoforo Gama, figlio del grande navigatore, salva rono l'abissinia dal giogo ottomano con otto mesi di guerra, sostenendo l'urlo di forze decuple delle loro e lottando contro ogni sorta di disagi e di pe ricoli. Ne scrisse la relazione uno dei capitani del Gama, Michele De Castagnoso, ed è una storia di eroismi, di sacrifizi, è finita pur troppo col mar tirio del valoroso condottiero. L'impresa dei portoghesi in Africa ebbe il carat tere di una vera ( rociata. Nel 1541 don Cristoforo Gama e suo fratello Stefano, governatore delle In die, s'erano recati a Massaua dopo aver sostenuto con la loro flotta vari combattimenti furtunali con tro i turchi, incendiando parecchie città sulla costa del Mar Rosso che erano in mani loro, e fra le altre Suakim . Mentre erano a Massaua, il Negus di allora, che, nella sua relazione, il Casta noso chiama sempre il Prele Giovanni, trovandosi ridoito a mal partito, perchè da quaitordici anni i mori si erano impadroniti di gran parte dell'Abis siina, in nome della fede cristiana implorò il loro aiuto. Il Prete si era rifugiato nell'interno, in una posizione forte presso Debra Tabor, (hove era dilli cile i mori potessero arrivare.

La madre del Prete la regina Sabele si

era rifugiata in cima ad un'amba non lontana dal l'Asmara. La richiesta del Negus fu accolta con slancio dai portoghesi, animati dall'entusiasmo della fede e dallo spirito di avventura. Tutti volevano prender parte alla nuova crociata in quelle terre sconosciute per soccorrere un Re cristiano scac ciare gl'infedeli. La scelta cadde sul fratello del governatore delle Indie, il quale con quattrocento cinquanta uomini bene armati e con artiglierie, si avviò sull'altipiano fermandosi a Debarroa.

Il primo atto di don Cristoforo Gama fu di pre sentarsi alla Regina come campione della fede, e di convincerla a lasciare l'amba -- così inaccessibile per cui anche il capitano coi suoi ufliciali dovettero essere tirati su con delle corde e a seguire la spe dizione. La presenza uella Regina madre, che quan tunque nera, trattarono sempre con cavalleresca cortesia, circondandola di tutto il prestigio dovuto a una sovrana, doveva, nel concetto di d'un Cristo foro, legalizzare il loro intervento di fronte alle popolazioni.

In tutta l'Abissinia erano disseminate le forze che vi teneva il re di Zeila la relazione Castagnoso l chiama cosi che con lo stendardo del Profeta l'aveva conquistata.

Attraverso mille pericoli, combattendo quasi ogni giorno contro forze. soverchianti, grazie alle armi migliori, al loro eroismo, e allo slancio che dava loro il pensiero di combattere per la fede, riusci rono ad attraversare tutto il Tigré, spingendosi fin verso il lago Zana.

Dopo circa due anni e mezzo, sebbene decimati

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DEGIAC ABRAHÀ

già capo a Macalle, ora vinto dagli Scioani e prigioniero ad Adel Abeba.

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Un capo in mezzo ai suoi seguaci .

Giovanni Kassa 241

dalle fatiche, dai disastri, delle perdite, fra cui quella del loro capitano, con l'aiuto del Negus Gio vanni, sconfissero definitivamente i mori, uccidendo lo stesso re di Zeila.

Rimesso sul trono il Negus Giovanni , malgrado questi riconoscente offrisse ai portoghesi di rima nere come padroni in Abissinia, cavallerescamente dichiararono di aver combatttuto senza interesse, ma solo per la fede, e rifiutando anche i regali of ferti, ritornarono a Massaua. Là trovarono una nave portoghese, il cui equipaggio fece le grandi me raviglie vedendo i compatriotti da tutti ritenuti morti. La nave però era così piccola e così carica, che non avrebbe potuto imbarcare che poche per sone. Non volendo alcuno separarsi dai compagni, parlì solo il Castagnoso con delle lettere dei re d'Abissinia per il re di Portogallo. Gli altri deci sero di approfittare delle offerte del Negus e ritor narono da lui.

Fu questo il primo nucleo dei portoghesi che si stabilirono poi in maggior numero in Abissinia e ai quali sono dovute le costruzioni grandios ; delle quali in tutta l'Abissinia e specialmente nel Goggian si vedono ancora oggi gli avanzi.

È sulla strada che conduce da Adua ad Axum che Giovanni Kassa, diventato Negus per l'esito di questa battaglia, sconfisse in un combattimento san guinoso ras Gobassiè, che gli contendeva la corona imperiale. Alla partenza della spedizione inglese, e dopo la morle di re Teodoro, il quale preferì ucci dersi a Magdala anzichè cadere nelle mani degli in glesi, l'Abissinia era ritornata nell'anarchia. Me

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nelik si era contentato di ricuperare la sua relativa indipendenza come Re dello Scioa, ma la corona imperiale era disputata tra Kassa, che stava ad Adua e ras Gobassiè. Questi aveva circa cinquantamila soldati, mentre Kassa disponeva solo di poche mi gliaia di soldati, cosicchè pareva certa la vittoria del primo, quando le forze dell'uno e dell'altro si trovarono di fronte, a' piedi del colle dinanzi al quale scorre l'Assam . Kassa aspettò il nemico, so verchiante di numero, appoggiato a quel colle. Il piccolo esercito di Kassa ebbe su quello di Gobas siè il grande vantaggio dell'ordine e della disci plina, e maggior efficacia nell'attacco, tirando sulla massa disordinata e molto profonda dell'avversario. Giovanni Kassa dette per il primo l'esempio del co raggio, stando sempre in prima linea. In ginocchio, non curante del pericolo, raccon tano ancor oggi quelli che presero parte a quella battaglia, il futuro Negus sparava con calma il fu cile e nún v'era colpo che fallisse. E da quel giorno datò la immensa riputazione di valore dell'ultimo Negus in tutta l'Abissinia. Viste le sue truppe deci mate, ras Gobassiè cercò di condurle all'assalto del l'altura, ma una palla lo colpì, e la sua caduta de terminò la vittoria dei tigrini di Kassa che fecero prigioniero Gobassiè. Secondo le usanze abissine a Gobassiè si dovevano far saltare gli occhi met tendo della polvere da sparo negli orecchi, e poi dandogli fuoco. Il vincitore si contentò di fargli fo rare le pupille con un ferro rovente, e di rele garlo sull'Amba Salama dove morì di lì a poco.

Dopo la vittoria, Giovanni Kassa entrò ad Axum

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e vi si fece proclamare Negus, a pochi passi dalla chiesa, dove, fra quattro rozzi pilastri di granito, vi è la pietra sulla quale, per antica tradizione, si in coronano i Re d'Etiopia.

Quello che è avvenuto per Giovanni Kassa e per tanti altri prima di lui, può ripetersi ancora nella storia dell' Etiopia, per quanto i tempi sieno mu tati e, con le armi a fuoco, il coraggio e l'audacia contino un po' meno. Un capo ardito e valoroso, vit torioso in una battaglia può determinare un movi mento nel paese che lo conduca ad Axum, ed im pegnare quindi l'antica lotta fra scioani e tigrini per la supremazia sull'Etiopia.

Il Tigre è una delle quattro regioni naturali e storiche nelle quali si divide l'Etiopia parlo del l'Etiopia prima delle conquiste dell' Harrar, dei paesi Galla, ecc., ecc., sotto il Regno di Menelik della quale occupa la parte più settentrionale. Il fiume Tacazzè ne costituisce il limite Sud separan dolo dall'Amahra, mentre al Nord esso termina colle ultime propaggini dell'altopiano etiopico, dove il ba cino del Nilo si separa da quello del Barca. Soggetto a variare continuamente in estensione a seconda delle condizioni politiche mutabili, e per le quali negli ultimi decenni passò più colte dallo stato di egemonia su tutto l'impero a quello di pro vincia soggetta , riesce impossibile stabilirne gli esatti confini e valutarne la popolazione.

Prima della campagna del 1895-96, tutto il Tigre finý al suo confine meridionale del Tacazzè Tsel lari era stato annesso alla Colonia eritrea, oltre le antiche provincie dell' Hamazen, del Seraé e del

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Il
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Toculé-Cusai al di qua del confine del Mareb Belesa!

Le altre principali provincie tigrine sono il Ti grè propriamente detto o territorio di Adua e di Axum , lo Scirè a ponente del territorio predetto, l'Aramah, il Tembien, il Gheralta e l'Uomberta che occupano la regione interposta tra Adigrat e Ma callè, l'Enderta o territorio di Macallè, la più fer tile e ridente provincia tigrina; lo Sloa l'Uogerat e l'Enda Moeni nella zona compresa tra Macallè e il lago Ascianghi.

Il Lasta al Sud dell'Ascianghi, già appartenente al Tigre, era già distaccato ed incorporato all'A mahra. Sebbene così diviso e frazionato, il Tigre ha una lingua e tradizioni proprie che lo distinguono dalle altre regioni etiopiche. Il suolo elevato in me dia circa 2000 metri, presenta ovunque carattere al pestre, e gli abitanti fieri e bellicosi risentono della natura del territorio che abitano.

Come si vede dall'elenco di tali provincie sono escluse quelle al di qua del Mareb, che è una cir coscrizione a parte oltre i tre regni dello Scioa, del Goggian e del Tigre che costituivano l'Abissinia pri ma delle conquiste di Menelik. Queste provincie co stituiscono il Mareb -Mellasc', che, significa, per l'appunto oltre Mareb, cioè un territorio il quale, etnograficamente e storicamente, è distinto dall'A bissinia.

La regione del Mareb-Mellasc'anticamente com prendeva anche la costa, i Mensa e il Senahit e go deva di una quasi completa autonomia sotto il go verno del Bahar- Vagasci, che vuol dire reggente o

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Il Governatore del mare 215 governatore del mare, e che riceveva bensì l'inve stilura all.llie di Etiopia, ma era indipendente e governava a modo suo lutta quella zona fino al mare. Nelle ricerche fatte nei libri più antichi, in cui si parli di quella parte dell'Africa orientale, il capitano Perini ha potuto constatare che fino da secoli questo ordinamento esisteva. Nelle relazioni dei missionari portoghesi, penetrati in Abissi nia ai tempi dell Atiè David III (1507-1340), si dice per l'appunto che a settentrione del regno del Tigrai vera un regno denominato Medrì-a-Bahar (terra del mare o provincia marittima) governato da un fun zionario dello Baharnagassi. Il Perini ricorda come in un lavoro compilato sull'Abissinia nel 1655 dal l'italiano Giacomo Baratti, del quale andò perduto l'originale italiano ma rimangono rarissime copie di due traduzioni, si novera il Barnagasso come uno fra i regni del Gran Negus d'Abissinia. In quel l'epoca adunque, pur essendo caduto sotto il domi nio dell'imperatore, il Medrì-a -Bahar conservava sempre la sua autonomia.

Le popolazioni di oltre Mareb furono quindi per secoli, le alleate naturali dei nemici dell'Impera tore. Così, come un tempo si dichiararono per l'Italia onde scuotere il giogo abissino, hanno combattuto al fianco degli egiziani contro Re Giovanni a Gura: e dopo la sconfitta delle armi del Kedivé, hanno con tinuato per loro conto, sotto il comando di ras Uol denkiel, una lotta accanita, continua, di ogni giorno, contro le genti dell'Imperatore comandate da ras Alula .

L'antichissima autonomia del Marco Mellasc'

ebbe fine nel 1879, quando, impadronitosi col tra dimento di ras Coldenkiel, re Giovanni lo relego sopra un'Amba e diede il governo di quella regione a ras Alula. Fu il premio del tradimento, perchè ras Alula, non avendolo potuto vincere con e armi, aveva persuaso ras Uoldenkiel a fare atto di sotto missione al Negus, assicurandolo questi non gli avrebbe fatto alcun male.

Tale precedente spiega l'odio di ras Alula con tro gl'italiani. Appena noi si sbarcò a Massaua comprese che quelle popolazioni, rimaste fino a poco tempo prima indipendenti e che taglieggiava a suo talento, avrebbero presto o tardi chiesto ed avuto l'aiuto e la protezione dell'Italia. La nostra presenza, mentre doveva di per se stessa incoraggiare le po polazioni del Mareb-Mellasc' alla resistenza, veniva in qualche modo a mettere un freno alle pazzie e ai massacri che ras Alula e i suoi seguaci compie vano continuamente in quella regione. Appunto perchè quella regione era stata per tanto tempo in dipendente ed aveva sfidato fieramente l'autorità del Negus, questi l'aveva data a governare a ras Alula, sapendo avrebbe considerati gli abitanti, non come soggetti, ma come nemici.

Re Giovanni si interessò personalmente di quei paesi soltanto per imporre agli abitanti, con un editto, di professare la religione copta, cosicchè i giaberti (mussulmani), numerosi nel Seraè e nel l Amazen, e i cattolici dell'Oculé-Cusai, in parte si rifugiarono alla costa, in parte insero di abbando nare la propria religione mettendosi al collo il cor done di seta azzurra, distintivo dei co ti. Ras Alula

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fu incaricato della esecuzione dell'editto imperiale, e con feroci supplizi punì tutti coloro che tentarono di rimanere fedeli alla religione dei loro padri.

Il risentimento delle popolazioni di oltre Mareb contro i loro oppressori diventò ancora più vivo dopo tali violenze. Ma, senz'armi , spogliati di tutto, dovettero rassegnarsi per quasi dieci anni a tutte le angherie, le estorsioni, le sevizie di ras Alula e dei suoi soldati che considerarono sempre il Mareb-Mel lasc' come un paese di conquista.

E dire che, dopo Dogali, v'è stato chi diceva sul serio che ras Alula difendeva nobilmente l'inte griti della sua patria!... E si è rimproverato al Go verno di fare una politica contraria al sacro princi pio delle nazionalità, e conculcatrice dell'integrità della patria abissina, quando il Baldissera, accla mato e invocato dalle popolazioni, salì all'Asmara ! Tutto questo non era forse inutile ricordare, mentre forse altri avvenimenti stanno preparandosi nel Tigre ed ai nostri confini , e, pur troppo una po. litica poco oculata, ha avuto per risultato di non te ner più così vivo quell'odio che prima avevano le popolazioni del Mareb-Mellasc' contro i tigrini, odio che poteva essere per noi una grande garanzia. Spe cialmente a causa della questione fondiaria (1) e del poco conto tenuto degli usi e delle tradizioni locali nell'applicazioni di leggi e misure, delle quali non

(1) Con alcune disposizioni si fece una specie di ca tasto e in base a ciò furono date a italiani parecchie con cessioni per coltivazioni.

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Politica imprevidente

sono stati abbastanza studiati i possibili risultati Non sono contente le masse e più che mai scontenti i capi che si sono veduti, per la maggior parte, pri vati del loro comando, mentre altri hanno anche finito in prigione o deportati ad Assab. In molti casi, siamo perfettamente d'accordo, non sarebbe stato possibile fare altrimenti, e non è di questo che si può muovere rimprovero al Governo. Ma è vera mente deplorevole si continui sempre ad andare avanti senza preoccuparsi mai seriamente delle complicazioni che possono sorgere ai confini, e di quel colpo di mano su Asmara, del quale pure tutti parlano laggiù come di una eventualità per lo meno non impossibile, per parte di un capo fortu nato che venendo contro di noi speri di crearsi quell'aureola e quel prestigio destinati a rendergli più facile la conquista dell'antico titolo di Re del Tigre, o forse anche la corona Imperiale. Una prova manifesta del malcontento delle popo lazioni dell'Eritrea, e una prova che avrebbe dovuto dar da pensare seriamente, si è avuta un paio d'anni fa, quando fecero pervenire i loro reclami al Negus. Si narrò allora, notizia sintomatica anche se non esatta che quando il Governatore si recò a far vi sita al Negus ad Addis Abeba, questi gli abbia ac cennato, con una certa intima soddisfazione a code sti reclami , manifestandogli il desiderio e la spe. ranza che qualche cosa il nostro governo potesse fare in loro favore. Questi indigeni dell'Eritrea i quali dopo tanti anni di dominio italiano si rivol sero a Venelik come se fosse il loro alto e legittimo signore, lasciano chiaramente comprendere quali

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L'applicazione del regolamento fondiario 249 sieno i sentimenti nutriti per noi , e, come sarebbe grave errore il fare soverchio affidamento sulla loro fedeltà. Quando le nostre autorità vollero procedere in base all'accennato decreto sulla proprietà fondia ria alla ripartizione delle terre, alcuni dei reclami fatti pervenire al Governatore ebbero una intona zione minacciosa, e non mancarono qua e là mani festazioni di non dubbio significato, come quando, passando il Governatore in una regione nella quale le proteste erano più vivaci, gl'indigeni si buttarono davanti ai cavalli per obbligarlo a fermarrsi e ad ascoltare i loro reclami . L'applicazione del famoso regolamento fondiario dovette essere sospesa, ma durò per un pezzo il fermento e certo non poteva giovare ad attrarre a noi quelle popolazioni, dopo che si sono formate la convinzione che il nostro programma è quello di spogliarle a poco a poco dei loro averi. Nel tempo stesso cedendo di fronte alle proteste abbiamo dato anche una prova di debo lezza, il che, nella mentalità di quella gente, può essere ai momento opportuno un incentivo alla ri volta. Certo abbiamo perduto per quegli incidenti anche in prestigio. Cosicchè, in caso di avvenimenti che minacciassero la Colonia, non molto ci sarebbe da fidarsi di quei nostri sudditi, malgrado la loro poca aflinità con l'elemento tigrino alla quale ho accennato e della quale non abbiamo saputo trar tutto il partito che si sarebbe potuto. Doveva essere una ragione di più per riuforzare il piccolo esercito eritreo, per pensare a premunirci con qualche fortiticazione di più. Invece quell'eser cito si è pian piano ridotto, e anzichè larghesgiare,

ETIOPIA

fin dove è possibile per affezionarci gli elementi in digeni buoni e provati, che possono farne parte, si è fatto tutto quanto stava in noi per scontentare anche questi.

Si è incominciato dal fare una grande riduzione nelle paghe dei soldati, scemate di un terzo, oltre all'aver tolto i piccoli aumenti che prima percepi vano, ogni tanti anni di servizio. Il che ebbe per conseguenza immediata di rendere, non solo assai più difficile il reclutamento, costringendo ad arruo lare elementi che prima, aragione, non si ritenevano adatti, ma di far lasciare il servizio agli elementi migliori. Molti dei vecchi ai quali fu messo come condizione per avere la riafferma dichiarassero di accettare le nuove condizioni, preferirono di an darsene. Più tardi, sempre a scopo di economia fu ridotto ilnumero degli usbasci, specie di sottote nenti indigeni i quali erano un grande elemento di coesione. Molti avevano il petto coperto di medaglie per cui, circondati da un certo prestigio, esercita vano una grande autorità sulla truppa, come una volta da noi i vecchi e valorosi sergenti dell'esercito piemontese. Poscia si è ridotto ancora, e per la se conda volta, il numero dei battaglioni, per quanto l'ultima sia stata per così dire una riduzione larvata, poichè fu detto si aumentavano invece gli effet tivi delle compagnie. E non si finirebbe più se si volessero citare una dopo l'altra tutte le economie fatte a danno del bilancio militare. Anche dell'ufficialità italiana, i vecchi se ne sono andati tutti quanti dal primo all'ultimo, dicendo apertamente non si sentivano più di rima

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Le illusioni del Governo 251 nere in Africa a quel modo, e i nuovi hanno assi stito addolorati, e non dissimulando la loro preoc cupazione a ciò che essi han chiamato la lenta e graduale liquidazione della Colonia.

In caso di complicazioni - come già ebbi a scri vere tre anni fa toccando questo argomento (1) ci troveremo non solo sguerniti di forze, ma com pletamente disorientati, poichè di nulla si è preoc cupato mai, in questi ultimi anni il Governo, cul landosi nella illusione che anche per la successione di Menelik le cose debbano procedere regolarmente!

(1) Vedi articolo già citato : 1 pericoli dell'Eritrea.

PICCOLO ELENCO DI PAROLE AMARICHE.

Abbi, grande.

Addi o ad, è un nome frequentissimo per indicare località. È una specie di comune in cui gli abi tanti sono o si suppongono del medesimo san gue. Con la parola ad o addi s'indica più parti colarmente la popolazione, ma vi si comprende altresì il villaggio che questa abita ed il terreno dipendente.

Afer, polvere.

Af, gola, bocca.

Agafari, personaggi al seguito del re. Aghér, nazione.

Aggheze aiutare.

Alderasc sala da pranzo e grande tenda per la mensa dei soldati.

Amoliè, moneta di sale, in uso nello Scioa, quando i talleri erano rarissimi.

Amsà, capo di cinquanta uomini.

Aog-negarì, banditore.

Ascherien, salma.

Asciarò, orzo, granaglie, ecc., provvista di un capo.

ETIOPIA

Atal, capre.

Atriè, antico nome degli imperatori d'Abissinia.

Atriè, antico nome degli imperatori d'Abissinia.

Auage, proclama del re o di un ras. Bando. Auerra, avvisare.

Azage, il primo consigliere del re. Balangher, contadino.

Balamoal, giovani al seguito del re, che raggiun gono gradi elevati, Balangerennet, compagnia.

Balderas, capo dei palafrenieri del re. Baracà, luogo deserto generalmente basso. Barùd, polvere da fuoco. Biet, casa.

Begerond, capo della guardaroba del re. Budá, cannibale.

Cagne, parte destra del campo.

Cajeh o cajah, rosso. Caláttafa, accelerare.

Caleb, alloggio e vitto che il proprietario deve for nire ai soldati.

Calchidán, alleanza.

Cajek o Cajak, rosso.

Cantibai, capo di tribù. Chies, prete.

Ciagnocc, caricatori delle tende e provviste della casa del re. Cetná, burrasca.

Chief, sacerdote.

Cibbet, pugno. Cissagnà, contadino.

Cuollà, si designano con questo nome tutte le terre

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DEGIAC SEIUM

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Mangascià posto al comando del Tembien . figlio di ras

L'ABUMA E DEGIACC GARASSELLASSI

Piccolo elenco di parole amariche 257

basse che non superano le altitudini di 1200 metri e talvolta secondo le località anche 1500. La zona da Massaua fin sopra Ghinda, per esempio, è nei Cuollà. Dáma, mulatto. Dámbar, contine.

Debrà o deba, da l'antica parola etiopica deber, monte: attualmente significa però spesso con vento, forse per l'abitudine di porre i conventi in cima a monti. Deldel, molo.

Dembe, demba, damba, casolari di capanne con ze riba dove si raccolgono di notte i pastori con gli armenti, e che sono abitate soltanto in una stagione dell'anno.

Dega, si chiamano così le terre al disopra di 27500 metri, Dura, grano etiope.

Durgo, la razione del vitto.

Decha dechi bet, discendenza, figliolanza, proge nie, stirpe, casa, abitazione, dimora. Talvolta as sume il valore di famiglia, razza .

Dessief, isola. Ela, pozzo.

Elà

End o endà, significa ugualmente casa, abitazione, dimora. È riservata però ad indicare l'abitazione di ragguardevoli personaggi, come capi temuti, santi venerati e simili. Più di frequente questa parola indica località ove trovasi una chiesa, un santuario con case per i preti e per i monaci come per esempio: Enda-Jesus, Enda -Moeni.

Eggimensat, saluto. 17

L'ETIOPIA

Egrégna, fanteria. Endennet, accordo. Engherà, magazzini delle farine. Eslàm , mussulmano. Essát, fuoco.

Fannò, soldati senza capo al seguito dell'esercito. Felassi, convento,, frateria.

Fitaurari, generale d'avanguardia. Focherà, parata davanti al re dei soldati vincitori. Gabar, contadino.

Caza o Gheza, significa abitato, paese: soltanto nel senso materiale senza comprendervi la popola zione e molto meno l'idea di discendenza Co mune fra essi come nella parola addi o ad. In generale con questa parola s'indica località ove si sono stabilite una o poche famiglie, divenute poi centro di popolazione maggiore di origine e provenienza diversa.

Ghebi, recinto del campo, ove sono le tende reali, tanto in tempo di pace che in guerra. Ghebr, cannone. Ghesg, comandante, Ghesghessà, rapida azione militare, Godo, codo, codu, collina. Cosi per esempio Gods felassi vuol dire collina del vento.

Ghimbar, la fronte del campo.

Ghindebel, antichi soldati, veterani. Giaberti, abissini mussulmani.

Giamà, carovana. Giantla, baracca. Gobaé, adunanza.

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L'ITALIA E

Piccolo elenco di parole amariche 259

Goggiò, le capanne coniche dei soldati che non hanno tende.

Grà, parte sinistra del campo. Gudat, calamità . Gueradié, pugnale.

Gulli, da guelleté (fondare, stabilire). È una deter minata estensione di territorio sul quale per concessione sovrana si stabilì, si fondò una fa miglia, una stirpe. Vi sono anche gultà di altra origine, che sono specie di fondi o concessioni feudali.

Grat campo terra da coltivare. Addi-grat per esem pio è formato delle due parole Addi e Grat che significano comune dove vi è terra da coltivare.

Je mot satén, bara.

Je marcabras, capitano di nave.

Lalai, di sopra.

Lemd, veste militare. Mecabér, cimitero.

Made biet, personale della casa del pane. Malcagnà, titolo di grado civile, capo di un di stretto..

Mai, acqua, torrente, come Mai Marat, Mai Feras che voglion dire torrente Marat, torrente Feras. Manattar, canocchiale.

Marat, faro.

Marcab, bastimento.

Massarrià, arme.

Mechèr, congiura.

Medà, accampamento.

Medf, cannone.

Medri, dall'antica voce etiopica medêr (terra). Pro

priamente significa territorio, e si applica ad una qualunque estensione di terra che, per con dizioni particolari, o per avvenimenti storici ab bia assunto una caratteristica propria.

Mégheb, cibo.

Meghzat, comando.

Melleláck, corrispondenza.

Mencoracorègna, carettiere.

Mencoracor, carro.

Meret, minestra.

Mesceffet, rivolta.

Muot , morire.

Muót, morte. Meto, capo di cento uomini

Nefas, vento.

Neit, fucile.

Negarit, il tamburo, insegna del comando.

Negus, re. Negus neghest, re dei re. Negus et ghezat, monarchia.

Niegus, atié, imperatore. Ouà, antico.

Quantà, carne tagliata a piccole striscie ed essic cata.

Racuál, assente.

Ras, principe, capo.

Ressa, cadavere.

Saranit, esercito.

Safer, accampamento.

Scellemát, medaglia.

Scialaka, capo di mille uomini.

Sciamma, manto bianco,

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Piccolo elenco di parole amariche 261 :

Sciambel, capo di mille uomini. Sciggut, pistola. Sciuffà, ribelli. Scium , capo di un distretto. Sciumèt, carica, grado. Sciufteniét, rivoluzione. Segà biet, personale che macella i buoi per la ta vola del re. Segà, carne. Selassie, Trinità. Sendecalamá, bandiera. Taágga, combattere. Tabot, pietra sacra. Tacamtuál, abitante. Tahtai, di sotto. Tavengiajag, guardia del re. Teg, idromele. Teg biet, casa dove si prepara l'idromele. Teghel, lotta. Thor, battaglia. Tesceccheucé, caricare. Tesciare, degradare. Teub, carogna. Tezas, decreto. Tit, cartuccia. Tuagga, guerreggiare. Tuoreguor, lanciere. Turk bascià capo dei fucilieri del re, quando que sli era un corpo speciale. Laragno, guardiani dei bovi del re. l'eddeché, cadere. Totader, soldato semplice.

ETIOPIA

Voino Dega, sono chiamati così i territori che sono da 1200 metri fino a 2500 metri di altezza. È in certo modo la zona temperata che costituisce la maggior parte dell'Etiopia. Nell'Eritrea sono nel Voino Dega, Godofelassi dove il Franchetti ha fatto i suoi tentativi di coltivazione, la conca di Cheren, ecc. Zemeccià , spedizione militare a scopo di razzia . Zevegnà, guardia del re. Zabau Zebau, letteralmente dorso, schiena. Zerrefé, saccheggiare.

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X.

ASPETTANDO GLI AVVENIMENTI

ALLE DUE FRONTIERE .

l'na falsa notizia La nomina di ras Gussa Nel Tigre La scelta di ras Oliè Mancanza di preparazione II maggiore Cicco di Cola Il nostro ministro ad Adis Abeba La questione dei confini col Benadir Incu, ranza deplorevole Lugh abbandonata Senza chi nino ! - Il commercio dei fucili in Abissinia I dervisci Impossibile pensare a truppe bianche Dopo il fatto di Mahalle A proposito del dissidio Carletti-Di Giorgio

Il terzo concorrente Come al Marocco e come in Persia Intorno al Ghebi Trattative fra Menelik e il Mullah ?... Per uno sbocco sul mare Enormità incre. dibili...

Mentre correggo le ultime bozze di questo vo lume, notizie sempre più gravi giungono da Addis Abeba. L'agonia del Negus è incominciata, e seh bene le notizie relative alla sua prossima fine sieno contradditorie, tanto che alcuni ritengono la morte imminente, mentre altri dicono che potrebbe an cora vivere delle settimane, forse anche parecchi mesi, tuttavia è evidente che Menelik ha comple tamente cessato di regnare, e che tutti i capi si pre parano a prendere posizione. E la lunga agonia complica sempre più la situazione.

Nella prima metà di gennaio, a giornali esteri era stata anzi telegrafata la notizia che la morte del Negus fosse già avvenuta da parecchi giorni e fosse tenuta nascosta. Sarebbe stato diflicile anche molti anni addietro il tenere celata una notizia di tanta importanza. Ma non è più possibile ora sotto gli occhi delle Legazioni europee che vigilano e se guono con la più grande attenzione tutto quello che accade al Ghebi , e che per essere bene ed esatta mente informati hanno quasi tutte delle persone fidate nella Corte stessa del Negus.

Dopo quasi quarantott'ore di incertezza, la noti zia è stata in modo formale smentita. È stata in vece confermata quella relativa a un movimento per il quale ras Gugsa sarebbe stato destinato a sostituire Degiac Abatè come governatore del Ti grè mentre Degiac Tafari figlio di ras Maconnen fu destinato a sostituire nel governo dell'Harrar Degiac Balcià mandato nel Beghemeder. Contemporaneamente Degiac Nado è stato desti nato al governo degli Arussi e dei paesi limitrofi al Benadir, dove prima vi era quel Lul Seghed che più volte fece delle scorrerie nel nostro territorio, e che, qualche anno fa, si spinse con i suoi soldati fino a pochi chilometri da Mogadiscio.

Questa nomina e quella di ras Gugsa sono quelle che hanno maggiore importanza per noi, poichè sa rebbero i capi dei territori confinanti con le no stre due colonie. Senonchè, pare che, a nomina già avvenuta, e quando ad Addis Abeba si credeva che ras Gugsa sarebbe partito da un momento all'altro per Macallè, questi si sia rifiutato in modo assoluto di allontanarsi dalla capitale, malgrado che la ca rica alla quale era stato destinato, sia certamente la più delicata e la più importante nelle attuali cir costanze. Ben inteso che è un posto di combatti mento sopratutto per uno scioano. Per questo e per la energia della quale ha dato prova gover nando il Beghemeder, e perchè è conosciuta la de vozione e l'attaccamento che hanno per lui i capi che ne dipendono, costituendo un nucleo di forze considerevole e assai compatto, sarebbe probabil mente stato scelto. Si era veduto in lui la mano

266 L'ITALIA
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Ras Gucsa non va nel Tigre 267

forte che, al momento opportuno, avrebbe saputo mettere a dovere gli indomabili tigrini.

Perchè si rifiutò di lasciare Addis Abeba ? Ras Gugsa, come è noto, è marito ad una figlia di Menelik che sposò una diecina di anni fa. La ragione addotta per tale rifiuto sarebbe il desi derio della figlia di non lasciare il padre morente. Che questa possa essere una ragione convincente, si capisce. Ma è la sola? Oppure ve ne sono altre, forse assai più gravi, e, principalmente, il deside rio di non allontanarsi dalla Capitale, dove, alla morte di Menelik, e per la sua parentela, e per le forze delle quali dispone, può essere chiamato ad avere una parte importante negli avvenimenti che si svolgeranno fra breve ?

Naturalmente tutti i capi si preparano, ma ognuno di essi cerca di nascondere più che può il proprio giuoco.

Intanto, siccome era stabilito di mandare al Ti grè un capo che uisponga di forze sullicienti e chie abbia un certo prestigio, si è pensato di sostituire ras Gugsa con ras Oliè. Il che potrebbe dimostrare come , fino ad oggi almeno, l'influenza della Regina Taitù sia ancora vivissima, o che abbia riacqui stata dopo il periodo di qualche mese nel quale, capi che notoriamente non hanno per lei molte simpatie, sembravano aver preso il sopravvento.

Viceversa la sostituzione di Degiac Balcia, con Degiac Tafari al governo dell'Harrar, sebbene, mo rendo, ras Maconnen avesse manifestato il deside rio che gli succedesse, farebbe credere tutto l'op posto .

Probabilmente al Ghebi ora si vive alla giornata , e nella lotta che si combatte intorno al Negus mo rente, le influenze si alternano, e predomina oggi quella che era ieri nulla o quasi.

Ras Oliè è già stato per qualche tempo governa tore del Tigrè succedendo al Maconnen nel 1910 ed il Martini, allora governatore dell'Eritrea, ebbe con lui rapporti amichevoli. Andrà ora a Macalle o ad Ascianghi -- dove si dice voglia fissare la sua resi denza animato dalle medesime intenzioni? Nes suno può affermarlo nè negarlo. Quasi sempre, come ho già avuto occasione di ricordare, alla morte del Negus, l'Etiopia è caduta nell'anarchia, e il nuovo sovrano ha dovuto conqui stare la corona con le armi alla mano. In com plesso, ogni giorno che passa, conferma sempre più l'impressione che lo stesso debba accadere que sta volta. Solamente tali lotte con le ingenti forze delle quali dispongono parecchi capi, con le centi naia di migliaia di fucili, e molti dei quali dei mo delli più perfezionati che vi sono ora in Abissinia, e con la facilità di procurarsi ancora armi e muni zioni , possono assumere un carattere che mai non ebbero fino ad ora, e dar luogo a sanguinosissimi conditi.

Ho già manifestato la mia opinione a proposito della mancanza di preparazione da parte nostra : mancanza di preparazione che appare tanto più evidente quando si guarda a quello che hanno fatto gli altri, sia dal punto di vista militare che dal punto di vista diplomatico. In un'altra pubblica

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zione (1) ho già avuto occasione di discorrere della nostra Legazione ul Addis Abeba, rilevando come, l'attuale titolare, il conte Colli di Felizzano, non sia, secondo me e secondo molti di coloro che hanno seguito lo svolgersi della nostra azione in Etiopia all'altezza della situazione. Del resto, pur riconoscendo le qualità non comuni del nostro mi nistro presso il Negus, tutti comprendono facil mente come non si possa da un giorno all'altro trasformare in un diplomatico, un brillante ulli ciale di cavalleria. Meno che mai poi in un paese nel quale i governi più interessati mandano, come rappresentanti diplomatici funzionari che hanno fatto le loro prove. Avevamo anche prima, lo so, un militare nel maggiore Cicco di Cola. Ma il Cicco di Cola per la simpatia, e più che la simpatia l'amicizia che gli dimostrava il Negus, si era formato una posizione veramente eccezionale. Tanto eccezionale, che aveva finito per dar ombra all' Harrington rappresentante di Sua Maestà Brittannica. Io non so se sia vero che il Cicco di Cola sia stato sacrificato perché era una rappresentante diplomatico che non faceva troppo comodo all'Inghilterra, giacchè malgrado la tradizionale amicizia, qualche volla non ha dissi mulato le sue impressioni e non ha sempre appro vato senza discutere la politica inglese in Abissi nia. Ma so che il richiamo del maggiore Cicco di Cola (mandato come ministro allo Siam per la lunga pratica che aveva delle cose d'Africa !) fu deciso nei

(1) Vedi: Il Benadir, 1907. F.lli Treves, Milano.

periodo nel quale l'austofilia e l'anglofilia ad ogni costo regnava alla Consulta, e che la notizia di tale richiamo fu accolta con grande soddisfazione al Fo reign office, il quale non lascia passare occasione per dimostrare anche con segni visibili, come sia grato all'Ufficio Coloniale della Consulta, dei servigi che rende... all'Inghilterra.

In ogni modo sta il fatto che mentre avevamo lag giù un rappresentante, il quale era, fra tutti i diplo matici, il solo al quale Menelik voleva veramente bene, e che, per conseguenza, aveva una grande im portanza, senza una ragione al mondo, lo abbiamo sostituito con un altro che per essere stato nello stesso posto in posizione subordinata, non può avere il prestigio necessario, ed al quale, facendo dell'iro nia, Menelik, quando gli parla di politica, porta sovente il discorso su questioni di cavalli... (1).

La politica inglese è abituata a mirare dritto per la sua strada, senza punto preoccuparsi degli amici: sacrificandoli anzi senza scrupolo alcuno se ciò gli conviene.

Appena incominciarono le prime nubi all'oriz zonte, l'Inghilterra ha mandato nella sua Somalia il colonnello o generale Wingate, col quale sbarca rono soldati e cannoni. Apparentemente erano an che queste delle precauzioni contro il Mullah. Ma

(1) Pare un epigramma! Nel secolo del 28 gennaio un lungo telegramma del suo corrispondente da Adis Abeba descrive le corse di cavalli che hanno avuto luogo nella capitale abissina in quel giorno, organizzate dal ministro d'Italia. Le corse scrive il corrispondente hanno avuto un grande successo e tutti si congratularono viva mente col Conte Colli di Felizzano.

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Dopo l'accordo a tre 271 tutti sanno come, per il momento, nulla vi sia a te mere dal Mullah lontano; e come , in ogni modo, non possono pensare ad inseguirlo con l'artiglieria. Ci vuol poco a comprendere che quei preparativi sono fatti in vista di eventualità le quali possano deci dere la Gran Bretagna ad intervenire.

Del îainoso accordo a tre, una parte, e certa mente la meno importante, è quella pubblicata. Ma nella parte segreta è evidente che l'Etiopia è già stata divisa in zone d'influenza nelle quali le tre Potenze interessate avranno una certa libertà di azione, se fosse necessario un intervento armato per por fine all'anarchia. Mentre però la Gran Bret, tagna, dopo aver apposto la sua firma a quel Trat tato, ha capito che da quel momento doveva preoc cuparsene onde non essere sorpresa, noi abbiamo creduto, come al solito, che tutto fosse finito e di nulla ci siamo più curati. Anche nella questione dei confini si vede la grande differenza fra il modo col quale s'intende la politica coloniale in Inghilterra e in Italia. Il Go verno di Londra, in vista delle complicazioni che possono sorgere alla morte del Negus ha certa mente cercato di affreltarne in tutti i modi la so luzione. Come è noto, fino al 1896 i confini dell'Etiopia erano molto incerti. Esistevano solo i due proto colli fra l'Italia e l'Inghilterra del 1891 (stipulati dal Rudini) che delimitavano le rispettive zorie di inuuenza coi paralleli e coi meridiani. Dopo Adua e proclamata l'assoluta indipendenza dell'Impero, furono subito iniziate dalle tre Po

tenze europee le trattative per fissare in modo più preciso i rispettivi confini.

Una carta inviata officiosamente dal Negus alle cancellerie europee in segno di protesta dopo i noti dissidi con l'Italia sorti dall'infelice trattato di Ucialli, rivendicava all'Etiopia una vastissima sfera d'influenza. A settentrione questa giungeva fino ad Halai e Debaroa nell'Eritrea, a Tomat e a El Kaua sul Nilo Bianco nel Sudan ; a ponente seguiva il corso del Nilo Bianco da El Kaua fino al Lago Al berto, cioè ai confini del Congo belga; a mezzodì seguiva il 2° grado di latitudine nord fino al Giuba, sotto Bordera, a levante da Lugh lasciava fino alla Somalia inglese una striscia litoranea all'Italia. Quindi buona parte del Sudan, dell'Uganda, tutto l'altipiano meridionale percorso dalla spedizione Bottego, la regione del Lago Rodolfo e l'Ogaden.

Le pretese in seguilo ri ridussero a più ragione voli limiti, poichè era assurdo sostenere contro tre potenze una così vasta espansione inadeguata alle forze dello Scioa.

La prima delimitazione (4 giugno 1897) fu rego lata nella colonia del Somaliland. Quivi l'Inghilterra cedette una buona parte del deserto Ogaden. Seguirono di poi la delimitazione con la Eritrea (10 maggio 1892) riducendo i confini ai fiumi Setit Mareb e subito dopo quella con il Sudan (15 mag gio 1902) che estendeva i dominii etiopici nelle pia nure sudanesi fino al medio corso del Sobat, af fluente del Nilo Bianco. Riconosciuta l'opportunità di regolare anche in confine meridionale, il Governo inglese nel 1907

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I confini col Benadir 273

e il Governo italiano nel 1908, stabilivano con Me nelik le linee di massima.

I commissari nominati dal Governo inglese e da Merelik e inviati a riconoscere le regioni indicate hanno compiuto l'ultima operazione, cioè la deli mitazione sul posto.

Quali siano nelle loro linee generali i contini italo-etiopici in Somalia e quelli anglo-etiopici nel Jubaland e nell'Uganda, è già noto. Le linee di mas sima non possono di molto scostarsi da quelle effettive combinate dai delegati nel riconoscimento della regione.

L'Impero etiopico verrà ad avere la formazione di un vasto quadrilatero assai meno grande della zona che pretendeva nel 1896, ma ancora tale da formare un grande Stato se, alla molte di Me nelik, fosse possibile al successore il miracolo di mantenere l'unità.

La commissione anglo -etiopica era da un anno sul posto per fissare materialmente sul terreno i confini a Nord di Lugh, ma, evidentemente, i lavori sono stati affrettati in vista della situazione dell'A bissinia e ai primi di gennaio un telegramma da Addis Abeba annunziò che erano compiuti.

Per quello che riguarda i confini italo etiopici dalla parte del Benadir, invece, nulla assolutamente si è fatto, malgrado che, dopo l'incidente di Bahalle, sia stata dimostrata l'assoluta necessità di definire una buona volta la questione. Il Trattato - quel famoso Trattato col quale dopo la strage di Ba hallè si sono risolute in massima le questioni fra il Benadir e l' Etiopia e fu stabilito di dare altri

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tre milioni a Menelik.,. per conservare Lugh che è sempre stato nostro fu ratificato nel luglio del 1908. I tre milioni furono versati, ma i con fini rimangono ancora tracciati solamente sulla carta. La commissione italo -etiopica che, a somi glianza di quella anglo-etiopica doveva andare su bito sul posto per procedere alla delimitazione non fu nemmeno nominata !

L'Unicio Coloniale sorpreso dall'annunzio del termine dei lavori della commissione brittannica, ha creduto di scusarsi dicendo che, per quello che ci riguarda, ogni cosa fu sospesa per la malattia del Negus... Ma la malattia nulla ha impedito agli altri ! La delimitazione sul posto, per noi ri vesie una importanza e un carattere di urgenza tanto più grande, in quanto che quella sulla carta, fatta con linee geografiche, può da un momento all'altro, dar luogo a gravi inconvenienti, con le fribù che si spostano e possono passare nel nostro territorio ed esservi inseguiti dai capi scioani quando cercano di sfuggire al pagamento dei tributi. La situazione diventerebbe ancora più grave il giorno nel quale, come pare sia intenzione -- o al meno lo fosse fino a poco tempo fa --- si procedesse anche alla occupazione di Dolo, compreso nel terri Lorio nostro, spingendosi così fino a monte di Lugh. Col disfacimento dell'Impero etiopico, e venendo a mancare il Negus che era riuscito ad imporsi, anche l'occupazione di Lugh, del resto, rappresenta un grande pericolo. Lugh dista dalla costa quasi venti tappe attraverso un territcrio inesplorato perchè non può dirsi conosciuto un territorio nel

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Lugh abbandonata 275

quale vi è un solo itinerario tracciato privo di acqua, con un clima caldissimo e malsano e, nel quale, in ogni modo, non vi è da pensare a portare delle truppe bianche. Dalla parte del fiume, per quanto si seguiti a dire che si finirà per potervi andare con delle imbarcazioni speciali, nulla si è fatto. La questione della navigazione, malgrado la società a questo scopo costituita è sempre allo stato di studio. Per cui se il Governo non frena le velleità dei nostri conquistatori africani da tavolino, ci si potrebbe nuovamente trovare di fronte a dolorose sorprese. Già due volte gli abissini hanno puntato verso Lugh. Una volta all'indomani di Adua quando la città fu valorosamente difesa dal capitano Fer randi con poche decine di ascari, e l'altra tre anni fa quando avvenne lo scontro di Bahallè.

Che cosa faremo se un bel giorno cinque o sei mila abissini bloccano Lugh, col modesto presidio di una compagnia che vi teniamo? E, si badi , che nel periodo dell'anarchia che può seguire alla morte del Vegus un tentativo similie da parte di qualche capo è un ipotesitutt'altro cheda escludere. Per tale complesso di ragioni la occupazione di Lugh non è stata da tutti approvata.

In ogni modo, dal momento che alla sua occu pazione ci si è decisi, dopo averla comperala, si doveva almeno pensare a fortificarla, e a metterla in condizioni da poter offrire una maggiore resi stenza. Invece, come al solito, nulla si è fatto. Vi si è mandato di presidio una compagnia e poi nes. suno vi ha pensato più. Non si sono fatti lavori per rinforzare quel muro a secco, che soltanto quando il

nemico non era armato di fucili poteva farla cre dere inespugnabile o quasi, non si è provveduto a farvi nè dei magazzini, nè un'infermeria, ecc. Nulla, assolutamente nulla vi fu fatto ed il presidio di Lugh si trova in tali miserevoli condizioni che quando il tenente di vascello Michiardo vi andò re centemente per impiantare la stazione radiotele grafica trovò che il Comando del Presidio aveva già da un pezzo esaurita la dotazione di chinino, per cui dovette mettere a disposizione la piccola scorta che egli ne aveva per il viaggio, anche questa, ben presto esaurita. Cosicchè tre ulliciali italiani, il Michiardi e i due del presidio e quindici mari nai (cittadini italiani e soldati di leva, verso i quali lo Stato ha dei doveri ai quali non può venir meno) sono rimasti per parecchio tempo a lavorare senza chinino, e ben inteso, senza medico, in un paese come Lugh, celebre per il suo clima malsano e per le febbri dalle quali, naturalmente, parecchi furono colpiti. A tale abbandono di Lugh corrisponde, mal grado il solito ottimismo di certi comunicati, la disorganizzazione della Colonia e la poca sicurezza che vi regna, conseguenza inevitabile di un anno e mezzo di regime provvisorio dopo il richiamo del governatore Carletti e del comandante di Giorgio. Nel piccolo esercito coloniale che abbiamo laggiù la disciplina lascia dinuovo a desiderare, e sono ri cominciati gli ammutinamenti; il brigantaggio in fierisce in tutta la Colonia, e le popolazioni nostre amiche sono taglieggiate dai dervisci il cui numero va sempre aumentando. I dervisci, nome che vien

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E

Il commercio dei fucili 277

dato ai seguaci del Mullah al Benadir, vuol dire oramai gente armata di fucile. Ancora qualche anno a il loro numero era scarso. Adesso ingrossa ogni giorno più grazie alla facilità con la quale in tutta quella parte dell'Africa ognuno si può procurare armi e munizioni. Dopo che l'Etiopia fu riconosciuta come Stato sovrano e indipendente e ammessa alla libera importazione delle armi nel suo territorio, gli abissini sono uiventati i grandi commercianti di fucili. Li acquistano in grosse partite e a poco prezzo a Giputi, da dove la ferrovia li trasporta fino all'Harrar e di là li distribuiscono per la ven dita fino nei paesi più lontani. L'Etiopia oggi è la grande fornitrice ui armi di tutta l'Africa, non pen sando che, a questo modo, prepara forse a sè stessa dei giorni tristi. Fino a poco tempo fa era il solo Stato africano che ne possedesse e quindi aveva quella superiorità che gli permetteva di debellare le popolazioni galla, con quei zemeccià dei quali ho parlato in altra parte di questo volume. Il giorno nel quale tutte queste popolazioni, come tante altre che mal soffrono il giogo degli abissini, saranno ar mate, non le riuscirà più così facile il tenerle a dovere.

Da tale punto di vista crescono ogni giorno anche per noi le difficoltà : poichè possiamo trovarci ad avere di fronte due nemici contemporaneamente. Il pericolo di complicazioni, a mio avviso, è forse maggiore dalla parte della Somalia che non per l'E ritrea. In quest'ultima Colonia, bene o male, vi è una organizzazione: abbiamo delle frontiere stabi, lite, dei forti, delle strade, dell'acqua, un clima che

permette di adoperare delle truppe bianche e un gran porto a Massaua come base di operazione. Nulla di tutto questo esiste al Benadir, e come di ceva, abbiamo, laggiù a Lugh, un presidio continua mente esposto e che non abbiamo modo di soc correre ove fosse minacciato. È impossibile pensare a truppe bianche le quali non possono affrontare il clima della Somalia; e, quanto all'esercito nero, non abbiamo nemmeno la forza sufficiente per di fendere seriamente le posizioni occupate a pochi chilometri da Mogadiscio il giorno nel quale fos simo attaccati da forze considerevoli !

La politica incosciente seguita in questi ulti mi quattro o cinque anni, dacchè cioè la Co lonia è passata nelle mani dello Stato, ha oggi il triste risultato di aver fatto perdere ogni prestigio al nome nostro in quelle regioni, nè valse, pur troppo, a rialzarlo qualche piccolo fatto d'armi al quale si è dato nei telegrammi ufficiosi una soverchia im portanza, nè l'occupazione di un tratto dell'Uebi Sce beli. Che effetto può avere su quelle popolazioni l'incendio di un villaggio, la sorpresa di una tribù, quando, vedono che all'indomani del massacro della colonna Molinari, Buongiovanni , noi si compera Lugh a danari sonanti? Che prestigio può avere il nome nostro fra quelle popolazioni che da anni as sistono a questo succedersi di governatori, uno dopo l'altro esautorati, ai dissidi e alle lotte fra le autorità locali alle quali non sa por freno quello che esse chiamano il Governo grande, cioè il Re d'Italia coi suoi ministri ? Indubbiamente è un caso senza pre cedenti nella storia coloniale quanto è accaduto, a

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Il terzo concorrente 279

proposito del dissidio Di Giorgio-Carletti, per il quale la Colonia è stata senza governatore effettivo e senza comandante delle truppe -- 0 per essere più esatto col governatore e col comandante delle truppe che se ne stavano in Italia per più di un anno ! E, per l'appunto, in un momento nel quale sarebbe stata più che mai necessaria una assidua vigilanza su quanto avviene nella Colonia e al di là dei con fini, e quindi il prepararsi attivamente agli avveni menti! Non solo per quello che fanno o possono fare gli abissini e i somali, ma anche perchè, da qualche anno, si è affacciato laggiù un concorrente nuovo che, come al solito, cercà in tutti i modi di insinuarsi, di prendere posizione per poi gettare la maschera al momento opportuno, e col pretesto di tutelare i propri interessi, creare ostacoli e difficoltà allo sviluppo di quelli delle altre Potenze europee che l'hanno preceduto.

Non è un mistero per nessuno comela Germania, da parecchio tempo, abbia cercato, in tutti i modi di amicarsi il Negus, e che vi sia stati un periodo nel quale la politica tedesca ad Addis Abeba aveva tro vato una eficace collaboratrice nella persona del I Imperatrice.

In Abissinia, come al Marocco, come in Persia, la politica tedesca ha seguito lo stesso sistema. Si è servita degli stessi mezzi, cercando prima di tutto di creare per mezzo dei suoi connazionali degli in teressi veri o fittizi, per avere una ragione di creare dei Consolati e delle Legazioni, e, finalmente per po ter mettere vicino al sovrano o come medici o come e

consiglieri, persone fidate le quali, quotidianamente, insinuano sospetti e diffidenzecontro le altre potenze europee, mostrando la Germania come la nazione più forte dell'Europa: come la sola che al momento opportuno potrebbe assumerne le difese contro le mire conquistatrici di tutte le altre. A Fez, a Tehe ran, ad Adis Abeba come del resto anche allo Siam dove il medico tedesco presso Sui Maestà è stato sostituito da un inglese, i diplomatici, gli uomini d'affari e i commercianti tedeschi sono gli amici dei nazionalisti i più ferventi, e incoraggiano sempre più o meno apertamente i partiti ostili ad ogni influenza europea. Dapertutto si svolgono epi sodi di quella rivalità Anglo-Tedesca sulla quale si impernia oramai tutta la politica mondiale. La Gran Brettagna si difende dagli attacchi che le vengono da tutte le parti e dalle iniziativediplomatiche mili tari e commerciali con le quali la Germania la mi naccia persino nei suoi stessi possedimenti. La po litica europea ha quindi una grande ripercussione sulla politica coloniale e questa su quella. È sempre per difendersi dalla intraprendenza germanica che l'Inghilterra dà la mano alla Francia a Fez rinun ziando alle velleità di conquista del Marocco che aveva accarezzato per tanto tempo, che stringe viep più i suoi vincoli d'amicizia con l'Italia ad Adis Abeha, e si rapacifica a Teheran con la Russia la sua secolare avversaria in Asia, facendo svanire d'un tratto il pericolo di quel duello fra l'elefante e la balena che per decine d'anni ha pesato come un in cubo sulla politica del mondo.

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Menelik e il Mullah 281

Laggiù, intorno al Ghebi, si è anzi affermata per la prima volta nell'accordo a tre, una triplice en tente africana nella quale l'Italia ha il posto della Russia, e che ha certamente giovato a stringere maggiormente i vincoli della triplice entente eu ropea.

Da tale situazione, un governo oculato avrebbe già potuto trarre notevoli vantaggi, e la posizione nostra nell'Eritrea, ma sopratutto dalla parte del l'Oceano Indiano, sarebbe ora diversa, se dal giorno nel quale quell'accordo fu stipulato, ci si fosse pre occupati di quello che può accadere ai confini delle nostre colonie, e l'azione nostra fosse stata ispirata ad un programma chiaro e definito : se si fosse rad doppiata la sorveglianza sulle mene di Menelik e di alcuni fra i grandi capi abissini, mandando a Mogadiscio uomini capaci, invece di lasciare per tanto tempo quella disgraziata Colonia abbandonata in mano a governatori senza prestigio e senza au torità, e poi per un anno e mezzo senza titolare ne per il governo della Colonia nè per il comando delle truppe come è accaduto ora. Per cui spesso le no tizie più gravi, le informazioni più delicate il Go verno ed il pubblico le hanno avute in Italia o da pri vati o da giornali esteri, delle cose nostre assai me glio informati di noi. Solo adesso, per esempio, ci si è decisi a fare qualche cosa, si è compreso la ne cessità di seguire quanto avviene anche nella So malia Settentrionale ! Fino a qualche tempo fa pa reva inutile il preoccuparsene, e non si dette im portanza nemmeno alle voci secondo le quali parve

che da Adis Abeba si fossero avviate trattative per un accordo col Mullah ! (1)

(1) Recentemente il nuovo Gabinetto presieduto dall'o nor. Sonnino ha nominato Governatore del Benadir il Se natore De Martino e il colonello Trombi comandante delle truppe facendo cessare quello stato di provvisorietà che durava da un anno e mezzo e mostrando di voler dare un assetto definitivo alla Colonia. Anche per la questione deg.i approdi al Benadir pare 'ci si avvii verso la soluzione Ji Giornale d'Italia, certamente bene informato, dava a que sto proposito notizie le quali confortano poichè fanno ve dere che il Governo si preoccupa della situazione e ha ia. ramente l'intenzione di fare qualche cosa. Pur troppo a molte cose malgrado tutto il buon volere dal quale il nuovo Gabinetto pare animato, non è più possibile rimediare. Ma la situazione nostra laggiù può cionon pertanto mutare rapidamente se stabilito un programma, e sia pure quel programma minimo col quale ci si deve proporre di non compromettere il futuro aspettando gli avvenimenti, lo si seguirà con costanza e fermezza.

La questione degli approdi, come diceva, è una di quelle alle quali si sarebbe dovuto pensare subito e non dopo vent'anni dacchè cioè la nostra bandiera sventola su quei lidi, e Brava era già stata da molti indicata come la località meglio adatta.

In questi giorni, scrive il Giornale d'Italia del 26 gen naio, il senatore De Martino, nuovo Governatore del Be nadir, ha tenuto delle adunanze con l'ing. Luiggi, ron l'ex Governatore del Benadir, comandante Cerrina -Ferroni e con il capitano Giavotto, (che ha lungamente studiato la questione portuale di quella Colonia) per concordare un programma che risolva la questione degli approdi e quella di un porto nel Benadir.

Come è noto è controversa la questione se si debba creare il porto diremo così ufficiale della Colonia a Brava o a Mogadiscio. Se non siamo male informati sarebbe pre valsa l'idea di creare il porto vero e proprio a Brava, li mitandosi a dotare Mogadiscio dei mezzi di più facile ap prodo.

Mogadiscio per la sua posizione naturale non si presta a diventare un buon porto. Le onde dell'Oceano Indiano amplissime sono costrette a restringersi e quindi ad acqni stare un'intensità in quella specie di cul-de-sac che è l'an prodo di Mogadiscio e determinano quindi quei pericolosis simi cavalloni che capovolgono sovente tutte le piroghe dei somali con grave danno delle persone e delle mercan .

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E

Ottorino Rosa, una delle poche persone che per il suo lungo soggiorno allo Scioa e all' Harrar co nosce profondamente la politica abissina e che già in altre occasioni, quando incominciavano al Be

zie. Ora le spese di frangiflutti e di altre opere portuali necessarie a ridurre Mogadiscio in buone condizioni siku rebbero troppo enormi e non avrebbero quel risultato che potrebbe offrire Brava già disposta naturalmente a diven tare un ottimo porto.

I marosi non sono gli scogli Scillani i quali si profi lano parallelamente alla spiaggia ed alla distanza dal'it spiaggia di circa un chilometro, formando così una mera vigliosa protezione naturale delle navi.

I marosi non sono a Brava così temibili come a Moga discio, sebbene anche a Brava allorchè vi è l'alta marea , quella linea di scogli resti sommersa e le ondate giungano lo stesso violente fino alla spiaggia. Tuttavia anche on l'imperversare dei venti alisei e cioè del Monsone vi è unt parte interna degli scogli Scillani che resta quasi sempre calma.

Occorrerebbe quindi come ebbe a dire giustamente il capitano Giavotto in un suo pregevole studio una spesa di circa otto milioni per ridurre Brava un modesto porto.

Le spese che si propongono sono : la cubatura del molo a forina di martello, un pontile che congiunga questo molo alla costa, la cubatura del molo orientale e la cubatura del molo meridionale.

Con la cubatura del molo a martello e la gettata di un pontile si otterrebbe subito un eccellente rifugio per le navi contro i venti alisei.

Con la cubatura del molo orientale si avrebbe subito un porto difeso dal monsone di Nord -Est utilizzabile per circa tre quarti dell'anno.

Con l'ultima opera della cubatura del molo meridionze si otterrebbe la totale difesa del porto anche dal domi nante monsone del Sud -Ovest.

Il porto di Brava si potrebbe utilizzare per uno spec chio d'aacqua di circa 80 ettari, dei quali solo una metà po trebbe essere destinata al ricovero delle navi di medio tonnellaggio.

Epperò la sistemazione definitiva di questa, come di altre questioni, è rinviata alla presenza in Colonia del Governatore senatore De Martino il quale intende di ren dersi conto di persona dei bisogni della Colonia .

Il porto di Brava 283

nadir gli atti di ostilità, diede informazioni preziose e avvertimenti, che se seguìti, avrebbe forse potuto evitare le dolorose sorprese che abbiamo avuto an che laggiù, qualche tempo fa fu il primo a dare la notizia di trattative. « Un siriano, egli scriveva, di fede mussulmana, certo Abdelkader ha già fatto due viaggi per abboccarsi col Mullah, e gli atti di ostilità dello sheik del Nogal contro i possedimenti inglesi, pare non sieno estranei a questi convegni. Ma la cosa più grave, per noi, aggiungeva il Rosa, sarebbe la voce che le trattative degli abissini col Mullah possano tendere a trovare il modo per dare all' Etiopia uno sbocco sull'Oceano Indiano, dalla parte di Illig, dove l'Italia ha concesso al Mullah dei diritti di sovranità... »).

Di quelle trattative non si è più sentito parlare. Ma ciò non vuol dire che ad Addis Abeba si sia ri nunziato all'antica aspirazione. Quando nell'impero regnava l'egemonia tigrina, era Massaua il porto al quale miravano gli abissini; oggi che l'asse del l'impero è spostata, è alla costa dell'Oceano Indiano che spingono lo sguardo. E l'incoscienza della no stra politica è arrivata fino al punto di favorire, in un certo momento, tali aspirazioni e di agevolarne il compimento !

Vi è stato chi, qualche anno fa, pensò di cedere al Negus uno sbocco al mare a Raheita. Il fatto del resto è già stato raccontato nei suoi particolari. Nella primavera del 1907 una proposta in questo senso, corredata da uno schizzo, giungeva all'As mara. E da questa proposta scriveva il corri spondente del Corriere della sera il Governatore

284 L'ITALIA E

Martini apprendeva e constatava come si potesse giungere ad offrire a Menelik, in compenso deimas sacri a danno di quei nomadi indigeni che noi con sideriamo come nostri soggetti e nostri protetti, lo sbocco sul mare .

La proposta che il Martini, a ragione, chiamò un infamia, non potè naturalmente essere messa ad esecuzione.

Ma il solo fatto che si sia potuto pensarvi, getta: una luce ben triste su ! modo col quale è stata con dotta fino ad ora la nostra politica coloniale, sui pe ricoli ai quali si potrebbe andare incontro se conti nuasse una tale incoscienza negli organi ammini strativi ai quali essa è allidata, tanto più in un paese nel quale la notizia di lali enormità, data da giornali autorevoli e diffusi, può lasciare perfet tamente indifferenti l'opinione pubblica e il Parla mento ...

Enormità ! 285

IND I C E.

I.

DIECI ANNI DI POLITICA COLONIALE.

PRIMA DI ADL'A .

Dopo il Congresso di Berlino Il movimento per l'espan sione coloniale in Lombardia Depretis e la politica coloniale L'on . Mancini I nostri bersaglieri a Mas sana Il primo passo Dogali La Spedizione San Marzano A Saati col generale Baldissera La Francia e la Russia contro di noi Impreparati ! Po litica Tigrina e politica Scioana Lo sdegno del po rero Toselli Menelik getta la maschera La rivolta di Batha Agos Il convegno al Mareb Mangascià gli incoraggiamenti dell' Inghilterra Inghilterra e Ita lia Il protocollo del 1891 I'n punto oscuro Navi la guerra russe a Obok Le manifestazioni dell'ac (orda russo -francese Il riserbo della Gran Bretagna Il patriottismo francese Per la rivincita L'azione dei francesi alla Corte di Menelik - Isolati ! La morte di Re Giovanni Dopo Amba Alagi Una lettera di Toselli 1 Pag.

II .

GLI ITALIANI ALLO SCIOA.

IL PRIMO TRATTATO .

La memoria di Sella -Selassie Una profezia che si è av verata Perchè Menelik non si fece incoronare ad Axum Ailù Malacot Lo Scioa vinto Il bambino

19

ETIOPIA

Menelik posto in salvo Dieci anni prigioniero Rie sce a fuggire Riconquista il regno Re Teodoro con tro di lui Dopo la presa di Magdala Un doppio giuoco Beniamino della fortuna La rivolta del de giac Kassa Il cristianesimo degli abissini Il Negus Giovanni Per sei ore esposto al sole La franchezza e il coraggio del prelato italiano fanno impressione sul Negus Il Re dello Scioa si sottomette Viaggiatori italiani allo Scioa Il marchese Antinori Le prime relazioni dell'Italia con lo Scioa Una lettera di Vit torio Emanuele La stazione di Left Marefia La So cietà geografica Il Conte Antonelli Diventa grande amico e consigliere di Menelik -- L'Antonelli deputato La strada per l'Aussa La morte di Antinori Il primo Trattato Pag. 31

III. MENELIK E LE DONNE.

ALLA CACCIA DEGLI SCHIAVI.

Come il Bianchi descrive Menelik Vuole sopratutto re gali L'esempio e i consigli di Taitù Non vi sono guanti per le sue mani Antonelli e la regina La cortigiana Bafanà Fogli in bianco col suggello realeIl primo matrimonio del Re Da un matrimonio all'al tro La biografia di Taitù pubblicata in Italia Il suo risentimento Le sue avventure Il ritratto che ne fece l'Antonelli Adulazioni dei francesi Carneficine con armi nostre ! Alla caccia degli schiavi Le sue spedizioni contro i galla Un zemeccià I prigio nieri La battuta Spettacolo orribile Sfilata din nanzi al Re I soldati che hanno ucciso ! La tenda di Menelik Le donne La rassegnazione dei vinti Le donne galla Il soldato e la sua prigioniera Il ritorno - I fannò Menelik tira al bersaglio contro i galla inermi Spostamento verso il Sud Le varie capitali Un carnaio Schiavi regalati a un ospite europeo ! Pag. 51

IV .

NEGUS NEGHESTI ?

L'ALL'TO DELL'ITALIA.

Una missione del Negus Johannes La proposta di un trattato L'occupazione di Massaua e Menelik An

290 L'ITALIA

Indice 291

tonelli non ne era stato avvertito! Una lettera del Ne gus Johannes a Menelik Taitù contro di noi Si mandano armi allo Scioa Menelik teme il Negus Non vuol compromettersi Si propone come paciere Menelik baldanzoso dopo la ritirata del Negus Ci chiede altre armi E anche soldati ! Si mette d'ac cordo con Tecla - Aimanot Alla morte del Negus Johan nes - Si proclama Negus Neghesti Mangasciò non lo riconosce - La missione di Makonnen in Italia L'in coronazione ad Antoito Pag. 79 CRONOLOGIA DELL' ERITREA Pag. 91 COMANDANTI E GOVERNATORI MILITARI E CIVILI NELL'ERITREA Pag. 104 1 .

LA ROTTURA CON L'ITALIA. PREFAZIONE ALLA GU'ERRA .

Il valore del Negus Teodoro e del Negus Johannes - Me nelik evita di mettersi in prima linea La cavalleria galla L'impresa dell'Harrar L'Italia invitata a im padronirsi dell' Harrar - La discussione alla Camera La ricca provincia Il Trattato d'l'cialli L'opera dei consiglieri francesi Gli ispirano la diffidenza contro l' Italia -- Fra Menelik e Antonelli La rottura 11 porto di Gibuti - Gl'italiani che erano all'Harrar Ma comen li tratta bene L'ingegnere Capucci Rudini e il Trattato Le sue intenzioni Il nostro plenipoten ziario lascia lo Scioa Il ministero Rudinì rende ine vitabile la guerra Apre trattative coi nemici del le gus I documenti di un Libro lerde- Le conseguenze del convegno del Mareb Il concetto del generale Gan dolfi Il nostro atteggiamento en Mangascià - Parole severe del generale Gandolfi ex governatore dell' Eri trea -- Gli agenti francesi Aiutano Menelik alla pre parazione della guerra Un francobollo ... politico Anche Ras Macounen si volge da un'altra parte La Missione Nerazzini Troppo tardi ! Pag. 107 IL TRATTATO DI ('CIALLI Pag. 129

VI.

L'ESERCITO ABISSINO .

I GRANDI CAPI.

L'importazione delle armi allo Scioa I cannoni di M. nelik e la sorpresa in Italia Succede ora lo stesso per

L'ETIOPIA

il Benadir Ne avevamo regalato anche noi ! Dopo la liberazione di Adigrat Tutto era ancora ripara bile La base del feudalismo nell'esercito I Ras Le ribellioni nella storia abissina · Il patriottismo abis sino non può esistere Come si mobilizzano le forze etiopiche Il bando imperiale Le promozioni La gerarchia militare L'accampamento Le donne e i quadrupedi Le tende del Negus L'attendamento reale... e l'industria italiana Ras Micael Ras Te samma Il fitaurari Apte Georghis Alle acque di Debra Libanos Medici stregoni Menelik peggio rato - L'allarme ad Addis Abeba Ras Oliè Un Ras ex Mussulmano - A Borumieda --- Nei Wollo -Galla Pag. 143

VII.

L'ACCORDO ANGLO - FRANCO - ITALIANO . MASSAUA ABBANDONATA !

La Francia a Obok Lo sviluppo di Gibuti Le ferrovie etiopiche La concessione ai frailcesi Il disinteresse apparente dell'Inghilterra Dopo la riconquista del Su dan Ferrovia dal Capo al Cairo Fachoda L'in fluenza brittannica ad Addis Abeba Il colonnello Har rigton L internazionalizzazione Una missione tede sca Come al Marocco Tre anni di trattative L ac cordo fra le tre potenze L'accordo e la questione del Nilo L'interesse dell'Italia La ferrovia dall'Eritrea al Benadir Di qui a cinquant'anni La burocrazia eritrea L indifferenza del Comando dello Stato Mag giore Il porto più importante del Mar Rosso Spese inutili all'Asmara La nuova ferrovia Berber-Port-Su dan Suakim abbandonata per Port Sudan Lo svi luppo da prendersi a danno di Massaua e dell'Eritrea Triste constatazione in un 'documento ufficiale Un discorso d lord Cromer L'Eritrea ha perduto del suo valore ! . Pag. 163

VIII.

L'IMPERATRICE TAITU".

LA PROCLAMAZIONE DEL SUCCESSORE.

Il nonno di Menelik La sua discendenza - La scomparsa di Maconnen La questione della successione come si presentava tre anni fa Il fratello dell'Imperatrice

292
L'ITALIA E

Indice 293

Candidatura abbandonata Il giuramento del triumvi rato Il Clero abissinio L'dua e l'Ecceghié La città Santa Il Vebrait Il santuario di Axum Il falegname Yaretti Il trono di Salomone La steri lità di Taitù Contro il triumvirato La Versailles scioana Il messaggio di Menelik al suo popolo La presentazione dell'erede Una scena commovente Menelik si spegne lentamente Ras Tesamma... si no mina reggente La proclamazione solenne con l'inter vento del clero Menelik III La funzione religiosa Un altro messaggio del Vegus moribondo L'assenza di Taitu Quel che avviene alla morte del Negus alla Ca pitale Le Legazioni in pericolo Le autorità non ne garantiscono la sicurezza Le manifestazioni di lutto Il cerimoniale per la tumulazione Ligs Jassù Dove è nato Come fu educato -- Suoi contatti con gli euro pei Il Luigi IX dell'Etiopia La sua opera incom pinta I possibili pretendenti alla successione, merosi nil Pag. 187

ELENCO DEGLI IMPERATORI D' ETIOPIA Pag. 223 IX.

AI CONFINI DELL' ERITREA.

U'NA BATTAGLIA FRA TIGRINI E SCIOANI.

Sarà rispettata l'autorità di Ras Tesamma? Gli ultimi mutamenti nel Tigre Degiac Abraha Un allievo del Tistituto internazionale di Torino Non è nostro amico per esto i'n colpo di mano Sul'Asmara Ma calle Il castello costruito dal falegname Prima di Amba Alagi! Degiac Sebath - Un veterano del tra dimento Il combattimento di Quoram Abrala pri gioiero Adua La crociata dei portoghesi Don Cristoforo Gama Un condottiero cavalleresco Gio vanni Kassa Come si diventa imperatori in Abissi nia - Il Tigre L'Eritrea e il Mareb Mellase' Il GO nemico Politica imprevidente Il malcontento delle popolazioni in Eritrea Mandano reclami a Menelik ! L'esercito eritreo Economie pericolose Come al so lito, impreparati ! Pag. 227

PICCOLO ELENCO DI PAROLE AMARICHE Pag. 253

X.

ASPETTANDO GLI AVVENIMENTI.

ALLE DOE FRONTIERE .

Una falsa notizia La nomina di ras Gussa Nel Tigre La scelta di ras Oliè Mancanza di preparazione Il maggiore Cicco di Cola Il nostro ministro ad Adis Abeba La questione dei confini col Benadir lacu ranza deplorevole Lugh abbandonata Senza chi nino ! -- Il commercio dei fucili in Abissinia I dervi sci Impossibile pensare a truppe bianche Dopo il fatto di Mahallè A proposito del dissidio Carletti-Di Giorgio Il terzo concorrente Come al Marocco e come in Persia Intorno al Ghcbi Trattative fra Me nelik e il Mullah ?... Per uno sbocco sul mare Enor mità incredibili... Pag. 203

294 T'ITALIA E
L'ETIOPIA

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PAOLO ARCARI

Un meccanismo Umano

SAGGIO DI ( XAVCOVA CONOSCENZA LETTERARIA in 3 Volumi

Pubblicato :

1. L'attività apprensiva .

Volunie in 8 L. 3.

In corso di stampa :

2. L'intensità sentimentale.

3. La capacità di trasformazione teoretica

.

« ... è veramente notevole non solo per l'acutezza dell'indagine, ma anche per la grande quantità di co gnizioni ch'egli pesca fuori ed allinea, senza parere, nell esanie di opere di letteratura e di teatro assai no tevoli e di pubblico dominio » . (Natura ed Arte - Milano).

( ....Non dimentichiamo che due volumi dell'opera debbono ancora venire. Sarà pertanto il più minuzioso e più penetrante lavoro d'indagine obiettiva che in

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Italia, e forse al mondo, si sia fatto su le operazioni mentali di uno scrittore. Più lungi dalla vera e propria analisi molecolare, come è qui fatta, ci sembra difficile spingersi ».

(Piccolo - Trieste).

Ad alcune critiche del Rizzi sul Corriere d'Italia : l'Arcari così rispose :

Caro Rizzi,

Quello che tu hai avuto l'amicizia di scrivere intorno al primo volume di Un meccanismo umano è più di un articolo: è l'invito, gratissimo a chi lavora, di accompagnare pur una volta la parola scritta incapace, diceva Socrate, di difendersi per sè medesima, di tutto il fremito di ideali e di aspirazioni che essa non compiutamente esprime e racchiude. Tu vorresti più perspicui nell'opera un fine di vero ed un significato di bello. Eppure quanto anelito in essa di co noscere per analisi e di contenere sintesi il vasto complesso di tutti i lavori che l'uomo compie di fronte al mondo, ap prendendolo dapprima, sentendolo poi con prestazione delle proprie forme affettive, assurgendo infine dai singoli dati nella sua percezione all amplesso universo di tutte le forme del reale!

Ho voluto quasi disegnare se fosse possibile in tal sorta d'indagini sostituire il segno grafico all'espressione verbale un atlante di psicologia. L'atlante anatomico che scopre la nostra struttura più stabile, la descrizione dei processi fisiologici, non ci danno ancora tutto l'uomo, ma la pianta umana, l'animale che più ci rassomiglia. Accanto ed in que sto microcosmo visibile e tangibile costituito dagli innumeri elementi che concorrono alla nostra personalità corporea, un altro ve ne è più meraviglioso che non si costringe nelle forme e solo parzialmente si rivela negli atti. L'uomo produce di continuo in sè stesso una rappresentazione dell'universo . Ogni individuo ebbe ed ha una sua data immagine della realtà che lo circonda. Microcosmo, dunque, non per la varietà e per la perfezione del suo essere fisico, ma in quanto miriadi di intuizioni convivono ed albergano in lui, ragione occulta di ogni opera, collegandosi e consistendo senza posa in un si stema di reciproche influenze.

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Si limuti pure l'uomo alle azioni più modeste, scriva del più tenue argomento, si isoli nel luogo più angusto, ogni palpito della sua vita crea e trasforma in lui i lineamenti di un mondo. Per chi abbia l'ansia di questa realtà nascosta ed irrigua quaisiasi letterato è un esemplare di « meccanismo di rappresentazione » ; degno di studio cioè non per quanto ha voluto e saputo rappresentarei, ma per il suo modo di rappresentare il mondo a sè stesso.

Infatti per afferrare questa rappresentazione del mondo non ci è concessa nè la necroscopia nè la vivisezione. A chi non voglia dedurre il meccanismo umano ma indurlo dalle conoscenze parziali non restano che l'interrogatorio, l'intro spezione e l'analisi delle scritture. L'interrogatorio e l'intro spezione hanno il difetto che avvertono il soggetto, lo ren dono canto, sospettoso, lo provocano alla deformazione. Me glio interrogare l'opera di mmo scrittore nella totalità delle immagini che esso presenta. E meglio di tutti un romanziere.

Ho considerato i romauzi così come li giudica Ippolito Taine, cioè ima grande inchiesta sull'uomo, un immenso ar chivio di rilievi di psicologia in azione. Così come li avrebbe considerati Giovambattista Vico che ha dato valore di storia alle creazioni poetiche, sentenziato « la fantasia altro non es sere che memoria o dilatata o composta ». A chi voglia pe netrare al di sotto delle apparenze l'invenzione è forse più attendibile delle narrazioni autobiografiche. Lo scrittore im maginando possibili contingenze della vita e probabili atteg giamenti di caratteri umani, estrae inconsapevolmente da se stesso le più occulte tendenze morali e mette in azione le più segrete affinità dell'essere. L'opera di un filosofo, in vece, mi avrebbe offerto da studiare sol l'ultimo dei lavori di un meccanismo umano, la sistemazione delle immagini, la rappresentazione concettuale.

Così, ottimo Rizzi, invece di dividere bruscamente intui zioni da concetti, allargo e ritardo sino ai tentativi del coor dinamento l'attività prefilosofica dello spirito, perchè non ri salgo alle cause. Non spiego. Cerco ed espongo i fatti. Non faccio derivare questo pensiero da questo affetto, non un sen timento da una sensazione. Addito le parentele, non le ori gini. Divido tutte le rappresentazioni che costituiscono l'opera letteraria nei loro regni, famiglie, generi, specie. Perciò tre volumi: sensi, senumento, pensiero.

Non sistema di filosofia, perchè me ne manca l'intento, non nuovo metodo perchè me ne difetta l'autorità : Un mee canismo umano è soltanto espressione del desiderio e del bi sogno di conseguire nuova mèta alle indagini sull'opera let teraria. Desiderio e bisogno già avvertiti da tanti valorosi, da te pure, amico mio, quando, invece di esibire nuove notizie

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su autori e su opere, ti rivolgi a studiare fenomeni extraper sonali, come il dissidio fra la passione e la fede nella lirica del cinquecento o l'abitudine di sentire e di indicare nel corpo « il bel velo dell'anima ».

Qui nella prefazione offerta al giudizio del pubblico, que sto indirizzo prende coscienza di sé, e un'opera solitaria viene ad affermare comunanze di propositi con indagini an tiche e future di amici e di ignoti, per quell ardore di fratel lanza intellettuale onde si nutre l arte e la scienza.

Propongo, infatti, la definizione di « conoscenza lettera ria » per quella disciplina che consideri i monumenti letterari non nelle loro doti estetiche, non nei loro intenti morali, non nella loro storia esterna, ma solo nella loro capacità di testi moniare l'interna immagine che uno spirito si forma de mondo. La storia della filosofia, quella delle altre discipline ci dicono che cosa gli uomini abbiano compreso, che cosa abbiano studiato, la storia civile ci racconta quali opere ah biano compiuto ; accanto ad esse la storia letteraria dovrebbe dirci come il loro spirito abbia riflesso la multiforme vita, l'infaticabile varietà dell'universo.

Tu domandi, poi, perchè io abbia scelto, fra tante contem poranee rappresentazioni del mondo, quella di Gerolamo Ro vetta. Ma come, senza stabilire i lineamenti della più semplice e normale, riconoscere di quanto siano più complesse, e come e in che eccezionali le altre? Come ascendere senza aver fis sato l'unità di misura ?

Occorre esaminare uno scrittore nel quale la rappresen tazione del mondo sia la più vicina, la più consona possibile a quella della comune degli uomini nel tempo nostro. Ora , le innumeri varietà degli scrittori si possono coll'arbitrio inseparabile da ogni classificazione ridurre a quattro. Vi hanno quei temperamenti i quali sono dominati dai problemi fondamentali dello spirito umano: la realtà esteriore non ha per essi valore che in quanto contesta o concorda colle aspi razioni più profonde dell'animo. Passano nel nostro tempo, nelle nostre città, fra le nostre lotte, ma vivono nell'anelito costante del tutto : veri « confessori del mistero », come In tonio Fogazzaro. Per altri, per « i testimoni della stirpe », come per il D'Annunzio, la realtà immediata si trasfigura pron tamente nella vicinanza di tutte le immagini del passato, nell'ascoltazione, sopratutto, degli istinti, delle ataviche aspi razioni della nostra gente. Diverso ancora Giosuè Carducci. Egli è posseduto interamente dalle memorie delle due Italie precedenti: è davvero il poeta della terza Italia perchè nes suna vicenda di questa gli si presenta mai allo spirito senza un imperioso, ineluttabile confronto con quelle delle altre due. Egli è il « confessore della storia ». Per modellare il

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meccanismo di rappresentazione dell'uomo normale, occorreva un artista che fosse interamente dominato dalle cose vicine, dai fatti contemporanei, che fosse « il testimonio dell'oggi » ; del periodo che passa, dell'apparente autonomia della vita, nell'ignoranza di ciò che lo ha preparato, così come un frutto che nasconde in sè il fiore d'ieri ed il seme di domani. Perciò ho scelto l'opera di Gerolamo Rovetta che con tanta fre quenza e con tanta concordia fu definita opera di un contem poraneo, di un uomo che passeggia sotto la galleria di Mi lano, sotto il Cidneo di Brescia, sul corso di Roma, che legge i nostri giornali, che parla il linguaggio non dell'accademia ma del salotto, che assorbe in sè le inconsapevoli tendenze della nostra civiltà, le palesa e non le discute.

Ma tu, come presentendo, in linea di atto, legittima la scelta del Rovetta a rappresentante dell'oggi, scendi più a fondo contestando che la rappresentazione normale e quoti diana del mondo possa meritare pena di studio.

Qui, caro Rizzi, debbo più fortemente dubitare che di troppo mi siano inancate le forze a tradurre il mio sogno! Indifferente ad ogni pregio dei libri che studiavo, freddo in nanzi ad ogni accenno di buono e ad ogni forma gentile, pur io tendevo l'anima ad una bellezza : come il botanico, distolti gli occhi dalla verzura dei prati e dalla magnificenza dei giardini, ritrova nuove armonie nei fragili talami dei fiori ; come, sordo alle beltà lusinghiere, perseguendo un intrico di vene e di nervi, può lo scienziato sussultare di stupore e di ammirazione. Ma io non dispero ancora.

Fisica
L. Volume in 8 3,50.
d'oggi Filosofia di domani

ADELAIDE COARI

Nicolò Tommaseo

Elegante volume in 16 L. 2.

La signiora Adelaide Coari ha ideato di raccontare brevemente la vita di Nicolò Tommaseo e di racco gliere in fascio molte pagine di lui, nell'intento di mo strare com egli abbia considerati gli argomenti intorno ai quali è più necessario che gli uomini si facciano una opinione. Il Fogazzaro, che dettò la prefazione al vo lume, pensa, che il Tommaseo non sia conosciuto dagli Italiani quanto sarebbe dovere : « Troppi ---- dice egli troppi ancora ignorano quale moralista insigne, qua le psicologo acuto e anche quale meraviglioso artista della parola sia stato questo bilioso a vicenda e soave, veemente e solenne, aspro e delicatamente amoroso con fessore cristiano » .

Si presenta, così, illavoro della sig. A. Coari, di viso in due parti: la prima, biografico critica; la conda, antologica. Scelti, dalle opere del Tommaseo, sono gli scritti che trattano dei seguenti soggetti : Re ligione, Preghiere, Antonio Rosmini, Roma e il Mondo, Educazione. La Donna.

(Rivista Coltura e Lavoro - Treviso).

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GIL'SEPPE MOLTENI

GLI ATEI

Romanzo L. 3.

Giuseppe Molteni, scrittore e critico efficace ed apprezzato, riafferma nel suo nuovo romanzo, Gli atei, il suo speciale temperamento letterario e la sua perso nalità artistica; dal punto di vista formale il progresso non è così evidente e tangibile, come invece per ciò che riguarda la ideazione sua personale del romanzo , lo sviluppo della tela attraverso cui i fatti sono disposti ed orditi, la osservazione psicologica delle figure create, la maggiore limpidezza dei propositi a cui il roman ziere ha mirato.

C'è insomma un reale e sensibile miglioramento qualitativo, poichè le eccellenti qualità della forma che spiccano sopratutto nella efficacia descrittiva, nelle nuan ces, nel cogliere i moti più impercettibili del sentimento, si sono già mostrate anche nei lavori precedenti.

Il romanzo è quindi un dramma psicologico, in cui l'autore ha saputo ancora una volta dare prova del suo talento di osservatore, di accorto e acuto conoscitore della psicologia.

Il pregio che subito salta agli occhi è l'efficacia nella descrizione, della posizione delle due anime, del l'opera erosiva, demolitrice che il marito esercita su

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le credenze della moglie; ma questo sarebbe un puro merito letterario, se l'autore non ci avesse narrato le conseguenze della vittoria del positivista sopra la cre dente, dando così un grande valore morale al romanzo. (Verona fedele).

Una rovina per la Via

Romanzo L. 3.

....In mezzo a questi giovani, che inspirano i loro atti alla fatuità in linea morale, all'indifferenza in linea religiosa, troppo facilmente le migliori qualità si ad dormentano!

Contro un tale. pericolo il romanzo del Bassi è una buona battaglia. Non ragiona, non declama, non predica. Ha in sè la forza dell'evidenza : e tanto basta.

E vorrei augurargli molti, molti lettori. Ma non oso. C'è troppa... logica. E la gente, in tema di mora lità, ha una cordiale antipatia per la logica.

Yon si sa mai! alcuni potrebbero anche conver tirsi !

(Unione - Milano ). GUIDO RUBETTI

La fine di un grande avventuriero

L. 1 .

L' INTEGERRIMO

Romanzo Volume in 16 L.2,50.

Pierre Le Rohu, ossia l'avvocato Ilari, di Rennes, ex battonier, uomo di toga e di penna valoroso, molto apprezzato nel suo paese per quelle l'ieillées brunes, co ronate dall'Accademia, e pei suoi romanzi, L'autre rive, Intègre, La faillite de Jacque Leblanc, e Le proces de Licette, non è un homo novus neppure pel pubblico italiano : infatti L'autre rive ebbe anche tra noi larga diffusione e suscitò vive polemiche, ed Intègre ebbe anche l'onore di una tradizione ed edizione nostrana. Coltivando l'arte e le lettere Pierre Le Rohu è sempre dominato e guidato da un criterio morale; l'estetica pura, l'arte per l'arte, il culto della bellezza in sè sono finzioni che questo scrittore ignora comple tamente. Tutta la sua passata produzione ne è una prova; come ne è una riconferma il recentissimo suo ro manzo, Contre le fiot, nell'Autre rive egli affronta la questione ardua e scabrosa dei doveri di un giovane credente innanzi alla morale sessuale; in Intègre egli fa della satira politica aspra e fierissima contro le ipo crisie e le violenze del giacobinismo imperante; la Fail lite non è se non il fallimento della scienza che ha pre sunto troppo dalle proprie forze e che ha creduto di poter fare a meno del sovrannaturale e della fede; mentre il Proces de Lucette è ad un tempo un'arguta analisi dei congegni frusti del meccanismo giudiziario ed un'abile avvisaglia contro il divorzio. Ora questo

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FRANCESCO COPPÉE dell'Accademia Francese Saper soffrire Seconda edizione italiana L. 1,50 Racconti delle Feste Volume in 16 L. I. I due volumi L. 2,20. VICO MANTEGAZZA NOTE E RICORDI Elegante volume di 350 pag. in 16 -- L. 4.
Contre le flot è una lancia spezzata contro il pregiudi zio barbaro e stupido del duello, e per l'intento che si propone e per certe affinità, inconsapute certamente, dello svolgimento ricorda molto il Duello del nostro Crispolti. (G. MOLTENI: L'Unione - Milano).

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