M ATTEO L UIGI N APOLITANO
Mussolini e la Conferenza di Locarno (1925) Il problema della sicurezza nella politica estera italiana
EDITRICE MONTEFELTRO
Questo saggio è stato pubblicato con un contributo del Consiglio Nazionale delle Ricerche.
© Editrice Montefeltro - 1996 Via Bramante, 42/a 61029 Urbino ISBN 88-85363-27-X
PREMESSA
Il presente lavoro è il frutto di studi avviati durante il Dottorato di ricerca in Storia delle Relazioni internazionali, che ho frequentato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università «La Sapienza» di Roma. Da tali studi è scaturita la dissertazione presentata all’esame finale per il conseguimento del titolo di Dottore di ricerca. Il lavoro è proseguito, in un secondo momento, nell’ambito di un corso di Post-dottorato presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Urbino. Durante questa mia esperienza ho contratto un inestinguibile debito di gratitudine verso molte persone, ripagabile solo con un immenso «grazie». Al mio maestro, professor Pietro Pastorelli, debbo gli insegnamenti, i consigli e le esortazioni prodigatimi durante tutti questi anni; senza la sua pazienza e comprensione, difficilmente questo libro avrebbe visto la luce. Alla dottoressa Fabrizia Toscano, direttrice della Biblioteca e del «Fondo Mario Toscano» del Dipartimento di Studi Politici della «Sapienza», debbo l’affettuoso incoraggiamento, il materno buonsenso usato nel condividere piccoli e grandi problemi, e la liberalità che mi ha permesso ampio accesso a prezioso materiale bibliografico. Al professor Francesco Lefebvre D’Ovidio debbo le giovevoli osservazioni espresse quando il presente lavoro era ancora in embrione. L’esperienza di post-dottorato, fatta ad Urbino si è giovata dello spirito di accoglienza di quella giovane Facoltà di Scienze Politiche, animata dal suo Preside, professor Giampaolo Calchi Novati. Oltre che a lui, il mio ringraziamento va al professor Raffaele D’Agata, incaricato di Storia delle Relazioni internazionali, e a quanti altri mi hanno incoraggiato nella fase conclusiva del presente lavoro. Non minore riconoscenza provo per colleghi ed amici di dottorato, di questo vero e proprio «Convivio» che per me è stata e resta la scuola romana di Storia delle Relazioni internazionali. I dottori Luca Micheletta e Luciano Monzali hanno letto il manoscritto e mi hanno arricchito di consigli e di osservazioni, con una passione e una competenza che sono loro dono naturale. I dottori Andrea Gabellini e Federico
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Scarano hanno discusso con me di varie questioni, dandomi ripetute prove di stima e di affetto. A tutti loro debbo l’inesausta voglia di stare insieme, di confrontarsi, di rafforzare i vincoli di un’amicizia di raro pregio. Altre persone mi hanno accompagnato nella gestazione di questo libro.Anzitutto la dottoressa Ornella Di Pumpo, che in qualità di moglie mi ha illuminato sulla recondita armonia esistente tra lavoro intellettuale e lavoro domestico, mentre in qualità di censore letterario ha letto tutto il manoscritto per eliminarne le contorsioni sintattiche. La professoressa Monica Tomassini ha invece provveduto a controllare l’attendibilità delle mie traduzioni dal tedesco. I Padri Gesuiti della Cappella Universitaria della «Sapienza», e gli amici Laura Bonanni, Claudia Vellucci, Giusy Pirolli e Giampiero Marzi, hanno seguito con il loro affetto tutto il travaglio. Non posso infine tralasciar menzione di quanti hanno facilitato le mie ricerche d’archivio durante questi anni, e soprattutto le dottoresse Cinzia Maria Aicardi, Paola Busonero, Raffaella Tursini e Stefania Ruggeri, dell’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri. A tutti va il mio cordiale ringraziamento. Naturalmente dei giudizi espressi e dei possibili errori ed omissioni, riscontrabili in questo lavoro, sono e resto l’unico responsabile. M ATTEO L UIGI N APOLITANO
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Alla cara memoria di Maria Marchese Siniscalchi, il cui amore per la vita ho amato.
Vedi, gli alberi sono, le case che abitiamo reggono. Noi soli passiamo via da tutto, aria che si cambia. E tutto cospira a tacere di noi, un po’ come si tace un’onta, forse, un po’ come si tace una speranza ineffabile. R AINER M ARIA R ILKE , Elegie Duinesi, II elegia
INTRODUZIONE
1. O SSERVAZIONI
INTRODUTTIVE
La prima vera riconciliazione francotedesca dopo l’ultima guerra fu suggellata da un gruppo di accordi firmati nel 1925 e passati alla storia come “Patti di Locarno”. Nel corso della trattazione esamineremo, con dovizia di particolari, il negoziato che, avviato dalla proposta di un patto di sicurezza avanzata dalla Germania all’inizio del 1925, portò alla firma di quegli strumenti giuridici dai quali promanò lo “spirito di Locarno”. Il tutto sarà visto da una particolare prospettiva, quella italiana, resa oggi alquanto più chiara dalla possibilità di accesso a nuove fonti, edite e inedite. Si arrivò a Locarno attraverso fasi complesse, che portarono ad un graduale “recupero” della Germania tra i ranghi delle grandi potenze europee. Ma ci si arrivò anche con il contributo della stessa Germania, la quale avrebbe desiderato realizzare un sistema che fosse accettato dai vincitori, ma anche onorevole per i vinti. Un primo tentativo in tal senso sarebbe stato compiuto alla fine del 1922 dal Cancelliere Cuno. Un secondo tentativo sarebbe stato esperito in circostanze ben diverse, dando vita a quel negoziato che portò ai Patti di Locarno.
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2. LA
LETTERATURA SU
LOCARNO: BREVI
CENNI
Su Locarno molto si è scritto. Limitando l’esame a ciò che più da vicino riguarda l’Italia, ci si trova comunque di fronte ad una consistente mole di saggi. Svariati contributi giunsero “in tempo reale”, e tra questi va ricordato l’articolo di Vittorio Scialoja apparso su «Gerarchia» del novembre 1925 (vigilia della firma dei Patti) 1. Scialoja fece parte della delegazione italiana alla Conferenza di Locarno e spese non poche energie nel definire punti di non secondario interesse per l’Italia. Sempre opera di giurista è l’articolo di Nicolae Politis su Les Accords de Locarno 2. Una certa notorietà ha meritato il libro dello Strupp, primo approccio documentario alla questione (mercé l’utilizzo del “Libro Bianco” tedesco) 3.Vi è inoltre lo studio del polacco Kulski circa il Problème de la Sécurité depuis le Pacte de la Société des Nations 4, in cui emerge chiaramente la critica al sistema locarnista, per il fatto di non garantire la frontiera orientale tedesca alla stregua di quella occidentale, nonché le problematiche legate al futuro dei patti («firmare è nulla, eseguire è tutto») 5. Si ricorda poi il volume di Wheeler-Bennett e Langerman 6, con una dettagliata e immaginifica analisi di una «sinfonia di Locarno» suddivisa in otto movimenti, che sono altrettante fasi, dalla proposta tedesca alla ratifica dei patti 7. Nella collana Survey of International Affairs Macartney ed altri hanno dedicato a Locarno il secondo dei due volumi per l’anno 1925 8. Agli albori degli anni Trenta è apparsa la pregevole raccolta di Studies in Diplomatic History dell’Headlam-Morley. Se si esclude il saggio sui Treaties of Guarantee, apparso sul «Cambridge Historical Journal» nel 1927, trattasi di una collezione di memoranda preparati per il Foreign Office (di cui l’Headlam-Morley era consigliere storico), apparsa postuma ad opera della vedova e della figlia dell’illustre studioso 9. Sui Patti di Locarno ha scritto anche il Solmi nel volume Italia e Francia, edito nel 1931 10, in cui si valuta positivamente la figura di Stresemann e la sua determinazione nel ricondurre la Germania tra le nazioni, facendo di Locarno il «principio di revisione e di attenuazione del trattato di Versailles» 11, mentre la garanzia italiana metteva Francia e Belgio «in una botte di ferro» 12. A dieci anni esatti da
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Introduzione
Locarno Francesco Saverio Giovannucci diede alle stampe il suo studio dedicato al problema della sicurezza dal 1919 al 1925 13. Basato su atti parlamentari e su libri di colore 14, questo saggio del Giovannucci costituisce a tutt’oggi un riferimento sicuro, tanto per lo storico che per il giurista. Nel secondo dopoguerra i Patti di Locarno non han cessato di essere tema d’indagine. Del 1952 è il sesto volume della biografia di Briand scritta dal Suarez con l’ausilio delle carte private del grande statista francese, e afferente al periodo 1923-1932. Il volume, interessante per temi quali i rapporti tra Parigi, Londra e Mosca, tocca da vicino anche la politica estera italiana 15. Sulla politica di Chamberlain abbiamo l’articolo del Johnson 16, mentre l’ottimo volume del Wandycz si occupa delle alleanze orientali della Francia, dal 1919 al 1925 17. La Orde ha prodotto un consistente saggio su The Great Britain and International Security, in cui tutto il negoziato locarnista può seguirsi specialmente grazie alle carte del Public Record Office 18. A tale saggio ha fatto seguito una più larga analisi su British Policy and European Reconstruction 19. Va ricordato inoltre il Jacobson, che nel suo saggio sulla Locarno Diplomacy compie un’ampia disamina della politica europea e in particolare di quella tedesca 20. Un’analisi dei Patti di Locarno trovasi anche nell’ottimo studio del Krüger, intitolato Die Außenpolitik der Republik von Weimar 21. Per ciò che riguarda più da vicino l’Italia, va citato anzitutto l’importante studio del Di Nolfo, basato su fonti primarie e secondarie 22. Non manca poi un contributo del Moscati, che evidenzia la difficile dialettica tra il “duce” e la “carriera” e i differenti gradi di sensibilità sui problemi del momento 23. L’aspetto revisionista della politica mussoliniana è parso evidente al Rumi, nel quadro di una politica espansionistica condotta tra le due guerre 24. Ha toccato il problema del patto renano anche il Pastorelli nel suo studio su Italia e Albania, rilevando i limiti del sistema locarnista, i difficili rapporti tra diverse correnti di Palazzo Chigi, nonché la ricerca da parte di Mussolini di un ruolo specifico per l’Italia nell’applicazione dei princìpi di Locarno all’Europa centro-orientale 25. La problematica questione del Brennero ha affrontato il Toscano nella Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, utilizzando un consistente numero di fonti archivisti-
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che (di particolare rilievo è un telegramma di Mussolini a De Bosdari, datato 14 maggio 1925) 26. Di poco posteriore è il documentato libro del Carocci su La politica estera dell’Italia fascista 27, ove si evidenzia la tendenza di Mussolini ad affrontare la politica estera su un piano diverso da quello domestico e si propone la tesi di un rapporto di causa-effetto tra snazionalizzazione dell’Alto Adige e propensione tedesca all’Anschluss. Di rilievo è anche il saggio del Cassels sulla Mussolini’s Early Diplomacy, con ampi cenni al carattere ideologico della politica estera di Mussolini, più affine al nazionalismo tedesco che a quello francese, e protesa verso continui successi di prestigio 28. Sui patti di Locarno si è poi soffermato il De Felice in una parte della sua monumentale biografia di Mussolini, e specialmente nel capitolo intitolato Alla ricerca di una politica estera fascista, dove si esamina tra l’altro il rifiuto opposto dal “duce” alla garanzia francese sulla frontiera del Brennero 29. Si vuol menzionare anche il contributo di Rodolfo Mosca al volume celebrativo del cinquantennale dei Patti di Locarno, in cui si fa una disamina anche del periodo precedente 30. Si segnala poi l’articolo di Sally Marks su Mussolini and Locarno del 1979, basato su inedito materiale archivistico inglese e francese, e su svariati altri documenti editi 31. Dei patti di Locarno si è anche occupato il Lefebvre D’Ovidio, tracciando i precedenti dell’Intesa italo-francese del 1935, con documenti d’archivio inglesi ed italiani. A lui dobbiamo la pubblicazione di un importante appunto di Contarini sul problema della sicurezza 32.
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Introduzione
3. FONTI
DEL PRESENTE LAVORO
Il presente studio, oltre che sulla storiografia di cui si è già dato breve cenno, si basa sui documenti diplomatici editi in Italia e all’estero. Nei primi anni Sessanta si pubblicarono la Serie Settima (1922-1935) dei Documenti Diplomatici Italiani e il secondo tomo dei Documents Diplomatiques Belges 33. Videro poi la luce il primo volume della Serie IA 34, il ventisettesimo della Serie I dei Documents on British Foreign Policy, e i British Documents on Foreign Affairs (raccolta di documenti riservati del Foreign Office) 35. Per ciò che riguarda la Germania, è recente il completamento della Serie A degli Akten zur Deutschen Auswärtigen Politik (1918-1925) 36; mentre per ciò che concerne la Francia, è prevista a medio termine la pubblicazione dei documenti delle serie Y-Internationale e Z-Europe (1918-1929), ove trovasi molto materiale di nostro interesse 37. Si possono ad ogni modo consultare i Livres Jaunes, i quali offrono non pochi chiarimenti sulla politica francese in rapporto al problema della sicurezza 38. Il presente studio è basato anche su carte inedite. Presso l’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri sono state consultate, in particolare, quelle dell’Archivio di Gabinetto (1923-1943), riordinate anni or sono 39. Si è riservata particolare attenzione alla documentazione del Gabinetto del Ministro, della Segreteria Generale e degli uffici dipendenti (specialmente l’Ufficio Coordinamento e Segreteria e l’Ufficio Trattati e Società delle Nazioni). Non si sono inoltre trascurate le carte del fondo Rappresentanze diplomatiche, con riguardo segnatamente agli archivi delle ambasciate di Londra, di Parigi e di Berlino. Non meno interessante è risultata la consultazione delle carte dell’Archivio Centrale dello Stato, con particolare riguardo al carteggio riservato della Segreteria Particolare del Duce, agli Autografi del Duce, nonché alle carte degli archivi privati di varie personalità. Di utile consultazione sono risultati anche i fondi dell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, ai fini di chiarire alcuni aspetti del tema considerato. L’indagine è stata condotta altresì sugli Archives Diplomatiques del Ministero degli Affari Esteri francese. Si sono in special modo consultati
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vari volumi della serie Internationale (numericamente ordinati) e della serie Europe (1918-1929) (con sottoserie per paesi e questioni) 40. Tenendo presente tutto questo materiale documentario, è ora possibile iniziare la disamina del nostro tema, partendo dalla proposta tedesca di un patto di sicurezza, sottoposta all’inizio del 1925 ai due grandi vincitori dell’ultima guerra: la Gran Bretagna e la Francia.
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V. SCIALOJA, Il Trattato di Locarno, in «Gerarchia», novembre 1925. N. POLITIS, Les Accords de Locarno, in «Révue de Droit International et de Législation Comparée», 1925, pp.713-731. K. STRUPP, Das Werke von Locarno, Dresden-Berlin, 1926. L. KULSKI, Le problème de la Sécurité depuis le Pacte de la Société des Nations (1918-1926), Paris: Pedone, 1927. Ibidem, p.310. J. W. WHEELER-BENNETT - F. E. LANGERMAN, Information on the Problem of Security (1917-1926), London: Allen & Unwin, 1927. I “movimenti” sono così disposti: 1°) Offerta tedesca del 9 febbraio 1925; 2°) Risposta degli alleati alla Germania (12 maggio-16 giugno); 3°) Risposta tedesca agli alleati del 20 luglio ed opinioni generali sui problemi conseguenti; 4°) Visita di Briand a Londra e nuova nota alleata del 26 agosto; 5°) Conferenza dei giuristi di Londra (31 agosto-4 settembre); 6°) Reazioni in Europa, segnatamente in Polonia ed in Cecoslovacchia ai patti in gestazione; 7°) Conferenza dei ministri, parafatura e firma dei Patti di Locarno (6 ottobre - 1°dicembre); 8°) Ratifica dei Patti ed entrata della Germania nella Società delle Nazioni (marzo-settembre 1926). C. A. MACARTNEY & OTHERS, Survey of International Affairs 1925, vol.II, Oxford: Oxford University Press-London: Milford, 1928. Come viene spiegato nella prefazione di Gathorne-Hardy, Macartney si è occupato delle parti relative al problema della sicurezza e del disarmo, nel quadro degli affari mondiali, degli affari europei (con particolare riferimento alle vie d’acqua navigabili), e di quelli dell’Europa occidentale, settentrionale ed orientale. Delle parti rimanenti si è occupata la Boulter, all’epoca assistente di Toynbee, al quale si deve il primo volume del Survey, relativo al mondo islamico dal 1919 in poi. J. HEADLAM-MORLEY, Studies in Diplomatic History, London: Methuen, 1930. A. SOLMI, Italia e Francia nei problemi attuali della politica europea, Milano: Fratelli Treves Editori, 1931. Ibidem, p.44. Ibidem, p.46. F. S. GIOVANNUCCI, Locarno (con 32 documenti e 20 illustrazioni), Roma: Edizioni «Roma», 1935. Il Giovannucci si rammaricava tuttavia di non aver potuto disporre, al pari dello Strupp, del “Libro bianco” tedesco, pur avendolo chiesto a Berlino (cfr.nota 1 a p.87). G. SUAREZ, Briand, vol.VI (1923-1932), Paris, 1952. D. JOHNSON, Austen Chamberlain and the Locarno Agreements, in «University of Birmingham Historical Journal», 1961, pp.62-81. P. S.WANDYCZ, France and Her eastern Allies, 1919-1925, Minnesota, 1962
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A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, London: Royal Historical Society, 1978. A. ORDE, British Policy and European Reconstruction after the first world war, Cambridge: Cambridge University Press, 1990. J. JACOBSON, Locarno Diplomacy: Germany and the West, 1925-1929, Princeton: Princeton University Press, 1972.Va detto però che inspiegabilmente l’Autore omette di citare, tra le Government Publications, i Documenti Diplomatici Italiani, di cui all’epoca del suo saggio erano usciti ben sette volumi nella Serie Settima. Per tutte le informazioni relative alle fonti utilizzate, si veda la prima parte della bibliografia alle pp.391-394. P. KRÜGER, Die Außenpolitik der Republik von Weimar, Darmstadt: Wissenschaftliche Buch Gesellschaft, 1985. E. DI NOLFO, Mussolini e la politica estera italiana (1919-1933), Padova: Cedam, 1960. R. MOSCATI, Locarno, il revisionismo fascista, il periodo Grandi e la nuova fase della politica estera, in AA.VV., La politica estera italiana dal 1914 al 1943,Torino: ERI, 1963, pp.92117. In un altro saggio, sempre contenuto nella suddetta raccolta, il Moscati evidenzia il progressivo scioglimento della «raison sociale Mussolini-Contarini», a causa del consolidamento del regime fascista. R. MOSCATI, Gli esordi della politica estera fascista. Il periodo Contarini-Corfù, ibidem, pp.77-91. G. RUMI, “Revisionismo” fascista ed espansione coloniale (1925-1935), in «Il movimento di liberazione in Italia», 1965, pp.37-73. P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927. Origini diplomatiche del Trattato di Tirana del 22 novembre 1927, Firenze: Biblioteca della Rivista di Studi Politici Internazionali, 1967. M. TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, Bari: Laterza, 1967 (II ed. 1968). G. CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista (1925-1928), Bari: Laterza, 1969, spec. il cap.IV. A. CASSELS, Mussolini’s Early Diplomacy, Princeton: Princeton University Press, 1970. Si ricordi, sempre del Cassels, l’articolo Mussolini and the German Nationalism, 19221925, in «Journal of Modern History», 1963. R. DE FELICE, Mussolini il duce I: gli anni del consenso,Torino: Einaudi 1974. R. MOSCA, Locarno e l’Europa di Versailles, in R.MOSCA-M.AGLIATI, Ottobre 1925: L’Europa a Locarno, Locarno 1975, pp.1-62. S. MARKS, Mussolini and Locarno: Fascist Foreign Policy in Microcosm , in «Journal of Contemporary History», 1979, pp.423-439. F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italo-francese del 1935 nella politica estera di Mussolini, Roma 1984 (s.i.p.). I Documenti Diplomatici Italiani, Serie Settima, voll. III e IV, Roma, rispettivamente 1959 e 1962; Documents Diplomatiques Belges: La Politique de Sécurité extérieure 1920-1940, Tome II, Bruxelles 1964.
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Documents on British Foreign Policy (d’ora in poi, DBFP), Series IA: vol.I, London: His Majesty’s Stationery Office, 1966; Series I: vol. XXVII, London: His Majesty’s Stationery Office, 1986 (ma vedasi anche il XXVI, London: His Majesty’s Stationery Office, 1984). K. BOURNE - D. C. WATT (a cura di), British Documents on Foreign Affairs: Reports and Papers from the Foreign Office Confidential Print, Frederick MD 1988. Akten zur Deutschen Auswärtigen Politik (d’ora in poi, ADAP), Serie A (1918-1925), Göttingen:Vandenhoeck & Ruprecht; in particolare: Band XII, 1994; Band XIII e Band XIV, Göttingen 1995. V. anche Das Schlussprotokoll von Locarno und seine Anlagen, Berlin 1925; Locarno-Konferenz, eine Dokumentensammlung, Berlin (Deutsche Demokratische Republik, Ministerium für Auswärtige Angelegenheiten) 1962; Materialen zur Sichereitsfrage, Berlin 1925; nonché gli Akten der Reichskanzlei: Weimarer Republik, Boppard, 1968-. Cfr. P. ENJALRAN, Documents diplomatiques, objectifs politiques et rigueur scientifique: Reflections tirées de l’expérience française, in J. HILLIKER - M. HALLORAN (Eds.), Diplomatic Documents and their Users, Ottawa: Department of Foreign Affairs and International Trade, 1995, pp.65-74 (spec. p.72). MINISTÈRE DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES, Pacte de Sécurité I . Neuf pièces relatives à la proposition faite le 9 février 1925 par le Gouvernement allemand et à la réponse du Gouvernement français (9 février-16 juin 1925); IDEM, Pacte de Securité, II. Documents signés à Locarno le 16 octobre 1925, Paris, Imprimerie des Journaux Officiaux, 1925. Per un periodo anteriore si veda IDEM, Documents relatifs aux Négociations concernant les Garanties contre une Agression de l’Allemagne, 10 janvier-7 décembre 1923, Paris: Imprimerie des Journaux Officiaux, 1924. Si veda sul tema, P PASTORELLI, Le carte di Gabinetto del Ministero degli Affari Esteri (1923-1943), in «Storia delle Relazioni Internazionali», 1989, pp.313-348. Si rimanda alla guida alle abbreviazioni nonché alla parte relativa alle fonti per ulteriori dettagli sulle carte archivistiche utilizzate.
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CAPITOLO I.
LA NOTA TEDESCA DEL 20 GENNAIO 1925. LE REAZIONI IN GRAN BRETAGNA ED IN FRANCIA.
1. CENNI
SULLE ORIGINI DIPLOMATICHE DELLA NOTA TEDESCA
La Germania sconfitta nella prima guerra mondiale era stata gravata da numerosi obblighi, sanciti nel Trattato di Versailles. I primi 26 articoli, degli oltre quattrocento, di questo trattato riproducevano lo Statuto della Società delle Nazioni, o Covenant, i cui princìpi ispiratori impegnavano dunque anche la Germania, pur non facendo essa parte della nuova organizzazione internazionale 1. La Germania considerava il Trattato di Versailles una pace dura ed ingiusta imposta dai vincitori. Passò alla storia la locuzione Diktat, con cui i tedeschi sintetizzarono precisamente un tale giudizio politico. Anche nell’era wilsoniana, della diplomazia aperta e della democrazia, la storia dimostrava che il vincitore di una guerra dettava legge e soggiogava il vinto. Quest’idea che la Germania aveva della pace di Versailles riguardava diversi articoli del trattato. Le frontiere della Germania vennero profondamente modificate. Essa dovette cedere alla rinata Polonia un “corridoio” che assicurò a questa lo sbocco al Mar Baltico e quella separò dalla Prussia orientale. La città di Danzica divenne città libera sotto l’egida della Società delle Nazioni, ma dal 1920 fu compresa nell’area doganale polacca. Essendo il corridoio abitato da popolazioni prevalentemente tedesche (di Posnania e di parte della Slesia), furono poste così le basi per future turbolenze in Europa centrale; sintomo ne fu un plebiscito che, pur dando l’Alta Slesia alla Germania, venne disatteso perché la Polonia occupò la regione. A nord la Germania perse Memel in favore della Lituania, ma anche lo Slesvig meridionale che,
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sempre con plebiscito, fu assegnato alla Danimarca. Ad ovest, la perdita più consistente fu quella dell’Alsazia e della Lorena, che tornarono alla Francia dopo quasi mezzo secolo. Alla Germania inoltre fu imposto l’obbligo di smilitarizzare la Renania; il rispetto di tale obbligo fu garantito con l’occupazione da parte degli alleati di tre “teste di ponte”, nelle zone di Colonia, Coblenza e Magonza. Si sarebbe proceduto ad evacuare la prima zona nel 1925, e le altre due ogni 5 anni, sempre che la Germania desse sufficienti assicurazioni. L’amministrazione del territorio della Saar, un ricco bacino minerario, fu assunta dalla Società delle Nazioni per 15 anni, ma prevedendo l’unione doganale con la Francia e il controllo delle miniere da parte di questa. Non meno dure furono per la Germania le perdite di natura coloniale. I suoi territori finirono sotto il “regime dei mandati”, un’amministrazione che la Società delle Nazioni delegò alle potenze vincitrici per favorire la progressiva “emancipazione” dei popoli già colonizzati. In Estremo Oriente l’Australia (membro del Commonwealth) ebbe il mandato sulla Kaiser Wilhelm Land (parte della Nuova Guinea) e sulle isole Bismarck e Salomone; alla Nuova Zelanda (Dominion britannico) toccò di amministrare le Samoa occidentali; i giapponesi ebbero le isole Marianne, Marshall, Caroline e Bikini; gli inglesi ricevettero il mandato sulle Nauru. Sempre agli inglesi spettò in Africa il mandato sulla metà occidentale del Togo, su una porzione del Camerun e sull’“Africa orientale tedesca” (il Tanganica); il Belgio ottenne un piccolo mandato sul Ruanda Urundi, mentre all’Unione Sudafricana (facente parte dell’Impero britannico) spettò quello sull’“Africa sud occidentale tedesca”. La perdita delle colonie, insieme alle altre perdite territoriali, sembrava la prova eclatante di una “discesa agli inferi” imposta ai vinti della guerra mondiale. Ma altre clausole della pace, non meno gravose, diedero alla Germania il senso del perduto splendore. Ad essa fu vietato di unirsi politicamente all’Austria, su cui incombeva un obbligo corrispondente (articoli 80 di Versailles ed 88 di Saint-Germain). Inoltre clausole militari, navali ed aeree ridussero il paese ad una temporanea impotenza, prevedendo la smobilitazione di effettivi e di quadri, l’abolizione del servizio di leva, e la riduzione
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Capitolo I – La nota tedesca del 20 gennaio 1925
delle forze armate al minimo compatibile con il mantenimento dell’ordine pubblico. Il disarmo imposto alla Germania fu comunque considerato dal trattato come prologo di una generale limitazione degli armamenti. Il Trattato di Versailles prevedeva inoltre una singolare sanzione: la messa in stato di accusa dell’Imperatore Guglielmo II e di quanti fossero considerati dagli alleati rei di «atti contrari alla legge ed ai costumi di guerra» (così l’art.228). Era, questo, un aspetto di notevole rilevanza politica; infatti il supremo accusato dello scoppio del conflitto mondiale era un sovrano, ritenuto colpevole di aver offeso «la morale internazionale e la sacra autorità dei trattati» (secondo la lettera dell’articolo 227); a lui doveva perciò essere negato asilo, e chi lo ospitava (il governo olandese) avrebbe dovuto riconsegnarlo agli alleati. Ma colpendo il Kaiser venivano colpiti anche i princìpi di autorità e di disciplina della tradizione prussiana, e perciò tutto il popolo tedesco, che al suo Imperatore aveva obbedito nel bisogno estremo. Era come se la responsabilità morale del Kaiser ricadesse sui suoi sudditi. Sotto questa luce può comprendersi il tenore dell’articolo 231 di Versailles, che apriva il capitolo delle riparazioni, e con il quale i vincitori costrinsero la Germania a riconoscersi responsabile dello scoppio della guerra. Fu tale articolo a provocare in Europa un lungo dibattito sulla “colpa di guerra”, o Kriegsschuldfrage, proprio per il fatto che di tale colpa i tedeschi sempre desiderarono liberarsi 2. Tutto l’aspetto delle riparazioni non era meno criticabile per la Germania. In primo luogo il termine stesso, “riparazioni”, era una novità dal punto di vista politico e giuridico. Esso infatti mutava la classica figura dell’indennità di guerra in un obbligo morale, derivante da quella responsabilità di cui la Germania era gravata. In secondo luogo, l’onere delle riparazioni prescindeva dall’effettiva capacità tedesca di farvi fronte, e frustrava il desiderio della Germania di risollevarsi economicamente, di trovare nuovo vigore per fronteggiare gli impegni verso i vincitori. La questione delle riparazioni era parzialmente definita dall’articolo 235 di Versailles, che imponeva alla Germania un primo pagamento di 20 miliardi di marchi-oro. Nel corso del biennio 1920-1921, si incontrarono molti problemi nella fissazione di un forfait, in quanto le cifre richieste dagli
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alleati non erano accettate dai tedeschi. Fu così che, il 2 marzo 1921, alla Conferenza di Londra, gli alleati adottarono delle sanzioni a carico della Germania, consistenti nell’occupazione di Düsseldorf, Duisburg e Ruhrort, l’8 successivo. Alla Conferenza di Londra (30 aprile-5 maggio 1921) fu definito uno “stato di pagamenti” a carico della Germania, pari a 132 miliardi di marchi-oro; nel corso della conferenza fu inviato un ultimatum alla Germania, cui fu prospettata l’occupazione della Ruhr, se entro sei giorni non avesse riconosciuto i suoi obblighi. Ciò provocò a Berlino una crisi ministeriale, risolta con la formazione del Governo Wirth, che accettò di conformarsi alle decisioni e all’ultimatum degli alleati. Ma la crisi innescata dal problema delle riparazioni non per questo cessò; essa avviluppò sempre più la Germania ed i vincitori, e complicò i rapporti tra gli stessi vincitori, specialmente tra la Gran Bretagna, persuasa della necessità di risollevare la Germania, onde assicurare stabilità al sistema economico-finanziario europeo, e la Francia, legata invece all’idea che l’esecuzione delle clausole di pace fosse il mezzo migliore per scongiurare una vendetta tedesca. Il 14 dicembre 1921, la Germania chiese ai vincitori una moratoria sui pagamenti. I francesi restarono dell’avviso che la Germania avrebbe dovuto onorare i debiti. Gli inglesi invece accolsero l’appello ed esortarono gli altri creditori a fare altrettanto. Fu così che i francesi avvertirono gli alleati d’oltremanica che, concedendo ai tedeschi la moratoria, non sarebbe stato possibile pagare i debiti interalleati (quelli che i “poveri” dell’Intesa avevano contratto verso i “ricchi”, per i comuni scopi di guerra). Le riparazioni erano per la Francia anche un supplemento di sicurezza, in aggiunta alle clausole militari di Versailles. Infatti, una Germania esangue non avrebbe potuto facilmente vendicarsi della sconfitta subita. Proprio per dare alla Francia una maggior sicurezza, il Primo Ministro britannico, Lloyd George, considerò l’ipotesi di un patto di garanzia, sostitutivo di quei patti che, firmati nel 1919 insieme al trattato di Versailles, erano falliti per la mancata ratifica del Senato americano. Secondo il piano di Lloyd George, la Gran Bretagna avrebbe garantito le frontiere orientali francesi da un nuovo attacco tedesco; in cambio la Francia sarebbe stata più conciliante sul tema
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delle riparazioni. Egli parlò di questo con il collega Briand, prima a Londra nel dicembre 1921, poi a Cannes, nel gennaio successivo. L’esito fu nullo, anzitutto perché Briand desiderava una garanzia anche per la violazione degli articoli 42 e 43 di Versailles (obbligo di smilitarizzazione della Renania), e poi perché egli non riuscì a fronteggiare un’opposizione interna che, il 12 gennaio 1922, lo costrinse alle dimissioni. Il successore di Briand, Raymond Poincaré, di fronte alla crescente ostilità di inglesi ed americani verso la Francia, cercò di placare le acque, avviando trattative dirette con gli industriali tedeschi sulle riparazioni, e con il governo di Washington sui debiti interalleati. Ma Londra si dolse di non esser stata consultata su quest’ultimo punto, e l’atmosfera non si rasserenò. Fu allora che il banchiere americano Morgan, titolare dell’omonimo istituto, propose che Gran Bretagna e Francia riducessero la quota di riparazioni loro spettante, in modo da creare le condizioni per una riduzione dei debiti interalleati. Non promanando dal Governo americano, che rimaneva contrario ad un collegamento tra due questioni ben distinte, l’idea di Morgan cadde nel vuoto. Nel corso del 1922 si proseguì quindi nella ricerca di una risposta adeguata alla richiesta tedesca di moratoria, ma senza successo. Poincaré non voleva rinunciare a pegni e controlli (in ciò appoggiato dal Presidente della Repubblica, Millerand, e dal Ministro delle Regioni liberate, Loucheur). Ciò determinò la rottura con Londra ed il fallimento di una nuova conferenza, ivi convocata dal 7 al 14 agosto. Altre consultazioni ebbero luogo, sempre a Londra, all’inizio di dicembre, ma non arrecarono novità significative; la questione delle riparazioni stagnava, danneggiava i rapporti tra i vincitori e comprometteva l’accordo sui debiti interalleati. Di fronte a una tale situazione il Cancelliere tedesco,Wilhelm Cuno, da poco succeduto a Josef Wirth, inviò all’ambasciatore a Washington, Wiedfeldt, un importante telegramma. Cuno partiva dal fatto che, senza una definizione della questione delle riparazioni, la catastrofe economica della Germania non avrebbe tardato ad arrivare. Egli perciò intendeva ottenere dalla Banca Morgan, o da altro istituto da questa dipendente, un prestito quadriennale, al fine di stabilizzare il marco, e fare della Germania «nuova-
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mente uno Stato libero». Cuno auspicava anche la concessione di un secondo prestito all’industria tedesca, per scacciare lo spettro della disoccupazione. Dopo queste considerazioni, il telegramma arrivava al nocciolo della questione europea: «La Francia non vuole solo ricevere denaro, ma anche avere sicurezza contro un preteso desiderio tedesco di vendetta». La soluzione proposta da Cuno, che questi chiedeva di far conoscere al governo americano, era dunque contenuta nella nota seguente: «Se il Governo e il popolo degli Stati Uniti, per la salvaguardia dell’Europa, potessero proporre apertamente che le Potenze interessate al Reno, e cioè la Francia, l’Inghilterra, l’Italia e la Germania, consentano ad impegnarsi solennemente, di fronte agli Stati Uniti, a non farsi guerra reciprocamente per una generazione, senza una speciale autorizzazione, ottenuta attraverso plebiscito popolare, allora la Germania non esiterebbe a contrarre un simile impegno» 3. Cuno prendeva in considerazione un ventaglio di problemi del dopoguerra, ritenendo che essi potessero aver soluzione solo se reciprocamente collegati. Ma il suo passo non risparmiò alla Germania una dichiarazione di insolvenza, pronunciata il 26 dicembre 1922 dalla Commissione delle Riparazioni. Né si poteva sperare nella benevolenza dei francesi, che videro nella proposta di Cuno un impegno limitato nel tempo (l’arco di una generazione) e facilmente aggirabile (ricorrendo al referendum). A Berlino, tuttavia, il rigetto della nota riuscì incomprensibile: «Avessimo noi offerto soltanto una rinuncia dei governi alla guerra – commentò il ministro degli esteri Rosemberg – allora alcuni malevoli avrebbero potuto ribattere col noto rimprovero della politica del pezzo di carta; perciò occorreva che il popolo stesso fosse inserito, a pieno titolo, quale cogarante e istanza di controllo». Era questo, secondo Rosemberg, un diritto che, una volta affermatosi, difficilmente sarebbe stato disconosciuto 4. Alla dichiarazione di insolvenza a carico della Germania seguì l’occupazione della Ruhr, a titolo di sanzione, da parte della Francia, dell’Italia e del Belgio. Fu una grave crisi nei rapporti degli occupanti con la Germania, ma anche in quelli con la Gran Bretagna, contraria a tale tipo di iniziative. Gli eventi che seguirono sono abbastanza noti perché sia il caso di soffermarsi. La “resistenza passiva” messa in atto dalla Germania fallì
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e Cuno si dimise il 12 agosto del 1923. Gli succedette Gustav Stresemann, che a fine settembre inaugurò la “politica di adempimento” e riallacciò il dialogo coi vincitori. Sulla base della politica di adempimento del nuovo cancelliere tedesco, fu possibile un riesame dell’intera questione delle riparazioni, che portò nell’aprile del 1924 al varo del Piano Dawes. Secondo questo piano, la Germania avrebbe corrisposto per 5 anni ai vincitori, per il tramite di un Agente Generale delle Riparazioni, delle annualità crescenti, da 1 a 2 miliardi e mezzo di marchi-oro. La figura dell’Agente Generale, quasi esattore impersonale (ma dietro il quale c’era un concreto Comitato interalleato dei trasferimenti) era la prima novità del Piano Dawes 5. La seconda era l’introduzione del concetto di “capacità di pagamento” della Germania, criterio da tener presente nei versamenti da effettuarsi dopo il primo quinquennio. Pagare il giusto equivaleva così a pagare il possibile, un principio che scardinava ogni pretesa che la Germania pagasse, sempre e comunque, qualsiasi cifra richiestale e non conforme al suo “indice di prosperità”, che era variabile soggetta a disparati influssi. Il Piano Dawes rappresentò dunque un successo per la Germania, conseguito con ripetuti inviti, rivolti alle potenze vincitrici, e soprattutto a Gran Bretagna e Stati Uniti, a considerare la necessità di aiutarla a risollevarsi economicamente. Si trattava di un precedente utile nel momento in cui sarebbe stato necessario affrontare altri nodi insoluti del dopoguerra. La situazione politico-diplomatica della Germania parve ulteriormente favorita nel maggio del 1924, quando in Francia le elezioni diedero la vittoria al “Cartello delle Sinistre” e decretarono l’avvento di Eduard Herriot al governo. In Gran Bretagna uguale successo arrise ai laburisti, guidati da Ramsay MacDonald. Era dunque prevedibile che i vincitori ponessero la parola fine alla “politica di adempimento”, mentre un’era nuova stava per schiudersi nelle relazioni tra vincitori e vinti. Quest’era nuova fu contraddistinta anche dalla particolare attenzione che, a partire dal 1924, da molti fu riservata al problema della sicurezza. Il tema venne trattato in seno alla Società delle Nazioni con un rapporto alla quinta Assemblea generale, preparato da due commissioni, presiedute
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da Politis e Beneš; il documento analizzava il regolamento pacifico delle controversie internazionali, la sicurezza e la riduzione degli armamenti. Il rapporto faceva un excursus storico sulla delicata materia ed evidenziava che qualsiasi sistema di arbitrato e di riduzione degli armamenti non avrebbe potuto prescindere da efficaci garanzie di sicurezza e da un’azione comune di tutti i membri del consesso ginevrino contro turbative alla pace.A tal fine, il criterio di votazione all’unanimità sarebbe stato sostituito in Consiglio da quello della maggioranza di due terzi. È interessante notare che, stando al Politis, il «Progetto di Protocollo sul regolamento pacifico delle controversie internazionali», veniva a colmare certe lacune del Patto della Società delle Nazioni. Si prevedeva infatti l’arbitrato obbligatorio, in modo da affermare il principio della composizione pacifica delle controversie internazionali. Ma tre categorie di controversie esulavano dalla nuova procedura: quelle regolate all’unanimità dal Consiglio, prima dell’entrata in vigore del protocollo; quelle sorte in seguito a misure di guerra adottate in accordo col Consiglio e con l’Assemblea della Società delle Nazioni; quelle riguardanti la revisione dei trattati in vigore e «l’integrità territoriale attuale» degli Stati. Di queste eccezioni, la terza finiva per svalutare il ruolo del Consiglio in una materia delicatissima per il futuro dell’Europa, e per vanificare gli sforzi tesi alla soluzione del problema della sicurezza. Il “Rapporto Beneš” sulla sicurezza e la riduzione degli armamenti, seconda parte del rapporto generale, fu presentato all’Assemblea il 1° ottobre 1924. Esso esaminava le possibili sanzioni contro l’aggressore, che potevano essere «di qualsiasi natura», come previsto dal Covenant; confermava inoltre che ogni Stato, nel resistere all’aggressore, avrebbe dovuto collaborare «lealmente ed effettivamente (...) nella misura consentita dalla sua situazione geografica e dalle condizioni speciali dei suoi armamenti» (articolo 11, alinea 2 del protocollo). Nella parte del rapporto Beneš sulla riduzione degli armamenti, si leggeva poi che, per gli Stati particolarmente esposti dalla loro situazione geografica al pericolo di aggressione, e per quelli i cui centri vitali erano in prossimità delle frontiere, non sarebbe stato possibile fissare un piano di riduzione degli armamenti, solo sulla base di considerazioni d’ordine politico ed economico.
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Sulla base di queste indicazioni, l’Assemblea della Società delle Nazioni adottò, il 2 ottobre 1924, quattro risoluzioni sui problemi in esame. Nella quarta di esse, l’Assemblea considerò opportuno tener presente la «situazione speciale di certi Stati», particolarmente esposti all’aggressione, lasciando loro libertà di concludere accordi regionali ad hoc.
2. L A
NOTA TEDESCA : CONTENUTO E CARATTERISTICHE .
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SIBILE SPIEGAZIONE DEL SUO SIGNIFICATO POLITICO
Il dibattito sul tema della sicurezza, focalizzato sul Protocollo di Ginevra fu subito animato da aspre critiche a questo, soprattutto negli ambienti inglesi, contrari per tradizione insulare a prendere impegni che varcassero la soglia dell’immediato futuro.Va poi detto che in Gran Bretagna i conservatori erano tornati al potere già all’inizio di novembre del 1924, e che il nuovo governo Baldwin (con Chamberlain agli Esteri) difficilmente avrebbe condiviso l’idea di delegare alla Società delle Nazioni il potere di chiamare alle armi i suoi membri, dove e quando necessario. La Gran Bretagna, tuttavia, da un lato aveva accettato di rinviare la data dello sgombero della zona di Colonia, già previsto per il 10 gennaio 1925 (sia per rispetto delle conclusioni della Commissione interalleata di controllo sui territori tedeschi, sia perché i francesi potessero consolarsi dell’inevitabile fallimento del protocollo ginevrino), mentre dall’altro si era prodigata nell’incoraggiare ogni proposta che il governo tedesco fosse stato in grado di formulare, per un positivo sviluppo delle relazioni politiche con i vincitori 6. Tutto ciò svelava il desiderio di vedere la Germania far parte nuovamente del consesso delle potenze ed entrare nella Società delle Nazioni (come prova la posizione maturata dagli inglesi in occasione del Piano Dawes), desiderio che invece rischiava di rimaner deluso dal rinvio dell’evacuazione della zona di Colonia. Alla realizzazione di un tale proposito si adoperò l’ambasciatore britannico a Berlino, Lord D’Abernon. Questi, nel pomeriggio del 14 gennaio, vide il Segretario di Stato von Schubert e gli consegnò un promemoria
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riguardante l’equilibrio di potenza e la sicurezza in Europa.Tale documento chiariva la netta differenza dell’attuale situazione europea rispetto a quella del 1914 e precisava che, nell’anno 1925, un ritorno ad una situazione di predominio militare della Germania era molto improbabile, salvo nel caso di una nuova guerra. La realtà dei fatti non giustificava perciò le paure di alcuni 7. Al D’Abernon von Schubert sottopose un suo Schema di soluzioni della questione della sicurezza composto di due paragrafi: il primo riguardava il controllo militare alleato in Renania; il secondo, sulla base della nota Cuno del dicembre 1922, afferiva alle garanzie contro l’aggressione ed al mantenimento dello status quo territoriale sul Reno da parte degli stati direttamente interessati 8. Il 19 gennaio D’Abernon ebbe un approfondito colloquio con il ministro degli esteri tedesco Gustav Stresemann sui problemi riguardanti la Germania, in special modo sul disarmo, sulla questione di Colonia e sullo stato delle relazioni generali con la Francia 9. Si menzionò, con l’occasione, anche la questione della sicurezza e il D’Abernon sollecitò un’iniziativa tedesca sul tipo della nota che l’allora Cancelliere Cuno aveva presentato, il 13 dicembre 1922, al Governo degli Stati Uniti d’America 10. Secondo l’ambasciatore britannico la nuova proposta tedesca, che andava trasmessa per il momento soltanto a Londra, doveva prevedere un patto di non aggressione reciproca e l’impegno al rispetto dello status quo nella zona renana smilitarizzata. «Non v’è qui da indagare se Lord D’Abernon abbia agito di sua iniziativa o per incarico del suo governo – scrisse il Segretario di Stato von Schubert all’Ambasciatore tedesco a Londra Sthamer – ma quand’anche la sua iniziativa avesse carattere meramente personale, noi non possiamo rifiutarla (...) Ci siamo perciò proposti di consegnargli domani tutto quanto in un memorandum allegato». Le considerazioni di Schubert erano dettate sia dalla persuasione che la Francia necessitava di una sicurezza reale, sia dalla constatazione che «il Governo britannico di fronte alla Francia ha bisogno di riparare al rifiuto del Protocollo ginevrino HerriotMacDonald con un’ulteriore accondiscendenza nella questione della sicurezza». Era peraltro necessario risolvere le questioni di Colonia e del disarmo nella loro globalità 11.
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L’iniziativa di D’Abernon era personale e non derivava da un formale incarico del suo Governo 12. D’altro canto, la Germania aveva già pronta una proposta, con un quadro chiaro dei problemi legati alla sicurezza e delle soluzioni da sottoporre ai vincitori, anche sulla scorta dell’esperienza maturata con la nota Cuno del 1922 13. Il 22 gennaio 1925 giunse dunque al ministero degli esteri britannico, dall’ambasciata in Berlino, un memorandum che Lord D’abernon aveva ricevuto due giorni prima dal governo tedesco: «Considerando le varie forme che un patto di sicurezza potrebbe assumere al presente – vi si leggeva – si potrebbe procedere da un’idea analoga a quella da cui scaturì la proposta fatta nel dicembre 1922 dal dottor Cuno. La Germania potrebbe, per esempio, dichiarare la sua accettazione di un patto in virtù del quale le Potenze interessate, soprattutto l’Inghilterra, la Francia, l’Italia e la Germania, contraggano l’obbligo solenne per un lungo periodo (da definirsi eventualmente con maggior precisione), di fronte al governo degli Stati Uniti d’America, quale garante, di non muover guerra ad uno stato contraente...». Un tale patto di non aggressione sarebbe stato rafforzato da un sistema generale di trattati di arbitrato. «Inoltre, un patto che garantisca il presente stato territoriale (gegenwärtigen Besitzstand) sul Reno sarebbe anche accettabile per la Germania. Il proposito di questo patto sarebbe, per esempio, che gli stati interessati al Reno si obblighino reciprocamente ad osservare l’inviolabilità dell’attuale situazione territoriale sul Reno, che garantiscano sia congiuntamente che individualmente l’adempimento di quest’obbligo, ed infine che essi considerino ogni azione contro il suddetto obbligo come ad essi pregiudizievole, congiuntamente ed individualmente. Nello stesso senso, gli stati membri del Trattato potrebbero garantire in questo patto l’adempimento dell’obbligo di smilitarizzare la Renania, che la Germania ha contratto negli articoli 42 e 43 del Trattato di Versailles». Ancora una volta, a tutelare l’efficacia di un simile patto avrebbe provveduto un sistema di trattati di arbitrato fra gli stessi firmatari. La Germania, si diceva infine nella nota, avrebbe anche esaminato altre possibilità di soluzione da collegare a quelle proposte; e si dichiarava disposta a combinare nei modi più differenti le idee appena esposte 14.
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A differenza che nella nota Cuno, dove l’impegno di non aggressione reciproca era circoscritto nel limite temporale di una generazione, con la nuova proposta tedesca la durata di tale impegno era tutta da definirsi. Si era, insomma, fatto tesoro delle critiche a suo tempo mosse alla nota Cuno, i cui punti deboli erano stati l’implicita possibilità di un conflitto, una volta trascorso l’arco di una generazione, nonché il pericolo che con referendum popolare si potessero autorizzare i governi a dichiarar guerra. Il documento tedesco 15 fu redatto direttamente nelle lingue dei paesi destinatari a cura delle locali ambasciate di Germania. A parte le questioni di forma, tra le varie versioni della proposta tedesca non si riscontrano sostanziali differenze di significato. È da notare invece l’esistenza nella versione inglese di una specie di “cappello” (omesso nelle altre versioni) in cui si diceva che il disarmo della Germania e l’evacuazione del suo territorio rappresentavano per la Francia la sicurezza contro eventuali aggressioni tedesche; ragion per cui occorreva dare a questi problemi una soluzione, nell’ambito di un accordo più generale che assicurasse una pace durevole tra Francia e Germania, in modo da far scaturire un’atmosfera di reciproca comprensione 16. Sempre nella versione inglese della nota, il Governo tedesco prudentemente ometteva qualsiasi cenno al Protocollo di Ginevra quale modello di sviluppi connessi al patto di sicurezza, mentre di ciò faceva menzione nelle altre versioni. Si voleva in tal modo evitare di urtare la sensibilità britannica e non compromettere la buona accoglienza della proposta menzionando uno strumento diplomatico che Londra considerava morto e sepolto 17. La prima parte del memoriale, quella cioè relativa all’impegno delle Potenze maggiormente interessate al Reno a non farsi guerra, era per i tedeschi la più solida garanzia di sicurezza mai offerta dalla Germania alla Francia e una prova di buona volontà data alle altre grandi potenze. Al tempo stesso, non meno rilevante era l’intento di evitare nuovi rinvii dell’evacuazione delle zone occupate e, se possibile, privare di efficacia l’ultimo capoverso dell’art.429 del Trattato di Versailles (che prevedeva la possibilità di ritardi dell’evacuazione in caso di insufficienti garanzie dei tedeschi circa la sicurezza).
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La seconda parte del memoriale, quella cioè direttamente riguardante il territorio della Renania, può invece essere analizzata sotto tre profili: un possibile collegamento, in virtù dell’articolo 430 di Versailles, tra proposta tedesca e Piano Dawes; l’obbligo di rispetto dello status quo territoriale; l’obbligo di smilitarizzazione della regione. L’articolo 430 prevedeva la rioccupazione immediata delle zone evacuate, nel caso in cui la Germania non adempisse agli obblighi delle riparazioni. Ma il Piano Dawes aveva istituito un collegamento tra il regime delle riparazioni e la capacità di pagamento (o per meglio dire l’“indice di prosperità”) della Germania. In questo quadro il nuovo sistema rendeva più difficile per i creditori della Germania rilevare con unanimità di giudizio (e con obiettività soprattutto) eventuali inadempienze del debitore; se da un lato la Germania poteva sostenere di star pagando in base alle sue possibilità (principio introdotto dal Piano Dawes), dall’altro si presentava ardua un’approfondita indagine tecnica onde accertare quali realmente fossero dette possibilità. Il Comitato finanziario, cui spettava la sorveglianza sui progressi del nuovo regime di pagamenti, avrebbe in teoria anche potuto trovarsi in disaccordo con la Commissione delle Riparazioni, presieduta dal francese Barthou, circa il sussistere di casi di inadempienza a carico della Germania. Agli occhi dei suoi creditori, e specialmente della Francia, l’insolvenza della Germania era dunque sempre dietro l’angolo. Restava così aperta la possibilità, prevista dall’articolo 430 del Trattato di Versailles, di non evacuare o di rioccupare la Renania in caso d’inadempienza totale o parziale dei tedeschi in materia di riparazioni (diritto che la Francia avrebbe sempre riservato a se stessa, come testimoniava l’episodio della Ruhr). Perciò Berlino vide forse nel patto di sicurezza una specie di “norma di chiusura” contro simili eventualità, per impedire il funzionamento del meccanismo di cui all’articolo 430 del Trattato di Versailles. Il riferimento fatto dai tedeschi nella nota allo status quo svelava poi un grande desiderio della Germania: quello di vedersi riconoscere il diritto all’integrità territoriale, ed in specie la sua sovranità sulla Renania. Non a caso, nelle sue varie versioni, il documento tedesco parla dove di status quo dove di rispetto del legittimo possesso; non a caso, ancora, l’originaria locuzio-
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ne tedesca gegenwärtigen Besitzstand delinea ad un tempo tanto uno stato di fatto quanto uno stato di diritto 18. La garanzia della smilitarizzazione della Renania, proposta dalla Germania, poteva quindi significare la limitazione dei diritti dei vincitori su quel territorio, e al limite l’estensione a questi di obblighi che alla Germania derivavano dalla sconfitta. Offrendo sicurezza sulle frontiere occidentali tedesche, sarebbe stato forse possibile impedire ai vincitori di transitare in Renania, nel caso in cui si fosse aperta una crisi tra la Germania e la Polonia per le frontiere orientali. Il tentativo tedesco era forse quello di “travasare” l’intera Sezione terza, Parte terza, del Trattato di Versailles in un patto di sicurezza, realizzando di fatto quella parità di diritti perseguita da Berlino. Con la proposta per un patto di sicurezza del gennaio 1925, ruolo non trascurabile ebbe dunque la volontà della Germania di recuperare appieno la sovranità territoriale e di tornare a trattare su un piede di parità con i vincitori. Per conseguire un simile risultato occorreva del tempo; nondimeno, solo su questa via poteva realizzarsi la revisione pacifica dell’assetto della pace. Per la Germania, allora, i problemi del dopoguerra sembravano in certo qual modo connessi e ciascuno ne richiamava alla mente altri 19. Come ha rilevato il Krüger, «la Renania occupata rimase perciò ininterrottamente fino al 1928-29 motivo d’apprensione, in quanto ancora una volta non veniva scongiurato il pericolo di nuove aspettative sulla scena, forse in connessione col definitivo regolamento delle riparazioni, o d’altro canto che dei problemi potessero in genere venir rinviati, in quanto la persistente occupazione rappresentava un ostacolo molto grave ad un accordo generale con la Francia, tanto nell’opinione pubblica e nei circoli politici tedeschi, quanto nello stesso Governo del Reich». Di tal guisa «l’idea fondamentale di Stresemann di accordo con la Francia sarebbe stata compromessa nella sostanza; e inoltre si sarebbe egli cacciato in seri pasticci con l’intera sua concezione di pacifico ritorno al ruolo di grande potenza tedesca, all’uguaglianza dei diritti, alla libertà da intromissioni esterne» 20. In questa prospettiva unitaria dei problemi tedeschi va ad inserirsi la proposta per un patto di sicurezza ad Occidente: il tranquillare la Francia non era più
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importante del veder quanto prima evacuato il territorio tedesco e la Germania sgravata da qualsivoglia obbligo o condanna. «Le pretese irragionevoli degli Alleati» scriveva il 3 gennaio 1925 Stresemann «devono essere combattute e si deve chiedere invece che essi discutano con noi (...) Un miglioramento non può provenire alla Germania che dallo sviluppo generale degli affari europei e da una diversa posizione della Germania fra le nazioni, le quali non hanno più gli stessi rapporti come nel 1918 e le cui combinazioni non sono prevedibili» 21. In tale quadro va collocata la proposta tedesca per un patto di sicurezza. Tanto il momento scelto per presentarla (l’evacuazione di Colonia era stata appena rinviata e si riproponeva il problema della revisione delle riparazioni, o meglio delle quote previste dal Piano Dawes) 22 quanto lo specifico contenuto di essa non appaiono privi di significato se si tien conto di tutti gli altri problemi, intimamente legati, che la Germania dovè affrontare nel dopoguerra.
3. L E
REAZIONI DELLA
G RAN B RETAGNA
Il memorandum tedesco giunse a Londra il 22 gennaio 1925. Il giorno dopo von Schubert riceve’ D’Abernon e gli chiarì che la Germania pensava ad un sistema di arbitrato per le dispute di carattere giuridico e ad un sistema di conciliazione per risolvere quelle politiche. Essa aveva inoltre intenzione di includere i vicini dell’Est nel nuovo sistema di sicurezza. La proposta si differenziava dalla nota Cuno in quanto istituiva una garanzia sulla Renania ed un sistema di arbitrato tra la Germania e i suoi vicini orientali. Quanto al termine gegenwärtigen Besitzstand, esso era da intendersi nel senso di «status quo secondo il trattato di Versailles» 23. Il documento tedesco arrivava nel momento in cui francesi ed inglesi stavano discutendo su una forma di garanzia contro la possibilità di un nuovo attacco tedesco. Gli studi effettuati al Quai d’Orsay ed al Foreign Office riguardavano un patto bilaterale francobritannico 24 (ipotesi studiata a Londra da Sir Hankey, Segretario del Gabinetto e membro del Comitato di
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Difesa Imperiale 25) o trilaterale, includendo il Belgio 26. Si stava insomma riprendendo la trama di un discorso interrotto dopo i fallimenti del 1919, quando naufragarono i patti di assistenza francostatunitense e francobritannico, e del 1922, quando svanì l’ipotesi di garanzia britannica, frutto dei colloqui di Londra e di Cannes tra Lloyd George e Briand. Il primo obiettivo del Ministro degli esteri britannico Chamberlain, di fronte alla novità rappresentata dalla proposta tedesca, fu di tranquillizzare i francesi, ma di abbandonare l’ipotesi di un patto bilaterale (impegno che anche i Dominions non avrebbero ammesso) e di pensare invece ad una formula più ampia, comprendente l’intervento diretto della Germania, magari attingendo al materiale giuridico predisposto per il Protocollo di Ginevra, e richiamandosi alla Società delle Nazioni ed ai trattati di pace 27. Fu insomma l’occasione ideale per tornare alla cara politica degli impegni limitati ed alle cure di un’opinione pubblica ritrosa nel prenderne di più larghi. Del resto, il paese doveva tener conto di un contesto imperiale (i Dominions) prima di prendere decisioni di vasta portata. Ricevuta la nota tedesca dall’ambasciatore a Londra Sthamer, Chamberlain disse di non potervi dare risposta senza prima concertarsi con Parigi, poiché «ogni parvenza di negoziati tra la Germania e questo Paese alle spalle della Francia avrebbe sollevato il sospetto e distrutto ogni influenza che il Governo britannico potrebbe avere sul Governo di Francia». Inoltre, poiché la Germania auspicava consultazioni confidenziali, sarebbe stato opportuno non pubblicizzare la sua proposta sulla stampa (come avveniva ad esempio sul quotidiano Germania, organo del Centro Cattolico). L’ambasciatore Sthamer assicurò a Chamberlain esser lungi dal pensiero del suo Governo tramare alle spalle dei francesi e aggiunse che le proposte del giornale cattolico non erano ufficiali; egli temeva, tuttavia, che posporre la questione della sicurezza al destino del Protocollo ginevrino sarebbe stato come rinviarla sine die. Chamberlain non voleva alcun rinvio, ma riteneva opportuno definire prima l’atteggiamento britannico verso la sicurezza francese, per poi occuparsi dell’oggetto della proposta tedesca; ad ogni modo, non sarebbe stato privo di significato per la Gran Bretagna che la Germania entrasse nella Società delle Nazioni. A questo punto, a
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Chamberlain Sthamer pose il problema di quanto pericoloso fosse per la Germania accettare sic et simpliciter l’articolo 16 del Covenant 28, articolo che le avrebbe praticamente imposto di correre con proprie forze in aiuto di una potenza aggredita da un terzo Stato; un tale obbligo era inconciliabile con lo stato di disarmo impostole dal trattato di pace. Della conversazione con Sthamer Chamberlain informò l’ambasciatore francese De Fleuriau, il quale concordò sul fatto di definire anzitutto il problema della sicurezza francese, per poi discutere delle proposte tedesche. De Fleuriau chiese anche se il recente passo tedesco contenesse qualche accenno alla nota Cuno; Chamberlain rispose che ciò era, ma solo per differenziare da questa nota la nuova proposta. Per il ministro inglese il vero discrimine stava nel fatto che il memorandum tedesco non escludeva di affrontare il problema delle frontiere orientali dopo aver risolto quello delle frontiere occidentali 29. Per quanto possa riscontrarsi una certa differenza di posizioni in seno al Foreign Office, e rispetto a quella dell’ambasciatore a Berlino D’Abernon 30, la nota tedesca sul patto di sicurezza rese Chamberlain molto sensibile al suo contenuto, cui diede un’importanza crescente, svalutando al contempo qualsiasi idea di un patto esclusivamente anglofrancese. Il passo tedesco fu da lui giudicato «il segno più promettente (hopeful) che io abbia mai visto». Trattandosi di «una garanzia più particolare e specifica», quella contenuta nella proposta tedesca si rivelava perciò la più utile. Considerando ciò, Chamberlain cercò di istituire una comunicazione costante con l’ambasciatore a Parigi Crewe e quello a Berlino D’Abernon, onde trattare a sei mani i dettagli più delicati della questione 31. Il ministro britannico considerava anche la posizione che la Francia, ormai da qualche tempo, andava assumendo: in primo luogo, il tentativo di condizionare l’evacuazione della zona di Colonia alla soluzione del problema della sicurezza; in secondo luogo, la propensione a concordare con gli alleati una nota congiunta alla Germania, piuttosto che discutere dei problemi ancora aperti in conferenze cui quest’ultima fosse ammessa a partecipare 32. In questo quadro appaiono chiare le difficoltà insorte tra Francia e Gran Bretagna. Questa, pur consapevole di qualche lato ancora oscuro della pro-
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posta tedesca (come ad esempio le garanzie alla frontiera orientale, che la Germania sembrava non prospettare negli stessi termini del quadrante renano), tuttavia la considerava di tale utilità, al punto da subordinarvi iniziative tese a realizzare un patto franco-brutannico. Lo stesso Chamberlain, parlando con l’ambasciatore belga a Londra, Moncheur, osservò che la nota tedesca era un riconoscimento ufficiale, da parte della Germania, dell’inviolabilità della sua frontiera occidentale; «in secondo luogo – aggiunse il ministro – la Germania per la prima volta volontariamente accettava l’esistente frontiera tedesca ad est», nel senso che se essa «operava una distinzione tra lo scopo dell’accordo ad ovest e quello ad est (...) questa effettiva distinzione era una garanzia addizionale delle frontiere francese e belga» 33. Con il passare del tempo, quindi, gli inglesi non nascosero di vedere molto positivamente le prove concrete di volontà di pace, offerte dai tedeschi 34. Occorreva ad ogni modo procedere per gradi, dal particolare al generale, e soprattutto non equiparare la situazione della frontiera occidentale tedesca a quella della frontiera orientale, per la quale il governo inglese non avrebbe preso impegni 35. La prima manifestazione di questa linea di condotta si verificò in occasione degli incontri tra Chamberlain ed Herriot, svoltisi a Parigi il 6 e 7 marzo 1925. Chamberlain osservò che motivi di opinione pubblica e di confronto coi partiti di opposizione impedivano di trascurare la proposta tedesca nell’affrontare il tema della sicurezza.Tutto questo bastò per provocare la costernazione di Herriot 36. In realtà, varie circostanze politiche interne avevano indotto Chamberlain a maggior cautela verso l’assunzione di impegni esterni che potevano rivelarsi estremamente gravosi. Nel dibattito sulla sicurezza in corso ai Comuni, il 5 marzo, il deputato Fischer a nome del suo gruppo liberale aveva ammonito che ogni patto anglo-franco-belga avrebbe diviso l’Europa in campi opposti ed armati; egli quindi appoggiava le proposte tedesche sostenendo anche il principio della pacifica revisione delle frontiere orientali della Germania. Chamberlain, intervenuto sul punto, aveva ribadito che certamente le proposte tedesche erano interessanti e che alla Germania era stata, tuttavia, prospettata la necessità di coinvolgere gli alleati
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e di negoziare su queste basi. Quanto poi ai vicini orientali della Germania, ed in specie alla Polonia, Chamberlain auspicava da parte di questa «una saggia politica ed una considerazione verso i sentimenti degli altri». Infine aveva confermato l’impossibilità di prolungare ulteriormente l’occupazione di Colonia, se non in base ai termini stabiliti dal Trattato di pace 37. L’11 marzo, una serie di riunioni del Gabinetto e di incontri informali in seno ad esso, rafforzarono la posizione di Chamberlain (appoggiato da Crowe) 38. Lo stesso giorno, il dibattito ai Comuni fu incentrato invece su una mozione del laburista Trevelyan, in base alla quale non bisognava concludere accordi o trattati implicanti impegni gravosi per il paese; tantomeno bisognava stringere intese preparatorie o di cooperazione bellica tra gli Stati Maggiori dei paesi alleati. Occorreva insomma, stando al Trevelyan, abolire la diplomazia segreta e, se necessario, apportare riforme costituzionali in modo da trasferire al Parlamento i poteri negoziali e di guerra. La mozione Trevelyan (cui rispose, non senza ironia, il Conservatore MacNeill, per il quale la mozione aveva sollevato un problema inesistente) 39 non ottenne che 133 voti contro i 255 a sfavore. Ma senza dubbio, essa era il portato di timori diffusi, ai Comuni come nell’opinione pubblica, alimentati da voci di presunti colloqui tra gli stati maggiori britannico, francese e belga 40. Anche negli ambienti conservatori la posizione governativa trovava ostacoli. Per fare un solo esempio, aspre critiche non furono risparmiate da Churchill, che accusò Chamberlain di non aver sufficientemente chiarito ad Herriot, nel corso del loro secondo incontro parigino a metà marzo, la necessità di trattare separatamente le questioni del disarmo, dell’evacuazione di Colonia e del patto di sicurezza 41. Considerazioni di politica interna possono aver pesato sulla decisione inglese di studiare attentamente la proposta tedesca, accantonando i progetti di “triplice” anti-germanica. Ma gli inglesi considerarono anche il fatto che la tradizionale prevenzione della Francia verso la Germania si era dimostrata più volte elemento di instabilità, provocando tensioni fra gli stessi alleati; lo dimostrava, last but not least, la crescente divergenza tra Parigi e Londra sul futuro dell’occupazione della zona di Colonia. Queste circostanze emersero nel corso del convegno parigino tra Chamberlain ed
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Herriot. Questi si mostrò piuttosto scettico sul futuro della sicurezza e del sistema francese di alleanze orientali 42; ma il ministro britannico aveva dalla sua il fatto che la linea da lui seguita era condivisa anche all’estero: in Belgio, in Italia e perfino in Giappone 43. Si assisteva insomma ad un calo del livello delle relazioni anglofrancesi, fenomeno peraltro non nuovo, ma che certamente poneva interrogativi sulla possibilità di costruire un regime di sicurezza a mezza strada tra due diverse concezioni. La Francia, scriveva Sir Eyre-Crowe, «deve persuadersi a seguire una politica ragionevole. Si tratterà di un negoziato amichevole e paziente, ove la questione di un patto di sicurezza di tal sorta deve giocare una parte importante (...) Seppur solo per questa ragione il Dipartimento deve ora metter da parte qualsiasi idea di attitudine minacciosa o di contrasto nei confronti della Francia sulla questione di Colonia. Ci sono già abbastanza elementi di frizione tra noi» 44. Nella seconda decade del marzo 1925, il governo inglese ritenne così di non lasciar cadere nel vuoto la proposta tedesca, come invece voleva Herriot 45. A questa linea di condotta si attenne Chamberlain quando, nel pomeriggio del 16 marzo, rivide a Parigi il collega francese 46. Il 18 successivo, Chamberlain comunicò a D’Abernon il punto di vista inglese: accettare un patto di sicurezza per la frontiera occidentale tedesca non voleva certo dire che cessava il pericolo d’una guerra ad est; si sarebbe tuttavia fatto un passo in avanti verso la pace qualora la Germania fosse entrata nella Società delle Nazioni (vincolandosi così al Covenant, accettando gli oneri derivanti dall’art.16 e godendo dei diritti previsti dall’art.19) e avesse senza remore accettato di concludere patti d’arbitrato con i suoi vicini orientali 47. Il governo inglese comunque riconosceva di dover contrarre verso la Francia obblighi maggiori che verso altri paesi, ma proprio per questo l’impegno britannico di garanzia non poteva che essere limitato alla frontiera occidentale tedesca e non coprire altre frontiere 48. Non era questo l’approccio che la Francia avrebbe desiderato. Appariva infatti chiaro che la proposta tedesca era per gli inglesi l’occasione per “risparmiare e ben figurare”, garantire cioè alla Francia ciò che era nel loro stesso interesse garantire, e al contempo goder di credito presso l’opinione
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pubblica europea, promuovendo la proposta di una riconciliazione francotedesca. Ma del resto, Chamberlain si faceva interprete di un’opinione corrente nel suo paese, dato che nessuno avrebbe ben accolto un impegno travalicante contenuti chiari, specifici e limitati 49. In tale ambito così definito, la proposta tedesca doveva essere esaminata con responsabilità e ponderatezza, ponendosi ormai come ineludibile parametro, anche per una ridefinizione dei rapporti tra i vincitori e tra questi e la Germania. Ciò emerse altresì dal dibattito sul protocollo di Ginevra e la sicurezza, tenutosi il 24 marzo ai Comuni. In tale occasione, Chamberlain dichiarò che la Germania rinunciava a modificare la sua frontiera occidentale e si impegnava a non ricorrere alla forza per modificare quella orientale. La revisione su questo versante sarebbe stata condotta solo per vie pacifiche 50. In una pausa dei lavori parlamentari, l’ambasciatore Sthamer fece presente a Chamberlain che il suo discorso era andato oltre le intenzioni del governo tedesco. Ma quando Chamberlain lo invitò a chiarire se era desiderio del suo Governo modificare, anche con la forza, la frontiera orientale della Germania, l’ambasciatore tornò sui suoi passi e si astenne da ogni ulteriore precisazione 51. Chamberlain, di conseguenza, istruì D’Abernon di illustrare a Berlino in via ufficiale come il Governo di Sua Maestà interpretava la posizione tedesca circa le frontiere orientali: si auspicava una loro modifica ma senza il ricorso all’uso della forza e con tutte le vie diplomaticamente percorribili. D’Abernon espose a von Schubert questo punto di vista nel tardo pomeriggio del 28 marzo. Il Segretario di Stato ipotizzò un malinteso tra Chamberlain e Sthamer, riconfermando all’ambasciatore britannico l’interpretazione testé prospettatagli 52. Chiarito questo aspetto, la Gran Bretagna proseguì nella linea di considerare la proposta tedesca utile punto di riferimento per un eventuale negoziato sulla sicurezza. Una posizione questa densa di implicazioni per i rapporti con il suo naturale alleato continentale.
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4. LE
REAZIONI DELLA
FRANCIA
Le paure della Francia nel 1925 non erano molto diverse da quelle dei primi anni del dopoguerra: paura d’una revanche tedesca; paura di alterazioni de facto del trattato di pace, e via discorrendo. Considerato l’atteggiamento britannico in merito alla sicurezza, sembrava che alla Francia restassero solo due possibilità: cercare solidarietà altrove o allinearsi alla visione dell’alleato d’oltremanica. Il 22 gennaio, in una conversazione con l’ambasciatore italiano a Parigi, Romano Avezzana, Herriot aveva a chiare lettere espresso l’auspicio di convincere gli inglesi ad accettare la decisione di mantenere Colonia occupata, adducendo a motivi il mancato disarmo tedesco, la mancata garanzia angloamericana alla Francia e la fine prevedibile del Protocollo di Ginevra 53. In occasione di un discorso tenuto il pomeriggio del 28 gennaio alla Camera, Herriot, pronunciandosi sul tema della sicurezza, aveva sottolineato come il desiderio del Maresciallo Foch di occupare in permanenza la riva sinistra del Reno fosse stato sedato proprio dalla rinnovata offerta da parte di Londra di quel patto di garanzia miseramente fallito nel 1919. Gran Bretagna e Stati Uniti dovevano perciò comprendere il senso di insicurezza dei francesi, anche in ragione dei problemi causati dalle inadempienze tedesche riguardo a molte parti del trattato di Versailles. «Il discorso di Herriot – commentò Lord Crewe – che per molti dei passaggi di cui sopra potrebbe esser stato fatto dallo stesso Poincaré, potrebbe, io temo, posporre il consenso francese all’evacuazione della zona di Colonia alle calende greche», o fino ad una proposta inglese sulla sicurezza giudicata accettabile 54. Il ministro francese ribadì la sua posizione in istruzioni per l’ambasciatore a Londra: occorreva, egli scrisse, far comprendere agli inglesi che la questione di Colonia e quella della sicurezza erano strettamente legate e che la Francia aveva necessità di difendere in via permanente la “barriera renana” 55. La nota tedesca fu ufficialmente presentata a Parigi il 9 febbraio. L’esperienza della nota Cuno, subito e nettamente rifiutata dai francesi,
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aveva insegnato ai tedeschi che Parigi non era terreno fertile su cui far germinare proposte del genere. Si spiega così il lasso di venti giorni, trascorso tra la presentazione della nota a Londra e un analogo passo a Parigi. Herriot analizzò subitò la situazione con l’ambasciatore italiano; egli confermò di preferire il Protocollo di Ginevra come modello di un eventuale patto di garanzia, ed era disposto ad accettare un qualsiasi accordo, che desse però alla Francia una sicurezza non fittizia; occorreva perciò convocare al più presto una conferenza tra i capi di governo dei paesi alleati 56. All’ambasciatore britannico, Crewe, Herriot dichiarò poi che una tale conferenza avrebbe dovuto fornire alla Francia un adeguato strumento di tutela nel campo della sicurezza, grazie al quale poter rinunciare ad espedienti giuridici, come il sostenere l’esistenza di un «rapporto di causalità» tra la questione di Colonia e quella della sicurezza 57. Conversando il 17 febbraio con l’ambasciatore tedesco, Hoesch, Herriot si mostrò disposto ad esaminare le proposte di Berlino, ivi comprese quelle riferentisi alle frontiere orientali della Germania 58. Del contenuto di questo colloquio si era convenuto di mantenere il massimo segreto. Ma della cosa il governo tedesco informò l’ambasciatore inglese a Berlino, e questi il Foreign Office 59, sicché Herriot non era già più nelle condizioni di escludere a priori un negoziato sulla sicurezza basato sulle proposte della Germania, né di escludere la Germania da un eventuale patto. Herriot si diffuse sulla proposta tedesca innanzi alla Commissione esteri del Senato, il 20 febbraio; il giornalista Pierre Bertrand, suo intimo amico, scrisse sul Quotidien che l’offerta tedesca andava esaminata senza pregiudiziali 60. Altri organi di informazione francesi si mostrarono più cauti, evidenziando il problema di garantire Polonia e Cecoslovacchia. Andavano, ad ogni modo, precisandosi i lineamenti della politica che la Francia avrebbe attuato nei mesi seguenti sul problema della sicurezza. La Francia si era dunque posta il problema di come garantire le frontiere orientali della Germania, e di come salvaguardare le sue alleanze con la Polonia e la Cecoslovacchia. La situazione fu analizzata al Quai d’Orsay sin dal febbraio, e il consigliere giuridico, Henri Fromageot, ne fece oggetto di un appunto per la Direzione degli Affari Politici e Commerciali. «Va atten-
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tamente studiata – egli scrisse – soprattutto per ciò che concerne le frontiere ad est della Germania, una clausola di arbitrato con la Polonia, che dovrebbe essere assoluta e generale. Questo deve preoccupare, io credo» 61. Il vicedirettore degli Affari Politici e Commerciali, Seydoux, così annotò, il 22 febbraio: «Sarà molto difficile far accettare alla Polonia e alla Cecoslovacchia, ma soprattutto alla prima, la conclusione del patto renano; i polacchi desidererebbero garanzie sulla loro frontiera e gli accordi di arbitrato, proposti dai tedeschi, saranno molto difficili da redigere. Nonostante ciò, è il massimo che possiamo ottenere senza abbandonare la garanzia più completa che ci viene offerta sul Reno». La conclusione di Seydoux fu la seguente: «Bisognerà, un giorno o l’altro, che la Polonia sappia che noi non la sosterremo fino in fondo e che l’arbitrato, a condizione che sia nel quadro della Società delle Nazioni, è il massimo che possiamo consentire» 62. Anche il Direttore dello stesso ufficio, Laroche, si occupò del problema, e preparò degli appunti, in previsione di una risposta alla nota tedesca del 9 febbraio. Preso atto che la Gran Bretagna avrebbe contratto impegni limitati, Laroche così scrisse: «Bisognerà anzitutto rivedere con attenzione il nostro trattato d’alleanza (...) in modo da eliminare del tutto ogni motivo di impegno a fianco della Polonia, che non si trovi giustificato ed al contempo prescritto dal Patto della Società delle Nazioni e dagli impegni che ne conseguirebbero. D’altra parte, bisognerebbe ridurre, ed anche escludere, la possibilità di un conflitto armato tedesco-polacco o tedesco-cecoslovacco. È a ciò che evidentemente mira, poiché il Governo di Berlino ha sentito molto la necessità di rassicurarci a tal riguardo, la proposta tedesca relativa a un insieme di trattati di arbitrato obbligatorio». Tali trattati, proseguiva Laroche, dovevano essere firmati con le potenze confinanti, ad est e a sud della Germania. «In altri termini, il nostro trattato di alleanza con la Polonia e la Cecoslovacchia dovrebbe ormai non prevedere che dei casi destinati a non prodursi, o almeno presentantisi in condizioni tali che noi saremmo giustificati dal Patto della Società delle Nazioni e dal protocollo di Ginevra ad intervenire, così come lo sarebbero altri paesi che avessero firmato con noi il patto, per quanto concerne la frontiera occidentale». Occorreva tuttavia, secondo Laroche, aver presente che era pericoloso con-
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sentire alla Germania di ottenere facilmente la revisione pacifica di alcune clausole territoriali dei trattati di pace 63. Le idee degli alti funzionari del Quai d’Orsay vennero riassunte in una nota collettiva sui temi della sicurezza, preparata il 26 febbraio. Per le frontiere orientali tedesche, sarebbero occorsi i seguenti provvedimenti: a) rivedere il trattato con la Polonia, eliminando il casus foederis, ormai incompatibile con la nuova situazione, e del resto superfluo perchè c’era il Covenant; b) scongiurare, grazie a dei patti di arbitrato, un conflitto armato tedescopolacco, rendendo l’alleanza francopolacca praticamente inapplicabile 64. Seydoux, membro del “gruppo di studio”, avvertì tuttavia (come già Laroche aveva fatto) che sarebbe stato ugualmente pericoloso concludere con la Germania un accordo mirante alla revisione pacifica dello status quo 65. In questo spirito occorreva esaminare la nota inviata dalla Germania. A Sir Eyre-Crowe, che incontrò il 4 marzo, l’Ambasciatore francese De Fleuriau espresse dunque l’opinione che, per come concepita, la proposta tedesca sembrava «poco più d’una ripetizione» del trattato di Versailles; mentre una vera svolta sarebbe stato il firmare un patto di sicurezza tra Gran Bretagna e Francia soltanto. De Fleuriau aggiunse che, ad avviso del suo governo, la Germania avrebbe dovuto impegnarsi “anche” sui suoi confini orientali ed entrare nella Società delle Nazioni. L’ambasciatore francese lasciò quindi al suo interlocutore una nota: vi si leggeva che un patto di sicurezza franco-anglo-belga-tedesco, quale inteso da Berlino, avrebbe costituito un indebolimento e non un rafforzamento della posizione francese. Nondimeno, si poteva prevedere una serie di patti particolari coordinati da un patto generale, a condizione però di non inficiare gli articoli 430 (rioccupazione della Renania in caso di inadempienza tedesca nelle Riparazioni), 44 (azioni contro la Germania in caso di sua violazione degli articoli 42 e 43) e 213 (diritto d’investigazione sul territorio tedesco) di Versailles, nonché il Covenant. La nota si soffermava anche sulle «precauzioni da prendere dal punto di vista dell’Austria», intendendo con ciò il «mantenimento dell’articolo 80 del T[rattato] di Versailles». De Fleuriau tenne però sulle generali, quanto al seguito che Parigi avrebbe dato alla nota tedesca: «Occorrerà dunque del tempo per mettere a punto tali questioni», egli disse66.
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La visita di Chambelain a Parigi fu un’occasione per chiarire il punto di vista francese. Pur non avendo la Germania escluso la possibilità di concludere dei trattati di arbitrato con i suoi vicini orientali, la Francia tuttavia si vedeva obbligata (come Herriot spiegò a Chamberlain) «a frenare l’impulsività dei giovani stati che con la loro indiscrezione avrebbero potuto coinvolgerla» in subitanei conflitti. Falliti i patti di garanzia del 1919, la Francia stessa, dichiarò il Presidente della Repubblica Doumerge a Chamberlain, «era stata costretta a fare un’alleanza ad oriente e non poteva disonorare la sua parola» 67. Alleata per forza di cose, la Francia, dunque, difficilmente avrebbe accolto tutti i desiderata della Polonia. Lontano dalla politica di corridoio di Parigi, in un ambiente ovattato come quello ginevrino, Herriot potè permettersi, il 9 marzo, di essere molto franco con Chamberlain: «Il nostro obiettivo – egli disse – dev’essere, da un lato impedire ai polacchi di pregiudicare il futuro con repentine dichiarazioni che non potrà mai esservi modifica alcuna delle condizioni esistenti; e, dall’altro, impedire ai tedeschi di parlare come se volessero forzare un immediato cambiamento». La Germania, entrando nella Società delle Nazioni, avrebbe potuto accordarsi con i vicini orientali, poiché «c’era molto, nell’attuale sistemazione della carta ad oriente, che prestava il fianco a serie critiche» 68. Herriot sembrava, in pratica, legittimare il ricorso da parte della Germania all’articolo 19 del Covenant (concluso il patto renano ed entrata nella Società delle Nazioni) e dunque al principio della revisione pacifica delle frontiere orientali. Ma tale posizione mal si conciliava con le alleanze ad est, ed in specie con quella francopolacca del 1921, la quale infatti si basava sul rispetto dello status quo e del possesso legittimo dei territori attribuiti dai trattati di pace.Tali alleanze erano concepite, invero, sia in chiave anti-tedesca, sia in chiave anti-russa 69, proprio quando si andava profilando la possibilità per Varsavia, Mosca e Belgrado, di concertare un’azione politica comune nei confronti della Germania 70. Herriot attendeva di rivedere Chamberlain a Parigi, per avere maggiori delucidazioni e potersi a sua volta pronunciare sugli altri problemi del giorno. Ma egli appariva fin d’ora convinto del fatto che nessuna decisione
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si potesse prendere in merito alla proposta tedesca prima di risolvere le nodose questioni del disarmo tedesco e dell’evacuazione di Colonia; gli premeva inoltre di sapere fino a qual punto la Gran Bretagna sarebbe stata disposta ad impegnarsi. L’inquietudine nella capitale francese a tal riguardo era diffusa: il Maresciallo Foch, Presidente del Comitato Militare Alleato di Versailles ed uno dei simboli della vittoria francese, non faceva altro che porre l’accento sui pericoli d’un rapido ristabilimento della Germania in Europa 71. Nel pomeriggio del 16 marzo Herriot ebbe a Parigi un nuovo incontro col ministro inglese e a questi non nascose che il fallimento del protocollo sarebbe stato per la Francia un grande choc, con effetti inimmaginabili sulla tenuta della compagine governativa e sugli umori dell’opinione pubblica. Ciononostante, Herriot avrebbe cercato di far esaminare con spirito attento le proposte tedesche; andava però chiarito che la Francia non era affatto pronta a discutere di problemi quali il disarmo generale, come invece gli Stati Uniti sembravano inclini a fare sulla scorta dell’esperienza maturata alla Conferenza navale di Washington. Se invece si fosse trattato di realizzare un patto che garantisse alla Francia una reale sicurezza, allora era ben altra cosa; «allora, invero, egli sarebbe andato dall’opinione pubblica francese a dire che bisognava ridurre la potenza militare». Chamberlain prospettò al suo collega una visione alquanto diversa: «Dopo tutto – egli disse – il maggior fattore oggi nel mondo era la paura, e questa paura non era confinata all’Europa, ma affliggeva anche altre nazioni»; occorreva dunque non rifiutare un eventuale invito del governo americano a discutere anche del disarmo terrestre ed aereo. Herriot tornò poi sul problema della sicurezza pronunciandosi favorevole alla proposta tedesca, senza dilungarsi in ulteriori precisazioni. Chamberlain, da parte sua, confermò che la Gran Bretagna non avrebbe consentito che la conclusione di un patto con la Germania fosse condizionata all’evacuazione anticipata delle zone renane 72. Dal secondo incontro con Chamberlain, Herriot trasse le seguenti impressioni: «Dal punto di vista cecoslovacco e dal punto di vista della sicurezza dell’Europa centrale, sarebbe evidentemente la soluzione migliore di avere un trattato generale di mutua assistenza inglobante anche la frontiera
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orientale della Germania, e così praticamente quasi tutta l’Europa. Se non è possibile pervenire a un tale trattato e se si va ad elaborare un trattato di mutua garanzia solo per l’Europa occidentale, esso presenterà certamente, pur avendo importanza molto minore, un certo numero di vantaggi per i paesi dell’Europa orientale», essendo una garanzia che, pur parziale, avrebbe avuto ripercussioni «dall’altro lato della Germania, e soprattutto nella valle del Danubio, più che in Polonia, perché la Polonia si sente minacciata anche dalla Russia, il che non è il caso della Cecoslovacchia». Occorreva tuttavia, ad avviso di Herriot, porre il trattato di Versailles alla base di ogni cosa (essendo esso il diritto internazionale esistente). Ma il nuovo sistema non avrebbe dovuto compromettere l’assetto dell’Europa centrale. La Germania, inoltre, avrebbe dovuto prima entrare nella Società delle Nazioni. Quanto alla possibilità di concludere trattati di arbitrato tra la Germania ed i suoi vicini orientali, ciò non era da escludersi, tanto più che detti strumenti si sarebbero facilmente collegati al patto renano, in quanto «le potenze occidentali avrebbero potuto divenire moralmente garanti affinché la procedura pacifica di soluzione delle controversie indicate in questo trattato fosse sempre mantenuta dalla Germania». Ma l’iniziativa per un patto arbitrale doveva essere anglofrancese, invece che tedesca. Bisognava poi dire a tutti che non vi sarebbe stata alcuna possibilità di riaprire la discussione su certe frontiere, senza provocare contraccolpi sull’assetto di tutte le altre. «Così, la conclusione di un sedicente patto di sicurezza, o trattato di garanzia, che non tenesse conto di quanto ho appena esposto, sarebbe in verità l’inizio di un periodo di incertezza generale e di confusione completa. È per questo che occorrerebbe farlo in modo tale che i paesi dell’Europa centrale ne avvertano gli effetti come l’inizio di un periodo di tranquillità e perché possano dedicarsi completamente al lavoro della loro ricostruzione interna» 73. Le considerazioni del ministro francese erano certamente dettate dal rigetto del Protocollo di Ginevra da parte della Gran Bretagna, annunciato nel corso della visita di Chamberlain a Parigi. L’inquietudine sollevata nel mondo politico francese non risparmiò le sinistre. Léon Blum, ad esempio, constatò con rammarico che la Gran Bretagna era diventata «colonia dei
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suoi Dominions» e della politica isolazionista americana. Egli aggiunse che, prima di ogni altro passo in materia di sicurezza, la Germania avrebbe dovuto aderire alla Società delle Nazioni e soltanto sotto l’egida di questa sarebbe stato possibile qualsiasi negoziato su un patto di garanzia 74. Herriot si vedeva probabilmente tra due fuochi: riservare alla proposta tedesca un’accoglienza troppo fredda avrebbe scatenato in Germania le furie dei nazionalisti contro il governo Luther, che avrebbe seriamente vacillato e compromesso la possibilità di una garanzia britannica; caldeggiarla, avrebbe significato inimicarsi inesorabilmente il Bloc National e certamente buona parte del “Cartello delle Sinistre” 75. Il 27 marzo, tuttavia, Herriot autorizzò De Margerie a dire a Stresemann che era prevedibile l’invio di un memorandum anglofrancese alla Germania, in risposta al suo recente passo 76. Era chiaro che la Polonia mai avrebbe accettato che in Europa si parlasse si sicurezza con la prospettiva di rivedere i trattati ai suoi danni. Questo dichiarò il ministro degli esteri polacco Skrzynski a Ginevra, il 13 marzo; questo egli ribadì il successivo 24 77, innanzi alla Commissione esteri della Dieta 78. La Polonia, inoltre, non avrebbe consentito di includere tra le questioni oggetto di arbitrato obbligatorio quelle territoriali, che, al massimo, potevano rientrare nei pronunciamenti conciliativi non vincolanti 79. Sull’onda delle delusioni recentemente sofferte a causa del ripudio britannico del Protocollo di Ginevra, nel corso del marzo Herriot illustrò il suo punto di vista ad una delegazione della Commissione esteri della Camera. Spiegò che la Germania avrebbe dovuto entrare nella Società delle Nazioni e, solo allora, la Francia avrebbe potuto esaminare con la dovuta attenzione le possibili soluzioni per una duratura pace europea; basilare era anche la salvaguardia del principio del rispetto dei trattati di pace 80. La posizione di Herriot, che molto preoccupò Lord Crewe 81, provocò reazioni indignate nelle sfere dirigenti tedesche, al punto da spingere il Segretario di Stato von Schubert a qualificare come infami le parole dello statista francese. «Io ero a Londra nel 1914 – disse egli all’incaricato d’affari italiano Guarneri – e sono in grado di poter affermare con la più grande energia che una parte della colpa della guerra è della Francia ed anche una parte della Germania; vi sono però altri sui quali ricade la colpa maggiore», cioè l’Inghilterra 82.
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La Francia del Cartel des Gauches sembrava dunque volersi ancorare ad un’intesa preventiva con i suoi alleati, nel quadro di Versailles e del Covenant, prima di concludere un patto di sicurezza con la Germania 83. Ma al contempo, essa doveva prendere atto che le intenzioni degli inglesi erano affatto differenti e che non era possibile aprire con loro un contenzioso e rompere un’intesa su una materia così delicata. Il dilemma della Francia, presa tra Covenant, patto di garanzia e alleanze orientali, non sfuggì a Chamberlain. «Quanto alla frontiera orientale – egli osservò il 2 aprile – non mi è, per il momento, ancora chiaro cosa desiderino i paesi direttamente interessati o il governo francese». Probabilmente, essi volevano soltanto ricordare alla Germania che «per il fatto di dare una sicurezza addizionale ad ovest non stavano distruggendo alcuna stipulazione dei trattati in vigore». Su queste basi era dunque possibile lavorare, senza pretendere che la Germania rinunciasse, anche per il futuro, a quelle revisioni ad oriente, perseguite con un negoziato paziente e comprensivo 84. Era questa la situazione al momento in cui Briand giunse al Quai d’Orsay. Per quanto non si voglia qui svolgere la trama della narrazione successiva, va comunque detto che la politica del nuovo ministro degli esteri francese non si allontanò di molto dal sostanziale riserbo, già manifestato da Herriot al momento della presentazione del memorandum tedesco. Lo prova il fatto che rimase immutata al Quai d’Orsay la dirigenza dell’Ufficio degli Affari Politici e Commerciali, che fungeva in pratica da “ufficio studi” sulle questioni legate alla sicurezza. Certamente il Briand avrebbe condito con accenti “lirico-pacifisti”, a lui familiari, la politica verso la Germania e verso la Società delle Nazioni; tuttavia i problemi da affrontare non astraevano da una realtà meno aulica, di radicale ridimensionamento della potenza francese. In un tale quadro Briand doveva far sì che la Francia desse un attivo contributo alla sicurezza collettiva. Ma tale proposito ormai non poteva prescindere dall’iniziativa tedesca, tanto che anche il sistema francese di sicurezza orientale, realizzato con patti bilaterali stipulati tra la Francia e rispettivamente la Polonia e la Cecoslovacchia, finiva in ultima istanza per dipendere pur sempre da un adeguato sistema di sicurezza nei confronti della Germania.
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Princìpi ispiratori potevano considerarsi la pace, la sicurezza, il non ricorso all’uso della forza per risolvere controversie internazionali, il rispetto del diritto internazionale, la limitazione degli armamenti. Sulla questione della Kriegsschuldfrage e sulle altre considerate in questo paragrafo introduttivo, si rimanda ai numerosi saggi indicati nella bibliografia annessa al presente studio. Cuno a Wiedfeldt, 13 dicembre 1922, ADAP, A, Band VI, doc.271. La proposta di Cuno trovasi anche, in Foreign Relations of the United States (d’ora in avanti: FRUS), 1922, vol.II, Washington:The U.S. Government Printing Office, 1938, p.205. Rosemberg a Sthamer, 2 gennaio 1923, ADAP, A, Band VII, doc.3. E.WEILL-RAYNAL, Les Réparations Allemandes et la France, II, Paris: Plon, 1938, p.562. Alla Germania veniva concesso anche un prestito, i cui criteri erano contenuti nel Piano Bonar Law, approvato dal Comitato Dawes (cfr.p.574). Sulle conclusioni della Commissione interalleata di controllo sui territori tedeschi e sui relativi effetti politici cfr. Documents on British Foreign Policy (d’ora in poi DBFP), Series I, vol. XXVII, capitolo III. Memorandum respecting the Balance of Power in Europe and its Effect on the Problem of Security, inviato da D’Abernon a Chamberlain il 7 gennaio 1925 con tel. n.17. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.181, con allegato. Nota del Segretario di Stato von Schubert, 14 gennaio 1925,ADAP,A, Band XII, doc.22. D’Abernon a Chamberlain, 19 gennaio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc. 567. Cfr. nota 3. Schubert a Sthamer, 19 gennaio 1925, in Locarno Konferenz, eine Dokumentensammlung, Berlin 1962, doc.1. Nello stesso senso: Stresemann a Hoesch, 15 gennaio 1925, ADAP, A, Band XII, doc.24. Il Memorandum dianzi ricordato fu fatto segno di critiche al Foreign Office. «Esso contiene molto di vero – osservò Lampson – ma non è con la verità bensì con la paura che noi dobbiamo avere a che fare», e la Francia aveva paura. Nello stesso senso si indirizzarono le critiche di Chamberlain al documento di D’Abernon. DBFP, Series I, vol.XXVII, nota 5 a p.260. Sull’azione indipendente e sul ruolo di Lord D’Abernon, si vedano le osservazioni di A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.83-84. DBFP, Series I, vol.XXVII, Allegato al doc.189; il documento in questione fu a suo tempo pubblicato, nelle due principali versioni inglese e francese, da F. S. GIOVANNUCCI, Locarno, cit. Appendice, pp. 391-392. L’originale tedesco del memorandum può leggersi in Locarno Konferenz, cit., doc.2 (nella versione inviata a Londra) e doc.5 (nella versione inviata a Parigi); esso trovasi ora anche in ADAP,A, Band XII, allegato al doc.37. Nell’Archivio del Ministero degli Esteri italiano sono presenti: la versione del Memorandum inviata dall’Ambasciata tedesca a Roma il 24 febbraio 1925; l’altra inviata al Quai d’Orsay (e spedita il 3 marzo 1925 dall’Ambasciatore italiano a Parigi Romano
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Avezzana a Mussolini con tel.854/281/349); la versione inviata dal governo tedesco a quello belga (e spedita dall’incaricato d’affari italiano a Bruxelles, Daneo, il 10 marzo con tel.385/43; cfr. DDB, 1920-1940, t.II, allegato 1 al doc.23). ASMAE, Archivio di Gabinetto (d’ora in poi: Arch.Gab.), Serie Trattati e Società delle Nazioni (d’ora in poi, TSN), busta 40. Tale introduzione è compresa nella versione originale tedesca: cfr.ADAP,A, Band XII, p.88. La versione inglese della nota tedesca recita esattamente così: «To the examples set out above still other possibilities of solution could be linked. Furthermore, the ideas on which these examples are based could be combined in different ways » (è a questo punto che le altre versioni esplicitano: sul modello del Protocollo di Ginevra). Per il dibattito sul futuro del Protocollo di Ginevra, vedasi LEAGUE OF NATIONS, Records of the Fifth Assembly. Text of the Debates, Ginevra 1924, pp.41-79; 192-226; 228-230; il testo del protocollo trovasi alle pp.498-502. Per la posizione britannica sul problema, DBFP, Series I, vol. XXVII, docc.84, 186, 191. La differenza esistente tra la nota presentata a Londra e quella presentata a Parigi non sfuggì al Foreign Office, come dimostra una minuta di Bennett del 16 febbraio 1925: DBFP, Series I, vol.XXVII, nota 2 a p.298. Quest’impressione ha trovato conforto nei colloqui avuti a Parigi con il prof.Peter Krüger, che qui ringraziamo per l’amabile disponibilità. Gaus a von Bülow, 12 gennaio 1925, ADAP, A, Band XII, doc.17. P. KRÜGER, Die Außenpolitik der Republik von Weimar, cit., pp.269-270. G. STRESEMANN, La Germania fra le nazioni, cit., p.9. Stresemann riteneva l’evacuazione di Colonia una condizione indispensabile per l’esecuzione del Piano Dawes da parte della Germania; si veda De Bosdari a Mussolini, 2 gennaio 1925, tel. 13/3, in ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. D’Abernon a Chamberlain, 23 gennaio 1925, DBFP, Series I, vol. XXVII, doc. 190. Cfr. Appunto di von Schubert, 23 gennaio 1925, ADAP, A, Band XII, doc.44. Cfr. Minuta di Sir Eyre-Crowe del 27 gennaio 1925: DBFP, Series I, vol. XXVII, nota 8 a p. 285. Cfr. S. EYRE CROWE, Sir Eyre Crowe and the Locarno Pact, in «The English Historical Review», 1972, pp.54-56. Appunto di Sir M.Hankey, 23 gennaio 1925, DBFP, Series I, vol. XXVII, allegato al doc.191. Hankey riteneva che occorresse compensare la Francia per il fallimento del Protocollo di Ginevra; un patto di garanzia anglofrancese si presentava dunque come il minore dei mali. La Orde ha illustrato le diverse tendenze all’interno del Gabinetto Baldwin e del Comitato e sottocomitato per la Difesa Imperiale.Tra questi organismi e il Foreign Office, rappresentato da Sir Eyre-Crowe, si sviluppò un’accesa dialettica sulle possibili ipotesi di patto di sicurezza. A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.71 ss. Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII, nota 12 a p. 288. Echi di queste riflessioni nelle sfere dirigenti britanniche giunsero a Roma. Della
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Torretta a Mussolini, 28 gennaio 1925, tel.380/70/A.18, in ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Idem, 2 febbraio 1925, tel.147/84, ibidem. Chamberlain a D’Abernon, 30 gennaio 1925, DBFP, Series I, doc.195. Cfr. von Schubert a Hoesch, 31 gennaio 1925, ADAP, A, Band XII, doc.60. Chamberlain a Crewe, 30 gennaio 1925, DBFP, Series I, doc.196. Per notizie afferenti alla situazione ad est, si veda il Memorandum respecting future relations between Germany and Poland, 12 febbraio 1925, doc.199. Da Londra, l’ambasciatore De Fleuriau informò che Chamberlain intendeva mettere al corrente il governo francese del memorandum tedesco, essendo il più interessato alla questione. Il ministro inglese comunque riteneva che la Germania avrebbe dovuto anzitutto entrare nella SDN. De Fleuriau a Herriot, 28 gennaio 1925, tel.52, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.72. Per le informazioni dall’ambasciata francese a Berlino, De Margerie a Herriot, 24 gennaio 1925, tel.126-132. S. EYRE CROWE, Sir Eyre Crowe and the Locarno Pact, cit., p.58. Chamberlain a Crewe, 16 febbraio 1925 (ma redatto il 14), DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.200. Si veda a tal proposito il colloquio tra Chamberlain e l’Ambasciatore De Fleuriau. In tale occasione, il diplomatico francese si trovò a disagio nell’illustrare la posizione del suo Governo. Chamberlain a Crewe, 13 febbraio 1925, ibidem, doc.584. Chamberlain a Grahame, 26 febbraio 1925, ibidem, doc.212. Così Della Torretta a Mussolini, 25 febbraio 1925, tel.290/182, evocando un colloquio tra Chamberlain e l’ambasciatore francese a Londra De Fleuriau; vedasi altresì, idem, 28 febbraio 1925, tel. 308/190, il tutto in ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Chamberlain aggiunse che non avrebbe arrischiato nemmeno le ossa di un granatiere britannico per il bene del “corridoio” polacco. Chamberlain a Crewe, 16 febbraio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.200. Per la trama degli eventi, si veda A. ORDE, Great Britain and International Security 19201926, cit., pp.91 ss. Per i documenti: Chamberlain ad Eyre-Crowe, 7 marzo 1925, tel. citato, Della Torretta a Mussolini, 11 marzo 1925, tel 375/220; idem, 16 marzo 1925, tel.399/233, in ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40; lettera di De Margerie a Laroche dell’11 marzo 1925; risposta di Herriot al discorso di Chamberlain ai Comuni; scambio di lettere tra Laroche e De Fleuriau del 14 marzo 1925, in AMAE, Z-Europe: GrandeBretagne, vol.73. Della Torretta a Mussolini, 6 marzo 1925, tel.540/211/A.18, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Chamberlain precisò queste idee già nelle riunioni di gabinetto che precedettero il suo intervento parlamentare. Si veda il resoconto di A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.89-91. Per il discorso di Chamberlain ed il dibattito ai Comuni del 5 marzo 1925, 181 H.C.Deb. 5 s, cols.707-710 e 713-715. Eccellente fu l’impressione che i tedeschi ebbero del discorso del ministro inglese: D’Abernon a Chamberlain, 6 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.223. «Anche
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Chamberlain - scrisse Stresemann all’ambasciatore tedesco a Mosca - ha ieri parlato in termini generali delle nostre iniziative. A tal proposito, comunque, egli ha in ogni caso rappresentato in modo in parte inesatto i precedenti dei nostri passi». Stresemann a Brockdorff-Rantzau, 6 marzo 1925, ADAP, A, Band XII, doc.139 con nota 6; cfr. altresì doc.138. A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.94 ss. Per MacNeill, infatti, il Trevelyan era in ritardo di un secolo, avendo già il Canning inaugurato l’era della diplomazia aperta. Della Torretta a Mussolini, 12 marzo 1925, tel.966/231/A1, ASMAE, Arch.Gab., cit., TSN, busta 40. Della Torretta a Mussolini, 19 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.768. Si veda il resoconto del secondo colloquio Chamberlain-Herriot; Chamberlain ad EyreCrowe, 7 marzo 1925, in DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.225; da sottolineare che Chamberlain ribadì le sue opinioni anche incontrando Beneš, poco dopo, a Ginevra. Crowe a Chamberlain, 11 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII doc.237; cfr. doc.226. Per l’Italia vedasi: Della Torretta a Mussolini, 11 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.757; Mussolini a Della Torretta, 14 marzo 1925, doc.761; cfr.doc.756.Vedansi ancora i DDB, 1920-1940, t.II, doc.33. Minuta di Sir Eyre-Crowe del 16 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, nota 4 a p.379. Così si espresse Sir Eyre-Crowe con l’ambasciatore francese De Fleuriau il 20 marzo 1925; ibidem, doc.260. A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.97 ss. Chamberlain a D’Abernon, 18 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc. 255. Della Torretta a Mussolini, 25 marzo 1925, tel.1108/275/A.18, in ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Era anche questo il senso delle conclusioni cui perveniva un lungo memorandum di Harold Nicolson del 20 febbraio 1925, sottoposto a Chamberlain. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.205. 182, H.C. Deb.5, cols.307-322; 291-408 per tutto il dibattito. Chamberlain a D’Abernon, 25 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.269. Il resoconto di Sthamer, ove l’ambasciatore indica in dettaglio le osservazioni mosse al discorso di Chamberlain, attesta una certa concitazione del ministro britannico nel corso del colloquio. Sthamer ad AA,ADAP,A, Band XII, doc.199. Cfr.A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.100 ss. D’Abernon a Chamberlain, 28 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.274; cfr. Appunto di von Schubert, 27 marzo 1925, ADAP, A, Band XII, doc.206, ove trovasi in allegato il testo inglese della risposta che fu data al D’Abernon; v.anche doc.213. Romano Avezzana a Mussolini, 22 gennaio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.682; cfr. idem, 24 gennaio 1925, doc.685.
Capitolo I – La nota tedesca del 20 gennaio 1925
54 Crewe a Chamberlain, 28 gennaio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.193. 55 Herriot a De Margerie, 29 gennaio 1925, l.p. n.180, segreta, AMAE, Z-Europe: GrandeBretagne, vol.72. 56 Romano Avezzana a Mussolini, 11 febbraio 1925, tel.208/86/27, in ASMAE,Arch.Gab., TSN, busta 40. 57 In questi termini Herriot si espresse con Crewe il 12 febbraio 1925. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.198. 58 Per il colloquio Herriot-Hoesch, cfr. Hoesch ad AA, 17 febbraio 1925, ADAP, A, Band XII, doc.99; v.anche doc.105 e nota 3 a p.252. Di fonte francese si ha il verbale redatto personalmente da Herriot, il 17 febbraio, e il suo telegramma alle rappresentanze diplomatiche francesi, del 21 successivo. AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.72. La comunicazione del Quai d’Orsay ad Hoesch, del 20 febbraio 1925, in cui si accusava ricevuta del memorandum tedesco, riservandosi di consultare gli alleati, trovasi negli archivi francesi e in Materialen zur Sichereitsfrage, deutsches Weißbuch, Band I, Berlin 1925, p.15, nonché in Locarno Konferenz, cit., p.69. Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII, docc.207 e 208. 59 D’Abernon a Chamberlain, 19 febbraio 1925, ibidem, doc.204. 60 L’ambasciatore britannico a Parigi ipotizzò trattarsi di un sondaggio degli umori della piazza, fatto per conto dello stesso ministro degli esteri: Crewe a Chamberlain, 1° marzo 1925, ibidem, doc.217. Sempre il 20 febbraio, von Hoesch fu ricevuto al Quai d’Orsay dal Direttore degli Affari Politici e Commerciali, Laroche. Questi osservò che, per essere accettabile, la garanzia offerta dalla Germania doveva contenere qualcosa di nuovo e non essere mera ripetizione di quella di Versailles. Hoesch, dal canto suo, non nascose a Laroche che Chamberlain era già al corrente di tutto. L’alto funzionario francese ricavò l’impressione che, senza darlo a vedere, la Germania stesse legando le questioni della sicurezza e di Colonia. «‘Non bisognerebbe, ho detto all’ambasciatore di Germania sorridendo, contemplare un Piano Dawes della Sicurezza’. Egli mi ha risposto che noi non avremmo che da rallegrarci del Piano Dawes. Al che gli ho replicato che, in base alla situazione di bilancio della Germania, è evidente che essa non avrebbe a lamentarsene, e mi è sembrato che quest’osservazione lo imbarazzasse alquanto». Conversation de M.Laroche avec M.Hoesch, 20 febbraio 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.72. L’episodio non compare nel resoconto dell’ambasciatore tedesco: Hoesch ad AA, 20 febbraio 1925, ADAP, A, Band XII, doc.107. 61 Note de M.Fromageot sur le Memorandum allemande, 21 febbraio 1925, segreta, AMAE, ZEurope: Grande-Bretagne, vol.72. 62 Nota autografa di Seydoux, 22 febbraio 1925,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.73 (il corsivo è nostro). 63 Quelques idées en vue de la redaction d’une note sur les propositions allemandes, nota di Laroche del 23 febbraio 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.73 (il corsivo è nostro). Si
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veda anche una nota di Laroche per Herriot, del 26 febbraio, riassuntiva di un colloquio con Paul-Boncour. Ibidem. Nota del Quai d’Orsay sulle proposte tedesche, 26 febbraio 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.73. «Firmare un accordo - egli scriveva in una nota del 28 febbraio - dal quale risulti che la Germania non farà la guerra per modificare lo statu quo, ma che essa non l’accetta, sarebbe ammettere il ricorso ad una procedura di modifica dei trattati su questo punto. Ora, questa procedura è stata prevista dall’art.19 del Patto. Se si arrivasse ad ottenere l’adesione della Polonia e della Cecoslovacchia ad una simile clausola, sarebbe creare un disagio insopportabile e condurre molto rapidamente la Germania a precisare le modifiche allo statu quo che essa desidera, e che sono nel loro insieme: 1°) la soppressione del corridoio di Danzica; 2°) la restituzione di Danzica e della provincia di Posen; 3°) la restituzione della Slesia; 4°) la soppressione dell’articolo del Trattato di Saint-Germain, che vieta la riunione dell’Austria al Reich. La Germania non entrerà nella Società delle Nazioni che con l’intenzione di far scattare l’articolo 19 del Patto in questo senso». Nota di Seydoux, 28 febbraio 1925. AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.73. Note by M.De Fleuriau (4 marzo 1925). DBFP, Series I, vol.XXVII, allegato n.2 al doc.222. Sulla questione De Fleuriau ritornò nei giorni seguenti. Record by Mr.Lampson of a conversation with the French Ambassador, 11 marzo 1925, doc.236. DBFP, I Series, vol.XXVII, doc.225 (il corsivo è nostro). Memorandum to the Cabinet by Mr.Chamberlain, 9 marzo 1925, Ibidem, doc.232. P. WANDYCZ, France and her Eastern Allies, 1919-1925, Minneapolis, 1962, Appendix III, nonché pp.217-219; cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.187. Grenard a Herriot, 17 marzo 1925, tel.61-63, AMAE, Série Z-Europe: Pologne, vol.74. In una conversazione con Phipps: Crewe a Chamberlain, 11 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.238 (v. anche l’allegato); cfr. DDB, 1920-1940, t.II, doc.33; nonché Romano Avezzana a Mussolini, 30 gennaio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.699. Memorandum by Mr.Chamberlain of a conversation with Mr.Herriot, 16 marzo 1925, ibidem, doc.251. Cfr. nota 13 al doc.240. Il verbale redatto da Herriot trovasi in AMAE, ZEurope: Grande-Bretagne, vol.74. Memorandum (de M.Herriot), 16 marzo 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.74 (il corsivo è nostro). Questo durante una conversazione con Phipps, nel pomeriggio del 15 marzo: Crewe a Chamberlain, 16 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc. 252, con allegato il memorandum di Phipps. Anche De Jouvenel e Massigli non celarono i loro sospetti nei confronti della proposta tedesca: Phipps a Chamberlain, 30 marzo 1925, ibidem, doc.279. Crewe a Chamberlain, 22 marzo 1925, ibidem, doc.266. Herriot a De Margerie, 27 marzo 1925, tel.239, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.74.
Capitolo I – La nota tedesca del 20 gennaio 1925
77 Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.247. È da notare che Chamberlain disse ad Herriot di poter supporre che il ministro polacco «non era più incline ad assumere un’attitudine di non possumus»; ibidem, doc.251. 78 Ibidem, doc.276. Ben diverso era l’atteggiamento della Cecoslovacchia ed in specie di Beneš, il quale mostrò di non essere affatto preoccupato dalle ripercussioni di un patto renano sulla frontiera tedesco-cecoslovacca; ibidem, doc.240; cfr. docc.246 e 248. 79 Max Muller a Chamberlain, 25 marzo 1925, ibidem, doc.271. 80 Crewe a Chamberlain, 30 marzo 1925, ibidem, doc.278. 81 Crewe a Chamberlain, 28 gennaio 1925, ibidem, doc.193. Romano Avezzana considerava fondate le preoccupazioni di Herriot. Romano Avezzana a Mussolini, 30 gennaio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.699, già citato. 82 Guarneri a Mussolini, 31 gennaio 1925, tel.468/36, in ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40. 83 Similmente si espresse Laroche con Summonte. Summonte a Mussolini, 1° aprile 1925, tel.478/213, ibidem. 84 Chamberlain a D’Abernon, 2 aprile 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.283.
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CAPITOLO II.
L’ITALIA E LA NOTA TEDESCA
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POSIZIONE DELL’I TALIA ALLA VIGILIA DELLA PRESENTAZIONE
DELLA NOTA
Alla vigilia della presentazione della nota tedesca su un patto di sicurezza, l’Italia di Mussolini non era estranea alle discussioni che un tema sì delicato sollecitava. Una riunione fra i membri del Consiglio della Società delle Nazioni, svoltasi a Roma nella prima decade di dicembre del 1924, fu l’occasione per affrontare tali argomenti. In previsione dei colloqui che si sarebbero tenuti con Chamberlain, da poco Ministro degli esteri del nuovo Governo Baldwin, Mussolini aveva preparato un sommario di questioni da sottoporgli. Esse riguardavano gli aspetti coloniali, nonché i reciproci interessi italoinglesi, in Africa e nel Vicino Oriente: regolamentazione del confine cirenaico-egiziano all’oasi di Giarabub e controllo dei ribelli libici; intesa sulla repressione del traffico di schiavi in Mar Rosso, sulle questioni interarabe e dei luoghi santi; conferma o revisione dell’accordo tripartito del 1906 che definiva le zone di influenza in Etiopia; soluzione di una questione interpretativa del predetto accordo, riguardante il Lago Tana; intesa per il controllo del traffico d’armi in Etiopia; questioni di Tangeri, del fiume Gash, ed alcune altre riguardanti la Turchia 1. I temi menzionati furono trattati nel corso dei colloqui che Mussolini e Chamberlain ebbero il 7 dicembre. A questi temi si aggiunse un altro, non contenuto nel sommario di Mussolini, e riguardante il destino del protocollo di Ginevra. Da un appunto autografo del capo del governo italiano, redatto a conclusione dell’incontro con il ministro britannico, emerge che si concordò di rinviare l’entrata in vigore del protocollo, per approfondirlo, «anche per dar modo agli [inglesi] di sentire i dominions» 2.
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Il comunicato finale dei colloqui Mussolini-Chamberlain, diramato quello stesso 7 dicembre, parlò di uno «spirito di cordiale amicizia» nel trattare le varie questioni, nonché di una possibile «linea di condotta comune» nel cercare di risolverle 3. Il governo fascista e quello conservatore di Londra erano dunque concordi nel voler procrastinare l’entrata in vigore del Protocollo di Ginevra, sulla base di motivazioni che Chamberlain addusse e che Mussolini condivise. Ha giustamente osservato il Lefebvre D’Ovidio che, pur non prendendo decisioni importanti, se non quella del “congelamento” del Protocollo, il colloquio Mussolini-Chamberlain «ebbe invece un significato di grande rilievo sul piano della politica generale, poiché iniziò una stretta collaborazione italo-britannica che doveva durare anche oltre la presenza di Austen Chamberlain agli Esteri» 4. La linea di condotta sul Protocollo di Ginevra, accomunante Mussolini e Chamberlain, non sottaceva le peculiari riserve italiane verso quello strumento così poco adatto a regolare controversie di natura extraeuropea. Lo si evince da un parere del Consiglio del Contenzioso Diplomatico, emesso il 23 ottobre 1924 sulla base di una relazione del suo Segretario generale, il giurista Amedeo Giannini. Ad avviso del Consiglio, occorreva firmare il Protocollo di Ginevra, ma al contempo formulare delle riserve, in quanto «gravissime questioni – come, ad esempio, quelle a cui possono dar luogo le mutevoli esigenze demografiche ed economiche, relative agli elementi fondamentali della vita delle Nazioni, che attualmente è impossibile prevedere – sfuggono al regolamento stesso, mentre le supreme ragioni dell’equità esigono che sia data loro adeguata soddisfazione».Trattavasi infatti di «esigenze di ordine superiore» suscettibili di provocare le «più gravi guerre» e di compromettere i fini perseguiti dal Protocollo 5. Al parere del Consiglio del Contenzioso diplomatico si sarebbe conformato, poco dopo, un Comunicato dell’Agenzia d’Informazioni per la Stampa “Alessandro Volta”, diramato il 20 febbraio 1925, che ufficializzava la posizione italiana ed aggiungeva le seguenti considerazioni: «L’attuale situazione del mondo coloniale, comunque ispirata a nobiltà di intendimenti ed a fini di pacificazione, contiene in se stessa germi di malessere per i rapporti tra gli Stati, per
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Capitolo II – L’Italia e la nota tedesca
il fatto stesso che le potenze le quali dispongono di colonie mostrano di considerarle come una specie di proprietà privata intangibile, anziché come una funzione di civiltà, come un elemento compensatore degli squilibri interstatali, come una valvola di sicurezza per la Società degli Stati» 6. Man mano che si precisava la posizione italiana su vari temi, i rapporti italobritannici si intensificarono. Cordiale fu il messaggio che Chamberlain inviò a Mussolini il 14 dicembre, in ricordo delle conversazioni romane; apprezzabile fu la soluzione della piccola questione del fiume Gash, con lo scambio di note, nella stessa data, tra il Governatore Generale del Sudan, Sir Archer, ed il Governatore d’Eritrea, Gasparini 7. Prospettandosi un’intesa italobritanica, non solo su questioni coloniali, ma anche sul Protocollo di Ginevra, sembrava dunque indebolirsi la posizione del Cartel des Gauches, di un governo francese che intendeva salvare i contenuti di quello strumento giuridico. Salvare il protocollo fu appunto l’intento di Herriot, che incontrò Chamberlain a Parigi il 5 dicembre, prima della riunione di Roma 8. Nella capitale italiana toccò a Briand (che non rivestiva allora cariche governative) illustrare a Mussolini le aspirazioni francesi in materia di sicurezza. Egli ebbe un colloquio con il capo del governo, l’11 dicembre. Stando al riassunto da questi redatto, Briand tessé l’«apologia di un’intesa a tre (Francia, Inghilterra, Italia) per ‘montare la guardia alla pace’». «In un secondo tempo», secondo l’uomo politico francese, «con un sistema di rapporti economici, anche la Germania potrebbe entrare in questo sistema». Alle argomentazioni di Briand, Mussolini rispose che «in linea di massima la cosa è possibile». «Ma – aggiunse – senza la soluzione préalable delle questioni che interessano a due o a tre le potenze, non vi può essere intesa qualsiasi (questioni debiti e minori)». Al che Briand concluse «che ne avrebbe parlato in via confidenziale a Herriot» 9. Le questioni cui Mussolini faceva riferimento erano anzitutto quella di Tangeri, su cui l’Italia voleva aver maggior voce, approssimandosi l’entrata in vigore dello Statuto, prevista per il 1° giugno 1925 10; e la questione tunisina, che Mussolini avrebbe desiderato risolvere momentaneamente, prolungando le convenzioni italofrancesi del 1896.
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Il capo del governo italiano riteneva che l’Italia meritasse, come grande potenza, «una speciale considerazione dei suoi interessi mediterranei, tanto generali, quanto particolari nella zona di Tangeri». Ne aveva parlato all’ambasciatore francese a Roma, Barrère, poco prima del congedo di questi 11; ne intrattenne Briand durante le conversazioni di Roma. L’autorevole politico francese mostrò «vivo interessamento» all’idea di «eliminare ogni qualsiasi difficoltà politica che possa intralciare il consolidamento delle amichevoli relazioni fra i due paesi» 12. Era un momentaneo puntello per una possibile intesa italofrancese. Su una terza questione Mussolini ebbe modo di riflettere, in quel torno di tempo. Si tratta del rinvio dell’evacuazione di Colonia, già previsto per il 10 gennaio 1925. La Conferenza degli Ambasciatori non riteneva sussistenti le condizioni e i motivi per por termine all’occupazione della prima zona renana. Su questa decisione si animò il confronto franco-britannico. L’ambasciatore italiano a Parigi segnalò il progressivo disinteresse della Gran Bretagna per le questioni renane e chiese a Mussolini se ritenesse ciò lesivo degli interessi italiani, come la Francia lo riteneva dei propri. Romano Avezzana aggiunse che la tesi italiana e quella francese coincidevano, in tale questione come in quella delle riparazioni, nel senso che, non riscuotendo dalla Germania il dovuto, sarebbe stato impossibile onorare i debiti interalleati. Romano segnalò poi altri non secondari inconvenienti della politica inglese: anzitutto, il tentativo di escludere l’Italia dalle decisioni su Colonia; e poi il voler slegare le riparazioni dall’occupazione delle tre zone renane, «per farla dipendere esclusivamente dalla questione militare»; ma in tal modo, in caso di inadempienza tedesca, Italia e Francia sarebbero state del tutto disarmate 13. Mussolini, di fronte a queste considerazioni, osservò che l’atteggiamento di Parigi gli sembrava più aderente alla lettera ed allo spirito del Trattato di Versailles, rispetto a quello di Londra; pur ritenendo egli infondati i dubbi sulla condotta britannica. «Per siffatte considerazioni – concluse – l’Italia non potrebbe non associarsi alla tesi francese a meno che opportune dichiarazioni del governo britannico non dimostrino che le sue proposte non riescano di vantaggio per la pacificazione generale» 14.
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Fu così che, il 27 dicembre 1924, Romano Avezzana poté sollevare, in seno alla Conferenza degli Ambasciatori di Parigi, le riserve del governo italiano sul modo di procedere della Gran Bretagna, sostenendo che l’Italia aveva pari diritto ad intervenire in tutte le questioni interessanti quella Conferenza, nonché la Commissione delle Riparazioni ed il Comitato Militare Alleato di Versailles. L’ambasciatore italiano, soffermandosi sulle riparazioni, chiese anche al collega britannico, Lord Crewe, di chiarire se ad avviso del suo governo, «l’accettazione del piano Dawes ed il principio di esecuzione che esso ha avuto, sono considerati sufficienti per separare definitivamente nell’avvenire la questione delle riparazioni dalle altre parti del trattato». Il comportamento di Lord Crewe fu singolare: in privata conversazione, egli diede ragione al Romano; ma pubblicamente, non si espresse sul consenso degli altri membri della Conferenza degli Ambasciatori alla tesi italiana 15. Alla vigilia della presentazione della nota tedesca, Italia e Francia, distanti sulle questioni africane, erano dunque piuttosto vicine sulla questione dell’evacuazione di Colonia, che poi si intrecciava a quelle della sicurezza, delle riparazioni e dei debiti interalleati. Il fatto è che se l’occupazione delle zone renane, da strumento volto ad ottenere riparazioni e sicurezza ad un tempo, fosse stata mutata in sanzione di puro carattere militare, avrebbe con ciò perso ragion d’essere, per il semplice fatto che la Germania uscita da Versailles non minacciava, essendo completamente disarmata, la Francia vincitrice. Non era però da escludere il montare di una marea revanscista; a coloro che avevano firmato la pace, infatti, bruciava la marziale allegoria campeggiante all’ingresso della Sala degli Specchi di Versailles, quella degli «Allemands chassez au-delà du Rhin». La revanche era dunque un’eventualità tanto più realistica, quanto più andava dislocandosi il sistema di Versailles. E se il Piano Dawes, sottraendo al trattato di pace le clausole sulle riparazioni, avesse reso impossibile sanzionare eventuali inadempienze tedesche con l’occupazione (o la rioccupazione) delle zone renane, per Italia e Francia sarebbe stata una grave amputazione dei diritti dei vincitori, cui altre potevano seguire. Si comprende
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perciò la preoccupazione di Mussolini verso la politica britannica. Ma egli, forse invaghito dell’idillio romano con Chamberlain, non riflettè sul fatto che la sintonia coi francesi sui problemi dell’evacuazione di Colonia, delle riparazioni e dei debiti interalleati, era la migliore condizione per studiare un accordo préalable a quell’intesa a tre prospettatagli da Briand. In Italia fu la stampa a riportare le prime notizie di una proposta tedesca per un patto di sicurezza: ne era fonte il quotidiano Germania, sul quale era apparso, il 26 gennaio, uno schema di proposta di quel Centro cattolico di cui il giornale era organo 16. Nella già ricordata conversazione con von Schubert (cap.I. § 3), Guarneri chiese conferma delle voci circa una prossima proposta tedesca in materia di sicurezza; Schubert avallò le voci, ma aggiunse che non si trattava di cosa imminente; come disse al Guarneri, «il progetto di un patto simile è fissato già nelle grandi linee ed il governo ne sta studiando i dettagli per poterne fare la proposta in seguito». Come sappiamo, invece, il progetto era già stato redatto e consegnato in via ufficiale, il 20 gennaio, all’ambasciatore inglese a Berlino 17. Un segnale significativo che qualcosa era nell’aria provenne dalla Francia; questa, certamente sulla base del precedente di Colonia, diede l’impressione di mirare ad un fronte unico con l’Italia anche sul problema della sicurezza. La proposta tedesca rischiava di sottrarre altra linfa al trattato di pace, rendendo la Germania un po’ più padrona in Renania, alquanto sicura sulla sua frontiera occidentale, ma più minacciosa sulle altre frontiere. Si comprende perciò come mai Herriot non esitò a porre sul tappeto la questione dell’indipendenza austriaca, riferendo all’ambasciatore italiano a Parigi, Romano Avezzana, alcune informazioni che lasciavano presagire un tentativo di Anschluss 18. Non appena seppe di accenni all’Anschluss, Mussolini chiese ulteriori ragguagli all’ambasciatore italiano a Parigi 19 e fece presente all’ambasciatore a Londra l’opportunità di conversazioni tra alleati sulla ventilata questione 20. Mussolini sapeva di alcune polemiche tra la stampa francese e quella di lingua tedesca sull’avvenire dell’Austria 21: polemica tuttavia dai toni non troppo accesi e che lasciava campo ad un’ipotesi di confederazione danubiana.
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Herriot, tornando sull’argomento, dichiarò in forma privata a Romano Avezzana che l’Italia non poteva mostrarsi indifferente al problema dell’Anschluss; mentre il Direttore degli Affari Politici del Quai d’Orsay, Laroche, gli assicurò che il Governo francese era ben determinato ad opporsi all’unione austrotedesca; tale determinazione fu riaffermata anche nei giorni seguenti 22. A Laroche l’ambasciatore italiano disse di aver dovuto assumere le difese della Francia per controbattere alcuni severi giudizi espressi dal collega tedesco, a cui peraltro aveva suggerito un allargamento del patto che il suo governo era in procinto di proporre 23. Non poteva escludersi dunque una conferenza in cui poter esaminare problemi sinora trattati a livello diplomatico. «In previsione di questa tendenza verso una conferenza alla quale parteciperebbe anche la Germania – fu la conclusione di Romano Avezzana – sarebbe forse utile far conoscere in tempo opportuno il nostro modo di vedere per mezzo della stampa in forma spoglia di qualsiasi aggressività e con carattere obiettivo». La Francia, l’ambasciatore informava ancora, non poteva non volere l’Italia al suo fianco, di fronte al pericolo di una divergenza con Londra sui temi della sicurezza. «Un movimento per riconoscere certe necessità inerenti all’accrescimento di forze dell’Italia – aggiungeva l’ambasciatore – si va facendo (sic) in ambienti per lo addietro chiusi a siffatte concessioni» 24. Anche da Londra giungevano segnali rassicuranti, secondo i quali l’Italia certamente non sarebbe stata esclusa da un esame dei problemi del momento ed avrebbe potuto contare su una posizione comune in tema di indipendenza austriaca 25. L’ambasciatore Della Torretta informava altresì che il Governo di Sua Maestà desiderava per il momento una formula di garanzia risultante «da un limitato adattamento del protocollo di Ginevra», ancora da studiare e lungi dal soddisfare tutte le pretese francesi, ma pur comprensiva verso certe esigenze di sicurezza. Si trattava di una posizione di attesa, a pochi giorni dalla convocazione del Comitato di Difesa Imperiale26. Nonostante le assicurazioni ricevute, sta di fatto che l’Italia fu tenuta all’oscuro da Londra e da Parigi dell’avvenuta consegna del memoriale tedesco, benché questo citasse anche l’Italia tra i probabili contraenti di un patto di sicurezza e benché l’Italia facesse parte ancora della vecchia “intesa dei vincitori”.
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2. L E
VA L U TA Z I O N I I TA L I A N E S U L L A N O TA T E D E S C A
Il 23 febbraio 1925 l’ambasciatore francese a Roma Besnard informò ufficialmente il governo italiano che il giorno 9 il rappresentante tedesco a Parigi, von Hoesch, aveva consegnato un memoriale sulla sicurezza 27. Contarini ringraziò Besnard per le informazioni e aggiunse di vedere nel passo tedesco una prova di volontà di pace. Al Segretario Generale sembrava tuttavia indispensabile assicurare per le frontiere orientali tedesche una garanzia analoga a quella prevista per le frontiere occidentali. Entro tale quadro, l’Italia avrebbe mostrato la massima disponibilità a costruire una sicurezza nell’ambito del Trattato di Versailles 28. Contarini esprimeva chiaramente i dubbi dell’Italia; tralasciando il fatto che la tardiva comunicazione di una notizia così importante mal deponeva sull’affidabilità degli ex alleati, il Segretario Generale evidenziava le debolezze di una garanzia parziale, che privilegiava certe frontiere a scapito di altre. Il 24 febbraio fu Neurath, ambasciatore tedesco presso il Quirinale, a presentare copia in italiano del memorandum in questione 29. Ricevendo il documento, Contarini, forse tenendo presente le voci di parte francese circa l’anelito della Germania all’Anschluss, rilevò la necessità di una garanzia sulla frontiera settentrionale italiana 30. La visione di Mussolini non era certamente diversa. «L’indipendenza dell’Austria – ha scritto il Lefebvre D’Ovidio – aveva per Mussolini un’importanza di primissimo piano e se egli non ne faceva oggetto di dichiarazioni programmatiche, questo era piuttosto per evitare che il solo nominarla facesse implicitamente pensare che l’annessione rientrava nel novero delle possibilità eventuali e fornisse pretesto per l’apertura di un negoziato» 31. Se, in effetti, l’Anschluss non era oggetto delle discussioni fra le cancellerie alleate, ogni tentativo di agitare tale spauracchio non avrebbe dato risultati; inoltre i vincitori in blocco continuavano a proclamarsi paladini dei trattati di pace, che le varie proposte sulla sicurezza, avvicendatesi nel tempo, potevano semmai integrare, ma non modificare. Sorge anche il sospetto che, in questo momento, l’Anschluss fosse agitato dai francesi per avere l’Italia dalla loro parte nel prevedibile lungo negoziato successivo alla
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nota tedesca. Ma anche i francesi avevano interesse a difendere l’Austria, come dimostra il fatto che al Quai d’Orsay l’Anschluss era considerato fonte di destabilizzazione dell’Europa centrale, facendo confinare la Germania all’Ungheria 32. Anche la Gran Bretagna sembrava voler aprire all’Italia, per averla al suo fianco e così imporre alla Francia la propria idea di sicurezza. Ciò serviva a Mussolini per rafforzare l’intesa con Chamberlain e farne un modello da proporre alla Francia per la composizione dei rispettivi interessi. Ma questo tornava utile anche alla tradizionale politica prefascista del “pendolarismo”, che non pochi a Palazzo Chigi ancora coltivavano, specialmente ora che riappariva sulla scena diplomatica la Germania, ovvero l’altro “polo” verso cui oscillare. Mussolini comunque non trascurava il problema della sicurezza tout court. La nota tedesca fu subito sottoposta da Contarini alla sua attenzione. Esaminato il documento, il capo del governo italiano rilevò alcune differenze rispetto a quello presentato, proprio il giorno prima, dall’ambasciatore francese Besnard 33. Senza soffermarsi tuttavia sulla natura di queste differenze, egli chiese al Romano Avezzana di procurargli il testo originale pervenuto a Parigi, che doveva ritenersi facente fede a tutti gli effetti 34; il che Romano Avezzana si premurò di fare 35. Non è difficile immaginare quali impressioni il Capo del Governo italiano abbia desunto dal confronto tra il memorandum lasciato da Besnard e la nota consegnata da Neurath. Besnard, ad esempio, non aveva parlato di quella “garanzia fiduciaria” degli Stati Uniti che la nota tedesca invece contemplava quale ipotesi; in secondo luogo, nel memorandum di Besnard si informava che l’ambasciatore tedesco a Parigi, von Hoesch, aveva dichiarato verbalmente che «les frontières orientales ne seraient pas garanties comme celles de l’Ouest (...) mais toute idée de solution par la force serait écartée» 36. Oltre che informare il governo italiano della proposta tedesca, l’ambasciatore francese a Roma aveva assicurato che il suo governo si sarebbe consultato preventivamente con gli alleati, e quindi anche con l’Italia, sul seguito da dare ad essa. Anche Chamberlain diede una simile assicurazione 37, ed apprezzò che la Francia non si fosse mostrata subito contraria al passo (come
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risultava anche dai “colloqui segreti” tra Herriot ed Hoesch); segno che si era alla ricerca di una sicurezza non più imperniata sulla Piccola Intesa 38. Tra i primi a prospettare le difficoltà che la proposta tedesca comportava fu l’ambasciatore francese a Berlino, De Margerie, il quale espose i suoi dubbi all’incaricato d’affari italiano 39. De Margerie manifestò infatti le apprensioni francesi per il destino delle frontiere orientali della Germania 40. Non diversi problemi evidenziò anche l’ambasciatore francese a Londra De Fleuriau, al quale era cara l’idea del vecchio modello di patto franco-britannico; in questo senso egli parlò a Sir Eyre-Crowe, il quale non nascose le difficoltà che avrebbero frapposto i Dominions e soprattutto l’opinione pubblica, la quale avrebbe accettato un patto con la Francia soltanto se la Germania vi avesse aderito. «Gli ho detto – scrisse De Fleuriau a Parigi – che in Francia l’opinione pubblica potrebbe esser condotta poco a poco a conformarsi ad un tale sistema» 41. L’adattamento alle presenti circostanze doveva dunque riuscire non facile in Francia 42; come si è visto, al Quai d’Orsay molto si lavorò ad elaborare una posizione che risultasse il più precisa possibile 43. Dalle riflessioni in questa sede scaturì una nota che l’ambasciatore a Londra De Fleuriau consegnò a Sir Eyre-Crowe, ove si osservava che il patto anglo-franco-belgatedesco (non ancora l’Italia era considerata quale eventuale contraente) avrebbe indebolito, piuttosto che rafforzato, il sistema di Versailles. Ragion per cui la Germania doveva offrire delle garanzie, ed ogni alleato prendere precauzioni, sulle frontiere orientali e sull’Austria (si citava espressamente l’articolo 80 di Versailles) 44. Intrattenendo il Romano Avezzana sul problema della sicurezza, il Presidente della Repubblica francese, Doumergue, parlò poi della linea Reno-Adriatico come di una “frontiera unica”. Tutto questo poteva far pensare che l’indipendenza austriaca fosse considerata a Parigi interesse solidale delle grandi potenze europee 45. Il 6 marzo (vigilia del suo incontro con Chamberlain) Herriot dichiarò all’ambasciatore italiano che il problema dell’Austria era molto più attuale ed urgente del problema dell’Alsazia-Lorena e che occorreva agli alleati un accordo «per definire ed armonizzare i rispettivi interessi» 46.
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Si è dianzi visto 47 come i colloqui tra Chamberlain ed Herriot del 6-7 marzo a Parigi avessero evidenziato non poche divergenze in materia di sicurezza. Questo, a nostro avviso, spinse Herriot a cercare di far pendere il peso dell’Italia dalla parte della Francia. Egli assicurò a Romano Avezzana che un eventuale impegno della Germania a non ricorrere alla guerra, per risolvere controversie di cui fosse parte, poteva considerarsi un’implicita garanzia dell’indipendenza austriaca 48. Sintomatico fu poi un dispaccio dell’agenzia giornalistica Havas, redatto dal notista diplomatico Bassé sulla scorta di ragguagli del Quai d’Orsay circa i colloqui Herriot-Chamberlain. Il foglio, datato 9 marzo e pervenuto a Roma l’11 successivo, informava che dal testo definitivo del comunicato finale dei colloqui era stata stralciata una parte che induceva a supporre che l’Italia non era considerata alleato di primaria importanza; Herriot, inoltre, aveva prospettato al collega inglese «la minaccia che presenterebbe per l’Italia la riunione dell’Austria alla Germania, con mire di quest’ultima su Trieste» 49. Herriot dunque pensava sempre ad un patto di sicurezza preventivo, cioè senza la Germania, tra Francia e Gran Bretagna e semmai allargato al Belgio, e solo in via secondaria all’Italia; mentre Chamberlain desiderava studiare la proposta tedesca, cosa poco gradita al suo interlocutore il quale, a sua volta, sollevava il problema delle frontiere orientali e meridionali della Germania 50. Sia con la Havas che in altro modo, la Francia, cercava dunque di avvicinarsi all’Italia, pur nel tentativo di armonizzare la proposta tedesca con le proprie esigenze, senza scontentare i britannici. Chamberlain aveva infatti espresso ai Comuni, il 5 marzo, l’opinione che la proposta tedesca andava considerata come fatto ineludibile per risolvere i problemi del momento 51. Questo punto di vista venne accolto in Italia in una nota ufficiosa, apparsa il 10 marzo sul Popolo d’Italia; vi si leggeva che la proposta tedesca era il primo passo verso una vera pace, poiché la Germania riconosceva il Trattato di Versailles, almeno per ciò che concerneva direttamente la Francia. Al contempo si dava per certa una conferenza internazionale, a Londra o a Bruxelles, da convocarsi per le imminenti feste pasquali 52. Precisando personalmente il suo pensiero, Mussolini concordò con la visione di Chamberlain, circa il fatto di non «legarsi ciecamente con impe-
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gni preventivi e non bene definiti in materie di così vasta portata». Egli non vedeva difficoltà nell’aderire ad un patto generale tra gli alleati e la Germania; ma alludendo alla possibilità di un Anschluss, tenne a precisare che si sarebbe preoccupato soltanto se «ulteriori accordi particolari» avessero sminuito anziché accresciuto il valore dei trattati di pace 53. In questo, il punto di vista italiano poteva considerarsi come «analogo e parallelo» a quello britannico. Contarini, da parte sua, aveva ricevuto il 9 marzo von Neurath, illustrandogli la posizione del suo paese. «L’Italia ha un interesse limitato al patto – così l’ambasciatore tedesco riassunse il colloquio col Segretario Generale – ma vi parteciperà come garante della frontiera occidentale tedesca per non restare esclusa. Essa respinge per contro la garanzia sulle frontiere orientali tedesche. La frontiera attuale verso la Polonia è innaturale e l’Italia non ha ragione alcuna di sostenere le manie di grandezza polacche e cecoslovacche, nè desidera esser coinvolta nei conflitti che certamente sono da attendersi. Romano Avezzana è stato stato convocato a Roma per ricevere le istruzioni del caso» 54. Se le informazioni di Neurath riproducono dichiarazioni di Contarini, abbiamo qui una prova significativa dei tentativi della “carriera” (di cui il Segretario Generale era il più autorevole esponente) di oscillare tra posizioni diplomatiche contrapposte, quella francese e quella tedesca. Infatti Contarini, dopo aver rilevato con Besnard la necessità di garanzie ad est della Germania, ora con Neurath esprimeva un’idea affatto contraria, cui aggiungeva la richiesta di garantire il Brennero. Resta comunque il fatto che fu la visione di Mussolini a prevalere, perché egli accolse la nota tedesca come un primo segnale positivo, rilevando però la necessità di non svilire il divieto di Anschluss imposto dai trattati, ed esprimendo concordanza di idee con Chamberlain. Stando a quanto scriveva da Parigi il Romano Avezzana, Chamberlain aveva invitato il collega francese ad avanzare proposte concrete circa natura e limiti di un patto di sicurezza; sembrava anche alla portata un accordo sull’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni e sull’integrità dei trattati di pace, condizioni queste preliminari alla conclusione del patto di sicurezza 55.
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Nel secondo dei due incontri tra Chamberlain ed Herriot del marzo 1925, il francese fu finalmente persuaso della necessità di affrontare il tema della sicurezza partendo dalla proposta tedesca; si parlò tra i due anche dell’unione dell’Austria alla Germania come di ipotesi inammissibile alla stregua del trattato di Versailles 56. Chamberlain inoltre non mancò di sottolineare che l’Italia non avrebbe visto di buon occhio quel patto preventivo, a due o a tre, inizialmente perseguito da Herriot, e dal quale l’Italia stessa sembrava esser esclusa. Herriot, dal canto suo si rassegnò ad ammettere che il patto di sicurezza occidentale sarebbe stato «garanzia parziale, ma molto potente», suscettibile di effetti benefici anche sulle frontiere orientali tedesche; la Germania doveva tuttavia entrare prima nella Società delle Nazioni. L’accordo tra Londra e Parigi era solo apparente e lo dimostra il fatto che, terminati gli incontri con Chamberlain, Herriot desiderò conoscere il pensiero di Roma sulle questioni all’ordine del giorno, e specialmente sapere cosa si pensasse della posizione francese. Assente Mussolini da Palazzo Chigi per motivi di salute, fu Contarini ad intrattenere in proposito l’ambasciatore francese. A questi il Segretario Generale spiegò che l’Italia poneva al di sopra di ogni cosa il rispetto del Trattato di Versailles. Contarini anzi si stupiva che in qualche ambiente si parlasse di revisione di frontiere (ma a Besnard sembrò più vago nel toccare la questione renana) e rimarcò l’inutilità di procedere oltre nella politica di occupazione territoriale. Besnard obiettò che l’occupazione aveva scopi diversi, essendo finalizzata all’osservanza di molteplici clausole della pace. L’ambasciatore francese conservò comunque l’impressione che, al di là di questa differenza di vedute, le linee politiche di Italia e Francia fossero convergenti 57. Ma pochi giorni prima, il 23 marzo, Contarini aveva rivisto l’ambasciatore tedesco, informandolo dell’esistenza di una proposta francese di chiedere alla Germania una garanzia sul Brennero. «Mussolini ha rifiutato questa pretesa – scrisse Neurath – sulla base del fatto che i trattati in vigore sono per l’Italia sufficienti. Contemporaneamente, da parte francese e polacca, si è tentato qui di convincere gli italiani ad aderire alla garanzia sulle frontiere orientali tedesche. Anche questa richiesta è stata nettamente respinta» 58.
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Il Segretario Generale accentuava dunque con Neurath le divergenze italo-francesi, probabilmente per sollecitare da Berlino un chiarimento sui vantaggi che la proposta tedesca poteva dare all’Italia, e per evidenziare il valore di un’intesa con questa. Mussolini dal canto suo, il 26 marzo, si compiacque dell’adesione francese al punto di vista britannico sulla sicurezza, ritenendo che non fosse ormai più possibile prescindere dalla proposta tedesca: gli alleati dovevano quindi concordare modalità e contenuto della garanzia proposta dalla Germania; l’Italia era pronta a cooperare pienamente a tal fine. Per quanto riguardava l’Austria il governo italiano si atteneva ai trattati di pace, sicché nulla lo preoccupava se non la possibilità che questi venissero indeboliti 59. Qualche motivo di preoccupazione a riguardo non era tuttavia mancato: il 24 marzo, infatti, De Bosdari aveva comunicato che il collega inglese D’Abernon stava ventilando al governo tedesco la possibilità dell’Anschluss 60.Trattavasi di un equivoco che non mutava la netta opposizione di Chamberlain a tale ipotesi 61. Ad ogni buon conto, Mussolini chiese a Della Torretta di indagare cautamente a Londra 62 e avvertì l’ambasciatore a Berlino che l’Anschluss «non poteva essere oggetto di comunicazioni con il Governo italiano» 63. Più rassicurante fu la dichiarazione, fatta il 26 marzo, da Besnard al Contarini, sull’assoluto rispetto dei trattati di pace come principio basilare per il suo paese 64. Richiesto di ulteriori precisazioni dal suo interlocutore, lo stesso Besnard consegnò due giorni dopo una lettera in cui si diceva che la Francia considerava il trattato di Versailles come legge suprema; occorreva dunque evitare che la Germania potesse minacciare l’indipendenza dell’Austria, alterando le clausole della pace riguardanti l’Europa centrale; nessun patto di garanzia poteva infine obbligare la Francia ad abbandonare i suoi alleati, gli interessi dei neutri e quelli generali dell’Europa 65. Possiamo vedere in queste dichiarazioni un primo tentativo francese di costruire con l’Italia un fronte comune sul problema generale della sicurezza. Lo prova il fatto che Herriot, cercando di avallare presso Chamberlain una posizione sulla sicurezza (escludente la Germania da un patto preventivo ad hoc) non più sostenibile, aveva affermato che la posizione italiana era in tutto e per
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tutto identica a quella francese: la qual cosa aveva causato non poca meraviglia in Chamberlain, fino a quel momento persuaso che l’Italia fosse piuttosto vicina alla Gran Bretagna nell’approccio ai temi della sicurezza 66. Il 28 marzo Mussolini, in un discorso alla Camera, in occasione dell’approvazione del bilancio del Ministero degli esteri, affrontò il tema della sicurezza. Egli seppellì («sans élégance», notò l’ambasciatore francese) il Protocollo di Ginevra, ma sul patto di garanzia si tenne sulle generali, ripromettendosi di chiarire il suo pensiero in altra sede, dove si sarebbe soffermato anche su temi particolari in discussione fra le cancellerie europee (temi che Besnard identificò in Tunisi e Tangeri) 67. Mussolini quindi, il 29 marzo, chiarì agli ambasciatori a Londra e a Parigi le “norme” e le “direttive” che il governo italiano intendeva perseguire. Egli scrisse che l’Italia considerava ormai decaduto il protocollo di Ginevra, inutile doppione del Covenant; d’altro canto essa era favorevole all’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni e ad assicurarle un seggio permanente nel Consiglio. L’Italia, inoltre, auspicava un’intesa preliminare fra i soli alleati sul problema della sicurezza, e che solo in un secondo momento si convocasse una conferenza con la Germania per la firma di un patto di garanzia sulla sua frontiera occidentale. Sarebbe stato tuttavia opportuno chiarire il differente valore di tali nuovi impegni rispetto agli obblighi relativi alla frontiera orientale tedesca, fermo restando che l’Italia non era disposta ad assistere passivamente alla modifica dei trattati di pace, specialmente per ciò che concerneva l’indipendenza dell’Austria. Mussolini chiese che tali considerazioni venissero illustrate con ogni cautela e tatto a Parigi e a Londra, nel corso di conversazioni di cui egli attendeva di conoscere l’esito 68. Maggiori ragguagli sulla posizione francese provennero dall’incaricato d’affari italiano a Parigi, Consalvo Summonte. Questi aveva illustrato al Direttore degli Affari Politici e Commerciali del Quai d’Orsay, Laroche, le direttive del suo governo in materia di sicurezza, giusta le istruzioni diramate il 29 marzo. Nel corso del colloquio, Laroche osservò che anche la Francia, come l’Italia, avvertiva la necessità di un’intesa preliminare senza la Germania ed aggiunse che era intenzione del suo governo sottoporre a quest’ultima un questionario sulla sicurezza, visto che il memorandum del 9
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febbraio risultava oscuro in alcuni punti. Toccando la questione dell’Anschluss, Laroche sottolineò che il suo paese vi attribuiva la stessa importanza datavi dall’Italia, e ammise che «se la Germania avesse annesso l’Austria, sarebbe stata la vera vincitrice della guerra» 69. Chamberlain, dal canto, suo aveva assicurato che nessun accordo avrebbe potuto sminuire gli obblighi previsti nei trattati di pace 70. Sulla base di questi elementi Mussolini ritenne giunto il momento di concordare una risposta al promemoria tedesco 71, una risposta che manifestasse la buona volontà e la fiducia dell’Italia nel buon esito della proposta di Berlino. Il momento era opportuno anche per far risaltare la comunanza di vedute con la Gran Bretagna, sul protocollo di Ginevra ed eventualmente su altre questioni riguardanti la sicurezza 72. Se l’ambasciata italiana a Parigi illustrava la convenienza a parteggiare per la visione francese; quella a Londra non era da meno nello spiegare i vantaggi nel seguire la linea di Chamberlain. L’ambasciata a Berlino si inseriva in questo processo con l’auspicio che le proposte tedesche fossero accolte. Ma se da un lato era normale che i rappresentanti all’estero risentissero dell’ambiente in cui operavano, dall’altro Mussolini temporeggiava. Vi erano infatti non pochi elementi d’incertezza.Voci sull’ambigua condotta del D’Abernon a Berlino avevano spinto Mussolini a ribadire con una certa energia il suo pensiero 73. Ma non poche riserve alimentava tanto la situazione generale, quanto la politica francese. La situazione generale fu analizzata in un memorandum confidenziale, datato 4 aprile 1925, e preparato da un “Ufficio Riparazioni” del Ministero degli Esteri italiano, meglio identificabile con l’Ufficio Trattati e Società delle Nazioni, che era alle dirette dipendenze di Contarini. Il documento esaminava la situazione della sicurezza, dal lato delle discussioni sul Protocollo di Ginevra, e da quello dei tentativi di concludere un patto anglo-franco-belga. Sul protocollo, tentativo di “democratizzare” la pace, l’Italia aveva già espresso il suo avviso, come del resto aveva fatto anche il nuovo governo conservatore inglese. Essendo la sua sorte segnata, «si cercò da più parti di discutere di nuovo le possibilità di un patto anglo-franco-belga, caduto a Cannes». Ma era chiaro come «l’idea di una garanzia unicamente rivolta contro la Germania
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apparisse sempre meno idonea ad assicurare la pace dell’Europa». Sussistevano però «forti correnti» in favore della sua realizzazione. «Queste diverse correnti – spiegava l’autore del memorandum – preoccupandosi della parte che l’Italia potesse avere in una questione di tanta importanza, prospettarono allora la convenienza di allargare il problema della sicurezza, estendendolo dalla Renania all’Austria. Il tentativo apparve evidente al Regio Governo che seppe abilmente resistervi. Si sarebbe voluto portare la discussione sul problema connesso alla frontiera austro-tedesca, sperando di indurre così l’Italia a legarsi nell’orbita della politica che cercava la sicurezza in un patto senza la Germania, e cioè contro di essa; si voleva provocare una nostra mossa che avrebbe servito al giuoco d’altri. Sarebbe stato sommo errore prestarsi a questo tentativo», che avrebbe significato ammettere la possibilità dell’Anschluss. «Ma la proposta tedesca di un patto generale di garanzia – proseguiva il documento – (...) ci toglieva fortunatamente ogni dubbio sulla convenienza per l’Italia di accettare tale proposta e di prendere parte al patto». Per la Gran Bretagna, la proposta tedesca significava l’abbandono dell’ipotesi del protocollo e del patto a tre; per la Francia, essa significava il serio timore che ciò accadesse realmente. L’Italia aveva, come la Gran Bretagna, preferito la proposta tedesca alle altre, perché rendeva partecipe la Germania al sistema di sicurezza. Aveva tuttavia creato confusione la dichiarazione dell’ambasciatore tedesco a Parigi, che le frontiere orientali non sarebbero state garantite come quelle occidentali. «Dello stato di incertezza, che si era venuto creando, approfittarono le correnti non favorevoli» alla proposta tedesca: Francia, Polonia e Cecoslovacchia. «E si trovò comodo ed utile di cercare di tirare anche in discussione la questione austriaca. Anche ora si tentò con artificiose notizie di portarci a prendere posizione mostrando serie preoccupazioni per il confine meridionale connesso al problema dell’Austria». Ma l’atteggiamento italiano fu coerente e fermo, «ed il problema si trovò ricondotto nei suoi veri limiti che sono quelli della frontiera occidentale della Germania». Chamberlain, da parte sua, aveva dato le più ampie assicurazioni contro l’eventualità di un Anschluss e sulla fedeltà britannica ai trattati di pace. Il memorandum chiudeva richiamando l’ultimo paragrafo delle istruzioni inviate da Mussolini all’Ambasciatore a Londra 74.
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L’Ufficio Trattati e Società delle Nazioni, diretto da Sandicchi, aveva certamente offerto a Contarini un ampio panorama sulle questioni del momento. A Palazzo Chigi andava dunque prendendo piede l’ipotesi di un patto di garanzia, quale proposto dalla Germania. Al contempo, si vedeva la condotta francese verso l’Italia come nettamente strumentale, un’esca per guadagnare l’Italia ad un fronte comune contro la politica di Chamberlain. I consigli dati dall’autore del memorandum erano di non sollevare la questione del Brennero e di non agitarsi per l’Anschluss, che i trattati di pace di fatto impedivano. Il documento teneva comunque in debito conto anche le preoccupazioni di Mussolini, già espresse in quelle “norme e direttive” impartite agli ambasciatori presso le capitali più importanti, per far presente che il governo italiano non intendeva assistere passivamente alla revisione dei trattati di pace ed alla creazione di due categorie di frontiere. Non minori preoccupazioni destavano anche gli umori interni alla Germania. Un linguaggio certamente impressionante era stato usato dal ministro degli esteri Stresemann e dal presidente del Reichstag Paul Löbe. Il primo, in un’intervista rilasciata il 12 aprile del 1925 alla Neue Freie Presse, aveva espressamente criticato i continui ritardi nell’evacuazione della zona di Colonia e s’era dichiarato contrario tanto al riconoscimento dello status quo sulle frontiere orientali tedesche, quanto alla rinunzia all’Anschluss.Tali accenti revisionisti ebbero vasta eco anche sulla stampa italiana 75. Quanto a Löbe, l’ambasciatore italiano a Berlino riferì aver egli dichiarato che l’Italia, pur essendo contraria alla confederazione danubiana di cui tanto allora si parlava, sarebbe stata «invece favorevolmente disposta [nella questione dei] confini con la Germania», in pratica a delle revisioni territoriali tout court. Mussolini ritenne il caso assai grave, se incaricò Paulucci de’ Calboli Barone, suo Capo di Gabinetto, di studiare la situazione col Capo dell’“Ufficio Austria, Cecoslovacchia, Romania, Ungheria” del Ministero degli Esteri, Augusto Biancheri Chiappori, e naturalmente col Segretario Generale Contarini 76. Anche l’ex cancelliere Wilhelm Marx non mancò di dar adito a preoccupazioni ed a sospetti allorché affermò, in un discorso pronunciato a Berlino il 17 aprile, che occorreva ricordarsi sempre delle «condizioni inna-
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turali della frontiera orientale, e nuovamente (...) esprimere la parentela intima e culturale che ci unisce all’Austria», essendo da gran tempo e da tutti desiderata l’unione politica tra questa e la Germania 77. All’incertezza derivante dalla Germania si aggiungeva poi quella causata dalla crisi ministeriale francese, crisi che addirittura sembrava impedire al Foreign Office di ricercare le migliori condizioni per negoziare il patto di sicurezza 78. In minor misura incidevano invece altri fattori, come le elezioni politiche in Belgio, o le elezioni presidenziali in Germania dopo l’improvvisa morte di Ebert 79. Poteva invece sortire un effetto più consistente sulla politica italiana il crescente isolamento in Austria di quella che veniva definita la “corrente filo-italiana” di Monsignor Seipel e di parte dei cristiano-sociali a vantaggio di alcune influenze di matrice francese, riscontrabili nella stessa compagine governativa 80. Considerato il quadro generale della situazione, era quindi comprensibile che Mussolini attendesse di vedere come la Francia e la Gran Bretagna avrebbero affrontato il problema della sicurezza e della tutela dei trattati di pace. Ma nonostante giustificate inquietudini e personali incertezze, egli non ostentò diffidenza verso un eventuale negoziato perché questo, se ispirato dalla concordia angloitaliana e contenuto nei limiti dei trattati di pace (volto anzi a ravvivarne lo spirito), avrebbe contribuito non poco alla stabilità dell’Europa, pur riportando la Germania al rango delle grandi potenze.
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Indice delle questioni che si potrebbero trattare nei prossimi colloqui con Chamberlain, dicembre 1924 (manca la data), DDI, Serie Settima, vol.III, doc.605. 2 Appunto autografo di Mussolini, 7 dicembre 1924, ASMAE, Arch.Gab., GM, busta 1, fasc.«Colloqui di Mussolini 1924». Cfr. Opera omnia di Benito Mussolini, vol.XXVII, Appendice 1, pp.4-5. 3 Cfr. DDI, Serie Settima, vol.III, nota 2 a p.365. Di questo comunicato dell’Ufficio Stampa di Palazzo Chigi esiste una versione differente nella forma, ma uguale nella sostanza, in autografo senza data né firma, e in dattiloscritto datato e con autografo di Mussolini. ASMAE, Arch.Gab., GM, busta 1, fasc.«Colloqui di Mussolini 1924». 4 F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese del 1935, cit., pp.72-73. 5 Consiglio del Contenzioso Diplomatico. Sedute del 22 e 23 ottobre 1924, ASMAE, Archivio del Consiglio del Contenzioso diplomatico, 1924-1937, pacco n.30, fasc. «Protocollo per il pacifico regolamento delle controversie internazionali», sf. «Consiglio del 22 ottobre ’24». 6 Agenzia d’Informazioni per la Stampa “Alessandro Volta”, Anno IX, Bollettino n.4685 del 20 febbraio 1925. ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. 7 Chamberlain a Mussolini, 14 dicembre 1924, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.616; Mussolini a Chamberlain, 23 dicembre 1924, ibidem, doc.636; Graham a Mussolini, 22 dicembre 1924, ibidem, doc.632; Mussolini a Graham, 10 gennaio 1925, ibidem, doc.668. Si ricorda che Roma e Londra erano anche pervenute ad un accordo per la cessione del Giubaland all’Italia; l’accordo venne firmato a Londra il 15 luglio 1924 dal predecessore di Chamberlain, MacDonald, e dall’ambasciatore italiano a Londra, Della Torretta. Il nuovo governo conservatore assicurò che si sarebbe adoperato per giungere alla ratifica di esso. Cfr. DDI, Serie Settima, vol.III, docc.388, 557, 562, 585. Mussolini espresse in proposito la sua soddisfazione. Cfr. doc.567. 8 Cfr.Romano Avezzana a Mussolini, 5 dicembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.601. 9 Appunto di Mussolini «Colloquio 11 Xbre 1924 con Briand»,ASMAE,Arch.Gab., GM, busta 1, fasc.«Colloqui di Mussolini 1924». 10 Un ruolo importante nella definizione della posizione italiana sullo Statuto di Tangeri ebbe Amedeo Giannini, che tra il 16 e il 19 giugno 1924, presentò una relazione alla Commissione ad hoc insediata presso il Consiglio del Contenzioso diplomatico. Su queste basi, la Commissione espresse l’avviso che non occorresse tornar sopra sulla mancata partecipazione italiana ai negoziati per lo Statuto, ma che per l’avvenire si sarebbe dovuto insistere per un maggior ruolo del paese nelle decisioni riguardanti Tangeri, e ciò nel modo seguente: partecipazione di un ufficiale italiano ai compiti di sorveglianza; rappresentanza nella Commissione sui dazi doganali; presenza di magistrati e funzionari italiani nel Tribunale misto; partecipazione dell’Italia ai lavori portuari. Queste erano le condizioni cui l’Italia doveva subordinare la partecipazione allo Statuto.Ad esse
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se ne aggiungevano altre di carattere secondario (partecipazione all’elaborazione dei codici, Assemblea legislativa con vice-presidente italiano, presenza di una nave italiana nella lotta al contrabbando, mantenimento delle Agenzie Diplomatiche). Consiglio del Contenzioso diplomatico. Commissione per la questione di Tangeri. Parere. Sedute del 16, 17 e 19 giugno 1924. ASMAE, Archivio del Consiglio del Contenzioso Diplomatico, 19241937, pacco n.30, fasc. «Statuto di Tangeri», sf. «stampati». Mussolini a Romano Avezzana, 24 dicembre 1924, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.641. Mussolini a Romano Avezzana, 23 dicembre 1924, ibidem, doc.635. Romano Avezzana a Mussolini, 25 dicembre 1925, ibidem, nota 1 a p.390. Mussolini a Della Torretta, 27 dicembre 1924, ibidem, doc.642. Romano Avezzana a Mussolini, 27 dicembre 1924, ibidem, doc.643. Cfr. «Il Popolo d’Italia», 29 gennaio 1925. Guarneri a Mussolini, 31 gennaio 1925, tel.468/36, in ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Ancora il 7 febbraio Guarneri comunicava con tel.160/63/A.1 che «circa il patto di garanzia (...) il Signor Schubert mi ha detto stasera che nulla vi era di nuovo da parte tedesca e che egli continuava sempre ad occuparsene. Doveva rilevare però che molto se ne parlava da parte inglese e francese». DDI, Serie Settima, vol.III, doc.699. Un contegno non dissimile von Schubert tenne con l’ambasciatore francese De Margerie. «Dalla mia conversazione con il Signor von Schubert - scrisse questi ad Herriot il 24 gennaio - ho tratto l’impressione che la questione era già molto avanti e non sarei sorpreso che un qualche approccio sia stato fatto a Londra allo scopo di [sapere] se un progetto di quel genere potrebbe essere incoraggiato». De Margerie a Herriot, 24 gennaio 1925, tel.126-132, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.72. Romano Avezzana a Mussolini, 23 gennaio 1925, DDI, Serie Settima,Vol. III, doc.682. Mussolini a Romano Avezzana, 29 gennaio 1925, tel.279, in ASMAE, Arch. Gab.,TSN, busta 40. Mussolini a Della Torretta, 29 gennaio 1925, DDI, Serie Settima,Vol. III, doc. 697. Ad un’aspra tenzone giornalistica addivennero il Temps e la stampa viennese (segnatamente la Neue Freie Presse ed il Neues Wiener Tagblatt). Ritagli di questi giornali, con articoli contrapposti, sono negli incartamenti dell’Archivio di Gabinetto del Ministero degli esteri italiano. Romano Avezzana a Mussolini, 31 gennaio 1925, tel. 397/64, in ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40.Va aggiunto che l’ambasciatore tedesco a Parigi Hoesch fece intendere al collega italiano che il suo Governo aveva in mente una proposta per la sicurezza (quella che in realtà da pochi giorni era stata presentata a Londra). Romano Avezzana a Mussolini, 30 gennaio 1925, DDI, Serie Settima,Vol.III, doc.699. Conversation de M.Laroche avec l’Ambassadeur d’Italie, 3 febbraio 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.72. Romano Avezzana riferì a Laroche anche la notizia che un funzionario dell’Auswärtigen Amt avrebbe prospettato al D’Abernon la possibilità di garan-
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tire anche le frontiere orientali tedesche. Cfr. Appunto di Stresemann senza data, ADAP, A, Band XII, doc.64. Romano Avezzana a Mussolini, 11 febbraio 1925, tel.208/86/27, in ASMAE,Arch.Gab., TSN, busta 40. In questo frattempo, l’ambasciatore riscontrava a Parigi anche un atteggiamento più morbido verso le esigenze dell’Italia di esser potenza mediterranea e coloniale: Romano Avezzana a Mussolini, 27 gennaio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.692. Della Torretta a Mussolini, 2 febbraio 1925, ibidem, doc. 703; cfr. doc. 704. Si veda in proposito A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.78-80. Cfr. Della Torretta a Mussolini, 5 febbraio 1925, DDI, Serie Settima,Vol. III, doc. 707; Della Torretta a Mussolini, 2 febbraio 1925, tel. 147/84, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Si veda anche il discorso di Chamberlain a Birmingham, di cui informava il Della Torretta con tel. n. 485/88 del 1° febbraio 1925, ibidem. Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana e De Bosdari, 23 febbraio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, docc.733 e 734. Besnard a Herriot, 23 febbraio 1925, tel.99, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.73. Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana e De Bosdari, 24 febbraio 1925, tel.125, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Neurath ad AA, 25 febbraio 1925, ADAP, A, Band XII, nota 13 a p.259. F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italo-francese del 1935 , cit., p.83. Tali considerazioni emergono pienamente in vari memoranda preparati dal Quai d’Orsay. Cfr. AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.73. Cfr. DDI, Serie Settima, vol.III, doc.733. Mussolini a Romano Avezzana, 1° marzo 1925, tel.137,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40. Romano Avezzana a Mussolini, 3 marzo 1925, tel.328/137, ibidem. DDI, Serie Settima, vol.III, doc.733 (il corsivo è nostro). Nello stesso senso il verbale redatto in seguito ad una visita di von Hoesch ad Herriot, il 17 febbraio. Visite de l’Ambassadeur de l’Allemagne au President du Conseil, mardi le 17 février 1925, midi,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.72. Nemmeno l’ambasciatore tedesco Sthamer rese tale dichiarazione verbale a Londra: cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.207. Della Torretta a Mussolini, 25 febbraio 1925, tel.290/182, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Della Torretta a Mussolini, 28 febbraio 1925, tel.308/190, ibidem. Cfr. Memorandum respecting Future Relations between Germany and Poland, 12 febbraio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, allegato al doc.199. Guarneri a Mussolini, 23 febbraio 1925, tel.292/51,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40. Cfr. De Bosdari a Mussolini, 27 febbraio 1925, tel.816/59, ibidem. Anche in Polonia cominciavano a registrarsi le prime inquietudini per l’incertezza circa l’atteggiamento
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degli alleati nei confronti delle proposte tedesche. Della Torretta a Mussolini, 4 marzo 1925, tel.343/206, ibidem. Stresemann, dal canto suo, riteneva le garanzie ad est un’idea fissa dell’ambasciatore francese a Berlino, piuttosto che una linea politica di Herriot. De Bosdari a Mussolini, 27 febbraio 1925, tel.816/59, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. De Fleuriau a Herriot, 25 febbraio 1925, l.n.108, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.73. Sul dibattito interno in Gran Bretagna, A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.68 ss. Sul dispaccio di De Fleuriau, di cui alla nota precedente, era infatti annotata a matita, forse per mano di Laroche, la seguente osservazione: «Enfin, n’arrivons pas à la véritable solution!». Cfr. Capitolo I, § 4. Note by M.De Fleuriau, 4 marzo 1925, DBFP, I Series, vol.XXVII, allegato al doc.222. Romano Avezzana a Mussolini, 4 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.743 Romano Avezzana a Mussolini, 6 marzo 1925, tel.900/141/73 (riservatissimo),ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Capitolo I, §§ 2 e 3. Mussolini a Romano Avezzana, 6 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.751. Il “Foglio Speciale Havas” fu inviato dal Romano Avezzana a Mussolini il 9 marzo 1925 con tel.145/44, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Cfr. Della Torretta a Mussolini, 11 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.757. Chamberlain a Crowe, 7 marzo 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, docc.224 e 225. Nei documenti inglesi trova conferma quanto contenuto nel dispaccio Havas e cioè che Herriot considerava l’Anschluss altamente pericoloso per l’Italia, anche a causa delle mire tedesche su Trieste. Si veda il Cap.I, § 2. Cfr. DDI, Serie Settima, vol.III, doc.754. Il primo incontro Herriot-Camberlain per il patto di sicurezza. Il momento internazionale e l’Italia, in «Il Popolo d’Italia», 10 marzo 1925. Cfr.Besnard a Herriot, 10 marzo 1925, l.n.106, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.75. Mussolini a Della Torretta, 14 marzo 1925, in DDI, Serie Settima, vol.III, doc.761. Cfr. doc.757. Si veda ancora F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese, cit., pp.77 ss. F. S. GIOVANNUCCI (Locarno, cit., p.16 e nota 1) ipotizza una «politica di raccoglimento e di riorganizzazione interna» dell’Italia in questo periodo. Neurath ad AA, 10 marzo 1925, ADAP, A, Band XII, doc.152. Romano Avezzana a Mussolini, 24 marzo 1925, tel.1137/150/59, ASMAE, Arch.Gab., TSN, Busta 40. Memorandum di Herriot del 16 marzo 1925, già citato, AMAE, Z-Europe: GrandeBretagne, vol.74. Besnard a Herriot, 26 marzo 1925; cfr. Herriot a Besnard, 25 marzo 1925, tel.271, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.74.
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Neurath ad AA, 24 marzo 1925, ADAP, A, Band XII, nota 2 a p.379. Mussolini a Romano Avezzana, 26 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.774. De Bosdari a Mussolini, 24 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.772. A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.104-105. Mussolini a Della Torretta, 24 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, nota 1 al già citato doc.772. Della Torretta telegrafò poco dopo riferendo come false le voci circa una condotta filo-annessionista dell’ambasciatore britannico a Berlino. Cfr.DDI, Serie Settima, vol.III, doc.783. Mussolini a De Bosdari, 29 marzo 1925, ibidem, doc.780. Mussolini a Summonte, 27 marzo 1925, ibidem, doc.777. Besnard a Contarini, 28 marzo 1925, ibidem, doc.778. Tale meraviglia fu espressa in una lettera personale inviata da Graham a Contarini il 27 marzo 1925. ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Besnard a Herriot, 28 marzo 1925, tel.130 AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. Cfr. Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXVII, prima sessione, discussioni, pp. 2983 ss. Mussolini a Della Torretta e Romano Avezzana, 29 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.781. Quest’ultima parte del dispaccio di Summonte fu ritenuta da Mussolini di una certa importanza, avendola egli evidenziata con segni a matita. Summonte a Mussolini, 1° aprile 1925, tel.478/213, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40, fasc.«Telegrammi su patto di garanzia, conferenza disarmo, Anschluss» (il corsivo è nostro). Cfr. Herriot a Roma, Berlino, Bruxelles,Varsavia, Praga e Londra, 1° aprile 1925, telegramma con vari numeri, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. Della Torretta a Mussolini, 2 aprile 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.787. L’ambasciatore italiano a Londra era sicuro che la Gran Bretagna avrebbe continuato ad opporsi all’Anschluss: Della Torretta a Mussolini, 31 marzo 1925, tel.459/262, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Del resto, il capo del governo italiano aveva saputo da Londra che l’ambasciatore De Fleuriau aveva fatto presso il governo britannico un passo analogo a quello di Besnard a Roma. Della Torretta a Mussolini, 31 marzo 1925, DDI, Serie Settima,vol.III, doc.784. Cfr. Della Torretta a Mussolini, 2 aprile 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.778. Cfr. F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese, cit., pp.84 ss. Memorandum confidenziale, 4 aprile 1925, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40 (il corsivo è nostro). Cfr.DDI, Serie Settima, vol.III, doc.761. Si veda, ad esempio, «Il Giornale d’Italia», 14 aprile 1925. Sugli umori presenti in Austria ed in Germania circa l’Anschluss, si vedano le notizie del ministro tedesco a Vienna. Pfeiffer ad AA, 15-18 aprile 1925,ADAP,A, Band XII, doc.264. Stresemann rispose il 23 aprile, dichiarandosi contrario all’eventuale pretesa degli alleati di sollevare, nel corso dei
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negoziati sulla sicurezza, il problema austriaco. Stresemann a Pfeiffer, 23 aprile 1925, nota 19 alle pp.695-696. De Bosdari a Mussolini, 15 aprile 1925, tel.554/113; ma si veda anche idem, 14 aprile 1925, tel.348/111:ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40. La frase riportata nel testo fu sottolineata da Mussolini a matita blu e commentata con un assai eloquente «No». Sul discorso di Löbe a Francoforte sul Meno: «Der Tag», 16 aprile 1925. Si veda: De Bosdari a Mussolini, 18 aprile 1925, tel.577/114, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Nel corso di una conversazione con De Margerie, il consigliere giuridico dell’Auswärtiges Amt, Gaus, così si espresse: «Nessun tedesco cerca di porre sul tappeto la questione dell’annessione, ma nessun governo tedesco potrà mai più accettare una questione che lo obblighi a rinnegare quest’idea teorica e storica della riunione dei fratelli tedeschi d’Austria». De Margerie a Herriot, 19 aprile 1925, tel.370, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.75. Della Torretta a Mussolini, 22 aprile 1925, tel.618/A.18 (manca il numero di protocollo in partenza), ASMAE, Arch.Gab,TSN, busta 40. Le elezioni in Belgio per il rinnovo della Camera videro una lieve flessione dei Cattolici, che persero due seggi, ed un guadagno dei Socialisti, che ne ottennero dieci. Entrambi i partiti, ciascuno con 78 seggi, formarono un governo di coalizione guidato dal cattolico Visconte Poullet con il socialista Vandervelde agli esteri. Dalla nuova compagine vennero esclusi i Liberali (che avevano perduto 10 seggi). In Germania il Presidente Ebert morì il 28 febbraio e le elezioni per la sua successione si tennero il 26 aprile. Secondo Presidente della Repubblica divenne, com’è noto, il Maresciallo Hindendurg, l’eroe della guerra; egli assunse l’ufficio il 12 maggio successivo. Bodrero a Mussolini, 9 aprile 1925, tel.530/121, ASMAE, Arch.Gab,TSN, busta 40.
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CAPITOLO III.
L’ITALIA ED IL PROBLEMA DELLA SICUREZZA
1. L’ INDIPENDENZA
AUSTRIACA ED IL PRINCIPIO DI NON REVISIONE
DEI TRATTATI NELLA POLITICA ITALIANA
Come si è visto in precedenza, Mussolini riteneva possibile studiare l’ipotesi di un patto di sicurezza, ma anche necessario, a tal fine, partire dal presupposto di non revisione dei trattati di pace, principio, questo, generale e non parcellizzabile a favore di una o di un’altra clausola. Una tale linea politica aveva, senz’altro, come interesse immediato la tutela dell’indipendenza dell’Austria dalla Germania, ma occorre chiedersi fino a che punto ci si preoccupasse della sorte del piccolo paese danubiano. Infatti, la sopravvivenza politica dell’Austria dipendeva dalla sua prosperità economica; diversamente, essa sarebbe entrata nell’orbita di una Germania che man mano ridiventava grande potenza. Ma per fare dell’Austria uno stato autosufficiente occorrevano ingenti apporti finanziari, facilitazioni doganali, accordi economici preferenziali e così via. L’articolo 222 del Trattato di Saint-Germain sospendeva diversi oneri a carico dell’Austria, discendenti dai precedenti articoli (dal 217 al 220): ad essa era perciò consentito di stabilire dazi all’importazione, di adottare contingentamenti di merci, di imporre oneri alle esportazioni verso i paesi vincitori e infine di svincolarsi dalla “clausola della nazione più favorita”. Si trattava di benefici tesi a favorire la nascita di una rete di accordi economici tra Austria, Ungheria e Cecoslovacchia su certe categorie di manufatti. Nella pratica, il sistema previsto dall’articolo 222 era però irrealizzabile, in quanto una confederazione danubiana non poteva nascere in assenza di fiducia reciproca tra i propri membri (si pensi alle voci di revisionismo e di restaurazione monarchica nell’ex impero); né, d’altra parte, le grandi potenze erano disposte a
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concedere aiuti economici, facilitazioni doganali, o anche a rinunciare in favore dell’Austria alla “clausola della nazione più favorita”. La questione presenta aspetti interessanti se vista dalla parte dell’Italia. Questa era a conoscenza che si ventilava un’unione doganale in Europa centrale, sotto la guida italiana o tedesca 1. L’Austria, dal canto suo, desiderava che l’Italia contribuisse finanziariamente al risanamento economico del paese; condizione prima per poter avviare rapporti politici di più ampio respiro 2. Le implicazioni della situazione appena descritta sono intuibili: l’Italia non avrebbe potuto stringere a buon mercato un legame politico preferenziale con l’Austria la quale poi, non ottenendo prestiti da Roma, si sarebbe rivolta altrove, con prevedibili effetti sulle sue scelte in politica internazionale. Il contributo degli alleati si rendeva indispensabile a che l’Italia conseguisse risultati vantaggiosi; mancando un’incisiva azione nel senso indicato, la Germania si sarebbe prima o poi messa alla guida del processo di risanamento dell’Austria, con notevoli conseguenze per la politica estera italiana. Organi di stampa e uomini politici austriaci, eminenti personalità e capitani provinciali (è il caso di quelli del Tirolo e della Stiria), non nascondevano, infatti, l’anelito all’Anschluss e le informazioni pervenute a Roma avevano registrato ben più che un “grido di dolore” in tal senso 3.A Palazzo Chigi si aveva ben chiaro il quadro della situazione.«Buoni o cattivi che siano – disse Contarini a Besnard – bisogna rispettare i trattati: modificarne uno sarebbe aprire la porta alla revisione degli altri» 4. Il 1° maggio, il Segretario di Stato von Schubert chiese a De Bosdari che l’Italia intervenisse perché gli alleati rispondessero finalmente alla proposta di patto di sicurezza e decidessero di evacuare Colonia. L’ambasciatore italiano replicò che il suo paese desiderava tenersi in seconda linea su tali questioni perché «uno zelo eccessivo del governo italiano avrebbe potuto dare luogo a sollevare questioni delicate concernenti altre frontiere tedesche»; il che era «opportuno evitare per il momento» 5. Stando ai documenti tedeschi, De Bosdari osservò che il suo governo non pensava di far cadere la questione dell’Anschluss nei negoziati sulla sicurezza 6. Il 2 maggio l’Agenzia Roma diramò un dispaccio sulla posizione italiana in merito all’Anschluss, informando che il governo italiano si sarebbe sem-
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pre opposto all’unione dell’Austria alla Germania 7. Per il Neurath, Palazzo Chigi non era estraneo a tale dispaccio 8. Tre giorni dopo Mussolini, pur confermando con l’ambasciatore tedesco la posizione italiana, così come descritta nel dispaccio, negò che l’Agenzia Roma fosse organo ufficiale governativo. «Ho appreso sottobanco – informò poi Neurath – che la comunicazione dell’Agenzia Roma è stata dettata dallo stesso Contarini (...) e che la posizione finora contraria dell’Italia alla proposta della Francia di inserire nel patto di garanzia anche un passo sulle frontiere meridionali della Germania potrebbe, dopo gli ultimi eventi, subire un cambiamento» 9. Qualcuno a Palazzo Chigi aveva dunque informato l’ambasciatore tedesco che le offerte francesi di un fronte comune con l’Italia stavano per ottenere buon esito. L’informatore forse metteva in guardia i tedeschi con il proposito di sollecitare offerte da Berlino, per poi eventualmente alzare il prezzo con Parigi. Egli comunque, smentendo Mussolini e svelando retroscena riguardanti Contarini, finiva per dare ai tedeschi l’idea che l’Italia dipendesse da una garanzia francese sulle sue frontiere; il che non era una base ideale per trattative con Berlino. Del dispaccio dell’Agenzia Roma il Segretario di Stato tedesco, von Schubert, parlò con l’ambasciatore italiano. Von Schubert affermò che la Germania non avrebbe fatto dichiarazioni o preso impegni al di là dei trattati di pace se non per la propria frontiera occidentale, né mai essa avrebbe ufficialmente rinunciato all’unione con l’Austria. De Bosdari rispose che nessuno, nemmeno l’Italia, voleva indurre la Germania ad una dichiarazione ufficiale di rinuncia, perché ad impedire l’Anschluss c’erano i trattati e non occorreva tornare sull’argomento 10. Sulla base di queste dichiarazioni Neurath fu incaricato di chiarire a Palazzo Chigi che «non esiste la benché minima ragione di sollevare la questione dell’Anschluss in connessione coi negoziati sulla sicurezza e che è inutile ed altamente inopportuno esigere da noi in tale circostanza una qualche dichiarazione sull’articolo 80 di Versailles. Inoltre può Ella far notare – recitavano ancora le istruzioni per l’ambasciatore tedesco – che noi facevamo sicuramente affidamento sulle dichiarazioni di Bosdari e che il Governo italiano condivideva questo punto di vista» 11.
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L’8 maggio l’ambasciatore italiano a Berlino ebbe un colloquio con Stresemann, di cui riferì in un importante telegramma. De Bosdari racconta di aver consegnato a Stresemann un volantino diffuso dalla sezione di Monaco dell’Andreas Hofer-Bund, con un “decalogo” del viaggiatore tedesco in Italia, praticamente un’invettiva contro l’Italia, oppressore dei sudtirolesi. Poco a poco si venne a parlare anche dell’Anschluss e qui Stresemann apertamente lamentò il fatto che l’Italia vi si opponesse, a differenza di altre potenze. L’ambasciatore italiano fece del suo meglio per esporre il punto di vista del suo governo sulla questione; ma da un lato vedeva i tedeschi ormai determinati a perseguire l’Anschluss, e dall’altro conveniva con Stresemann che era solo l’Italia ad osteggiare tale progetto 12. Di questo colloquio si ha anche il resoconto dello Stresemann, con nuovi dettagli. Da esso risulta che alla domanda di De Bosdari sul seguito avuto dal promemoria presentato dalla Germania in febbraio, Stresemann abbia risposto negativamente e aggiunto che tutta «la situazione era addirittura da operetta»: da quattro mesi si attendeva di veder evacuata Colonia; si gridava contro il revanscismo della Germania e si lasciava poi disattesa una sua importante proposta di pace. De Bosdari chiese inoltre cosa risultasse a Berlino circa la posizione di Beneš; Stresemann rispose che si stava facendo fronte comune contro le proposte tedesche e contro l’Anschluss. A questo punto il ministro tedesco racconta di essere giunto alla conclusione che la posizione italiana, così come illustrata dall’ambasciatore, equivaleva ad un’opposizione all’Anschluss «nelle odierne circostanze». A De Bosdari sembrava poi che Mussolini «temesse che le agitazioni irredentistiche, che oggi provengono dall’Austria e dal sud, portassero in seguito a una qualche agitazione nazionale della Germania». «Al che – scrive ancora il ministro tedesco – io gli obiettai che seppure la Germania fosse divenuta confinante dell’Italia, avevamo allora tutto l’interesse ad essere in buoni termini con l’Italia». Quanto alle agitazioni dell’Andreas Hofer-Bund, Stresemann le connesse al modo in cui le autorità italiane s’erano mosse nella questione delle proprietà immobiliari in Alto Adige fornendo un’immagine dell’Italia attuale di gran lunga diversa da quella che i tedeschi romantici avevano conservato 13.
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Il 12 maggio Neurath fu ricevuto da Contarini e portò la discussione sul problema dell’Anschluss, giusta le istruzioni ricevute. «Contarini – egli scrisse – ha ripetuto che l’Italia era attaccata da ogni parte, che in occasione del patto di garanzia erano da chiedersi particolari assicurazioni dalla Germania, che Mussolini aveva però finora sempre rifiutato richiamandosi ai trattati. Ma egli, Contarini, poteva solo consigliare insistentemente di evitare il più possibile la discussione sulla questione dell’Anschluss. Alla mia domanda se da parte francese si fosse sollevata la questione, Contarini disse di non credere che ciò fosse stato, sebbene anche l’Inghilterra si fosse pronunciata contraria» 14. Il Segretario Generale opponeva dunque alla visione di De Bosdari la convinzione che anche gli alleati dell’Italia osteggiavano l’Anschluss, e che per questo la Germania non poteva contare su uno scollamento della vecchia intesa; in secondo luogo, Contarini asseriva che l’Italia non intendeva sollevare il problema dell’Anschluss in connessione con i negoziati sulla sicurezza, e che per il momento Mussolini preferiva un più generico richiamo ai trattati ed agli articoli 80 di Versailles ed 88 di Saint-Germain. Dal punto di vista italiano vi era dunque un problema generale, l’anelito tedesco all’Anschluss, ed un problema particolare, quello di un’inadeguata rappresentanza dell’ambasciata italiana a Berlino, poiché De Bosdari sembrava a Mussolini scarsamente incisivo e manifestamente debole 15. Nei colloqui alla Wilhelmstrasse, «quasi insensibilmente» s’era toccato il tema dell’Anschluss, un tema sul quale le direttive di Mussolini erano state chiare 16. L’Anschluss non poteva essere oggetto di comunicazioni con il Governo italiano e non tagliar corto, non opporre un fin de non recevoir al minimo accenno, equivaleva a debolezza o, peggio, a rassegnazione. Dev’essere questa l’idea che Mussolini si fece della posizione di De Bosdari. Diversamente non si spiegherebbe il terribile rimprovero che, il 14 maggio, egli indirizzò all’ambasciatore a Berlino. L’impressione che il capo del governo ne ricavava era «penosa»: «Non arrivo bene a comprendere – egli scriveva – come V. E. non si renda conto che annessione Austria determinando un imponente accrescimento demografico e territoriale della Germania costituisca un serio pericolo per la nostra frontiera del Brennero.
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Vostra Eccellenza non ignora che già irredentismo tedesco urge alle nostre frontiere settentrionali. Vostra Eccellenza conosce atteggiamento Regio Governo che è sì dichiarata opposizione all’annessione.Vostra Eccellenza mi sembra già pienamente rassegnato ad un evento fatale e ciò spiega singolare andamento conversazione con Stresemann. Ora la fatalità sarà evitata se si parlerà chiaro ed in tempo. Non è vero che altre potenze spingono a questa soluzione e vi si rassegnino». L’unione tra Austria e Germania avrebbe vanificato la vittoria, e quindi occorreva senza perifrasi esprimervi la più netta opposizione 17. Il giorno stesso Contarini, su incarico di Mussolini, mise al corrente von Neurath delle reazioni alla conversazione tra De Bosdari e Stresemann: non appena letto il dispaccio dell’ambasciatore a Berlino, Mussolini era montato su tutte le furie. Contarini aggiunse di non comprendere perché la Germania intendesse sollevare la questione dell’Anschluss, quando tutti i suoi confinanti vi si opponevano con forza. L’ambasciatore tedesco smentì la circostanza e replicò che la situazione era stata aggravata piuttosto dal famoso dispaccio dell’Agenzia Roma. Era un’implicita accusa a Contarini, presunto autore di quel dispaccio. «Ho fatto pregare Mussolini – così von Neurath informò – di non fare alcun annuncio intempestivo, ma di attendere almeno che io torni da Berlino. Contarini mi ha assicurato di adoprarsi in tal senso presso Mussolini». La conclusione dell’ambasciatore fu che il sollevare al momento la questione dell’unione tra Germania ed Austria poteva effettivamente rivelarsi «pericoloso» 18. La situazione dell’Austria venne studiata a Palazzo Chigi, come provano alcuni Appunti intorno al problema austriaco, preparati il 15 maggio presumibilmente dall’ufficio competente presso la Direzione Generale degli Affari Politici e Commerciali, diretto da Biancheri-Chiappori, certamente su richiesta di Arlotta e di Contarini. In tale documento venivano anzitutto esposti gli argomenti da evidenziare trattando all’estero la questione dell’Anschluss: conveniva all’Austria fungere da stato cuscinetto per non pagare, a seguito dell’unione con la Germania, le riparazioni di questa e non rischiare anche di ereditare il gravoso sistema fiscale tedesco (come pure l’inflazione). In seguito all’AnschlussVienna avrebbe anche perso il prestigio
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di centro bancario e commerciale; inoltre, «ragioni religiose (per i cristiano-sociali) e ragioni di sfiducia verso il prussianesimo possono essere messe in evidenza, sebbene nei riguardi della Baviera diventino ragioni in favore dell’unione». Si esaminava anche la questione delle “preferenze doganali”: «A me sembra difficile – osservava l’anonimo estensore – che la Francia, e quasi impossibile che l’Inghilterra e l’America, acconsentano ad una deroga alla clausola della nazione più favorita estensibile all’Italia e permettano all’Italia di prendere una posizione prevalente in Austria». Quanto alla Cecoslovacchia essa voleva escludere l’Italia dall’area danubiana e realizzare un «predominio slavo» sull’Austria. Anche su questa, però, era lecito qualche dubbio. Infatti l’Austria avanzava proposte insincere, per provocare l’ostilità inglese e tedesca, determinare il fallimento di quelle proposte e così aprire il varco all’Anschluss. «Mi sembra che prima di inoltrarci in una politica che ci costerà molti sacrifici, ci renderà molto ostile la Germania e ci legherebbe le mani da molti punti di vista, occorrerebbe essere ben sicuri circa l’atteggiamento francese ed inglese per tutto quanto riguarda la nostra politica estera». Dal punto di vista economico, la storia dimostrava che «le unioni doganali difficilmente si reggono da sole: più frequentemente o si trasformano in unioni politiche o si dissolvono». Era dunque auspicabile che si stabilissero convenzioni doganali tra l’Austria ed i suoi successori e confinanti (Italia, Cecoslovacchia, Jugoslavia ed Ungheria), con particolari accorgimenti (adozione di una tariffa unica, controllo delle importazioni austriache dalla Germania, cointeressenze in banche ed in imprese austriache, accordi sul regime dei trasporti ferroviari) 19. Lo stesso 15 maggio, Stresemann ordinò a Neurath di recarsi da Mussolini per dirgli che l’interpretazione data da De Bosdari al colloquio dell’8 maggio era del tutto infondata e che si era appena sfiorata la questione dell’Anschluss, parlando della continua agitazione di Beneš contro le proposte tedesche di patto di sicurezza. «Io avevo perciò detto – spiegò Stresemann – che purtroppo al signor Beneš era venuto nuovo alimento dalla circostanza che il signor Mussolini si sia apertamente impegnato nella questione dell’Anschluss con il dispaccio dell’Agenzia Roma. Forse in tale contesto si è formulata da parte mia anche un’osservazione nel senso che
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non si rimandasse a lungo la soluzione della questione», il che però non equivaleva a voler sollevarla ora. «Per sua informazione osservo che coglierò la prima occasione possibile per rettificare la cosa con il conte Bosdari» 20. Fu Schubert ad essere incaricato del chiarimento necessario e, per questo, a convocare, il 16 maggio, alla Wilhelmstrasse l’ambasciatore italiano. «Il Conte Bosdari – annotò il Segretario di Stato tedesco – ha subito spiegato molto vivacemente di non aver mai telegrafato a Roma che il signor Stresemann aveva dichiarato che il governo tedesco era deciso a sollevare la questione dell’Anschluss austriaco. Mai naturalmente aveva telegrafato simili assurdità». Se Contarini pensava il contrario, era affar suo; ma questi non poteva attribuire a lui, De Bosdari, cose mai riferite. «Ne consegue che Contarini si è assolutamente sbagliato». L’ambasciatore italiano si riservò quindi di esaminare nuovamente il suo dispaccio dell’8 maggio, nonché di scrivere al Segretario Generale. «Per questo ho ancora una volta ricordato al conte Bosdari – è sempre von Schubert a parlare – le numerose conversazioni che abbiamo avuto insieme sulla questione dell’Anschluss e gli ho detto che egli mi aveva all’epoca di certo dichiarato che Mussolini era decisamente contrario all’Anschluss, ma riteneva del tutto inopportuna un’ulteriore nostra richiesta di annessione. Il conte Bosdari confermò che ciò era esatto e che la mia opinione di concordare interamente con Roma circa il modo tattico di trattare la questione dell’Anschluss 21 era assolutamente esatta» 22. Poiché von Neurath era partito da Roma per un breve congedo, l’incaricato d’affari tedesco, von Prittwitz, si recò, la sera del 19 maggio, da Mussolini onde pervenire ad un chiarimento sull’incidente causato dal colloquio tra Stresemann e De Bosdari. Prittwitz sottolineò che tutto l’accaduto era frutto di un malinteso; Stresemann poteva aver certo parlato accademicamente con De Bosdari dell’Anschluss, ma il governo tedesco non pensava di sollevare la questione in occasione della firma del patto renano o in altra circostanza. Mussolini, stando ad un resoconto da lui stesso redatto, prese asetticamente atto delle dichiarazioni di Prittwitz 23. Ma il racconto di quest’ultimo è di tenore ben diverso. «Mussolini – scrisse – ha accolto la mia comunicazione circa la conversazione del Reichsminister con Bosdari con palese soddisfazione ed ha spiegato di essere del tutto conten-
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to della medesima. Bosdari, così riteneva il Presidente del Consiglio, aveva chiaramente interpretato in certo modo le osservazioni oggetto della conversazione sub specie aeternitatis, come dichiarazioni ufficiali del Governo del Reich».Terminato il colloquio con Mussolini, ed essendo Contarini ammalato, Prittwitz rese visita ad Arlotta il quale fu molto sollevato dallo svolgimento degli eventi e considerò chiuso l’incidente. Arlotta aggiunse tuttavia che sollevare la questione dell’Anschluss avrebbe gettato l’Italia nelle braccia della Francia 24. Nel breve soggiorno berlinese, intanto, von Neurath fu ricevuto da Schubert e con lui esaminò la corrispondenza diplomatica relativa all’incidente italo-tedesco. Neurath rivelò di aver egli stesso avuto tra le mani il telegramma di De Bosdari dell’8 maggio e di poter affermare con ogni certezza che l’ambasciatore italiano aveva riferito le cose proprio come a Roma erano state interpretate. Neurath «ricordava precisamente che, in effetti, alla chiusa del telegramma, il conte Bosdari sosteneva, come egli stesso aveva comunicato, che dalla conversazione con il Reichsminister aveva tratto l’impressione che la Germania era palesemente determinata a sollevare ora la questione dell’annessione austriaca! Non può esservi dubbio sul fatto, ha sottolineato il barone Neurath, che un tale passo si trovasse alla chiusa del telegramma» 25. Le rivelazioni di Neurath portano a chiedersi chi lo informasse da Palazzo Chigi, narrandogli i retroscena dell’attività diplomatica, e addirittura fornendogli carte riservatissime. La recente pubblicazione dei documenti diplomatici tedeschi ha comunque ulteriormente evidenziato le problematiche dei rapporti tra Roma e Berlino; al tema dell’Anschluss si legavano altre questioni, non ultima quella altoatesina, già in passato oggetto di approfondite indagini 26. Mussolini rivolgeva certamente le sue attenzioni al contegno della Germania; aveva inoltre respinto seccamente le voci di una condotta degli alleati dell’Italia svincolata dalle norme dei trattati di pace. Nondimeno, egli non poteva rinunciare ad operare una sorta di “ricognizione”, per verificare se nelle altre capitali qualcosa poteva smentire le sue convinzioni. Più volte, invero, a Roma era giunta voce che gli ex alleati non erano poi tanto contrari all’Anschluss; ma nell’ambito della Società delle Nazioni,
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secondo quanto scriveva Attolico, si mirava invece ad «evitare anche la sola apparenza che la Germania intendesse comunque seguire una politica implicante una qualunque revisione delle frontiere» 27. Non meno incoraggianti erano stati per Mussolini altri segnali, provenienti da Londra. Chamberlain aveva informato l’ambasciatore Della Torretta di aver ribadito al governo tedesco che rimuovere il pericolo sulla frontiera occidentale non voleva certo dire incoraggiare una revisione dei trattati su altri quadranti 28. Per quanto riguarda la Francia, va registrato il cambio di governo nell’aprile del 1925, che portò all’avvento di Painlevé, con Briand agli Esteri. Questi, nel suo primo intervento alla Camera, così si espresse: «Allorché in una zona smilitarizzata sia stato commesso un atto di ostilità nel senso dell’articolo 44 del trattato di Versailles, la Francia è padrona di agire. Essa è in uno stato di legittima difesa e può agire immediatamente. Non appena venga presa nota di ciò ipso facto tutte le nazioni firmatarie dell’accordo sono obbligate ad assistere la Francia (...) Nel 1924 avevamo una sola alleanza impegnativa, ma c’erano impegni non scritti. Ci è mai mancato uno di questi impegni? Come possiamo dubitare che, mentre le nazioni hanno firmato un patto con noi, in caso di bisogno, esse disonorerebbero la loro firma?» Quanto alla Germania, Briand fece presente che il suo ingresso nella Società delle Nazioni doveva avvenire senza condizioni, perché il popolo francese voleva vivere e lavorare in pace. Pur giudicando inquietante l’attuale situazione, Briand tuttavia guardava con fiducia al futuro 29. Era dunque evidente che la proposta tedesca veniva considerata a Parigi con numerose riserve. Ciò provocò le critiche del Foreign Office alle facili generalizzazioni dietro cui i francesi si trinceravano 30. Alquanto interessanti appaiono i passi subito fatti dal nuovo governo francese verso l’Italia. Bisogna premettere che l’ambasciatore Romano Avezzana aveva avvertito Roma che il ritorno di Philippe Berthelot alla carica di Segretario Generale del Quai d’Orsay poteva rivelarsi contrario agli interessi italiani 31. Mussolini, comunque, rilevò un sensibile miglioramento dei rapporti italofrancesi, felicitandosi con Briand per l’alto ufficio cui era stato chiamato 32.
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La sera del 27 aprile, il nuovo Presidente del Consiglio francese Painlevé, fresco di nomina, si recò personalmente in visita dall’ambasciatore italiano: procedura diplomatica insolita, se non fosse ascrivibile al desiderio francese di maggiore intimità di rapporti con l’Italia. Painlevé espresse al Romano Avezzana le sue preoccupazioni per l’elezione di Hindenburg alla Presidenza del Reich, nonché i dubbi sul futuro della Germania (darle fiducia o restare sul Reno?) 33. Sulla questione austriaca, il Romano Avezzana si intrattenne con il direttore aggiunto della Direzione Affari Politici e Commerciali del Quai d’Orsay, Seydoux, spiegandogli che l’Italia perseguiva un preventivo accordo con la Cecoslovacchia e la Francia, «atteso l’interesse comune di prendere in tempo i provvedimenti opportuni per sventare i tentativi che si andavano intensificando per far apparire come indispensabile l’unione dell’Austria alla Germania, unione alla quale l’Italia si opponeva recisamente quanto la Francia stessa». Seydoux concordò pienamente su questa linea 34. Qualche giorno dopo, il 6 maggio, Romano Avezzana incontrò il nuovo ministro degli esteri, Briand. L’ambasciatore italiano, porgendo gli auguri a Briand per il nuovo incarico, espresse la speranza che egli, nella sua nuova veste, avrebbe attuato «gli amichevoli propositi manifestati verbalmente a Roma in occasione del Consiglio della Lega», ossia perseguisse l’amichevole soluzione delle questioni aperte con l’Italia: quella di un accordo metallurgico, quella di Tangeri e quella di Tunisi. Briand rispose che avrebbe studiato, insieme agli uffici competenti, possibili soluzioni soddisfacenti per l’Italia. Romano disse che era la questione tunisina il nodo da sciogliere e, sollecitato da Briand ad esprimere il suo pensiero, aggiunse che da un lato l’interesse italiano «coincideva con la politica della Francia» nella questione della sicurezza, ma dall’altro coincideva con quello germanico, nel cercare sbocchi ad una popolazione in esubero. «Perché in Italia prevalesse il primo punto di vista, occorreva risolvere il secondo». La formula che Romano propose fu quella di una revisione dei mandati e di «un diritto preferenziale sulle colonie portoghesi», unitamente a più libere relazioni tra l’Italia ed i territori coloniali altrui. Quanto alla questione tunisina, essa non poteva
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basarsi ancora sul precario sistema del rinnovo trimestrale delle Convenzioni denunciate dalla Francia nel 1918. Le opinioni espresse da Romano Avezzana furono accolte da Briand «con molta deferenza» 35. La conversazione cadde poi sull’offerta tedesca; Briand fece presente che un patto di garanzia doveva essere correlato all’entrata della Germania nella Società delle Nazioni, «senza restrizioni» e con gli stessi obblighi degli altri membri. La ritrosia di Berlino ad impegnarsi su questa via era di ostacolo ad ogni trattativa sulla sicurezza. Briand, inoltre, non drammatizzava l’avvento di Hindeburg, ma attirò l’attenzione dell’ambasciatore italiano sulle attività dei pangermanisti 36. Dopo aver visto Briand, Romano Avezzana fu ricevuto dal nuovo Ministro delle Finanze, Joseph Caillaux, volendo questi conoscere «in via amichevole e confidenziale» il pensiero dell’ambasciatore italiano sui rapporti italofrancesi. Romano ne parlò in buoni termini, ma evidenziando i “sospesi” dello Statuto di Tangeri e della questione tunisina. Caillaux ridinensionò l’importanza della prima questione, ma sulla seconda osservò che sarebbe stato necessario che, prima o poi, i cittadini italiani in Tunisia assumessero la nazionalità francese. Romano dissentì da questo punto di vista e rilevò che una decisione definitiva «non poteva che aver luogo che quando intervenissero altri fattori ed altri accordi». Caillaux chiese allora indicazioni per «una soluzione di insieme» e Romano la indicò «nell’assegnazione all’Italia di un dominio coloniale proporzionato ai suoi bisogni d’espansione». Caillaux concordò, aggiungendo «che doveva provvedersi non solo a dare maggiore aria all’Italia, ma a prendere in considerazione la stessa situazione che si presentava per la Germania, se si voleva fare opera di pace duratura», restituendole le colonie e favorendo accordi economici con la Polonia, per attenuare «gli errori commessi a Versailles». Le stesse cose disse a Romano Avezzana anche il Ministro della Pubblica Istruzione, senatore de Monzie 37. Da un lato, dunque, Mussolini sperava che l’avvento di Briand al governo fosse l’occasione per risolvere con la Francia il problema dei “sospesi coloniali”, in quanto il nuovo ministro degli esteri aveva nutrito in passato simili aspirazioni. Dall’altro, Briand era ancora neofita, necessitava di pun-
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tuali informazioni dagli esperti del Quai d’Orsay, onde precisare il suo punto di vista in materia coloniale. Gli altri membri del governo, al di là di una generica disponibilità, non concordavano con l’Italia sui problemi di Tangeri e di Tunisi; avevano inoltre puntualizzato che tutta la questione coloniale andava risolta in modo soddisfacente, non solo per l’Italia, ma anche per la Germania. Era una risposta diretta alla linea di condotta seguita da Mussolini, di prospettare una soluzione del problema della sicurezza legandola alla questione dell’espansione coloniale dell’Italia. Uno dei primi passi ufficiali del nuovo governo francese fu il progetto di risposta alla nota tedesca, approntato il 12 maggio 38. Mussolini, avendo saputo che Briand l’avrebbe sottoposto a Chamberlain, tenne a puntualizzare che tale progetto doveva essere comunicato anche all’Italia 39. Romano Avezzana scrisse che Briand gli aveva dato senz’altro quest’assicurazione 40, anche se, come poco dopo informò, a suo parere il governo inglese doveva già conoscere il tenore del documento francese. Ma Briand non avrebbe mancato di sottoporre la risposta francese all’Italia, prima di consegnarla a Berlino 41. L’Italia, dunque, ricevette la proposta francese solo il 19 maggio, quando l’ambasciatore Besnard la consegnò al Ministero degli Esteri 42. Dal resoconto di Besnard emerge la piena adesione di Mussolini ai termini ed allo spirito del progetto francese. Il capo del Governo italiano, pur ritenendo indispensabile l’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni, tuttavia non vi vedeva una condizione preventiva, e chiedeva solo che si realizzasse al momento della firma del patto di garanzia. In caso contrario, la Germania avrebbe potuto mettere in discussione certe clausole della pace e fare del suo ingresso nella Lega oggetto di patteggiamento. A parte questo, Mussolini sembrava «in disposizioni migliori che in precedenza nei riguardi della Società delle Nazioni» 43. Il progetto francese di risposta alla Germania non diede luogo tuttavia ad un negoziato spedito; anzi, proprio in Italia si aprì un periodo di riserbo (se non di sospetto) per il contegno degli alleati nella questione della sicurezza. Su questo atteggiamento, difficilmente comprensibile in una fase ancora progettuale, si può fare qualche congettura. Nella proposta di nota alla Germania, si considerava che desiderio comune degli alleati (la Francia
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parlava a nome di tutti) era di «dare a tutti gli Stati interessati, nel quadro del Trattato di Versailles, delle garanzie supplementari di sicurezza». Ma nella visione francese, tra gli «Stati interessati» v’erano anche Polonia e Cecoslovacchia, per cui, la garanzia principale data agli stati interessati alla Renania (quelli menzionati dal memorandum tedesco più il Belgio) si sarebbe dovuta estendere agli eventuali trattati di arbitrato tra la Germania e i suoi vicini orientali. Presentando la sua risposta come risultato di uno studio della nota tedesca condotto «in comune con i suoi alleati», la Francia faceva inoltre supporre un’intesa preventiva con la Gran Bretagna, raggiunta senza consultare l’Italia.V’era poi un aspetto giuridico non trascurabile. La Francia evidentemente voleva estendere, attraverso il sistema dei patti di arbitrato, le garanzie del patto renano a coloro che non ne sarebbero stati firmatari, ma che comunque erano parti del Covenant e firmatari dei trattati di pace; tali garanzie avrebbero così costituito un sistema di sicurezza supplementare. Un simile obiettivo, se conseguito, avrebbe prodotto una nuova categoria di privilegiati nei successori dell’Austria-Ungheria e creato una classe di accordi per un sistema di sicurezza del tutto nuovo, che si sarebbe posta al di sopra o addirittura avrebbe sostituito i trattati vigenti. Il vecchio sistema, quello posto in essere dai trattati di pace, certamente restava in vigore lì dove le nuove garanzie non operassero. A questo punto entrava in gioco la questione dell’Austria e della frontiera con la Germania.Avrebbe la Francia con il suo sistema accettato di garantire anche l’Austria, alla stregua degli altri successori dell’Impero austro-ungarico? O ciò si sarebbe rivelato problematico, in virtù del fatto che l’Austria era considerato paese sconfitto, erede della personalità giuridica del defunto impero? Tale interrogativo si lega poi a considerazioni d’ordine politico. Nel progetto di risposta francese si affermava che «gli alleati non saprebbero rinunciare al diritto di opporsi ad ogni inosservanza delle stipulazioni di tali trattati, anche se queste stipulazioni non li riguardino direttamente». Ciò poteva significare una parcellizzazione dell’interesse alla non revisione delle frontiere stabilite dai trattati. Nella visione francese, cioè, ciascun firmatario aveva diretto interesse all’integrità di certe clausole della pace, ma “poteva”
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opporsi alla revisione delle altre. Dal punto di vista logico-testuale, dunque, l’integrità dei trattati non emergeva a interesse generale e solidale dei vincitori. In virtù di questo era lecito sospettare che fosse in atto un tentativo di “europeizzare” interessi squisitamente francesi, mercé una discriminazione tra le “normali” clausole di pace e una categoria “rinforzata” di esse 44.
2. I L
DISCORSO DI
M USSOLINI
AL
S ENATO
DEL
20
MAGGIO
1925
Le considerazioni proposte aiutano forse a capire come mai, ad un certo punto, in forma ufficiale quanto solenne, Mussolini decise di chiarire una volta per tutte, agli alleati e alla Germania, il suo punto di vista sui problemi internazionali, compreso quello della sicurezza. Un primo passo in questa direzione lo aveva già fatto con le “direttive” impartite il 29 marzo agli ambasciatori all’estero (cap. II. §2). Una nuova opportunità gli si presentò il 20 maggio, in occasione della discussione al Senato del disegno di legge sullo «Stato di previsione della spesa del Ministero degli Affari Esteri» per l’esercizio finanziario 1925-1926. Prendendo la parola, Mussolini in primo luogo attutì gli allarmi suscitati all’elezione di Hindenburg alla Presidenza del Reich. Parlando poi di alcune sistemazioni coloniali, annunciò la soluzione di un negoziato con la Gran Bretagna circa il territorio dell’Oltre Giuba, che dal 1° giugno sarebbe passato in possesso all’Italia. L’altra questione aperta con Londra, quella dell’oasi di Giarabub, desiderata dall’Italia, avrebbe avuto presto soluzione favorevole. «Debbo aggiungere – commentò Mussolini – che il Governo inglese è perfettamente a lato del Governo italiano in questa questione». Mussolini parlò inoltre dei rapporti cordiali intrattenuti con la Jugoslavia (con la quale erano in corso a Firenze dei negoziati per la conclusione di numerosi accordi) e ricordò il felice risultato degli acordi di Roma su Fiume. Mussolini osservò quindi che il governo italiano era favorevole a dare alla Germania un seggio permanente nel Consiglio della Società delle Nazioni.
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A questo punto, il Presidente del Consiglio italiano toccò la questione del patto di sicurezza e della frontiera del Brennero, e qui va detto che le versioni ufficiali del discorso di Mussolini, il verbale negli Atti Parlamentari del Senato del Regno 45 e il relativo resoconto sommario 46, divergono. Il resoconto trascrive puntualmente il verbale, tranne che nel passo sul patto di sicurezza e il confine del Brennero, ove registra una differenza non trascurabile. Il verbale così recita: «Non si può pensare a un patto di garanzia a tre: bisogna pensare nell’interesse della pace a un patto di garanzia a cinque, e occorre, a mio avviso, che il patto di garanzia a cinque, che comprenderà la Germania sia messo sotto l’egida della Società delle Nazioni, nella quale la Germania sarebbe entrata. Non bisogna, o signori, garantire però le frontiere del Reno, facendo in modo da rendere meno solide le garanzie del Brennero». La versione del resoconto sommario del discorso è invece così redatta: «Non si può pensare a un patto di garanzia a tre: bisogna pensare a un patto di garanzia per lo meno a cinque, e occorre, a mio avviso, che il patto di garanzia a cinque, con altri patti di garanzia che vi potrebbero essere, siano a un certo momento messi sotto l’egida della Società delle Nazioni, nella quale la Germania sarebbe entrata. Non bisogna, o signori, garantire soltanto le frontiere sul Reno, bisogna garantirle anche sul Brennero». Mussolini si dichiarò inoltre nettamente contrario all’Anschluss, che avrebbe frustrato «la vittoria italiana»; aggiunse che era «penoso assistere a certe campagne di stampa, (...) penoso udire ordini del giorno con i quali si reclama quello che noi chiamiamo Alto Adige e che tale deve restare, perché noi consideriamo irrevocabile la frontiera del Brennero che, dichiaro, il Governo italiano difenderebbe a qualunque costo». «Tre precise affermazioni del discorso dell’on. Mussolini – commentò Il Messaggero alcuni giorni dopo – hanno provocato quasi generali proteste in Austria e in Germania: l’intangibilità dell’Alto Adige, il divieto dell’unione dell’Austria alla Germania e l’opportunità che il Patto di Garanzia si estenda anche al Brennero, ossia alla frontiera italiana». Per il giornale romano, quindi, Mussolini aveva chiesto una garanzia alla frontiera settentrionale italiana. Tale ipotesi «la combattono tutti i giornalisti germanici-osservando
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che essa appare assurda, perché la Germania non confina con l’Italia né al Brennero né altrove. Ma si è dimenticata a Berlino la guerra passata, durante la quale la Germania, che pure non confinava con l’Italia, alleata dell’Austria contro l’Italia ha mandato truppe germaniche attraverso il territorio austriaco anche alla frontiera italiana. La precisazione dell’on. Mussolini è suggerita dunque dai fatti documentati della Germania» 47. Non meno significativi appaiono i commenti di persone che avevano rivestito nella politica estera italiana, in un recente passato, ruoli non trascurabili. Per Carlo Schanzer, già ministro degli esteri (nei due Governi Facta), Mussolini aveva fatto molto bene a sottolineare l’opposizione dell’Italia all’Anschluss: «Chi scrive queste righe fece un’analoga, recisa dichiarazione nella conferenza interalleata di Londra nell’agosto 1922. L’Italia non può perdere il frutto della vittoria né vedersi mutare a proprio danno l’assetto centroeuropeo, con gravi pericoli politici ed anche col pericolo economico che la Germania, attraverso l’Austria, riassuma l’azione politica del Drang nach Osten, della spinta germanica verso l’Oriente, sbarrando le porte alle legittime aspirazioni italiane». L’Italia era favorevole ad un patto di garanzia, ma entro i limiti di quanto stabilito dai trattati di pace. «È vero che per effetto dei trattati non abbiamo bisogno di nuove garenzie, essendo la nostra posizione nell’Alto Adige internazionalmente inattaccabile, anche nei confronti della Germania, che deve rispettare l’articolo 80 del trattato di Versailles. Ma, qualora, con un nuovo trattato fra cinque o più potenze, si riaffermasse una speciale garenzia delle frontiere francesi, non sarebbe ammissibile che si passassero sotto silenzio le frontiere italiane» 48. Carlo Sforza, predecessore di Schanzer (nel quinto Governo Giolitti e nel secondo Bonomi), ritenuto un antifascista della prima ora (suscitarono clamore le sue dimissioni da ambasciatore a Parigi, dopo il 28 ottobre 1922), così osservava il 31 maggio 1925 sul Corriere della Sera: «Il discorso che (...) pronunziò al Senato italiano il Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri non ebbe nuovi accenti come quelli che ispirarono Painlevé. Non era il caso, del resto. Su vari punti toccati da quel discorso il consenso degli italiani può essere generale; a cominciare dalla più importante fra le nostre questioni attuali, quella del patto di garanzia; che, per la dignità e
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la sicurezza italiane, noi non possiamo ammettere che come patto a cinque; il tutto, cioè anche gli eventuali patti accessori, sotto l’egida della Società delle Nazioni (...) Ma perché il sacro patrimonio della nostra vittoria non sia mai minacciato – continuava Sforza – non basta formular moniti solenni sull’inviolabilità del Brennero. Sia qui permesso anzi di rilevare che certe volontà supreme di un popolo, come quelle della intangibilità della nostra cerchia alpina, dal Brennero al Nevoso, non guadagnan forse ad esser proclamate con enfasi esterna (sic). È quasi autorizzare a che si ponga il problema. Meglio reagire duramente quando in territori stranieri e non limitrofi, si permettono od organizzano manifestazioni pangermaniste che osan porre in questione le nostre frontiere» 49. Molti organi della stampa estera interpretarono il discorso di Mussolini come richiesta di garanzia al Brennero: è il caso, ad esempio, del Journal de Genève in un articolo del 17 giugno a firma di William Martin 50; ma è anche il caso de La Nation Belge 51. Questa interpretazione fu ripresa, in altri giornali, nel più ampio contesto della politica italiana di sicurezza 52. Non diversamente il discorso al Senato venne interpretato dai circoli diplomatici romani 53. Bisogna dire che su questo punto (richiesta o meno di una garanzia al Brennero) la storiografia molto si è cimentata con risultati interessanti, sulla base di un vario e crescente apporto di fonti. L’interpretazione del discorso di Mussolini quale esplicita richiesta di garanzia sulla frontiera italoaustriaca ha trovato molti estimatori, i quali si sono basati sull’esplicita menzione del Brennero. Il Di Nolfo 54, il Cassels 55, il Mosca 56, per non citarne che alcuni, hanno visto nel Brennero l’alfa e l’omega della politica di Mussolini di questo periodo, o come costante (così il Cassels) o come capovolgimento di essa (in tal senso il Mosca). Altri studiosi, quali il Toscano e il De Felice, addebitando a Mussolini l’uso nel suo discorso di una terminologia impropria, non hanno creduto che egli avesse in mente il Brennero 57. È stato anzi sottolineato che sollevare la questione del Brennero avrebbe significato riconoscere implicitamente l’Anschluss 58. Ad un’attenta analisi del verbale risulta che Mussolini: a) vedeva in un patto allargato la migliore soluzione al problema della sicurezza; b) faceva
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intendere che, siglando un tale patto, non si doveva inficiare il risultato della vittoria, consistente per l’Italia in quella solida garanzia sul Brennero che i trattati di pace assicuravano. Questo però non equivaleva a chiedere che il patto di sicurezza garantisse il Brennero, ma piuttosto ad esigere che esso si armonizzasse con l’assetto della pace in altri trattati consacrato. Dal resoconto sommario, invece, emerge: a) che il patto di garanzia a cinque era l’ipotesi preferibile; b) che tale patto era da coordinare possibilmente «con altri patti di garanzia»; c) che condizione prima era anche la garanzia della frontiera del Brennero (presumibilmente con uno di questi patti). La versione del discorso risultante dal verbale fu inviata dal Capo di Gabinetto del Ministero degli Esteri, Paulucci de’ Calboli Barone, alle rappresentanze diplomatiche italiane 59. Quella del resoconto sommario venne diffusa dai giornali 60. Entrambe le versioni del discorso di Mussolini al Senato trovansi nelle carte dell’Archivio di Gabinetto del Ministero degli Esteri. Come spiegare le ragioni della differenza testuale? E, soprattutto, si deve o meno propendere per l’ipotesi di una richiesta italiana di garanzia sulla frontiera del Brennero? La differenza testuale tra le due versioni non può ascriversi al mero fatto che il resoconto sommario di un discorso parlamentare possa essere meno fedele di un verbale stenografico. Infatti, come abbiamo visto, nel suddetto resoconto le parole di Mussolini sono riprodotte quasi integralmente, tranne che nella spinosa questione del Brennero, dove il trascrittore si prende qualche libertà redazionale. Non è ipotizzabile che Mussolini intendesse presentare due versioni, una per l’estero e l’altra per l’Italia, giacché dentro e fuori il paese, sui giornali 61 e nei circoli politico-diplomatici, le interpretazioni suscitate dal discorso furono molteplici. Si potrebbe pensare, invece, ad una deliberata volontà di Mussolini o di altri di presentare due versioni per diversi scopi (far presente i diritti dell’Italia, accrescere il prezzo della partecipazione italiana al patto renano, e così via). Quest’ipotesi è suffragata dal fatto che Mussolini, pur notando la non trascurabile differenza testuale tra le due versioni del suo discorso 62, non richiese alcuna correzione ai competenti uffici del Senato 63.
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L’incaricato d’affari tedesco, von Prittwitz, dopo aver esaminato il discorso di Mussolini, chiese udienza a Palazzo Chigi e fu ricevuto il 22 maggio da Arlotta (Contarini era ancora ammalato). Prittwitz dichiarò che il passo del discorso concernente la garanzia del Brennero avrebbe potuto provocare malintesi e indurre a credere che l’Italia volesse allargare i termini del patto di garanzia, contrariamente alla linea finora seguita. «Dalla conversazione con A[rlotta] – informò Prittwitz – ho tratto la precisa impressione che il discorso di Mussolini sia stato pronunciato senza previo contatto con i competenti uffici del Ministero degli Esteri. A[rlotta] ha interpretato il problematico passo solo come accentuazione dell’immutabilità dei trattati di pace riguardo alla frontiera del Brennero». Il diplomatico italiano si era riservato comunque di interpellare Mussolini per ulteriori chiarimenti 64. Arlotta, quando rivide Prittwitz, gli lesse il testo del discorso di Mussolini, così come trasmesso alla legazione italiana a Berlino. «La frase da me rilevata come malinteso – scrisse Prittwitz – è ora corretta e dice ‘Non bisogna garantire le frontiere del Reno in modo da indebolire le garanzie per il Brennero’». Il direttore degli Affari Politici insistè poi, anche a nome di Mussolini, nel dissuadere la Germania dal cercare altri vantaggi con il patto renano: sarebbe stata un’imprudenza che l’opinione pubblica italiana non avrebbe compreso 65. Il discorso di Mussolini non fu privo di effetto a Berlino, dove si era creduto, fino a quel momento, che l’Italia non intendesse essere troppo coinvolta nella questione della sicurezza.Tale congettura ora vacillava, lasciando supporre che il “duce” intendesse sollevare la questione dell’Anschluss e chiedere la garanzia sul Brennero. «Ritengo davvero necessario – così Stresemann telegrafò a Prittwitz – fare il tentativo di ricevere da Mussolini un’inequivocabile dichiarazione sui punti del suo discorso che potrebbero interessarci». Il rappresentante tedesco avrebbe perciò dovuto compiere un passo ufficiale nei termini seguenti: il governo tedesco, pur considerando attentamente gli argomenti di Mussolini e desiderando procedere d’accordo con l’Italia, rilevava che nel discorso al Senato non si era spesa una parola sulla questione di Colonia; il governo tedesco pregava perciò l’Italia di interessarsene presso gli alleati in modo tale che «le richieste di disarmo non venissero utilizzate come strumento per mandare all’aria l’evacuazione»;
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Stresemann apprezzava poi l’idea di patto a cinque (sempre che alla Germania non si imponesse l’ingresso preventivo nella Società delle Nazioni). Quanto al Brennero, la Germania aveva sempre pensato che Mussolini non mirasse ad una garanzia su quella frontiera: «Se egli avesse ora per caso mutato avviso, noi deploreremmo ciò in guisa particolare»; infatti tale mossa avrebbe spinto Polonia e Cecoslovacchia a chiedere anch’esse garanzie aggiuntive. Sarebbe stata inoltre snaturata l’intera questione della sicurezza, questione scaturita da precise esigenze francesi che, rimaste insoddisfatte nel 1919, ora la Germania accettava di considerare. «A ciò si aggiunge – proseguiva Stresemann – che per frontiera del Brennero non si intende assolutamente frontiera tedesca e che è invero una contraddizione, da un lato rifiutare l’unione dell’Austria alla Germania in maniera così categorica, come Mussolini ha appena fatto, e dall’altro pretendere dalla Germania che essa garantisca le frontiere tra l’Austria e l’Italia». Stresemann passò quindi ad esaminare il delicato problema dell’Anschluss. A Berlino si era creduto, da vari segnali, che l’opposizione di Mussolini fosse solo momentanea e non si comprendeva ora la sua repentina presa di posizione, che portava acqua al mulino di Beneš. «La Germania non può naturalmente pervenire ad un impegno negativo anche per un’eventualità futura; non si può quindi pretendere che noi si rinunci per sempre alla possibilità di regolamento che il trattato di Versailles ha previsto all’articolo 80», del quale era peraltro impossibile un nuovo solenne riconoscimento 66. Chiedere la garanzia al Brennero si rivelava quanto mai problematico per l’Italia; si correva il pericolo, infatti, di compromettere l’intero negoziato sulla sicurezza e di veder mai realizzato il patto renano. Si rischiava inoltre di mettere a dura prova la vecchia intesa dei vincitori, e forse anche di perdere il senso politico degli articoli 80 di Versailles ed 88 di SaintGermain. Ma per contro, occorreva tener presente che Stresemann aveva un “programma” di tutto rispetto: la Germania non avrebbe mai rinunciato, sia fuori che dentro la Società delle Nazioni, a realizzare l’Anschluss ricorrendo all’articolo 80 del Trattato di Versailles. Quanto a Mussolini, va considerato che se avesse inteso chiedere tout court una garanzia sul Brennero, allora egli senz’altro avrebbe fatto dirama-
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re alle rappresentanze all’estero la versione del discorso che meglio serviva al caso, quella cioè del resoconto sommario, che i rappresentanti diplomatici avrebbero utilizzato nel trattare la questione della sicurezza nelle capitali ove erano accreditati. Invece, come già detto, fu inviata all’estero per via telegrafica proprio la versione meno atta ad interpretarsi come richiesta di garanzia sul Brennero, cioè quella a verbale negli atti parlamentari.Va poi ricordato che sempre questa versione fu richiamata da Mussolini allorché, nei giorni seguenti, ricordò ai rappresentanti diplomatici i termini del suo discorso al Senato 67. È da notare infine che nel resoconto sommario del discorso (cioè la versione che presta il fianco all’ipotesi di una richiesta di garanzia), si trova un interessante accenno ad un sistema di patti di sicurezza, considerato, questo sì, la vera garanzia: ad ovest, ad est e a sud della Germania. In questo sistema di patti, una richiesta di garanzia al Brennero avrebbe certamente avuto minor senso, in quanto molteplici patti di garanzia potevano essere basi portanti di un sistema di sicurezza generale, senza nulla trascurare del precedente assetto dei trattati di pace e senza categorie superiori di frontiere, di territori o di obblighi giuridici. Non si può dire che l’idea di un tale sistema sia stata sviluppata da Mussolini in maniera più precisa ed approfondita; tuttavia essa non era priva di interesse e certamente poteva divenire oggetto di una disamina con le cancellerie alleate (anche se non tutti avrebbero poi accettato di partecipare ad una costruzione che, per certi versi, si presentava non poco ardita). In tale ambito, quindi, una garanzia sic et simpliciter sul Brennero passava senz’altro in secondo piano 68. Era dunque l’eventualità di un’unione austrotedesca a rendere Mussolini prudente e molto sensibile ai temi della sicurezza, al punto da adoprarsi perché non si realizzasse quella “doppia categoria” di frontiere che la proposta francese di risposta alla Germania sembrava ventilare. Mussolini non criticò subito il progetto francese 69, ma da esso prese le distanze nei giorni seguenti, dopo un più attento esame che lo portò a vedere nella frontiera renana una fonte di insicurezza per l’Europa. È dunque vero che, nel suo discorso al Senato, Mussolini si espresse in termini inappropriati (nell’economia di una trattazione che egli stesso giu-
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dicò «disordinata»); ma è anche possibile che covasse del risentimento verso chi, a suo parere, faceva della frontiera occidentale tedesca il baricentro dei problemi europei, senza curarsi della sicurezza a più ampio raggio, in un sistema coordinato col dispositivo dei trattati di pace. C’era inoltre il fatto che Briand, il quale tanta comprensione aveva mostrato in passato nei confronti delle aspirazioni coloniali dell’Italia, ora, da ministro degli esteri, non si pronunciava chiaramente per trovare una soluzione alla questione tunisina, mentre aveva avuto piena attuazione l’accordo italobritannico del 15 luglio 1924 sull’Oltre Giuba. Mussolini dunque, se da un lato nutrì delle riserve verso il progetto francese di risposta alla Germania, dall’altro riscontrò «spesso una analogia di atteggiamento fra Inghilterra ed Italia» 70; la qual cosa lo induceva a sperare di poter contribuire con gli inglesi alla revisione del documento, attraverso una costante e reciproca consultazione. Ma anche se gli alleati si disponevano ormai a passare alla fase negoziale del patto di garanzia, Mussolini adottò una certa cautela nell’esporre il suo pensiero. Un tale atteggiamento mirava a ridurre al minimo il rischio di veder lesi gli interessi italiani, e irrimediabilmente compromessa la vecchia e un po’ malandata coalizione dei vincitori.
3. L A
RISPOSTA DELLA
F RANCIA
ALLA NOTA TEDESCA
Il discorso di Mussolini al Senato aveva spiegato la posizione dell’Italia in materia di sicurezza, mettendo il problema dell’Anschluss al primo posto tra gli interessi italiani. Esso altresì era diretto agli ex alleati dell’Italia, dai quali ci si attendeva un chiarimento sui programmi futuri. Conosciuto il progetto francese di risposta alla Germania, Mussolini volle sapere cosa ne pensasse Chamberlain, onde potersi opportunamente concertare 71. La richiesta di informazioni da parte di Mussolini si incrociò con un telegramma di Della Torretta, che appunto informava sul pensiero di Chamberlain. Il ministro inglese attendeva di conoscere meglio la posizione di Briand; pur astenendosi da precisi commenti sul progetto francese di
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risposta alla Germania, Chamberlain aveva comunque l’impressione che alcuni passaggi di quel documento duplicassero inutilmente o, addirittura, modificassero gli articoli 10, 16 e 17 del Covenant 72. Nei giorni seguenti Della Torretta precisò che Chamberlain temeva che la Francia ritornasse al Protocollo di Ginevra e mirasse ad estendere oltre misura quella garanzia che la Gran Bretagna voleva limitata alla frontiera occidentale tedesca 73. L’ambasciatore italiano a Londra inviò anche copia degli emendamenti che Chamberlain desiderava apporre al progetto francese di risposta alla Germania 74. Il rilievo politicamente più importante mosso dagli inglesi era che la Francia presupponeva un’omogeneità di punti di vista che, sul problema della sicurezza, era tutta da dimostrare. Appreso tutto questo, Mussolini fece preparare una nota verbale che il 4 giugno fu inviata all’ambasciata britannica a Roma 75. Il Regio Governo, si diceva nella nota, «è in grado di dichiarare che concorda col Governo britannico nel concetto che la risposta da dare al Governo Tedesco dovrebbe riflettere il pensiero comune degli alleati. Conferma inoltre di essere disposto a fare per parte sua quanto gli è possibile per giungere alla realizzazione di questo patto, che giudica efficace ad assicurare il mantenimento della pace, in quanto viene stipulato d’accordo con la Germania». Dal testo definitivo di questa nota venne eliminato l’accenno ad una partecipazione italiana al patto di garanzia 76. Ma l’Italia, «in linea di massima», subordinava al raggiungimento di un accordo modalità e dettagli di attuazione, poiché questi perdevano di importanza rispetto al primario obiettivo della pace. Dopo aver constatato, dunque, il persistere di una differenza di vedute tra inglesi e francesi sul seguito da dare alla proposta tedesca, l’Italia sembrava allinearsi alla posizione di Londra. In realtà, riservandosi di decidere in merito alla partecipazione al patto di garanzia, essa confermava la sua posizione di riserbo, dal momento che non era ancora chiara la natura dell’impegno previsto per le altre frontiere tedesche. L’Italia infatti desiderava garanzie aggiuntive a quanto il progetto francese di risposta alla Germania già prevedeva, anche se su quel progetto sostanzialmente concordava. Fu quest’ultimo dato di fatto a spingere il Quai d’Orsay verso alcune iniziative diplomatiche. In un colloquio del 3 giugno
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con Romano Avezzana il Segretario Generale Berthelot, prendendo atto del fatto che Londra desiderava impegni piuttosto limitati, domandò se un accordo tra Francia ed Italia, a complemento del patto renano, non avrebbe per caso costituito un ottimo strumento a tutela dell’indipendenza austriaca, oggetto di interesse comune. Romano rispose di non potersi pronunciare in proposito prima di aver consultato il suo governo; del resto Berthelot, richiesto del tipo di accordo in oggetto, si era mantenuto sul vago. L’alto funzionario francese pregava, altresì, di non considerare certe sue personali prese di posizione, non troppo amichevoli verso l’Italia, come mancanza di comprensione verso gli interessi del paese 77. Berthelot si riferiva ad un precedente colloquio con l’Ambasciatore italiano, avvenuto il 20 maggio, nel quale si era affrontato l’argomento dell’adesione italiana allo Statuto di Tangeri. Berthelot aveva fatto riferimento alle precedenti intese (del 1900, 1902 e 1912) concernenti il reciproco disinteresse, italiano e francese, sul Marocco e sulla Tripolitania: la questione tangerina riguardava pertanto solo Francia, Spagna e Gran Bretagna. Se terze potenze avessero inteso aderire allo Statuto di Tangeri, in vigore dal 1° giugno 1925, avrebbero dovuto farlo sic et simpliciter e senza porre condizioni. Berthelot aveva concluso quella conversazione con Romano Avezzana osservando «che una risposta netta è sempre meglio di un equivoco e che una spiegazione amichevole e sincera era conforme alle relazioni ed ai sentimenti di cordialità dei due paesi» 78. Da quel 20 maggio Berthelot si era ammorbidito nei confronti dell’Italia, certamente per il semplice fatto che alla Francia occorreva un partner da contrapporre alla Gran Bretagna nel negoziato sulla sicurezza che, dopo gli emendamenti di Chamberlain al progetto di nota francese alla Germania, si annunciava lento e difficile. Queste osservazioni ci sembrano importanti ed ancor più lo sono se si pensa che, in concomitanza con tali avvenimenti, Briand si premurò di puntualizzare a Londra che il patto di garanzia non avrebbe dovuto limitare la libertà della Francia di intervenire in aiuto della Polonia e della Cecoslovacchia, qualora fosse stato necessario 79. La questione ha i suoi precedenti. Appena giunto al Quai d’Orsay, nell’aprile del 1925, Briand aveva
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professato fedeltà alle alleanze orientali della Francia 80, e proposto a Chamberlain la costruzione di un sistema di trattati di arbitrato tra la Germania ed i suoi vicini orientali; sistema che avrebbe dovuto costituire poi la base di accordi più ampi 81. Nella bozza di nota alla Germania, sottoposta all’esame degli inglesi, il governo francese pretese che il sistema dei patti di arbitrato avesse la medesima garanzia assicurata al patto renano. Ma l’idea francese non venne accolta a Londra, dove fu liquidata durante una riunione del Comitato di Gabinetto del 26 maggio, il quale al contempo constatò che la Francia era condizionata dall’alleanza con la Polonia. «Così, sebbene le proposte francesi fossero un po’ incerte, esse miravano a legare l’assetto occidentale con quello orientale», e questo andava evitato 82. Pur riconoscendo quindi l’utilità dei patti di arbitrato orientali, nel progetto di nota alternativo a quello francese, il governo britannico rifiutò di assicurare ad essi la stessa garanzia data al patto renano 83, il che a Parigi non produsse buon effetto. Il 29 maggio, l’ambasciatore inglese scrisse dunque: «Non sarei sorpreso se il governo francese cercasse di rassicurare gli Stati al di fuori del patto renano, suggerendo una sicurezza più specifica per essi, oltre ed al di sopra di quella di cui essi godono già in base al Covenant della Società delle Nazioni» 84. Si può dunque comprendere perché, sulla scia di Berthelot, fu lo stesso Briand a procedere nella manovra di avvicinamento della Francia all’Italia, per averla più vicina nel “momentoso” frangente. Il Ministro ebbe dunque un colloquio con Romano Avezzana, nel corso del quale questi trovò modo di proporre che l’eventuale accordo italofrancese garantisse lo status quo europeo, nel modo in cui il patto renano avrebbe garantito lo status quo sulla frontiera occidentale tedesca. A queste osservazioni Briand replicò con vaghezza, dicendo di non aver ben studiato la questione 85. Il 5 giugno apparve su L’Idea Nazionale un corsivo di Francesco Coppola, intitolato «La politica del patto a cinque». In esso l’autore respingeva l’idea di una garanzia al Brennero, frontiera che l’Italia poteva benissimo difendere da sé; aggiungeva altresì che, per poter partecipare ad una garanzia sulle frontiere orientali, l’Italia avrebbe dovuto ottenere importanti vantaggi nel Mediterraneo 86. L’articolo in questione rispecchiava una corren-
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te d’opinione diffusa nel paese, che collegava questioni europee e questioni coloniali ai fini della partecipazione italiana alle importanti iniziative diplomatiche del momento. Inoltre Coppola faceva propria la formula di “patto a cinque” e precisava i termini della vessata questione del Brennero. A nostro avviso l’articolo rispecchiava la posizione di Mussolini di cui Coppola si faceva latore. Basti pensare alla sua posizione (all’epoca membro della delegazione italiana alla Società delle Nazioni) ed al fatto che il suo gruppo e la sua rivista, Politica, erano molto ascoltati dal governo per le questioni di politica estera 87. L’articolo del Coppola non venne tuttavia ritenuto dall’ambasciata francese a Roma indicativo della posizione di Palazzo Chigi. «Il fatto che un giornale avente legami con il Governo gli abbia accordato ospitalità – commentò l’incaricato d’affari francese Roger – non significa necessariamente che i circoli dirigenti italiani condividano le sue idee. Le conversazioni recenti che il signor Besnard ha avuto tanto con Contarini quanto con il nuovo Capo di Stato Maggiore Generale mostrano in effetti che la garanzia del Brennero non è sottovalutata da coloro che hanno la responsabilità della politica italiana» 88. L’accenno di Roger ai colloqui avuti a Roma da Besnard richiede una precisazione. Badoglio, appena divenuto, il 4 maggio, Capo di Stato Maggiore Generale 89, aveva intrattenuto, a metà del mese, l’ambasciatore francese Besnard sui rapporti italofrancesi, prospettando un’alleanza militare in chiave anti-tedesca. Di questo suo progetto, Badoglio aveva informato anche l’incaricato e l’addetto militare dell’Ambasciata di Francia, cioè Roger e il colonnello Langlois. Egli aveva sottolineato di aver parlato della questione con lo stesso Mussolini in termini molto chiari, e che Mussolini «era anche lui convinto del pericolo tedesco». Di queste avances furono messi al corrente il Ministero della Guerra francese e il maresciallo Foch, Presidente del Comitato Militare Alleato di Versailles. A Parigi, l’idea di Badoglio fu considerata molto seriamente, ma se ne attendeva la concretizzazione in una proposta ufficiale di intesa politica, avanzata dal governo italiano 90.
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Il 4 giugno la Camera discusse della ratifica dei trattati di Versailles, del Trianon e di Neuilly. In tale occasione l’onorevole Salandra invitò l’assemblea ad appoggiare, in nome dell’interesse di Stato, la linea politica già espressa da Mussolini al Senato. In opposizione a Riboldi, favorevole, in tema di unione alla Germania, al principio di autodeterminazione dell’Austria, Salandra chiarì che l’Anschluss era vietato dai trattati, cui Austria e Germania dovevano conformarsi. Accusando indirettamente Briand di aver favorito nel 1921 i tentativi di restaurazione in Ungheria, Salandra rivendicò infine il diritto per l’Italia di essere consultata su tutte le questioni riguardanti l’Austria. Fu interrotto su questo punto da Mussolini che disse: «Nessuna soluzione senza l’Italia e soprattutto nessuna soluzione contro l’Italia» 91. Fu questa la linea di vigilanza che l’Italia adottò, non solo nei confronti degli ex alleati, ma anche nei confronti della stessa Germania. Tornato a Roma, dal breve congedo, l’ambasciatore von Neurath, il 5 giugno, fu ricevuto dal Presidente del Consiglio e con questi ebbe un colloquio dal quale dedusse che effettivamente Mussolini aveva abbandonato la primitiva posizione e desiderava «ora far dipendere la partecipazione dell’Italia alla garanzia sulla frontiera occidentale dall’inclusione della frontiera del Brennero e da un’eventuale modifica dell’articolo 80 del Trattato di Versailles» 92. Von Neurath era tuttavia dell’avviso che questo mutar pensiero fosse effetto di uno sfogo provocato occasionalmente dalla propaganda in favore dell’Anschluss, ma i cui motivi profondi andavano ricercati nella paura degli italiani di perdere il sud Tirolo in caso di realizzata unione austrotedesca. «Attualmente – dichiarò infatti Contarini a Neurath – la questione sudtirolese è una questione austriaca, più tardi sarà una questione tedesca». Era questo il nodo delle relazioni italotedesche più difficile da sciogliere. Neurath informò altresì il suo governo di aver sollecitato Mussolini a spiegare il motivo di un così repentino mutamento rispetto alle questioni dell’Anschluss e del Brennero. Mussolini fu evasivo; disse che il suo discorso al Senato era rivolto in primo luogo alla Francia, a causa della quale l’Italia non voleva essere coinvolta in una guerra con la Germania. Se l’Italia
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doveva garantire il Reno, allora occorreva anche garantire il Brennero. A questo punto Neurath spiegò che le situazioni erano affatto differenti; ma le sue argomentazioni, come egli stesso racconta, naufragarono «di fronte all’idea preconcetta che ora o mai più era giunto il momento per una definitiva decisione in favore delle attuali frontiere dell’Italia». Da Mussolini, Neurath riuscì solo a spuntare la promessa di discutere con lui ulteriori decisioni italiane sul patto di garanzia. Terminato il colloquio, l’ambasciatore tedesco vide Contarini. Questi, pur negandolo, diede l’impressione di puntare alla «fusione delle questioni del Brennero e dell’Anschluss, così come ad un mutamento delle disposizioni dell’articolo 80 del trattato di Versailles». Il tema sollevato da Mussolini e Contarini, quello di un mutamento delle disposizioni dell’articolo 80 di Versailles, richiede alcune osservazioni. L’articolo 80 vietava l’unione dell’Austria alla Germania, tranne che col consenso del Consiglio della Società delle Nazioni. Detto consenso, in base all’articolo 5, primo comma, del Covenant, doveva esser espresso all’unanimità. Di conseguenza, il semplice veto dell’Italia sarebbe bastato a negarlo. Perché dunque Mussolini e Contarini prospettarono ai tedeschi la modifica dell’articolo 80 di Versailles? L’unica risposta possibile è che essi temessero, più o meno fondatamente, che il Consiglio della Società delle Nazioni facesse del consenso all’Anschluss una delle questioni di procedura sulle quali, giusta le disposizioni dell’articolo 5, secondo comma, sarebbe bastato il voto a maggioranza; l’unione tra Germania ed Austria avrebbe così potuto realizzarsi prescindendo dal veto italiano. Per combattere tale eventualità, si rendeva allora necessario trasformare il dispositivo dell’articolo 80, prescrivendo o esplicitamente l’unanimità, o il divieto assoluto di Anschluss. Va però aggiunto che la questione non sembrava all’ordine del giorno dei negoziati sulla sicurezza, e che il previsto ingresso della Germania nella Società delle Nazioni, con la possibilità di servirsi dell’articolo 19 del Patto, non implicava la realizzazione legale dell’Anschluss. V’erano tuttavia degli episodi inquietanti che inducevano Palazzo Chigi a ventilare ai tedeschi la possibile modifica dell’articolo 80: i discorsi filo-
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annessionistici di Löbe e di Marx; il colloquio dell’8 maggio tra Stresemann e De Bosdari; le voci secondo cui D’Abernon era favorevole all’Anschluss. Non va poi trascurato il fenomeno dell’associazionismo austrotedesco. La nota Andreas Hofer-Bund, campione dell’irredentismo sudtirolese, stava cercando di fondersi con altre organizzazioni austriache dedite alla propaganda pangermanista 93; mentre la neonata “Unione di Lavoro Austrotedesca” (Österreichisch-deutscher Arbeitsgemeinschaft), con sede a Vienna, si poneva tra i suoi obiettivi di «giungere all’intima fusione dei due popoli senza trasgredire formalmente le prescrizioni dei trattati di pace» 94, e presto pervenne alla conclusione che, dal punto di vista economico, l’Anschluss sarebbe stato la soluzione migliore per l’Austria 95. V’era perciò a Palazzo Chigi l’esigenza di dare una risposta adeguata ai tedeschi ed a quanti agitavano lo spauracchio dell’Anschluss e dell’irredentismo sudtirolese. Fu probabilmente il Segretario Generale del Ministero degli Esteri, Contarini, insieme ad Arlotta (capo della Direzione Generale Affari Politici e Commerciali) ed a Biancheri-Chiappori (capo dell’Ufficio II “Austria-Cecoslovacchia” di quella Direzione), ad occuparsi della questione, seguita poi da Arlotta e Biancheri (ma forse anche da Lojacono) durante la malattia e la convalescenza di Contarini. Dall’esame collettivo della delicata materia sarebbero scaturiti alcuni promemoria, come quegli Appunti intorno al problema austriaco, del 15 maggio, di cui s’è già parlato. Il progetto, utile per il caso in cui da parte tedesca si fosse puntato all’Anschluss e da parte alleata si fosse abbassata la guardia, identificava dunque un revisionismo speculare a quello tedesco, non affatto favorevole ai disegni di Berlino. Ma va detto che del progetto in questione non si riscontrano tracce nel lavoro di quella che avrebbe potuto esser la sede naturale dell’esame di questioni simili, ossia il Consiglio del Contenzioso diplomatico del Ministero degli Esteri 96. Infatti né il suo Segretario generale, Amedeo Giannini (funzionario di ampia cultura, di provata competenza e di agile versatilità 97), né il Consiglio nel suo complesso, la più ristretta Giunta o particolari commissioni ad hoc, furono mai incaricati di studiare il tema di una modifica dell’articolo 80 di Versailles 98.Trattandosi di questione di rilevanza politica,
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potrebbe darsi che il Ministero ritenesse opportuno tenerne fuori i “tecnici” del Contenzioso 99; e in ciò Contarini stesso avrebbe avuto un ruolo non marginale, essendo egli membro di diritto di quest’organo. L’ipotesi avanzata è dunque sorretta da pochi elementi e va considerata cum grano salis, come una delle possibilità studiate a Roma perché alle insidie della Germania non corrispondesse il lassismo degli alleati. Nei suoi colloqui con Mussolini e Contarini, l’ambasciatore von Neurath aveva anche tratto l’impressione che la Francia stesse cercando «di guadagnare gli italiani alla visione francese nella questione della sicurezza». «È sicuro – commentò – che il signor Briand, al contario del suo predecessore Herriot, il quale ha combattuto Mussolini e il governo fascista col sostegno all’opposizione italiana, ha seguito la tattica di ridurre la tensione tra Italia e Francia, per il tramite di una minima platonica accettazione dei desideri italiani». Neurath dubitava che Briand riuscisse nell’intento, considerati i discorsi di Mussolini al Senato e di Salandra alla Camera. La posizione italiana era tuttavia «non molto promettente», visto che il capo del governo avrebbe chiesto concessioni, per abbandonare l’idea di garantire il Brennero 100, e anche se tale idea era difficile da accettare per gli stessi alleati dell’Italia 101. Il punto di vista di Mussolini, già in nuce nella nota inviata all’ambasciata di Gran Bretagna, si evince da una bozza di telegramma a Romano Avezzana, in risposta ai dispacci del 3 e 4 giugno. In questa bozza si legge che il patto di sicurezza aveva allora come nel 1919 uno scopo ben preciso, «quello cioè di ricondurre nella popolazione e nel Governo francese un minimo di tranquillità nei propri rapporti con la Germania», per consentire alla Francia «di non insistere su un’applicazione del trattato così rigida da mettere continuamente a repentaglio le proprie relazioni con la Germania, se non con la stessa Inghilterra». Era dunque interesse di tutti, e specialmente francese, che il patto conservasse tale carattere e che con esso non venissero sollevate «altre questioni quasi come contropartita, e specie quella dell’annessione dell’Austria» 102. La bozza non è datata, ma è forse posteriore ad un dispaccio dell’Agenzia di stampa francese Havas pervenuto il 7 giugno. Dalla lettura del dispaccio si poteva desumere che il patto di sicu-
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rezza stava assumendo vieppiù la forma di un accordo anglo-franco-belga, lasciando insolute le questioni relative alla sicurezza dell’Austria. Secondo l’analisi di De Fleuriau, l’Italia sarebbe stata costretta a provvedere alla fortificazione della frontiera del Brennero. Si sarebbero così alterate le condizioni per il consenso dell’Italia al progetto francese di risposta alla Germania: Mussolini credeva infatti di aver aderito all’idea di un “patto a cinque”, con l’Italia artefice attiva della sicurezza europea ed in grado di proteggere ugualmente tutte le frontiere 103. Un lungo telegramma dell’ 8 giugno rese ancor più esplicita (se mai ve ne fosse stato bisogno) la posizione del “duce” sull’Anschluss; in primo luogo, trovava egli strano che Chamberlain, assertore del diritto pubblico europeo, venisse puntualmente smentito dalla condotta del D’Abernon a Berlino, riferitagli come filoannessionista; alle offerte francesi Mussolini dedicò quindi la parte del telegramma che noi riteniamo la più interessante. Egli osservò che l’unione dell’Austria alla Germania avrebbe potenziato enormemente quest’ultima. Ciò avrebbe recato danno più alla Francia, da cui la Germania avrebbe prima o poi preteso l’Alsazia-Lorena, che all’Italia, di cui la Germania avrebbe rispettato la frontiera del Brennero. L’Anschluss era dunque meno pericoloso per l’Italia ed avrebbe costretto prima o poi la Gran Bretagna a soccorrere nuovamente la Francia, come nel 1914. Mussolini concludeva che, persistendo negli alleati una politica volta a creare due tipi di obbligazioni nei confronti dei trattati di pace, l’Italia avrebbe potuto disinteressarsi sia del patto di garanzia sia dell’Austria e chiedere direttamente a Berlino una garanzia sul Brennero, di modo che gli effetti dell’Anschluss sarebbero stati ininfluenti sulla sua sicurezza 104. «L’importanza di queste istruzioni è duplice» ha scritto il Toscano. «Da un lato, esse anticipavano quella che avrebbe poi finito per essere la soluzione adottata da Mussolini nel marzo 1938, dall’altro, rivelavano notevoli illusioni sulla effettiva posizione di Parigi al momento della crisi» 105. I punti da considerare nella posizione italiana erano dunque i seguenti: la richiesta di un patto a cinque e la questione del Brennero, dai francesi interpretata come richiesta di garanzia.A Parigi si analizzò la situazione per trovare una qualche soluzione che fosse gradita all’Italia.
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Per i lavori del Consiglio della Società delle Nazioni Briand si recò a Ginevra, dove incontrò il collega Chamberlain, con cui ebbe ripetuti e riservati colloqui sui temi della sicurezza. La domenica del 7 giugno, i due ministri pranzarono in un tranquillo ristorante sul lago Lemano, poco fuori Ginevra, ove ragionarono dei problemi del momento. Non vi fu perfetta concordanza di vedute su alcuni punti (come su quello della definizione dell’aggressore sulla base dei princìpi del Covenant), ma sulle linee generali della sicurezza si riscontrò pieno accordo. Dopo pranzo, Briand invitò Chamberlain a fare una passeggiata a Ouchy, dove il confronto riprese davanti a una tazza di tè. Fu a questo punto che si parlò delle frontiere orientali e anche dell’Italia. Briand desiderava che la Francia conservasse «la sua libertà di prestare assistenza agli stati per i quali riteneva necessario accordare la sua garanzia», senza che il patto renano costituisse un intralcio 106. Su queste basi, l’8 giugno, egli raggiunse l’accordo con Chamberlain, sui termini della risposta da dare alla Germania 107. Le conversazioni anglofrancesi provocarono viva preoccupazione a Varsavia; il ministro degli esteri polacco, Skrzynski, desiderava che la libertà della Francia di correre in aiuto della Polonia rimanesse inalterata e non condizionata, come le ricorrenti voci di stampa inglese lasciavano intendere, dal consenso dei firmatari del patto, o da quello dei membri del Consiglio della Società delle Nazioni 108 (va notato che l’ambasciatore francese a Londra, De Fleuriau, teneva costantemente informato quel Ministro di Polonia sulle conversazioni in corso a Ginevra 109). Skrzynski fece inoltre sapere che considerava il patto renano dannoso, visto che i trattati di arbitrato non prevedevano la garanzia della Francia. In mancanza dell’assistenza francese, «l’aiuto efficace verrà dalla Polonia – così egli si espresse – che farà marciare duecentomila uomini su Berlino»; la soluzione alternativa poteva risiedere nella stipulazione di un patto sulle frontiere orientali della Germania, «analogo al patto renano» 110. Nel corso dei colloqui in Svizzera con l’omologo britannico, Briand si disse anche disposto a considerare la possibilità di un patto francoitaliano sulle frontiere orientali, con la partecipazione della Germania e dell’Austria. Ciò fornì a Chamberlain l’occasione per avanzare la proposta (concepita al
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Foreign Office da Tyrrell e da Nicolson) di invitare ufficialmente Mussolini ad uno scambio di vedute sui problemi dei Balcani, in modo da favorire una politica di moderazione e di pace in quest’area. L’idea fu prontamente accolta da Briand 111, ma non fu altrettanto gradita al Quai d’Orsay, ed in special modo a Berthelot e a Laroche. Il 9 giugno costoro scrissero al Massigli che il piano britannico per i Balcani poteva essere pericoloso per le alleanze francesi ed essere recepito nell’area come un désistement della Francia, con l’effetto di spingere la Jugoslavia sia verso l’Albania e l’Egeo, sia ad un accordo con l’Italia. Senza contare il discredito che poteva ricadere sul “Cartello delle Sinistre”, per il fatto di invitare il dittatore italiano a far blocco comune nei Balcani 112. Briand ebbe però la meglio sugli alti funzionari del Quai d’Orsay e una nota, contenente la proposta di Chamberlain, fu preparata il 9 giugno e consegnata il giorno dopo a Scialoja. In essa si chiedeva la solidarietà italiana nell’ambito di un’azione comune nei Balcani, per fronteggiare ogni incidente suscettibile di minacciare la pace. «È evidente che il valore di una tale azione dipende in larga misura dalla cooperazione dell’Italia, che possiede un’autorità particolare negli affari balcanici» 113. Si trattava apparentemente di un importante riconoscimento del ruolo dell’Italia nei Balcani, avendo il paese un’«autorità particolare» suscettibile di influire sul buon esito di qualsiasi azione comune. La proposta anglofrancese può considerarsi una prima risposta per soddisfare le attese italiane. Se Mussolini avesse reagito positivamente ciò avrebbe facilitato il negoziato sul patto di sicurezza. Sempre a Ginevra, Briand e Chamberlain concordarono, l’8 giugno, i termini della risposta da inviare alla Germania: una risposta pacata e prudente, la quale tra l’altro faceva salvo il principio secondo il quale potenze come l’Italia ed il Belgio sarebbero state chiamate a far parte del patto renano solo dopo che Francia, Gran Bretagna e Germania ne avessero concordato le linee generali 114. Uno degli obiettivi di Mussolini, quello cioè di ottenere “da subito” un patto a cinque, poteva ritenersi dunque mancato. L’altro obiettivo era la difesa dell’Austria. Briand ormai conosceva la posizione italiana sul problema dell’Anschluss. All’indomani della gita a
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Ouchy con Chamberlain, il ministro francese propose quindi a Scialoja un «patto di garanzia relativo alle frontiere meridionali ed orientali della Germania», nonché il pieno appoggio francese in favore dell’indipendenza austriaca. Ma il delegato italiano mostrò un certo riserbo sulla questione 115, dettato a nostro avviso sia dai dubbi sulla condotta di D’Abernon a Berlino (ritenuto troppo favorevole all’Anschluss e troppo propenso ad avallare le critiche agli alleati per la loro intransigenza in merito), sia dall’impressione che, senza il patto a cinque, poco senso avrebbe avuto un “patto a due” con la Francia. Il riserbo italiano contrastava tuttavia con le iniziative che il Capo di Stato Maggiore generale continuava ad assumere. L’8 giugno, nel corso di un ricevimento al Quirinale, Badoglio avvicinò l’incaricato d’affari francese, Roger, per dirgli che urgeva oramai che italiani e francesi si unissero strettamente contro i probabili preparativi militari tedeschi, che in capo a quattro o cinque anni avrebbero costituito un reale pericolo. «L’Italia e la Francia – aggiunse Badoglio – devono esser pronte ad affrontarlo. Mio primo dovere, come capo di Stato Maggiore, è stato di occuparmi della difesa del Brennero. Bisognerà che noi riparliamo nuovamente di tutto ciò» 116. Probabilmente sulla base di queste informazioni 117, incontrato nuovamente a Ginevra, il 9 giugno, il delegato italiano, Briand spiegò i motivi per cui si riteneva di non dover allargare il patto renano (la garanzia limitata geograficamente), offrì la garanzia della Francia sulla frontiera del Brennero e si dichiarò disposto a dare tutte le altre garanzie richieste dall’Italia 118. Mussolini prese posizione sul fallimento dell’ipotesi di “patto a cinque”, anche sulla base di un dispaccio, datato 9 giugno, dell’agenzia di stampa Havas. Questo dava notizia delle conversazioni anglofrancesi di Ginevra e lasciava intendere che Chamberlain aveva dato a Briand ogni libertà di intervenire nella zona smilitarizzata nel caso in cui la Francia avesse dovuto aiutare gli alleati orientali 119. La sera del 9 giugno Mussolini vide l’ambasciatore britannico Graham e non gli nascose di averne abbastanza: gli alleati proseguivano da soli e l’Italia pareva non contare alcunché; ragion
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per cui essa si sarebbe astenuta dall’entrare in un patto da altri concepito e che prevedeva obblighi senza corrispondenti vantaggi. Mussolini poi, insieme a Contarini, affrontò la questione dell’Anschluss lamentandosi della condotta dell’ambasciatore inglese a Berlino 120. Lo stesso giorno Mussolini informò Scialoja che se fosse rimasta la formula del “patto a tre”, difficilmente avrebbe aderito a questo in un secondo momento visto che considerava criticabile la garanzia prevista e che era stata perfino soppressa la parola «Italia» 121. Con un secondo telegramma Mussolini liquidò l’offerta di Briand, chiarendo che «garanzie interessanti l’Italia dovrebbero riferirsi all’articolo 80 del Trattato di Versailles relativo all’unione dell’Austria alla Germania e non specificatamente alla frontiera del Brennero». E proseguiva: «Comunque ritengo difficile anche per riguardo all’opinione pubblica di accedere ad un patto senza una contropartita che giustifichi gli impegni da prendere, anche di semplice natura politica e morale» 122. Mussolini aveva dunque alcuni motivi di insoddisfazione: il non allargamento del patto renano (che impediva all’Italia di essere membro originario e parte attiva dell’intero negoziato); l’enigmatica condotta degli alleati sulla questione dell’indipendenza austriaca. Quanto a quest’ultima, poi, l’affaire D’Abernon a Berlino si accompagnava alla presunta debolezza di De Bosdari 123. Bruciava inoltre il desiderio frustrato che i francesi dessero all’Italia qualche contropartita politica o morale, risolvendo annosi problemi, come quello delle colonie e dello status giuridico degli italiani in Tunisia. Chamberlain ritenne comunque di rasserenare l’atmosfera. Il 10 giugno diede a Scialoja le più ampie assicurazioni del caso, rimarcando che egli e Briand avrebbero visto con soddisfazione l’adesione dell’Italia, senza contropartita politica, ad un patto di garanzia sulla frontiera occidentale tedesca 124, giusta le dichiarazioni (cioè le “norme e direttive” impartite da Mussolini il 29 marzo) a lui stesso rese, il 1° aprile, dall’ambasciatore Della Torretta 125. Chamberlain considerava queste dichiarazioni il perno della posizione italiana. L’Italia desiderava che si definisse con precisione il rapporto tra il nuovo patto e il divieto di Anschluss imposto dai trattati di Versailles e di SaintGermain. L’ambasciatore italiano a Londra illustrò il problema al Tyrrell, in
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un colloquio del 10 giugno. Tyrrell, da parte sua, gli assicurò che Chamberlain aveva rivolto a Berlino precisi avvertimenti sull’avversione del Governo di Sua Maestà all’ipotesi di Anschluss 126. Dai documenti francesi risulta che Della Torretta, facendosi tramite di Mussolini, ribadì al Foreign Office il bisogno dell’Italia di avere informazioni puntuali su ciò che più la interessava, prospettando altrimenti un patto diretto con la Germania.A Londra si interpretò tale linea di condotta come ricerca di un qualche compenso: «Cosa stanno per chiederci gli italiani?» domandò Tyrrell all’ambasciatore francese. «Non sono stato in grado di dirglielo», confessò l’ambasciatore a Briand 127. La situazione era dunque alquanto diversa rispetto a come si era presentata agli inizi di aprile, e il punto di vista italiano ne risultava evoluto. Londra e Parigi avevano concordato una risposta alla Germania; l’Italia, che pure aveva aderito alla prima bozza francese, era stata tenuta fuori da questo lavorio preliminare, che lasciava presupporre la realizzazione di un patto a tre, solo successivamente allargato all’Italia e al Belgio; la questione dell’indipendenza austriaca restava sottotono e sembrava profilarsi una “superprotezione” di alcune frontiere a scapito di altre. Infine Mussolini si vedeva offrire una garanzia sul Brennero che considerava inutile e non richiesta, ma in linea con le continue avances di Badoglio verso i francesi (e con gli accenti sulla questione riservati da molta stampa italiana). In una lettera giunta a Mussolini il 14 giugno del 1925, Scialoja riassunse i colloqui avuti a Ginevra con Chamberlain e Briand. La posizione di Chamberlain risultava chiara: la garanzia era da limitarsi al Reno; tuttavia il patto aveva natura politica e dunque l’Italia doveva parteciparvi, anche considerando l’opposizione di Londra all’Anschluss. Altrettanto chiara era l’impostazione di Briand: egli offriva garanzie incondizionate sulla frontiera meridionale tedesca e riteneva possibile un accordo territoriale francoitaliano, «primo forse di una catena di accordi» per poter “recingere” la Germania e così formalizzare anche l’opposizione francese all’Anschluss 128. Roger riferiva che per il Messaggero, il giornale più vicino al governo, Mussolini era disponibile a partecipare ad un patto a cinque sulla frontiera renana, in cambio di una garanzia anglofrancese sul Brennero; ma, conside-
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rata la limitatezza dell’impegno britannico, aveva preferito rinunciare. Roger prevedeva quindi conversazioni dirette tra Roma, Berlino e Vienna 129. La situazione era resa più complicata dal fatto che l’offerta anglofrancese all’Italia di collaborazione nei Balcani era ancora senza risposta. All’inizio di giugno del 1925, dunque, le probabilità che l’Italia partecipasse con entusiasmo al patto di sicurezza erano scarse. Il riserbo di Mussolini non giovava in quel momento al governo inglese, in procinto di presentare ai francesi gli emendamenti al loro progetto di nota alla Germania. L’Italia poteva essere utile, in via strumentale, contro eventuali obiezioni francesi. Per questo Chamberlain aveva rassicurato Mussolini per quel che concerneva l’Anschluss ed aveva tenuto l’Italia al corrente degli emendamenti proposti. Il tipo di garanzia che la Gran Bretagna aveva in mente doveva essere di natura difensiva ed attivarsi solo dopo il ricorso non autorizzato all’uso della forza da parte di qualsiasi Stato, passibile quindi di esser considerato aggressore; inoltre, non ogni frontiera sarebbe stata oggetto di garanzia, ma solo la frontiera occidentale tedesca. Nella revisione inglese del progetto, si poneva anche l’accento sull’idea di stretta cooperazione con la Società delle Nazioni e veniva affermata la necessità di integrare il Covenant con «speciali accordi per venire incontro a speciali bisogni». Quanto poi ai trattati di arbitrato, essi non potevano che intendersi come un complemento naturale del patto renano e dunque tutt’uno con questo 130. Agli emendamenti inglesi la Francia replicò con un dispaccio di Briand all’ambasciatore a Londra, De Fleuriau, cui si accompagnarono degli allegati: la Francia, era detto in questi documenti, non poteva limitare le sue preoccupazioni alla propria sicurezza. Essa voleva essere in grado di offrire garanzie a chiunque ne abbisognasse e riservarsi ogni libertà di azione nel caso in cui fossero violati i trattati di arbitrato tedescopolacco e tedescocecoslovacco. La Francia, pur lasciando alla Gran Bretagna e agli altri Stati firmatari del patto renano ogni libertà di garantire o meno anche i trattati arbitrali, si riservava il diritto di garantire da sola questi trattati «in modo da assicurarne la piena efficacia e da scartare ancor meglio le possibilità di intervento con la forza». La Francia, infine, riconosceva il principio del
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rispetto dei trattati di pace, ma sosteneva anche quello della “parità di rango” tra patto di sicurezza e trattati arbitrali 131. Il 13 giugno, Besnard, su istruzioni di Briand, informò Contarini che la Germania stava per ricevere la risposta degli alleati alla sua nota. Contarini si stupì di una tale comunicazione, dal momento che non era stato chiesto il preventivo assenso italiano su un testo che, del tutto rimaneggiato, non poteva più corrispondere a quello a suo tempo sottoposto a Mussolini. La situazione fu estremamente imbarazzante. Poiché l’ambasciatore francese non era autorizzato a chiedere l’approvazione dell’Italia, «in ragione della sorpresa manifestata da Contarini e delle osservazioni un po’ amare» di questi, chiese l’invio con urgenza di nuove istruzioni, ritenendo opportuno domandare ufficialmente l’assenso italiano al nuovo testo di nota alla Germania 132. «Naturalmente voi chiederete a Contarini l’assenso italiano – rispose Briand – dicendogli che non è mai stata questione di cambiare la nostra procedura a tal riguardo» 133. Fu così che Besnard potè indirizzare a Contarini, il 14 giugno, la seguente comunicazione: «Il Governo francese intende naturalmente, secondo la procedura che è stata seguita al momento della presentazione del primo progetto, chiedere l’assenso del Governo italiano al progetto di risposta da dare al Governo tedesco sulla sua proposta concernente la sicurezza. Non c’è bisogno di insistere sul valore particolare che il Governo francese annette al ricevere tale assenso. Mi permetto di richiamare l’attenzione di Vostra Eccellenza sul carattere di grande urgenza della presente comunicazione» 134. Contarini fu pregato di far pervenire a Besnard una risposta quello stesso 14 giugno, contando il governo francese di inviare la nota a Berlino il 16 successivo. L’ambasciatore francese insistè sul fatto che la risposta fosse favorevole. Contarini, nell’apprezzare la comunicazione fattagli, lasciò sperare in un consenso italiano sulle linee generali della nota, salvo apporre qualche eventuale riserva 135. La risposta italiana fu preparata quel giorno stesso e consegnata all’incaricato d’affari Roger il 15 giugno. Era una nota in cui si sottolineava che l’Italia era sostanzialmente favorevole ad un patto a cinque. Dai chiarimenti emersi si traeva, tuttavia, l’impressione che due tipi di garanzia sarebbero venuti a coesistere, e ciò avrebbe reso vano lo scopo del patto. L’Italia, per
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questo motivo, si sarebbe riservata ogni decisione, data la discriminazione tra le garanzie previste nel futuro patto, e restava in attesa di ulteriori delucidazioni 136. La notizia della risposta italiana alla nota francese fu diramata il giorno stesso dall’agenzia di stampa Roma, la quale motivò il riserbo italiano con il restringersi del negoziato alla sola garanzia sulla frontiera occidentale tedesca, nonché con la circostanza che detto negoziato era ormai rientrato nelle ordinarie sedi diplomatiche 137. Il 16 giugno l’Agenzia Stefani diramò un comunicato in cui riprendeva i contenuti della lettera di Mussolini a Besnard 138. Un comunicato della Havas, dello stesso giorno, diceva invece: «Il Governo italiano dichiara di essere d’accordo col governo francese sul principio generale di un patto, ma (...) non si tratta in questo caso che di una conversazione d’insieme e (...) pel momento la situazione di ciascun paese non appare molto chiara. Soltanto quando si conoscerà la risposta del Reich, i negoziati si potranno impegnare in modo fattivo, e il governo italiano preciserà allora il suo punto di vista» 139. Dai dispacci della Roma e della Stefani emerge un riserbo italiano giustificato dagli eventi e dalle trattative sino allora intercorse, nonché l’incertezza prodotta dalla condotta di inglesi e francesi nella questione dell’indipendenza dell’Austria dalla Germania, questione che condizionava la partecipazione dell’Italia ad un patto di sicurezza relativo al Reno. Per contro, dalla nota Havas si desume l’accordo di massima dell’Italia sui contenuti della nota francese; essendo l’atteggiamento riservato ascrivibile piuttosto alla fluidità della situazione in sé e all’attesa della replica della Germania. Il Petit Parisien aveva già osservato: «Il Governo italiano non potrà partecipare ad un accordo riguardante la frontiera del Reno, ammesso che non veda la possibilità di ottenere, in contropartita, una garanzia analoga per la frontiera che l’interessa particolarmente, cioè quella del Brennero» 140. E un ballon d’essai era quanto rilevava il Daily Telegraph: «L’Inghilterra sente che il patto concluso senza l’Italia perderebbe gran parte di valore morale e materiale» 141. Queste differenze interpretative sono sintomatiche del modo in cui la stampa, al di qua e al di là delle Alpi, guardava all’atteggiamento italiano.
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Consultata l’Italia, il 16 giugno la Germania ricevette la risposta ufficiale alla sua nota del 9 febbraio, nei termini previamente concordati tra Londra e Parigi 142. Il giorno stesso, certamente per effetto delle osservazioni di Mussolini, Briand, per il tramite di Romano Avezzana, offrì all’Italia un patto di reciproca assicurazione sulle rispettive frontiere: patto che, a suo dire, anche Chamberlain non avrebbe visto con sfavore e che era da considerarsi accessorio di quello renano. Il sistema di sicurezza sarebbe stato così completo perché, secondo il ministro francese, la Gran Bretagna sarebbe stata “virtualmente” obbligata ad intervenire in Europa centrale in caso di necessità 143. Briand pregò poi Besnard di ringraziare Mussolini per la lettera inviatagli per suo tramite e di chiarire che comprendeva perfettamente il di lui atteggiamento. «Per evitare ogni malinteso», Briand ripercorse la storia del problema della sicurezza e aggiunse nelle istruzioni quanto segue: «Lungi dal limitare le sue vedute alla difesa della propria frontiera, la Francia ha previsto un patto più esteso per ciò che la concerne: essa ha un vivo desiderio che l’Italia vi partecipi e firmi il patto sulla base della non aggressione e della garanzia della sua frontiera in tutta reciprocità con la Francia nel quadro non solamente del trattato di Versailles, ma dei trattati che hanno consacrato la vittoria degli alleati» 144. L’iniziativa fu presa dalla Francia alla vigilia della visita di una squadra navale francese, il 17 giugno, nel porto di Napoli. Questa fu accolta con tutti gli onori dalla Marina Militare italiana, dalla stampa e dalla popolazione e furono elargiti alla Francia i più caldi elogi. Tornato a Roma, reduce dalle celebrazioni partenopee, l’ambasciatore Besnard volle offrire, il 18 giugno, a Mussolini e agli alti comandi della Marina una colazione nella sede diplomatica per festeggiare l’evento. Mussolini vi si recò e in quell’occasione ribadì il suo vivo apprezzamento per l’atteggiamento amichevole della Francia ed espresse il sentimento di unione e di comunanza di vedute tra i due paesi: ciò che le feste di Napoli avevano peraltro riconfermato 145. Ma ciò nonostante la posizione di Mussolini restava invariata: i trattati sulla sicurezza andavano garantiti in tutti i loro termini dalle potenze firmatarie; e l’Italia era disposta ad entrare nel patto renano solo a preci-
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se condizioni. «Il Signor Mussolini – scrisse Besnard – in effetti molto inquieto per la propaganda tedesca nel Tirolo, non mi ha nascosto l’intenzione di non sottoscrivere il patto se la frontiera del Brennero non fosse garantita e se un’opposizione assoluta non venisse fatta ad ogni tentativo di annessione dell’Austria alla Germania. L’opinione pubblica italiana non comprenderebbe, egli mi ha detto, che un’adesione fosse data senza contropartita e questa contropartita è la garanzia del Brennero». Besnard, eseguendo le istruzioni ricevute, osservò che la Francia non escludeva di certo la possibilità di concludere con l’Italia un patto per la garanzia comune delle frontiere del Brennero e del Reno. «Quest’idea – scrisse ancora Besnard al suo ministro – mi è sembrata essere accolta con favore dal Presidente del Consiglio e credo di poter così discernere il suo pensiero. Il Signor Mussolini preferirebbe che l’Italia entrasse in un patto a cinque con la garanzia della sua frontiera ma, in mancanza di una tale soluzione, egli senza dubbio non respingerebbe l’idea di un patto diretto con noi.Avrebbe molte più esitazioni qualora questo patto dovesse comprendere la garanzia delle frontiere della Polonia. Ho riportato da questo colloquio – fu la conclusione dell’ambasciatore francese – l’impressione che Mussolini temesse la Germania e che fosse assai deluso dall’attitudine dell’Inghilterra: egli si trova dunque naturalmente portato a riavvicinarsi alla Francia e se, come io penso fermamente, questo riavvicinamento è desiderabile, ritengo che sia giunto il momento per tentarlo» 146. Cogliere l’attimo e accordarsi con l’Italia: era questa, dunque, l’opinione di Besnard, ribadita a Briand il 20 giugno, insieme alla percezione che ulteriori ritardi avrebbero giocato esclusivamente a favore della Germania. «Il momento è interamente favorevole: forse si potrebbe anche approfittarne per regolare tutte le questioni pendenti; per la Tunisia [gli italiani] si contenterebbero certamente di una proroga di dieci anni delle convenzioni del ’96 sulla nazionalità. Mussolini è in eccellenti disposizioni, il suo Capo di Stato Maggiore, il Generale Badoglio non può incontrarmi una sola volta senza dirmi che considera questo accordo come indispensabile». Dopo di ciò, osservazioni sintomatiche del momento e una proposta: «La Germania cerca di rimettere le mani su questo paese; noi possiamo evitarlo e voi, mio
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caro Presidente, rendere ancora una volta un immenso servigio alla Francia, legando il vostro nome a un grande accordo franco-italiano. Io vi aiuterò di tutto cuore.Temo che nei vostri uffici non si senta abbastanza la necessità di questo accordo e che si giudichi troppo esclusivamente l’Italia dagli articoli di certi giornali» 147. Cosa spingeva l’ambasciatore francese a Roma a ritenere favorevolissima la congiuntura per un accordo francoitaliano? Anzitutto le buone disposizioni di Mussolini, il quale sembra che ricevesse Besnard di frequente e anche quando motivi di salute gli impedivano di accordare udienza a chicchessia. Inoltre si assisteva ad un momento di fulgore delle relazioni italofrancesi, come gli accenti di Badoglio e gli onori tributati alla squadra navale francese stavano a dimostrare (Besnard aveva udito con le sue orecchie 25.000 persone acclamare la “Marsigliese”). In favore della soluzione auspicata da Besnard spingevano altresì il sospetto italiano nei confronti della Germania e la britannica ritrosia verso un patto a cinque e verso le garanzie a sud. Besnard, infine, era convinto che Mussolini in quel periodo nutrisse risentimento nei confronti degli inglesi, poco sensibili sulla questione dell’indipendenza austriaca. Unica incognita semmai restava ancora la posizione dell’Italia sul quadrante balcanico. V’erano dunque ottimi motivi per attendersi da Mussolini una risposta favorevole. La risposta giunse il 23 giugno ed era concepita in questi termini: «Sono lieto di rilevare che il Governo della Repubblica si è reso conto del punto di vista dell’Italia nei riguardi di tale problema. Il Governo italiano comprende da parte sua la particolare importanza che ha per la Francia la conclusione di tale patto, e prende atto con vivo interesse delle dichiarazioni contenute nella nota di Vostra Eccellenza circa gli intendimenti del Governo Francese nel condurre questi negoziati, augurando che tali intendimenti possano tradursi in atto. Il Governo italiano non mancherà di agevolarne per quanto gli è possibile la realizzazione, se gliene sarà data l’opportunità nell’ulteriore svolgimento delle conversazioni tra gli Alleati» 148. Emergeva, dunque, un atteggiamento di estrema cautela, imposto dal delinearsi di una “supergaranzia” sulla frontiera occidentale tedesca, a scapi-
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to della sicurezza sulle altre frontiere e della sicurezza dell’Austria 149. Fallivano, così, per il momento, le iniziative di Besnard. È singolare, tuttavia, che di queste iniziative l’ambasciatore britannico a Roma sia stato mantenuto costantemente al corrente. A Graham, la sera del 18 giugno, Contarini infatti consegnò il testo della risposta italiana alla comunicazione francese del 14, osservando che «per il momento il Governo italiano non intendeva intraprendere la proposta sperimentale di Berthelot per un patto separato riguardante la frontiera del Brennero». Ciò fornì a Graham l’occasione per illustrare i vantaggi di una partecipazione italiana al patto di sicurezza, anche senza la garanzia della frontiera del Brennero. Contarini disse di condividere questo punto di vista e di volersi adoprare perché anche Mussolini consentisse. Ma essendo limitata la conoscenza che aveva della questione, il capo del governo italiano, in recenti discorsi pubblici, aveva prospettato impegni che andavano in senso opposto a quello che sarebbe stato opportuno seguire 150. L’ambasciatore britannico a Roma fu allora autorizzato a comunicare a nome di Chamberlain quanto segue: «La sicurezza europea non sarà raggiunta senza la stabilità e questa sensazione di stabilità è indebolita soltanto da continue suggestioni circa la revisione di questa o di quella parte dell’assetto dei trattati. Perciò, e non per altra ragione, sono definitivamente contrario all’Anschluss, né esiterò a dirlo ovunque e ogni volta che la questione venga sollevata». Considerando evidentemente importante questa dichiarazione, Mussolini si affrettò a diramarla, la mattina del 19 giugno, alle rappresentanze italiane all’estero 151. Anche questo passo di Chamberlain non esulava dalla tradizione britannica di contrarre impegni limitati. Era la stabilità europea a sconsigliare momentaneamente l’Anschluss, e non altra ragione. I trattati e l’assetto generale della pace non erano che funzionali alla concezione britannica della stabilità europea, che un eccessivo “integralismo” nell’applicazione dei trattati di pace non avrebbe dovuto compromettere. Chamberlain, insomma, non aveva concesso a Mussolini nulla più di quanto sentiva doveroso fare per la sicurezza della Gran Bretagna, ma questo nulla egli lo concesse con buona grazia e tono rassicurante. Lo prova il fatto che egli continuava a nutrire dubbi sulla posizione italiana, ben
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diversa, a suo parere, da quella delineatagli dall’ambasciatore Della Torretta il 1° aprile. Chamberlain parlò proprio di questo con l’ambasciatore De Fleuriau, il quale confermò che, a partire da quella data, «v’era stato un qualche cambiamento della situazione e il Governo italiano aveva assunto una posizione meno decisa» 152. Concluso il colloquio con l’ambasciatore francese, Chamberlain riceve’ Della Torretta, al quale dichiarò di non volere affatto criticare la risposta di Mussolini alla nota francese; la Gran Bretagna, infatti, comprendeva la posizione italiana. Egli però confessò di essere alquanto disorientato, sembrandogli detta posizione già chiara dal loro colloquio del 1° aprile. Della Torretta rispose di aver allora agito su istruzioni del suo governo ma che, in seguito alle molte apprensioni circa l’Anschluss, la situazione era mutata. L’ambasciatore italiano smentì le voci secondo cui l’Italia desiderava la garanzia al Brennero e non potè che ribadire la pericolosità dell’Anschluss per la stabilità europea, non celando le perplessità nutrite dal suo governo verso l’atteggiamento britannico. Chamberlain smentì che il suo paese fosse favorevole all’Anschluss, autorizzando Della Torretta ad assicurare Roma che, il Governo di Sua Maestà «né desiderava per suo conto dei cambiamenti, né incoraggiava altri ad attenderli». «Il solo metodo di cambiamento – osservò Chamberlain – che in ogni caso il Governo di Sua Maestà poteva contemplare era quello previsto dall’articolo 19 rispetto alle frontiere in generale, e dall’articolo 80 del Trattato di Versailles e dal corrispondente articolo 88 del Trattato di Saint-Germain rispetto all’Austria; ma in nessun caso il Governo di Sua Maestà vedeva con favore un tentativo di rivedere le previsioni del trattato di cui a queste clausole, al tempo presente» 153. Chamberlain si mostrò persuaso delle ragioni italiane e del pericolo di Anschluss; egli quindi informò il suo interlocutore di aver fatto già eseguire un «preciso passo al riguardo a Berlino, ottenendone precise soddisfacenti assicurazioni»; inoltre, dopo aver detto che considerava i trattati di pace come la «carta costituzionale europea», assicurò il Della Torretta che l’Italia avrebbe goduto del «pieno e intero» appoggio britannico contro l’eventualità di un’unione dell’Austria alla Germania. Data l’importanza della
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questione, l’ambasciatore a Londra suggerì a Mussolini di cercare un modo per «pervenire ad alcune formali precisazioni, cioè quelle relative alla natura e alla forma dell’impegno alla prestazione dell’appoggio britannico accennato da Chamberlain» 154. Dal colloquio tra Della Torretta e Chamberlain emergono elementi utili per la riflessione, grazie anche al confronto tra le fonti inglesi e quelle italiane. Chamberlain ammetteva la revisione pacifica dell’assetto dei trattati, e dunque, delle frontiere orientali tedesche sulla base dell’articolo 19 del Covenant. Quanto alla revisione delle frontiere meridionali, essa avrebbe potuto aver luogo solo con il consenso dei membri del Consiglio della Società delle Nazioni, secondo quanto stabilivano i trattati di Versailles e di Saint-Germain. Il governo britannico, inoltre, avversava gli attuali tentativi di revisione, ma non si impegnava anche per il futuro. Per il momento, Chamberlain prometteva di stare dalla parte dell’Italia, nel caso in cui il Consiglio si fosse trovato investito della questione dell’Anschluss. Ma, a parte che la promessa di Chamberlain non impegnava i suoi successori, essa era anche superflua, rebus sic stantibus. Infatti, bastava il veto dell’Italia ad impedire che il Consiglio approvasse l’Anschluss. La promessa in questione poteva valere soltanto nel caso in cui fosse stato in dubbio se l’assenso del Consiglio all’Anschluss, previsto dagli articoli 80 di Versailles ed 88 di SaintGermain, dovesse venir dato a maggioranza, invece che all’unanimità. Ma siccome non sembrava in discussione il criterio dell’unanimità (previsto all’articolo 5, primo comma, del Covenant), si dimostra che Chamberlain non concedeva all’Italia nulla più di quanto i trattati già non prevedevano. Il colloquio tra Chamberlain e Della Torretta era dunque l’ennesima prova di “convergenze parallele” tra interessi diversissimi, e l’appoggio del ministro inglese si rivelava per l’Italia un pourboire graziosamente elargito. A poco più di un mese dal discorso al Senato, summa delle insoddisfazioni mussoliniane, molte questioni, incrociandosi, contribuivano dunque a condizionare la posizione italiana. Se la questione del Brennero sembrava a molti l’alfa e l’omega della politica del “duce”, il problema dell’Anschluss era il segno evidente della relazione esistente tra sicurezza e sistema dei trattati. Infatti, dal problema dell’indipendenza austriaca dipendeva la sicurezza del
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Brennero; per cui, garantire il Brennero senza difendere direttamente l’Austria significava ammettere l’Anschluss; mentre garantire l’Austria con strumenti pattizi, in assenza della partecipazione tedesca, sarebbe equivalso a sacrificare la sostanza per la forma 155. A tutto ciò andava aggiunta l’incertezza su altre questioni: il riserbo italiano verso la discriminazione tra due ordini di garanzie poteva anche dar luogo all’ipotesi di un accordo francoitaliano. Ma un tale accordo era soggetto all’umore dell’opinione pubblica italiana, oppure ad un gioco di influenze all’interno della “carriera” (se, come sembra, Contarini cercava di influenzare il punto di vista di Mussolini), o ancora ad una tenzone tra varie correnti di pensiero del Quai d’Orsay (dove non tutti tenevano ad un patto con l’Italia). Vi erano poi quelle continue proposte alla Francia di accordo militare, che non si trasformavano in alcunché di concreto; e infine rimaneva incerto il dialogo tra Roma e Londra, sul quale i francesi erano comunque informati dal Foreign Office.
4. L A
DIFFICILE INTESA TRA
L ONDRA
E
PARIGI
In Germania si reagì negativamente alla nota inviata il 16 giugno.Von Schubert commentò con l’ambasciatore italiano che al paese si volevano imporre condizioni onerose e che la nota appariva, inoltre, confusa e in contraddizione con lo stesso trattato di Versailles. Ma la cosa più importante era capire a nome di quali alleati la Francia parlava, se di quelli occidentali o di quelli orientali 156. Il problema sollevato da von Schubert era tutt’altro che secondario. Sebbene la nota alla Germania promanasse da uno scambio di idee tra Parigi e Londra, tra i due ex alleati restavano insoluti molti problemi, come ad esempio quello di riconoscere o meno il diritto di azione individuale a tutela del patto renano 157. Il fatto che tra Parigi e Londra vi fossero dei nodi irrisolti non sfuggì al Della Torretta, che anzi ipotizzò l’esistenza di un vero e proprio equivoco: mentre infatti la Gran Bretagna riteneva che il patto renano escludesse ormai qualsiasi esercizio individuale di autotutela, la Francia, basandosi sul-
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l’articolo 16 del Covenant, pensava esattamente il contrario. «Ho tratto così l’impressione – scriveva l’ambasciatore italiano – che poiché sia dall’una che dall’altra parte non si sia finora cercato né si cerchi di addivenire ad una chiara spiegazione, l’equivoco possa essere lasciato volontariamente, confidandosi nella probabilità che almeno per molti anni non sorga l’eventualità temuta; e che quando questa si avverasse l’intervento della Società delle Nazioni per l’accresciuta sua potenza, possa in allora risultare determinante ed effettiva». E così concludeva: «Resta da vedere se [la] Germania possa accontentarsi di questo stato di cose senza provocare quel chiarimento cui Parigi e Londra non sembrano disposte almeno pel momento» 158. Della Torretta riteneva probabile che, in sede di conferenza conclusiva, Chamberlain avrebbe posto fine a malintesi ed equivoci 159. Gli sforzi diplomatici della Francia diedero comunque un risultato per il momento positivo, in quanto Londra accettò l’ipotesi di un sistema di trattati di arbitrato, tra Germania e Polonia, e tra Germania e Cecoslovacchia, con garanzia esterna francese. «È vero che la proposta sistemazione renderà gli obblighi della Francia rispetto alla frontiera orientale della Germania più ampi di quelli assunti da altri membri della Società delle Nazioni – osservò Sir Cecil Hurst, consigliere giuridico del Foreign Office – ma esso restringerà grandemente la libertà di Polonia, Francia o Germania di provocare ostilità e sarà molto più sicuro dell’attuale trattato di alleanza franco-polacco» 160. «Quanto ai beneficiari della garanzia – si legge poi in un appunto anonimo per Berthelot, del 2 luglio – dovrebbe essere inteso che tale garanzia si applicherà qualunque sia la parte inosservante e, di conseguenza, sia nel caso in cui la Cecoslovacchia o la Polonia rifiutassero l’arbitrato, ovvero l’esecuzione di una decisione arbitrale, che nel caso in cui il rifiuto venisse dalla Germania. A questo riguardo la garanzia non potrebbe esser definita unilaterale» 161. I tedeschi però sostenevano che il garante, se alleato di una delle parti in eventuale controversia, si sarebbe trovato costretto ad intervenire al fianco di questa, anche nel caso in cui intendesse far valere con le armi le proprie ragioni; e comunque, nella migliore delle ipotesi, la Francia, da garante, non avrebbe reso un lodo arbitrale davvero imparziale 162. La Gran Bretagna
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cercò di opporre a questa visione altri argomenti, facendo presente che un’alleanza francopolacca già esisteva, e che non era in potere della Germania inficiarne il funzionamento. Ma, se avesse concluso un trattato di arbitrato con la Polonia, la Germania avrebbe concorso a determinare anche gli estremi della garanzia esterna francese, in piena reciprocità di diritti e di obblighi, poiché la Francia avrebbe tutelato entrambi i contraenti 163. Diversi ostacoli il patto di garanzia incontrava intanto in Gran Bretagna. Numerosi e ripetuti furono infatti gli attacchi ad esso rivolti durante il dibattito alla Camera dei Lords; attacchi che gli stessi membri del governo non riuscirono ad eludere con efficacia 164. «La mia impressione – scrisse Della Torretta – è che si vada facendo strada la convinzione che il patto renano dovrà essere, nella sua reale portata, meno un istrumento di difesa territoriale che un primo tentativo di concentrazione europea contro le gravi minacce facenti capo a Mosca: minacce rese evidenti sia colla propaganda comunista all’interno, che con quella antibritannica in Cina, in India e altrove». Della Torretta aggiungeva che per scongiurare un’intesa MoscaBerlino, la Gran Bretagna avrebbe ritenuto necessario far entrare la Germania nella Società delle Nazioni. Le sue osservazioni finali non davano spazio all’ottimismo: la Gran Bretagna non avrebbe esteso gli obblighi del patto di sicurezza, preferendo il Covenant per tutelare la pace in aree diverse dalla frontiera occidentale tedesca 165. Ma, come si è visto, anche limitandosi a questa frontiera, due diverse concezioni, l’inglese e la francese, riuscivano dunque a conciliarsi solo sulla base di un tacito equivoco. La Francia voleva riservarsi libertà di azione e di sanzione nei confronti della Germania e auspicava una rinascita del Protocollo di Ginevra. La Gran Bretagna, se da un lato non si impegnava al di là della frontiera occidentale tedesca, dall’altro allargava i temi della sicurezza su un piano mondiale (o imperiale), ma solo per diluire quegli impegni non derivanti dal Patto della Società delle Nazioni. A tutto questo va aggiunto che gli inglesi miravano a detenere il potere di iniziativa su tutta la questione della sicurezza: come dimostra il fatto che, fin dal momento della presentazione della risposta alla Germania, il consigliere giuridico britannico Hurst aveva pronto un progetto di patto di
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sicurezza molto particolareggiato 166. Si trattava di una rielaborazione di un precedente progetto risalente al maggio 167 e in cui il giurista britannico faceva presente la necessità di realizzare un sistema di composizione obbligatoria delle controversie e riteneva che il Consiglio della Società delle Nazioni avesse locus standi, ovvero potere di intervento in caso di violazione degli articoli 42 e 43 di Versailles. Una notifica al Consiglio che una violazione era stata commessa doveva perciò costituire condizione preventiva perché la garanzia sul futuro patto renano divenisse operativa. Lo stesso Hurst, poco meno di un mese dopo, approntò un memorandum sui limiti oltre i quali gli obblighi derivanti dal patto di garanzia eccedevano quelli previsti dallo Statuto della Società delle Nazioni, e nel quale ribadiva le idee appena esposte 168. L’equivoco fondamentale che Della Torretta aveva segnalato a Mussolini fu reso evidente dalle reazioni negative dei francesi ai progetti di Hurst, giudicati come uno svilimento delle garanzie inizialmente previste. Grazie ad essi il patto di sicurezza sarebbe infatti diventato inutile doppione del Covenant, mentre la Francia voleva farne strumento agile ed efficiente. Nucleo delle obiezioni francesi fu l’osservazione secondo cui la violazione degli articoli 42 e 43 di Versailles, costituendo atto ostile contro tutti i firmatari, avrebbe dovuto esser sanzionata direttamente, senza aspettare un pronunciamento del Consiglio della Società delle Nazioni, e ciò in virtù del successivo articolo 44. «È chiaro – scriveva Briand all’ambasciatore francese a Londra – che qualsiasi violazione con la forza della zona smilitarizzata prenderebbe rapidamente un carattere di estrema gravità, se la garanzia degli Alleati non entrasse immediatamente in gioco». Quanto al ruolo del Consiglio della Società delle Nazioni, sarebbe stato comunque di sua competenza sanzionare le inadempienze non seguite da atti ostili 169. Permaneva insomma l’inconciliabilità tra due diverse concezioni di sicurezza. L’Italia, che rivestiva un ruolo tutto sommato secondario nel difficile negoziato che intanto proseguiva, non avrebbe potuto far altro che curare i propri interessi nel miglior modo possibile, nell’eventualità che gli alleati perdessero di vista l’interesse generale alla non revisione dei trattati.
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5. L A
SITUAZIONE AUSTRIACA NELL’ ESTATE DEL
CUSSIONI IN
1925
E LE RIPER -
I TALIA
Il riserbo dell’Italia, in questa fase del negoziato, era alimentato ulteriormente dallo stato delle cose austriache così come si erano andate prospettando all’inizio dell’estate del 1925. Il futuro dell’Austria appariva più che mai incerto, dal momento che non si sapeva se gli ex alleati si sarebbero fermamente opposti alla sua unione alla Germania. «È ovvio» aveva scritto Chamberlain a Graham, riassumendo un colloquio con il principe von Bismarck, nipote del grande statista prussiano, «che, se la questione non è spinta all’attenzione dei tedeschi da forze esterne, o da quella del dissesto economico austriaco, la differenza di religione creerà un ostacolo sufficiente a rendere l’Anschluss un evento altamente improbabile» 170. C’era senza dubbio un elemento di verità nell’affermazione di Chamberlain, ma esso si configurava più nel fattore economico che in quello religioso e quindi, dal punto di vista degli interessi italiani, non rappresentava un problema di minore entità. Avevano suscitato scalpore, infatti, le notizie del viaggio del Ministro degli esteri Mataja a Parigi e dell’arrivo a Vienna di due esperti economici stranieri. L’Italia, in sostanza, temeva che la Francia (o altri) mirasse ad un predominio economico-politico in Austria (concedendo, ad esempio, quei prestiti che da Roma non erano mai arrivati). «L’Austria è oggi un paese disposto a cedersi al miglior offerente e che non crede che all’appoggio militare effettivo» scriveva il ministro italiano Bordonaro da Vienna. L’Austria, aggiungeva il ministro, «non ritiene forse sufficiente quello che noi possiamo offrirle e prometterle e si rivolge altrove nella speranza di maggior successo» 171. Il Cancelliere federale austriaco, Monsignor Seipel, aveva ridimensionato la portata del viaggio di Mataja a Parigi. Egli disse che l’Austria sperava in un riavvicinamento all’Italia, ma confidava anche nella concessione di una serie di crediti all’industria, erogati da Roma. Seipel aggiunse che, se si fosse votato, certamente, il novanta per cento degli austriaci avrebbe scelto l’Anschluss, nella convinzione che fosse questa la via per il risanamento economico. Seipel diceva di opporsi a questa tendenza, senza, tuttavia, sottova-
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lutare la possibilità che, qualora fossero fallite le trattative sui dazi preferenziali, essa si sarebbe rafforzata ulteriormente 172. Fu poi lo stesso Mataja a rassicurare Bordonaro, confermandogli che la sua visita non aveva avuto carattere ufficiale o politico (anche se avrebbe preferito che lo avesse). Egli disse che la Francia non avrebbe ormai più rifiutato di rinunciare alla “clausola della nazione più favorita” ed avrebbe abbandonato il suo progetto di confederazione danubiana. Dalla conversazione fu chiaro che, non avendo ottenuto crediti da Parigi, Mataja sperava ancora di ottenerne da Roma 173. Monsignor Seipel e Mataja concordavano sul fatto che l’Anschluss avrebbe apportato non pochi vantaggi. «Certo, con l’annessione alla Germania – dichiarò il Cancelliere federale ad un corrispondente tedesco – non sparirebbero le difficoltà in cui l’Austria si trova economicamente. Non sarebbero necessarie una revisione della nostra economia, di quello che non lo sia diventato con l’isolamento dell’Austria (sic). Ma se questo isolamento economico dovesse essere mantenuto indefinitamente per l’avvenire, allora in ogni caso sarebbe preferibile l’unione al grande mercato economico tedesco» 174.A tutto questo va aggiunto che riaffioravano ormai toni pangermanistici nei fogli di stampa e nei circoli politici, specialmente in seguito all’accoglienza ricevuta dal nuovo ministro d’Austria, Frank, a Berlino e sulla scia delle manifestazioni annessionistiche promosse dal movimento Wiener-Neustadt 175. Non meno eclatante fu l’annunciato arrivo a Vienna di rappresentanti della Lega austrotedesca, guidati dal Presidente del Reichstag Paul Löbe 176. Eventi culturali e mondani non mancavano inoltre di esercitare la loro influenza su quanti, in Austria e in Germania, erano partigiani dichiarati dell’Anschluss. Uno di questi eventi fu la venuta a Berlino dei Wiener Philarmoniker per una serie di concerti, occasione che offrì al focoso presidente del parlamento tedesco l’opportunità di pronunciare un discorso densamente allusivo. Non meno allusivi furono gli accenti usati dal Berliner Tageblatt il quale, a commento dell’atteso evento musicale, così scrisse il 18 giugno: «I concertisti viennesi ci portano saluti dalla città sorella tedesca sul Danubio, dalla quale proprio in queste settimane è risuonato più forte che mai il desiderio di unione alla Germania (...) . Questi sentimenti, per quan-
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to contrastanti, non potranno cessare che dopo aver ricevuto piena realizzazione» 177. L’indipendenza dell’Austria aveva dunque, politicamente ed economicamente, un costo notevole e le potenze vincitrici dovevano necessariamente accollarselo. Lo scotto da pagare erano prestiti ed agevolazioni commerciali e finanziarie, mancando i quali non restava che l’Anschluss. Tale prospettiva poteva avere per qualcuno il duplice vantaggio di non rischiare di tasca propria e di lasciare che la Germania assumesse su di sé il forte debito austriaco, cosa che ne avrebbe ritardato la rinascita quale grande potenza. Indubbiamente, però, l’Anschluss avrebbe minato nelle loro basi i trattati di pace, aprendo la strada a nuove e pericolose revisioni. Non erano quindi di poca importanza le ragioni per le quali Mussolini manteneva un certo riserbo nei confronti dei negoziati sul patto di garanzia, mancando altresì precise assicurazioni sull’Austria. «Mia impressione» egli scrisse al Re d’Italia «è che patto seguirà inglorioso destino [del] protocollo» 178.
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6. O SSERVAZIONI
CONCLUSIVE
Al momento della presentazione della risposta francese alla nota della Germania, la posizione italiana aveva registrato una sensibile evoluzione rispetto ai mesi precedenti. Le voci di una condotta filoannessionista di D’Abernon, l’accusa a De Bosdari di scarsa tempra nei confronti del governo tedesco, l’aver preparato la risposta alla nota tedesca senza che l’Italia fosse stata consultata e quasi prescindendo dal suo assenso, una sospetta condiscendenza degli alleati verso l’Anschluss, l’aver dovuto accettare una formula ristretta di patto di garanzia (cioè di intesa originaria “a tre”): tutto questo aveva certamente contribuito ad alimentare il riserbo italiano. La Francia restava un importante interlocutore dell’Italia, ma senza andare oltre il temporaneo idillio culminato nella visita francese a Napoli. Il dialogo con la Gran Bretagna continuava ed ebbe il suo miglior momento in quel chiarimento di Chamberlain, del 22 giugno, a proposito dell’Anschluss e dell’integrità dei trattati, anche se esso, come si è visto, non poteva soddisfare il nostro paese. La posizione dell’Italia, oltre che da elementi esterni, risultava poi influenzata da tendenze diverse all’interno di Palazzo Chigi. I documenti inglesi hanno suggerito l’ipotesi di una corrente contariniana favorevole all’ingresso nel patto renano, sia pure posteriormente, e che accettava l’esclusione italiana dal novero dei contraenti originari. I documenti francesi ci hanno fatto vedere un’Italia molto vicina, per sentimenti e comunanza di vedute, alla Francia di Briand. I documenti tedeschi hanno posto in luce l’esistenza di una forte dialettica interna a Palazzo Chigi assimilabile, ad esempio, alla divergenza di impostazione politico-diplomatica tra Contarini e De Bosdari. Aspetto quest’ultimo molto significativo se si tien conto del fatto che De Bosdari, non aveva buoni rapporti con il fascismo ed era inviso a Mussolini per la sua presunta debolezza 179. La divergenza ContariniDe Bosdari appariva dunque il classico esempio di come la “carriera” non proteggeva se stessa dal regime incombente. Dal confronto tra le fonti menzionate e quelle italiane, emerge poi un Mussolini deluso nelle sue aspettative: circa il patto renano, essendo per il
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momento fallita l’ipotesi di “patto a cinque”; circa la condotta degli ex alleati rispetto all’Anschluss; circa le contropartite che gli alleati potevano offrire per la sua partecipazione al patto. Malgrado il riserbo adottato in questa fase, era chiaro che Mussolini si attendeva di partecipare a quella successiva, in cui alla diplomazia ordinaria sarebbe succeduta quella per conferenze, e dove l’Italia avrebbe potuto dare il suo attivo contributo. È quanto emerge sia dalla risposta data il 23 giugno alla nota verbale di Besnard, sia dai colloqui tra Della Torretta e Chamberlain. Per quanto riguarda più da vicino la questione del Brennero, Mussolini non diede categoriche istruzioni ai rappresentanti diplomatici italiani di chiedere una garanzia su quella frontiera. Ma egli potrebbe aver prospettato, soprattutto ai francesi, l’esigenza di una tale garanzia, in maniera puramente strumentale, nell’attesa che si chiarissero le idee sull’Anschluss e sulla tipologia di patto che volevasi realizzare, oltre che per sollecitare una soluzione dei “sospesi” coloniali. Mussolini agì servendosi anche della stampa, che si occupò ripetutamente del Brennero. Il fine ultimo era prospettare sulla questione un accordo diretto italotedesco, che avrebbe aperto la strada ad un nullaosta dell’Italia all’Anschluss e ad un fronte comune italotedesco nell’ambito della Società delle Nazioni (quando la Germania ne avesse fatto parte). Ciò avrebbe inevitabilmente compromesso il patto di sicurezza e la posizione della Francia vis-à-vis degli alleati orientali e della Piccola Intesa. Mussolini intendeva far comprendere alla Francia che, nella difficile dialettica con la Gran Bretagna, l’Italia poteva esserle utile, e far comprendere anche alla Gran Bretagna che, non solo l’Anschluss, ma anche una Germania troppo forte in Europa centrale avrebbe costituito un serio pericolo. La parola “Italia” indicava dunque qualcosa di più di un’espressione geografica. Nell’attesa che gli ex alleati capissero questo, e finché stagnavano le trattative sul patto di sicurezza, l’Italia poteva starsene a guardare, non ostentando un riserbo eccessivo, ma nemmeno promettendo collaborazione a progetti non chiari e forse lesivi dei suoi interessi.
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La notizia riportata nel testo è desunta da un colloquio tra il Ministro d’Austria a Praga ed il collega italiano: Barbaro a Mussolini, 5 febbraio 1925, ASMAE, cit., TSN, busta 40. Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 25 marzo 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.773. Cfr. Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 20 aprile 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.827. Si veda anche Pfeiffer ad AA, 15-18 aprile 1925,ADAP,A, Band XII, doc.264, già citato. Besnard a Briand, 12 maggio 1925, tel.23, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. De Bosdari a Mussolini, 1° maggio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.831. Nei documenti tedeschi il resoconto di questa conversazione non si pubblica. Ma cfr.ADAP,A, Band XIII, nota 7 a p.43.Von Schubert ne fece cenno tuttavia, senza entrare nello specifico, con l’ambasciatore britannico. Appunto di von Schubert, 1° maggio 1925, ADAP, A, Band XIII, doc.15. Cfr. però la nota 4 a p.140. Dispaccio dell’«Agenzia Roma», 2 maggio 1925. Copia del dispaccio venne fatta recapitare al rappresentante dell’agenzia di stampa tedesca Wolff, Muller. Neurath ad AA, 4 maggio 1925, ADAP, A, Band XIII, nota 3 a p.61.Va ricordato che l’ambasciatore tedesco consegnò al Contarini un memoriale riservatissimo circa la posizione tedesca in merito alla situazione generale della sicurezza, all’ingresso nella Società delle Nazioni ed all’evacuazione della zona di Colonia: questioni che considerava inscindibili. Promemoria riservatissimo 4.5.1925, consegnato dal Barone Neurath al Sen.Contarini, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Neurath ad AA, 6 maggio 1925, ibidem, nota 4 a p.61 (il corsivo è nostro). De Bosdari a Mussolini, 18 aprile 1925, tel.577/114, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Al contempo l’ambasciatore protestò contro il discorso pronunciato a Berlino dall’ex cancelliere Marx in favore dell’Anschluss. Schubert convenne che occorreva invitare gli esponenti politici a maggior prudenza. In base al resoconto di von Schubert, la conversazione con De Bosdari avrebbe unicamente riguardato gli esiti del voto presidenziale in Germania. Appunto di von Schubert, 17 aprile 1925, ADAP, A, Band XII, doc.262. Köpke a Neurath, 7 maggio 1925, ADAP, A, Band XIII, doc.23. «Per sua informazione - aggiunse Köpke - osservo che, fino a nuovo avviso, ci siamo qui premurati di eliminare il più possibile la questione dell’Anschluss da una pubblica discussione, per non dare agli Alleati pretesto per richieste qualsiasi in connessione con il patto di sicurezza. La stampa tedesca ha finora trascurato la comunicazione dell’Agenzia Roma». De Bosdari a Mussolini, 8 maggio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.846; Mussolini commentò negativamente la condotta di De Bosdari in quest’occasione (si veda la nota 2 a p.558). Sull’episodio, ancora, G. STRESEMANN, La Germania nella tormenta, cit., II, pp.40-41.
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Appunto di Stresemann, 8 maggio 1925,ADAP,A, Band XIII, doc.25. Il testo del volantino dell’Andreas Hofer-Bund è riprodotto alla nota 4 di p. 66. De Bosdari convenne sul fatto che nel caso della proprietà di Villa Falconieri si era agito senza tatto. Neurath ad AA, 12 maggio 1925,ADAP,A, Band XIII, nota 7 a p.62. Risulta anche che Neurath fu ricevuto da Mussolini alle ore 17 del 12 maggio e che la conversazione durò mezz’ora. Udienze accordate da S.E. il Presidente, martedì 12 maggio 1925, ASMAE, Arch.Gab., GM, busta 42. Cfr. DDI, Serie Settima, vol.III, nota 2 a p.558. Mussolini a De Bosdari, 29 marzo 1925, DDI, ibidem, doc.780; cfr. docc. 761 e 759. Mussolini a De Bosdari, 14 maggio 1925, tel.104, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41; cfr. M. TOSCANO, Storia diplomatica, cit., I ed., p.97.; F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese, cit., p.83. Von Neurath ad AA, 14 maggio 1925, ADAP, A, Band XIII, doc.38. Appunti intorno alla questione austriaca, 15 maggio 1925,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Stresemann a Neurath, 15 maggio 1925, ADAP, A, Band XIII, doc.43. Il passaggio in tedesco è in questo punto il seguente: «und daß meine Ansicht, daß wir mit Rom in der taktischen Behandlung der Anschlußfrage durchaus übereinstimmen, absolut zutreffend sei». Appunto di von Schubert del 16 maggio 1925,ADAP,A, Band XIII, nota 2 alle pp.119120. Appunto di Mussolini su un colloquio con Prittwitz, 19 maggio 1925, in ASMAE, Arch.Gab., GM, «Colloqui di Mussolini 1925», busta 1; cfr. Mussolini a Romano Avezzana, Della Torretta, Chiaramonte Bordonaro, Pignatti Morano di Custoza, 23 maggio 1925, tel.430; Mussolini a De Bosdari, 24 maggio 1925, tel.440; ibidem, TSN, busta 40. Cfr. F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese, cit., pp.83 ss.Va segnalato che, in un discorso al Reichstag del 19 maggio, Stresemann, sia pure in tono misurato, aveva dichiarato che, nel limite dei trattati la Germania avrebbe fatto ogni sforzo per rendere più intime le relazioni col vicino popolo dei fratelli tedeschi: De Bosdari a Mussolini, 19 maggio 1925, tel.1798/153, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Prittwitz ad AA, 20 maggio 1925, ADAP, A, Band XIII, nota 4 a p.120. Appunto di von Schubert, 20 maggio 1925, ADAP, A, Band XIII, nota 4 a p.120. G. MARSICO, Il problema dell’Anschluss austro-tedesco 1918-1922, Milano: Giuffrè, 1983; M.TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, cit. Attolico a Mussolini, 11 maggio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.855 (il corsivo è nostro). Chamberlain a Graham, 2 maggio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.303. Cfr. doc.300. Più succinto è il telegramma 661/320 di Della Torretta a Mussolini del 2 maggio 1925, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Cfr. A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp. 104-105; nonché ADAP,A, Band XIII, doc.13.
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Journal Officiel, 22 aprile 1925. Si veda inoltre: Crewe a Chamberlain, 23 aprile 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.294. Della Torretta a Mussolini, 22 aprile 1925, tel.618/306/A.18, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Cfr. DDI, Serie Settima, vol III, doc.817. Mussolini a Besnard, 30 aprile 1925, l.n.216281/193; Besnard a Briand, 1° maggio 1925, l.n.185 (pervenuta il 12), in AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96. Romano Avezzana, a Mussolini, 28 aprile 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.826; idem, 30 aprile 1925, ibidem, doc.829. Romano Avezzana a Mussolini, 1° maggio 1925, ibidem, doc.830. Romano Avezzana a Mussolini, 7 maggio 1925, ibidem, doc.842. Alquanto diverso è il resoconto di fonte francese del colloquio tra Briand e Romano. «L’ambasciatore d’Italia - vi si legge - ha parlato della Tunisia e del Marocco e ha detto al signor Briand che vi sarebbe interesse a fare un regolamento d’insieme. Il signor Briand si è limitato ad ascoltare e a rispondere evasivamente (...) in seguito ha egli indicato che sarebbe molto auspicabile che l’Italia trovi delle facilitazioni nelle colonie inglesi e francesi e che ciò contribuirebbe molto, per quanto ci concerne, al miglioramento delle relazioni con l’Italia». Conversation de M.Briand avec l’Ambassadeur d’Italie, 6 maggio 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.96. (Il corsivo è nostro). Si veda R. DE FELICE, Mussolini il duce I: gli anni del consenso,cit., p.351 e nota 1. Per i colloqui di Roma tra Briand e Mussolini, Mussolini a Romano Avezzana, 23 dicembre 1924, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.635. Romano Avezzana a Mussolini, 7 maggio 1925, tel.706/107, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Romano Avezzana a Mussolini, 8 maggio 1925, DDI, Serie Settima, vol.III, doc.845. Il progetto francese del 12 maggio 1925 era frutto di vari studi precedenti. Un primo progetto risaliva al 2 aprile; esso fu riveduto il 4, sottoposto ad Herriot e da questi emendato il 16, ai fini della presentazione in Consiglio dei Ministri. In tale veste esso fu quindi riesaminato al Quai d’Orsay, ove se ne preparò, il 3 maggio, una nuova bozza. Nella sua forma definitiva il documento fu trasmesso all’ambasciatore britannico a Parigi il 13 (DBFP, Series I, vol.XXVII, allegato al doc.318). Cfr. A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.106-107. Mussolini a Romano Avezzana, 6 maggio 1925, tel.365, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Romano Avezzana a Mussolini, 6 maggio 1925, tel.685/325, ibidem. Romano Avezzana a Mussolini, 8 maggio 1925, tel.716/109, ibidem. Cfr. Mussolini a Della Torretta, 20 maggio 1925, tel.414, ibidem. Besnard a Briand, 20 maggio 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.76. Su questo punto, si condivide perciò l’opinione di M. TOSCANO, Storia diplomatica,
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cit., p.98 (I ed.), circa il peso avuto dalla risposta francese nel mutamento di approccio di Mussolini al problema della sicurezza; questo Autore considera parimenti il ruolo svolto da due altre forze concomitanti (il colloquio Stesemann-De Bosdari ed il discorso del cancelliere tedesco al Reichstag). ATTI PARLAMENTARI, Senato del Regno, Legislatura XXVII, I Sessione 1924-25, Discussioni:Tornata del 20 maggio 1925, pp.2768-2772. SENATO DEL REGNO, Legislatura XXVII, Sessione Prima, 71° Resoconto Sommario, mercoledì 20 maggio 1925, pp.5-9. Tendenze da vigilare, in «Il Messaggero», 26 maggio 1925. C. SCHANZER, Il patto di garanzia e la frontiera del Brennero, in «Il Giornale d’Italia», 28 maggio 1925. C. SFORZA, Problemi d’oggi e di domani, in «Corriere della Sera», 31 maggio 1925. Sempre Sforza scrisse qualche tempo dopo che la maggioranza della popolazione in Austria e in Germania era favorevole all’Anschluss per ragioni materiali, cui si accompagnavano moventi ideali. C. SFORZA, Oggi e Domani, in «Corriere della Sera», 12 settembre 1925. W. MARTIN, Le Pacte de Sécurité et l’Italie, in «Le Journal de Genève», 17 giugno 1925. Singolare è questa figura di William Martin nelle informazioni che ne dava il Bruccolieri, membro della delegazione italiana alla Società delle Nazioni. Nel dicembre 1924 Martin, allora corrispondente a Roma, era rientrato a Ginevra da antifascista, in seguito ai contatti che ebbe con Sforza, di Cesarò, Amendola e Cabrini. Nella città svizzera, Bruccolieri l’aveva contattato di frequente e, con opera costante, l’aveva guadagnato ad una visione meno severa dell’Italia di Mussolini. Bruccolieri a Paulucci de’ Calboli Barone, 13 maggio 1925,ASMAE,Arch.Gab., GM, busta 5, fasc. «Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche, 1925». STYLO, L’Italie sera-t-elle associée au Pacte de Garantie?, in «La Nation Belge», 20 giugno 1925. Così scriveva il Messager Polonais: «Où l’exposé de M.Mussolini prend un interêt tout spécial c’est quand il parle du pacte de garantie et de la réunion de l’Autriche à l’Allemagne. Le pacte ne peut être un pacte des trois, affirma le ministre italien, il doit être ‘au moins’ un pacte des cinq; ce pacte ne doit pas se borner à la garantie de la frontière sur le Rhin, il doit garantir aussi la frontière du Brenner; enfin, l’union de l’Autriche à l’Allemagne constituerait une violation des traités et aménerait le désquilibre dans les relations européennes y établissant une situation paradoxale... Le discours de Mussolini établit le principe de solidarité des frontières, comme il établit celui de l’intangibilité des traités». Le Messager Polonais, 22 maggio 1925. In tal senso: Besnard a Briand, 21 maggio 1925, tel.246, AMAE, Z-Europe: GrandeBretagne, vol.83. Il testo del discorso di Mussolini, nella versione apparsa sul «Messaggero» del 21 maggio, fu inviato con tel 225 il 28 successivo: ibidem. Nel volu-
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me dei documenti diplomatici inglesi non compaiono le notizie in proposito inviate dall’ambasciatore a Roma, Graham. Per le notizie di fonte tedesca, v.più oltre nel testo. E. DI NOLFO, Mussolini e la politica estera italiana (1922-1933), cit., p.130. A. CASSELS, Mussolini’s Early Diplomacy, cit., p.276. R. MOSCA, Locarno e l’Europa di Versailles, cit., p.54. Così M. TOSCANO, Storia Diplomatica della Questione dell’Alto Adige, cit., p.99 della prima edizione. In tal senso R. DE FELICE, Mussolini il Duce, vol.I, Torino 1974, pp.351 ss.; L’interpretazione è condivisa da F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese del 1935, cit., pp.84 ss. Paulucci de’ Calboli Barone ai rappresentanti diplomatici italiani all’estero, 21 maggio 1925, tel.421, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. Essa trovasi anche in E. e D. SUSMEL (a cura di), Opera omnia di Benito Mussolini, vol.XXI, Edizioni La Fenice, Firenze 1956, pp.315-321; spec. p.319. Come si è visto, essa fu pubblicata da «Il Messaggero» il 21 maggio, ma trovò ampio spazio su tutti i quotidiani italiani e su non pochi esteri. Si veda da ultimo C. SCARFOGLIO, Anglia Discit, in «Il Mattino», 12 settembre 1925, ove si criticava la riluttanza britannica ad accettare la tesi italiana circa la necessità di una garanzia al Brennero equivalente a quella data sul Reno. La copia del verbale del discorso è sottolineata a matita blu nella parte relativa al Brennero; la stessa parte è evidenziata a matita rossa nella versione del resoconto sommario. ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Come invece accadde esattamente un anno dopo, e sempre per l’annuale discorso al Senato per l’approvazione del bilancio del Ministero degli Esteri. Le istruzioni per le correzioni redazionali vennero in quella circostanza impartite da Grandi a Tommasini. Nel caso del resoconto sommario della seduta del 28 maggio 1926 per l’approvazione del bilancio degli esteri al Senato, un errore tipografico alterava il senso del discorso pronunciato in tale occasione da Mussolini. ASMAE, Arch.Gab., GM, busta 13. Prittwitz ad AA, 22 maggio 1925, ADAP, A, Band XIII, nota 4 a p.145. Prittwitz ad AA, 22 maggio 1925, ADAP, A, Band XIII, nota 5 a p.145. Stresemann all’Ambasciata tedesca a Roma, 23 maggio 1925, ADAP, A, Band XIII, doc.55. Stresemann terminava il suo dispaccio con una netta smentita della voce secondo cui il governo tedesco fosse a capo di un movimento nazionalista attivo soprattutto all’estero. Certi conati in tal senso erano piuttosto ascrivibili ad una «reazione spontanea» contro Polonia e Cecoslovacchia, nonché effetto delle catastrofiche condizioni dell’Austria. Mussolini a Della Torretta e Romano Avezzana, 30 maggio 1925, tel.449, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. In DDI, Serie Settima, vol.IV questo telegramma porta il numero 449bis (doc.13).
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Cfr. P .PASTORELLI, Il principio di nazionalità nella politica estera italiana, in G. SPADOLINI (a cura di), Nazioni e nazionalità in Italia. Dall’alba del secolo ai nostri giorni, Roma - Bari: Laterza, 1994, pp.185-208, spec. p.196 Nel discorso al Senato del 20 maggio, Mussolini anzi dichiarava quanto segue: «Ieri sera ho ricevuto il testo del progetto di risposta alla Germania, redatto dal Governo francese. E’ un documento assai importante che precisa l’atteggiamento del Governo francese». Atti Parlamentari, cit., p.2770; Senato del Regno, cit., p.8. È quanto emerge da una lettera personale di Mussolini a Grandi dello stesso 20 maggio, giorno del discorso al Senato, ed istruttiva per la condotta cui il neoSottosegretario agli Esteri avrebbe dovuto ispirarsi. Mussolini a Grandi, l.p. 20 maggio 1925, ASMAE, Arch.Gab., GM, busta 1, fasc. «Colloqui di Mussolini 1925».Trattasi di una copia dattiloscritta; l’originale di questo documento trovasi nelle «Carte Grandi», consultabili sempre in ASMAE. Mussolini a Della Torretta, 22 maggio 1925, tel.417,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40. Della Torretta a Mussolini, 23 maggio 1925, tel.805/367, ibidem. Della Torretta a Mussolini, 29 maggio 1925, tel.844/3816, ibidem. La posizione di Chamberlain è ben desumibile dai documenti britannici: Memorandum by Mr. Chamberlain for the Cabinet DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.321. Essa fu chiarita subito all’ambasciata francese a Londra: doc. 330; cfr. docc.328 e 334. Della Torretta a Mussolini, 30 maggio 1925, tel.849/388, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40; cfr. DBFP, Series I, vol. XXVII, allegato al doc.349 (ove i testi del progetto francese e degli emendamenti inglesi sono riprodotti a fronte). Nota verbale del Ministero degli Esteri italiano all’Ambasciata britannica a Roma, 4 giugno 1925, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. «Il Regio Ministero degli Affari Esteri - recitava la bozza della nota - è disposto a partecipare all’uopo ad un patto del genere di quello proposto dal Governo Tedesco, e di cui la Germania e gli alleati sarebbero parte. Qualunque sia il modo in cui il proposto patto sarà definito nelle sue parti e nelle sue modalità gli pare essenziale che non convenga perdere di vista il fatto che ciò che veramente importa è che gli scopi pacifici che esso si propone siano effettivamente raggiunti». Romano Avezzana a Mussolini, 3 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol. IV, doc.17. Berthelot a Roma, Madrid, Londra, Rabat, Bruxelles, 21 maggio 1925, AMAE, ZEurope: Italie, vol.96. Cfr. Romano Avezzana a Mussolini, 20 maggio 1925, DDI, Serie Settima, vol. IV, doc.3. Briand a De Fleuriau, 4 giugno 1925, DBFP, Series I, Vol. XXVII, allegato 1 al doc.360. Si veda uno stralcio delle dichiarazioni parlamentari di Briand, ibidem, doc.294. Cfr. Chamberlain a Crewe, 30 aprile 1925, ibidem, doc.299. Notes on Meeting of Committee of the Cabinet held in Prime Minister’s room at the House of Commons on Tuesday, May 26, 1925, ibidem, doc.343.
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Suggested alternative Draft, 28 maggio 1925, ibidem, doc.343. Crewe a Chamberlain, 29 maggio 1925, ibidem, doc.351. Romano Avezzana a Mussolini, 4 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.18. F. COPPOLA, La politica del patto a cinque: dal Reno al Mediterraneo, in «L’Idea Nazionale», 5 giugno 1925. Sul Coppola, vedi V. CLEMENTE, Coppola Francesco, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 28, Roma: Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1983, pp. 650-655. Roger a Briand, 6 giugno 1925, l.n.244, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.76. La nomina di Badoglio a Capo di Stato Maggiore riscosse malcontento negli ambienti politici e negli stessi ambienti militari, dove egli passava per “l’imboscato di Caporetto”, ossia per colui che, dopo la tragica rotta del 1917, non seppe far altro che curare la propria posizione personale e declinare ogni responsabilità dell’accaduto. ACS, Segreteria Particolare del Duce, Carteggio Riservato 1922-1943, busta 67, fasc. «Badoglio S.E. Pietro, Marchese del Sabotino», sf.2: «Varia». Mussolini mise a tacere queste voci elogiando il Generale in un fondo anonimo, apparso sul «Popolo d’Italia» del 26 aprile (di cui l’originale trovasi in ACS, Autografi del Duce. Carte della Cassetta di zinco, sc.2, fasc.«1925-III»), e facendo pubblicare, sempre da quest’organo, la notizia di cordiali colloqui con Badoglio, appena rientrato dal Brasile dov’era ambasciatore. Per i documenti sulla questione: Briand a Foch, De Fleuriau e De Margerie, 22 maggio 1925, telegramma con vari numeri mediante il quale Briand ritrasmetteva il dispaccio n.237 inviatogli da Besnard il 16 maggio. AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96. Roger a Briand, 5 giugno 1925, tel.268-269, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Legislatura XXVII, 1ª sessione, Tornata del 4 giugno 1925, pp.4190-4209; p.4203 per la citazione. Si vedano altresì gli accenni di Salandra ad un’intesa italocecoslovacca contro l’Anschluss, che era parte di un progetto contariniano di estensione al Danubio dei principi di sicurezza. Cfr.G. CAROCCI, La politica estera dell Italia fascista, cit., pp.49-50 e nota 56 al cap.IV. Neurath ad AA, 6 giugno 1925, ADAP, A, Band XIII, nota 8 a p.148. Risulta da un telespresso con n.215530 del 24 marzo, diretto da Roma a Parigi, Londra e Vienna. ASMAE, Rappresentanze Diplomatiche, Ambasciata di Vienna, busta 279, fasc.«Annessione dell’Austria alla Germania» Lojacono a De Bosdari e Chiaramonte Bordonaro, 11 maggio 1925, tel.387, Ibidem. Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 18 giugno 1925, tel. 1608; 24 luglio 1925, tel.1942.A considerazioni economiche, la “Lega Popolare austro-tedesca”, anch’essa di recente costituzione, aggiungeva connotazioni politiche e spirituali nel rivendicare l’Anschluss. Paulucci de’ Calboli Barone a Chiaramonte Bordonaro, De Bosdari e Pignatti Morano di Custoza, 1° agosto 1925, telespresso 230405, Ibidem. Il governo cecoslovacco aveva intercettato, e fatto conoscere a quello italiano, una lettera del
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Presidente della Lega, ing.Herman Neubacher, ad un giornale amico, precisante programma e scopi dell’associazione. Da poco riformato, con il Regio Decreto 3 gennaio 1924, n.3, il Consiglio del Contenzioso Diplomatico aveva, tra le sue funzioni consultive, quella di emettere pareri sull’«interpretazione ed applicazione dei trattati ed accordi internazionali» (art.2, II comma, lett. a). Si veda il bel ritratto fattone da L.MONZALI, Amedeo Giannini e la nascita della storia delle relazioni internazionali, in «Storia Contemporanea», agosto 1994, n.4, pp.493-525. Cfr.ASMAE,Archivio del Contenzioso Diplomatico 1924-1937, pacchi 14, 25, 26, 30, 31, 51. Il Regio Decreto n.1924/3 prevedeva che il parere del Consiglio del Contenzioso diplomatico «potrà essere richiesto dal Ministero degli Affari Esteri su tutte le questioni che crederà di deferire al suo esame...»(art.2, II comma). Neurath ad AA, 8 giugno 1925, ADAP, A, Band XIII, doc.102. Neurath ad AA, 10 giugno 1925, ADAP, A, Band XIII, nota 8 a p.148. Bozza di telegramma senza data né firma, ASMAE, Arch.Gab.,TSN 41. Cfr. De Fleuriau a Briand, 11 giugno 1925, tel.348,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.77. Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana e Scaloja, 8 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.21. M. TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige , cit., pp.101-102. «È molto probabile - ha scritto il Carocci - che uno dei motivi per i quali Mussolini accarezzò l’ipotesi di garanzia tedesca al Brennero fu proprio quello di impedire alla Francia di sfruttare l’Italia nella questione dell’Anschluss...La garanzia tedesca del Brennero in un primo tempo fu intesa nel contesto del patto di garanzia in discussione, come una sua auspicata estensione alle frontiere meridionali della Germania. In un secondo tempo, quando Mussolini si irrigidì nel senso di non partecipare al patto renano, l’intesa italo-tedesca fu ventilata dal duce come autonoma e quasi contrapposta al patto renano. Era un bluff, preso però molto sul serio al Quai d’Orsay». G. CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista, cit., p.46. Anche il De Felice ravvisa nella parte delle istruzioni relativa all’Austria un bluff polemico verso la Francia. R. DE FELICE, Mussolini il duce I: gli anni del consenso, cit., p.352. Briand a De Fleuriau, 4 giugno 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.360 (il corsivo è nostro). London a Tyrrell, 9 giugno 1925, ibidem, doc.365. De Panafieu a Briand, 8 giugno 1925, tel.48-50. AMAE, Série Z-Europe: Pologne, vol.135. Risultava a De Fleuriau che Skirmund, Ministro di Polonia a Londra, aveva inviato a Varsavia indicazioni molto differenti, nel tono, da quelle che Skrzynski dava all’amba-
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sciatore francese nella capitale polacca. «Al Signor Skirmund – informava De Fleuriau – dispiace che il suo Governo accordi minor fiducia al suo consiglio che alle asserzioni della stampa inglese». De Fleuriau a Briand, 8 giugno 1925, tel.338, segreto,AMAE, Série Z-Europe: Pologne, vol.135. Risulta da tutto questo che l’ambasciatore francese a Londra aveva il compito di rassicurare Varsavia per il tramite di un diplomatico polacco ritenuto fidato amico della Francia. De Panafieu a Berthelot, 27 giugno 1925, l.p.,AMAE, Série Z-Europe: Pologne, vol.135. Chamberlain a Tyrrell, 8 giugno 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.364. Berthelot e Laroche a Massigli (Ginevra), 9 giugno 1925, tel.86-87,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.76. Communication destinée à M. Mussolini, remise à Genève à M. Scialoja le 10 juin 1925, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. Il corrispondente documento inglese trovasi in DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.137; cfr. il memorandum di Nicolson del 4 giugno, nota 2 a p.201. London a Tyrrell, 9 giugno 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.365. Cfr. A. ORDE, Great Britain and Security 1920-1926, cit., pag. 108. Scialoja a Mussolini, 8 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.23. Roger a Briand, 8 giugno 1925, tel.277, confidenziale,AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96. Il telegramma di Roger arrivò a Parigi nella notte tra l’8 e il 9 giugno e certamente fu ritrasmesso a Ginevra. Scialoja a Mussolini, 9 giugno 1925, DDI, serie Settima, vol.IV, doc.27. Cfr.DBFP, Series I, vol. XXVII, nota 1 a p.590. Chamberlain smentì, il 10 giugno, le notizie diffuse dall’Havas. London a Tyrrell, 10 giugno 1925, ibidem, doc.366. Cfr. A. ORDE, Great Britain and Security 1920-1926, cit., pp. 108-109. Graham a Chamberlain, 10 giugno 1925, Ibidem, doc.368. Graham invitò i suoi interlocutori a non considerare come vangelo il comunicato della Havas. Mussolini a Scialoja, 9 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.24 Mussolini a Scialoja, 9 giugno 1925, tel.506, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, cit., busta 40. Cfr. DDI, Serie Settima, docc.21 e 24; DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.368; nota 6 alle pp.592 e 593; nota 3 a p.598. Scialoja a Mussolini, 10 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, docc.28 e 29; cfr. doc.32. Non risulta da questi documenti che Scialoja abbia informato Mussolini della proposta di collaborazione nei Balcani, avanzatagli da Chamberlain e Briand quello stesso giorno. Cfr. DDI, Serie Settima, vol.III, doc.787; DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.281. Della Torretta a Mussolini, 11 giugno 1925, tel.924/419, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40. De Fleuriau a Briand, 11 giugno 1925, tel.344,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.77. Scialoja a Mussolini, s.d. (ma lettera pervenuta il 14 giugno 1925), DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.32. Cfr. docc.28 e 29 per i colloqui avuti da Scialoja con Chamberlain.
Capitolo III – L’Italia ed il problema della sicurezza
129 Roger a Briand, 11 giugno 1925, tel.285-286 segreto, AMAE, Z-Europe: GrandeBretagne, vol.77. Cfr. Berthelot a Massigli, De Fleuriau e Besnard, 10 giugno 1925, tel. con vari numeri di protocollo, ibidem, Italie, vol.96. 130 ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 40; cfr. Della Torretta a Mussolini, 10 giugno 1925, tel.916/416, ibidem; nonché DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.349. 131 Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII, allegati 1, 2 e 3 al doc.360 e nota 2 al doc.382. 132 Bersnard a Briand, 13 giugno 1925, tel.292 urgente, AMAE, Z-Europe: GrandeBretagne, vol.77. 133 Berthelot a Besnard, 14 giugno 1925, tel.588, urgentissimo, ibidem. 134 Besnard a Mussolini, 14 giugno 1925,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41; cfr. F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese, cit., p.87 e nota 255. 135 Besnard a Briand, 14 giugno 1925, tel.293, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.77. 136 Mussolini a Besnard, 15 giugno 1925, DDI, Serie Settima, doc.35. Besnard a Briand, 15 giugno 1925, tel.294,AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. La bozza parlava invece di una «distinzione» delle garanzie, come si evince da un’annotazione forse di Paulucci (essendo su carta intestata del Capo di Gabinetto). La bozza della nota a Besnard, datata 14 giugno, reca l’annotazione «Progetto. Il testo approvato differisce in alcune parti». ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. 137 Besnard a Briand, 15 giugno 1925, tel.295-298, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. 138 Dispaccio dell’“Agenzia Stefani”, 17 giugno 1925. La bozza è del 16 giugno,e fu preparata a Palazzo Chigi. ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. 139 Comunicato dell’Agenzia “Havas”, 16 giugno 1925, ibidem. 140 Le Petit Parisien, 16 giugno 1925. 141 The Daily Telegraph, 16 giugno 1925. 142 Locarno Korferenz, cit., doc.14; Pacte de Sécurité, I, cit., doc.9. 143 Romano Avezzana a Mussolini, 17 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.37. 144 Briand a Besnard, 17 giugno 1925, tel.610-612, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96. Cfr.Mussolini a Romano Avezzana, 23 giugno 1925, tel.588,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Il documento riproduce tanto la nota francese quanto la replica italiana. 145 Besnard a Briand, 19 giugno 1925, tel.309-310, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.77. Mussolini si recò all’ambasciata francese alle ore 13 e fino alle 18, contrariamente alle sue frenetiche abitudini, non concesse udienze. ASMAE, Arch.Gab., GM, busta 42. 146 Besnard a Briand, 19 giugno 1925, l.n.268, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96, 147 Besnard a Briand, 20 giugno, l.p., ibidem. 148 La nota del 23 giugno 1923 fu comunicata al Romano Avezzana con tel.588,ASMAE, Arch.Gab.,TSN, b.41. Cfr.DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.42. 149 Cfr. DDI, Serie Settima, vol. IV, docc. 42 e 21. 150 Graham a Chamberlain, 19 giugno 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.387.
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151 Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana, De Bosdari, Daneo, Pignatti Morano di Custoza, Chiaramonte Bordonaro, Majoni e Attolico, 19 giugno 1925, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. 152 Chamberlain a Crewe, 23 giugno 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.394. 153 Chamberlain a Graham, 23 giugno 1925,ibidem, doc.396; cfr.DDI, Serie Settima, vol.IV, docc.43 e 44. 154 Della Torretta a Mussolini, 24 giugno 1925, ibidem, doc.44. 155 Si condivide sul punto quanto scrive il Carocci: «Probabilmente le offerte di Briand sarebbero state bene accolte da Mussolini se si fosse trattato di un patto stipulato con la libera volontaria partecipazione della Germania. Ma poiché, per il rifiuto di Stresemann, si sarebbe trattato invece di un patto bilaterale italo-francese al quale la Germania non avrebbe acceduto, e poiché le concessioni che la Francia era realmente disposta a fare in materia coloniale erano giudicate avare, Roma non fece buon viso alle proposte e in settembre le lasciò definitivamente cadere». G. CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista, cit., p.43. Ancora il Carocci osserva che «Roma, in sostanza, ritenne che le concessioni della Francia non valevano la rinuncia della carta revisionista»: anche per non pervenire ad una troppo intima intesa italo-francese (pp.43-44). 156 De Bosdari a Mussolini, 17 giugno 1925, tel.975/188,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 40. Il telegramma fece seguito ad una conversazione tra l’ambasciatore italiano e von Schubert, avutasi il giorno stesso. ADAP, A, Band XIII, doc.128. Qualche giorno dopo, De Bosdari rilevò che la risposta francese aveva «completamente trasformato e travisato» la proposta tedesca. L’ambasciatore tuttavia criticò anche l’ingenuità della Germania, «giacché non sono mai arrivato a capire come lo Stresemann ed i suoi consiglieri si siano potuti immaginare che la Francia, possedendo per la propria sicurezza garanzie materiali e positive quali l’occupazione della frontiera ed il controllo militare, si fosse potuta lasciare indurre ad abbandonarle per sostituirle con una di quelle tante firme che la Germania da molti anni dà alla leggera col preconcetto di non osservarle». De Bosdari a Mussolini, 20 giugno 1925, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. 157 Nel corso di un dibattito ai Comuni (cui attivamente parteciparono importanti personalità politiche), Chamberlain tenne il 24 giugno un lungo discorso, nel quale affermò che il patto non conferiva a nessuno, nemmeno alla Francia, diritti addizionali. Sicché, la Gran Bretagna avrebbe soccorso la nazione aggredita, qualunque essa fosse: anche la Germania, dunque, qualora la Francia le avesse rioccupato la Renania o avesse intrapreso delle azioni prescindendo dal ricorso al Consiglio della Società delle Nazioni. Quanto all’Italia, poi, essa sarebbe stata la benvenuta, ma non la si voleva costringere ad aderire al nuovo patto. Restava comunque inteso che la Gran Bretagna non era disposta a ritoccare la carta politica europea. Il testo del dibattito e del discorso di Chamberlain alla Camera dei Comuni fu pubblicato dal Times il 25 giugno 1925 e fu inviato dal Della Torretta a Mussolini coi tell.1999/641/A.18 e 1056/460, rispet-
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tivamente del 25 e 26 giugno 1925, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Cfr. H.C., Deb., 5 s, cols.1555-1570; 1652-1663; nonché DBFP, Series I, vol.XXVII, docc.388 (con nota 4) e 398. Della Torretta a Mussolini, 1° luglio 1925, tel. 1175,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Della Torretta a Mussolini, 4 luglio 1925, tel 1177/497, ibidem . Memorandum by Sir C.Hurst, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.385. Note pour M.Berthelot (forse di Laroche), 2 luglio 1925, AMAE, Z-Europe: GrandeBretagne, vol.79. Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.398; allegato al doc.401; docc.403 e 404. Chamberlain a D’Abernon, 5 luglio 1925, ibidem, doc.406. Della Torretta a Mussolini, 7 luglio 1925, tel.2117/690/A.18, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41; cfr. Lord Balfour’s Reply, in «The Times», 7 luglio 1925. Della Torretta a Mussolini, 18 luglio 1925, DDI, Serie Settima, vol. IV, doc.70. Altrove il Romano Avezzana informava che per gli inglesi il patto doveva costituire una solidarietà europea contro il «sollevamento dell’Asia e di tutte le razze di colore contro l’Europa»; Romano Avezzana a Mussolini, 10 luglio 1925, tel.1231/448, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. DBFP, I Series, vol.XXVII, doc.384. Ibidem, doc.316. Ibidem, doc.411. Un altro memorandum di Hurst, datato 18 giugno 1925, analizzava il problema del rapporto tra patto di garanzia ed impegni della Francia verso la Polonia (doc.385). Briand a De Fleuriau, 9 luglio 1925 (trasmesso il 10 al Foreign Office), DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.408. Chamberlain a Graham, 11 giugno 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.377; cfr.DDI, Serie Settima, vol.IV, docc.28 e 29, già citati. Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 25 giugno 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.47. Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 27 giugno 1925 , ibidem , doc.48. Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 1° luglio 1925, tel.1130/238, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. A Mataja i francesi avevano assicurato il loro interessamento presso banche inglesi ed americane, promettendo di far tutto il possibile per aiutare l’Austria a risanarsi economicamente; essi sottolinearono, in quest’occasione, la loro totale opposizione all’Anschluss e ad una proroga dei benefici previsti per l’Austria dall’articolo 222 del trattato di Saint-Germain. Nell’ordine si vedano: Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 4 luglio 1925, tel.1200/247, ibidem; Romano Avezzana a Mussolini, 28 giugno 1925, tel.1094/429, ibidem. Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 6 luglio 1925, ASMAE, Ambasciata di Vienna, busta 279, fasc.«Annessione dell’Austria alla Germania».
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Matteo L. Napolitano – Mussolini e la Conferenza di Locarno
175 Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, tel. senza data n.1201/248, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41.V. anche Borchers ad AA, 20 giugno 1925,ADAP,A, Band XIII, doc.138. 176 Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 11 luglio 1925, tel.1828/941, ASMAE, Ambasciata di Vienna, busta 279, fasc.«Annessione dell’Austria alla Germania». 177 Il contenuto di quest’articolo fu comunicato dal De Bosdari a Mussolini il 18 giugno 1925, con telegramma n. 991/189,ASMAE,Arch. Gab.,TSN, busta 41. L’ambasciatore italiano a Berlino sollevò rimostranze verso queste espressioni della stampa tedesca, sia con Schubert che con Stresemann. 178 Mussolini a Vittorio Emanuele III, 17 luglio 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.63. Il contesto di questo documento era un’analisi della situazione generale, internazionale ed interna. Quelle riportate nel testo sono le uniche parole che Mussolini spese per il patto di sicurezza. 179 F. SCARANO, Mussolini e la Repubblica di Weimar. Le relazioni diplomatiche tra Italia e Germania dal 1927 al 1933, Napoli: Giannini Editore, 1996, pp.40-41 e 73. L’Autore ha consultato, tra l’altro, le carte private dell’ambasciatore italiano a Berlino, conservate presso l’Archivio di Stato di Bologna. Cfr. DDI, Serie Settima, vol.III, nota 2 a p.558.
152
CAPITOLO IV.
PREPARANDO LOCARNO: DAGLI SCAMBI DIPLOMATICI ALLA CONFERENZA DEI GIURISTI
1. LE
NUOVE OSSERVAZIONI TEDESCHE DEL
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LUGLIO ED I PROBLEMI
CORRELATI
La risposta degli alleati alla nota tedesca fu inviata alla Germania il 16 giugno e non mancò di turbare notevolmente il clima parlamentare di quel paese. Il governo tedesco, infatti, nella discussione al Reichstag sulla politica estera, espresse il proprio intento di predisporre nuove osservazioni alla nota degli alleati, in breve tempo e senza prima consultare l’assemblea legislativa, scatenando così la ferma opposizione dei socialdemocratici Dittmann e Breitscheid, appoggiati dal deputato von Gräfe, rappresentante dei nazionalsocialisti. Gli animi si placarono quando Paul Löbe, Presidente del Reichstag, raccomandò all’assemblea la proposta del centrista Fehrenbach di sospendere per due giorni le sedute parlamentari e di riprendere i lavori con un’esposizione della linea governativa che Luther e Stresemann (allora assenti da Berlino) avrebbero fatto davanti alla Commissione per gli Affari Esteri o al Consiglio degli Anziani 1. Il testo della risposta tedesca, quindi, sottoposto al preventivo giudizio della Commissione Esteri del Reichstag e dei presidenti dei Länder 2, fu approvato definitivamente dal Reichstag con 235 voti contro 158 e 13 astensioni 3. Nel discorso preliminare alle dichiarazioni di voto, Stresemann si augurò che l’Italia entrasse nel patto di sicurezza (avrebbe poi incaricato Neurath di ribadire ciò a Roma consegnando la nota); al contempo, però, desiderò sottolineare che il trattato di Versailles non doveva essere violato da una delle parti, ai danni della sola Germania 4.
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La risposta tedesca fu consegnata il 20 luglio, contemporaneamente, a Francia, Gran Bretagna ed Italia 5. Da quest’ultima, in particolar modo, la Germania si aspettava un’azione presso gli ex alleati, affinché questi tenessero nella giusta considerazione il nuovo passo tedesco 6. Nel documento si leggeva a chiare lettere che il governo tedesco non aveva mai escluso la possibilità di un adattamento dei trattati vigenti alle mutate circostanze e che la Germania, proponendo un patto di sicurezza, aveva previsto anche un sistema di trattati arbitrali sul modello di quelli già in vigore con altri paesi. Ma, poiché la nota di risposta degli alleati prevedeva, in caso di inosservanza degli articoli 42, 43 e 180 di Versailles, il ricorso non già ad una procedura di arbitrato o di conciliazione, bensì tout court ad una procedura coercitiva, non era pensabile che la Germania potesse concedere agli alleati il diritto ad intervenire contro se stessa. Tutto ciò sarebbe stato pregiudizievole e non in armonia con lo spirito del Covenant. Con ciò la Germania rifiutava ufficialmente anche l’ipotesi di una garanzia francese sui trattati di arbitrato orientali, ribadendo le proprie argomentazioni 7. La nota tedesca contrariò Briand, che Chamberlain cercò di rassicurare asserendo che la Germania, in fondo, non si era pronunciata del tutto negativamente, perché aveva avanzato solo delle critiche e richiesto delucidazioni 8. Chamberlain intendeva salvare il principio della garanzia francese ad est: «Non vedono i tedeschi che è questo il solo modo per riscrivere l’alleanza francopolacca. È tutto nell’interesse della Germania... e nostro» 9. È da rilevare che nel frattempo Beneš, in disposizioni senza dubbio migliori rispetto al collega polacco, aveva sottoposto al Quai d’Orsay un progetto di trattato di arbitrato tedescocecoslovacco. Fromageot lo esaminò, e rilevò che esso non prevedeva affatto la partecipazione francese, rendendo così impossibile la necessaria garanzia. Occorrevano, ad avviso del giurista, i seguenti requisiti: un trattato a tre (tra Germania, Francia e Cecoslovacchia), con l’impegno tedesco e cecoslovacco a regolare per via di arbitrato ogni controversia; una garanzia, data dalla Cecoslovacchia alla Francia ed alla Germania, per i casi di inosservanza del patto renano; un accordo tedescocecoslovacco, circa le modalità di funzionamento della procedura di arbitrato, prevista dal trattato franco-tedesco-cecoslovacco 10. Si
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Capitolo IV – Preparando Locarno
osservava infine che l’entrata della Germania nella Società delle Nazioni non avrebbe dovuto costituire condizione necessaria per la realizzazione del patto di sicurezza 11. Da quanto detto, si comprende perché il governo francese nutrisse, in seguito alla nuova nota tedesca, una certa apprensione 12. Secondo Romano Avezzana, invece, i francesi non escludevano la possibilità di un accordo. All’ambasciatore italiano, del resto, fu data assicurazione che comunque la Francia non avrebbe risposto a questo nuovo passo di Berlino senza prima concertarsi col governo italiano 13. Pochi giorni dopo Briand riceve’ l’ambasciatore tedesco a Parigi, von Hoesch, e dal loro colloquio emerse chiaramente la difficoltà della Francia ad accettare alcuni punti che il documento tedesco conteneva. A giudizio di Hoesch, il motivo del contendere non era tanto la pacifica revisione dei trattati di pace, quanto alcune disposizioni che il governo di Berlino voleva inserire nei trattati di arbitrato: un accenno alla reciprocità della garanzia, qualora anche detti trattati avessero avuto un garante esterno; menzione della parità dei diritti che la Germania reclamava; conferma del principio che si doveva pervenire ad un disarmo generale; previsione di una temporanea neutralità per la Germania, in modo da non partecipare, appena entrata nella Società delle Nazioni, a misure coercitive da questa decise. La prima buona impressione che, secondo Romano Avezzana, la Francia aveva avuto della nota, ben presto venne meno e a Parigi si pensò ad una procedura speciale e rapida per determinare, con estrema precisione, quali considerare casi di aggressione 14. A Londra, la nuova nota tedesca fu accolta favorevolmente da Chamberlain, ma non altrettanto da altri esponenti del Gabinetto Baldwin. Ciò spinse il ministro degli esteri britannico a far chiedere da Crewe a Briand di non sollevare con la Germania questioni troppo minuziose, dal momento che l’adesione britannica al patto renano era pur sempre «condizionata al raggiungimento di un più possibile completo consenso [dell’] opinione pubblica imperiale» 15. La mancanza di accordo all’interno della compagine governativa britannica fece però sentire ben presto i suoi effetti. Non passò molto tempo, infatti, e anche a Londra sorsero numerosi
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dubbi sulle reali intenzioni dei tedeschi 16: Evidentemente gli inglesi continuavano a vedere mal ripagata la loro determinazione a far entrare la Germania nell’assise europea, atteggiamento che provocava frequenti divergenze coi francesi. Queste emergevano anche su una non secondaria questione, suscettibile di turbare i negoziati in corso. Il governo francese aveva fatto presente a quello tedesco che l’evacuazione della Ruhr, prevista per la metà di agosto, non implicava affatto l’evacuazione anche delle città di Düsseldorf e Duisburg. La notizia indispose i tedeschi, i quali però ben sapevano di poter contare sul consenso del governo inglese all’evacuazione delle suddette città 17. La questione andò decantando nei giorni successivi, quando parve chiaro che l’opposizione francese all’evacuazione derivava solo da osservazioni di pura forma, mosse dall’ambasciatore francese a Berlino 18. Del resto, la Germania pretendeva di aver ricevuto direttamente da Herriot, in occasione della conferenza di Londra, la precisa assicurazione dell’evacuazione, nei termini previsti, anche di Düsseldorf, di Duisburg e di Ruhrort; solo che di tale impegno non s’era trovata traccia negli archivi del Quai d’Orsay. Il governo francese acconsentì allo sgombero delle tre città per la data del 26 agosto; solo Colonia sarebbe rimasta occupata, fino alla completa esecuzione da parte tedesca delle clausole di disarmo previste nel trattato di Versailles 19. Di tale decisione fu data comunicazione anche al governo italiano con un memorandum dell’ambasciata francese a Roma, cui fu risposto verbalmente con espressioni di soddisfazione 20. Il fatto che Colonia rimanesse occupata fino a data indefinita costituiva per la Germania un ostacolo alla prosecuzione dei negoziati sul patto di sicurezza. La nuova risposta tedesca rallentava, insieme ad altre questioni, il processo di realizzazione della sicurezza occidentale; ma essa fu anche un’occasione di nuovo confronto e di consultazioni tra i paesi destinatari, prima di procedere oltre nel negoziato sul patto renano.
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Capitolo IV – Preparando Locarno
2. VERSO
LA CONFERENZA SUL PATTO DI SICUREZZA: GLI INCONTRI
ANGLOFRANCESI DI
LONDRA
E L’EVOLUZIONE GRADUALE DELLA POSI-
ZIONE ITALIANA
Una delle maggiori preoccupazioni della Francia riguardo al riserbo manifestato dall’Italia era che la Germania potesse approfittare dell’incertezza del momento e minare l’unità dei vincitori, garantendo, per esempio, la frontiera del Brennero e superando, così, l’opposizione italiana all’Anschluss. «Sarebbe un colpo terribile – osservava Besnard il 30 giugno – le cui conseguenze sarebbero grandi poiché implicherebbero la sicura ripresa dell’influenza tedesca su questo paese». L’ambasciatore dubitava che Mussolini si prestasse a tale gioco, ma riteneva necessario stare all’erta, non perder tempo e fare in modo che anche la Gran Bretagna offrisse una garanzia sul Brennero, onde assicurare l’ingresso dell’Italia nel patto renano. Occorreva parimenti offrire all’Italia una garanzia diretta e la promessa di opporsi insieme ad essa all’Anschluss 21. Il governo italiano aveva non di rado espresso disappunto per l’avversione britannica all’idea di patto a cinque e per la malferma condotta degli alleati nella questione austriaca.A ciò andava aggiunta l’estraneità dell’Italia al lavorio diplomatico da cui era scaturita la risposta alla Germania del 16 giugno. Si possono allora spiegare sia le preoccupazioni francesi (e specialmente di Besnard), sia l’insoddisfazione di Mussolini che vedeva gli interessi italiani trascurati da Parigi e Londra. Fu così che i francesi offrirono nuovamente una garanzia al Brennero, sulla base dei presupposti desiderata mussoliniani; mentre allo stesso tempo Della Torretta negò categoricamente con gli inglesi che fosse il Brennero il vero problema. Ma le attenzioni della Francia non scemarono. A Parigi, infatti, si ritenne opportuno pervenire ad un accordo generale con l’Italia (non tutti al Quai d’Orsay comunque consentivano), e realizzare anche quel lungo sogno di Badoglio, di un’alleanza militare in chiave anti-tedesca che, last but not least, avrebbe garantito il Brennero. Badoglio, allora ambasciatore in Brasile, aveva discusso di tale possibilità, nel mese di aprile, con l’addetto militare francese, Coffe. L’idea fu ripresa,
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come abbiamo visto, quando egli, divenuto Capo di Stato Maggiore generale, presentò a Besnard nuove proposte condite di personali insistenze che rasentarono il sentimentale 22. Lungi dal supporre un’iniziativa del tutto autonoma, il governo francese prese molto sul serio le ripetute offerte di Badoglio e le considerò parte della politica del governo italiano. Il Quai d’Orsay, quindi, non solo informò il Ministero della Guerra, competente in materia, ma tenne al corrente di tutta la vicenda anche il Maresciallo Foch, allora Presidente del Comitato Militare Alleato di Versailles 23. Valutate le circostanze, il Maresciallo diede il suo parere: «Ritengo – scrisse a Briand il 25 giugno – che sarebbe nostro interesse non lasciar cadere le offerte così ripetute, tali quali risultano dalle comunicazioni che mi avete inviato e, se voi condividete questo modo di vedere, sarebbe vantaggioso rispondere senza ritardo a queste aperture nel timore che le disposizioni favorevoli che si sono a noi manifestate non vengano ad orientarsi per altra via» 24. Le “altre vie” cui Foch si riferiva, da Roma portavano a Berlino. Cresceva dunque l’urgenza di vincere la partita coi tedeschi, onde avere l’Italia schierata al fianco della Francia. «Ho l’impressione che i tedeschi non se ne restino inattivi a Roma» ammonì Besnard il 2 luglio e per questo motivo consigliò un doppio negoziato, bilaterale con Roma, e più esteso con la Gran Bretagna (per il patto a cinque, per una garanzia collettiva sul Brennero e contro l’Anschluss) 25. Occorreva dunque non indugiare oltre, poiché i negoziati italotedeschi, avviati a Roma per il tramite di von Neurath e aventi come punto di partenza le dichiarazioni del 20 maggio di Mussolini al Senato, secondo Besnard potevano andare a buon fine. La Germania sembrava disposta a dare all’Italia ogni garanzia di intangibilità della frontiera del Brennero, chiedendo in cambio solo comprensione verso progetti di revisione basati sull’articolo 19 del Covenant e verso la comune aspirazione di Austria e Germania ad unirsi politicamente. Lo stesso Besnard ricordava che, accennando alle offerte tedesche, un alto funzionario di Palazzo Chigi aveva detto: «A che può servirci la garanzia della frontiera del Brennero se la Germania procede all’annessione dell’Austria? È come se ci si dicesse: noi vi diamo la finestra, ma chiudiamo la porta. Quando noi avremo alle fron-
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tiere una Germania agguerrita, saremo esposti a perdere il beneficio di questa garanzia al minimo conflitto». Questo stesso funzionario aveva d’altronde riconosciuto che l’Anschluss non avrebbe modificato la posizione dell’Italia perché, in caso di conflitto europeo, la Germania avrebbe certamente invaso l’Austria; tanto valeva allora prevenire i disegni dei tedeschi e accordarsi con essi. Poiché per Besnard le informazioni raccolte erano motivo di preoccupazione, egli sollecitò un’azione da Parigi 26. Briand, valutate le informazioni provenienti da Roma, fece notare a Besnard che il riserbo di Mussolini contrastava alquanto con le sollecitazioni ad offrire qualcosa all’Italia.Tuttavia egli invitò l’ambasciatore a Roma ad indicargli la strada per avviare conversazioni con il governo italiano 27. Il 10 luglio Besnard comunicò che i negoziati italotedeschi avevano subito una battuta d’arresto, in quanto per il governo italiano una garanzia tedesca sul Brennero avrebbe facilitato l’Anschluss, costituito un pericolo sulle frontiere settentrionali e posto le basi per un colpo di mano tedesco sull’Alto Adige. Besnard consigliò nuovamente il suo governo di agire per vanificare ogni residuo tentativo dei tedeschi di guadagnarsi l’Italia 28. Il 14 luglio egli scrisse che «sebbene la garanzia bilaterale rappresenti un vantaggio certo per l’Italia, questa considera che un impegno reciproco ad opporsi congiuntamente all’annessione dell’Austria alla Germania è un corollario necessario all’intesa sulla sicurezza delle frontiere». Dovendo incontrare Mussolini di lì a poco, Besnard chiedeva le opportune istruzioni 29. Era sua convinzione che la Francia dovesse dare all’Italia la desiderata sicurezza, anche in considerazione dell’instabilità politica in Alto Adige 30, e che occorresse agire tempestivamente, prima che fosse definito un accordo diretto con la Germania per “punire” gli ex alleati. Occorreva inoltre tener conto della dialettica interna a Palazzo Chigi, e delle divergenze tra Mussolini e Contarini, non senza influenza sugli sviluppi del problema della sicurezza 31. Briand scrisse dunque all’ambasciatore a Roma quanto segue: «Se il Primo Ministro italiano ha cambiato idea, vi lascio ogni libertà di riprendere con lui la conversazione nel senso della garanzia che egli desidera. Io non credo, d’altronde, che delle conversazioni coi tedeschi e un’ipotetica
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garanzia della frontiera del Brennero da parte della Germania (supponendo che possa esser proposta ed ammessa) siano di natura tale da soddisfare l’Italia ed indurla a consentire all’annessione dell’Austria alla Germania». Egli inoltre non condivideva la proposta di Besnard di mantenere una doppia linea negoziale, in quanto Londra, a suo parere, non si sarebbe associata alla garanzia desiderata dall’Italia. «Un patto francoitaliano è, al contrario, nell’ordine delle cose, e di natura tale da convincere l’Italia a partecipare al patto occidentale sul Reno» 32. Briand diede così a Besnard le seguenti istruzioni: «L’intesa sulla sicurezza della frontiera del Brennero implica l’impegno ad opporsi di comune accordo all’annessione dell’Austria alla Germania. È del resto l’applicazione dei trattati sulla quale noi non abbiamo mai mutato avviso» 33. Il 22 luglio Besnard rivide Mussolini e, dopo avergli chiesto se riteneva di dover attendere la nuova risposta tedesca (inviata il 20 luglio) per sciogliere la riserva sul patto di garanzia, confermò le migliori intenzioni del suo paese verso un patto bilaterale, a tutela del Brennero e contro l’Anschluss. Mussolini rispose che non aveva mai cessato di pensare agli interessi comuni di Italia e Francia, paesi «già legati nel presente»; ma che tuttavia egli desiderava seguire gli sviluppi della situazione e attendere la conclusione delle conversazioni anglo-franco-tedesche sul patto, prima di pervenire ad un preciso accordo con la Francia. «Penso – concluse Besnard – che non abbiamo ora che da attendere, a meno di nuovi eventi, che la conversazione sia ripresa dallo stesso governo italiano» 34. Besnard vide dunque svanire la linea politica che egli intendeva adottare nei confronti dell’Italia, ovvero cogliere l’attimo e concludere rapidamente un accordo bilaterale. Questo progetto veniva frustrato dalla mancanza di precise intese, in Europa e in Mediterraneo. I rapporti italofrancesi rimanevano tuttavia cordiali; Mussolini stesso non aveva risparmiato elogi al governo e alla stampa francese per il loro contegno verso l’Italia. L’atmosfera tra i due paesi era distesa al punto che il Ministro degli Interni italiano, Federzoni espresse al Besnard, il 23 luglio, tutta la simpatia dell’opinione pubblica per l’azione francese condotta in Marocco contro le sollevazioni nel Riff. «Ciò è molto significativo – commentò l’ambasciatore
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francese – poiché il signor Federzoni rappresenta in seno al Ministero l’elemento nazionalista ed è l’ex direttore dell’Idea Nazionale» 35. Anche se, provenendo da un personaggio di estrazione nazionalista, le buone disposizioni di Federzoni potevano rappresentare un’esca per sollecitare la Francia ad affrontare le questioni coloniali. La risposta tedesca, pervenuta il 20 luglio, rese più impegnativi i negoziati per la ricerca di una formula efficace di patto di garanzia e per concordare una replica al documento appena giunto da Berlino; Chamberlain disse a Della Torretta che «prima di pronunciarsi sulla risposta tedesca del 20 luglio intendeva avere uno scambio di idee con i Gabinetti di Parigi e di Bruxelles» 36. A Parigi, Briand assicurò Romano Avezzana che la Francia non avrebbe replicato alla nuova nota tedesca prima di concertarsi con Mussolini 37. Ma da una lettera privata del 6 agosto 1925 di Phipps a Chamberlain emerge la convinzione del Quai d’Orsay che la nuova risposta alla Germania fosse da concordare solo tra Londra e Parigi, mentre l’Italia ed il Giappone dovevano essere consultate in seguito ed a titolo di cortesia 38. Del resto attendere lo sviluppo degli eventi e la chiusura del negoziato tripartito, tra Francia, Gran Bretagna e Germania, era negli intenti dello stesso Mussolini. Inglesi e francesi si incontrarono a Londra, l’11 e 12 agosto. Un’importante conversazione tra la delegazione francese (guidata da Briand e comprendente Berthelot, De Fleuriau, Fromageot e Léger) e quella britannica (composta da Chamberlain, Tyrrell, Hurst, Lampson, Selby e Bennett) ebbe luogo al Foreign Office, l’11 agosto, per esaminare il progetto francese di risposta alla Germania. Chamberlain propose di inserire un riferimento esplicito all’articolo 19 del Patto della Società delle Nazioni (credendolo forse il modo più rapido per legare la Germania revisionista al nuovo sistema), ma dove’ affrontare le obiezioni di Fromageot, per il quale la tal cosa avrebbe incoraggiato la Germania a servirsene, non appena entrata nella lega ginevrina; mentre era preferibile, a suo parere, la formulazione contenuta nel quarto paragrafo della prima sezione del progetto francese (irrinunciabilità dei diritti della Francia). Fu approvata inoltre la modifica al paragrafo precedente, proposta da Briand, onde ribadire l’inscindibilità dell’osservanza del
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patto di sicurezza dal rispetto degli altri trattati. Buon esito ebbe la proposta di Chamberlain di richiamare, al paragrafo quinto del progetto, le note interalleate del 26 gennaio (sul disarmo tedesco) e del 2 giugno (sull’evacuazione di Colonia). Non trovò difficoltà anche l’altra proposta inglese di puntualizzare che era la mancanza di sicurezza ad impedire ancora quel disarmo generale auspicato dalla Germania. Sempre da Chamberlain venne la precisazione che il non ricorso all’uso della forza, se non sotto mandato della Lega ginevrina, era condizione indispensabile per concludere il patto di garanzia. La definizione degli estremi di aggressione e delle relative conseguenze fu quindi oggetto di analisi tra il ministro britannico e Fromageot; ma la soluzione venne lasciata al giurista francese ed al collega inglese Hurst. Al termine di questo primo ciclo di conversazioni, Briand e Chamberlain acconsentirono ad invitare il consulente giuridico del ministero degli esteri tedesco, Gaus, e possibilmente il suo omologo belga, Rolin, per uno scambio di vedute a Londra, propedeutico alle conversazioni che i due ministri e Stresemann avrebbero tenuto a Ginevra o altrove 39. L’ambasciatore italiano a Londra, qualche giorno dopo, comunicò che uno schema di patto di sicurezza era già stato redatto, sulla base dei recenti incontri di Londra tra Chamberlain e Briand 40. La linea adottata a Londra da Chamberlain e Briand mirava a dissolvere l’impressione che si volesse imporre alla Germania qualcosa di predefinito, cui dare o negare il proprio consenso. Gaus, infatti, avrebbe preso a Londra informazioni, magari avrebbe dato suggerimenti, per poi riferire a Stresemann, in vista delle conversazioni che questi avrebbe intrattenuto con i colleghi inglese e francese. Ma dietro la condotta di Chamberlain si nascondeva il desiderio, come egli stesso ammise l’11 agosto con D’Abernon, di riscrivere l’alleanza francopolacca, nell’interesse tedesco e britannico 41. L’entrata nella Società delle Nazioni avrebbe dato alla Germania, infatti, la possibilità di servirsi dell’articolo 19 del Covenant e, conseguentemente, di porre in discussione l’inamovibilità delle frontiere orientali. La reciproca difesa del territorio dei due contraenti, prevista nel preambolo del trattato francopolacco del 19 febbraio 1921, era poi da intendersi come difesa da aggressione non provocata (ex art.3).
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L’accenno all’alleanza francopolacca, fatto da Chamberlain a D’Abernon, rivela il nesso per lui esistente fra tale allenza ed il patto di garanzia. Divergevano dunque le linee di Parigi e di Londra su questo importante aspetto della sicurezza. Le pacifiche aspirazioni tedesche ad una revisione delle frontiere orientali non erano, per gli inglesi, da considerare casus belli. Ed il principio del rispetto ai trattati non escludeva l’“evoluzione” di essi, il loro adattamento a nuove circostanze e situazioni, come previsto dall’articolo 19 del Covenant. La Francia, in fondo, ormai accettava questa visione, ma a patto di poter rimpiazzare le sue alleanze con qualcosa di plausibile, ossia rivestendo il ruolo di garante dei trattati di arbitrato orientali. Ma anche tale proposito, quando non fu impedito da Londra, lo fu, come vedremo, da Berlino. Dalle conversazioni anglofrancesi di Londra scaturì il testo della nuova risposta francese alla Germania. La Francia prendeva atto dell’aspirazione tedesca ad una pace europea, basata su garanzie complementari di sicurezza e si compiaceva del fatto che la Germania perseguisse tale intento senza subordinarlo ad una revisione del trattato di pace; anche se essa aveva fatto presente la possibilità di adattare i trattati preesistenti al nuovo patto di garanzia. La Francia, tuttavia, doveva ribadire che tale patto era «anzitutto fondato sul rispetto scrupoloso dei trattati che formano la base del diritto pubblico dell’Europa», e che ciò era la «condizione prima» per entrare nella Società delle Nazioni. Una volta in quest’organismo, la Germania avrebbe potuto «far valere i suoi desiderata», al pari degli altri stati, e sottoporre all’esame del Consiglio i suoi progetti. Non erano condivisibili le remore della Germania ad entrare nella Società delle Nazioni. La Francia ed i suoi alleati dovevano chiarire alla Germania che l’ingresso in quest’organismo, «nelle condizioni del diritto comune», era «la base di ogni intesa sulla sicurezza», e che mancando la sicurezza era impossibile procedere al disarmo generale. Occorreva altresì precisare che modello dei futuri trattati di arbitrato tra la Germania, da un lato, e la Francia, il Belgio, e «gli altri vicini della Germania e firmatari del Trattato di Versailles», dall’altro, non poteva essere il trattato svizzerotedesco, in quanto questo lasciava al di fuori della procedura arbitrale le questioni
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«più importanti, d’ordine politico, giusto quelle che sarebbero suscettibili di condurre alla guerra». Occorreva dunque che i previsti trattati d’arbitrato regolassero questioni giuridiche e questioni politiche indistintamente; l’arbitrato obbligatorio era quindi altra condizione indispensabile per il patto di sicurezza. La Francia non comprendeva poi le resistenze tedesche ad una garanzia sui trattati di arbitrato: non al garante di questi trattati, infatti, spettava decidere chi fosse l’aggressore. «È aggressore – specificava la nota francese – chi tale si designa da se stesso, per il solo fatto che, invece di prestarsi ad una soluzione pacifica, ricorre alle armi o viola sia le frontiere, sia, nel caso del Reno, la zona smilitarizzata». Del resto, l’idea di garantire i trattati di arbitrato era stata giudicata conforme allo spirito del Covenant durante l’ultima sessione dell’Assemblea della Società delle Nazioni. Si potevano, comunque, studiare i modi per adattare il gioco della garanzia alla natura della violazione ed alle circostanze, onde assicurare la massima imparzialità. Il Governo tedesco era invitato pertanto ad intrattenere un negoziato, sulla base delle considerazioni svolte, per concludere un trattato di garanzia 42. Dagli incontri di Londra scaturì anche un progetto di patto di sicurezza che fu la base per i previsti lavori dei giuristi (vedansi §§ 3 e 4) 43. Sempre nel corso dei colloqui anglofrancesi, l’ambasciatore statunitense a Londra volle esprimere il vivo interesse del suo paese verso un patto di sicurezza europea e promise a Briand che, da parte americana, non sarebbe mancato il più attivo contributo, sia pure in forma indiretta ed ufficiosa, ai fini di un risultato positivo dei negoziati. Il ministro francese, dapprima piuttosto contrariato da quella che riteneva un’indebita intromissione 44, fece in seguito buon viso, in quanto la Gran Bretagna manteneva con gli Stati Uniti una sostanziale unità di vedute sui problemi della sicurezza. L’ambasciatore americano a Londra fu così tenuto al corrente delle conversazioni in corso. Per osservare la posizione italiana in questo momento, va detto che a Roma era noto il desiderio di Chamberlain di evitare eccessive precisazioni nella nuova risposta alla Germania, in quanto una maggiore elasticità le avrebbe dato la sensazione di collaborare effettivamente alla stesura del patto di garanzia. Il ministro britannico riteneva anche che la garanzia non
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doveva essere automatica, ma scattare per decisione di un terzo stato che fungesse da garante, e che occorresse restringere la casistica riguardante la garanzia stessa 45. Già prima dell’arrivo di Briand a Londra, Chamberlain aveva informato l’ambasciatore italiano, Della Torretta, che alla prossima sessione dell’Assemblea della Società delle Nazioni, avrebbe impedito di riaprire la questione del Protocollo di Ginevra, e si sarebbe adoprato per sottrarre alla competenza dell’Assemblea ogni discussione sul patto di garanzia, confidando in un eguale atteggiamento dell’Italia 46. Secondo le informazioni date da Chamberlain a Della Torretta, la formula adottata nel rispondere alla Germania era abbastanza ampia nei suoi termini. Alcune questioni restavano indefinite, e tra queste la frontiera orientale tedesca, ma i francesi erano pur sempre liberi di accordarsi a tal riguardo direttamente con Berlino. Si considerava ormai conclusa la fase della corrispondenza diplomatica, mentre se ne apriva una nuova, con la convocazione a Londra, entro quindici giorni, di «una riunione di giuristi dei vari ministeri degli esteri, incluso il tedesco» per la redazione di un testo del patto di sicurezza.A ciò avrebbe fatto seguito «una ‘conversazione’ tra i ministri degli affari esteri alleati e Stresemann» 47. Mussolini disponeva di alcuni elementi utili per una valutazione complessiva dei problemi sul tappeto. La conferenza anglofrancese di Londra si era chiusa con un rilevante successo britannico, merito di Chamberlain e dei suoi collaboratori, ma anche della «ferrea volontà» del Governo Baldwin di seguire i colloqui anglofrancesi «e potere quindi offrire maggiore resistenza ai tentativi di Briand» di condurre le cose in modo da spiacere all’opinione pubblica britannica, ossia far passare nel negoziato della sicurezza una concezione che gli inglesi ben conoscevano e che per essi implicava oneri maggiori. Per questo motivo, nonostante l’inizio, il 7 agosto, delle vacanze parlamentari, quasi tutti i componenti del Governo di Sua Maestà avevano deciso di restarsene a Londra 48. Altro elemento da considerare erano i problemi sorti tra inglesi e francesi, agli inizi di agosto, sulla vessata questione dei debiti interalleati, al punto che si considerò necessario il rinvio di un incontro tra i rispettivi
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ministri finanziari. Mussolini doveva inoltre tener presente che Chamberlain non voleva aggravare la posizione del Governo Luther, fortemente osteggiato all’interno dai Tedesco-nazionali, forse appoggiati dall’Unione Sovietica 49. Bisognava infine ricordare che si apriva ormai una fase nuova nei negoziati sulla sicurezza, e quindi Palazzo Chigi doveva decidere al più presto se inserirvi o meno l’Italia. Quando giunsero da Londra a Roma le notizie sui risultati del convegno anglofrancese, Mussolini le ritrasmise per via telegrafica alle ambasciate di Bruxelles, di Berlino e di Parigi. Romano Avezzana fu pregato di incontrare subito Briand (ritornato in patria) e, senza comunicare le informazioni ricevute, ma dando a vedere di conoscere quanto il ministro francese aveva discusso con Chamberlain, chiedergli se non ritenesse di fornire personalmente qualche ragguaglio in proposito 50. Al contempo Mussolini telegrafò a Della Torretta che il governo italiano attendeva di ricevere il testo della nota di risposta alla Germania, concordata tra Chamberlain e Briand, per poterne esaminare il contenuto; anche se fin da ora assicurava di condividere l’atteggiamento inglese. Mussolini aggiunse che per questo l’Italia si sarebbe astenuta da osservazioni particolari, ed era pronta a svolgere qualsiasi ruolo utile ai fini della buona riuscita dei negoziati sul patto di garanzia. Egli precisò pure che l’Italia doveva entrare nel patto di sicurezza, ritenuto «patto fondamentale». Per queste ragioni, invece di formulare osservazioni e controproposte, sarebbe stato meglio per l’Italia partecipare ai previsti studi condotti dai giuristi, ai fini dell’adozione di un testo definitivo di patto. Nel «rispetto della situazione creata dal trattato di pace e dai diritti e doveri che questo contempla tanto per i vincitori quanto per i vinti», l’Italia poteva, a giudizio di Mussolini, «trovare anche la difesa dei problemi che particolarmente la interessavano» e partecipare al patto renano, se questo fosse stato redatto sulle basi prospettate da Chamberlain, del tutto affini al punto di vista italiano 51.Tale punto di vista è messo ulteriormente in chiaro dalla bozza del telegramma del quale ora abbiamo citato alcuni stralci. Essa reca la data del 15 agosto e contiene una parte non più trasmessa (e che non compare per-
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ciò nei Documenti Diplomatici Italiani 52). «Sono evidenti – si legge in questa parte – le molteplici ripercussioni che per varie ragioni questi criteri sono destinati o possono avere (sic) oltre che formalmente nel R[eno] in via generale su tutta quanta la questione della s[icurezza] e[uropea] e sugli altri articoli del T[rattato], anche in quelli che possono interessarci non solo indirettamente ma anche in modo diretto in rapporto ai problemi che ci toccano da vicino. Ed è quanto evidente (sic) la convin[zione] italiana a partecipare ai prossimi lavori per l’elaboraz[ione] di tali criteri per la difesa e la garanzia della pace in Europa» 53. L’incaricato d’affari Roger consegnò, il 17 agosto, a Palazzo Chigi il progetto di nota alla Germania. «Il Governo francese – egli scrisse in una lettera a Mussolini ivi allegata – sarebbe felice di sapere se questo progetto di risposta incontra il consenso del Regio Governo. Mi permetto di richiamare l’attenzione di Vostra Eccellenza sul carattere strettamente confidenziale che deve conservare questo documento sino a nuovo ordine» 54. Mussolini esaminò il progetto e il 18 agosto espresse alcune sue personali impressioni, in un appunto scritto di suo pugno. In esso si legge quanto segue: «L’assentire, come ci viene richiesto, all’invio della nota alla Germania. Da considerare: a) che in essa nota viene ripetutamente e solennemente proclamato che il Patto di Garanzia non esclude, anzi presuppone il rispetto del Trattato di Versaglia e quindi anche dell’articolo 80 del medesimo trattato; b) che per quanto concerne l’entrata della Germania nella Lega delle Nazioni, il Governo italiano ha già precisato il suo atteggiamento (vedi mio discorso al Senato); c) che – dopo la nota – è necessaria una prima conferenza dei giuristi. Mia impressione piuttosto negativa» 55. Questo documento, reso noto dal Lefebvre d’Ovidio 56, illustra molto bene la posizione italiana e ben sintetizza i princìpi della politica di Mussolini in tema di sicurezza. In primo luogo, esso indica che l’Anschluss, piuttosto che la garanzia al Brennero, era il vero cruccio; in secondo luogo, evidenzia come Mussolini, pur scontento per come andavano le cose, ritenesse importante uscire dal riserbo manifestato in precedenza. Mussolini rese ufficiale la sua posizione in una nota lasciata, il 18 agosto, all’incaricato francese Roger. «Da un rapido esame del documento –
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egli scrisse – apparirebbe che, tenuto conto delle varie circostanze, esso può rappresentare quanto di meglio sia possibile nelle presenti condizioni. D’altronde, il Governo italiano era già persuaso di quello che, nella stessa nota, riconosce il Governo francese, circa le difficoltà e i ritardi che comporterebbe la continuazione, a mezzo di scambi di note, di un negoziato su questioni così delicate. Ciò premesso il Governo italiano non ha difficoltà a dare il suo consenso al progetto di risposta in parola» 57. Pur non manifestando soddisfazione, Mussolini, approvava dunque l’operato degli ex alleati, nell’attesa che questi si decidessero a considerare l’Italia con un’occhio più attento. Restava tuttavia il rammarico di non potersi, al momento, fare di più. Ottenuto l’assenso italiano, si potè presentare, il 24 agosto, la risposta alla nota tedesca, del 20 luglio precedente 58. Terminava così la fase della corrispondenza diplomatica ordinaria, cui ne subentrava una diversa, contraddistinta da una conferenza dei giuristi, cui far seguire delle conversazioni tra ministri. Erano maturate le condizioni perché l’Italia uscisse dal riserbo. Essa, infatti, rischiava di restare isolata e di partecipare al patto di sicurezza non da contraente originario, ma in posizione subordinata. Il primo contatto con i tedeschi sarebbe avvenuto in occasione dei lavori dei giuristi a Londra: come mancarvi, per poi accettare un testo predefinito di patto che poteva riservare all’Italia qualche sorpresa? Come consolidare il prestigio dell’Italia, se appariva ormai chiaro che gli ex alleati avrebbero proceduto da soli in un negoziato così importante? Occorreva dunque abbandonare il riserbo e vedere come contribuire alla costruzione della sicurezza europea.
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3. L’ITALIA
E LA CONFERENZA DEI GIURISTI DI
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La conferenza dei giuristi era stata convocata a Londra, alla fine di agosto del 1925, per dare ragguagli ai tedeschi sul punto di vista degli anglofrancesi e sugli aspetti giuridici e tecnici del patto di sicurezza. La Germania accettò di procedere su questa linea e lo chiarì nella nota del 27 agosto, in risposta a quella francese del 24 precedente 59. Il comunicato congiunto sull’imminente convegno dei giuristi fu concordato dal Governo tedesco con i rappresentanti diplomatici a Berlino e pubblicato quello stesso 27 agosto. «La Francia e i suoi alleati considerano che sarebbe un vantaggio pratico per i consiglieri giuridici dei quattro Ministeri degli Esteri di Germania, Belgio, Francia e Gran Bretagna il riunirsi al più presto possibile onde consentire ai rappresentanti della Germania di venire al corrente dei punti di vista dei Governi alleati sugli aspetti giuridici e tecnici dei problemi in gioco. Una volta concluso tale studio preliminare, i Ministri degli Affari Esteri di Germania, Belgio, Francia e Gran Bretagna potrebbero concordare un incontro che, conformemente al desiderio delle Potenze alleate, accelererebbe la definitiva soluzione dei problemi in discussione» 60. Come si vede, l’Italia non era nemmeno presa in considerazione, se non come uno degli alleati a nome dei quali la Francia dichiarava di parlare. Questo aspetto non ci sembra secondario; ma per meglio precisarlo occorre risalire ai precedenti immediati della conferenza dei giuristi. Erano appena terminati gli incontri anglofrancesi di Londra, quando si parlò di un convegno in Svizzera tra Chamberlain, Briand e Stresemann; sulla notizia, accolta con beneficio d’inventario, Mussolini chiese di indagare, precisando che sarebbe stato opportuno che anche lui vi partecipasse, per quanto impossibilitato ad allontanarsi dall’Italia 61. L’ambasciatore a Londra precisò che, prima di tutto, si sarebbe tenuta una riunione di giuristi, i quali avrebbero elaborato un testo da sottoporre ai ministri in un «incontro informale a tre»; di più Della Torretta non potè sapere in quanto Chamberlain, Tyrrell e i responsabili dei dipartimenti competenti del Foreign Office, erano assenti da Londra. «In conseguenza – concluse l’ambasciatore – mi permetto di suggerire che dovendosi fra pochi giorni trovare
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riuniti [a] Ginevra i Ministri degli Esteri alleati interessati al Patto [di] Sicurezza, [la] nostra delegazione potrebbe utilmente indagare e tastare [il] terreno sia nel caso [della] riunione [dei] giuristi (...) sia nel caso [dell’] eventuale riunione in Isvizzera (...)» 62. Confermando le istruzioni già inviate a Londra il 17 agosto 63, Mussolini scrisse alle altre ambasciate, il successivo 26, che l’Italia intendeva partecipare con un proprio rappresentante ai lavori di redazione del patto di sicurezza, in seno alla conferenza dei giuristi 64. L’Italia aveva aderito ai criteri guida dell’azione degli ex alleati, seguendo tappe così ordinate: un accordo di massima con la Gran Bretagna, conosciute le linee generali della sua politica; l’assenso alla nuova nota francese alla Germania; e, dulcis in fundo, un’attiva partecipazione dell’Italia ai previsti lavori dei giuristi. Ma, a questo punto, sorse, a nostro avviso, un vero e proprio equivoco. Mussolini pensava: a) che fosse compito della conferenza dei giuristi redigere ex novo il testo del patto; b) che l’Italia sarebbe stata chiamata certamente a partecipare ai lavori nella capitale britannica. La realtà era ben diversa: Chamberlain e Briand avevano già concordato, incontrandosi a Londra, un testo di patto che, per i contenuti e per le circostanze in cui era nato, costituiva la base di partenza per la futura conferenza dei giuristi (e, del resto, esso era opera dei due maggiori esperti del tempo, Hurst e Fromageot). Anche se poteva averne avuto sentore, Mussolini non percepiva il carattere pressoché definitivo della bozza preparata a Londra. In secondo luogo, Chamberlain e Briand non avevano affatto considerato l’ipotesi di chiamare l’Italia a partecipare ai lavori dei giuristi 65. Illuminanti sono alcuni telegrammi pervenuti a Roma. Da Ginevra, ad esempio, Senni ritrasmise informazioni fornite dal vicesegretario generale della Società delle Nazioni, Attolico, dalle quali si evinceva che, escludendo per il momento l’ipotesi di una formale conferenza con Stresemann, Chamberlain e Briand ritenevano più utile un incontro “a tre” fra i giuristi francese, inglese e tedesco 66. Della Torretta poi informò che, qualora la Germania avesse riservato buona accoglienza alla nuova nota alleata e aperto così la strada al piano concordato fra Chamberlain e Briand, «i giuristi dei Ministeri degli Affari Esteri interessati» (in altri termini, quelli inglese,
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francese e tedesco) si sarebbero riuniti in Inghilterra, nella casa di campagna di Sir Cecil Hurst 67. Non era dunque intenzione degli alleati invitare a Londra anche un giurista italiano per discutere della redazione del patto di sicurezza 68; questo anche se, durante i colloqui londinesi, Chamberlain e Briand avevano ribadito che v’era comunità d’intenti contro l’Anschluss, e non avevano escluso un’intima collaborazione con l’Italia 69. Tornato a Parigi, Briand vide l’incaricato d’affari italiano, Summonte che, al primo incontro, il 26 agosto, fece presente il desiderio dell’Italia di partecipare sia alla conferenza dei giuristi, sia a quella dei ministri. Briand rilevò che le cose non erano giunte al punto da poter definire “conferenza” quella che si pensava sarebbe stata una conversazione tra ministri; egli aggiunse tuttavia che «per prevedere la partecipazione di un giurista italiano alla riunione di Londra, occorreva necessariamente che il signor Mussolini si dichiarasse pronto a partecipare al Patto stesso, il cui studio era oggetto della riunione» 70. Briand aggiunse che con l’adesione dell’Italia il patto renano sarebbe stato «perfetto», e che non comprendeva come si nutrissero ancora riserve a tal riguardo. Summonte obiettò che l’Italia, comunque, seguiva i negoziati con simpatia. Briand, allora, tornò sulle offerte avanzate nel mese di giugno: «Il patto è ormai cosa fatta», egli disse. «Se l’Italia vuole unirsi (manca) per garantirci le frontiere [del] Reno, la Francia garantirebbe all’Italia la frontiera del Brennero e quelle dell’Austria» 71. La mattina del 28 agosto Summonte rivide Briand, e fu poi ricevuto da Léger. Il primo gli disse di aver dato istruzioni all’ambasciata di Francia a Roma, in vista dell’imminente incontro dei giuristi a Londra, di chiedere a Mussolini «se ritenesse giunto il momento di pronunciarsi circa [l’] adesione o meno dell’Italia al patto renano». Continuando il colloquio con Léger, Summonte osservò che invero «sarebbe stato preferibile fare partecipare senz’altro l’Italia alle attuali conversazioni» e che riteneva «poco opportuna questa richiesta di adesione preventiva», visto che «l’atteggiamento dell’Italia avrebbe potuto definirsi appunto partecipando alle imminenti riunioni». Léger replicò che a dette riunioni avrebbero dovuto intervenire solo le potenze che già avevano aderito al patto di sicurezza, trattandosi non di inte-
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ressi generali dell’Europa, ma della frontiera occidentale tedesca. A questo punto della discussione, Léger ritornò sulle offerte di Briand: in caso di adesione italiana al patto renano, la Francia avrebbe garantito «oltre [alla] frontiera [del] Brennero anche [le] frontiere austriache quali risultano dai trattati esistenti opponendosi alla annessione [dell’] Austria alla Germania» 72. La questione della partecipazione italiana alla conferenza dei giuristi venne affrontata anche in altre sedi. Il 27 agosto l’ambasciatore italiano a Berlino informò Mussolini che il governo tedesco aveva deciso l’invio a Londra dei suoi esperti giuridici, perché prendessero contatto con i colleghi francesi, inglesi e belgi. I tedeschi non avevano sentito menzionare il nome dell’Italia, ma tenevano comunque ad assicurare che la partecipazione di questa alla riunione dei giuristi e ad ogni altro futuro convegno sarebbe stata graditissima 73. Anche l’esperto giuridico belga, Rolin, espresse una simile opinione, e promise al reggente l’Ambasciata d’Italia, Daneo, di parlarne con il ministro degli esteri Vandervelde, consigliando tuttavia all’Italia di compiere immediatamente un passo presso il governo britannico, unico contrario ai desideri italiani 74. Mussolini, da parte sua, in un colloquio in cui l’incaricato d’affari tedesco a Roma, von Prittwitz, aveva prospettato la possibilità di una riunione dei giuristi di Francia, Gran Bretagna, Belgio e Germania, rilevò l’opportunità che a tale riunione presenziasse anche un giurista italiano. Prittwitz non ebbe nulla da obiettare, ma aggiunse che l’invito doveva esser fatto dagli alleati dell’Italia. Mussolini diede allora istruzioni ai rappresentanti diplomatici a Bruxelles e a Parigi di compiere i passi opportuni a nome del governo italiano; diede istruzioni poi all’ambasciatore a Londra di informarsi sul preciso orientamento di quel governo, o meglio di assicurarsi che l’intervento di un giurista italiano all’imminente riunione era effettivamente desiderato 75. Contemporaneamente, Mussolini fece chiedere a Londra e a Berlino di accettare, come già Briand aveva fatto 76, l’ipotesi di scegliere una località dell’alta Italia come sede del previsto incontro tra i ministri, essendogli impossibile lasciare il paese 77. Della Torretta incontrò Tyrrell e agì secondo le istruzioni ricevute da Roma. L’alto funzionario del Foreign Office disse di non poter rispondere
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personalmente sulla questione della partecipazione italiana alla conferenza dei giuristi, ma che avrebbe comunque trasmesso a Chamberlain le osservazioni sottopostegli, anche se la riunione dei giuristi non gli sembrava imminente 78. Tale affermazione contrastava assolutamente con quanto a Roma si era già appreso da Bruxelles 79. Per chiarire la posizione di Chamberlain al riguardo, occorre considerare le istruzioni inviate, sin dal 25 agosto, all’incaricato d’affari britannico a Roma, Ovey. «Prego informare il Presidente del Consiglio – scriveva Chamberlain – che vi ho chiesto di assumere informazioni circa la sua venuta a Ginevra. Sarei molto lieto di incontarlo nuovamente per discutere su quanto è avvenuto dopo l’ultimo incontro a Roma. Il mio proposito è di arrivare a Ginevra il 1º settembre e di fermarmi dieci giorni, ma credo che vi potrei rimanere ancora un giorno o due, se ciò sarà necessario per un incontro con Mussolini. Penso che sarà molto utile se il Signor Mussolini potrà venire; il Signor Briand sarà anch’egli a Ginevra». Il 28 agosto, per il tramite di Paulucci de’ Calboli, il messaggio pervenne a Mussolini il quale, nel pomeriggio di quello stesso giorno, riceve’ Ovey. Di questo colloquio si ha testimonianza diretta da un telegramma inviato a Della Torretta alle ore 18. «Ho risposto a questo Incaricato d’Affari Britannico – scrisse Mussolini – che ero molto sensibile [al] desiderio manifestato da Chamberlain e che io sarei stato molto lieto [di] incontrarlo, che dovevo però confermare con rammarico quanto avevo già manifestato a V[ostra] E[ccellenza] (mio telegramma n.872 80) e cioè non poter prendere impegno allontanarmi dall’Italia; e ho concluso secondo quello che Le ho telegrafato col telegramma n.920 di Gabinetto 81. Superfluo – continuava Mussolini – che osservi a V[ostra] E[ccellenza] che [il] desiderio manifestato da Chamberlain pare costituire un evidente elemento in favore del buon esito del passo affidatole (...) di cui sarebbe palese il vantaggio per tutti» 82. Del suo colloquio con Mussolini Ovey fece a Chamberlain un resoconto alquanto diverso: «Sua Eccellenza – scrisse l’incaricato d’affari britannico – vi ringrazia caldamente e spera di poter venire, se possibile, a Ginevra, ma non è in grado di decidere quando, allo stato dei fatti. Invierà
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definitiva risposta tramite l’ambasciata italiana a Londra non appena le circostanze lo permetteranno» 83. Terminato il colloquio con Mussolini, Ovey ne ebbe un altro con Paulucci de’ Calboli, il quale lo informò che il governo italiano aveva appreso della partenza per Londra del giurista tedesco Gaus, e che, a differenza di quanto affermato da Tyrrell, la conferenza tecnica sul patto di garanzia era imminente. Paulucci sottolineò inoltre che il governo tedesco aveva accolto l’idea della partecipazione di un giurista italiano ai lavori. Il governo italiano chiedeva, quindi, a quello britannico di chiarire la propria posizione a riguardo, essendo tra l’altro probabile che l’ambasciatore italiano a Londra non si accorgesse del rapido evolvere degli eventi (per tacere del fatto che Della Torretta non era stato finora in grado di contattare direttamente Chamberlain) 84. Chamberlain, però, condivideva appieno la visione di Briand: non sarebbe stato opportuno ammettere ai lavori dei giuristi l’Italia, se questa non avesse chiaramente assicurato la propria partecipazione al futuro patto. L’Italia, inoltre, avrebbe potuto dare il suo contributo, esprimere il suo parere e conoscere quello degli alleati in occasione dell’annuale sessione dell’Assemblea della Società delle Nazioni, all’inizio di settembre; poteva esser questa anche un’occasione propizia per un amichevole confronto con Mussolini. Ancor meglio sarebbe stato apprendere che l’Italia avrebbe partecipato al patto di garanzia e che Mussolini si sarebbe recato al previsto convegno dei ministri per firmarlo. Chamberlain, il 28 agosto, espose il suo pensiero all’ambasciatore inglese a Parigi, chiedendo di illustrarne i contenuti a Briand, sperando nel di lui appoggio 85. Il passo preannunciato da Briand per chiedere l’adesione italiana al Patto renano fu compiuto dall’incaricato d’affari francese a Roma, Roger, nel corso di un colloquio avuto, il 28 agosto, col marchese Paulucci de’ Calboli Barone (Mussolini era impegnato in Consiglio dei Ministri). Fece da appendice a questo colloquio una conversazione tra Roger e il Segretario Generale del Ministero degli Esteri, Contarini, sollecitata da quest’ultimo 86. Roger raccontò al Paulucci come il Summonte si fosse prodigato per far intendere a Briand le ragioni in favore di una partecipazione italiana alla
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conferenza dei giuristi; e come Briand, in linea di massima favorevole all’ipotesi, paventasse la reazione dell’opinione pubblica, qualora l’Italia, dopo aver partecipato alla riunione, non avesse aderito al patto 87. Per ovviare al problema, Briand «avrebbe voluto conoscere previamente con quale spirito l’Italia sarebbe intervenuta alla riunione, se cioè il suo interessamento significava aderire al patto». Paulucci replicò che la presenza italiana alla riunione dei giuristi avrebbe certamente fornito maggiori elementi di giudizio per decidere in proposito, e «che era preferibile per tutti che le eventuali osservazioni dell’Italia fossero fatte in sede di riunione giuridica, anziché dopo». Si poteva anche considerare la presenza del giurista italiano a titolo di observer. «Ho ricavato da questo colloquio – riferì Roger al Quai d’Orsay – l’impressione che il signor Mussolini annetta un valore molto grande al fatto che l’Italia sia rappresentata alla riunione dei giuristi e che egli comprenda, oggi meglio di ieri, che l’Italia ha interesse, anche qualora non ottenesse tutte le garanzie desiderate, a partecipare ad un accordo del quale siano parti l’Inghilterra, la Francia e il Belgio» 88. Terminato il colloquio con Paulucci, Roger fu convocato da Contarini, che volle intrattenerlo sulla natura della partecipazione italiana, volta a favorire «la causa della pace che la Francia persegue» 89. Le fonti francesi ci consentono di seguire da vicino questo colloquio, altrimenti desumibile soltanto dal fugace cenno fattone dal Paulucci nel suo appunto d’ordinanza. Contarini tenne a spiegare al Roger l’esatta posizione dell’Italia. Personalmente, egli era sempre stato partigiano della partecipazione italiana al patto di garanzia. Ora necessitava che considerazioni d’ordine generale avessero la meglio su questioni particolari: occorreva difendersi da una possibile rivalsa tedesca e mantenere la coalizione vincitrice ben coesa. L’Italia doveva seguire perciò l’esempio di Francia, Inghilterra e Belgio e aderire al patto, benché questo non le assicurasse tutte le garanzie desiderate. Questa era stata la tesi da lui condivisa, fin dal principio. Mussolini, invece, aveva suggerito di subordinare l’adesione italiana a certi vantaggi: il che spiegava il suo atteggiamento di benevola attesa, essendo comunque anch’egli favorevole in via di principio al patto. Contarini affermò di essersi impegnato a convertire Mussolini alle sue idee, aiutato in questo anche
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dai telegrammi pervenuti da Londra circa gli incontri tra Chamberlain e Briand. Questi telegrammi avevano indotto il capo del governo a prevedere l’ingresso dell’Italia in un patto a cinque, da completarsi con accordi a due o a tre; del resto, era sufficiente riconoscere l’inviolabilità dei trattati, per garantirsi contro l’eventualità di un Anschluss. Contarini aggiunse di considerare anche lui desiderabile la partecipazione dell’Italia alla conferenza dei giuristi. «Sarebbe ciò per noi – disse – la porta d’ingresso nel patto: aiutateci ad oltrepassarne la soglia. Il nostro delegato non intralcerà la vostra azione, ve ne dò assicurazione». Roger dove’ certamente essere colpito dalle parole del Segretario Generale, visto che così scrisse al suo governo: «In presenza di dichiarazioni così nette vi sarebbero, io credo, gravi inconvenienti a non accogliere la domanda italiana» 90. Contarini evidentemente riteneva necessario affrettare la “conversione” di Mussolini alle sue idee, e così far entrare l’Italia nel patto renano senza pretendere contropartite, visto che lo scotto di un tale attendismo sarebbe stato l’isolamento diplomatico del paese; d’altro canto, contentare gli italiani sarebbe tornato ai francesi molto utile in sede di conferenza interministeriale, nel caso in cui i tedeschi avessero posto all’ultim’ora condizioni inaccettabili. La situazione volse dunque in favore dell’Italia, e il governo francese perorò a Londra la causa della partecipazione della “sorella latina” alla conferenza dei giuristi. Ne è prova un dispaccio inviato a Chamberlain, il 29 agosto, dall’ambasciatore britannico a Parigi, Phipps, il quale informava che la situazione era decisamente mutata e che ora i francesi erano nettamente favorevoli a introdurre un giurista italiano fra gli attori dell’ormai imminente conferenza di Londra 91. Altra prova di questo nuovo clima è quanto scrisse, sempre da Parigi, il Summonte. Briand gli aveva fatto sapere di aver sollecitato a Londra la presenza alla riunione dei giuristi di un rappresentante italiano, e di aver addirittura tentato di procrastinare la conferenza di uno o due giorni, onde consentire il tempestivo arrivo del giurista designato da Roma 92. Nello stesso senso, Roger avvisò Paulucci de’ Calboli Barone, il quale lo ringraziò caldamente, e accolse la comunicazione con «marcata soddisfazione» 93. Mussolini potè perciò scrivere a Della Torretta,
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la sera di quello stesso 29 agosto, in questi termini: «[La] nostra partecipazione [alla] riunione [dei] giuristi che riteniamo utile dipende ormai da Chamberlain. [È] indispensabile pertanto che V[ostra] E[ccellenza] trovi [il] modo [di] agire tempestivamente con opportuna efficacia su quest’ultimo sulla scorta [delle] considerazioni comunicatele fin dal 17 cor[rente] (Mio telegramma n.862 94). Non dubito che azione italiana ispirata ai fini della pace e alla realtà della situazione non potrà che riuscire anche questa volta gradita a codesto Governo» 95. Fu alle ore ventuno del 29 agosto che arrivò a Roma, via Parigi, la notizia che Chamberlain era ormai disposto ad ammettere la presenza del giurista italiano, a condizione che questi giungesse a Londra al più tardi martedì 1º settembre 96. Un’ora e mezza dopo, l’incaricato d’affari britannico, Ovey, fu in grado di inoltrare a nome di Chamberlain l’invito ufficiale all’Italia a farsi rappresentare alla riunione dei giuristi. «Mi sarà gradita la presenza di un rappresentante italiano all’incontro dei giuristi – scriveva Chamberlain – e confido sinceramente che lo stesso Signor Mussolini presenzierà all’incontro dei Ministri» 97. Mussolini, ricevuto l’invito, garantì la presenza del giurista italiano per la data indicata dal ministro britannico 98. A rappresentare l’Italia, egli aveva già designato D’Amelio, il quale però, a causa della sua posizione di esperto giuridico italiano presso la Conferenza degli Ambasciatori, preferì rinunciare suggerendo a Mussolini il nome di Massimo Pilotti, a quel tempo stimato giurista presso la Commissione delle Riparazioni 99. Pilotti avrebbe dovuto «seguire attentamente [i] lavori [dei] giuristi, invigilando in modo opportuno intorno a quello che possa più interessarci e riferendo assiduamente» 100. Nell’attesa che Pilotti giungesse a Londra, l’incaricato d’affari italiano Preziosi fu designato a presenziare alla prima seduta della conferenza dei giuristi 101. Essendo ormai riuscita l’Italia nell’intento tenacemente perseguito, l’Agenzia di Informazioni per la Stampa “Alessandro Volta” diramò il seguente comunicato: «Rimasto per qualche tempo indeterminato se l’Italia volesse intervenire o meno, tanto più che la nostra presenza o la nostra assenza non potevano influire in misura sensibile sul nostro atteggiamento, che è quello di riservare le ulteriori decisioni a situazione maturata, è stata poi stabilita la
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partecipazione dell’Italia, venendo designato come esperto il Comm. Pilotti, già noto per aver coperto altre mansioni di carattere internazionale» 102. Dal tono del comunicato Volta sembra quasi che, dopo aver ottenuto di partecipare alla conferenza dei giuristi, l’Italia volesse ancora «riservare le ulteriori decisioni a situazione maturata», ovvero far scadere l’undecima ora per decidere se aderire o meno al patto; e questo contrariamente ai desideri francesi e nonostante le promesse di Contarini.Tale atteggiamento derivava dalla necessità di controllare anche la situazione politica interna, ed in special modo un’opinione pubblica, portata dal regime al disinteresse verso un patto di garanzia che non dava alcunché all’Italia in cambio della sua partecipazione 103. Necessitava ora una “rieducazione” di quest’opinione corrente, perché accettasse l’adesione dell’Italia al patto di sicurezza secondo lo schema contariniano, senza una contropartita tangibile ma con il non trascurabile vantaggio di sedere fra le grandi potenze vincitrici che stavano per “riabilitare” la Germania 104.
4. I
LAVORI DEI GIURISTI E LA REDAZIONE DEL TESTO DEL PATTO
RENANO
La conferenza dei giuristi di Londra si aprì il 31 agosto e durò fino al 4 settembre (i lavori si tennero al Foreign Office). Il ruolo dell’Italia fu tutto sommato secondario: essa non fece altro che ratificare quanto era già stato stabilito nelle sue linee essenziali dai due grandi “alleati” 105. Pilotti, come abbiamo visto, aveva istruzioni abbastanza semplici: tenersi in stretto contatto con l’ambasciatore italiano a Londra, vigilare e riferire sui progressi dei negoziati. Non appena aperti i lavori, il 31 agosto, la Francia mise a disposizione dei convenuti (il giurista italiano doveva ancora arrivare), un primo progetto di patto 106. Si trattava appunto di quel testo già concordato con la Gran Bretagna 107. Ad esso furono apportate modifiche che non ne mutarono affatto la sostanza, come si evince dal confronto dei documenti delle singole delegazioni presenti a Londra 108.
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Nella riunione del pomeriggio del 1º settembre, prima in cui fu presente Pilotti, venne affrontato il problema del deferimento ad arbitrato di possibili controversie tra Francia, Belgio e Germania; fu discussa a tal proposito l’ipotesi di un intervento ad hoc del Consiglio della Società delle Nazioni anche in questioni non soggette ad arbitrato.Venne infine accettata la proposta di Della Torretta (che faceva parte della delegazione italiana) di riservare al tema una riunione ristretta fra i soli giuristi francese, belga e tedesco, tenuti a riferirne poi in seduta plenaria 109. Ma i delegati tedeschi non avevano istruzioni su come affrontare a Londra la questione delle garanzie sulle procedure di arbitrato tra la Germania e i suoi vicini orientali, e questo costituì un serio problema. Le osservazioni principali sul testo del patto furono svolte dai consiglieri giuridici inglese e francese (autori della bozza di lavoro), ed in special modo da Hurst. Questi fece anzitutto notare che vi era nel preambolo un riferimento alla cessazione del trattato di neutralità belga del 1839, per ovviare alle critiche mosse sulle speciali garanzie per la Renania e la frontiera occidentale tedesca, che avrebbero potuto indebolire gli impegni di Versailles sulla frontiera orientale. Hurst sottolineò che la garanzia del 1839 era durata ottant’anni e che le nuove circostanze l’avrebbero riproposta in altra forma. Quanto alla seconda parte dello stesso preambolo 110, Hurst aggiunse che essa incorporava un velato riferimento alla tradizionale politica di sicurezza della Gran Bretagna, basata sull’indipendenza e la stabilità politica dei territori d’oltremanica. Vi fu poi un dissidio tra Gaus e Fromageot, sul preambolo del patto e sull’opportunità o no di far cenno ai trattati di pace, poiché il secondo lo riteneva necessario per l’opinione pubblica francese 111. Si lasciò tuttavia all’esame dei singoli governi la decisione ultima sulla spinosa questione. Nel corso dei lavori, Gaus ribadì l’opposizione del suo paese a qualsiasi ipotesi di garanzia francese sui trattati di arbitrato orientali. Il collega Fromageot obiettò che non era possibile indurre la Polonia a firmare un trattato di arbitrato con la Germania senza tale garanzia 112.A questo punto, il delegato britannico, Hurst, propose uno schema alternativo: la Francia avrebbe potuto dare alla Polonia una garanzia unilaterale, con uno stru-
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mento separato da notificare alla Società delle Nazioni, in modo che fosse conosciuto nei suoi contenuti anche dalla Germania (chiamata a far parte della Lega). «Questo strumento separato – osservava Hurst – metterebbe in grado la Francia, se la Germania attaccasse la Polonia senza adempiere ai termini del trattato di arbitrato, di agire contro la Germania, in quanto l’azione tedesca avrebbe violato l’articolo 16 del Covenant e tale articolo giustificherebbe l’azione francese» 113. La questione della garanzia francese sui trattati di arbitrato fra la Germania e i suoi vicini orientali fu così deferita ad esame posteriore 114. E il 9 settembre, nel corso di un incontro a Ginevra, a consuntivo della conferenza dei giuristi (erano presenti Vandervelde, Scialoja e Chamberlain), Briand avanzò la sua controproposta. Non già la Francia, bensì la stessa Società delle Nazioni avrebbe garantito i trattati di arbitrato orientali, con la Francia quale suo “agente” o “braccio operativo”. Intorno a questa proposta si registrò da varie parti un certo ottimismo 115. In effetti, essa consentiva di conciliare le alleanze orientali della Francia coi diritti sanciti dal Covenant, e di cui anche la Germania avrebbe presto goduto; inoltre, si poteva anche salvare formalmente quel principio di speciale interesse della Francia verso le questioni delle frontiere orientali. Era tuttavia innegabile che la proposta di Briand garantiva anche la Germania: il che significava stralciare dal corpus dell’alleanza francopolacca il principio del rispetto assoluto dello status quo territoriale, ed il divieto di una revisione pur pacifica dello stesso. Il regolamento delle controversie non doveva dunque limitarsi «ad una regione ristretta», bensì «applicarsi al mondo intero» 116. La Polonia, «il reumatismo d’Europa» 117, doveva dunque desistere dalle sue pretese (in ultimo espresse da Skrzynski al rappresentante inglese a Varsavia) 118. Per l’Italia, nel preambolo del patto di garanzia v’erano già dei punti poco chiari. Tralasciando le considerazioni giuridiche (ad esempio, se il patto potesse considerarsi annullamento ovvero prosecuzione della situazione di neutralità del Belgio), il dato politico era che il trattato del 1839 veniva menzionato per meglio tutelare l’indipendenza belga (caposaldo della politica britannica) e quindi per “avvertire” i tedeschi di non minac-
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ciarla ulteriormente. Una tale garanzia, delimitando geograficamente, in modo così chiaro, l’area tutelata, poneva in ombra le altre garanzie dei trattati in vigore. Ma la difesa dell’indipendenza dell’Austria mal si conciliava con una “supergaranzia” di interessi ristretti di alcuni, trascurando le esigenze di sicurezza di altri. Ma è da considerare, con riguardo all’Italia, una circostanza ancora più importante. In sede di conferenza dei giuristi venne precisato che oggetto della garanzia del patto renano, oltre agli articoli 42 e 43, sarebbe stato anche il successivo articolo 180 di Versailles, limitatamente ai paragrafi 1 e 3. Si modificava così la bozza dell’agosto, che al suo articolo 4, paragrafo 3, includeva tutto l’articolo 180. I due paragrafi ora esclusi dal nuovo testo di patto, il secondo ed il quarto, riguardavano l’uno obblighi già adempiuti dalla Germania, l’altro il divieto di alterare il sistema di fortificazione delle sue frontiere orientali e meridionali 119. La nuova formula escogitata a Londra, giuridicamente ineccepibile (il patto renano si occupava infatti delle frontiere “occidentali” della Germania), poteva però rivelarsi politicamente pericolosa per l’Italia (e naturalmente per la Polonia e per la Cecoslovacchia), in quanto poteva indurre i tedeschi a sentirsi liberi di modificare lo status delle loro frontiere orientali e meridionali, con inevitabili implicazioni anche sulla questione austriaca. Non risulta che Pilotti abbia mosso obiezioni alla variazione apportata al paragrafo terzo dell’articolo 4 del patto. «Il giurista tedesco – egli scrisse nel primo rapporto del 5 settembre – ha voluto restringere la menzione dell’articolo 180 di Versailles (contenente il divieto di costruire fortificazioni), fra quelli la cui violazione renderebbe legittima la reazione armata della Francia e del Belgio, ai soli paragrafi di esso che hanno diretto riferimento ai territori renani, poiché l’articolo 180 contempla, con altre sue disposizioni, anche le fortificazioni orientali» 120. Pilotti dunque non si avvide o non diede importanza al fatto che, “tra le altre sue disposizioni”, l’articolo 180 vietava alla Germania di costruire fortificazioni “anche a sud”. Dal secondo rapporto, inviato a Mussolini il 9 settembre, si ha conferma del fatto che egli non colse appieno le implicazioni delle modifiche arrecate, su richiesta del giurista tedesco, al testo del patto 121.
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Mussolini chiese di conferire con Pilotti a Roma, non appena chiusa la conferenza dei giuristi, mentre questi era già in viaggio per Parigi 122. Il colloquio ci fu il 9 settembre ma se ne ignora il contenuto 123. Il capo del governo italiano fu anche informato di un altro significativo risultato della conferenza dei giuristi di Londra, ossia che la Germania era tornata a trattare, quasi da pari a pari, con gli ex nemici. «Molte cose che difficilmente si sarebbero potute dire fra uomini politici – aveva infatti dichiarato Gaus a De Bosdari – come possibilità di guerra, intese tacite e segrete, tendenze e aspirazioni irredentiste sono state discusse liberamente» 124. La segretezza di un’aspirazione irredentista diventava dunque palese; nessuno vi si opponeva, ma anzi al revisionismo veniva ormai concessa ufficialmente libertà di espressione. La Germania dunque sapeva di potersi incuneare nella logora intesa anglofrancese, con esigenze revisioniste nemmeno troppo velate, ma nobilitate dal “primato morale” guadagnato dalla sua proposta del 9 febbraio. Era poi da considerare il fatto che la Gran Bretagna manteneva la guida dei negoziati sulla sicurezza, affermando la propria limitata visione sui termini del problema. Quando Mussolini chiese di conoscere cosa intendesse Chamberlain per collaborazione angloitaliana, nonché i limiti entro i quali egli avrebbe appoggiato l’Italia 125, Della Torretta confermò che il ministro britannico era contrario all’annessione dell’Austria da parte della Germania 126. Non v’era nulla di nuovo in ciò. Chamberlain non dava una sicurezza ulteriore e non spendeva più del voluto, nel confermare all’Italia un appoggio che, in caso di bisogno, non serviva a molto. Infatti quando, sulla base all’articolo 80 di Versailles, si sarebbe trattato di votare sull’Anschluss in seno al Consiglio della Società delle Nazioni, sarebbe bastato il veto dell’Italia a far mancare il consenso necessario a legalizzare l’annessione. Il problema stava allora nel conoscere limiti e portata del sostegno britannico, nel caso in cui la Germania avesse messo tutti dinanzi al fatto compiuto, realizzando l’Anschluss; e qui Chamberlain, come ogni altro inglese al suo posto, non avrebbe contratto impegni per un’eventualità remota ed incerta. Briand dal canto suo, tra l’incudine tedesca e il martello inglese, doveva cedere, ma senza darlo a vedere, soprattutto ora che ai negoziati sulla sicu-
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rezza assisteva l’occhio vigile dell’opinione pubblica francese, britannica, e di quella dell’est europeo. Si comprende, perciò, perché Mussolini, chiusa la conferenza dei giuristi e considerata la posizione di Chamberlain, desiderò sapere se Briand intendeva considerare la possibilità di concludere un «patto di garanzia per l’Austria», con o senza la partecipazione della Germania; fermo restando che non era questione di una garanzia francese sulle frontiere italiane. Mussolini chiese inoltre all’ambasciatore italiano a Parigi come, a suo avviso, l’Italia potesse ricevere l’aiuto della Francia «per risolvere i maggiori problemi che ci interessano in Europa e fuori» 127. Mussolini appariva così “convertito” alla linea di Contarini, sebbene mosso più dal succedersi degli eventi che da un’autentica condivisione di linea politica, e anche se rilevava la necessità di risolvere con la Francia problemi europei ed extraeuropei. «Tutte le modifiche introdotte nel testo sono state decise all’unanimità ed esse concernono essenzialmente miglioramenti di carattere tecnico», scrisse Della Torretta a Mussolini 128. Le cose, come si è visto, non stavano esattamente in tal modo. Alla conferenza dei giuristi, inoltre, il ruolo dell’Italia fu affatto secondario. Sulla base ai telegrammi pervenuti a Roma, del resto, non si riesce a capire se la delegazione italiana espose in modo preciso gli interessi del paese.Va però aggiunto che non si poteva far molto, dal momento che gli ex alleati volevano che l’Italia non intralciasse i lavori dei giuristi, come Contarini aveva promesso a Roger. La Germania usciva infatti dal “grande freddo” del dopoguerra, riconquistava man mano il suo rango di grande potenza europea; ed era meglio esser presenti ed in buoni termini con tutti quando ciò sarebbe avvenuto.
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5. OSSERVAZIONI
CONCLUSIVE
Abbiamo cercato di ricostruire la situazione diplomatica che si presentava ai protagonisti alla vigilia della conferenza di Londra e i fatti appena illustrati ci inducono ad alcune considerazioni. In primo luogo, l’Italia credeva di dover partecipare tout court alla conferenza dei giuristi, ritenendo che in quella sede si sarebbe concordato il testo del patto di sicurezza, onde porre le basi della successiva conferenza dei ministri. La Francia, in perfetta sintonia con la Gran Bretagna, vedeva, per contro, la partecipazione italiana limitata al momento squisitamente politico: questo sia perché il testo di patto era in pratica già pronto, sia perché occorreva che l’Italia garantisse preventivamente la sua adesione. Ma a quale patto aderire, se non si aveva a Roma nemmeno un testo da esaminare; non era sufficiente l’adesione italiana alla nota del 24 agosto alla Germania, contenente in nuce i concetti ispiratori del patto? Seguendo quest’ottica, l’Italia, in fondo, non chiedeva che di partecipare, con un suo giurista, ai lavori di Londra, considerando ciò il primo passo verso la successiva adesione. Ma essa, a quanto pare, ignorava che le si stava chiedendo di aderire a un testo preesistente; ed è evidente che le richieste anglofrancesi facevano saltare la sequenza che Mussolini aveva in mente: conferenza dei giuristi e redazione del patto; conferenza dei ministri e adesione al patto. In tale contesto, non fa meraviglia un Chamberlain che chiede a Mussolini di incontrarsi a Ginevra il 1º settembre, ossia a conferenza giuridica appena iniziata; né ci appare strano un Briand che ripropone la vecchia offerta francese del giugno, relativa al Brennero e all’Austria. Di cosa parlare con Chamberlain, se non dei temi attuali della sicurezza? E perché accogliere le offerte francesi, prima di assicurarsi la partecipazione alla conferenza dei giuristi? Poteva Chamberlain sperare di guadagnare Mussolini al testo di patto concordato tra Hurst e Fromageot? Briand, dal canto suo, non toccava Mussolini nel suo amor proprio, quando prospettava i pericoli di isolamento dell’Italia dalla cerchia del patto renano? Abbiamo infine visto come la situazione sia improvvisamente mutata a vantaggio dell’Italia con l’invito a partecipare alla conferenza dei giuristi.
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Questo è l’aspetto che ci sembra di maggior interesse ai fini del nostro studio. Sembra quasi che un “soffio di zefiro” abbia portato nuovi consigli nella mente dei francesi: arriva a Parigi, la sera del 28 agosto, un dispaccio di Roger, ed ecco i francesi chiedere agli alleati d’oltremanica di invitare a Londra gli amici italiani! Le cose sono certamente più complesse e gli archivi francesi hanno consentito di dimostrare che, se il colloquio tra Roger e Paulucci de’ Calboli non fu che un’occasione per ribadire le tesi italiane, già illustrate a Briand dal Summonte 129, fu il colloquio tra Roger e Contarini ad essere risolutivo, avendo il Segretario Generale usato argomenti pregnanti e una dialettica talmente incisiva da convincere il suo interlocutore e determinare la svolta desiderata. Conoscendo la natura di Contarini, lo immaginiamo piuttosto riservato sull’episodio.Tuttavia, la ricerca in proposito condotta negli archivi francesi ci ha persuasi a sufficienza del fatto che il ruolo del Segretario Generale, in questo torno di tempo, fu di molto superiore alle scarse tracce documentarie che purtroppo abbiamo. Perciò, Contarini riuscì ad evitare all’Italia il progressivo isolamento in un momento cruciale, malgrado il leggero peso avuto alla conferenza dei giuristi di Londra: un risultato che, visto da Roma, non era privo di significato.
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Ritaglio a stampa di un giornale non identificato datato 5 luglio 1925, rintracciato in ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Risulta che von Gräfe si espresse in toni violenti contro ciò che egli considerava un sopruso governativo, e che in ciò venne affiancato dai deputati comunisti che, con l’occasione, si scagliarono anche contro il Reichstag. Cfr.ADAP, A, Band XIII, doc.179. De Bosdari a Mussolini, 16 luglio 1925, tel.2523/220, ASMAE, Arch.Gab,TSN, busta 41. D’Abernon a Chamberlain, 23 luglio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.422; cfr. De Bosdari a Mussolini, 23 luglio 1925, tel. 1336/ 227,ASMAE,Arch.Gab,TSN, busta 41. Per il dibattito al Reichstag del 22 e 23 luglio 1925, si vedano i Verhandlungen des Reichstags, Band 387, pp.3387-3468. De Bosdari a Mussolini, 23 luglio 1925, tel. 1332/227, ASMAE,Arch.Gab,TSN, busta 41; Mussolini a Paulucci de’ Calboli, De Bosdari, Della Torretta, Romano Avezzana, Daneo, Chiaramonte Bordonaro, Pignatti Morano di Custoza, Majoni, 24 luglio 1925, ibidem. Stresemann, tra l’altro, espresse nel suo discorso compiacimento per l’evacuazione della Ruhr ed un certo ottimismo per il probabile esito delle questioni di Düsseldorf, Duisburg e Ruhrort. Inoltre, egli dichiarò che la Germania aveva già eseguito molte richieste contenute nella nota alleata sul disarmo, mentre altre erano in fase di esecuzione. G. STRESEMANN, La Germania nella tormenta, cit., pp.84-92. D’Abernon a Chamberlain , 22 luglio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.420. Il testo della nota è stato pubblicato nei vari libri di colore e raccolte di documenti. Pacte de Sécurité, II, cit., doc.1; Reply of the German Government, doc.9; Locarno Konferenz, cit., doc.16. Cfr.ADAP,A, Band XIII, nota 1 a p.582 e doc.211. Cfr.A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp. 112-113. De Bosdari a Mussolini, 21 luglio 1925, tel. 2579/222,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Cfr. F. S. GIOVANNUCCI, Locarno, cit., Appendice n.7, pp.416-417; DBFP, Series I, vol.XXVII, docc.419 e 420. Tale posizione fu nuovamente illustrata il 10 agosto, ibidem, doc.435. Chamberlain a Phipps, 27 luglio 1925, ibidem, doc.426. Chamberlain a D’Abernon, 11 agosto 1925, ibidem, doc.439. Quanto solidi fossero gli argomenti di Chamberlain lo dimostra il fatto che il 25 agosto, in un colloquio con l’ambasciatore britannico a Varsavia, Skrzynski dichiarò che i mezzi per dare una maggior tranquillità alla Polonia dovevano essere i seguenti: 1) una dichiarazione categorica, resa dall’ambasciatore britannico a Berlino, a nome del suo governo, che un patto tedescopolacco non avrebbe implicato modifiche alle frontiere sancite dai trattati di pace; 2) una formula «da inserire nel patto» con cui esprimevasi l’approvazione inglese della garanzia francese. Il ministro polacco aggiunse che il trattato di arbitrato con la Germania doveva esser concepito «in modo tale da non contribuire all’indeboli-
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mento del diritto della Polonia alle sue attuali frontiere o da incoraggiare la Germania a provare a modificarle sia con mezzi pacifici sia con mezzi bellici». Dal canto suo, l’ambasciatore inglese diede a Skrzynski ogni possibile assicurazione. Max Muller a Chamberlain, 26 agosto 1925, ibidem, doc.455. Note: projet de traité d’arbitrage germano-tchécoslovaque, 29 luglio 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.80. Il meccanismo per il trattato con la Polonia sarebbe stato identico. Cfr. Projet de lettre à M.Benes, 3 agosto 1925, ibidem, vol.81. Si veda il testo della nota tedesca anche in F. S. GIOVANNUCCI, Locarno, cit., Appendice, pp.416-418. La nota fu trasmessa da Mussolini ai rappresentanti italiani all’estero con tel.768 del 25 luglio 1925, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Phipps a Chamberlain, 22 luglio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.420. Romano Avezzana a Mussolini, 20 luglio 1925, tel.1231/494, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Queste informazioni, come del resto quelle fornite dall’ambasciatore italiano a Londra circa le reazioni britanniche, furono esplicitamente richieste da Mussolini, il quale, ricevuta copia della nuova nota tedesca, volle conoscere anche le reazioni a Parigi e a Bruxelles. Cfr. Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana, Daneo e De Bosdari, 20 luglio 1925, tel. 744, ibidem. Romano Avezzana a Mussolini, 22 luglio 1925, tel.1331/495, ibidem. Cfr.Hoesch ad AA, 20 luglio 1925, ADAP, A, Band XIII, doc.219. Così Della Torretta a Mussolini, 25 luglio 1925, tel.1345/549, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Chamberlain a D’Abernon, 28 luglio 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.429. De Bosdari a Mussolini, 4 luglio 1925, tel.1210/207/56, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Cfr. ADAP, A, Band XIII, doc.188. De Bosdari a Mussolini, 10 luglio 1925, tel.1261/214, ibidem. Romano Avezzana a Mussolini, 18 luglio 1925, tel.1311/177, ibidem. Cfr.ADAP, A, Band XIII, doc.214. Mussolini a Romano Avezzana, Della Torretta, De Bosdari e Orsini Baroni, 27 luglio 1925, tel.1970, ibidem. Con precedente telegramma del 24 luglio (n.1358/504/187) il Romano Avezzana aveva informato Mussolini che la Francia desiderava il consenso dell’Italia, in qualità di membro del Consiglio Supremo di Londra del 1921, all’evacuazione delle città renane. In margine al telegramma ricevuto, Mussolini appose il suo «Affermativo». Besnard a Briand, 30 giugno 1925, tel.322-324, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.78. Ed apparivano inconsistenti strategicamente e politicamente, poiché l’idea che le animava, quella di un’intesa con la Francia, era in netto in contrasto con il programma del Generale di «assestare una violenta mazzata» alla Jugoslavia; un piano per il quale Badoglio chiese a Mussolini i fondi occorrenti. Badoglio a Mussolini, 17 luglio 1925,
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ACS, Segreteria Particolare del Duce, carteggio riservato, busta 67, fasc.«Badoglio S.E. Pietro, Marchese del Sabotino», sf.2 «Varia». Mussolini appose sulla lettera l’annotazione «riservatissimo» a matita rossa. Il Foch era intimo amico del predecessore di Besnard, l’ambasciatore Barrère, il quale durante il suo mandato s’era fatto paladino dell’alleanza militare italofrancese, chiamando il Maresciallo a sposarne la causa. Cfr.DDI, Serie Settima, vol.III, doc.95. Foch a Briand, 25 giugno 1925, l.p.n.331/2, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96. Besnard a Briand, 2 luglio 1925, tel.326-328, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.79. Besnard a Briand, 2 luglio 1925, tel.330-332, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. Briand a Besnard, 2 luglio 1925, tel.668-669, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.79. Besnard a Briand, 10 luglio 1925, tel.341, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.79. Besnard a Briand, 14 luglio 1925, tel.345, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.79. Cfr. M.TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, cit., p.104; nonché DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.48. Cfr. ancora M. TOSCANO, Storia diplomatica della questione dell’Alto Adige, cit., p.103; nonché LEGATUS (R. CANTALUPO), Vita diplomatica di Salvatore Contarini (Italia tra Inghilterra e Russia), Roma 1947, p.123; E. DI NOLFO, Mussolini e la politica estera italiana (1919-1933), cit., p.144. Berthelot a Besnard, 16 luglio 1925, tel.695-697, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.79. Briand a Besnard, 16 luglio 1925, tel.704, Ibidem. Besnard a Briand, 23 luglio 1925, tell 356-357 e 358, AMAE, Z-Europe: GrandeBretagne, vol.80. Besnard a Briand, 23 luglio 1925, tel.359-60, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96. Besnard aggiungeva che anche Mussolini aveva espresso simpatia per la Francia, toccando incidentalmente con lui la questione marocchina. L’ambasciatore ritenne tuttavia di non dover spingere oltre la conversazione su questo tema. Della Torretta a Mussolini, 20 luglio 1925, tel.2561/530, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41 (il corsivo è nostro). Romano Avezzana a Mussolini, 20 luglio 1925, tel. 1321/494, ibidem. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.434, nota 7. Notes of a Conversation which took place at the Foreign Office on August 11, 1925, at Noon, between Representatives of Great Britain and France, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.438; French Draft Reply to the German Note of July 20, 1925, on the Subject of Security, August 8, ibidem, Allegato. Della Torretta a Mussolini, 13 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.93. Chamberlain a D’Abernon, 11 agosto 1925, ibidem, doc.439.
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Il testo definitivo della nota francese può leggersi in Pacte de Sécurité, II: Documents signés ou paraphés à Locarno le 16 octobre 1925 - precedés de six pièces rélatives aux négotiations préliminaires (20 juillet-16 octobre 1925), Paris: Imprimerie des Journaux Officiaux, 1925, pp.6-8; cfr. F. S. GIOVANNUCCI, Locarno, cit., Appendice n.18, pp.419-421. Proposed Treaty of Mutual Guarantee (including the amendments provisionally agreed upon by Mr.Chamberlain and M.Briand on August 12, 1925), DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.440; cfr. doc.405 e nota 2 (bozza britannica), 407 (controproposta francese con commenti al testo inglese), 411 (Memorandum di Hurst sui limiti oltre i quali il progetto di patto renano eccedeva gli obblighi discendenti dal Covenant), 438 (incontro anglofrancese al Foreign Office l’11 agosto 1925). Cfr. DDI, Serie Settima, vol. IV, doc.93. Cfr. A. ORDE, Great Britain and International Security, cit., pp.117 ss. Della Torretta a Mussolini, 11 agosto 1925, tel.1460//602, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Della Torretta a Mussolini, 11 agosto 1925, tel.1450/590, ibidem. Della Torretta a Mussolini, 11 agosto 1925, tel.1459/600, ibidem; cfr. Della Torretta a Mussolini, 10 agosto 1925, tel.599, ASMAE, Rappresentanze Diplomatiche, Ambasciata di Londra, busta 600. Della Torretta a Mussolini, 13 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.93. Della Torretta a Mussolini, 8 agosto 1925, tel.1443/588,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Della Torretta a Mussolini, 5 agosto 1925, tel.1422/578, ibidem. Mussolini a Orsini Baroni, Romano Avezzana e De Bosdari, 15 agosto 1925, tel.855, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 40. Mussolini a Della Torretta, 17 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.95 (il corsivo è nostro). Il testo del telegramma in oggetto, pubblicato nei DDI, è quello pervenuto all’Ambasciata di Londra, dal cui archivio è stato tratto. Bozza del telegramma n.862 di Mussolini a Della Torretta del 15 agosto 1925, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41 (il corsivo è nostro). Roger a Mussolini, 17 agosto 1925, l.p.n.259, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42. La sera di quello stesso giorno, Briand fece chiedere a Besnard notizie sulle reazioni di Mussolini al nuovo progetto di risposta degli alleati. Berthelot a Besnard, 17 agosto 1925, tel.784, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.81. Appunto autografo di Mussolini del 18 agosto 1925, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. In corsivo è ciò che Mussolini sottolineò nel testo. F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italofrancese del 1935, cit., p.91 e nota 270. Mussolini a Roger, 18 agosto 1925, l.n.3481, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42; cfr. MAE a Londra, Bruxelles, Berlino,Varsavia, Praga, 19 agosto 1925, telegramma-posta, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.81. Si veda: Aufzeichnung des Reichsministers des Auswärtigen Stresemann, 24 agosto 1925, ADAP, A, Band XIV, doc. 25.
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Si veda: Aufzeichnung des Reichministers des Auswärtigen Stresemann, 24 agosto 1925, ADAP, A, Band XIV, doc.25. Cfr. A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, cit., pp.120 ss. Si vedano: DBFP, Series I, vol. XXVII, nota 4 al doc. 454; Stresemann a Hoesch, 26 agosto 1925, ADAP, A, Band XIV, doc. 33; cfr.docc. 35 (che informa della proposta di D’Abernon di redarre con Stresemann un dispaccio segreto da inviare a Londra, circa le idee con cui i tedeschi venivano alla Conferenza dei giuristi) e 36. D’Abernon a Chamberlain, 26 agosto 1925, telegramma urgente n.313, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.454. Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana e De Bosdari, 20 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.102.Cfr. Von Prittwitz u. Gaffron ad AA, 21 agosto 1925, ADAP, A, Band XIV, doc. 17. Della Torretta a Mussolini, 22 agosto 1925, tel.1546/572, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Cfr.DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.95. Mussolini a De Bosdari, Romano Avezzana e Orsini Baroni, 26 agosto 1925, tel.906, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Chamberlain a D’Abernon, 13 agosto 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.443. Trattasi del résumé di un colloquio che Chamberlain ebbe con Della Torretta. Come si è visto, nel suo resoconto, l’ambasciatore italiano riferiva, più genericamente, di una possibile «riunione di giuristi dei vari ministeri degli esteri incluso il tedesco per fissare di comune accordo un testo che traduca in pratica i princìpi sopra accennati»; ad essa sarebbe seguita una conversazione fra i ministri degli esteri alleati e lo Stresemann, preparatoria della conferenza conclusiva sul patto di sicurezza. Della Torretta a Mussolini 13 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.93. Il resoconto di Chamberlain a Graham (Dispaccio n.1209 del 13 agosto 1925) non è stato pubblicato nei DBFP. Senni a Mussolini, 16 agosto 1925, tel.1499/106, ASMAE, Arch.Gab., busta 41. Erano giunti nel frattempo segnali preoccupanti riguardo alla posizione tedesca: De Bosdari (fonte attendibile, in quanto riferiva ciò che lo stesso von Schubert gli aveva detto), avvertì che difficilmente la Germania avrebbe partecipato ad un convegno, di tecnici o di ministri che fosse, prima di inviare a sua volta una risposta scritta all’imminente nuova nota interalleata e così esprimere i suoi punti di vista: primo fra i quali la non ammissibilità di un accordo in contraddizione con le basi essenziali della sua politica. De Bosdari a Mussolini, 17 agosto 1925, tel.1504/245, ibidem. Della Torretta a Mussolini, 17 agosto 1925, tel.1526/615, ibidem. Si veda ancora: Della Torretta a Mussolini, 22 agosto 1925, tel. 1546/572, ibidem. Della Torretta a Mussolini, 26 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.110. Mussolini chiese ulteriori chiarimenti su questo telegramma il 5 settembre, desideran-
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do altresì sapere quali fossero esattamente i limiti, la forma e la natura dell’appoggio di Chamberlain all’Italia e della collaborazione che ne sarebbe seguita. Mussolini a Della Torretta, 5 settembre 1925, tel.979, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. Briand alle rappresentanze diplomatiche francesi all’estero, 27 agosto 1925, AMAE, ZEurope: Grande-Bretagne, vol.82. All’ambasciatore a Roma, Briand chiese di esprimersi conformemente con Mussolini, informandosi delle di lui intenzioni. Summonte a Mussolini, 27 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.111. Summonte a Mussolini, 28 agosto 1925, ibidem, doc.112. De Bosdari a Mussolini, 27 agosto 1925, tel.1607/254,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Daneo a Mussolini, 27 agosto 1925,Tel.1616/155, ibidem. Rolin riteneva che la partecipazione dell’Italia alla conferenza dei giuristi ne avrebbe facilitato l’adesione al patto di sicurezza; la conferenza, tuttavia, era ormai imminente (essendo convocata per il 31 agosto) e occorreva far presto. Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana, Daneo e De Bosdari, 28 agosto 1925, tel.919, ibidem. Nel corso del colloquio col Summonte, di cui si è già riferito (DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.111). Mussolini a Della Torretta e De Bosdari, 28 agosto 1925, tel.920, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42. Della Torretta a Mussolini, 28 agosto 1925, tel.1622/645, ibidem, busta 41. Daneo a Mussolini, 27 agosto 1925, tel.1616/155, già citato. Si ricordi che il governo belga s’era dichiarato favorevole all’ipotesi di una partecipazione italiana alla conferenza dei giuristi. Daneo a Mussolini, 28 agosto 1925, tel.1628/156, ibidem. DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.102. Supra, nota 77. Mussolini a Della Torretta, 28 agosto 1925, tel.924,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42. Ovey a Chamberlain, 28 agosto 1925, DBFP, I Series, vol.XXVII, doc.461. Ovey a Chamberlain, 28 agosto 1925, ibidem, doc.460. Chamberlain a Phipps, 28 agosto 1925, ibidem, doc.462. Come rilevava l’ambasciatore francese, De Fleuriau, «il suggerimento fattovi dall’ambasciatore d’Inghilterra a Parigi di riunire i giureconsulti a Ginevra e la preoccupazione che constato al Foreign Office di non lasciare che la presenza di un italiano ritardi i lavori della riunione di Londra hanno una comune origine. Il signor Chamberlain è assai desideroso di assicurarsi la collaborazione di Sir C.Hurst a Ginevra, che egli considera come indispensabile». De Fleuriau a Briand, 29 agosto 1925, tel.558, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.82. Stando al resoconto di Paulucci, Contarini mandò a chiamare Roger, probabilmente dopo che questi, concluso il colloquio col Capo di Gabinetto, aveva già fatto ritorno alla sua ambasciata.
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Diversa la versione di Roger: «L’incaricato d’affari italiano si è limitato fino ad ora a telegrafare di aver messo a parte Vostra Eccellenza del desiderio di Mussolini di partecipare eventualmente ad una conferenza tra i Ministri degli Affari esteri sul patto di sicurezza. Secondo Summonte Vostra Eccellenza non aveva sollevato obiezione a tale partecipazione come pure d’altronde alla riunione di questa conferenza in una località italiana se gli altri Governi vi consentivano. Il telegramma dell’incaricato d’affari non faceva alcuna allusione alla questione del giurista». Roger a Briand, 29 agosto 1925, tel.438-443, “priorità assoluta”, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.82 Roger a Briand, 29 agosto 1925, tel. già citato. Appunto di Paulucci de’ Calboli Barone del 29 agosto 1925,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Roger a Briand, 29 agosto 1925, tel. già citato. Phipps a Chamberlain, 29 agosto 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.463. Summonte a Mussolini, 29 agosto 1925, tel.1641/616,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Summonte basava le informazioni del Quai d’Orsay su un telegramma diretto a Londra, preparato dal Berthelot. In esso si ripercorrevano i temi oggetto dei colloqui Briand-Summonte, Paulucci-Roger e Contarini-Roger. La conclusione tratta era la seguente: «Considero che tale nuova attitudine dell’Italia e la sua partecipazione al patto di sicurezza presentino una grande importanza. Telegrafo a Roma che, per ciò che lo concerne, il Governo francese accoglie con il più grande compiacimento la partecipazione del giureconsulto italiano del Ministero degli Affari Esteri alla riunione di Londra, che potrebbe esser ritardata di un giorno per attendere l’adesione inglese e belga [all’intervento del giurista italiano], che io sollecito con estrema urgenza. Secondo un telegramma dell’ambasciatore d’Italia a Berlino, il Governo tedesco sarebbe già consenziente. Vogliate fare i passi opportuni per assicurare l’assenso inglese e l’invio di tale assenso a Roma, al fine di permettere al giurista italiano di trovarsi a Londra al più tardi martedì mattina». Berthelot a Londra, Berlino, Bruxelles e Roma, 29 agosto 1925, telegramma con vari numeri, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.82. Roger a Briand, 29 agosto 1925, tel.446, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.82 Cfr. DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.95. Mussolini a Della Torretta, 29 agosto 1925, tel.932,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Summonte a Mussolini, 29 agosto 1925, tel. 1646/619, ibidem. Cuneman a Paulucci de’ Calboli Barone, 31 agosto 1925, ibidem. Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, nota al doc.463. Mussolini a Della Torretta e Romano Avezzana, 29 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.114. D’Amelio a Mussolini, 29 agosto 1925, tel.1649 (manca il numero di protocollo in partenza), ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Da una lettera di Scialoja a Giannini,
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scritta a fine agosto, emerge che il primo avrebbe desiderato che fosse il capo del Contenzioso diplomatico di Palazzo Chigi a rappresentare l’Italia alla Conferenza dei giuristi; ACS,Carte Giannini, scatola 12, «Corrispondenza varia», fasc. 11, sf. 266: «Vittorio Scialoja». Mussolini a Della Torretta, 30 agosto 1925, tel.950, ibidem. Nella copia di questo telegramma inviata per conoscenza all’ambasciata a Parigi, viene aggiunto in chiusura: «Per evitare inconvenienti». ASMAE, Rappresentamze Diplomatiche, Ambasciata di Parigi, busta 84. Mussolini a Della Torretta, 30 agosto 1925, tel.951,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Mussolini non riuscì a far spostare la seconda seduta della conferenza al pomeriggio del 1° settembre. Agenzia d’Informazioni per la Stampa “Alessandro Volta”, Bollettino n.4848 del 31 agosto 1925, anno IX, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Per dare un’idea degli umori più accesi circolanti in Italia, può leggersi l’articolo che Ardengo Soffici pubblicò sul Tevere del 7 luglio: «Sono molto soddisfatto – egli scriveva – che in questa faccenda del patto di garanzia o di sicurezza, il Governo fascista non si sia lasciato imbecherare e non abbia mosso alcun passo falso o pericoloso. Non sono però al tutto tranquilizzato per il fatto che da Roma non sia partito un rifiuto chiaro e tondo a qualsiasi adesione per oggi, per domani e per sempre; sebbene non mi sia difficile comprendere come ragioni diplomatiche e in genere politiche, possano, e forse debbano, vietare una tale determinatezza di atti ancorché ottimi in se stessi... mi conforta l’ardente speranza che l’Italia farà a suo tempo quello che oggi non ha fatto, ma che sarà dimostrato unicamente necessario. Giacché se mai ci fu proposta assurda, fallace, insidiosa, dannabile, in una e melensa, questa è ben la proposta che ci vien fatta». A. SOFFICI, Il patto di garanzia, in «Il Tevere», 7 luglio 1925. In tal senso possono leggersi le osservazioni svolte da Roger il 1° settembre, nel telegramma a Briand n.450, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.82. Lo stesso giurista inglese non manca di notare, nella sua relazione finale sui lavori, che «i rappresentanti belga ed italiano, ma soprattutto l’italiano, non ebbero una parte molto importante nelle discussioni». Note by Sir C.Hurst, 5 settembre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.467. Sulla conferenza di Londra, A. ORDE, Great Britain and International Security, cit., pp.120 ss. Della Torretta a Mussolini, 1° settembre 1925, tel.671/653; Paulucci de’ Calboli Barone a Scialoja, Della Torretta, Romano Avezzana, De Bosdari, Daneo, 5 settembre 1925, tel.980, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.440 già citato. Si confrontino il resoconto della delegazione britannica (DBFP, Series I, vol.XXVII, docc.466 e 467), di quella italiana (ASMAE, Arch.Gab., TSN cit., busta 42; cfr. posizione 71/1 «Conferenze»), di quella belga (DDB, 1920-1940, t.II, doc.104). Per ciò che
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riguarda la Germania, oltre a Locarno-Konferenz, cit.(pp.120-138), si dispone ora degli ADAP, A, Band XIV (spec. i docc.47, 50 e 55). Della Torretta a Mussolini, 1° settembre 1925, tel.1684/654,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42. Essa così recitava: «Le parti contraenti ... animate dal sincero desiderio di dare a tutte le potenze firmatarie interessate delle garanzie complementari nel quadro del Patto della Società delle Nazioni e dei Trattati in vigore tra loro». Della Torretta a Mussolini, 4 settembre 1925, tel.1706/660, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. Discutendo del preambolo del patto di sicurezza, si concordò comunque sulla natura squisitamente politica di esso e sul fatto che andasse demandato all’esame dei Governi. Cfr. Della Torretta a Mussolini, 3 settembre 1925, tel.1696/657, ibidem, busta 41. Report by Sir C.Hurst on the Proceedings of a Meeting of Jurists held at the Foreign Office, September 1-4, 1925, in connection with the proposed Treaty of Mutual Guarantee, 4 settembre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.466. Da questo rapporto, considerato come il comunicato conclusivo ufficiale della conferenza dei giuristi, venne stralciata una parte nella quale si evidenziava la necessità per i francesi di scongiurare azioni intempestive della Polonia. Nota di Sir C.Hurst sul rapporto dei giuristi, 5 settembre 1925, ibidem, doc.467. Della Torretta a Mussolini, 4 settembre 1925, tel.1718/685, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. Così in un Memorandum by Mr.Chamberlain, Ginevra 9 settembre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.468. Ibidem, allegato al doc.469. Quest’apprezzamento Briand espresse con Chamberlain nel corso di un pranzo ufficiale a Ginevra, l’11 settembre: Record by Mr. Chamberlain of a conversation with the Czechoslovak Foreign Minister, 12 settembre 1925, ibidem, doc.473. Chamberlain chiarì di non condividere l’idea di Skrzynski di escludere qualsiasi ipotesi di revisione seppur pacifica delle frontiere polacche (peraltro sconfessando indirettamente l’operato dell’ambasciatore a Varsavia). Chamberlain a Max Muller, 12 settembre 1925, ibidem, doc.474. Occorre aggiungere che, nel corso di conversazioni avute con il collega sovietico Cicerin, il ministro degli esteri polacco mostrò scarsa considerazione per le frontiere della Romania (Bessarabia), che la Russia avrebbe potuto cercar di modificare coi mezzi che più le aggradavano:cfr. doc.526. Val la pena riportare il dettato dell’articolo 180 di Versailles: «1- All fortified works, fortresses and field works situated in German territory to the west of a line drawn fifty kilometers to the east of the Rhine shall be disarmed and dismantled. 2- Within a period of two months from the coming into force of the present Treaty such of the above fortified works, fortresses and field works as are situated in territory not occu-
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pied by Allied and Associated troops shall be disarmed; and within a further period of four months they shall be dismantled.Those which are situated in territory occupied by Allied and Associated troops shall be disarmed and dismantled within such periods as may be fixed by the Allied High Command. 3- The construction of any new fortification, whatever its nature and importance, is forbidden in the zone referred to in the first paragraph above. 4- The system of fortified works of the southern and eastern frontiers of Germany shall be mantained in its existing state». Il testo citato è tratto da The Treaties of Peace 1919-1923, vol.I, containing the Treaty of Versailles, the Treaty of St.Germain-en-Laye and the Treaty of Trianon, New York: Carnegie Endowment for International Peace, 1924, p.102. Rapporto del Delegato Italiano Pilotti a Mussolini, 5 settembre 1925, ASMAE, Ambasciata di Londra, busta 600. Rapporto del Delegato Italiano Pilotti a Mussolini, 9 settembre 1925, ibidem. Della Torretta a Mussolini, 6 settembre 1925, tel.1730/670, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42; Della Torretta a Mussolini, 6 settembre 1925, tel.744, Ambasciata di Londra, busta 600; Della Torretta a Romano Avezzana, 6 settembre 1925, tel.745, ibidem. Possiamo ricostruire gli spostamenti di Pilotti con l’ausilio delle fonti archivistiche. Egli partì da Londra il 6 settembre, alla volta di Parigi. Il giorno dopo partì per Modane; indi partì per Roma l’8 settembre. Nota delle spese incontrate dal Comm.Massimo Pilotti nella sua missione a Londra per rappresentare l’Italia nel Comitato dei Giuristi per il patto di garanzia, Parigi, 3 ottobre 1925, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42. Dal registro delle udienze concesse da Mussolini si apprende che Pilotti fu ricevuto alle ore 18 del 9 settembre e che il colloquio durò mezz’ora. Udienze accordate da S.E. il Presidente, mercoledì 9 settembre 1925,ASMAE,Arch.Gab., GM, busta 42: «Udienze postillate da S.E. il Capo del Governo, 1925». Del contenuto del colloquio tra Mussolini e Pilotti non si è trovata finora altra traccia, nonostante le ricerche effettuate. De Bosdari a Mussolini, 9 settembre 1925, tel.1758/270, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Mussolini a Della Torretta, 5 settembre 1925, tel.979, ibidem. Della Torretta a Mussolini, 7 settembre 1925, tel.1731/671, ibidem. Cfr. DDI, Serie Settima, vol.IV, docc.43 e 44. Mussolini a Romano Avezzana, 14 settembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.120. Della Torretta a Mussolini, 4 settembre 1925, tel.1718/665, ASMAE, Arch.Gab., cit., TSN, busta 42. Anche se proprio il fatto di aver Paulucci prospettato un ruolo limitato di observer dell’Italia, in sede di conferenza dei giuristi, può aver già influito positivamente su Roger.
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CAPITOLO V.
L’ITALIA ALLA CONFERENZA DI LOCARNO
1. P ROBLEMI
IRRISOLTI DELLA SICUREZZA EUROPEA
I presupposti del patto di sicurezza erano stati ormai fissati da Francia e Gran Bretagna. La Francia non era riuscita a salvaguardare, nel loro significato politico, le alleanze orientali, che divenivano ormai secondarie rispetto al patto renano. I paesi dell’Europa orientale, da parte loro, sospettavano che gli occidentali si stessero accordando con la Germania ai loro danni, seminando così future tempeste per l’Europa. Per la Polonia, le dichiarate mire della Germania divenivano una minaccia ormai immanente; senza considerare ciò che anche la Russia avrebbe potuto fare, in un prossimo futuro, in combutta coi tedeschi. Francia e Gran Bretagna, dal canto loro, avevano fatto in modo da tenere il negoziato sul patto al di fuori dell’ambito della Società delle Nazioni. Fu così che concordarono il testo di una risoluzione dell’Assemblea ginevrina, in cui veniva fatta solo una generica menzione della questione della sicurezza. L’Assemblea, «profondamente legata alla causa della pace e convinta che il bisogno attuale più pressante è lo stabilimento della fiducia reciproca tra le nazioni» prendeva atto «del fatto che il (...) Protocollo non ha ricevuto sinora un numero sufficiente di ratifiche per avere applicazione immediata». Essa vedeva tuttavia «con favore lo sforzo fatto da certe nazioni per far progredire queste questioni attraverso la conclusione di trattati di mutua sicurezza, concepiti nello spirito dello stesso Patto della Società delle Nazioni e che sono in armonia coi princìpi del Protocollo: arbitrato, sicurezza, disarmo». L’Assemblea, inoltre, constatava «che tali accordi non dovevano necessariamente esser limitati ad una regione ristretta, ma potevano
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applicarsi al mondo intero». La risoluzione terminava con la promessa di un impegno dell’Assemblea «a lavorare allo stabilimento della pace con il metodo sicuro dell’arbitrato, della sicurezza e del disarmo» 1. Per volere delle due maggiori potenze che ne facevano parte, la Società delle Nazioni abdicava in loro favore al compito di realizzare un efficace sistema di sicurezza, partendo dal fatto che il Protocollo di Ginevra, che tante speranze aveva animato in quella città sinonimo di pacifismo, non aveva dato soddisfacenti risultati. L’Assemblea della Lega ammetteva dunque che, fuori dell’assise ginevrina, se ne sarebbero conseguiti di migliori. Sempre nella cornice dei lavori della Società delle Nazioni, Briand e Chamberlain designarono, in contatti riservati, Locarno come sede dell’imminente riunione dei ministri degli esteri dei paesi direttamente interessati al patto renano 2. La designazione della cittadina svizzera, prossima al confine italiano, era stata fatta per venire incontro all’esigenza di Mussolini, che aveva asserito di non potersi muovere dall’Italia per improrogabili impegni, suggerendo al contempo una località su un lago dell’alta Italia. L’elvetica Locarno, sulla sponda nord-occidentale del Lago Maggiore, era la scelta ideale anche per Chamberlain, che aveva insistito perché la sede della conferenza sulla sicurezza fosse in territorio di paese neutrale. Il 9 settembre, Chamberlain e Briand concordarono di invitare ufficialmente il collega tedesco ad un incontro. Briand, pur conscio delle difficoltà che il patto di garanzia avrebbe incontrato (specialmente in Polonia) fu abbastanza fiducioso sull’esito delle trattative. I francesi chiesero poi a Scialoja un parere giuridico su alcuni articoli del progetto di patto. Scialoja rilevò che, a suo avviso, l’articolo secondo lasciava indeterminate troppe questioni; a ciò andava aggiunta la mancata garanzia delle frontiere orientali tedesche. En passant, fu toccata anche la questione della sede della conferenza e qui Scialoja insistè invano per una località dell’alta Italia; Chamberlain confermò la sua opzione per una località di paese neutrale, lasciando tuttavia libero Mussolini di scegliere la più vicina al confine italiano 3. Mussolini ringraziò dell’invito, ma espresse rammarico per non potersi allontanare dall’Italia 4. Il 10 settembre, i giornali scrissero che gli alleati intendevano sapere se
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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno
l’Italia avrebbe gradito invitare ufficialmente la Germania al convegno dei ministri; una richiesta in tal senso era stata rivolta al Governo italiano, per il tramite di Scialoja, da Briand in persona. L’11 settembre la notizia venne confermata da alcune corrispondenze della sera; Mussolini chiese delucidazioni al rappresentante italiano a Ginevra 5, evidentemente ignaro di un telegramma giunto proprio un’ora prima da Ginevra, in cui Scialoja forniva tutti i chiarimenti del caso. Il delegato italiano alla Società delle Nazioni scriveva che Briand gli aveva appena consegnato un progetto di nota da inviare alla Germania, in cui si faceva il punto sui risultati conseguiti sino a quel momento. Il progetto era così concepito: «Dopo le conversazioni che i giuristi hanno appena avuto a Londra, sembra al Governo francese e ai suoi alleati che le Nazioni in causa abbiano un interesse comune a che i negoziati non si trascinino a lungo e che sia venuto il momento di fissare una data per la riunione progettata. A tal riguardo, la fine del mese di settembre o al più tardi i primi giorni di ottobre costituirebbero un’epoca conveniente. La Conferenza avrebbe luogo in territorio neutro, preferibilmente in Svizzera, in una località che sarebbe fissata ulteriormente d’accordo tra i Governi. Il Governo francese e i suoi alleati sperano fermamente che tali propositi vadano incontro ai desideri del Governo tedesco e che questo stesso faccia loro conoscere a breve termine la sua accettazione». Il progetto francese, secondo quanto aggiungeva Scialoja, aveva ottenuto l’approvazione dei governi inglese e belga. Ma prima di inviarlo alla Germania, Briand desiderava assicurarsi anche l’adesione italiana. Concordando sui contenuti generali della nota, Scialoja chiese all’uopo la necessaria autorizzazione 6. Mussolini la diede il 12 settembre, in questi termini: «Regio Governo sarà pertanto rappresentato in ogni caso [alla] prossima Conferenza, quantunque continui [a] ritenere improbabile [la] mia personale partecipazione non intendendo come già indicato assentarmi dall’Italia» 7. Alla Germania così pervenne, il 15 settembre, l’invito ufficiale alla conferenza internazionale sul patto di sicurezza 8. La decisione tedesca di intervenirvi fu presa in Consiglio dei Ministri, la mattina del 24 settembre, e si decise di designare alla guida della delegazione del Reich il Cancelliere Luther ed il Ministro degli esteri Stresemann 9.
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Per quanto specificatamente riguarda l’Italia, il nodo irrisolto di tutta la questione della sicurezza si chiamava Austria. Si è già detto che condizione indispensabile per un effettivo risollevamento di questa erano alcune garanzie economico-finanziarie, tali da tutelare efficacemente l’indipendenza politica del paese. Da parte delle grandi potenze, ivi compresa l’Italia, non c’era stato però un grande impegno in tal senso, ed il problema giaceva insoluto. Proprio a ridosso della conferenza dei giuristi, il ministro degli esteri austriaco, Mataja, aveva espresso il desiderio che l’Italia proseguisse nella trattativa sul regime preferenziale, malgrado la forte opposizione di paesi come la Cecoslovacchia 10. Praga, in effetti, non vedeva di buon occhio la politica troppo filoitaliana del governo austriaco, né tantomeno il contegno filoaustriaco dell’Italia. L’Anschluss restava per l’Italia il problema dei problemi. La conferenza dei giuristi l’aveva aggravato, essendo state approvate delle norme che non richiamavano perfettamente i divieti imposti alla Germania dal trattato di Versailles (v. cap. IV. § 4). V’erano poi rigurgiti di “filoannessionismo” in Germania e in Austria. Il presidente del Reichstag Paul Löbe, in visita in Austria, aveva ostentato particolare fervore per l’unità, non di due, ma di un solo popolo, quello tedesco, sin allora diviso ma nondimeno titolare, alla stregua degli altri, di un diritto di autodecisione. In un discorso tenuto a Vienna, egli aveva dichiarato che i popoli germanico ed austriaco, senza distinzione di partiti, erano favorevoli all’Anschluss. Espressioni così accese spinsero De Bosdari a chiedere a Mussolini se non fosse il caso di elevare formale protesta a Berlino, specie in considerazione del fatto che si era sempre sostenuto che il Löbe non sarebbe mai andato a Vienna 11. A Parigi tutto l’episodio suscitò un certo imbarazzo, anche per il fatto che altra meta del viaggio del presidente del Reichstag era proprio la Francia. Si attendeva perciò un chiarimento da Vienna, ma si era anche propensi a far raffreddare l’affare, senza dar “luogo a procedere” contro Berlino 12. Le conclusioni di Mussolini furono presto tratte: «Riesaminata la questione in base ai vari elementi (...) mi sembra che discorso Loebe sia tanto più inopportuno in quanto non può prescindersi dalla carica che egli ricopre.Tuttavia poiché dal testo ufficiale sembra risultare che egli ha rico-
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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno
nosciuto che unione dovrebbe effettuarsi soltanto per vie pacifiche mediante Lega delle Nazioni è il caso di non elevare formale protesta ma limitarsi richiamare attenzione codesto Governo sulla assoluta inopportunità e gravi pericoli di manifestazioni tendenti a spingere gli animi ad una unione la quale non potrebbe riuscire per le desiderate vie pacifiche mediante Lega delle Nazioni essendovi contrari i governi francese, inglese ed italiano» 13. A metà settembre, come si è visto (cap. IV. § 4) Mussolini aveva impartito al Romano Avezzana istruzioni di sondare Briand circa la possibilità di pervenire ad un «patto di garanzia per l’Austria», con o senza la Germania. Egli aveva anche pregato l’ambasciatore a Parigi di indicargli i modi per cui la Francia potesse tornar utile all’Italia, in Europa e fuori. Romano rifletté sulle questioni postegli e rispose che anzitutto era improbabile che la Germania confermasse la rinuncia all’Anschluss; per cui formula meno impegnativa avrebbe potuto essere «una dichiarazione identica da farsi in seno alla conferenza dall’Italia e dalla Francia». L’ambasciatore aggiunse che i vari patti in embrione erano comunque importanti e che occorreva farne parte, anche per divenirne garanti insieme alla Gran Bretagna. Se del caso, l’Italia sarebbe stata comunque in grado di far valere i propri interessi in seno al Consiglio della Società delle Nazioni, qualora fosse stata necessaria l’unanimità per far funzionare il Patto. Ritornando sull’ipotesi di patto francoitaliano, Romano vi ravvisò il mezzo per scongiurare l’Anschluss, ma, per concluderlo, l’Italia doveva ottenere l’assicurazione di poter fare una politica di espansione coloniale, senza attriti con la Francia, e poter fissare le linee guida di un’intesa in Europa centrale 14. Il 25 settembre, Romano Avezzana comunicò a Mussolini di aver incontrato in mattinata Briand e di averlo sondato sulla possibilità di un accordo bilaterale relativo all’Austria. Il ministro francese concordò perfettamente sul punto e aggiunse che avrebbe anche accettato, realizzato tale accordo, un amichevole riesame delle questioni relative alla Tunisia ed a Tangeri (anche se su tale argomento la Francia non poteva decidere da sola). Per ciò che, invece, concerneva i mandati coloniali, Briand ribadì le precedenti assicurazioni, che cioè avrebbe osteggiato, insieme all’Italia, l’ipotesi di restitui-
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re alla Germania, sotto forma di mandato, i vecchi possedimenti del Togo e del Camerun, o di affidarle le colonie portoghesi 15. Da fonte francese abbiamo notizie alquanto diverse. In primo luogo, non si ha traccia del menzionato colloquio tra Briand e Romano Avezzana, mentre sappiamo di una visita di Summonte al ministro francese, databile tra il 24 e il 25 settembre. Nel corso di questa visita, furono trattati esattamente i temi menzionati da Romano Avezzana. In secondo luogo, risulta che fu l’incaricato d’affari italiano a sollecitare da Briand un chiarimento su un regolamento generale delle relazioni francoitaliane, e che Briand fu disposto a riesaminare la questione, ma a patto che non gli si chiedesse «di far condurre l’esame su dei casi non giustificati o che non rilevano dal nostro solo apprezzamento (caso dello statuto di Tangeri)» 16. Sempre le fonti francesi ci informano che, ancora il 28 settembre, Romano Avezzana era a letto molto sofferente, a causa di un incidente occorsogli tempo prima a Chartres, da dove era rientrato in sede il 18 17.Tutto ciò fa velo alla possibilità che l’ambasciatore italiano abbia effettivamente potuto, il 25 settembre, incontrare Briand e non piuttosto “acquisire” e debitamente “filtrare” le informazioni raccolte dal Summonte. Romano Avezzana era convinto che all’Italia spettasse un ruolo maggiore in ambito coloniale; al contempo, egli raccomandava a Mussolini di non tenersi fuori dal patto di sicurezza. Il confronto tra fonti italiane e fonti francesi ci porta a credere che l’ambasciatore a Parigi desiderasse presentare la visione di Briand sotto la più favorevole luce, per non compromettere l’alto interesse che l’Italia aveva ad esser garante del patto renano, ed a concludere con la Francia un patto sull’Austria. Romano infatti sapeva bene che non ci si poteva attendere da Briand alcuna soluzione immediata del problema dei “sospesi coloniali”. Infatti, il Ministro aveva chiarito che sulla questione di Tangeri la Francia non era la sola a decidere, essendo necessario l’accordo di tutte le potenze firmatarie dello Statuto di quella città. Inoltre Briand aveva anche fatto velatamente intendere che sulla questione tunisina la posizione francese restava divergente da quella italiana. Per avere un quadro della situazione più completo, Mussolini chiese anche il parere di Scaloja sull’opportunità di aderire al patto renano e di fir-
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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno
mare un accordo con la Francia per la tutela dell’indipendenza austriaca 18. Il 28 settembre, dunque, Scialoja rilevò che il progetto di patto di garanzia prevedeva, da un lato un’aggressione nella zona renana smilitarizzata, dall’altro un atto di invasione o di guerra tout court. Ma detto questo, le lacune del progetto varato dai giuristi non gli sembravano né poche né trascurabili. Anzitutto esso non prevedeva una guerra aerea o sottomarina; in secondo luogo, il meccanismo previsto all’articolo 4 era incerto, tranne che nel ristretto ambito della zona smilitarizzata; negli altri casi, era difficile, ai garanti come al Consiglio della Società delle Nazioni, constatare rapidamente che un’aggressione si era verificata. Andavano tuttavia considerati i seguenti aspetti positivi: erano rari ormai i casi di una guerra che avrebbe coinvolto Francia, Belgio e Germania soltanto; il garante conservava inoltre piena libertà nel rilevare la sussistenza degli estremi di un’aggressione; si invocava, da parte francese e tedesca, l’adesione italiana al patto. Scialoja non concluse l’esposizione prima di aver toccato i temi importanti per Mussolini. Egli riteneva impossibile inserire nel patto disposizioni sulla frontiera del Brennero o sull’Austria; Scialoja, inoltre, scartava l’ipotesi di un patto separato, perché questo avrebbe sminuito il valore del patto renano e scosso il prestigio dell’Italia come garante; tralasciando il fatto che l’interesse della Francia all’indipendenza austriaca era «almeno pari» a quello italiano. Le conclusioni furonò presto tratte: «Date queste circostanze – scrisse Scialoja – ritengo che, qualora non si voglia iniziare una politica di raccoglimento e di isolamento, sia per noi più vantaggioso aderire al patto che restarne fuori» 19. Scialoja mostrava dunque di essersi accorto che il testo di patto predisposto a Londra non era, in alcune sue parti, accettabile per l’Italia; ed egli probabilmente sperava venisse modificato 20. Non meno importanti furono le osservazioni di Contarini, contenute in una relazione a Mussolini, che è stata resa nota dal Lefebvre D’Ovidio. Per Contarini, la Gran Bretagna aveva diretto interesse alla difesa delle Fiandre e del Reno. Per cui essa non era sullo stesso piano dell’Italia; a questa, inoltre, non conveniva sollevare la questione dell’Alto Adige, che non poteva esser fonte di instabilità se non dopo un eventuale Anschluss; ma in questo caso, era inutile chiedere garanzie, per il fatto che si sarebbero sollevati auto-
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maticamente contro l’Anschluss «gli interessi francesi, cechi, polacchi, jugoslavi». L’Italia inoltre doveva incoraggiare i tentativi francesi di garantire le frontiere orientali tedesche, ma non garantirle essa stessa, se non sollecitata da Polonia e Cecoslovacchia nel momento del pericolo. Per Contarini, la situazione generale lasciava libera l’Italia, ed intatti i suoi poteri in seno al Consiglio e all’Assemblea della Società delle Nazioni. Su queste basi, occorreva che il paese aderisse al patto renano fin dall’inizio, e non in un secondo momento 21. Come si vede, nella relazione di Contarini trovavansi idee e suggerimenti già espressi nel memorandum confidenziale del 4 aprile, preparato dall’Ufficio Trattati e Società delle Nazioni (cap. II. § 2) e fatti valere ripetutamente, illustrando la posizione italiana a Londra e a Parigi. Mussolini aveva dunque cercato, nel corso del negoziato sul patto, anche fruendo del Consiglio della “carriera”, di assicurare pari dignità a tutte le frontiere europee, facendo presente che l’indipendenza dell’Austria era interesse comune a Francia ed Italia. Ma le aspettative deluse dalla conferenza dei giuristi lo avevano spinto a considerare l’opportunità di provvedere per altra via (con l’ipotesi di un accordo italofrancese) alla soddisfazione degli interessi italiani. Certamente, i giochi non erano ancora fatti e alla conferenza dei ministri mancava ancora qualche settimana. Ma non era pensabile che Chamberlain si impegnasse più di quanto aveva già fatto. Stava quindi alla Francia e all’Italia, parti direttamente in causa, provvedere alla maggior sicurezza possibile. Per il momento non si poteva fare di più. Forse, in seguito, la generale atmosfera di distensione avrebbe creato una qualche occasione, offerto una via d’uscita; per questo motivo era meglio non restare fuori e, seppure in un quadro così incerto, cercare di riconquistare una posizione di rilievo nel novero di quelle potenze che stavano per misurarsi a Locarno.
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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno
2. U N
COLPO DI SCENA
Sembrava dunque definitivamente raggiunto l’accordo tra la Germania, la Francia e la Gran Bretagna sulla convocazione di una conferenza di ministri degli esteri per l’adozione del patto di sicurezza. Ma un colpo di scena venne a turbare gli animi e a mettere in forse i risultati raggiunti. A Berlino, il 23 settembre, l’ambasciatore De Bosdari aveva raccolto alcune riserve di Schubert sul patto di garanzia. Secondo il Segretario di Stato tedesco, l’articolo 16 del Covenant andava modificato, o perlomeno occorreva darne un’interpretazione autentica che fosse accettabile per la Germania. Era inoltre necessario assicurare la preventiva evacuazione della zona di Colonia e regolare in maniera equa e definitiva le questioni del disarmo e del controllo militare del territorio tedesco. Ma il problema più grave restava la pretesa francese di garantire i trattati di arbitrato tedescopolacco e tedescocecoslovacco. «Se la Germania non potrà aver vittoria su ciò – informava De Bosdari – Schubert mi ha detto chiaramente che [il] patto di garanzia non si concluderà» 22. Le obiezioni tedesche erano, per l’ambasciatore italiano, «senza dubbio gravi e fondamentali»; ma, ad uno stato delle cose così avanzato, la Germania avrebbe firmato il patto «per così dire a qualunque costo». De Bosdari aggiunse che le cose erano facilitate dal minore interesse della Francia per le sue alleanze orientali; si trattava infatti di «alleanze conchiuse come mezzo di fortuna nel periodo in cui la Francia poteva concepire come probabile anzi imminente una ripresa delle ostilità con la Germania, per propria iniziativa o per iniziativa di questa». Per De Bosdari, dunque, non c’era da temere che Polonia e Cecoslovacchia determinassero il fallimento del patto di garanzia, visto che «in politica internazionale, anche sotto il regime della Lega delle Nazioni, i piccoli e i deboli hanno sempre torto» 23. Le obiezioni della Germania vennero ufficializzate il 26 settembre, nella risposta all’invito pervenutole per la Conferenza dei ministri. Si prendeva atto dell’esistenza di un nesso tra il patto di sicurezza e l’entrata della Germania nella Società delle Nazioni, ma si teneva a precisare che l’impegno al rispetto dei trattati di pace non implicava affatto il riconoscimento
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della responsabilità di guerra. La Germania, infatti, non si sentiva colpevole dello scoppio del conflitto. In secondo luogo si desiderava che, al momento dell’ingresso nella Società delle Nazioni, la zona di Colonia venisse evacuata 24. Consegnando a Roma la nota verbale con queste osservazioni, l’incaricato d’affari tedesco, von Prittwitz, dichiarò che il suo governo era stato costretto a farle unicamente per ragioni di politica interna, onde evitare agli alleati sorprese nel corso della conferenza in Svizzera.Von Prittwitz aggiunse che la Germania riteneva meglio evitare una nuova nota interalleata, in risposta alle sue dichiarazioni. Era invece preferibile che ogni stato interessato esponesse il suo punto di vista nelle forme ordinarie. L’incaricato tedesco chiese infine se l’Italia avrebbe fatto rilievi, alla nota francese o a quella tedesca. La risposta di Mussolini fu che l’Italia si sarebbe regolata d’accordo con gli altri governi 25. Il governo inglese, secondo le informazioni di Preziosi, riteneva si potesse fissare al 5 ottobre l’apertura della conferenza, e non entrò nel merito del nuovo passo tedesco 26. Il Foreign Office, infatti, si sarebbe limitato a dare alla stampa un resoconto sommario della nota di Berlino 27. L’ambasciatore francese a Londra venne tenuto al corrente di questa linea di condotta 28. La posizione e le decisioni che il Governo di Sua Maestà intendeva adottare furono illustrate in un promemoria consegnato, il 28 settembre, dall’ambasciata inglese al governo italiano. «Il signor Chamberlain – informava il promemoria – nella sua conversazione con l’Ambasciatore tedesco 29, informò chiaramente S[ua] E[ccellenza] che egli considerava l’introduzione della questione della responsabilità di guerra in questa fase dei negoziati come un atto sconsigliato e provocatorio. Il Segretario di Stato informò anche l’ambasciatore di Francia, durante la conversazione ch’ebbe luogo subito dopo, che egli nutriva fiducia che l’introduzione di tale questione non dovrebbe modificare la linea di condotta finora proposta e che egli sperava che il signor Briand consentirebbe a rispondere accettando la data del 5 ottobre e nominando il luogo del convegno, dicendo soltanto che, per quanto riguardava la dichiarazione tedesca, i governi alleati non sentono la necessità di fare osservazioni al riguardo» 30. Contrariamente al
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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno
punto di vista dei francesi e di alcuni funzionari del Foreign Office, Chamberlain comunque desiderava pubblicare sia il passo tedesco, sia la risposta degli alleati con esplicite riserve di merito; un ostentato silenzio avrebbe infatti impensierito l’opinione pubblica 31. Preziosi, il 29 settembre, illustrò la posizione definitiva del governo inglese: esso prendeva atto con piacere che la Germania accettava l’invito alla conferenza senza riserve e che le questioni sollevate non erano essenziali, né avevano relazione alcuna con i negoziati sul patto di garanzia. Il governo inglese apprezzava anche il fatto che, da parte tedesca, non si erano sollevate obiezioni, o poste condizioni all’ingresso nella Società delle Nazioni; ma esso non si spiegava perché la Germania aveva sollevato la questione della responsabilità di guerra, mai toccata nel corso dei negoziati sul patto. Tali negoziati, infatti, non potevano affatto modificare il trattato di Versailles. Quanto all’evacuazione di Colonia, menzionata dalla Germania, essa dipendeva dai progressi nel disarmo tedesco, realizzati i quali si sarebbe senz’altro proceduto all’evacuazione 32. Non appena il passo tedesco fu reso noto a Parigi, il Segretario Generale del Quai d’Orsay, Philippe Berthelot, manifestò all’ambasciatore tedesco von Hoesch, il 26 settembre, tutta la sua sorpresa, sia per la sostanza delle questioni sollevate, sia per il momento scelto. Berthelot disse che un tale passo, se pubblicato, avrebbe compromesso l’intero negoziato e la conferenza sul patto renano. Impressionato da un simile linguaggio, Hoesch ne riferì al suo governo 33. Egli, quindi, comunicò al Quai d’Orsay che a Berlino avevano rinunciato alla pubblicazione del passo, prevista per martedì 29 settembre 34. Per il tramite dell’incaricato d’affari Roger, il governo francese pregò intanto quello italiano di voler astenersi (come esso stesso intendeva fare) dal pubblicare la nuova nota tedesca, limitandosi a dar notizia che la Germania aveva accettato l’invito alla conferenza. Mussolini consentì alla richiesta 35. Briand dove’ poi illustrare all’ambasciatore tedesco a Parigi il punto di vista del suo governo. Egli pose a Hoesch due vie d’uscita: 1) ritiro puro e semplice delle osservazioni tedesche; 2) presentazione di Hoesch a Briand delle osservazioni, ma senza lasciarne traccia scritta, risposta verbale di Briand, anche a nome degli alleati, con gli argomenti già
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esposti in passato, e infine diramazione di un comunicato stampa. Hoesch rispose che avrebbe consultato il suo governo 36. Contemporaneamente Briand tenne informato della cosa Mussolini, per il tramite di Roger. Questi rimarcò il grave impaccio in cui s’era venuto a trovare l’ambasciatore tedesco a Parigi 37. La questione fu risolta positivamente il 29 settembre. La Germania accettò «senza condizioni né riserve» l’invito alla conferenza sul patto di sicurezza e concordò sul fatto che le questioni sollevate trattavano di argomenti ad esso alieni; essa prendeva atto che la questione della responsabilità di guerra era regolata dal Trattato di Versailles, e che l’evacuazione di Colonia dipendeva dal sollecito adempimento delle clausole della pace relative al disarmo. Veniva infine sottolineato che le osservazioni fatte dalla Germania non erano affatto condizioni o riserve poste ad intralcio della prossima conferenza 38. Era per la Germania una sconfitta diplomatica senza disonore, perché camuffata da un chiarimento aggiuntivo al negoziato sulla sicurezza, che essa non poteva rischiare di far saltare. La nuova nota sulla responsabilità di guerra, tuttavia, fu un segnale ben chiaro di quanto la Germania si sentisse ormai alla pari con le grandi potenze, essendo ormai alla soglia della Società delle Nazioni. Francesi e tedeschi poterono così pubblicare, di comune accordo, il 30 settembre, contemporaneamente la nota verbale tedesca e la risposta francese 39. Quest’ultima era così concepita: «Il Governo della Repubblica francese è stato lieto di ricevere la risposta con la quale il Governo tedesco gli ha fatto conoscere la sua adesione alla riunione della Conferenza di Locarno. Esso prende atto che tale adesione non comporta riserva alcuna. La dichiarazione verbale rimessa al contempo dall’Ambasciatore di Germania si riferisce a due questioni che non potrebbero in alcun modo aver luogo nei negoziati di Locarno (designata intanto a sede della conferenza), poiché esse non hanno alcun rapporto con la discussione del Patto di sicurezza né possono apportarvi alcuna modifica. Quanto all’evacuazione della zona di Colonia e alla questione del disarmo della Germania alla quale essa è legata, il Governo francese ricorda che non dipende che dalla Germania
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stessa di sveltirne la soluzione con l’esecuzione dei suoi impegni, ed esso non può che riferirsi a tal riguardo alla nota alleata del 30 maggio 1925. Il Governo francese prende atto che il Governo tedesco concorda su questo punto e cioè che le osservazioni verbali formulate nel promemoria tedesco devono essere considerate come non implicanti né condizioni, né riserve preventive alla Conferenza» 40. Questa francese era una risposta meno dura della britannica, e ciò per precisa scelta di Londra. Il governo inglese aveva infatti deciso di usare verso la Germania un tono più energico poiché, in tal modo, le ripercussioni sull’opinione pubblica tedesca sarebbero state minori, e inoltre non ne avrebbero risentito i negoziati sul patto. La Gran Bretagna forse riteneva anche mal compensati i suoi sforzi d’introdurre la Germania nel consesso europeo, ed il suo prodigarsi nel far comprendere ai francesi l’opportunità di rinunciare ad un patto di garanzia esclusivamente bilaterale; il tono energico della risposta era dunque l’unico modo per risvegliare bruscamente i tedeschi dai sogni di revisione a tutto campo del sistema di Versailles 41. Per conoscere la posizione assunta dall’Italia rispetto al passo tedesco, dobbiamo leggere, oltre a quelli già citati, pochi ma significativi documenti. L’Archivio di Gabinetto conserva due bozze, non datate, della risposta del governo italiano, e il testo ufficiale della risposta, consegnato al Prittwitz dal Capo di Gabinetto del Ministero degli Esteri, Paulucci de’ Calboli Barone. La prima delle due bozze recita come segue: «Il Governo italiano ricevette contemporaneamente a quelli Alleati dal Governo tedesco comunicazione della nota e delle dichiarazioni della Germania relative alla sua partecipazione alla conferenza per il patto di mutua garanzia. Esso è stato tenuto al corrente dello scambio di idee avvenuto tra le cancellerie Alleate che ha condotto alle risposte che vengono date alla Germania. Il Governo italiano da parte sua non può che confermare quanto già avanti aveva dichiarato [...42 ] Alleati intorno alle questioni sollevate dalle dichiarazioni tedesche; né il patto di sicurezza può modificare il T[rattato] d[i] V[ersailles]. Poiché il Patto di garanzia si basa sul rispetto dei trattati, non è possibile prendere in considerazione le questioni sollevate dalle dichiarazioni tedesche». La seconda bozza è così concepita: «Dichiarazione. Nell’informare il Ministero
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degli Esteri che il Governo tedesco accettava senza riserve di partecipare al convegno in Svizzera per il Patto di mutua garanzia, l’Incaricato d’Affari di Germania fece conoscere alcune osservazioni verbali che il Reich comunicava contemporaneamente agli altri Governi alleati. In relazione a tali osservazioni, il Regio Governo rilevando che il Patto di mutua garanzia non può modificare il Trattato di Versailles, richiama e conferma per le questioni accennate nelle dette osservazioni, i punti di vista che il governo italiano ha avuto a suo tempo occasione di manifestare al riguardo, d’accordo con gli altri alleati» 43. La risposta ufficiale italiana fu presentata a Prittwitz, il 30 settembre, in questi termini: «Nell’informare il Ministero degli Esteri che il Governo tedesco accettava di partecipare al convegno in Svizzera per il patto di mutua garanzia, l’Incaricato d’Affari di Germania fece conoscere alcune osservazioni verbali che il Reich comunicava contemporaneamente agli altri Governi alleati. In relazione a tali osservazioni il Governo italiano fa presente che, poiché il Patto di mutua garanzia si basa sull’assoluto rispetto dei Trattati, non è possibile prendere in considerazione le questioni sollevate dalle osservazioni medesime» 44. Il governo italiano aderiva così alla procedura seguita dai governi alleati, ai quali la dichiarazione resa al Prittwitz fu comunicata 45. Fu dunque risolta una questione che per un momento aveva rischiato di compromettere il buon esito di un lungo e laborioso negoziato, e di ritardare l’agognata convocazione di una conferenza internazionale sul patto di garanzia. Si sono illustrate, crediamo a sufficienza, le posizioni nei confronti della Germania; si è visto il diverso atteggiamento della Gran Bretagna rispetto alla Francia. Si è anche constatato che l’Italia, in tale circostanza, aderì allo spirito dei trattati e condivise le vedute degli ex alleati, rigettando le nuove osservazioni tedesche. Analizzando la risposta italiana, va fatta una precisazione. Il tono di tale risposta differì sensibilmente da quello usato dalla Francia, cui a prima vista rassomigliava. Si è visto che c’erano due bozze, dalle quali scaturì il testo della risposta italiana. Facendo un confronto fra questi documenti, ci sembra che il primo paragrafo della risposta riprenda il primo paragrafo della secon-
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da bozza; mentre il secondo paragrafo discende dall’analogo paragrafo della prima bozza. Dal testo ufficiale presentato a von Prittwitz vennero dunque eliminati: a) il primo paragrafo della prima bozza, che era tutto sommato un excursus di fatti; b) il secondo paragrafo della seconda bozza, ove si ribadiva il punto di vista italiano, senza respingere apertamente il passo tedesco. A nostro avviso, dunque, la risposta italiana alle nuove osservazioni della Germania sulla sicurezza assunse la forma di un vero e proprio fin de non recevoir, molto più simile alla risposta inglese che a quella francese. Mussolini sceglieva, nelle dovute forme, la strada dell’inequivocabile chiarezza. Solo dopo che la risposta italiana fu consegnata alla Germania, egli seppe che la mite risposta francese era stata consigliata da Chamberlain. È difficile sapere con certezza come si sarebbe regolato Mussolini nell’apprendere tutto questo prima di rispondere a Prittwitz; resta il fatto che il passo tedesco non destò buona impressione a Roma 46 e che, dopo questo colpo di scena riservato dai tedeschi all’undecima ora, Mussolini trovò nuove ragioni per mantenere una certa unità di punti di vista con gli ex alleati, affinché l’Italia fosse ormai parte attiva dell’imminente conferenza di Locarno.
3. L’I TALIA
ALLA
C ONFERENZA
DI
L OCARNO
La conferenza di Locarno si aprì con vari aspetti del nuovo patto ancora da chiarire. La prima sessione si tenne nella tarda mattinata del 5 ottobre, dopo i saluti e le prolusioni di rito 47. Si fece un primo esame del testo del patto di sicurezza, approvato dai giuristi a Londra. In tale occasione, Scialoja appoggiò una proposta di emendamento formale, avanzata dal ministro belga Vandervelde sull’articolo primo, affinché non apparisse che la sicurezza del suo paese dipendeva esclusivamente dalla Francia. Fu poi Stresemann a proporre un emendamento «di pura forma» all’articolo 4, onde considerare atto ostile, non solo l’ammassamento in Renania di truppe tedesche, ma anche quello di truppe francesi e belghe. Briand, pur in ossequio al principio di reciprocità degli obblighi, obiettò che occorreva anche consi-
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derare il rispetto dei trattati di pace, che non dovevano esser violati col pretesto dell’eguaglianza. Egli, inoltre, chiese se Stresemann non intendeva per caso sostituire l’obbligo di smilitarizzazione della Renania con quello di “neutralizzazione”. Il verbale italiano riporta che sul punto Scialoja appoggiò lo Stresemann, poiché ai giuristi non si stava affatto chiedendo di modificare l’articolo in questione 48. Fu deciso perciò di sottoporre a questi l’emendamento di Stresemann. Sempre alla prima seduta della conferenza, il ministro tedesco, parlando dell’articolo 8 del progetto di patto, osservò che era sufficiente la formale richiesta di uno dei firmatari (e non dei due previsti) per chiedere al Consiglio della Società delle Nazioni di esaminare la possibilità di “assorbire” il patto di sicurezza nel sistema ginevrino; diversamente, sarebbe stato più difficile per la Germania, che per altri, trovare un secondo firmatario disposto a promuovere l’istanza di cui sopra. Anche in questo caso, Scialoja appoggiò la tesi di Stresemann e la questione fu demandata ai giuristi. Nell’incontro pomeridiano degli esperti giuridici, ebbe luogo una lunga discussione sull’articolo 4, nella formula proposta dai tedeschi. Ma Fromageot premé sul collega Gaus, affinché questi accettasse il testo esistente 49. Nonostante queste discussioni, Scialoja riscontrò un diffuso ottimismo fra i rappresentanti delle potenze convenute a Locarno, nonché il desiderio di superare ogni difficoltà 50. Nella seconda riunione, nel pomeriggio del 6 ottobre, l’attenzione si concentrò sul dibattito fra Stresemann e Briand, circa la possibilità di estendere la garanzia alle frontiere orientali della Germania, e sul significato dell’articolo 16 del Covenant. Il ministro tedesco disse che la Germania si era dimostrata pronta a concludere con tutti dei trattati di arbitrato, ma che quest’idea era stata interpretata dalla Francia come obbligo di dare una speciale garanzia ai vicini orientali; su questo occorrevano dei chiarimenti. Briand rispose di non comprendere le perplessità di Stresemann: se era vero che la Germania rinunciava al ricorso alla forza, come mezzo di soluzione delle controversie internazionali, perché poi si ritraeva di fronte alla prospettiva di una garanzia orientale? In secondo luogo, Briand fece presente che ognuno aveva la sua opinione pubblica, e che il Governo francese dove-
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va calmare le ansie della propria, che aveva faticato ad accettare la trasformazione della garanzia renana da unilaterale in multilaterale 51. Chiarite tali questioni, occorse, in margine ai lavori della Conferenza, un piccolo incidente che coinvolse l’Italia: erano state fatte, dal Popolo d’Italia, premature rivelazioni circa l’andamento dei lavori 52. Nel corso della terza seduta, tenutasi nel pomeriggio del 7 ottobre, i giuristi sottoposero alla Conferenza il testo del patto di sicurezza, emendato in base alle osservazioni sino allora presentate. Si considerò anche che l’Italia aveva chiesto formalmente di non essere annoverata tra le potenze firmatarie del patto di sicurezza, volendo riservarsi ogni decisione in merito 53. In tal senso aveva probabilmente influito la vessata questione dell’articolo 4, paragrafo terzo. Quando si giunse all’esame di tale articolo, Scialoja propose che il terzo paragrafo prevedesse il diritto all’assistenza dei garanti, oltre che nel caso di aggressione non provocata, anche in caso di violazione «di una delle frontiere» e non semplicemente della sola frontiera occidentale tedesca. Fu, questo, uno dei tentativi volti a spostare alcune pedine in senso favorevole all’Italia. Giuridicamente e politicamente, il passo di Scialoja svelava il desiderio di far approvare a Locarno il principio dell’uguaglianza delle frontiere europee, così come stabilite dai trattati di pace, di ribadire in via ufficiale (rafforzandolo) il principio del divieto di Anschluss. Che Mussolini abbia dato a Scialoja precise istruzioni in merito non è stato possibile accertarlo 54; ma certamente, il delegato italiano agì sulla scorta delle convinzioni maturate in occasione della conferenza dei giuristi di Londra, e che Mussolini ben conosceva. Tali convinzioni, a nostro avviso, non potevano che condurre ad una revisione critica dell’operato di Pilotti in quella sede.Ad ogni modo, il tentativo italiano di rivedere l’articolo 4 del patto di sicurezza venne frustrato dal consigliere giuridico belga, Rolin, il quale disse di considerare il passo di Scialoja solo una specificazione dell’obbligo previsto dall’articolo 2 del progetto di patto, obbligo limitato alla frontiera occidentale tedesca 55. Quanto la questione fosse importante per l’Italia, si evince anche dai documenti britannici. Nel corso di una riunione della delegazione britannica a Locarno Sir Charles Hurst osservò che «gli italiani stavano causando
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qualche difficoltà sul riferimento in certi articoli del patto all’articolo 180, paragrafi 1 e 3». Peraltro egli rammentava che, nelle prime stesure del progetto di patto, detto riferimento non c’era, venendo richiamati solo gli articoli 42 e 43 del Trattato di Versailles. Si era fatta menzione dell’articolo 180 per risolvere il dubbio se il successivo articolo 213 si applicasse solo a clausole militari, ovvero anche ad altre clausole della pace. «Sir Cecil Hurst riteneva che non fosse vitale mantenere il riferimento all’articolo 180, paragrafi 1 e 3, poiché in sostanza questi paragrafi erano ricompresi nell’articolo 42 del trattato di Versailles. Nondimeno sarebbe difficile indurre il governo francese ad accettare la cancellazione del riferimento. La preoccupazione italiana nasceva dal fatto che solo i paragrafi 1 e 3 dell’articolo 180 erano menzionati». In effetti, dei non citati paragrafi 2 e 4, il primo era ormai non più vitale, ma il secondo prevedeva l’obbligo per la Germania di mantenere lo status quo delle fortificazioni alle sue frontiere orientali e meridionali. «Verso questo paragrafo – concludeva Hurst – gli italiani avevano un interesse, ed essi temevano che il menzionare solo i paragrafi 1 e 3 avrebbe in effetti sminuito il valore del quarto paragrafo» 56. Chamberlain si mostrò disposto a prendere in considerazione le obiezioni italiane: ma a condizione che Briand facesse lo stesso e che, last but not least, l’Italia finalmente garantisse la sua partecipazione al patto di sicurezza. Sempre il 7 ottobre si svolse una discussione sull’articolo 8 del progetto (casi di estinzione del patto di sicurezza); qui la delegazione italiana propose di omettere dal testo in questione le parole «sulla richiesta di almeno due parti contraenti» 57. Alle obiezioni di Chamberlain, secondo il quale si sarebbe fatto così dipendere il destino del patto renano dalle decisioni dei membri del Consiglio che non erano anche firmatari del patto, cercò di porre rimedio una mozione belga, di votare a maggioranza di due terzi in seno al Consiglio, con un lasso di dodici mesi tra la decisione del Consiglio e l’effettiva cessazione del patto di sicurezza. Ma Scialoja, a sua volta, rilevò l’inconveniente che il Consiglio avrebbe dovuto decidere su una situazione che, nel giro di un anno, avrebbe potuto mutare. Si rischiava cioè di deliberare prematuramente la fine del patto, o altrimenti di mantenere in vita uno strumento che magari un anno dopo non sarebbe stato più necessario.
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Fu perciò convenuto di deferire all’esame dei giuristi una proposta di Briand, di un preavviso, di almeno tre mesi, dell’intenzione di uno dei contraenti di sottoporre al Consiglio della Società delle Nazioni la questione della continuità o della cessazione del patto di sicurezza 58. Nel corso della seduta pomeridiana dell’ 8 ottobre, la Conferenza affrontò il delicato tema dell’entrata della Germania nella Società delle Nazioni, e specialmente il problema dell’applicabilità nei confronti di essa degli obblighi previsti dall’articolo 16 del Covenant. Stresemann osservò che il disarmo cui la Germania era costretta dal trattato di pace confliggeva con l’obbligo di garantire un intervento diretto o indiretto in un conflitto provocato da terzi, di cui all’articolo 16. Per il governo tedesco, tale articolo non poteva prescindere dalla situazione concreta di ciascuno stato ed era suscettibile di applicazione vaga ed imprecisa; occorreva quindi consentire alla Germania di riservarsi il diritto di stabilire i limiti della partecipazione a misure di sicurezza collettiva decise dalla Lega. Briand obiettò che se uno stato membro della Società delle Nazioni, con un’armata di soli centomila uomini (com’era la Germania), si fosse rifiutato di concorrere in azioni di difesa collettiva, sarebbe stato necessario alla Lega, per garantire il funzionamento del Covenant, far ricorso ai suoi membri più armati; di conseguenza, qualsiasi proposta di disarmo generale, avanzata in un momento successivo, sarebbe stata votata al fallimento. A tali osservazioni, Chamberlain aggiunse che le pretese della Germania non avrebbero mai potuto essere accettate dall’opinione pubblica britannica; pur comprendendo quali fossero le preoccupazioni tedesche, non era possibile opporre condizioni particolari al buon funzionamento della sicurezza collettiva. Scialoja, invece, rilevò che, una volta entrata nella Società delle Nazioni, la Germania avrebbe potuto far valere le sue ragioni in quella sede. Egli fece anche presente che l’articolo 16 del Covenant non prevedeva che l’ipotesi di attacco diretto; per cui, se era vero che la Germania non voleva rendersi colpevole di aggressione, non si capiva perché tale articolo le creasse tanti problemi 59. Il 9 ottobre la Conferenza di Locarno non tenne sedute, ma ebbe luogo una riunione dei giuristi, mentre i capi delle rispettive delegazioni incon-
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travano, dopo reciproci scambi di idee, i rappresentanti di Polonia e Cecoslovacchia 60. Gli incontri privati furono probabilmente altrettanto decisivi per la soluzione dei numerosi problemi aperti (non da ultimo quello delle garanzie sulle frontiere orientali tedesche) e diedero quindi un indirizzo ai lavori ufficiali della conferenza. Il 10 ottobre la Conferenza riprese le sue sedute con l’approvazione, in prima lettura, del progetto di patto di sicurezza (tranne che per gli articoli 6, 7 ed 11). Fu dapprima adottato l’articolo 8 61. Si passò quindi all’esame dell’articolo 3, a proposito del quale Vandervelde commentò un emendamento stilato il giorno prima in forma di memorandum 62. Nel corso delle discussione, Scialoja osservò che sarebbe stato opportuno, se non necessario, chiarire nel testo dei patti di arbitrato che le questioni contemplate dagli articoli 16 del Covenant e 36 dello Statuto della Corte Permanente di Giustizia Internazionale, sarebbero tutte rientrate nel quadro dell’istituto arbitrale. La questione fu rinviata, su proposta di Chamberlain, al momento in cui i testi dei trattati di arbitrato sarebbero stati esaminati dalla Conferenza. Fu data quindi lettura del testo del patto di sicurezza e qui Scialoja riservò, a nome dell’Italia, gli articoli 1 e 2, secondo comma, essendo ancora sospesa la questione del richiamo, che questi facevano, all’articolo 180, primo e terzo paragrafo, di Versailles. Implicita era dunque anche la riserva italiana ai successivi articoli 4 e 5 del patto. Il delegato italiano chiese anche che l’Italia figurasse nel preambolo fra le alte parti contraenti 63. Come lo stesso Scialoja spiegò a Mussolini, lo stesso giorno, «ho creduto di dover fare inserire (...) il nome dell’Italia nel preambolo perché, al punto in cui sono giunti i lavori, e qualunque possa essere il loro esito definitivo, mi è parso tale inserzione, la quale non implica l’accettazione del patto, servisse a rafforzare la posizione dell’Italia tanto di fronte agli alleati che di fronte ai tedeschi, sia nel caso di conclusione, come di non riuscita dei negoziati» 64. La dichiarazione di Scialoja fu ricevuta con grande soddisfazione da tutti i delegati 65. Il passo di Scialoja, comunque lo si veda, induceva gli alleati a ritenere imminente l’adesione dell’Italia al patto di sicurezza. Alla vigilia della conferenza, il 4 ottobre, Scialoja aveva dichiarato a Chamberlain che il suo
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ruolo a Locarno sarebbe stato ben più che quello di un osservatore. Scialoja anzi «era stato incapace di persuadere il Signor Mussolini a venire egli stesso all’apertura della conferenza, ma il Presidente del Consiglio non escludeva l’idea di poter venire in un secondo tempo. In ogni caso, il Signor Scialoja aveva ora autorità per aderire al Patto Occidentale se fosse stato concluso nei termini che erano stati prefigurati» 66. V’era dunque motivo di aspettarsi una formale adesione dell’Italia al patto renano. A giudicare dai fatti, lo stesso Scialoja poteva aver alimentato simili attese, Egli aveva fatto intendere a Chamberlain di essere a Locarno munito dei pieni poteri per aderire al patto, se concluso nei termini previsti (quei termini cioè che all’Italia dovevano esser già abbastanza chiari dalla riunione dei giuristi di Londra). Maggior prova di cosa significasse per gli inglesi la richiesta italiana di figurare tra i contraenti originari, indicati nel preambolo del patto, proviene da un resoconto degli eventi, fatto da Chamberlain a Tyrrell. «La seduta del 10 ottobre – scriveva il ministro – è stata importante per la definitiva richiesta di Scialoja che il preambolo venisse emendato per includere l’Italia nel patto, il quale così prende forma di un patto a cinque. La delegazione italiana desidera particolarmente che ciò non appaia come decisione improvvisa e drammatica». E così terminava: «Ella ricorderà che Scialoja fin dal primo giorno mi diede, quale presidente della conferenza chiara indicazione che era questo lo sviluppo più probabile» 67. La richiesta dell’Italia di figurare tra i firmatari del patto di sicurezza si percepì dunque come una svolta. Ma tale svolta va collegata al desiderio dell’Italia che il patto garantisse “tutto” l’articolo 180 di Versailles, e non solo una sua parte. Scialoja fu l’artefice del tentativo fatto in tal senso a Locarno, cercando di correggere l’operato di Pilotti. Per ottenere i risultati sperati, a Scialoja va il merito di aver perseguito un’equilibrata intesa con tutti i ministri riuniti a Locarno: non rinunciando alla vecchia solidarietà alleata, ove necessario per far recedere la Germania da alcune sue richieste; ma tenendo presente che alcune posizioni assunte dalla Germania esigevano considerazione. I verbali della conferenza di Locarno concordano sostanzialmente su questo punto; per quanto la posizione di Scialoja non sia stata sempre di primo piano.
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Certamente la richiesta di Scialoja del 10 ottobre, di inserire l’Italia nel preambolo del patto renano, fu un modo per rafforzare la posizione del suo paese, per cercar di risolvere dall’interno i nodi cruciali della garanzia. Sotto questo profilo, il delegato italiano aveva ragione di sostenere che la richiesta non implicava adesione al patto, perché quel patto egli mirava a modificarlo a Locarno, in senso favorevole per l’Italia e con l’assenso di Londra e Parigi. Ma tale assenso poteva ottenersi solo prefigurando ad inglesi e francesi la possibilità che l’Italia aderisse al patto. Questa linea di condotta può apparire alquanto contorta ed equivocata da un linguaggio rassicurante, come quello usato da Scialoja con Chamberlain. Al contempo, essa potrebbe sembrare una forzatura nei confronti di Mussolini, di cui sarebbe stato carpito un consenso anticipato all’entrata dell’Italia nel patto. Ma quest’impressione non ci pare avvalorata da elementi concreti, visto che Mussolini non smentì la condotta del delegato italiano, anche se preferì attendere i risultati della conferenza di Locarno, per decidere i passi da fare. La situazione attuale non consentiva, ad ogni modo, a Mussolini di far macchina indietro. Vi è poi un altro fattore da considerare: lo stato non proprio ottimale dei rapporti italotedeschi. Nel corso di una conversazione privata con Chamberlain, avuta a Locarno l’8 ottobre, Stresemann aveva detto che l’Italia «sembrava (...) un sottomarino navigante proprio al di sotto del livello delle acque, indeciso contro quale nave scagliare il suo siluro» 68. È ovvio che i siluri che l’Italia poteva avere in serbo erano tutti destinati a contrastare l’eventualità di un Anschluss, qualora la Germania vi avesse mostrato una qualche propensione. Ma l’indipendenza austriaca, o l’interesse italiano a tutelarla, non erano al centro della Conferenza di Locarno; per cui, puntando alla modifica dell’articolo 4 del patto, Scialoja cercò per via indiretta di saldare quest’articolo al principio dell’integrità degli articoli 80 di Versailles ed 88 di SaintGermain 69. Egli seguì perciò due vie: cercar di allargare il concetto di violazione delle frontiere, di cui all’articolo quarto del progetto di patto di sicurezza; chiedere la cancellazione del richiamo ai paragrafi 1 e 3 dell’articolo 180 di Versailles. Il primo tentativo venne fatto fallire, come già visto,
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dal giurista belga Rolin, e oggetto della garanzia rimase soltanto il quadrante renano (ma è indubbio che Fromageot, sicuramente, ed Hurst, probabilmente, si sarebbero condotti allo stesso modo). Il secondo tentativo incontrò invece un certo favore, specialmente presso Hurst, per il quale il riferimento all’articolo 180 di Versailles era già implicito nel richiamo all’articolo 42 del patto e se ne poteva quindi omettere la citazione 70. Fu così che nella settima seduta pomeridiana del 13 ottobre 71 (si erano avuti nel frattempo degli incontri informali, dapprima tra i giuristi ed i capi delegazione francese, inglese e tedesco sul Lago Maggiore 72, e quindi tra Stresemann, Briand e Chamberlain, nella stanza d’albergo di quest’ultimo) venne finalmente accolta la proposta italiana, di cancellare dal testo del patto il richiamo all’articolo 180, paragrafi 1 e 3, di Versailles 73. Si andò così, dopo discussioni che non generarono grandi problemi, verso l’approvazione definitiva del patto renano. Si coronava dunque il sogno di molti politici, diplomatici e giuristi del tempo, di una riconciliazione solenne tra Francia e Germania, onorevolmente suffragata dalla Società delle Nazioni. Si realizzava la sicurezza, garantita da due potenze europee, la Gran Bretagna e l’Italia; ragione di più per vedere comparire finalmente sulla scena un altro grande protagonista della Conferenza di Locarno.
4. M USSOLINI
A
L OCARNO
L’ambasciatore italiano a Londra, Della Torretta, aveva più volte consigliato a Mussolini di partire per Locarno, e di non creare una situazione delicata con il Foreign Office e naturalmente col Governo di Sua Maestà. Egli aveva intanto cercato di spiegare a Londra i problemi che impedivano al capo del governo italiano di lasciare per il momento il paese; dubitava, tuttavia, che anche la spiegazione più esauriente potesse scongiurare complicazioni diplomatiche con gli inglesi 74. Ma la sera del 14 ottobre Chamberlain ricevette dall’Ambasciata britannica in Roma una notizia importantissima. Graham comunicava quanto segue: «Mussolini mi ha informato questa sera che ha stabilito di andare a
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Locarno. Egli con caratteristica impulsività partirà stasera. Ha detto che vorrebbe Ella comprendesse che vi si recava quasi solo per vederla e perché sapeva che Ella desiderava che venisse. Egli vorrebbe rimanervi il più breve tempo possibile ma sarebbe pronto a restare per due o tre giorni se necessario. Gli ho chiesto se l’aveva informata del suo arrivo, ma ha detto che non l’aveva comunicato nemmeno a Scialoja. La stampa non sa nulla di ciò ed egli sperava che non avrebbe scoperto la sua partenza (prima?) di domani mattina» 75. Di questo colloquio di Mussolini con l’ambasciatore britannico a Roma si ha traccia nelle carte italiane, in un elenco delle udienze accordate per il 14 ottobre, dove risulta che Graham vide Mussolini alle ore 18, e che si trattò probabilmente dell’ultima udienza da questi concessa, prima di partire per Locarno 76. Si ha poi conferma del fatto che nessuna notizia fu diramata in proposito alle agenzie di stampa 77. Il giorno dopo Besnard, recatosi a Palazzo Chigi «per qualche affare secondario», constatò nell’entourage di Mussolini una grande soddisfazione per la felice conclusione della conferenza e per la partecipazione dell’Italia al patto di garanzia 78. Come si è visto, Mussolini aveva detto a Graham che sarebbe andato a Locarno quasi esclusivamente per incontrare Chamberlain, su espresso desiderio di questi. Ciò conferisce importanza agli avvertimenti di Della Torretta. La necessità di maggiore armonia nei rapporti italobritannici, dopo un periodo di sospetti e di malintesi 79, può considerarsi argomento non secondario a sostegno della decisione di recarsi nella cittadina svizzera. Certamente, Mussolini aveva sperato di ottenere di più dalla conferenza. Ma qui Scialoja aveva fatto del suo meglio, ottenendo per l’Italia importanti modifiche al patto. Subentrava poi un fattore psicologico: per Mussolini, malgrado tutto, essere a Locarno insieme a Chamberlain, come garante del patto di sicurezza, costituiva un successo di prestigio, presentandosi l’Italia al di sopra delle parti ed al fianco di una grande potenza come la Gran Bretagna. Il capo del governo italiano arrivò dunque a Locarno nel pomeriggio del 15 ottobre (s’era frattanto tenuta in mattinata l’ottava seduta della Conferenza per l’approvazione del testo finale del patto renano e dei trattati arbitrali francotedesco e belgatedesco), prendendo alloggio a Villa
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Farinelli. Egli ebbe subito un primo colloquio di un quarto d’ora con Scialoja; quindi riceve’ il presidente e il vicepresidente del Consiglio di Stato elvetico, Cattori e Rossi. Sempre nel pomeriggio del 15 ottobre, Mussolini incontrò il collega britannico Chamberlain 80. Di questo colloquio oggi abbiamo sia il resoconto dello stesso Chamberlain, pubblicato nei documenti inglesi, sia il resoconto autografo di Mussolini 81. Il colloquio fu cordialissimo. Da quanto scrive il capo del governo italiano, Chamberlain gli illustrò il fine ultimo del patto di garanzia: «Rendere più difficile lo scoppio della guerra, poiché i due contraenti ci penseranno assai, prima di muoversi, sapendo che sull’aggressore potranno cadere le sanzioni dei due garanti»; l’adesione italiana era dunque «adesione di grande importanza, più della pace sul Reno, il che significava pace [per] tutta [l’]Europa». «A questo punto – annotò Mussolini – gli ho fatto rilevare che l’adesione dell’Italia era tanto più importante per il fatto che non si era avanzata la contropartita della garanzia sul Brennero»: sia per non complicare le cose, sia perché, in fondo, l’Italia poteva difendere il Brennero da sé; senza contare che sollevare la questione significava implicitamente riconoscere la possibilità dell’Anschluss 82. Chamberlain smentì poi le affermazioni del ministro degli esteri sovietico, Cicerin, che fosse intento della Gran Bretagna procedere all’accerchiamento politico della Russia, mentre era, al contrario, auspicabile una distensione russopolacca. A questo punto della discussione, il ministro britannico menzionò la lettera consegnata a Scialoja, il 10 giugno, per un’azione comune nei Balcani. «Gli ho detto – è ancora Mussolini che parla – che non avevo nulla in contrario ad esaminare tale possibilità, ma lo stesso Ch[amberlain] ha poi soggiunto che la sua era una semplice suggestione, non una proposta formale. Non ho insistito per chiarire di più». Dal verbale inglese risulta che la risposta di Mussolini fu «alquanto non impegnativa», dovendosi aver considerazione per la situazione dei vari paesi dell’area 83. L’atmosfera generale dell’incontro fu molto distesa e s’accentuò il senso di reciproca stima fra lo statista italiano e quello britannico 84. «Meno interessante» fu il colloquio che Mussolini ebbe, subito dopo, col collega francese Briand (di cui allo stesso resoconto autografo) 85.Vanno in
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proposito registrate alcune significative osservazioni annotate dal capo del governo italiano: «Briand, salvo qualche accenno estremamente benevolo per le qualità giuridiche di Scialoja, ha glissé 86 sulla parte avuta dall’Italia, il che significa che non gli è completamente piaciuta. L’Italia, che sullo stesso piede dell’Inghilterra, garantisce la pace sul Reno e siede arbitra dei destini dell’Occidente e dei destini delle due nazioni rivali, non deve piacere molto ai francesi. Quindi nessuna speciale parola di compiacimento per il mio intervento, né per l’atteggiamento preso dall’Italia. Contrasto nettissimo collo stato d’animo di Chamberlain». A Briand Mussolini ribadì l’opposizione dell’Italia all’Anschluss, trovandovi concorde il collega francese. Per il resto, non furono toccati tra i due argomenti specifici 87.Va però segnalato che, a margine del suo resoconto autografo, Mussolini annotò: «Niente Colonie o mandati! Niente evacuazione di Colonia!».Tali osservazioni sono da collegare a due elementi: le ricorrenti voci secondo cui a Locarno i tedeschi avrebbero chiesto, in cambio dell’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni, la restituzione delle loro colonie e la revisione dei mandati 88; l’avversione francese all’evacuazione di Colonia, quale prevedibile effetto della conclusione del patto renano 89. Congedatosi da Briand, Mussolini riceve’ Beneš, con cui parlò dei trattati di arbitrato orientali, dell’Anschluss (che il ministro cecoslovacco considerava «una specie di ricatto periodico degli austriaci»), dello stato dei rapporti bilaterali ed infine della prospettiva di una commemorazione di Silvio Pellico allo Spielberg. Molto breve fu anche il colloquio con Skrzynski, di cui Mussolini notò il sostanziale pessimismo nei confronti degli accordi di Locarno 90. Il giorno dopo, 16 ottobre, alle ore dieci, il capo del governo italiano si recò all’Hotel Esplanade, sede della delegazione tedesca, per un colloquio con Luther e Stresemann (presente anche von Schubert). Purtoppo non è dato sapere cosa fu detto in quell’occasione, in quanto non sembra esservi da parte italiana un resoconto scritto; la notizia è infatti desunta da un comunicato dell’Agenzia Stefani di quello stesso giorno 91. Anche il recentissimo volume dei documenti diplomatici tedeschi non dà maggior lume 92.
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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno
L’interrogativo che ci si pone è se questa visita di Mussolini abbia fatto seguito ad una visita tedesca a Villa Farinelli. Il dispaccio della Stefani da infatti notizia anche di visite restituite da Mussolini ai colleghi inglese, francese, ceco e polacco 93. Ma nel resoconto autografo del 15 ottobre, il capo del governo italiano non menziona affatto un incontro con la delegazione tedesca; né di ciò si ha notizia da altre fonti. Può darsi che la visita del 16 ottobre sia stata dunque un’iniziativa italiana, dettata da ragioni ad un tempo politiche e protocollari: politiche, per dare alla Germania un generico segno di disponibilità e di distensione, nonostante l’opposizione all’ Anschluss; protocollari, perché, a Locarno, Italia e Germania erano entrambe rappresentate a livello sia di ministri degli esteri, sia di capi di governo, sicché non spettava a Luther, Cancelliere del Reich, render per primo visita al collega Mussolini, ultimo arrivato a Locarno. Al di là di queste considerazioni marginali non si può, per il momento, andare, né accertare cosa italiani e tedeschi si dissero. Dato però il latente clima di reciproca diffidenza, e vista la brevità della visita, si trattò probabilmente di un incontro di circostanza, privo di contenuti politici.
5. L A
PARAFATURA DEI
PATTI
DI
L OCARNO
Finalmente, nel pomeriggio di quel 16 ottobre 1925, si procedette alla parafatura dei patti di Locarno (cioè del patto di sicurezza, dei trattati di arbitrato tra Germania e Francia e tra Germania e Belgio, dei trattati di arbitrato tra Germania e Polonia e tra Germania e Cecoslovacchia, di un protocollo conclusivo e di una nota degli alleati alla Germania sull’interpretazione dell’articolo 16 del Patto della Società delle Nazioni). Un problema, sollevato dalla Germania, il giorno prima, circa l’incompatibilità tra la sua futura posizione di membro del Consiglio della Società delle Nazioni e l’articolo 213 di Versailles, (riguardante il controllo del territorio tedesco) 94 non venne a pregiudicare il conseguimento del risultato da tutti voluto. I trattati furono perciò siglati e la firma definitiva venne concordata per il 1º dicembre a Londra. Si tennero quindi i discorsi di rito e furono
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reciprocamente scambiate, dalle delegazioni presenti, le congratulazioni per il successo della Conferenza. Il sindaco di Locarno, Rusca, venne così introdotto per tenere il discorso conclusivo. Mussolini, da parte sua, dichiarò quanto segue: «Sono felice di associarmi a nome dell’Italia alle parole che sono state qui pronunciate. E mi compiaccio (che) il risultato felice della Conferenza si debba anche al metodo impiegato: metodo confidenziale che ha permesso di condurre a termine i lavori in una atmosfera di cordialità. Credo se le formule e le clausole del Trattato che abbiamo parafato diventeranno realtà vivente, come lo debbono, comincerà un’epoca nuova nei rapporti tra i popoli» 95. Davvero sembrava schiudersi un’epoca nuova per le relazioni internazionali, improntata alla sicurezza, ma anche alla collaborazione, tra i nemici di un tempo. In verità, rimanevano alcuni problemi, insoluti o, meglio, non chiariti a sufficienza nel corso degli scambi diplomatici, durante il lungo negoziato e poi alla conferenza di Locarno. In attesa che il tempo si incaricasse di evidenziarne la portata, poteva fin d’ora dirsi che i patti di Locarno lasciavano alla nuova Germania ampi spazi di manovra, che la sua vecchia condizione di stato vinto non le avrebbe mai consentito di ottenere, e che tutto ciò non sarebbe stato privo di effetto sulla politica estera italiana.
6. I
PATTI DI ASSISTENZA TRA LA
LA
F RANCIA ,
LA
C ECOSLOVACCHIA
E
P OLONIA
Insieme al patto di sicurezza ed agli strumenti collegati, vennero conclusi a Locarno anche due patti di assistenza, rispettivamente tra Francia e Polonia e tra Francia e Cecoslovacchia 96. La Francia si era posta il problema di come garantire le frontiere orientali della Germania, in previsione dei negoziati sul patto di sicurezza occidentale. Ma i problemi propettatisi erano di tre ordini: a) la Polonia credeva ciecamente alla “santità” delle sue frontiere, quali risultanti dai trattati, mentre per la Francia si trattava di una “santità relativa”, ossia bilanciata dal Covenant e dal suo articolo 19; b) la Polonia, ancora, rifiutava che le sue
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frontiere formassero oggetto di un arbitrato, ed in genere di un pronunciamento vincolante di autorità super partes (ciò significava per essa escludere del tutto la discussione della questione; per la Germania, invece, significava non precludersi il diritto di ricorso ad un procedimento conciliativo presso la Società delle Nazioni); c) dal canto suo, la Francia temeva di essere inutilmente coinvolta in un casus belli con la Gran Bretagna qualora, per soccorrere la Polonia attaccata dalla Germania, fosse stata costretta a violare la neutralità del territorio renano 97. Skrzynski, temendo un ripudio dell’alleanza francopolacca, incontrò Briand a Ginevra, l’8 settembre, in occasione dei lavori della Società delle Nazioni e consegnò al collega francese un memorandum sulla posizione polacca in tema di sicurezza. Massigli, delegato francese alla Società delle Nazioni, fu incaricato di darvi risposta, con rinnovate assicurazioni circa le intenzioni del suo paese. «Dubito che ciò basti ai polacchi» scrisse a Laroche il 9 settembre. «La verità è che vi è da loro, ed anche in minor grado presso i cechi, una reale inquietudine»; per questo occorreva accelerare il «negoziato orientale», approfittando della momentanea presenza di Fromageot a Ginevra, per poi parlare con i cechi e i polacchi dei loro problemi 98. Il 22 settembre, Berthelot comunicò all’ambasciata a Berlino che il patto renano e il patto d’arbitrato francotedesco erano pronti. «Il trattato d’arbitrato tedescoceco (e di conseguenza tedescopolacco) è stato preparato da noi, su richiesta del signor Beneš, ed interamente da lui approvato. Il Signor Fromageot ha comunicato confidenzialmente a Sir Cecil Hurst questi ultimi testi, già da lui apprezzati» 99. Di diverso tenore le notizie provenienti da Varsavia: il ministro Skrzynski, infatti, non vedeva per quale ragione dovesse aderire alla decisione di Beneš di approvare un progetto di patto d’arbitrato su cui la Polonia non era stata affatto consultata 100. Sempre il 22 settembre, Stresemann comunicò ufficialmente che la Germania accettava che la Società delle Nazioni garantisse i trattati con la Polonia e la Cecoslovacchia, e designasse delle potenze quali suoi agenti: “potenze” al plurale, essendo inammissibile che una sola potenza, cioè la Francia, si ergesse a garante di quei trattati 101. Cadeva così l’ipotesi carezzata da Briand il 9 settembre (cap. IV. §4) di conciliare il Covenant con le
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alleanze orientali francesi. Restava allora, come via di uscita, l’idea di Hurst di uno “strumento separato”, che non rendeva tuttavia il percorso meno accidentato. Il problema delle garanzie francesi ad est fu ripreso ed affrontato alla conferenza di Locarno. Il 4 ottobre, Schubert ribadì il punto di vista tedesco sull’argomento, ma suggerì che fossero i giuristi ad aggirare in qualche modo l’ostacolo dell’inconciliabilità delle posizioni politiche 102. Il 7 successivo, la delegazione tedesca si oppose formalmente all’ipotesi della garanzia francese sui trattati di arbitrato orientali 103. La voce che Briand coltivasse un progetto alternativo non trovò conferma 104; né maggiori chiarimenti poté fornire un incontro tra il cancelliere tedesco Luther e Briand 105. Da una serie di conversazioni private emersero comunque tre proposte per sciogliere il nodo cruciale. La prima proposta la fece Chamberlain: al patto di arbitrato, tra Germania da un lato e Polonia e Cecoslovacchia dall’altro, la Francia non avrebbe assicurato alcuna garanzia, ma il governo polacco avrebbe chiesto ufficialmente a Parigi in quale modo il patto di sicurezza avrebbe influito sull’alleanza francopolacca. La Francia avrebbe risposto assicurando il funzionamento del casus foederis, qualora la Polonia fosse stata oggetto di attacco non provocato della Germania. La seconda proposta prevedeva un impegno scritto francese, di mettere a diposizione del Consiglio della Lega, in caso di controversia tedesco-polacca di cui questo fosse investito, tutte le forze disponibili. Solo in mancanza di un rapporto sulla controversia, ogni membro della Società delle Nazioni (diverso dalle parti in causa) si sarebbe riservato il diritto di intraprendere quelle azioni considerate necessarie per il mantenimento della pace. La terza proposta, elaborata da Bennett, prevedeva un trattato tedescopolacco in aggiunta a quello di arbitrato, composto di due articoli, l’uno tratto dall’articolo secondo del trattato di arbitrato, l’altro dall’articolo terzo del patto renano. In tal modo, sarebbe stata preclusa ai contendenti la possibilità di ricorrere alla forza, in caso di mancata decisione del Consiglio della Società delle Nazioni. L’uso della forza avrebbe messo in azione l’articolo 15 del Covenant e garantito assistenza alla parte aggredita 106.
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Nella seduta del 10 ottobre, i punti di vista contrapposti si avvicinarono, in seguito ad approfondite discussioni tra i capi-delegazione ed i rispettivi giuristi. A questi ultimi venne delegato lo studio di una formula che, senza menomare la tesi francese, tenesse conto delle differenti posizioni 107. La questione della garanzia francese a Polonia e Cecoslovacchia venne affrontata il giorno dopo, domenica 11, nel corso di conversazioni private fra tedeschi, polacchi e cechi, cui i francesi parteciparono. «Abbiamo redatto più formule che hanno l’assenso dei nostri alleati» informò Berthelot quella sera stessa 108. Ulteriori precisazioni tra Briand, Stresemann e Skrzynski si ebbero il 12 ottobre, prima dell’apertura della seduta della Conferenza 109. Nella seduta del 13 ottobre fu trovata la soluzione: era quella prospettata da Chamberlain giorni prima, cioè la riscrittura dell’articolo 2 del patto di sicurezza 110, per consentire di eliminare, dal successivo articolo 6, il passaggio sulla garanzia francese ai trattati di arbitrato orientali. «La garanzia francese – scrisse il 14 ottobre Chamberlain a Tyrrell – sarà ora incorporata in uno strumento separato e vincolerà solo la Francia ad andare in aiuto della Polonia (o della Cecoslovacchia), se e quando quella Potenza sarà attaccata dalla Germania» 111. «Per completare questo sistema – così Briand informò Laroche – noi prepariamo d’altra parte due convenzioni, da concludere tra la Francia da un lato, la Polonia e la Cecoslovacchia dall’altro, che consacreranno i nostri mutui impegni di intervento negli stessi casi [ossia nei casi di applicazione degli articoli 15, alinea 7, e 16 del Covenant]» 112. Fu una soluzione considerata alquanto soddisfacente dalla Germania 113. Chamberlain poteva così comunicare a Londra: «Tutto è praticamente sistemato ed è ragionevolmente certo che se non interverrà un intralcio imprevisto, il Patto ed i suoi trattati accessori saranno tutti siglati domani e verrà fissata una data per la loro firma a Londra» 114. Il 16 ottobre, data della parafatura dei patti di Locarno, si ebbe quindi notizia che lo “strumento separato” di garanzia della Francia ai suoi alleati orientali sarebbe stato un trattato separato, tra la Francia e la Polonia e tra la Francia e la Cecoslovacchia 115. Quale significato politico dare a questa coppia di trattati? «Il Signor Chamberlain – si legge in un verbale di riu-
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nione del gabinetto britannico – ha detto che la Francia aveva colto l’occasione per rivedere le sue alleanze con Polonia e Cecoslovacchia, e per ridurre gli obblighi da ambo le parti, sì che il diritto di muover guerra sulla base dell’articolo 15 para[grafo] 7 del Covenant fosse limitato al caso in cui non vi fosse soltanto rottura dell’obbligo, ma un vero e proprio attacco da parte della Germania» 116. I trattati di assistenza, nati come “appendice” ai patti di Locarno, presentavano esattamente le suddette caratteristiche; i princìpi del Covenant in essi contenuti (in special modo, gli articoli 16 e 19) avevano la meglio su quelli ispiranti le alleanze orientali francesi. L’articolo primo dei patti di assistenza (identici nel testo) sanciva, come casus garantiae, l’inosservanza del sistema di Locarno con l’uso della forza; solo entro questi limiti, sarebbe scattata l’assistenza promessa dalla Francia. L’articolo secondo, invece, richiamava i diritti e gli obblighi discendenti sui contraenti, in quanto membri della Società delle Nazioni. In pratica, la vecchia alleanza francopolacca del 1921 veniva recepita dal nuovo trattato di assistenza, ma ora il casus garantiae era l’aggressione non provocata (in violazione del Covenant e dei patti di Locarno). Non veniva più garantito quindi il rispetto “assoluto” dello status quo territoriale, principio che aveva informato l’alleanza francopolacca, ma che tuttavia non veniva disconosciuto. C’è da chiedersi allora se poteva ancora la Polonia avvalersi del casus garantiae del 1921. In linea teorica, l’alleanza francopolacca poteva continuare a regolare i casi non previsti dal patto di assistenza. In linea pratica, era molto difficile armonizzare il vecchio con il nuovo. Incidentalmente, va osservato che i trattati di assistenza orientali mantenevano il carattere prettamente anti-tedesco delle vecchie alleanze francesi del 1921 e 1924, carattere ben diverso da quello che la fallita garanzia francese sui trattati di arbitrato orientali avrebbe equamente assicurato a tutti i contendenti, invece che ad una parte sola. Una breve riflessione va dedicata al rapporto tra il patto di assistenza e la vecchia alleanza tra Francia e Cecoslovacchia. Quest’ultima era meno definita, quantunque “omologata” all’alleanza francopolacca. Fulcro ne era il rispetto del divieto di Anschluss da parte di Germania ed Austria, nonché
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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno
l’opposizione alla restaurazione delle monarchie degli imperi centrali. Il nuovo trattato, dunque, completava e precisava meglio i canoni dell’assistenza francese, risultando anche meno vago dell’alleanza del 1924 117. I trattati di garanzia firmati dalla Francia a Locarno, in un senso o nell’altro, trasformavano il vecchio sistema delle alleanze orientali francesi. Il principio dello status quo era difficilmente armonizzabile con quello della revisione pacifica dei trattati, ma cedeva il passo a questo, pur nel difficile equilibrio dell’equivoco giocato tra detto e non detto. Giuridicamente il nuovo non aboliva il vecchio, politicamente il vecchio era ormai improponibile.
7. U NA “ APPENDICE
A
L OCARNO ”: LA
RISPOSTA DI
PROPOSTA DI COLLABORAZIONE TRIPARTITA NEI
M USSOLINI B ALCANI
ALLA
Nel corso dei negoziati per il patto di sicurezza, era emersa una proposta di collaborazione congiunta nei Balcani, che Briand e Chamberlain avanzarono con una lettera a Mussolini, del 10 giugno, consegnata a Scialoja. Per due mesi la questione languì, non venendo da Roma alcun cenno di riscontro. L’Italia dava anzi l’impressione di manovrare contro ogni sistemazione nei Balcani. «Si potrebbe concludere – commentava De Fleuriau – per il desiderio del signor Mussolini di riservarsi ogni libertà d’azione. Ma di questa libertà egli forse non sa all’odierno cosa ne farà» 118. Quando Briand si recò a Londra in agosto, per incontrare Chamberlain e con lui definire la risposta alla Germania e la bozza di patto di garanzia, venne a sapere che Scialoja non aveva mai consegnato la lettera a Mussolini. Sembrava anzi che egli quasi negasse l’esistenza di tale lettera, sostenendo che a Ginevra Chamberlain e Briand gli avevano solo vagamente parlato di collaborazione nei Balcani, senza lasciargli alcunché di scritto. Chamberlain aveva allora convocato l’ambasciatore italiano per metterlo al corrente di tutto 119. Della Torretta osservò che c’era stato forse un malinteso e che Mussolini sarebbe stato di certo molto sensibile alle attenzioni degli alleati.
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Colto il senso di queste parole, Chamberlain trasmise copia della famosa lettera a Graham, incaricandolo di consegnarla a Palazzo Chigi. La consegna avvenne entro il 7 agosto, prima che l’ambasciatore inglese partisse in congedo 120. Dai documenti italiani risulta comunque che Della Torretta smentì con Chamberlain l’episodio della lettera, provocando grande sorpresa nel suo interlocutore il quale, preso il relativo incartamento, glielo mostrò 121. La sera dell’11 agosto, presente l’ambasciatore italiano, Chamberlain fece confermare da Briand in persona (in visita a Londra) di aver consegnato la lettera a Scialoja, dopo avergliene data lettura. Briand aggiunse che funzionari italiani alla Società delle Nazioni erano al corrente della cosa e avevano lasciato prevedere una non favorevole accoglienza della proposta a Roma 122. «Questo incidente – commentò Briand qualche giorno dopo – è tanto più singolare per il fatto che ho rimesso io stesso, in presenza di Chamberlain, la suddetta lettera al Signor Scialoja, durante l’ultima sessione di Ginevra nel mese di giugno». A Briand risultava che di tutta la cosa era al corrente anche il Bodrero, ministro italiano a Belgrado, per alcuni accenni fatti da lui al collega francese 123. Sulla proposta di collaborazione nei Balcani Mussolini tacque fino alla chiusura della conferenza di Locarno. Il 22 ottobre Romano Avezzana telefonò a Laroche, al quale disse di dover compiere un passo presso Briand. Egli aggiunse che Scialoja aveva smarrito la lettera a suo tempo affidatagli, ma che Mussolini sarebbe stato molto felice di avere precisazioni sulle proposte formulate in favore dell’Italia e che riteneva opportuni dei chiarimenti, vista anche l’attuale delicata situazione nei Balcani 124. Il giorno dopo, 23 ottobre, Romano Avezzana scrisse a Briand una lettera alla quale allegò la risposta ufficiale di Mussolini. «Col messaggio di cui, com’è noto a Vostra Eccellenza ho potuto, con mio rincrescimento, conoscere il tenore solo recentemente e con grande ritardo,Vostra Eccellenza ed il Signor Chamberlain hanno voluto mettermi a parte delle comuni preoccupazioni per le presenti condizioni del sud-est europeo, facendomi presente come esse consiglino la maggiore vigilanza da parte delle Grandi Potenze e le invitino a concertarsi per essere in grado di fronteggiare qual-
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siasi avvenimento che colà fosse suscettibile di turbare la pace». Mussolini prendeva quindi atto che il mezzo all’uopo più adatto era quello di consultazioni collettive frequenti, e ringraziava Briand perché riconosceva all’Italia, «che ha particolare autorità negli affari balcanici», un ruolo determinante. «Nel ringraziare Vostra Eccellenza per le comunicazioni fattemi – proseguiva Mussolini – mi è molto gradito di assicurare che accoglierò con vivo interesse le proposte che dovessero essermi fatte allo scopo di fronteggiare quegli avvenimenti che potessero turbare la pace nei Balcani. Nell’identico senso rispondo al Signor Chamberlain» 125. A proposito dell’affaire della lettera di Chamberlain e Briand a Mussolini, vanno svolte alcune considerazioni. Dubitiamo che le cose si siano svolte proprio come Mussolini le racconta.Anzitutto il «grande ritardo» nel conoscere la lettera, che con rincrescimento Mussolini addebitava a circostanze puramente contingenti, non spiega il lungo silenzio tra l’avvenuta riconsegna di essa (agl’inizi di agosto) e la risposta datane (in ottobre): a meno di non considerare “recente”, in un negoziato diplomatico, un’importante démarche fatta due mesi prima. In secondo luogo, considerando la perizia unanimemente riconosciuta a Scialoja, nonché i franchi rapporti da lui intrattenuti con Chamberlain e con Briand, se davvero egli avesse smarrito la lettera si sarebbe certamente premurato di ottenerne nuova copia, lasciando credere che motivo dello smarrimento dell’originale fosse la distrazione di qualche funzionario subalterno della delegazione italiana; ed avrebbe intanto informato il Ministero degli Esteri del tenore generale della proposta anglofrancese. Diversamente, egli si sarebbe reso colpevole di una mancanza sfociante in premeditata omissione di atti d’ufficio, e di conseguenza non avrebbe potuto guidare la delegazione italiana alla conferenza di Locarno, né firmare in seguito i patti a Londra. Noi riteniamo che Mussolini abbia inventato di sana pianta (all’insaputa del suo ambasciatore a Londra, ma forse non di quello a Parigi) la storia dello smarrimento della lettera di Chamberlain e di Briand, semplicemente perché non credeva in quel momento ad una collaborazione interalleata nei Balcani. Il dualismo a Palazzo Chigi tra Contarini (fautore di un’intesa con Francia e Gran Bretagna, nonché di un accordo con Belgrado) e
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Lojacono (araldo di una politica tendente a dare all’Italia, in chiave antijugoslava ed anti-francese, un ruolo esclusivo nei Balcani e soprattutto in Albania), sarebbe stato risolto a favore del primo solo dopo Locarno 126, configurando una temporanea vittoria della “carriera” sul partito fascista. Mussolini era inoltre scontento per la concorrenza britannica in Albania (dove Londra aspirava a concessioni petrolifere 127) ed era alla ricerca di un accordo politico che seguisse al trattato militare segreto italoalbanese concluso nell’agosto del 1925. Doveva inoltre fronteggiare l’affare della costituzione della Banca d’Albania e della SVEA 128 ed era anche infastidito dalla concorrenza francese nella questione della ferrovia Salonicco-Ghevgeli; egli temeva infine la prospettiva di un’intesa grecojugoslava sponsorizzata dalla Francia, nonché un’eccessiva vicinanza tra Parigi e Belgrado 129. Tutto ciò faceva dubitare Mussolini della sincerità di Briand nell’avanzare la proposta insieme a Chamberlain 130. Il momento era dunque troppo delicato per decidere come rispondere alla lettera dei due ministri. Mussolini non voleva di certo creare imbarazzi all’Italia con un subitaneo rifiuto della proposta, ovvero con indebiti temporeggiamenti. Del resto però un “silenzio-dissenso” avrebbe mal deposto per il futuro dei rapporti con Parigi e Londra. Si spiega così la modalità prescelta: lasciar cadere la cosa, fingendo un malentendu, e non approfondire il discorso quando Mussolini ne ebbe l’occasione (colloquiando con Chamberlain il 15 ottobre a Locarno); attribuire quindi a Scialoja l’aver smarrito l’importante documento, mostrando solo dopo Locarno una generica disponibilità a soddisfare gli auspici espressi dagli anglofrancesi, per non contraddire il nuovo “spirito” e in virtù del fatto che nessuna proposta concreta era in gestazione 131. La conferenza di Bled della Piccola Intesa non aveva, del resto, chiarito la situazione 132; mentre le avances jugoslave per un accordo con l’Italia erano inficiate da voci di un’intesa segreta tra Pasic e Zogu 133. Pur trattandosi di realizzare per l’Europa centro-orientale i princìpi della sicurezza stabiliti a Locarno, nessuna concreta indicazione veniva dai paesi direttamente interessati 134, né da parte della Francia e della Gran Bretagna 135. Mussolini dunque si era visto nel giusto decidendo di attendere gli eventi 136. Egli
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Capitolo V – L’Italia alla Conferenza di Locarno
sembrò così puntare al mantenimento dello status quo nei Balcani, ma sviluppando le relazioni bilaterali con Belgrado ed Atene, in modo da precludere alla Francia qualsiasi possibilità di giocare un suo ruolo a danno dell’Italia 137. L’episodio della progettata collaborazione tripartita dei Balcani, per quanto marginale rispetto al negoziato sulla sicurezza, è comunque significativo quale prodromo dei tentativi di realizzare una “Locarno balcanica”, di scrivere un nuovo capitolo della sicurezza, sulla scorta dell’esperienza già maturata.
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8. O SSERVAZIONI
CONCLUSIVE
Il patto di sicurezza, senza dubbio, manteneva il nucleo della proposta tedesca del 20 gennaio; in particolare, usciva confermato il principio del rispetto “individuale e collettivo” (dunque non solo a carico della Germania) degli articoli 42 e 43 di Versailles. Di conseguenza, il carattere sanzionatorio del successivo articolo 44 poteva valere anche per i vincitori, qualora avessero violato l’obbligo di status quo e di smilitarizzazione della Renania 138. Sembra questo, dal punto di vista giuridico, l’aspetto maggiormente innovativo di tutto il sistema locarnista, questa la sua natura revisionista rispetto all’assetto di Versailles. Dal punto di vista politico, il carattere revisionista dei patti di Locarno stava certamente in quello che essi tacevano, in quegli obblighi della pace non rinnovati nelle disposizioni dei nuovi accordi. Sotto questo aspetto, si trattava di un grande successo per la Germania, poiché i tedeschi riportavano in parità il piatto della bilancia dell’equilibrio europeo, grazie ad una “riabilitazione”, quale non sarebbe stata concepibile nell’immediato dopoguerra. L’Italia aveva vissuto con apprensione tutta la fase preparatoria del patto di sicurezza e, nel pieno degli scambi di idee tra le cancellerie, aveva ripetutamente fatto presente ai suoi ex alleati (come pure alla Germania) che, comunque concretizzato, il patto di sicurezza non avrebbe potuto astrarre dagli obblighi incombenti sui tedeschi in virtù del trattato di pace. L’attenzione si era poi concentrata sul problema di come tutelare l’indipendenza austriaca, di come realizzare la “sicurezza parallela”. Le grandi potenze non si erano mostrate, tuttavia, pronte ad un impegno collettivo anche sull’Austria. Di conseguenza Mussolini si era tenuto in disparte, fino a quando però dai pourparlers non si passò ad un vero e proprio negoziato sul patto di sicurezza. Altro dato certo è che gli alleati, e soprattutto gli inglesi, tenevano a conservare il primato dell’iniziativa in materia e che non avrebbero concesso all’Italia ampi spazi propositivi, almeno fino a quando un primo schema di patto non avesse visto la luce. La conferenza dei giuristi di Londra, ove un tale schema fu predisposto nei modi che abbiamo visto, segna anche
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l’uscita dell’Italia dal suo riserbo per una più attiva partecipazione alla conseguente fase negoziale. Il che, in un certo senso, significava accettare di fatto l’iniziativa francobritannica, pur nell’illusione che la presenza a Londra di un italiano potesse rivelarsi attivo contributo alla causa del patto. Per quanto secondaria, la presenza di Pilotti alla conferenza dei giuristi aveva dunque il significato di rimedio contro il pericolo di isolamento diplomatico dell’Italia 139, nella speranza che i suoi interessi venissero poi debitamente considerati in sede di conferenza dei ministri. Tali interessi, primo dei quali l’indipendenza austriaca come obiettivo comune delle potenze vincitrici, avevano però segnato il passo a fronte di quelli della garanzia al Reno. Fu per questo che, chiusa la conferenza dei giuristi, Mussolini studiò l’ipotesi di concludere con la Francia un patto di sicurezza sull’Austria. Tale progetto, volto a porre rimedio alla “sicurezza incompiuta” ed a definire i “sospesi” esistenti tra Francia e Italia, richiedeva tempo e pazienza, ed era in fase embrionale al momento della conferenza di Locarno. Qui, come abbiamo visto, Scialoja riuscì a far modificare la bozza di patto e a far sì che la garanzia coprisse tutto l’articolo 180 del trattato di Versailles. Il che significava ribadire il valore di certi obblighi della Germania sulle sue frontiere orientali e meridionali. Era un primo risultato, ridar valore ai princìpi dei trattati dei pace. Si capisce perciò come Mussolini, pur non completamente soddisfatto del patto renano, decise di recarsi personalmente a Locarno per siglarlo. La ricerca archivistica non ha purtroppo consentito di stabilire una relazione tra questo aspetto e l’abbandono del progetto di patto italofrancese a garanzia dell’Austria. Ma al lume del senso comune, si può comunque dire che le modifiche ottenute da Scialoja a Locarno avevano reso meno urgente tale progetto, mentre la sistemazione dei “sospesi” con la Francia (da attuarsi contestualmente al patto sull’Austria) restava affare delicato. Se da un lato, infatti, l’Italia non poteva sposare l’agitazione anti-colonialista di Abd-el-Krim, nel Riff (una rivolta contro la Spagna e contro gli altri “condòmini” del Marocco), per non provocare rigurgiti panislamici in Cirenaica, d’altro canto essa non si accontentava del semplice rinnovo delle antiche convenzioni italofrancesi sulla Tunisia, per non lasciare campo libero alla Francia in quel paese.
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Va poi considerato fattore non trascurabile della decisione di Mussolini di intervenire a Locarno anche il senso di reciproca stima con Chamberlain, che occorreva ravvivare 140. Solo il tempo poteva evidentemente tramutare tutto ciò in una vera e propria sintonia politica; nondimeno, v’era già un movente molto forte perché Mussolini non se ne stesse a Roma. Egli arrivò a Locarno certo disincantato, ma non del tutto privo di interesse. Le congetture italiane sul patto di sicurezza ideale avevano debordato dai limiti angusti del realismo diplomatico; ma, del resto, è difficile negare che tutte le potenze che misero piede a Locarno, grandi e piccole, vi siano giunte ognuna con proprie concezioni di sicurezza, non di rado riflettenti condizioni politiche interne, e naturalmente confliggenti con altrui concezioni. Per convincersene, basti seguire, ove i documenti lo consentono, le varie fasi del negoziato sul patto renano dal punto di vista dei singoli paesi. In una situazione simile, sembra addirittura paradossale che il “sistema di Locarno” abbia rappresentato per diversi anni, in Europa e nel mondo, un modello di edilizia globale della pace, prima di crollare definitivamente nel 1936; e che venga ancor oggi indicato quale referente costante per modelli consimili.
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Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.469 ed allegato (il corsivo è nostro). Lo si evince, ad esempio, dal telegramma di Grandi da Ginevra del 9 settembre, già in precedenza ricordato. «Chamberlain – scriveva Grandi – intrattendo ieri alcuni giornalisti ha esplicitamente detto che [la] Conferenza [sul] Patto [di] Sicurezza avrà luogo molto vicino [a] Ginevra». Grandi a Mussolini, 9 settembre 1925, tel.1753/23, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42.Va osservato che sulla designazione di Locarno il governo elvetico non fu consultato e che essa non gli fu comunicata che all’ultimo momento. Stando ai documenti tedeschi, il Governo elvetico avrebbe preferito che la sede designata fosse Lucerna. Cfr.ADAP, A, Band XIV, doc.78 e nota 3 al documento. Scialoja a Mussolini, 9 settembre 1925, tel.1797/27, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42. Mussolini a Scialoja e per conoscenza a Della Torretta, 11 settembre 1925, tel.1021, ibidem, busta 41. Cfr. Memorandum by Mr.Chamberlain. 9 settembre 1925. DBFP, Series I, vol.XXVII, docc.468, 470, 472, 473. Mussolini a Scialoja, 11 settembre 1925, tel.1031, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Scialoja a Mussolini, 11 settembre 1925, tel.1768/34, ibidem. Mussolini a Scialoja, 12 settembre 1925, tel.1033, ibidem. Contemporaneamente «Il Secolo» di Milano pubblicava una corrispondenza da Roma in cui si diceva che il Governo italiano si riservava ogni libertà di azione e che per il momento non era possibile che Mussolini intervenisse alla prevista conferenza. «Il Secolo», 12 settembre 1925. L’invito fu inoltrato a Stresemann per il tramite dei rappresentanti diplomatici francese, inglese e Belga a Berlino. Cfr.ADAP, A, Band XIV, nota 2 al doc.59. Cfr.ADAP, A Band XIV, docc.80 e 87. Si veda De Bosdari a Mussolini, 24 settembre 1925, tel.1853/285, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Chiaramonte Bordonaro a Mussolini, 5 settembre 1925, tel. 1722/13, ASMAE, Arch. Gab.,TSN, busta 41. De Bosdari a Mussolini, 30 agosto 1925, tel. 1663/282, ibidem. Sulle preoccupazioni dello Stresemann: ADAP, A, Band XIV, doc.41. «Ritengo – scrisse il Roger il 5 settembre – che potrebbe non esser senza inconvenienti distogliere il Governo italiano dal protestare a Berlino contro il discorso pronunciato dal signor Löbe (...) Se conviene a noi in effetti controllare il signor Löbe, v’è grande interesse d’altra parte nell’(incoraggiare) l’Italia nell’attitudine che essa ha preso nella questione dell’annessione» e perciò nell’associarsi ad un passo italiano a Berlino. Roger a Briand, 5 settembre 1925, tel.459, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.82. In proposito vale la pena di citare le dichiarazioni di Löbe, quali riportate dai giornali tedesco-nazionali e riferite da De Bosdari: «Siamo venuti dalla Germania senza distinzione di partito dalla destra fino all’estrema sinistra e siamo tutti pieni del pensiero di dimostrare l’unione non di due popoli ma di un solo popolo che è stato divi-
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so. Il diritto all’autodecisione concesso a tutte le nazioni non potrà esser negato al popolo tedesco. Vi sono dei paurosi che pensano che siamo venuti troppo presto. I dubbiosi devono per questo viaggio apprendere di nuovo che i popoli della Germania e dell’Austria senza distinzione di partiti domandano l’unione. Il nostro viaggio è un passo sulla via della grande repubblica tedesca». De Bosdari a Mussolini, 30 agosto 1925, tel 1663/282 (già citato), ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. Uguali manifestazioni di filoannessionismo aveva prodotto, come si è già altrove ricordato, la tournée dell’orchestra filarmonica viennese. I giornali francesi scrissero che, tutto considerato, il tono del discorso di Löbe rientrava nei limiti consentiti dai trattati di pace: Romano Avezzana a Mussolini, 2 settembre 1925, tel.1690/627, e 5 settembre 1925, tel. 1723/635. Da una corrispondenza parigina della «Vossische Zeitung» sembra addirittura che il Ministro della Pubblica Istruzione francese abbia impedito si inscenasse contro l’illustre ospite tedesco una manifestazione di protesta nella stessa Parigi; da ciò il corrispondente del giornale tedesco concludeva che l’Anschluss era in fondo desiderato non solo dai tedesco-nazionali, ma anche dai socialisti francesi e che probabilmente anche Painlevé e Doumerge, incontrandosi con Löbe, avevano mitigato la loro opposizione a quest’eventualità; non drammatizzare era la parola d’ordine anche a Londra: Della Torretta a Mussolini, 4 settembre 1925, tel.1707/758, ibidem. Mussolini a De Bosdari, 8 settembre 1925, tel.1003, ibidem. Romano Avezzana a Mussolini, 18 e 23 settembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, docc. 129 e 130. Romano Avezzana a Mussolini, 25 settembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.130. Visite de M.Summonte, Conseiller de l’Ambassade d’Italie, appunto senza data, AMAE, ZEurope: Grande-Bretagne, vol.83. Questo documento trovasi anche nella sous-série “Italie”, nel vol.96. Visite du Chargé d’Affaires d’Italie à M.Laroche, appunto del 28 settembre, AMAE, ZEurope: Grande-Bretagne, vol.83; cfr. DDI, Serie Settima, vol.IV, docc.126 e 129. Altri pareri, favorevoli all’ingresso dell’Italia nel patto, ad una partecipazione dell’Italia alla garanzia delle frontiere orientali tedesche, ma contrari all’inserimento della questione del Brennero, erano stati espressi, il 12 settembre, dal capo del Contenzioso diplomatico,Amedeo Giannini, e da quello dell’Ufficio Trattati e Società delle Nazioni del Ministero degli esteri, Pasquale Sandicchi. DDI, Serie Settima, vol.IV, nota 1 a p.90. Scialoja a Mussolini, 28 settembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.132. Queste ipotesi restano per il momento tutte da verificare. Non siamo riusciti purtroppo a reperire carte personali di Scialoja riguardanti il periodo locarnista. Uno dei suoi collaboratori, il professor Matteucci, non ha potuto fornire ragguagli in merito, avendo frequentato lo Scialoja all’inizio degli Anni Trenta. Si ringrazia per la disponibilità, la cortesia e le informazioni fornite il prof. Rodinò dell’Unidroit.
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Cfr. F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’Intesa italofrancese, cit., pp.96-97. De Bosdari a Mussolini, 23 settembre 1925, tel.1851/282, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42. L’ambasciatore italiano a Berlino consigliava comunque di prendere le parole di Schubert «con la dovuta cautela», essendo numerosi i precedenti di casi in cui la Germania era receduta dalle sue posizioni. Cfr.Aufzeichnung des Staatssekretärs des Auswärtigen Amts von Schubert, 23 settembre 1925, ADAP, A, Band XIV, doc.78. De Bosdari a Mussolini, 26 settembre 1925, tel.1418/417/A 1, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. La nota del 26 settembre 1925, accompagnata da una Velbalerklärung trovasi in Locarno Konferenz, cit., docc.21 e 22, nonché in Pacte de Sécurité, II, cit., doc.5. Cfr.ADAP, A, Band XIV, docc.79 e nota 4 al doc.80. La Germania aveva, di recente, sollevato la questione della responsabilità di guerra in occasione dell’adozione del Piano Dawes. Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVI, docc. 566 e 569; cfr. docc.553 e 557 con nota 4. Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana, e Orsini Baroni, 26 settembre 1925, tel.1087, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Preziosi a Mussolini, 27 settembre 1925, tel.1886/718, ibidem. Preziosi a Mussolini, 27 settembre 1925, tel.1888/717, ibidem. Preziosi a Mussolini, 27 settembre 1925, tel.1892/719, ibidem. Del 26 settembre. Paulucci de’ Calboli Barone a Della Torretta, Romano Avezzana, De Bosdari e Daneo, 28 settembre 1925, tel.1094, ibidem. Per il resoconto dello stesso Chamberlain, cfr. DBFP, Series I, vol. XXVII, doc.493. Per il resoconto di Sthamer (che però fissa la conversazione alla tarda serata del 25), ADAP, A, Band XIV, doc.88. Preziosi a Mussolini, 28 settembre 1925, tel.1923/722,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Chamberlain to the German Ambassador, 29 settembre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.502. Cfr.Preziosi a Mussolini, 29 settembre 1925, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Preziosi deteneva copia della risposta ufficiale del Foreign Office al passo tedesco. Il resoconto di Hoesch trovasi in ADAP, A, Band XIV, doc.90. Cfr. Stresemann agli Ambasciatori a Londra, Parigi e Roma ed all’Incaricato a Bruxelles, 27 settembre 1925, ibidem, doc.93. Mussolini a Della Torretta, Romano Avezzana, Daneo, De Bosdari, 27 settembre 1925, tel.1091, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. L’opinione pubblica francese era facilmente irritabile e Briand non voleva in alcun modo contrariarla. Al Quai d’Orsay si era inoltre persuasi del fatto che il passo tedesco, tutto sommato, ripeteva il passo dell’anno precedente. Quanto alla questione della responsabilità di guerra, essa riguardava soltanto la Società delle Nazioni; mentre evacuazione di Colonia e disarmo erano questioni legate al trattato di pace. Romano Avezzana a Mussolini, 28 settembre 1925, tel.1904/685, ibidem.
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Hoesch informò telefonicamente von Schubert della conversazione avuta con Briand. Cfr. ADAP, A, Band XIV, doc.96. I curatori dei documenti diplomatici tedeschi (nota 1 al documento citato) datano detta conversazione alla sera del 28 settembre. Comunicazioni verbali dell’Incaricato d’affari di Francia al Gabinetto di S.E. il Ministro (mattino del 29 settembre). Cfr. Romano Avezzana a Mussolini, 29 settembre 1925, tel.1918/687. ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. ADAP, A, Band XIV, doc.99. Romano Avezzana, 29 settembre 1925, tel.1919/689, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Il testo della risposta francese, ricevuto dal governo italiano, fu trasmesso da Paulucci de’ Calboli Barone a Della Torretta, Romano Avezzana e Daneo, il 1° ottobre 1925, con tel.1125, ibidem (il corsivo è nostro). Cfr. Pacte de Sécurité, II, cit., doc.6; nonché Locarno Konferenz, cit., doc.23. La risposta francese trovasi ora anche in ADAP, A, Band XIV, doc.104. Preziosi a Mussolini, 30 settembre 1925 tel. 1934/731,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Gruppo indecifrabile. Probabilmente: «ai suoi», o «agli». Risposta del governo italiano alla nota tedesca: bozza non datata, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Il testo di questa risposta fu inviato dal Paulucci de’ Calboli Barone a Della Torretta, Romano Avezzana, De Bosdari e Daneo, il 30 settembre 1925 con tel. 1116, ibidem. Cfr. Paulucci de’ Calboli Barone a Della Torretta, Romano Avezzana, Daneo e De Bosdari, 1° ottobre 1925, tel.1119, ibidem. Così Roger a Briand, 27 settembre 1925, tel.486, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.83. Per seguire il negoziato in seno alla conferenza di Locarno, è utile lo studio di A. ORDE, Great Britain and International Security 1920-1926, pp.131 ss. Appunti presi dal segretario italiano alla conferenza di Locarno, 5 ottobre 1925, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. Notes of the Meeting of the Lawyers on October 5, 1925, in DBFP, Series I, vol.XXVII, Appendice n.2, pp.1084-1085. Le discussioni tra i giuristi proseguirono la mattina del giorno dopo; ibidem, Appendice n.4, pp.1089-1091. Scialoja a Mussolini, 5 ottobre 1925, tel.1998/4, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41; idem, 6 ottobre 1925, tel.2008/7, ibidem, busta 42. Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII, Appendice n.1; Locarno Konferenz, cit., pp.144-149; nonché le Tagebuchaufzeichnungen des Reichsministers des Auswärtigen Stresemann über die Konferenz von Locarno (d’ora in poi Tagebuchaufzeichnungen Stresemanns), ADAP, A Band XIV, pp.690-691. Per quel che concerne la seduta del 6 ottobre i verbali sono alquanto difformi. Quelli inglese e francese, trattando del dibattito sull’articolo 16 del Covenant sono meno generici del verbale italiano. Quelli inglese ed italiano coincidono illustrando la posi-
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zione di Chamberlain, in ciò distinguendosi dal verbale francese. Cfr. ASMAE, Gab., TSN, cit., busta 42 (verbale italiano), busta 41 (verbale francese), DBFP, I Series, vol.XXVII, Appendice n.5, pp.1091-1096 (verbale inglese); si veda ancora Scialoja a Mussolini, 6 ottobre 1925, tel.2012/9, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Cfr. Locarno Konferenz, cit., pp.149-154, nonché ADAP, A, Band XIV, pp.691-693 Le indiscrezioni giornalistiche certamente si alimentavano da personaggi che a vario titolo presenziavano ai lavori della Conferenza di Locarno. Sintomatico è questo telegramma che un certo Maffi inviò alla «Nazione» di Firenze, il 9 ottobre: «Data delicatezza mia posizione ufficiale non possovi trasmettere indiscrezioni seduta jersera. Fatevele telefonare da Roma mandando Profili prendere bozze Epoca. Bellonci autorizzami. Ricevuto chéque. Grazie». ASMAE, Arch.Gab., GM, busta 5, fasc.«Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche». In seguito all’incidente del «Popolo d’Italia», Mussolini inviò il 17 ottobre a tutte le prefetture l’ordine di vigilare e di prevenire eventuali indiscrezioni giornalistiche sui patti di Locarno, prima che ne avvenisse la pubblicazione in data concordata dai firmatari. Mussolini alle Regie Prefetture, 17 ottobre 1925, tel.1214, ibidem, busta 42. Cfr.DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.146. Qui i verbali inglese e francese coincidono, mentre la questione si omette nel verbale italiano; ma probabilmente trattasi solo di un’omissione redazionale non voluta. È comunque da ricordare che Mussolini aveva istruito il Ministro a Vienna Bordonaro di aggregarsi alla delegazione italiana a Locarno, sicuramente contando di servirsi della di lui esperienza in questioni politiche riguardanti l’Austria. Mussolini a Chiaramonte Bordonaro, 1° ottobre 1925, tel.1128, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. L’osservazione di Rolin è riportata nei verbali inglese (DBFP, Series I, vol.XXVII, Appendice n.6, p.1098) e francese (ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41), ma non in quello italiano (ibidem, busta 42) dove, subito dopo l’accenno all’osservazione di Scialoja, si dice che Chamberlain mostrò tutta la sua diponibilità a far prendere in considerazione dai giuristi la questione sollevata dall’Italia. Nello stesso senso il verbale tedesco, in Locarno Konferenz, cit., pp.154-161, spec. p.156; Per altre notizie, ADAP, A, Band XIV, doc.123 e Tagebuchaufzeichnungen Stresemanns, 7 ottobre 1925, p.693. Notes of a conversation between the members of the British Delegation in Mr.Chamberlain’s room at the Grand Hotel, Locarno October 7, 1925, at 10 p.m., DBFP, Series I, vol. XXVII, Appendice n.7, pp.1108-1110 (le osservazioni citate sono a p.1109). Il testo del progetto al suo articolo 8 così recitava: «Le present Traité sera déposé à la Société des Nations conformément au Pacte. Il restera en vigueur jusqu’à ce que, sur la demande de deux au moins des Hautes Parties Contractantes, le Conseil, votant s’il y a lieu à la majorité, reconnaisse que la Société de Nations assure aux Hautes Parties Contractantes des garanties suffisantes». Si veda il resoconto di Scialoja a Mussolini, 7 ottobre 1925, tel. 2052/17, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42.
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Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, Appendice n.8. Locarno Konferenz, cit., pp.161-172; Tagebuchaufzeichnungen Stresemanns, 8 ottobre 1925, ADAP, A, Band XIV, pp.693-695. Si veda anche il resoconto di Scialoja a Mussolini dell’8 ottobre 1925: tel.2036/22, ASMAE, Gab.,TSN, busta 42 (dove trovasi anche il verbale italiano della quarta seduta della Conferenza di Locarno). Il comunicato ufficiale della seduta fu trasmesso dall’Agenzia Stefani lo stesso giorno con tel. 2037/21, ibidem. Chamberlain incontrò il collega polacco Skrzynski mentre nel pomeriggio, dopo aver ricevuto i rappresentanti della stampa britannica, ebbe un abboccamento con Luther al Grand Hotel (sede delle delegazioni britannica e francese), dove vide anche Benesˇ. Briand e Stresemann si incontrarono invece all’Esplanade (sede della delegazione tedesca), mentre von Schubert vide il ministro belga Vandervelde; il delegato italiano Scialoja incontrò Skrzynski. Comunicato riguardante la Conferenza di Locarno, 9 ottobre 1925, tel.621 P.R./C.M. 26, ASMAE., Arch. Gab., TSN, busta 42; cfr. DBFP, Series I, vol. XXVII, doc.526 (incontro Chamberlain-Skrzynski), 527 (incontro di Chamberlain con la stampa britannica), 528 (incontro Chamberlain-Luther). ADAP, A, Band XIV, doc.132 (incontro Schubert-Vandervelde). Il verbale inglese parla in proposito di «agreement in principle»; DBFP, Series I, vol. XXVII, Appendice n.9, p.1122. Tale memorandum, allegato ai verbali inglese, francese ed italiano, non compare invece nel volume dei documenti diplomatici belgi su Locarno. Ciò si desume sulla base del verbale francese; ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Dai verbali inglese e tedesco si evince invece che l’articolo 5 del patto renano fu approvato senza problemi; DBFP, Series I, vol.XXVII, Appendice 9, p.1125; Locarno Konferenz, cit., pp.172-176. Alquanto differente è il resoconto del Segretario di Stato alla Cancelleria, Kempner (anch’egli a Locarno). Kempner ad AA, 10 ottobre 1925,ADAP, A, Band XIV, doc.137. Diversamente, dal verbale italiano risulta che sugli articoli 3 e 4 del patto renano non vi furono osservazioni e che Scialoja perciò riservò solo l’articolo 5; ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. Scialoja a Mussolini, 10 ottobre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.148. Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII, Appendice n.9, p.1125. Nello stesso senso, Locarno Konferenz, cir., p.173. Cfr. ADAP, A, Band XIV, doc.137. Record by Mr. Chamberlain of conversations with Signor Scialoja and Herr von Schubert, Locarno October 4, 1925, DBFP, Series I, vol. XXVII, doc.515. Di questa conversazione non v’è traccia nei documenti italiani. Chamberlain a Tyrrell, 10 ottobre 1925, DBFP, Series I, vol. XXVII, doc.530 (il corsivo è nostro). Chamberlain trasse da queste osservazioni di Stresemann alcune importanti conclusioni: «Mi sono talvolta domandato quali comunicazioni siano intercorse nei mesi recenti tra Roma e Berlino. Se a un dato momento fui propenso a supporre che una sorta
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di accordo per un’azione comune qui fosse stato raggiunto tra loro, credo sia ora chiaro che ciò non è stato, e dovrei aggiungere che, qualsiasi fosse stata la natura di queste comunicazioni, esse hanno solo disseminato sfiducia nella mente del Governo tedesco». Chamberlain a Tyrrell, 8 ottobre 1925, ibidem, doc.522. Come si è già detto, nella delegazione italiana a Locarno figurava anche il Chiaramonte Bordonaro, Ministro d’Italia a Vienna ed esperto di cose austriache. Le ricerche di carte del Bordonaro, svolte attraverso i contatti presi coi Marchesi Theodoli, ultimi discendenti diretti, sono state purtroppo infruttuose. Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, Appendice 7, p.1109, già citata. Nella seduta del 12 ottobre vi era stato un dibattito piuttosto intenso sulla capacità della Germania disarmata di onorare gli obblighi derivantile dall’articolo 16 del Covenant, nonché in materia di disarmo generale (la Germania invitò gli altri a considerare il suo livello di disarmo quale parametro per l’attuazione dell’articolo 8 del Patto della Società delle Nazioni). Chamberlain ebbe buon gioco nel far comprendere ai tedeschi che l’articolo 16 non poteva autorizzare la Germania a ritenersi neutrale, qualora si trattasse di collaborare con gli altri Stati in misure contro un’aggressione non provocata. Fu così approvato un progetto di nota collettiva alla Germania (concordato tra Gran Bretagna e Francia il 10 ottobre e comunicato il giorno dopo ai delegati italiani e belgi), riguardante l’interpretazione da dare all’articolo 16 dello Statuto della Società delle Nazioni. Ibidem, Appendice 10, p.1128; doc.532, nota 2. Cfr. Locarno Konferenz, cit., pp.172-182; ADAP, A, Band XIV, docc.138 e 140; Tagebuchaufzeichnungen Stresemanns, 12 ottobre 1925, ibidem, pp.696-697. Il progetto di nota collettiva trovasi anche allegato al verbale francese della seduta del 12 ottobre, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Esso fu inviato da Scialoja a Mussolini il 12 ottobre 1925 con tel. 2072/32, ibidem, busta 42 (una copia trovasi però anche nella busta 40). Quanto al disarmo ed al relativo parametro da adoperare, ancora Chamberlain non mancò di far notare ai tedeschi che il livello di disarmo imposto loro dal trattato di pace non poteva costituire il modello di riferimento per l’obbligo di disarmo generale, di cui all’articolo 8 del Covenant. Scialoja scrisse a Mussolini di aver suggerito egli stesso a Chamberlain tale osservazione; Scialoja a Mussolini, 12 ottobre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.151. Berthelot a MAE, 11 ottobre 1925, tel.29-31, AMAE, Série Y: Internationale, vol.27. Cfr.DBFP, Series I, vol. XXVII, Appendice n.12; Locarno Konferenz, cit., pp.183-190; Tagebuchaufzeichnungen Stresemanns, 13 ottobre 1925, ADAP, A, Band XIV, pp.697-699. Della Torretta a Mussolini, 12 ottobre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.152. Graham a Chamberlain, 14 ottobre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.539. Udienze accordate da S. E. il Presidente, 14 ottobre 1925, ASMAE, Arch.Gab., Serie «Gabinetto del Ministro» (GM), busta 42: «Udienze postillate da S. E. il Capo del Governo», fasc. «1925». Come si evince consultando le carte relative ai rapporti con la stampa: ASMAE,
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Arch.Gab, GM, Busta 5: «Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche 1923-19241925», fasc.«1925». Besnard a Briand, 15 ottobre 1925, tel.513, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.84. Ultimi significativi episodi a riguardo erano stati gli attacchi del «Daily News» all’Italia (DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.137) e la pubblicazione da parte di un quotidiano italiano di un preteso testo del patto di sicurezza (ibidem, doc.146). Un dispaccio della Stefani del 15 ottobre (tel.2118/48) informava che quello tra Mussolini e Chamberlain (il quale era accompagnato da Selby) era stato un «lungo cordialissimo colloquio». È comunque da tener presente che il ministro inglese alle ore 18,30 era già nella sua stanza al Grand Hotel per un incontro con le delegazioni francese e tedesca circa il controllo militare della Germania; argomento che, per la sua delicatezza, avrebbe invero richiesto anche la partecipazione italiana. Non risulta comunque che questo tema sia stato toccato da Chamberlain, incontrando Mussolini. Cfr.DBFP, I Series, vol.XXVII, Appendice 13, pp.1159-1170. Record by Mr.Chamberlain of a conversation with the Italian Prime Minister, 15 ottobre 1925, DBFP, Series I, vol. XXVII, doc.545;Appunto autografo di Mussolini, 15 ottobre 1925, ASMAE, Arch.Gab., GM, busta 1: «Colloqui di Mussolini 1925»; cfr. Opera omnia, vol.XXI, cit., pp.529-530. Il resoconto inglese del colloquio Mussolini-Chamberlain non riporta la dichiarazione di Mussolini di self-defence del Brennero. Il verbale autografo di Mussolini, ad ogni modo, ci sembra la prova lampante di come esattamente si collocava il problema del Brennero nell’economia degli interessi italiani. «L’Albania – ricorda Chamberlain – fu solo menzionata a pie’ della lista, e senza commento, ma tale silenzio fu più eloquente delle parole».Va infatti ricordato che, nel frattempo, l’Italia perseguiva un’azione diplomatica in Albania, finalizzata, dopo il patto militare segreto firmato nell’agosto del 1925, alla conclusione di un accordo politico. Cfr. P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927, cit. Il Ministro inglese propose a Mussolini di studiare l’ipotesi di un patto di sicurezza tra la Romania, la Cecoslovacchia, la Jugoslavia, l’Ungheria e l’Austria. Mussolini vi si mostrò favorevole, ma con Chamberlain convenne che occorreva attendere lo sviluppo degli eventi. DBFP, Series I, doc.545, già citato. «Nulla c’è stato tra noi di grande effetto – concluse Chamberlain – ma io ritengo l’incontro importante per l’opportunità che mi ha dato di confermare le cordiali relazioni personali tra Mussolini e me, che sono state certamente determinanti nell’appianamento di alcune delle difficoltà sorte tra i nostri due paesi da quando lo incontrai per la prima volta a Roma». Il colloquio venne preannunciato da Berthelot al Quai d’Orsay con tel.51-54 del 15 ottobre 1925, AMAE, Série Y: Internationale, vol.27. Il francesismo è riportato e sottolineato nel manoscritto.
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Singolare fu però la critica di Briand agli Aventiniani, nel senso che «l’Aventino aveva perduto la partita e che non poteva accadere diversamente, trattandosi di un ‘vecchio usato personale politico’». Sull’atteggiamento di Briand nei confronti del fascismo e dell’opposizione anti-fascista, si vedano le osservazioni di P. PASTORELLI, Il concetto di nazionalità, cit., p.197. 88 Del resto Mussolini, già prima della Conferenza di Locarno, era stato rassicurato sul fatto che Chamberlain avrebbe frustrato simili propositi; e che da parte tedesca non v’era intenzione alcuna di sollevare problemi all’ultimo momento. Cfr. Della Torretta a Mussolini, 2 ottobre 1925, tel. 1966/737; De Bosdari a Mussolini, 5 ottobre 1925 (partito alle ore 8,50), tel. 2003/300. ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. 89 Cfr. ancora De Bosdari a Mussolini, 5 ottobre 1925, tel.2003/300,già citato. 90 «Lo Skrzynski – scrisse Mussolini nel suo verbale – è ultra-anglofilo. Nel complesso egli non mi appare ottimista e definisce tutti gli accordi come una specie di armistizio»(il corsivo indica qui le parole sottolineate).Tale atteggiamento del ministro polacco risulta ampiamente documentato nel volume XXVII della Series I dei DBFP. 91 Agenzia Stefani, 16 ottobre 1925, tel.2132/53, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. 92 Non si pubblicano le Tagebuchaufzeichnungen di Stresemann, di quel 16 ottobre (ma potrebbe essergli mancato il tempo di scriverle). Le ultime, di queste annotazioni, datate 18 ottobre e riassuntive dell’esperienza di Locarno, tacciono sull’incontro con Mussolini. Cfr. ADAP, A, Band XIV, pp.702-705. 93 Quel 16 ottobre Mussolini vide Chamberlain e Briand tra le 10,30 e le 11,30; quindi, intorno alle 12,30, incontrò Beneš e Skrzynski. 94 Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, Appendice n.14, già citata, spec.p.1166 e doc.547. 95 Agenzia Stefani, 16 ottobre 1925, tel.2143/59, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, Appendice n.15, p.1174. Il discorso è riassunto in Locarno Konferenz, cit., p.195. 96 Per ciò che riguarda i rapporti tra la Francia ed i suoi alleati orientali si veda P. S. WANDYCZ, France and Her Eastern Allies, cit., specialmente, per il periodo che qui interessa, le pp.341-368. Utile è anche consultare H. von RIEKHOFF, German-Polish Relations 1918-1933, Baltimore-London 1971. A. M. CIENCIALA - T. KOMARNICKI, From Versailles to Locarno, cit. 97 Cfr. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.291. 98 Massigli a Laroche, 9 settembre 1925; cfr. Briand a Skrzynski, 9 settembre 1925, l.p. AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.82. 99 Berthelot a De Margerie, 22 settembre 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.83; cfr. Berthelot a Londra, Bruxelles,Varsavia, Roma, Praga, 22 settembre 1925, telegramma con vari numeri, ibidem. 100 De Margerie a Briand, 23 settembre 1925, tel.1518,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.83. Skrzynski era chiaramente infastidito anche dal comportamento di Beneš.
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Couget a Briand, 23 settembre 1925, tel.64; Briand alle rappresentanze diplomatiche all’estero, 24 settembre 1925, telegramma con vari numeri, ibidem. Skrzynski a Briand, 29 settembre 1925 l.p. (pervenuta il 30), AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.84. D’Abernon a Chamberlain, 22 settembre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.484. Von Schubert aveva peraltro fatto presente al D’Abernon l’inopportunità di convocare da subito i rappresentanti di Polonia e di Cecoslovacchia all’imminente rappresentanza dei ministri, non essendo parti interessate alla sicurezza sul Reno. Aufzeichnung des Staatssekretärs des Auswärtigen Amts von Schubert, 21 settembre 1925, ADAP, A, Band XIV, doc.72. Record by Mr.Lampson of a conversation with Herr von Schubert, 4 ottobre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.513. Laroche a De Margerie, 7 ottobre 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.84. Record by Mr. Chamberlain of a conversation with the German Chancellor, 6 ottobre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.518. Chamberlain a Tyrrell, 7 ottobre 1925, ibidem, doc.519. Memorandum by Mr. Lampson, 7 ottobre 1925, ibidem, doc.520.Va osservato che anche Beneš, dopo conversazioni con Briand, aveva messo allo studio e proposto al Massigli quattro graduali formule di garanzia: 1) garanzia operante a discrezione del garante; 2) garanzia contro aggressione constatata dal garante, ma operante solo con deferimento della questione al Consiglio della Società delle Nazioni, che avrebbe deciso all’unanimità; 3) garanzia contro aggressione constatata dal garante, ma operante solo qualora il Consiglio, all’unanimità ed entro 4 giorni dal deferimento della questione, non avesse deciso altrimenti; 4) garanzia contro aggressione constatata dal garante ma operante solo qualora il Consiglio, a maggioranza ed entro 4 giorni dal deferimento, non avesse deciso altrimenti. Unanimità e maggioranza si conteggiavano escludendo le parti alla controversia. Beneš disse di preferire la terza delle formule prospettate. Quatre degrés de la garantie, documento inviato da Beneš a Massigli l’8 ottobre 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.84. Laroche a De Margerie, 11 ottobre 1925, tel.992-993, AMAE, Z-Europe: GrandeBretagne, vol.84. Berthelot a MAE, 11 ottobre 1925, tel.29-31, AMAE, Série Y-Internationale, vol.27. Dispaccio n.2073/33 dell’Agenzia Stefani del 12 ottobre. ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42. Cfr.Tagebuchaufzeichnungen Stresemanns, 12 ottobre 1925,ADAP,A, Band XIV, pp.696-697. Cfr.DBFP, Series I, vol.XXVII, allegato al doc.531. La seduta del 13 ottobre venne anch’essa preceduta da incontri e da scambi di vedute. Skrzynski vide Luther e Stresemann e con loro ebbe un colloquio di circa tre quarti d’ora. Fu quindi la volta di Benes di abboccarsi con lo Stresemann per mezz’ora. Alle 13 Briand e Scialoja, accompagnati da membri del seguito, fecero una gita in motoscafo sul lago, durata circa
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un’ora e mezza. Agenzia Stefani, dispaccio n.2095/42 del 13 ottobre 1925, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.537; cfr.doc.536. Briand a Laroche, 13 ottobre 1925, tel.41-43, AMAE, Série Y: Internationale, vol.27. D’Abernon a Chamberlain, 14 ottobre 1925, DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.540. Chamberlain a Tyrrell, 15 ottobre 1925, ibidem, doc.543. Chamberlain a Tyrrell, 17 ottobre 1925, ibidem, doc.547; cfr. Appendice, n.15. DBFP, Series I, vol.XXVII, doc.550, nota 6; cfr.Appendice n.5, p.1093. P. S. WANDYCZ, France and Her Eastern Allies, cit., p.363-364; nonché Appendix VI, pp.398-399. De Fleuriau a Briand, 19 luglio 1925, tel.384, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. Cfr. Della Torretta a Mussolini, 28 luglio 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.74. Roger a Briand, 17 agosto 1925, tel.432, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. Della Torretta a Mussolini, 11 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.91 e nota 3 a pag.70. Chamberlain osservò altresì come la formula della collaborazione angloitaliana nei Balcani era già stata sperimentata con successo in altri casi (come quello delle concessioni petrolifere in Albania). Della Torretta a Mussolini, 12 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.92. Briand a Besnard, 17 agosto 1925, tel.785-786, confidenziale, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.83. Nota di Laroche, 22 ottobre 1925, AMAE, Z-Europe: Italie, vol.84. Mussolini a Briand, lettera autografata senza data (ma preparata il 7 ottobre ed inviata con lettera di Romano Avezzana a Briand del 23 ottobre, pervenuta al Quai d’Orsay il 27). Ibidem. Identico messaggio fu fatto pervenire a Chamberlain con una lettera di Della Torretta a Lampson del 24 successivo. DBFP, Series I, vol.XXVII, nota 5 a doc.545. Il Lefebvre D’Ovidio ha trovato copia della lettera, con data 7 ottobre, in ASMAE, «Rappresentanze Diplomatiche»,Ambasciata di Londra, busta 593. F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’intesa italo-francese del 1935, cit., p.134 e nota 43. P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927, pp.157-162. L’Autore precisa che Mussolini non sposò nessuna delle due linee politiche. Cfr. DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.67. Sulla questione dell’istituzione della Banca d’Albania e della Società per lo Sviluppo Economico dell’Albania, P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927, cit., pp. 123135; 189; 200-201. Cfr. Zogu a Mussolini, 19 agosto 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.101, nonché Mussolini a Lessona, 20 ottobre 1925, doc.157. Ibidem, docc.101, 105, 115, 139. Cfr. P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927, cit., pp.213-214. Una tale linea, scrive il Carocci, rientrava nell’alveo di quella politica tesa ad evitare un troppo intimo legame con la Francia. Sempre il Carocci sottolinea come Contarini condividesse tale punto di vista; anche se questi voleva «deprimere» e non
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annullare l’influenza francese nei Balcani. G. CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista, cit., p.44. P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927, cit., p.230. Quest’atteggiamento era condiviso ed assecondato dal Romano Avezzana il quale, il 29 ottobre, consigliò a Mussolini di «lasciar cadere la proposta o tutto al più – qualora il Governo britannico v’insistesse – di formularla in termini più vaghi possibili». Romano Avezzana a Mussolini, 29 ottobre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.222. Cfr. DDI, Serie Settima, vol. IV, doc.164. Il che aveva bloccato la trattativa italo-albanese. P. PASTORELLI, Italia e Albania 19241927, cit., pp.219 e 226. Il Ministro a Bucarest, Savona, informò che era in programma uno scambio di idee circa una prossima conferenza della Piccola Intesa, da tenersi a Belgrado a fine novembre. «Argomenti conferenza sarebbero principalmente rapporti economici dei tre Stati in rapporto con gli altri Stati vicini e conseguenze patto arbitrato concluso a Locarno». Savona a Mussolini, 31 ottobre 1925, tel.2341/337,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 42. P. PASTORELLI, Italia e Albania 1924-1927, cit., p. 232. L’Autore attribuisce il silenzio degli alleati sulla questione della sicurezza orientale ad un intervento di Parigi, nonché al fallimento del progetto di Chamberlain di coinvolgere nel nuovo sistema anche l’Ungheria (nota 17). Ibidem, p.229. Ne fa fede un promemoria anonimo del 17 settembre, di cui il destinatario era probabilmente Scialoja stesso. DDI, Serie Settima, vol. IV, doc.122. Cfr. G. CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista, cit., p.53. Cfr. Della Torretta a Mussolini, 28 settembre 1925, DDI, Serie Settima, vol. IV, doc.132. Sul problema dell’isolamento diplomatico, si veda quanto scrive il Carocci a proposito del nesso tra la riluttanza di Mussolini a sottoscrivere i Patti di Locarno e la prospettiva di collaborazione francotedesca che minacciava di escludere l’Italia. G. CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista, cit., pp.46-47. Sul punto vedasi anche R. DE FELICE, Mussolini il duce I: gli anni del consenso, cit., p.352. Si veda ancora G. CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista, cit., p.47.
CAPITOLO VI.
DALLA CONFERENZA ALLA FIRMA DEI PATTI DI LOCARNO
1. I
NUOVI PATTI E LE REAZIONI NEI PAESI FIRMATARI
In Belgio, i patti non furono, in linea generale, oggetto di critica. Vandervelde, appena tornato in patria, fu preso di mira per un incidente marginale occorso a Locarno. Egli si era rifiutato di incontrare Mussolini, in nome dell’incompatibilità tra fascismo e socialismo. Questo gesto di scarsa cortesia diplomatica fu criticato dalla Nation Belge, che ritenne «inconcepibile che, in un uomo del valore del signor Vandervelde, il socialista internazionalista abbia preso piede, all’occorrenza, sul ministro degli affari esteri» 1. Le difese di Vandervelde furono prese da Le Soir, in un articolo firmato sotto pseudonimo dal noto commentatore politico Cauvin 2. Caustico fu però il nuovo attacco sferrato contro il ministro belga dalla Dernière Heure, che, a fine ottobre parlò addirittura di cabotinage (ciarlataneria) di un «grande commediante marxista» 3. Le dichiarazioni che Vandervelde rese alla Camera dei Rappresentanti 4 sortirono commenti non meno critici. La Nation Belge le giudicò un’«arringa di un dottrinario del socialismo in favore della sua dottrina piuttosto che un discorso di uomo di Stato fiero dei risultati e della durata di un’opera positiva» 5. Di particolare interesse è anche il discorso che Vandervelde tenne il 19 novembre alla Maison du Peuple. Il testo del patto di Locarno, a suo parere, coincideva con le risoluzioni prese dal Congresso di Marsiglia, e ciò grazie all’influsso di “compagni” come de Brouckère e Paul-Boncour. «Così – aggiunse Vandervelde – da marxisti quali siamo, dobbiamo dar posto alle ragioni d’ordine economico per cui le potenze sentono il bisogno di pace» 6. Il ministro degli esteri belga aggiunse che il suo paese non avrebbe mai par-
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tecipato a un complotto contro la Russia. L’ideale di sicurezza per Vandervelde era sempre il Protocollo di Ginevra, fermo restando che era ormai necessario riunire al più presto una conferenza sul disarmo, obiettivo che la maturazione del pensiero socialista avrebbe contribuito a realizzare 7. A parte i malumori provocati dall’incidente ricordato (al quale, peraltro, Mussolini stesso non diede gran peso), ed il fatto che Vandervelde agiva e parlava nella doppia veste di ministro degli esteri e di militante socialista, l’opinione pubblica belga si mostrò generalmente soddisfatta dei patti di Locarno 8. La posizione generale della Francia è desumibile da un dispaccio che fu inviato a tutte le rappresentanze diplomatiche all’estero, il 4 novembre. In esso, Laroche riassumeva i precedenti del negoziato sul patto di sicurezza. Nato da una proposta tedesca, che probabilmente conteneva degli arrièrepensées, il patto era divenuto strumento della solidarietà interalleata, in grado di condurre la Germania nella Società delle Nazioni, salvaguardando le alleanze della Francia e frustrando i tentativi tedeschi di legare il negoziato sul patto ad altre questioni. «Così, senza sacrificare alcun interesse essenziale – era la conclusione di Laroche – abbiamo ottenuto un’adesione volontaria della Germania alle clausole territoriali del Trattato di Versailles per ciò che ci concerne, e ci siamo assicurati, per il mantenimento di questa frontiera, la garanzia britannica che, dall’abbandono dei trattati del 1919, non aveva potuto esser ottenuta. È un risultato tanto più importante che, nelle circostanze in cui è stato realizzato, esso si accompagna ad un certo miglioramento nelle relazioni francotedesche» 9. In Francia, secondo l’ambasciatore italiano, Locarno pareva aver segnato un nuovo indirizzo politico che andava a concretizzarsi nella rinunzia francese alla formazione del cosiddetto “stato cuscinetto renano”; il che non poteva non incontrare il beneplacito di Chamberlain 10. La Francia, uno degli architetti di Locarno, sarebbe stata dunque rappresentata al massimo livello, il 1º dicembre, data della cerimonia solenne della firma a Londra 11. La posizione britannica, all’indomani della parafatura dei patti di Locarno, fu illustrata da Chamberlain, mentre era ancora a Locarno, in una serie di dispacci al Foreign Office e ad altri. Da essi emerge il desiderio di impostare le
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relazioni con la Germania su nuove basi, e l’auspicio che anche la Francia volesse ispirarsi a princìpi di equanimità e di comprensione, specialmente per quanto riguardava il regime di occupazione dei territori renani 12. Il 18 novembre, Chamberlain pronunciò alla Camera dei Comuni un discorso in cui sottolineò la necessità dei due garanti, Gran Bretagna ed Italia, di consultarsi prima di intraprendere qualsiasi azione. Non furono sollevati particolari problemi, e i patti di Locarno vennero approvati dalla Camera dei Comuni con 375 voti contro 13 13. Per quanto riguarda la Cecoslovacchia, appena tornato in patria da Locarno, Beneš scrisse al Presidente della Repubblica Masaryk che il nuovo sistema di sicurezza e di arbitrato non avrebbe compromesso gli interessi e le garanzie previste dalle grandi potenze in favore del paese.V’erano anzi, per Beneš, nei nuovi patti (anche in quello di assistenza concluso con la Francia), dei punti vitali per il futuro della sicurezza cecoslovacca. Masaryk si compiacque dei risultati raggiunti 14. La stampa cecoslovacca, ivi compresa quella di opposizione, fece buona accoglienza ai patti di Locarno. Unanime fu la convinzione che si fosse evitato il peggio e scongiurato il pericolo di accordi alle spalle ed a spese della Cecoslovacchia, col benestare della Francia. La Prager Presse condivise le idee espresse da Beneš, nella sua lettera a Masaryk, mentre il Ceske Slovo osservò che la Francia rimaneva sempre libera di intervenire in favore della Cecoslovacchia, essendo la sua alleanza con questa molto più precisa e circostanziata degli obblighi previsti dall’articolo 16 del Covenant 15. Era, questa, anche l’opinione del ministro degli esteri, il quale peraltro non tardò a preconizzare una “seconda Locarno” in cui tutta l’Europa si sarebbe accordata con la Russia 16. Beneš espresse la massima soddisfazione per i risultati raggiunti a Locarno, come attesta il suo lungo discorso del 30 ottobre innanzi alla Commissione Parlamentare Permanente, competente per la politica estera 17. Alquanto diverso fu l’approccio della Polonia nei confronti dei nuovi patti. Sorprenderà il fatto che, sceso dal treno alla stazione di Varsavia, Skrzynski si fosse prodigato in elogi alla fermezza e lealtà di Chamberlain ed alla prodigiosa abilità di Briand. «È stato come un sogno – furono le sue parole – i tedeschi sono partiti estasiati, incantati e a mani vuote» 18. Parlando
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quindi alla Commissione Esteri della Dieta, il ministro polacco espresse l’avviso che il patto di assistenza rafforzava, invece di indebolire, l’alleanza francopolacca del 1921, essendo previsti impegni più estesi 19. Ma Skrzynski aggiunse che il trattato di arbitrato tedescopolacco era una «transazione sulla base del meno peggio», cui il Parlamento avrebbe assicurato la sua ratifica solo per non incorrere in gravi responsabilità di fronte all’Europa 20. La Commissione Esteri manifestò tuttavia un’opinione critica nei confronti del sistema locarnista e ventilò, nella fattispecie, la preoccupazione che Skrzynski avesse accettato la creazione di una doppia categoria di frontiere in Europa. Lo stesso preambolo del patto di arbitrato tedescopolacco, poi, era giudicato vago, mentre il nuovo patto francopolacco di mutua assistenza veniva considerato garanzia molto meno solida e sicura della vecchia alleanza del 1921. «Se da questo panorama si deve prevedere il futuro – osservò il ministro italiano a Varsavia, Majoni – la lotta per la ratifica del patto sarà aspra. Ma si sa ormai che in gran parte i democratico-nazionali, e ancora i socialisti, il partito operaio nazionale e fors’anche la minoranza tedesca sono favorevoli. Nessun partito poi vuole assumersi la responsabilità di respingere il patto gettando la Polonia nell’isolamento» 21. La Germania si trovava nella posizione della potenza europea maggiormente interessata dai mutamenti intervenuti a Locarno. Il Governo Luther assicurò che avrebbe proseguito nella sua politica di collaborazione; le difficoltà frapposte dal fronte tedesco-nazionale non erano in fondo tali da indurre un personaggio come Stresemann alle dimissioni. Per il paese erano ad ogni modo importanti le “ripercussioni politiche” di Locarno. E infatti il governo tedesco consegnò, il 23 ottobre, una nota alla conferenza degli ambasciatori, chiedendo l’evacuazione della zona di Colonia, prima dell’entrata in vigore dei patti, o meglio prima che il governo tedesco li sottoponesse al Reichstag 22. A livello politico, era comunque diffusa la soddisfazione per come erano andate le cose, anche se ciò non voleva dire accettazione passiva del nuovo sistema. Nel governo del Land bavarese, ad esempio, correva voce che, entrando nella Società delle Nazioni, la Germania avrebbe potuto sollevare le questioni dell’Alta Slesia e delle colonie, e ciò grazie anche all’inter-
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vento di esperti in riparazioni come Schacht, il quale, trovandosi negli Stati Uniti per dei negoziati economici, avrebbe potuto manifestare agli americani simili intenzioni.Tutto ciò significava che la Germania si sarebbe servita, prima o poi, dell’articolo 19 del Covenant per sanare la questione slesiana e che, in qualità di membro del Consiglio della Società delle Nazioni, avrebbe chiesto dei mandati coloniali 23. Il primo ministro e ministro degli esteri bavarese, Held, aveva poi lodato Luther e Stresemann per il loro operato a Locarno, al contempo riservandosi il giudizio sugli effetti pratici di quegli accordi; mentre il rappresentante governativo in Baviera aveva dichiarato che era necessario un beau geste da parte francese, per togliere dagli impacci parlamentari il cancelliere ed il ministro degli esteri 24. Il Consiglio dei Ministri approvò i patti di Locarno, senza però rilasciare alcun comunicato ufficiale. Si profilava già la netta opposizione del partito tedesco-nazionale, che alla vigilia della sua riunione plenaria aveva sconfessato l’operato dei suoi ministri, dei quali si previde l’uscita dal Gabinetto Luther 25. Ciò si verificò puntualmente, mettendo in forse l’esistenza dell’intero governo. Per Luther sembrava ormai profilarsi l’abbandono della partita, o alternativamente l’apertura immediata ai socialisti (i quali avevano vinto le elezioni municipali berlinesi, davanti a comunisti e nazionalisti), notoriamente molto favorevoli ai patti di Locarno 26. Si spiega così come mai coloro che, come von Schubert, speravano nell’approvazione dei patti al Reichstag, ritenessero anche necessario un aiuto degli alleati al governo tedesco, concedendo o almeno promettendo l’evacuazione di Colonia e la revisione del regime di occupazione nelle altre zone. Lo stesso von Schubert fece chiedere a Mussolini di intervenire in tal senso 27. Quanto a Stresemann, egli dichiarò al De Bosdari di vedere nei patti di Locarno un mezzo per allontanare dall’Europa lo spettro della guerra; ma se così non fosse stato, nessuno avrebbe potuto prevedere il futuro 28. Nel corso di una visita alla Camera di Commercio di Dresda, Stresemann dichiarò, il 31 ottobre, che il patto di sicurezza garantiva non solo la Francia da un attacco non provocato sulla sua frontiera, ma anche la Germania, dalla medesima eventualità 29. Al D’Abernon Stresemann poi disse che niente nel
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patto andava contro il Trattato di Versailles e fece anche presente che il patto non limitava né alterava i diritti della Germania, previsti dall’articolo 431 di Versailles 30. Per Stresemann, Locarno aveva inoltre risolto il dilemma della compatibilità tra Kriegsschuldfrage ed entrata della Germania nella Società delle Nazioni. Questa infatti si riprometteva il ristabilimento della completa libertà e sovranità sul suo territorio 31. A metà novembre si apprese la notizia del definitivo rifiuto, opposto dai tedesco-nazionali ai Patti di Locarno 32. In un discorso al Reichstag, il 23 novembre, Luther annunciò le dimissioni sue e dell’intero governo, non appena firmati i patti a Londra. Egli dichiarò altresì che qualsiasi occupazione straniera del territorio tedesco perdeva, alla stregua dei nuovi accordi, ogni ragion d’essere. Quanto alle conseguenze dell’ingresso della Germania nella Società delle Nazioni, era chiaro come essa non sarebbe stata obbligata, solo in virtù di ciò, ad intervenire contro uno stato che non fosse dalla Germania stessa considerato perturbatore della pace, nonché aggressore. Alla Germania, proseguì Luther nel suo discorso al Reichstag, si doveva inoltre riconoscere il diritto ai mandati coloniali. «La Germania – egli concluse – sarà in grado di far valere la sua naturale importanza nella Società delle Nazioni, per tutte le questioni che interessano lo stato tedesco ed il popolo tedesco, dentro e fuori i confini dello Stato». Le parole di Luther contenevano dunque un non troppo velato accenno alla possibilità di unione politica tra l’Austria e la Germania. In effetti, proprio nel corso del dibattito al Reichstag e sulla scia delle dichiarazioni del cancelliere, il presidente del partito democratico, Koch, osservò che Locarno non era altro che una tappa, come lo erano state le conferenze di Cannes e di Londra; occorreva ora mirare alla fine dell’occupazione straniera in Renania, ad un plebiscito anticipato nella Saar e, naturalmente, all’Anschluss. «Se Mussolini vi si oppone – aveva aggiunto – ciò è tanto più vergognoso in quanto che l’Italia deve la sua liberazione alla simpatia tedesca e all’aiuto delle armi prussiane». È da notare che il Koch inserì queste dichiarazioni in un discorso dai toni tutto sommato equilibrati 33. Nel corso del dibattito al Reichstag, l’ambasciatore italiano riportò l’impressione che le dichiarazioni rese da Luther implicassero anche il proposi-
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to di sollevare in sede ginevrina la questione delle popolazioni tedesche che ancora si trovavano sotto il “giogo straniero”. Gli parve, inoltre, di percepire un diffuso sentimento anti-italiano, probabilmente dettato dalla dichiarata opposizione dell’Italia all’Anschluss. In quasi tutti i partiti politici si faceva poi strada la convinzione che l’annessione dell’Austria alla Germania sarebbe stata presto possibile, grazie al disinteresse di inglesi e francesi nei confronti del piccolo stato danubiano e che ciò, alla fine, avrebbe isolato e reso impotente l’Italia 34. Dal 23 al 27 novembre, dunque, i Patti di Locarno furono discussi al Reichstag e da questo approvati a maggioranza semplice, con 291 voti contro 174 e 3 astensioni. A favore votarono i socialdemocratici, il centro, il partito popolare, quello democratico, il partito popolare bavarese (cui appartenevano i 3 astenuti), il partito contadino bavarese e gli hannoveriani. Contro si pronunciarono i tedesco-nazionali, i comunisti, la formazione nazionalista del lavoro ed il partito economico 35. Al Reichsrat i trattati di Locarno erano già passati il 21 novembre, con 46 voti contro 4 e 3 astensioni. Contro votarono Prussia Orientale, Pomerania, MecklemburgSchwerin, Bassa Slesia. Si astennero Württemberg, Baviera ed Assia-Nassau. Turingia e Brunswick domandarono al Governo di chiedere agli alleati l’assicurazione che i termini dell’occupazione sarebbero stati abbreviati 36. In questo quadro, i patti appena conclusi a Locarno costituivano senz’altro una vittoria diplomatica della Germania, non soltanto perché essa tornava a trattare alla pari con le potenze vincitrici, dopo anni di ostracismo, ma anche perché, grazie a Locarno, era ora possibile realizzare un disegno di revisione pacifica dell’assetto postbellico, nel quadro della Società delle Nazioni e con gli strumenti che il Covenant metteva a disposizione 37. L’Italia non era contraria al ritorno della Germania nel novero delle potenze europee 38, ma guardava con diffidenza l’aspetto revisionista della sua politica, una diffidenza che con il passar del tempo divenne il segno prevalente dei rapporti tra i due paesi. I giornali italiani avevano interpretato l’accenno di Luther circa il diritto della Germania ai mandati coloniali nel senso di una promessa fatta dai vincitori a Locarno. Mussolini, il 25 novembre, smentì recisamente che in
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proposito fossero intercorse trattative fra le delegazioni alla Conferenza. Egli aggiunse che era bene «mettere sull’avviso i Governi che l’Italia in materia di mandati coloniali rivendica il suo incontestabile diritto di priorità»; altrimenti, avrebbe riconsiderato la sua posizione anche nei confronti dei Patti di Locarno. Il capo del Governo italiano raccomandò tuttavia agli ambasciatori a Londra e a Parigi di affrontare la questione con prudenza, per evitare che solo l’Italia venisse oberata della responsabilità di opporsi alla Germania. Egli chiese anche di verificare se le dichiarazioni di Luther derivavano da precise promesse di Londra e di Parigi, di cui l’Italia non era stata informata 39.Così Mussolini reagiva alle notizie inviate il 23 novembre dall’ambasciatore a Berlino circa l’andamento del dibattito al Reichstag. Di tale atteggiamento di ferma opposizione alle mene tedesche non vi è maggior traccia ed anche i Documenti Diplomatici Italiani tacciono sul punto; ad ogni modo, la posizione generale di Mussolini era talmente chiara che nessun nuovo elemento potrebbe spiegarla meglio. In Italia, la pubblicistica politica aveva seguito, fin dagli inizi e con accanimento, la questione del patto di sicurezza. Già il 5 gennaio, dalle colonne del Giornale d’Italia, lo Schanzer aveva criticato il riserbo britannico (da lui attribuito ai soli conservatori) verso impegni continentali, riserbo di cui s’era fatto portavoce il commentatore politico Garvin sulle colonne dell’Observer 40. Con la proposta tedesca, Schanzer vide aprirsi un’era nuova, in cui occorreva agire e «sottrarre la Germania all’abbraccio moscovita», per poi estendere la garanzia a tutte le frontiere.All’Italia doveva poi esser riservata «una parte precipua nella soluzione di questo problema», in piena solidarietà con gli altri paesi interessati 41. Questi, e i già ricordati commenti di Schanzer e di Sforza (supra, cap. III. § 2) sono indice di una sintonia tra vecchia classe dirigente e nuovo regime fascista, limitatamente a problemi di politica estera che questo aveva ereditato dai governi liberali 42. I nazionalisti del gruppo di Francesco Coppola e della rivista Politica furono i più ascoltati, non solo dalla borghesia intellettuale, ma dallo stesso regime, dopo che il partito nazionalista era confluito, nel febbraio 1923, in quello fascista. Coppola aveva raccolto in volume articoli di politica internazionale, apparsi qualche anno prima sulle pagine della sua rivista 43.
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Anche in occasione del patto renano non mancò il suo contributo. Egli contestava l’assioma della «pace definitiva» e vedeva nel protocollo ginevrino «la cristallizzazione e l’immobilità definitiva della carta politica e imperiale del mondo», nonché la paralisi degli interessi italiani 44. Per l’Italia, Coppola voleva consistenti vantaggi nel Mediterraneo, e nello stesso tempo pretendeva che si conservasse la formula del “patto a cinque”. Un giudizio complessivo sui Patti di Locarno fu espresso da Coppola in un intervento su Politica, nel dicembre 1925. Egli evidenziò la «capitale necessità storica» di dar sbocchi all’esuberanza demografica di un’Italia popolosa come la Francia, ma con un territorio inferiore della metà. Occorreva por rimedio a questa situazione, minacciante l’ordine interno, cercare di procurare spazi nuovi, anche con la forza. In tale ottica, cos’era Locarno? L’esatto contrario del Protocollo di Ginevra, in quanto «le potenze contraenti non prendevano alcuno impegno, non solamente per ciò che riguarda i rapporti e gli eventuali conflitti tra ciascuna di esse e le altre potenze, ma nemmeno per ciò che riguarda i rapporti e gli eventuali conflitti tra esse stesse per qualsiasi altro oggetto che non sia specificamente la frontiera del Reno». Partendo da queste considerazioni, Coppola traeva un giudizio politico: «L’obbligo è dunque formidabile, ma non oltrepassa quello che, con o senza il trattato di Locarno, la necessità stessa della loro storia imporrebbe in ogni caso e all’Inghilterra e all’Italia», le quali si avvantaggiavano di una maggiore autorità e, in definitiva, di una maggiore potenza politica. «Locarno è la sosta per ripigliar fiato – concludeva il Coppola – è la tregua, durante la quale ciascuno di essi si rifarà le forze e l’animo per riprendere più o meno presto il fatale cammino della storia, cioè di nuovo la concorrenza e la lotta» 45. Con questa linea concordava Enrico Corradini, nazionalista anch’egli e, come il Coppola, membro della «Commissione Rocco» sulle riforme costituzionali (di cui fu vicepresidente) 46. Delle venature polemiche di Ardengo Soffici si è già detto (supra, cap. IV. § 3). Certamente, i giudizi appena esposti erano propri di un’area di pensiero nazionalista, a volte viziata da accenti deteriori. Resta il fatto che più ampi strati della società borghese e liberale vedevano i Patti di Locarno in non diversa luce, e ne ravvisavano i vantaggi soprattutto nel fatto che il
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ruolo dell’Italia nella Conferenza in Svizzera era stato di ben più alto prestigio di quello avuto alla Conferenza di Parigi del 1919. Per questo, Locarno segnava l’inizio della revisione di Versailles, di una “revisione morale”, piuttosto che territoriale 47.
2. L A
FIRMA A
L ONDRA
DEI
PATTI
DI
L OCARNO
Si era stabilito a Locarno di firmare i patti a Londra il 1º dicembre. Nella capitale britannica, com’è noto, giunsero tutti i grandi protagonisti della scena locarnista, tranne Mussolini, il quale rimase a Roma. È possibile motivare tale assenza solo con la disapprovazione dei tentativi tedeschi di parlare di Anschluss e di colonie, e dell’ignavia attribuita agli ex alleati? 48 Per tentare una risposta, occorre prestare attenzione al fatto che Mussolini prese la decisione di non andare a Londra, e di farsi ivi rappresentare da Scialoja, nella terza decade di novembre e che egli comunicò tale decisione a Graham la mattina del 25, quando aveva già ricevuto da Berlino le notizie sul rinfocolarsi della questione dell’Anschluss e dei mandati coloniali in sede di dibattito al Reichstag 49. I dubbi sulla fermezza degli ex alleati e l’attesa di chiarimenti sulla loro condotta possono rappresentare un valido motivo perché Mussolini annullasse la sua trasferta a Londra. Ma si possono anche proporre altre argomentazioni, evinte dalla ricostruzione dei fatti, così come consentita dai documenti. Pochi giorni dopo la chiusura della conferenza di Locarno, Chamberlain aveva confermato a Mussolini l’apprezzamento e la stima già attestatigli in altre occasioni. «Assai grato del messaggio che il Signor Chamberlain si è compiaciuto di rivolgermi – rispose Mussolini, il 24 ottobre, tramite Della Torretta – tengo a confermargli la mia soddisfazione per aver potuto collaborare con lui ad un’opera che stimo altamente benefica per [l’] intera Europa, lieto che [la] firma del patto sarà propizia occasione per incontrarmi di nuovo con lui» 50. Analogo messaggio fu inviato a Briand, per il tramite di Romano Avezzana, il 2 novembre successivo. Dopo aver espresso la sua gratitudine al ministro francese per i risultati di Locarno, nonché il pia-
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cere di aver collaborato alla pace europea, Mussolini così continuava: «Mi propongo di prender parte alla riunione di Londra, dove il patto sarà consacrato dalla firma e dove spero di incontrare nuovamente Briand, di cui conosco l’elevato patriottismo e i sentimenti di amicizia verso l’Italia, ai quali corrispondono da parte mia analoghi sentimenti verso la Francia» 51. In termini simili s’era espresso anche Contarini, il 23 ottobre precedente 52. Era dunque ufficiale la notizia che il capo del governo italiano sarebbe andato a Londra; ciò provocò vivo compiacimento al Foreign Office, attestato da Tyrrell all’incaricato d’affari italiano, Preziosi 53. Al contempo, Tyrrell si premurò di comunicare che a causa dello spazio, che non consentiva di ospitare delegazioni in numero superiore ai dodici membri, sarebbe stato opportuno che l’Italia ridimensionasse la propria. Il Capo di Gabinetto di Chamberlain pregò dunque il Preziosi di chiedere al suo governo l’invio di una lista definitiva dei delegati italiani, «possibilmente più ristretta» 54. Il 19 novembre, Paulucci de’ Calboli Barone comunicò a Londra, in via confidenziale, tale lista. Il nome di Mussolini vi figurava al primo posto, come capo della delegazione, immediatamente seguito da quello di Scialoja; v’erano poi, tra gli altri, i nomi dello stesso Paulucci, di Pilotti e di Chiavolini; la data di arrivo della delegazione sarebbe stata comunicata in seguito 55. Il 20 novembre, un evento luttuoso colpì la Casa Reale britannica, il decesso per infarto della Regina Madre Alessandra. La circostanza fu resa ancor più penosa dal fatto che il di lei genetliaco cadeva proprio il 1º dicembre, data della firma dei Patti di Locarno. Il Governo di Sua Maestà annullò pertanto, la sera del 23 novembre, le tre cerimonie ufficiali inizialmente previste (pranzo a Corte, colazione al Municipio londinese, pranzo dal Primo Ministro), snellendo tutta la procedura inerente la firma dei patti. Il Foreign Office si sentì in dovere di pregare gli Stati contraenti di astenersi dall’invio di speciali delegazioni, dando quindi ai rispettivi rappresentanti diplomatici a Londra mandato di firmare 56. La comunicazione del governo britannico venne accolta con apprensione dalle cancellerie interessate. A Berlino si fece presente che era difficile soprassedere alla presenza di Stresemann a Londra, ritenendola preziosa occasione per incontrare Briand e Chamberlain, e così avere scambi di idee
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su questioni politiche ed economiche; senza considerare che ogni contrattempo avrebbe accelerato il precipitare della crisi governativa tedesca 57. Il Governo di Berlino insistè dunque presso gli alleati nel senso indicato 58. Quello di Parigi si affrettò a far notare a Chamberlain, il 24 novembre, che pur dovendosi rispetto al dolore del popolo britannico, sarebbe stato un errore «rinunciare all’atto politico e al simbolo che rappresenta la firma solenne a Londra da parte degli originari delegati degli Stati» 59. Nello stesso senso Briand scrisse personalmente all’ambasciatore britannico a Parigi, Lord Crewe, aggiungendo che la sua venuta a Londra doveva essere occasione anche per intrattenere Chamberlain su alcuni temi importanti, riguardanti il prossimo Consiglio della Società delle Nazioni 60. Le sollecitazioni di Briand furono subito raccolte da Chamberlain il quale, indirettamente, ammise che il tono della precedente comunicazione del Foreign Office poteva aver indisposto i paesi destinatari e provocato, anche per travisamenti della stampa, dei malintesi. Egli perciò assicurò che avrebbe accolto di buon grado a Londra il collega Briand, nonché gli altri ministri che sarebbero convenuti. Al fine poi di dissipare ogni erronea interpretazione, Chamberlain avrebbe anche telegrafato un nuovo invito ai negoziatori di Locarno 61. «Lord Crewe è in via di esprimere l’auspicio che il signor Briand ritenga possibile arrivare il 30 novembre e non partire prima del 3 dicembre (...) I rappresentanti di Sua Maestà a Roma, Berlino, Bruxelles, Varsavia e Praga hanno ricevuto istruzioni di trasmettere un simile messaggio al signor Mussolini, al dottor Luther, al signor Vandervelde, al conte Skrzynski, al dottor Beneš» 62. «Il signor Chamberlain – si legge ancora in una nota dell’ambasciatore britannico a Parigi, diretta a Briand – ha (...) appreso dall’ambasciatore francese a Londra che Vostra Eccellenza è anch’Ella fortemente favorevole alla firma del Trattato di Locarno da parte di coloro che ne furono gli autori, e che quindi Ella si è proposta di andare a Londra a tale scopo. Il signor De Fleuriau ha spiegato che Ella sentiva fosse molto desiderabile che anche il dottor Luther e il signor Stresemann firmassero il trattato. Il signor Chamberlain è della stessa opinione e ha così istruito l’Ambasciatore di Sua Maestà a Berlino di informare il Governo tedesco che il Governo di Sua Maestà sarà felice di ricevere la delegazione tedesca il 30 novembre» 63.
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Il nuovo invito ufficiale era del seguente tenore: «Il Governo di Sua Maestà ritiene che la firma personale di chi ha parafato i Trattati di Locarno conferirà ulteriore importanza e solennità alla conclusione di questo grande atto di pacificazione. Esso solamente esitava a proporre un simile corso ai governi interessati in quanto l’ospitalità che può dare corrisponde così poco, nelle tristi circostanze del momento, a ciò che Sua Maestà il Re, i suoi Ministri e la Nazione avrebbero desiderato offrire. Sua Maestà il Re ha espresso l’intenzione di ricevere i delegati il pomeriggio del 1º dicembre. Il Signor Chamberlain spera che coloro che firmeranno i Trattati di Locarno accettino il suo invito a cena il 1º dicembre. Il Primo Ministro spera che essi ceneranno con lui a Downing Street il 2 dicembre. Non sarà richiesta uniforme» 64. Mussolini aveva ricevuto, la mattina del 24 novembre, notizia dell’annullamento delle cerimonie londinesi, personalmente da Graham, al quale disse di condividere il parere del governo britannico di munire l’ambasciatore italiano a Londra dei pieni poteri per la firma dei patti, «a meno che decisioni altri governi non consiglino per ragioni convenienza invio a Londra speciale delegazione italiana per evitare che differente rappresentanza cerimonie firma possa essere interpretata come diversa valutazione importanza patto» 65. Il 25 novembre, Preziosi telegrafò a Roma quanto segue: «Personalità Foreign Office mi lasciò comprendere confidenzialmente oramai urge per tanti motivi assicurare firma Patto Locarno e che si era cercato semplificare il più possibile famose procedure inerenti firma.A mia discreta domanda rispose che malgrado libertà lasciata nella nota comunicazione di Chamberlain ai Governi interessati, egli in fondo non si attendeva che detti Governi inviassero a Londra missioni speciali per cerimonia stessa (...) tuttavia nulla sapeva di preciso a quest’ultimo riguardo» 66. La mattina di quello stesso 25 novembre, l’ambasciatore britannico tornò da Mussolini per informarlo che gli altri governi partecipanti al Patto di Locarno avrebbero inviato a Londra i Ministri per la firma.Al che Mussolini rispose di aver dato mandato a Scialoja di firmare a nome dell’Italia 67. Mussolini fu dunque l’unico dei ministri a non recarsi a Londra per la firma dei Patti di Locarno e ciò anche a causa di una circostanza del tutto
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casuale. Si deve tuttavia cercare di spiegare la decisione che lo portò a restarsene a Roma, nonostante che Graham l’avesse informato della venuta a Londra dei colleghi. Alcune ipotesi sono possibili, oltre quelle già formulate. In primo luogo, non diversamente dagli altri governi, anche quello italiano dovè provare disappunto per il repentino mutamento del programma delle cerimonie di Londra, ma soprattutto per il tono con cui il Governo di Sua Maestà aveva pregato di astenersi dall’invio di delegazioni speciali. «La comunicazione inglese circa i festeggiamenti del 1º dicembre è stata mal redatta – scriveva l’ambasciatore De Fleuriau a Laroche – in quanto essa ha prodotto un effetto contrario a quello che Chamberlain si attendeva. Credo che alla fine il danno sia stato riparato, almeno per ciò che concerne il signor Briand e i tedeschi. Se il signor Mussolini non viene, qui non si piangerà» 68. Alla situazione testé descritta si coniugava il fatto di aver già il Foreign Office mosso alcune osservazioni per l’eccessiva consistenza dell’originaria delegazione italiana. Ci sembra invece secondaria la circostanza che il nuovo invito a convenire a Londra non risulta formulato in un documento presentato a Mussolini nella debita ufficialità 69. Mussolini quindi designò alla guida della delegazione italiana a Londra il secondo nome della lista previamente compilata, ossia lo Scialoja. La scelta di Scialoja si rivelava come la più opportuna e confacente alle circostanze, anche per esser egli delegato italiano presso la Società delle Nazioni e per gli ottimi rapporti personali intessuti con Briand e Chamberlain in ambiente ginevrino. Questa scelta Mussolini mantenne anche quando, il 29 novembre, seppe dal Della Torretta che «uno dei motivi per i quali [gli] altri Gabinetti hanno finito per inviare [i] soliti loro membri [per la] firma [del] patto [di] Locarno, è stata [la]decisione di Luther e [di] Stresemann di venire comunque qui per non perdere [un’] occasione favorevole [per] nuovi contatti con Chamberlain», cercando essi un modo per ottenere dalla Gran Bretagna nuove concessioni e promesse 70. Era evidente che gl’inglesi non si sarebbero fatti trascinare su questa strada 71. Del resto, Mussolini non poteva precipitarsi a Londra per timore che si lavorasse alle spalle dell’Italia; sarebbe stato come attribuire eccessiva importanza alle mene tedesche ed al contempo mostrare scarsa fiducia nella lealtà britannica.
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Si potrebbe anche spiegare l’assenza di Mussolini da Londra con quella campagna di stampa antifascista che, proprio alla vigilia della firma dei patti, fu organizzata da alcuni importanti giornali britannici, nonché con il timore che la sua visita venisse boicottata o addirittura, visto il precedente del Zaniboni, funestata da un qualche attentato alla sua persona. Non può escludersi che Mussolini ritenesse il governo britannico in una certa misura responsabile per gli attacchi di stampa rivoltigli, dal momento che non aveva predisposto una censura preventiva nei confronti di articoli troppo denigratori di un paese amico, e che non aveva saputo bene orientare l’opinione pubblica ad una visione più obiettiva della realtà italiana. Ma Mussolini già in precedenza era stato oggetto di attacchi da parte della stampa straniera, ivi compresa quella britannica 72; inoltre, proprio da parte italiana, non si voleva accreditare l’idea che l’assenza da Londra di Mussolini fosse conseguenza dell’azione condotta dagli oppositori antifascisti in Gran Bretagna 73.
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3. O SSERVAZIONI
CONCLUSIVE
Mussolini non sembrava intenzionato, per il momento, a ripudiare o sminuire i risultati raggiunti a Locarno. Se così fosse stato, egli si sarebbe limitato a dare all’ambasciatore a Londra mandato di firmare, invece di incaricarne lo Scialoja. Fin dalla chiusura della conferenza, Mussolini aveva in suo possesso ogni elemento utile per decidere se aderire o meno a quei patti; e vi aderì per non rompere la solidarietà formale con gl’inglesi e per non correre il rischio dell’isolamento politico, facendo dell’Italia l’unica potenza vincitrice che non ratificava la “riabilitazione” tedesca. Era palese quindi l’interesse a stare dentro il “sistema locarnista”, se non altro in virtù del prestigio conferito all’Italia dal ruolo di garante.Tale posizione, oltre ad offrire vantaggi futuri, quando si sarebbe parlato di una “Locarno orientale” 74 garantiva che, in caso di conflitti con la Germania, sarebbe stato di vitale importanza il ruolo dell’Italia al fianco dei vecchi alleati 75. Solo il tempo poteva dunque dire quanto il nuovo sistema di sicurezza europea avrebbe retto. Il risultato finale del negoziato locarnista certo non piaceva a Mussolini, poiché rappresentava un revisionismo dagli esiti imprevedibili. Ma, pur con tutto ciò, era comunque meglio trovarsi in un punto privilegiato di osservazione (com’era allora l’Italia, garante del nuovo sistema) che restarne fuori: isolati dagli alleati ed impotenti verso la Germania.
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STYLO, L’Attitude de M.Vandervelde à l’égard de Mussolini est sévèrement critiquée par la presse italienne, in «La Nation Belge», 25 ottobre 1925. Una critica ancor più serrata provenne dal «Pourquoi Pas», e dal «Groupement des Services Maritimes Militaires de la Campagne 1914-1918», il quale approvò all’unanimità un ordine del giorno di solidarietà a Mussolini, che fu a questi inviato. ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42. Altre critiche piovvero su Vandervelde il 28 ottobre dalla «Libre Belgique», organo che pure era vicino agli ambienti vaticani antifascisti. Daneo a Mussolini, 27 ottobre 1925, tel.2467/791/A.18. INTERIM, L’incident Vandervelde, in «Le Soir», 26 ottobre 1925; ripreso poi da «Le Peuple» del 27 successivo. Daneo a Mussolini, 31 ottobre 1925, tel.2504/805/A.18, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Le dichiarazioni di Vandervelde furono rese nella seduta del 17 novembre 1925. Chambre des Représentants, Compte Rendu Analytique, Séance du mardi 17 novembre 1925, pp.7-14. Daneo a Mussolini, 18 novembre 1925, tel.2611/851/A 68, ibidem, busta 41. È da notare che la destra applaudì gli accenni fatti alla Camera da Vandervelde e da Jaspar circa l’adesione italiana alla garanzia renana. Cfr. Chambre des Représentants, Compte Rendu, cit. p.8. H. JASPAR, Locarno et la Belgique, in «La Révue Belge», 2, t.IV, nn.3 e 4, pp.154-169. F. DE VISSCHER, La paix de Locarno du point de vue du droit international, ibidem, pp.170-179. Vandervelde parle de Locarno à la “Maison du Peuple”, in «Le Peuple», 20 novembre 1925. Daneo a Mussolini, 21 novembre 1925, tel. 2642/868/A.68,ASMAE,Arch.Gab.,TSN, busta 41. Daneo a Mussolini, 22 ottobre 1925, tel.2429/778/A.68, ibidem, busta 42. Cfr. Grahame a Chamberlain, 19 ottobre 1925, DBFP, Series IA, doc.11. Laroche alle rapresentanze diplomatiche francesi, 4 novembre 1925,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.86. Romano Avezzana a Mussolini, 5 novembre 1925, tel.2424/208, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42. Romano Avezzana a Mussolini, 25 novembre 1925, tel.2764/867/25, ibidem .Va osservato che, con un telegramma urgentissimo del 21 ottobre, Briand istruì Besnard di ringraziare vivamente Mussolini per l’opera svolta dall’Italia e per la sua personale presenza a Locarno. Briand a Besnard, 21 ottobre 1925, tel.1022 urgentissimo,AMAE, ZEurope: Grande-Bretagne, vol.85. Cfr.DBFP, Series IA, vol.I, docc.2, 3, 4, 7. H.C., Deb., 1925, col.428. Sempre ai Comuni venne bocciata, con 332 voti contro 130, una mozione del deputato laburista Ponsoby, critica verso i patti di Locarno, perché nulla prevedevano circa il disarmo generale e l’adesione della Russia alla Società
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delle Nazioni ed agli accordi europei. «The Times», 19 novembre 1925; Preziosi a Mussolini, 19 novembre 1925, tel.3283/187/A.1,ASMAE,Arch.Gab., cit.,TSN, busta 42; Idem, 21 novembre 1925, tel. 2779/847, ibidem; stralci del discorso di Chamberlain furono riprodotti sempre da Preziosi nel suo tel. 2782/849 del 22 novembre a Mussolini, ibidem, busta 42. Di non particolare rilevanza fu la discussione alla Camera dei Lords sui patti di Locarno. «The Times», 25 novembre 1925. Pignatti Morano di Custoza a Mussolini, 19 ottobre 1925, tel.2182/372, ASMAE, Arch.Gab., cit.,TSN, busta 42. Pignatti Morano di Custoza a Mussolini, 22 ottobre 1925, tel. 1742/781 ibidem. Per una rassegna di giudizi, cfr.Clerk a Chamberlain, 21 ottobre 1925, DBFP, Series IA, vol.I, doc.14. Pignatti Morano di Custoza a Mussolini, 31 ottobre 1925, tel.1790/807, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41; Pignatti non mancava di notare come dietro l’accenno di Beneš alla Russia si nascondessero anche meri interessi elettoralistici (le elezioni parlamentari in Cecoslovacchia si sarebbero tenute il 15 novembre). Les Accords de Locarno: exposé fait par Eduard Beneš, Praga: Orbis 1925. Copia di quest’opuscolo è stata reperita in AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.86. Cfr. Couget a Briand, 3 novembre 1925, l.n.316, ibidem. Questo è il resoconto del ministro britannico a Praga, Max Muller, al collega francese De Vaux. De Vaux a Briand, 23 ottobre 1925, l.n.273, AMAE, Z-Europe: GrandeBretagne, vol.86. «Quest’alleanza – disse Skrzynski – è stata formulata in maniera tale da non denunciare alcuno degli accordi anteriori tra la Polonia e la Francia, in modo da portare a conoscenza di tutti gli Stati che, nel caso in cui la Polonia venga attaccata, la Francia è obbligata a portarle immediatamente aiuto ed assistenza e viceversa. Se si comparano i testi non mancherà di convincersi che nell’accordo del 1921 quest’obbligo non era formulato così nettamente, dato che vi era detto soltanto che i Governi, nel caso di un’aggressione, si sarebbero concertati in vista della difesa, mentre qui non è più questione unicamente di concertarsi, ma abbiamo proprio a che fare con un impegno a prestarci assistenza immediata gli uni gli altri». Dichiarazioni del Ministro degli Esteri Skrzynski alla Commissione Esteri della Dieta Polacca, 22 ottobre 1925, riportate in «Le Messager Polonais», 23 ottobre 1925. Majoni a Mussolini, 22 ottobre 1925, tel.2210/100, ibidem, busta 42. Un simile atteggiamento sembrava suggerito dallo stesso Skrzynski, onde evitare che un eccessivo trionfalismo da parte della Polonia finisse per creare problemi politici interni a Stresemann. Majoni a Mussolini, 29 ottobre 1925, tel.2135/746/A.1, ibidem, busta 42; cfr. «Le Messager Polonais», 23 ottobre 1925. È da notare che Skrzynski, da poco tempo anche Presidente del Consiglio, aveva chiesto che nello stampare i testi dei patti di Locarno,
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non fosse trascurata la sua nuova qualifica. De Panafieu a Briand, 21 novembre 1925, tel.118,AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.87.Assicurazione in tal senso fu data da Berthelot con tel.379 del 23 novembre successivo. Ibidem. ADAP, A Band XIV, nota 3 al doc.166; cfr.doc.188. Sulla copia pervenuta a Roma Mussolini annotò a margine che, con riguardo alle richieste tedesche, «l’Italia ha già fatto pressioni in tal senso a Locarno stesso»; ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. È da ricordare anche la nota consegnata dal generale Pawels al generale Walch, il 24 ottobre, circa il controllo militare della Germania (ADAP,A, Band XIV, nota 3 al doc.209), nonché quella relativa all’Alto Commissariato della Renania (ADAP,A, Band XIV, nota 7 al doc.150). Darlano (Console Generale a Monaco di Baviera) a Mussolini, 20 ottobre 1925, telespresso 5150/377, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. Darlano a Mussolini, 22 ottobre 1925, telespresso 5205/382, ibidem. È da notare che l’incaricato d’affari francese presso il Land bavarese cominciava a stringere rapporti in quegli ambienti. Cfr. D’Ormesson a Briand, 2 novembre 1925, l.n.78, AMAE, ZEurope: Grande-Bretagne, vol.86; idem, 3 novembre 1925, l.n.79, ibidem. De Bosdari a Mussolini, 24 ottobre 1925, tel.2240/313, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42. De Bosdari a Mussolini, 26 ottobre 1925, tel.227/320, ibidem. La prospettiva che Luther non si dimettesse fu segnalata lo stesso giorno da De Bosdari col tel.2275/321, ibidem. Cfr. Aufzeichnung des Staatssekretärs von Schubert, 4 novembre 1925, ADAP, A, Band XIV, nota 7 al doc.205. De Bosdari a Mussolini, 27 ottobre 1925, tel.2297/324, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42. Questa richiesta Schubert rinnovò ai primi di novembre: idem, 7 novembre 1925, tel.2541/347/A.1, ibidem . Così Stresemann in un colloquio con De Bosdari. De Bosdari a Mussolini, 31 ottobre 1925, tel.1675/454/A.1, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42. Cfr. ADAP, A, Band XIV, nota 5 al doc.208. D’Abernon a Chamberlain, 6 novembre 1925, DBFP, Series IA, vol.I, doc.68. De Bosdari a Mussolini, 25 novembre 1925, tel.2756/377, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Agenzia Stefani, 16 novembre 1925, Bollettino n.31, ibidem. Questo il discorso di Luther in base al resoconto fattone dall’ambasciatore italiano a Berlino: De Bosdari a Mussolini, 23 novembre 1925, tel.2726/375, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. Sulle osservazioni critiche che Chamberlain mosse a questo discorso: Chamberlain a D’Abernon, 26 novembre 1925, DBFP, Series IA, vol.I, doc.116. De Bosdari a Mussolini, 29 novembre 1925, tel.1876/489/A.1, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42. In questo telegramma, tra l’altro, De Bosdari fondatamente esprimeva
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i suoi dubbi circa una “grande coalizione” coi socialisti, in seguito all’uscita dei tedesco-nazionali dal governo. De Bosdari a Mussolini, 28 novembre 1925, tel.2792, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. De Laboulaye a Briand, 21 novembre 1925, tel.1835, AMAE, Z-Europe: GrandeBretagne, vol.87. Ciò è di piana evidenza sulla base del resoconto di una conversazione che il nuovo ambasciatore francese a Berlino, De Laboulaye, ebbe con Stresemann la sera del 27 novembre. De Laboulaye a Briand, 28 novembre 1925, tel.1860-1863, AMAE, Série YInternationale, vol.691. Briand non si sorprese affatto dell’«audacia e la fertilità di immaginazione» di Stresemann, osservando che questioni come le colonie del Togo, del Camerun e della Nuova Guinea, o altre come Danzica e il corridoio polacco «non dovevano nemmeno essere affrontate, poiché sarebbe porsi in piena contraddizione con i termini degli accordi che abbiamo firmato e che sono basati sul rispetto dei trattati». Briand a De Laboulaye, e p.c. a Londra, Bruxelles e Roma, 29 novembre 1925, tel.260, riservato, ibidem. Ciò si evince dal tel.1388 di Mussolini a Romano Avezzana e Della Torretta dell’11 novembre 1925, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42. Mussolini a Della Torretta e Romano Avezzana, 25 novembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, docc. 185 e 186, nonché la nota 2 a p.136. Si veda ancora DBFP, Series I A, doc.121. C. SCHANZER, Echi e commenti, in «Il Giornale d’Italia», 5 gennaio 1925; cfr. «The Observer» del 7 dicembre 1924. L’articolo di Garvin apparve proprio mentre Chamberlain incontrava a Roma Mussolini. Cfr.DDI, Serie Settima, vol.III, doc.605; note 1 a p.364, e 2 a p.365. «Il Giornale d’Italia», 10 e 22 marzo 1925; cfr. C. SCHANZER, Sulla Società delle Nazioni, Roma: A.R.E., 1925, spec. le pp.215-236. Cfr. R. DE FELICE, Mussolini il fascista: L’organizzazione dello stato fascista 1925-1929, Torino: Einaudi, 1968, p.441. F. COPPOLA, La pace democratica, Bologna, Zanichelli 1921. IDEM, La fine del’Intesa, Bologna, Zanichelli, 1921. Una terza raccolta, che avrebbe dovuto intitolarsi La liquidazione della vittoria non vide mai la luce. Cfr.V. CLEMENTE, Coppola Francesco, cit. F. COPPOLA, Ideologia e pratica della pace coatta (Il Protocollo di Ginevra e l’Italia), in La pace coatta, Milano: Treves, 1929, pp.53-93. F. COPPOLA, Ginevra e Locarno, in «Politica», dicembre 1925, ora in La pace coatta, cit., pp.94-126. Cfr. E. CORRADINI, L’unità e la potenza delle Nazioni, Firenze:Vallecchi, 1922, II ed., 1926. Ma vedasi anche, dello stesso autore, Fascismo vita d’Italia, Firenze:Vallecchi, 1925. Cfr.DBFP, Series IA, vol.I, doc.9 e nota 1.
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È da ricordare che Mussolini raccomandò ai suoi ambasciatori di affrontare il tema delle colonie alla Germania con grande prudenza e tatto. Cfr.DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.186. Mussolini a Romano Avezzana, De Bosdari e Della Torretta, 25 novembre 1925, tel.1504, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. Mussolini a Della Torretta, 24 ottobre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.161; cfr.DBFP, Series IA, vol.I, doc.5 e nota 4. Romano Avezzana a Briand, 2 novembre 1925, l.p., AMAE, Z-Europe: Italie, vol.96. Cfr.DDI, Serie Settima, vol.IV, docc.162 e 165. Besnard a Briand, 23 ottobre 1925, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.86. Preziosi a Contarini, 10 novembre 1925, tel.803,ASMAE,Arch.Gab., «Rappresentanze diplomatiche», Ambasciata di Londra, busta 600. Preziosi a Contarini, 17 novembre 1925, tel.818, ibidem. Paulucci de’ Calboli a Della Torretta, 19 novembre 1925, tel.349, ibidem. Tale decisione non emerge compiutamente dai documenti britannici (cfr., ad esempio, DBFP, Series I A, doc.114); ma essa è perfettamente desumibile dalle fonti archivistiche italiane ed in special modo dal Fondo «Rappresentanze diplomatiche», nella Serie «Ambasciata di Londra», ove trovansi anche documenti originali del Foreign Office. Per una ricostruzione adeguata di quanto illustrato nel testo vedansi i seguenti documenti: Preziosi a Mussolini, 24 novembre 1925, tel.2744/850, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 42; Selby a Preziosi, 26 novembre 1925, «Rappresentanze diplomatiche», Ambasciata di Londra, busta 600. De Laboulaye a Briand, 24 novembre 1925, tel.1841, AMAE, Z-Europe: GrandeBretagne, vol.87. Cfr.ADAP, A, Band XIV, doc.259. Soprattutto tramite l’ambasciatore tedesco a Parigi. Berthelot a De Fleuriau, 25 novembre 1925, tel.1617, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.87. Berthelot (per ordine di Briand) a Londra, Bruxelles, Berlino,Varsavia, Praga e Roma, 24 novembre 1925, ibidem. Briand a Crewe, 24 novembre 1925, l.p., ibidem. De Fleuriau a Briand, 24 novembre 1925, tel.727; 25 novembre 1925, tel.730, ibidem. Nota dell’ambasciata britannica a Parigi al Quai d’ Orsay,AMAE, Série Y: Internationale, vol.27. Nota dell’ambasciatore britannico a Parigi, Lord Crewe, a Briand, 25 novembre 1925, n.878, urgente, AMAE, Série Y-Internationale, vol.27. Nota dell’Ambasciata britannica a Parigi, n.879 senza data. Ibidem. Mussolini a Della Torretta, 25 novembre 1925, tel.1492, ASMAE, «Rappresentanze diplomatiche», Ambasciata di Londra, busta 600. Preziosi a Mussolini, 24 novembre 1925, tel.2744/850. ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42. Preziosi a Mussolini, 25 novembre 1925, tel.2762/857, ibidem.
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Mussolini a Romano Avezzana, Preziosi e De’ Bosdari, 25 novembre 1925, tel.1504, ibidem. Cfr.Selby a Preziosi, 26 novembre 1925, ASMAE, «Rappresentanze diplomatiche», Ambasciata di Londra, busta 600. De Fleuriau a Laroche, l.p. del 25 novembre 1925,AMAE, Série Y: Internationale, vol.27. Non ha carattere di invito ad personam la lettera che Selby inviò a Preziosi il 26 novembre, in cui si diceva che Chamberlain aveva istruito Graham «to informe the Italian Government of the abandonment of the projected festivities and to say that it is hoped, however, that the Ministers who attend the signature on December 1st will be dine privately with the Prime Minister on December 2nd». Selby a Preziosi, 26 novembre 1925, ASMAE, «Rappresentanze diplomatiche», Ambasciata di Londra, busta 600. Si veda anche quanto scriveva De Panafieu da Varsavia: «Il Ministro d’Inghilterra ha lasciato intendere al Presidente del Consiglio [cioè a Skrzynski, da poco assurto anche a quella carica] che i trattati di Locarno potrebbero esser firmati dagli Ambasciatori e dai Ministri [plenipotenziari] a Londra. Il signor Skrzynski considera che tale suggerimento non potrebbe esser preso in considerazione e che, chiunque arrivi, egli partirà dopodomani sera per Londra. Egli è d’accordo con Beneš a tal riguardo». De Panafieu a Briand, 25 novembre 1925, tel.120, AMAE, Z-Europe: Grande-Bretagne, vol.87. Della Torretta a Mussolini, 29 novembre 1925, tel.2807/869, ASMAE, «Rappresentanze diplomatiche», Ambasciata di Londra, busta 600. Cfr. DBFP, Series I A, doc.121; DDI, Serie Settima, vol.IV, nota 2 a p.136. Sull’atteggiamento generale della stampa democratica nei confronti del fascismo, si veda P. PASTORELLI, Il principio di nazionalità, cit., p.197. Per la stampa britannica, si veda: Preziosi a Mussolini, 29 settembre 1925, tel.570 P.R./725, ASMAE, Arch.Gab., TSN, busta 41. Preziosi sosteneva che gli attacchi rivolti a Mussolini dal «Daily News» altro non erano che una risposta alla crescente tendenza dei giornali conservatori inglesi (come il «Morning Post» e l’«Evening Standard») ad evocare la necessità di una personalità forte come Mussolini per risolvere l’attuale crisi generale. Preziosi a Mussolini, 29 settembre 1925, tel.571 P.R./279, ibidem. È da ricordare che Mussolini sapeva che Chamberlain aveva deplorato vivamente gli attacchi del «Daily News» all’Italia: Mussolini a Della Torretta, 3 ottobre 1925, tel.263 P.R., ibidem. Sorprende il fatto che proprio il «Daily News» inviasse a Mussolini, il 29 settembre, il seguente telegramma: «Offeriamo all’onorevole Mussolini servigio più grande se desiderasse rispondere ai nostri articoli». Trasmettendone notizia all’ambasciatore a Londra (con tel.266 P.R. del 4 ottobre 1925), Grandi commentò: «Naturalmente non sarà risposto». ASMAE, Arch.Gab., GM, busta 5, fasc. «Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche, 1925». Quanto al filofascista «Morning Post» il suo direttore Gwym, per il tramite dell’on. Zimolo e di un certo Sovrani (da Paulucci detestato, per il suo atteggiarsi a «super-ambasciatore»), aveva fatto pervenire il 23 maggio a Mussolini richiesta di un’intervista per il suo corrispondente romano, in modo da presentare nella migliore
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luce il fascismo agli inglesi. Sulla lettera di raccomandazione dello Zimolo Mussolini appose il suo «Niente», e incaricò poi Grandi di liquidare la faccenda. Ibidem. Sulle considerazioni svolte nella stampa americana, si veda quanto De Martino scriveva circa una corrispondenza londinese sulla «Chicago Tribune», ove si diceva che Mussolini era ancora la spina nel fianco dei diplomatici, perchè nessuno sapeva ciò che egli voleva, ma tutti sapevano che suo scopo era trarre vantaggi per l’Italia dalla firma del patto di sicurezza: De Martino a Mussolini, 21 settembre 1925, tel.1621/378, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 41. Quanto alla stampa polacca, il «Kurier Poranny» del 10 settembre riportava la voce di un do ut des tra Mussolini e Stresemann: questi non avrebbe sollevato il problema dell’Anschluss e quello l’avrebbe appoggiato su disarmo, sgombero della Renania e sulla questione della revisione dei confini tedesco-polacchi: Majoni a Mussolini, 10 settembre 1925, tel.1717/604/A.1, ibidem. Della Torretta a Mussolini, 28 novembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.188; nelle carte dell’Ambasciata di Londra conservate presso l’ASMAE, (busta 600) trovasi l’originale autografo di questo telegramma. Per una rassegna documentaria su questo problema si vedano nell’ordine: Preziosi a Mussolini, 13 novembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.176 (da confrontarsi col doc.178); idem, 17 novembre 1925, doc.179 e 18 novembre 1925, doc.181 (da cui sembrerebbe che Mussolini non avesse ancora deciso se andare a Londra per firmare i patti di Locarno); idem, 25 novembre 1925, tell.2775/843 (ove si dava notizia di una lettera di protesta di Guglielmo Marconi al «Times», che quest’ultimo avrebbe pubblicato solo qualora fosse stato sicuro della presenza di Mussolini a Londra) e 2778/848, ASMAE, Arch.Gab.,TSN, busta 42.Tra l’altro, anche i rapporti tra Italia e Francia erano in quel momento abbastanza tesi, più o meno per gli stessi motivi: Romano Avezzana a Mussolini, 30 novembre 1925, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.190. Scrivendo il 16 novembre (cioè a una data in cui Mussolini effettivamente prevedeva di venire a Londra), De Fleuriau riteneva che il “duce” sarebbe rimasto a Roma a causa delle manifestazioni anti-fasciste che a Londra si preparavano. De Fleuriau a MAE, 16 novembre 1925, tel.707, AMAE, Série Y: Internationale, vol.27. Un’idea di Mussolini sarebbe stata, in virtù della posizione privilegiata conferitale nei Balcani, fare dell’Italia l’unica potenza in grado di «innestare nella situazione dei [paesi] danubiani i principi fondamentali di Locarno». Cfr. DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.222. La convinzione che la Germania fosse la vera vincitrice del negoziato sui patti di Locarno si confermò quando i rapporti italotedeschi, già all’inizio del 1926, divennero molto tesi: Mussolini a Scialoja, 12 marzo 1926, DDI, Serie Settima, vol.IV, doc.276. Va osservato che Mussolini fu molto incuriosito (tanto da ordinare che gli fosse subito procurata una copia) dall’uscita di un libro di un russo, Oscar Blum, intitolato Die Europäische Ruinen, e dato alle stampe a Berlino. In esso l’autore sosteneva che gli Stati
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vincitori della guerra erano in verità in condizioni di maggiore decadenza rispetto ai vinti. La stessa America, «l’unica profittatrice della guerra», ne stava ora pagando le spese. Solo il fascismo e il bolscevismo, per quanto tra loro diversi, si presentavano come le uniche dottrine in grado di assurgere ad un’esperienza mondiale. ASMAE, Arch.Gab., GM, busta 5, fasc. «Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche, 1925».
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CONCLUSIONI
Avevamo preso le mosse da una proposta tedesca che, mesi dopo, avrebbe portato ai patti di Locarno, che fecero del 1925 l’anno simbolo della sicurezza europea. Abbiamo visto gli sviluppi del dibattito tra le cancellerie delle maggiori potenze ed il susseguirsi di note, di pareri giuridici e politici, di prese di posizione, ufficiali ed ufficiose, sui più svariati temi della sicurezza. Se dovessimo dipingere un quadro d’insieme di ciò che fu lo “spirito di Locarno”, daremmo ragione al Solmi, il quale, fin dal 1931, aveva scritto che Stresemann perseguiva due scopi: «Attenuare il peso delle disposizioni del trattato di pace, che parevano alla Germania troppo gravi»; «cancellare o far dimenticare praticamente quella condanna morale, che la Germania giudicava ingiusta ed eccessiva» 1. Essendoci occupati, nel presente studio, della politica di Mussolini in materia di sicurezza, come possiamo valutare la sua azione? L’Italia di Mussolini fu messa al corrente dagli ex alleati dell’esistenza di una proposta tedesca sul patto di sicurezza solo alcuni giorni dopo la sua presentazione a Londra e a Parigi, e mentre la stessa Germania si accingeva a renderla nota a Roma. Se si tien conto del fatto che la proposta chiamava in causa direttamente anche l’Italia, il ritardo con cui questa ne conobbe il contenuto è sintomatico, a nostro avviso, dello stato dei rapporti nella coalizione dei vincitori. Si ricordi che Mussolini dove’ chiedere a Romano Avezzana di procurarsi copia della nota inoltrata dal governo tedesco a quello francese, ritenendola versione facente fede. Mussolini, dinanzi al mutare degli eventi ed alla marcata attenzione di Londra verso il passo tedesco, attese di avere il quadro della situazione. Ma egli chiarì fin da principio che la preoccupazione italiana era di non veder mutati i trattati di pace con la creazione di una doppia categoria di fron-
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tiere. Il passo tedesco dunque doveva riconfermare, e non alterare, l’assetto di Versailles. Tale atteggiamento è stato giudicato proprio di un opportunista legalitario, in quanto Mussolini guardava alla Società delle Nazioni e all’Inghilterra per soddisfare «talune suggestioni e velleità» e realizzare le sue mire revisioniste 2. Su una tale visione si può concordare, nella misura in cui sia possibile estenderla ad altri contemporanei di Mussolini. Come altrimenti valutare l’atteggiamento britannico sul Protocollo di Ginevra? Come definire la posizione francobritannica sulle frontiere orientali? E che nome dare, se non suggestione e velleità, all’inesausta ricerca francese di un patto di garanzia bilaterale o trilaterale, escludente la Germania? Il fatto stesso, poi, che la Società delle Nazioni dichiarasse forfait sul protocollo di Ginevra, ammettendo l’opportunità di patti regionali conclusi esternamente ad essa, non era un mourir sans élégance? E non si parlava poi, da qualche parte, di rivedere il sistema dei “mandati” per farvi partecipe la Germania, una volta entrata nella Società delle Nazioni? Non si vedeva nell’articolo 19 del Covenant il mezzo per legalizzare il revisionismo tedesco? Come non accusare, infine, la Francia di aver abbandonato al loro destino gli alleati ad oriente, e di non voler ammettere ciò? «Avec ces Français – esclama Fabrizio nella Certosa di Parma di Stendhal – il n’est pas permis de dire la vérité quand elle choque leur vanité». A Mussolini spetta naturalmente la sua parte di responsabilità, specialmente per non aver compreso che il negoziato sulla sicurezza richiedeva di rinunciare a quella politica di do ut des, che ispirò la sua azione verso la Francia. Egli si aspettava da Briand ben più di quanto non si aspettasse da Herriot: da ministro, Briand avrebbe avuto per gli interessi italiani in Tunisia ed a Tangeri la stessa considerazione dimostrata nei colloqui romani con Mussolini, alla fine del 1924. Ma ciò non fu, anche per il fatto che le più importanti questioni politiche erano appannaggio di un gruppo di funzionari del Quai d’Orsay, rimasti al loro posto all’avvento di Briand.Tale gruppo anzi, per la sua alta specializzazione in vari temi, guidò la politica del nuovo ministro degli esteri. La stagnazione dei “sospesi” italofrancesi portò Mussolini a rifiutare l’idea di un accordo sulla questione della sicurezza, a tutela dell’indipendenza
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Conclusioni
austriaca ed eventualmente della frontiera del Brennero. Fu un errore cui egli non pose rimedio, e l’ostentata vicinanza alla Gran Bretagna ne produsse un secondo. Sulla scorta di alcune minime soddisfazioni in Africa (accordi sull’Oltre Giuba, sul Gash e su Giarabub), e memore dello scambio di idee sul protocollo ginevrino, Mussolini pensò che vi fosse con Londra comunanza di vedute anche nel campo della sicurezza. Ma dimenticava che la Gran Bretagna aveva in passato assunto posizioni che egli stesso aveva criticato, in temi che avevano riflessi anche sulla sicurezza (come Colonia e i debiti interalleati; cfr. cap. II. § 1). La Gran Bretagna inoltre, durante il negoziato sul patto di garanzia, non mancò di lasciare in disparte gli italiani. In più, si è visto come le concessioni di Chamberlain all’Italia non esorbitassero dagli stessi interessi della Gran Bretagna. Nemmeno sull’Anschluss la posizione inglese fu chiara una volta per tutte; mentre Mussolini desiderava che il patto renano suonasse esplicita conferma del divieto di unione tra l’Austria e la Germania, previsto dagli articoli 80 di Versailles ed 88 di Saint-Germain. L’esposizione «disordinata» fatta dal “duce” al Senato, il 20 maggio, non deve trarre in inganno. Come ha rilevato il Di Nolfo, «questa presa di posizione di Mussolini contro l’annessione era solo in apparente contrasto con la succesiva richiesta di una garanzia del Brennero rivolta, forse più che contro l’Austria, contro i cedimenti alleati» 3. Ma proprio questo, a differenza di quanto è stato scritto 4, non poteva indurlo a liquidare, fin dai primi anni di potere, la diplomazia liberale. Fu infatti il maggior esponente di questa, Salvatore Contarini, colui che cercò di convertire Mussolini ad una visione diversa, quando si accorse che, stando fuori dal patto renano, l’Italia avrebbe rischiato l’isolamento. Contarini riuscì nell’intento solo nel settembre 1925, ottenendo di far partecipare l’Italia alla conferenza dei giuristi di Londra, ed assicurando i francesi che essa non avrebbe posto intralci o chiesto compensi per la partecipazione al negoziato ed al patto. Per la “carriera”, dunque, il pericolo di isolamento, corso dall’Italia nel campo della sicurezza europea, rendeva urgente il momentaneo accantonamento di istanze espansioniste, che pur non erano estranee alla stessa diplomazia di età liberale, e che anzi Mussolini aveva da questa ereditato.
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Le ricerche effettuate provano dunque che Mussolini aveva bisogno, non solo delle “direttive contariniane”, ma anche del consiglio di una parte consistente della “carriera” (di Sandicchi, capo dell’Ufficio Trattati e Società delle Nazioni; di Arlotta, capo della Direzione Generale Affari Politici; di Biancheri-Chiappori, capo dell’“Ufficio Austria” di quella Direzione). Certa è la presenza costante, nel campo della sicurezza come negli affari austriaci, di questo gruppo di funzionari, che aveva la sua controparte, non solo nell’ambasciata a Berlino, ma forse anche in altri uffici del Ministero degli Esteri (si pensi alla Direzione Affari Generali, retta da Lojacono). Risulta dunque palese, in questo momento, il prevalere della visione di Contarini, della “carriera classica”, ancora per poco ascoltata dal Mussolini ministro e fascista, il quale intanto si coltivava un Grandi sottosegretario, ma per il momento étrangèr aux affaires. Di fronte al pericolo dell’Anschluss ed alle sempre più frequenti manifestazioni d’isteria annessionista e pangermanista, con ordini del giorno, proclami, giornate della fratellanza germanica, cui si assisteva in Austria ed in Germania, non riusciamo inoltre a comprendere come Mussolini potesse accettare la prospettiva dell’Anschluss «o sotto forma di un accordo privato con la Germania o nel contesto di un ampio fronte revisionista nell’Europa orientale sotto il predominio dell’Italia» 5. Infatti, in entrambi casi, una volta realizzato l’Anschluss, l’Italia non avrebbe potuto competere con la Germania, dalla quale sarebbe stata scalzata nella guida del fronte revisionista d’Europa orientale. Come avrebbe potuto dunque l’Italia concludere con la Germania un accordo che la trasformava in contraente debole, con gli immaginabili effetti anche in Alto Adige? L’aspetto revisionista non è stato comunque trascurato sul piano storiografico. Si può certamente parlare di Mussolini come di un Giano bifronte, ad un tempo «firmatario di Locarno e confidente di Sir Austen Chamberlain», nonché «ideologo (...) trafficante in revisionismo» 6. Si può anche affermare che, già dal 1925, Mussolini «abbracciò ufficialmente la tesi della revisione dei trattati» 7. È possibile inoltre vedere il revisionismo mussoliniano come il mezzo per ottenere qualcosa dalla Francia e dalla Gran Bretagna, grazie anche ad un “blocco” di stati revisionisti 8.
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Tutto questo nulla toglie al fatto che Francia e Gran Bretagna si dichiaravano paladine dei trattati di pace e del sistema da essi sorto; ma poi il loro comportamento finiva per essere non meno incerto e dubbio di quello dell’Italia mussoliniana. Va quindi detto che nel 1925 Mussolini non aveva interesse ad essere revisionista più di quanto non lo fossero, servendosi dell’articolo 19 del Covenant, la Gran Bretagna e la Francia. Ma non per questo egli si sarebbe rassegnato all’Anschluss; anzi, il potere di veto dell’Italia in seno al Consiglio della Società delle Nazioni avrebbe frustrato ogni tentativo di annessione per vie legali. Questo non significa che Mussolini non aspirasse a guadagni per l’Italia, conseguibili magari in occasione dell’ingresso nel patto renano. Certamente la situazione in Africa (specialmente in Tunisia ed a Tangeri) non favoriva le aspirazioni italiane, ma nemmeno le inibiva, essendo sempre libero, magari in Etiopia, un “posto al sole”, e potendo ogni questione risolversi con la tradizionale pratica degli accordi diretti (come quelli su Giarabub, sul Gash, e sull’Oltre Giuba), o sul modello del “tripartito” del 1906. La politica mussoliniana, dunque, aveva certamente connotati espansionistici, ma che non cozzavano affatto con l’antirevisionismo che la contraddistinse nei confronti del Trattato di Versailles. Per questi motivi, sentiamo di sottoscrivere l’opinione del De Felice, quando scrive che «ai suoi esordi la politica estera di Mussolini si mosse in una prospettiva strategica facilmente individuabile e che si ricollegava alla linea Di San Giuliano-Contarini-nazionalisti moderati»; e che «in base ad essa, gli obiettivi da conseguire erano due: assicurarsi la sicurezza nella zona danubiano-balcanica e tendere all’espansione nel Mediterraneo ed in Africa» 9. L’antirevisionismo era la base necessaria del primo obiettivo; l’accordo diretto con Londra e Parigi lo era del secondo. Certamente Locarno non assicurava completa stabilità che al quadrante renano; ma consentiva a Mussolini, «dissolvendo l’alleanza di guerra anglofrancese, di allargare verso l’Inghilterra i margini della sua politica» 10. Questo però poteva dar vantaggi in alcune piccole questioni africane, non di certo nel campo della sicurezza, dove l’intesa italobritannica non pagò,
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poiché Londra ammetteva solo impegni strettamente limitati alla frontiera occidentale tedesca. Non v’erano quindi che i vantaggi di un’illusoria idillica armonia, che già il poco tempo trascorso logorava. Mussolini si illuse di poter fare a Parigi lo stesso gioco che gli era stato permesso di fare a Londra: avviare un’intesa in Europa sul presupposto di un’intesa in Africa. Ma qui il gioco si rivelò arduo, perché le questioni africane che Mussolini intendeva sollevare erano vitali per i francesi, mentre Chamberlain aveva largheggiato in concessioni limitate, ma gabellate per importanti e generose. Si spiega dunque come mai l’ipotesi di intesa italofrancese sulla sicurezza fu destinata al fallimento.Vanno però considerati altri elementi. Come ha rilevato il Lefebvre D’Ovidio, «l’impostazione francese – giustificata, in fondo, dall’atteggiamento preso da Mussolini col discorso del 20 maggio – partiva dal presupposto che la garanzia era una concessione della Francia all’Italia, essendo quello austriaco un problema in primo luogo italiano» 11. Il che non era, come Contarini spiegò a Mussolini nella sua relazione del settembre 12. Questo però non autorizzava a chiedere ai francesi qualcosa in cambio per l’attuazione della loro proposta, bensì a concentrarsi sui criteri per aggiungere al patto di garanzia i pezzi mancanti di una completa sicurezza. Su questa linea Contarini lavorò; sì che l’arrivo di Mussolini a Locarno può considerarsi principalmente come un successo suo personale, ma anche della “carriera” attiva a Palazzo Chigi. Si condivide ancora l’opinione del Lefebvre, quando sottolinea che il Patto di Locarno era un accordo revisionista 13. Dal punto di vista giuridico, si trae l’impressione che esso estendesse ai vincitori gli obblighi cui la Germania doveva sottostare, in base agli articoli 42 e 43 di Versailles. In tal senso, diventava più difficile per la Francia far scattare tout court il meccanismo di assistenza ai paesi dell’Europa orientale. Dal punto di vista politico, tutto ciò poneva fine allo stato di subordine della Germania, che nel 1925 assurgeva ad un ruolo denso di prospettive e di implicazioni in Europa. Quale ruolo per l’Italia? Quali implicazioni? A Locarno Mussolini arrivò disilluso, per una serie di motivi che abbiamo cercato di spiegare. Tuttavia giungeva nella cittadina svizzera in quel-
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l’aura di garante, forgiatagli addosso dagli alleati, per compensarlo e consolarlo del poco spazio di manovra concessogli nella delicata fase delle trattative. Firmare a Locarno era d’uopo, se Mussolini non voleva abbreviare l’incantesimo e se teneva all’amicizia personale di Chamberlain. E firmò. Ma se la Germania avesse in futuro mancato ai suoi obblighi, senza che Francia e Gran Bretagna intervenissero, allora egli avrebbe riconsiderato la sua posizione, distanziandosi da un sistema che non aveva contribuito a creare, e tutelando da sé gli interessi immediati dell’Italia. Il che avrebbe potuto sortire non pochi effetti sull’intero equilibrio europeo.
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A. SOLMI, Italia e Francia, cit., p.43. Così R. MOSCATI, Gli esordi della politica estera fascista. Il periodo Contarini-Corfù, in AA.VV., La politica estera italiana, cit., p.89. E. DI NOLFO, Mussolini e la politica estera italiana, cit., p.134. H. STUART-HUGHES, The early Diplomacy of Italian Fascism: 1922-1932, in G. A. GRAIG - F. GILBERT (Eds.), The Diplomats 1919-1939, Princeton: Princeton University Press, 1953, spec. pp.219-220. L’ipotesi è stata avanzata da J. BURGWYN, Il revisionismo fascista: la sfida di Mussolini alle grandi potenze nei Balcani e sul Danubio, 1925-1933, Milano: Feltrinelli, 1979, p.57. Così A. CASSELS, Mussolini’s early Diplomacy, cit., spec. le pp.391-397. La tesi è di C. SETON-WATSON, L’Italia dal Liberalismo al Fascismo, 1870-1925, Bari: Laterza, 1967. Si ha qui presente l’edizione tascabile del 1976, in 2 volumi: vol.II, pp.770 ss. J. PETERSEN, Hitler e Mussolini: la difficile alleanza, Bari: Laterza, 1975 (ma 1973), p.7. R. DE FELICE, Mussolini il Duce, II, cit., p.347. G. CAROCCI, La politica estera dell’Italia fascista, cit., p.47. F. LEFEBVRE D’OVIDIO, L’Intesa italofrancese, cit., p.94. Ibidem, pp.96-97. Ibidem, p.99.
FONTI
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B. KENT, The Spoils of War: the Politics, Economics and Diplomacy of Reparations, 1918-1932, Oxford 1989. M. MANDELBAUM, The Fate of nations.The search for national security in the nineteenth and twentieth centuries, Cambridge 1989. D. RICHARDSON, The evolution of British disarmament policy in the 1920s, London-New York 1989. G. UGO, Il confine italo-francese. Storia di una frontiera, Milano 1989. E. H. CARR, International Relations between the two World Wars, 1919-1939, Basingstoke-London 1990. M. KITCHEN, Europe between the wars.A political history, London-New York 1990. A. ORDE, British Policy and European reconstruction after the first world war, Cambridge 1990. V. PERNA, Storia della Polonia tra le due guerre, Milano 1990. N. JORDAN, The popular front and Central Europe. The dilemmas of French impotence, 1918-1940, Cambridge 1992. E. DI NOLFO, Storia delle relazioni internazionali 1918-1992, Bari-Roma 1994. H. KISSINGER, Diplomacy, London-Sydney-New York-Tokyo-SingaporeToronto 1994. F. SCARANO, Mussolini e la Repubblica di Weimar. Le relazioni diplomatiche tra Italia e Germania dal 1927 al 1933, Napoli 1996.
298
INDICE DELLE ABBREVIAZIONI
AA ACS ADAP AMAE Arch.Gab. ASMAE AUSSME DBFP DDB DDI doc. fasc. FRUS GM MAE s.d. sf. s.i.p. SG UCS vol.
Auswärtiges Amt Archivio Centrale dello Stato, Roma Akten zur Deutschen Auswärtigen Politik Archives Diplomatiques du Ministère des Affaires Étrangères, Paris Archivio di Gabinetto Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, Roma Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, Roma Documents on British Foreign Policy Documents Diplomatiques Belges I Documenti Diplomatici Italiani Documento Fascicolo Foreign Relations of the United States Serie: Gabinetto del Ministro Ministero degli Affari Esteri Senza data Sottofascicolo Stampato in proprio Serie: Segretariato Generale Serie: Ufficio di Coordinamento e Segreteria Volume
SOMMARIO
5
P REMESSA .
11
I NTRODUZIONE . 1. Osservazioni introduttive. – 2. La letteratura su Locarno: brevi cenni. – 3. Fonti del presente lavoro.
21
C APITOLO I. L A NOTA TEDESCA DEL 20 GENNAIO 1925. L E REAZIONI IN G RAN B RETAGNA ED IN F RANCIA . 1. Cenni sulle origini diplomatiche della nota tedesca. – 2. La nota tedesca: contenuto e caratteristiche. Una possibile spiegazione del suo significato politico. – 3. Le reazioni della Gran Bretagna. – 4. Le reazioni della Francia.
59
C APITOLO II. L’I TALIA E LA NOTA TEDESCA . 1. La posizione dell’Italia alla vigilia della presentazione della nota. – 2. Le valutazioni italiane sulla nota tedesca.
85
C APITOLO III. L’I TALIA E IL PROBLEMA DELLA SICUREZZA . 1. L’indipendenza austriaca ed il principio di non revisione dei trattati nella politica italiana. – 2. Il discorso di Mussolini al Senato del 20 maggio 1925. – 3. La risposta della Francia alla nota tedesca. – 4. La difficile intesa tra Londra e Parigi. – 5. La situazione austriaca nell’estate del 1925 e le ripercussioni in Italia. – 6. Osservazioni conclusive.
153
C APITOLO IV. P REPARANDO L OCARNO : DAGLI SCAMBI DIPLOMATICI ALLA C ONFERENZA DEI G IURISTI . 1. Le nuove osservazioni tedesche del 20 luglio ed i problemi correlati. – 2.Verso la conferenza sul patto di sicurezza: gli incontri anglofrancesi di Londra e l’evoluzione graduale della posizione italiana. – 3. L’Italia e la conferenza dei giuristi di Londra. – 4. I lavori dei giuristi e la redazione del testo del patto renano. – 5. Osservazioni conclusive.
197
C APITOLO V. L’I TALIA ALLA C ONFERENZA DI L OCARNO. 1. Problemi irrisolti della sicurezza europea. – 2. Un colpo di scena. – 3. L’Italia alla Conferenza di Locarno. – 4. Mussolini a Locarno. – 5. La parafatura dei patti di Locarno. – 6. I patti di assistenza tra la Francia, la Cecoslovacchia e la Polonia. – 7. Una “appendice” a Locarno: la risposta di Mussolini alla proposta di collaborazione tripartita nei Balcani. – 8. Osservazioni conclusive.
249
C APITOLO VI. DALLA C ONFERENZA ALLA FIRMA DEI PATTI DI L OCARNO. 1. I nuovi patti e le reazioni nei paesi firmatari. – 2. La firma a Londra dei Patti di Locarno. – 3. Osservazioni conclusive.
273
C ONCLUSIONI .
281
F ONTI .
299
I NDICE
DELLE ABBREVIAZIONI .
Finito di stampare nel mese di giugno 1996 dalle Grafiche Sales di Sales Antonio Via Michele Zannotti, 207 San Severo (Foggia)
Fotocomposizione: Layout Studio - Roma