STATO MAGGIORE DELL'ESERCITO UFFICIO STORICO
ROMAIN H. RAINERO
MUSSOLINI E PÉTAIN STORIA DEI RAPPORTI TRA L'ITALIA E LA FRANCIA DI VICHY (10 giugno 1940 - 8 settembre 1943)
TOMO I Narrazione
ROMA - 1990
PROPRIETÀ LETTERARIA Tutti i diritti riservati Vietata anche la riproduzione parziale senza autorizzazione © Ufficio Storico SME - Roma 1990
Marzorati Editore S,r.l. - Via Pordoi, 8 - 20019 Settimo Milanese
INDICE GENERALE
Presentazione
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Parte prima: IL TEMPO DELLE ILLUSIONI 1. Speranze e propositi della vigilia: i molti testi armi-
2. 3. 4. 5. 6. 7.
8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15.
stiziali e le loro filosofie ........................................ . La «drole de guerre» dell'Italia .............................. . L'incontro di Monaco e la svolta di Mussolini ...... . I negoziati di Villa Incisa ....................................... . Nascita della Commissione Italiana di Armistizio con la Francia ......................................................... . L'armistizio di Rethondes e quello di Villa Incisa .. Le discussioni circa le conseguenze sulla Francia dello stato armistiziale ........................................... . Gli accordi italo-tedeschi di Wiesbaden ................ . La prima organizzazione della CIAF ..................... . L'episodio di Mers el-Kebir e le sue ripercussioni . La prima crisi del Levante francese ....................... . Difficoltà a Gibuti .................................................. . Il problema militare ............................................... . Glì italiani di Francia e di Tunisia ......................... . Tensioni ed attriti a Torino
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Parte seconda: IL TEMPO DEL DIALOGO l. L'iniziati va tedesca per una «politica francese)) 2. Le crescenti difficoltà del regime armistiziale ....... . 3. I protocolli di Parigi ed i loro riflessi sull'attività della CJAF ............................................................. . 4. L'occupazione britannica della Siria ...................... . 5. Crisi nei rapporti economici .................................. . 6. Nuovo ordine mondiale e rivendicazionismo italiano ....................................................................... . 7. Il punto di vista di Mussolini ................................. . 8. Dialogo o non dialogo? Gli incontri di Gardone ... . 9. La nuova struttura della CIAF ............................... . 10. Prime avvisaglie della questione razziale: gli ebrei italiani di Tunisia .................................................... 11. Le difficoltà del dialogo: la questione Weygand ... .
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12. Gli accordi economici di Roma e gli incontri di Wìesbaden ............................................................... Pag. 313 13. Una svolta nel dialogo con l'Italia: gli accordi di Torino del Natale 1941 ........................................... » 329 Parte terza: IL TEMPO DELLA CRISI 1.
2. 3. 4. 5. 6.
L'altalena dei negoziati: impegno e neutralità di Vichy ....................................................................... . La CIAF tra riorganizzazione e polemiche ............ .. Verso la crisi: il Convegno di Friedrichshafen ...... .. L'occupazione italiana della Provenza. Verso una liquidazione della CIAF? ................................... ...... .. La questione ebraica e l'occupazione italiana ........ .. La fine della «vittoria» ........................... ................ .
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Appendice: I PROTAGONISTI DELLA CIAF E DELLA DELEGAZIONE FRANCESE A TORINO
Pietro Pintor ................................................................... . Carnillo Grossi ............................................................... . Arturo Vacca Maggiolini .......................................... ..... . Emile André Henri Duplat ............................................ .. Henri Parisot .................................................................. .
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APPENDICE FOTOGRAFICA I) La firma dell'armistizio 1. L'arrivo a Roma della delegazione francese (su aereo germanico) 2. Lo sbarco dell'amb. L. Noel seguito dall'amrn. Darlan 3. A Villa Incisa, il mar. Badoglio legge il testo del trattato alla delegazione francese (alla sua sinistra il ministro Ciano, di fronte l'amm. Darlan) 4. A Villa Incisa: seduta di lavoro 5. La partenza da Roma della delegazione francese (su aereo francese) 6. L'imbarco dell'amb. Noel e del gen. Parisot Il) Le attività della CIAF 7. Sopralluogo del gen. Vacca Maggiolini nel territorio occupato di Monginevro (colla Marchesa Saporiti, moglie del Commissario civile) 8. La smilitarizzazione della linea difensiva del Mareth 9. La smilitarizzazione della linea del Mareth: postazione anticarro e ostacolo anticarro in via di demolizione
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Indice generale
10 e 11. Recupero di un pezzo francese da 138 M dalla batteria costiera di El Harmora, al confine libico-tunisino 12. Il monumento funebre al primo presidente della CIAF 13. L'orazione funebre in memoria di Pietro Pintor 14. Il presidente deJla CIAF ed il presidente della CTA al convegno di Gardone Riviera del 12 settembre 1941 15. L'incontro di Torino del Natale 1941: l'arrivo del mio. Ciano e del mio. Lavai 16. L'incontro di Torino del Natale 1941: la presentazione al min. Ciano della Delegazione francese (dietro Ciano il geo. Vacca Maggiolini) 17. Il presidente della CIAF ed il presidente della CTA al convegno di Monaco del 2 settembre 1942 18. Visita delle due presidenze della ClAF e della CTA nel Nord Africa: l'incontro del gen. Vacca Maggiolini con l'amm. Darlan ad Algeri (25 ottobre 1942) 19. id. La visita a Costantina al monumento ai Caduti 20. id. La visita a Biserta (2 novembre 1942) Tra le pag. 256e 257
\ 1. 2. 3. 4.
CARTE E GRAFICI I collegamenti per i plenipotenziari francesi a Villa Incisa (24 giugno 1940) La sistemazione geografica della frontiera alpina secondo l'armistizio (24 giugno 1940) Manifesto rivendicativo dopo la «vittoria» (luglio 1940) L'esercito dell'armistizio della Francia di Vichy (novembre 1940) Grafico della ripartizione effettivi delle forze annate d'armistizio nella Francia metropolitana
5. 6. 7. 8.
L'organizzazione della ClAF (15 febbraio 1941) Collocazione dei campi TTIC nel sud est della Francia (10 aprile 1941) L'organizzazione della ClAF (10 aprile 1942) Verso la nascita di una nuova Contea di Nizza secondo il progetto del gen. Ezio Garibaldi (giugno 1942) 9. Situazione delle truppe italiane di occupazione in Francia (2 dicembre 1942) 10. Situazione della Marina militare francese (15 dicembre 1942) 11. Situazione della Marina militare francese nel porto di Tolone (15 dicembre 1942)
Fuori testo nella busta inserita in terza di copertina
Questo libro non sarebbe stato scritto senza il sostegno, i consigli e la collaborazione di una notevole schiera di amici che qui voglio ringraziare. Innanzitutto l'amico e collega senatore Giovanni Spadolini, già ministro della Difesa; - il prof. Jean Baptiste Duroselle, direttore dell'IHRIC di Parigi, già presidente del Comitato italo-francese di storia; - il prof. Enrico Serra, direttore del Servizio documentazione del Ministero degli Affari Esteri, già presidente del Comitato italo-francese di storia; -
il gen. Delmas, già direttore dello SHAT del Castello di Vìncennes;
-
l'amm. Chatelle, già direttore dello SHAM del Castello di Vincennes;
- il gen. Pier Luigi Bertinaria, già capo dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore - Esercito, Roma; - la signora Maria Clara Vacca Maggiolini di Roma - Mombercelli d'Asti; -
il signor J. Sarraz Boumet di Grenoble;
- il prof. Pierre Milza, direttore del Centre d 'Histoire de l'Europe du Vingtième Siècle di Parigi-Fondation Nationale des Sciences Politiques; -
il dott. Luc Nemeth;
- il prof. Jean Louis Miège, già direttore dell'IHPOM dell'Università di Aix en Provence; - il prof. Georges Dethan, già responsabile dell'Archivio del Quai d'Orsay di Parigi; - il prof. François Bédarida, direttore dell 'Institut du Temps présent di Parigi; - il col. Gian Carlo Gay, Capo dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore - Esercito, Roma; -
e molti altri studiosi ed amici ai quali va la mia gratitudine.
Infine non posso esimermi dal ricordare con commossa riconoscenza due studiosi di recente scomparsi, il prof. Henri Miche!, presidente della Comrnission d'histoire de la deuxième guerre mondiale, di Parigi e l'Amb. Léon Noel, l'ultimo superstite tra i firmatari dell'Armistizio di Vìlla Incisa che mi ricevette varie volte nella sua residenza di Parigi, e mi aiutò non poco a meglio capire ciò che i documenti spesso tacevano.
PRESENTAZIONE
Con la presente opera in due tomi (il secondo è in corso di pubblicazione) del professore Romain H. Rainero, specialista del conflitto 1939-1945 e dei suoi aspetti diplomatico militari, già membro della Commissione interministeriale d'indagine sui fatti di Leopoli ed insigne docente accademico di storia contemporanea presso l'Università di Milano, l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore del/' Esercito prosegue La sua opera di documentazione sulla seconda guerra mondiale, già al centro di molti volumi, sui vari fronti bellici e sui Loro diversificati aspetti, che sono stati pubblicati dal 1946 ad oggi. La presente opera esula, sotto certi aspetti, dal quadro delle narrazioni finora pubblicate, quantunque l'asserto sia più d'apparenza che non reale. Si tratta infatti di una ricerca che abbraccia iealtà politiche storiche militari ed economiche che fanno capo ai rapporti - unici nel loro genere- tra l'Italia «vittoriosa» e la Francia di Vichy dopo l'armistizio di Villa Incisa: rapporti che furono gestiti direttamente, ed in via esclusiva, dalla Commissione Italiana di Armistizio con la Francia (CIAF). La vicenda che qui viene esaminata, quindi, diventa storia più globale che militare - a ulteriore e maggiormente corretta sanzione che la storia militare, non più limitatamente intesa quale semplice «histoire bataille», è parte integrante della storia generale - , nonostante l'apporto determinante dell'ingente materiale documentario inedito conservato presso l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore del/' Esercito che fa di quest'opera una sintesi metodologicamente fondata anche sugli archivi militari francesi dove sono custodite le fonti della Delegazione francese di Torino, sede della CIAF, che fungeva da unico interlocutore con Le autorità italiane. Il materiale documentario consultato e le novità che quest'analisi comporta sono elementi di sicuro interesse per questa nuova vitalità di ricerca compiuta sotto l'egida dello Stato Maggiore del/' Esercito e che da anni si va compiendo con il contributo dei maggiori e più preparati storici. IL CAPO DELL'UFFICIO STORICO
PARTE PRIMA
IL TEMPO DELLE ILLUSIONI
1.
Speranze e propositi della vigilia: i molti testi armistiziali e le loro filosofie
Dopo quasi cinquant'armi di «rivelazioni» e di ricerche storiche l'intera vicenda dell'entrata in guerra dell'Italia nel secondo conflitto mondiale può ritenersi abbastanza chiarita allorquando si parli di situazioni interne italiane, di rapporti diplomatici, sia con l'alleato tedesco, sia con le altre capitali importanti, sia infine che si parli di operazioni militari vere e proprie. Della storia del fatidico 10 giugno 1940 abbiamo oramai un'immagine abbastanza larga e fedele nelle sue variegate manifestazioni e nelle sue inevitabili contraddizioni: ciò che manca in questo quadro cosi ricco di spunti e di vicissitudini è ciò che «dopo» l'entrata in guerra dell'Italia è avvenuto tra i massimi contendenti della guerra delle Alpi, la Francia e l'Italia, quasi fosse dimenticata l'esistenza di una storia che, lungo piu di tre anni, ha caratterizzato i rapporti bilaterali con alcune specificità, quali il sorgere da un'Italia vittoriosa di fronte alla Francia di Vichy, l'anomala situazione di un rapporto armistiziale che presentava crescenti lacune di efficacia ed infine una alternanza di autoritarismo fascista e di ricerca del dialogo con la Francia vinta, di vendetta rivendicazionista e di aperture distensive, il tutto attraverso un organo specifico, la Commissione Italiana di Armistizio con la Francia, ed una «capitale» nuova per questi rapporti, Torino, che torna a svolgere in questo periodo un ruolo di capitale vera e propria, delegata com'era la Commissione a sovraintendere all'insieme delle relazioni con la Francia di Vichy, tenendo essa con' le autorità romane un rapporto solo tramite il filo diretto del suo presidente con lo stesso Mussolini in persona. Le cause di questo silenzio storiografico sono abbastanza oscure, ma possono essere fatte risalire a due situazioni diverse ma convergenti nei loro risultati. Da una parte per l'intera storiografia italiana si è trattato finora di precisare vicende, illustrare situazioni interne, intemazio-
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nali e militari legate a ciò che sarà la maggiore vicenda bellica del1'Italia nella seconda guerra mondiale, e cioè non il conflitto che durò non piu di quindici giorni, bensf i fronti di guerra, della guerra lunga che portarono alla crisi del luglio e del settembre 1943. È quindi una scelta di durata e di importanza che sembra essere alla base di una disattenzione che, salvo rari casi, affligge un po' tutte le storie italiane, che si presenta ancora oggi quale la deprecava, oltre vent'anni or sono, lo studioso Mario Toscano: «La conclusione degli armistizi francesi del giugno 1940 (con l'Italia) se presentano pur sempre per i lettori in genere un argomento particolarmente sentito, costituiscono per gli studiosi un problema non ancora interarrierite risolto e ciò nonostante le lunghe discussioni e le polemiche vivacissime cui tali vicende hanno dato luogo, sia sul piano politico che in sede di critica storica» Ol. L'altro elemento, diverso ma convergente nei suoi effetti, risiede nella storiografia francese che, se ha affrontato con dovizia di opere, testimonianze e studi il delicato periodo armistiziale, lo ha sempre visto quale problema connesso e condizionato dal solo interlocutore maggioritario, cioè la Germania. La maggior parte delle storie pubblicate appaiono dominate da questo elemento, che naturalmente rappresenta storicamente l'elemento decisivo per la vita dello Stato francese di Vichy ma che pare essere diventato ossessivo ed unico punto di riferimento delle problematiche francesi del periodo. Le citazioni riguardo all'aspetto italiano del periodo armistiziale francese sono rare e di modesta importanza: l'unica vera citazione risale all'insigne studioso francese delle relazioni internazionali Jean Baptiste Duroselle, che ha affrontato per primo, studioso solitario, il problema a partire da una ricerca d'archivio che ha dato luogo ad una breve ma succosa relazione (2). Si tratta tuttavia di una eccezione; la maggior parte degli studi sono dedicati ali' occupante gennanico ed alla politica di Vichy verso la Germania. Non manca neppure chi, come Michel Launay (3l, che, pur occupandosi del problema, «dimentichi» sistematicamente l'esistenza stessa di un (I) M. TOSCANO, Prefazione a F. AVANTAGGIATO PuPPO, Gli armistizi francesi del 1940, Milano, Giuffrè, 1963, p. I. In questa opera l'armistizio con l'Italia occupa solo una parte modesta della trattazione e cioè dalla p. 253 alla p. 274, essendo preceduta dall'esame della crisi francese e dalle vicende connesse all'annistiz.io con la Germania. (2) J. B. DUROSELLE, Le gouvernement de Vichy face à l'Jtalie, nell'opera collettiva Italia e Francia 1939-1945, a cura di J. B. DuROSELLE e E. SERRA, Comitato italo-francese di studi storici, Milano, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, 1984, pp. 83-96; si veda anche nello stesso volume G. DETHAN, France-Italie pendant !es années noires (1940-1942), pp. 79-83. (3) M. LAUNAY, L'armistice de 1940, Parigi, P.U.F., Dossiers C/io, 1972; curiosamente l'Italia non figura nella cronologia degli eventi che portarono alla resa francese (neppure la dichiarazione di guerra!), né figura l'armistizio con l'Italia. Pur trattandosi di un dossier di sole 95 pagine tali assenze appaiono inspiegabili.
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rapporto armistiziale tra Vichy e l'Italia fascista o lo ponga in una cornice del tutto accessoria all'intera vicenda che si snoda normalmente sulla preponderanza evidente di una occupazione, quella tedesca, che era di gran lunga la piu importante e che aveva ovviamente determinato la richiesta di armistizio da parte della Francia, ciò che non si verificava per il caso dell'Italia che, da una parte non aveva ottenuto vittorie sul fronte delle Alpi e dall'altra, conseguenza della prima situazione, non aveva occupato che parti estremamente modeste del territorio francese con una sola città vera e propria conquistata, cioè Mentone. Ma il sottofondo psicologico della maggior parte delle posizioni francesi al riguardo evoca una doppia considerazione: da una parte, ci si fa forte del fatto che le truppe francesi non sono mai state sconfitte da quelle italiane e quindi solo per un gioco perverso delle alleanze ci si è ridotti a dover chiedere l'armistizio anche all'Italia; e da un'altra parte, si ritiene che il vero motore della guerra e delle decisioni politiche a tutti i livelli e quindi anche al livello della politica francese dell'Asse sia unicamente la Germania, con Hitler unico «vero decisore». Presso parecchi studiosi francesi, come allora presso il governo di Vichy, si privilegia il rapporto con la Germania facendo passare quello con l'Italia fascista in secondo ordine, quasi subalterno alla Germania, giungendo persino ad ignorare quasi del tutto la stessa esistenza della speciale Commfasione italiana di armistizio con la Francia e la sua sede di Torino. Risentimento certo ma anche considerazioni concrete fecero passare al primo piano delle preoccupazioni di Vichy e quindi degli storici francesi il rapporto con il governo di Berlino. L'evidente disparità d'interesse al dialogo tra Berlino e Roma si fondava anche sul fatto che la Germania occupava quasi 3/4 del territorio nazionale della Francia metropolitana e che le vicende belliche avevano posto nelle mani dei dirigenti tedeschi oltre un milione e mezzo di francesi prigionieri di guerra; l'insieme di queste considerazioni erano ulteriormente rafforzate dalle elevate spese di occupazione imposte dal comando tedesco al governo di Vichy (20 milioni di marchi al giorno) e dai prelievi ingenti operati dalle autorità militari tedesche di occupazione nei piu vari campi dell'economia della Francia occupata oppure «libera». E quindi, pur essendo stata creata sulla base delle richieste tedesche del 5 luglio 1940 una Delegazione generale a Parigi (presieduta dall'amb. Léon Noel da parte francese e da parte tedesca da Otto Abetz) con due Delegazioni di armistizio con la Germania con sede a Wiesbaden e con l'Italia con sede a Torino, fu soprattutto verso la prima, quella franco-tedesca di Wiesbaden, che si rivolsero le attenzioni delle autorità di Vichy.
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Sottilmente si andava inoltre affermando che la stessa importanza delle «occupazioni militari italiane» conseguenti all'offensiva italiana sulle Alpi del 18 giugno dava al rapporto con la Germania un carattere di importanza primaria che era stata confermata dalla creazione di una seconda commissione franco-tedesca, quella per le quéstioni economiche presieduta da Hans Richard Hemmen, che agiva direttamente su istruzioni del mar. Goring mentre la prima dipendeva dal ministro degli Esteri von Ribbentrop. Il rapporto privilegiato della Francia verso il governo di Berlino parve essere confermato dalle prime attenzioni della Francia di Vichy nei riguardi di un auspicato dialogo con «il» vincitore e dai primi colloqui avuti da Otto Abetz con Pierre Lavai, che si ritennero «promettente inizio di una ·manovra destinata a grandi risultati» C4l. Il «dramma» dell'Italia e della Commissione di armistizio francoitaliana di Torino stava proprio in questo primato tedesco che quasi ogni giorno segnava i rapporti tra «i» vincitori e la Francia di Vichy. Molto piu spesso dell'alleato il governo fascista evocava l'Asse quale base irrinunciabile della politica dei suoi membri verso gli Stati vinti e soprattutto verso la Francia. Pertanto la puntigliosa lotta degli uomini di Vichy nei confronti delle pretese tedesche e delle «generosità» del governo di Berlino suscitò sempre caute reazioni a Roma, reazioni quasi sempre improntate ad una incerta politica dell 'alleato che già aveva segnato il fondo dell'armistizio di Villa Incisa, con rinunzie «spontanee» di Mussolini alle rivendicate annessioni o occupazioni quasi replica di quanto la Germania fece nell'analogo armistizio di Réthondes. L'insieme delle problematiche di questo strano rapporto a tre o a due non ha finora quasi mai interessato gli storici, che ne hanno fatto giustizia sommaria preferendo ad essa o la «politique franco-allemande» di Abetz o la politica dell' état français verso la Germania. Nel caso italiano tutto apparve a lungo immobile, e quasi ruotare attorno alla Convenzione di armistizio come se non vi fossero state problematiche ed evoluzioni di questo rapporto, che sarebbe errato definire solo minore nel quadro della politica di Vichy. In realtà il documento armistiziale di Villa Incisa, che agli occhi di Pierre Queille è apparso come «decisivo» ai fini della sistemazione della prima fase della guerra germanica, ci appare tale per una serie di ragioni che fanno delle reticenze degli storici e degli osservatori francesi un motivo piu apparente che reale allorquando ci si sposti
(4) Y. BOUllilWE.R, Le drame de Vichy. Face à l"ennemi, /ace à l'allié, Parigi, Plon, 1950, vol. 1, p. 171.
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dagli elementi piu appariscenti a quelli piu sottili della vicenda vera es>. Innanzitutto il fatto- che la Francia non si sentisse vinta dall'Italia fascista non può avere molta importanza poiché, collegata com'era l'entrata in vigore del! 'armistizio franco-tedesco con la fuma dell'armistizio italo-francese, la posizione dell'Italia rivestiva una importanza indubbia anche se distaccata dalla vicissitudine bellica: anzi tale innegabile situazione della vicenda bellica, proprio perché l'Italia ufficiale se ne rendeva perfettamente conto e quindi sentiva di dover regolare la propria azione anche tenendo conto di questo elemento il quale, unito all'altro che risiedeva nella diversa «politica francese» di Berlino e di Roma, offri va alla politica di Vichy verso l'Asse prospettive dinamiche assai utili ai fini nazionali francesi. Significative a queste riguardo le parole con le quali una relazione ufficiale e segreta di fonte militare italiana sull'origine del trattato di armistizio evoca il breve periodo delle operazioni: « ... Battuta l'Olanda, piegato il Belgio, disperso l'esercito inglese, avvolta da nord e poi sfondata la linea Maginot, le armate tedesche dilagarono per la Francia e in un tempo incredibilmente breve, l'esercito tedesco... annientò completamente l'esercito francese. Fatti prigionieri un milione e ottocentomila combattenti nemici, catturate enormi quantità di materiale bellico, occupate le migliori città della Francia, compresa Parigi, i tedeschi trovarono sorpassata ogni piu ottimistica previsione da essi formulata circa l'esito e la durata del conflitto ... ». In un simile quadro cronologico, ecco l'intervento dell'Italia: « ... Contemporaneamente entrava in conflitto mondiale anche l'Italia ... tranquilla a nord, per l'alleanza con il Reich ed in parte ad oriente per l'occupazione dell'Albania... con la Francia debellata ad occidente, l'Italia ... poteva pensare che la guerra non dovesse mài avere una lunga durata ... » <6>. In una relazione ufficiale destinata alla presidenza della Commissione italiana di armistizio con la Francia un simile discorso che va letto al di là delle affermazioni di rito <?>, non può non volere dire che anche a quel livello ed a quell'epoca la questione della «sconfitta della Francia da parte dell'Italia» era oggetto· di talune cautele. Le stesse che molti anni dopo concluderanno le pagine sugli aspetti militari
(5) Emblematica la posizione del pur attento A. KAMMERER che nella sua opera LA vérité sur l'armistice, giunge nella seconda edizione, tra altri errori sempre relativi all'Italia, a fare di Milano la sede della CIAF (e non Torino). Parigi, Médicis, 1945, p. 350. (6) Per la storia de/l'armistizio, relazione inedita e segreta della Presidenza della CIAF, con postille del geo. Arturo Vacca Maggiolini, presidente della CIAF in data 25 giugno 1943, in USSME CIAF, Racc. N. 6, pp. 7 e 8. (7) Tra queste «celebrazioni» la seguente: «Generali di fama mondiale, quali i Marescialli Badoglio e Graziani, erano a capo dell'esercito, e il loro nome rappresentava un'assoluta garanzia di serietà e di preparazione... » (lbid., p. 9).
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del conflitto italo-francese scritte da Vincenzo Gallinari il quale non mancherà di ricordare: «La dilettantesca, ma diffusa, aspettativa di successi rapidi e clamorosi venne delusa dagli avvenimenti bellici sulle Alpi occidentali e non poteva accadere altrimenti. La realtà della guerra fu, come sempre, dura e impietosa con coloro che l'affrontavano senza essere forti a sufficienza e senza avere le idee ben chiare ... » <&>. Ed un prestigioso studioso della seconda guerra mondiale Henri Michel, non avrà alcuna esitazione nel ribadire che «fu dalla Wehrmacht soltanto che l'esercito francese fu sconfitto; sulle Alpi o in Tunisia, gli italiani non hanno riportato alcun successo notevole. Di conseguenza i francesi rifiutano di vedere negli italiani i loro vincitori. .. Sulle Alpi malgrado il supporto delle forze a loro vantaggio, gli italiani non poterono ottenere successi se non in minime località. Sul fronte tunisino gli scontri furono modesti ma in favore dei francesi ... » (9) . Ma al di là di queste posizioni ed affermazioni rimane il fatto che la guerra dichiarata dal Duce il 10 giugno 1940 appare piu il coronamento necessario di una politica di ostilità iniziatasi soprattutto dopo il discorso di Ciano del 30 novembre 1938 sulle rivendicazioni territoriali, che, solamente, un'occasione insperata di rivalersi sulla Francia, e magari sull'Inghilterra, con una guerra rapida e quindi a buon mercato. L'insieme della politica estera mussoliniana dal trentotto in poi non lasciava certo dubbi circa le reali intenzioni dell'Italia verso la Francia ed in questo quadro i progetti di espansionismi non solo coloniali ma anche metropoHtani a danno di Parigi sono interessanti poiché sembrano indicare con le loro «mete» i termini stessi che, a crisi europea iniziata, appaiono determinanti, sia per soddisfare le rivendicazioni italiane dopo la vittoria «inevitabile», sia in un quadro politico piu vasto e forse piu valido per realizzare quel Nuovo Ordine Mondiale che Berlino e Roma, presto raggiunte da Tokyo, enunceranno nei loro War Aims. Il nostro maggior interesse a questo riguardo sta proprio nell'esame di questi piani espansionistici che furono sf annunciati alla Camera da Ciano il 30 novembre 1938, ma nella loro specificità non lo furono pubblicamente mai. Solo a guerra iniziata, e dopo le prime vittorie dell'alleato tedesco, il regime fascista si preoccupò nelle sue varie istanze di meglio definire ciò che l'inevitabile intervento a fianco del vincitore avrebbe potuto portare alle speranze italiane.
(8) V. GALLINAR!, Le operazioni del giugno 1940 sulle Alpi occidenrali, Roma, Ufficio Storico Stato Maggiore dell'Esercito. 1981, p. 2(Y7. (9) H. MlcHEL, Les relations franco-ita/iennes de l'armistice de juin 1940 à l'armistice de septembre 1943, io La guerre en Méditerranée 1939-1945, Actes du colloque lntemational tenu à Paris du 8 au 11 avril 1969, Parigi, CNRS 1971 , p. 485.
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Le vicende dei rapporti tra Hitler e Mussolini a proposito dell'entrata in guerra dell'Italia quanto ai tempi ed ai modi sono oggi sufficientemente note dopo gli studi di Gian Luca André, di Renzo De Felice e di altri; ciò che a noi sembra importante ricordare è che la posizione dell'Italia appare da queste ricerche sempre piu condizionata dall'elemento tempo e dall'elemento compensi da ottenere. Lo stesso Promemoria segretissimo del Duce in data 31 marzo 1940 ci appare di grande interesse, in quanto neppure in quel documento l'analisi della questione militare sembra risolversi nettamente a favore della Germania secondo le previsioni del Duce. Pur dopo aver sottolineato l'elemento di crisi nello schieramento franco-inglese, Mussolini chiarisce di dover escludere una offensiva germanica «contro la Maginot o contro Belgio e Olanda per arrivare alla Manica». E ciò in base a due considerazioni: «a) perché la Germania ha già raggiunto i suoi obiettivi di guerra e può quindi attendere l'attacco avversario; b) perché è troppo rischioso giocare il tutto su una carta, poiché se l'offensiva fallisse del tutto o si concludesse con un insuccesso e ci fossero perdite rilevanti, una crisi interna nella Germania sarebbe inevitabile, dato che anche il morale del popolo tedesco è complessivamente mediocre e in taluni grandi centri come Berlino e Monaco meno che mediocre. È quindi probabile che fra la guerra di attacco e quella di resistenza, la Germania sceglierà l'ultima e cioè: 1) metterà tutto in opera per resistere al blocco; 2) assumerà l'iniziativa di operazioni marittime o aree sempre piu vaste di contro blocco. L'offensiva terrestre avr~ luogo nell'eventualità di una certezza matematica di schiacciante vittoria o come carta della disperazione se il blocco a un certo momento non consente altra via di uscita» <10l. Secondo noi quella del 31 marzo sembra essere una posizione estremamente importante ai fini dell'entrata in guerra dell'Italia a fianco della Germania in una «certa» fase in cui questo intervento avrebbe avuto tutte le opportunità di essere, «compatibilmente con l'onore e la dignità», un elemento determinante, ed in secondo luogo di essere un impegno di breve durata «perché l'Italia non può fare una guerra lunga, non può cioè spendere centinaia di miliardi come sono co(10) 11 Promemoria del 31 mano 1940 è stato pubblicato per la prima volta nei Documenti Diplomatici Italiani, serie IX, voi. 3, doc. 669. I destinatari del documento segretissimo erano sei: il re, il ministro degli Esteri Ciano, il capo di Stato Maggiore generale, mar. Badoglio ed i tre capi di SM delle tre Anni: gen. Rodolfo Graziani (esercito), amm. Domenico Cavagnari (marina) e geo. Francesco Pricolo (aeronautica). Il Promemoria figura in parte nel testo di G. L. ANDRÉ, La guerra in Europa, Milano, l.S.P.I., 1964, pp. 381 -2; ed. integrale in R. DE FELICE, Mussolini: il Duce. Lo Stato totalitario 1936-1940, Torino, Einaudi, 1981, pp. 772-775.
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stretti a fare i paesi attualmente belligeranti». Senza voler risalire ad altre e contraddittorie manifestazioni del proprio punto di vista in merito alla guerra, all'eventualità di una partecipazione ad essa dell'Italia ed ai vantaggi che da essa potevano essere tratti, questo promemoria appare determinante sulle scelte di Mussolini («L'Italia non può restare neutrale») e sui significati di tali scelte: visto che un intervento a fianco delle Potenze occidentali non era pensabile, rimaneva quale unica possibilità la «guerra parallela» a fianco della Germania. Ed in tale eventualità gli obiettivi della guerra italiana sarebbero stati: «la libertà dei mari e una finestra sull'Oceano». Proseguiva Mussolini in questo documento: «L'Italia non sarà veramente una nazione indipendente sino a quando avrà a sbarre della sua prigione mediterranea la Corsica, Biserta, Malta e a muro della stessa prigione Gibilterra e Suez. Risolto il problema delle frontiere terresti, l'Italia, se vuole essere una potenza veramente mondiale, deve risolvere il problema delle sue frontiere marittime: la stessa sicurezza dell'Impero è legata alla soluzione di questo problema. L'Italia non può rimanere neutrale per tutta la durata della guerra, senza dimissionare dal suo ruolo, senza squalificarsi, senza ridursi al livello di una Svizzera moltiplicata per dieci. Il problema non è quindi di sapere se l'Italia entrerà o non entrerà in guerra, perché l'Italia non potrà fare a meno di entrare in guerra; si tratta soltanto di sapere quando e come; si tratta di ritardare il piu a lungo possibile, compatibilmente con l'onore e la dignità, la nostra entrata in guerra: a) per prepararci in modo tale che il nostro intervento determini la decisione; b) perché l'Italia non può fare una guerra lunga, non può cioè spendere centinaia di miliardi come sono costretti a fare i paesi attualmente belligeranti». Questa preoccupazione fascista che sembra quasi rispondere, in anticipo, alle accuse francesi del «colpo di pugnale nella schiena», emerge in vari documenti quasi a futura memoria di una volontà di intervenire al momento opportuno, ma di non compiere un simile intervento contro una Francia in ginocchio. Che fu poi ciò che avvenne, anche se una pubblicazione ufficiale dell'epoca si fa carico del contrario affermando: «L'intervento italiano precipitò il crollo della Francia la quale, presa tra due fuochi, rivelò una debolezza militare, politica e spirituale assolutamente insospettata sia dai germanici che da noi. Il fatto che quando l'Italia entrò in guerra contro la Francia e contro l'Inghilterra i francesi avevano ancora intatti i due grandi baluardi fortificati delle Alpi e della
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Linea Maginot documenta che l'Italia non aveva fatto nessun calcolo mercantile sopra la debolezza militare francese, ma era convinta di aiutare il suo alleato a vincere un nemico potente ed ancora agguerrito» <11>. In un contesto generale che già è noto quanto alle mete da affidare all'intervento italiano queste direttive del Duce ci sembrano le piu pertinenti anche se appaiono temperate da giudizi generali sulla situazione tedesca sul fronte, come all'interno della Germania, che ci lasciano senza dubbio perplessi. Tali reticenze ad ammettere una definitiva supremazia militare germanica di fronte alle truppe franco-inglesi sono curiose, ma non isolate nel clima italiano. Lo stesso Ciano se ne faceva interprete nel suo Diario giungendo persino, in data 29 marzo, a riferire con partecipazione che il Duce «per la prima volta ha ammesso, dopo molto tempo, che la Germania non riposa sul letto di rose e che il fallimento dell 'offensiva o un lungo proseguire della guerra ne significherebbe la sconfitta e quindi il collasso del regime» 02>. E lo stesso giorno un altro autorevole osservatore, Bottai, riferiva le affermazioni dello stesso Ciano secondo le quali: «O la Germania attacca, sfonda e vince; e allora ci conviene cacciarci dietro, anche per bilanciare la forza vittoriosa. O la Germania attacca e perde; e allora, pur essendo già agli occhi franco-inglesi suoi complici, siamo ancora in tempo a tirarcene fuori ... » (13). In risposta al promemoria il capo di Stato Maggiore Mar. Badoglio rispose in data 6 aprile confermando la linea strategica enunciata dal Duce e inserendo nel suo Piano di guerra l'insieme delle mete già indicate dal governo verso la Francia, la Tunisia, la Corsica ed il Mediterraneo <14>. Ed anche la decisione di intervenire quando ormai la Francia stava già in ginocchio di fronte alla Germania veniva giustificata da Mussolini dal desiderio di compensi: « ... Se tardassimo due settimane o un mese, dichiarava il duce nella riunione di capi di Stato Maggiore del 29 maggio, non miglioreremmo la nostra situazione mentre potremmo dare alla Germania l'impressione di arrivare a cose fatte quando il rischio è minimo oltre alla considerazione non essere nel nostro costume morale colpire un uomo che sta per cadere. Tutto ciò infine, può essere grave nel momento della pace definitiva ... » os>.
(11) M. APPEUUS, Vincere!, Roma, PNF, 1940, p. 25. (12) G. CIANO, Diario, voi. I: 1939-1940, Milano, Riz.zoli, 1946, p. 244. (13) G. BOTTAI, alla data del 29 mano 1940, cit. in R. De; FELICE. op. cit., p. 775. ( 14) MAR. B ADOGLIO, Piano di Guerra, 6 aprile 1940, in USSME-CIAF. Racc. n. 6. (15) Il verbale della riunione si trova in Hitler e Mussolini. Le11ere e documenti, Milano, Rizzoli, 1946, pp. 43-47.
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Acquisita la decisione rimaneva il problema di fissare la data, ed a questo proposito anche se Mussolini aveva precisato neUa surricordata riunione: «dal 5 giugno in poi l'ora X può arrivare da un momento all'altro» rimanevano seri dubbi quanto alla data vera e propria. Le esigenze erano di due tipi, e tutt'e due riguardavano la Francia. Da una parte solo «in piena estate le Alpi occidentali si prestano a grandi operazioni» come ricorderà il gen. Mario Roatta e quindi la decisione urgeva (16l; dall'altra, come ricorderà nelle sue memorie il gen. Emilio Faldella «al principio del giugno 1940 a Roma non si pensava affatto ad un immediato crollo della Francia e quindi conveniva procrastinare ancora ogni decisione irrevocabile 07l. Questa testimonianza è formale: 1'8 giugno Mussolini si rallegrava quasi della resistenza francese «perché finalmente i tedeschi si stanno logorando e non arriveranno alla fine della guerra ancora troppo freschi e forti». E l'indomani, come ricorda Ciano, il maresciallo Badoglio riteneva che la lotta in Francia sarebbe stata «ancora lunga e dura specialmente a causa del terreno» c1si. È Faldella a ricordare che allorquando si profilò proprio in quelle ore una prevalenza tedesca sulla Francia, Mussolini esclamasse: «Questa volta dichiaro guerra ma non la faccio».
(16) M. ROAITA, Otto milioni di baionette. L'esercito italiano in guerra dal 1940 al 1944, Milano, Mondadori, 1946, p. 99. (17) E. FALDfl..LA, L'Italia nella seconda guerra mondiale. Revisione di giudizi, Bologna, Cappelli, 1960, p. 165. (18) G. ClA.No, op. cir., p. 45.
2.
La «drole de guerre» dell'Italia
Forse propria a causa di queste contraddizioni unite alle esigenze di ordine pratico, si giunse a provvedere una dichiarazione di guerra con caratteristiche del tutto eccezionali, e cioè una guerra che veniva dichiarata ma non veniva, almeno nelle intenzioni ufficiali italiane, combattuta. L'ambasciatore francese François Poncet ed il suo consigliere militare gen. Parisot pare fossero stati avvertiti di questa singolare procedura che consisteva nel ritenere puramente formale una simile decisione la quale peraltro sul piano dell'opinione pubblica del regime fascista aveva ben altri aspetti. Persino Faldella ne sottolineava l'eccezionalità osservando: «Per la prima volta nella storia una guerra aveva inizio con un ordine di non sparare!» <19). Ed effettivamente fin dal 31 marzo le direttive strategiche appaiono sorprendentemente «pacifiche» per una guerra che si vuol dichiarare. In caso di guerra i propositi di Mussolini nei riguardi della Francia sono piuttosto curiosi; essi prevedevano: «sul fronte terrestre-Difensivo sulle Alpi occidentali. Nessuna iniziativa. Sorveglianza. Iniziativa solo nel caso, a mio avviso improbabile, di un completo collasso francese sotto l'attacco tedesco. Una occupazione della Corsica può essere contemplata, ma forse il gioco non vale la candela ... Libia: difensiva tanto verso la Tunisia, quanto verso l'Egitto ... ». Una simile situazione strategica, certamente eccezionale, riecheggiava quanto fin dal 26 gennaio 1939 lo Stato Maggiore aveva stabilito pur dopo aver ribadito in caso di guerra una «assoluta difensiva» nell'intento «di lasciare alla Francia la responsabilità di un'eventuale aggressione». Ma anche a questo riguardo due punti ci sembrano quanto meno curiosi, e sono la dichiarazione del Duce sulle rivendicazioni e quella sull'obiettivo finale dell'intera operazione dell'Italia fascista. Sulle prime Mussolini chiari che vi erano effettivamente delle rivendicazioni
(19) E. FAWELLA, op. cit., p. 166.
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italiane, ma dichiarò che per esse «non intende affatto parlare di Corsica, Nizza, Savoia. Queste sono iniziative prese da singoli le quali non entrano nel suo piano d'azione» (20). Dichiarazione quest'ultima abbastanza sorprendente vista l'intensa attività rivendicativa che da parecchi anni sembrava caratterizzare a livello ufficioso ed ufficiale i rapporti tra la Francia e l'Italia. Ma ciò che sorprende altresf è il tono generale della riunione contro un pericolo di guerra francese piuttosto che una riunione destinata a precisare gli ultimi aspetti di una guerra voluta e dichiarata dall'Italia. Altrettanto interessante per meglio capire questo clima ci appare la riunione del 9 aprile 1940 allorquando, dopo oltre un anno da quella da noi ricordata, sembrerebbe che questi dubbi di attacco francese, data la situazione della Francia creatasi nel frattempo, potrebbero essere stati fugati mentre in realtà il clima è lo stesso. Pur addensandosi le nubi nella imminente decisione italiana la direttiva viene ribadita: «dunque difensiva e nessuna iniziativa sulle Alpi. .. occorre continuare accanitamente il lavoro ... per raddoppiare e triplicare i nostri sistemi difensivi ... ». Ed ancora il 5 giugno in un'altra riunione il capo di Stato Maggiore Generale, Mar. Badoglio riferiva la posizione del Duce al riguardo precisando: «Il Duce mi ha detto: non invento nulla di nuovo: faccio come i tedeschi ed i francesi, che sono stati di fronte sei mesi senza fare niente». Il fatto che in questa riunione venga decisa una «stretta difensiva, per terra e per aria, in tutti i settori» non può mancare di sorprendere un poco ogni osservatore, soprattutto se si raffrontano queste posizioni «pacifiche» dell'imminente guerra da dichiararsi con il clima arroventato e guerrafondaio dell'opinione pubblica italiana la quale, manipolata e controllata com'era la stampa del regime, non può se non portare a conclusioni ancora piu comiche per non dire tragiche. Un'altra nota va aggiunta: proprio nella stessa riunione del 5 giugno viene riferito il passo, l'ultimo, dell'ambasciatore francese a Roma e ne viene preso atto inserendo nelle disposizioni strategiche italiane quanto nei propositi dei diplomatici francesi doveva solo costituire un argomento per un eventuale negoziato e non certo la premessa sicura di una politica in caso di guerra: «Poncet ha consegnato una lettera al Duce con la quale garantisce che la Francia non ha nessuna intenzione di compiere un attacco "brusqué" contro l'Italia, come correva voce. Parisot (l'addetto militare francese a Roma) mi disse, successivamente e quasi implorando, di non attaccare né dalle Alpi, né in Corsica, né in Libia. . . Il Duce non vuole intervenire con bombardamenti aerei della (20) Verbale della seduta del 26 gennaio 1939, in Verbali delle riunioni tenute dal capo di SM generale, voi. I, a cura di A. BIAGINJ, Roma, USSME, 1983, p. 2. Vi si parla anche di «radunate difensive» e addirittura di un colpo di mano sulla Corsica prima della dichiarazione di guerra.
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Corsica, Tunisia, coste francesi, se loro non prenderanno l'iniziativa. Ciò mi fa pensare che non voglia rompere tutti i ponti con la Francia per tenerla buona ... Dunque non prenderemo nessuna iniziativa né per terra, né per aria... » (21). E che non si trattasse di una presa di posizione del tutto occasionale ci dà testimonianza lo stesso gen. Faldella, allorquando ricordò nelle sue memorie che Mussolini e Badoglio concordarono la decisione di accentuare l'atteggiamento difensivo con l'ordine di «non sparare» e l'invito rivolto da Badoglio a Roatta di comunicare alle armate di «non aprire il fuoco». Formalmente, dopo la riunione del 5 giugno, l'ordine dello Stato Maggiore Generale diramato il 7 giugno agli alti comandi ( ordine 28 op.) confermava di «tenere contegno assolutamente difensivo verso la Francia (Alpi, Corsica, Tunisia e Gibuti) sia in terra che in aria». Per l'aspetto navale il meccanismo previsto era ulteriormente precisato nei due casi: 1°: «se si incontrano forze francesi miste a forze inglesi, si considerino tutte forze nemiche da attaccare»; 2°: «se si incontrano solo forze francesi, prendere norma del loro contegno e non essere i primi ad attaccare, a meno che ciò ponga in condizioni sfavorevoli». Lo stesso giorno un altro ordine dello Stato Maggiore delJ'Esercito (ord. 847) dava ulteriori indicazioni circa questo strano dispositivo di «guerra» precisando: «- che non dovrà... essere intrapresa alcuna azione oltre frontiera; - che nessun reparto o nucleo dovrà varcare materialmente la linea di confine; - che nessun aereo ... dovrà sorvolare ... il territorio francese; - che le nostre truppe ed artiglierie non dovranno aprire per prime il fuoco su truppe o posizioni francesi...» c22>. Ed in modo lapidario il gen. Faldella ricorda che questo strano comportamento dell'Italia fascista che dichiarava la guerra ma non la voleva fare e se la faceva la voleva rendere difensiva o, come precisò Badoglio il 5 giugno la faceva per dare «modo di prepararci per la pace», determinò una situazione, al momento in cui effettivamente la guerra fu dichiarata, simile al modo in cui, a quanto si narra, ebbe principio, l' 11 marzo 1745 la battaglia di Fontenoy: «Signori Francesi, sparate per primi!».
(21) Verbale della seduta del 5 giugno 1940, ibid, p. 55. (22) Riportato quale doc. N. I in V. GALUNARI, op. cit., p. 229. Il documento reca la finna del capo di SM dell'Esercito, gen. R. Graziani.
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Non rientra nel nostro intento seguire gli eventi che dal 10 giugno in poi hanno dominato la scena della guerra e che ormai sono abbastanza noti; ciò che preme è piuttosto stabilire che anche in queste circostanze la politica del governo fascista sia stata dominata da elementi passionali e da calcoli di tornaconto che, pur nelle difficoltà a superare la barriera dei forti francesi sulle Alpi fanno meditare Roma sul bottino che l '«inevitabile vittoria dell'Asse sulla Francia» pare debba assicurare all'Italia. Ancor prima della dichiarazione di guerra, Mussolini, premuto ormai dalla débacle imminente della Francia, si lancia in una offerta di partecipazione militare italiana in quella campagna, partecipazione che con i soliti ritardi di trasporti e di inserimento sarebbe, se accettata da Hitler, coinciso con la dichiarazione formale di guerra ai franco-inglesi. La lettera di Mussolini ad Hitler è del 2 giugno ed annuncia la data dell'entrata in guerra avanzando nel contempo «nel desiderio di vedere almeno una rappresentanza dell'esercito italiano combattere insieme ai soldati (tedeschi) per suggellare sul campo la fraternità d'armi e il cameratismo delle nostre rivoluzioni» l'offerta di «alcuni reggimenti di bersaglieri»; ma Hitler il 9 giugno pare dubbioso, e secondo la testimonianza di Ciano maschera il rifiuto con l'offerta in contro cambio di reparti alpini tedeschi. 1112 giugno Mussolini ritorna all'offerta e questa volta si tratta di «una divisione motocorazzata» in cambio di 50 batterie contraeree . .. (23). L'insieme di questo carteggio appare estremamente sconcertante anche perché proprio dei bersaglieri o della divisione motocorazzata (che tra l'altro nell'ordinamento militare italiano non esisteva!) l'avanzata germanica in Francia, dopo l'occupazione della capitale Parigi e dopo il collasso militare francese, non aveva proprio bisogno. L'offerta tradiva ciò che la stessa dichiarazione tardiva di guerra faceva chiaramente capire: il desiderio di Mussolini di prendere parte della vittoria sulla Francia che gli eserciti germanici avevano certamente determinato da soli. Intanto il tipo di guerra condotta dall'Italia stava mutando dai primitivi propositi «difensivi», e poiché incursioni aeree francesi sul Piemonte e bombardamenti navali sulla costa ligure e soprattutto su Genova ad opera della squadra navale francese (24) avevano dato inizio ad azioni di guerra, fu deciso di passare ad una fase offensiva. Fu il superamento del primo proposito, che il comandante della J!! Armata gen. Pietro Pintor aveva chiamata la «guerra senza ostilità» con una serie di
(23) Lettera di Mussolini ad Hitler del 2 giugno 1940, in Hitler e Mussolini. Lettere e documenti, Milano, Rizzoli, 1946, p. 49. (24) Il 12 fu bombardata Torino, il 14 Savona e Genova il tutto senza incontrare una resistenza efficace sia da parte della contraerea sia da parte della flotta italiana.
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disposizioni che lo studio di Gallinari ha assai bene ricordato: dall' «offensiva generale alla frontiera occidentale» decisa il 12, alle «piccole azioni offensive» del 16, al1e «operazioni offensive» dello stesso giorno e del 17, alla «operazione M» del 19, alla «operazione offensiva B» del 20, alle «puntate offensive di piccole colonne» del 21, alla «offensiva di Riviera» dello stesso 21 giugno, ecco, tanto per ricordarne le maggiori disposizioni militari che caratterizzano questa strana guerra che non diede ai suoi fautori e soprattutto a Mussolini tutte quelle soddisfazioni o meglio quelle armi psicologiche, politiche e strategiche che egli si era ripromesso di cogliere con la sua entrata in guerra. Sul piano dell'umiliazione fu visto il bombardamento dal mare di Genova che avveniva proprio lo stesso giorno in cui i tedeschi entravano a Parigi, il 14 giugno, e proprio quando tutta la flotta militare italiana non vi si trovava piu. La reazione italiana non fu certo nei suoi risultati all'altezza della profonda emozione che queste operazioni nemiche aveva suscitato in Italia. Anzi, secondo Badoglio la decisione di Mussolini di passare ad un attacco generalizzato dopo la fase difensiva poteva suscitare considerazioni di ordine morale considerando la Francia ormai in pieno collasso dopo le avanzate degli eserciti tedeschi e preoccupazioni di ordine pratico essendo ben noto da tempo che il passaggio della fase difensiva a quella offensiva avrebbe richiesto almeno 25 giorni di tempo, tempo che forse nel caso specifico non era piu a disposizione. Contro le obiezioni del suo capo di Stato Maggior Generale Mussolini reagf con violenza, affermando che «la decisione di attaccare la Francia è una questione essenzialmente politica della quale ho io solo la decisione e la responsabilità» per concludere: «Darò io stesso ordini al Capo di Stato Maggiore dell'Esercito» (25). Poco da osservare in questa decisione se non la conferma che la prima decisione, quella «difensiva» aveva altrettanta origine politica; anche se non è facile risalire ad una motivazione assoluta fra le varie ipotesi per spiegare la «guerra difensiva», la piu attendibile (ed in ciò si deve concordare con André) sembra quella che Mussolini sperasse in questo modo di lasciar aperta la strada ad un successivo riavvicinamento con la Francia in modo da controbilanciare almeno in parte la pesante supremazia continentale che il Reich avrebbe raggiunto dopo la vittoria. L'abbandono, almeno momentaneo, di questa politica con una scelta di irrigidimento ed una guerra offensiva nei suoi confronti parve voler punire la Francia per non aver assecondato e capito tale gioco. Come ben sappiamo, i risultati sia
(25) P. BADOGLIO, L'Italia nella seconda guerra mondiale, Milano, Mondadori, 1946, p. 47.
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della guerra difensiva sia della fase offensiva furono assai modesti, e questa situazione offri a Mussolini, al quale non erano mancati esortazioni a non cambiare tipo di conflitto da parte dello stesso genero Ciano, un'occasione per inveire contro il popolo italiano: «È la materia che mi manca. Anche Michelangelo aveva bisogno di marmo per fare le sue statue. Se avesse avuto soltanto dell'argilla, sarebbe stato soltanto un ceramista. Un popolo che è stato per sedici secoli incudine, non può, in pochi anni, diventare martello ... » (26). Per fortuna, però, per l'andamento generale della guerra, la campagna tedesca contro la Francia dava i suoi frutti con la crisi del governo Reynaud e l'emergere nel governo francese, in fuga da Bordeaux, di una tendenza maggioritaria favorevole alla cessazione della guerra ed alla richiesta di armistizio alla Germania. Proprio mentre al massimo livello francese affioravano tali propositi con l'inizio della ben nota crisi tra coloro che sostenevano l'esigenza di proseguire la lotta nella Francia d'Oltremare, ed inizialmente nel Nord Africa, e coloro che propendevano per una resa alla Germania, con la vittoria di questi ultimi capeggiati dal nuovo presidente del Consiglio mar. Pétain, la richiesta di un armistizio alla Germania formulata per il tramite della Spagna al governo del Reich mette in moto un nuovo dialogo tra Mussolini ed Hitler. È nell'incontro di Monaco di Baviera che tale dialogo si instaura per definire, secondo l'invito di Hitler a Mussolini, termini comuni della resa della Francia. In previsione dell'incontro i propositi rivendicazionistici verso la Francia sono ulteriormente studiati dal Ministero degli Affari Esteri di Roma, anche perché agli occhi di Mussolini e di Ciano il tipo di armistizio, e quindi di pace, che Hitler sembra deciso ad imporre alla Francia appariva estremamente duro con l'occupazione di quasi tutto il territorio metropolitano (ne sarebbe stata esclusa solo la zona del Massiccio Centrale) e pesanti condizioni coloniali oltreché la cessione della flotta e dell'aviazione. Proprio in armonia con questo clima di vittoria sulla Francia, di imminente conclusione della pace con la Gran Bretagna e di ridistribuzione di territori e colonie, il Ministero italiano degli Affari Esteri pensò fosse opportuno redigere con sollecitudine un vero cahier de doléances da far presentare al momento ritenuto piu opportuno dal ministro Ciano nelle istanze chiamate a decidere a tale riguardo. Sono appunti che riguardano la «sistemazione» di ben sedici territori o gruppi di territori che l'Italia indicava a sé stessa ed all'alleato come suscettibili di una certa sistemazione nel quadro di quel Nuovo
(26) G. C!ANo, op. cit., p. 281.
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Ordine Europeo e Mondiale di cui qua e là si parlava nell'ambito dell'Asse e del Tripartito quale disegno ideale di un futuro ormai di ventato prossimo. Vale la pena di dedicarvi una certa attenzione anche per stabilire una base attendibile ed autorevole circa le attese che l'Italia nutriva a proposito delle sperate risistemazioni. Il loro solo elenco appare significativo: sei territori appartengono alla zona francese (confini occidentali, Nizza, Corsica, Tunisia, Costa francese dei Somali, Hinterland libico), otto alla zona britannica (Malta, Cipro, Arabia, Egitto, Sudan, Canale di Suez, Somalia britannica, Kenya-Uganda), un territorio è misto (paesi di mandato) ed infine uno vi compare in modo estremamente curioso, ed è la Svizzera! Completato da un quadro sulla distribuzione delle materie prime in Africa, questo promemoria rappresenta un po' l'inconscio rivendicativo del regime o di certi suoi ambienti. A questo riguardo, vale la pena di ricordarlo, alcune rivendicazioni storiche, quali la Savoia o lo sbocco sull'Oceano non vi figurano mentre la comparsa di una rivendicazione su parte della Svizzera (all'incirca il Ticino e i Grigioni), non può non destare sorpresa e persino commenti ironici. Sinteticamente possiamo precisare le varie opzioni: Confini occidentali: Saranno da stabilire rettifiche definite «opportune» della frontiera a favore dell'Italia; Nizza: la linea Varo-Tinea costituisce dal punto di vista geografico, la frontiera naturale fra I 'Italia e la Francia; Corsica: l'unione all'Italia è la condizione prima e fondamentale per il suo sviluppo e la sua prosperità. È italiana geograficamente, storicamente ed etnicamente; Tunisia: l'appartenenza all'Italia della Tunisia oltre a ragioni storiche trova il suo fondamento in un assieme di ragioni geografiche, economiche e demografiche quali nessun paese può vantare.... L'attuale frontiera verso l'Algeria dovrebbe essere spostata verso Ovest; Malta: isola geograficamente, storicamente, etnograficamente italiana ... È essenziale per l'Italia; Cipro: antico possesso genovese e veneziano, per la sua posizione geografica domina strategicamente il Mediterraneo orientale; Siria - Libano - Palestina - Transgiordania - Irak: si propone per tutti questi Stati il riconoscimento dell'indipendenza con la conclusione di trattati di mutua assistenza tra ognuno di questi Stati e l'Italia accompagnati dall'occupazione militare di taluni punti strategici; Penisola araba: decadenza di tutti i diritti della Gran Bretagna, cessione ali 'Italia di Aden e dipendenze, di Perirn e di Socotra, occupazione di alcuni porti e isole di importanza strategica nel Golfo Persico e
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nello Hadramaut, indipendenza dell'Arabia Saudita e dello Yemen; Egitto: l'Italia subentra alla Gran Bretagna, accordo con l'Egitto per il Canale di Suez; Sudan anglo-egiziano: l'Italia subentra alla Gran Bretagna, annessione di Kassala all'Eritrea; Canale di Suez: eliminazione della compagnia e accordo con l'Egitto; Costa francese dei Somali: dovrebbe essere riunita ali' Africa Orientale Italiana; Somalia britannica: dovrebbe essere riunita all 'AOI; Kenya e Uganda: dovrebbe passare in questa zona la linea di demarcazione tra Africa italiana e Africa tedesca; Hinterland libico: rivendicazione italiana fino al lago Ciad quale testa di ponte per il resto dell'Africa nera. Svizzera: fino alla Catena mediana un ritorno dell'Italia per ragioni storiche, geografiche e razziali del Ticino, Vallese e Grigioni <27). Prima di proseguire nel nostro esame, conviene soffermarci anche poco su questo documento che è, in fondo, la carta delle rivendicazioni piu vicina all'entrata in guerra dell'Italia e quindi quella che forse rispondeva maggiormente alle speranze di accrescimento territoriale che l'Italia fascista si riprometteva di raggiungere con la decisione del 10 giugno. Notiamo innanzitutto che non solo della Francia si tratta ma anche di altri territori della sfera britannica e di quello per lo meno curioso relativo alla Svizzera. Per il caso della Francia notiamo la scomparsa della Savoia tra gli obiettivi della guerra: benché culla storica della Casa Reale italiana, la Savoia si era rivelata all'analisi dei maggiori studiosi fascisti e dello stesso Mussolini troppo dimentica delle sue origini italiane, pertanto si spiega la sua mancata citazione che nel novembre 1938 non avrebbe mancato di esserci (28). Per il caso dei territori della sfera britannica si trattava di una lista di cui alcune voci erano già note, altre meno, ma che in genere non muta il panorama delle rivendicazioni del 1938 mirando sostanzialmente ad una unificazione territoriale nel continente africano dei possedimenti italiani con, di conseguenza, una «grande Africa Orientale Italiana» ed una «grande Africa Settentrionale Italiana». Assai piu curiosa la rivendicazione su Ticino, Grigioni e Vallese: si tratta di una vera e propria novità sul piano futuro della guerra, che sembrava aver
(27) Appunti per l'Eccellenza il Ministro, Ministero Affari Esteri, giugno 1940, in A.M.A.E. Italia, busta n. 70 (1940) fase. 2. (28) Si veda al riguardo il doc. dei D.D.J. serie IX.
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escluso un attacco alla Svizzera per «recuperare» delle regioni parlanti italiano o ladino le quali peraltro erano da tempo al centro di un movimento di «ritorno» alla patria italiana. Va tenuto però conto che, pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra, si parlò di una eventualità di attacco alla Svizzera e tale eventualità appare nel discorso collegata a piani già noti ed elaborati di azione militare contro di essa. Nella seduta del 2 luglio 1940, infatti, il sotto capo di Stato Maggiore dell'Esercito, gen. Roatta, chiari la sua scelta di collocazione delle truppe italiane proprio in vista di una simile eventualità. In quella riunione presieduta dal capo di Stato Maggiore mar. Badoglio egli dichiarò infatti dopo la dichiarazione dello stesso Badoglio dell'esigenza di «decongestionamento delle Alpi poiché siamo sicuri di non aver piu impiego di truppe in quel settore»: «Abbiamo in progetto di lasciare in posizione avanzata una divisione per ogni direttrice ed il resto nelle valli basse per un complesso di 17 divisioni, comprese due divisioni a nostra disposizione nel caso che si dovesse fare l'azione del Ticino ... » (29).
(29) Verbale del 2 luglio 1940, in Verbali delle riunioni tenute dal capo di SM Generale, op. cit., p. 70. Si vedano anche le direttive strategiche di Mussolini dopo la resa francese (31 luglio) riportate quale Documento n. 1O nel Tomo secondo della presente opera.
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l'incontro di Monaco e la svolta di Mussolini
Al momento di partire per l'incontro di Monaco, Mussolini meditava quindi un trattato di armistizio con la Francia abbastanza pesante, quasi in contraddizione con i suoi primi propositi di guerra pacifica dell'inizio del conflitto, ed il testo del pro-memoria del ministro Ciano sulle grandi linee dell'accordo da imporre alla Francia ben lo dimostra. Esso infatti. prevedeva in dieci punti tutt'una serie di obblighi imposti alla Francia «vinta>>: 1) Smobilitazione dell'esercito in tutti i teatri di operazioni sino ai limiti dell'organico di pace. 2) Consegna di tutto l'armamento collct~vo. 3) Occupazione (per quanto concerne l'Italia) sino alla linea del Rodano. Teste di ponte Lione, Valenza, Avignone. Occupazione della Corsica, della Tunisia, e della Costa francese dei Somali. 4) Facoltà di occupare in qualunque momento, fino al ristabilimento della pace, tutti i punti strategici e gli impianti esistenti in Francia, nei territori deU 'Impero, coloniali, protetti e sottoposti a mandato, ritenuti necessari per rendere possibili le operazioni militari o per mantenere l'ordine. Libero uso delle vie di comunicazione francesi. 5) Occupazione delle basi militari marittime di Algeri, Orano (Mers el-Kebir), Casablanca. Neutralizzazione e facoltà di occupare Beirut. 6) Consegna immediata deJJe flotta. 7) Consegna immediata della flotta aerea. 8) Consegna del materiale ferroviario che si trova, all'atto della conclusione dell'armistizio, nel territorio occupato. 9) Obbligo di non procedere a distruzioni o danneggiamenti degli impianti fissi o mobili esistenti nei territori contemplati nelle precedenti
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clausole. Obbligo di lasciare nei territori e località occupate gli approvvigionamenti di ogni natura attualmente esistenti. 10) Denuncia dell'alleanza con la Gran Bretagna. Immediato allontanamento delle forze inglesi operanti nei territori metropolitani, coloniali, protetti e sottoposti a mandato. Disanno e scioglimento delle formazioni militari straniere (polacche, belghe, ecc.) operanti in Francia». Come si vede dal contenuto dell'Appunto il progetto era ambizioso, e lo si può ricollegare agevolmente ad una prima fase di realizzazione dell'Appunto che abbiamo precedentemente esaminato, con pesanti intimazioni alla Francia. Persino il latore di queste proposte di annistizio, Ciano, se ne stupiva collegandolo al resto del quadro politico che non vedeva certo l'Italia nella migliore posizione per imporre all'alleato vincitore le proprie condizioni di pace. Anzi il fatto stesso che i francesi avessero chiesto l 'annistizio lasciava l'Italia in una posizione estremamente delicata: dopo appena 17 giorni dalla sua entrata in guerra la Francia cedeva le armi. E ciò aveva una doppia conseguenza: da una parte confermava i piu neri timori di ordine morale che erano venuti in mente persino a Mussolini relativi all'attacco ad una nazione già in ginocchio, e dall'altra, con la ben nota vicenda della «guerra difensiva» pur temperata dalla guerra offensiva successiva ma non ancora operante nei suoi risultati pratici, aveva lasciato i 'Italia quasi nella stessa situazione geografica della propria sovranità, con l'assenza totale di occupazioni o di conquista del territorio nemico sul quale esercitare, al pari della Germania, la legge di guerra. Si era voluto a Roma una guerra breve, ma questa era veramente troppo breve e non aveva permesso nessuno dei trionfi militari che l'Italia «doveva» ottenere sulla Francia. Ben lo notò il Ciano, che proprio il 17 giugno annota: «Trovo Mussolini scontento. Questo improvviso scoppio di pace lo turba ... ». Egli parla con Ciano e con gli altri durante il viaggio a Monaco delle condizioni alle quali la Francia deve ormai sottostare, ma si rende conto ben presto che le condizioni dei due dittatori non sono assolutamente raffrontabili: « ... si rende conto che il suo parere ha valore consultativo: la guerra è stata vinta da Hitler, senza un concorso militare attivo dell'Italia, ed è Hitler che avrà la parola. Ciò, naturalmente, lo turba e lo rattrista ... ». Di fronte a questa situazione le reazioni del Duce sono di dura polemica con il popolo italiano accusato di nuovo di non essere all'altezza dei destini che egli aveva meditato di affidargli («Le sue riflessioni sul popolo italiano e soprattutto sulle nostre forze armate sono stasera di una estrema amarezza»); e subito dopo decide di lanciare contro la Fran-
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eia, nelle more del negoziato armistiziale, una grande offensiva che avrebbe avuto come obiettivo di raggiungere dalle Alpi la valle del Rodano in pochi giorni (30). Al momento dell'incontro con Hitler, Mussolini trovò il proprio interlocutore non già in piena foga guerriera, ma piuttosto proclive ad un accordo moderato con la Francia vinta ed anche, poteva allora sembrare una logica conseguenza di quella fulminea vittoria, con la Gran Bretagna. Con vari incontri a due (Hitler e Mussolini; a quattro - con von Ribbentrop e Ciano - e a sei - con in piu i capi di SM von Keitel e Roatta) l'obiettivo di rendere armoniche le posizioni dei due alleati nei confronti della Francia fu in parte raggiunto. Ma piu che una armonizzazione si trattò piuttosto di una giustapposizione delle due tesi: il testo germanico rimase quello pensato e redatto a Berlino, quello italiano che Hitler approvò senza discuterlo fu quello che il pro-memoria Ciano della vigilia aveva prodotto. Il progetto italiano di armistizio con la Francia risentf di ciò che Mussolini nella sua relazione degli incontri scrisse a proposito della filosofia degli armistizi. Gli alleati apparivano uniti ma distinti cosi come distinte erano le redazioni armistiziali, pur essendo per volontà di Hitler l'entrata in vigore dell'armistizio con la Germania direttamente collegato alla sottoscrizione da parte della Francia dell'armistizio con l'Italia. In questo quadro, lo spirito che pareva dominare i rapporti tra gli alleati, vincitori a vario titolo della Francia, si rivelava essere quello della competenza separata. Lapidariamente Mussolini ripeteva ciò che Hitler gli aveva detto: «Considero la situazione della Francia liquidata. Il nostro interesse è al nord, il vostro al sud: l'interesse di entrambi è che la Francia non si rialzi mai piu ... » (31), A parte questa divisione netta di tipo geopolitico, la conferenza a piu livelli si svolse a Monaco sulla base delle enunciazioni rispettive. Per l'Italia il testo del progetto di convenzione armistiziale preparato dal Ministro degli Affari Esteri di Roma non parve suscitare, quanto alla consistenza delle richieste territoriali e delle altre clausole, particolari opposizioni da parte germanica: all'Italia sarebbe toccata una vasta zona di occupazione che comprendeva la regione sud orientale della Francia fino al Rodano, la Corsica, la Tunisia, Gibuti ed una serie di porti sotto controllo a vario titolo della Francia quale Beirut, Orano,
(30) L'Appunto di Ciano della sera del 17 giugno 1940 è stato pubblicato da F. Rossi, Mussolini e lo Stato Maggiore. Avvenimenti del 1940, Roma, Regionale, 1951, p. 174. (31) La Relazione di Mussolini è pubblicata in Hitler e Mussolini, op. cit., pp. 51-54.
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Algeri, Mers el Kebir, Casablanca «ed altri punti strategici» (32). L'insieme degli oneri di questa occupazione ricadeva sulle finanze francesi ed alla lettera pareva che l'occupazione volesse preludere ad una vera e propria annessione cosi come andavano reclamando da tempo molti ambienti del regime; dall'occupazione al «ritorno alla patria» il passo pareva breve e in piena armonia con gli obiettivi di guerra di Mussolini. Alla flotta francese era riservata una sorte severa: disarmata, passava sotto controllo italiano e pareva dovesse finire per essere inquadrata nella Marina militare quale preda bellica. Alcune rivendicazioni italiane circa l'Algeria e il Marocco che parevano collegate alla sorte della Tunisia suscitarono a livelJo delle discussioni tra Ciano e von Ribbentrop talune perplessità circa la loro fondatezza e la loro coincidenza con motivi storici di un interesse tedesco al riguardo. E se per l'Algeria una certa giustificazione potè essere data da Ciano circa la necessità per l'Italia di assicurarsi talune risorse minerarie, specie nella regione di Costantina, oltreché motivi storici di emigrazione italiana nella regione, per il Marocco la presenza di rivendicazioni spagnole e di «diritti storici» della Germania mise tutto in discussione, nel senso che la richiesta italiana parve del tutto contraria ad una retta interpretazione della necessaria armonia tra i due alJeati a proposito della Francia. Un elemento interessante di questo convegno fu quello relativo alla Francia ed al suo futuro regime che Hitler tenne ad illustrare al Duce a proposito della quale, secondo la relazione di quest'ultimo, avrebbe dichiarato: « ... Noi abbiamo interesse a che un governo risieda in Francia, per poter imporre le condizioni dell'armistizio e trattare la pace». In questa affermazione stava la chiave di volta di quella che sarà la futura «politica francese» del governo di Berlino; affrontando un aspetto che a Bordeaux, come a Parigi, come a Londra dominava le discussioni circa il futuro della Francia e del suo governo, Hitler dichiarava il proprio interesse a favorire la nascita di un governo arrendevole in Francia allo scopo di avere, anche in questa fase, un interlocutore che la soluzione della prosecuzione della lotta nella Francia d'Oltremare, cara agli esuli del «Massilia» o agli uomini di Londra raggruppati attorno al gen. De Gaulle che proprio allora lanciava il suo primo messaggio di resistenza, avrebbe senza altro reso impossibile per mancanza di interlocutore, per autoritario che fosse il regime voluto dalla Germania per la Francia vinta. Si chiedeva dalla Radio di Londra il gen. De Gaulle, che riecheg-
(32) Si veda il testo integrale del Proge110 di convenzione che fu formalmente completato il 21 giugno con l'approvazione del Duce, e che deriva dalle discussioni di Monaco, nel Tomo secondo dove figura quale Documento n. I.
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giava propositi della vigilia del premier Winston Churchill: « ... La disfatta è forse definitiva? No ... gli stessi mezzi che ci hanno vinti possono domani farci giungere alla vittoria. Questa guerra non è liquidata con la battaglia di Francia; questa guerra è una guerra mondiale ... » (33) . Secondo colui che meglio degli altri ha studiato questo aspetto della campagna di Francia e cioè il dilemma delle autorità francesi di Bordeaux sulla partenza per l'Africa del Nord e quindi la prosecuzione ad oltranza della lotta, André Truchet, la prospettiva di una tale partenza si rafforza in Francia proprio mentre Hitler e Mussolini si incontrano a Monaco: sembra quasi che le notizie dei patti di vera spartizione delle spoglie del vinto abbiano indotto molti ad abbracciare il partito del ripiegamento nel Nord Africa; ad un certo punto, sempre il 18, anche il mar. Pétain sembra dover condividere questa prospettiva: lui resterà, ma il governo legittimo se ne andrà lontano dalle truppe di occupazione, ed in questa politica Churchill ed il governo inglese sono ben d'accordo (34>. Il momento era delicato ed aperto a tutte le scelte; di fronte al proprio collasso la Francia pareva scegliere soluzioni estreme che certamente non sarebbero convenute alle idee che a Roma ci si faceva della guerra. Vi era spazio persino, come ricordò poi il Fabre-Luce, per «sussulti di romanticismo .. . ». Il 12, a Cangey, César Campinchi (che era ancora ministro della Marina) pensava alla possibilità di un'azione in grande stile su Genova: «la Flotta del Mediterraneo andrà a bombardare i depositi di benzina, cercando a ogni costo di attaccar battaglia, e, se la sorte delle anni le sarà contraria, si farà colare a picco col gran pavese issato ... Reynaud parlava di chiudersi in un «fortino bretone» ... Altri chiedevano la prosecuzione della lotta nell'Africa del Nord .. . » (35). Sul piano della Marina militare francese le accertate ricerche di Hervé Cras parlano chiaro: tutte le autorità navali francesi, d'intesa con quelle britanniche, meditavano di ripiegare rapidamente, attorno al 18 giugno, verso porti britannici o verso porti francesi del Nord Africa allo scopo di sottrarsi alla cattura e genericamente alle condizioni dell'armistizio e per proseguire la lotta contro l 'Asse in una visione di continuità ideale della guerra contro l'Asse, di una guerra franco-britannica alla quale fin da allora l'interesse degli Stati Urùti verso la crisi francese (33) L'intensa attività politica di quei giorni a Bordeaux e le discussioni sulla sorte del governo hanno prodotto una miriade di pubblicazioni, di studi e di memorie iniziatasi quasi subito con A. KAMMERER, La vérité sur l'armistice, Parigi, Médicis, dic. 1944 e 1945. Per una buona sintesi F. AVANTAGGIATO PuPPO, op. cii. (34) A. TRUCHET, L'armistice de 1940 et l'Afrique du Nord, Parigi P.U.F. 1955. (35) A. FABRE-LUCE, Journal de France 1939-1 944, ed. it. Un francese risponde (Giornale di Francia) 1939-/944, Milano, Longanesi, 1948, p. 157.
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mostrava di poter costituire in riserva un elemento decisivo da fare intervenire al momento piu opportuno. «Il 17 giugno nella serata l' Ammiraglio inglese Sir Dudley Pound fece chiamare il capo della delegazione navale francese a Londra Amm. Odend'hal per ottenere che le navi francesi cercassero rifugio in tempo in porti britannici...» (36). Proprio tenendo conto di questo susseguirsi di propositi, ad Hitler apparve chiara la necessità di non favorire la tendenza estremista, quella del ripiegamento, nel Nord Africa o altrove, e quindi della prosecuzione della guerra oltre la richiesta di armistizio. E per fare ciò con un margine soddisfacente di risultati l'unica via consisteva nel non deludere le attese di pace della maggioranza dei francesi e nel non esasperare certi animi con richieste politiche o territoriali troppo pesanti inducendoli anzi a ritenere la fase armistiziale con la Francia una premessa alla quale sarebbe seguito, di lf a poco, un accordo con la Gran Bretagna e quindi la pace generale. Lo stesso Mussolini ne registrò con sorpresa gli aspetti nuovi, che diedero al discorso di Hitler a Monaco un tono assolutamente inaspettato dal Duce. Se era noto che si desiderasse liquidare sul piano giuridico e politico la guerra con la Francia, pareva del tutto nuovo che si avesse con la Gran Bretagna un atteggiamento del tutto simile: «altrettanto si desidera colla Gran Bretagna, onde evitare code di guerre marittime e coloniali che renderebbero cronico lo stato di guerra anche se saltuariamente e perifericamente combattuta e potrebbero determinare un intervento massiccio di mezzi da parte degli Stati Uniti. .. ». L'impressione generale degli italiani presenti a Monaco è unanime: Mussolini, Ciano e Roatta vedono la Germania vittoriosa ansiosa di concludere questa fase di guerra. Persino le espressioni sono simili. Per Mussolini che lo scrive nella sua Memoria «La Germania potrebbe essere paragonata a un fortunato e audace giocatore che ha sempre vinto pur sempre raddoppiando la posta. Ora è un po' nervoso e vorrebbe far presto a portare a casa l'abbondante peculio ... ». E per Ciano nel suo Diario: «Traspare il desiderio di far presto a concludere. Hitler è ormai il giocatore che ha fatto un colpo gobbo; vuole alzarsi dal tavolo e non rischiare piu oltre ... ». Se si riavvicinano queste posizioni a quelle espresse da von Ribbentrop nei colloqui con Ciano circa il «bisogno di pace dell'umanità» e la necessità di «riavvicinare i popoli che la guerra ha cosf separato» si ha un quadro dell'incontro di Monaco assai diverso da quello che correntemente viene attribuito allo stesso quanto allo spi-
(36) H. CRAS, L'armistice de juin 1940 et la crise franco -britannique, Parigi, Service Historique de la Marine Nationale, 1959, pp. 12-13.
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rito che predominò nelle discussioni italo-tedesche. Un altro elemento che va ricordato è quello relativo alle occupazioni italiane della Francia. Su questo piano il sotto capo di Stato Maggiore dell'Esercito gen. M. Roatta, uno dei tre protagonisti degli incontri, è formale e la sua testimonianza è confermata anche da altre due fonti: fu su richiesta germanica che si convenne l'occupazione della Corsica, della Tunisia, di parte dell'Algeria e di parte del territorio metropolitano della Francia. Il disegno germanico mirava ad isolare del tutto la Francia superstite da contatti con l'esterno mediante una fascia di occupazione propria alla frontiera con la Spagna, ormai a pochi giorni dall'avanzata delle truppe germaniche, e da un'analoga fascia di occupazione italiana alla frontiera franco-svizzera da fare derivare dalle offensive alpine dell'esercito italiano. Dopo questo isolamento la Francia poteva costituire con la sua resa una premessa a ciò che sembrava essere l'obiettivo dell'intero discorso, e cioè ottenere dalla Gran Bretagna un'analoga posizione di negoziato per una pace da raggiungersi in breve durata. Se nell'insieme della storiografia la conferenza di Monaco è abbastanza nota nelle sue linee generali soprattutto a partire dal Diario di Ciano, che insistette sul senso di disagio di Mussolini a trattare con un Hitler vincitore e sul timore che «l'ora della pace si approssimi» senza raggiungere «l'inafferrabile sogno della sua vita: la gloria sui campi di battaglia», la stessa conferenza di Monaco ha alimentato nella storiografia, specie in quella francese, una leggenda di un negoziato dominato da un Mussolini assetato di conquiste territoriali che si fa bloccare in queste sue ambizioni da un Hitler che, forte della sua vittoria solitaria sulla Francia, impone all'alleato un armistizio che, a grandi linee, rifiuta queste occupazioni a danno della Francia. Langer e Gleason hanno dato dell'incontro un resoconto abbastanza fedele ma, insistendo sulle cautele di Hitler a favore di una certa politica di alleggerimento delle rivendicazioni per favorire la firma di un armistizio e soprattutto la permanenza in Francia del governo francese, hanno indotto taluni a ritenere che le tesi in presenza a Monaco fossero due: quella vincente, di Hitler per una politica «generosa» verso la Francia e quella perdente di Mussolini caratterizzata da una intransigenza generale in favore delle proprie «rivendicazioni territoriali» a danno dei francesi (37). Lo stesso Henri Michel, il quale conosce assai bene la questione, non si allontanò di molto da questa posizione ma la periodizzò in modo arbitrario e quindi errato, affermando che le rivendicazioni italiane, note a Hitler
(37) W. L. LANGER • S. E. GLEASON, The Challenge to /solation 1937-40, Londra, R.I.l.A., 1952, p. 555. .
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prima dell'inizio del conflitto franco-italiano, non erano state piu accettate dallo stesso Hitler allorquando con la propria ritardata dichiarazione di guerra l'Italia fascista si pone tra i vincitori della Francia. Il discorso non fa ancora apparire un collegamento di rifiuto ma lo lascia nel sottinteso affermando: «Mais l'entrée tardive de l'ltalie dans le conflit, la relative mansuétude que Hitler avait, par tactique, exprimée en juin 1940, en faveur de la France vaincue, renvoyaient à la conclusion de la paix la satisfaction des revendications italiennes ... De toutes façon, la paix, c'est le vainqueur, c'est Hitler qui la dictera>> (38). Non si può certo criticare l'insieme delle affermazioni di Miche!, ma si può dire che esse paiono lasciare intendere che a Monaco il rapporto di Hitler-Mussolini sia stato fondato su un dualismo tra generoso e oltranzista a proposito della futura condotta dei due nei confronti della Francia vinta. Ciò che non è vero in quanto, se vi è stata da parte di Hitler quella preoccupazione di non invadere tutta la Francia per non favorire la creazione di un governo francese in Inghilterra o altrove e di permettere l'esistenza di un governo francese in Francia che fosse l'unico responsabile giungendo persino Hitler ad affermare, secondo Roatta: «Se noi avessimo potuto pensare che, non occupando Parigi, il governo francese vi sarebbe rimasto, non avremmo occupato Parigi», ciononostante le idee di Hitler a proposito dell' armistizio non mutano. E non mutano i propositi di occupare e di mantenere ciò che è già occupato e di vedere l'Italia occupare ciò che la richiesta dell'armistizio da parte della Francia non ha consentito ali 'Italia di occupare. Da quelle affermazioni di Miche! nacquero quasi di conseguenza le successive affermazioni di storici francesi che radicalizzarono ciò che Miche! non aveva serino ma aveva lasciato nel vago. Il Launay, per esempio banalizza Monaco: « ... À Munich, Mussolini dut en rabattre de ses prétentions. 11 n'était pas question d ' une frontière franco-italienne longeant le Rhone comme le demandait l 'Italie. Qui était le mai'tre de la situation? Assurément pas le Duce. Il dut s'incliner. .. » (39) . E da qui il passo verso la leggenda è breve, e il Launay lo compie: «Hitler avait besoin d'une France épargnée, quasiment privilégiée ... ». È lo stesso Pierre Queuille a scrivere proseguendo nello stesso equivoco: «en fait, par anticipation et en se conformant en cela aux accords de Munich, l'Italie s'était pliée à la pression allemande avant meme que débutàt la
(38) H. MICHE.I., Lu re/ations franco-110/iennes (de l'armistice de juin 1940 d l'armistice de september 1943), op. cit., p. 490. (39) M. LAUNAY, op. cii., p. 29.
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négociation romaine .. .» C40>. E gli esempi di questa visione errata si possono allargare anche allo stesso Robert Aron, il massimo storico della Francia di Vichy, che non esista a scrivere, giocando su un presunto dualismo di posizione individuato a proposito delle occupazioni di regioni francesi tra Hitler e Mussolini: «Hitler d'abord cherche à ne pas trop abuser de sa victoire. Au cours d'une entrevue qu'il avait eue le 18 juin avec Mussolini, il s'était employé à modérer les demandes italiennes. Le Duce ... aurait voulu profiter de ses succès in extremis: ... Si Hitler s'oppose à ses exigences ... ce n'était pas, on s'en doute, par sympathie pour la France . .. » (41 ). Non citando l'incontro di Monaco ma a proposito dell'armistizio di Villa Incisa lo stesso Jean Baptiste Duroselle afferma che «sa modération (di Mussolini) avait été dictée par Hitler» (42). Queste posizioni degli storici francesi piu accreditati ha portato ad una generale accettazione di queste tesi ed anche uno dei piu attenti osservatori italiani della Francia di Vichy, Maurizio Serra, non manca di sposare la teoria di un Mussolini avido che si fa reprimere nelle sue rivendicazioni, proprio a Monaco, da un Hitler assai ben disposto verso la Francia vinta. «Alle smodate richieste del Duce fu il Fiihrer a reagire cautamente, tant'è vero che non concesse all'Italia di occupare la Tunisia .. .». È lo stesso studioso piu avanti nella sua opera ad affermare: «Vi era poi una zona di occupazione italiana, concentrata intorno a Mentone, di trascurabile estensione giacché Hitler aveva imposto a Mussolini di limitarla ai territori effettivamente conquistati . .. » (43) Anche nel caso della trattazione dell'Avantaggiato Puppo il discorso non è chiaro poiché se da una parte l'autrice ritiene di dover escludere questo rapporto di decisione di Hitler nei confronti di Mussolini a Monaco e pare non aderirvi affermando che «non sembra si possa ritenere esatta questa ipotesi», dall'altra sembra propendere per una influenza occulta del Ftihrer allo scopo di modificare il primitivo proposito italiano: «Proprio per cercare di ridurre le pretese di Mussolini, Hitler aveva voluto incontrarsi con lui a Monaco; il Fiihrer si rendeva conto infatti che mai i francesi avrebbero accettato delle rivendicazioni troppo esigenti da parte dell'Italia dalla quale non si consideravano per nulla vinti . .. (44).
(40) P. Q UEUILLE, op . cit., p. 104. (41) R. ARoN, Histoire de Vichy 1940-1944, Parigi, Fayard, 1954, p . 74. Ad Aron si sono ispirate numerose altre storie successive. (42) J. B. DUROSELLE, Le gouvernement de Vìchyface à Vichy, op. cit., p. 83. (43) M. SERRA, Una cultura dell'autorità: la Francia di Vichy, Bari, Laterza, 1980, pp. 7-8. · (44) F. A VANTAGGIATO l'UPPo, op. cit., p. 261.
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Quasi la stessa posizione tenne I' André allorquando affermò: «Ben sapendo che Mussolini intendeva realizzare un vasto piano di rivendicazioni nei confronti della Francia, Hitler aveva quindi chiesto di incontrarlo per tentare di moderare le pretese, almeno in sede di armistizio ... » C4S>. Interessante al riguardo ricordare che ancora il 23 giugno (alle ore 22,15 per l'esattezza), l'addetto militare germanico presso l'ambasciata germanica a Roma, gen. Von Rintelen, dava alle supreme autorità italiane l'indicazione secondo la quale era ribadito che «il Fiihrer credeva che fosse opportuno di separare la Francia da ogni collegamento colla Svizzera durante l'armistizio. L'occupazione germanica è stata determinata secondo il trattato d'armistizio conforme ai colloqui di Monaco soltanto fino alla punta ad ovest di Ginevra. Perciò il Ftihrer riterrebbe molto desiderabile l'occupazione almeno della linea Frangy (30 km a sud di Ginevra) - Annecy - Albertville - MoOtiers - Piccolo S. Bernardo da parte delle truppe italiane per la durata dell'armistizio» (46). E questa comunicazione, specie per le polemiche e le interpretazioni successive dell'atteggiamento di Mussolini, valga a rendere evidente la volontà germanica di attenersi per quanto riguardava la posizione italiana al contenuto delle intese di Monaco ed alle sue decisioni in merito alle occupazioni italiane in Francia. In fondo lo stesso tono conciliante ed improvviso di un governo fascista che aveva fin da allora enunciato ripetutamente le proprie rivendicazioni era una sorpresa: lo stesso autorevole settimanale di politica estera dell'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano, che pur era il portavoce del Ministero degli Affari Esteri, «Relazioni Internazionali» giunse a giudicare «di una generosità inusitata verso il vinto» le clausole dell'armistizio con la Francia C47). E non poteva certo mitigare tale sorpresa la disposizione del Ministero della Cultura Popolare che dava ordini alla stampa di «non sottolineare troppo la figura di Pétain» e di «ignorare la Francia: non dedicarle in nessun caso articoli di terza pagina e corrispondenze. Limitare il notiziario al minimo indispensabile da pubblicare sempre su una colonna, come si conviene ad uno Stato di secondo ordine ... » C4S), Per gli storici la tendenza appare dal dopoguerra ad oggi unanime:
(45) G. L. ANoRE, op. cit., p. 400. (46) Fonogramma del 23 giugno 1940 del gen. von Rintelen al gen. Roana, in USSME· ClAF Racc. 13 fase. 7. (47) L'armistizio con la Francia, in «Relazioni lntemaz.ionaJi,., 29 giugno 1940. (48) C. MATTEIN1, Ordini alla stampa, Roma, 1945, p. 110.
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la posizione di Mussolini si urtò a Monaco con Hitler, che gli impone alla volta moderazione e rinunzie nei confronti della Francia. La realtà storica dell'incontro è ben diversa e vede si i due uomini di Stato impegnati ad evitare una fuga dalla Francia metropolitana di un governo che può domani essere un interlocutore valido in attesa di vincere, ma questa preoccupazione non fa rinunciare nessuno dei due ai propri progetti che sono per la Germania il mantenimento di una occupazione che taglia la Francia in due e per l'Italia l'ottenimento di mete che erano state a lungo meditate dai massimi organi del regime. La prova ne è che dopo il rientro in patria della delegazione italiana venne elaborata sulla base delle decisioni di Monaco (e quindi delle varie rivendicazioni fasciste riconosciute in esso) una bozza, una prima stesura, della Convenzione di armistizio con la Francia la cui entrata in vigore avrebbe, cosi si era convenuto tra Hitler e Mussolini, condizionato l'entrata in vigore dell'armistizio franco-tedesco. Questo «Protocollo delle condizioni di armistizio tra Italia e Francia» constava di sei sezioni di clausole: politico-militari, militari-terrestri, militari-navali, aeronautiche, finanziarie e di ordine generale, le quali tutte esprimevano in una serie di articoli l'insieme delle richieste italiane di Monaco. A questo progetto erano allegati tre Protocolli sui dettagli di esecuzione nei vari settori dell'armistizio stesso <49>. Esso reca la data del 21 giugno e risulta essere stato approvato integralmente in tale data dal Duce stesso. Quindi ben tre giorni dopo l'incontro con Hitler il tipo di armistizio che l'Italia riteneva di voler imporre alla Francia conteneva ancora 1'insieme delle prime rivendicazioni del promemoria Ciano del 17 giugno. Si sa peraltro che non fu questo documento armistiziale ormai pronto attorno al 21 giugno ad essere presentato ai delegati francesi bensi un altro testo che appare amputato delle rivendicazioni, occupazioni e consegne che il primo prevedeva. Per tentare una spiegazione che superi definitivamente l'interpretazione banale e antistorica di una decisione di Hitler al riguardo recepita da Mussolini ridotto a mero esecutore di volontà altrui, conviene riferire la storia della prima stesura sulla base delle testimonianze dei protagonisti. Colui che meglio spiega l'itinerario di redazione del primo documento è il gen. Faldella, che precisa che alle 11,45 del 20 giugno il capo di S.M. mar. Badoglio telefonò al suo sotto capo di S.M. gen. Roatta per la compilazione della convenzione di armistizio che avrebbe dovuto avere quale testo di riferimento il testo che le autorità tedesche avevano compilato per il loro armistizio con la Francia. Lo scopo era quello di dare ai due testi di armistizio au-
(49) L'insieme del progetto del 21 giugno è riportato quale Documento n. I nel Tomo secondo.
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tonomi aspetti armonici nel loro apparato formale. Invece il testo-bozza tedesco non giunse ed il gen. Roatta, con l'amm. De Courten ed il gen. Perino, estensori tecnici del testo italiano, decisero di rifarsi a quelli del 1918 conclusi a Villa Giusti e a Compiègne. Solo a redazione conclusa giunse direttamente da Compiègne, tramite l'esponente diplomatico italiano a Berlino Alfieri, un sunto del testo di armistizio presentato ai francesi dal governo tedesco. In esso, osservò Mussolini che aveva convocato per l'occasione Badoglio e Roatta (alle 19,45 del 21 giugno), l'accordo di Monaco pareva integralmente rispettato da Hitler. Proprio a questo punto avvenne l'imprevisto: MussoHni mutò parere su aspetti fondamentali del testo di armistizio con la Francia annullando l'insieme delle clausole di occupazioni-rivendicazione e quelle relative alla consegna di navi ed aerei. Era una vera bomba di cui Roatta scrive nel suo diario: «Mussolini, a sole nove ore di distanza da quando lo aveva approvato (il corsivo è di Roatta) stabili che le truppe italiane avrebbero dovuto mantenere occupato solo il territorio francese metropolitano che riuscissero materialmente a conquistare coll'offensiva in corso» <SO>. E malgrado l'insistenza dei militari non volle prevedere neppure ciò che appariva essenziale per una buona prosecuzione della guerra nel Nord Africa, cioè l'occupazione italiana della Tunisia che avrebbe posto a disposizione delle forze armate dell'Asse anche i porti tunisini, ciò che sarà successivamente oggetto di negoziati e di crisi nei rapporti armistiziali con la Francia di Vichy. Interessante notare a questo riguardo che secondo queste fonti Mussolini, dopo aver deciso queste varianti al testo di Monaco, si mise in contatto telefonico con Hitler per annunciargli la novità ottenendo da questi la risposta che «lasciava il governo italiano libero di porre le condizioni che ritenesse pili opportune», confermando soltanto il collegamento posto tra i due negoziati e cioè che l'armistizio franco-tedesco non sarebbe entrato in vigore se non lo fosse stato anche quello coll' Italia cs1>. Se questa è la cronaca degli eventi di quelle poche ore per la redazione del testo armistiziale con la Francia, il secondo, resta l'interrogativo di fondo: perché Mussolini cambiò parere cosi all ' improvviso? Mussolini, che fu per questo gesto criticato da ogni parte dai militari, dai fascisti e dai politici, deve essere certamente ricollocato nell ' insieme degli eventi di quelle ore, che sono eventi che danno una dura risposta alle speranze di rapida avanzata a danno della Francia che era (50) M. ROATTA, op. cir., p. 102. (51) 11 gen. Faldella nell'op. cit. dà una minuta descrizione cronologica della fase della stesura e della variazione del progetto di annistizio, p. 178 e segg. Vedasi anche L. S11,10:,.1, Berlino. Ambasciata d'Ira/io /939-1943, Roma, Miliaresi. 1946, p. 133.
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stata prevista a Monaco. Ciano lo nota acutamente: «Mussolini è molto umiliato dal fatto che le nostre truppe non hanno fatto un passo avanti ... In Libia un generale si è fatto prendere prigioniero. Mussolini se la prende col popolo italiano ... » cs2). Vi è un risvolto psicologico anche nella spiegazione del gen. Roatta, che si interroga: «Quali le cause delle anzidette rinunzie? Non certo l'intervento del Ftihrer ... La ragione del repentino mutamento di Mussolini in questa faccenda deve essere un'altra di indole essenzialmente personale: Egli che, in fondo, è sempre stato geloso della potenza militare e dei successi bellici del Ftihrer, che ha sempre sofferto della sua inferiorità rispetto a lui in questo campo, ha ritenuto in primo tempo - malgrado quanto gli prospettavano i "tecnici" - che le nostre truppe, passate, sulle Alpi ali' offensiva, potessero in pochi giorni conseguire risonanti successi e penetrare profondamente. Quando ha constatato che ciò non avveniva (e nelle condizioni di fatto non poteva avvenire), mentre accusava le truppe di "non avere mordente", si ripiegava su se stesso, e risentiva un senso di mortificazione di fronte al Ftihrer, al quale - probabilmente - aveva profetizzato chi sa quali exploits da parte nostra. Ed allora - nel suo dispetto - ha voluto dimostrare della dignità, della "signorilità", ed ha fatto il "gesto" di non occupare della Francia che il territorio materialmente strappatole in combattimento» (53). E non si creda che la «spiegazione» data dal gen. Roatta possa essere ritenuta isolata; molti esponenti militari e politici italiani ebbero la stessa impressione e concordarono in questo giudizio. Il gen. Faldella ricollega il tutto alla situazione generale del fronte alpino in contrasto con i successi crescenti delle armate germaniche; il gen. De Lorenzis lo ricollega «a certe remore morali di Mussolini contrariato e umiliato da quella vicenda bellica» (54). I documenti della Wilhemstrasse danno della vicenda la versione del suo autore, Mussolini, ed è quella contenuta nella lettera del 22 giugno ad Hitler, nella quale il motivo della nuova stesura del documento di armistizio italiano è data come risultato del desiderio «di facilitare l'accettazione dell'armistizio stesso da parte dei francesi», che alcune voci facevano pronti a creare ad Algeri un governo in esilio con tutte le conseguenze negative che ciò avrebbe comportato per l'andamento generale della guerra in Europa (55).
(52) G. CIANO, op. cit. (53) M. ROAT'TA, op. cit., p. 104. (54) U. DE LoRENZ!S, Dal primo all'ultimo giorno, Milano, Longanesi, 1971, p. 36. (55) Lettera del Duce ad Hitler del 22 giugno, in Les Archives secrètes de la Wilhemstrasse, Tomo IX, Livre Il (JJ mai-22juin 1940), Parigi, Plon, 1961, p. 417.
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Su questa decisione italiana di non realizzare appieno le progettate occupazioni territoriali a danno della Francia vinta, esiste pure la versione che 1'ex ambasciatore italiano a Parigi della vigilia della guerra, Raffaele Guariglia, ha accreditato nelle sue memorie. Costui narrò, a guerra conclusa, che il merito di siffatta decisione di Mussolini se lo attribuiva Ciano, sulla base di inedite considerazioni geopolitiche fatte valere presso il Duce. «Ciano - riporta il Guariglia - in automobile, mi disse che era stato lui, contrariamente al parere di altri Ministri guerrafondai, a persuadere Mussolini a limitare al minimo indispensabile la nostra occupazione militare del territorio francese in regime d' armistizio. E ciò perché, mi disse lo stesso Ciano "con la Francia conveniva riprendere subito buoni rapporti d'amicizia e di collaborazione, e non compromettere l'avvenire, lasciando intatta la possibilità di intese e di concessioni bilaterali nel quadro di futuri trattati di pace". Ignoro se e quale parte ebbe in effetti Ciano, contrariamente all'intese raggiunte coi tedeschi, nella fissazione delle limitate clausole territoriali dell'armistizio italo-francese, che furono ugualmente criticate da contrapposti punti di vista. Certo è però che egli mi fece le dichiarazioni molto sagge sopra riportate» (56). Quanto al valore di questa «rivelazione» non vi sono soverchie conferme della sua validità, anche perché non ebbe mai molta dimestichezza il Guariglia con le gerarchie fasciste che pur l'avevano nominato all'ambasciata a Parigi in un momento tanto difficile per le relazioni italo-francesi. Per convincersene basterà ricordare che mai il Duce si decise a ricevere il proprio ambasciatore in udienza pur abbondando lo stesso Mussolini in colloqui con molti esponenti minori della stessa ambasciata. Quanto al proprio ministro, Ciano, basterà ricordare, per capire i suoi rapporti con Guariglia, che al momento della nomina a Parigi, richiesto al Ministro di sapere cosa doveva fare a Parigi, gli fu risposto da Ciano: «Nulla». Al che Guariglia rispondeva: «Sarà assai difficile, ma farò del mio meglio». Riguardo al nostro punto, forse ad un simile ambasciatore potè risultare difficile per Ciano confidare questa sua pressione su Mussolini per salvaguardare l'avvenire delle relazioni italo-francesi che non era stato certo al centro delle sue preoccupazioni quando Guariglia era a Parigi. Se questo è stato il sottofondo diplomatico del negoziato di armistizio ancora prima dell'inizio vero e proprio della trattativa formale con i francesi «vinti» dall'Italia, va ricordato che l'ordine dato da Mussolini
(56) R. GuARIGUA, Ricordi. 1922-1946, Napoli, Ed. Scientifiche Italiane, 1949, p. 472.
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al ritorno da Monaco di attacco generalizzato sul fronte alpino per «penetrare il piu profondamente possibile nel territorio francese» allo scopo di presentare ai negoziatori francesi una situazione nuova con vaste zone di occupazione in Francia delle truppe italiane, non portò a grandi risultati. L'accurata analisi di Gallinari non ha dubbi: l'ordine, o meglio il contrordine, «coglie l'Armata in piena crisi di schieramento con grandi unità e artiglierie in movimento e l'apparecchio logistico in via di organizzazione ... » <57). In una simile situazione i risultati non potevano essere, malgrado aggressività e valore degli attaccanti, se non assai modesti, con l'unica «conquista» importante della cittadina di Mentone e di una magra striscia di terra a ridosso della stessa: poco, troppo poco per chi riteneva sicura e rapida la conquista dell'intera valle del Rodano (58). La baldanza dell'Armée des Alpes comandata dal gen. Olry si può leggere nel suo Ordine Generale della battaglia che trovò un'eco estremamente sensibile nell'ambito stesso del negoziato di armistizio francogermanico nelle dichiarazioni del capo della delegazione francese gen. Huntzinger davanti alla delegazione germanica a Rethondes (59). Il ripensamento di Mussolini a proposito del contenuto dell'armistizio franco-italiano appare anche importante per le sue conseguenze sull'andamento generale dei negoziati con la Francia: alcuni uomini politici francesi, e tra essi persino alcuni membri del gabinetto Pétain, contavano infatti proprio sull'eccessiva dimensione delle rivendkazioni italiane per riproporre l'eventualità di un riesame del ritiro del governo nel Nord Africa e la prosecuzione ad oltranza della guerra contro I' Asse. In ogni caso i francesi si aspettavano condizioni assai dure anche se il caso italiano era diverso da quello germanico. Come scriveva l'ambasciatore francese presso il Vaticano Wladimir D'Ormesson: «Les Français admettront moins difficilement les sacrifices à faire à une Allemagne qui lesa vaincus qu'à une Italie qui n'à remporté sur eux aucune victoire ... La force allemande exerce sur le peuple français meme
(57) V. 0ALLINARI, op. cit., p. 135. (58) Su Mentone e la sua occupazione vedasi da parte francese P. MOLINARI - J. L. PANl· CACO, Menron dans la tourmente 1939-1945, Mentone, SAHM 1984. (59) Rivolto alle uuppe dell'Armle des Alpes il proclama del geo. Olry non appare quello di un comandante costreno alla resa: «Rédui1es, face à la fronù~re italienne, aux troupes de forteresse et à 3 Divisioos d'Infanterie, elles ont contenu Ics deux armées qui leur é1aient opposées, à l'effectif d'une trentaine de Divisions. Des Troupes d'Avant-Postes qui n'avaient qu'une mission de surveillance, se sont confié à elles-memes des missions de résistaoce, de cootre-anaque meme. Dans certaines actions, elles 001 fait des prisonniers en nombre su~rieur à leur propre effectif. Nos ouvrages d'Avant-Postes ont tenu vaillamment, m€me encercl6s. Notre Position forùfiée, qui n'à été atteinte que sur une partie infime du front, n'a nulle part été violée». Geo. MER, La batailles des Alpes, in «Revue Historique de l'Armée», sett. 1948, p. 47.
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malmené par elle, une attraction politique plus puissante que la force beaucoup moins effective de l'Italie ... » ((,()). Cionostante il problema dei rapporti armistiziali con l'Italia esisteva, e l'esclamazione di un Weygand al consiglio di governo la sera del 21 giugno: « ... Qui nous dit que l'ltalie ne demandera pas à occuper aussi une portion du territoire? ... » è significativa (61). Alla luce delle situazioni precedenti, il presidente della Terza Repubblica (dimesso ma ancora in funzione) Albert Lebrun già anticipava: «Il ne sera pas possible designer l'armistice italien ... ». «Ainsi tout se jouait à Rome» dichiara Queuille, e Badoglio che si fece portatore delle «rinunce» italiane, quasi alla vigilia della rottura, salvò con questa nuova presa di posizione l'armistizio di Rethondes ed anche l'intera scelta armistiziale di Pétain e dei suoi in un quadro peraltro accettabile che Queuille qualifica di «courtoisie souriante». Il fatto è che ciò che il governo francese riconosceva alla Germania quale diritto del vincitore non era riconosciuto all'Italia che non aveva mai ottenuta alcuna vittoria militare sulla Francia. Anche durante le trattative di armistizio franco-tedesche non era mancato un chiaro cenno a questa situazione allorquando, nel corso del negoziato del 21 giugno, il geo. Huntzinger, capo della delegazione francese, aveva espresso sul progetto di armistizio alcune opinioni del suo governo, che insistevano sulla dualità e quindi l'antagonismo tra la situazione tedesca e quella italiana. Per la prima, pareva ormai rassegnata la delegazione francese ad accettare la supremazia che l'armistizio sanciva quale conseguenza «normale» di una sconfitta che i francesi risentivano come reale; nel caso de Il 'Italia l 'acquiescenza francese non esisteva proprio, ed il tono delle polemiche contro l'Italia «che non aveva mai vinto la Francia» fu oltremodo duro: «La grande année allemande, dont les Français ont toujours reconnu les qualités militaires, a battu la France. Il doit cependant souligner qu 'à la fin de la dernière guerre la France n' a pas exigé d'occuper plus de la moitié de l' Allemagne. L'occupation allemande équivaut à une oppression définitive. Ces conditions sont rendues infiniment plus dures par le fait qu'un autre pays, au delà des Alpes, qui n'a pas battu la France, pourrait peut-etre avoir des exigences analogues. Si c'était réellement le cas, la France ne s'inclinerait en aucune circonstance. Elle reprendrait la lutte et se battrait jusqu 'au bout. Tout compte fait, la France a la possibilité de poursuivre la guerre, de ses colonies; la flotte française n'est pas battue, et l'aviation française
(60) In Actes et documems du Saint-Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, Roma, 1985, tomo IV, p. 143. (61) P. QUEUll.LE, art. cit., p. 101 e p. 106.
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est également intacte. Il ne dira rien de plus au sujet de l'attitude de l'Italie pour ne pas empoisonner l'atmosphère des négociations mais, parlant à des soldats il sait que dans un cas com.me celui-ci, mème !es choses qui n'ont pas été dites seront comprises. Com.me il ignore les demandes que l'Italie pourrait faire au sujet d'une occupation, il ne lui est pas possible d'apposer sa signature au bas de l'accord allemand d'armistice. Il existe une justice supérieure qui doit entrer en ligne de compte mème lorsqu'il s'agit de conclure un traité d'armistice, et la France ne se laissera pas humilier et déshonorer. Les Allemands ont d'ailleurs déclaré - le Fuhrer lui-mème l'a dit - qu'ils voulaient conclure une paix juste. Un traité avec l'Italie qui contiendrait des exigences analogues relatives à l'occupation, de telle sorte que finalement il ne resterait rien de la France, serait en contradiction avec ce principe et signifierait l'oppression et l'humiliation de ce pays. Après 1870 la France s'est rétablie lentement. Cette fois, elle a reçu un coup plus dur. L'armée allemande a conquis la France; celle-ci doit donc subir les conséquences de sa défaite. Mais il n'en va pas de rnème pour ce qui est de l'Italie, et la France n'acceptera pas !es mèmes , conditions ... ». La linea di condotta del gen. Huntzinger si rivelava cos( duplice: da una parte sottolineare presso i tedeschi che la loro era una situazione eccezionale e singola dovuta alla loro effettiva attività militare, e dall'altra mandare messaggi all'altra parte, l'Italia, a proposito del contenuto ancora ignoto del suo trattato di armistizio. Vi era anche da parte del delegato francese un sottile gioco di equilibrio tra tedeschi ed italiani che i tedeschi in fondo accettarono, specialmente il gen. Jodl, che consisteva nel voler tra Roma e Berlino scegliere Berlino quale interlocutore valido e futuro piuttosto che Roma. A tal punto questo gioco della divisione pare vincente che negli stessi documenti tedeschi tutte le accuse, o messe a punto, del gen. Huntzinger figurano puntualmente senza commenti e vi figura anche la dichiarazione, non smentita da alcun delegato tedesco che Huntzinger fece alla seduta successiva della Commissione allorché, pur rammaricandosi di essere stato fin troppo violento nel suo discorso a proposito dell'Italia, non mancava di soggiungere che «di fronte alla mancanza di reazione da parte dei tedeschi, egli traeva l'impressione che i tedeschi condividessero le sue opinioni sugli italiani ... » (62). La manovra francese mirava a incrinare a proprio favore ciò che si riteneva di poter individuare nella clausola dell'art. 23 circa il collegamento automatico tra la sottoscrizione dell'armistizio con l'Italia
(62) Les Archives secrètes ... op. cit., p. 378 e p. 385.
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e l'entrata in vigore di quello con la Germania: l'intera parte finale del negoziato di Rethondes fu dominato da questi timori di dover subire un armistizio troppo pesante per essere accettabile dalla Francia, che continuava a ritenersi non battuta dall'Italia. La posizione di Huntzinger fu ribadita per la terza volta nel protocollo finale dei negoziati allorquando riaffermò la decisione del governo francese «di non sottomettersi a certe condizioni imposte dall'Italia preferendo eventualmente optare per un'altra scelta. La Marina e l'Aviazione francesi sono ancora intatte ricordava Huntzinger - e avvenga ciò che avvenga, l'Onore appare piu importante della vita ... ». Che il capo della delegazione francese facesse simili dichiarazioni in sede di negoziati di armistizio, potrebbe sembrare ovvio, ma ciò che sembra curioso è lo spazio che i tedeschi lasciarono allo stesso nei loro negoziati, quasi compiacendosi di talune di queste affermazioni; curioso anche che al termine delle trattative il gen. Keitel rivolgesse al gen. Huntzinger talune espressioni personali per dirgli «quanto avesse apprezzato il modo coraggioso, leale e abile con il quale costui avesse difeso gli interessi del suo paese in un'ora certo difficile». Se abbiamo dato un certo spazio a questo aspetto dimenticato, ma non marginale, di questa prima trattativa franco-germanica è perché essa può costituire, in un quadro cronologico che si arricchirà successivamente di molti elementi, il primo sintomo di una azione diplomatica delle autorità di Vichy a proposito dello stato armistiziale, che consisteva in prima istanza nel giocare la carta germanica allo scopo di avere vantaggi quanto ai propri rapporti con l'Italia, pronta poi la Francia di Vichy a giocare la carta «latina» di solidarietà con le autorità italiane allorquando la trattativa con Berlino si troverà arenata su irrigidimenti germanici. Le autorità italiane peraltro non ebbero allora sentore dell'intera vicenda di Rethondes, e la relazione del gen. E. Marras al governo italiano circa le trattative di armistizio tra Francia e Germania non danno echi di queste vicende. L'intento di Marras era di mettere al corrente il governo italiano della situazione venutasi a creare tra francesi e germanici durante la trattativa armistiziale, e il fatto che egli abbia insistito nell'indicare il gen. Huntzinger quasi l'unico protagonista della trattativa, «che ha fatto ottima impressione ai tedeschi per il suo contegno molto militare e dignitoso», va collegato a quanto il gen. von Tippelskirsch e il gen. Jodl trasmisero a Marras riguardo ai francesi, «che avevano opposto molte obiezioni al collegamento dei due armistizi dichiarando che la Francia non era stata ancora battuta dall'Italia» (63).
(63) Gen. E. MARRAS, Comunicazioni relative al testo del tra/lato di armistizio tedesco-
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Analizzando la posizione mussoliniana, e quindi italiana, a proposito dell'annistizio con la Francia, non va sottaciuto che il suo testo edulcorato nei riguardi delle rivendicazioni territoriali italiane non è da ritenersi una sincera revisione del vasto programma che il regime richiedeva. Si trattava bensf di un accorgimento tattico che la storia successiva dell'annistizio rivelerà e che, fin dal 7 luglio 1940, pochi giorni dopo quindi della firma dell'armistizio con la Francia, sarà «rivisto» in occasione delle discussioni sulla pace imminente anche con la Gran Bretagna, che le due potenze dell'Asse ritenevano di poter negoziare con Parigi e con Londra. Ciano nel suo Diario ce lo dice, ma chi lo scrive con maggiore precisione è Leonardo Simoni che, alla data di domenica 7 luglio ricorda: «Al Castello di Bellevue (mastro di cerimonie con mazza d'argento, domestici giganteschi in polpe, profusione di fiori e, nel parco pieno di sole, qualche uccellino che canta ma nessuno ci bada), mi consegnano un foglietto di carta velina spiegazzato, da tradurre. È l'elenco delle cosiddette aspirazioni italiane, il «conto» che l'Italia presenta alla Germania e Ciano porgerà stamane al Ftihrer. Ecco le aspirazioni: Nizza, Corsica, Malta: annessione; Tunisia, piu un pezzo di Algeria: protettorato; Siria, Libano, Palestina, Transgiordania: riconoscimento della indipendenza ed occupazione, da parte italiana, delle posizioni strategiche. Trattato di alleanza esclusiva con l'Italia; cessione delle azioni delle compagnie petrolifere; Aden, Perim, Sokotra: occupazione militare; Egitto e Sudan: sostituzione dell'Italia all'Inghilterra nella posizione politico-militare e giuridica; Suez: liquidazione della compagnia e istituzione di un regime speciale; Cipro: alla Grecia in cambio della cessione di Corru e della Ciamurria; Somalia britannica, Gibuti, Africa equatoriale fino al Ciad: cessione. Il programma mi pare non faccia una grinza e corrisponde ai nostri sogni di impero mediterraneo. Resta soltanto da conquistarlo. Non sarà cosi facile, a meno che i tedeschi si sbarazzino dell'Inghilterra» (64). Alla luce di questo documento, e piu tardi delle stesse dichiarazioni di Mussolini al presidente della CIAF, gen. Arturo Vacca Maggiolini (del 17 settembre 1942), pare proprio che le «rinunce» italiane altro non erano se non espedienti tattici del tutto momentanei.
francese e informazioni varie sulle trattative, 23 giugno 1940, p. 2, in USSME-CIAF, Racc. l, bS. In questo documento ci si compiace anche per il fatto che «il Fiihrer ha voluto escluder dall'armistizio tedesco qualunque clausola riguardante il Mediterraneo, considerando questo bacino come zona d'influenza italiana>>. (64) L. SIMONI, op. cit., p. 142.
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I negoziati di Villa Incisa
Firmata la convenzione a Rethondes, i delegati francesi si trovarono ad affrontare il negoziato con l'Italia; fu la stessa delegazione che aveva negoziato con i tedescru la quale, trasportata in aereo (germanico) fino a Roma, si vide recapitare il testo del progetto di accordo elaborato dopo le decisioni del Duce dal primitivo testo pronto fin dal 21 giugno: alle ore 16 del 23 giugno a Villa Incisa, nei pressi di Roma, vi fu il primo incontro tra le due delegazioni sotto la presidenza del ministro Ciano. Oltre a Ciano la delegazione italiana comprendeva il capo di S.M. mar. Pietro Badoglio, e i sotto capi di S.M. delle tre armi Francesco Pricolo (Aeronautica), Domenico Cavagnari (Marina) e Mario Roatta (Esercito). Di fronte a costoro la delegazione francese comprendeva sotto la presidenza del generale d 'armata Huntzinger, l'ambasciatore Léon Noel, il gen. di C. d' A. Henri Parisot, il vice ammiraglio Maurice Leluc, il gen. di brig. aerea Jean Marie Bergeret; a questi delegati ufficiali si affrancavano il col. Lacaille (al seguito di Huntzinger), il ministro Rochat e il ministro Lagarde (al seguito di Noel), il cap. De Vene! (al seguito del gen. Parisot), il com. De La Rosière (al seguito dell'aro. Leluc), il ten. col. De Dumast (al seguito del gen. Bergeret) ed il com. Donati, ufficiale interprete. Dopo brevi parole di Ciano e di Badoglio, Roatta lesse il testo francese della convenzione che il gen. Huntzinger ottiene di poter trasmettere al proprio governo per averne il parere e le decisioni. Pertanto la riunione vera e propria sì concludeva convocandosi per l'indomani per un secondo incontro. Il testo delle proposte italiane era assai diverso dal primo testo elaborato nell'euforia dell'offensiva sulle Alpi dal quale ci si ripromettevano grandi conquiste nell'immediato (65) . Esso appariva piu sobrio, e di grandi risultati e di vaste occupazioni non si parlava; piu
(65) TI testo di questo progetto di Convenzione si trova nel Tomo II quale Documento n. 2.
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consono alla situazione militare venutasi a creare tra i due eserciti, non diede all'animoso gen. Huntzinger modo di riproporre le sue considerazioni di Rethondes; la delegazione francese che, nota il gen. Arrnellini, «portava sul viso l'espressione del dolore e dello smarrimento» <66>, non si concesse alcuna dichiarazione, se non quelle che il governo di Bordeaux avrebbe ritenuto di fare l'indomani dopo lo speciale Consiglio di governo. Sul testo di convenzione proposto dal governo italiano, il governo francese fece una serie di obiezioni che converrà esaminare nel dettaglio dividendole subito in due categorie: quelle rilevanti, e furono solo due, e quelle di minor importanza, che peraltro sono sempre significative. Tra le rilevanti, la piu militare comportava la cessione all'Italia degli aerei che l'art. X prevedeva, quale automatica conseguenza della firma dell'armistizio; il gen. Bergeret richiese per l'aviazione francese lo stesso trattamento riservato alla marina, le cui navi erano state bloccate nei porti ma non trasferite all'Italia. La richiesta francese venne accettata dal mar. Badoglio che forse diede subito prova di ciò che J'amb. Léon Noel nella sua testimonianza chiama «la volonté des ltaliens de se montrer conciliants ... » (67). Altra modifica di spicco: quella relativa al secondo paragrafo dell'art. XXI relativo all'impegno de] governo francese di voler consegnare alle autorità militari italiane «individui di nazionalità italiana rifugiatisi in Francia»; era la questione della cattura dei «fuoriusciti» . antifascisti che già aveva avuto modo di essere evocato nel testo armistiziale tedesco a proposito dei «fuoriusciti» tedeschi che la Gennania reclamava. Il gen. Huntzinger si elevò contro questa pretesa di cessione che pure il testo franco-tedesco aveva confennato; la legge della sacra ospitalità che la Francia aveva da anni praticata escludeva una simile ipotesi di consegna, e pertanto se ne chiedeva l'abolizione e non piu come nel caso tedesco che fosse esplicitamente dichiarato che per simili individui si volesse solo evocare i «fomentatori di guerra e di disordine». A parte la «difesa» del diritto di asilo politico fatta in questa occasione dal gen. Huntzinger, non va dimenticato che l'intera questione è stato oggetto di una vera querelle tra a1cuni a proposito dell'affermazione di Carlo Sforza, inserita in un suo libro di memorie, secondo la quale furono i delegati francesi ad offrire, quasi per ingraziarsi la delegazione del-
(66) Q. ARMELLlNl, Diario di guerra. Nove mesi al Comando supremo, Milano, Garzanti. 1947, p. 38. (67) L. Noa, Un témoignage: le Diktat de Réthondes et l'armistice franco-italien de juin 1940, Parigi, Flammarion, 1945, p. 97. Si veda anche Mar. BADOOLIO, l'Italia nella seconda guerra mondiale, Milano, Mondadori, 1946, p. 47.
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l'Italia fascista la consegna di 50 mila italiani rifugiati in Francia mentre i negoziatori italiani avrebbero consigliati i delegati francesi a non insistere con questa offerta. La relazione riportata da Sforza parla di questa lista di «traditori» antifascisti e sul fatto che alle offerte del gen. Huntzinger, due «galantuomini non asserviti al fascismo» (non li nomina) avrebbero risposto: «Offriteci ciò che vi domandiamo, non ciò che non vogliamo sapere; non facciamo le spie, noi» (68) . L'intero episodio non risulta che dallo Sforza; ogni piu accurata ricerca negli Archivi francesi da noi compiuta non ha mai approdato a nulla di simile per quanto riguarda il negoziato d'armistizio; l'esistenza di una lista di 50 mila nomi o la scelta di una simile strategia nel negoziato con l'Italia non possono essere ritenuti marginali o collegati all'andamento di una discussione estemporanea: tracce però non ve ne sono, e se colleghiamo questo fatto all'effettiva difficoltà per Sforza di avere documentazione dal suo esilio, su questa trattativa ci sembra di poter escludere un simile episodio che tutti gli storici non hanno ritenuto di accettare, collegato com'era all'altra questione dei fuoriusciti tedeschi già evocata a Rethondes, da parte dei tedeschi e solo da costoro. Senza giungere alle conclusioni polemiche di Francesco Frola (69), si può peraltro affermare anche sulla base della testimonianza a noi resa dall'amb. Noel che la questione dei fuoriusciti, che non era presente nel progetto di Convenzione di armistizio del 21 giugno (che era prevalentemente militare e strategico), ha solo origini italiane che la testimonianza di Badoglio sulla posizione di Mussolini al riguardo conferma ampiamente. Nel caso concreto dell'art. XXI Badoglio si rifece a Mussolini, il quale dapprima accettò la proposta francese di modifica ma poco dopo rimproverò allo stesso Badoglio di aver ceduto ai francesi proprio sul punto sul quale i tedeschi non avevano creduto di cedere al «pretesto» francese del diritto di asilo. E nella ridda delle «voci» circa i mutamenti italiani e le fasi del negoziato di Villa Incisa non mancò chi, in buona fede, ritenne che l'edizione variata del testo armistiziale fosse dovuta all'abilità dei negoziatori: Marius Sarraz Boumet, pur cosi attendibile allorquando riferi della sua revisione, sostenne una tesi che non ha nessuna realtà. Secondo questa «testimonianza» riferita, la delegazione francese, alla lettura delle condizioni di occupazione della Francia fino al Rodano, avrebbe sospeso ogni negoziato con gli italiani e «après une suspension des né-
(68) C. SFORZA, L'Italia dal 1914 al 1944 quale io la vidi, Milano, Mondadori, 1946, p. 200. (69) Alludo a F. F'ROLA, Il vecchio scemo e i suoi compari, Torino, Fiorini, 1947, dove l'old fool era Carlo Sforza.
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gociations qui se prolongea plusieurs heures ... nos plénipotentiaires qui avaient menacé de suspendre les négociations si l'occupation envisagée était maintenue, obtinrent gain de cause ... » (70). La realtà, come vedremo, fu ben diversa e questa versione può essere solo collocata nella generale tesi della «resistenza» opposta da parte della Delegazione francese alle richieste italiane che allora il Sarraz Bournet, dopo la Liberazione, riteneva di dover dare per giustificare il proprio e l'altrui operato. L'intero dibattito tra le due delegazioni che, da parte italiana si trova in varie memorie, è documentato da parte francese in una relazione che la delegazione francese compilò a destinazione delle autorità di Vichy e che conferma punto per punto ciò che sapevamo da fonte italiana. Si tratta del documento detto La négociation d' Armistice avec l' ltalie à Olgiati (23 -24 juin 1940). Détail des discussions, che conferma l'andamento generale della discussione che portò alle ore 19,15 del 24 giugno alla firma della convenzione da parte dei due presidenti delle delegazioni, Badoglio e Huntzinger, ed all'inizio, sei ore dopo la comunicazione ufficiale della firma alle autorità germaniche, della cessazione delle ostilità su tutti i fronti francesi con la Germania e con 1'Italia. Ed essendo stata fatta tale comunicazione alle 19,35 dello stesso giorno le ostilità ebbero formalmente termine all' 1,35 del 25 giugno 1940 (71). Sul piano pratico militare la situazione si chiariva, anche se la delegazione francese non insistette, contrariamente al previsto, per conoscere le condizioni alle quali sarebbero stati attuate da parte dell'Italia le smilitarizzazioni che la Convenzione prevedeva all'art. m e seguenti. Per una adeguata visione di questo problema onde meglio conoscere la posizione italiana riguardo ad un aspetto che sarà poi controverso tra le parti, specie per la nascita del cosiddetto «Esercito dell'armistizio» o «Esercito di transizione», appare interessante prendere in considerazione una speciale Memoria'dal titolo Zone, piazze militari marittime e basi navali da smilitarizzare, che lo Stato Maggiore italiano preparò in data 24 giugno, di cui si servi la delegazione italiana cn>. In linea generale alcune modifiche di minor importanza furono ap-
(70) M. SAR.RAZ-BOURNET, Témcignage d'un silencieux (Grand Quartier Général • Turin · Vichy), Parigi, Self, 1948, p. 62.
(7 1) Il testo della relazione della delegazione francese che ha nel titolo solo una parte del riferimento del luogo del negoziato cioè «Olgiati» in luogo di <<Vìlla Incisa d'Olgiati sulla via Cassia a Roma», è stata pubblicata dall'originale del Quai d'Orsay, una sola volta, nel gennaio 1945 in una edizione riservata ed ormai introvabile. Pertanto la si pubblica quale Documento n. 3 nel tomo secondo della presente opera. (72) Il testo inedito della Memoria italiana è riportato quale Documento n. 4 nel tomo secondo della presente opera.
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portate dopo le proposte francese, e riguardarono gli articoli III, IV, VII, IX ed alcuni dettagli di forma: il negoziato che con i tedeschi non era stato possibile si verificò con gli italiani, e da ciò deriva senz'altro il doppio titolo del breve resoconto dell'amb. Noel sui due armistizi Le Diktat de Rethondes et l' armistice franco -italien, de juin 1940. Fu, secondo l'unico testimone di entrambe le trattative, che l'autore del presente volume ha potuto incontrare, la vera differenza tra i due negoziati; dove, nel caso italiano si può perfino giungere ad evocare «un clima cordiale tra i delegati dopo l'inizio imbarazzato specie da parte dei delegati italiani» (73). Sul piano pratico la struttura di consultazione prevista tra la delegazione francese ed il governo di Bordeaux appare tra i piu efficienti con contatti telefonici e radio-telefonici a disposizione dei delegati (74). Sul piano della stesura del documento armistiziale le principali modifiche richieste, ed approvate, riguardavano i seguenti punti: 1) AH' art. III, dove veniva sancita la smilitarizzazione della Costa francese dei Somali e il diritto italiano di servirsi del porto di Gibuti e della linea ferroviaria Gibuti-Addis Abeba «in vista della continuazione della lotta contro l'Impero britannico», tale dizione veniva sostituita con quella piu modesta di: «finché dura l'ostilità dell'Italia contro l'Impero britannico o per la durata dell'armistizio». Analoga modifica veniva introdotta anche all'art. VI. 2) All'art. IV fu aggiunto che, con l'autorizzazione della Commissione Italiana di armistizio, alcune forze militari francesi potevano stazionare nelle zone da smilitarizzare per mantenere l'ordine. 3) All'art. VII fu concesso che nelle zone smilitarizzate restassero delle autorità militari e marittime francesi secondo il parere della Commissione italiana. 4) All'art. IX venne introdotto un emendamento per cui la smobilitazione delle forze francesi nell'Africa del Nord, nella Siria e nella Costa francese dei Somali sarebbe avvenuta secondo norme da stabilire
(73) Gli incontri dell'A. con l'Amb. Lé-On Noel un anno circa prima della sua morte, ebbero luogo a Parigi nella residenza dell'intervistato al quale erano state rivolte tre questioni specifiche: I. «On parie d'un clirnat cordial dans la rencontre de Villa Incisa. Est-ce vrai? 2. L'art. XXI de l'accord d'armistice dans le projet italien comprenait un deuxième alinéa Sut les fuoriusciti italiens en France. Quelle est votre témoignage à ce sujet? 3. Est-ce vrai que si le texte de la convention dans sa première éditfon, à savoir l'occupation de la vallée du Rhéìne et d'un couloir jusqu'à l'Espagne aurait été présenté par l'Italie, Vichy n'aurait pas signé l'armistice?». Le risposte furono molto ampie ma, io breve, affermative per la prima e per la terza domanda. Per la seconda l'Amb. Noel insistette molto sulle resi di Huntzioger condivise dalla delegazione francese e dal governo di Vichy (colloqui del 27 febbraio 1985). (74) Se ne poò vedere lo schema nella Tabella I del presente volume.
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successivamente, tenuto conto «dell'importanza particolare del mantenimento dell'ordine in detti territori» (75) . Esauriti questi contatti e riferitine i termini ai due governi, l'accordo portò alla formale sottoscrizione del nuovo testo di convenzione (il terzo), frutto di una certa cooperazione tra le due delegazioni ed apportatore di una certa evoluzione nei rapporti tra i due Stati che il geo. Huntzinger tenne dopo aver firmato ad evocare in una breve allocuzione di commiato. Rivolto al Mar. Badoglio egli disse: «Permettete, signor Maresciallo, di ringraziarvi del modo col quale avete condotto queste trattative e della considerazione con la quale avete dimostrato di tenere in conto le nostre condizioni e di leggervi il presente messaggio: Monsieur le Maréchal, dans les circostances présentes infiniment douloureuses, la Délégation française trouve un réconfort dans le ferme espoir que la paix qui interviendra bientòt, perrnettra à la France de réaliser son ceuvre de reconstruction et de renouvellement et qu'elle fournira une base solide à l'établissernent de relations durables entre nos deux pays, dans l'intérét de l'Europe et de la civilisation». A simili parole Badoglio rispose con molta cordialità affermando: «Signor Generale, Vi ringrazio di quanto avete detto. I voti che avete fatti sono i miei voti. Non potrei dire altre parole di quelle dette da Voi. La Francia è una grande nazione, ha una grande storia e sono sicuro che non le potrà mancare il suo avvenire. Queste parole da soldato a soldato è quanto anch'io desidero dirVì». È la fine del negoziato e sembra persino la fine della guerra: Badoglio dichiara in auto al ritorno: «Mi sono tolto un peso. A noi soldati queste cose fanno pena perché le capiamo». È Mussolini, subito dopo aver appresa la notizia dell'avvenuta firma, a dichiarare: «Questo è un armistizio piu politico che militare dopo appena 15 giorni di guerra; ma ci dà un buon documento in mano». È il gen. Arrnellini del Comando Supremo, a notare: «La cerimonia è finita e lascia noi soddisfatti, un po' commossi e in balia di svariate considerazioni ... ». È Noel a precisare: «Aucun des Italiens n'avait, cene fois, échappé à l'émotion générale ... ».
(75) Il testo definitivo della Convenzione di annistizio è riportato. quale Documento n. 5, nel Tomo secondo della presente opera.
5.
Nascita della Commissione Italiana di armistizio colla Francia
Firmato il documento armistiziale, in un certo clima di «cordialità», la realtà dei rapporti tra vincitore e vinto che era alla base della convenzione di Villa Incisa impose la sua ferrea logica anche perché, se l'umore ufficiale era mutato rapidamente anche in forza degli eventi esterni, quali l'incerta sorte dei territori d'Oltremare della Francia e la prosecuzione della lotta contro l'impero britannico, tutto ciò era un segreto che non traspariva certo all'esterno. Sul piano pubblico, in Italia come in Francia, rimanevano le passioni e i rancori di quindici giorni di guerra che concludevano tragicamente anni di crisi aperta, ed a tale clima non potè opporsi con successo la breve primavera dei colloqui romani. Pierre Queuille ne ha studiato l'importanza quanto all'impatto diplomatico interno francese in una Francia che già appare dilaniata nelle sue scelte tra Vichy (e la sua malsistemata autorità specialmente nell'Oltremare) e un oltranzismo che appare minaccioso, sia a Vichy, sia all'affermazione concreta dei regimi armistiziali fuori dalla Francia metropolitana occupata o «libera», prepotente com'era la seduzione della dissidenza che, fin dal 18 giugno 1940, aveva trovato a Londra il gen. De Gaulle e le autorità britanniche pronti e sensibili alla prosecuzione della lotta anche contro Vichy ed i suoi uomini. La trattativa di Roma, anche grazie alla posizione piu elastica dei negoziatori italiani, non aveva portato alla rottura che molti si aspettavano: il governo di Vichy era riuscito a salvare da ogni occupazione o seria ipoteca di cessione l'intero patrimonio coloniale francese cosi minacciato del conclamato rivendicazionismo fascista. Cosi l'integrità dell'impero, almeno in questa prima fase, aveva salvato il governo e l'autorità di Pétain. In Francia una certa acquiescenza si faceva quindi
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giorno «tra gli uomini in sospeso in una breve ma fatidica oscillazione tra adesione e ribellione» (76) . L'obiettivo primo di Pétain pareva dunque raggiunto con una autorità alla quale non si sottrasse in quel momento nessuna delle autorità periferiche e coloniali e con la definitiva sconfitta di coloro che auspicavano la prosecuzione della lotta e soprattutto il ripiegamento nel Nord Africa del governo «legittimo» della Francia. Anche per le forze del1'Asse, pur con la differenza di posizione tra Berlino e Roma, la positiva conclusione dell'accordo armistiziale piu delicato, quello con l'Italia, faceva realtà l'aspirazione espressa a Monaco come proposito unitario, che era mantenere «in Francia» un governo francese con il quale trattare e fare applicare le regole armistiziali sottoscritte in vista della cessazione dei combattimenti sulle Alpi e del blocco dell'avanzata a macchia d'olio in Francia delle truppe tedesche. Sul piano dell'opinione pubblica italiana la fase bel] ica, pur senza i trionfi sperati ed annunciati, aveva acceso, con la sua rapida e quasi insperata conclusione con la Francia, le piu illogiche (o logiche?) speranze di raggiungimento immediato delle mete che il regime aveva fin dal 1938 fatto enunciare da Ciano quali «interessi e naturali aspirazioni del popolo italiano» nei confronti della Francia e della Gran Bretagna. li fatto stesso che al tempo delle prime rivendicazioni ufficiali, dopo il 30 novembre 1938, non fosse stato fatto un vero «elenco» delle rivendicazioni stesse, lasciava adito a tutte le congetture al momento della «vittoria» sulla Francia (77). L'euforia della vittoria non riuscf peraltro, neppure a livello dell'opinione pubblica, a fare emergere un punto di vista vagamente comune, proprio mentre le autorità supreme del fascismo avevano deciso di redigere un armistizio ben diverso da quello che il calore dei propositi rivendicativi della vigilia aveva lasciato credere alle folle. La sistemazione geografica della frontiera alpina secondo il testo armistiziale con una serie di linee (verde, rossa, viola e azzurra) aiutava la propaganda fascista a confondere le idee ed a mascherare presso l'opinione pubblica italiana la realtà dell'accordo (78). Sul piano politico, a Roma, la sconfitta della Francia che era avvenuta in tempi cosi rapidi aveva gettato in grave scompiglio le varie autorità del governo fasciste , divise sul da farsi in concreto. A vario livello tutte avevano peraltro da lagnarsi della soluzione scelta dal governo italiano. L'autorevole «Relazioni Internazionali» pareva preci(76) P. QUEUILLE, op. cii .. p. 110. (77) R. RAINERO, La rivendicazione fascista sulla Tunisia, Milano, Marzorati, 1978 e 1980,
p. 303. (78) Sulla sistemazione alpina si veda la Tavola n. 2 nel presente volume.
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sare, alla luce delle posizioni espresse dall'ISPI nei mesi precedenti il conflitto, una intransigenza che poi alla realtà dei fatti non si verificava, affermando perentoriamente a proposito delle «imminenti» occupazioni-annessioni: « ... o le condizioni saranno accettate o l'annientamento territoriale della Francia sarà raggiunto completamente ... » (79). E nel numero successivo dello stesso settimanale, che pur essendo emanazione dirette del ministero degli Affari Esteri di Roma non sapeva nulla dei veri orientamenti del governo italiano, si dedicava ampio spazio alle rivendicazioni storiche: due pagine e mezzo a Gibuti (F. Salata, Il nodo di Gibuti), alla Corsica (G. Volpe, Storia della Corsica Italiana) ed alla Tunisia. E nello stesso fascicolo si ribadiva «la volontà italiana» di ottenere proprio queste mete alla luce dell'armistizio con la Francia che doveva segnare «questo raggiungimento vittorioso dei diritti italiani» (80). Nell'ambito italiano lo spirito comune che si dà alla vittoria dell'Italia (qualcuno dice dell'Asse) contro la Francia è proprio quello del cacciatore nei riguardi della preda che è riuscita ad afferrare. Il discorso appare in questo primo periodo dominato da una febbre ossessiva di annessioni e di conquiste: poco o nessun spazio appare lasciato a ciò che sarà in una fase successiva un vasto (ed oscuro) disegno dell'Asse, a proposito dei vari problemi europei e di quello francese in particolare, che prenderà il nome di «Nuovo Ordine Mondiale». Solo nel 1942 prenderà corpo questo progetto di cui puntualmente si farà carico, editorialmente e politicamente, ancora l'ISPI di Milano con un'opera collettiva curata da Paul Schmidt (81)_ Solo qualcuno come Enrico Gustarelli evocherà la necessità di non cedere a queste soluzioni «vecchie» che la realtà travolgente delle campagne del 1940 aveva sconvolto: «Nella determinazione del nuovo ordine europeo, l'Italia collaborerà con la Germania, la Spagna, la Romania e le altre nazioni, come l'Ungheria, che sul piano internazionale hanno aderito alla realtà storica del nuovo equilibrio. E siccome gli scossoni piu duri all'equilibrio precedente sono stati portati dalla Germania, la quale per prima ha dimostrato l'universalità dell'idea fascista e di conseguenza la naturale simpatia per la nostra Italia, simpatia che si è tramutata in collaborazione e in amicizia, in fraternità d'armi, ne deriva che alla Germania sullo stesso piano dell'Italia e nella stessa misura incombe l'onere della fissazione del nuovo equilibrio. Per questo possiamo affermare che L'Asse determinerà l'ordinamento della Nuova (79) ***, La Francia alla resa dei canti, in «Relazioni Internazionali», 22 giugno 1940, p. 849. (80) ***, L'armistizio con la Francia, in «Relazioni Internazionali», 29 giugno 1940, p. 881. (81) Rivoluzione nel Mediterraneo. La lotta per lo spazio vitale de/l'Italia, a cura di P. SCHMIDT, Milano, !spi, 1942.
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Europa ... » (82). Questa citazione sul Nuovo ordine mondiale è un'eccezione nel coro delle voci che, discordanti ma tutte aggressive, si leva dall'opinione pubblica italiana che vuole ottenere quei compensi per cui la guerra s'era fatta e che, a guerra finita con la Francia, si potevano subito ottenere in attesa di ottenerne altri dalla sconfitta ritenuta «immancabile» della Gran Bretagna. Frutto della crisi interna francese provocata dai guasti della democrazia, del consumismo, della finanza ebraica, della Massoneria e dei partiti politici, la sconfitta della Francia viene spesso vista come il trionfo dell'antica saggezza europea contro questi germi di discordia politica e sociale che la Terza Repubblica aveva largamente aiutato a fare sopravvivere. Un altro elemento che emerge dall'insieme di queste dichiarazioni è un elemento polemico di estrema soddisfazione nel vedere la Francia, fino a ieri tanto temuta e tanto generosa verso i fuoriusciti antifascisti, costretta ad «implorare» la cessazione dei combattimenti. È vero che un simile sentimento appare velato, solamente velato, dalla constatazione che questa situazione non era dovuta direttamente all'Italia poiché la battaglia delle Alpi non era stata conclusa con una «valanga» fascista sul Rodano, ma ci si accontentava dei grandi successi dell'alleato, insistendo sul fatto puramente occasionale della mancata avanzata. Tre elementi vennero indicati all'opinione pubblica per spiegare questi mancati progressi: l'eccezionale situazione atmosferica con forti nevicate in pieno giugno sulle Alpi che avevano portato ad una crisi dei mezzi bellici messi in campo ed inciso notevolmente anche sui combattenti, tra i quali si erano verificati ben 1.583 casi di congelamento. Il secondo elemento era la formidabile struttura difensiva dei forti francesi, vera «linea Maginot» delle Alpi, la cui consistenza aveva reso vani molti attacchi italiani; infine i magri risultati erano stati dovuti al fatto che la campagna era stata fin troppo breve poiché, proprio mentre si sviluppava l'azione, era intervenuta la richiesta francese di armistizio che aveva bloccato ogni proposito di raccogliere i frutti dell'offensiva in pieno corso. Con un simile retroterra di preparazione, l'opinione pubblica sarà ben lieta di celebrare la «vittoria» e di credere ormai giunto il momento, dopo tanto parlare, di raccogliere i frutti agognati della rivalità con i francesi, e con questo spirito manifesti e volantini rivendicativi si moltiplicarono ad opera dei piu vari centri di «cultura fascista» <83). Una postuma diatriba con gli esponenti politici francesi piu in vista della Terza Repubblica si va diffondendo tra i periodici, contro i jamais
(82) E. GuSTARELLI, /I nuovo equilibrio europeo, in «Dottrina Fascista», ottobre 1940, p. 152. (83) Se ne veda un esemplare nella Tavola n. 3 nel presente volume.
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di Daladier e contro il «comunismo» di Blum, ed anche contro taluni giornalisti piu in vista oltre Alpe. Interessante, per esempio, questo «necrologio» di Geneviève Tabouis, animosa giornalista francese sempre in prima linea per attaccare il fascismo ed il suo capo, nei mesi precedenti il conflitto: «Qui giace madama Genoveffa Tabouis pitonessa di Francia. Sapeva tutto, prevedeva tutto, Profetizzando la morte del Fascismo ingannò gli stessi demagoghi del suo Paese che contro la Rivoluzione di Mussolini si ruppero le coma. Calcando ancora una volta la conquistata Gallia le legioni del nuovo Cesare sputano sulla sua tomba» (84). In un simile clima non vi era certo posto per una ben piu realistica visione che potevano imporre l'analisi ed il ripensamento dell'intera vicenda di giugno; tutto appariva semplice e rapido. Quanto semplicistiche appaiono oggi le conclusioni trionfalistiche di un Nicola Marchitto, il quale, all'indomani della resa della Francia dichiarava senza incertezze che «scomparso il fronte francese, Nizza, la Savoia, la Corsica, la Tunisia, la Costa francese dei Somali e altre terre ancora», potevano fin da allora considerarsi «virtualmente tornate all'Italia o da essa acquistate ... » (85). Non è un caso isolato: tutta la stampa si getta nel tripudio delle vittoria che coinvolge, poiché ormai sembra quasi questione di poco tempo, anche la Gran Bretagna. Qualcuno pubblica già l'elenco dei vari possedimenti francesi e inglesi nel mondo invitando i propri lettori «a leggere in fretta» quelle tabelle perché «tra poco non sarà piu cosi» sussurrando alla Corsica di «attendere sicura tra le azzurre acque del fatale Mare Nostro» le grandi novità ormai alle porte (86). Questo «coro» per la vittoria conseguita sulla Francia comprendeva
(84) Questo necrologio è stato pubblicato sul quotidiano di Cuneo «La Sentinella d'Italia» del 26-27 giugno 1940 e fu ripreso da altri periodici. (85) N. MARCHITIO, Il primo mese di villoriose operazioni, in «L'illustrazione coloniale», luglio 1940, p. 25. (86) «La Seatinella d'Italia», 26-27 giugno 1940.
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in pratica tutti i nomi piu noti del giornalismo e dell'attualità del regime fascista. Mario Appelius, ben noto esaltatore radiofonico nei quotidiani «Commenti ai fatti del giorno» della politica fascista, si lanciava in anticipazioni magniloquenti sul futuro riservato dall'Asse alla Francia ridotta ormai «dalla superbia di ieri agli armistizi» conclusi con Berlino e con Roma {87). Per Italo Sulliotti si trattava di una resa dei conti che risaliva al vecchio processo al Trattato di Versailles nel quale, finalmente, «entrava la Corte» ed ovviamente condannava la Francia all'ignominia davanti alla Nuova Europa {88). Anche uno storico di valore quale Ettore Rota si lasciò trascinare da questo clima, andando ad affermare che quello degli armistizi era il momento tanto atteso per realizzare le vecchie rivendicazioni e per riscrivere interamente la storia, magari a partire dalla biografia del condottiero corso Pasquale Paoli, ideale riferimento degli irredentisti corsi e nostrani (89). Un altro giornalista di grido del regime, Virginio Gayda, se la prendeva con l'elenco delle stesse rivendicazioni che la stessa dichiarazione di guerra, guerra che era «fatale e prodotta dall'ingiustizia» della sistemazione versigliese, non aveva enunciato in modo chiaro: Corsica, Savoia, Nizza, Tunisia, Malta e Suez dovevano essere senz'altro annesse, ma ad esse andavano aggiunti «nuovi spazi» un po' dovunque nel mondo coloniale (90). Ma se questo è un aspetto della vicenda italiana in questo primo «dopo guerra» esso non è l'unico: l'analisi delle condizioni generali nelle quali è avvenuto il «crollo» francese è pure al centro delle argomentazioni che riprendono con questa vicenda i vecchi temi cari alla propaganda fascista sui guasti permanenti della democrazia e sull'intima «decadenza» del mondo francese e inglese. L'analisi militare pura e semplice non sembra richiamare molta attenzione, ed anche i militari tentarono una spiegazione globale della crisi francese. È il caso del gen. Cabiati il quale, in un libro sulla guerra-lampo realizzata contro la Polonia, la Norvegia e la Francia, si lasciò sedurre dall'aspetto piu politico che militare: «Il crollo della Francia dopo una lotta durata, nella sua fase di contatto col nemico, una quarantina di giorni, con perdite relativamente esigue, rappresenta a nostro avviso l'avvenimento di gran lunga piu importante della guerra, non solo, ma uno degli eventi piu
(87) M. APPELIUS, La tragedia della Francia. Dalla superbia di ieri agli armistizi di oggi, Milano, Mondadori, 1940. (88) I. Suworn, op. cit., nota 94. (89) E. ROTA, Pasquale Paoli, Torino, UTET, coll. «I grandi Italiani», 1940. (90) V. GAYDA, Che cosa vuole l'!talia?, Roma, li Giornale d'Italia, 1940, p. 447. Per Nizza, il Gayda fece anche ricorso al simbolo della Croce, dove I.N.R.l. diventava, per le necessità della causa, profana: «l Nizzardi Ritorneranno italiani» (p. 456).
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memorabili del secolo ... Data la grandiosità dell'evento, è logico che le cause vadano ricercate in vari settori: politico, spirituale, di preparazione, sociale, militare e soprattutto morale. Il campo d'indagine è pertanto smisurato ... » (9JJ . Anche quelle poche volte in cui l'analisi diventa tecnica, la linea di interpretazione non superava la deprecazione scientifica dell'inferiorità della strategia francese che era rimasta fissa a vecchi schemi. Alla concezione germanica dell'attacco fulmineo, dell'operazione di rottura con conseguente spinta in avanti manovrata per aggiramento, della iniziativa strategica, cioè ad ogni costo, i francesi «non seppero contrapporre altro che il principio della offensiva difensiva o della difensiva aggressiva, che i teorici piu illuminati, a cominciare dal De Grandmaison, avevano da tempo condannata ... » (92). Per il Camillo Pellizzi che scrive per conto dell'autorevole Istituto Nazionale di Cultura Fascista non vi erano dubbi sulla «lezione tecnica» che la campagna di Francia aveva impartito al mondo, cosf come non era dubbio l'impegno italiano a capire che l'elemento materiale (aerei, carri armati, radio) era alla base di ogni successo futuro. Ma a questo punto ecco intervenire l'altra faccia del problema, almeno secondo l'ottica fascista espressa da un altro epigono basista, Concetto Pettinato: la crisi è dovuta a condizioni intrinseche della Francia dove, «viziati dalla politica insensata del fronte popolare salito al potere con le elezioni del 1936, gli operai non lavoravano piu che quaranta ore per settimana e il loro rendimento orario rimaneva di un quinto al disotto del livello normale ... » (93). Accanto a questa crisi, la crisi rurale, quella sociale («con un quinto della gioventu di leva inabile al servizio militare e un consumo annuo di 23 litri a testa di bevande alcooliche, una bettola ogni 80 abitanti ... ») e quella demografica che metteva l'Italia con la sua gagliarda crescita al primo posto. E questa Italia feconda di nascite era il pegno sicuro di ogni speranza: «L'Italia, ed essa sola, concilia la sapienza dei secoli con le ardite esperienze di un nuovo ordine sociale. Essa, ed essa sola, può fondere, nell'equilibrio della razza piu intelligente che abbia nel sempiterno suo corso illuminato il sole, la tradizione degli Imperatori e dei Pontefici, dei guerrieri e degli artisti, dei poeti e dei martiri, che dietro all'unanimità lo spettacolo della forza illuminata dalla giustizia e dalla bellezza.
(91) GEN. A. CABIATl, La guerra lampo. Note e commenti sulle campagne di Polonia, Norvegia e Francia, Milano, Corbaccio, I940, p. 351. (92) La tecnica della guerra attuale, a cura di C. Pelliz.zi, Roma, Istituto Nazionale di Cultura Fascista, 1941, p. 24. (93) C. l'ETIINATO, La Francia vinta, Milano, !SPI, 1940, p. 12.
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Quando gli Stati che attraversarono l'Ottocento come una incursione di pirati sosteranno malinconici davanti alle casse vuote di un bottino che sarà impossibile rifare, l'Italia schiererà intatta la sua armata, egualmente efficiente nel maneggio del piccone e del fucile. Salutiamo, in queste grigie penombre, la generazione giovinetta, che raccoglie la fiaccola caduta dalle nostri mani incallite di tre guerre. Guidata dallo sguardo chiaro e fermo dell'Uomo che ha forgiato sull'incudine dei secoli il metallo dell'Impero risorto, questa generazione cammina, spedita e sicura, sulle strade dell'avvenire, verso un mondo che sorge. Un mondo nel quale ci sarà aria, pane e gloria per tutti. Nessuno può arrestarla. Nessuno l'arresterà» (94). In questa lirica dichiarazione di Italo Sulliotti sta in fondo l 'emblematica situazione di attesa messianica del nuovo ordine che il Fascismo aveva promesso e che la vicenda francese cosf felicemente e cosf rapidamente conclusa sembrava anticipare nelle sue concrete realizzazioni. Forse proprio per questo, come scriveva il gen. Cabiati, «la Francia ha meritato di perdere la guerra», proprio perché la sua disfatta potesse confermare la fondatezza delle analisi precedenti e dare alle sperate rivendicazioni un'attualità generale. Le analisi della «decadenza» della Francia corroborano queste posizioni con la deprecazione delle decisioni di un governo, quello di Parigi, che aveva con il suo regime democratico avviato la Francia verso una politica irresponsabile e quindi verso la sconfitta. Emblematica la posizione dell'autorevole «Civiltà fascista», che tentò una analisi globale di questa crisi francese ricordando: «Fin dall'inizio delle ostilità mancava al soldato francese una chiara visione della guerra che andava a combattere. La classe dirigente democratica aveva cominciato col tradire le sue promesse proprio con la dichiarazione di guerra. Il concetto "difensivo" della democrazia, necessariamente "totale", implicava che la guerra andava accettata solo nel caso di attentato al territorio nazionale. Nel 1914, per esempio, i francesi erano corroborati da due grandi forze morali. La prima, il mito della revanche, mercè il quale tutte le generazioni viventi erano cresciute nell'attesa della guerra contro la Germania. La seconda, l'impressione popolare di essere aggrediti dai tedeschi: bastavano l'ultimatum e la dichiarazione di guerra a creare questo convincimento.
(94) I S uu.10Tit, li processo di Versaglia: entra la Corte!, Milano, Editori Associati, 1940,
p. 112.
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Nel 1939, invece, due fattori di capitale importanza, contribuivano ad infrollire il morale dell'esercito francese. Primo, l'essere vissuti ventidue anni nella persuasione che una guerra con la Germania fosse evitabile e che, nel peggiore dei casi, sarebbe stata combattuta dagli alleati (Unione Sovietica, Polonia, Cecoslovacchia, paesi balcanici), e dai francesi solo al riparo della linea Maginot. Secondo, la sensazione che in fondo in fondo si combattesse per altri e per idealità e per interessi che non erano quelli dell'operaio, del contadino, del piccolo proprietario rurale, del piccolo commerciante ... » (95). Decaduta la Francia, le prospettive future si facevano piu facili specie se si teneva presente che, come era ormai da tutti ritenuto sicuro, la «resa» della Gran Bretagna non poteva tardare. Ed ecco allora in questo clima di gaudio, l'ufficiale VINCERE! a ribadire gli obiettivi di questa vittoria evocata dai piu come una meta quasi a portata di mano. Ogni ardimento pareva autorizzato dal fato benigno. Basterà rileggere la Carta della Vittoria che Mario Appelius si affrettò a redigere in vista della fine di un conflitto che avrebbe segnato, di li a poco, la conferma della nuova vocazione universale del fascismo: «La vittoria significa per noi italiani quanto segue: 1) Assicurare all'Asse la direzione politica dell'Europa. 2) Avere la sicurezza strategica del nostro paese. Questa sicurezza è ormai indispensabile coi progressi che ha raggiunto l'aviazione. Dobbiamo metterci in condizione che nessun paese ostile possa bombardare le nostre città con mezz'ora od un'ora di volo: quindi avere una situazione strategica superiore a quella dei nostri vicini, oppure essere loro amici ed alleati. 3) Avere in vasti spazi africani il posto al sole di cui il nostro generoso e prolifico popolo ha bisogno. 4) Essere padroni dei nostri commerci, cioè liberi di cooperare e di trasportare in patria le materie prime di cui abbiamo bisogno, liberi di vendere e di trasportare all'estero i prodotti del nostro lavoro. 5) Mettere i figli degli italiani in condizione di parità coi figli degli inglesi, dei nordamericani, dei francesi, senza ingiusti privilegi a favore di certi popoli ed una perenne condizione di inferiorità a danno dei nati da mamma italiana. 6) Avere un lungo periodo di sicura, dignitosa e prospera pace. 7) Creare una nuova civiltà sociale, eliminando tutte le ingiustizie della società capitalistica e tutte le miserie della società bolscevica. Vivere nei confini della nostra bella Italia come una grande famiglia
(95) La sconfitta della Francia, in «Civiltà fascista», luglio 1940, p. 451.
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nella quale ognuno sia libero di possedere, di guadagnare e di risparmiare, ma nello stesso tempo tutti abbiano assicurato in condizioni decorose quello che è necessario per vivere in cambio del dovere di lavorare. Accorciare le distanze sociali ed economiche ed eliminare le differenze politiche di classe. Fare del lavoro e della intelligenza i pilastri sociali e politici di una Italia tranquilla, forte, compatta, umana. 8) Finire di lavorare per gli altri popoli. Lavorare d'ora innanzi per noi e per la nostra Patria. 9) Garantire la nostra Lira ed attraverso di essa i nostri risparmi, i nostri approvvigionamenti ed i nostri commerci dai colpi assassini dei grandi capitalismi inglesi, nordamericani ed ebrei che tante volte hanno cercato di rovinarci con le loro odiose speculazioni» (96). Ma se questo era l'insieme dei dibattiti che il Ministero della Cultura Popolare favoriva o addirittura organizzava ai fini dell'opinione pubblica italiana, questa sembrava subire assai poco il fascino di questa «vittoria-miracolo» sul quale si fondavano tutte le speranze del regime. Insomma non mancava chi, quale un giovane avanguardista che doveva diventare celebre, Italo Calvino, nutriva seri dubbi sull'intera operazione di trionfo sulla Francia e ne scorgeva per l'Italia gli aspetti minacciosi di fronte al grande e piu potente alleato. Nella gita organizzata per visitare «le terre redente dalle armi italiane», e cioè il molto modesto possesso della cittadina di Mentone, Calvino non manca di riflettere: «Ci avvicinammo ali ' antico confine del Ponte San Luigi, e il centurione Bizantini che ci guidava accennò a creare un po' di commozione su quel fatto delle frontiere d'Italia che s'andavano spostando. Ma la conversazione si esaurf presto con imbarazzo: perché, in quel primo periodo della guerra, l'argomento dei nostri confini occidentali era delicato e scottante proprio per i piu fascisti. L'entrata in guerra al momento del crollo francese, infatti, non ci aveva portati a Nizza, ma solo a quella modesta cittadina confinaria di Mentone; il resto sarebbe venuto, si diceva, al trattato di pace, ma ormai la suggestione dell'ingresso trionfale e guerresco era sfumata, e anche nel cuore dei meno dubbiosi c'era un'ansia che quel deludente ritardo non si prolungasse all'infinito; e si faceva strada la coscienza che la sorte dell'Italia non era nelle mani di Mussolini ma in quelle dell'onnipotente suo alleato ... » (97>. (96) M. A?PEuus, Vincere!, Roma P.N.F., 1940, p. 42. Significativa la chiusura lirica sul personaggio Mussolini: « ... il popolo fermamente crede in Lui perché noi siamo Lui e Lui è Noi. E Lui e Noi insieme, come l'emblema del Vittorio e la Croce di Savoia, il runo illuminato dalla benedizione di Dio, siamo l'ltalia. L1talia immonale, eterna, madre di rotte le Civiltà, sole del mondo, faro della Storia... L'Italia nostra Madre, nostra Patria, nostra terra, nostra Gente, nostro immenso amore ... » (p. 45). (97) I. CALVINO, Gli avanguardisti a MenJone, pubblicato per la prima volta nel 1953, ora in
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Quindi da una parte un forte rigurgito nazionalistico e dall'altra un insistere sulla vicenda militare, di un attacco, ahimè, troppo breve nel tempo, ma intenso contro quella linea difensiva che un autorevole esponente militare che giocherà poi nella Commissione italiana di armistizio con la Francia un ruolo determinante quale Presidente, il gen. Arturo Vacca Maggiolini, non esitava a ritenere «talmente munita e resa formidabile con un lungo lavoro... da fare apparire la Linea Maginot, un gioco da ragazzi ... Ma l'Italia vi ha fatto fronte e ne ha finalmente avuto ragione ... » (98). È proprio in questo spirito che un vecchio esponente del «Fascismo Universale», Asvero Gravelli, scriverà, proprio allora, il suo volume Cosf combattono gli italiani, e che il partito fascista si servirà di un giornalista «indipendente» belga, Lucien Offemberg, per pubblicare, in francese, a Roma a cura del P.N.F. la sua opera Mon enquéte sur la guerre des Alpes <99>, inno agli eroismi dei soldati italiani impegnati sulle Alpi. A parte le polemiche contro «la congiura demo-pluto-giudaicamassone», saranno proprio questi argomenti, la vittoria militare sulle Alpi e la necessità della realizzazione delle rivendicazioni territoriali, che saranno a lungo al centro del dibattito italiano in uno sforzo costante di mettere un poco in sordina i continui «trionfi» germanici per ribadire la forza ed i successi degli italiani. Ben lo notò nel suo primo rapporto al governo di Vichy il capo della delegazione francese presso la CIAF di Torino, l'ammiraglio Henri Duplat, che precisa che «depuis la conclusion de l 'Arrnistice avec la France, la presse italienne a déployé un effort constant et visiblement ordonné pour créer dans l'opinion publique l'impression que des succès militaires importants avaient été remportés sur le front des Alpes. Les efforts sont constants et le problème français se limite à ceci. .. » ooo>. Queste prime osservazioni dell' amm. Duplat ci descrivono meglio dei documenti ufficiali la vera situazione delJ 'opinione pubblica italiana, piu che frastornata dall' anda-
L' entrata in guerra, Torino, Einaudi, 1975, p. 33. (98) I toni trionfalistici vennero resi incandescenti dalle dichiarazioni del Duce dopo la sua visita al fronte alpino al termine della quale affermò che«... gli italiani e gli stranieri debbono sapere che dal Piccolo San Bernardo al fiume Roja, il primo sistema della Maginot alpina è crollato sotto l'assalto de!Je fanterie italiane che l'hanno sfondato per una profondità tra gli otto e i trentadue chilometri. .. ». Per una sintesi di questo tipo si veda anche A. PEDERZANI, La banaglia delle Alpi, in L'apporto dell'Italia alla guerra dell'Asse, Milano Soc. Naz. Ed. Propaganda, 1941, p. 185 e segg. L'episodio di Ponte San Luigi portò al conferimento de!Ja medaglia d'oro (a!Ja memoria) all'asp. uff. Mario Lalli. (99) L. OFFEMBERG, Mon enquete sur la guerre des Alpes, Roma, P.N.F.,1940. (100) Dal rapporto, uno dei primi, del capo della Delegazione francese presso la CIAF, amm. H. DUPLAT, Rapport del'Am. H. Duplat au gouvernement de Vichy sur l'état d'esprit actuel en Italie, Torino, 6 luglio 1940, p. I in DFCIA-SHAT, l, p. 78.
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mento rapido di un conflitto che si prevedeva lungo vista la forza militare della Francia, che si presumeva ancora notevole, e la potenza dell'Italia che si intuiva non certo all'altezza della propaganda fascista. I risultati non militari ma concreti emersi dalla richiesta di armistizio all'Italia da parte della Francia diedero ragione alla propaganda del regime, e questa prese a descrivere la guerra sulle Alpi con toni epici e trionfalistici. Un clima celebrativo e vittorioso affligge la stampa italiana tutta con grosse evocazioni di eroismi, che certamente si sono verificati come nel caso della tentata conquista del fortilizio di Ponte San Luigi, ma che la stampa esalta per continuare a mantenere un «clima» psicologico di guerra che deve reagire ad un certo «afflosciarsi» di questa volontà guerresca di fronte alla rapida conclusione della guerra. Ben lo notò il Duplat che precisava ai suoi corrispondenti di Vichy che «le spectacle de la rue à Turin, laisse l'impression d'une vie presque normale bien loin des tensions de la guerre ... ».
6.
L'armistizio di Rethondes e quello di Villa Incisa
Tornando ora dopo questa panoramica alle questioni strettamente connesse al testo della Convenzione di armistizio con la Francia, si può dire che quelle firmata a Villa Incisa conteneva clausole sostanzialmente analoghe a quella firmata con la Germania a Rethondes. Naturalmente in questo nostro esame si prescinde dalle considerazioni politiche e di propaganda che proprio al momento delle firma dei due armistizi fiorirono in Germania (e nella Francia occupata) ed in Italia, considerazioni che si fondavano principalmente sul significato e sullo spirito dei due armistizi da parte dei due vincitori: la Francia nel 1918 e l'Asse nel 1940. Da parte italiana solo l'euforia della «vittoria» appare dominare gli spiriti con una netta presa di posizione contro Versailles ed a favore del cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale voluto dall'Asse. Da parte germanica, geometrico è il raffronto tra l'armistizio del 1918 e quello del 1940 che veniva fatto con ovvie considerazioni benevole verso la posizione del Reich sia riguardo allo spirito sia riguardo allo stesso contenuto dell'armistizio concluso con la Francia. Qui è d'uopo citare il testo ufficiale di questa rivendicazione tedesca, anche perché inondò con le sue edizioni in varie lingue l'Europa intera ed ebbe anche in Italia una notevole circolazione influendo non poco su talune considerazioni dell'opinione pubblica italiana 001>. Secondo questa tesi nel 1918 la disfatta del nemico tedesco venne vista senza alcuna generosità da parte della Francia che non esitò ad inserire anche nelle commemorazioni frasi ostili ed ingenerose del tipo: «Qui s'infranse, l'll novembre 1918, la criminale arroganza dell'Impero germanico sconfitto dai popoli liberi ch'esso presumeva di asservire» (Lapide commemorativa a Compiègne). Al contrario, nel 1940 la
( 101 ) Armistizio 1918 - Armistizio 1940, edizione italiana a cura del Centro tedesco di Informazioni, Berlino, 1940.
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disfatta del nemico francese veniva vista dalla Germania, sempre secondo questa tesi, con cavalleresca generosità, avendo di mira la Germania nazista solo la pacificazione e la costruzione di una Nuova Europa, giungendo il gen. Keitel a leggere il testo armistiziale di Rethondes con un preambolo che affermava: «Dopo una eroica resistenza, ed in seguito a battaglie sanguinose, la Francia, è stata sconfitta ed è crollata. La Germania perciò, di fronte ad un nemico cosf valoroso, non ha intenzione di dare alle condizioni o alle trattative di armistizio caratteri che siano oltraggiosi. .. ». Volendo ora passare al confronto-esame delle clausole reali dei due armistizi, quello tedesco-francese e quello italo-francese, possiamo osservare che molti erano i punti comuni ai due armistizi ed il fatto che alla elaborazione del primo in ordine di data, cioè a quello di Rethondes fosse presente una delegazione di militari italiani in qualità di «osservatori» sotto la presidenza del generale Efisio Marras nella sua veste di addetto militare a Berlino, lascia capire che le molte note firmate inviate per informare il Comando supremo della sostanza del negoziato abbiano trascolorito e ispirato le stesure dell'armistizio in preparazione a Roma nei confronti della Francia. I punti in comune tra i due testi armistiziali imposti alla Francia erano: - la cessazione delle ostilità da parte della Francia, sia nel territorio metropolitano che nei possedimenti, colonie, territori protetti o sotto mandato (art. 1 Conv. franco-italiana e art. 1 Conv. franco-germanica); - la smobilitazione e il disarmo di tutte le forze armate francesi di terra, di mare e dell'aria ad eccezione delle formazioni necessarie al mantenimento dell'ordine interno, la forza e l'armamento delle quali sarebbero stati determinati dall'Italia e dalla Germania (rispettivamente art. IX - prima parte e art. IV prima parte); - la riserva, da parte delle Potenze vincitrici, di esigere, a titolo di garanzia dell'esecuzione degli obblighi assunti dalla Francia, la consegna di tutte le armi, delle munizioni e del materiale bellico appartenenti alle unità che erano state impegnate o schierate nella lotta (rispettivamente art. X e art. V); - l'obbligo di accantonamento in depositi controllati di tutte le armi, munizioni e materiali esistenti nelle zone della Francia non occupata (rispettivamente art. XI e art. VI); - la immediata cessazione della costruzione di materiale bellico di qualsiasi specie nei territori non occupati (rispettivamente art. XI in fine e art. VI in fine); - il disarmo della flotta francese da guerra e la smobilitazione e il disarmo, sotto il controllo delle Potenze vincitrici delle unità della flotta
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stessa ad eccezione di quelle concesse dai Governi italiano e tedesco per la salvaguardia dei territori coloniali francesi (rispettivamente art. XIII e art. VIII); - l'impegno dei Governi italiano e tedesco a non impiegare durante la guerra le unità della Marina da guerra francese poste sotto il loro controllo e di non avere pretese sulla flotta francese, all'atto della conclusione della pace (rispettivamente art. XV seconda parte e art. vm seconda parte); - l'obbligo di notificazione da parte della Francia di tutte le mine e degli sbarramenti e il conseguente impegno delle Autorità francesi di provvedere al disarmo e allo smantellamento di tali difese (rispettivamente art. XIII e art. IX); - il divieto di atti di ostilità della Francia nei confronti dell'Italia e della Germania e del trasferimento di truppe, cittadini e materiali bellici francesi in territori dell'Impero britannico o altri Stati esteri (rispettivamente art. XIV e XV e art. X); - il divieto di uscita delle navi mercantili francesi senza autorizzazione dei Governi italiano e tedesco e l'obbligo di richiamo in porti francesi o, in caso di impossibilità, in porti di Paesi neutrali, delle navi che non si trovano in porti francesi (rispettivamente art. XVI e art. XI); - l'obbligo di restituzione delle navi mercantili italiane e tedesche catturate dalla Francia (rispettivamente art. XVII e art. XI); - il divieto di decollo di aerei dal territorio francese e la sottoposizione al controllo italiano o tedesco di tutti gli aeroporti, nonché l'obbligo di consegna di tutti gli aerei stranieri che si trovano in territorio francese (rispettivamente art. XVID e art. XII); - il divieto di trasmissioni radio fino alla emanazione di nuove disposizioni da parte dei Governi italiano e tedesco (rispettivamente XIX et art. XIV); - la libertà di transito delle merci tra Germania e Italia attraverso il territorio francese non occupato (rispettivamente art. XX e art. XV); - l'obbligo da parte della Francia di liberare immediatamente e di consegnare alle Autorità militari italiane e tedesche tutti i prigionieri di guerra o i civili italiani e germanici internati, arrestati o condannati per atti a favore delle Potenze vincitrici (rispettivamente art. XXI e art: XIX);
- la garanzia da parte del Governo francese della buona conservazione di tutto ciò che doveva o poteva essere consegnato in forza della Convenzione (rispettivamente art. XXII e art. XXI); - la costituzione, i compiti e le prerogative delle Commissioni di armistizio italiana e tedesca, nonché delle Delegazioni francesi accredi-
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tate presso le due Commissioni (rispettivamente art. XXIII / XXIV e art. XXII); - l'entrata in vigore delle Convenzioni di armistizio e il momento della cessazione delle ostilità {rispettivamente art. XXV e art. XXIII) nonché la durata indeterminata deUe Convenzioni stesse e la possibilità della loro denuncia da parte dell'Italia e della Germania in caso di inadempimento del Governo francese agli obblighi assunti (rispettivamente art. XXVI e art. XXIV). Volendo proseguire questa analisi-raffronto tra le convenzioni di armistizio vanno inoltre ricordate alcune clausole specifiche del documento di Villa Incisa che rispondevano a peculiari situazioni franco-italiane. Esse erano: - queUa dell'art. Il relativa aUa occupazione dei territori francesi fino alla linea avanzata raggiunta dalle truppe italiane nei vari teatri di operazione; - quella dell'art. m concernenti la smilitarizzazione al confine alpino di una fascia di 50 km oltre la linea avanzata raggiunta dalle truppe italiane; la smilitarizzazione in Tunisia della zona compresa fra il confine libico-tunisino e una linea segnata sulla carta annessa alla Convenzione, la smilitarizzazione, ancora, di una parte dei territori del!' Algeria e dell'Africa francese a sud della stessa, confinanti con la Libia, ed infine la smilitarizzazione dell'intero territorio della Costa francese dei Somali, in relazione al quale veniva attribuito all'Italia l'uso del porto di Gibuti e della ferrovia Gibuti-Addis Abeba, per trasporti di qualsiasi specie; - quella dell'art. IV relativa al termine di 1O giorni dalla cessazione delle ostilità entro il quale le zone da smilitarizzare avrebbero dovuto essere evacuate dalle truppe francesi ad eccezione del personale strettamente necessario per la custodia e la manutenzione delle opere di fortificazione, caserme e magazzini; - quella dell'art. V per cui tutte le armi mobili e munizioni esistenti nelle zone da smilitarizzare, in piu di quelle in consegna alle truppe che dovevano sgombrare, avrebbero dovuto essere evacuate nel termine di 15 giorni, mettendosi in egual tempo le armi fisse delle opere fortificate e le relative munizioni in condizione di non poter essere usate. Nello stesso termine di 15 giorni era pure previsto il deposito, in località che sarebbero state stabilite dalla Commissione italiana di armistizio, di tutte le armi mobili e munizioni esistenti, nella Costa francese dei Somali, in piu di quelle in consegna alle truppe che avrebbero sgombrato;
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- quella dell'art. VI relativa alla smilitarizzazione, entro 15 giorni, delle piazzeforti e basi navali di Tolone, Biserta, Ajaccio ed Orano fino alla cessazione delle ostilità contro l'impero britannico, limitandosi la loro capacità logistica, sotto controllo italiano, ai bisogni delle navi da guerra che, disarmate e smobilitate, vi sarebbero state concentrate; - quella dell'art. VII che stabiliva come nelle zone, piazzeforti e basi smilitarizzate sarebbero rimaste in funzione le Autorità civili francesi, le forze di polizia necessarie al mantenimento dell'ordine pubblico e le Autorità militari e marittime che sarebbero state determinate dalla Commissione italiana; - quella dell'art. VIII che conferiva alla Commissione italiana di armistizio il potere di determinare cartograficamente i limiti delle zone e le modalità esecutive della smilitarizzazione con pieno diritto di controllo, sia a mezzo .di visite saltuarie, sia a mezzo di sue Delegazioni permanenti in loco; - quella dell'art. IX, ultimo capoverso, con il quale mentre veniva dichiarato che la Commissione italiana di armistizio nello stabilire le modalità di smobilitazione e disarmo nei territori francesi del Mediterraneo, esclusa la metropoli, e nella Costa dei Somali, avrebbe tenuto conto dell'importanza particolare del mantenimento dell'ordine, si faceva espresso riferimento alla smobilitazione e al disarmo della Siria; - quella, infine, dell'art. XVID, ultimo capoverso, in cui veniva stabilito che oltre alla restituzione, coll'intero carico, delle navi mercantili italiane catturate, la Francia doveva provvedere a restituire le merci non deperibili, italiane o dirette in Italia, catturate a bordo di navi non italiane.
7.
Le discussioni circa le conseguenze sulla Francia dello Stato armistiziale
Precisati cosf alcuni elementi connessi al testo armistiziale concluso tra la Francia e I 'Italia converrà osservare che nel corso del periodo di applicazione di questo documento internazionale vennero evocate a varie riprese questioni giuridiche e non giuridiche relative alla natura del rapporto armistiziale cosf definito e agli effetti che questo armistizio aveva nei confronti della sovranità francese. A questo proposito la presidenza della CIAF fece compilare dai suoi uffici giuridici in varie occasioni resoconti ed analisi che, partendo dalla constatazione che le norme di diritto internazionale al riguardo erano nel loro complesso assai scarse, dessero alla stessa Presidenza elementi inequivocabili quali norme di comportamento in simile situazione 002>. Naturalmente questi uffici non diedero mai risposte «definitive» nei riguardi di una questione che appariva ed appare ancora tra le piu dibattute, dove gli elementi di partenza potevano essere ovviamente gli articoli relativi all'armistizio della seconda Convenzione dell 'Aja del 1899 (articoli 36-41) ripresi nella quarta Convenzione dell' Aja del 1907 e nella legge di guerra italiana dell'8 giugno 1938 negli articoli 78-82 relativi all'armistizio. In linea generale si conviene che l'armistizio ha per effetto la sospensione delle ostilità senza peraltro porre fine allo stato di guerra. La determinazione di altri caratteri dello stato armistiziale non appare unanime se non nel rinvio specifico alle norme sti-
(102) Nell'Archivio dell'USSME-CIAF vi sono molti elementi di questi studi che mostrano la preoccupazione costante degli organi direttivi della ClAF di avere precisi elementi giuridici riguardo a questo delicato problema; dove l'intero problema appare meglio trattato è nello speciale paragrafo 5 (Natura giuridica del rapporto armistiziale ed effetti dell'armistizio sulla sovranità francese) di una compilazione incompleta relativa alla storia della CIAF che il 26 mano 1943, il presidente della CIAF, il gen. Arturo Vacca Maggiolini, fece iniziare, ma che non andò oltre una Parte Generale oggi in USSME-CIAF, Racc. 39(2.
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pulate nelle singole Convenzioni. La legge italiana di guerra per esempio si limita nell'art. 60 ad indicare che la Convenzione dovrà stabilire l'inizio e il termine dell'armistizio, la situazione e i movimenti eventuali delle forze armate e contenere altre clausole relative agli effetti ulteriori dell'armistizio e alla sua esecuzione. La precisazione di tali concetti e l'inclusione nel patto armistiziale di altre condizioni o clausole rimaneva quindi assolutamente libera ed era stabilita ·dalle Convenzioni di armistizio. La storia dell'evoluzione del concetto di armistizio appare evidente anche se contraddittoria; in linea generale pare ormai una premessa, un atto preparatorio alla pace tra i contendenti, ed in tale senso l'Italia lo sanci proprio per quanto riguarda il nostro di Villa Incisa stabilendo in alto luogo giuridico che l' «armistizio è una convenzione generale di carattere politico economico e militare, avente per oggetto la sospensione delle ostilità per la durata ed alle condizioni che si presumono e sufficienti per la conclusione della pace» (103). La realtà dell'armistizio di Villa Incisa parve interessare a lungo la Presidenza della CIAF, ma non solamente per un elegante e sottile ricerca giuridica quanto piuttosto per vedere fino a che punto la Francia fosse soggetta a certe richieste italiane e fino a che punto la sua personalità e sovranità fossero dagli accordi armistiziali limitati o amputati. Tre tesi fondamentali ebbero modo di esprimersi al riguardo. La prima tesi, che venne sostenuta sempre insistentemente dalla parte francese, prende le mosse da una interpretazione restrittiva degli obblighi armistiziali della Francia. Essa ammetteva talune restrizioni alla sovranità francese, ma le limitava esclusivamente a quelle che derivano strettamente dalle clausole della Convenzione di armistizio, ove esse imponevano alla Francia obblighi che rappresentassero appunto una limitazione alla sua sovranità. Nelle questioni non contemplate in modo esplicito dalla Convenzione di armistizio la sovranità francese sarebbe rimasta intatta, e con essa sarebbero rimasti integri gli obblighi e i diritti che la Nazione vinta potesse e volesse osservare e far prevalere, specie rispetto ai terzi, nella tutela dei suoi legittimi interessi. Non era estranea a tale soluzione la considerazione che la Francia, diversamente da altre nazioni sconfitte nel corso della guerra, manteneva almeno fino al novembre del 1942 esente da occupazione militare straniera, in parte il territorio metropolitano e, integralmente, il territorio dei propri possedimenti d'oltremare (eccezion fatta per quei territori
(103) Vedasi la sentenza del 18 luglio 1941 del Tribunale italfano delle Prede, in «Bollettino del Tribunale della Prede», 1941.
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la cui occupazione da parte di altre Potenze vanno espressamente consentite, come nel caso dell'Indocina, e per quelli che eran caduti in mano dei dissidenti), che essa aveva ancora un proprio governo a tutela di ogni ramo degli interessi nazionali francesi, che essa manteneva rapporti diplomatici normali e del tutto autonomi con Potenze neutrali e li manteneva anche per un certo tempo con Potenze belligeranti. Tesi diametralmente opposta era quella invece secondo cui la sovranità francese sarebbe risultata menomata in tutti quei settori nei quali non era stata espressamente garantita o restaurata dalle clausole delle Convenzioni di armistizio o da concessioni dei vincitori. Tale tesi muoveva dalla considerazione che le due Convenzioni del giugno 1940 non costituivano la conclusione di libere discussioni tra le parti belligeranti, condotte a parità di condizioni e nel comune intento di porre fine, magari anche temporaneamente, alle ostilità, ma erano invece il risultato di vere e proprie imposizioni delle Potenze dell'Asse alla Francia sconfitta e posta, nella metropojj, alla mercé dei vincitori, i quali con le clausole delle Convenzioni e con successive ulteriori concessioni, avevano inteso fissare in termini ben definiti, rappresentati appunto da tali clausole e concessioni, i limiti entro i quali lo Stato vinto poteva ancora agire con una certa autonomia. Quale conseguenza di questa tesi la Francia, potenza vinta ed in regime di armistizio, non solo non poteva avvalersi dei diritti di stato neutrale, ma neppure poteva pretendere di seguire verso entrambe le parti belligeranti un eguale comportamento, essendo tenuta invece ad osservare nei confronti della parte vincitrice una determinata remissiva condotta che non era quella di Stato interamente sovrano. Sarebbe esistito, in altri termini, per la parte francese un generico obbligo, se non di favorire la guerra dell'Asse, certo almeno di non ostacolarla; obbligo la cui portata andava certamente molto al di là della prescrizione di cui all'art. XIV della Convenzione, di non compiere atti di favoreggiamento in pro del nemico. Per quanto attiene invece alla posizione dell'Italia nei confronti della Francia, la tesi di cui si tratta muoveva dalla considerazione della unilateralità della maggior parte degli obblighi contenuti nella Convenzione d'armistizio, e rilevava come neppure ]a sospensione dei diritti di belligeranza rivestiva, almeno nel suo aspetto formale, un carattere simmetrico di bilateralità. Per l'Italia significava la permanenza del suo diritto, in clima armistiziale, di esercitare tutti i diritti di belligeranza. La Francia, invece sarebbe stata tenuta a non comp~ere alcun atto di belligeranza nei confronti dell'Asse e quindi dell'Italia, e questa invece aveva soltanto l'obbligo di astenersi dall'esercizio di quei diritti per i
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quali nella Convenzione di armistizio esisteva un preciso divieto; oltre a tali impegni che in sostanza riguardavano le vere e proprie ostilità verso la Francia, tutti i diritti di belligeranza cui l'Italia non avesse specificatamente rinunciato restavano integri a suo favore (104). Ovviamente questa tesi, che appare la piu favorevole all'Italia, fu quella che la CIAF ritenne doveroso applicare, ma in numerose circostanze quella che era una tesi che aveva come obiettivo l'integrale affermazione della vittoria italiana non risulta applicabile per motivi di opportunità politica, specie nella seconda parte del periodo armistiziale. Nacque cosi una terza tesi, quasi una via di mezzo tra le altre due, in base al quale il testo armistiziale non andava considerato unicamente dalla lettera delle varie sue clausole - come in molteplici occasioni tentò di sostenere, nel senso sopra ricordato, la parte francese - ma doveva essere considerato come un tutto armonico nel quale le singole clausole altro non erano che espressioni particolari di principi generali che andavano a loro volta intesi e composti con altri principi generali del diritto internazionale in tema di armistizio, i quali, ove non esistesse espressa deroga, reggevano anch'essi, allo stesso titolo delle clausole della convenzione, i rapporti italo-francesi nel periodo armistiziale. Si trattava insomma di affermare la validità dell'armistizio ma, poiché esso si rivelava non breve come fu ritenuto all'inizio bensf di una durata eccezionale, di adattarlo da una parte alle insofferenze francesi e dall'altra all'evoluzione generale della situazione politica militare della guerra, evoluzione che implicava per l'Asse l'adozione di una «nuova» politica verso le autorità francesi che si arroccasse sui rapporti tra vinti e vincitori del giugno '40 ma pur prendendone nota ne avesse una visione dinamica. E non si creda che queste fossero solo disquisizioni di mero ambito giuridico: la posizione della Francia, in parte libera, in parte occupata ebbe rapidamente a modificarsi per fatti ed elementi estranei alla volontà di Vichy e di quella dell'Asse, bensi per l'evoluzione stessa della guerra di cui la sconfitta francese fini per rappresentare solo un episodio modesto dell'inizio del conflitto. E proprio per questi motivi la prima fase di questo rapporto armistiziale può essere chiamato il tempo delle illusioni: illusione per l'Italia di concludere rapidamente anche la seconda fase del conflitto, quella inglese, e di poter ritenere l'armistizio
(104) Tale tesi fu accolta anche ufficialmente: in tale senso interpretò la Convenzione d'armistizio il Tribunale delle Prede che in numerose sentenze affermò il diritto di preda bellica nei confronti delle navi francesi non naviganti sotto il controllo italiano e nei limiti delle autorizzazioni italiane (vedasi fra l'altro semenza del Tribunale delle Prede 23 settembre 1941 relativa al carico del piroscafo «Cilicia» in «Bollettino del Tribunale della Prede», 1941).
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un periodo breve che precedeva di pochi mesi la pace che non poteva non essere una pace vittoriosa. Con questo spirito l'inizio delle attività della CIAF che il Duce nominò in data 25 giugno 1940 si realizzò sotto il segno della potenza italiana, della sua autorità definitiva e dell'altrettanta definitiva sconfitta della Francia. La Commissione Italiana di Armistizio con la Francia, che l'armistizio aveva annunciato nel suo articolo :XXill, aveva nei suoi compiti istituzionali (art. 1 dell'Ordinanza del 27 giugno 1940) «di regolare e controllare, sia direttamente, sia a mezzo dei suoi organi l'esecuzione della convenzione di annistizio conclusa tra Italia e Francia, nonché di armonizzare detta convenzione con quella già conclusa fra Germania e Francia» c1os). La sua costituzione, alle dirette dipendenze del Comando Supremo, intervenne in un momento in cui il Comando Supremo attribuiva un valore puramente temporaneo alla sua formazione, e Badoglio che ne sottolineava l'importanza per quanto riguardava la «statura» del suo Presidente lo volle scegliere quasi in continuazione della battaglia della Alpi, quasi a far vedere a Vichy che gli uomini che avevano vinta la Francia sarebbero stati quelli che avrebbero coordinato l'armistizio, prosecuzione «temporanea» della guerra. Fu il comandante della Prima Armata delle Alpi, Pietro Pintor ad essere nominato Presidente della CIAF, e le spiegazioni che Badoglio diede al Comando supremo lo stesso giorno (senza farne espressamente il nome, ma chiamandolo «quello che ho proposto» al Duce) parvero fame un perno importante di una politica tutta da inventare con i francesi, poiché alla CIAF il governo italiano volle delegare l'intero pacchetto delle relazioni con la Francia di Vichy: militare, economico, diplomatico e finanziario (106l. Interessante a questo riguardo appare la lettura degli Appunti relativi alla CIAF che lo stesso gen. Pintor consegnò lo stesso 25 giugno al gen. M. Roatta, nella sua veste di Sotto Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, poiché chiariscono assai bene lo spirito nel quale questa Commissione nasceva a proposito dei rapporti tra l'Italia «vittoriosa» e la Francia «vinta» 001). Secondo queste direttive la CIAF non era «chiamata a trattare direttamente né col governo francese, né con altre auto-
(105) li testo dell"Ordinanza istitutiva della ClAF è riportato, quale Documento n. 7 nel Tomo secondo della presente operà mentre il Documento n. 6 riporta l'organizzazione ed i compiti della Commissione stessa. (106) Verbale della riunione del 25 giugno 1940 del Comando Supremo, in Verbali .. ., op. cit., pp. 62-66. Si veda la biografia di P. Pintor nella presente opera. (107) Appunti relativi alla Commissione Italiana di Armistizio, Roma, 25 giugno 1940, p. 13; in USSME-CIAF, Racc. 26, fase. I.
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rità militari francesi ... ». Il tono autoritario nei confronti delle autorità francesi era di rigore; precisavano questi appunti: «Nelle zone piazzeforti marittime e basi navali smilitarizzate gli organi della Commissione non troveranno - e non dovranno permettere che vi si trovino - altre autorità militari francesi che non siano quelle modeste e territoriali che, secondo la convenzione, sono destinate unicamente ad assicurare la disciplina e l'amministrazione dei nuclei di sorveglianza e manutenzione degli edifizi ecc. militari. Non cambia nulla a quanto sopra la eventuale esistenza nelle basi navali di una aliquota della Marina da guerra francese, perché detta aliquota deve essere smobilitata e disarmata. Ne consegue che le autorità militari francesi di cui sopra saranno certamente di rango e di categoria molto inferiore a quelle che avevano le autorità corrispondenti in tempi normali ... ». Per gli organi della CIAF esistevano poi tutt'una serie di «urgenze» che il documento enumerava e che andavano dalla razionalizzazione delle zone occupate dalle truppe italiane con il congiungimento ovvio delle zone occupate con le rotabili di fondovalle anche se non ancora occupate alla determinazione delle località ove doveva avvenire l'accantonamento, sotto controllo italiano, delle armi e delle munizioni provenienti dall'esercito francese. Per quest'ultimo era altresf urgente determinare, d'intesa con le autorità tedesche della Commissione Tedesca di Armistizio o CTA, «la forza e l'armamento delle truppe francesi di cui si permetteva l'esistenza nel territorio non occupato e non smilitarizzato». Fin dall'inizio la CIAF appariva oberata dai compiti che i complessi rapporti militari civili ed economici tra l'Italia e la Francia di Vichy imponevano all'unica autorità italiana ad essi preposta. Per convincersi della immensa mole delle responsabilità che il regime fascista delegò alla CIAF basterà leggere le competenze che alla CIAF furono delegate solo per il territorio francese non occupato e non smilitarizzato. Essa doveva attraverso i suoi organi: - Delimitare la linea, corrente a 50 km dalle linee avanzate di cui sopra, oltre la quale dovevano ritirarsi le truppe francesi e prendere i provvedimenti per sorvegliare l'evacuazione di dette truppe. - Sorvegliare la smobilitazione delle forze di terra. - Determinare le forze e l'andamento delle formazioni concesse. - Determinare l'entità del materiale previsto all'art. X di cui poteva essere richiesta la consegna e fissare il luogo e le modalità di consegna per quelle truppe che fossero state comunque impegnate o schierate contro le forze armate italiane e che si trovassero nei limiti del territorio non occupato.
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- Determinare le località dove dovevano essere versate le armi di cui all'art. XII. - Prendere disposizioni per il controllo delle fabbriche di materiale bellico. - Sorveglìare l'esecuzione della proibizione alle Forze Armate francesi e ai cittadini francesi in genere di uscire dal territorio nazionale per partecipare comunque a ostilità contro l'Italia. - Prendere disposizioni per il controllo delle norme dettate dall'art. XV circa l'avviamento verso l'Impero britannico o all'estero di materiale bellico. - Sorvegliare l'esecuzione delle norme di cui all'art. XVIII circa il divieto di decollo di aerei. - Prendere disposizioni per il controllo degli aereoporti e delle installazioni a terra. - Prendere disposizioni per il controllo delle norme relative alla consegna degli aeroplani stranieri. - Sorvegliare la messa in atto delle norme relative, sino a nuove disposizioni dei Governi italiano e tedesco, alla proibizione di trasmissione radio in genere. - Dettare le norme secondo le quali potevano essere effettuate comunicazioni governative per radio con i territori di cui all'ultimo capoverso dell'art. XIX (consegna dei cifrari con cui venissero eseguire le comunicazioni, fissazione di ore speciali per le trasmissioni, ecc.). - Prendere disposizioni per la effettuazione della consegna dei prigionieri di guerra, degli internati civili e degli arrestati per ragioni politiche o di guerra o per atti comunque a favore del Governo italiano. - Prendere disposizioni per il mantenimento da parte francese dell'impegno preso di mantenere in buono stato di conservazione il materiale da consegnare al Governo italiano, ecc. Sempre sul piano dei compiti immediati, ma per il settore della zona smilitarizzata alpina, i compiti della CIAF si allargavano ulteriormente e tra gli altri consistevano nel: - Delimitare la linea-corrente a 50 km dalle linee raggiunte dalle nostre truppe, oltre la quale dovranno ritirarsi le truppe francesi e prendere i provvedimenti per sorvegliare l'evacuazione delle truppe stesse. - Determinare la forza del personale francese strettamente necessario alla custodia degli edifici militari ecc. delle zone smilitarizzate. - Ricevere le eventuali domande di impiego nella zona smilitarizzata di truppe da adibirsi al mantenimento dell'ordine pubblico, e giudicare della consistenza o meno di tali domande.
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Sorvegliare l'evacuazione, entro i primi 15 giorni, delle armi mobili e relative munizioni in piu di quelle in consegna alle truppe che evacuano. - Dettare le norme e prendere i provvedimenti per la messa fuori uso delle armi fisse nei territori smilitarizzati. - Controllare il numero delle autorità civili e le loro funzioni, il numero delle forze di polizia e sorvegliare che non siano inviati militari sotto veste di funzionari civili. - Prendere disposizioni per il controllo della smilitarizzazione e provvedere per la dislocazione, a seconda delle necessità, delle commissioni di controllo. - Determinare l'entità del materiale previsto all'art. X di cui può essere richiesta la consegna, determinare le località e le modalità di consegna. - Sorvegliare acché, nel termine dei 1O giorni, siano scaricate tutte le interruzioni ecc. di cui all'art. XIII. - Sorvegliare l'esecuzione della proibizione ai cittadini francesi in genere di partecipare ad ostilità contro l'Italia. - Sorvegliare che materiale bellico non venga avviato verso l'Impero Britannico o aJl'estero. - Sorvegliare l'esecuzione delle norme circa il divieto di decollo di aerei. -
Controllare gli aeroporti e gli impianti a terra.
- Controllare l'esecuzione della norma dettante la consegna degli aeroplani stranieri. -
Proibire le trasmissioni radio in genere.
- Prendere i provvedimenti per l'effettuazione della consegna dei prigionieri di guerra, degli internati civili ecc. di cui all'art. XXI. - Prendere disposizioni per il mantenimento da parte francese dell'impegno preso di consegnare in buono stato il materiale da consegnare al Governo italiano. Abbiamo voluto, sulla scorta delle istruzioni immediate contenute negli Appunti sulle prime incombenze della CIAF, evocare almeno a grandi linee queste prime attività ritenute dal Comando Supremo italiano improrogabili per meglio capire l'ampiezza e l'importanza di questo primo lavoro, che coincide con il momento piu delicato dei rapporti italo-francesi in clima armistiziale. La nostra esemplificazione dei compiti della CIAF non va peraltro ritenuta neppure lontanamente esaustiva,
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poiché ai due settori che abbiamo evocato, la Francia non occupata e la zona alpina da smilitarizzare, si dovrebbero aggiungere altri settori di intervento della CIAF con altri compiti altrettanto importanti ed urgenti e cioè la zona occupata dalla Francia, il territorio francese del Nord Africa non smilitarizzato, i territori del Levante Francese, la zona smilitarizzata adiacente alla Libia, la Costa francese dei Somali e l'insieme dei problemi navali, aerei e politici relativi al traffico transmediterraneo verso l'Africa francese a partire dalla Francia.
8.
Gli accordi italo-tedeschi di Wiesbaden (29 giugno 1940)
Tutte queste competenze non esaurirono peraltro l'orizzonte problematico della CIAF ma, poiché il regime annistiziale, dopo poco, divenne un regime quasi stabile nei rapporti tra Vichy e l'Italia, essa fu chiamata al allargare vieppiu queste competenze e questi compitj con una ovvia duplice conseguenza: da una parte si ingigantf rapidamente l'apparato operativo e dall'altra organi, commissioni e comitati si moltiplicarono in modo pauroso. Ma forse conviene seguire questi sviluppi a partire dalle prime attività e dalle prime decisioni. Il 27 giugno 1940 il presidente della Commissione gen. Pintor riunf per la prima volta a Torino per le intese preliminari i membri della Commissione alla presenza del gen. Roatta, il quale mise al corrente la CIAF dell'imminente incontro a Wiesbaden con la Commissione tedesca di armistizio con la Francia allo scopo di elaborare accordi di massima in vista di un' armonizzazione delle attività delle due Commissioni. Assistente del mar. Badoglio e delegato del Comando Supremo italiano, il gen. Roatta, che aveva tra l'altro partecipato alla firma dell'armistizio tedesco di Rethondes, si incontrò nella sede della Commissione tedesca di armistizio (CTA), a Wiesbaden, con il presidente della stessa CTA geo. von Stulpnagel e realizzò in due giorni una serie di accordi inseriti in un doppio protocollo finale del 29 giugno. In essi era subito stabilito un collegamento permanente reciproco tra le due commissioni di annistizio con la destinazione di ufficiali dell'uno e dell'altro esercito da collocarsi con un ristretto gruppo di collaboratori a fianco delle rispettive comrni~sioni a Torino e a Wiesbaden con particolari statuti e possibilità di comunicare direttamente alla commissione di appartenenza allo scopo di seguire e favorire il lavoro delle due commissioni e di renderlo il piu omogeneo possibile. Doveva essere altresf oggetto di discussioni e di accordi il problema relativo alla costituzione ed alla consistenza delle forze armate francesi nel cosiddetto esercito dell'armi-
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stizio (art. IX Convenzione franco-italiana e art. IV Convenzione franco-tedesca), relativamente alle quali venne stabilito che l'entità complessiva delle forze armate residue francesi (esercito - marina - aeronautica) nella parte non occupata della Francia metropolitana, Corsica compresa, non avrebbe dovuto superare i 100.000 uomini compresi gli ufficiali (e fra questi i medici) ed i funzionari militari, e compresa altresf la polizia nazionale e la «guardia mobile». La proporzione, entro tale numero massimo consentito, fra ufficiali, sottufficiali specialisti (di carriera) e truppa restava fissata in relazione al normale rapporto del tempo di pace. Rimaneva inteso peraltro che in queste forze armate francesi, consentite, non avrebbero dovuto essere impiegati soldati di colore. Per l'armamento di tali forze sarebbero state concesse le armi di fanteria esclusi però i cannoni per fanteria, artiglierie leggere fino al cannone da 75 mm (escludendosi le altre artiglierie, le contraeree e le armi anticarro), e in numero limitato carri armati leggeri di vecchio modello, armati soltanto con mitragliatrici, ed autoblinde Panhard da ricognizione. Nei 100.000 uomini sopra indicati non erano comprese le truppe dei possedimenti, protettorati e mandati francesi, la forza delle quali relativamente ai territori francesi del Mediterraneo (Marocco, Algeria, Tunisia e Siria) sarebbe stata determinata dall'Italia; per gli altri possedimenti (Africa Centrale, Indocina e Indie Occidentali) le unità ivi dislocate sarebbero state ridotte alla forza del tempo di pace (108) . Venivano altresf precisati negli accordi di Wiesbaden le modalità relative alla consegna delle armi e del materiale bellico dell'esercito francese ai sensi dell'art. X della Convenzione franco-italiana e dell'art. V della Convenzione franco-tedesca, relativamente alla quale restava stabilito che l'Italia avrebbe potuto richiedere le armi delle unità che erano state schierate sul fronte alpino, mentre la Germania si riservava di chiedere la consegna di quelle di tutte le altre unità. Un'altra questione riguardava la linea di demarcazione per la ripartizione fra l'Italia e la Germania del controllo sulla smobilitazione, sul disarmo, sulle forze armate di armistizio e sui materiali posti sotto custodia; tale linea partendo dal lago di Ginevra passava per la strada di Bellegarde, Pont d'Ain, Miribel, margine est di Lyon (rimanendo alla Germania l'abitato di Lyon) e seguiva il Rodano fino allo sbocco nel Mediterraneo. La zona posta a levante della linea stessa era sottoposta
(108) Vedasi al riguardo le cifre riponate dalla Tabella 4 del presente volume.
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al controllo italiano, quella posta a ponente al controllo tedesco. A questo proposito si può notare che tale suddivisione delle rispettive competenze territoriali seguiva piu o meno quella famosa linea che nella prima stesura dell'armistizio italo-francese e negli accordi italo-tedeschi di Monaco segnava la linea di occupazione che l'Italia intendeva realizzare a danno della Francia «libera», cioè non occupata dai tedeschi, ed alla quale aveva poi, per desiderio del Duce, rinunciato. A Wiesbaden si decise anche la devoluzione integrale all'Italia del controllo di armistizio sulla Corsica, sull'Africa francese del Nord, sui territori del Levante francese e sulla Costa francese dei Somali. Si decise anche che il controllo dell'industria bellica sarebbe stato in tutto il territorio non occupato esercitato congiuntamente dall'Italia e dalla Germania, con ammissione del concetto che alle fabbriche di materiale bellico fossero interessate «in solido» l'Italia e la Germania; di conseguenza, benché il controllo sull'industria bellica posta in territorio occupato fosse rimasto affidato alla Germania, fu convenuto che ufficiali e tecnici della Commissione italiana avrebbero avuto il diritto di visitare, previ accordi da prendersi di volta in volta, anche gli stabilimenti siti in tale territorio; veniva quindi affermato il principio generale della reciprocità del diritto di visita per ciascuna delle due Commissioni, in rapporto alle installazioni esistenti nei territori francesi di rispettiva competenza. Riguardo alla flotta francese ne veniva stabilito il disarmo: avrebbero dovuto essere sbarcati tutti i combustibili e i lubrificanti, munizioni, otturatori, telemetri, siluri, mine, bombe subacquee ed armi portatili; inoltre parti degli impianti radio telegrafici avrebbero dovuto essere smontati in modo da rendere inutilizzabili gli impianti stessi e gli equipaggi avrebbero dovuto esservi congedati. L'entità delle forze navali consentite per la sicurezza delle colonie sarebbe stata determinata, nel limite massimo delle forze di pace, dalla Commissione tedesca per le colonie francesi dell'Atlantico e dell'Oceano Indo-Pacifico, e da quella italiana per i territori francesi nel Mediterraneo, nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden; come principio normativo, nel Mediterraneo non avrebbero dovuto essere consentite forze navali francesi. Nel quadro del controllo del disarmo navale la costa occidentale della Francia metropolitana sarebbe toccata alla CTA, mentre quella mediterranea alla CIAF. Per la marina mercantile la CTA richiedeva oltre al richiamo ai porti di origine di tutte le navi mercantili che si trovassero fuori dalla Francia e dalle sue acque territoriali, l'interdizione assoluta di transitare per Gibilterra allo scopo di evitare la cattura da parte degli inglesi. Venne precisato che le navi di ritorno verso i porti francesi di origine, siti in Atlantico, sarebbero state avvertite di guada-
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gnare dapprima la costa ispano-portoghese e di tenersi quindi il piu vicino possibile alla riva; circa la ripresa del traffico navale veniva ribadito ancora una volta il principio della competenza esclusiva dell'Italia nel Mediterraneo e della Germania in Atlantico. Riguardo al controllo sull'aviazione militare francese venne stabilito che tutti gli aeroplani francesi nel territorio metropolitano non occupato fossero disarmati e, come il resto del materiale bellico, accantonati sotto controllo rispettivamente italiano e tedesco nelle due zone ad est e ad ovest della nota linea di demarcazione; aeroplani militari non avrebbero dovuto essere mantenuti neppure nelle colonie per le quali sarebbero stati concessi soltanto aeroplani di polizia in numero ristretto; comunque per il territorio dell'Africa del Nord e della Siria sarebbero valse le disposizioni di cui sopra emanate per la metropoli, e il materiale sarebbe stato posto sotto controllo italiano; sarebbe stata pretesa dalla Germania e dall'Italia soltanto la consegna degli aerei stranieri trovantisi nelle zone di rispettiva competenza (est ed ovest della linea del Rodano). Per quanto riguardava le radiocomunicazioni, rimase confermato il divieto di trasmissioni radio sancite dall'art. XIX della Convenzione franco-italiana e dell'art. XIV di quella franco-tedesca, mentre veniva autorizzato in via di eccezione il Governo francese a comunicare mediante radio con le navi francesi e le colonie; dette trasmissioni avrebbero dovuto peraltro essere eseguite esclusivamente da stazioni autorizzate dalle Commissioni di armistizio e con codice precedentemente consegnato alle Commissioni stesse. Venne altresf ribadito il controllo sul divieto di espatrio degli appartenenti alle forze armate e dei cittadini francesi in genere (art. XIV Convenzione franco-italiana e art. X Convenzione franco-tedesca), per cui rimase stabilito che la Commissione tedesca avrebbe chiesto alla parte francese la comunicazione delle misure legali stabilite per l'esecuzione delle disposizioni stesse e le due Commissioni, poi, avrebbero controllato nei territori di loro competenza, presso le Autorità e gli uffici interessati, l'esecuzione di dette leggi e disposizioni. Va peraltro notato che la riunione di Wiesbaden non ebbe quell'andamento armonico che la descrizione precedente sulle cose decise potrebbe lasciare supporre: basta ricordare che non un documento finale fu approvato bensf due, uno italiano ed uno tedesco, i quali tra di loro presentavano non lievi discrepanze. L'insieme dei documenti finali di Wiesbaden si dovette pertanto arricchire di una relazione sulle divergenze riscontrate tra le due relazioni fatta dalla delegazione italiana e di una ulteriore relazione germanica
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che era l'insieme dei «chiarimenti» che la parte tedesca offriva alla delegazione italiana circa tali differenze (109). I problemi concreti che tali divergenze comportavano nei confronti della Francia potevano anche apparire di poco conto ma, se tale ne risultava il giudizio, ci si può legittimamente chiedere perché a tali divergenze non si fosse provveduto subito con la redazione di un documento unitario omogeneo. Evidentemente la questione era da porsi in altri termini, quasi cioè volesse la delegazione germanica fare apparire anche da queste differenze che la sua era una posizione di forza ben diversa da quella che l'Italia poteva vantare di occupare presso la Francia, sia per l'andamento-durata delle operazioni militari, sia per la dimensione dei territori occupati, sia infine per il futuro dei rapporti con il governo di Vichy che Berlino voleva riservarsi. Somalia francese, esercito dell'armistizio, carri armati, materiale bellico nelle colonie, controllo degli aerei, situazione delle navi militari a Tolone ecc. potevano apparire minuzie nel quadro complessivo del futuro della Francia vinta; in realtà questi elementi di differenza potevano solo essere un vero messaggio a Roma per chiarire ali' alleato che, nel quadro francese, lo Stato vincitore che contava era la Germania. Inoltre, se l'essenziale degli accordi di Wiesbaden era quello concordato tra le due delegazioni pur con le accennate varianti, fu subito chiaro che con tale intesa l'intera questione dei futuri rapporti tra l'Asse e la Francia non poteva certo ridursi ad un meccanismo di puro controllo o ad una politica di Berlino come di Roma fondata su due documenti, gli armistizi, che di certo entrarono rapidamente in fase di obsolescenza; ciò che mancò a Wiesbaden fu l'elaborazione di una vera politica unitaria verso la Francia di Vichy fatta di obiettivi chiari e armonici elaborati d'intesa tra i due partner dell'Asse. Di fronte alle difficoltà dell'una o dell'altra parte di mettere a questo riguardo le carte in tavola, si preferi guadagnare tempo e, l'euforia della vittoria aiutando, si tentò di ribadire le rispettive sfere di azione nell'intento non confessabile di fare di Vichy, pio che la vittima di un regime armistiziale duro, il satellite politico della propria azione. A questo riguardo l'accordo appare rilevante anche per questa specie di prima spartizione: la Francia continentale interessava la Germania; quella mediterranea, metropolitana e coloniale, l'Italia. È quasi ovvio aggiungere che l'accordo pur sempre evocato entrò rapidamente in crisi proprio perché nella sua pun-
( I 09) Gli accordi italo-tedeschi di Wiesbaden con le varianti italiana e tedesca sono riportati quale Documento o. 8 nel Tomo secondo della presente opera.
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tigliosa devozione agli annistizi aveva lasciata libera la zona politica dei futuri rapporti con Vichy, e mentre l'Italia della CIAF, specie con Pintor e con il suo successore Grossi, si limiterà a gestire l'accordo di Villa Incisa, la Germania si lancerà rapidamente con grandi incontri con Pétain, specie Montoire, in una «politica francese», che presto si riassumerà con il nome del suo principale attivista Otto Abetz, dalle fasi alterne e dal significato spesso oscuro per l'alleata Italia. Per quest'ultima e per la CIAF in generale i nuovi orientamenti germanici rimarranno a lungo incomprensibili, contraddittori e quasi sempre errati. Ed in questo dilemma toccherà al terzo presidente della CIAF, gen. Vacca Maggiolini, a trovarsi dalla sua nomina (16 giugno 1941) fino all'8 settembre 1943, ad affrontare senza risolverli certo, i nodi di una alleanza che anche per quanto riguardava Vichy appariva sempre piu corrosa dal dubbio e dalla crisi. A Torino intanto le cerimonie inaugurative delle attività della CIAF prendevano il via con una serie di nomine italiane e con l'arrivo nella «capitale dei rapporti italo-francesi» dei delegati francesi. Il 28 giugno aUe ore 18 nel Palazzo dei Comandi Militari di Torino si teneva la prima riunione plenaria della Commissione sotto la presidenza del gen. Pintore con l'intervento al completo della Delegazione francese, presieduta dal!' Ammiraglio Duplat, che era giunta poco prima in aereo ali' aeroporto di Mirafiori, accolta dai rappresentanti della Commissione italiana. Il Presidente della CIAF, premesso un saluto alla Delegazione francese, rendeva omaggio al valore dei combattenti francesi ed assicurava che la Commissione italiana avrebbe esercitato i diritti derivanti al1'Italia dalla vittoria e dalla Convenzione d'armistizio con spirito di comprensione e con intendimenti di collaborazione. Ed a questo punto il primo segno di una reticenza francese: l'amm. Duplat, mentre ringraziava il gen. Pintor delle sue espressioni relative alle forze armate francesi, si guardò bene dal ricambiare l'omaggio reso ai soldati francesi e tale reticenza, subito notata con grande aggressività dalle autorità italiane, diede il segno della posizione francese, posizione che un documento segreto italiano che commentava questo episodio individuava «quale segno inconfondibile della mentalità e dell'atteggiamento francese» nei confronti dell'Italia vittoriosa, mentalità ed atteggiamento che da allora si manifestarono costantemente ostili e persino malevoli nella lunga durata e che furono smentiti o attenuati solo saltuariamente in occasioni ristrette e specifiche. Altrettanto significativo il fatto che fin da questa prima riunione l'amm. Duplat, il quale tra l'altro non era stato tra i piu graditi dei mem-
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bri della Delegazione francese, iniziava la sua azione volta a svuotare di contenuto pratico, giorno dopo giorno, gli accordi armistiziali pur sottoscritti solo quattro giorni prima. Nella sua veste di presidente della Delegazione francese, l 'amm. Duplat insistette affinché si tenesse conto delle gravi condizioni che travagliavano la Francia dopo la sua resa, che rendevano con le sue eccezionali contingenze difficilmente applicabili le clausole arrnistiziali. Veniva infatti subito dato rilievo alle difficoltà che avrebbero potuto insorgere dalla rigida applicazione di talune disposizioni dell'arrnistizio specie per quanto riguarda le terre d'oltremare della Francia, nei riguardi delle quali il discorso «autoritario» di una CIAF poteva essere, si poteva capire dal discorso di Duplat, pregiudizievole e quindi lontano dal rifiuto della seduzione gollista. Per Pintor le sottigliezze di Duplat parevano difficili da depistare anche perché il capo della Delegazione francese si rivelò subito abile manovriero e sottile stratega. E con abilità riuscf anche a superare le diffidenze italiane quanto alla sua stessa nomina, egli, che nella sua veste di comandante della squadra franc.ese del Mediterraneo aveva diretto, con successo, il bombardamento di Genova e della costa ligure con la sua squadra pochi giorni dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia alla Francia. A questo punto l'uomo ci appare importante anche per meglio definire il suo stile. La sua biografia ufficiale (11 0) non ci può bastare; una testimonianza da parte di un suo collaboratore proprio a Torino, di cui parleremo spesso, Marius Sarraz Bournet, ci sembra utile: « ... Grand, élancé, ne paraissant pas son age, ayant gardè à soixante ans l'allure d'un jeune lieutenant de vaisseau, la figure fine coupée d'une mince moustache à peine grisonnante, éclairée de deux yeux pétillants d 'intelligence et de bonté, l 'amiral était un chef dans toute I' acception du mot. Ayant bourlingué sur toutes les mers du globe, ayant aussi fréquenté les chancelleries et les ambassades au cours de nombreuses missions, aussi fin manoeuvrier à bord d'un batiment qu'à la tète d'une escadre (il commandait l'escadre qui avait bombardé Gènes) que diplomate averti, il connaissait admirablement toute I' Afrique du Nord et la Méditerranée. Avec l 'Italie les questions maritimes étaient particulièrement importantes à débattre; aussi le gouvemement du maréchal Pétain avait tenu à mettre un marin à la tète de la délégation près la Commission italienne d 'armistice, alors que le mème poste près la Commission allemande était confié à un général de l'armée de terre.
(110) Se ne veda l'essenziale nella biografia pubblicata nel presente volume.
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L'amiral Duplat était bien l'homme le plus capable de représenter la France et de défendre ses intéréts en face de nos adversaires du sudest. Il savait d'autre part susciter autour de lui les affections et les dévouements, guider ses subordonnés tout en leur laissant la plus grande initiative. D'un abord affable, d'une culture très étendue, il avait une rare sQreté de jugement, en méme temps que cet esprit réel de décision acquis par ceux qui, tout jeunes, ont été placés en face des lourdes responsabilités du commandement à la mer. Les négociations difficiles n'étaient pas pour l'effrayer. Il défendait avec àpreté son point de vue jusqu 'au moment ou il sentait que la corde allait casser. Son ròle n 'était pas commode en face de son partenaire italien, le général d'armée Pintor, ancien directeur de l'école de guerre de Turin, figure racée, intelligence déliée, exagérant la courtoisie, dangereux par cela méme qu'il posait au francophile et qu'il paraissait toujours s'excuser de la situation dans laquelle les événements de guerre avaient piacé son pays vis-à-vis du nòtre. L' amiral Duplat reprenait à son compte les discussions qui, ayant échoué aux échelons inférieurs, rebondissaient à l'échelon supérieur; avec son intelligence lucide et son large bon sens, il s'attribuait très rapidement toutes sortes de questions qui n'avaient rien à voir avec la marine» ( 11 1). E non si creda che un simile ritratto possa essere deformato da passioni partigiane: l'intera vicenda francese a Torino la quale vedrà ben tre presidenti italiani avrà nell'unico suo presidente francese, l'amm. Duplat, un elemento di continuità anche fisica che darà alla sua azione un elemento dinamico che spesso fornirà a Vichy elementi utili alla sua politica verso l'Asse e soprattutto al superamento rapido di quasi tutte le costrizioni armistiziali. Volendo tornare alle questioni amministrative dell'inizio di attività della CIAF, va osservato che non fu difficile compito la delimitazione delle competenze rispettive delle Sottocommissioni per l'Esercito (gen. Carlo Vecchiarelli), per la Marina (amm. Illebrando Goiran) e per l'Aeronautica (gen. Aldo Pellegrini), gli estremi delle attività delle quali erano abbastanza chiaramente fissati dai limiti corrispondenti alla naturale individuazione delle materie proprie a ciascun organismo detenni-
(lll) M. SARRAZ-BOURNET,Témoignage d'un silencieux (G.Q.G. - 2° Bureau-Turin-Vichy), Parigi, Self, 1948, p. 63. Era /nspecteur général des services administratifs e dirigeva la sezione Interni della commissione Affari generali della Delegazione francese (ved. Quadro dell'ordinamento della CIAF alla data del 5 novembre 1940, Torino, Rattero, 1940, ediz. riservata, p. 82.
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nate dallo stesso intitolato di ogni sottocommissione. Meno facile fu invece la definizione precisa della competenza della Sottocommissione per gli Affari generali (min. Leonardo Vitetti) la quale venne ad attrarre nella sua sfera di competenza tutte le questioni di natura non militare che richiedevano di essere regolate: alcune in relazione all'applicazione delle clausole di armistizio che ad esse si riferivano in modo particolare; altre, pur non previste dalla Convenzione, che man mano sorgevano in relazione alla necessità di una ripresa di rapporti giuridici ed economici fra Italia e Francia. La protrazione dello stato di armistizio e la permanente sospensione delle relazioni diplomatiche tra Italia e Francia hanno comportato uno sviluppo sempre maggiore e sempre piu complesso di tali rapporti, molti dei quali hanno presto appalesata la necessità di essere disciplinati con regolamenti non previsti dalle clausole dell'accordo di armistizio. Per esempio, con la guerra tra Italia e Francia tutti gli accordi che tutelavano la posizione degli italiani in Francia (convenzione di stabilimento, trattato di lavoro ecc.) vennero a decadere automaticamente, e poiché la Convenzione armistiziale non conteneva alcuna clausola salvo l'art. XXI relativo alla liberazione ed alla consegna degli italiani comunque internati, arrestati o condannati per ragioni politiche e di guerra - che garantisse lo status degli italiani residenti in Francia, la Sottocommis-sione Affari generali dovette darsi da fare affinché al di là della lettera dell'armistizio fossero assicurate a questi italiani buone o accettabili condizioni di vita e di lavoro, e ciò sia nella Francia metropolitana che nell'Africa francese del Nord. Lacune del genere nel testo della Convenzione di armistizio diedero molto da fare alla CIAF nel suo insieme, ma sono giustificate dalle particolari condizioni nelle quali l'armistizio fu concluso che rendevano difficili o impossibili le previsioni circa la durata di un regime che appariva allora precario e transitorio. Tali carenze si spiegano anche in funzione del criterio che parve allora aver dominato la visione dei rapporti fra l'Italia e la Francia: di preoccuparsi, cioè, quasi esclusivamente della necessità di disarmare la Francia. Da questo mutamento di natura delle questioni trattate, dalle iniziali sole questioni militari verso l'insieme dei rapporti tra Italia e Francia e dall'evoluzione della situazione generale, la CIAF dovette decidere profonde trasformazioni. Dapprima organo quasi esclusivamente militare e perseguente in assoluta prevalenza scopi di natura militare, in seguito Ente con caratteristiche e fini anche diplomatici, i quali andarono aumentando notevolmente col passar del tempo la loro importanza con lo svilupparsi dell'attività extra-armistiziale della Commissione, ed
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infine - dopo l'integrale occupazione della Francia metropolitana da parte delle Potenze dell'Asse - Ente depositario della Convenzione d'armistizio e regolarizzatore della esecuzione della stessa con funzioni di carattere militare notevolmente attenuate e forse in subordine ad altre predominanti di natura civile o genericamente attinenti alla politica generale.
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La prima organizzazione della CJAF
Della evoluzione e della variazione dei compiti della Commissione di armistizio è possibile rendersi perfettamente conto esaminando la struttura della Commissione stessa nei vari momenti della sua esistenza. Sembra quindi necessario partire, in detto esame, dal prospetto del1'organizzazione inizialmente assunta dalla CIAF per giungere, attraverso la visione delle varie modificazioni subite dalla stessa, allo schema organico della finale composizione della Commissione. A Torino risiedevano gU organi centrali costituiti dalla presidenza e dalle quattro Sottocommissioni (esercito, marina, aeronautica, affari generali). Alla presidenza si aggiunse presto (con ordinanza del Duce del 20 agosto 1940) un Segretario generale che fu il gen. Fernando Gelich, il quale peraltro era stato fin dall'inizio accanto al presidente della CIAF in qualità di generale addetto alla dipendenza del Comando Supremo. A ciascuna delle Sottocommissioni che dipendevano gerarchicamente dal Presi-dente restava affidata la trattazione delle materie di competenza del rispettivo settore, rimanendo riservate quindi alla Presidenza le direttive di carattere generale, le decisioni di principio, l'interpretazione dei criteri normativi della Convenzione d'armistizio, le relazioni con la Presidenza della Delegazione francese ed i collegamenti di indole generale con la Commissione di armistizio tedesca. A contatto con le Sottocommissioni erano le reciproche Sottodelegazioni francesi in cui, con ordinamento analogo a quello assunto dalla Commissione italiana, si era suddivisa la Delegazione francese. Alle dipendenze di ciascuna Sottocommissione agivano, come organi esecutivi, le Delegazioni italiane di controllo dislocate nel territorio metropolitano francese, mentre altre Delegazioni operavano direttamente alle dipendenze della Presidenza. Alla dipendenza della Sottocommissione per l'Esercito venne posta una Delegazione, con sede a Gap, per la smilitarizzazione della fron-
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tiera alpina e per il controllo della zona metropolitana francese di competenza italiana; in seguito, alle immediate dipendenze di questa Delegazione, vennero costituite due Direzioni regionali con sede a Marsiglia e Valence, le quali sovraintendevano a loro volta a sei Sezioni con sedi rispettivamente a St. Raphael, Digne, Gap, Grenoble, Charnbery e Annecy. Alle dipendenze della Sottocommissione per la Marina vennero istituite tre Delegazioni, una per la smilitarizzazione della piazza marittima di Tolone, con sede a Tolone, una per la smilitarizzazione di Ajaccio con sede nella stessa città, ed una, infine, per la smilitarizzazione delle piazze marittime di Biserta e Orano con sede a Biserta e con due Sottodelegazioni, una a Biserta e l'altra ad Orano. Alla dipendenza della Sottocommissione per l'aeronautica venne posta una Delegazione per il controllo della zona metropolitana di competenza italiana, con sede ad Aix-en-Provence, e tre Delegazioni per il controllo del Nord-Africa, delle quali: una per il controllo della Tunisia, con sede a Tunisi, una per il controllo dell'Algeria con sede ad Algeri ed una per il controllo del Marocco con sede a Casablanca. Infine alla dipendenza della Sottocommissione per gli Affari generali venne istituita una Delegazione per il controllo del traffico mercantile marittimo sulle coste della Provenza con sede a Marsiglia, e, pure con sede a Marsiglia, un'altra Delegazione per il recupero delle navi e delle merci sequestrate dalla Francia nel periodo delle ostilità, nonché dieci Commissariati civili per i dieci comuni dei territori occupati: Mentone, Lanslebourg, Bessan, Isola, Monginevro, Fontan, Bramans, Maurin, Ristolas e St. Foy; sempre alle dipendenze della Sottocommissione Affari generali vi era poi un Organo di controllo per la tutela degli italiani nella Francia non occupata. Alla sola presidenza della CIAF spettarono fin dall'inizio le decisioni circa i territori non metropolitani, con una Delegazione mista per la smilitarizzazione della zona adiacente al confine libico con sede a Tripoli e con tre Sezioni dislocate rispettivamente a Gabès, Médenine e a Foum Tatahouine, e una Delegazione mista per la smjlitarizzazione della Costa Francese dei Somali; successivamente, sempre alle dirette dipendenze della Presidenza, vennero costituite una Delegazione del1'Esercito per il controllo terrestre del Nord-Africa con sede ad Algeri e con due Sezioni, una a Fez e l'altra a Tunisi, una Delegazione mista per il controllo della Corsica, sorta dall'ampliamento della Delegazione per la smilitarizzazione della piazzaforte di Ajaccio, già dipendente dalla Sottocommissione Marina e di cui si è fatto cenno: ed infine una Delegazione mista per il controllo della Siria. Per quanto concerneva il controllo dell'industria bellica francese,
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esso fu affidato inizialmente alla Sottocommissione Esercito che, in collaborazione con l'Ufficio affari economici e finanziari della Sottocommissione Affari Generali, affrontò il problema della definizione dei propri compiti, dei limiti del controllo stesso e delle modalità per la sua applicazione. Successivamente, sia per la necessità di non distogliere il personale, già scarso, addetto alla Sottocommissione Esercito, sia per l'estensione di nuovi compiti che, nel procedere del lavoro, si rivelarono necessari, il controllo sull'industria bellica assunse una sua organizzazione particolare ed autonoma. Esso infatti non potè piu limitarsi al semplice divieto delle fabbricazioni di guerra e dei traffici relativi, ma andò estendendosi alle materie prime, ai prodotti semilavorati, semifiniti e finiti, nonché ai combustibili liquidi. Inoltre la Delegazione francese, fra le tante eccezioni opposte alla attività della Commissione, sollevò anche quella relativa all'ingerenza di elementi militari italiani nelle organizzazioni civili francesi. Fu perciò costituita a Grenoble una Delegazione per il controllo dell'industria bellica, che venne posta in un primo tempo alle dipendenze della Sottocommissione Esercito. Da tale Delegazione dipesero subito due Sezioni, una a Lione e l'altra ad Avignone e tre Uffici, uno a Bourges, uno a Tolosa ed il terzo a Clermont-Ferrand. L'ufficio di Bourges ebbe il compito di collegamento con l'ufficio tedesco per il controllo dell'industria bellica, mentre quelli di Tolosa e di Clermont-Ferrand furono costituiti come nuclei partecipanti integralmente all'attività delle Sezioni di controllo tedesche presso le quali erano destinati. Tale organizzazione rispondeva inizialmente, nel suo concetto informatore, al programma concordato tra Italia e Germania con gli accordi di Wiesbaden, di cui già si è fatto cenno, ed in forza del quale il controllo delle industrie belliche nella Francia non occupata sarebbe stato esercitato congiuntamente dalla Germania e dall'Italia, e precisamente ad est del Rodano da commissioni italiane con partecipazione di elementi tedeschi, e ad ovest del Rodano da commissioni tedesche con partecipazione di elementi italiani. In effetti, nell'applicazione pratica del controllo, tale programma subf una notevole modificazione e i nuclei italiani di Bourges, Tolosa e Clermont-Ferrand, che avrebbero dovuto essere considerati come elementi integranti degli uffici di controllo tedeschi, limitarono la loro attività a quella di uffici di collegamento e di osservatori. La sopra citata Delegazione di Grenoble per il controllo delle industrie belliche venne, come si è visto, inizialmente posta alle dipendenze
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della Sottocommissione Esercito; in seguito fu costituito in seno alla presidenza della CIAF un ufficio per le industrie belliche ed i combustibili liquidi alle dirette dipendenze del quale furono messe la Delegazione di Grenoble con le due Sezioni di Lione e Avignone e i tre nuclei di Bourges, Tolosa e Clermont-Ferrand, nonché una Delegazione di controllo per i combustibili liquidi con sede a Marsiglia e facente parte di una Commissione mista italo-tedesca con presidenza tedesca. Infine alle dirette dipendenze della presidenza venne pure posta la Delegazione italiana di collegamento con la CTA, mentre la Commissione tedesca distaccava presso la CIAF una consimile delegazione di collegamento. Se nel complesso questa era l'organizzazione al momento della piena strutturazione armistiziale della CIAF, va notato che essa non fu mai immobile e mutò continuamente sia per meglio rispondere dopo la prova pratica alle esigenze espresse dal governo italiano e dal Comando supremo, sia per adattarsi alle nuove situazioni politiche e diplomatiche che l'andamento dei rapporti bilaterali andava imponendo alla primitiva struttura. Ben presto per esempio si ravvisò la necessità di dedicare una particolare cura alla organizzazione del!' Amministrazione dei territori occupati, prima affidata alla Sottocommissione Affari generali, ed il 5 novembre 1940 venne creata un'autonoma Amministrazione dei Territori Occupati, con sede a Torino, a capo della quale, con ordinanza del Duce, viene posto il Prefetto Cesare Vittorelli. Tale Amministrazione, alla diretta dipendenza della Presidenza, assunse la soprintendenza sui nove Commissariati civili di Bessans, Bramans, Fontan, Isola, Lanslebourg, Mentone, Monginevro, Ristolas e Séez (il Commissariato di Maurin, che era stato in un primo tempo creato, venne incorporato in quello di Isola, mentre il Commissariato di St. Foy mutò il proprio nome in quello di Séez). Quasi contemporaneamente, a seguito degli aumentati compiti e dell'estensione del controllo sulle industrie belliche francesi ed in analogia di quanto era stato fatto dalla CTA, si senti pure la necessità di rendere autonomo l'ufficio della Presidenza che si occupava delle industrie belliche francesi e dei combustibili liquidi e venne cosi' creata la Sottocommissione Armamenti, con sede a Torino, alle dirette dipendenze della Presidenza. La nuova Sottocommissione riuni presso di sé le attività fino ad allora (21 aprile 1941) svolte dall'ufficio Controllo industrie belliche e Controllo combustibili liquidi della presidenza e dalla rappresentanza del Sottosegretario per le fabbricazioni di guerra (Fabbriguerra) presso la CIAF, fino ad allora funzionante in seno alla Sottocommissione Affari generali, ed ebbe per compiti principali di:
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a) sovraintendere al controllo delle industrie belliche francesi e dei combustibili liquidi; b) utilizzare, mettendoli a disposizione degli Enti centrali competenti, gli elementi tecnici informativi emergenti dall'esercizio del controllo; c) risolvere, in collegamento con la CTA, questioni interessanti l'economia bellica e nazionale; d) disciplinare, se ed in quanto consentiti, la produzione ed il traffico dei materiali bellici e particolarmente i movimenti marittimi dei combustibili liquidi; e) recuperare e provvedere materie prime e prodotti industriali indispensabili per le Forze Armate e per gli enti civili italiani, in accordo con la Fabbriguerra diventata nel frattempo Ministero della Produzione bellica (Miproguerra). Alle dipendenze di questa Sottocommissione, a capo della quale fu nominato con ordinanza del Duce il ten. gen. del servizio tecnico Vittorio Pallieri, furono poste la Delegazione Controllo industrie belliche di Grenoble, con le sezioni ed i nuclei citati, la Delegazione per il controllo sui combustibili liquidi con sede a Marsiglia nonché una nuova Delegazione per il controllo industrie belliche e combustibili liquidi di Algeri. Ovviamente l'insieme dei rapporti e delle strutture della CIAF andò vieppiu complicandosi in questa prima fase, che possiamo chiamare di iniziale insediamento, e pertanto si è ritenuto di notevole interesse fissarne in un grafico l'andamento generale alla fine di questo primo periodo e cioè piu o meno al 15 febbraio 1941 c112). L'evoluzione non si fermerà certo a quella data, e pertanto avremo la necessità di riprendere, almeno altre due volte, il discorso sulle strutture con una seconda fase attorno agli inizi del 1942 ed una terza fase dopo i noti eventi del novembre 1942.
(112) Lo si può vedere nella Tavola n. 5 nel presente volume.
10. L'episodio di Mers el-Kebir e le sue ripercussioni
Si era appena iniziata l'attività degli organi della CIAF e soprattutto le sue attività connesse al disanno e all'accantonamento delle anni e munizioni dell'ex-esercito francese allorquando, il 3 luglio 1940, l'ammiragliato britannico decise di fare attaccare da una squadra navale britannica le unità della flotta francese dislocate ad Orano (Mers elKebir), ciò che portò all'affondamento di molte navi da guerra tra cui il «Provence», il «Dunquerque» e il «Bretagne», mentre la corazzata «Strasbourg» riusciva con altre unità minori a fuggire verso Tolone. L'attacco britannico, che costitui per il governo di Vichy una totale sorpresa, era avvenuto dopo un vero assedio di una forte squadra navale britannica agli ordini dell'amm. James Sommerville che aveva trasmesso al comandante francese amm. Marcel Gensoul un ultimatum con tre possibili scelte: 1) unirsi alla flotta britannica per continuare a combattere contro la Germania e l'Italia; 2) salpare, anche con equipaggi ridotti, verso porti della Gran Bretagna da dove gli equipaggi sarebbero stati rimpatriati al piu presto. Nell'uno e nell'altro caso le navi sarebbero state restituite alla Francia al termine del conflitto con pieno indennizzo per l'uso e per gli eventuali danni; 3) salpare con equipaggi ridotti verso un porto francese delle Indie occidentali, per esempio La Martinica, ove potevano essere smilitarizzati o affidati in custodia agli Stati Uniti. Nel caso in cui nessuna di queste possibilità fosse stata scelta dal comandante francese l'attacco e l'affondamento erano minacciati dal comando britannico. Gensoul rifiutò e, d'accordo con il governo di Vichy, dichiarò di voler reagire alla forza con la forza: l'esito dell'impari scontro, che fu seguito a Wiesbaden come a Torino da precise
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informazioni alla CTA ed alla CIAF della situazione venutasi a creare, rese subito caduco l'accordo armistiziale (113), L'emozione provocata a Vichy per l'azione britannica di Mers el Kebir fu enorme: all'alleato della vigilia si rimproverava di non aver tenuto conto in nessun conto le difficoltà francesi e del tenace e vittorioso proposito delle autorità di armistizio francesi di sottrarre la Marina, come l'Aviazione francesi, da ogni utilizzo da parte dell'Asse, colpendo a tradimento navi alla fonda e quasi senza difesa. In seguito a questi eventi, e soprattutto alla richiesta francese di sospendere le clausole, specie navali, di disarmo che erano previste per le forze armate francesi del Nord Africa, l'Alto Comando italiano concordò con il presidente Pintor una «deroga temporanea all'applicazione delle clausole navali ed aeree dell'armistizio» che comunicò con nota del 4 luglio 1940 all'amm. Duplat <114). La stessa sospensione venjva estesa anche alla Siria, mentre per la Costa francese dei Somali tale concessione non veniva autorizzata. Veniva ventilata per quel territorio la possibilità, ove fosse necessario per l'attività aggressiva dei britannici e dei dissidenti gollisti, di decidere «il concorso di truppe italiane con quelle francesi alla difesa del territorio», ciò che naturalmente fu lasciato come lettera morta da parte delle autorità francesi di Vichy che paventavano forse ancor di piu la comparsa degli italiani a Gibuti, su cui esistevano precise rivendicazioni «storiche» dell'Italia, ad un rischio di attacco da parte della Gran Bretagna contro quello stesso territorio. Il governo di Vichy fu tuttavia percorso da una ventata di odio antinglese che ispirò, a caldo, una nota francese al presidente Pintor in data 7 luglio 1940 che da una parte metteva a disposizione delle forze aeree dell'Italia tutte le attrezzature della provincia di Orano «per cooperare con le forze francesi contro le navi britanniche» e dall'altra proponeva «une action navale française contre les forces navales britannique d' Alexandrie en vue de dégager les forces françaises enfermées dans ce port» cmi. Questa singolare proposta non ebbe seguito non tanto per le reticenze italiane e tedesche a superare cosf rapidamente le situazioni armistiziali da pochi giorni concluse quanto per la diffidenza che
( I 13) Su Mers el-Kebir la bibliografia abbonda, ma poca ne esamina gli aspetti connessi con i rapporti armistiziali con l'Italia. Solo pochi cenni in A. KAMMERER, La passion de la Floue française, Parigi, Fayard, 1951, pp. 506-515; ed in H. CRAs, L'armistice dejuin 1940, cit., p. 127 e segg. (114) Lettera del gen. P. Pintor all'amm. Duplat, 4 luglio 1940 in USSME-CIAF, Raee. fase. in risposta alla lettera dell'amm. Duplat alla presidenza della CIAF, 3 luglio 1940, ore 17. (115) Lettera dell'amm. Duplat al gen. Pintor, 7 luglio 1940 in USSME-CIAF, Raec. 51,
fase. 1/E.
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ispiravano quanto alla loro lealtà verso Vichy i vari comandi militari francesi del Nord Africa. E di questa diffidenza si può trovare traccia anche nel contenuto di una presa di posizione di Mussolini a proposito della richiesta di basi in Algeria ed in Marocco da parte del governo tedesco. In via preliminare il Duce precisava all'ambasciatore italiano a Berlino che tali richieste di basi germaniche nella zona di Orano ed in quella di Casablanca potevano «compromettere la linea politica dell'Asse nei riguardi della Francia, linea che deve essere di intransigenza, il che non sarebbe piu possibile qualora la Francia ci dovesse solidarietà sia pure passiva». La presa di posizione è del 10 luglio, e segna una fase di netto irrigidimento di Roma verso forme di evoluzione dei rapporti tra Vichy e l'Asse che potessero preludere a cobelligeranze piu o meno palesi e che in ogni caso facevano riapparire la Francia «vinta» quale interlocutrice di Roma e di Berlino in vesti ben lontane da quelle di Rethondes e di Villa Incisa <11 6>. Comunque il realismo di Mussolini si manifestò subito nel prosieguo del telegramma del Duce a Berlino ipotizzando, nel caso di una insistenza germanica ad avere le due basi nordafricane, una analoga richiesta italiana ad avere «ad Orano o in zona limitrofa» basi (non veniva precisato il numero ma dal contesto sembrano due) atte a dare «piu libertà di movimento per quanto riguarda la parte estrema del Mediterraneo occidentale» alla Marina italiana. Della concessione delle basi nordafricane alla Germania non si fece poi nulla, insistendo le autorità francesi locali e soprattutto chi fungeva ancora da proconsole, il gen. Weygand, in un rispetto puntiglioso e scrupoloso dell'armistizio, specialmente per quanto riguardavano, sotto qualsiasi profilo, eventuali applicazioni favorevoli ali' Asse. Sul piano piu generale, la decisione italiana di sospendere le clausole dell'armistizio relative alle forze armate della Francia di Vichy non fu isolata: anche la Germania, informata a Wiesbaden dell'andamento dell'episodio di Mers el-Kebir, prese lo stesso atteggiamento; pertanto, di comune accordo dei comandi supremi italiano e germanico, la CIAF e la CTA accoglievano le richieste francesi di sospendere le clausole armistiziali navali ed aeree che avrebbero potuto paralizzare la Francia nella necessaria reazione alle aggressioni inglesi <11 7). Proprio per questi
(116) Telegramma a firma Filippo Anfuso, capo del gabinetto del conte Ciano all'amb. Dino Alfieri a Berlino, IO luglio 1940, in USSME-CIAF, Racc. 51, fase. 1/C. ( 117) Nella già ricordata bozza di relazione sulla Storia dell'armistizio l'episodio di Mers elKebir non trovò molto spazio: nella prima stesura se ne fece cenno piu per stabilire gli equivoci della situazione dei rapporti italo-francesi che per l'episodio stesso. In esso si sottolineavano le ere-
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motivi la vicenda del 3 luglio apre una nuova fase nei propositi dei francesi, che vi scorgono un'opportunità insperata di superare i vincoli delJ'armistizio con l'esigenza dell'autodifesa. Una nota attribuibile a Jacques Guérard, direttore di gabinetto del ministro degli Esteri di Vichy, Baudouin, sottolineava, fin dal 5 luglio, la nuova posizione della Francia. Liberata dai vincoli incerti di una alleanza già messa in crisi dall'ospitalità concessa al movimento di de Gaulle, la Francia poteva pretendere di «riesaminare i propri rapporti con l'Italia e con la Germania... Ci si deve chiedere, proseguiva la nota, se non fosse il caso di iniziare sondaggi a tali fini per lo meno dalla parte dell'Italia ... (118) . Era insomma una premessa a ciò che saranno i Protocolli di Parigi, ma con il vantaggio che potevano seriamente costituire una svolta per la Francia dall'armistizio verso la collaborazione con l'Asse. Alle richieste ed alle attese francesi mancarono risposte ed aperture da parte dell'Italia: a Roma la <<vittoria» avvelenava ancora con le sue illusioni l'atmosfera dei rapporti con la Francia alla quale Mussolini non voleva perdonare la sua vecchia politica antifascista ed il fatto di «preferire», quanto al regime armistiziale, il dialogo con Berlino. Sul piano formale tuttavia e ad imitazione quasi di quanto Berlino aveva già deciso per conto proprio, il presidente della CIAF, d'accordo con il Comando supremo, comunicò alla Delegazione francese la «temporanea» rinuncia italiana all'applicazione integrale di quelle clausole dell'armistizio relative alla marina ed all'aviazione che potevano paralizzare i provvedimenti adottati dall'Ammiragliato francese per affrontare la situazione creata dall'aggressione inglese. Incominciava cosf, con questa richiesta e con questa concessione, la serie di quelle deroghe ai rigori delle clausole dell'armistizio che, determinate o favorite da eventi i quali avrebbero potuto portare il Governo francese di Vichy a rinnegare decisamente ed integralmente l'alleanza che teneva stretta la Francia alla Gran Bretagna, furono allora legittimate per l'Italia e per la Germania dalla convenienza di sostenere la resistenza del Governo francese alle pressioni del Governo inglese e
scenti difficoltà, e si era solo due settimane dopo la firma dell'accordo di Villa Incisa, dell'Italia: «Questa situazione (il riarmo francese) ha un valore speciale nei rapporti con l'Italia che, non trovandosi di fronte alla Francia nella posizione di fatto e, per quanto concerne i territori d'oltremare, nella posizione geografica della Germania, può anche essere considerata, nel gioco complesso condotto dal Governo francese, in condizioni che non sono le migliori per ottenere dal Governo francese l'osservanza piena e leale delle clausole dell'armistizio di cui non può essere rinunziate l'esecuzione» (p. 55). (118) Cit. in. J.B. DUROSELLE, L'Abfme. Politique étrang~re de la France. 1939-1945, Parigi, Impr. Nation., 1983, p. 611.
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poi dalla prospettiva di una collaborazione attiva delle forze francesi alle necessità di guerra dell'Asse. La politica «permanente» della CIAF nei riguardi delle principali questioni nei rapporti con Vichy rimase tuttavia sostanzialmente identica, e specialmente per il problema del disarmo delle forze armate francesi nella parte della Francia metropolitana affidata alla sua competenza. Le quattro linee geografiche per l'esecuzione dell' armistizio, la «verde», la «rossa», la «viola>> e la linea «azzurra» (119) entrarono quasi subito nel gioco del controllo, del disarmo, dell'accantonamento e della custodia in Italia di quanto era stato stabilito di operare a questo riguardo. Anche qui però questi risultati che culminarono in molte demolizioni di opere di difesa ed in molti controlli e nelle prime decisioni di trasferimento in Italia del materiale militare francese non indussero gli uomini della CIAF a ritenere che questa «collaborazione» francese alle loro attività fosse del tutto sincera, e fin dall'agosto 1940 presero a diffidare di questi militari francesi i quali, pur ostentando di applicare alla lettera le disposizioni armistiziali, non erano aliene dal tenere nascosti alle autorità italiane di controllo depositi e materiali vari in una non segreta velleità di rivincita. Il colonnello del SIM Amè se ne lagnava, fin dal 7 agosto 1940, facendo una specie di elenco delle situazioni di crisi nei rapporti pur corretti formalmente che la CIAF ed i suoi uomini avevano da fronteggiare con i francesi. In una nota segreta al Comando Supremo ben quattro addebiti venivano rivolti ai francesi a proposito dell'armistizio. In primo luogo non esisteva «alcuna certezza che le armi e le munizioni dei vari depositi fossero le stesse che si trovavano nelle opere o presso le truppe» francesi al momento del confHtto. In linea generale non si poteva escludere, e cioè si dava per quasi sicuro, il fatto che molte di queste armi e munizioni fossero state nascoste in casolari e nei boschi vicino alle opere fortificate con chiari intenti di futura rivincita. Il secondo addebito riguardava il fatto che le forze armate «di Vichy» lasciate per motivi riconosciuti dalle strutture armistiziali a guardia delle opere fortificate fossero «numerose e molto ben scelte qualitativamente» e ciò lasciava nascere il sospetto che fossero pronte a eventualmente costituire i nuclei per l'inquadramento di mili-
(l I 9) La linea verde rappresentava la linea effettivamente raggiunta dalle truppe italiane (linea tattica) ai sensti dell'art. II della Conv. di annistizio; la linea rossa rappresentava la linea alla quale le truppe italiane si dovettero attestare (linea logistica) per esigenze di vita e di rifornimento; la linea viola indicava la linea della zona dei 50 km di cui all'art. m e la linea azzurra indicava il limite tra zona tedesca e zona italiana. L'esatta sistemazione geografica delle varie linee di colore è riportata nella Tavola n. 2 del presente volume.
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tari che in numero elevato erano smobilitati e lasciati sul posto. Un terzo elemento negativo era costituito dal fatto che ogni unità di controllo italiano fosse assai lontana dalle zone fortificate da controllare, e che pertanto tale controllo fosse soggetto a limiti pratici notevoli che ne rendevano vana ogni sorpresa sugli uomini o sulle opere da controllare. Infine vi era da considerare che l'intera zona soggetta al controlJo della CIAF fosse stata difesa durante il conflitto dall'Armée des Alpes che non si considerava battuta dagli italiani e che pertanto i militari francesi «tolJeravano, con atteggiamenti di sufficienza, la presenza delle commissioni>> di armistizio italiane in Francia. E, secondo questa presa di posizione italiana, a queste specifiche condizioni negative se ne aggiungeva un'altra di tipo psicologico che consisteva a trattare «da pari a pari» con l'Italia e gli Italiani senza tenere nella dovuta considerazione «la gravità della situazione politica e militare in cui si trovava la Francia» che doveva sempre ricordare, insisteva la CIAF, di essere uno Stato vinto di fronte al suo vincitore, l'Italia (120). Frutto di questa posizione psicologica italiana fu la politica portata avanti dalle varie delegazioni in vista di realizzare le condizioni militari di disarmo che l'accordo di Villa Incisa aveva sanzionato. La smilitarizzazione della zona dei 50 km dalla linea di occupazione compresa nella linea viola ebbe inizio fin dalla fine di giugno con lo sgombero delle guarnigioni francesi, mentre venne precisato che la clausola «rimarranno le forze strettamente necessarie» poteva essere tradotta in cifre e cioè: - un uomo ogni 10 mitragliatrici; - un uomo ogni due pezzi d'artiglieria; - un uomo ogni due carri armati; - un uomo ogni due aeroplani; - piccoli nuclei per custodia caserme, magazzini e impianti militari. Nel complesso la Delegazione francese propose che nella zona smilitarizzata rimanessero complessivamente per servizio di ordine pubblico e servizio di custodia delle opere 8 battaglioni di fanteria, un gruppo di artiglieria, 2 compagnie di gendarmeria con un effettivo totale di 8 mila uomini. Al che la CIAF oppose un discorso globale che, concordato con i tedeschi a Wiesbaden, facesse rientrare in una cifra «ragionevole» l'esigenza di difesa e di ordine pubblico alla base delle richieste di Vichy di avere una forza militare di transizione o «armée d'armjstice». Sul problema di questa forza militare francese metropoli-
(120) Relazione del vice capo del SIM col. C. Amè, allo Stato Maggiore dell'esercito, 7 agosto 1940, in USSME-CIAF; si veda il Documento n. Il del Tomo secondo deIJa presente opera.
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tana, su quello della sua composizione e su quello del suo armamento vi sarà un ampio spazio di negoziato da ripercorrere con almeno cinque elementi dipendenti ed indipendenti da annoverare, e cioè le esigenze italiane, le esigenze germaniche, le esigenze di Vichy, le ambizioni revanscistiche di un nucleo sempre piu consistente di contestatori all'ombra di Vichy (gollisti) ed infine l'andamento generale della guerra sia sul piano militare vero e proprio, sia in quello delle alleanze e della diplomazia. Direttamente connesso all'attività della CIAF e all'ambito generale della sua azione in Francia nel quadro dei rapporti di forza esistenti tra Roma e Vichy stava il problema della consegna e dell'avviamento in Italia di armi, mezzi e munizioni considerate alla stregua di preda bellica nel quadro dell'accordo di armistizio. Anche qui molti equivoci esistevano circa questa consegna; prova ne è che non appena riunita la CIAF il 27 giugno, il presidente Pintor pose al Comando supremo italiano il quesito circa l'interpretazione da darsi a questa clausola ed all'art. X in genere della Convenzione di Villa Incisa. Senonché il mar. Badoglio rispose, l'indomani 28 giugno, che la «clausola dell'articolo X della Convenzione di armistizio andava applicata solo nel caso in cui il governo francese si dimostrasse recalcitrante o inadempiente» ad eseguire puntualmente le disposizioni armistiziali. In conseguenza di tale precisazione, la CIAF non mosse alcuna richiesta alle autorità francesi di cessione di materiali ai sensi dell'applicazione dell'art. X. Peraltro venne deciso di accantonare tanto nel territorio metropolitano che nel Nord Africa i materiali provenienti dalla smilitarizzazione e dal disarmo francese in tre tipi di depositi: - tipo «a>>: depositi dislocati in territorio italiano e contenenti materiali provenienti dalle prime operazioni di disarmo delle opere di fortificazione alla frontiera alpina; - tipo «b»: depositi dislocati in territorio francese sotto controllo italiano e contenenti materiali dell'esercito delle categorie elencate nell'articolo X esistenti nella fascia sotto controllo italiano e non tenuti in consegna dalle unità dell'esercito transitorio: materiali cioè soggetti a consegna ai sensi dell'articolo X; - tipo «c»: depositi dislocati in territorio francese sotto controllo italiano e contenenti tutti i materiali dell'esercito non pertinenti all'art. X ma compresi nell'art. XI e non distribuiti alle unità dell'esercito transitorio: materiali non soggetti a consegna. Pertanto le prime attività delle sezioni della CIAF furono proprio rivolte a concentrare nei vari depositi ed a custodirvi i materiali bellici francesi con la priorità alla zona alpina da smilitarizzare per la profon-
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dità dei 50 km. Le operazioni di smontaggio delle artiglierie, l'evacuazione dei pezzi e delle munizioni dalle opere di fortificazione nonché la rimozione dei reticolati e degli ostacoli (o fossi) anticarro ebbero inizio con sollecitudine. Volendo dare uno sguardo a queste operazioni si può dire che al 27 ottobre 1940 la situazione relativa al disarmo delle opere in questa zona era per il settore fortificato delle Alpi Marittime: artiglierie terrestri (compresi pezzi anti carro e mortai da 81 in postazione fissa: 64 per cento smontate ed evacuate; 5 per cento smontate da evacuare; 26 per cento da smontare e da evacuare; artiglierie costiere in 2.798 opere costiere: 50 per cento smontate da evacuare compresi i pezzi da 37 e mortai da 81 in postazione fissa; munizioni: su un totale di 86.337 pezzi, 83.359 risultavano evacuate. Per il settore fortificato piu a nord: Val Ubaye, Val Durance, Moriana, Tarantasia: artiglierie terrestri: su 60 postazioni 39 erano smontate ed evacuate; 8 smontate da evacuare, 13 da smontare e da evacuare; munizioni: ancora tutte da evacuare. Nello stesso periodo, cioè al 27 ottobre 1940 il disarmo di opere militari risultava cosi realizzato: , A) nella zona delle Alpi Marittime: Ostacoli anticarro: 290 m rimossi su di un totale ignoto; Reticolati: rimossi 660.000 metri quadrati su di un totale stimato di 898.500. Per questi lavori i lavoratori impiegati furono 400 militari francesi, 1.500 lavoratori civili francesi; B) nella zona fortificata delle Alte Alpi, Savoia, Alta Savoia: Ostacoli anticarro: 440 m rimossi su di un totale ignoto; Reticolati: 151.431 metri quadrati rimossi su di un totale stimato di 350.000. Per questi lavori i lavoratori francesi furono 400 militari francesi; 384 lavoratori civili francesi; 800 lavoratori stranieri.
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Queste prime attività di tipo militare degli organi della CIAF si accompagnarono ad altre attività di tipo civile che consistettero principalmente nell'assistenza agli italiani stabiliti in Francia ancora oggetto di misure detentive in campi di concentramento al momento della firma dell'armistizio e non liberati subito ai sensi dell'articolo XXI della convenzione armistiziale. A questo riguardo si può ben parlare di una reticenza francese a fare scattare con sollecitudine questo impegno armistiziale che pure non poteva o non sembrava suscettibile di dubbi o di incertezze. I documenti e le testimonianze orali sono formali: le autorità francesi accamparono mille pretesti, dalla mancanza di coordinamento al problema dei trasporti disorganizzati dalla guerra e dall'avanzata tedesca, per non liquidare rapidamente questo aspetto trattenendo, sempre in condizioni di notevoli sofferenze fisiche e morali, gli italiani mandati in campi di concentramento la sera del 10 giugno 1940 perché ritenuti «dangereux pour la sécurité de la France» (12 1J. Il 28 ed il 31 luglio la CIAF presentò all 'amm. Duplat due proteste formali contro i ritardi della liberazione degli internati italiani e contro il trattamento loro usato; agli inizi di agosto venne costituito un organo di controllo per la liberazione degli internati e dei detenuti politici italiani in Francia. Proprio mentre questi ritardi si manifestavano il Ministero della Cultura popolare di Roma prese riguardo a questo problema una iniziativa clamorosa pubblicando un vero e proprio dossier sull'intera questione: Gli italiani nei campi di concentramento francesi, dove con intenti di descrizione generale, venivano indicate le condizioni estremamente pesanti, e talvolta feroci, nelle quali molti italiani era stati sottoposti nei campi francesi 022J. L'effetto della pubblicazione sull'opinione pubblica italiana fu evidentemente negativo quanto alla «generosità» da usarsi con la Francia vinta e rinfocolò le polemiche del '39. Sul piano della CIAF, che fu non poco estraniata da questa iniziativa del PNF, la questione emerse come richiesta da parte dell'amm. Duplat della nomina di una speciale commissione d'inchiesta anche perché il volume-denuncia aveva ricevuto il massimo consenso governativo italiano con una prefazione dello stesso ministro della Cultura popolare Alessandro Pavolini, che non esitava a concludere minacciosamente la sua Prefazione affermando: «Queste pagine gridano vendetta. Ma non è vendetta quel che noi perseguiamo. Soltanto, quando sarà venuto il momento di reintegrare all'Italia le popolazioni e le zone che le spettano, nonché di ope-
(121) L'espressione è di M. SARRAZ-BOURNET, op. cit., p. 79. (122) Gli italiani nei campi di concentramento francesi, Roma, Mfoistero della Cultura popolare, 1940, 454 pagine.
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rare tutta una salutifera revisione delle posizioni francesi, riportando la Francia al suo limite e indicandole la via del risanamento, non si venga a chieder proprio all'Italia quella "pietà", che in questi casi serve solo a rendere vacillante la mano del chirurgo». Il fatto poi che nella stessa pubblicazione comparissero brani di documenti ufficiali della CIAF pareva attribuire ad essa le connotazioni di una vera e propria pubblicazione ufficiale. Tra questi documenti vanno ricordati i rapporti del col. E. De Renzi del 1O agosto 1940 e di Enrico Giglioli della stessa data. E quest'ultimo non esitava a concludere: «I nostri connazionali, ritornati oggi alle loro case, dopo un mese di prigionia, fieri della nostra vittoria, si sono cli nuovo trovati a contatto con i loro stessi carnefici. Essi domandano ad una sola voce che a coloro che troppo presto avevano creduto giunto il momento di sfogare sugli italiani inermi la loro rabbia impotente contro il nostro Paese, venga imposto, una volta per sempre, il rispetto dell'Italia vittoriosa e dei suoi figli residenti all'estero» 023). La questione degli italiani nei campi di concentramento francesi si esauri nel lavoro di questa commissione, che presentò una relazione edulcorata sulle situazioni venutesi a creare in Francia nel breve periodo della guerra e sulle condizioni di questi internamenti. Piu che altro il processo verbale della commissione fu di tipo liquidatorio, attribuendo spesso alla generale situazione di tensione e di crisi in atto presso gli uomini dell'esercito e della polizia francese a causa della crisi e della sconfitta militare le maggiori responsabilità dei casi occorsi agli italiani. Rimase nell'aria e nei fatti questo problema che portò alla necessaria seconda fase nei riguardi degli italiani di Francia coinvolti in questa prima fase e cioè il problema del loro rimpatrio attraverso i buoni uffici della CIAF, visto che il loro ritorno nella loro residenza antebellica suscitava non pochi problemi di convivenza e di attività economica arimedio dei quali ben poco poteva essere fatto dalla CIAF salvo organizzarne il loro ritorno in Italia. Si trattava di alcune migliaia di famiglie italiane che furono oggetto dell'attività di speciali Comitati di assistenza creati fin dal 5 agosto 1940 nelle seguenti città sotto l'egida della CIAF: Chambéry, Nizza, Tolone, Marsiglia, Montpellier, Tolosa, Lione, Bastia, Ajaccio, Tunisi, Sousse, Sfax, Algeri, Orano, Rabat, Casablanca e Beirut <124>. (123) Gli italiani.., op. cii., p. 11 e p. 311. (124) Si veda anche il Promemoria sull'assistenza alla colonia italiana nei territori francesi (5 agosto 1940) presentato alla delegazione francese, in SHAT, earton I P 78, dossier 1.
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Quasi quale misura di ritorsione sull'esistenza di un problema connesso alla presenza dei cittadini dell'uno nel territorio dell 'altro, l'amm. Duplat suscitò alla CIAF con interrogazione rivolta al gen. Pintor una risposta circa le condizioni di vita di taluni francesi internati in Italia o costretti alla residenza coatta, condizioni che il capo della delegazione francese definiva critica e suscettibile di un interessamento da parte della stessa CIAF se non altro per il desiderio francese di reciprocità. Le questioni relative ai rispettivi connazionali non impedf tuttavia una certa ripresa di normalità tra i due Stati, per esempio nel campo dei rapporti economici. Essi si erano ridotti alla vigilia dell'entrata dell'Italia in guerra a ben poca cosa nell'insieme dei rispettivi commerci con l'estero; anche l'andamento generale dei reciproci scambi nel periodo precedente alla guerra in Europa aveva seguito questa evoluzione negativa, riducendo a livelli minimi i reciproci commerci percentuali. Secondo l'economista Eraldo Fossati, negli anni '30 l'incidenza delle importazioni dalla Francia sul totale delle importazioni italiane era passata dal 7, 1 del 1931 al 2,3% del 1938, mentre quella delle esportazioni verso la Francia sul totale delle esportazioni italiane era caduta dal 10,7% del 1931 al 3,1 % del 1937 con crescente orientamento al ribasso. Evidentemente questa situazione era il frutto anche della situazione generale dei rapporti politici tra Roma e Parigi che peggiorò proprio in quel periodo. E di ciò si può avere una certa riprova osservando che nello stesso periodo gli scambi italo-tedeschi crescono a dismisura: le importazioni italiane passano dal 13,2% nel 1931 al 26,7% nel 1938 e le esportazioni dal 10,7% nel 1931 al 18,8% nel 1938 ( 12.5). In questi termini quantitativi la ripresa degli scambi commerciali tra l'Italia e la Francia interrotti dalle vicende belliche rientrò nelle attività dell'organismo di Torino, ma non solo di questo. I rapporti economici infatti portarono, unica eccezione aHa CIAF, alla creazione di organo specifico che occorre situare nel quadro di una politica economica e commerciale che doveva svolgersi naturalmente fuori dalla commissione armistiziale che teoricamente era stata chiamata a controllare l'intero andamento dei rapporti tra l'Italia e la Francia. Fin dall 'inizio dello svolgimento dei lavori armistiziali, quando si cominciò ad intravveder la possibilità che i rapporti con la Francia, secondo la precaria situazione dell 'armistizio, avrebbero potuto protrarsi per un tempo notevolmente maggiore di quanto era dapprima dato prevedere, con la necessità conseguente di una ripresa di rapporti esulanti dalle materie contem(125) E. FOSSATI, Commercio estero, in La situazione economica internazionale, Padova, Cedam, 1940, p. 596.
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plate nel patto armistiziale, si sentf da parte italiana il bisogno di mettere su un diverso piano tali rapporti economico-commerciali da quelli di carattere puramente armistiziale. Ed infatti mentre in questi ultimi, appunto in forza della Convenzione di armistizio, l'Italia, «Potenza vincitrice», tendeva a mantenersi su di una posizione predominante nei confronti della Francia, nei rapporti economico-commerciali, il piede di parità doveva essere la regola. Pertanto si riteneva a Roma che «se tale trattazione avesse dovuto aver luogo da parte del medesimo organo italiano incaricato di curare anche l'applicazione dell'Armistizio, lo stesso sarebbe stato sostanzialmente scosso nel suo prestigio e diminuito nella sua posizione che doveva essere sempre di netta superiorità nei confronti della parte francese». Fu cosf che, in data 26 agosto 1940, il mar. Badoglio, Capo di Stato Maggiore generale, rilevata la necessità di trattare con la Francia questioni relative ad interessi di vario genere, di carattere non militare, esulanti da quanto previsto nella Convenzione di armistizio, autorizzava la costituzione di un Ente per la trattazione di tali questioni indipendentemente dalla costituzione a Roma della Delegazione economica francese, la quale continuò però a far capo all'amm. Duplat, Presidente della delegazione francese di Torino. La costituzione di un Ente appositamente competente per le questioni esulanti dalla materia armistiziale offri l'indubbio vantaggio - e questo forse era lo scopo principale che con la costituzione dello stesso, da parte italiana, ci si era prefissi - di affidare ad organi specificatamente competenti la trattazione delle questioni in di per sé delicate e del tutto estranee alle generali competenze degli ufficiali membri della CIAF. Si deve però notare che questa doppia situazione amministrativa e geografica, Roma e Torino, nocque, in parte, alla uniformità di trattazione delle varie questioni, rompendo l'unità che prima esisteva assoluta nei rapporti fra Italia e Francia, che si svolgevano tutti come si è accennato, attraverso la CIAF, senza peraltro, poiché l'Ente di cui si tratta limitò la sua attività alle sole questioni economiche, risolvere integralmente il problema della devoluzione in via esclusiva ad un organo non armistiziale di tutte le questioni esulanti dalla Convenzione di armistizio. Le attività dell'ente romano portarono ad uno specifico accordo firmato il 5 agosto 1940 che riguardava non la Francia intera bensf la sola Francia di Vichy o «zona libera» dall'occupazione germanica. Infatti in quella zona l'intero movimento commerciale rientrava nelle competenze della commissione di Wiesbaden e di conseguenza la relativa attività commerciale veniva regolata sulla base dei desiderata di Berlino.
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Pertanto solo con la zona libera l'accordo del 5 agosto potè giocare sulla base di un accordo di compensazione generale «che prevedeva l'importazione in Italia di rottami, minerali di manganese ecc. e soprattutto di fosfati, e l'esportazione dall'Italia, in prevalenza, di prodotti alimentari, fra cui formaggi e carni conservate, oltre ai prodotti ortofrutticoli» c126). L'accordo che entrò in vigore il 23 agosto prevedeva pure il pagamento attraverso l'apertura di conti di compensazione rispettivamente presso l'Istituto nazionale per i cambi con l'estero e l'Office des changes di Vichy. Le questioni economiche non potevano ovviamente considerarsi esaurite nella loro problematica con un semplice accordo di compensazione e di scambio: la CIAF, anche nella sua dimensione ridotta e specifica degli Affari generali, non poteva ritenere sufficiente il proprio impegno a gestire tali questioni che avrebbero necessitato un organo specifico. La commissione di esperti che si era riunita a Palazzo Chigi il 15 e 16 luglio 1940 aveva indicato la via: la creazione di una commissione economica italo-francese convocata ogni mese con due delegazioni permanenti: quella italiana presieduta dall'amb. Amedeo Giannini e quella francese presieduta dal min. plenip. Joseph Sanguinetti. L'accordo del 23 agosto, frutto della riunione del 5 agosto, diede il segno di questa esigenza che gli stessi presidenti, fino al fatidico mese di novembre 1942, cooperarono a gestire, in nome della CIAF ma sostanzialmente fuori di essa, a Roma e non a Torino, l'intero problema dei rapporti economici e delle sequele economiche e finanziarie della guerra neppure affrontate dal documento di Villa Incisa. Ben lo sottolinea lo storico francese Pierre Guillen, nel ribadire il reciproco interesse a fare uscire questi rapporti dalle secche di un armistizio che andava sempre piu impantanandosi nelle vicende di una guerra dove il «vincitore» stava sempre alla mercé di vicende generali nelle quali il «vinto» pareva sempre meno condizionato alle disposizioni di un armistizio reso caduco dalla sua stessa durata. «L'irnportance attachée, du coté italien, à la reprise rapide des échanges économiques tient à ce qu'au moment de l'entrée en guerre, les responsables italiens ont pris la mesure des insuffisances de l'économie italienne et qu'ils espèrent les pallier en partie avec les ressources de la France .. . C'est ainsi qu'à la première séance, tenue au Palais Chigi le 15 juiUet 1940, le général Favagrossa, sous-secrétaire d'Etat aux Fabrications de guerre, lit une longue liste de quantités con(126) L. D E ROSA, / rapporti economici italo-francesi tra pace e guerra, in Italia e Francia, op. cit., p. 54.
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sidérables de minerais, produits chimiques, produits sidérurgiques, que le ministère italien de la Guerre souhaite se procurer en France et dans les colonies françaises; après lui, Dall'Oglio, directeur général des Accords commerciaux soumet d 'autres demandes, concemant les produits textiles, les peaux et cuirs; puis le représentant de la Marine ... puis le directeur de I 'Industrie. .. puis le sous-directeur des Approvisionnements des chemins de fer. . . puis le représentant du Ministère de I' Afrique italienne ... » 021). Insomma alla delegazione francese appare sotto chiara luce ciò di cui l'economia di guerra dell'Italia aveva bisogno, cioè di quasi tutto. Evidentemente la teoria (e la speranza) di una guerra breve aveva le sue basi nel fiato corto di una economia non certo pronta a sforzi prolungati o a chiusure di mercato. Ed a partire di questa constatazione la delegazione francese potè impostare un certo discorso, superando di slancio l'insieme delle remore e della superiorità affermata dei «vincitori» nei riguardi dei «vinti» anche in questioni non strettamente economiche. Proprio per questa serie di motivi le relazioni tra Torino-Roma e Vichy furono alterne anche in questo primo periodo, andando da un rigoroso rispetto delle norme armistiziali ad una politica «nuova» che preannuncia la fase successiva del dialogo e del sostanziale superamento del clima stesso di Villa Incisa. Sia chiaro tuttavia che l'intero anno 1940 appare dominato dalle ambizioni italiane di «imporre» il proprio punto di vista ai delegati francesi che sia con Pintor, sia con il suo successore, il generale Camillo Grossi, troveranno due presidenti intransigenti nell'applicare questo primo tipo di politica. E di questa politica non solo i lavori della CIAF fanno fede, ma anche quel Bando concernente gli ordinamenti amministrativi e la organizzazione giudiziaria nei territori occupati che il Duce emanò il 30 luglio 1940 e che radicalizzò in senso quasi di anticipazione di annessione una questione che, viste le sue reali dimensioni, non aveva certo molta importanza nel quadro generale di una guerra che con le sue complicazioni si allargava a continenti interi (128). Il Bando, con i suoi 36 articoli, se rispondeva a certe minime esigenze pratiche aveva una chiara funzione politica non tanto sui territori occupati quanto piuttosto sull'opinione pubblica italiana, che poteva inquadrare questo nuovo atto d'imperio di Mussolini nella linea dell<1. vit-
(127) P. Gu1LLEN, La coopération économique entre la France et l'lta/ie de septembre 1939 à septembre 1943, in Italia e Francia, op. cit., p. 141.
(128) Si veda il testo del Bando riponato quale Documento n. 9 del Tomo secondo della presente opera.
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toria conseguita sulla Francia e dei vantaggi da ritrarne ad ogni costo.
È chiaro che la modestia dei territori da amministrare quali occupazioni di guerra non giustificava questo pomposo Bando; basterebbe per convincersene analizzare in dettaglio queste occupazioni, che furono segnate dalla linea verde già ricordata. Quattro dipartimenti francesi ne furono toccati: la Savoia, les Hautes Alpes, le Basses Alpes e le Alpi Marittime; in tutto tredici comuni furono interamente occupati, e a queste tredici si aggiunsero alcune frazioni di altri comuni, in tutto otto, cosi suddivisi: Nel dipartimento deJla Savoia, nove comuni ed una frazione: i comuni di Séez, Montvalezan, Sainte-Foy; nell'alta valle dell 'Isère; Bessans, Bramans, Lanslevillard; Lanslebourg, Termignon, Sollières, Sardières, la frazione Les Mottet-Versoye del comune di Bourg-SaintMaurice sui fianchi del San Bernardo c129J; - i comuni di Aussois e di Avrieux avevano parte del loro territorio occupato; - la superficie totale occupata era di 48.557 ettari con una popolazione francese di 5.301 abitanti. Nel dipartimento delle Hautes Alpes: due comuni ed una frazione: i comuni di Mont-Genèvre e di Ristolas; la frazione di Roux del comune di Abriès; - i comuni di Névache e di Cervières avevano parte del loro territorio occupato; - la superficie totale occupata era di 13.150 ettari con una popolazione francese di 370 abitanti. Nel dipartimento delle Basses Alpes: due frazioni: Combremond del comune di Saint-Paul-sur-Ubaye e la frazione di Roche-Méane del comune di Larche; - la superficie totale occupata era di 14.760 ettari con una popolazione francese di 32 abitanti. Nel dipartimento delle Alpi Marittime: due comuni ed una frazione: Mentone (senza la frazione di Monti), Fontan, le frazioni di La Bianche, di Bourguet, di Doans nel comune di Saint-Etienne-de-Tinée; alcune case del comune di Isola; - i comuni di Castellar, Breil, Saorge, Sospel, Rimplas, Valdeblore, Saint-Martin-Vésubie, Roquebillère e Belvédère avevano parte del loro territorio occupato;
(I 29) Tutte le relazioni parlano di 9 comuni ma ne elencano I O; si dovrebbe trattare di un comune unico con due sedi abitate.
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- la superficie totale occupata era di 6.750 ettari con una popolazione francese di 22.820 abitanti di cui 21.700 a Mentone. Nel suo complesso l'occupazione italiana riguardava 82.217 ettari con una popolazione francese di 28.475 secondo i dati del censimento del 1936. Ora, mentre la superficie rappresenta un dato certo non altrettanto si può dire della popolazione allontanata d'autorità alla vigilia della guerra e rifugiatasi, salvo rari casi, nelle zone previste a tale uopo quale zone di rifugio nel dipartimento dei Pirenei Orientali e non rientrata, se non in minima parte, nella propria sede al momento della firma del Bando mussoliniano (130). Alla luce di queste considerazioni sulle dimensioni reali delle popolazioni comprese nell'occupazione militare italiana, appaiono del tutto sproporzionate le dimensioni giuridiche del Bando che prevedeva la nomina di speciali Commissari civili con circoscrizioni di competenza da definirsi nell'ambito dei comuni occupati (art. 1) Ct3t). La convivenza con le autorità amministrative francesi era sancita dall'art. 4, ma le condizioni nelle quali essa veniva prevista la rendevano estremamente fragile e sempre sottoposta, in ultima analisi, al beneplacito delle autorità miJitari italiane. Sul piano economico, il ritorno delle popolazioni era previsto, ma il fatto che esso fosse sottoposto alla concessione di uno «speciale salvacondotto rilasciato dall'autorità militare e vistato dal Commissario civile» italiano, ne rendeva in pratica piuttosto difficile, la realizzazione (art. 7-8). L'insieme della vita economica delle zone occupate era del tutto chiusa verso la Francia ed orientata verso l'Italia (artt. 9-12) con una moneta unica, la lira italiana (art. 13); nello stesso articolo peraltro si tollerava la circolazione di una seconda moneta, il franco francese al tasso ufficiale fissato d'autorità di trenta lire per cento franchi. Si trattava di un cambio del tutto politico, poiché in quello stesso periodo il cambio reale registrava ben 44 lire per cento franchi: l'affermazione della vittoria implicava anche queste decisioni che la realtà economica impose, di li a poco, a modificare: un decreto dell' 11 giugno 1941 portò il cambio a 38 lire. (I 30) La relazione la piu completa al riguardo è quella di M. SARRAZ·BOURNET, Situation de la zone occupée per lesforces armées iraliennes, rapport à M. L'Am. H. Duplat, 23 luglio 1941, in DFCIA-SHAT, I/P{78, d. 2. ( 131) Per dare confenna a questa interpretazione basterà notare che nel centro piu popoloso, Mentone, il ritorno della popolazione francese fu oltremodo modesto: il 14 agosto sono autorizzate a rientrare 27 francesi (tra cui il sindaco Jean Durandy); nell'aprile 1941 erano 1.623 e nel marzo 1942 2.116; alla vigilia delle ostilità (aprile 1940) 14.242 abitanti erano censiti a Mentone. Ved. P. MOLINARI • J. L. PANICACCI, Menton dans la tourmente 1939-1945, Mentone, Annales de la Société d'Art et d'Histoire, 2° ed. 1984.
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Fu però nel capo secondo del Bando dedicato alla «amministrazione della giustizia civile e penale» che si manifestò il desiderio italiano di prefigurare, attraverso il Bando, una vera e propria annessione di questi territori, passando l'intera vita giuridica delle popolazioni in esse stanziate sotto la legge italiana e sotto i giudici italiani con un rispetto solo apparente della struttura del giudice di pace francese che veniva affiancata da un pubblico ministero di nomina militare. L'insieme delle strutture giurisdizionali veniva affidata alla competenza della Corte di Assise di Torino ed il ricorso in Cassazione a Roma. Uno speciale Tribunale militare di guerra costituito presso le truppe occupanti era competente per l'insieme di reati commessi a danno delle forze armate di occupazione (art. 25). L'insieme dell'organizzazione prevista dal Bando per quel che veniva pomposamente chiamato «1 'insieme dei territori francesi occupati dalle forze armate italiane» si rivela emblematicamente manifestazione piu di propaganda che frutto di necessità. È stata già ricordata la modestia numerica degli abitanti soggetti a questa occupazione; il Bando emanato dal Duce «primo Maresciallo dell'Impero, comandante delle truppe operanti su tutte le fronti» poteva essere ritenuto inutile, bastando la legge di guerra de11'8 luglio 1938 a reggere senza grandi difficoltà situazioni del tutto modeste ma, come sottolineò al riguardo M. Sarraz-Bournet all'amm. Duplat, <<cette solution était trop simpliste; elle ne matérialisait pas suffisamment aux yeux de l'opinion publique d'ltalie et du monde la brillante victoire des troupes italiennes, qui, dix fois supérieures en nombre et en matériel, avaient réussi à accrocher quelques Jambeaux du territoire français. Il fallait pour le prestige italien autre chose qu'une occupation-contréìle; il fallait une occupation qui donne à l' Autorité ItaJienne tous pouvoirs d 'administrer et de juger; il faJlait montrer la supériorité de l'administration et de la justice italiennes sur l' administration et la justice françaises d' avant la guerre; il fallait, dans un but de propagande, instituer une occupation préparatoire de l'annexion, dans )es 13 communes françaises occupées» (132). Nel quadro generale delle attività della CIAF nei suoi rapporti con la delegazione francese, il bando del 30 luglio giocava la carta dell'autoritarismo e cioè rientrava nella fase che abbiamo definita di euforia da parte delle autorità italiane nei riguardi del governo di Vichy. Sul piano pratico le discussioni nei settimanali «entretiens» tra l 'amm. Duplat e il gen. Pintor furono continue occasioni di contrasti e di controversie mi-
(132) Rapporto di M. SARRAZ-BOURNET, cit., p. 15.
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nute che non disdegnarono neppure di investire anche aspetti futili ma diventati importanti agli occhi delle autorità italiane; si ricordino ad esempio ì contrasti per le manifestazioni di intolleranza che in taluni casi colpivano direttamente i funzionari della CIAF in attività in Francia con graffitì, ìnsulti ed altre manifestazioni dì intolleranza; lo stesso si può dire per il cosiddetto incidente della stretta di mano verificatosi allorquando alla mano tesa di un ufficiale italiano ad un membro della delegazione, costui ostentò il rifiuto: di gradino in gradino l'incidente giunse all 'entretien del 29 agosto 1940 tra Duplat e Pintor e costui decìse di ordinare l'abolizione della stretta di mano onde evitare ogni incidente futuro sottolineando allorquando concludeva l'incontro che stringeva la mano all'amm. Duplat «per l'ultima volta» (133l,
(133) Compte-rendu de l'entretien du 29 aoat 1940, p. 5 in DFCIA-SHAT, l/P/78. Se ne veda il testo quale Documento n. 12 del Tomo secondo della presente opera.
11. La prima crisi del Levante francese
Anche se la «questione del Levante francese» nascerà a livello di crisi militare solo all'inizio del giugno 1941 e sarà collegata ad un'altra crisi araba, quella irachena, il Levante francese va esaminato in una prima fase delle attività di controllo della CIAF che trovano in Siria e in Libano un terreno estremamente interessante visto il collegamento del Levante francese e della sua sorte con la ben piu generale questione araba che l'ltalia e la Germania avevano sollevato da tempo con i loro propositi di Nuovo Ordine Mondiale. Il problema dei rapporti tra le potenze dell'Asse e il mondo arabo poteva trovare in questa occasione modo di manifestarsi e soprattutto operare per fare un'azione di proselitismo presso l'intero mondo arabo di cui certamente la Siria ed il Libano facevano parte. E ciò ai sensi della Dichiarazione comune sul futuro del mondo arabo fatta da Roma e da Berlino il 5 dicembre 1940 che affermava la volontà dell'Asse di liberare dal giogo coloniale franco-inglese quelle popolazioni che avrebbero trovato solo nella vittoria dell'Asse la piena soddisfazione delle loro legittime aspirazioni all'indipendenza ed alla libertà nel quadro di un regime nuovo dominato da Roma e da Berlino (134).
(134) Il testo della Dichiarazione del 5 dicembre 1940 era assai oscuro riguardo alle scelte finali dell'Asse, ma evocava un interesse preminente di Roma e di Berlino per l'indipendenza dei paesi arabi. Poiché fu molto nota in Oriente e lo è poco in Italia, vale la pena di citarla per esteso: «La Gran Bretagna che, con crescente preoccupazione, vede aumentare le simpatie dei Paesi arabi per le Potenze dell'Asse, dalle quali essi attendono la liberazione dall'oppressione britannica, cerca · di opporsi a questo movimento di simpatia, e in piena malafede afferma che l'Italia e la Germania hanno l'intenzione di occupare e dominare i Paesi arabi. Per controbattere tale maligna propaganda e tranquillizzare i Paesi arabi circa la politica italiana nei loro confronti, il Governo italiano conferma quanto ha già fatto diramare per radio in lingua araba; e cioè che esso è sempre stato animato da sentimenti di amicizia per gli arabi, che desidera vederli prosperare ed occupare fra i popoli della terra il posto rispondente alla loro importanza naturale e storica; che ha costantemente seguito con interesse la loro lotta per 1' indipendenza; e che, per il raggiungimento di questo fine, i Paesi arabi possono contare anche in avvenire sulla
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Anche se a piu riprese riconosciuta da Berlino, la competenza dell'Italia a trattare il problema del Levante francese era temperata dall'interesse generale della Germania ad avere anche in questo caso una «politica araba» che si collegasse ai suoi precedenti storici di interesse verso il mondo medio orientale e prolungasse la propria azione sull'incerta Turchia. Il fatto che un certo numero di fuoriusciti arabi si fosse trattenuto a Berlino attorno ai copiosi mezzi di propaganda nazisti conferma un interesse che guardava al Medio Oriente, prima del la crisi militare con l'URSS, come ad un naturale prolungamento di un'azione politica ed economica importante anche ai fini deUa prosecuzione dell'azione bellica in generale. Ma qual era la situazione della Siria nel delicato momento in cui la Francia crolla e arrivano a Beirut gli ufficiali di controllo italiani e germanici? Per avere una risposta a questo quesito va ricordato il clima di intensa agitazione politica nazionalista che aveva fatto seguito alle trattative e agli accordi del '36 circa l'emancipazione della Siria e del Libano nonché agli effetti polemici seguiti alla cessione da parte della Francia di Alessandretta alla Turchia. Un clima estremamente teso sul piano locale che era accompagnato sul piano francese di Vichy dal desiderio di sottrarre il Levante sia alla tentazione secessionista del movimento gollista, sia alle chiare mire britanniche per una occupazione-conquista del mandato, sia alle paventate rivendicazioni italiane, sia infine alle ventate nazionalistiche locali. Programma certo ambizioso quello di Vichy, il quale peraltro troverà in una prima fase modo di essere realizzato con un 'oculata politica di pesi e contrappesi nella quale il fatto che l'intero Levante venga attribuito dall'Asse alla responsabilità della CIAF non muta granché. Una speciale Delegazione italiana raggiunse da Torino Beirut il 1° agosto 1940 con il compito di applicare a questi territori le disposizioni dell'armistizio di Villa Incisa. La posizione di Vichy riguardo al Levante era la stessa che essa praticava riguardo al resto dell'Impero francese: mantenere la presenza e l'ubbidienza del territorio alla madrepatria evitando l'avventura gollista ed evitando nel contempo una qualsiasi decisione da parte dell'Asse pregiudizievole ad un futuro «francese», conservando a questo fine il massimo delle forze armate metropolitane ed indigene per difendere l'intero progetto di conservazione francese. Contro una simile politica operavano le forze deUa dissidenza gollista, in Siria come altrove, ed anche la politica inglese che, nel caso
piena simpatia dell'ltalia. L'Italia fa questa dichiarazione in completo accordo con l'alleata Germania». /
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specifico, faceva mostra di sostenere il nazionalismo arabo pur di scalzare le posizioni francesi e nell'immediato di eliminare ogni possibile minaccia da nord al proprio schieramento militare medio-orientale. Le autorità inglesi del Medio Oriente non facevano mistero del loro proposito di vedere al piu presto quella che veniva definita una rottura dello schieramento anti-Asse nel punto piu debole, il Levante francese. A tale proposito fin dal 1° luglio 1940, il governo di Londra aveva pubblicato una dichiarazione nella quale, dopo aver deprecato che il comandante supremo francese gen. Mittelhauser avesse dichiarato di voler accettare l'autorità del governo di Vichy, metteva le mani avanti per giustificare in anticipo ogni sua decisione in merito ad una azione militare futura. «Il governo inglese, precisava la Dichiarazione, ritiene che questo annuncio (di ubbidienza a Vìchy) non significa che se i tedeschi oppure gli italiani tentassero di occupare la Siria, nonostante la padronanza inglese del mare, le forze francesi non si opporrebbero a questo tentativo. Comunque, allo scopo di calmare ogni dubbio a questo riguardo, il governo inglese dichiara che esso non potrebbe ammettere che la Siria e il Libano siano occupati da qualsivoglia Stato nemico, che questi territori diventino basi di attacco contro i paesi del Vicino Oriente che il governo inglese si è impegnato a difendere e neppure che tali territori cadano in disordine tale da costituire un pericolo per quei paesi. Il governo inglese si riserva il diritto, in tal caso, di prendere i provvedimenti che riterrà necessari secondo i propri interessi>> 035l. Da una parte quindi Londra tentava di favorire i moti di dissidenza gollisti, dall'altra poneva in guardia le autorità di Vichy a Beirut da ogni politica di supina acquiescenza alle volontà italo-tedesche ed infine precisava presso il mondo arabo, certo scosso dalla propaganda dell'Asse e dalle sue vittorie, che il governo inglese non considerava affatto chiusa la partita nel Medio Oriente neppure con la venuta di speciali commissioni italo-tedesche di armistizio. Ufficialmente le ambizioni italiane erano assai meno vaste di quanto temesse Londra: le speciali «direttive» che la Delegazione italiana in Siria presieduta dal gen. Fedele De Giorgis ricevette dal presidente della CIAF, gen. Pintor, erano nell'immediato solo tre e cioè: - controllare la smobilitazione ed il disarmo di tutte le forze armate della Siria (art. IX della convenzione di armistizio); - applicare gli articoli XVI, XVII, xvm e XIX concernenti la
(135) In Italia il testo fu subito reso noto da «Oriente Moderno», 1940, p. 399.
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marina mercantile francese e italiana, l'impiego dei reparti dell'aeronautica francese ed il controllo delle trasmissioni radio; - applicare le disposizioni dell'art. XXI concernenti la liberazione degli italiani ancora internati ( I36). Sul piano segreto i compiti della delegazione si allargavano con una vasta azione informativa, sia sul piano locale, sia su quello regionale. In questa particolare circostanza le preoccupazioni inglesi erano nel giusto, specie per quanto riguardava l'azione presso le popolazioni arabe che venivano già da tempo sottoposte a pressioni specialmente radiofoniche da parte della propaganda dell'Asse (Radio-Berlino e soprattutto Radio-Bari) e che i successi della prima offensiva all'Asse in Cirenaica ed in Egitto ponevano al primo piano delle preoccupazioni britanniche. Sul piano connesso al Levante francese le direttive segrete di De Giorgis lo incaricavano di: - raccogliere dati sulla situazione delle forze e dei mezzi dislocati in Siria, riferiti sia alla situazione normale di pace, cioè prima della prima guerra, sia alla data della firma dell'armistizio, sia infine a quella dell'arrivo e dell'inizio di attività della Delegazione a Beirut; - sorvegliare le variazioni in qualità ed in quantità di queste forze e dei mezzi a sua disposizione in relazione con la smobilitazione già iniziata; - studiare piani di rimpatrio di personale e di materiale militare resi disponibili per effetto della smobilitazione stessa; - seguire i movimenti del personale e del materiale delle forze terrestri, navali ed aeronautiche allo scopo di impedire che potessero eludere il controllo ai fini dell'applicazione degli articoli XIV e XV alla Siria. Se queste erano le direttive del! 'attività della Delegazione sul piano siriano, ve ne erano altre che riguardavano attività di informazione circa tutti i vicini della Siria stessa e quindi della Turchia, ancora in un stato di neutralità e di incertezza, e l'insieme dei paese arabi che gravitavano nel1'ambito britannico ma di cui alcuni segni davano per sicura una intensa attività di opposizione alla Gran Bretagna che il fuoriuscitismo filo-asse importante come qualità (tra i quali primeggiava il Gran Mufti di Gerusalemme Amin el Hussein) confermava con chiari segni di vitalità. II tono generale di queste direttive risentiva molto del clima generale del momento poiché faceva quasi astrazione da una volontà francese (di Vichy) che facesse da freno alle decisioni della Delegazione: un
(136) Direttive del gen. P. Pintor al geo. F. De Giorgis, Torino, 23 agosto 1940, in USSMECIAF, Racc. 75, fase. 2.
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paragrafo specifico di queste Direttive ricordava infatti che «ai sensi dell'art. XXIV della Convenzione di armistizio, la Delegazione francese per la Siria poteva fare presente i desiderata per conto del proprio governo, doveva trasmettere alle autorità francesi (di Vichy) le disposizioni della Delegazione italiana ma non doveva discutere» tali ordini. Il clima era ancora dominato da un autoritarismo che si riteneva facile da applicarsi nei riguardi della Francia «vinta», ma ben presto il gen. De Giorgis si rese conto che a tal punto la situazione non era facile che i suoi rapporti a Torino furono quasi subito improntati al piu severo giudizio verso l'effettiva possibilità di realizzare l'obiettivo della sua missione. Al centro delle perplessità, o meglio delle considerazioni negative del De Giorgis stava la figura dell'Alto Commissario francese nel Levante, Gabriel Puaux, che era, non a torto, considerato infido e direttamente legato al movimento gollista, e del quale egli richiese a piu riprese il ritiro per meglio assicurare la stabilità della Siria nell'orbita di Vichy. Sul piano popolare la comparsa della commissione italiana e degli inviati tedeschi portò ad una scossa psicologica interessante, che consistette nel rimettere in questione presenze che erano fino ad allora apparse come indiscutibili, quelle del colonialismo francese e inglese che sull'onda della sconfitta francese venivano discusse e persino derise .. . Un ritornello di una canzoncina popolare si era diffuso: «Baie Missiou, Bale Mister, Kellah bara, haida Sikter Bissam Allah, wa al-ard Hitler» e cioè: «Niente piu Monsieur, niente piu Mister, andate via, scomparite. Allah regna nei cieli, Hitler sulla terra» (137). Non si deve dimenticare che da li a poco, doveva nascere proprio ad opera del prestigioso Istituto per l'Oriente di Roma, il quindicinale «Mondo Arabo» che voleva, con il massimo clamore consentito dalla recente «vittoria» italiana, «la ricostruzione di un Oriente Nuovo in tutte le terre che si affacciano sul Mediterraneo dove Roma e i 'Islam, incontrandosi altra volta, seppero produrre un tipo di civiltà stupenda e, in certi lati insuperata ... » (138). I consensi dovettero anche essere suscitati dalla posizione assunta da un altro numero della stessa rivista che ribadiva:
(137) Riportato anche da M. C. D ,WE>T, Le double affaire de Syrie, op. cit., p. 63. Vedere nota 140. (138) Mediterraneo: origine e fulcro della guerra, in «Mondo Arabo», n. I, 29 clic. I940.
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ci sarà posto, nel nuovo Mediterraneo, per uno Stato Sionista! ... Per questo destino l'Italia si batte oggi sul mare che fu già di Roma, per questo destino la Nazione araba non potrà tardare a schierarsi decisamente dalla parte della giustizia rappresentata oggi dalle potenze dell'Asse ... » (139). Se queste erano le posizioni generali sulla questione araba, tutto ciò che trapelava da esse per il Levante francese era in netto contrasto con il permanere della Francia. Le «voci» allarmistiche circa la presenza sul suolo siriano della Delegazione italiana circolarono certamente con l'appoggio dell'Alto Commissariato francese e ad esse si oppose invano, da mediatore oculato, il gen. Arlabosse, delegato francese presso la Delegazione. La vicenda, venuta a conoscenza del De Giorgis, prese la piega di una vera e propria attività di reazione a queste voci che attribuivano alla Delegazione «compiti che non aveva né intendeva avere» secondo la nota di protesta del 6 settembre del De Giorgis al gen. Arlabosse, e che riguardavano «la preparazione all 'occupazione degli aeroporti, l'ingerenza negli affari di banca o nell'amministrazione del paese, ecc.» <140) . Il tutto poteva rientrare secondo l'analisi italiana nel tentativo di «creare attraverso malintesi uno stato di allarme e di preoccupazione nel paese alla scopo ... di intralciare l'applicazione» dell'armistizio. Alla protesta formale italiana venne data quale risposta la pubblicazione sulla stampa locale di un comunicato dell ' Alto Commissariato inteso a sconfessare le numerose voci allarmistiche secondo le quali l'inizio delle attività della delegazione italiana preludeva ad imminenti occupazioni militari e ad inevitabili presenze dell ' Asse nel Levante. Anche in questa occasione la posizione francese ufficiale fu equivoca: da una parte si concordò un testo di un comunicato, dall'altra se ne pubblicò un altro con sottili varianti tali da mettere l'intera operazione alla mercé di altri silenzi e di altre interpretazioni cosi' come la collocazione nella stampa locale del «comunicato» abilmente inserito sotto notizie nettamente favorevoli alla Gran Bretagna induceva a considerare l'attività della stessa Delegazione (una delegazione e non la delegazione della quale era annunciato l'arrivo, quasi la visita a tempo, e non l'attività permanente) come trascurabile e marginale nel quadro della guerra in corso.
(1 39) L. V ECCIA VAGLIERI, li Mediterraneo ai mediterranei, in «Mondo Arabo», n. 5, 28 febbraio 1941. (140) Nota del gen. De Giorgis al gen. Arlabosse , 6 sen. 1940, in USSME-CIAF, Racc. 75, fase. 7.
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Si trattava forse di una guerra a colpi di spillo, ma i suoi particolari ci sembrano interessanti anche se i maggiori storici della «questione siriana» non la citano neppure 0 41>; le differenze tra il testo concordato e quello pubblicato sono emblematiche e rappresentative di una situazione che andava rapidamente deteriorandosi 0 42>. Non fu certamente questa piccola «guerra dei comunicati» ma furono questo ed altri episodi di frizione ad essere ali' origine del convincimento del gen. De Giorgis della reale impossibilità di collaborare con l'Alto Commissario Puaux, che non perdeva un'occasione per dimostrare la propria decisa volontà di intralciare al massimo l'attività della Delegazione italiana che nel frattempo si era perfettamente organizzata per raggiungere gli scopi assegnati dalla Presidenza della CIAF. Fu proprio per questi motivi che la polemica sotterranea si arricchi di altri elementi, quali la critica nei riguardi di una Commissione che era ritenuta troppo numerosa nei suoi membri per essere solo un organo di controllo. Da parte italiana vi erano 55 membri ufficiali con un nucleo tedesco di collegamento ed un numero elevato di collaboratori reclutati nel paese. Furono proprio questo numero e queste attività «locali» a sollevare una ridda di voci allarmistiche circa la volontà dell'Asse di preparare attraverso la testa di ponte siriana una vera e propria invasione del Medio Oriente, e i recenti successi in Europa rendevano attendibili que-
(141) L'opera la piu completa sulla crisi della Siria (del 1941) cita quasi di sfuggita queste vicende limitandosi a ricordare: «Déjà (nell'ottobre 1940) malgré les protestations de la commission italienne d'armistice et les consignes de Vichy, certaines complicités se sont établies entre Français et Anglais ... », M.C. DAVFr, La double affaire de Syrie, Parigj, Fayard, 1967, p. 31. ( 142) I due testi, il concordato ed il pubblicato, sono i seguenti: Testo concordato (allegato alla risposta del 7 settembre del gen. Arlabosse alla nota del 6 del gen. De Giorgis): «L'arrivée de la commission italienne d'armistice avec la France a fait mettre en circuJation nombreuses voix aJ. larmantes, denuées de tout fondement, mais qui malheureusement trouvent crédit parmi la population qui s'en préoccupe. Cette ceuvre malsaine est due à une propagande qui vise à créer du malaise et porter de l'agitation dans le pays. La commission italienne travaille à l'unisson avec la commission française dans l'esprit et dans la lettre de la convention d'armistice et ne pense, ni à préparer l'occupation des aérodromes, ni à s'ingérer dans !es affaires de banques ou de l'administration libano - syrienne. Que le pays se tranquillise donc et ne prete oreille aux fausses nouvelles allarmantes qui sont expressement divulguées par des agents provocateurs étrangers». Testo pubblicato dalla stampa: <<L'arrivée d'une sous commission italienne d'armistice a provoqué des nouvelles tendancieuses dénuées de tout fondement. Une mise au point a paru s'imposer. La sous-commission italienne travaille en parfait accord avec la délégation française, dans l'esprit et dans la lettre de la Convention d'armistice qui ne prévoit aucune occupation militaire en territoire sous mandat. La sous-commission italienne ne prépare nullement l'occupation des aérodromes et n'a pas l'intention de s'immiscer dans !es affaires financières et administratives du pays».
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ste voci a livello di opinione pubblica anche qualificata (143). L'azione della propaganda radiofonica inglese e tramite agenti speciali era molto intensa: lo notava il De Giorgis, fin dal suo rapporto del 12 settembre, che sottolineava anche alcune incongruenze di Radio-Bari a proposito della Siria affermando: «Numerosi abili agenti con molto oro sono dappertutto pronti ad accentuare il malcontento, a sobillare i militari alla diserzione, a favorire il contrabbando (di bestiame e di cereali specialmente) in Palestina, a predire ed eccitare un prossimo rivolgimento politico nel paese. Oltre a manifestini, le trasmissioni radio inglesi eccitanti alla diserzione sono quotidiane (la presenza della Delegazione italiana e la prossima completa smobilitazione e disarmo è l'argomento preferito). Non è senza stupore quindi che si è sentito Radio-Bari comunicare che la situazione in Siria è normalissima e che membri della Commerciai British Corporation erano stati arrestati. A parte 1'inesattezza, tale trasmissione è inopportuna perché finisce indirettamente per magnificare l'operato dell'Alto Commissariato La cui lealtà verso il governo di Pétain è invece dubbia. In ogni caso è certo che i suoi vicini diretti collaboratori sono filo-inglesi e "lavorano" per l'Inghilterra» (t44). La situazione generale era, secondo il delegato italiano, resa ulteriormente precaria dalla presenza e dal l'attività di un consolato inglese a Beirut (con a capo il cons. Harvard) e dal fatto che, malgrado la conclusione dell'armistizio, e quindi di una nuova posizione della Francia nei riguardi del conflitto ancora in corso e malgrado la presenza della Delegazione, numeroso personale militare e civile britannico potesse continuare a transitare attraverso la Siria per raggiungere dalla Turchia la Palestina o l'Egitto, senza alcuna difficoltà da parte delle autorità locali francesi. Questa era senza dubbio una situazione assai curiosa, la quale peraltro non irnpedf al «Tirnes» di Londra di pubblicare proprio da Beirut una corrispondenza sulle attività delle autorità italiane in Siria nella quale veniva ribadita la forte opposizione francese ed indigena contro la presenza degli ufficiali italiani che erano stati, secondo la
(143) Si veda per esempio l'episodio della pubblicazione del primo comunicato della CIAF. Nel piu diffuso quotidiano siriano «La Syrie» del 10 settembre 1940, le 20 righe del comunicato erano pubblicate su tre colonne ed il titolo, in corpo piccolo, schiacciato da un titolo su 3 colonne sull'Aiuto americano alla Gran Bretagna e la concessione alla stessa di 5 nuovi tipi di aerei, e contornato da un articolo sulle gravi perdite tedesche nella battaglia di Londra (88 aerei tedeschi abbattuti contro 22 inglesi) con evocazione dell'eroismo, della tenacia, del coraggio e della detenninazione del popolo inglese a combattere contro i tedeschi. .. Il tutto non poteva certamente essere considerato una impaginazione fortuita, ma rivelava, oltrecché nel giornale anche nelle autorità censorie francesi, chiare scelte politiche ed inequivocabili messaggi ai lettori. (144) Relazione De Giorgis alla Presidenza della CIAF, 12 settembre 1940, in USSMEClAFRacc. 75, fase. 9.
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fonte inglese, aggrediti nelle vie di Beirut, mentre le autorità francesi del Levante andavano rafforzando la loro opposizione alle richieste italiane specie per quanto riguardava la smobilitazione e la cessione all'Italia di materiale bellico sequestrato alle forze armate francesi (16 settembre 1940). Per le autorità della CIAF di Torino una tale situazione non poteva non cessare: venne richiesta l'espulsione immediata del console Havard e dell'intero consolato e venne dato un'eco ufficiale alle richieste del gen. De Giorgis a proposito di un «cambio immediato» dell'Alto Commissario Puaux, ritenuto infido, da ottenersi a livello di richiesta all'amm. Duplat durante i soliti incontri di Torino. La situazione siriana parve cosi diventare incandescente proprio nella prima decade di settembre, e il disordine che pareva regnare nelle decisioni francesi a proposito del Levante indusse il presidente della CIAF Pintor ad interessare lo stesso Duce al problema. Ma anche lo stesso testo della comunicazione al De Giorgis che riferiva la decisione di Mussolini («Qualora governo francese si mostrasse impari nel ripristinare ordine nei territori dipendenti il governo italiano e tedesco si riservano ogni ulteriore decisione») del 1O settembre non aveva un gran valore pratico, tant'è vero che lasciò le cose nella situazione primitiva, pur denunciando poco dopo il gen. De Giorgis un complotto gollista-inglese in Siria che avrebbe dovuto far passare il paese alla dissidenza da Vichy per il 15 settembre (145). Sul piano delle decisioni il governo di Vichy ottemperò alla richiesta italiana a proposito dell'Alto Commissario Gabriel Puaux che fu richiamato in patria in data 24 novembre 1940 e che si ritirò in apparente oblio in Tunisia prima di essere chiamato da De Gaulle, dopo lo sbarco anglo-americano del novembre 1942 alla carica di Residente generale francese nel Marocco (t46>. Sul piano militare, nulla successe nell'immediato e la delegazione della CIAF potè stabilire, quanto alle forze armate concesse per il mantenimento dell'ordine interno, la cifra di tre divisioni con organici di pace ivi comprese le formazioni siro-libanesi nonché il personale della Marina e dell'Aviazione. In virtu di successive concessioni accordate per far fronte alle minacce inglesi e golliste, alla fine dell'anno 1940, la
(145) Si tratta del telegramma del gen. Pintor del 10 settembre e di quello del gen. De Giorgis al gen. Pintore da questi all'amm. Duplat del 13 settembre 1940 in USSME-CIAF, Racc. 75, fase. 9. (146) Le memorie cli G. PuAUX, Deux années au levant (1939-1940), Parigi, Hachette, I952, danno di questa fase di resistenza dall'interno delle strutture cli Vichy una interpretazione assai piu incisiva cli quanto in realtà si verificò.
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forza totale delle truppe in Siria ammontava a 56.000 uomini di cui 39.000 truppe francesi e 16.200 truppe autoctone. Per quel che riguardava gli smobilitati si stabilirono dei convogli di rimpatrio verso Marsiglia ·(di cui il primo salpò il 17 ottobre 1940 da Beirut con 5.000 uomini) ma che furono presto sospesi per l'opposizione delle autorità britanniche a lasciare passare, dall'Africa del Nord verso la Siria, un convoglio di 9.900 senegalesi fatti affluire per riequilibrare l'intero sistema difensivo francese nei propri territori d'Oltremare. L'irrigidimento britannico verso la Francia provocò anche una vittima illustre, il nuovo Alto Commissario francese per il Levante mandato a succedere a Puaux, Jean Chiappe, che peri, il 27 novembre, nella caduta del suo aereo abbattuto da aerei britannici a nord di Biserta; <147> e con la morte di Chiappe si può dire che prendesse fine anche nel Levante la fase di incertezza da parte delle autorità britanniche nei confronti della Siria e del Libano. Da allora il suo successore, il gen. HenriFemandez Dentz sarà trattato da nemico e il Levante francese diventerà per Londra un obiettivo da catturare alla prima occasione favorevole ( 148). Questa prima fase della crisi siriana si chiuse con un episodio nel quale l'intera politica equivoca di Vichy nei riguardi della CIAF in particolare e dell'Asse in generale si manifestò con totale disinvoltura. Vogliamo alludere alla formale richiesta da parte dell 'amm. Duplat, a nome del proprio governo, di ritirare la Delegazione di armistizio dal Levante francese fatta I' 11 dicembre 1940, quasi in cambio dell 'avvenuta sostituzione dell 'Alto Commissario Puaux con il gen. Dentz. Il ragionamento che il governo francese faceva a questo riguardo era legato alla generale situazione di gravità politica che regnava nel Levante francese in seguito alle voci di annessione e di occupazione da parte dell'Asse che la propaganda britannica continuava a diffondere nel paese dopo l'arrivo a Beirut della Delegazione di armistizio. La presenza di questa delegazione doveva essere ritenuta quindi, secondo il ragionamento delle autorità di Vichy, un elemento che giocava a favore di questa propaganda nemica, ed il fatto che essa fosse «particolarmente numerosa» ed attiva giocava contro il disegno del gen. Dentz di <<rafforzare la presenza francese nel Levante»; pertanto sarebbe stato interesse anche dell'Asse di sottrarre argomenti alla propaganda gollista e inglese decidendo il ritiro della Delegazione stessa dal
( 147) La fine di J. Chiappe rimane avvolta nel mistero poiché i documenti consultati sono abbastanza contradditori: vi si parla di coinvolgimento casuale in una battaglia navale. di anacco proditorio da parte di caccia inglesi e anche di oscuro sabotaggio. (148) Sull'intesa politica della CIAF nel Levante si veda il Documento n. 15 del volume secondo nella presente opera.
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Levante che, in realtà, «non aveva ormai piu nulla da fare né da controllare» (149). La missione delJa Delegazione era, sempre secondo Vichy, di realizzare una smobilitazione delle forze armate del Levante ed un disarmo generale della regione; dopo pochi mesi dalla firma della convenzione di Villa Incisa però la situazione era talmente mutata che erano le stesse autorità italiane a consigliare il riarmo delle forze armate francesi per difendere il paese dalle eventuali mire aggressive deWexalleato: quindi il vero ed unico fine della Delegazione era venuto meno, e l'interesse di Roma come di Vichy consisteva nell'offrire al nuovo Alto Commissario francese ogni mezzo per riuscire nella sua missione ed in primo luogo, con il ritiro richiesto, la prova agli occhi cli tutti che la propaganda allarmistica di origine britannica e gollista fqsse priva di qualsiasi base e smentita dai fatti. La mossa a sorpresa delle autorità di Vichy a proposito della Siria non portò, ovviamente, a sostanziali modifiche nella politica dell'Asse verso il Levante né tanto meno allo scioglimento richiesto della Delegazione di armistizio: i compiti affidati ai suoi vari organi non potevano ritenersi liquidati con il controllo delle forze armate e con un disarmo che per cause cli forza maggiore era stato meno importante del previsto. Ancora una volta il governo di Vichy si poneva in una equivoca posizione che seminava ostacoli crescenti all'applicazione dell' armistizio giocando abilmente tra esigenze generali dell'Asse, prosecuzione della guerra con la Gran Bretagna e minacce cli secessione offerte dalla dissidenza gollista. Quanto all'azione del!' arnm. Duplat, che iniziava con questa richiesta a sorpresa il dialogo con il nuovo presidente della CIAF, gen. Grossi (il gen. Pintor era morto in un incidente aereo il 7 dicembre 1940), si può dire che egli era diventato un interprete fedele di una politica e di una tattica diplomatica dell'intera delegazione francese di Torino che, come ricordò piu tardi un suo membro eminente, Marius SarrazBoumet, aveva fatto dell'arte del dialogo un ottimo strumento della sua volontà di attendismo oso>. Anche la morte di Chiappe e la necessità della nomina di un suo successore offrirono a Duplat un'ottima occasione ... per fare esattamente il contrario di ciò che la CIAF auspicava che il governo francese facesse. Allorquando nel colloquio del 1° dicembre il gen. Pintor dopo essersi rammaricato per la scomparsa di
(149) La nota deU'amm. Duplat alla presidenza della CIAF è dell' ll dicembre 1940, in
USSME-CIAF, e quale Documento n. 17 nel Tomo secondo della presente opera. (150) L'ordin.anza di nomina del gen. C. Grossi è riportata quale Documento n. 16 nel volume secondo della presente opera.
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Chiappe chiese not1Z1e sulla nomina del suo successore, precisò di fronte alla risposta evasiva di Duplat che il governo italiano e la CIAF avrebbero gradita la nomina del gen. Fougère, comandante delle truppe francese: e due giorni dopo era il gen. Dentz che era chiamato a ricoprire la carica vacante (1St>.
(151) Compte rendu sommaire de l'entrevue de l'am. Duplat et du gen. Pintor le 1° déc. 1940, in DFCIA-SHAT, l/P{l8.
12. Difficoltà a Gibuti Un'altra zona di spettanza della CIAF non cessò dal provocare fin dal primo periodo gravi preoccupazioni alle autorità italiane, la Costa francese dei Somali. Ancora il 2 luglio il comandante militare di Gibuti, gen Paul Le Gentilhomme affermava di non essere al corrente delle disposizioni dell'armistizio e pertanto respingeva ogni contatto con i delegati della CIAF rifiutando di ricevere il Delegato italiano, gen. Emanuele Beraudo di Pralormo. Il presidente della CIAF invitava pertanto il governo di Vichy con lettere del 30 giugno e 3 luglio ad intervenire con risoluzione onde chiarire una situazione che appariva confusa ed ambigua anche a livello di semplice ubbidienza all'autorità francese. Poiché però alle ore 22 del 7 luglio il Viceré d'Etiopia aveva fatto conoscere che lo stesso Le Gentilhomme si rifiutava di prendere contatto con la delegazione della CIAF, il presidente gen. Pintor comunicava l'indomani alla delegazione francese a Torino che se la situazione a Gibuti non si fosse immediatamente chiarita, in conformità agli obblighi fissati dalla convenzione di armistizio il governo italiano avrebbe fatto ricorso all'applicazione dell'art. X della convenzione stessa, che riservava all'Italia la facoltà di esigere la consegna delle armi e dei materiali appartenenti alle unità impegnate o schierate contro le forze armate italiane, avrebbe revocate le concessioni fatte in seguito agli ultimi eventi di Orano ed eventualmente sarebbe passato all'azione. A seguito di questa intimazione la Delegazione francese comunicò che il generale Weygand aveva deciso di inviare a Gibuti il generale Germain, superiore di grado del generale Le Gentilhomme, con il mandato di assicurare l'esecuzione delle clausole di armistizio anche nella Somalia francese. Il generale Gerrnain, recatosi per via aerea in Africa, dopo intese con il Comando superiore AOI, trovò netta ostilità a normalizzare la situazione da parte del generale Le Gentilhomme il quale, anzi, rivelò
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espliciti proponimenti di ribellione. Il caso della dissidenza del gen. Le Gentilhomme è importante poiché fu con quello del gen. Catroux in Indocina uno dei due soli casi di capi militari che raggiunsero De Gaulle a titolo individuale, senza cioè trascinare nelle loro scelte né i loro uomini né i territori a loro affidati c1s2>. Come reagi la CIAF a queste resistenze delle autorità francesi di Gibuti? Il 14 luglio e fino al 16 l'inviato di Vichy gen. Germain ebbe con il gen. Le Gentilhomme colloqui che dovevano essere chiarificatori ma che non lo furono affatto. Anzi, il gen. Germain, presentatosi agli avamposti di Gibuti il 18 luglio per proseguire tali contatti, non solo ebbe fredda accoglienza ed intimidazioni ma vi trovò una lettera del gen. Le Gentilhomme che parlava apertamente di dissidenza da Vichy. Alla luce di questa situazione il presidente della CIAF convocò il 21 luglio l'arnm. Duplat per una energica protesta seguita, d'accordo con il Comando Supremo, da una nota in forma ultimativa che imponeva la realizzazione delle seguenti condizioni: a) l'allontanamento da Gibuti del generale Le Gentilhomme e del governatore della Costa Francese dei SomaJi, Hubert Deschamps; b) il concentramento dei poteri civili e militari nel generale Germain che aveva dato prove palesi di lealtà; c) l'adozione di misure che mettessero il generale Germain in condizioni da opporsi ad attacchi inglesi, sia per terra come per mare, con le forze che gli si sarebbero lasciate e di provvedere perché fossero eseguiti tutti gli ordini dell'Alto Comando francese. Dopo questo ultimatum, il governo di Vichy decideva il 23 luglio di conferire al gen. Germain tutti i poteri civili e militari e di nominare il gen. Ayme quale successore del gen. Le Gentilhomme passato proprio allora alla dissidenza gollista. Con queste decisioni, la situazione della Somalia francese rientrava tra la fine di luglio e l'inizio di agosto nella ubbidienza a Vichy e si adeguava alle prescrizioni dell'armistizio italofrancese. Preceduto da un incontro a Dananlé tra la delegazione italiana e le autorità locali francesi, il gen. Beraudo di Pralormo si poteva trasferire a Gibuti con la sua delegazione ed iniziare da qui le attività connesse al disarmo ed alla smobilitazione, non senza le solite difficoltà ed ostacoli che le autorità francesi opponevano sistematicamente ad ogni decisione a tale riguardo. Purtuttavia nel mese di dicembre 1940 la smobilitazione ed il disarmo delle forze armate della Costa francese dei Somali, secondo le disposizioni impartite in accordo col Comando superiore AOI, potevano dirsi compiuti. A tale data i francesi dispone(152) R. O. PAXTON, La France de Vichy 1940-1944, Parigi, Seuil, 1950, p. 50.
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vano per il mantenimento dell'ordine pubblico interno di: - 1 battaglione senegalese con l'armamento organico individuale e di reparto; - 1 plotone autoblindo; - 300 meharisti, per far fronte ad eventuali aggressioni inglesi era stata altresi concesso un secondo gruppo di forze armate e cioè: - 4 battaglioni senegalesi con l'armamento organico individuale e di reparto; - 1 gruppo di artiglieria con l'armamento organico individuale e di reparto; - 2 battaglioni senegalesi con il solo armamento individuale; - 15 carri armati in postazione fissa; - la batteria del fronte a mare di Gibuti; - le unità di difesa contraerei; - 4 aerei da combattimento. Tutte le anni esuberanti a quelle organiche dei reparti concessi erano accantonate in territorio francese sotto controllo italiano. Le anni, invece, dei reparti disciolti (irregolari, milizia, ecc.) e quelle collettive dei due battaglioni senegalesi erano state accantonante in territorio dell'Impero italiano. Tutte le munizioni esuberanti alle dotazioni organiche concesse ai reparti autorizzati erano accantonate in territorio dell'Impero italiano, in località prossima al confine ed alla ferrovia Gibuti-Addis Abeba. Nel gennaio 1941, in relazione all'imminenza di un attacco inglese contro Gibuti, fu accordata la libera disponibilità di tutto il munizionamento esistente nella Costa dei Somali nonché la restituzione di quello già accantonato nel territorio italiano dell'Impero. Inoltre venne accordato l'armamento di 500 irregolari, da impiegare per la difesa di Obock e di Tagiura, nonché il prelevamento delle anni per essi necessarie dal deposito sotto controllo italiano di Gibuti. Cosi iniziate, le concessioni vennero mano mano aumentate nelle settimane successive, in seguito al piu preciso profilarsi della minaccia inglese, sino a che alla fine di febbraio - poco prima dell'isolamento della Costa francese dei Somali dall'Impero italiano - il Governo francese fu autorizzato a disporre liberamente di tutti i mezzi esistenti nella Costa dei Somali per opporre efficacia resistenza agli eventuali attacchi inglesi. E cosi si andò esaurendo l'attività della Delegazione italiana nella Somalia francese, che doveva subire i contraccolpi dell'assalto britannico contro l'Africa orientale italiana (19 gennaio 1941) con tappe di crescenti successi militari culminati con la caduta della vicina
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Massaua il 9 aprile e con la resa-liberazione della Costa francese dei Somali. Dalla fine di agosto in poi la CIAF venne investita quanto alla sua attività nella Francia d'oltremare dall'accentuarsi dello sviluppo della dissidenza dal governo di Vichy di elementi francesi legati alla dissidenza gollista. Il movimento che operava con influente attrazione oltre che su larghi strati della popolazione francese, su reparti militari e su ambienti indigeni legati alla Francia registrava un crescente consenso. Il movimento assunse consistenza di pericolo espansivo soprattutto nell'Africa equatoriale francese, dove il generale De Gaulle riunf ed organizzò forze con l'evidente disegno di propagarne l'azione verso altre zone del continente africano che potevano essere utilizzate ai fini della lotta contro le Potenze dell'Asse.
13. Il problema militare Da parte delle autorità francesi di Vichy tale situazione venne sfruttata per superare le imposizioni di disanno previste dalla convenzione di annistizio. Dopo l'episodio di Mers el Kebir, il governo di Vichy non aveva cessato dall'invocare la clausola della necessità assoluta di autodifesa contro le minacce dei dissidenti francesi (gollisti) e delle forze annate britanniche, per evitare le conseguenze dell 'annistizio quanto alle disposizioni di disanno navale e aeronautico che erano state sottoscritte a Villa Incisa. Ancora il 5 settembre ad una nuova decisione italiana di realizzare una nuova fase di questo disanno, la Delegazione francese a Torino oppose una sua richiesta di sospensione di tali decisioni italiane alla luce delle necessità per le autorità francesi di fare fronte agli eventuali attacchi britannici con forze adeguate sul piano navale come su quello aereo. Uno speciale Memorandum in data 4 settembre fu presentato dalla Delegazione francese alla presidenza della CIAF a questo fine, ed il suo tenore ribadiva la volontà «che non poteva lasciare indifferenti le autorità italiane e quelle tedesche» di reagire con una forza adeguata ad ogni iniziativa militare dell'ex-alleata costringendola a non rinnovare i suoi attacchi contro forze annate e basi francesi che le clausole dell'annistizio franco-italiano avevano lasciato, se applicate integralmente, indifese ed alla mercé di ogni decisione delle autorità militari britanniche (153). Anche in questa occasione, e non sarà l'ultima, la posizione francese, lungi dal suscitare l'entusiasmo del Comando Supremo italiano ne suscitò la diffidenza; qual era in realtà la portata delle decisioni di resistenza di Vichy a proposito di una «aggressione» britannica, visti soprattutto gli sviluppi della dissidenza gollista nell'Oltremare francese?
(153) Per la sua importanza il Memorandum del 4 settembre viene riportato integralmente quale Documento n. 13 nel Tomo secondo della presente opera.
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Era difficile stabilirlo, com'era difficile sapere fino a quale punto la volontà delle autorità militari francesi locali fosse sincera, quelle stesse autorità militari francesi che trovavano mille occasioni per ostacolare l'attività di controllo delle autorità di armistizio, specie di quelle italiane, nell'esercizio normale delle loro mansioni. Al comando supremo italiano, e di questo si fece in varie occasioni interprete la stessa presidenza della CIAF, tali richieste francesi apparivano piu l'occasione per sfuggire alle clausole di un armistizio inviso che espressione sincera di autodifesa e specialmente di difesa contro britannici e gollisti che, secondo le informazioni dei servizi italiani, riscuotevano in quelle regioni parecchi consensi anche nell'ambito delle massime autorità militari francesi. Il dilemma esisteva tra l'autodifesa e il riarmo in chiave antiAsse, ma certamente ogni decisione appariva densa di conseguenze positive e negative e pertanto l'alto comando italiano preferi la soluzione della «sospensione temporanea» in attesa di una rimessa in discussione dell'intera politica estera del governo di Vichy e dei suoi rapporti con i belligeranti, che malgrado le loro naturali reticenze le autorità di Vichy non potevano rinviare all'infinito. Una simile situazione difficile di per sé per le varie considerazioni alle quali poteva dar luogo a Torino come a Roma spiega come la domanda francese di sospensione permanente delle clausole armistiziali sul disarmo delle truppe francesi potesse incrociarsi con una ben diversa imposizione italiana a tale riguardo, e cioè la revoca della sospensione degli obblighi di disarmo accordata «temporaneamente» dopo Mers elKebir. Intanto si era trasmesso alla Delegazione francese per il tramite della Sottocommissione Marina la decisione italiana secondo la quale le navi e gli equipaggi francesi che avessero partecipato ad azioni in contrasto con la situazione di armistizio sarebbero stati trattati come pirati e combattenti fuori legge e, poiché il Governo inglese aveva dichiarato di considerare le coste della Francia e del Nord Africa come occupate dal nemico e che riservava alle merci dirette ai loro porti il trattamento di guerra economica, si erano impartite disposizioni alla Delegazione francese perché i piroscafi mercantili francesi autorizzati a viaggiare tentassero comunque di sottrarsi alla cattura ricorrendo anche all'autoaffondamento. Come sanzione a questo obbligo fu stabilito che per ogni nave catturata dagli Inglesi nel Mediterraneo, la Francia avrebbe dovuto consegnare all'Italia una nave equivalente. La politica di Vichy nei propri territori d'oltremare veniva peraltro ritenuta poco efficace nel quadro della necessaria collaborazione prevista dell'armistizio e quindi la presidenza della CIAF, visto l'atteggiamento francese ostruzionistico e cavilloso nell'applicazione in generale
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delle clausole dell'armistizio, decideva, d'accordo con il Comando supremo, di notificare al governo di Vichy, in data 13 settembre 1940, doversi senz'altro procedere ali' applicazione della clausola dell'art. X. Di rimando il governo francese, ricordando il fatto che nessuna inadempienza era stata fatta all'armistizio, e che il trasporto in Italia del materiale bellico francese costituiva una grave umiliazione per la Francia, richiese la sospensione dell'applicazione al ricorso dell'art. X o quanto meno di attenuarne gli effetti e la portata. Proprio nell'intento di convincere le massime autorità italiane a non evocare l'art. X il gen. Huntziger, che proprio in quei giorni assumeva la carica di ministro della Guerra a Vichy, scrisse direttamente al mar. Badoglio che già egli aveva incontrato a Villa Incisa nella speranza di fare sospendere tale decisione della CIAF Ct54). Gli argomenti invocati dal ministro Huntziger si riferivano sia alle necessità difensive dell'impero francese, sia alle dannose ripercussioni sull'opinione pubblica francese della consegna all'Italia del materiale bellico accantonato. A quest'ultimo riguardo lo scatto dell'art. X era visto come una sanzione per colpe non commesse: «Cette sanction, nous ne l'avons pas méritée ... ». E continuava, a proposito delle conseguenze sull'opinione pubblica francese: « ... la France, brisée par sa défaite, pendant que la guerre continue sur son territoire, a les nerfs à vif et ... il faut laisser à ceux qui, sous la haute autorité du Maréchal Pétain, ont la lourde tache de la conduire, le crédit nécessaire pour éviter des convulsions redoutables ... ». La risposta del mar. Badoglio che reca la data del 22 settembre non lasciava del tutto chiusa la porta al negoziato ma ribadiva la legittimità della decisione di fare scattare la clausola dell'art. X non solo per una serie di fenomeni di non collaborazione da parte delle autorità francesi per realizzare il regime armistiziale, ma anche per protestare contro le tergiversazioni ed i rinvii che la delegazione commerciale francese a Roma stava attuando rinviando un accordo che poteva essere vantaggioso anche per la Francia. In ogni caso il mar. Badoglio dichiarava che per provare la buona volontà del governo italiano era stato deciso di portare a 100 mila il numero dei militari autorizzati ad essere mantenuti in servizio nell'Africa francese del Nord, e sul piano del materiale di voler fare procedere al trasporto in Italia solo di quel materiale che non servisse strettamente alle necessità del!' esercito dell'armistizio autorizzato da Roma e da Berlino (155) . Fu inoltre convenuto di attenuare l'ap(154) Se ne veda il testo quale Documento n. 14 nel Tomo secondo della presente opera. (155) Non è stato rinvenuto l'originale italiano della risposta di Badoglio; pertanto ci si è ba· sato solo sulla traduzione francese conservata in DFCIA-SHAT, l/P/81, dossier 7.
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plicazione dell'art. X addivenendo per ora solo ad una prima consegna di materiali bellici francesi all'Italia. Le consegne all'Italia di materiale bellico ebbero inizio con sollecitudine e dal 25 settembre al 5 novembre 1940, che fu il periodo di questa prima serie di consegne; 172 treni di materiale bellico francese vennero trasmessi al Ministero della guerra italiana; questo materiale suddiviso per qualità risultava cosi elencato:
ARMI PER FANTERIA Fucili mitragliatori: 4.303 (altri 4.718 custoditi); Mitragliatrici: 1.643 (1.977 id.); Mortai per fanteria: 414 (249 id.); Pezzi per fanteria: 138 (85 id.); Carri armati ed automitragliatrici: 64 (27 id.) + 8 (*).
ARTIGLIERIE Artiglierie di piccolo calibro: 245 (100 id.)+ 6 (**); Artiglierie di medio calibro: 531 (147 id.); Artiglierie di grosso calibro: 14 (13 id.); Cannoni mitraglieri controaerea (calibro 20-25): nessuno su untotale di 76; Cannoni controarea (calibro 75-76-90-105): nessuno su un totale di 135; Artiglierie su istallazioni ferroviarie: 19 su 19.
VEICOLI Autovetture: 121 (187 id.)+ 17 (**); Autocarri: 680 (854 id.) + 49 (**); Autospeciali: 161 (170 id); Trattori: 343 (215 id.); Motocicli: 45 (181 id.)+ 32 (**); Rimorchi: 120 (120 id.); Veicoli ippo: 395 (4.353 id.)+ 513 (**).
(*) Sotto confisca in seguito ad occultamento. (**) Disponibili per i bisogni dell'esercito dell'armistizio.
Il tempo delle illusioni
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MUNIZIONI
Cartucce: 46.479.207 (80.605.886 id.)+ 25.728.000 (**); Bombe a mano e per fucile: 244.356 (5.387.245 id.), (260.688) (***) + 56.026 (*); Bombe per mortai: 343.792 (246.818 id.) + 275.200 (**) + (38.005) (***); Proietti per pezzi di fanteria: 207.358 (926.408 id.); Proietti per artiglierie di piccolo calibro: 482.505 (2.816.395 id.)+ (814.260) (***); Proietti per artiglierie di medio calibro: 285.693 (594.005 id.) + (160.495) (***); Proietti per artiglierie di grosso calibro: 3.625 (28.616 id.); Elementi di colpo: tonn. 1.826 (7.174 id.); Proietti scarichi e recipienti vuoti: nessuna su un totale di tonn. 18.793 (156), Alcune osservazioni circa questi dati numerici possono essere fatte. Innanzitutto la scelta qualitativa che la CIAF ha compiuto nel trasportare materiali che le esigenze belliche rendevano preziosi per l 'ltalia. Quindi la considerazione della modestia del materiale accantonato in vista della sua attribuzione all'esercito dell'armistizio che con i suoi centomila uomini appare certamente non dotato di grande armamento e ciò in ossequio a precisa volontà politica. Infine la comparsa per la prima volta, ma in tempi successivi i casi saranno numerosissimi, di materiale bellico occultato. Il primo caso, anche per le sue dimensioni, merita di essere ricordato: il 16 ottobre venne scoperto dal capo della prima direzione regionale di controllo un deposito clandestino in una caverna facente parte di una delle numerose cave esistenti nella zona di Les Baux (Arles). Nel deposito vennero trovati 8 carri armati da 37 tonn. di recente fabbricazione in perfetto stato di conservazione con casse di munizioni, fucili mitragliatori e parti di ricambio per carri armati. La relazione della scoperta dice che l'ingresso della caverna era occultato con un muro costruito da poco tempo. Naturalmente la CIAF protestò presso la Delegazione francese la quale dichiarò la propria innocenza annunciando l'inizio di una inchiesta per la ricerca dei responsabili senza che, naturalmente, fosse poi data mai risposta a questo proposito.
(***) Munizioni a liquidi speciali. (1 56) Appunto segreto periodo 16-30 novembre 1940, ali. Il, CIAF.
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Mussolini e Pétain
Non si è voluto ricordare questo primo episodio per sola curiosità ma per ricollocare l'attività di accantonamento e di custodia del materiale bellico in un quadro generale francese che da allora va deteriorandosi con un'intensa e coordinata azione di occultamento e di mimetizzazione del materiale da guerra. Nell'ambito della preparazione di una rivincita contro le potenze dell'Asse, gli ambienti militari anche del cosiddetto Esercito dell'armistizio redigono progetti di mobilitazione clandestina e di insurrezione, ed in questo spirito dedicano molta attenzione all'occultamento del materiale oggetto dell'art. X. La ricerca di Jacques Vemet è al riguardo interessante· anche nel titolo: L'esercito dell'armistizio: un piccolo esercito per una grande rivincita? os1>. Nella sua prima fase quest'azione sarà un poco disordinata, ma fin dalla fine del 1940 essa sarà coordinata sotto varie apparenze dallo Stato Maggiore dell'esercito, ·che in una speciale sua direzione (il 3° Bureau) accentrerà tutte queste attività. Per le armi di grande volume (carri armati e cannoni) le difficoltà saranno grandi, ma esse verranno in parte risolte ricorrendo a depositi clandestini in cave abbandonate o fabbriche chiuse; per le armi minori il compito sarà piu facile; per i mezzi di trasporti comuni (automobili, autocarri e trattori) essi saranno affidate a società fantasma di cui la piu importante nascerà, proprio nel settore italiano, a Nizza, «Les Rapides du Littoral» della XV regione militare con effetti cosf riusciti al punto di definire l'intera operazione «operazione XV». Nacquero in tutta la Francia «libera» 18 società, emanazione dello Stato Maggiore, con occultamento di ben 15 mila veicoli, di cui 3.500 automobili e 500 trattori destinati a rendere mobile quella forza clandestina di 80 mila uomini da unire, all'occorrenza, ai 100 mila dell'esercito dichiarato.
(157) J. VERNET, L'armée d'armistice : 1940-1942. Une peti/e armée pour une grande revanche?, SHAT, Vincennes, 1983; e soprattutto A. DE DAINVILLE, L'ORA, la résistance de l'armée, guerre 1939-45, Parigi, Lavauzelle, 1974.
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Il tempo delle illusioni
IL TRASPORTO IN ITALIA DEI MATERIALI TIPO «B» (ART. X)*
ARMI FANTERIA
Tipo di materiale
Totale da trasferirsi in Italia
fucili mitr.
4.303
mitragliatrici
1.643
mortai da fant.
414
pezzi per fant.
138
carri armati
Quantitativo trasferito
64 64
* Situazione a tutto il 31 ottobre 1941.
LEGENDA -
aliquota partita per l'Italia
.____. . .I aliquota rimasta in magazzino
·
Mussolini e Pétain
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ARTIGLIERIE. Totale da trasferirsi in Italia
Tipo di materiale art. p.c.
251
art. m.c.
530
art. g.c.
14
art. su istall. ferroviarie
19
Quantitativo trasferito
19
RAFFRONTO FRA TRENI OCCORRENTI E TRENI EFFETIUATI PER LE VARIE CATEGORIE DI MATERIALI •
Armi per fanteria e carri armati (totale treni 6) 6
Artiglieria (totale treni 34) -
Munizioni per fanteria (totale treni 12) 12
Munizioni Artiglieria (totale treni 72) 72
Veicoli (totale treni 48) 41
7
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li tempo delle illusioni
MUNIZIONI FANTERIA Tipo di materiale
Totale da trasferire in Italia
Cartucce
51.479.207
bombe amano
281 .646
bombe per mort.
401.992
proiett. pezzi per fanteria
207.358
Quantitativo trasferito
207.358
MUNIZIONI ARTIGLIERIA Tipo di materiale
Totale da trasferire in Italia
proietti di p.c.
482.505
proietti di m.c.
285.693
proietti di g.c.
3.635
elementi di colpo
ton. 1.824
Quantitativo trasferito
1.824
i
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Mussolini e Pétain
VEICOLI
Tipo di materiale
Totale da trasferirsi in Italia
Autovetture
121
Autocarri
706
Autospeciali
161
Trattori
343
Motocicli
45
Rimorchi
120
Quantitativo trasferito
120
Veicoli Ippo
600
1111~ ---~ 62 538
Il tempo delle illusioni
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L'entrata in funzione ufficiale dell'esercito dell'armistizio, che la CIAF chiama sempre «forze armate francesi di transizione» avviene il 15 novembre: in base alle decisioni della CTA e della CIAF l'esercito di Vichy comprenderebbe 100 mila uomini suddivisi in 4 mjla ufficiali (4%), 16 mila sottufficiali (16%) e 80 mila uomini di truppa (80%). Le varie armi, specialità, scuole e la Guardia repubblicana mobile (GRM) erano presenti con una stragrande consistenza della fanteria e cavalleria, ciò che dava meno pensieri e preoccupazioni agli organi di controllo dell'Asse quanto alla «pericolosità» di un simile riarmo francese c1ss>. Nei territori della Francia metropolitana sotto controllo italiano gli stanziamenti dell'esercito dell'armistizio erano compresi nella XIV e nella XV regione militare: la XIV al nord con capitale Lione, la quale città p~raltro ricadeva sotto responsabilità della CTA: la XV con Marsiglia per capitale che comprendeva l'intera Provenza e la Corsica. Nella zona italiana e sotto il controllo della CIAF andavano pure contati due tipi di situazioni nate dalla sconfitta francese che presentavano caratteri rrulitari: da una parte gli smobilitati di colore già appartenenti all'esercito regolare francese e che le disposizioni relative al!'esercito dell'armistizio concordate dalla CTA e dalla CIAF escludevano da ogni servizio militare nel nuovo esercito. Costoro, di origine indocinese, malgascia, senegalese ed altri vennero concentrati in campi e smobilitati con un'organizzazione di tipo militare ma smilitarizzati quasi del tutto e talvolta impiegati in attività di utilità pubblica anche dalle autorità di controllo italiane. Senza contare i 9.900 senegalesi rimpatriati per essere sostituiti da truppe di altra origine (nordafricani o francesi metropolitani) e non contando i nordafricani che furono a mano a mano fatti rimpatriare, nei loro paesi di origine, magari per costituirvi anche li un esercito dell'armistizio, la consistenza dei CTTIC (Centro di Transizione delle Truppe Indigene e Coloniali) non era elevata nella zona italiana:
(158) Si veda il grafico delle varie specialità dell'esercito dell'armistizio riportato quale tabella n. 4 del presente volume.
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Mussolini e Pétain
FORZA DEI C.T.T.I.C. Centri
smob. bianchi
smobilitati di colore
Centro transizione truppe coloniali (C.T.T.I.C.) n. l ufficiali sottufficiali truppa
104 158 45
-
Centro transizione truppe coloniali (C.T.T.I.C.) n. 4 ufficiali sottufficiaJ i truppa
55 250 255
reunionesi 41 antillesi 32 senegalesi 92 totale 7.330 malgasci 7.141 vari 24
Totale su un totale segnalato in dicembre 1940 - pari a ...
-
indocinesi
4.811
867
12.141
2.000
24.000
NOTA
Nel C.T.T.I.C. n. 2 non vi sono elementi indigeni. Non si hanno dati precisi sulla forza. A La Legue sono concentrati mille legionari tedeschi in attesa di rimpatrio.
Il tempo delle illusioni
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La collocazione geografica dei campi faceva perno ai centri tradizionali di accantonamento di queste forze e cioè Draguignan e Saint Raphael secondo le disponibilità locali (1 59) . Oltre a questi elementi militari ma smilitarizzati, erano stanziati nella zona italiana anche una serie di organizzazioni civili di tipo paramilitare delle quali la piu importante era quella dei Cantieri della Gioventu o Chantiers de jeunesse. A questi cantieri erano avviati i giovani di leva che erano esuberanti per i servizi dell'esercito dell'armistizio, che venivano inseriti in attività patriottiche o di utilità collettiva sotto la guida di ufficiali e sottufficiali di recente smobilitati. Nella zona sotto controllo italiano i giovani dei Chantiers de jeunesse erano all'incirca 27 mila suddivisi in vari campi già sedi di caserme e di accampamenti militari. Tali origini e la loro formazione di tipo militare ne fecero a lungo degli elementi sospetti agli occhi della CIAF, che ne fece controllare a piu riprese organizzazione ed attività spesso ritenute di non stretta ubbidienza al governo di Vichy e veri e propri vivai di attivisti gollisti. Anche un'altra organizzazione giovanile venne costantemente seguita dalle autorità della CIAF, laJeunesse de France et d'Outre-Mer (JFOM) con altre 6 mila aderenti nel solo dipartimento delle Alpi Marittime; ad essa si faceva risalire un esasperato senso della patria o dell'Impero con gravi tensioni verso chiunque ne volesse minacciare la consistenza e la permanenza. Oltre a questi due gruppi, una miriade di organizzazioni giovanili minori (Jeunesse et Montagne, Servizio civico rurale, centri di formazione dei lavoratori stranieri ecc.) diedero ai controllori della CIAF molto da fare poiché al loro insieme si facevano risalire, chi piu, chi meno, la responsabilità di molti fatti incresciosi contro l'attività delle varie delegazioni della CIAF e di molti occultamenti di materiale bellico. Intanto la situazione generale non andava migliorando neppure per il governo di Vichy che non possedeva certo del tutto il controllo sul proprio impero; l'episodio di Gibuti l'aveva ampiamente provato ma anche altrove, specie nell'Africa Equatoriale le cose non andavano meglio per l'autorità del governo del mar. Pétain, sempre piu osteggiato dall'azione revanscistica dei gruppi gollisti sostenuti dalla Gran Bretagna e spesso messo in crisi nello stesso ambito francese per la sua incerta politica generale. Dopo Orano però una certa opinione pubblica si eresse contro il proditorio attacco dell'ex-alleata e si rafforzarono talune tendenze aliene sia dal compromettersi troppo con Berlino, sia dall'accettare supinamente le decisioni militari di Londra.
(159) Se ne veda la s ituazione nella Tabella n. 6 riponata nella presente opera.
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Ed è in questo quadro che si colloca un'altra avventura anti-francese dell'ammiragliato britannico, anche questa finita male per i piani inglesi, quella di Dakar del 23 settembre 1940. Preceduta da aerei che lanciarono manifesti e proclami su Dakar con l'invito alla popolazione, all'esercito e alla Marina di unirsi al movimento di De Gaulle, una formazione navale inglese con la quale si trovava anche il gen. De Gaulle si presentò innanzi a Dakar. Il gen. De Gaulle trasmise l'invito al governatore dell'Africa Occidentale Francese, Pierre Boisson, di accogliere le sue truppe e con esse quelle amiche inglesi pena l'attacco militare. L'invito non solo fu respinto ma dopo due giorni di combattimento ogni tentativo anglo-gollista di sbarcare e di prendere possesso di Dakar fu fatto fallire dalla rabbiosa reazione francese, che non tenne in alcun conto le esortazioni di De Gaulle né le non leggere perdite subite nei vari attacchi e bombardamenti (65 civili e 120 militari morti, 225 civili e 138 militari feriti). L'esito finale dell'attacco a Dakar fu un vero fallimento del tentativo anglo-gollista, ma la notizia non parve suscitare nell'opinione pubblica della Francia metropolitana eccessiva reazione se non nel governo di Vichy che se ne servi da pretesto sia per chiedere la cessazione di ogni smilitarizzazione in corso, sia per chiedere a Torino e a Wiesbaden l'autorizzazione a riarmare la flotta e l'aeronautica con speciali compiti di difesa dell'Africa francese. E dopo un bombardamento francese di reazione a Dakar compiuto il 24 settembre da 60 aerei da bombardamento francesi protetti da 35 aerei da caccia contro la base inglese di Gibilterra, il governo di Vichy rinnovò le sue richieste. Una ulteriore richiesta di autorizzazione ad armare e fare esercitare una forza di grosse navi da battaglia (la corazzata «Strasbourg», 3 incrociatori di I~ classe, 2 incrociatori di 2i classe, 5 cacciatorpedinieri e 3 torpediniere) fatta dalla Delegazione francese incontrò riserve da parte della Presidenza della Commissione italiana di armistizio che ne rimetteva la decisione al Comando supremo. Tale richiesta poi veniva accolta dal Governo italiano che, d'accordo con quello tedesco, consentiva che fossero mantenute armate ed allenate, in una zona costiera della Provenza fissata dalla CIAF, le unità navali francesi a condizione che l'eventuale impiego di esse fosse preventivamente autorizzato dal Comando Supremo italiano. Furono inoltre concessi: - il trasporto a Casablanca ed a Dakar, da Tolone, da Orano e da Biserta, delle munizioni occorrenti per le batterie costiere, per le unità aeree e per le navi dislocate a Dakar;
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151
- il trasporto di nafta e la costruzione in Francia di ostruzioni a carattere difensivo per il porto di Dakar; - la distribuzione alle forze del Marocco di aliquote di carri armati leggeri, di pezzi anticarro e di altre artiglierie; - lo schieramento e l'apprestamento dell'armamento di protezione del fronte delle coste atlantiche; - il rafforzamento della difesa antiaerea e anticarro nel!' AOF. Fu però stabilito che gli armamenti da distribuire alle forze del Marocco ed a quelle che si sarebbero inviate in AOF fossero tratti esclusivamente dal materiale già esistente in Algeria e Marocco e fu rinconfermato il principio che, all'infuori di tali concessioni, revocabili in qualsiasi momento a giudizio del Governo italiano, tutte le altre clausole navali previste dalla Convenzione di armistizio continuassero ad aver vigore e che si doveva, pertanto, proseguire il disarmo delle unità navali e delle piazzeforti militari marittime. Nonostante queste concessioni dell'Italia alla Francia non si deve credere che le relazioni italo-francesi, che passano sempre attraverso Torino e la CIAF, fossero migliorate al punto da poter ritenere stabilito tra Roma e Vichy un nuovo clima di intesa. L'irrigidimento e la crisi parvero dominare stabilmente gli incontri tra l 'amm. Duplat ed il gen. Pintor fino alla scomparsa di quest'ultimo. Le occasioni non mancarono: il clima psicologico negativo tra i due presidenti, Pintor e Duplat, fu senz'altro il massimo responsabile di questa crescente conflittualità tra le due delegazioni che non cessano di litigare su tutto e ogni giorno, quasi senza tregua. La colpa fu senz'altro delle differenti posizioni che gli uni riconoscono agli altri: per i francesi «les négociateurs italiens avaient montré dès le début des tendances peu conciliatrices; enflammés d'une orgueilleuse vanité pour ce qu'ils appelaient leur "victoire" les représentants du gouvernement italien étaient remplis d'exorbitantes prétentions sur les conditions à nous irnposer. .. ». Per gli italiani, i francesi «nonostante tutte le concessioni fatte alla Francia ... e le numerose prove di larghezza nell'applicazione delle clausole di armistizio ... si irrigidivano .. .in forme di resistenza contro l'applicazione deJle clausole irrinunziabili da parte dell'Italia ... » <160l.
(160) La prima citazione è di M. SARRAZ·BOURNET, op. cit., p. 60; la seconda è tratta dal rapporto Contegno della Francia nell'applicazione delle clausole di armistizio, in Memoria sul· l'armistizio in USSME-CIAF, Racc. 5, fase. 2, p. 5.
14. Gli italiani di Francia e di Tunisia
Ma, a parte le questioni militari e quelle connesse all'applicazione dell'armistizio, due grosse questioni furono di ostacolo ad una armonica attività delle due delegazioni; la prima riguardava la situazione degli italiani in Francia, e la seconda l'applicazione del regime armistiziale nel Nord Africa con speciale riguardo alla situazione della colonia italiana in Tunisia. Il problema degli italiani residenti nella Francia metropolitana si presentò all'indomani dell'armistizio sotto vari aspetti: essi riguardavano coloro che erano stati internati e che languivano nei campi; coloro che non erano stati internati ma erano oggetto di misure vessatorie e discriminatorie; coloro infine che davanti a questa nuova situazione aspiravano a rientrare in Italia per porre fine alla loro difficile posizione, sia per quanto riguardava il lavoro, sia per il loro avvenire. Per quanto riguardava la situazione degli italiani internati la CIAF divise la propria azione in due affidando alla Sezione A di controllo i dipartimenti occidentali della Francia non occupata ed alla Sezione B quello dei dipartimenti orientali. Nella regione occidentale i sei campi di concentramento esistenti anche nel periodo armistiziale (St. Germain-Les Belles, Gurs, Vernet, St. Cyprien, Rieucros e Argelès-sur-Mer) che già avevano ospitato cittadini italiani furono mantenuti, dopo il 10 giugno, in funzione esclusivamente per elementi definiti «sovversivi», principalmente ex-combattenti spagnoli ed indesiderabili di varie nazionalità. Anche nei dipartimenti di competenza della Sezione B la liberazione dall'internamento degli italiani arrestati all'inizio del conflitto si verificò dopo gli interventi dei delegati della CIAF. Per il resto degli italiani in Francia, di cui la CIAF si occupò direttamente nella zona di sua competenza e tramite la CTA per il resto della Francia, la questione si pose in termini di tutela dei propri diritti dopo
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Mussolini e Pétain
l'attribuzione dello status di sudditi nemici, per taluni casi di assistenza economica per le disagiate condizioni venutesi a creare ed in altri casi ancora di organizzazione del rimpatrio degli stessi. Nel primo settore d'intervento fu soprattutto nel campo dell 'applicazione agli italiani delle convenzioni italo-francesi in materia di lavoro che la CIAF si impegnò, invitando la Delegazione francese ad assicurarsi che le disposizioni e le istruzioni già impartite dal governo francese alle autorità dipendenti fossero osservate e che gli italiani fossero trattati con spirito di equità facendo loro godere di tutte le convenzioni già sottoscritte in materia di lavoro, di assistenza ed in tutti i campi della legislazione e dell'assistenza sociale. In questo primo periodo tuttavia tali assicurazioni non vennero fornite dalla Delegazione francese riservandosi le autorità di Vichy di precisare ulteriormente il proprio punto di vista, ciò che verrà fatto solo molto piu tardi dopo un'ultima richiesta ultimativa italiana in data 24 giugno 1941. Un'altra questione emerse a proposito dell'applicazione ai cittadini italiani residenti in Francia delle leggi francesi sugli affitti e sulla proprietà commerciale. A questo riguardo la posizione della Delegazione fu di rinvio senza che le richieste italiane fossero né accettate né respinte. Solo molto piu tardi, nel generale contenzioso italo-francese che alla fine del 1941 verrà esaminato, anche questa questione verrà affrontata anche se non risolta nel senso auspicato dal] 'Italia. Rimangono le questioni connesse alle richieste di rimpatrio; esse furono evocate con una comunicazione in data 27 novembre 1940 dal ministro italiano degli Esteri italiano Ciano che informava il presidente della CIAF di aver dato ordine al Direttore generale degli italiani all'estero di assumere l'incarico del coordinamento e la responsabilità di tutte le operazioni connesse al rimpatrio ed all'assistenza degli italiani di Francia. L'insieme delle questioni economiche, sociali e giuridiche .sollevate da questi rimpatri di una quantità non trascurabile di italiani decisi a ritornare in patria provocò l'inizio di trattative con la controparte francese e specialmente con il responsabile della sezione «Interno» della Delegazione francese a Torino, Marius Sarraz-Bournet, nella sua veste di Ispettore generale dei servizi amministrativi del Ministero dell'Interno e con il suo vice e sostituto, sottoprefetto Gilbert Bonnet Saint-Georges. Sappiamo dai carteggi che esistono a questo riguardo che le trattative condotte da parte italiana dal console generale Enrico Liberati e coadiuvate per la parte giuridica dal prof. Giacinto Bosco, membro della CIAF ed ordinario di diritto internazionale nell'università di Roma, si arenarono ben presto davanti alle reticenze francesi ed alle intransigenze italiane. Per i francesi il gioco consistette
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soprattutto nel rinviare, nel discutere all'infinito e nel fare arenare ogni decisione pratica. Ben lo scrisse il responsabile francese « . . . de discussion en discussion, de renvoi à notre gouvernement en renvoi à l'autre gouvernement pour faire préciser son attitude, nous obtenions de gagner du temps. Nous faisions d'obscures et vagues promesses pour faire traìner les choses en longueur avec une insigne mauvaise foi; n'étions-nous pas pour rien au pays de Machiavel; tout était bon pour ne pas aborder la question dans le fond, ne pas laisser mettre en cause la souveraineté française sur son propre territoire ... » 061>. Frutto di una simile politica fu il rinvio di ogni decisione fino al momento in cui, nel febbraio 1941 non un accordo, bensf un processo verbale di intesa potè essere firmato in un quadro politico peraltro dominato già da un ammorbidimento italiano in favore di un dialogo non autoritario con il governo di Vichy. L'altra questione connessa alla presenza di italiani sotto la giurisdizione francese è quella degli italiani di Tunisia i quali, salvo una minima parte legata all'antifascista militanza dei Valenzi, dei Gallico e degli Amendola, si erano trovati tutti piu o meno coinvolti nella politica rivendicazionista dell'ultimo periodo del fascismo prima dello scoppio della guerra con la Francia. Per costoro, l'insperata rapida vittoria dell'Italia sulla Francia segnò l'inizio di una vicenda drammatica dove le illusioni di tipo annessionistico coltivate dagli ambienti del fascio di Tunisi si urtarono ben presto alla cauta politica di attendismo e di rispetto della sovranità francese osservata dalle autorità della CIAF. I dissidi affiorarono specialmente tra coloro che constatavano l 'ineluttabile evoluzione del mondo coloniale e, davanti agli sviluppi del conflitto mondiale, miravano ad accaparrarsi le sue simpatie con progetti di «ordine nuovo» che superassero il regime coloniale in chiave di indipendenza e di associazione e coloro che si dimostravano tenacemente abbarbicati ai vecchi concetti di colonia e ai propositi ormai logori di ridistribuzione delle colonie nel mondo <162). Roberto Cantalupo ne illustrò assai bene le incertezze tentando invano di superarle riesumando il progetto di Eurafrica, che a forza di ricevere definizioni non significava ormai piu nulla: «A pochi anni di distanza, eccoci al secondo periodo delle nostre storiche prove: l'Etiopia fu soltanto un inizio: ora il tema immenso comincia a svilupparsi, ad assumere perciò le proporzioni che non per eccesso di fantasia, ma per realistica e calcolata previsione di quello che sarà il riordinamento euro-africano, gli attribui-
(161) M. SARRAZ-BOURNET, op. cir., p. 77. (162) R. RAINERO, La rivendicazione.. ., op. cit., p. 354.
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scono i nostri collega tedeschi. Nel quadro della prossima pace africana, in altri termini, spetterà ali 'Italia un compito non piu soltanto italiano, ma adeguato alle promesse rivoluzionarie e ricostruttrici della guerra dell'Asse. Ad esse ritorniamo: sconvolgimento delle posizioni conservatrici e plutocratiche degli Occidentali, sradicamento dei gangli essenziali della loro potenza, sostituzione degli imperi di lavoro agli imperialismi capitalistici. Che sarà, che potrebbe essere se non questa, la pace euro-africana? un rimaneggiamento marginale del Trattato di Versaglia? uno scambio di "equi compensi?" un accordo tipo democratico "per le materie prime?" Sarebbe inconcepibile - e non sarebbe, soprattutto, la pace, ma un'altra guerra» ( 163). Simili propositi contrastavano con i piani integralisti di un Ezio Maria Gray che rilanciava il vecchio proposito dell'annessione pura e semplice di tutti gli altri territori già colonie di Stati nemici, della Francia, in attesa di avere quelli della Gran Bretagna: «Lavorare, lavorare, lavorare. Estendere alla luce dei nuovi ordinamenti sociali ed economici della Rivoluzione fasci sta la già grandiosa conquista dell'interno tunisino; rifare di quella terra una esemplare "provincia romana" come è nostra tradizione ininterrotta e insuperabile. Ma questa volta per noi soli, per gli scomparsi, per i superstiti, per i futuri. Per l'Italia vittoriosa pacifica e giusta» 064>. Non va neppure scordato che dava alle rivendicazioni di «Tunisi, Suez, Gibuti, Nizza, Ajaccio, Malta» un aspetto profetico e politico alla volta, e delirava tra ricordi romani e traguardi del fascismo: «per Roma come per l'Italia romana, la via dell'Impero, da Scipione l'Africano a Mussolini è l'Africa... Ecco perché, rinato romano, l'africanismo profetico italiano è, subito, l'africanismo storico italiano. E l'africanismo storico italiano è, subito, l'africanismo popolare italiano ... ». L'assurdità di tale tesi portava ad affermazioni per lo piu stravaganti e certamente estranee a molte delle posizioni sostenute nel tempo dal fascismo stesso a questo riguardo. L'ineluttabilità della rivendicazione diventava mistica, con le ben note conseguenze di obnubilazione. Valga il caso del Luchini che nell 'agosto 1942 ribadiva: «Troppo visibilmente l'Asse e il Tripartito sono con Dio, e Dio è coli' Asse e il Tripartito. È troppo chiaramente impossibile che non si stravinca in Africa ... Nella totalità del popolo, il senso translucido di questa certezza
(163) R. CANTALUPO, La pace euro-africana, in «Annali dell'Africa Italiana», ministero dell'Africa Italiana, 194 1, n. I, p. 18. (164) E. M. GRAY, Prefazione a N. MARCHlTIO,L'Italia in Tunisia, Roma, Latium, 1942, p. Xl.
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s'afferma come irredentismo dell'Impero, sicuramente profetico come ogni irredentismo popolare italiano ... » (165). Pareva quasi che gli esperti della propaganda fascista cercassero di convincere se stessi deUa bontà delle loro tesi: quasi parlando a se stesso il Marchitto insisteva: «La Francia... , comunque dovrà subire le naturali conseguenze della sconfitta. L'attuale transitoria situazione dell'Armistizio non è, non può naturalmente essere definitiva, e in un domani piu o meno prossimo i trattati di pace sanciranno i diritti delle giovani genti vincitrici nel quadro del nuovo ordine mondiale di giustizia e di pace ... » (166),
(165) A. L uCHINI, Popolarità dell'Africa in Italia, Roma, Ist. Naz. di Cultura Fascista, 1942, p. 39. (166) N. MARCHmO, op. cii., p. 229.
15. Tensioni ed attriti a Torino Gli echi della tensione di questa fine d'anno 1940 si possono ritrovare ad ogni occasione: la decisione italiana di fare giocare la clausola dell'art. X ebbe la sorte di esasperare ed anche di irrigidire la delegazione francese i cui incontri con le varie autorità della CIAF si concludevano quasi sempre con un nulla di fatto. Fin dal 23 luglio, in uno dei primissimi incontri, ben se ne rese conto l'amm. Duplat il quale se ne lamentava alla Direzione dei Servizi dell'armistizio di Vichy: «Mon impression est que les dirigeants italiens veulent tenir leur opinion publique en hal.eine, de manière à ce qu'elle ne soit surprise ni de voir imposer à la France des conditions très dures au moment de la paix, ni meme de voir l 'ltalie anticiper le cas échéant, et à l 'exemple de I' Allemagne, sur la réalisation de certaines de ces conditions ... Mes collaborateurs ont d'ailleurs pu apercevoir comme moi-meme, que nos interlocuteurs italiens à la commission demeuraient absolument fermés lorsque l'examen des questions techniques que nous avons à traiter nous amenait à évoquer discrètement l'avenir des relations franco-italiennes. Bien que l'atmosphère soit "courtoise", parfois meme "presque cordiale", les délégués italiens "exploitent au maximum notre situation"» Ct67). Gli inizi sono dominati da questa situazione legati al concetto che i negozia~ori della CIAF da parte italiana si danno dei compiti che spettano loro nel «dettare» le condizioni alla Francia vinta. Non pareva neppure che nel futuro vi fosse posto per una riabilitazione francese. In una nota anonima del ministero francese degli affari esteri un corrispondente da Torino (forse lo stesso titolare, il min. plen. Hubert GuéJin) precisava al riguardo ancora nell'ottobre: «Toutes les vues que nos re-
(167) MAE-Parigi, série Guerre 1939-45, sous-série Vichy-Europe Y, Duplat a DSA, 23 luglio 1940, voi. 192.
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présentants ont pu exprimer, par dessus les échanges de jambons et de ferrailles, sur l'avenir nécessaire des relations franco-italiennes se sont perdue dans les sables d'une indifférence qui semble-t-il, n'était pas tant le fait des interlocuteurs eux memes que de ceux auxquels ces interlocuteurs avaient rapporté les vues en questions ... » (168). E per Duroselle che ne attribuisce la paternità all'ambasciatore francese presso il Vaticano, Wladimir D'Ormesson, si sarebbe trattato nientemeno che di «consignes personnelles de Mussolini au Palais Chigi qui étaient de se montrer aussi désagréable et aussi dur que possible pour notre pays. Cet état d'esprit serait systématique et cela depuis longtemps» 0 69). Dopo il ricorso all 'art. X il tono diventò ancor piu iroso nei rapporti specie tra Pintore Duplat, che lo accusava di non applicare l'armistizio bensi di «sfruttare» il suo testo per allargarne vieppiu l'importanza e la portata a tutti gli effetti. Ed allo stupore di Pintor per una simile accusa, Duplat replicò, il 1° dicembre: «Après avoir commencé ...par appliquer correctement la Convention d' Annistice, vous avez cessé de respecter l'esprit dans lequel il a été conçu, et maintenant, vous vous en prenez à la lettre meme de la Convention. Il ne faut pas, dans ces conditions, vous montrer surpris que les résistances à vos exigences aillent en s 'accentuant Et je pense en ce moment plus particulièrement à votre nouvelle exigence touchant le matérial débarqué des batirnents de guerre. Vous essayez de lui faire appliquer les mesures prises pour le matérial des forces terrestres, à savoir la mise dans différents dépòts sous contròle italien. Or, vous savez parfaitement que nos plénipotentiaires sont allés tant à Rethondes qu'à Rome avec des instructions formelles pour ne pas poursuivre les négociations si les exigences devaient porter une atteinte quelconque à l'intégrité de la Flotte que n'avait pas été battue. Vous l'avez tellement bien compris et admis que la Convention d 'Arrnistice avec 1'Italie, come d'aìlleurs celle avec l'Allemagne, comporte pour la Flotte des dispositions spéciales visant la période d'Armistice et un engagement forme] touchant le traité de paix. Quand il s' agit de l'esprit de l' Annistice, je suis obligé en général de me retrancher derrière les souvenirs de ceux qui, comme le Général Parisot, ont assisté à la signature de la convention, mais quand il s'agit d'appliquer, tant dans son esprit que dans la lettre, la convention d 'Annistice pour ce qui concerne la Flotte, il me suffit de mes souvenirs personnels.
( 168) Après trois mois d'armisticejranco-italien, 1° ottobre 1940, ibid. (169) J. B. OUROSELLE, France-Italie..., op. cit., p. 88.
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Pendant la guerre et jusqu'à l'Armistice, je cornmandais une Escadre et je puis vous affirmer que si vous aviez émis la prétention de vous faire livrer quoi que ce soit de cette Escadre, je ne puis pas vous dire correctement ou je serais à l 'heure actuelle, mais ce dont je suis siìr, c'est que je ne serais pas à Turin» 010). E da parte italiana? Il giudizio generale che le autorità italiane danno a proposito del comportamento del governo di Vichy e della delegazione francese a Torino fu sempre negativo: della Francia e dei francesi non ci si poteva fidare essendo evidente la loro malafede nell'applicare le disposizioni armistiziali ed altrettanto evidente il loro desiderio di nuocere in ogni campo ai propositi italiani con forme di rinvio, di ostruzionismo fino al punto di mettere in crisi questi stessi rapporti. «Nonostante tutte le concessioni fatte alla Francia anche dall'Italia e le numerose prove di larghezza nell'applicazione delle clausole di armistizio - sottolineava un documento presidenziale della CIAF - la Francia si irrigidisce in forme di resistenza contro l'applicazione delle clausole irrinunciabili da parte dell'Italia .. .». Gli spunti di questo giudizio negativo sono innumerevoli: essi riguardano sia l'insieme dell'accordo, di Villa Incisa, sia i vari articoli della convenzione di armistizio. E tutte queste osservazioni vanno a confluire nell'inosservanza da parte delle autorità francesi di Vichy dello spirito dell'accordo che risaliva senz'altro al desiderio francese di guadagnare tempo ed, in una seconda fase, a quello di accrescere lo spirito di rivincita contro coloro che venivano ritenuti non i vincitori, ed in ciò i tedeschi apparvero perfino favoriti, bensf gli utilizzatori di una crisi militare della Francia. Il tutto si rifaceva anche alla diversa interpretazione tra Roma e Vichy riguardo alla posizione della Francia nel quadro armistiziale e nella fase seconda del conflitto tra l'Asse e la Gran Bretagna, problema al quale si è già fatto cenno ma che, mancando una soluzione partecipata da entrambi gli interessati continuò a provocare attriti e crisi non riferibili solamente al testo armistiziale bensf alle volontà politiche di entrambi le parti. Le occasioni di attriti seri tra la CIAF e le autorità francesi di Vichy e di Torino furono molte; volendone limitare la citazione ai piu interessanti vale la pena ricordare quelli derivati dall'applicazione degli articoli XI, XVI, XVII, XVIII. Una delle questioni sulla quale si era accentuato il dissidio fra l'interpretazione italiana di una delle clausole piu interessanti della Con(I 70) Compre-rendu de l'entrevue Duplat-Pintor du 1 ° déc. 1940, in DFCIA-SHAT, l/Pn8, p. 4.
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·venzione di Armistizio e la interpretazione della Delegazione francese concerneva l'XI articolo della convenzione di armistizio, relativo al controllo dell'industria bellica nella Francia non occupata. Mentre la tesi francese, adottando una interpretazione letterale della disposizione che stabiliva l'immediata cessazione della costruzione di materiale bellico di qualunque specie, tendeva a limitare il controllo italiano ai macchinari ed ai prodotti bellici finiti e semilavorati, la tesi italiana sosteneva la necessità che il controllo fosse esteso oltre che ai macchinari, con facoltà di bloccarne il funzionamento, ed ai prodotti finiti semilavorati, anche alle scorte di materie prime utilizzabili per tali lavorazioni. Sul piano legislativo intanto una speciale legge francese del 15 ottobre 1940 (Loì portant interdìctìon de la fabrìcation des matériels de guerre) vietava per l'intera durata dell'armistizio - nel territorio francese metropolitano (compresa la Corsica), in Algeria, nelle colonie, protettorati e territori sotto mandato - le nuove fabbricazioni di materiale bellico e il proseguimento delle fabbricazioni in corso. Nel suo preambolo la legge si richiamava in modo esplicito all'art. VI della Convenzione tedesco-francese d'armistizio e all'art. XI della Convenzione italo-francese. Ciononostante non mancarono, anche in epoca successiva all'entrata in vigore di detta legge, costruzioni abusive di materiale bellico. Tra le resistenze francesi al controllo italiano sulle fabbricazioni di guerra, fu particolarmente importante quella relativa all'Arsenale di Tolone (anche riguardo gli art. VI e VIII). Proprio per questi motivi la tesi italiana tendeva a realizzare il contenut_o sostanziale della disposizione, essendo evidente la finalità logica di essa che tendeva alla repressione di ogni tentativo di riarmo della parte avversa, finalità che sarebbe rimasta praticamente, sebbene parzialmente, frustrata dalla sottrazione del controllo su quelle materie prime che confe.riscono la possibilità della fabbricazione di prodotti bellici. Dopo lunghe discussioni e tergiversazioni che in questo, come in altri casi, avrebbero potuto essere evocate e risolte nell'ambito dell'art. XXIV che rimetteva all'Italia le decisioni sulle questioni controverse, la tesi italiana prevalse e nella seconda quindicina dell'ottobre 1940 fu accettata dalla Delegazione francese. Altra questione soggetta ad opposta interpretazione fu quella sollevata dalla delegazione francese circa il regolamento del traffico mercantile marittimo. L'art. XVI (prima parte) della Convenzione di armistizio vietava qualunque movimento delle navi mercantili francesi dai porti fino a quando i Governi italiano e tedesco (e, per effetto di accordi
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italo-tedeschi, nel Mediterraneo, il Governo italiano) non acconsentissero alla ripresa parziale o totale del traffico marittimo commerciale francese. Mentre esso implicava cosf la facoltà della Potenza concedente a condizionare il movimento a tutte le prescrizioni che da essa fossero riconosciute necessarie, da parte francese, dopo che l'Italia concesse una ripresa del traffico mercantile nel Mediterraneo, furono sollevate sempre nuove eccezioni tendenti ad affermare l'incondizionata libertà di tale traffico salvo il rispetto delle leggi di guerra e delle convenzioni internazionali. Anche in questo campo, questa pretesa della Francia rivelava la tendenza a riprendere nei confronti dell 'ltaUa una posizione di sovranità piena che certamente pareva al governo italiano, e per esso alla CIAF, in palese contraddizione con i termini stessi dell'armistizio. Come reazione, il governo italiano impose il divieto del trasporto di materiale bellico di qualsiasi specie, comprese le materie prime comunque utilizzabili per fabbricazioni belliche; ma a questo punto la delegazione francese avanzò la pretesa di restringere tale divieto al solo materiale bellico già proibito dalle norme internazionali e dal diritto di guerra e non ammetteva la revocabilità facoltativa da parte del! 'Italia delle agevolazioni concesse, una volta stabilita la ripresa del traffico marittimo. E nel frattempo le inosservanze da parte francese di questi divieti denunciate dalla CIAF furono molte, senza che le autorità francesi paressero dare a questi numerosi episodi valore di infrazioni vere e proprie ( 171). Da parte francese si tentò di sottrarre la questione alla competenza della CIAF per portarla sul piano dei negoziati diretti tra i due go-
(171) I casi di queste infrazioni ed inadempienze sono frequenti e le documentazioni della CIAF le riportano in continuità. A titolo di esempi si citano alcuni casi: l'arbitrio commesso dalle autorità del porto di Marsiglia le quali, nonostante il fenno di 2221 lingotti di piombo destinati in Ungheria, 102 tonnellate di rame dirette in Svizzera, e 186 tonnellate di zinco da inviare pure in quest'ultimo Paese, facevano all'improvviso proseguire a destinazione rutta la merce anzidetta. Altre infrazioni furono commesse circa l'arrivo di motovelieri e piroscafi spagnoli e discarica arbitraria delle merci trasportate. Fu allora rilevata la deliberata volontà dell'Ammiragliato francese e dei Comandi di Marina da esso dipendenti. E ciò si può dedurre dal fatto che oltre che a Marsiglia, anche nei porti di Séte e di Port Vendres si verificarono altri arrivi di navi neutrali il cui carico venne inoltrato a destinazione d'ordine dei Comandi locali nonostante i divieti frapposti e le proteste degli Organi italiani di conttollo. Con vari piroscafi giunsero a Biserta, dal 22 dicembre al 3 marzo, alcune decine di tonnellate di materiale elettrico destinate alla Marina militare dell'Arsenale di Sidi-Abdallabi. Il fenno posto della sezione di controllo, per essere avvenuti i trasporti senza la preventiva autorizzazione, fu infranro, senza alcun preavviso, il 31 marzo e la nave fu avviata a destinazione. (P.fo «CHANZY» del 22 dicembre 1940 ed il 2 gennaio 1941; P.fo «CAP PINÈDE» il 23 gennaio 1941; P.fo «G. G. GUEYDON» il 7 febbraio, il 19 febbraio, il 3 marzo ed il 31 marzo 1941). A titolo di sanzione fu fatta fermare ad Algeri per tre giorni la nave «FRANCOIS L. D.» perché partita da Marsiglia ai primi di dicembre con prodotti chimici per Madagascar e l'Indocina. TI 19 giugno fu segnalato ancora una volta alla delegazione francese l'arbittario modo di procedere
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verni. E durante le lunghe contestazioni altre infrazioni a questo dispositivo dell'armistizio si verificarono, tra cui il rifiuto di fornire le liste dei passeggeri di piroscafi, di esibire i manifesti di carico, nonostante fosse segnalata la presenza a bordo di aviatori britannici in partenza da Tunisi con la divisa di aviatori francesi; la partenza di piroscafi contro gli ordini dati dalle delegazioni di controllo. Né durante le trattative mancarono velate minacce da parte francese di sospendere le forniture commerciali all'Italia. Finalmente a seguito di energiche, perentorie intimazioni, nel novembre 1940, la Francia dovette accettare la tesi della Commissione italiana. Furono fissate norme specifiche secondo le quali, le autorità francesi avrebbero avuto l'obbligo di rilasciare dichiarazione scritta che a bordo delle navi non si trovassero sudditi britannici od altre persone atte a portare le armi ed a svolgere comunque attività ostile contro l'Italia. Oltre che per ogni specie di materiale bellico, fu stabilito che i carichi di metalli e di minerali metallici, i prodotti chimici, le polveri esplosive per uso civile, l'amianto, la mica e la gomma non manifatturata dovessero essere accompagnati da polizze intestate a ditte fabbricanti prodotti civili o ad organismi per i quali si rendesse garante lo Stato francese. È già stata ricordata la legge del 15 ottobre sul divieto delle fabbricazioni di materiali bellici; ma va ricordato che lo stesso giorno altre due leggi tutelavano questa particolare materia: la seconda relativa al divieto d'importazione, esportazione e transito di tali materiali, la terza per il regolamento della fabbricazione di prodotti chimfoi utilizzabili a fini bellici. Con i rispettivi articoli 4 del primo e del secondo Decreto si comminavano pene restrittive e pecuniarie per i contravventori ed, inoltre, la confisca delle macchine e del materiale prodotto. Va notato inoltre che in queste due leggi, come risulta dalle rispettive premesse, si faceva espresso riferimento alle convenzioni di armistizio franco-tedesca e franco-italiana, dalle quali esse quindi, si dichiaravano determinate. Si noti ancora che gli art. 5 di ciascuno di tali decreti, pur rimettendo agli agenti della forza pubblica e della polizia giudiziaria francese l'accertamento delle contravvenzioni con verbali da trasmettere alle competenti autorità francesi, contenevano l'esplicita riserva dei diritti riconosciuti agli agenti delle commissioni di controllo create per l'applicazione delle convenzioni di armistizio concluse dalla Francia con la Germania e con
delle autorità marittime francesi in merito agli ordini di blocco e ai divieti di partenza di merci per irregolarità concernenti il Regolamento sul traffico. Furono citati i casi avvenuti ad Algeri: P.fo «G. G. GRÉVY» il 28 aprile, a Philippeville, P.fo «G. G. GUEYDON» il 23 maggio ed a Marsiglia, P.fo «EDEA» il 28 maggio. E molti altri ancora.
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l'Italia. Orbene, prospettata alla Delegazione francese le tesi della Commissione italiana che i materiali fabbricati o trafficati in contravvenzione dei predetti decreti dovessero essere consegnati all'Italia, se confiscati in zona sottoposta a controllo italiano, questa tesi fu nettamente contrastata dalla delegazione francese. Essa, muovendo dalla premessa che i predetti decreti regolavano rapporti intercedenti esclusivamente fra lo Stato ed i cittadini francesi e che l'art. X della convenzione di armistizio con l'Italia enumerava specificatamente i materiali di cui l'Italia poteva chiedere la consegna e non concerneva che i materiali già esistenti alla data in cui entrò in vigore l'Armistizio, sosteneva che l'Italia non poteva pretendere la consegna di materiali bellici costruiti successivamente in violazione del divieto di fabbricazione. Concedeva solamente che tali materiali confiscati dal Governo francese fossero depositati sotto controllo italiano. La tesi francese prescindeva dalle responsabilità in cui, per l'operato dei suoi cittadini, incorreva, in regime di armistizio, lo Stato nel cui ambito si verificava l'infrazione all'obbligo assunto dallo Stato stesso di non tollerare la fabbricazione di materiale bellico. Non teneva conto che, anche se il materiale non esisteva al tempo in cui fu concluso l'armistizio, non perciò esso sfuggiva alla portata sostanziale dell'art. XI della convenzione, che, nella intenzione delle parti contraenti non poteva non aver voluto comprendere anche il materiale che, comunque, anche indipendentemente da commissione governativa, sarebbe stato costruito nel territorio francese non occupato. Prescindeva dall'indole delle sanzioni che, in regime di armistizio, per la infrazione di una clausola dell'armistizio non potevano esaurirsi nel rapporto di diritto interno fra lo Stato soggetto agli obblighi dell'armistizio ed il cittadino che questi obblighi avesse violati, e non teneva conto della riserva contenuta negli stessi decreti con il quali il Governo francese aveva provveduto al divieto di fabbricazione. Questa riserva infatti, lasciando impregiudicati i diritti propri degli agenti delle Commissioni di controllo, e che non potevano essere contenuti entro i limiti di una definizione unilaterale da parte del Governo di una potenza vinta, riconosceva il potere degli organi armistiziali di controllo. L'atmosfera generale dei rapporti tra Italia e Francia stava evidentemente cambiando con ]'evolversi della situazione generale non tanto dei rapporti reali tra queste due potenze sul piano concreto, sociale ed economico che fosse, bensf dell'evoluzione generale del quadro mondiale nel quale fin dalla sua origine l'azione dell'Italia andava ad inserirsi fino a fame parte integrante. Ed in questo quadro l'elemento di sicurezza in una rapida vittoria da parte dell'Italia e dell'Asse andava ra-
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pidamente deteriorandosi con le difficoltà in Libia (prima offensiva britannica dal 9 dicembre 1940 al febbraio 1941), con la sconfitta delle speranze di una invasione della Gran Bretagna da parte della Germania, con le crisi militari seguite all'invasione della Grecia e della Jugoslavia (28 ottobre 1940), con le crescenti difficoltà navali nel Mediterraneo, con la fine della presenza italiana nell'Africa orientale e con l'impegno sempre piu chiaro degli Stati Uniti a sostegno della Gran Bretagna. Fuori dagli stretti rapporti tra Roma e Vichy, per il tramite di Torino, il contesto mondiale pareva segnare ormai per l'Italia la fine del tempo delle illusioni: e le nuove situazioni indicavano chiaramente una nuova via che già l'alleato tedesco stava percorrendo nei suoi rapporti con Vichy, quella del dialogo.
Parte seconda
IL TEMPO DEL DIALOGO
1.
L'iniziativa tedesca per una «politica francese»
Mentre l'Italia proseguiva la sua politica armistiziale verso la Francia tentando di realizzare, malgrado le reticenze e le opposizioni delle varie autorità francesi, il quadro disegnato a Villa Incisa, l'insieme del contesto internazionale della guerra mutava tra la fine del 1940 e gli inizi del 1941. Si può dire che, non appena l'operazione tedesca di sbarco nelle isole britanniche fu rinviata (dal 14 settembre in poi si continuò a rinviare la decisione finale), si pose in termini nuovi il problema della prosecuzione di una guerra che si prolungava contro ogni volere del temporaneo vincitore, la Germania e contro le speranze del suo alleato, l'Italia. Il punto della situazione fu fatto nell'incontro del Brennero tra il Duce e il Fiihrer il 4 ottobre l 940 e, naturalmente, fu la Francia ad essere al centro di gran parte dei discorsi. Va detto subito che la Francia di Vichy pareva in quel periodo costituire agli occhi di Hitler una possibile alternativa politica, con una serie di aperture che avrebbero portato Vichy ad abbandonare la sua posizione di Stato vinto e retto da un armistizio in favore di un suo netto orientamento filogermanico o meglio filo-Asse di cui i particolari potevano essere discussi dai due leader dell'Asse stesso. La reazione di Mussolini ad un simile piano, che prevedeva in sostanza la coalizione mediterranea antibritannica, fu oltremodo cauta affermando il Duce che «la Francia è e sarà sempre la nemica dell'Asse», ragion per cui non occorreva «lasciarle riprendere le proprie forze». Lo stesso Ciano che accompagnava al Brennero Mussolini non mancò di notare il riordinamento di Berlino puntualizzando in tre aspetti le «novità» che l'incontro arrecava da parte del Fiihrer: «I) non si parla piu di sbarco nelle Isole Britanniche ed i preparativi compiuti resteranno tali; 2) si spera di attir<l:fe la Francia nell'orbita della coalizione perché ci si rende conto che il mondo anglosassone è ancora un osso duro da rodere;
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3) si attribuisce maggior importanza al settore mediterraneo e ciò è bene per noi...» (1), L'evoluzione interna della Francia con la messa in opera a Vichy di strutture autoritarie facenti capi al vecchio mar. Pétain non parve del tutto confortare il governo fascista che non poteva non guardare se non con crescente sospetto a ciò che la delegazione francese presso la Commissione di armistizio a Wiesbaden stava tentando di realizzare, d'intesa con alcuni esponenti germanici, quasi a danno dell'Italia, cioè di diventare un interlocutore privilegiato nell'ambito dei problemi europei con un netto superamento delle condizioni armistiziali. Le illusioni di taluni ambienti germanici a questo riguardo, circa la disponibilità della Francia a prendere atto della crisi dell'antica alleanza con Londra e a scegliere quindi altre vie, si accompagnarono in quel periodo ad altre illusioni connesse alla prospettiva di raggiungere con un attacco indiretto la vittoria sull'Inghilterra: non piu lo sbarco sulle coste britanniche bensf una vittoria strepitosa con un attacco a fondo nel Mediterraneo che avrebbe paralizzato uno dei centri vitali dell'impero britannico con elementi di novità quali il coinvolgimento della Spagna, il ralliement del mondo arabo all'Asse e soprattutto il decisivo intervento della Francia che vi avrebbe trovato la propria occasione per ritornare protagonista dell'intero futuro dello scacchiere meridionale dell'Europa e nordafricano. Mai enunciata in modo chiaro ed armonico, una simile evoluzione della politica germanica nei confronti del problema generale della guerra e della Francia in particolare portava quale corollario necessario ed inevitabile un certo «sacrificio» dell'Italia: da una parte essa non poteva piu essere ciò che sempre Berlino aveva riconosciuto a proposito del futuro Nuovo Ordine Mondiale, unico riferimento nell'Europa meridionale dove la ricomparsa della Francia, in veste di protagonista, non avrebbe mancato di avere al riguardo profonde ripercussioni. Analogamente l'inserimento della Spagna, in modo attivo, in questo piano avrebbe portato ad un vero e proprio condominio a tre della sperata vittoria che, fino ad allora, aveva visto la sola Italia nella veste di centro decisore di ogni cosa. Infine, e questo elemento aveva un peso evidente, l'insieme di queste novità politiche, militari e strategiche, nella sperata vittoria avrebbe avuto ripercussioni negative per l'insieme del programma rivendicativo italiano nel Mediterraneo, con ovvie conseguenze dell'intangibilità delle presenze francesi nel Nord Africa e nel
(1) G. CIANO, Diario, op. cit., voi. I, p. 312, sub 4 ottobre 1940.
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Levante salvo ritocchi a favore della Spagna nel Marocco. Altra conseguenza sarebbe stata il congelamento di ogni variazione della frontiera occidentale dell'Italia, essendo la conservazione della vecchia frontiera alpina implicito premio al riorientamento politico di Vichy. Lo si è detto poco fa, la «nuova» politica francese di Hitler non fu enunciata in modo chiaro ed armonico nelle sue varie parti. Ma questo aspetto non può essere ritenuto una eccezione alla regola generale della politica francese di Hitler. Uno dei suoi piu fedeli interpreti ed anche ispiratori, Otto Abetz, non ha mancato di ricordarlo nelle sue memorie affermando: «Il serait inexact de conclure que les dirigeants allemands aient unanirnement désiré la tensìon. En fait, la plupart d'entre eux étaient bien plutòt enclins à l'attitude qui devait étre plus tard celle di Vichy et qui a reçu le nom d "'attendisme". Cet "attendisme" avait méme gagné un homme qui ne faisait pourtant pas preuve d ' une réserve excessive: Hitler. L'auteur de Mein Kampf était devenu moins rigoriste que certains de ses vieux fidèles, mais il ne s' en montrait pas pour autant disposé à entreprendre avec la France une politique constructive. Appelé en juillet 1940 au quartier général, à Salzbourg, je pus me convaincre personnellement, le 3 aout, au Berghof, de l'indécision d'Hitler à propos des questions françaises» (2l. Pur con queste incertezze, un insieme di elementi nei rapporti tra Vichy e Berlino portò il governo di Roma a comprendere che una certa pagina era stata voltata e che alla fase «dura» dell'applicazione di un armistizio che veniva ritenuto «vecchio» stava subentrando una nuova fase nella quale il dialogo diventava sempre piu paritetico e cordiale. Per Pétain non si trattava certo di una vera e propria scelta, ma poteva sorridergli la prospettiva di mutare non poco la situazione della Francia, le sue difficoltà e il suo peso. D'altra parte, come ha notato acutamente André, Pétain era convinto «che, se fosse riuscito ad incontrarsi personalmente con Hitler e a discutere con lui l'avvenire dei rapporti francotedeschi, gli sarebbe stato possibile raggiungere un accordo senza compromettersi definitivamente nei confronti della Germania» (3). I propositi di Hitler potevano a questo punto coincidere con le disposizioni delle autorità di Vichy o almeno con parte di esse, anche se incertezze e contraddizioni erano sempre all' ordine del giorno della po-
(2) O. ABETZ, Histoire d'une politique franco-allemande. (1930-1950). Mémoires d'un Ambassadeur, Parigi, Stock, 1953, p. 148. (3) G. L. ANDRÉ, op. cir., p. 548.
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litica del governo di Vichy. In questo periodo infatti si moltiplicarono gli elementi disarmonici di una posizione politica che non sapeva o non voleva confessare i propri orientamenti e le proprie scelte. Da ciò voci contrastanti circa le relazioni con l'ex alleata che non faceva mistero delle sue intenzioni di appropriarsi dell'intero patrimonio coloniale francese sia pure tramite il movimento gollista della Francia Libera, ma che d'altra parte non disdegnava di allacciare rapporti paralleli di accordo in margine, e talvolta contro gli accordi armistiziali. Vogliamo alludere ai negoziati di Madrid tra l'amb. francese conte De La Baume e l'amb. britannico a Madrid, sir Samuel Hoare, dell'agosto-ottobre 1940 le quali, dopo varie vicissitudini anche positive, tra le quali uno scambio di messaggi tra Pétain e il re Giorgio VI, non portarono a nessun accordo, né modus vivendi tra Londra e Vichy, anche per la virulenta risposta di Pétain al re nella quale erano ricordate le aggressioni subite dalla flotta francese inerme e «l'aiuto che il governo di Sua Maestà aveva dato ai francesi ribelli contro la loro Patria» <4 l. Madrid non fu un caso isolato: altri due tentativi paralleli, o concorrenti, furono allacciati quasi nello stesso periodo, la cosiddetta «missioni Rougier» e l'incerto «accordo Halifax-Chevalier». Entrambi questi negoziati semi-clandestini si svolsero nel periodo ottobre-dicembre 1940 e non ebbero alcun risultato pratico, ma sono interessanti poiché manifestano un'insolita attività diplomatica di una Francia, quella di Vichy, alla quale l'accordo armistiziale pareva sempre piu una camicia di Nesso e quindi desiderava chiudere al piu presto questa triste parentesi. Anche con gli Stati Uniti Vichy fece aperture di negoziati, e ciò fu facilitato sia dalla neutralità ufficiale di Washington che ancora perdurava nei riguardi del conflitto, sia per il fatto che a Vichy fosse accreditato un ambasciatore dinamico nella persona dell'ammiraglio Leahy che, non potendo premere ufficialmente per una presa di posizione antigermanica degli ambienti francesi, ne assecondò i tentativi alternativi. Tra questi, l'insistere sulla solidarietà in vista dell'assistenza economica ed alimentare alla Francia non occupata ed un impegno preciso, l'accordo Murphy-Weygand, negoziato dall'ottobre 1940 al marzo 1941, sul sostegno statunitense all'economia prossima al collasso del Nord Africa francese. E grazie a questi negoziati ed a questo accordo di
(4) Si è parlato poco di questa trattativa nella storiografia, e solo due alti funzionari francesi ne diedero nelle loro memorie un quadro efficace: il segretario del ministero degli affari esteri dj Vichy (da maggio al 28 ottobre), FRANCOIS CHARLES-Roux, CitUJ mois tragiques au.x Ajfaire Etrangères (21 mai -1 novembre 1940), Parigj, Plon, 1939, pp. 347-355; ed il ministro degli Esteri di Vichy dal 16 giugno al 28 ottobre 1940, PAUL BAUDOUlN, Neuf mois au gouvemement (avril-décembre 1940), Parigi, Table Ronde, 1948, pp. 368 e seguenti.
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contenuto strettamente economico-umanitario, ma che rivestiva un messaggio politico evidente, gli Stati Uniti diedero una mano alle resistenze occulte francesi e di Weygand in particolare per evitare che nelle regioni magrebine si istallassero con preponderanza le forze armate dell'Asse, specie i tedeschi nel Marocco e gli italiani in Tunisia. Fornirono inoltre queste lunghe trattative l'occasione a molti «esperti» statunitensi di avere la possibilità legale di girare in lungo ed in largo la regione con il pretesto dell'assistenza e preparare in dettaglio quella che sarà l'operazione del novembre 1942, cioè lo sbarco anglo-americano nel Marocco. In questa confusa situazione sono anche da evocare gli sforzi che la Germania, dopo aver tentato di realizzare una politica di dura applicazione dell'armistizio con una annessione de facto dell'Alsazia e della Lorena e con tutta una serie di misure di pesanti requisizioni a danno della vita economica della Francia, fece per giocare la carta della collaborazione con le correnti piu accesamente collaborazioniste di cui Lavai era l'esponente di maggior rilievo. Da parte tedesca il maggior artefice di una svolta liberale della presenza tedesca in Francia fu Otto Abetz, il rappresentante a Parigi di von Ribbentrop presso l'alto comando germanico di occupazione. Fin dalla fine di luglio il duo Abetz-Laval pareva impostare con scadenze piu o meno lontane una nuova politica tedesca nei confronti della Francia ed una nuova politica francese nei confronti della Germania. Queste iniziative erano lievemente in anticipo sui tempi in quanto si dovette aspettare da una parte la fine dell'illusione hitleriana di un 'invasione o di una pace possibile con la Gran Bretagna e da parte di Vichy il rimpasto del 6 settembre che dava a Lavai una certa mano libera con l'uscita del governo di Weygand (sostituito alla difesa dal gen. Huntziger) che era da sempre il piu deciso sostenitore di una politica di resistenza alla Germania. E proprio di fronte a queste «novità» delle due parti Hitler si orientò verso una vera svolta nei suoi rapporti con la Francia. E l'insperata e decisa resistenza dei francesi a Dakar di fronte al!' attacco anglo-gollista del 23 settembre ebbe effetto di influenzare favorevolmente le autorità tedesche circa le genuine posizioni francesi. Restava la Spagna, con il suo orientamento ideologico abbastanza chiaro ma il suo impegno a seguire l'Asse o ad aderirvi sempre meno evidente. L'insieme dei negoziati tra Berlino e Madrid portò alla decisione di Hitler di incontrare Franco ad Hendaye il 21 ottobre; ma prima di arrivare alla cittadina della frontiera franco-spagnola, Hitler si incontrò presente Abetz con Lava!. Dopo gli incontri di Hendaye, che segnarono la fine dell'ipotesi spagnola di un allargamento dell'Asse, Hitler e
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von Ribbentrop si incontrarono con il mar. Pétain a Montoire il 24 ottobre, per meglio studiare l'evoluzione di una collaborazione franco-tedesca. Montoire, che secondo l'espressione prevalente rappresenterebbe il punto fatale della compromissione del regime di Vichy arrendevole verso il suo ex-vincitore al punto di fare della Francia una alleata dell'Asse nella sua battaglia contro l'Inghilterra, non può certamente esser vista in un'ottica simile. Non si vuole certo dare ragione a coloro che come Louis Dominique Girard ne parla come di una vittoria francese, una «Verdun diplomatica» che il vecchio maresciallo Pétain già vincitore della Verdun della prima guerra mondiale torna a vincere sui tedeschi es>, ma certamente non può essere negato che la prima interpretazione, quella di una supina acquiescenza di Vichy al valore di Hitler, sia largamente da rivedere. Montoirè rappresenta nella storia della seconda guerra mondiale in Francia una data di fondamentale importanza ma non perché segnò l' inizio di un processo che avrebbe dovuto nelle intenzioni delle massime autorità tedesche segnare un rovesciamento, con il pieno riscatto della Francia ed il suo ingresso a titolo paritario nelle strutture dell'Asse con il netto superamento della condizione armistiziale. A questo punto vale la pena di citare per condividerlo il parere di Robert Aron, il massimo storico di Vichy, che puntualizza cosi il suo giudizio: «Il suo (di Pétain) colloquio con Hitler a Montoire non prevede per il maresciallo alcun impegno ... » <6>. Non cosf per i tedeschi né per Laval, per i quali il testo delle proposte di Hitler, con un progetto di Protocollo che non fu mai firmato, costituisce la sostanza non confessata dei negoziati evocati nell'incontro, il cui esito positivo fu peraltro salutato da tutti. Questo testo è molto significativo poiché definiva le fasi e le forme di quella «collaborazione» che Hitler chiedeva pubblicamente alla Francia e che altrettanto pubblicamente Pétain dichiarava di voler perseguire. Il testo, di cui conosciamo la versione francese, suona cosi: «Le Reich allemand et l'Italie, son alliée, n'ont pas voulu la guerre c-0ntre---la France e l 'Angleterre. Contrairement aux désirs sincères du gouvemement allemand de vivre en paix avec I' Angleterre et la France, ces deux Puissances ont déclaré la guerre à l 'Allemagne. Les efforts ultérieurs du gouvemement allemand, tendant à mettre fin à cene lune inutile, se sont brisés contre la résistance du gouvemement français d'alors et du gouvemement actuel.
(5) L. D. G1RARO, M onroire, Verdun diplomatique, Parigi, A. Bonne, 1948. (6) R. ARON, op. cit., p. 304.
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Cette lutte tenninée, il sera évident que soit la France, soit l 'Angleterre auront à supporter territorialement et matériellement les frais de cette lutte. S'inspirant des intèrets continentaux supérieurs des Puissances prépondérantes européennes, l'Allemagne, l'Italie et la France, en se fondant sur les entretiens qui ont eu Lieu le 24 octobre entre le Chef de I'Etat français et le Ftihrer du Reich allemand sont, dans le présent procès-verbal, convenues de ce qui suit: 1° - D'accord avec le Duce, le Fiihrer a manifesté sa volonté de voir la France occupée dans la nouvelle Europe à édifier la piace qui lui revient et de faire participer le peuple français à la coopération des peuples européens qui s'avérera indispensable à l'avenir. 2° - Les Puissances de l 'Axe et la France ont un intéret identique à ce que la défaite de l' Angleterre soit achevée dans le plus bref délai possible. Le gouvernement français appuiera par conséquent, dans la limite de ses possibilités, les mesures que les Puissances de l 'Axe prennent à cene fin. Les détails de cette coopération pratique feront I' objet d'un accord spécial entre I' Allemagne et l'Italie d'une part, et la France de l'autre. 3° - Sous cette condition et pour pennettre à la France de prendre également des mesures d'ordre militaire en Afrique, l' Allemagne et l'Italie sont prétes à lui pennettre l'emploi de certains contingents militaires allant au delà des stipulations de la Convention d 'armistke et des accords relatifs à sa mise à exécution. Les questions de détail -seront réglées par les Commissions d'armistice, de concert avec les Délégations françaises. 4 ° - Le Ftihrer à déclaré au Chef de l'Etat Français que, après la défaite de I' Angleterre et la rétrocession des colonies allemandes, il y aura lieu de procéder, dans le cadre d'un règlement général, lors de la conclusion de la paix, à une nouvelle répartition des possessions coloniales sur le continent africain, répartition qui tout en assurant une harmonisation des intèréts rèciproques, tienne compte des nècessités politiques et des besoins économiques des Etats européens intéressés. Cela concerne avant tout les quatre Puissances: Allemande, Italie, France et Espagne. Dans la mesure ou le nouvel ordre en Afrique apportera des modifications territoriales nécessaires dans le domaine colonia} français actuel, les Puissances de l' Axe se chargeront, lors de la conclusion de la paix avec I' Angleterre, de veiller à ce que la France obtienne des compensations territoriales et, qu'en fin de compte, elle conserve en Afrique un domaine colonia! essentiellement équivalent à celui qu'elle possède aujourd 'hui.
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5° - Les deux parties sont d'accord pour que ce procès-verbal soit tenu rigoureusement secret. 6° - Le gouvernement du Reich se charge de s 'assurer immédiatement l'assentiment du gouvernement italien au sujet des points précédents et de le prier de souscrire également à ce procès-verbal» (7>. Abbiamo sottolineato all'inizio della citazione di questo documento che esso non fu seguito da nessuna sottoscrizione di Pétaìn, ma rimane il fatto che nel segreto della trattativa di Montoire le intenzioni di Hitler apparvero trionfanti delle esitazioni del maresciallo, che non sono per niente quelle del suo capo del governo Lavai. Costui il 26 ottobre confermava nel Consiglio dei ministri il valore dei nuovi «impegni della Francia» per quanto riguardava il conflitto, impegni che la ponevano nel campo dell'Asse e fuori dal regime armistiziale. Pétain pubblicamente, nell'allocuzione del 30, annunciava al paese di «essere entrato oggi nella via della collaborazione ... Questa collaborazione deve essere sincera e deve comportare uno sforzo paziente e fiducioso .. . ». Il giudizio piu equilibrato sia pure a posteriori ci sembra quello di un tedesco certo addentro alle segrete cose della politica tedesca in Francia, Otto Abetz: «A l'époque méme, Montoire se préta à autant de versions et d'interprétations qu'il y avait de nuances en France et en Allemagne, entre collaborateurs, anti-collaborateurs et attendistes. Pour !es uns, la rencontre marquait un tournant de l'histoire franco-allemande, pour !es autres, elle représentait un incontestable échec ... » (8). Montoire diventava cosf una specie di farsa diplomatica e politica nella quale parevano avere vinto sull'ingenuità di Pétain le richieste di Hitler aiutato da Pierre Lavai. Tutto l'edificio armistiziale pareva rimesso in gioco da parte di una Francia decisa a mutar politica e di una Germania orientata verso un colpo di timone quanto alla sua politica nei confronti di Vichy. A questo punto però è lecito chiedersi: e l'Italia? e Mussolini? Abbiamo visto le caute riserve del Duce nell'incontro del Brennero del 4 ottobre; ma va ricordato che anche allorquando Hitler si r ~ Firenze il 28 ottobre e vi incontrerà Mussolini al quale illustrerà le sue conversazioni di Endaye e la sostanza degli accordi di Montoire, Mussolini ribadirà la propria diffidenza verso la Francia inquietandosi nel contempo per le concessioni fatte ai francesi a danno delle aspirazioni italiane. Il fatto che Hitler desse in quell'occasione altre assicurazioni circa la priorità italiana non parve per niente tran-
(7) R. ARON, op. cit., p. 307. (8) 0. ABETZ, op. cit., p. 164.
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quillizzare il Duce (9) . Ma se l'accordo, o meglio una certa acquiescenza italiana alla «politica francese» cli Hitler, ci fu, con Montoire segnò una vera svolta nei rapporti interni dell'Asse: a partire da Montoire le politiche tedesca ed italiana presero a divergere. L'episodio specifico non recherà novità sostanziali, da una parte perché le resistenze di Vichy, Lavai a parte, cresceranno a mano a mano la Germania vorrà realizzare il proprio piano di coinvolgimento della Francia e dell'altra perché gli equivoci della «collaborazione» si mostreranno appieno. Il fallimento della politica di Montoire avrà la sanzione definitiva ed ufficiale nell'arresto di Lavai ordinata da Pétain il 13 dicembre, ma essa in realtà entrò in crisi subito e non produsse quindi nessuna delle novità annunciate. Non fu però un fuoco di paglia: da parte germanica le idee di Abetz ed una certa propensione dello stesso Hitler torneranno a produrre una nuova fase nei rapporti tra l'Asse e la Francia, anche qui protagonista una Germania che desidera dopo le delusioni spagnole avviare un migliore dialogo con la Francia di Vichy per dare alla guerra una crescente base europea sotto la leadership della Germania: e sarà qui l'origine dei famosi «Protocolli di Parigi» del maggio 1941. Ovviamente la rapida crisi dello spirito, e degli accordi, di Montoire portò ad un ritorno allo stile armistiziale tra i piu severi: ciò che pareva superato tornò di moda e questa seconda fase armistiziale portò anche nei rapporti italo-francesi ad una ulteriore realizzazione delle clausole dell'armistizio «tra difficoltà e controversie di ogni genere, sia nel campo militare che in quello economico e civile» (IO) (controllo dei traffici, recupero navi e merci, trattamento degli italiani in Francia ed in Tunisia) ed in una atmosfera non cordiale, a cui contribuivano le continue manifestazioni anti-italiane in Francia e nei territorio francesi. Dopo l'evocazione della situazione sancita dall'art. X con la consegna all'Italia di 172 treni di materiale militare, l'applicazione rigorosa delle clausole di Villa Incisa venne ripresa dal gen. Pietro Pintor che si era sempre mostrato scettico nei riguardi della disponibilità (e persino dell'onestà) francese ad osservarne l'applicazione. Nei suoi rapporti alla DSA di Vichy, l'amm. Duplat ne evocò a piu riprese l'intransigenza ed il rigore nell'applicare le norme armistiziali ed anche alla loro estensione: quello del 7 novembre ne citava «l'extension abusive des clauses de l'armistice» che aveva portato ad una grave crisi. «C'est la première fois, depuis le début de l'application de l'armistice, qu'une opposition
(9) Documents on German Foreign Policy, Londra, HMSO, Serie D, voi. XI, pp. 1127-29. (10) CIAF-Presidenza, Memoria sintetica sulla esecuzione dell'armistizio con la Francia, giugno 1940-gennaio 1942, Torino, 27 gennaio 1942, p. 6 in USSME-CIAF, Racc. 7, fase. 7, doc. A.
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aussi forte se manifeste entre les deux parties et notamment que nous avons été amenés à soutenir que la Commission italienne avait dépassé les pouvoirs que lui conférait la Convention» <11 ) . La crisi in questione era stata provocata dal problema del traffico marittimo della Francia, del cui controllo la CIAF rivendicava la totale competenza a livello di persone, di valori e di merci trasportate, competenza di cui la delegazione francese contestava la fondatezza. Risolto il problema specifico, la tensione non diminui ma trovò un altro punto di attrito: il rigore dei controlli nell'Africa del Nord a proposito delle armi e dei combustibili dominava la relazione del 21 novembre; quella del 5 dicembre faceva il punto di un'altra crisi, quella dell'applicazione dell'art. X che Duplat e la delegazione francese a Torino trovavano esosa e provocatoria concludendo: «à la phase d'exécution dans laquelle l'esprit de la Convention était d'une façon générale respecté, a succédé une phase d'exploitation ou la CIA cherche à tirer de la lettre du document des dispositions de détail qui sont contraires aux intentions d'ensemble» (12). La situazione era pili o meno a questi punti allorquando il presidente della CIAF gen. P. Pintor moriva in un incidente aereo, schiantandosi con un gruppo di collaboratori a sud di Acqui (13). Per la CIAF la scomparsa di Pintor il cui successore, gen. Camillo Grossi, fu nominato l'indomani dal Duce, ebbe l'effetto di interrompere una certa fase di estrema rigidità che aveva coinciso con le illusioni della «vittoria>> sulla Francia; a Grossi venivano ad incombere problemi vecchi e nuovi ma soprattutto un certo mutamento di omogeneità di comportamento che tra la CTA e la CIAF si poteva già notare e solamente per effetto di Montoire (14) cogliere a partire dalle difficoltà militari generali dell'Italia sui vari fronti, da quello albanese e quello cirenaico, difficoltà che ne facevano diminuire in ogni caso il peso determinante nell'Asse anche riguardo a problemi politici generali tra i quali rientravano appun~lli connessi alla politica da adottarsi nei confronti della Francia.
(11) H. DUPLAT, H. PARJSOT, Rapport sur les travata de la DFCJA, 7 novembre 1940, p. 25 in DFCIA-SHAT, 1/P/800. ( 12) Rapporr .. . 21 novembre 1940, p. 23; Rapport .. . 5 dicembre I 940, p. 27, ibid. (13) Nell'aereo caduto presso la cittadinanza di Canosio perirono, oltre al gen. Pintor. il gen. di squadra aerea Aldo Pellegrini, presidente della sottocommissione Aeronautica, il col. Attilio Corti, addetto alla presidenza della stessa sottocommissione, il maggiore Cesare Quinto della Presidenza CIAF, il cap. Giuseppe Cadei, il maresciallo motorista Ettore Alberi, il serg. magg. Marconista Paolo Conti. A Canosio, sul luogo della caduta dell'aereo, venne successivamente eretto un monuniemo funebre che ancora oggi esiste. Dell'inaugurazione ufficiale del monumento vengono riportate oel presente volume due fotografie. (14) L'ordinanza dell'8 dicembre 1940 è riponato quale documento n. 16 della presente opera.
2.
le crescenti difficoltà del regime armistiziale
Stravolta in un primo momento dalle iniziative tedesche di una nuova politica francese decisa senza consultazioni dell'alleato ed avviata malgrado le reticenze di questo, la politica della CIAF nei confronti delle questioni ancora in sospeso con la Francia ritorna sotto il suo nuovo presidente geo. Camillo Grossi, dopo alcune incertezze, al criterio dell'applicazione del puro regime armistiziale. Quasi quasi il fallimento di Montoire facilitò le cose a Torino, e dopo questa breve parentesi prevalse il criterio della realizzazione dell'armistizio adottando, spesso per analogia, le disposizioni armistiziali alle nuove situazioni. In almeno tre campi la CIAF prosegui le proprie attività: quello militare, quello della tutela degli italiani e quello della repressione delle attività di secessione gollista. Nel settore militare le disposizioni dell'art. 5 relativo alla smilitarizzazione vennero completate sia sul confine alpino sia nella zona adiacente al confine libico; nella Corsica queste disposizioni se pure avversate dalla parte francese furono completate ai primi del febbraio 1941 con il disarmo di tutte le opere terrestri e con l'accantonamento del materiale bellico eccedente l'armamento del!' esercito di armistizio. La smilitarizzazione delle piazzeforti militari marittime fu invece effettuata solo in parte, in quanto si rivelò necessario lasciare in ogni piazzaforte una struttura militare ridotta onde assicurare il funzionamento dei comandi e servizi relativi alla custodia e alla manutenzione delle navi e delle opere costiere in disarmo, al mantenimento in efficienza delle navi armate in funzione antibritannica, in deroga all'armistizio, e di quelle concesse per la difesa dei territori coloniali francesi. Nelle basi navali piu importanti erano state adottate soluzioni di smilitarizzazione parziale sotto il controllo di autorità italiane secondo lo schema seguente:
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TOLONE
Fu conservata la Prefettura marittima con i suoi organi ed oltre al personale dei comandi e dei servizi fu concesso oltre agli operai dell'Arsenale anche un battaglione di fucilieri di Marina di 400 uomini. Anche alcune scuole di marina furono concesse, allo scopo di formare degli specialisti. Anche in queste attività la CIAF ed i suoi organi dovettero risolvere molti problemi connessi al controllo dell'Arsenale rimesso in funzione in deroga agli articoli dell'armistizio in sola funzione antibritannica. Le attività di controllo della CIAF furono incentrate sulle ispezioni delle scorte e sui controlli dei magazzini allo scopo di reprimere false dichiarazioni ed occultamento di materiale bellico. Nel quadro dell'attività militare antibritannica furono autorizzate le batterie costiere di Cépet (4 cannoni da 340) di Giens (4 da 164 e 2 da 75) e di St. Elme (3 da 100), quest'ultima per la scuola cannonieri. Inoltre furono mantenuti sempre in funzione antibritannica lo sbarramento di rete del passaggio Sud tra la Grande Rada e la Piccola Rada nonché l'intero sbarramento del passo Nord.
BISERTA
Fu conservato il Comando Marina con gli organi dipendenti con organici del personale approvati dagli organi della CIAF che ne controllavano l'adeguamento continuo ai quantitativi autorizzati. ~ile piazzeforti fu autorizzato lo stanziamento di 3 battaglioni di fanteria, di un gruppo di artiglieria e di 2 plotoni di Guardie Mobili. Quanto ~lle batterie costiere furono quelle di Capo Biserta (4 da 164) e di El Mettine (2 da 340). Tutte le altre installazioni costiere furono disarmate e poste sotto controllo.
ORANO
Fu conservato il Comando Marina e gli organi dipendenti con organici ridotti e controllati; nella base fu autorizzato lo stanziamento di un
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battaglione di 750 uomini. Le batterie costiere armate autorizzate furono quelle di Santon (4 da 194) e di Canastel (3 da 240). Nel resto dell'Africa del Nord furono mantenute in efficienza sotto controllo della CIAF ed in funzione antibritannica le batterie di: Bona - Fort Genois Bougie - Bouack Algeri - Duperré Lazaret Sidi Ferruch Tunisi - Sidi bou Said Sfax -Tyna Mostaganem - Difesa Porto Batteria mobile Gruppi mobili autoportati
4 3 4 4 4
X X X X X
4 X
4 4
X X 4 X 12 X
138 ; 138 194 194 75 138 138 75 155 75
AJACCIO Fu mantenuto il Comando Marina con gli organi dipendenti con personale limitato e controllato. Le batterie costiere armate e mantenute furono quelle di Parata (4 da 138) e di Castagna (4 da 138). Tutte le altre posizìoni costiere erano state disarmate.
Per quanto riguardava la smobilitazione ed il disarmo delle unità della Marina da guerra francese colpita dalle disposizioni dell'art. XII la situazione delle unità della flotta francese sotto controllo italiano risultava alla fine di questo periodo la seguente:
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Località
Tipo delle unità
TOLONE
Navi di linea Portaerei Incrociatori Cacciatorpediniere Torpediniere Sommergibili
1 1 (a) 6 (b)
ALGERIA
TUNISIA
TOTALI PER TIPO
armate
disarmate 1 -
I
8 9
8
3 (c)
li
Navi di linea Cacciatorpediniere Torpediniere Sommergibili
I (d) 3 2 2 (e)
-
Torpediniere Sommergibili
6 2 (e)
Navi di linea Portaerei Incrociatori Cacciatorpediniere Torpediniere Sommergibili
2 1 6
6
9
9 1
1
11
8
17 7
6 24
(a)
parzialmente, concessa alla scuola cannoniere;
(b) (c) (d) (e)
5 del gruppo Strasbourg più uno in riparazione, parzialmente annato; parzialmente - costituiscono il gruppo di rimpiazzo; armamento ridotto speciale; temporaneamente.
,
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Su di un piano piu generale, quello dell'art. XV, le imposizioni armistiziali sul divieto di passaggio verso territori dell'impero britannico o altri Stati di ogni materiale bellico, i controlli della CIAF furono assai contrastati e piu difficili da eseguire anche se un'apposita legge francese emanata il 15 ottobre 1940 ne perfezionò i divieti. La legge (Loi portant interdiction des opérations d' importation, exportation et transit des matériels de guerre) usciva in realtà dai limiti di un regolamento esecutivo dell'art. XV della convenzione d'armistizio, che si limitava a vietare l'esportazione in territori dell'impero britànnico o in altri Stati esteri delle navi, aeroplani, armi, materiale bellico, munizioni esistenti in territori francesi e l'uscita - anche in transito - dei predetti materiali se di proprietà francese. La legge 15 ottobre 1940 aveva invece portata ben piu vasta in conformità della piu vasta portata dell'art. X della convenzione tedescofrancese ( «il Governo francese impedirà ... che armi, materiale bellico di ogni specie, navi, aeroplani, ecc. siano trasportati in Inghilterra o in altri Stati esteri»), da essa richiamato nel preambolo, accanto all'art. XV della convenzione italo-francese. La legge proibiva tutte le operazioni di esportazione, transito ed importazione di materiale bellico, fatta eccezione per i transiti di materiali dovuti alla Germania e all'Italia in virtu dell'art. XV della Convenzione tedesco-francese e dell'art. XX della convenzione italo-francese. Sul piano delle controversie circa l'applicazione di queste disposizioni si possono ricordare le richieste fatte da organi periferici della CIAF al governo di Vichy del gennaio 1941 evocando l'art. XV della convenzione di armistizio di impedire il transito attraverso un breve tratto di territorio siriano (Tel KotchekNissibine) di materiale bellico proveniente dall'Irak e diretto in Turchia (e quindi in Grecia) e per l'istituzione di un posto italiano di controllo ferroviario ad Aleppo. La Presidenza della CIAF non accolse tale tesi, ritenendo che l'art. XV non potesse essere invocato per impedire il transito in territorio francese di materiale bellico non francese e, nella nota indirizzata alla Delegazione francese il 17 gennaio 1941, si limitò a richiamare per ottenere tale divieto la sola legge francese del 15 ottobre 1941. Altri momenti di crisi si produssero a varie riprese nelle attività di controllo e di disarmo da parte della CIAF in relazione alle diserzioni di velivoli. Da aeroporti della Tunisia (Karouba), dell'Algeria (Orano ), del Marocco (Rabat, Casablanca), della Siria (Tripoli, Rayak) si verificarono numerose diserzioni di velivoli francesi (circa una quarantina dalla conclusione dell'armistizio in poi), i cui equipaggi si recarono per lo piu a Gibilterra per passare alla Gran Bretagna o nelle file golliste. La rea-
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zione deUa CIAF non si fece attendere. Con regolamento 697/ A del 7 agosto 1940 la CIAF poneva, come sanzione per la diserzione di velivoli, la smilitarizzazione del reparto a cui i velivoli appartenevano, la distruzione dei velivoli rimasti e la responsabilità del comandante del reparto «per trascuratezza e sabotaggio in danno dell'azione bellica italiana». TaJi sanzioni non trovarono applicazione in 23 casi di diserzione verificatisi (18 casi) prima della emanazione del regolamento del 7 agosto o quando (5 casi), il regolamento stesso non era ancora a conoscenza dei reparti francesi. Tuttavia fu precisato alla Delegazione francese, in data 22 novembre 1940, che l'applicabilità di sanzioni per la diserzione di velivoli discendeva non tanto dal citato regolamento quanto, e direttamente, dagli art. XIV e XV della convenzione di armistizio. In due casi la sanzione prevista nel regolamento anzidetto fu applicata, ma ridotta alla distruzione di un solo velivolo del reparto (il velivolo che invano aveva tentato di disertare). Nel marzo 1941 la CIAF giudicava troppo gravi le sanzioni previste nel predetto regolamento del 7 agosto e stabiliva di esigere la distruzione «in loco» o la consegna ali ' Italia di tre velivoli per ogni reparto presso cui si fosse verificata la diserzione (senza pregiudizio delle misure a carico dei comandanti del reparto e degli altri eventuali responsabili). Successivamente, e in accordo con la CTA, venivano stabilite altre prescrizioni quali la non reintegrazione dei velivoli disertati, la riduzione degli organici, la consegna all'Italia, per ogni velivolo disertato, di un velivolo bellico di tipo analogo completamente armato e attrezzato, e il divieto di volo per le squadriglie a cui appartenevano i velivoli fino all'effettuazione della consegna anzidetta. In genere, però, le sanzioni cosi stabilite non furono attuate per sopravvenute circostanze militari e politiche (Siria, minacce inglesi al Nordafrica francese) o in considerazione del brillante e leale comportamento di altri reparti o aviatori francesi. Sanzioni a carico del personale responsabile furono sempre prese dall'autorità francese, d'intesa con le autorità di controllo di Torino. In un caso di diserzione multipla, 3 velivoli Dewoitine (14 ottobre 1941), vennero imposte in un primo tempo sanzioni quali lo scioglimento del Gruppo con relativa smobilitazione e rimpatrio del personale, disarmo ed accantonamento dei velivoli e consegna all'Italia di tre velivoli in perfetta efficienza e completamente attrezzati ed armati dello stesso tipo di quelli passati al campo nemico. In un secondo momento a seguito delle obiezioni francesi e delle stesse osservazioni del Comando supremo italiano a proposito della scarsa utilità di velivoli non in servizio regolare nell'Aeronautica militare italiana
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con problemi di pezzi di ricambio e di assistenza, le sanzioni furono sostituite con l'abolizione del Gruppo, l'allontanamento e la punizione del personale connivente e la consegna a titolo gratuito di 50 autocarri in perfetta efficienza con adeguate scorte e parti di ricambio per i bisogni delle truppe italiane in Libia. Come si può vedere da queste citazioni di casi di contrastanti atteggiamenti da parte delle autorità francesi, il clima dei rapporti con la CIAF e le sue autorità periferiche non è mai stato di serenità o di cooperazione: e se da una parte le reazioni francesi hanno colpito i singoli italiani non militari che si trovavano sul territorio metropolitano e coloniale della Francia, queste animosità non hanno neppure risparmiato le autorità militari della CIAF in ispezione in Francia o nelle colonie francesi. Il gen. Pintor ebbe modo di manifestare all'amm. Duplat le proprie proteste contro l'operato di molte autorità francesi nei riguardi delle autorità italiane di controllo. Ma la situazione non cessò dal peggiorare, al punto che il gen. Grossi con lettera del 25 gennaio 1941 manifestò le sue piu vive proteste per l'operato provocatorio delle autorità francesi e dei semplici cittadinj nei confronti delle autorità italiane di controllo c1s>. Per Duplat la questione rientrava nel rifiuto fino ad allora opposto dalla CIAF di operare in Francia con la collaborazione delle autorità di polizia francesi che avrebbero sempre provveduto a scortare e quindi a proteggere le delegazioni italiane, che si ostinavano a non voler comunicare i loro itinerari né le loro soste anche per conservare alle loro missioni di controllo quell'elemento di sorpresa che spesso era alla base della loro buona riuscita Ct6). In quanto poi all'opinione pubblica francese e nordafricana nei confronti della presenza italiana era, sosteneva Duplat, inevitabile che la tensione italo-francese e l'incertezza sull'avvenire potessero non portare a reazioni da parte di coloro che vedevano negli agenti italiani avanguardie minacciose di propositi autoritari o peggio annessionistici. In questa maniera la situazione si ribaltava, e anche a livello degli (15) Lettera di Duplat alla OSA-Vichy, 30 geMaio 1941 in relazione alla protesta di Grossi del 25 gennaio, in DFCIA-SHAT, 1/Pn8, doss. I. ( 16) Sécurité des délégations italiennes de contr61e, Nota dell'amm. Duplat al gen. C. Grossi , 29 gennaio 1941, in DFCIA-SHAT, I/Pn8, doss. I. Le misure proposte da Duplat comportavano 4 tipi di intervento di protezione: «Il a été decidé en particulier: - que les membres des délégations italieMes seraient, dans tous leurs déplacements officiels, accompagnés par des Officiers Français, et que la police des locai ités où ils se rendraient serait alertée; - que !es h6tels où ils habitent, ains que !es locaux où ils se réunissent, seraient surveillés en permanence soit par des gardes mobiles, soit par des agents de police en uniforme; - que des inspecteurs de polices en civil seraient tenus à la disposition des membres impor-
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agenti della CIAF si faceva sempre piu critica. Per i semplici civili italiani che si trovavano in Francia o nei territori controllati dalla Francia la situazione era ancora peggiore, indifesi com'erano di fronte alle animosità delle autorità francesi e della maggioranza della popolazione. Pertanto le disposizioni dell'art. XXI trovarono solo una lenta e modesta applicazione. La situazione caotica di alcune regioni e soprattutto di alcuni uffici francesi nell'epoca immediatamente successiva all'armistizio, la malafede di talune autorità e una particolare avversione contro i nostri connazionali, non disgiunte talora da sostanziali difficoltà di ricerca e di individuazione, non consentirono una immediata liberazione e restituzione all'Italia di civili italiani internati o detenuti per atti a favore del Governo italiano: anche perché nella categoria dei «civili comunque internati» rientravano vari gruppi di «indesiderabili», che la Francia non avendo essi manifestato il desiderio di rientrare in Italia né avendone l'Italia fatto richiesta - non poteva per inderogabili ragioni di ordine pubblico rimettere in stato di libertà. A prescindere da quest'ultima categoria, ancora nel mese di ottobre 1940 l'organismo di controllo, appositamente istituito nella Francia metropolitana per l'esecuzione dell'art. XXI, scopriva degli italiani arrestati prima dell'armistizio per motivi politici o per spionaggio a favore dell'Italia ancora detenuti. Tuttavia, nel mese di dicembre 1940 tutte le liberazioni richieste dall'Italia sulla base dell'art. XXI seconda parte potevano dirsi effettuate: dalle indagini compiute nei vari campi di concentramento non risultava la presenza di italiani che non appartenessero ad una delle seguenti categorie: a) individui colpiti da condanne di diritto comune; b) anarchici, estremisti; c) reduci dall'armata rossa di Spagna. A parte questi casi di italiani condannati e non richiesti dalla CIAF e di italiani posti nei campi di concentramento e già liberati, la CIAF si dovette occupare ripetutamente di italiani arrestati per motivi vari (soprattutto politici) in periodo armistiziale, cioè dopo il 24 giugno 1940. Intervenne pure per protestare contro l'eccessivo numero di arresti di italiani per motivi comuni; per giustificare la permanenza in Francia dell'organismo di controllo per l'esecuzione dell'art. XXI (istituzionalmente destinato, appunto, ad impedire che alcuna misura restrittiva tants de ces délégations pour !es accompagner discrètement au cours de leurs sonies privées; - qu'enfin seraient rappelées à tous les agents du service d'ordre (gendarmerie, garde mobile et police, les consìgnes leur enjoignant de preter main-fone et assistance à tout membre des délégations qui se trouverait en difficulté ou qui, se sentant rnenacé, le demanderai!>>.
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della libertà personale fosse adottata nei riguardi di cittadini italiani, exinternati o no, per ragioni di carattere politico o di guerra o per ragioni che non fossero tali da turbare l'ordine pubblico in Francia) e per richiedere al Governo francese particolari procedure per gli arresti ed internamenti di cittadini italiani. L'art. XXI venne dai primi mesi del 1941 in poi sempre meno evocato dalla CIAF per ottenere la liberazione di cittadini italiani arrestati o condannati; queste sono state ottenute in molti casi mediante scambi con det_enuti francesi o altre contropartite in favore della Francia. La CIAF tuttavia tentò a piu riprese e con diverso esito di sfruttare questo articolo estendendone la portata sia nel tempo sia negli oggetti. Si sono cioè evocate le disposizioni di quell'articolo: - nell'occasione di espulsioni o «refoulements» di italiani dai territori francesi, espulsioni dichiarate piu volte in contrasto con l'art. XXI della Convenzione; - per ottenere un migliore trattamento degli internati (ancorché non richiesti dall'Italia, quindi anche per gli indesiderabili) e - piu in generale - nei riguardi del trattamento fatto agli italiani in Francia; - per ottenere la restituzione agli ex-internati di documenti di identità di cui erano stati privati al momento dell'internamento; - per ottenere la concessione ai cittadini italiani ex-internati di un permesso di residenza in Francia per sistemare i propri affari prima di far ritorno in Italia; - per ottenere il riconoscimento del diritto degli italiani ex-internati alle indennità di licenziamento e di preavviso e al regime delle assicurazioni sociali; - per richiedere un provvedimento inteso a dichiarare che l'internamento subito per ragioni di guerra non costituisce causa di rottura del contratto di lavoro e quindi per ottenere la riassunzione dei lavoratori italiani licenziati al momento del! 'internamento; - per ottenere, in genere, che nessuna misura sfavorevole nel1' ambito lavorativo fosse adottata nei confronti di cittadini italiani già internati per sentimenti patriottici; - per richiedere le liste nominative (mai ottenute) degli italiani che dopo la conclusione dell'armistizio firmarono, per essere liberati, le «dichiarazioni di lealismo» e per poter quindi procedere ad una revisione delle dichiarazioni medesime; - per richiedere le liste nominative (mai ottenute) degli italiani aventi invocato e beneficiato del diritto d'asilo; - per ottenere il rilascio della carta di libera circolazione agli italiani in Francia.
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Ovviamente tutte queste rivendicazioni degli organi della CIAF trovarono presso la delegazione francese come presso le autorità centrali e periferiche della Francia di Vichy le piu tenaci opposizioni, e questo alternarsi di richieste e di rifiuti, di minacce e di resistenze alimentò un contenzioso notevole con ritardi, intralci e lungaggini che non fecero che crescere per passiva volontà della parte francese di mettere freni e ritardi legalistici e burocratici ad ogni decisione politica o militare della CIAF. Un caso a sé, ma certamente interessante, è costituito da un documento del ministro della Guerra di Vichy, gen. Huntzinger, in data 3 febbraio 1941 inviato all'amm. Duplat a proposito degli internati italiani del Campo di Vernet, nel quale «si offre» alla CIAF l'intero lotto degli italiani internati, fossero o non fossero consenzienti al rimpatrio. Una simile offerta di Vichy, che contraddice palesemente la politica fino ad allora difesa del diritto d'asilo politico «sacro per la Francia», non fu peraltro accettata dal presidente della CIAF, che vi oppose una fin de non recevoir. Questa offerta smentisce, una volta di più, nella questione, le tesi spesso evocate di una richiesta italiana respinta dalle autorità di Vichy (16 bis) . Un altro elemento di attrito con le autorità francesi fu quello connesso all'art. XIV, che impegnava il governo francese ad impedire qualsiasi forma di ostilità contro l'Italia e contro l'Asse. Esso fu invocato in una serie di casi in cui la CIAF richiamò l'attenzione della delegazione
(16 bis) TI documento, tenera di Duplat a Grossi del 7 febbraio e la tenera di Huntzinger all'amm. Duplat del 3 febbraio 1941, sono alle Archives Nationales, série Aj. 41, 2318, Italiens en France. La lettera del 3 febbraio è la seguente: I - En raison des réclamations italiennes au sujet des conditions d'intemement au Carnp du Vemet, vous avez bien voulu, par lettre citée en référence, me suggérer qu'il y aurait intertt à faire connattre au Gouvernement Italien que les Autorités Françaises sont disposées à rapatrier tous les internés italiens du Camp du Vernet, qui ont demandé à rentrer en Italie. 2 - Par lettre n. 3156/DSA/7 en date du 31 Janvier 1941, je vous avais fait connaìtre la position adoptée par le Gouvemement française sur la question des internés. J' ai en conséquence l'honneur de vous fair savoir que je partage entièrement votre mani è re de voir sur l'opportunité d'une démarche, telle que vous la définissez, auprès de la Commission Italianne d'Armistice. Je vous serais obligé de bien vouloir porter à la connaissance de cene demière que le Gouvemement Français tient d'ores et déjà à la disposition du Gouvemement ltalien tous !es intemés italiens du Camp du Vemet, qu'ils aient ou non manifesté le désir d'ttre rapatriés. TI y aura lieu de bien marquer aux yeux des Autorités ltaliannes que c'est dans un but de conciliation que nous proposons le rapatriement de ceux de leurs ressortissants intemés après l'Armistice, l'article 21 de la Convention ne nous imposan1 nullement de les rendre. Il est d 'ailleurs évident que cene solution presente pour nous l'avantage de débarasser le territoire national d'un certain nombre d'indésiderables, argument que doit natureUement ignorer le Gouvemement Italien. (Comunic. dell'amico Luc Nemeth del CHEVS di Parigi, che qui ringrazio vivamente).
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francese su varie forme di attività e propaganda antiitaliana, filobritannica e gollista tollerate in territorio francese dalle autorità responsabili: cosf in numerose note di carattere generale indirizzate alla DF nel dicembre 1940 e nei mesi di febbraio, marzo, ecc. del 1941; cosi - in casi piu particolari - a proposito di diffusione di manifestini inglesi di propaganda contro le Potenze dell'Asse («propaganda assolutamente contraria allo spirito e alla lettera dell'art. XIV della C. d' A») e a proposito della propaganda gollista e antiasse della Croce rossa americana, tollerata nei dipartimenti del Puy-de-Dòme e del Cantal («ai sensi dell'art. XIV della Convenzione d'A., Vi prego di voler intervenire presso il Vostro Governo affinché simile propaganda venga controllata e repressa e affinché i prefetti siano invitati a far rispettare la lettera e lo spirito della convenzione»). Molte altre volte - poi - pur non essendo stato l'art. XIV espressamente citato, si intese manifestamente di farvi riferimento con l'invocare genericamente «l'incompatibilità con la situazione armistiziale» di detenninate attività o forme di propaganda: cosi, ad es. , per la propaganda gollista in Corsica (aprile 1941), per taluni atteggiamenti ostili della stampa francese, per la propaganda anglofila o svolta da agenti britannici sulla Costa Azzurra (primavera-estate 1941) e per l'attività di agenzie inglesi sulla costa stessa, con relative richieste di chiusure e di espulsioni per l'attività del «Cornité d 'accueil et d'entraide des émigrés musulmans» in Tunisia, e via dicendo. Piuttosto curiosa fu la posizione legalistica della CIAF, la quale non mancò di protestare presso il governo di Vichy tramite la delegazione di Torino per le attività armate di elementi gollisti contro le truppe dell'Asse, attività che veniva ritenuta «lesiva ed in contrasto con la Convenzione di armistizio»; si citavano i casi della partecipazione di una brigata motorizzata «denominata Francia Libera» e costituita da elementi francesi alle operazioni contro le truppe italiane sul fronte della Marmarica (gennaio 1941) ed in relazione alla irruzione nel sud libico (Murzuk) di elementi dissidenti francesi motorizzati nello stesso gennaio 1941, calcolati in circa 30 automitragliatrici. Alla contestazione di tali gravi violazioni dell'art. XIV la Delegazione francese rispondeva allegando tutti i provvedimenti adottati dal Governo francese per impedire e reprimere la dissidenza, insistendo sulla perfetta lealtà del Governo stesso ed «elevando formale protesta contro l'affermazione secondo cui la presenza di elementi ribelli francesi tra le forze impegnate contro l'Italia costituisce una violazione dell'art. XIV della convenzione di armistizio». La CIAF tuttavia, pur non mettendo in dubbio le sincere intenzioni del governo francese, ribadiva la tesi della violazione
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dell'art. XIV, facendo rilevare come il fatto che gli appartenenti alla brigata motorizzata «Francia libera» provenissero da territori francesi dopo la firma dell'armistizio dimostrasse la mancata ottemperanza all'obbligo, assunto con l'art. XIV della convenzione, di impedire agli appartenenti alle forze armate e ai cittadini francesi in genere di uscire dal territorio nazionale per partecipare comunque ad ostilità contro l'Italia. La stessa posizione fu inizialmente adottata dalla CIAF a proposito dell'attività clandestina di centri di arruolamento di militari a destinazione dell'Inghilterra e dei centri militari gollisti. La delegazione francese in una sua risposta alle proteste italiane precisava tuttavia con una nota del febbraio 1941 che l'azione di repressione dell'attività di tali centri era stata ed era tenacemente perseguita dagli organi di polizia del governo francese. A questo riguardo il capo delegazione per il controllo dello scacchiere alpino, gen. Paolo Micheletti, precisava lo stesso febbraio 1941 che «dal complesso dell'azione svolta dalle autorità locali francesi, che sembra intervengano arrestando sempre coloro che riescono a scoprire, non risultano elementi che consentono di invocare l'art. XIV della convenzione di armistizio e di giustificare un nostro intervento presso la Delegazione francese». Anche a proposito degli imbarchi clandestini di francesi, sempre militari o ex-militari, la CIAF protestò presso Vichy per presunte responsabilità delle autorità francesi di frontiera, le quali furono accusate di non saper reprimere questo esodo a destinazione di vari territori britannici. Per esempio nel febbraio 1941 veniva trasmesso alla delegazione francese un elenco di numerosi ex-militari, aviatori e specialisti militari francesi provenienti dall'Africa del Nord ed imbarcatisi in porti del Marocco spagnolo per raggiungere Lisbona e di li l'Inghilterra, e veniva affermato che anche in questi casi «nel!' autorizzare l'espatrio delle predette persone», le autorità francesi si erano rese responsabili di violazione delle norme armistiziali. Proprio in relazione a questi casi venne decisa l'istituzione, in data 21 aprile 1941, del controllo misto italo-tedesco sul traffico marittimo di materiale bellico, di personale militare e di passeggeri civili sulla costa mediterranea della Francia metropolitana. Ed il protocollo italo-tedesco che ne decise la creazione, il 30 marzo 1941, annoverava proprio a base della decisione l'ossequio agli articoli XIV della convenzione italo-francese (partecipazione di cittadini francesi ad ostilità contro l'Italia) e di quella tedesco-francese (espatrio di appartenenti alle forze armate francesi per partecipazione alla guerra contro la Germania).
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A tal punto il livello dei rapporti italo-francesi si andò degradando che la CIAF, considerando negativo proprio l'atteggiamento della Francia nei riguardi dell'Italia che non accennava a migliorare, che frapponeva continuamente ostacoli e resistenze all'esercizio del controllo armistiziale e che non riusciva a prevenire che si verificassero con frequenza crescente incidenti contro gli italiani in Francia, intimò al governo di Vichy il 7 marzo, d'intesa con il Comando Supremo, una seconda consegna di materiali, che investiva tutte le armi, munizioni e materiali dell'esercito contemplati nell'articolo X ed esistenti nei depositi «b» dello scacchiere alpino sotto controllo italiano, rinnovando le piu ampie riserve di richiesta degli altri materiali sui quali l'Italia vantava diritti ai sensi dell'art. medesimo. A tale richiesta la Delegazione francese rispondeva con note verbali e domandava una revisione dell'intera questione da parte italiana, pregando il Governo italiano di volersi astenere dall'infliggere «una forte diminuzione di prestigio al Governo francese di fronte al proprio paese» in un momento quanto mai delicato, nel quale il Capo di Stato aveva bisogno di raccogliere attorno a sé tutte le forze vive del Paesè. Questa risposta trasmessa il 24 marzo dalla CIAF al Comando Supremo venne ulteriormente illustrata allo stesso con nota del 15 maggio. La situazione generale peraltro stava proprio mutando, ed a mutare tale quadro dei rapporti tra l'Asse e la Francia erano gli effetti di una ripresa della politica francese della Germania già evocata a Montoire (17).
(17) A tali lettere il Comando Supremo rispondeva, in data 2 giugno 1941, che gli sviluppi della situazione armistiziale non consigliavano di rimettere in discussione, per il momento, la seconda consegna dei materialj di cui all'art. X, la quale pertanto doveva ritenersi sospesa.
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I protocolli di Parigi ed i loro riflessi sull'attività della CJAF
È chiaro che il fallimento dell'incontro dì Montoìre con l'insieme delle polemiche interne a Vichy che portarono alla defenestrazione di Laval il 13 dicembre non poteva non influire negativamente sui rapporti tedesco-francesi e di rimando su quelli italo-francesi. Va notato però che piu che di crisi permanente è il caso di parlare dì fase provvisoria: malgrado le difficoltà e malgrado i mille ostacoli che le autorità di Vichy mettevano nell'attuare una politica di pura applicazione del regime armistiziale, una certa tendenza al dialogo si fece luce e fin dal 25 dicembre 1940, negli incontri del numero due del governo di Vichy, l'amm. J. F. Darlan, con Hitler vicino a Beauvais, si parlò di una ripresa del discorso di Montoire, cioè dell'evoluzione del regime francese dall'armistizio all'alleanza. L'azione dell'ambasciatore tedesco a Parigi Otto Abetz riprese vigore, confermando l'impressione che la crisi del 13 dicembre era stata vista a Berlino come un avvenimento spiacevole ma di importanza relativamente modesta e superabile col tempo. La svolta si ebbe allorquando il ministro degli Esteri di Vichy, Pierre Etienne Flandin diede le sue dimissioni il 9 febbraio 1941 e poche ore dopo, il 10, veniva nominato l'amm. Darlan vice presidente del consiglio e ministro degli Esteri con una preminenza politica assoluta sancita da un «atto costituzionale» dello stesso Pétain che lo designava come eventuale suo successore alla prima carica dello Stato. E quale corollario di questi eventi il governo venne riformato il 24 febbraio mettendo nelle mani di Darlan, oltreché la vice presidenza, i portafogli degli Esteri, degli Interni e della Marina. Le idee che Darlan aveva a proposito della politica estera che la Francia doveva svolgere erano ben note, essendo egli convinto che la Gran Bretagna avrebbe perduto la guerra o presto o tardi; al massimo poteva farla durare o non perderla del tutto nelle operazioni militari periferiche all'Europa, ma in Europa egli riteneva che l'egemonia tedesca non poteva essere scalzata almeno sul tea-
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tro europeo. Donde la necessità per la Francia di tenerne conto, anche perché una eventuale vittoria della Gran Bretagna non avrebbe rappresentato per la Francia una ottima cosa: Londra non avrebbe mancato di allargare a danno del patrimonio coloniale francese il proprio patrimonio. Pareva invece a Darlan che con Hitler in Europa vi potesse esistere modo di rientrare in un Nuovo Ordine, magari rinunciando all'Alsazia e alla Lorena ma salvando il resto dalle ambizioni italiane, e sul piano coloniale cedendo il Camerun e qualche altra cosa ma salvando la maggior parte dell'impero anche dalle rivendicazioni italiane che già si erano manifestate in occasione della firma di Villa Incisa. Infine un altro elemento poteva essere evocato: la convinzione allora diffusissima in Europa che, caduta la Germania, l'intero continente sarebbe caduto preda del comunismo. L'alternativa si riduceva quindi agli occhi di Darlan al trionfo del comunismo o a quello della Germania; la scelta non era dubbia. E da queste premesse si possono capire le spinte che a Vichy, a partire dall'avvento di Darlan, si ebbero per una ripresa della politica di Montoire, di collaborazione con la Germania. Va detto subito che in questa analisi di Darlan l'Italia non entrava affatto in linea di conto; pareva che l'altro polo dell'Asse non esistesse o che non contasse affatto in una eventuale politica tra Vichy e Berlino. In realtà questo atteggiamento determinato dagli sviluppi militari delle iniziative italiane era ben ricambiato dalle autorità italiane, che non avevano mai creduto attendibile la collaborazione evocata dai tedeschi. L'atteggiamento del governo di Roma era molto chiaro: attendere e poi decidere: «In ogni caso - ribadi il 21 gennaio 1941 lo Stato Maggiore italiano - per quanto non ci sia da fidarsi di Vichy, per ora non conviene precipitare gli eventi. Faremo scontare tutto a tempo debito ... » c1s). A Vichy intanto le idee di un rilancio del dialogo con Berlino prendevano piede, ma le autorità tedesche si mostrarono piuttosto reticenti a rifare l'esperienza di un dialogo senza domani del tipo Montoire. L'elemento che fece scattare un certo interesse tedesco verso la ripresa delle trattative di collaborazione con Vichy fu lo scoppio nell'Iraq dell'insurrezione di Rashid Ali al-Ghailani che parve offrire aJI 'Asse interessanti prospettive di sviluppo nel piu ampio quadro della lotta antibritannica nel Medio Oriente. Scoppiata come crisi alla fine di aprile, la questione militare irachena implicava per l'Asse un problema di sostegno logistico che poteva trovare una soluzione accettabile e soprattutto rapida
(18) Verbali delle riunioni tenute dal capo di SM Generale, voi. 11, Roma, US·SME, 1983, p. 16.
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ricorrendo alla Siria, a patto che questo territorio fosse «utilizzabile» sia come base di passaggio aereo del sostegno tedesco verso Baghdad sia come fonte di armi colà accantonate secondo le disposizioni armistiziali. A questo punto il negoziato franco-tedesco diventava possibile; voluto dalle due parti, esso si iniziò con un accordo preliminare il 6 maggio sugli aiuti da mandare tramite la Siria agli insorti iracheni e sull'uso degli aeroporti siriani da parte dell'aviazione germanica. Nel quadro di questo accordo il porto di Biserta veniva inoltre concesso all'uso di rifornimenti alle truppe di Rommel impegnate in Libia; in cambio la Germania acconsentiva a diminuire il prelievo delle spese di occupazione, a facilitare il transito tra le due zone della Francia, la zona occupata e la zona libera, ed infine a riarmare 6 cacciatorpediniere e 7 torpediniere da inserire nell'esercito deU 'armistizio. Su queste premesse confermate nello spirito dell'incontro tra Darlan e Hitler a Berchtesgaden 1'11 maggio si delineava una politica del do ut des in base alla quale la Francia si impegnava ad accettare certe richieste germaniche collaborando al suo sforzo di guerra in cambio di sostanziali vantaggi da elaborare con maggiori particolari nel corso di regolari negoziati. Questi ebbero puntualmente inizio a Parigi il 21 maggio e si conclusero il 28 con la sottoscrizione di un accordo detto poi «Protocollo di Parigi». In realtà i protocolli furono tre che riguardavano ognuno tre accordi specifici. Il primo accordo riguarda la Siria e l'Irak nel quadro di un sostegno logistico (aerei tedeschi in volo verso Baghdad) e di rifornimenti di materiale bellico al governo di Rashid Ali al-Ghailani sostenuto dall'Asse contro la Gran Bretagna. In cambio di tali facilitazioni il Comando germanico autorizzava, in deroga alle disposizioni armistiziali, il trasferimento di gruppi armati, aerei e blindati, dall'Africa del nord e dal territorio metropolitano francese verso la Siria da organizzare quale base di una resistenza ad ogni coinvolgimento nel conflitto e quindi ad ogni intimidazione armata britannica volta all'occupazione della stessa. Questo primo gruppo di concessioni ebbe per oggetto la autorizzazione ad un maggior potenziamento militare della Siria, su cui si veniva addensando una situazione sempre piu minacciosa: a) con lo sblocco di 1/4 della consistenza totale dei depositi di materiale bellico francese in Siria e con eventuali ulteriori sblocchi, dopo intese con i Capi delle delegazioni italiana e tedesca in Siria, qualora la situazione li avesse resi necessari; b) con l'avviamento dalla Francia o dal Nord Africa di materiale di artiglieria, di apparecchi e di materiale aeronautico, di carburanti e di lubrificanti.
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Si stabiliva che il percorso del materiale che sarebbe stato spedito dalla Francia sarebbe avvenuto fino allo Stretto di Corinto sotto protezione italiana, da Corinto a Castelrosso sotto protezione dell'Ammiragliato tedesco di Atene e da Castelrosso in poi sotto protezione delle forze navali francesi della Siria. Il secondo accordo aveva come regione geografica di applicazione il Nord Africa francese ed implicava due concetti: da una parte la possibilità per le truppe «tedesche» nell'Africa del nord di rifornirsi di beni esistenti nel Nord Africa francese e di servirsi anche delle attrezzature portuali di Biserta nell'ambito della necessità tedesca di rifornire di materiali il proprio corpo di spedizione in Libia. Dall'altra parte il governo di Vichy si liberava da certe disposizioni militari della convenzione di armistizio e provvedeva sia ai necessari ricambi di personale militare sia all'allestimento di unità al di là del blocco imposto a questo riguardo dall'armistizio. Per il Nord Africa si concedevano analoghi sblocchi, dai depositi di Francia e del Nord Africa, di materiali di artiglieria e di mitragliatrici con adeguate munizioni e il mantenimento di gruppi di artiglieria che secondo le disposizioni armistiziali, avrebbero dovuto essere sciolti, l'avviamento di ufficiali e di 800 uomini fra sottufficiali e truppa per l'esercito, di 50 ufficiali, 1600 sottufficiali e 300 uomini di truppa per l'aeronautica e maggior libertà di azione alla flotta dietro semplice avviso agli organi di controllo, con libertà di movimento per le esercitazioni entro determinate zone. Venivano inoltre prese in considerazione e in esame altre richieste francesi relative al mantenimento della polizia indigena nel Nord Africa, alla liberazione di ufficiali e di soldati prelevati dai campi di prigionieri da immettere neU 'esercito di transizione del Nord Africa. Veniva inoltre deciso lo sblocco di carri armati, l'avviamento di altri contingenti di truppe e materiali dalla Francia nel Nord Africa, il riarmo di batterie della costa africana e la costituzione di squadriglie da caccia e da bombardamento per l'Africa Settentrionale Francese e la Siria. Il terzo protocollo riguardava l'Africa occidentale e l'Africa equatoriale; esso provvedeva principalmente alla utilizzazione delle attrezzature portuali di Dakar per le forze navali germaniche specialmente sottomarine. In cambio di questo uso il governo di Berlino acconsentiva a sostanziali ricostituzioni di unità militari francesi delle tre armi stanziate nelle due grandi regioni dell' AOF e dell' AEF poiché «al governo francese sarebbe spettata la difesa sia delle attrezzature cedute in uso ai tedeschi sia dell'intero territorio dei possedimenti francesi nell'Africa occidentale, "resistendo" ad ogni aggressione e passando eventualmente
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ad una .azione offensiva contro le basi nemiche dalle quali sono partiti gli attacchi surricordati» (art. 1). A questi tre protocolli si aggiunse anche un protocollo complementare che ribadiva l'uso militare di sostegno generale dello sforzo delle forze armate germaniche in riferimento specialmente al porto di Biserta e ricollocava tali concessioni sulla base di due condizioni preliminari a favore del governo di Vichy e cioè: « 1° le gouvernement allemand accordera préalablement les renforts nécessaires en vue d 'augmenter l 'état défensif de l 'Afrique occidentale française; 2° le gouvernement allemand fournira au gouvernement français, par la voie de concession politiques et éconorniques, les moyens de justifier devant l'opinion publique de son pays l'éventualité d'un conflit armé avec l'Angleterre et les Etats-Unis». Ora va notato che sia lo spirito sia la lettera dei protocolli di Parigi dimostravano almeno due cose; dapprima che nel quadro generale della politica estera verso l'Asse, il governo Pétain privilegiava il governo di Berlino non mancando occasioni di sottolineare che la Francia si considerava de facto vinta dalla sola Germania, e in secondo luogo di volere emanciparsi totalmente da ruolo subordinato che le convenzioni armistiziali le assegnavano e di voler riprendere un protagonismo «libero» che del regime precedente facesse del tutto astrazione (19). Frutto certo di disinvoltura, che I' arnm. Darlan espose nel consiglio dei ministri del 6 giugno come principio del niente per niente («donnant donnant»), ma anche frutto di una vera «politica estera» indipendente che il governo di Vichy doveva precisare assai meglio nelle sue conseguenze al termine dello stesso consiglio dei ministri (che doveva portare ad una serie di scambi di note e specialmente a quelle del 14 luglio 1941 alla Commissione tedesca di armistizio a proposito degli accordi di Parigi e alle questioni politiche), si trattava di almeno nove punti di enorme importanza: 1) restaurazione della sovranità francese su tutto il territorio metropolitano, compresi i distretti del Nord e del Passo di Calais e la zona italiana, per cui la linea di demarcazione doveva costituire solo il limite dell'occupazione militare; 2) uno statuto speciale per l'Alsazia-Lorena in attesa del trattato di pace; 3) abolizione totale delle spese di occupazione e delle requisizioni; 4) soppressione della organizzazione «Ostland», con restituzione delle terre ai proprietari e ritorno ai loro focolari dei francesi non ebrei;
(19) R. H. RAINERo, Gli accordi di Torino tra la CIAF e il governo di Pétain sulla Tunisia, in Italia e Francia 1939-1945 a cura di J. B. O UROSELLE, E. SERRA, Milano, Ispi, 1984, p. 231.
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5) graduale liberazione di tutti i prigionieri, lasciando in Germania come liberi lavoratori quelle necessari all'economia tedesca; 6) pubblica assicurazione che i governi dell'Asse non avevano mire sull'Africa settentrionale e occidentale francese e sulla Siria; 7) soppressione o notevole riduzione delle commissioni armistiziali di controllo nell'Africa francese; 8) ripresa delle fabbricazioni di guerra di qualsiasi specie e aiuto tedesco nella fornitura delle materie prime; 9) riarmo antiaereo per garantire la necessaria sicurezza della Francia. Dopo la firma dei protocolli di maggio pareva essersi aperta una nuova era nella storia dei rapporti franco-tedeschi, con ipotesi di superamento politico del regime armistiziale; la nota del 14 luglio diede a questa speranza una conclusione negativa poiché non era pensabile che le autorità di Berlino avrebbero potuto accogliere un totale ed immediato superamento della condizione di Stato sconfitto che era quello della Francia. Rimane quindi sostenibile la tesi che questa nota, che forse non a caso recava proprio una data di alto significato per la Francia, quella del 14 luglio, avesse in realtà tutt'altro scopo di quello dichiarato e cioè non quello di inaugurare una nuova politica di piena collaborazione con la Germania ma quello di bloccare ogni effetto dei protocolli aumentando a dismisura le «richieste» alla Germania al punto di metterla nell'impossibilità di accoglierle e quindi nella necessità di congelare ogni realizzazione pratica degli accordi di Parigi che forse a Vichy erano stati conclusi solo a scopo temporeggiatore. Il curioso è che puntualmente tale calcolo fu coronato di successo: la Germania si mostrò sorpresa ed irritata per le richieste francesi che sconvolgevano non poco i piani della «politica francese» di Otto Abetz e rimandò sine die il problema politico generale appena accennato dalla nota francese. La risposta negativa tedesca espressa da Abetz non fu totalmente di chiusura ma in sostanza per il momento non riteneva che «conversazioni del genere potessero condurre a risultati positivi» e ciò poteva solo significare che l'atteggiamento francese era stato visto a Berlino come prova di volere tutto senza cedere niente e ciò riproponeva il problema della situazione generale delle autorità di Vichy e della sincerità di quelle autorità che Abetz accusava di essere «centri di congiura gollista» e di ostilità al Reich. I colloqui di Parigi si rivelavano come quelli di Montoire un 'illusione: la Francia rimaneva tenacemente ancorata ad un sistema di tornaconto che salvo rari casi non dava granché all'Asse pur chiedendo sostanziosi compensi anticipati. Ma prima ancora che dei protocolli di
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Parigi si parlasse le due commissioni di armistizio, la CTA e la CIAF concordarono un'armonizzazione tra i loro punti di vista sulla Francia con gli incontri di Merano del 13-15 maggio completati da quelli di Wiesbaden del 28 e 29 maggio a livello dei presidenti e degli uffici di presidenza. In questi ultimi incontri il consenso italiano alle concessioni chieste dal Governo francese, per le quali d'altronde, esisteva già la pregiudiziale di un consenso di massima da parte tedesca, fu subordinato alle seguenti condizioni: a) che l'Italia fosse tenuta sullo stesso piano della Germania in tutte le contropartite chieste alla Francia; b) che fosse concesso all'Italia di avviare rifornimenti in Libia attraverso i porti dell'Africa francese settentrionale e la Tunisia; c) che per tali trasporti verso la Tunisia fosse ammesso un concorso di naviglio francese. Fu inoltre dato rilievo da parte italiana alla necessità che la Francia aderisse «con piu intima lealtà» agli obblighi assunti nella convenzione di armistizio, inspirandosi a quella comprensione che avrebbe influito anche in senso reciproco da parte della Commissione italiana sulla valutazione delle necessità francesi. La questione della partecipazione dell'Italia agli accordi di Parigi pose problemi che la diplomazia tedesca non potè evitare. Fin dal febbraio sappiamo che von Ribbentrop aveva avuto da Otto Abetz la conferma che ogni eventuale cessione di basi africane alla Germania poteva essere esaminata da Vichy, ma che il governo francese insisteva nel1'escludere da questo uso gli italiani. A questo punto la decisione tedesca fu di non informare gli italiani, la CIAF e il Comando supremo dei particolari degli accordi in discussione. Lo stesso avviene nel corso dei colloqui tra Hitler e Darlan: se la Francia era stata battuta dalla Germania non lo era stata certamente dall'Italia, e quindi ogni negoziato con Torino o Roma era escluso c20). A Wiesbaden, nell'incontro con i delegati della CIAF si era rilevato da parte tedesca che era stata richiesta alla Francia la disponibilità del porto di Tunisi e di altri porti della Tunisia e di naviglio francese per i rifornimenti del corpo tedesco in Libia, ma che la Francia aveva condizionato ogni accordo all'esclusione dell'Italia; pertanto sarebbe stato opportuno, secondo le autorità germaniche, evitare ogni organizzazione italiana nei porti tunisini per lo sbarco e il trasporto di materiali. La diretta ingerenza italiana con la relativa parvenza di preponderanza in una
(20) Le prove di questa posizione francese e dell'accordo tedesco al riguardo sono molte; tra esse Documenrs on German Foreign Policy, cit. tomo Xll, pp. 77, 755-775, 799-803.
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zona particolarmente sensibile nelle relazioni tra Italia e Francia avrebbe solo nuociuto alla buona riuscita dell'operazione, agitando e motivando le suscettibilità francesi. L'accordo in discussione parlava di «rifornimenti al corpo tedesco in Libia» ma a questo riguardo veniva presto chiarito da parte tedesca che l'affidamento ad organizzazione tedesca dei trasporti della Tunisia alla Libia avrebbe ovviamente coperto anche le necessità delle truppe italiane. L'insieme di queste prese di posizione da parte della Francia fece replicare alla CIAF che preoccupazioni di questo genere potevano radicarsi solo nella persistenza di quella incomprensione e di quella ostilità da parte francese che finora avevano prevalso nell'attuazione dei rapporti creati dall'armistizio fra l'Italia e la Francia. Comunque la posizione italiana non si mostrò ultimativa ma suggeri che tuttavia, nel caso di una organizzazione italiana di tali trasporti dalle basi della Tunisia, si sarebbero adottati tutti quei temperamenti di forma ed anche mascheramenti (sia nei riguardi del personale come del materiale) che sarebbero stati suggeriti dall 'opportunità di non offendere il prestigio francese e di non alterare «la sovranità di fatto francese ancora perdurante in pendenza dell'armistizio». La posizione dell'Italia apparve quindi piu che remissiva di fronte alle esigenze belliche della lotta in Libia, che richiedevano continui rifornimenti che si rivelavano non facili a causa dell'accresciuta efficacia dell'azione di blocco svolta dalla Marina britannica nel tratto Sicilia-Tripoli e che forse nell'uso di Biserta avrebbe potuto trovare un 'utile alternativa.
4.
L'occupazione britannica della Siria
Nella storia del conflitto anglo-franco-gollista che si concluse con la totale occupazione da parte degli anglo-gollisti del Levante francese dopo una dura guerra, questa viene quasi sempre collegata dagli storici agli sviluppi di un'altra crisi del mondo arabo, quella connessa alla cosiddetta «rivolta» dell'Irak contro la Gran Bretagna sotto la guida del premier Rashid Ali al-Ghailani; in realtà le due vicende hanno pochi elementi in comune all'infuori del fatto che la prima servf da pretesto agli anglo-gollisti per iniziare le operazioni militari contro la Siria. Il divario cronologico porta peraltro a considerazioni critiche a proposito di questa consequenzialità: le operazioni britanniche nell 'Irak contro le forze armate della «rivolta» di Rashid Ali al Ghailani accusato (forse non a torto) di essere solo una pedina nel gioco arabo di Berlino che si iniziarono il 16 aprile 1941 con le operazioni di rastrellamento e si possono ritenere del tutto concluse il 30 maggio 1941 con la liquidazione e la resa delle ultime resistenze nazionaliste e la fuga in Iran del premier deposto ed in Germania, attraverso la Turchia, di molti esponenti irakeni compromessi con la rivolta stessa. Solo dopo la fine delle operazioni nell'lrak ebbe inizio, 1'8 giugno, l'attacco contro la Siria, prendendo a pretesto lo scalo in Siria di aerei dell'Asse destinati aU 'Irak e l'acquisto in tale regione di armi, munizioni, aeroplani sotto controllo armistiziale ed il loro successivo trasporto nell'Irak. In questa questione del rifornimento della rivolta irachena la CIAF sarà direttamente coinvolta a partire dalla sua delegazione di Beirut, che vede proprio in occasione delle operazioni militari nell 'Irak comparire tra il personale tedesco di collegamento una serie di <<consiglieri» di notevole importanza nel quadro della politica araba di Berlino sotto la guida del Consigliere di Legazione Rudolph Rahn assistito dal suo segretario e vice Eitel Friedrich Muelhausen, i quali coordinano l'assistenza promessa da Hitler all' Irak.
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Questa peraltro rimarrà vittima dei ritardi che le autorità di Vichy pongono alla concessione dell'utilizzazione degli aeroporti siriani da parte dell'Asse, facendone argomento di negoziati che si prolungano a causa del desiderio francese di ottenere in cambio vantaggi e facilitazioni. A molti l'accordo che si concluse sembrò quasi immorale: «Alcuni paesi neutrali, che al nostro posto farebbero come noi ci criticano - ricorda Fabre-Luce nelle sue memorie-. In Francia, i malcontenti chiedono quale mancia ci è stata data. E quando il governo annuncia: una modifica della linea di demarcazione, la liberazione di prigionieri padri di famiglie numerose ed ex combattenti, ghignano ... » (21>. La questione irakena non potrà subire, malgrado una certa volontà politica di aiuto espressa da Roma e da Berlino, sostanziali modifiche da questi aiuti dell'Asse che complessivamente si salda con l'avviamento, tardivo, di 120 aerei di materiale bellico che non sarà per niente decisivo nella vicenda. Chiusa la crisi dell'Irak, la pressione nella Siria ancora ligia alle autorità di Vichy si accrebbe, volendo evidentemente le autorità militari britanniche del Medio Oriente approfittare dell'ora per liquidare una sacca che poteva rappresentare sempre una minaccia per il proprio schieramento strategico in Palestina come in Egitto. L'utilizzazione della dissidenza gollista, attraverso il ben noto Proclama del gen. Catroux del 14 maggio doveva costituire negli intenti del Comando supremo britannico l'elemento determinante per fare della campagna di Siria che già si annunciava un'occasione per liquidare, a poco prezzo, una presenza italo-tedesca e delle autorità di Vichy che sul piano della propaganda poteva costituire una spina nel fianco dello schieramento britannico in vista delle campagne nordafricane. Catroux nel suo proclama non aveva nascosto l'incitamento alla rivolta fatto ai francesi di Siria contro la presenza del nemico tedesco ed italiano affermando: «Avec le consentement de vos Chefs, ces agents sont d'abord venus, maintenant ce sont ses avions. Interrogez votre ciel, regardez vos aérodromes. Depuis quatre jours les appareils de guerre ennemis dissi- · mulés parfois sous nos propres couleurs attérrisent et s 'envolent. On les voit à Beyrouth, à Rayak, à Alep, à Damas. Le terrain de Messè en a reçu dix-sept en une seule matinée. Ou vont ces appareils? Les uns partent en Irak au secour aux adversaires des armées britanniques. Les autres prennent le controle de votre sol. La classique infiltration germanique, prélude de l'occupation totale, s'étend sur la Syrie ... Ceci a un
(21) A. FABRE-LUCE, Journal de France 1939-1944, in ediz. ital. Un francese risponde (Gioranale di Francia) 1939-1944, Milano, Longanesi, 1948, p. 263.
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nom! ceci s'appelle assistance à l'ennemi; ceci s'appelle trahison! Assistance et trahison prémédìtées qui vous aviliraient et vous déshonoreraient si vous n 'y faisez pas obstacle. Soldats! je vous connais, je connais votre clairvoyant patriotisme. Vous ne vous associerez pas à cette politique de fourberie et d'opprobre qui ferait sombrer devant l'Orient et devant le monde l'honneur et la réputation de la France. Vous prendrez vos armes pour vous y opposer. Vous chasserez l'ennemi!. .. ». Di fronte a questa situazione il capo della delegazione italiana in Siria gen. De Giorgis trasmise a Torino varie analisi della crisi imminente sottolineando che anche con le concessioni di armi e di armati, in deroga agli accordi di armistizio, le possibilità reali di resistenza in caso di attacco britannico erano minime, anche perché fragili apparivano molte strutture ed autorità francesi quanto alla loro fedeltà al governo di Vichy. Mentre si concludevano gli ultimi scontri nell'Irak la tensione lungi dal diminuire crebbe alla frontiera siriana, con un forte impegno gollista che portò il 21 maggio alla defezione clamorosa di un gruppo di 29 ufficiali francesi sotto il comando del ten. col. Collet che pareva segnare l'inizio di una defezione in massa del cosiddetto Esercito del Levante verso il movimento gollista. Tale defezione, anche se non fu seguita da altre, assumeva una particolare gravità in quel momento perché i comandi inglese e gollista riportavano l'impressione che l'impresa progettata - ma forse non ancora decisa - fosse oltremodo facile e non richiedesse l'impiego di molte forze, data la presumibile defezione di altri contingenti francesi e la scarsa resistenza che in ogni caso avrebbe opposto l'esercito francese del Levante. Confermavano questa impressione una certa lentezza dei comandi francesi ad assumere provvedimenti contro coloro che non nascondevano i loro propositi oltranzisti ed i continui ostacoli che venivano opposti ad ogni richiesta delle autorità delle Delegazioni di armistizio. Il disappunto francese per l'arrivo e l'attività della Delegazione italiana, che forse era dovuto all'impegno preso subito dopo l'armistizio con l'Italia dal gen. Mittelhauser, comandante supremo francese del Levante secondo il quale non avrebbe mai tollerato una Commissione di armistizio nel Levante, crebbe allorquando ci si rese conto con l'allontanamento di Puaux che non si trattava di una presenza puramente simbolica. Smobilitazione, controllo dei depositi e rimpatri furono all'inizio in piena armonia ai precedenti propositi sanciti a Vtlla Incisa. Ben presto però la situazione si rovesciò e l'obiettivo della Delegazione fu di rafforzare le difese e la consistenza delle forze armate francesi, rifornendole di armi e di mezzi aerei e navali in deroga palese con ogni criterio precedente. E tale nuova politica, sostanzialmente pa-
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radossale, fu applicata in modo accentuato alcune settimane prima del1'azione inglese. Con acutezza il gen. Pintor notava questo mutamento totale di indirizzo nella politica della CIAF osservando nel colloquio del I O dicembre con l'amm. Duplat quanto «fosse curioso che ora toccava alla nostra Commissione di controllo in Siria ad augurarsi che non si disarmi» le truppe del Levante (22). E Duplat sottolineò quanto paradossale fosse il cambiamento di proposito che dava ragione alle tesi francesi e che poteva essere un precedente per cambiare altre posizioni secondo le linee delle autorità francesi. Iniziata l'offensiva inglese, la Delegazione sospese di fatto ogni sua attività «armistiziale» e si limitò a svolgere quella di controllo operativo e di informazione a favore delle massime autorità militari dell'Asse. Sul piano numerico della Delegazione fu subito deciso di sfoltire e di rimpatriare tutti coloro che non avevano compiti specifici da svolgere e si restò in attesa dell'esito scontato del conflitto per decidere la partenza anche delle ultime presenze armistiziali in Siria. Sull'andamento generale della guerra, il rapporto finale del gen. De Giorgis appare formale quanto alla posizione delle forze armate e dei comandi francesi del Levante dichiarando «esplicitamente che la resistenza francese è stata tenace e ad ogni modo superiore alle previsioni. Tutte le unità francesi in generale si sono comportate bene. Particolarmente segnalo la legione straniera, che peraltro dava l'impressione di essere stata piu di ogni altra unità inquinata dalla propaganda degollista». Tale resistenza francese è comprovata (oltre che dalle informazioni di fonte francese): - dalle informazioni degli ufficiali della Delegazione che hanno assistito alle azioni; - dal numero dei morti e dei feriti francesi (abbastanza ingente in relazione alle forze impiegate); - dal numero dei prigionieri inglesi catturati; - dalle difficoltà e dalla lentezza dell'azione offensiva inglese. « .. .Ad attacco avvenuto poi tutti i francesi apparvero solidali nel risentimento contro gli inglesi ed il degollismo spari completamente dalle file dei reparti ... Non si produsse peraltro un collasso improvviso od una disorganizzazione completa di fronte alla costante pressione inglese; si verificò invece il fenomeno dell'esaurimento graduale, tanto
(22) Compie - rendu sommaire de l'entrevue de l'Amiral Duplat et du gén. Pintor, I O dicembre 1940, cit., p. 2.
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che posso asserire che la cessazione delle ostilità corrispose alla fine delle possibilità reattive francesi. .. » (23). Se queste sono le Considerazioni del gen. De Giorgis sull 'andamento generale del conflitto a partire dalle autorità francesi del Levante, ben altro discorso tenne lo stesso a proposito della posizione del governo di Vichy nei riguardi del conflitto. Lo accusò di non aver in sostanza avuto reazioni all'altezza della minaccia britannica e, fin dall'inizio del conflitto, di non aver saputo gettare sulla bilancia il peso enorme rappresentato dalla possibilità per le autorità di Vichy di ordinare alla Flotta francese di intervenire in caso di attacco alla Siria, magari a fianco dell'Asse. Tale eventualità non fu evocata a Vichy ed, ad attacco avvenuto, il governo francese limitò la sua reazione a proteste verbali e ad affermazioni del proprio desiderio di seguire «una linea di condotta energica ma puramente difensiva» evitando «qualsiasi misura che potesse acutizzare o allargare il conflitto». Anche per quanto riguardò l'avviamento di rinforzi della Francia si può dire, con il De Giorgis, che esso fu «fiacco e tardivo». Insonuna l'energia, che in Siria venne opposta alle azioni inglesi e golliste, non fu quella che tra mille sotterfugi si manifestò a Vichy, dove diplomazia, equivoco ed incertezza prevalsero. L'esito del conflitto fu sanzionato l' 11 luglio dalla comunicazione da parte del gen. Dentz al gen. De Giorgis che rendeva noto di essere stato autorizzato dal proprio governo ad entrare in conversazioni di cessazione delle ostilità con il comando britannico. L'accordo prevedeva la consegna dei membri della Delegazione dell'Asse presenti in Siria alle autorità anglo-golliste, e proprio a questo fine il gen. Dentz pregava il gen. De Giorgis di «lasciare il territorio siriano» allo scopo di non avere a trattare questo problema per mancanza di oggetto con le autorità militari vincenti. Ed in tal senso rispondeva il gen. De Giorgis che nelle prime ore del 12 luglio lasciava, preceduto dall'intera Delegazione e dai membri tedeschi della stessa, il suolo della Siria passando in Turchia e proseguendo quindi per Torino (24). Sull'intera operazione medio-orientale il giudizio non può non essere duro: mancò in quella occasione un piano strategico vero dell 'Asse, ma ciò forse è dovuto alle cattive condizioni nelle quali si trovavano allora le forze armate dell'Asse nella loro lotta libica. Lungi dall'essere sfruttabile sul piano strategico-operativo, dove
(23) Relazione del confliuo franco-inglese in Siria, redatta dal geo. F. DE GIORGJS , Torino, 12 settembre 1941, in USSME-CIAF, Racc. 75, fase. 9; le citazioni sono del cap. V, Considerazioni, pp. 16-17. (24) Lo scambio di note è riportato quale Documento n. 23 nel Tomo secondo della presente
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una manovra a tenaglia poteva essere tentata contro le forze armate inglesi d'Egitto e di Palestina, le non buone condizioni generali dell'avanzata italiana verso Alessandria non resero possibile un simile disegno che avrebbe potuto rappresentare con un collegamento alle forze arabe antinglesi dell'Irak e dell'Iran una vera svolta politica nel Medio Oriente. Ricorda Carlo De Risio che «l'Asse assistette pressoché inerte alla fine del tentativo di Rashid al-Ghailani e in giugno non riuscf a muovere un dito per soccorrere i pétainisti in Siria e in Libano; tutto si limitò al permesso di transito in Italia e nel Dodecanneso per gli aerei inviati al rinforzo nel Levante da Vichy. In agosto, poi, una qualsiasi azione in Iran era semplicemente impossibile» (25). Quanto all'apporto dell'Italia, potenza che si voleva a vocazione mediterranea, esso fu pressoché nullo, e Ciano poteva confidare al suo Diario parole assai amare: «Le notizie dall'Irak sono cattive e quel che è peggio i nostri aeroplani, dopo un mese dall'inizio del conflitto, non sono ancora entrati in azione. Ecco, se ve ne fosse bisogno, una nuova prova della impreparazione della nostra aeronautica» (30 maggio 1941). Forse l'unica azione di successo fu quella che portò alla fuga del Gran Mufti di Gerusalemme, che dall'Iran dove era scappato dopo la caduta del regime irakeno riuscf a sfuggire agli inglesi e ai sovietici dopo l'invasione dell'Iran e a lasciare Teheran per la Turchia. Precisa il De Risio al riguardo: «Il "recupero" del capo religioso e politico musulmano filo-Asse fu possibile grazie a un diplomatico italiano, il console a Instanbul, Alberto Mellini Ponce de Leon, inviato a Teheran per la bisogna, e grazie a un sottufficiale del SIM, il maresciallo dei carabinieri Arnaldo Piccarolo. Il Gran Muftf, che si trovava nella legazione giapponese a Teheran, venne cacciato nella autocolonna dei residenti italiani, che partf alla volta di Instanbul e riuscf a raggiungere l'Italia» (26). La questione siriana si chiudeva quindi con un notevole smacco per le speranze dell'Asse, cosi come si era chiusa con lo stesso risultato la campagna irakena: il Medio Oriente tornava ad essere un lago britannico dove anche i gollisti, obbligati a proclamare la fine del mandato francese erano rimasti vittima delle loro incertezze, non avendo neppure potuto provare all'alleato inglese la loro influenza reale sull'opinione dei militari che si erano battuti assai bene contro gli anglo-gollisti e che avevano trasformato l'episodio Collet in una eccezione che confermava la regola di lealtà verso il regime di Vichy. Quanto alla popolazione lo-
(25) C. DE Rls10, Generali, servizi segreti e fascismo. LA guerra nella guerra: 1940-1943, Milano, Mondatori, 1978, p. 107. (26) C. DE R.ISIO, op. cit, p. 107.
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cale, ormai in balia della propria indipendenza, quasi tutti i giudizi furono feroci: da quello di De Giorgis sino a quelli degli inglesi. Le parole del capo della Delegazione italiana furono molto vivaci e ben si inquadrano nella generale delusione degli ambienti militari dell'Asse per la modestia degli sforzi collettivi degli ambienti arabi (irakeni, siriani e libanesi) per prendere in occasione di eventi drammatici una qualsiasi parte che valesse ad evitare che essi continuassero ad essere in balia, inerti, delle varie diplomazie europee. Scrisse al riguardo il De Giorgis nella Relazione citata: «Al collaudo dell'esperienza del conflitto, la popolazione siriana e libanese ha dimostrato ancora una volta la sua immaturità politica che rasenta la mancanza di dignità. Di ciò occorrerà rammentarsi il giorno - speriamo non lontano - del "redde rationem". La scusante che essi non amano i francesi non può essere accettata allorché il proprio territorio è invaso ed i francesi lo difendono anche al prezzo della loro vita. Siriani e libanesi hanno sempre preteso anche dall'Asse formali promesse di libertà ed indipendenza. Ma per richiedere ciò occorre possedere un atto di nascita pulito, occorre almeno aver preso posizione decisa in difficili situazioni, occorre meritarselo. Ora dopo l'esperienza fatta, nego a tali popolazioni tale diritto e giungo fin' anche a negare che l'odio arabo contro gli inglesi, a causa della politica filoebraica di quest'ultimi, sia veramente generalizzato e profondo. Fenici e mentalità levantina: ecco tutto quello che resta della vieta retorica relativa al vicino Oriente ed al mondo arabo in genere!» (27).
(27) Cap. II, Atteggiamento della popolazione durante il corrflitto, in Relazione, cit., p. 34. Per i suoi sviluppi futuri appaiono interessanti le con&iderazioni cicca l'utilizzazione del movimento arabo medio orientale nella guerra dell'Asse formulata nel documento del 4 giugno 1941 riportato quale Documento n. 27 nel Tomo secondo della presente opera.
5.
Crisi nei rapporti economici
La crisi siriana intervenne in un periodo dominato da crescenti fattori di incertezze che i Protocolli di Parigi non avevano peraltro contribuito a liquidare; se la cooperazione politica segnava il passo per la costante opposizione all'Italia della Francia di Vichy, quella economica non era in situazioni migliori. Anche qui le grandi speranze dell'indomani della «vittoria» italiana che sul piano economico si erano tradotte negli accordi del 23 agosto 1940 non avevano portato a quella crescita degli scambi che ne era stata la premessa e la sostanza. Invano il presidente della Delegazione italiana a Roma Giannini esaltava ai delegati francesi la differenza della posizione italiana: l'Italia voleva veri scambi economici, mentre la Germania prelevava questi beni in cambio di carta moneta. Il problema non risiedeva per gli scambi italo-francesi né nelle quote, né nella qualità delle merci offerte allo scambio, quanto piuttosto nel ritmo esasperantemente lento che presiedeva a questi scambi. La Francia secondo gli accordi dell'agosto '40 doveva fornire all'Italia entro il 31 dicembre 1940 un ammontare di 121.632.000 lire per i prodotti industriali e materie prime (fosfati, alluminio, minerali di ferro, carbone, ferraglia, bromo). L'Italia entro la stessa data si era impegnata a consegnare alla Francia per una somma equivalente prodotti agricoli (riso, conserve di pomodoro, salumi, castagne, limoni, fichi secchi) e 5 mila tonn. di minerali di zinco. Al termine della scadenza del 1° gennaio 1941 il bilancio di questi scambi era invero estremamente deludente: la Francia aveva consegnato beni per l'ammontare complessivo di 49.668.000 lire, e di fronte ai ritardi francesi gli italiani non si erano mostrati da meno: solo consegne per un ammontare di 30.452.586 lire. Le recriminazioni davanti una simile crisi degli scambi non erano mancate; per reazione la delegazione italiana si rifiutò di fissare i contingenti di scambi per il primo semestre '41 sia nella riunione di metà dicembre sia in quella di metà gennaio. Le
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accuse italiane vertevano soprattutto sulla mancanza di buona volontà a favorire gli scambi che le autorità francesi non mancavano di manifestare al riguardo; si erano, a tale proposito anche avute manifestazioni evidenti, per esempio il fatto che solo una minima parte (27,5%) del saldo delle merci italiane consegnate alla Francia nel periodo aveva ricevuto entro l'anno il saldo pattuito. Altra versione ne diedero i delegati francesi, che fecero risalire la colpa di una simile situazione di crisi a problemi di trasporti per lo piu ferroviari, bloccati dalla carenza di carri da adibire al traffico con l'Italia. Proprio per rimediare a questa situazione ferroviaria si tenne dal 13 al 17 gennaio 1941 una conferenza tra le autorità delle Ferrovie dello Stato e quelle della SNCF per sistemare meglio il transito dei convogli attraverso i valichi di Modane, Breil e Mentone. Non passava giorno intanto che le discussioni economiche e la realtà degli scambi presentassero nuovi aspetti di una crisi che invano qualcuno cercava di avviare a soluzione. L'Italia all'inizio dell'anno protestava contro la modestia delle offerte francesi di carburante per l'aviazione che la Francia si dichiarava disposta a cedere all'Italia; Roma criticava la quantità offerta (4 mila tonn.) ed i prezzo troppo elevato (185 lire la tonn.). Analoghi contrasti si ebbero a proposito del ferro-manganese, del ferro-vanadio, dei trattori agricoli e dei camion del Nord Africa che l'Italia richiedeva e che la Francia non voleva vendere. Anche il semplice transito diventava un problema: l'Italia rifiuta il transito dalla Francia verso i paesi balcanici e la Francia di rimando bloccava il traffico dall'Italia verso la Spagna. Anche i prezzi delle merci scambiate diventarono argomento di tensione: l 'Italia aumentava quello dei propri prodotti agricoli e la Francia rialzava il prezzo dei fosfati, che era uno dei maggiori prodotti venduti ali 'Italia. Il giudizio generale da parte francese venne collegato al desiderio italiano di utilizzare al massimo le potenzialità economiche francesi per rimediare alle proprie deficienze sia sul piano momentaneo sia su quello piu generale della prosecuzione della guerra. L'amm. Duplat non aveva dubbi al riguardo allorché sottolineava alla fine del dicembre '40: «C'est ainsi que tout un faisceau de fait et d'indices doit nous préparer à voir s 'ouvrir un ère de nouveaux marchandages, peut-etre inattendus dans leur forme, mais bien explicables si l 'on admet que le 1O juin, l'ltalie n'était pas équipée matériellement pour une guerre de quelque durée, situation aggravée par un blocus efficace de la Méditerranée. Et c'est sans doute sous cet angle qu'il convient d'examiner la demande de la Marine italienne visant I' àchat de chalutiers français moyennant
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compensations dans le domaine militaire de la Convention d 'Armistice, la cession par la France de carburants contre des autorisations de transport de mazout, la mise à la disposition des Chemins de fer Italiens de 250 wagons destinés aux échanges franco-italiens, exigée à Rome sous peine d 'arrèter les exportations vers la France, et enfin l'apre exploitation par la CIA, de l'art. XVII relatif à la relaxe des marchandises saisies par le blocus franco-britannique. Si l'on ajoute à cela les tentatives faites pour amorcer des négociations pour la cession de moteurs d'aviation américains, et pour la récupération - en transit par la France - de pièces de rechanges d'aviation datant de la guerre d'Espagne on ne peut se garder d'une impression de paupérisme qui cadre assez mal avec les ambitions grandioses du régime». Ed a concludere: «Il nous faudra tenir compte de cette évolution dans les discussions à venir» c2si. Quasi al momento della rottura il dialogo economico cosi compromesso riprese con questo accordo; come scrive Guillen, «le gouvemement de Vichy, pour débloquer la situation, finit par jeter du lest» (29). E questa zavorra che il governo francese decise di gettare fu la conclusione di un accordo petrolifero il 2 febbraio 1941: all'Italia andavano 15 mila tono. di benzina avio, 10 mila tono. di benzina per auto, 11 mila tonn. di benzina avio non del tutto raffinata, 10.000 contenitori da 200 litri, 5.000 da 50 litri, 100 vagoni cisterna in provenienza dalla Francia, 5 mila tono. di benzina avio e 5 mila tono. di gasolio in provenienza dall'Algeria e dalla Tunisia. Questo accordo interveniva in un momento molto opportuno sia perché dava una certa soluzione a talune necessità del! 'Italia, sia soprattutto perché sul piano dello sforzo di guerra in Libia queste forniture in provenienza dal Nord Africa francese compensavano in parte le perdite che i trasporti attraverso il Mediterraneo continuavano a subire per effetto della guerra ai convogli che la Marina britannica stava conducendo con crescente efficacia nel tratto SiciliaTripoli. All'accordo petrolifero seguf una schiarita che permise la ripresa dei negoziati economici dal 19 febbraio al 6 marzo; finalmente il programma di scambi nei due sensi veniva elaborato sulla base delle situazioni rispettive.
(28) Conclusions del rapporto dell'amm. Duplat a Vichy del 19 dicembre 1940, p. 24 in DFCIA-SHAT, I/P/80. Nelle Conclusions del 17 gennaio 1941 lo stesso Duplat non esita ad affermare: «Au point de vue économique, les besoins de la Péninsule se font de plus en plus pressants, et ceci explique l'iìpreté accrue avec laquelle !es Italiens cherchent à valoriser les droirs qu'ils tiennent de l'Armisùce pour obtenir des contreparùes de nature à alimenter, surtout dans le domaine industrie!, leur economie défaillante» (p. 21). (29) P. GUIU,EN, op. cii., p. 145.
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Per il periodo 1° marzo-31 agosto 1941 l'ammontare degli scambi per ogni paese avrebbe dovuto raggiungere la quota di 260 milioni di lire. Anche in questa occasione però le attese italiane furono deluse; tutt'una serie di materie essenziali ali 'industria bellica italiana non veniva venduta dalla Francia (ghisa, nickel, mica, biossido di manganese, ecc.) sotto il pretesto che scarseggiavano pure per la Francia o che già il poco disponibile era stato accaparrato dalla Germania. Le previsioni privilegiavano i fosfati (450 mila tonn.) il minerale di ferro e l'olio d'oliva dell'Africa del Nord; la contropartita italiana riguardava i soliti prodotti: frutta e legumi, salumi, riso e formaggi. Come si può vedere vi era anche una differenza sostanziale: mentre i prodotti italiani non avevano un problema di trasporto particolare, quelle francesi che si trovavano nel Nord Africa producevano per conseguenza un problema connesso al loro trasporto in Italia dove dovevano essere utilizzati. La delegazione francese fu al riguardo netta: i trasporti non possono essere coperti da naviglio francese che vada ad attraccare a Genova, né possono essere ceduti sotto qualsiasi titolo navi francesi per tale impiego. La questione del trasferimento di questi beni dal Nord Africa ripropose con urgenza la questione della navigazione francese nelle acque territoriali nord africane da parte di navi italiane. Le due questioni daranno successivi sviluppi di crisi nei rapporti italo-francesi; per ora ci interessa ricordare che negoziati specifici presero avvio nel gennaio 1941 per la ripresa del traffico francese nel Mediterraneo: l'Italia pose come condizione la cessione di 10 rimorchiatori d'alto mare e l'impegno francese di costruzione di vedette rapide e di altro naviglio minore. Ma davanti al rifiuto dell'ammiragliato francese di cedere tali navi le autorità italiane si dovettero accontentare di firmare il 5 marzo 1941 un accordo che prevedeva la costruzione da parte della Francia per l'Italia di 4 rimorchiatori, di 4 chalutiers e di 4 velieri da trasporto a motore, ed in attesa di queste due consegne 2 rimorchiatori erano dati in nolo all'Italia. Grazie a questo accordo completato nei dettagli tecnici da un altro accordo del 5 aprile la Francia potè ottenere dall'Italia laripresa, a partire dall'aprile 1941, del traffico marittimo con i porti neutrali del Mediterraneo. Intanto il problema generale dei rapporti italo-francesi andava complicandosi per i continui ritardi nella realizzazione delle quote che erano state fissate dalle due parti: le quote non vennero raggiunte neppure per il primo periodo del 1941 e gli accordi per il secondo periodo (fino a dicembre 1941) non si realizzarono secondo le speranze italiane. La Francia nel corso del negoziato del 19-23 agosto presentò solo proposte
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di scambi per 80 milioni di lire; era molto poco, ma la delegazione italiana non intendeva rompere in quanto le necessità belliche nella Libia imponevano di rifornirsi in una qualche maniera sui mercati dell'Africa francese del Nord. Ci si accordò sulla consegna di 180 mila quintali di grano italiano alla Francia in cambio dello stesso quantitativo di grano tunisino alla Libia. L'idea italiana di rifornire attraverso questo commercio triangolare le proprie truppe in Libia era geniale poiché evitava la trappola del convoglio nel Mediterraneo, ma le speranze di vedere accolte richieste italiane di olio di oliva, di orzo e di autocarri diminuirono allorquando lo spirito dei Protocolli di Parigi venne meno con il congelamento del 14 luglio e le sue sequele. Rimase l'accordo triangolare un precedente di grande interesse, e non appena se ne presentò l 'occasione, la CIAF e il Comando supremo lo evocarono in un quadro di negoziato politico allargato. Collegata in un certo qual modo alle relazioni italo-francesi del periodo appare pure la soluzione, che si potrebbe anche definire la «liquidazione», della questione del rimpatrio e dell'assistenza degli italiani in Francia. Il deferimento che era già stato avocato dall'intera questione della CIAF ad una speciale competenza del Direttore Generale degli italiani all'estero del Ministero degli Affari esteri (27 novembre 1940) aveva portato all'inizio di veri e propri negoziati con la Delegazione francese di Torino, negoziati che si conclusero il 4 febbraio 1941 con la firma di un «processo verbale» con le autorità francesi nel quale erano definite le norme che dovevano presiedere alla soluzione dell'intero contenzioso (30). L'accordo, in 18 articoli, prevedeva il pieno impegno delle autorità italiane a favorire il rimpatrio di coloro che ne avessero espresso il desiderio, sia per le mutate condizioni di lavoro e di vita che la guerra aveva determinato, sia per sottrarsi ad una situazione di disagio che spesso si traduceva in fenomeni di emarginazione che le autorità francesi non reprimevano certo alla luce anche della posizione dell'Italia. A questo riguardo non si può non osservare che in molta parte questa azione rivelò il fondo di un problema che andava vieppiu allargandosi e che consisteva principalmente nella rivalità che il Ministero degli Esteri nutriva nei riguardi delle attività diplomatiche della CIAF, attività che parevano a Palazzo Chigi una vera duplicazione di quella diplomatica e consolare svolta dal Ministero degli Esteri e che le particolari condizioni della Francia armistiziale non consentivano agli organi a ciò preposti di svolgere.
(30) Vista la sua importanza se ne riporta il testo quale Documento n. 18 del Tomo secondo della presente opera.
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La Direzione Generale degli italiani ali' estero fu in sostanza la punta avanzata di una rivendicazione globale del ministero degli Esteri che avrà molte occasioni di manifestarsi e che porterà dopo gli incontri decisivi di Torino del Natale 1941 tra i due ministri degli Esteri, Darlan e Ciano, nell'ambito delle attività della CIAF, ma sostanzialmente fuori da essa, ad una ripresa della «via corretta» dei rapporti bilaterali cioè della via dei diplomatici di mestiere e non delle gerarchie militari, e che porterà alla creazione di una ambasciata italiana a Parigi. Ma di questi due eventi, gli incontri di Torino e la creazione di un'ambasciata a Parigi, si parlerà piu avanti. Per ora ciò che ci interessa osservare è come fin dal novembre '40 l'idea di vedere permanentemente affidata ad un organo militare, la CIAF, responsabilità diplomatiche, non sorridesse affatto al ministero degli Esteri di Roma. Passata l'illusione di un armistizio breve, la questione doveva essere posta nuovamente, e l'occasione ne fu quella degli italiani di Francia. Basta, per convincersi del sostanziale rancore verso l'attività della CIAF, leggere la circolare di spiegazione e di interpretazione che subito dopo l'accordo del 4 febbraio la Direzione emanò a proposito dei vari articoli del Processo Verbale. Ribadiva tale Circolare a proposito dell'art. l : «L'art. 1 del Processo Verbale riconosce che, nella zona di qua del Rodano sottoposta alla giurisdizione della Commissione di Armistizio, esistono, quali Membri della Delegazione di Controllo, dei funzionari civili e che ad essi sono demandate tutte le funzioni di rimpatrio e di assistenza dei nostri connazionali. Il riconoscimento da parte francese di tali funzionari - di cui non è cenno nel testo della Convenzione di Armistizio - viene cosi a consacrare ufficialmente gli scopi che si era proposto il R. Ministero degli Affari Esteri destinando, sin dal luglio scorso, dei propri funzionari presso le Delegazioni di Controllo della CIAF e dà a tali funzionari una propria personalità, delimitandone i compiti. Se nei riguardi del Governo francese si è dovuto ammettere che i funzionari di cui si tratta sono incaricati "anche" delle funzioni di rimpatrio e di assistenza, nei riguardi delle Autorità italiane deve essere bene inteso che i funzionari civili sono "solo" incaricati delle funzioni di rimpatrio e di assistenza. A tale scopo essi, pur mantenendo, nei confronti delle Autorità militari italiane, quella necessaria dipendenza formale, dovuta anche a ragioni di cortesia, verso i Capi delle Delegazioni militari cui ufficialmente appartengono, debbono intendersi alle assolute dipendenze reali del Ministero degli Esteri dal quale solamente sono autorizzati a ricevere istruzioni per quanto riguarda il loro compito specifico di funzionari addetti al rimpatrio ed all'assistenza. Si dispone perciò che i detti funzio-
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nari civili non debbano piu riferire sui temi predetti alla Sottocommissione Affari Generali della Commissione di Armistizio, ma direttamente alla Direzione Generale degli Italiani all'Estero. La Commissione di Armistizio ha fino adesso consentito cortesemente a servire da tramite fra i detti funzionari di questo Ministero: una volta delimitati i compiti dei funzionari civili risulta superfluo incomodare la Commissione di Armistizio - che ha compiti di piu alta importanza - per questioni nelle quali la Commissione stessa non avrebbe gli elementi tecnici necessari di giudizio e per cui non potrebbe altro che riferirsi alle decisioni del Ministero degli Esteri. Dovrà essere il Ministero degli Esteri unico competente a giudicare se e in quali casi dovrà essere richiesto l'intervento della Commissione nei riguardi della Delegazione francese. Dato però che, per necessarie ragioni di coordinamento, la Commissione di Armistizio deve anche essere tenuta al corrente di quanto avviene nel territorio di propria giurisdizione nel settore civile, si dispone che i funzionari civili, membri delle Delegazioni di controllo, a parte di contatti personali con i Capi delle singole Delegazioni, redigano quindicinalmente un rapporto sulla loro attività al Capo della Delegazione di Controllo inviandone copia a questo Ministero e alla Sottocommissione Affari Generali della CIAF». Si è tenuto a riportare la parte essenziale delle «interpretazioni» del primo articolo nell'intento di evidenziare al massimo il tipo di linguaggio aspro e netto che veniva tenuto a proposito delle «reali» competenze della CIAF e della natura, appena sopportata, dei suoi compiti in concorrenza con quelli naturali del ministero degli Esteri. A questo proposito una prima osservazione s'impone, e cioè la conferma della soddisfazione che per la prima volta vi era il riconoscimento da parte francese, si badi bene, dell'attività dei funzionari del ministero degli Esteri «distaccati» fin dall'inizio delle attività di Torino presso la CIAF. E questo riconoscimento appariva importante anche perché da parte italiana, fuori dal Ministero, questo riconoscimento di cui si notava con rammarico non esservi cenno nella convenzione armistiziale, non era mai stato espresso da parte della Presidenza della CIAF. Vi è un secondo aspetto da segnalare, e non trascurabile quello delle competenze di questi funzionari, che sarà permanentemente alla base di crisi tra i due organi italiani: prima dell'accordo le funzioni di questi dipendenti del ministero degli Esteri non appaiono chiare: nel Quadro dell'ordinamento della CIAF e della ripartizione del personale in data 5 novembre 1940 essi comparivano con la dicitura generale di «Funzionari addetti a delegazioni varie» ed affidati alle varie delegazioni con criteri geografici.
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I due funzionari di Nizza, Digne, Valence, Gap, Grenoble, Chambéry, Modane ed Annecy vi figuravano come addetti alla Delegazione permanente di controllo per lo scacchiere alpino; quelli di Biserta ed Orano, quali addetti alla Delegazione Navale per l'Africa settentrionale; quelli di Tunisia e del Marocco, quali addetti alla Delegazione Aeronautica per il controllo del Nord Africa; quello di Gibuti era addetto alla Delegazione mista per la smilitarizzazione della Costa francese dei Somali; quelli di Beirut alla Delegazione mista per il controllo della Siria, quelli di Ajaccio e Bastia quali addetti alla Delegazione mista per il controllo della Corsica, altri a Tolone alla Delegazione navale di Tolone, un altro infine alla Delegazione dell'Esercito per il controllo terrestre del Nord Africa (3 l l. Dopo l'accordo questi funzionari, che secondo la Circolare citata avrebbero dovuto costituire un corpo a parte di funzionari incaricati «solo» delle funzioni di rimpatrio e di assistenza, non videro per niente mutate le loro collocazioni spesso abbastanza assurde se non nel sottotitolo della loro rubrica che si arricchi di una parentesi: compiti anche di rimpatrio e di assistenza ai connazionali nei territori francesi sotto controllo italiano. Non si tratta certamente di un bisticcio tra due avverbi «solo» e «anche» ma di una profonda differenza di visione delle attività di questi funzionari che per il Ministero avevano una dipendenza diretta del ministero da cui dovevano unicamente ricevere istruzioni con una «necessaria dipendenza formale dovuta anche a ragioni di cortesia verso i capi delle delegazioni militari cui ufficialmente appartengono» ma niente affatto una dipendenza reale. Per la CIAF invece Je cose erano ben diverse: si trattava di personale alle sole dipendenze della Commissione che avevano tra gli altri compiti che la presidenza affidava loro anche ad occuparsi dei rimpatri ai sensi dell 'accordo del 4 febbraio. Neppure con il tempo il dissidio si sanò: anche nel Quadro del 15 marzo 1941, in quello del 1° luglio 1941 ed in quelli successivi le indicazioni relative ai funzionari del ministero degli Affari esteri addetti ad attività nella Francia non occupata furono indicati tra i funzionari della CIAF i quali avessero anche ad occuparsi del rimpatrio e dell'assistenza agli italiani; solo per quelli stanziati nella Francia occupata a Tolosa, Montpellier, Avignone, Nimes ed Agen la dicitura esclusiva, o quasi, del Ministero degli Affari esteri.
(3 1) CIAF, Quadro dell'ordinamento della Commissione d'Armisrizio e della ripartizione del personale (ufficia/i,funzionari e impiegali civili) alla dora del 5 novembre 1940-XIX Torino, CIAF, ediz. riservata, Rattero, 1940, pp. 46-49.
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Altra osservazione è da fare a proposito dell'art. 3, che precisava che le attribuzioni dei delegati, di cui agli articoli precedenti, non potessero sorpassare «quelle che sono generalmente riconosciute dal diritto internazionale ai consoli>>. È la Circolare a precisare: «Tale articolo significa in realtà che i funzionari addetti al rimpatrio potranno esplicare tutte le facoltà attribuite ai Consoli in tempi normali per l'assistenza sia morale che materiale dei connazionali. Resta inteso, però, che essi non potranno esplicare funzioni notarili o di stato civile e che per tali funzioni dovranno rivolgersi al piu vicino Rappresentante consolare del Brasile a cui, com'è noto, è stata affidata, allo scoppio del conflitto, la tutela degli interessi dei cittadini italiani in Francia». Scissa dall'attività della Croce Rossa francese («Quello che occorre assolutamente non ammettere è che la Croce Rossa Francese si immischi nell'attività dei nostri Comitati» - art. 4), l'attività di questi funzionari si doveva svolgere entro limiti numerici ben definiti poiché le pratiche da svolgere implicavano accertamenti dei vari casi e l'avviamento in Italia di quote di rimpatriati da Bardonecchia e da Mentone con un massimo di 380 persone al giorno secondo la seguente tabella:
Regio Ufficio Nizza
}
Regio Ufficio Cannes
20 persone al giorno (va tenuto presente che questo numero è semplicemente indicativo per questi due uffici).
Regio Ufficio Marsiglia
50 persone al giorno
Regio Ufficio Grenoble
30 persone al giorno
Regio Ufficio Chambéry
30 persone al giorno
Regio Ufficio Lione Regio Ufficio Tolosa
50 persone al giorno 75 persone al giorno
Regio Ufficio Montpellier
30 persone al giorno
Regio Ufficio Avignone
30 persone al giorno
Regio Ufficio Nimes
30 persone al giorno
Regio Ufficio Agen
20 persone al giorno
Regio Ufficio Tolone
15 persone al giorno
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La sorte di questi rimpatriati non era ben definita dall'accordo salvo che per la salvaguardia dei loro beni ed il trasporto in Italia dei loro averi tramite banche autorizzate. L'assistenza peraltro era oculatamente vista quale impegno dai limiti evidenti: da una parte si affermava che «i delegati italiani hanno il dovere e il diritto di assistere materialmente e moralmente i propri connazionali nella maniera che essi crederanno migliore e secondo le direttive impartite dal Ministero degli Esteri da cui dipendono» e dall'altra si ricordava «però, che l'assistenza deve essere mantenuta entro un quadro di ragionevole efficienza, e specialmente senza sprechi»; in ogni caso si precisava: «Se per le condizioni generali attuali della Francia i nostri connazionali hanno bisogno di assistenza materiale molto al di là di quella concessa in tempi normali, non per questo essi debbono credersi in diritto di tutto chiedere». I destinatari di tale assistenza erano ovviamente i piu disagiati e politicamente coloro che non avessero mai sottoscritto una «naturalizzazione» francese: «In linea di principio l'assistenza deve essere riservata solamente a coloro che chieggono di rimpatriare e in attesa che giunga il turno di rimpatrio. Coloro che non sentono il richiamo della Patria e che credono di preferire l'incerta situazione in cui attualmente si trovano in Francia al tetto e al pane che il Governo fascista offre a tutti coloro che desiderano rientrare, debbono essere esclusi dalla assistenza materiale. Ugualmente esclusi debbono essere coloro che hanno assunto volontariamente la cittadinanza francese, salvo casi eccezionali e che provino con documenti di esser stati forzati dalle Autorità francesi a cambiare cittadinanza. Chi ha rinnegato una volta la propria Patria, sarà pronto a rinnegarla una seconda volta anche se fa mostra di temporaneo pentimento». L'andamento del rimpatrio di italiani dalla Francia verso l'Italia era stato fino ad allora tutelato in modo solo generico da parte delle autorità della CIAF; iniziatosi praticamente nell'ottobre 1940, questo movimento assunse presto un ritmo sostenuto aggirandosi all'incirca sulla cifra di tremila rimpatri mensili di media. L'evoluzione di questo movimento si può rilevare dalla seguente tabella:
Valico di frontiera
Bardonecchia Mentone Totale
Connazionali rimpatriati in Totale Ott.
Nov.
Dic.
Genn.
Febb.
Marzo
1.479 793 2.272
3.101 2.029 5.130
3.490 2.152 5.642
2.105 1.096 3.201
l.809 1.354 3.163
1.974 1.206 3.180
13.958 8.630 22.588
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Dopo l'entrata in vigore dell'accordo-processo verbale sulle attività degli agenti diplomatici in favore dei rimpatri le cifre subirono un andamento alterno con una lieve tendenza alla diminuzione. I totali mensili furono i seguenti: aprile 3.623; maggio 3.999; giugno 3.246; luglio 3.683; agosto 2.830; settembre 3.075; ottobre 3.379; novembre 2.699; dicembre: 1.984. In questi primi nove mesi di applicazione dell'accordo ben 28.518 italiani rimpatriarono dalla Francia, ciò che fece salire complessivamente la cifra relativa a questo primo periodo di 15 mesi, dall'ottobre 1940 al gennaio 1942 a 51.106 italiani tornati in Italia, cioè una media d.i 3.407 rimpatri al mese. L'andamento generale dei rimpatri successivi si orientò però rapidamente verso il ribasso di questa cifra mensile; i rimpatri, agli inizi del 1942, non superarono le duemila unità al mese e furono ben al di sotto delle mille negli ultimi mesi da noi considerati. Per questo secondo periodo le medie mensili furono infatti di soli 1.192 italiani al mese tornati in patria. In complesso nel periodo ottobre 1940 - marzo 1943 il totale dei rientri fu di 68.986, ma tale cifra degli assistiti dalla CIAF non rappresenta il totale dei rimpatri poiché in questi dati non furono compresi rimpatri successivi al marzo '43 né rimpatri non avvenuti attraverso il controllo della CIAF e dei suoi organi.
6.
Nuovo ordine mondiale e rivendicazionismo italiano
Le attività della CIAF, essendo dominate da esigenze militari contingenti, non ebbero modo di dare molto spazio a quella che era una questione molto sentita nell'opinione pubblica italiana, e cioè quella delle rivendicazioni territoriali dell'Italia nei confronti della Francia. Abbiamo già ricordato gli obiettivi di questa campagna; resta solo da sottolineare che, in genere, la questione definita spesso di natura prettamente politica generale fu volutamente esclusa dagli orizzonti pratici della CIAF. Cionondimeno la CIAF si occupò su richiesta di autorità politiche italiane della questione, mirando sempre a definire meglio il tipo di rivendicazione da portare avanti al momento della conclusione della pace, la quale avrebbe sanzionato non solo l'Ordine Nuovo ma anche il coronamento delle ambizioni italiane specialmente verso Nizza, la Corsica e la Tunisia. L'iniziativa per uno studio omogeneo sulle rivendicazioni parti fin dall'indomani della firma della convenzione di Villa Incisa dal ministero degli Affari esteri il quale costituf a questo fine una speciale «Commissione Interministeriale di studio per i trattati di pace» incaricata di sollecitare proposte, coordinare rivendicazioni, studiare modalità pratiche e sistemare le non poche questioni di vario ordine da risolvere nell'ambito di una soluzione politica specifica. Tali direttive ebbero un non trascurabile sviluppo di elaborazione che prese all'inizio un ritmo febbrile in quanto si riteneva imminente la fine del conflitto generale ed urgente quindi essere preparati ad affrontare la trattativa di pace con la Francia con un insieme di dati e di elementi rivendicativi che ponesse un po' d'ordine nel grande disordine che si era creato nel mondo italiano anche responsabile a proposito delle «naturali aspirazioni del popolo italiano». Nel quadro genérale di una risistemazione geopolitica al quale già si è accennato, la soddisfazione delle rivendicazioni dell'Italia nei confronti della Francia pareva necessario corollario a quel criterio dell'e-
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sclusiva competenza della Germania per il centro ed il nord dell'Europa allorquando all'Italia era il Mediterraneo ed il Nord Afrìca a costituire un terreno di incontro con nuove popolazioni soggette e di realizzazione della vittoria finale. Sul piano continentale erano Nizza e la Corsica ad attirare l'attenzìone delle autorità politiche, ma in queste due regioni la situazione non pareva tale da confermare le rosee speranze della vigilia: le popolazioni relative non sembravano per niente entusiaste della prospettiva e, salvo rari casi, i movimenti di tipo annessionistico non si mostravano sulla scena a sollecitare un dialogo con l'Italia. Anzi le manifestazioni di tipo difesa ad oltranza della natura francese di questi territori diventarono ricorrenti e, nel quadro dell'evoluzione della «politica francese» della Germania, da Montoire fino ai Protocolli di Parigi, l'intangibilità del territorio francese nel suo complesso pareva spesso costituire il sottofondo di talune opzioni di «collaborazione» della Francia di Vichy al programma di larvata cobelligeranza che questi accordi implicavano. Si accresceva cosf lo iato tra le speranze italiane e le realtà politiche generali: a Nizza le manifestazioni di ossequio alla Francia di Vichy prendevano ben presto aspetti imponenti, in Corsica la devozione alla Francia diventava uno slogan quotidiano mentre a Tunisi la difesa dell'integrità dell'impero francese nel Nord Africa assumeva aspetti vistosi specialmente nel quadro della ricostruzione di una nuova Francia dopo i fatti del giugno '40. In Corsica la stampa irredentista c6rsa che il governo fascista alimentava da anni e che aveva salutato l'entrata in guerra dell'Italia contro la Francia con giubilo (32) ritrovò con l'avvento del regime armistiziale una certa attualità che il regime rafforzò con la trasformazione del Movimento irredentista Corso in un ente piu importante, l'Istituto Nazionale di Studi Corsi. Dopo il 25 giugno questo Istituto creato nell'ambito dell'Università di Pisa si vide attribuire sedi proprie un po' in tutte le maggiori città d'Italia e da alJora le sue attività culturali assunsero un tono nazionale, con lezioni sulla Corsica tenute nelle varie università
(32) FRANCESCO GuERRI, che era uno dei massimi esponenti degli irredentisti c6rsi aveva lanciato proprio il giorno della dichiarazione di guerra il suo appello ai corsi: «C6rsi non disperate! La grande ore è vicina! I tre scopi che dovevamo assolutamente raggiungere stanno per essere realizzzati: I) Il Mediterraneo, infestato dai pirati mascherati da galantuomini deve essere ripulito. 2) È arrivato il tempo di smetterla con le pistole puntate. 3) Che la funzione assegnata alla Corsica nella realtà geografica non è quella ributtante dell'assassino che brandisce un coltellaccio alla Daladier, ma quella pit'.i umana di una figlia che, al momento del pericolo, fa da scudo all'amato corpo della madre. È arrivato il tempo della redenzione fascista: Redenzione Mussoliniana (F. GUERRJ, in «Corsica antica e moderna», Livorno, gennaio-giugno 1940, p. 2).
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italiane, una Mostra dell'Italianità della Corsica tenuta a Venezia ed una serie di intitolazioni di vie e piazze alla Corsica e all'eroe nazionale c6rso Pasquale Paoli. In questa attività si formarono ufficialmente i cosiddetti «Gruppi di diffusione di cultura corsa» che riuscirono ad iscrivere tra i loro aderenti di questo primissimo «dopoguerra» ben 72.000 sottoscrittori. In Corsica le varie delegazioni della CIAF sbarcarono fin dal luglio 1940, ma il numero dei loro addetti apparve troppo elevato ai servizi petainisti della Direzione dei servizi di armistizio di Vichy ed esso fu presto messo in relazione con la ripresa di una certa attività irredentistica nell'isola da parte italiana come da parte dei c6rsi irredenti. Sul piano delle pubblicazioni diffuse in quei mesi l'opera del commentatore radiofonico ufficiale del regime, Ezio Maria Gray (Le terre nostre ritornano, Malta, Corsica, Nizza) era la piu diffusa con il pamphlet del «corsista» Pietro Giovacchìnì con Corsica nostra e con l'opera di Bertino Poli (il pensiero irredentista corso e le sue polemiche). Anche l'azione radiofonica si fece abbastanza sostenuta, e mirava a ribadire l'ineluttabile esito della rivendicazione italiana e corsa di riunione dell'isola all'Italia malgrado lo sperato e temuto atto di annessione che sembrava logico aspettarsi dopo la «vittoria» italiana sulla Francia. Invece arrivarono le delegazioni di armistizio con dei compiti estremamente rispettosi della sovranità francese sull'isola e con una netta distanza da coloro che clamorosamente si agitavano in Italia per un atto di forza. Ma non si creda che la rinuncia all'annessione immediata della Corsica sia passata tra le decisioni piu facili del regime; la rivendicazione rimase quasi «a futura memoria», in attesa di un regolamento della pace che intanto si studiava con l'urgenza di chi si aspettava da un momento all'altro la pace da concludersi. E non si creda che questo rinvio di decisione sia stato senza sussulti: nella seduta del 15 settembre 1940 Io Stato Maggiore italiano evocò questo problema per bocca dello stesso mar. Badoglio di dover «assicurare il Duce che lo Stato Maggiore dell'Esercito aveva già compiuto lo studio dell'invasione della Corsica dal Nord e dal Sud mediante due divisioni, una proveniente dalla Sardegna, l'altra proveniente da Livorno, in modo che in poco tempo la Corsica poteva venire occupata da noi. Restava da stabilire solo la quantità di trasporti necessari. E per questo si potevano requisire oltre le navi già requisite dalla R. Marina tutte le navi che erano nei nostri porti. .. » (33). Il 21 gennaio addirittura si parlò dell'occupazione dell'intero litorale (33) Verbale della riunione dello SM del 15 settembre 1940, in Verbali delle riunioni. op. cit., voi. 1°, p. 81.
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francese; il 28 il gen. Alfredo Guzzoni, sottocapo di Stato Maggiore dichiarava in una riunione dello stesso organo che «il Duce aveva ordinato di tenere pronti gli studi per l'occupazione della Francia ... » <34>. A livello della CIAF, la Corsica entrava neJle attività delle delegazioni presenti nell'isola solo per l'espletamento delle normali attività di smilitarizzazione e di controllo che la convenzione di Villa Incisa aveva previsto; pareva quasi che il discorso di Roma non dovesse essere quello di Torino, e che in definitiva la presenza italiana in Corsica non potesse, se non alla scadenza della pace, essere posta in modo ultimativo. Nell'isola pubblicazioni e trasmissioni radiofoniche parvero peraltro scalfire assai poco la realtà corsa, alle prese piu che con l'irredentismo con la Révolution Nationa/e del regime di Vichy e con le conseguenze occulte dell'Appello di Londra del gen. De Gaulle. Dichiarazioni di lealismo «eterno» dell'isola verso la Francia e verboso culto delJa nuova «realtà nazionale francese» di cui Giovanna d'Arco rappresentava il simbolo piu vistoso si susseguirono in questo periodo, che non vide affatto purtuttavia modificare le posizioni degli irredentisti. Neppure l'insieme delle «reticenze» ufficiali italiane· al riguardo, né l'andamento generale del conflitto indussero gli uomini dei Gruppi d'azione irredentista corsa a mettere in sordina le loro rivendicazioni. Anzi all'inizio del 1942 il presidente della sezione bolognese dei Gruppi, Gino Bottiglioni ripropose il problema in una serie di pubbliche lezioni tenutesi all'università sull'italianità dell'isola che si conclusero con una dichiarazione nella quale si chiariva che !'<<annessione della Corsica all'Italia non era piu soltanto una rivendicazione, un atto di giustizia, ma una essenziale promessa per la storia futura del nostro popolo . .. » (35). Proprio in questa linea di attesa e di ribadita volontà annessionistica i Gruppi di azione irredentista corsa si diedero all'inizio del 1942 un nuovo Programma che precisava in nove punti gli obiettivi del movimento. La premessa era piu o meno la solita, ma l'attenzione era notevolmente orientata verso aspetti nuovi di tipo, sviluppo economico e sociale dell'isola. Si precisava infatti: «Oggi che le armi hanno piegato la tiranna di Corsica, in attesa delJa "pace romana", la Presidenza Generale si è riunita ed ha deliberato di proseguire il lavoro secondo il monito del Duce "Questa è la guerra che noi preferiamo".
(34) Verbale della riunione del 21 gennaio, ibid., voi. 2, p. 16; Verbale della riunione del 28 gennaio, ibid., voi. 2, p. 19. (35) U. BRAUZZI, I.A Corsica nel Nuovo Ordine Europeo, nel volume Corsica irredenta, Bologna, Gruppi Azione Irredentista Corsa, 1942, p. 116.
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Dopo aver constatato che il problema dello sviluppo economico-sociale dell'Isola è vario e complesso ed abbraccia ogni campo dell'umana attività; - visto che detto problema ha essenzialmente per base la messa in valore di quanto la natura ha prodigato all'isola con munificenza regale; - visto che la ricchezza del suolo e del sottosuolo corso attende solo di essere posta in efficenza, ha pertanto deliberato di studiare la soluzione dei seguenti problemi interessanti il divenire della Corsica fascista». Ed il programma si snodava su aspetti un po' nuovi che erano compresi nei seguenti punti: 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.
Bonifica paludi e stagni specie lungo la costa orientale; Istituzioni di cultura; Organizzazioni scolastiche; Sviluppo dell'industria turistica ed alberghiera; Comunicazioni con la penisola; Rete ferroviaria ed autoservizi; Valorizzazione delle ricchezze minerarie; Campagna di coltura agricola intensiva; Attrezzatura industriale ed idroelettrica (36).
Il rivendicazionismo, come si vede, mutava lievemente natura e da politico puro si tingeva di programma di sviluppo economico e sociale allo scopo anche di attirare attorno a sé quei consensi presso i corsi che, fino ad allora, non aveva di certo ottenuto. La rivendicazione sulla Tunisia ebbe nel contesto dell'attività della CIAF un'analoga disattenzione: la Tunisia importava per ciò che doveva esser nel sistema dei controlli e della smilitarizzazione e per ciò che poteva rappresentare quale ideale retrovia del fronte libico, e non tanto per ciò che la politica fascista vi scorgeva nella sua azione rivendicativa. Gli effetti del breve conflitto italo-francese avevano avuto sull'elemento umano italiano forte di 100/11 O mila individui conseguenze gravi: molte migliaia di internati, ed al loro ritorno dai campi di concentramento un moto unanime da parte dei francesi contro gli italiani con licenziamenti e con provvedimenti restrittivi che avevano in breve gettato «in pietose condizioni economiche e finanziarie» ben sessantamila
(36) Il nuovo programma dei Gruppi di azione irredentista corsa, in Corsica, terra italiana, a cura dei GAIC, Roma, 1942, p. 15.
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italiani (37). Lo costatava pure una relazione del ministero degli Esteri che ricordava che era «la nostra colonia in piena crisi di assestamento dopo la scossa della guerra, gli internamenti in massa, ed i susseguenti licenziamenti di operai e di impiegati italiani, che numerose ditte francesi ed ebraiche non vollero riassumere dopo l'armistizio. Le famiglie delle classi operaie, già provate da diversi mesi di mancati guadagni, si vennero cosi a trovare in condizioni di grave indigenza, sopportata tuttavia con fierezza, nell'attesa di eventi decisivi. Le Autorità locali, soprattutto i piccoli organi di gendarmeria e di polizia, dopo un breve periodo di esitazione seguito alla sospensione delle ostilità, ripresero con maggiore asprezza i procedimenti vessatori nei riguardi degli italiani, sospinte dalla popolazione francese, dai naturalizzati, dagli elementi ebraici, anglo-maltesi e sovversivi il cui contegno diveniva sempre piu provocatorio» (38). E quindi la CIAF si trovò ad affrontare ben tre ordini di problemi: quelli contingenti sociali della collettività italiana da assistere e da difendere, quelli altrettanto contingenti dell'utilizzazione della Tunisia e del resto del Nord Africa Francese, nello sforzo di guerra sul teatro libico con le due versioni: risorse locali da inviare alle truppe al fronte e porti da utilizzare per avviare con maggiore sicurezza i rifornimenti dall'Italia, ed infine la sorte della Tunisia e dell'intero Nord Africa in un futuro tutto da decidere «dopo l'immancabile vittoria» dell'Asse. Nell'ambito della stessa CIAF venne creata una speciale «Delegazione dell'esercito per il controllo del Nord Africa» con sede ad Algeri, presieduta dal gen. Guido Boselli con sottodelegazioni per l'Algeria (capo sotto del. col. Alberto Vinaj); per il Marocco (col. Francesco Moccia) e per la Tunisia (ten. col. Spartaco Majani). Accanto a questo organo operò ben presto la schiera dei funzionari del Ministero degli Affari Esteri di cui si è già parlato con a capo il console generale Giacomo Silimbani, che era stato fino alla dichiarazione di guerra il massimo responsabile dell'intera politica rivendicativa fascista in loco (39). I membri della sottodelegazione per la Tunisia sbarcarono a Tunisi il 7 agosto. Dovettero per prima cosa risolvere o avviare a soluzione i problemi connessi alla liberazione ed all'assistenza degli italiani internati e non
(37) L'osservazione è del direttore dell'ospedale italiano di Tunisia A. CORTESI, in data 24 luglio 1940, cit. in Gli italiani nei campi di concentramento in Francia, Roma, Min. Cui. Pop., 1940, p. 373. Sulla situazione tunisina dopo gli armisùzi si veda anche il Documento n. 20 del Tomo secondo della presente opera. (38) AMAE, Tunisia, busta 11, fase. 2, Situazione politica in Tunisia, p. 14. (39) Su Silimbani e sull'intera vicenda tunisina prebellica si veda R. H. R.ArNERO, La rivendicazione fascista sulla Tunisia, Milano, Manorati, 1980.
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ebbero, anche per realizzare gli altri obiettivi connessi alla attività della CIAF, contatti con le autorità francesi locali le quali, sotto la guida del Residente generale Peyrouton, erano ben decise a non derogare dalle tre regole dettate dal comandante generale delle forze armate francesi nel Nord Africa gen. C.A. Paul Noguès per l'intera regione: «l. Non può essere questione di abbandonare senza combattimento allo straniero tutto o parte del territorio ove esercitiamo sia la sovranità sia il protettorato; 2. L'ipotesi di una occupazione militare da parte di una potenza straniera dì una parte qualsiasi dell'Africa del Nord è esclusa; 3. Il governo non è disposto ad acconsentire a diminuire le forze armate stanziate in questi territori» (40). Tale spirito di resistenza ad oltranza e di rifiuto di trasformazione e di cessione di sovranità fu ribadito da Peyrouton per la Tunisia nel proclama nel quale veniva annunciato l'armistizio, il 24 giugno, e confermato pubblicamente dai notabili tunisini del Gran Consiglio che ribadirono la loro lealtà verso la Francia sulla cui presenza nel paese pareva pesare sempre piu la rivendicazione del vincitore: «La Tunisia che fa parte integrante de1l'impero francese da cui non può essere dissociata sotto qualsiasi pretesto e sotto qualsiasi forma ribadisce la propria volontà di continuare con ogni messo la difesa della Francia e del suo Impero». Resistenza quindi e, per i funzionari della CIAF, estremo disagio nel trattare con un paese ostile che rifiutava, con grande evidenza, la preponderanza e la rivendicazione presente o futura dell'Italia, malgrado le chiassose conferme di molti ambienti romani immobili su tale linea rivendicativa. In realtà quasi in ogni documento dei commissari italiani della delegazione italiana si possono trovare tracce di questo disagio e registrare la continua erosione di potere e di prestigio che la diffusione del gollismo nel Nord Africa rafforzava ogni giorno. I rapporti che il console generale Silimbani mandava da Tunisi sulla situazione politica generale del paese sono elementi di un'attenzione accresciuta verso una crisi che era fatta dalla situazione degli italiani inermi di fronte ai francesi ed agli indigeni, non certo ben disposti nei loro confronti, gli uni e gli altri per timore di un'annessione del protettorato che la sconfitta francese era sembrata annunciare. I timori e le denunce da parte della CIAF di questa situazione furono molte ma essa non cambiò: per riassumerne gli elementi principali basterà quanto precisava nell'ot-
(40) Cit. in A. TRUCHET, L'armistice de 1940 et l'Afrique du Nord, Parigi, PUF, 1955, p. 82.
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tobre 1941 il rapporto segreto sulla Tunisia del ministero degli Esteri: «All'indomani della sconfitta e di un armistizio che dev'essere preludio a una pace, piu o meno vicina, ma dove, comunque verrà posto il problema delle nostre rivendicazioni, è interessante notare come la politica francese in Tunisia preferisca ignorare i problemi che non le è dato cli risolvere. Al di fuori dei grandi eventi che maturano altrove, sui campi di battaglia, ondeggiando per la incapacità organica di un atteggiamento deciso e virile tra le inestinguibili simpatie per la causa britannica e il calcolo dell'attesismo e di una collaborazione, limitata e insincera, la Francia cerca anche in Tunisia di convincere anzitutto se stessa chiudendo gli occhi di fronte alla realtà. Cosi non importa se gli italiani costituiscono almeno la metà della popolazione europea e siano presenti ed attivi nei vari settori della vita economica del paese. Essi debbono essere ignorati. Dopo l'armistizio, si fa su di loro il silenzio piu assoluto. Nei discorsi ufficiali, nella stampa non vi è cenno, ad ogni occasione propizia, che alla popolazione francese e tunisina. La stessa situazione di armistizio giova in un certo modo su questo punto ai francesi, in quanto non ci viene concesso neppure l'onore della polemica, come invece accadeva prima della guerra. Per il Residente Generale, gli italiani in Tunisia sono tutt'al piu una questione di polizia e di sicurezza generale. Se a talune concessioni si è lasciato indurre, in specie a quella importantissima della riapertura delle nostre scuole, contro lo stesso parere di Vichy, vi hanno concorso considerazioni generali di ordine pubblico ed anche forse, un certo suo senso intimo di giustizia, ma in realtà egli non ha mai inteso l'importanza poUtica ed il valore storico, nel passato, nel presente, nell'avvenire della nostra collettività. Gli italiani sono nella Reggenza degli stranieri, degli ospiti. I francesi, al contrario, sono a casa loro. La Tunisia, pur sotto la figura giuridica del protettorato, è terra dell'Impero francese che, pur nel disastro della sconfitta, non si ha alcuna intenzione di cedere ... » <4 1>. L'intero gioco politico di Vichy a proposito della rivendicata integrità dell'impero prebellico francese pareva continuarsi a fondare su una «certa» politica tedesca, quella dell'ambasciatore Abetz tanto per intendersi, che voleva avviare un dialogo costruttivo con il regime di Pétain allo scopo cli ottenere una partecipazione utile allo sforzo bellico della Germania magari sacrificando le aspirazioni dell'alleata Italia. E nel Nord Africa questa politica trovava i piu ampi consensi da parte delle autorità francesi, che temevano la realizzazione rapida dei piani di pre-
(41) Tunisia. Situazione politica dell'anno XIX, Quaderno 23 E segreto, in AMAE, Tunisia, busta 11, fase. 2, situazione politica in Tunisia, p. 8.
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senza politica italiana che molti elementi italiani locali, d'intesa con alcuni centri politici romani, avevano annunciato con clamore. Per il caso della Tunisia questo gioco appariva molto chiaro e pareva compromettere ogni decisione. E purtuttavia a Roma, dove si conosceva questa situazione, si insisteva sulla Commissione di Torino per alimentare una campagna sulla rivendicazione e si divagava senza molto costrutto sulle iniziative da prendere e sul futuro regime tunisino da inventare. A questo proposito la confusione era la norma, e le «soluzioni» si moltiplicavano: il ministero dell'Africa italiana aveva un suo piano, lo aveva pure il ministero degli Esteri mentre il console generale d'Italia a Tunisi di prima deUa guerra, Giacomo Silimbani, appena ritornato in Tunisia, si riteneva l'unico in grado di capire pienamente la situazione. I piani fiorivano cosi ed il guaio era che non vi era nessuna armonia tra loro; e mentre a Tunisi ed a Vichy le autorità francesi tentavano, non senza successo, di negoziare con i tedeschi accordi che prevedessero una certa collaborazione in cambio di promesse dell'integrità dell'impero francese nel Nord Africa, a Roma si svolgeva una vera guerra dei «piani». Montoire ed i protocolli di Parigi erano pure dei segni importanti di una evoluzione che non favoriva certo i disegni espansivi «vecchia maniera» del fascismo. Da una parte vi erano pure da tenere presente le esigenze politiche dei rapporti con gli arabi che già evocavano con insistenza la fine di «ogni regime coloniale» e dall'altra il fatto che l'Italia contava sempre meno nel gioco politico generale dell'Asse, dopo l'aperta collaborazione iniziata da Berlino, in concorrenza con Roma, con le autorità di Vichy. E queste si rendevano ben conto di questa evoluzione anche a livello della CIAF. I rapporti di Duplat al riguardo non lasciano dubbi circa l'evidenza di questa evoluzione; nei rapporti del 28 febbraio e del 28 marzo 1941 le considerazioni di questi ambienti francesi appaiono evidenti. L'Italia vi appare descritta in netta perdita di importanza, sia perché i successi militari non vi erano stati, sia perché la sua economia stava segnando paurosi ritardi, sia infine perché l'opinione pubblica italiana stava rendendosi conto che la «guerra breve», promessa il 10 giugno '40, era solo una illusione, e che la guerra invece si stava presentando lunga e piu dura del previsto. Duplat segnalava, fin dal 28 febbraio, la palese decisione di Berlino di intervenire anche nei settori mediterranei dove, in una prima fase, era l'Italia a farla da padrone persino sul territorio nazionale: «son aviation (de l'Allemagne) est désormais installée en Sicile et ses forces de terre sont maintenant engagées en Libye. Ainsi l'Allemagne a-t-elle été amenée à s'ingérer de plus en plus dans les affaires méditerrannéennes et nord africaines que les conventions d'annistice avaient réservées au controle italien: il se
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confirme chaque jour que la CIA ne prend plus de décisions en ces matières sans s'etre assurée le consentement et l'appui des allemands ... » (42). E questa decadenza non si limitava a questi aspetti dei rapporti con la Francia ma coinvolgeva l'intero quadro italiano: «L'emprise allemande se fait de plus en plus forte en ltalie ou, à la suite des défaites italiennes, le Reich estime que la collaboration de ces forces et la multiplication de ces observateurs et de ses mission constituent la meilleure garantie ou maintient dans l'alliance de son partenaire éprouvé. Si dèsormais les bulletines journaliers de presse ìtaliens ne font pour ainsi dire plus état que de l'intervention allemande ce n'est pas seulement par reconnaisance ou plutot allégeance vis-à-vis de I' Allemagne, c 'est parce que le peuple italien a besoin d 'etre tranquillisé par 1'appui allemand; par voire de conséquence, cela lui confirme qu 'il devra aller jusqu'au bout de l'aventure. Si Mussolini a cru devoir exposer dans son récent discours que la préparation militaire de son pays ne laissait pas à désirer au moment ou il a déclaré la guerre, c'est que l'opinion sait que cette préparation était insuffisante au cas ou la guerre aurait duré». E sul piano dell'opinione pubblica le osservazioni del delegato francese non presentavano incertezze di analisi: «Il y a des indices d'un ébranlement du moral itaUen qui explique la nécessité pour le Reich d'accentuer son emprise sur l'Italie. Chaque jour davantage l'Allemagne mène le jeu; et dans le domaine de l'application de l'armistice, il faut nous accoutumer à l'idée que, de plus en plus fréquemment, les italiens ne seront que les porte-parole des allemands ... ». Di questa trasformazione mediterranea della presenza della Germania non vi saranno solo le prove indicate dal Duplat, ma anche decisioni di ben piu vasta portata quale l'accordo imposto dalla Germania all'Italia il 16 marzo 1941 con il quale il Marocco cessava dall'appartenere alla sfera del controllo della CIAF ed entrava in quella della CTA di Wiesbaden. L'annuncio da parte della commissione di Torino fu abbastanza laconico ma significativo; nessuna spiegazione figurava per una decisione che erodeva sensibilmente l'ambito unitario dell'azione italiana, nel Nord Africa, nel mondo arabo e nel mondo africano fino ad allora esaltato quale cardine del futuro Nuovo Ordine Mondiale. Questo il testo dell'unico cenno ufficiale: «In seguito ad accordi intervenuti tra il governo italiano e il governo germanico, il controllo del Marocco francese (42) Conclusion del rappono dell'amm. Duplat del 28 febbraio J94l, p. 29-30, in DFCIASHAT, l/P/80.
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sarà assunto dalla Commissione tedesca di armistizio non soltanto per le industrie belliche ed i combustibili liquidi, ma anche per le forze dell'esercito, della marina e dell'aeronautica. Fa eccezione il territorio del Marocco corrispondente alla regione civile di Oujda... che rimarrà di competenza italiana ... Il passaggio del controllo avverrà gradualmente e sarà presumibilmente ultimato nella prima quindicina di maggio. Presso il costituendo Ispettorato tedesco di controllo resterà nel Marocco (Casablanca) una Delegazione italiana di collegamento composta da ufficiali delle varie forze armate e dei funzionari civili già dislocati a Casablanca e Rabat» <43>. Le conseguenze di un simile «accordo» italo-germanico, non certo auspicato da parte della CIAF, né dal governo italiano, furono notevoli anche se, a livello di informazione pubblica, fu tenuto alquanto riservato e le notizie che qua e là comparivano sulla stampa italiana non diedero mai un quadro completo della vera situazione nuova che si andava delineando, anche nei termini della rivendicazione fascista, con questa comparsa del Reich in un territorio fino ad allora di stretta competenza italiana. Sul piano interno della CIAF, la «perdita» del Marocco, che certamente annunciava una fase nuova nel Nord Africa, non a favore dell'Italia, fu sentita come una grave menomazione. Un documento ufficiale della presidenza ricorda che «la presidenza della CIAF aveva formulate riserve motivate anche dalla preoccupazione che essa, pur non essendosi verificato alcun inconveniente od alcuna deficienza di controllo da parte italiana, potesse risolversi in una menomazione del nostro prestigio ... ». Anche la Francia tentò di contrastare questo passaggio preoccupandosi delle ripercussioni che esso avrebbe potuto segnare soprattutto nei suoi rapporti con gli Stati Uniti d'America che, con il controllo italiano, si erano svolti senza grossi inconvenienti ma con vantaggi per l'assistenza alle popolazioni. In realtà l'insistenza della Germania per ottenere il ·Controllo del Marocco aveva origini vicine e lontane, vicine in quanto poteva essere determinato dallo stesso tenore degli accordi italotedeschi di Wiesbaden del 29 giugno 1940 che lasciava un'opzione alla Germania per il controllo delle zone atlantiche, lontane in quanto il Marocco costituiva una zona «storica» della presenza germanica nel continente africano. Tale insistenza germanica poteva anche essere, posta in relazione diretta con l'eventualità che per lo sviluppo degli (43) Vedasi l'Appunto della CIAF del 16 agosto/ 15 settembre 1941 , n. 22, p. 4 , in USSMECIAF, Racc. 30, fase. 2.
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eventi bellici e politici e per lo spostamento dell'asse della guerra dal Mediterraneo all'Atlantico, il Marocco potesse diventare un settore importante di osservazione e che le forze francesi colà esistenti potessero anche cooperare ai fini delle potenze dell'Asse, prestandovisi, forse, in confronto di organi rappresentativi germanici con contrasti minori di quelli che avrebbero avuto luogo nei confronti dell'Italia, piu invisa ai francesi di quanto fosse rimasta per essa la stessa Germania. Non era esclusa, infatti, dalle previsioni tedesche l'ipotesi dell'apprestamento in Marocco di basi aeree e marittime. Sul piano dell'organizzazione della CIAF, il passaggio del Marocco al controllo tedesco provocò un sostanzioso rimaneggiamento dell'organizzazione della commissione italiana e dei suoi organi. Essa presentava alcune novità e cioè: a) l'istituzione di una Delegazione generale della CIAF in Africa del Nord con sede ad Algeri con funzioni di: - alta direzione disciplinare su tutto il personale militare dislocato in Nord Africa; - mantenimento del contatto con il Delegato Generale del Governo francese (generale Weygand) e con gli organi di Governo in Tunisia e Algeria; - coordinamento dell'attività di tutte le Delegazioni nella sfera extra tecnica, si da evitare interferenze nei campi ove sussistano nessi o analogie fra il lavoro di una Delegazione e l'altra; - risoluzione, direttamente sul posto, delle questioni che non implichino decisioni di principio o varianti a decisioni di principio già prese dalla CIAF; b) la fusione delle due Delegazioni dell'Esercito, esistenti una per il controllo del Nord Africa, l'altra per la smilitarizzazione del confine libico, in un'unica «Delegazione Esercito», con sede ad Algeri e con due Sottodelegazioni; - la Sottodelegazione Tunisia, che assorbe anche la zona smilitarizzata ove resta in funzione una sezione; - la Sottodelegazione Algeria, che comprende anche la regione civile di Oujda (Marocco Orientale); c) la costituzione di una «Sottodelegazione del traffico mercantile» ad Algeri, dalla quale dipenderanno direttamente tutte le «Sezioni di traffico» del Nord Africa e che avrà il compito di coordinare e vigilare la loro attività; d) la costituzione di una «Delegazione Controllo Industrie Belliche e Controllo sui Combustibili Liquidi», con sede ad Algeri, alla cui dipendenza sono:
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la Sottodelegazione cm e CCL per l'Algeria (Algeri); - la Sottodelegazione cm e CCL per la Tunisia (Tunisi). Sul piano interno del Nord Africa, la comparsa in veste di responsabili delle Delegazioni germaniche ebbe ripercussioni negative specialmente sulle condizioni di vita della minoranza italiana presente specialmente in Tunisia: le difficoltà militari della Libia, unite all'arrivo delle forze dell'Afrika Ko,p, ricollocavano in condizione subalterna l'Italia ed anche le sue pretese rivendicazionistiche. Ben lo sottolineava, nei suoi rapporti al Ministero degli Esteri ed alla CIAF, il console Silimbani, da Tunisi, che osservava come «la gioia insolente manifestata dai francesi per l'avanzata inglese in Cirenaica» avesse significato per gli italiani di Tunisia una recrudescenza di ostilità che si univa a quella generale verso il regime italiano: «La stampa locale cerca di minimizzare i successi italiani ed i nostri connazionali sono spesso oggetto di volgari ingiurie da parte dei naturalizzati e dei poliziotti c6rsi che sfogano cosf la loro rabbia impotente . .. » <44). E sul piano generale lo stato d'animo della Tunisia, come nel resto del Nord Africa francese, era quello di un attendismo ostile: «Stupore, scetticismo, manifesta intenzione della stampa di non dare ai fatti (favorevoli all'Asse) troppo rilievo o importanza, volontà di non pregiudicare ancora nulla, di non assumere alcun atteggiamento aperto in favore del Nuovo Ordine in Europa, per il quale, del resto, né le classi dirigenti, né le masse francesi sono ancora mature: ecco ciò che caratterizza, in questo momento delicato e decisivo, lo stato d'animo francese in Tunisia. Si segue la politica ufficiale, perché in fondo si ha piu fiducia nel Maresciallo, che in qualsiasi altro; lo si segue tuttavia a malincuore sulla via della collaborazione con la Germania, anche se i piu onesti e coscienziosi debbano riconoscere che non è dato battere altra strada. È nei piu, tuttavia, la speranza che un fatto nuovo e indeterminabile possa fermare il governo del Maresciallo nella via dell'intesa con la Germania. Con Pétain e con l'Inghilterra, questo è forse l'ideale che renderebbe piu contenti gli animi dei francesi di Tunisia. Costoro una sola speranza traggono dalla politica di collaborazione, la speranza assurda quanto ingenua che la collaborazione stessa possa realizzarsi alle spalle dell'Italia, si ché tutte le nostre rivendicazioni, Tunisia in primo luogo, rimarrebbero insoddisfatte. Se potessero essere certi di questo, sarebbero forse disposti ad acclamare frenetica(44) Cons. Gen. S1L1MBANI, Situazione politica in Tunisia, rapporto del 21 maggio 1941, al MAE ed alla CIAF, in AMAE, Affari Politici, Tunisia, cit, p. 4.
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mente la Germania che pur occupa i tre quinti del loro paese e tiene in prigionia quasi due milioni di francesi ... ». Era quindi nei confronti dell'Italia e degli italiani che l'astio francese si dimostrava tenace ed implacabile. Si può, di nuovo, citare il rapporto di Silimbani, ma le citazioni potrebbero moltiplicarsi lungo tutto il periodo e ad opera dei piu vari funzionari della CIAF. I francesi di Tunisia «odiano soprattutto, od1ano, forse, solo l'Italia perché l'Italia ha osato mettere in discussione la legittimità del possesso francese della Tunisia, possesso troppo a lungo abituati a considerare come sacro, e che ora, con la rabbia gelosa degli impotenti, sentono sfuggire di mano. Lo sentono, anche se ancora indistintamente, non volendolo, per pavidità di carattere, neppure confessare a se stessi, ostentando anzi una ridicola sicurezza per illudersi e per illudere. E da questo stato d'animo nasce il loro furore mal represso, il loro veleno verso di noi. .. » (45l . Le opposizioni sono tenaci; in Tunisia la parte legale, fedele, almeno in apparenza, al regime di Vichy pareva barcamenarsi mentre il resto della popolazione, francese o indigena, si mostrava tenacemente legata al mito della rivincita cara a De Gaulle sotto il pretesto della cosiddetta «integrità suprema dell'Impero». Attorno a quest'idea una certa saldatura tra pétainisti e gollisti si operava a danno dell'armistizio e dei suoi esponenti. In Tunisia il messaggio del maresciallo Pétain del 1° maggio 1941 sulla permanente vocazione della Francia ad essere una «potenza europea e coloniale» e sulla salvaguardia dell'intero patrimonio imperiale della Francia, venne interpretato come l'ultimo avvertimento alle potenze dell'Asse sui limiti invalicabili di una resa che non poteva essere considerata dai francesi tutti, né permanente, né senza condizioni. In questo clima, anche il semplice viaggio in Tunisia del Commissario (ministro) all'Educazione nazionale e agli Sport, Borotra, dal 2 al 5 maggio 1941, assunse valore di supremo cemento unificatore delle volontà francesi a proposito di ventilati rivendicazionismi.
(45) Di un certo interesse le osservazioni che un agente segreto italiano in Tunisia faceva giungere alla delegazione della CIAF: « . ..Si assiste da alcuni mesi a questa parte ad una propaganda senza precedenti in favore della... Francia, tanto nelle città quanto nelle campagne. Il Residente Generale Esteva, con un seguito numeroso si è recato e si reca tuttora nelle principali località della Reggenza, visitando cantieri e notabilità indigene e - come se in Francia non fosse accaduto nulla di notevole dal settembre 1939 - continua a parlare di riforme amministrative, di valorizzazione delle ricchezze del paese, di incremento delle attività artigianali, di un vasto programma di lavori pubblici ed infine dell'autarchia della Tunisia che dovrà in un prossimo avvenire contribuire grandemente al redressement della Francia» (dal rapporto di AN'ToNJO RIVA, Gli arabi di Tunisia e l'Italia, p. 3).
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I luoghi di convocazione di queste adunate di giovani francesi e indigeni che festeggiavano la Francia erano state, non a caso fissati in prossimità delle sedi armistiziali italiane e, neppure a caso, le grida di fedeltà alla «Francia eterna» si accompagnarono di grida ostili all'incontro dell'Italia. Anche la celebrazione della giornata di Santa Giovanna D'Arco, l' 11 maggio, diventò l'occasione non tanto di recriminazioni contro coloro che l'avevano martirizzata, gli inglesi, ma contro coloro che ne stavano calpestando il messaggio di patriottismo che ella rappresentava in modo permanente agli occhi di tutti i francesi. Parate, bandiere, discorsi, celebrazioni, articoli di stampa, tutto, in quei giorni venne messo in moto dai francesi in Tunisia. E nel sottofondo delle alterne vicende degli scontri e dei fronti, specialmente nella Libia, le prospettive di rottura di ogni pacifica coesistenza tra le varie comunità, fino ad allora piu o meno realizzate, vennero a galla con gli italiani che chiedevano di potersi riarmare per lottare contro provocazioni e violenze delle altre due parti in causa (francesi ed indigeni), con i francesi sempre puntigliosamente vigili nel difendere l'idea di una Tunisia eternamente francese e timorosi di qualche riedizione a danno loro di Vespri antifrancesi in occasione di una temuta annessione ed infine con gli indigeni in bilico tra gli uni e gli altri con un loro messaggio di rifiuto dell'uno e dell'altra soluzione ma disponibili per giocare un po' da temporeggiatori sotto l'egida del Néo-Destur, posto peraltro in sordina in queste tempeste. E proprio questo clima di insofferenza, quasi fisica, tra gli uni e gli altri alimentò una serie notevole di incidenti, di episodi oscuri e di colpi di mano, da parte degli uni e degli altri, in margine alla posizione ufficiale della CIAF e della Residenza francese. Segni di questa intenzione delle autorità francesi non mancarono, e furono, tutti, occasione di ribadita pennanenza dei vincoli tra Tunisi e Parigi in chiave anti-italiana. Vichy votava consistenti crediti per il finanziamento di lavori di pubblica utilità in varie parti del paese protetto, dando cosf la prova piu sicura, quella dell'esborso di ingenti somme, della sua permanenza futura nella Reggenza continuando ad impiegarvi tranquillamente i suoi capitali. Anche provvedimenti amministrativi vennero presi con questo intento: nel giugno 1941 l'istituzione di una Corte di Appello a Tunisi, che realizzava una antica aspirazione degli ambienti forensi tunisini, aspirazione che si trascinava fin dai primi tempi dell'istituzione del Protettorato, dava l'impressione che la Francia, anziché nella fase calante, si sentisse ancora nel pieno regno della sua presenza nel paese. Anche nelle ore piu oscure della sconfitta della Francia la posizione delle autorità francesi di Tunisia si irrigidf sui temi dell'«indefettibile attaccamento» della Tunisia alla Francia e del «co-
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mune destino» dei due paesi. Ne sia prova, tra molte altre, il discorso che, nell'ottobre 1940, il Residente pronunciò ai funerali dell'avv. Gaudiani, c6rso, presidente della sezione francese del Gran Consiglio e considerato il capo della colonia francese di Tunisia, che insisteva sulla permanenza «eterna» della Francia in quelle terre: «La Francia - ribadf - vivrà non soltanto nei cuori, ma vivrà su questa terra grazie al lavoro, alla devozione e all'amore di tutti i suoi figli ... ». In un documento della CIAF tali parole vennero commentate con acredine: «Se tutte queste manifestazioni rispondono, in parte, a una intenzione di "bluffare" e alla necessità, come si è detto, di non abdicare al principio stesso d'Autorità, non è meno vero che esse esprimono anche la convinzione testarda di una Francia ciecamente orgogliosa e non rassegnata alla sconfitta. Intanto, sotto gli auspici della Residenza viene pubblicata tutta una serie di opuscoli, di articoli di giornali, ecc. e sono rievocate date e luoghi che illustrano l'opera della Francia in Tunisia e i legami storici fra i due Paesi fin dalle epoche lontane» <46>. Due altri elementi sono altresi da ricordare a questo riguardo. Da una parte la «resistenza» dei francesi ai propositi rivendicazionistici dell'Italia trovava maggior sostegno nel fatto che la stessa colonia francese di Tunisia si andava allargando, sia per il rimpatrio di alcuni elementi francesi, funzionari, militari e no, in provenienza dal Levante francese, sia per l'arrivo dalla Francia metropolitana di nuovi nuclei di francesi che sfuggivano all'occupazione tedesca. Erano, secondo calcoli italiani, quantitativi che si aggirano nell'anno 1941 ad almeno mille unità al mese, e che rafforzano certamente l'elemento rivendicativo generale dei francesi di Tunisia. Dall'altra parte vi è da ricordare la tenacia delle amministrazioni francesi a colpire gli elementi italiani piu intransigenti arrestandoli e condannandoli a pene sostanziose, anche in presenza di proteste degli organi della CIAF i quali, allorquando vengono ascoltati dalle autorità francesi, non riescono ad ottenere altro che la sospensione della pena seguita da immediate misure di espulsione dalla Tunisia di questi stessi italiani: vi è tra gli italiani chi viene condannato per avere rumorosamente ascoltato Radio-Roma, e ciò in violazione al disposto bellicale che proibiva, in tempo di guerra, l'ascolto di radio straniere; chi viene condannato per propositi antifrancesi ripresi da commenti radiofonici fascisti, chi, infine, viene espulso per possedere camice nere, in violazione al decreto contro le insegne, divise e bandiere straniere ... Insomma una guerra a colpi di spillo che, se esa-
(46) Dal cit. rapporto MAE sulla Tunisia nel 1941, p. 8.
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spera l'elemento italiano rivendicazionista locale sotto la guida del console Silimbani (che si vede in un primo momento persino rifiutare l'autorizzazione a pubblicare il vecchio giornale italiano di Tunisi «L'Unione» proibito il 10 giugno 1940), rende l'elemento francese piu impegnato ancora nena difesa de]]a Tunisie française e l'elemento indigeno, gli stessi nazionalisti, piu guardinghi verso una potenza «vittoriosa» che si lasciava cosi vistosamente umiliare nei propri propositi dalla Francia «vinta». Ed in questa situazione ben poca efficacia hanno le iniziative italiane di spingere decisamente questo elemento locale verso la collaborazione con gli uomini della CIAF in particolare e con i propositi italiani in generale. Le relazioni che nel settembre e nell'ottobre 1940 parvero stabilirsi tra gli uomini del Neo Destur (e specialmente Habib Thameur) ed esponenti della CIAF, con la presentazione di una Nota in due parti a proposito della necessità per l'Italia vittoriosa di rompere con il passato e di avviare la Tunisia verso una vera indipendenza, si erano gravemente compromesse con l'arresto degli autori della Nota, H. Thameur e Taieb Slim, operato dalle autorità francesi il 21 gennaio 1941, a dispetto della <<protezione» degli stessi da parte della CIAF. Veniva peraltro il dubbio circa la consistenza, almeno da parte dell'Italia «locale» e da quella rappresentata dalle stesse autorità della CIAF, di una vera politica filoaraba nel senso dell'indipendenza della Tunisia cosi' come i nazionalisti andavano cercando e che invece molti documenti italiani di provenienza da Roma smentivano clamorosamente portando avanti il solito discorso dell'espansionismo italiano in Tunisia e altrove, senza alcun riguardo per le tesi de decolonizzazione totale che pur timidamente avevano fatto capolino nei dialoghi allacciati con i nazionalisti e le loro organizzazioni clandestine, che avevano ribadito in una Nota complementare i loro propositi (47). Per molte autorità italiane la strada da battere era quella dell'intransigenza, sia nei riguardi della Francia, sia in quelli relativi alle forze politiche indigene, e ciò malgra~o una certa politica filoaraba favorevole all'indipendenza (e naturalmente al successivo infeudamento alla Germania) proclamata dalle autorità germaniche sotto l'egida del Gran Muftf di Gerusalemme, largamente utilizzato in questa campagna. Sotto
(47) Il testo della Note complémentaire présentéee par le Parti libéral constiturionnaliste tunisien alla CIAF il 22 maggio 1941 ha, a questo riguardo posizioni assai chiare allorquando af. fermava: «Mais si la Tunisie aspire avant tout à sa libération, elle sait qu'elle ne peut vivre dans un absurde isolement. Au contraire, elle entend coopérer avec la Nouvelle Europe, à l'Ordre Nouveau préconisé par les puissances de l'Axe, non pas en tant que victime de cet ordre, mais en tant que puissance majeure ... elle constituerait pour l'Europe de demain un précieux réservoir de matières premières ...». Delle due note citate in vari rapporti della CIAF solo la seconda è stata rintracciata.
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questi aspetti la politica del Reich appariva piena di minacce per i progetti italiani e soprattutto pregiudizievole sul piano interno italiano e su quello internazionale all'omogeneità della posizione di Roma con quella di Berlino. A questo punto le osservazioni già ricordate di Ciano sulla «pericolosa» amicizia nascente tra Vichy e Berlino a proposito dell'integrità dell'impero francese in cambio di una qualche partecipazione francese alla guerra tedesca si possono allargare anche all'intero programma rivendicativo di Roma: « ...Le ripercussioni in Italia di una eventuale rinuncia alle nostre aspirazioni ... sarebbero gravissime, e il prestigio del Regime intaccato ... ». Queste note del famoso Diario del ministro degli Esteri italiano in data 1° giugno 1941 sono assai significative, e liquidano almeno da quella parte ogni" proposito rinunziatario dell'Italia che ancora si riteneva in grado di imporre sull'alleata una sua politica mediterranea cosf come l'accordo sul Marocco sembrava presentare. E questa convinzione spiega perché la CIAF nei suoi vari centri, a Torino, a Tunisi, a Nizza o ad Algeri, studiasse ancora il problema delle rivendicazioni, quasi fossero altrettanto importanti quanto la guerra da vincere. Per il caso tunisino, lo abbiamo già accennato, si trattava di una corda sensibile che era stata al centro di una speciale «Commissione interministeriale di studio per i trattati di pace» le cui conclusioni, sottoscritte fin dall'agosto 1940, risentivano di quel clima di trionfalismo e di «guerra finita» che caratterizzò i mesi successivi al trattato di Villa Incisa. Per la CIAF ed i suoi organi le conclusioni della Commissione rimanevano invece punti fermi almeno nelle loro linee maggiori. E dire che malgrado l'epoca della loro redazione, tali direttive non scioglievano il nodo di fondo che, a mano a mano che la guerra mediterranea proseguiva, appariva insolubile o quasi. Annessioni pure e semplici, sostituzioni banali della presenza francese con quella italiana, nebuloso Nuovo Ordine Mondiale, ed infine indipendenza ed alleanza araba erano stati e rimanevano opzioni incerte ma sempre evocate della politica rivendicativa fascista. Come abbiamo avuto già modo di precisare, i piani sul futuro assetto della Tunisia contenevano una serie tale di ipotesi da non potersi neppure capire verso quali scelte il regime intendeva orientare le proprie decisioni. Il piano proposto dal ministero dell'Africa italiana, nel quadro di quell'iniziativa, appariva dominato dall'incertezza piu profonda, ed
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anche se in una nota successiva al Promemoria il ministero dichiarava di essere «favorevole all'estensione della sovranità italiana alla Tunisia» ciò non risultava chiaramente nel testo assai piu ampio della relazione (48}. Si può dire anzi che la soluzione dell'annessione veniva esaminata e quindi scartata. I vantaggi per l'Italia dell'annessione erano fissati in tre punti: «a) verrebbe automaticamente a subentrare, senza alcuna scossa e senza pregiudicare minimamente, per ora, la questione della sovranità, nella situazione di predominio già detenuta dalla Francia in Tunisia; b) potrebbe modificare a suo piacimento tale situazione secondo le circostanze, una volta insediatasi in Tunisia; c) non susciterebbe alcuna impressione sfavorevole alla sua causa nel mondo islamico, dato che assumerebbe la figura di protettrice della Tunisia a somiglianza di quanto ha fatto sinora la Francia». Per contro gli svantaggi erano notevoli: «a) la soluzione sopra progettata presenterebbe un carattere prevalente di equivocità che non è nel costume fascista; b) l'adozione della soluzione esposta comporta il rispetto sostanziale di un ordinamento, quello creato dalla Francia in Tunisia, che è per molti lati in palese contrasto con i principi dell'etica e del diritto fascista, i quali dovrebbero forse ripiegare di fronte ad istituti segnati da un'inconfondibile impronta democratica; c) non poche sarebbero, infine, le difficoltà da superare per trasformare l'ordinamento tunisino secondo i nostri principi i nostri interessi». Le altre due soluzioni evocate dal Ministro dell'Africa Italiana erano il protettorato in cui l'Italia subentrava alla Francia in Tunisia lasciando intatto l'edificio bellicale ed un regime. misto non chiarito di amministrazione diretta, con soppressione del Bey e ordinamento speciale che sancisse «un particolare regime di protezione ispirato ai canoni della dottrina fascista ed ai principi del diritto pubblico fascista». La questione tunisina, la quale si trova cosi collegata all'attività della CIAF, non manca di determinare e quasi di pregiudicare ogni decisione italiana a proposito delle relazioni che colà si dovevano pur stabilire con le autorità francesi. Il dilemma tra l'occupazione pura e semplice ed il rispetto delle autorità costituite francesi della Tunisia non venne mai risolto, e si andò avanti tra mille compromessi e mille difficoltà con i pétainisti, i gollisti, i nazionalisti tunisini, la colonia italiana,
(48) Ministero dell'Africa italiana, Promemoria sul futuro assetto politico territoriale della Tunisia, copia segreta per la commissione interministeriale di studio per i tranati di pace, in AMAE, Tunisia, busta n. 11, fase. 2. ·
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gli ebrei, ecc. senza mai dare un senso compiuto ad una azione che poteva (o doveva?) collegarsi necessariamente con il non facile prosieguo delle operazioni belliche nella vicina Libia, operazioni che con il loro altalenarsi non diedero mai un attimo di tregua agli uomini inseriti nelle delegazioni armistiziali nel Nord Africa. Che dire di questo quadro di politica araba del regime? Essa fu il frutto di molte improvvisazioni, di molte contraddizioni e di molti ripensamenti e finf per scontentare tutti: gli italiani di Tunisia perché si ritenevano solo loro i veri beneficiari di ogni politica italiana, i nazionalisti tunisini che stentavano a dare peso a promesse che venivano smentite nei fatti e da molti centri di potere italiani, i francesi che non credevano per niente alla buona fede italiana di voler rinunciare alla rivendicazione in cambio di una decisa partecipazione francese allo sforzo di guerra dell'Asse, ed infine i tedeschi che sentivano assai meno la seduzione di queste rivendicazioni storiche e si orientavano decisamente verso un negoziato aperto a tutte le soluzioni nei confronti dei francesi come degli arabi pur di ottenere da questi o da quelli vantaggi concreti ed immediati nella condotta della guerra. Quanto agli uomini della Delegazione francese presente a Torino, questa confusione non poteva che favorire i loro disegni di temporeggiamento inserendo, qua e là, nei loro rapporti con la CIAF, elementi di crisi e di ripensamento da parte dell'Italia in ogni soluzione appena raggiunta. E se Duplat riteneva di operare con tale strategia per aggirare le posizioni italiane di tipo rivendicazionistico, questo fatto unito anche agli sviluppi non certo sempre positivi delle operazioni militari non faceva che irritare gli italiani nei confronti della Francia, fosse anche quella di Vichy. Ben lo notava il capo della Delegazione francese nel suo rapporto confidenziale del 13 febbraio, che notava un «raidissement très net de l'attitude italienne». Ed in quello del 14 marzo un vero e proprio stato di crisi nei rapporti tra le due delegazioni: «L'inquiétude italienne vis-à-vis de l'Afrique du Nord persiste: il en résulte un accroissement des mesures de précaution contre tout renforcement éventuel de nos possessions (effectifs de l'Arrnée, augmentation meme temporaire des petits batiments de guerre). La Commission Italienne d'Armistice semble meme vouloir aller plus loin, en cherchant à diminuer le potentiel de nos forces, à entraver leur organisation en cours ou leur entrainement. Dans cet ordre d'idées, on peut signaler les restrictions apportées au transport du personnel, le refus d'expédition de certains matériels, la diminution demandée par des voies détournées des stocks de combustible, le désir de voir rentrer le «Dunkerque» à Toulon,
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les difficultés soulevées pour les exercises des forces navales ou aériennes présentes à Biserte» (49l. Naturalmente non si può distaccare il «caso tunisino» dall'intero groviglio di rivendicazioni che, qua e là, venivano riaffermate, erano spinte avanti o erano messe in sordina proprio in quel periodo dalle varie autorità italiane. Prima tra queste, dopo Tunisi, quella della rivendicazione sul Nizzardo che ritornò di attualità sotto nuove vesti: la questione della sorte di Nizza che, pur rivendicata prima della guerra e ritenuta di annessione «sicura» all'indomani della vittoria, pareva allontanarsi vieppiu dagli obiettivi politici della stessa Italia, quasi conseguenza della politica di accordo inaugurata con Vichy subito dopo Mers el-Kebir e soprattutto dopo la Siria. Nizza, nella quale non mancavano manifestazioni di lealtà da parte di pétainisti ed attività clandestine di gollisti, rimaneva nel mirino della politica fascista ma non nelle forme che gli esponenti dei Gruppi di Azione Nizzarda o GAN avevano inaugurato e che erano state censurate duramente nel gennaio 1941 con l'arresto avvenuto a Nizza di due esponenti della stessa organizzazione e con il loro rimpatrio disposto direttamente dalla presidenza della CIAF. Il movimento stesso fu dichiarato dalle autorità di Torino come non in armonia con la linea politica voluta dal Duce e pericoloso sia nei suoi esponenti sia nei suoi metodi poco ortodossi. Sul piano locale nizzardo le note dei servizi d'informazione italiani ne descrissero i capi come poco raccomandabili e spesso dediti ad attività speculative per lo piu illecite (mercato nero, speculazioni immobiliari e finanziarie) che nulla avevano a che fare con le attività finanziarie che il governo italiano avevano deciso di svolgere nel Nizzardo, nella Provenza e nel Principato di Monaco, ma anzi le disturbava non poco. Sul piano interno italiano, la questione di Nizza e l'azione dei GAN parevano invece continuare attraverso la stampa a Roma e la diffusione nel paese del periodico «Il Nizzardo», animato da molti esponenti del fascismo e sopratutto dal gen. Ezio Garibaldi che richiese direttamente al duce di attuare in qualche modo una politica per Nizza in armonia con gli obiettivi veri della guerra. L'unico spunto pratico che Garibaldi propose al Duce fu la nomina di un proprio rappresentante in seno alla CIAF, ma su questo punto Mussolini parve incerto e preferf rinviare il tutto al presidente della CIAF. E fu in questo quadro (rivendicazionismo di Garibaldi, attendismo del Duce e tentennamenti della CIAF) che avvenne il 18 maggio 1941 a Roma un colloquio tra il presidente della
(49) Si vedano le conclusioni dei rapporti dell'arom. Duplat del 13 febbraio 1941, del I 4 e del 28 marzo tutte dominate da questi temi di crisi, in DFCIA, I, p. 80.
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CIAF gen. Grossi ed Ezio Garibaldi, al quale seguirono altri, sempre sullo stesso argomento, a Torino. I risultati di questi colloqui furono incerti ed equivoci: da una parte il gen. Garibaldi rinunciava al progetto di avere un proprio rappresentante nella CIAF, dall'altra il gen. Grossi incaricava una persona di fiducia delle due parti, il ten. col. Gino Bandini, di svolgere nel Nizzardo l'azione desiderata dal Garibaldi, sempre in accordo con le supreme autorità della CIAF. Senonché le contraddizioni non erano risolte, perché mentre il Bandini si recava a Nizza e colà si dava ad organizzare «gli elementi italiani in centurie e squadre atte ad essere adoperate se, quando e come sarebbe occorso, legandoli intanto ad una disciplina che impedisse ogni iniziativa singola e non controllata», la CIAF ne ostacolava le attività. Non mancò neppure un intervento personale del Capo di Stato Maggiore, generale Ugo Cavallero, il quale con una lettera privata al gen. Vacca Maggiolini toglieva allo stesso Bandini ogni importanza. Raccomandava infatti Cavallero a Vacca Maggiolini di non ritenere valide le credenziali dell'attivista nominato dal gen. Grossi, e ne dava il piu ampio riferimento: «Ho conferito col Duce in merito a quanto tu mi scrivi con la lettera del 19 corrente circa l'attività del ten. col. Bandini. Non è esatto quanto ti è stato rappresentato, e perciò è bene che l'attività che ti è stata prospettata venga lasciata cadere. Quanto al ten. col. sarebbe opportuno non stabilire con lui alcun legame ... ». Successivamente le cose non migliorarono di certo (SO}. Le autorità locali della CIAF si mostrarono recisamente contrarie a qualsiasi organizzazione di italiani, reputandola pericolosa e dannosa. Anzi il Console generale a Nizza, Quinto Mazzolini, giunse a vietare esplicitamente agli italiani del Nizzardo con il chiaro appoggio delle autorità supreme delle CIAF di aderire a qualsiasi movimento di carattere irredentistico. La situazione si ingarbugliò ulteriormente allorquando il gen. Garibaldi fu nuovamente ricevuto dal Duce, 1'1 1 settembre 1941, ed ebbe da questi piena adesione alle sue tesi rivendicazionistiche. Al gen. Vacca Maggiolini, subentrato nel frattempo alla presi-
(50) Questione: Azione Nizzarda, relazione del 20 settembre 1941, dell'inviato personale del presidente della CIAF, cap. Umbeno Fabbri, il quale invocava un intervento chiarificatore da parte della suprema autorità del regime, cioè Mussolini in persona: «Di fronte a questo persistente divario ed ai gravi inconvenienti che ne derivano, sia in vista degli interessi del nostro Paese che dell'autorità e del prestigio della CIAF (della cui copenura fruisce il ten. col. Bandini), appare necessario che le direttive al riguardo siano definitivamente fissate e comunicate ad entrambi, il gen. Garibaldi ed il gen. Mazzolini (sic, si tratta di un errore: il console generale Quinto Mazzolini oppure generale Vacca Maggiolini?), se possibile personalmente dal Duce». Come si vede nel prosieguo del testo anche questa raccomandazione giungeva superflua e tardiva, poiché fm dall'll settembre l'incontro con iJ Duce era avvenuto, ma senza gli sperati risultati di chiarimento.
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denza della CIAF, la questione tornò nelle sue dimensioni di crisi tra un delegato di Garibaldi a Nizza, il Bandiru, e le autorità italiane della CIAF locale che insistevano sulla necessità di non consentire a costui di svolgere alcuna attività parallela a quella decisa e voluta da Torino (5 1>. L'impasse pareva di non facile soluzione, e di fronte a questa situazione la presidenza della CIAF parve orientarsi verso un intervento «chiarificatore» dello stesso Duce chiamato a decidere una volta per tutte le vere scelte del governo. Non risulta però che questo intervento chiarificatore vi sia stato: si può solo costatare che la CIAF potè proseguire la propria politica nel Nizzardo senza grandi crisi con i GAN che parvero in caduta di peso e di importanza presso le autorità italiane, le quali assai presto si resero realmente conto dei veri interessi di queste rivendicazioni e degli interessi per lo piu personali perseguiti dai massimi esponenti dei GAN. Non si creda però che neppure questa crisi con tutti questi protagonisti si possa ritenere chiusa con una simile annotazione: le diatribe anche violente (52) proseguirono segnando or l'una or l'altra «vittoria» presso le supreme autorità romane senza tuttavia sconfiggere mai nessuna della tesi in presenza e, cosa assai piu grave, senza apportare mai alcuna luce sulle scelte «definitive dell'Italia». L'intera storia della rivendicazione sul Nizzardo è fatta di queste visioni contrastanti e la CIAF, naturalmente, non potè dirimere questioni che, in fondo erano un poco al margine del proprio mandato. Il problema del confine occidentale dell'Italia venne evocato fin dall'agosto 1940 con un proposto nuovo tracciato che giungeva fino al fiume Varo, ma pur comprendeva Antibo con rettifiche sostanziose della frontiera alpina fino al Monte Bianco. A questo primo progetto se ne aggiunse un altro del sen. Salata, il maggior esperto in fatto di rivendicazioni e direttore presso l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale di Milano di una speciale collana ad esse dedicate («Interessi e naturali aspirazioni del popolo itaJiano»), che ripeteva la sostanza del primo progetto ma vi aggiungeva il diretto domiruo sul principato di Monaco. Lo studio specifico del Ministero
(5 l) Nella diatriba intervennero anche le strutture della polizia segreta italiana che denunciarono alla CIAF il Bandini come «vecchio notabile massone, già vice sindaco di Roma prima del '22 .. . ritenuto antifascista ... attivamente vigilato ... con attività misteriose nel Nizzardo ... ecc.». Pro-memoria del cap. L. Gatti alla presidenza della CIAF, 18 ottobre 1941, in USSME-CIAF. (52) Valga l'episodio della partenza da Nizza del console Mazzolini il quale, nominato ad altra sede, ricevette all'Hotel Conùnental dove alloggiava una corona monuaria dai GAN ed altri membri del Consolato dei biglietti di partecipazione del «siluramento» del Console con la minaccia scritta di «Ricorderemo!». Testimonianza di G. RAMPELLO cit. da J. L. Panicacci, L"occupazione italiana nelle Alpi Marittime, in «Notiziario dell'lstituto Storico della Resistenza di Cuneo», giugno 1978, p. 7-35.
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degli Affari Esteri si rifaceva pìu volentieri all'antico tracciato della Contea di Nizza, mentre il Ministero dell'Aeronautica mitigava ogni entusiasmo affermando che «il possesso o meno della Contea di Nizza non aveva rilevante importanza per l'aeronautica . .. ». Anche per l'uso di questo territorio le posizioni apparivano diversificate. Per qualcuno si trattava banalmente di estendere la sovranità italiana senza attribuire a questo allargamento un particolare significato quanto al fine da realizzare. Per altri invece si trattava di «fare di Nizza un centro di superiore eleganza, una specie di salone dell'Europa . .. e vincere la concorrenza di Cannes», «fare di Nizza un grande centro cinematografico, una specie di Hollywood dell'Europa ... », e quindi «assicurare un degno quadro urbanistico alle manifestazioni di arte e di eleganza di cui Nizza dovrebbe essere la sede». E dopo tutte queste realizzazioni, l'apoteosi politica non poteva mancare: «cosi rinnovata, spiritualmente e materialmente Nizza potrà divenire nell'ambito del risorto Impero di Roma il centro delle correnti turistiche europee e la prima stazione climatica d'Europa ... »C53). Non tutti ovviamente concordavano in questa visione turistico-mondana ed anzi per qualcuno Nizza piu il minuscolo ma simbolico territorio di Monaco con il famigerato Casinò doveva essere al centro di profondi rinnovamenti: « . .. ma tutto questo mondo di godimento e di sperpero, di lusso e di vizio non può essere destinato a sopravvivere alla attuale grande crisi purificatrice della vita europea. Nizza redenta ritornerà ... ad essere asilo di pace e di semplicità quale fu ai suoi tempi beati ... » (54) . Come si vede da questi pochi cenni che riecheggiano nell'ambito della CIAF le diatribe sulle rivendicazioni, dall'epoca della «vittoria mutilata» fin al discorso di Ciano del 30 novembre 1938, avevano reso cosi fluido ed equivoco la stessa natura delle rivendicazioni. Concretamente, di fronte alla modestia ed alle incertezze dei propositi tutti furono colpiti: gli uomini del GAN discriminati e perseguitati e lo stesso gen. Garibaldi bloccato in ogni suo proposito irredentistico. Egli, peraltro, non si confessò di certo battuto da queste difficoltà né da queste esigenze diplomatiche della CIAF alle quali tuttavia dovette arrendersi, ma prosegui la sua azione su «II Nizzardo» meditando quella
(53) Le citazioni sono tratte dal rappono Nizza (s.d. ma inizio 1941) a cura della presidenza della CIAF aJ quale va collegato il rappono segreto o. 896 del console generale Silvio Camerani della Prima Sezione di Controllo della CIAF di Nizza, del 31 ottobre 1940 al Gabinetto Affari Politici del MAE, sulla Situazione a Nizza. In questo rapporto tra l'altro viene evocato ampiamente il problema dell'atteggiamento del clero di Nizza in generale e del vescovo Paul Rémood in particolare a proposito degli intenti italiani. (54) Rapporto del console generale Silvio Camerani, cit., p. 4.
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che sarà la sua ultima proposta che farà oltre un anno dopo, e cioè larinascita pura e semplice di una <<Contea di Nizza» autonoma sia dall'Italia che dalla Francia. Quanto alla CIAF ed alla questione di Nizza, essa attraverso i suoi organi di controllo continuò ad occuparsi, in veste quasi platonica, di una eventuale realizzazione del trapasso di sovranità ed in questa sua attività seguf con particolare attenzione le mosse del vescovo di Nizza mons. Paul Rémond e del clero nizzardo. Costui era nel mirino della CIAF a causa delle sue note posizioni antiitaliane che ne facevano un po' il centro ideale di raccolta delle opposizioni e degli stessi gollisti. In genere questi rapporti della CIAF sulla figura e sulle attività del vescovo di Nizza sono interessanti anche perché illustrano meglio di ogni posizione dichiarata le reali difficoltà ad imporre al paese nizzardo l'idea di un rattachement all'Italia, idea che appariva semmai legata ad impossibili tornaconti. In uno dei primi rapporti su mons. Rémond e sull'ambiente locale, quello di Silvio Camerani del 31 ottobre 1940 per esempio, ci si lanciava, forse anche per compiacere il regime in una serie di attacchi contro i «borghesi nizzardi» insistendo sulla «differenza tra gli Italiani di Mussolini e questa gente che per la propria pigrizia morale non si è accorta di ciò che è divenuto il nostro Paese in 19 anni di Rivoluzione Fascista». In questo quadro si poteva solo deprecare costoro anche quando parevano orientarsi verso una certa autonomia dalla Francia: « ... Vi si può scorgere un indice chiaro della mentalità di questi borghesi nizzardi .. . ai quali solo può essere venuto in mente l'idea di una restaurazione della Contea di Nizza, riunita alla Corona come il Reame d'Albania, quasi che attualmente Nizza non facesse parte puramente e semplicemente di un Dipartimento francese. Si vorrebbe - a scopo bottegaio - creare un altro Principato di Monaco, un territorio retto da speciali leggi, un po' diverso insomma dal resto dell'Italia fascista, dove potesse ancora trovare ricetto la clientela "interlope" in gran parte israelita, che fino ad ieri assicurava il facile benessere della popolazione nizzarda .. . Questi borghesi nizzardi (che si affretterebbero a chiedere la tessera del Partito se vedessero luccicare sulle pendici del Monte Boron le lance di Nizza Cavalleria) sono gli stessi che ieri ripetevano con compiacenza che il sindaco Médecin aveva telegrafato da Vichy, assicurando che Nizza sarebbe sempre rimasta francese. Vi è da temere che in 80 anni di Governo democratico ogni virtu italiana si sia spenta (per quelli che non osarono optare per l'Italia) nella morta gora de11'affarismo, di quell'affarismo ebraico che aveva trasformato queste sponde in un'immensa Luna Park per sfruttarvi la clientela generosa degli ultimi boiardi russi, dei marajà indiani e dei re dell'industria del nuovo mondo».
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In questo quadro la descrizione del vescovo non mancava di colore: «Mons. Rémond è un fatuo che sperava di ottenere il cappello cardinalizio col Congresso Eucaristico che doveva aver luogo lo scorso settembre. Quando la guerra rese impossibile questa grandiosa adunata di cattolici ritenne utile scendere dal pergamo e ricordandosi di essere stato un brillante ufficiale di recarsi nei campi e nelle caserme. Infatuatosi secondo il suo costume di questa sua nuova missione, dimenticò di portare le scarpette a fibbie d'argento e batté i talloni per far tintinnare degli immaginari speroni. Si rese cosf ridicolo ancor prima che la disfatta facesse apparire pietose le rodomontate dei vari bellicisti di Francia ... Comunque è fuor di dubbio che Mons. Rémond non potrebbe essere Vescovo in una Nizza italiana ... ». Lo stesso Camerani dovette, un po' piu tardi rinnovare, su richiesta della stessa CIAF le proprie osservazioni sul vescovo, sul clero e sul mondo, cattolico e no, del nizzardo, e lo fece in un rapporto segreto del 26 marzo 1941. Le conclusioni del nuovo rapporto confermarono i giudizi del primo rapporto che le varie celebrazioni «religiose» fatte a cura del Vescovo, prima tra queste quella di Santa Giovanna D'Arco, avevano rafforzate. Non a caso da Radio-Londra, e la cosa fu notata alla CIAF, il nizzardo gollista René Cassin aveva sottolineato l'importanza della «lezione» che era stata data, l'll novembre 1940, dai francesi ai vincitori fascisti con le grandiose celebrazioni di Giovanna D'Arco, manifestazione che valse «alla sua municipalità, come in Savoia a quella di Chamonix, l'onore di essere sciolta ... » (55>. In un terzo rapporto, del 21 aprile 1941, si mitigava ulteriormente l'idea che il rapporto poteva avere dato a proposito di parte del clero nizzardo «italofùo», rivedendo in sostanza il significato di fondo di questa qualifica: «I preti non italofobi sono quelli che non seguono supinamente il partito del Vescovo, che è il vessillifero dell'antitalianità del clero nizzardo, e il loro atteggiamento di benevola neutralità nei nostri riguardi è forse piu ispirato a una malcelata velleità di opposizione ... costituzionale, che ad un sentimento di vera simpatia per il nostro paese. Tutte le dimostrazioni italofile dei Nizzardi devono essere accolte cum grano salis, e in questi sacerdoti non apertamente nemici noi dobbiamo vedere degli indifferenti ed eventualmente degli opportunisti».
(55) H. RICOLA, Garibaldi, citoye11 du monde, trad. ital., Novara, 1st. Geografico De Agostini, 1948, p. 144. Si veda la relazione completa della CIAF su Mons. Rt!mond nel doc. n. 19 nel secondo Tomo della presente opera.
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Proprio alla luce di queste considerazioni, la CIAF preferi potenziare l'azione piu culturale dell'Istituto di Studi Liguri di Bordighera, il cui presidente Nino Lamboglia si dava molto da fare anche nella sua veste di direttore dell'Ufficio di cultura e propaganda mentonasca, creato dalle autorità italiane di Mentone per diffondere ideali annessionistici. D'intesa con la «Dante Alighieri» di Nizza, ricostituita dopo il conflitto, l'Istituto organizzava a Mentone ed anche a Nizza incontri e conferenze allo scopo di «créer ]es instruments d'une ceuvre systématique de pénétration spirituelle dans la région, en vue de son rattachement culture! à l'ltalie fasciste» <56).
(56) P. MOLINARI, J. L. PANICACCI, Menton dans la rourmenre, Mentone, Annales de la Société d'Art et d'Histoire du Mentonnais, 1984, 2 1 edizione, p. 58 che cita anche L. CAPERANMORENO, Histoire de la population mentonnaise, Mentone, s.e., 1981, p. 121.
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Il punto di vista di Mussolini
Proprio mentre l'insieme di queste questioni rivendicative pareva rimettere in moto una vecchia politica da parte dell'Italia e, nel contempo, una politica di nuova «apertura» verso Vichy faceva di tanto in tanto capolino nelle tormentate relazioni tra la Francia e l'Asse, la CIAF subiva il suo terzo mutamento al vertice. Dopo la morte del gen. Pietro Pintor, caduto nei pressi di Acqui in incidente di volo il 7 dicembre 1940, decedeva il 16 giugno 1941, improvvisamente a Torino, il suo successore gen. Camillo Grossi; l'indomani il Duce chiamava a presiedere la CIAF il gen. designato d'Armata Arturo Vacca Maggiolini. La comparsa di questo terzo Presidente riveste un'importanza notevole nell'ambito della storia della CIAF ed in quello che piu ci interessa dei rapporti tra l'Italia vittoriosa e la Francia di Vichy per la natura estremamente logica e attenta della sua gestione che doveva durare fino alla tragica vicenda del settembre 1943. Un altro aspetto positivo della presidenza Vacca Maggiolini fu quello di avere, unico tra i tre presidenti, avuto una costante dimestichezza con il Duce che lo gratificò di costanti «colloqui», i quali si rivelano oggi estremamente interessanti sia nella loro sostanza di colloqui estemporanei, sia nella sequenza spesso ravvicinata con gli eventi e i loro mutamenti. Giunto al vertice della ClAF il 18 giugno 1941 (57), il nuovo presidente fece pervenire a Mussolini in data 9 luglio una relazione complessiva dal titolo «Esame della situazione francese» nella quale si ponevano in evidenza le difficoltà politiche di un siffatto rapporto con Vichy ed alla luce dei mutamenti avvenuti dall'epoca della firma dell'armistizio di Villa Incisa i problemi connessi a quello che doveva essere l'unico e banale compito della CIAF, cioè gestire la fase armistiziale. In teoria, alla fine di giugno 1940 la situazione poteva essere vista senza grossi turbamenti nei confronti di ciò
(57) Si veda il testo dell'ordinanza cli nomina del gen. A. Vacca Maggiolini a presidente della CIAF che è riportato quale Documento n. 22 nel Torno secondo della presente opera.
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che si aveva avuto in mente di realizzare con la decisione del 1O giugno, ma i mesi successivi alla creazione della CIAF avevano ampiamente dimostrato che una tale visione statica dei rapporti tra vinti e vincitori non poteva piu regolare con assoluta certezza, né i rapporti con la Francia, complicatisi con le vicende d'oltremare, né l'attività degli organi della CIAF che mal si adattavano a questa visione dinamica e politica di un'azione che si era impostata negli angusti limiti della realizzazione di dettati armistizialì. Oltre tutto, un elemento che si era rivelato trainante in questa vicenda superava l'ambito italiano e come tale appariva di incerto significato: la politica tedesca verso la Francia condizionava certo la politica dell'Italia verso la stessa Francia, ma il ruolo sia verso la Francia (le occupazioni soprattutto, gigantesca quella tedesca, minuscola quella italiana) sia nel conflitto in generale, avevano messo a dura prova il concetto stesso dell'Asse e dell'uniformità di una sua espressione politica concreta. Il primo colloquio che il neo presidente ebbe con il Duce avvenne il 12 luglio 1941, alla presenza del Capo di Stato Maggiore gen. Cavallero, e gli appunti su di esso che conservò il gen. Vacca Maggiolini ci appaiono preziosi per meglio definire, dal vertice questa volta, le idee dell'Italia nei confronti della Francia. Esse appaiono però dominate dal desiderio di Mussolini di ribadire ai suoi interlocutori, e quasi a se stesso, che «il contegno e le intenzioni del Ftihrer verso la Francia e verso di noi» fossero rimaste in perfetta armonia con le attese e le speranze del governo italiano (58) . L'intera politica di apertura verso i francesi che le autorità della CIAF e particolarmente il gen. Vacca Maggiolini paventavano come novità perniciose, venivano spiegate e giustificate dal Duce quali «necessità contingenti» che avevano indotto il dittatore germanico «a mantenere col governo di Vichy un atteggiamento conciliante», ma egli assicurava che si trattava del frutto «di semplice necessità contingente». E subito dopo il Duce ribadiva la sua doppia ossessione: da una parte mantenere verso la Francia una politica rivendicativa dura, e dall'altra sottolineare l'accordo con l'a!Jeato sul progetto del Nuovo Ordine Europeo e Mondiale che veniva visto piu come separazione del mondo futuro in due sfere d'influenza, quella italiana e quella germanica, che come un tutto armonico. La minaccia del Duce verso la Francia, e quindi il senso ultimo da dare alla politica della CIAF nei confronti dei francesi, non appariva dubbio nel testo del verbale del colloquio.
(58) Si veda il testo integrale del colloquio del 12 luglio 1941 tra il Duce e il gen. Vacca Maggiolini riportato quale Documento n. 24 nel Tomo secondo della presente opera.
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Ribadiva il Duce al presidente della CIAF: « ... a guerra finita la Francia dovrà pagare duramente lo scotto della sua politica tenacemente e costantemente ostile alla Germania ed all'Italia. Se la Francia ritiene di potersi rifare ora, a buon mercato, una verginità, si sbaglia di grosso!. .. ». Quanto all'altro aspetto, quello relativo ai rapporti con l'alleata Germania, le parole del Duce appaiono piu un auspicio che una sicurezza: «Non v'è da dubitare della lealtà del Fiihrer il quale - anche nel suo ultimo incontro al Brennero - ha fatto notare sul posto l'evidenza delle forme geografiche che al Brennero separano nettamente il mondo tedesco da quello latino. Eventuali atteggiamenti particolari di singoli individui non contano e non devono perciò impressionarci». Il primo testo di resoconto di questo primo ed importante incontro che fu redatto dal gen. Vacca Maggiolini si concludeva con un solo altro punto, quello relativo ai rapporti che esistevano tra gli ufficiali della Delegazione francese a Torino, e specialmente con l'amm. Duplat, e gli ufficiali italiani, rapporti che il presidente della CIAF definiva «di cameratismo militare» di cui si trovava <<contento». Un appunto successivo del gen. Vacca Maggiolini scritto nella sua residenza-rifugio di Mombercelli d'Asti il 7 ottobre 1943, dopo lo scioglimento della stessa CIAF e dopo il collasso italiano, ricorda però a piè del documento steso all'indomani dell'incontro del 12 luglio 1941 che un altro ed assai importante argomento fu evocato in quell'incontro, ed era relativo all'applicazione dell'art. X della Convenzione d'armistizio. In cambio, da parte dell'Italia della rinuncia alla prevista «consegna in tutto od in parte delle armi collettive ... », quale garanzia dell'esecuzione dell'armistizio, si era previsto di ottenere dai francesi «un versamento di alcuni miliardi di franchi, di cui - si notava nel documento aggiunto - l'Italia aveva, a breve scadenza una necessità assoluta». L'autorizzazione del Duce a trattare su queste basi fu data, e la somma prevista in 5 miliardi di franchi. In realtà tale argomento, che dal documento della riunione appare eliminato nella prima stesura e aggiunto frettolosamente nella seconda, costituiva il centro delle preoccupazioni degli organi direttivi della CIAF in quanto sulla sua eventuale realizzazione andava ad agganciarsi l'intera filosofia della nuova fase dei rapporti con la Francia «vinta». Si trattava insomma di decidere se un certo tornaconto immediato, il disporre di una ingente somma necessaria per lo sforzo di guerra, poteva essere pretesa dalla Francia in cambio di una vera e propria rivoluzione armistiziale. Significativamente la posizione del presidente della CIAF appare piu propensa a fare apparire nei documenti anche dell'incontro con Mussolini questa rivoluzione come non avvenuta, ma in realtà sappiamo che egli ne era ben cosciente quale dura necessità. A tal punto
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che proprio alla vigilia dell'incontro con il Duce, Vacca Maggiolini si era incontrato con il gen. Cavallero, capo di S. M., dal quale aveva ricevuto l'istruzione «di cercare di ottenere dalla Francia materiali e materie prime». Inoltre il capo di S. M. Generale «approvava la linea di condotta consistente nel negoziare lo sbloccamento di materiali sotto nostro controllo e, piu in generale, la nostra rinuncia alla applicazione dell'art. X, con una apertura di credito da parte francese che ci desse appunto modo di procurarci in Francia materiali e materie prime» (59) . La posizione ultima, sia di Cavallero, sia di Vacca Maggiolini, venne chiarita dopo l'incontro con il Duce, e la rinuncia all'art. X venne posta in relazione con la tendenza alla collaborazione con la Francia nel senso che, pur non accordando a quest'ultima alcuna fiducia, era opportuno di ottenerne una certa forma di partecipazione allo sforzo bellico e specialmente la cessione di basi in Tunisia. Il discorso cos( appariva spostarsi dall'aspetto bilaterale a quello piu squisitamente strategico generale. Era l'intera strategia delle due Commissioni di armistizio con la Francia, la CIAF e le CTA, ad essere posta in discussione sullo sfondo degli immancabili rapporti da stabilirsi ancora su basi concrete, tra l'Asse e la Francia di Vichy. Le intese franco-tedesche di Parigi avevano certo dato segno di questa evoluzione, e in seguito gli incontri tra i due Presidenti delle Commissioni Armistiziali a Merano (13-15 maggio) e a Wiesbaden (28-29 maggio) avevano orientato in quella nuova direzione le attività armistiziali dell'Italia e della Germania. Ma con la crisi dei Protocolli di Parigi dovuta alle tergiversazioni francesi ed alle reticenze tedesche ed italiane, non risolte certo dalla crisi siriana, crebbero le difficoltà di percorso di una simile politica. In Francia sorsero sotto l'etichetta della salvaguardia dell'impero opposizioni nuove al programma concordato con l'Asse, senza contropartite, e non prosegui il rapporto abbozzato dei protocolli di Parigi. Nulla fu concluso per le basi tunisine e per il rafforzamento dell'Africa occidentale (Dakar); nulla fu quindi stabilito per le concessioni politiche che stavano tanto a cuore alla Francia. E notò il Vacca Maggiolini: «Terminava cosf il secondo periodo armistiziale. L'armistizio, relativamente all'applicazione delle sue clausole, segnava nel giugno 1941 il massimo della sua applicazione» (60). (59) Vedasi al riguardo l'Appunto destinato al Duce da parte del gen. Vacca Maggiolini, in data 30 settembre 1941, in USSME-CIAF, Racc. 51, fase. 1/Q. (60) È quanto affenna la Memoria sintetica sulla esecuzione dell'armistizio con la Francia (giugno 1940-gennaio 1942), redatta dalla Presidenza della CIAF, Torino, 27 gennaio 1942, p. 7, in USSME-CIAF, Racc. 50, fase. I/E.
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Era chiaro, tuttavia, che sia le esigenze crescenti della guerra combattuta in Libia, sia le aspirazioni di Vichy di presentarsi agli occhi della Francia e di ciò che rimaneva dell'Impero quale valida ed unica soluzione di salvaguardia nazionale operarono per una permanente attualità del problema dell'evoluzione-rivoluzione dei rapporti armistiziali. Per l'Asse il problema maggiore erano le difficoltà di rifornire adeguatamente lo sforzo bellico italo-tedesco in Libia manifestatesi proprio in questo periodo, con una paurosa curva delle perdite navali subite dai convogli, che andavano dal 7% in giugno per poi portarsi rapidamente a quote insostenibili: 19% in luglio, 9% in agosto, 23% in settembre, 23% in ottobre e 70% in novembre (6 1). Ed a queste esigenze si aggiungano le preoccupazioni generali per l'ordine pubblico nelle regioni nordafricane francesi, specie alla luce del dubbio atteggiamento del delegato generale di Vichy in Nord Africa, gen. Weygand, il quale pareva non perdere occasione per bloccare ogni iniziativa delle Delegazioni di armistizio o dei delegati militari italiani e germanici presenti ed operanti nel Nord Africa. Le domande che, a proposito del proprio riarmo, la Francia di Vichy avanzava nei colloqui con le Commissioni di armistizio apparvero ai due Alti Comandi dell'Asse tali da consigliare un urgente concerto tra le due Presidenze chiamate a riceverle e quindi a deciderne l'esito. Si volle cioè tentare di dare finalmente una risposta unitaria alle richieste di Vichy e sconfiggere con questa una politica che si era manifestata a chiare note in occasione della firma dei Protocolli di Parigi e che consisteva per la Francia nell'alternare le proprie richieste a seconda del destinatario, Roma o Berlino, allo scopo di ottenere di piu dalla evidente mancanza di concertazione tra i membri dell'Asse. In questa occasione invece l'accordo ci fu, e da questo vollero trarre partito le due Commissioni per legare le concessioni da farsi a controprestazioni, riflettenti particolarmente la cessione da parte della Francia di tonnellaggio mercantile neutrale all'Italia o alla Germania, la concessione delle basi tunisine per facilitare i rifomirnenti in Libia e poi anche la concessione di basi atlantiche (Dakar) per intensificare la battaglia atlantica. Proprio per meglio definire entità e tempi di questa nuova politica della CIAF e della CTA le due Presidenze delle Commissioni di armistizio decisero di riunirsi a Monaco di Baviera per il 31 luglio. Era chiaro che
(61) M. GABRIELE, La guerre des convois entre l'ltalie et l'Afrique du Nord, in La guerre en Méditerranée (1939-1945), Parigi, CNRS. 1971, p. 292. Da allora però alcuni studi fondati su ricerche sugli archivi italiani sono apparsi ma confermano queste percentuali come si vedrà successivamente a proposito degli accordi di Natale 1941 .
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le proposte di Merano e di Wiesbaden del maggio precedente avevano dato il tono generale della trattativa, ma le ingenti novità del conflitto e nell'aspetto politico dei rapporti con la Francia richiedevano nuovi colloqui. Infatti nei due precedenti colloqui le contropartite richieste alla Francia in vista di un suo parziale riarmo erano tre, ma solo una era stata, per contingenze non certo volute da Vichy, realizzata e riguardava l'utilizzazione di scali aerei francesi in Siria per assistere militarmente la guerra in Irak. Gli altri due elementi dell'accordo, e cioè l'utilizzazione dei porti francesi della Tunisia per l'avviamento di rifornimenti in Libia con il relativo acquisto di naviglio mercantile, e l'assistenza ed il rifornimento alle navi da guerra tedesche nei porti dell'AOF, non avevano avuto alcuna realizzazione. Dopo la vicenda legata al Levante l'intera gamma delle concessioni-contropartite venne rimessa in discussione dalle parti in causa. La questione dell'uso dei porti tunisini per l'invio di rifornimenti palesi o segreti, militari o non, venne affrontata nei colloqui franco-tedeschi tenuti a Parigi nei giorni 24-26 giugno e 8-10 luglio. In esse il governo francese pose in evidenza i pericoli che sarebbero derivati aderendo alle richieste dell'Asse, e presentò il 14 luglio un memorandum che conteneva una richiesta francese di una revisione radicale dei rapporti Francia-Asse compresa la questione delle rivendicazioni italiane. L'inizio delle operazioni militari tedesche contro l'URSS (21 giugno) aveva segnato una seria svolta nel quadro generale del conflitto, dando alla posizione francese un nuovo valore che peraltro non smosse le autorità dell'Asse da una posizione che si può definire di dura applicazione dei vecchi accordi con la Francia. Pertanto la posizione germanica di fronte alle richieste francesi rivolte direttamente al governo di Berlino fu chiara, e anche a nome del governo italiano venne deciso: - di non ammettere che l'esecuzione degli accordi militari raggiunti e sanciti nei Protocolli di Parigi fosse rimessa in discussione e tanto meno subordinata alla soluzione di nuovi e piu ampi problemi politici; - di condurre a termine al piu presto le trattative per l'applicazione di tali accordi militari ed in particolare per l'immediato inizio dei trasporti in Tunisia. Tale decisione era stata già comunicata alla Delegazione francese di Wiesbaden dalla CTA, precisando che: 1) si attendeva da parte francese il reale adempimento degli impegni militari assunti nei Protocolli di Parigi; 2) le potenze dell'Asse ritenevano di avere «generosamente» soddisfatto le numerose ed importanti richieste francesi;
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3) la Germania, qualora da parte francese si fosse insistito nell'intendimento di subordinare ad altre richieste le sue promesse, avrebbe ripreso in esame il proprio atteggiamento, ritirando magari le agevolazioni promesse a titolo di compenso; 4) nel frattempo le due Commissioni armistiziali dell'Asse decidevano di rinviare ogni decisione su una serie di richieste francesi fino a quando da parte francese non sarebbe stato autorizzato l'uso delle basi tunisine ed anche atlantiche. In questo spirito la CIAF, ad opera del suo presidente, precisava in uno speciale Memorandum le basi delle concessioni da negoziare con la Francia trasmettendo ai propri organi il testo di queste proposte, decidendo, in ogni caso, d'intesa con la CTA, in attesa dell'incontro di Monaco di Baviera, alcune misure immediate e cioè: «- di non arrestare le misure che valessero ad elevare la capacità difensiva del Nord Africa e dell'AOF; l'eventualità di un attacco angloamericano di quei territori e specialmente dell'AOF era da considerare come possibile ed occorreva quindi farvi pervenire i mezzi di difesa necessari prima che si determinasse uno stato di belligeranza che arrestasse i rifornimenti marittimi extra-mediterranei; - di porre il fermo, fino a nuovo avviso, alla risoluzione di tutte le richieste che non rispondessero allo scopo di cui sopra» (62). Tutt'una serie di concessioni già accordate vennero cosf riconfermate nei tre settori geografici interessati (Nord Africa, Africa Occidentale Francese e Madrepatria) mentre venivano tenute in sospeso in attesa delle decisioni di Monaco un'altra serie importante di richieste francesi tra le quali: il trasporto in Nord Africa delle truppe rientrate dal Levante; la riorganizzazione dell'esercito transitorio in Nord Africa; l'aumento delle forze di polizia in Nord Africa; i rinforzi per la marina; la costituzione di nuove unità aeree; i rinforzi della difesa contraerea; la costruzione di màteriale bellico (63).
(62) Concessioni alla Francia, memorandum del gen. A. Vacca Maggiolini a tutte le Sottocommissioni della CIAF, 30 luglio 1941, p. 3; in USSME-CIAF, Racc. 3, fase. 3. (63) Si trattava soprattutto di reinserire nel grosso dell'esercito francese le truppe rientrate dalla Siria e nel contempo di rafforzare le difese minime necessarie delle vie marittime di comunicazioni, dei porti e degl i aeroporti francesi senza mettere a repentaglio la sicurezza militare generale anche in vista del notevole aumento in Nord Africa ed in Africa occidentale delle pressioni della diss idenza gollista sugli stessi membri dell'esercito transitorio, che appariva per molti motivi assai infido alle commissioni armistiziali italo-tedesche.
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L'intero processo di creazione del cosiddetto esercito di transizione a disposizione del governo di Vichy veniva messo in forse da queste decisioni, che trovarono da parte germanica un analogo blocco . Oggi noi sappiamo dai documenti francesi del movimento di resistenza clandestina nei ranghi di quell'esercito transitorio che si organizzava una sistematica sottrazione e mascheramento sotto aspetti legali (camouflage) di ingenti partite di materiale militare allo scopo di preparare la rivincita sull'Asse. Uno speciale centro, il COM o Camouflage des Matériels, venne addirittura creato e diede risultati non trascurabili. Secondo uno studio serio e recente, fin dall'aprile 1941 risultava sottratto ad ogni controllo italo-tedesco il seguente materiale bellico: soixante cinq mille armes individuelles; dix mille armes collectives; quatte cents bouches à feu, dont cinquante cinq canons de 75 mm; mille tonnes de munitions d'infanterie; cent cinquante mille grenades; dix mille coups de 75 mm.
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En ce qui concerne le véhicules automobiles, leur camouflage est assuré par la remise, tout à fait legale, des matériels roulants qui leur seraient nécessaires à des sociétés de transport, charge à elles de les maintenir en état de marche et de les tenir secrètement à la disposition de l'Armée. Ces sociétes sont, pour la plupart, déjà connues de l'Etat-Major et celle dont le nom va passerà l'histoire est «les Rapides du Littoral», de la 15ème Région Militaire. C'est ainsi que sont dispersés dans dixhuit sociétés conventionnées les huit mille véhicules nécessaires au ttansport de quatte vingt miJle hommes. Comme d'autres véhicules sont placés auprès de la SNCF, des Ponts et Chaussées et des Eaux et Forèts, c'est un total de quinze mille véhicules (dont trois mille cinq cents voitures légères et cinq cents tracteurs) qui sont camouflés, avec les rechanges et lubrifiant en proportion» <64l.
(64) J. M. VERNET, L'Armée d'Armisrice 1940-42. Une petite armée pour une grande revanclze?, Parigi, Service Historique, Etat-Major de l'Armée de terre, 1983, p. 10. Sull'intero problema dei depositi clandestini vedasi piu avanti la tabella dei depositi scoperti, specie tra la fine del I 942 e l'inizio del 1943. Se ne parlerà piu diffusamente quando il fenomeno dell'occultamento di materiale bellico diventerà un problema grave per la CIAF come per la CTA. Interessante peraltro che fin dal novembre 1940 questi accantonamenti potevano essere di notevole importanza quali il sequestro di ben 8 carri armati da 37 tonn. rinvenuti a Les Baux. Sulle vicende specifiche e sull'intero problema non mancano gli studi francesi tra i quali A. DE DAlNVtUE. l 'ora. la résistance de l'armée. guerre 1939-45, Parigi, Lavauzelle, 1974; una relazione sui servizi segreti dell'esercito
I - L'arrivo a Roma della delegazione francese (su aereo gennanico)
2 - Lo sbarco deU'amb. L. Noel seguito daU'amm. Darlan
3 • A Villa Incisa, il mar. Badoglio legge il Lesto del traLtato alla delega,fone francese (alla sua sinistra il ministro Ciano, di fronte l'amm. Darlan )
4 - A Villa Incisa: seduta di lavoro
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5 - La partenza da Roma delJa delegazione francese (su aereo francese)
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7 - Soprall uogo del gen. Vacca Maggiolin i nel territorio occupato di Monginevro (colla Marchesa Saporiti, moglie del Commissario civile)
9 · La smilitariu.azione della linea del Mareth: postazione anticarro e ostacolo anticarro in via di demoLizione
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• 10 e li - Recupero di un pezw francese da 138 M dalla batteria costiera di El Hannora, al confine libi co-tunisino
13 · L'orazione funebre in memoria di Pietro Pintor
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14 • Il presidente della CIAF ed il pres idente della CTA al convegno di Gardone Riviera del 12seuembre 1941
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15 - L'incontro di Torino del Natale 1941: l'arrivo del min. Ciano e del min. Lavai
I 6 • L'inconLro di Torino del Natale 1941: la presentazione al min. Ciano della Delegazione francese (dietro Ciano il gen. Vacca Maggiolini)
17 • Il presidente della ClAF ed il presidente della CTA al convegno di Monaco dçl 2 seltembre 1942
18 - Visita delle due presidenze della CIAF e della CTA nel Nord Africa: l'incontro del gen. Vacca Maggiolini con l'amm. Darlan ad Algeri (25 ottobre 1942)
19 - id. La visita a Costantina al monumento ai Caduti
20 - id. La visita a Biserta (2 novembre 1942)
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Sono cifre impressionanti, tenuto anche conto del fatto che questi accantonamenti di materiali rispondevano a precisi piani di mobmtazione e di propositi di grande revanche che a quasi tutti i livelli l'Armée d'armistice elaborò con costanza malgrado gli orientamenti prevalenti a Vichy e malgrado il rinvenimento, e il sequestro, da parte delle Commissioni armistiziali dell'Asse di ingenti partite di materiale occultato durante l'intero periodo armistiziale ed anche nel periodo iniziale. Non certo per risolvere questi problemi, che allora apparivano ancora sullo sfondo opaco delle attività delle due Commissioni armistiziali, bensf per impostare i particolari della «svolta» nelle relazioni AsseFrancia di Vichy e coordinare meglio di come lo si era fatto a Parigi, le azioni comuni, avvennero gli incontri di Monaco di Baviera. Fra il 31 luglio ed il 2 agosto le due Commissioni tennero, a livello delle presidenze, una serie di riunioni comuni durante le quali il presidente italiano Vacca Maggiolini e quello tedesco Voegl parvero dare alle due politiche una omogeneità fino ad allora assai incerta. Dopo la nota francese del 14 luglio, alla quale già si è fatto cenno quale elemento dirompente degli accordi di Parigi e prova dell'acuirsi dell'intransigenza francese, si faceva luce un'analoga intransigenza tedesca in conseguenza della quale si faceva muro davanti alle richieste di Vichy. Pareva quasi che Berlino, dopo aver giocato la carta Abetz e tentata invano la via della «generosa» apertura verso la Francia in omaggio al Nuovo Ordine Europeo, si fosse convinta che, con i francesi, nulla vi fosse piu da sperare per indurli a collaborare con l'Asse per vincere la guerra, e quindi avesse deciso di chiudere ogni evoluzione politica della collaborazione. Per quanto riguardava l'Italia, dopo il colloquio con il Duce del luglio, i propositi «distensivi» di Vacca Maggiolini emersero in occasione del convegno, richiamando nuovamente la sua attenzione in tono critico verso l'irrigidimento tedesco nei confronti di Vichy. Forse non era ancora la convinzione assoluta, ma vi era un «fortissimo dubbio» che la Germania fosse in errore allorché, essendosi dapprima avviata decisamente verso la via della collaborazione anche attraverso la ben nota «politica francese» di Otto Abetz, decidesse al primo intoppo di arrestarsi quasi a metà strada «con una di quelle soluzioni francese di Vichy nelle memorie di P. PAILLOLE, Services spéciaux 1935-1945, 2 tomi, Parigi, Famol, 1978. La lotta tra questi servizi clandestinio e le commissioni di armistizio è iniensa. Paillole dichiara che nel periodo che va dal luglio 1940 al febbraio 1941, ben 78 agenti furono arrestati ed eliminati: 6 al servizio degli italiani, 4 del servizio segreto spagnolo e 68 del servizio tedesco. Principale loro compito era di ricercare i depositi clandestini di armi, di sorvegliare gli uomini dell'esercito dell'armistizio, ecc. (op. cit., Tomo I, p. 353).
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medie che non accontentano nessuno e nulla risolvono» (65). La realtà della crisi dei rapporti tra Asse e Vichy, e specialmente tra Germania e Vichy, risiedeva nella nuova situazione che si era creata, vera impasse che poneva da una parte alla Francia limiti ristrettissimi previsti nei due armistizi, mentre dall'altra coinvolgeva il governo di Vichy in una politica «nuova» che avrebbe dovuto dare a questi un vero status di alleato di pieno diritto. Infatti se la Francia era, con le sue risorse, ritenuta indispensabile per condurre a termine vittoriosamente la lotta contro gli anglo-sassoni; se i suoi porti tunisini occorrevano all'Asse per poter stroncare l'urto inglese in Cirenaica e costituivano condizione sine qua. non per un'eventuale offensiva verso Suez; se- come era altrettanto vero - il liberare l'Asse da ogni preoccupazione verso la Francia e, specialmente, verso l'Africa del Nord migliorava enormemente la sua situazione strategica e le disponibilità delle sue forze; se perciò Roma e Berlino dovevano sostenere il governo di Vichy sino a procurare di tutelarne, anzi di accrescerne il prestigio, cosicché fosse in grado di convincere e di dominare un'opinione pubblica che, fino ad allora, era nella sua maggioranza favorevole al gollismo, era ovvio che apparisse «logica», agli occhi del presidente della CIAF, la richiesta di Vichy di uscire dall' assurda situazione politica e militare per cui la Francia era, in pari tempo, ufficialmente nemica vinta dall'Asse, gravata da un rigoroso e pesante regime armistiziale, ma anche quasi-alleata, tanto da combattere lo stesso avversario, sia pure in speciali teatri operativi e per limitati periodi di tempo (da Mers el-Kebir alla Siria), da cedere porti e basi indocinesi all'alleato Giappone e da entrare in discussione con l'Asse per la cessione di porti e di basi della Tunisia. Le conclusioni dell'analisi del gen. Vacca Maggiolini erano abbastanza nuove e segnano, nella storia della CIAF, una svolta ancor prima che tale svolta si imponesse a Berlino o alla CTA. Che fosse tempo di rivedere su basi del tutto rinnovate i rapporti con Vichy era ormai abbastanza noto a tutti, ma che fosse dichiarato palesemente che gli accordi del giugno 1940 di Rethondes e di Villa Incisa non avessero piu alcun valore politico era veramente cosa nuova e rivoluzionaria. Ed in questo spirito il presidente della CIAF non esitava a scrivere al Duce, il 13 agosto: «La verità è che la Convenzione, conclusa nel giugno 1940, non regge ormai piu». Ed a spiegare: «Due principali ragioni ne sono la causa: (65) Memoria del presidente al Duce sulla politica francese, 13 agosto 1941, in USSMECIAF, Racc. 51, fase. 1(2.
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1) Studiata e concretata per vivere qualche settimana, e perciò come regime momentaneo le cui manchevolezze avrebbero trovato rimedio nella sua stessa breve durata, la Convenzione di Armistizio è invece ormai in vigore da piu di un anno e nessuno può dire quanto altro tempo potrà durare. Si è perciò stati costretti - e lo si è ognj giorno di piu - a modificarla; a rinunciare all'applicazione di talune prescrizioni (per es.: quella che vietava alla flotta mercantile francese di navigare, talché ormai la Francia sarebbe morta di fame e noi stessi ne avremmo risentito dannosissime conseguenze: pei fosfati, per non dire altro); a cercare, in altri casi, di estendere nel tempo prescrizioni che nell'armistizio avevano invece carattere di imposizione momentanea (per es., noi vorremmo, sulla base dell'articolo che esigeva di mettere in libertà, all'atto dell'armistizio, gli italiani imprigionati per motivi politici, impedire oggi alla Francia di arrestare nostri concittadini per simili motivi: lo scopo che ci proponiamo è ragionevole, ma non risponde certo né alla lettera né allo spirito della Convenzione). Ben di rado i francesi si piegano alle nostre richieste: ne nascono perciò interminabili, penose discussioni che non sono certamente propizie a stabilire quella cordialità di rapporti che la Germania desidera. 2) L'attuale situazione generale politico-militare, assolutamente imprevedibile nel giugno 1940, ci ha obbligati a consentire alla Francia di armarsi in terra, in aria e in mare, dapprima in Siria, poi nell'Africa occidentale, oggi nell'Africa Settentrionale, domani probabilmente in Corsica e in Provenza - perché possa opporsi ad azioni aeree e navali dell'Inghilterra. Con ciò veniamo a distruggere con le stesse nostre mani la parte essenziale dell'armistizio, che tendeva, invece, a rendere la Francia militarmente impotente e le sue forze militari adatte soltanto a mantenere l'ordine pubblico. Da questo stato di fatto è nata una situazione assurda e oltremodo pericolosa: l'armistizio è ormai vuoto di senso; alla Francia noi stessi forniamo i mezzi, che ieri le abbiamo tolti, e che le consentirebbero di ritorcerli a nostro danno il giorno in cui, per l'una o per l'altra ragione (forse per colpa dell'Asse stesso), il Governo di Vichy dovesse far voltafaccia, ovvero cadere, lasciando il posto ad un Governo apertamente anglofilo e degollista». E la conclusione non era dubbia e mirava ad un «nuovo regime» del tutto lontano da quello armistiziale dell'anno precedente: «Se la Francia ci è indispensabile, bisogna allora decidersi a farla uscire dal regime d'armistizio, liberarla dai mille vincoli che ne ostacolano la normale esistenza e ne riducono la capacità militare, darle qualche solida garanzia per il suo avvenire. Soltanto cosf potremo essere sicuri di lei e
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potremo, senza angoscia, permettere che essa si riarmi, anzi aiutarla a farlo. Inoltre non bisogna dimenticare che un accordo leale colla Francia renderà subito libero, come massa di manovra, le forze che oggi teniamo pronte per operare sulle Alpi ed in Corsica (un totale, credo, di 10-12 Divisioni) e ci consentirà perciò di non aumentare troppo fortemente gli organici dell'esercito nostro, aumento difficile per scarsità di quadri, per deficienza di mezzi e per insufficiente attrezzatura industriale, economica e finanziaria del Paese». Come si vede non si trattava di una presa di posizione di poco conto, né tantomeno di una delle mille versioni di un regime armistiziale che l'andamento dinamico del conflitto aveva rapidamente reso senescente e del tutto inadeguato. Si trattava di una vera rivoluzione politica, che non poteva trovare spazio in una semplice «revisione» di questa o di quella decisione ma rimetteva in discussione all'ombra del mal definito Nuovo Ordine Europeo i presupposti stessi della «vittoria» del 1940. Non si deve peraltro credere che, pur nella sua novità, la proposta di Vacca Maggiolini fosse innovativa al punto da fare trascurare ciò che «doveva» essere trascurato e dimenticato per sperare di avviare, con Vichy e con la Francia tutta, un dialogo rinnovato. Egli, infatti, sottolineava nella sua stessa proposta il «grave inconveniente» che rappresentava una soluzione che facesse astrazione delle «giuste rivendicazioni nazionali» de1l'Ita1ia nei confronti della Francia e quelle altrettanto giuste della Germania (l'Alsazia, la Lorena, le province francesi fronteggianti il passo di Calais, il Marocco). Evidentemente sperare su queste basi di concludere con Vichy un accordo era molto difficile o addirittura impensabile pur presentando la cosa quale risistemazione geopolitica generale con larga distribuzione prevista a favore della Francia del bottino coloniale strappato alla Gran Bretagna in Africa e altrove. Il fatto stesso che Vacca Maggiolini proponesse di «indorare la pillola» per l'opinione pubblica francese attraverso soluzioni ritenute da essa accettabili, per esempio la ricostituzione del territorio di Nizza in Contea e la sua unione personale a Casa Savoia, ci fa vedere il limite delle concessioni italiane, se non addirittura il fatto che a Torino fosse prevalso il criterio di vendere la pelle dell'orso britannico prima di averlo ucciso. Quindi, in luogo di una politica nuova, un nuovo compromesso, che dopo averne denunciato i limiti, lo stesso presidente della CIAF propone quale «soluzione meno rischiosa». La necessità era di trattare con la Francia su queste basi equivoche, ma presentarle con la necessaria elasticità per attirarne il consenso.
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Il piano consisteva in 4 punti, che vanno citati per meglio capire su quali basi il dialogo con la Francia era previsto. Secondo questo piano occorreva: «l) Consentirle di uscire dall'attuale penoso regime armistiziale, pur senza prometterle di sboccare addirittura, come essa probabilmente vorrebbe, nella pace definitiva. Ciò potrebbe ottenersi sostituendo l'attuale Convenzione di Armistizio con un'altra speciale Convenzione piu larga e generosa e meglio adatta alle presenti circostanze, ma soprattutto creando una situazione completamente nuova che, per l'appunto, non sia né armistizio, né pace. La guerra attuale ha già visto affermarsi la «non belligeranza» come sottospecie della neutralità: si porrebbe ora trovare il termine (ma piu del termine è importante trovare la sostanza) adatto ad uno stato di fatto che, ripeto, non sia piu armistizio e tanto meno guerra, ma non sia neppure la pace, pur avendo della pace tutti i caratteri e consentendo alla Francia persino atti di vera e propria collaborazione militare con l'Asse. 2) Garantire alla Francia, pur senza specificare - per ora - i suoi sacrifici, compensi coloniali adeguati alle sue rinunzie territoriali (perché, per es., non prometterle, se il Giappone non vi si opponesse, il protettorato - o un mandato ad uso Versaglia- dell'India?). 3) Ridare intanto subito alla Francia tutta la sua libertà, restituirle i suoi prigionieri, sopprimere le spese di occupazione, ecc. 4) Stabilire con lei una piena e leale collaborazione militare, che dia all'Asse la possibilità di utilizzare le sue forze armate, le sue basi, i suoi territori, i suoi porti, ed assicuri alla Francia la difesa dei suoi attuali possedimenti. Ritengo che entro tale collaborazione potrebbe - e dovrebbe - entrare l'occupazione militare tedesca delle coste atlantiche francesi, occupazione cui l'Asse non può evidentemente in alcun modo rinunciare». Questo dell'agosto 1941 fu per la CIAF e per il governo italiano il periodo delle ultime illusioni a proposito di una guerra che si stentava a vincere con la rapidità prevista nel giugno dell'anno prima e che anzi procurava specie nel Nord Africa molte amarezze al Comando Supremo, che lf come sul mare doveva costatare che la Gran Bretagna, lungi dal seguire l'esempio francese, pareva disposta ad una guerra lunga pur di vincerla. Intrappolate dai testi armistiziali, le autorità militari dell'Asse si lanciarono ognuna per conto proprio in una «politica francese» di ammiccamenti e di sorrisi. Per la Germania è la politica che era culminata nei Protocolli di Parigi, per l'Italia è la politica revisionistica di Vacca Maggiolini dell'agosto-dicembre che porterà all'incontro Darlan-Ciano di Torino ed agli accordi di Natale '41.
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L'insieme di questa politica tra l'Italia e Vichy, basata sul do ut des della CIAF che ricordava il donnant donnant di Darlan delle conversazioni di maggio, era stata precisata sul piano cronologico in tre fasi che prevedevano:
PRIMA FASE Cessa lo stato di guerra colla Francia ed il regime d'armistizio e perciò: a) è restituita alla Francia la sua piena sovranità in ogni campo; b) sono al piu presto ripristinate le rappresentanze diplomatiche e consolari; c) speciali accordi verranno al piu presto conclusi tra Francia ed Italia per la parte economica, finanziaria, commerciale, pel trattamento degli italiani nel territorio metropolitano e coloniale, ecc.; d) fino alla conclusione di tali accordi ed al ristabilimento delle rappresentanze diplomatiche continueranno a funzionare gli attuali organi armistiziali. SECONDA FASE Ogni definitiva regolarizzazione di carattere territoriale e finanziario (indennità di guerra, ecc.) è rinviata al momento in cui sarà fissata, con congresso internazionale e per accordi internazionali, la definitiva sistemazione del continente europeo. TERZA FASE Nel frattempo, e finché durino le ostilità delle Potenze dell'Asse contro l'Inghilterra ed i suoi alleati, le truppe, le navi da guerra e i mezzi aeronautici italiani e tedeschi hanno piena libertà di sosta e di movimento in tutti i territori francesi metropolitani e coloniali ove la loro presenza sia richiesta dallo sviluppo delle operazioni, venendovi a tutti gli effetti considerati come truppe alleate ed arniche. Questa ideale cronologia e soprattutto questo tipo di accordo non mancarono di suscitare perplessità ed opposizioni da parte delle autorità di Vichy le quali, dopo le illusioni di maggio-luglio, erano ben decise a navigare tra le acque torbide del regime armistiziale ancora a lungo almeno per due motivi: il primo era il desiderio di non cedere nulla se non a caro prezzo all'Asse, e cedere per lo piu su aspetti solo marginali; il secondo di guadagnare tempo, ciò che avrebbe permesso alla Francia di riprendersi dal crollo del giugno '40, anche sul piano organizzativo, ed
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avrebbe permesso alle autorità di Vichy di vedere piu chiaramente le sorti della guerra le quali dopo una «vittoria immancabile» dell'Asse, in tempi anche brevi, stavano ora volgendo decisamente verso una guerra lunga dall'esito non cosf chiaramente a favore degli italo-tedeschi. Per Duplat, che pur prediligeva il dialogo con gli italiani, la situazione non era solo delicata, ma aveva tutte le premesse di un vero rebus diplomatico-militare che consisteva nell'ottenere risultati concreti promettendo, con scadenze sempre lontane, vantaggi che, alla prima occasione, si rimettevano in discussione senza mollare il bottino ottenuto. A questo gioco, di cui la nota del 14 luglio alla CTA era una chiara prova, ci si poteva giocare il dialogo con le autorità armistiziali: ma era forse questo un vero danno definitivo per la Francia di Vichy? O non era piuttosto uno dei mille sotterfugi per «guadagnare tempo» in attesa di svolte che la guerra guerreggiata pareva riservare per un domani non troppo lontano? Dopo aver fallito (o riuscito?) nel gioco, con la Germania, Vichy ci provava ora con Torino e con la CIAF, allo scopo di riprendere un certo dialogo che la nota del 4 agosto alla Germania non aveva fatto riprendere del tutto. Da parte dell'Asse si trattava veramente di operare una scelta che i tempi rendevano oltremodo complessa poiché scelte e risposte erano ancorate a due elementi contrastanti: da una parte le «grandi esigenze» logiche e politiche del Nuovo ordine Mondiale dei cui nebulosi contorni ormai nessuno poteva ignorare l'esistenza e, dall'altra, delle esigenze concrete e quasi quotidiane di una guerra che occorreva portare avanti vittoriosamente malgrado le grandi difficoltà del Nord Africa e le grandi, ma inutili, avanzate nell'URSS. È peraltro sul piano mediterraneo nordafricano che la concretezza si imponeva e rilanciava l'intera questione dei rifornimenti da recuperare nel Nord Africa francese o da trasportare usando questo territorio. Ma su questo piano anche la realizzazione minima degli accordi Vichy-Asse pareva bloccata: ma fu a questo punto che il governo francese rilanciò il discorso, presentando il 4 agosto una nuova nota nella quale in linea generale si sosteneva nuovamente la necessità di inquadrare le trattative auspicate per la realizzazione degli impegni assunti circa Tunisia e Dakar in un esame approfondito della situazione politico-militare del Nord Africa e nell'AOF allo scopo di definire ed accordare alla Francia di Vichy i mezzi (militari) per farvi fronte . In sostanza quindi la nota francese, se pure con qualche riserva, apriva la via a contenere le future trattative nel campo strettamente militare secondo il desiderio tedesco.
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Proprio in questa occasione si verificò un ennesimo episodio della volontà tedesca di escludere l'Italia, e specialmente la Commissione di armistizio di Torino, dalle trattative e quindi, forse, di negoziare per la Tunisia e per il Nord Africa francese delle concessioni da fare utilizzare solo dalle forze armate germaniche. Ce ne dà notizia, con contenuta meraviglia, lo stesso presidente della CIAF in una relazione, in data 25 agosto, al comando supremo, r~lazione segreta che dimostra non solo la sensibilità del Vacca Maggiolini ma anche la sua finezza di politico oltre che di militare. Nella relazione in cinque cartelle, due cenni all'incidente: all'inizio allorquando illustrando la nuova fase dei rapporti franco-tedeschi dopo la nota del 4 agosto, egli precisa tra parentesi: «nota, di cui non mi era stata data notizia, mentre anzi mi era stato assicurato che non vi era "nulla di nuovo"»; e nell'ultima pagina allorquando in un capoverso intero precisa il vero nocciolo del problema: «Raggiunto l'accordo tra commissione tedesca di armistizio e commissione italiana di armistizio con la Francia, occorrerà riaprire la discussione coi francesi ed insisterò che essa avvenga "a tre" (Germania Italia - Francia) e non "a due" (Germania-Francia) com'era sinora avvenuto ... » <66>. E ciò malgrado le promesse e gli accordi di Monaco, che esaltavano la comunità di intenti e la totale collaborazione tra le due commissioni armistiziali nei loro rapporti con Vichy. Purtuttavia, senza cedere a polemiche vane, il gen. Vacca Maggiolini inseriva il proprio discorso in quello piu limitato fatto alla Francia dalla «alleata» Germania e dalla corrispondente Commissione, la CTA; l'analisi della situazione tra le autorità di Vichy e quelle dell'Asse era pertinente alla luce di almeno tre considerazioni: «1) Dopo la firma dei Protocolli di Parigi erano intervenuti avvenimenti tali da modificare sensibilmente la situazione francese e cioè: I) peggioramento dei rapporti anglo-francesi, in seguito al conflitto in Siria. Era da ritenere che se mai l'Inghilterra avesse avuto ancora qualche esitazione ad agire contro i territori francesi, questa era ormai completamente superata; Il) chiarificazione della politica ufficiale di Vichy, in seguito alla recente seduta di Gabinetto e al radiodiscorso di Pétain. L'ammiraglio Darlan aveva dato prova di volersi veramente imporre, sostenuto dalla fiducia del maresciallo, contro la corrente contraria alla politica di collaborazione, di cui Weygand era il piu influente esponente; (66) Relazione segreta del gen. A. Vacca Maggiolini al Comando Supremo, Torino, 25 agosto 1941, in ASMAE, Affari politici, Francia 1-2.
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III) reazione anglo-americana molto vivace alle decisioni di Vichy, tale da giustificare apprensioni circa prossime azioni aggressive su Dakar od altri possedimenti francesi. 2) Per il complesso delle ragioni suesposte si riconosceva la minaccia di imminente pericolo di aggressione incombente sull'impero francese. 3) L'Asse era sommamente interessato acché nessun altro territorio dell'impero francese cadesse in mano inglese. Occorreva perciò che i francesi, laddove erano minacciati, disponessero delle forze necessarie per difendersi in modo assoluto e definitivo, e non soltanto per qualche giorno, come era avvenuto in Siria». Sullo sfondo di questa situazione, la «resa» tedesca al dialogo a tre era vista quale necessità suprema per evitare che nuovamente la Francia «collaborazionista» sfuggisse alle sue responsabilità, e soprattutto che la sperata operazione di sostegno allo sforzo bellico dell'Asse in Libia attraverso la Tunisia venisse nuovamente rimandata. Di grande interesse quindi si rivela il piano in cinque tempi di utilizzo della Tunisia e di Dakar che, di origine della CTA, il gen. Vacca Maggiolini riassume al comando supremo. Esso prevede le seguenti sequenze: 1°TEMPO a) Richieste italo-tedesche: Attuazione di misure che, interessando attività esclusivamente francesi, escludano una immediata reazione anglo-americana, quali: la effettiva cessione all'Italia e alla Germania del noto tonnellaggio (rispettivamente 37 e 73.000 tonn.); l'approntamento dei 400 autocarri occorrenti per il servizio di trasporto fra Gabes e Zuara; l'approntamento di piccole navi per il trasporto costiero tra Biserta e Sfax. b) Concessioni italo-tedesche: Invio di rinforzi in AOF; completamento dell'esercito transitorio in Nord Africa nel quadro dei 120.000 uomini; ripresa della nota liberazione dei prigionieri (eventuale). 2°TEMPO a) Richieste italo-tedesche: Invio sul posto, e installazione, in abito civile e con tutte le possibili garanzie di mascheramento, degli organi tedeschi occorrenti per il funzionamento dei trasporti via Biserta. b) Concessioni italo-tedesche: Rinforzo dell'esercito transitorio del Nord Africa nel quadro del
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piano di riorganizzazione presentato dai francesi (evidentemente entro i limiti in cui si converrà autorizzarlo); eventuale trasferimento dell'Armata del Levante in Nord Africa od in AOF.
3° TEMPO a) Richieste italo-tedesche: Inizio dei trasporti via Biserta. b) Concessioni italo-tedesche: Da definirsi.
4° TEMPO a) Richieste italo-tedesche: Soddisfacente decorso dei trasporti via Biserta, per un determinato tonnellaggio complessivo. b) Concessioni italo-tedesche: Da definirsi.
5°TEMPO a) Richieste italo-tedesche: Utilizzazione della base di Dakar. b) Concessioni italo-tedesche: Da definirsi. Naturalmente, oltre alla sostanza, il problema dei «tempi» appariva determinante, quanto alla realizzazione dell'intero progetto; questi non erano fissi nel piano, ma vi veniva precisato che era intenzione delle autorità armistiziali che «le cose fossero condotte con la massima celerità possibile». E che questa ceÌerità fosse alla base del progetto lo dimostrano i fatti militari che nel frattempo si stavano svolgendo, sia sul fronte cirenaico, sia su quello della guerra dei convogli del Mediterraneo. Tuttavia la natura delle procedure evocate dalla CTA in questo piano non mancava di suscitare alcune perplessità in Vacca Maggiolini, il quale nel frattempo si era nuovamente incontrato con il Duce. Di questo incontro svoltosi il 15 agosto sempre alla presenza del gen. Cavallero, il presidente della CIAF aveva ricavato una impressione lievemente diversa da quella che era stata illustrata dallo stesso Duce nell'incontro, il primo, del 12 luglio 1941. In sostanza l'evoluzione di Mussolini nello spazio di meno di un mese era contrassegnata da un crescente orientamento verso una vera e propria partecipazione della Francia alla politica dell'Asse, che, peraltro, non pareva essere il fondo del suo pen-
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siero. Era un'evoluzione piu apparente che reale dove la Francia di Vichy veniva inserita in un contesto politico diverso, verso una partnership con l'Asse, in nome del Nuovo Ordine Europeo, ma che, in alcuni capoversi, appariva solamente una apparenza contingente che non avrebbe sottratto la Francia, a guerra vinta dall'Asse, dal «pagare» le sue colpe. Agli atti della CIAF rimaneva pur sempre ciò che, poco piu di un anno prima, lo stesso Duce aveva espresso a proposito del trattamento da usarsi nei confronti della Francia. Allora, ma si era a pochi giorni da Villa Incisa, egli si era mostrato contrario ad ogni solidarietà francese verso l'Asse pur passiva, quindi ad ogni cedimento verso la Francia «della linea politica che doveva essere di intransigenza» (67>; nella riunione del 15 agosto le sue direttive erano assai diverse e piu partecipative per la Francia della «sicura» vittoria dell'Asse. A guardare il resoconto del colloquio fatto dal Vacca Maggiolini, il discorso di Mussolini, che parte dalla costatata situazione della Francia definita «illogica ed insostenibile», appare dominato dal desiderio di chiarire in un quadro addirittura mondiale, ma specialmente europeo, le conseguenze geopolitiche della risistemazione generale delle frontiere con vasti rimaneggiamenti (68). In questo rimescolamento europeo ciò che appare fisso è l'attribuzione di Nizza e della Corsica all'Italia; per il resto, e pare sottinteso il piano coloniale, il discorso è piu aperto e non specificato nei suoi dettagli. Ma ciò che sembra all'origine delle considerazioni del Duce era la costatazione che la Francia fosse legittimata a conoscere la propria sorte nel quadro della risistemazione futura dell'Europa e del mondo orientando, come pareva volere fare, la propria politica a favore dell'alleanza italo-tedesca: «La Francia ha pure diritto di sapere, appoggiando la politica dell'Asse quale sarà l'avvenire di talune sue province ... ». Sembrava persino piu di un orientamento, dando al presidente della CIAF l'ordine di avviare cautamente con Duplat colloqui dichiarando a questi che, a parere proprio, «si sarebbe disposti a Roma ad addivenire fin d'ora ad una definitiva sistemazione dell'Europa occidentale con reciproche concessioni e scambi di territori da cui la Francia nulla, forse, avrebbe, in complesso, da perdere».
(67) Questa affermazione era contenuta nel telegramma del Duce all'ambasciatore italiano a Berlino in data IO luglio 1940, del seguente tenore: «Il Duce ha appreso dalla Commissione d'armistizio che governo tedesco chiede basi nella zona di Orano ed in quella di Casablanca. Il Duce ritiene che tale richiesta compromette la nostra linea politica nei riguardi della Francia, linea che deve essere di intransigenza, il che non sarebbe piu possibile qualora la Francia ci dovesse solidarietà sia pure passiva...», in USSME-CIAF, Racc. 5, fase. I. (68) Si veda il testo completo del resoconto del colloquio del 15 agosto con il Duce quale Documento n. 5 nel Tomo secondo della presente opera.
8.
Dialogo o non dialogo? Gli incontri di Gardone
Ma il vero problema non stava certo nelle elucubrazioni geopolitiche del Duce, che parevano piu il frutto di solitarie e napoleoniche speranze che di meditati accordi con Berlino la quale diventava vieppiu l'elemento dominante delle fortune dell'Asse. A questo punto, e dopo aver saggiato le reazioni degli uomini delle delegazioni francesi a Torino, Vacca Maggiolini poteva meglio esplicitare il problema e chiarire, in parte, le idee di Mussolini ponendole in una duplice scelta: «- o si fanno al governo del maresciallo Pétain ampie e generose concessioni, tali da convincere l'opinione pubblica francese della convenienza di una politica di collaborazione, ed allora sarà possibile contare sulla Francia e considerarla capace di darci quanto le richiediamo pur esponendosi alla sicura reazione inglese; - o l'Asse, come ha fatto sino a ieri, si irrigidisce, cosi da mantenere l'opinione pubblica francese contraria alla politica di Darlan e di Pétain, ed allora diviene indispensabile andare guardinghi nelle concessioni, specie in Nord Africa, poiché essa potrebbe forse ritorcersi un giorno a nostro danno, con quali gravi conseguenze è intuitivo». Era chiaro allora che l'intero problema non risiedeva, né nelle riunioni delle due commissioni di armistizio, la CIAF e la CTA, né nell'intuito di questo o di quell'altro funzionario o politico o militare dell' Asse: era in gioco il problema generale della futura condotta della guerra nel Mediterraneo e nell'Atlantico, ed in questo quadro ritornava in primo piano il problema della collaborazione militare con la Francia e quindi della nuova definizione dei rapporti tra Vichy e l'Asse. Sul piano generale aveva regnato fino ad allora l'incertezza, che Vacca Maggiolini nelle sue note deprecava ricordando che, tra le varie soluzioni, non poteva non esserne decisa una, e chiara. Se, fino ad allora, I'Italia aveva rappresentato il freno nella politica di collaborazione imboccata allegramente dalla Germania, almeno in quella rappresentata a
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Parigi piu che a Vichy, forse ora conveniva all'Italia di cambiare politica. Si trattava cioè di premere l'acceleratore in vista della cooperazione, sorpassando anche nelJe buone disposizioni verso la Francia la stessa Germania e la stessa politica (in crisi peraltro) di Otto Abetz. Certamente dal complesso dei documenti, elaborati dallll: CIAF ai vari livelli decisionali o affluiti da altri centri di potere italiani, appare chiaro che una simile politica è viziata da una presunzione di superiorità nei confronti della Francia ( «a guerra vinta l'Asse sarà cosi forte da imporre alla Francia qualsiasi condizione») e quindi sostanzialmente insincera. Proprio ad illustrazione di queste riserve mentali lo stesso giorno, 13 agosto, nel quale le disposizioni del presidente paiono orientate «verso l'acceleratore», ecco che si stabilisce che, in caso di rifiuto francese alle richieste dell'Asse di assistenza militare allo sforzo bellico, emergevano «necessità di esercitare determinate pressioni sulla Francia». In questo caso si pensava anche «da parte nostra di ricorrere a qualche limitata occupazione territoriale, motivandola, del resto a ragione, con qualcuna delle questioni in cui la Francia ha negato il riconoscimento di qualche nostro diritto». Chiaramente la minacciata ritorsione era solo un pretesto per ottenere concreti vantaggi contingenti; e i propositi di Vacca Maggiolini paiono espliciti: in caso di necessità, le pressioni potevano consistere in due tipi di decisioni: «1) chiedere alla Delegazione francese di Torino l'accettazione integrale della richiesta della CIAF entro 4 o 5 giorni, preavvisandola che, in caso negativo, verrebbero adottate adeguate (ma non precisate) sanzioni; 2) trascorsi i termini senza risposta soddisfacente procedere all'occupazione di qualche paese di Val Roja (Breglio, Saorgio) ovvero all'ampliamento dell'occupazione di Mentone (estendendoci sino ad abbracciare o, almeno, a toccare il Principato di Monaco)» (69) . Il dilemma rimaneva intero: il bastone o la carota? Gli alti comandi italiani e la stessa CIAF oscillavano paurosamente tra le due soluzioni, permanendo a Vichy un elevato grado di fluidità politica che non consentiva facili previsioni. Le preoccupazioni strategiche dello stesso Mussolini, esternate nella Memoria sulla situazione politico-militare del 24 luglio, restavano intere e determinavano amare riflessioni. Dopo il fronte cirenaico in cui veniva precisato che l'Italia «non poteva prendere iniziative» (per tre motivi: a. perché Tobruk resiste; b. perché le nostre truppe sono insufficienti; c. perché le forze nemiche sono in via
(69) Nota del gen. Vacca Maggiolini al Capo di SM Generale, 13 agosto 1941, in USSMECIAF, Racc. 3, fase. I.
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di progressivo accrescimento»), Mussolini ricordava il fronte orientalerusso e subito dopo, quale fronte potenziale, que1lo occidentale, dove l' «ambiguo ostile atteggiamento della Francia, già notato a Berlino, imponeva di prendere le misure necessarie per fronteggiare ogni eventualità» (70J. Nelle Alpi, in Corsica ed in Tunisia venivano individuati i tre settori di intervento e quindi, dal discorso generale, pareva essere assente ogni apertura verso la Francia di Vichy che invece, e lo abbiamo già ricordato, parve dominare l'incontro del 15 agosto tra lo stesso Mussolini e Vacca Maggiolini. Rapida evoluzione? Incertezza di fondo? È chiaro che anche a chi, come il presidente della CIAF, occorreva un riferimento sicuro da parte della massima autorità italiana, questa appariva assai contraddittoria. Pur posto in questi termini fluidi, la politica di Vacca Maggiolini si orientò verso la ricerca del dialogo con la Delegazione francese di Torino, ma a questo punto si urtò contro i dinieghi del1a stessa. Al termine del colloquio del 18 agosto l'amm. Duplat non mancava infatti di sottolineare le difficoltà di un simile orientamento da parte della Francia insistendo «molto sulle ragioni che impedivano al governo di Vichy di fare una piu precisa politica di collaborazione, ostandovi la maggioranza dell'opinione pubblica francese (che occorreva - notava Vacca Maggiolini nel suo resoconto - convincere gradualmente e persuadere con realtà di concrete concessioni fatte dall'Asse alla Francia) e le stesse eccessive esigenze della Germania» (7 1). Era forse un discorso di chiusura da parte della Francia di Vichy? Molto abilmente, Duplat, dopo questo netto rifiuto, annacquava assai la sua tesi ripetendo al presidente della CIAF, che ascoltava sempre volentieri queste argomentazioni, che «per quanto piu specialmente rifletteva l'Italia, dì essere sicuro di interpretare il pensiero dell 'amm. Darlan (della cui qualità di Capo fece i piu vivi elogi) affermando che egli era deciso à causer avec l' ltalie ma che, in pari tempo, riteneva che il primo passo per tali conversazioni doveva essere fatto dall 'ltaliçi. vincitrice e non dalla Francia vinta». Proprio mentre queste disposizioni favorevoli all'Italia venivano manifestate dal Duplat, lo stesso Duplat deprecava nel successivo colloquio del 21 agosto che la politica italiana fosse violentemente antifrancese e consentisse per esempio che la Francia fosse oltraggiata da varie pubblicazioni, tra le quali quella di Ezio Maria Gray, e che ciò avvenisse negli stessi territori occupati
(70) Memoria sulla situazione politico-militare, 24 luglio 1941, in Hitler e Mussolini, op. cir.,pp. 114-115. (71) Resoconto del colloquio con J'amm. Duplat, 18 agosto 1941 , in USSME-CIAF, Racc. 3,
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dall'Italia. Ed in merito alle nuove disposizioni politiche francesi verso l'Italia non certo può essere citato come segnale positivo il fatto che Vichy «accettasse» un aumento di otto funzionari italiani della Delegazione rimpatri ed assistenza di Nizza, mentre sul problema dell'atterraggio di aeroplani italiani in Tunisia per imprescindibili necessità di guerra l'opposizione francese veniva confermata osservando quanto «la situazione internazionale della Francia fosse complessa e quanto mai delicata e che essa non poteva senza pericolo compromettersi con concessioni di carattere militare ali' Asse ... » (72) . Si stavano cioè riproducendo le difficoltà e le diatribe a colpi di spillo che si erano già avute in occasione della prima applicazione del regime armistiziale agli inizi del 1941 (nuova regolamentazione doganale del 16 marzo 1941; decreto sulla cittadinanza italiana del 6 aprile 1941 relativo ai territori occupati ecc.). E ciò mentre sul piano politico generale si auspicavano mutamenti distensivi e su quello militare si puntava ad una rinuncia italiana aJl' art. X della convenzione armistiziale; ed anche sul piano economico l'evoluzione pareva seguire questa strada della collaborazione. Il rinnovo in data 5 marzo 1941 dell' accordo del 5 agosto 1940 di compensazione generale aveva portato ad una intensificazione degli scambi, con importazioni dalla Francia sempre costituite prevalentemente da materie prime necessarie alle industrie belliche italiane e da fosfati in cambio di prodotti ortofrutticoli e di derrate alimentari varie necessarie all'economia francese ed alla stessa sopravvivenza della sua popolazione. Questa maggior rapidità di scambi, confermata con un nuovo accordo firmato il 31 agosto 1941, fece crescere il volume complessivo, dopo l'interruzione del conflitto, a poco meno della metà del livello medio, di per sé bassissimo, raggiunto negli anni 1932-38. Si toccò cosi la cifra di 280 milioni di lire in ognuno dei due sensi, con importazioni italiane di fosfati (52 milioni), di ghisa (28 milioni), di alluminio (25 milioni), di acciai (23 milioni), di ferro (17 milioni), di rottami ( 13 milioni), ecc. ed esportazioni di prodotti ortofrutticoli (70 milioni), di formaggi (45 milioni), di seta (30 milioni), di zolfi (30 milioni), ecc. (73). L'evoluzione dei rapporti economici non fu peraltro evocata dalla presidenza della CIAF per la successiva offensiva diplomatica nei confronti della Delegazione francese di Torino, ma molti elementi di natura
(72) Resoconto del colloquio con l'amm. Duplat, 21 agosto 1941, in USSME-CIAF, Racc. 3, fase. l. (73) L. DE ROSA, I rapporti economici, ecc. op. cir, p. 55. Il tutto in ASMAE, Francia, Rapporti economici, 1939-1945, busta 54, fase. 8.
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economica ne furono la premessa: in cambio di talune agevolazioni od ammorbidimenti delle strutture armistiziali il governo italiano si mostrava, con la nota del 23 agosto, deciso ad ottenere dalla Francia sostanziali vantaggi economici, e cioè da una parte un'indennità globale elevata e dall'altra un'indennità giornaliera per le spese di occupazione dei territori francesi <74>. La posizione italiana si rivelava piuttosto curiosa in quanto, in cambio della rinuncia all'applicazione dell'art. X dell'armistizio, la rinuncia cioè a farsi consegnare e a portare in Italia, come già in parte era stato fatto, i materiali bellici raccolti in idonei depositi, l'Italia chiedeva una apertura di credito che Vichy avrebbe dovuto operare a beneficio della parte italiana. Tale somma, che era fissata nella nota a ben 10 miliardi di franchi francesi, avrebbe dovuto in parte compensare la rinuncia al suddetto materiale bellico bloccato dall'epoca dell'armistizio, ed in parte a compensare le spese di occupazione che l'Italia a differenza della Germania non aveva incluso nelle clausole armistiziali e che, sosteneva il governo italiano, «ammontavano già a poco meno di 6 miliardi di franchi». Infine veniva richiesta alle autorità francesi l'inclusione ordinaria di una indennità di 15 milioni di franchi al giorno per «le spese pel mantenimento delle truppe di occupazione italiane in Francia». La richiesta italiana rappresentava una vera e propria novità nel quadro delle complesse relazioni italo-francesi, con un notevole ed evidente aggravamento del peso dell'armistizio per la Francia proprio in un momento che sembrava caratterizzarsi da parte dell'Asse dal desiderio di «superare» il rapporto armistiziale non certo in chiave di appesantimento delle sue condizioni. Il fatto poi che il gen. Vacca Maggiolini presentasse questa evoluzione come premessa «ad un nuovo ambiente piu sereno che indubbiamente verrà formandosi tra Italia e Francia in seguito alla conclusione» di questi accordi era semplicemente assurdo, come lo era l'esortazione rivolta alla delegazione francese di operare allo scopo «di predisporre un ambiente adatto ad una piu cordiale collaborazione». L'obiettivo di questa operazione di «nuovo ambiente» era ambiziosamente enumerato in sei punti: 1) creare nell'opinione pubblica francese quella comprensione del punto di vista italiano che valeva a scemare l'ingiusta animosità contro di noi e perciò a far diminuire - se non a far cessare - i continui spiacevoli incidenti che avvelenano la comune atmosfera;
(74) Si veda il testo della Nota del 23 agosto nel Tomo secondo della presente opera dove è riportato quale Documento n. 26.
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2) impedire o reprimere i troppo numerosi atti di sopraffazione che da agenti governativi di grado inferiore erano compiuti, specialmente in AFN, contro cittadini italiani; 3) estendere all'AFN e specialmente alla Tunisia le opportune disposizioni già impartite nella Madrepatria per la tutela degli interessi dei cittadini italiani e per un loro equo trattamento: restituzione perciò delle armi ai coloni; ammissione in colonia delle famiglie dei maestri italiani; eliminazione dei processi e dei procedimenti di polizia di carattere politico, ecc; 4) ammettere la riapertura, ovunque, dei vecchi locali consolari italiani; 5) astenersi da misure giudiziarie e fiscali contro i pescherecci italiani che si avvicinano alla Corsica; 6) concedere la riattivazione dei pubblici servizi in Mentone. Agli occhi quindi del primo negoziatore italiano, il presidente della CIAF, l'intero contenuto della richiesta italiana pareva giustificare queste richieste italiane e soprattutto confermare un'evoluzione che, a parole, avrebbe dovuto superare in generosità ogni situazione precedente ed istaurare un regime armistiziale nuovo e piu liberale. Non costituisce certo per noi una sorpresa che la delegazione francese rispondesse, con la nota verbale del 30 agosto, con un rifiuto connesso allo spirito che pareva dominare la svolta delle relazioni tra l'Italia e Vichy, affermando che «le Gouvemement français n'aperçoit pas, dans les circonstances présentes, la possibilité de donner son agrément à une aggravation des clauses de la Convention d 'armistice, telle que serait par exemple la mise à sa charge des frais d'occupation» (75). Apparentemente il breve dialogo si interruppe con l'evasiva risposta italiana del 2 settembre nella quale, ancora una volta si rimandava il tutto alla soluzione dell'intero e piu vasto problema generale. La rottura peraltro non avvenne, anche perché nei rapporti tra l'Asse e la Francia di Vichy, dei quali certamente il dialogo di Torino non era l'aspetto maggiore, la distensione andava imponendosi per misure tattiche e l'alleato germanico insisteva per un orientamento in tal senso. La Francia chiedeva misure di liberalizzazione del regime armistiziale ormai giunto al limite della sua applicabilità, mentre, pur concordando nell'insieme, l'Asse pareva nicchiare: concedere tanta fiducia alla Francia soprattutto nel Nord Africa pareva troppo audace e pericoloso alla luce dell'atteggiamento del proconsole francese, il gen.
(75) Quale Documento n. 27 e n. 28 sono riponate nel Tomo secondo della presente opera la risposta francese e la successiva nota italiana del 2 settembre.
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Weygand, che si mostrava sempre ostile ed equivoco. Anche da parte francese, l'andamento delle operazioni in Russia, la marcia inglese verso la Cirenaica e la situazione interna francese erano tutti elementi che rendevano indeciso lo stesso governo di Vichy ad entrare in trattative «definitive» con l'Asse. Rimaneva l'esigenza generale dei due contendenti, l'Asse e il governo di Vichy, di avviare un certo dialogo su questioni specifiche e quindi di sottolineare genericamente la vocazione al dialogo. Non appare importante, ma certo significativa, di questo spirito, l'evoluzione degli stessi rapporti che ufficialmente esistevano all'interno delle attività di controllo armistiziale tra gli uomini della CIAF e i delegati francesi. Al di là delle situazioni specifiche , l'andamento generale di questa evoluzione fu anche oggetto di una speciale comunicazione della CIAF a tutto il personale della Commissione, che fu invitato a tenere conto del «miglioramento dei rapporti con la Francia il cui governo manifesta una uguale tendenza nei riguardi delle potenze dell'Asse». In data 29 agosto 1941 fu data disposizione che «in armonia con tale evolversi della situazione, anche i rapporti personali degli ufficiali cogli ufficiali e funzionari francesi, fino ad allora contenuti in una linea di corretta rigidezza, potevano e dovevano tendere ad una maggiore scioltezza e quasi alla cordialità ... ». E tale evoluzione doveva anche prendere delle forme esterne ben chiare che la circolare prevedeva esplicitamente indicando: « ... sarà opportuno usare anche la stretta di mano come forma di saluto nei contatti personali che non siano quelli di carattere rigidamente militare .. . » (76). Nel quadro generale fu l'incontro di fine agosto tra il Duce e il Flihrer che ripropose l'intera vicenda del ruolo della Francia nella congiuntura di guerra; i Comandi supremi italiano e germanico fecero rientrare ogni decisione nell'ambito delle due commissioni di armistizio, e queste si riunirono per concertare le loro azioni e le loro strategie nei riguardi di Vichy a Gardone, negli incontri delle due presidenze svoltisi tra il 9 ed il 13 settembre 1941. Nell'esigenza ribadita ai vari livelli di riprendere le trattative con la Francia, da tempo interrotte, le due presidenze diedero a queste riunioni un ventaglio piuttosto ampio di competenze e di decisioni, per cui la riunione di Gardone può essere considerata una fase importante nel complesso gioco dei rapporti Asse-Vichy. Premesso come criterio fondamentale quello di circoscrivere le trattative nell'ambito di questioni strettamente militari, disattendendo le (76) Rapporti con la Francia, lettera circolare del 29 agosto 1941 a firma del ten. gen. Vittorio Pallieri, in USSME-CIAF, Racc. 3, fase. I.
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pretese del Governo di Vichy di spostarle verso questioni di indole politica, e premesso che la ripresa delle trattative era subordinata alla iniziativa che ne fosse stata assunta dalla Francia, fu riconosciuto, come limite delle controprestazioni che potevano essere richieste alla Francia, la convenienza di non provocare, in quella fase della guerra dominata dal conflitto con la Russia e dalle sue esigenze, l'insorgere di un conflitto armato tra la Francia e l'Inghilterra. Fu riconosciuta, cosi, l'opportunità contingente di rinviare ad un tempo successivo l'avviamento dei rifornimenti per la Libia, via Tunisi, pur chiedendo però, subito, l'apprestamento a questo fine, di quei mezzi che non esigessero attività di organi dell'Asse in territorio francese. Si riconobbe la convenienza di potenziare le armate dell'Africa occidentale francese anche in rapporto all'ipotesi della eventuale azione di forze golliste contro i possedimenti francesi dell'Africa occidentale, autorizzando e sollecitando, anzi, una certa motorizzazione di tali forze ed un miglioramento dei collegamenti attraverso il Sahara, ma sempre tenendo conto della possibilità di pericoli per il Sud libico, fino a quando non risultasse provata la lealtà di queste truppe in senso antibritannico. Fu prevista la possibilità della concessione di incrementi quantitativi delle forze armate nord-africane francesi, limitando però alle armi difensive fisse fino a quando il chiarimento dei rapporti politici del1'Asse con la Francia ed il contegno delle autorità locali non avessero giustificato una maggiore fiducia. Intanto si sarebbe potuto autorizzare un miglioramento qualitativo delle forze attuali e della loro situazione di approvvigionamento. Tali concessioni, comunque, avrebbero dovuto essere distribuite in maniera da concedere poco o nulla in Tunisia, qualche rinforzo in Algeria e maggiori rinforzi in Marocco. Criterio informatore di tali concessioni era quello di mettere la Francia in condizioni di apprestare una efficace difesa del suo impero coloniale prima di quella eventuale cessione delle basi tunisine che costituiva pur sempre uno degli obiettivi di maggiore interesse per le operazioni di guerra dell'Asse contro l'Inghilterra. Fu stabilito di graduare le concessioni in quattro stadi, subordinando il passaggio da uno stadio di concessione all'altro alla soddisfacente esecuzione delle prestazioni che, in corrispettivo di quello che si sarebbe concesso per ciascuno stadio, si sarebbero richieste al governo francese. In particolare fu prevista per il primo stadio la richiesta alla Francia: a) della cessione di 100 mila tonnellate di naviglio appartenente a Stati del Vicino Oriente già in guerra con l'Italia e la Germania e fermo
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in porti francesi, cessione da ripartirsi fra la Germania e l'Italia; b) la vendita di naviglio francese alla Germania per il rifornimento del corpo tedesco in Africa e la vendita di naviglio portuale da trasferire dai porti del Nord Africa nei porti di Tripoli e Bengasi; c) la vendita alla Germania di 20 obici pesanti con munizioni da trasferire dal Nord Africa in Libia; d) la cessione, in controvalore, di merci del Nord Africa alla Germania ed all'Italia per le forze germaniche e italiane in Libia; e) l'apprestamento di comunicazioni automobilistiche e ferroviarie fra la Tunisia e la Libia; t) la vendita all'Italia di mitragliatrici da 8 mm; g) il collocamento di ordinazioni tedesche e italiane di materiale bellico in territorio francese non occupato; h) la restituzione ai cittadini italiani in Tunisia delle armi personali secondo le stesse norme in vigore per i cittadini francesi. Quest'ultima controprestazione era stata sempre precedentemente oggetto di contestazioni da parte francese. Prevalendosi di una lacuna nella convenzione di armistizio e della ambigua posizione in cui, sebbene vinta e non ancora in pace con il vincitore, era rimasta la Francia, essa aveva sempre preteso di subordinare la restituzione delle armi sequestrate ai cittadini italiani in Tunisia, nonostante le frequenti manifestazioni di ostilità alle quali essi sono stati esposti, ad analoga concessione per i cittadini francesi della zona occupata dall'Italia. In corrispettivo delle prestazioni di questo primo stadio era stata prevista la concessione alla Francia: a) per l'Esercito: rafforzamenti nei quadri nelle truppe e nel materiale di artiglieria e negli automezzi per una motorizzazione delle truppe, sia nell'Africa occidentale che nell'Africa settentrionale francese; b) per la Marina: il riarmo di sommergibili, di un incrociatore, di dragamine ed un limitato miglioramento dei mezzi di artiglieria su alcune unità navali francesi; c) per l'Aeronautica: in Francia lo sblocco di materiali di volo e la costituzione per la Francia e per l'Africa occidentale e settentrionale di unità aeree e l'inizio di addestramento per il personale navigante, nonché il potenziamento della difesa contraerei ed il miglioramento della organizzazione aeroportuale.
Per il secondo stadio, in corrispettivo di un progressivo incremento dei mezzi di comunicazione fra la Tunisia e la Libia, sia automobilistici sia di cabotaggio, e della consegna all'Italia di due rimorchiatori a saldo
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della restituzione di navi cisterne italiane già sequestrate dai francesi e per le quali si era ottenuto solo un indennizzo parziale, furono previste le seguenti concessioni: a) per l'Esercito coloniale: ulteriori armamenti anticarro di artiglieria e di difesa costiera per il Nord Africa; · b) per la Marina: il completamento dei lavori di 2 cacciatorpedinieri varati e non armati; c) per l'Aeronautica: la raccolta nel Nord Africa e il trasferimento dalla Francia di materiali e del personale cosf per il governo come per la difesa contraerea, la costituzione di altri reparti di difesa antiaerei cosf per la Francia come per l'Africa settentrionale ed occidentale e la costituzione dì scorte per l'organizzazione aeroportuale già esistente. Per il terzo stadio, contro il corrispettivo da parte francese: a) del trasferimento nel Mediterraneo, attraverso il territorio francese non occupato, di una flottiglia tedesca di dragamine e di MAS; b) di predisposizioni di materiale rotabile ferroviario, di depositi e di mano d'opera francese, nei porti di trasbordo per i rifornimenti in Libia; c) della cessione a pagamento all'Italia di munizioni di artiglieria. Era previsto di concedere alla Francia: a) per l'Africa settentrionale e per l'Africa occidentale francese la costituzione di reparti celeri, e l'incremento della motorizzazione di reparti già esistenti o da costituire; b) la costituzione di reparti anticarro; c) per la Marina: il completamento di 4 dragamine - avviso a Port Bouc come unità di guerra; d) per l'Aeronautica: la costituzione di reparti di volo e il trasferimento nell'Africa settentrionale del personale di governo e la raccolta di esso nei luoghi di destinazione; e) la restituzione all'impiego di nuovi campi concessi per l'Algeria e la Tunisia e la costituzione delle scorte relative. Per il quarto stadio, infine, era previsto: - l'insediamento nelle basi tunisine di distaccamenti tedeschi per ordinare i rifornimenti ed avviarli in rapporto alla situazione militare, concedendosi in corrispettivo alla Francia; - per l'Africa occidentale e per il Nord Africa la costituzione di nuove unità di fanteria e di artiglieria e l'integrazione e la motorizzazione di quelli esistenti e di batterie anticarro pesanti e leggere e la costituzione di nuovi reparti aeronautici;
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- per la Marina il riarmo di dodici sommergibili, di una nave da battaglia e di altre unità minori ed inoltre l'autorizzazione a fabbricare artiglierie mitragliere, carri armati, autoblinde, stazioni radio e munizioni per l'esercito e per la Marina. Da parte tedesca era prevista inoltre una liberazione progressiva di un numero sempre maggiore di prigionieri francesi, in quattro stadi, fino a raggiungere il numero di 22.518 nel quarto stadio. Per quanto concerneva quest'ultimo stadio, essendosi raccolto in esso le concessioni subordinate anche piu delle altre allo sviluppo dei rapporti politici con la Francia e degli avvenimenti bellici, era stabilito che: - come criterio di massima l'autorizzazione ad iniziare la fabbricazione di materiali bellici, che esigevano lungo tempo per essere ultimati, non avrebbe dovuto rimanere vincolata a limiti di tempo ma avrebbe potuto essere anticipata anche durante il primo stadio; - che i materiali bellici di nuova costruzione avrebbe dovuto rimanere accantonati in Francia sotto controllo italiano e tedesco. Si stabiliva anche che la Commissione italiana avrebbe collegata l'autorizzazione a sbloccare materiale dai depositi soggetti al suo controllo, già fra il settembre ed il novembre 1940 esercitato dall 'Italia per alcune quantità di materiali francesi di guerra, di richiederne la consegna secondo l'articolo X della Convenzione franco-italiana, a trattative finanziarie per la corresponsione da parte della Francia di un congruo equivalente economico dei materiali, pur procedendosi ad anticipare rispetto all'esito di queste trattative lo sbloccamento di materiali necessari a realizzare le concessioni previste per il primo stadio. Con la previsione di questo regolamento si veniva cosi ad integrare una lacuna della Convenzione di armistizio nella quale non si erano previsti indennizzi finanziari all 'Italia nemmeno per le spese determinate dall'occupazione e dall'amministrazione nelle zone presidiate dalle forze italiane e si provvedeva, inoltre, alla costituzione di fondi per l'acquisto in Francia di materiali e di materie prime per le varie necessità belliche. Ed anche indipendentemente dalla ripartizione in stadi delle concessioni alla Francia, era prevista la cessione all'Italia del 50% dei combustibili liquidi da trasportare dalla Romania su navi francesi, quando, ripresi tali trasporti, si fosse raggiunta una soddisfacente situazione di carburanti nella Francia stessa. Era prevista la necessità di un controllo che garantisse la utilizzazione da parte francese delle concessioni in programma per fini coerenti alla necessità della guerra condotta dalle Potenze dell'Asse e la istitu-
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zione di un organo di collegamento italo tedesco presso il Comando del Generale Weygand, subordinandosi a questa condizione le concessioni del secondo stadio. Per l'Africa Occidentale francese, in considerazione delle conseguenze che avrebbero dovuto derivarne, data la situazione piu fluida in quei territori prossimi alla zona di attività del generale De Gaulle ed esposti quindi a contagi di dissidenza che avrebbero potuto trovare incentivo in misure che fossero intese come menomazione del prestigio francese, era stabilito di rinunziare temporaneamente ad imporre il controllo italo-tedesco. Esaminato dai rispettivi Comandi Supremi italiano e tedesco, questo programma fu approvato nel suo complesso, con il suggerimento di modificazioni che, pur mantenendolo inalterato, ne adattassero l'esecuzione alle contingenze in corso ed alle esigenze di piu immediato interesse per la Germania e per l'Italia. Il Comando Supremo tedesco rilevò: - che le prestazioni francesi relati ve ali' acquisto di 20 obici per il Corpo tedesco in Africa ed al trasferimento nel Mediterraneo della flottiglia di MAS e dragamine, per il loro carattere di particolare urgenza, dovevano essere richieste come condizioni preliminari alla ripresa delle trattative con la Francia; - che era opportuno, per varie ragioni, rinviare la richiesta della istituzione dell'organo di collegamento presso il Comando di Weygand. Anzitutto, la istituzione di questo organo avrebbe troppo apertamente compromesso la Francia di fronte all'Inghilterra; inoltre non era verosimile che nella situazione attuale lo Stato Maggiore di Weygand avrebbe messo a disposizione dell'organo italo-tedesco la documentazione militare occorrente per l'esplicitazione della sua attività ed, infine, la costituzione di questo organo si sarebbe risolta in un rafforzamento della posizione di Weygand quale generale plenipotenziario del Governo francese, rafforzarnento non conveniente prima che Weygand chiarisse senza equivoci il suo atteggiamento rispetto alle Potenze dell'Asse; - che era opportuno aggiungere, alla richiesta delle prestazioni francesi per il quarto stadio, che si predisponesse la utilizzazione del porto e degli impianti di Dakar come base per le forze navali tedesche dell'Atlantico, facendo precedere però l'attuazione delle relative misure le concessioni necessarie per assicurare una efficiente capacità difensiva da parte francese con criterio analogo a quello di adottare per le basi tunisine. Il Comando Supremo italiano rilevò: - che tra le condizioni preliminari per la ripresa delle trattative
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dovessero porsi quella del regolamento delle controprestazioni finanziarie per la rinunzia dell'Italia all'applicazione dell'art. X della Convenzione franco-italiana di annistizio e quella del trasporto del grano dalla Tunisia in Libia per il vettovagliamento delle nostre forze annate; - che fra le prestazioni del secondo stadio da parte francese dovesse collocarsi la costruzione ed il completamento del tronco ferroviario Gabés-confine libico; - che dovesse essere spostata al primo stadio delle prestazioni francesi la consegna all'Italia di due rimorchiatori e che, possibilmente, la cessione delJe mitragliatrici Hotchkiss dovesse essere fatta a titolo gratuito. Nel loro complesso, le trattative di Gardone sistemarono, almeno sul piano apparente, il complesso gioco dei rapporti tra le due Commissioni con le autorità francesi di Vichy. Esse segnarono indubbiamente il superamento, anche formale, dell'atteggiamento punitivo che aveva trionfato a Rethondes come a Villa Incisa, ma soprattutto la speranza ed H desiderio, di Roma e di Berlino, di inserire la «Nuova Francia» nel gioco politico e militare dell'Asse. Una simile convenienza, dettata da indubbie reticenze francesi a resistere alle manovre inglesi di prosecuzione della lotta a fianco della sua antica alleata, trovava però un suo limite evidente nel desiderio francese di non giocare in modo definitivo la carta della collaborazione con l'Asse, spesso preferendo lo status di Stato vinto o neutrale a quello di alleato in una incerta futura Nuova Europa. Comunque, illusione o speranza, a Gardone ci si pose il problema del collegamento politico tra le due Commissioni di armistizio a proposito di Vichy, ma esso fu ovviamente temperato da considerazioni realistiche; fu ben chiaro che esso era solo un'ipotesi di soluzione, come sottolineò lo stesso Vacca MaggioUni nel suo rapporto finale sulla riunione: «questo programma di intese deve essere considerato come un primo nucleo di presupposti dal quale potrà svilupparsi o la ulteriore possibilità di una partecipazione della Francia alla nuova organizzazione del mondo europeo, che è implicita nella vittoria delle Potenze dell'Asse, o la sua definitiva esclusione da questa collaborazione. Questo programma non può quindi non essere considerato oltre che nella sua funzione pratica anche nella sua finalità di chiarire e superare una situazione equivoca, ed oltre un certo punto non piu tollerabile dalle
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Potenze del!' Asse, desiderose peraltro di non escludere la Francia dall'opera di ricostruzione della vita europea» <77l . Se queste furono le grandi linee che l'Asse ritenne di tracciare nell'evoluzione dei suoi rapporti con la Francia di Vichy, i particolari ne furono rimandati alle due Commissioni con la defatigante attività di dialogo-rottura che sempre caratterizzò questi rapporti. Per la parte italiana, il primo problema che apparve sulla scena di Torino-Roma-Vichy fu quello già ripetutamente evocato dalla rinuncia italiana all'art. X dell'armistizio, rinuncia sulla quale vi era il consenso di tutti, ma che provocava una serie di controversie circa il corrispettivo di natura economico-finanziaria della «adeguata» contropartita da parte francese. La richiesta italiana era stata precisata fin dal colloquio con il Duce e Vacca Maggiolini del 12 luglio ed era di 5 miliardi di lire; ma fin dai primi incontri con l'amm. Duplat tale richiesta sollevava non poche riserve francesi. La Francia infatti non mancava di sottolineare l'incongruenza tra una politica di superamento delle condizioni armistiziali, implicita nelle dichiarazioni dell'Asse nei confronti di Vichy, ed una richiesta che in sostanza aggravava le condizioni economiche già previste nell'accordo armistiziale. Era chiaro peraltro che una simile questione non poteva essere risolta né sulla base delle vie normali dei colloqui armistiziali di Torino né su quella dell'interpretazione di questo o di quel disposto del documento di Villa Incisa: si appalesava da una parte un negoziato tecnico, e dal!' altra una trattativa politica ad alto livello. L'uno e l'altra si verificheranno di lf a poco, a novembre, con speciali accordi economici (a Roma) ed a dicembre con un accordo al vertice (a Torino). E mentre per le questioni politiche la trattativa non veniva ripresa, le questioni economiche ebbero una prima vicenda nella seconda metà di agosto: alla Commissione economica italo-francese di Roma, la delegazione francese chiedeva, proprio allora, la fine del sequestro delle aziende francesi operanti in Italia, aziende le quali, veniva sottolineato da parte francese, erano in grado di contribuire seriamente allo sforzo di guerra italiano se tornate alla loro normale gestione d'origine. Almeno tre erano le posizioni italiane: da una parte il Ministero delle Finanze auspicava un ritorno dei francesi in cambio di sostanziosi vantaggi valutari con importanti aperture di credito a favore di acquisti italiani in Francia e nelle colonie francesi; da un'altra parte il Ministero degli Esteri propendeva per un mantenimento dello status quo, cioè del se-
(77) Considerazioni del gen. A. VACCA MAGGIOLINI in USSME-CIAF, Racc. 3, fase. I. Si veda il verbale della riunione di Gardone quale Documento n. 29 nel Tomo secondo della presente opera.
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questro in attesa di definire le linee del futuro trattato di pace con la Francia, conservando un'importante argomento da evocare nel negoziato futuro; infine da parte di altri dicasteri economici italiani si auspicava la nazionalizzazione di tutti i beni francesi allo scopo di offrire all'industria nazionale un'occasione per allargare la propria base di operazione e rendere piu omogeneo l'intero assetto industriale italiano. La trattativa aveva, con questi equivoci di base, ben poche probabilità di giungere a buon fine; cosf si era verificato allorquando l'ambasciatore Giannini aveva (nel novembre 1940) proposto una forma di cogestione italo-francese delle stesse aziende in cambio di un miliardo di franchi all'Italia. Quasi un anno dopo l'incertezza regnava ancora, mentre le posizioni francesi in favore di un immediato dissequestro dei beni. industriali francesi si andavano precisando, specie dopo l'aumento di capitale deciso senza tenere conto dei diritti degli azionisti francesi di due società filiali della potente società Rhòne-Poulenc, cioè la Società Elettrochimica del Toce e la Società Farmaceutici Italia delle quali la Montecatini si era assicurata il controllo. La posizione ufficiale italiana al momento dell'inizio delle conversazioni poteva essere peraltro distinta a seconda delle dimensioni delle aziende francesi in Italia. Per le piccole e medie imprese poteva essere previsto un superamento del sequestro attraverso accordi da realizzarsi caso per caso. Per le grandi imprese industriali francesi sotto sequestro, ritenute di fondamentale importanza per l'economia italiana, esse avrebbero dovuto essere acquisite dall'Italia anche per evitare sorprese che potevano derivare da decisioni tedesche nei confronti della casa madre rimasta in Francia e suscettibile di acquisto globale da parte della Germania stessa; la decisione italiana era ritenuta necessaria per evitare sorprese di questo tipo: «Non vogliamo risvegliarci una mattina davanti ad una Michelin o una Saint Gobain passate nelle mani dei tedeschi» sostenevano i negoziatori italiani (78). Infine per le altre imprese, grandi ma non vitali, la via della cooperazione tecnologica e finanziaria era auspicata sia con accordi di cessione di pacchetti azionari sia con compartecipazione industriale di imprese italiane. La concretezza di questi propositi superò, con la realtà dei rischi corsi da queste imprese, le reticenze delle autorità di Vichy fino ad allora impegnate a guadagnare tempo senza mutar granché della situazione esistente, e le indusse ad accettare il ne-
(78) L'unico studioso ad essersi occupato di questo aspetto con esplorazioni degli archivi del Quai d'Orsay è stato PIERRE GUILLEN nel saggio Les entreprises indusrrielles françaises en Italie pendanr la période fascisre, in Srudi in memoria di Mario Abrare, Torino, Università, 1986, pp. 553-560.
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goziato che poteva aprire spiragli ad una situazione assai oscura. Ben lo scrisse Guillen allorquando precisò: «Ces propositions (italiennes) risquent d'aboutir à l'élimination progressive de la présence économique française en ltalie; mais elles permettent d'éviter la nationalisation immédiate, préparée par le gouvernement italien sur la pression des groupes qui convoitent l'héritage des entreprises françaises; elles permettent de gagner du temps, puisqu 'il faudra des négociations au sein de la Comrnission économique franco-italienne, des prises de contact et des discussions entre représentants des groupes français et italiens concernés, toutes choses que, du còté français, l'on s'attachera à faire trainer en longueur. Le gouvernement de Vichy décide donc d'accepter la négociation>~ <79>.
(79) P. GlJILLEN, ibid., p. 557, che cita Archives Finances. F. 30/1979.
9.
La nuova struttura della CIAF
Venivano intanto estendendosi e complicandosi sempre piu, in relazione anche al prolungarsi della situazione armistiziale, i compiti di carattere non militare cui la CIAF doveva provvedere a mezzo della Sottocommissione Affari generali, per cui si senti la necessità di distaccare, come era già stato fatto per l'Amministrazione dei territori occupati, varie branche, che vennero cosi a godere, nell'ambito di sottocommissioni autonome dipendenti direttamente dalla Presidenza della CIAF, di tutte le prerogative delle Sottocommissioni già esistenti. Col l O agosto 1941 sorsero cosf, accanto alla Sottocommissione per gli Affari generali, la Sottocommissione Affari economici e finanziari, la Sottocommissione Affari giuridici e la Sottocommissione Scambi commerciali. Rimasero di competenza della Sottocommissione Affari generali sotto la Presidenza del Console generale Enrico Liberati, le seguenti questioni che, in linea generale riflettevano tipiche attività del ministero degli Esteri: a) rapporti con il Ministero degli affari esteri; b) direzione e collegamento nei confronti dell'attività svolta dai funzionari civili addetti alle Delegazioni militari di controllo e dall'organismo di controllo per l'applicazione dell'art. XXI della Convenzione di Armistizio; c) assistenza morale e materiale alle collettività italiane in Francia e negli altri territori francesi; d) interventi presso la Delegazione francese per arresti e condanne di cittadini italiani e per la propaganda anti-italiana e filobritannica; e) collegamento con la Direzione generale degli Italiani all'estero e con i delegati per il rimpatrio degli italiani dalla Francia; f) soprintendenza alle funzioni d'indole consolare esercitate, nella perdurante sospensione delle relazioni diplomatiche, dai funzionari civili comunque dipendenti dalla CIAF;
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g) passaporti e visti di transito. Continuarono a dipendere sempre dalla Sottocommissione Affari generali, pur dopo tale nuova organizzazione, l'organismo di controllo per l'applicazione dell'art. XXI con sede a Lione e le Delegazioni Rimpatrio e Assistenza di connazionali nella Francia sotto controllo tedesco. Fu invece devoluta alla Sottocommissione Affari economici e finanziari, di nuova costituzione, la trattazione dei seguenti compiti: a) ricupero e sostituzione navi e merci con soprintendenza sulla Delegazione ricupero navi e merci di Marsiglia; b) problemi inerenti al controllo del traffico mercantile francese; consulenza e attività direttiva e di coordinamento nei confronti degli Organi di controllo del traffico mercantile; c) rapporti con la Delegazione economica e con la Direzione generale degli Affari commerciali presso il Ministero degli Affari esteri; d) tutela degli interessi economici italiani in Francia; e) rapporti finanziari con la Francia, questioni valutarie, garanzie, assicurazioni, questioni doganali; f) controllo delle linee telegrafiche, telefoniche, postali e ferroviarie per uso civile; g) rapporti con il Ministero delle finanze e con altri Enti civili, in quanto pertinenti ai problemi economici e finanziari relativi ai rapporti con la Francia ed ai collegamenti di uso civile; h) traffici ferroviari con la Spagna; i) conti di riattivazione delle strade ferrate ed ordinarie interrotte dai francesi nel periodo di ostilità. Alla diretta dipendenza della Sottocommissione (presidente della quale venne nominato il capo dell'Ispettorato Affari economici e fmanziari Tommaso Lazzari) fu posta la Delegazione ricupero navi e merci di Marsiglia, mentre vennero poste alla dipendenza soltanto tecnica della Sottocommissione stessa la Delegazione mista italo-tedesca per il Controllo traffico marittimo di Marsiglia, Tolone e Nizza, nonché il Nucleo di Sète a sua volta sopraintendente al Nucleo di Port Vendres. Pure alla dipendenza tecnica della Sottocommissione furono poste le Sezioni Controllo traffico marittimo di Ajaccio e Bastia, facenti nel loro complesso parte della Delegazione mista Controllo Corsica. La Sottocommissione Scambi Commerciali (cui venne preposto come Presidente Teodoro Pigozzi, già addetto commerciale a Parigi) ebbe come principale compito di incrementare i rapporti commerciali tra l'Italia e la parte della Francia occupata dai tedeschi.
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A questo scopo le competenze specifiche della sottocommissione prevedevano: a) la trattazione, in collegamento con la Sottocommissione per gli Affari economici e finanziari, delle questioni relative agli scambi commerciali con la Francia; b) le relazioni con il Ministero degli Scambi e salute. Le questioni di competenza della Sottocommissione Affari Giuridici, posta sotto la Presidenza del Prof. Giacinto Bosco, altro componente della Commissione di armistizio, furono: a) consulenza per la Presidenza e le altre Sottocommissioni della CIAF su questioni controverse che comunque implicassero interpretazione giuridica della Convenzione di armistizio e di altre Convenzioni internazionali; b) interventi presso la Delegazione francese per violazioni delle prerogative spettanti al personale armistiziale; c) trattazione delle questioni relative a prigionieri di guerra francesi; d) sanzioni a carico della Francia per violazione di obblighi armistiziali; e) relazioni con la Commissione consultiva per il diritto di guerra. Prima però di giungere ad una tale definitiva sistemazione degli Organi centrali della CIAF, avevano subito un'importante modificazione anche alcuni degli organi periferici e precisamente quelli relativi al controllo nell'Africa francese del Nord, con la creazione di una Delegazione generale con l'obiettivo di coordinare in modo unitario l'azione della CIAF. Con l'entrata in funzione della Delegazione generale, le due Delegazioni dell'Esercito esistenti, una per il controllo del Nord Africa e l'altra per la smilitarizzazione del territorio adiacente al confine libico, furono fuse in un'unica Delegazione Controllo Esercito con sede ad Algeri e con tre Sottodelegazioni: - la prima in Tunisia con assorbimento anche della zona smilitarizzata ove rimaneva in funzione una Sezione; - la seconda a Blida per il controllo nell'Algeria orientale; - la terza infine ad Orano per il controllo nell'Algeria occidentale. Da ognuna di tali Sottodelegazioni dipendevano sezioni di controllo in vario numero. Fu inoltre costituita ex novo ad Algeri una Sottodelegazione per il controllo del traffico marittimo con dipendenza organico-disciplinare dalla Delegazione controllo Marina, a sua volta dipendente dalla Dele-
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gazione generale, e con dipendenza tecnica dalla Sottocommissione affari economici e finanziari. Tale Sottodelegazione ebbe il compito di coordinamento e vigilanza delle undici Sezioni controllo traffico marittimo in Nord Africa. In pari tempo fu pure costituita una Delegazione controllo industrie belliche e combustibili liquidi con sede ad Algeri, alle cui dipendenze furono messe le Sottodelegazioni CIB e CCL di Tunisi ed Algeri. Il collegamento con l'Ispettorato della CTA in Marocco venne assicurato a mezzo di un'apposita Delegazione a Casablanca; successivamente, dietro richiesta tedesca, furono istituiti anche dei nuclei di collegamento tedeschi presso i nostri organi di controllo a Tunisi, Algeri ed Orano. Con tali variazioni nella Organizzazione e nella composizione della Commissione di armistizio si giunse, alla data del 1° settembre 1941, a quello che si può indicare come il momento di maggiore sviluppo della CIAF, la cui organizzazione, per la varietà dei compiti che le erano stati affidati, raggiunse, mantenendolo poi fin quasi alla fine della sua attività, il massimo della sua complessità. Vediamo, in un breve quadro riassuntivo, tale organizzazione: - la Presidenza a Torino; alla diretta dipendenza organica disciplinare e tecnica della Presidenza: 1) l'Amministrazione territori francesi occupati; 2) la Sottocommissione per l'Esercito; 3) la Sottocommissione per la Marina; 4) la Sottocommissione per l'Aeronautica; 5) la Sottocommissione Armamenti; 6) la Sottocommissione Affari generali; 7) la Sottocommissione Affari economici e finanziari; 8) la Sottocommissione Scambi commerciali; 9) la Sottocommissione Affari giuridici; 1O) la Delegazione di collegamento presso la Commissione tedesca di armistizio a Wiesbaden; 11) la Delegazione Generale della CIAF ad Algeri; 12) la Delegazione mista per il controllo della Corsica ad Ajaccio; 13) la Delegazione mista per la smilitarizzazione della Costa francese dei Somali a Gibuti. 1) Alle dirette dipendenze dell'Amministrazione territori francesi occupati, con sede a Torino, i nove Commissariati civili istituiti nei territori stessi a Bessans, Bramans, Pontano, Isola, Lanslebourg, Mentone, Monginevro, Ristolas e Séez.
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2) Alla dipendenza organica, disciplinare e tecnica della Sottocommissione per l'Esercito, di stanza a Torino: - la Delegazione di controllo Esercito per lo scacchiere alpino, con sede a Nizza; dipendenti dalla Delegazione stessa: - una Direzione regionale a Marsiglia con due sezioni controllo, una a Nizza ed una a Marsiglia; - una Direzione regionale a Valence, cori tre Sezioni controllo: una a Gap, una a Valence ed una ad Annecy. Alla dipendenza soltanto tecnica della stessa Sottocommissione: - la Delegazione di controllo per l'Esercito ad Algeri (dipendente organicamente e disciplinarmente dalla Delegazione Generale della CIAF) con tre Sottodelegazioni: - una per la Tunisia, con sede a Tunisi, e con tre Sezioni a Tunisi, Sfax e Gabès, quest'ultima per la smilitarizzazione del confine libico-tunisino e con tre posti di controllo, uno a Médenine, il secondo a Fort Saint ed il terzo a Hon; - una per l'Algeria orientale, con sede a Elida e due Sezioni a Costantina e Biskra; - una per l'Algeria occidentale, con sede ad Orano, ed una Sezione di controllo a Oudjda. 3) Alla dipendenza organica, disciplinare e tecnica della Sottocommissione per la Marina, con sede a Torino: - la Delegazione navale di Tolone, con sede a Hyères, collegata alla quale, in dipendenza organica e disciplinare per il personale italiano, ed in parte anche tecnica: - una Delegazione mista italo-tedesca per il controllo del traffico marittimo, con sede a Marsiglia, dipendente tecnicamente anche anche dalla Sottocommissione Affari economici e finanziari per tutte le questioni concernenti il traffico mercantile, i trasporti di materiali e le questioni di specifica competenza della Sottocommissione stessa. Direttamente dipendenti a tutti gli effetti dalla detta Delegazione mista, le tre Sezioni controllo traffico marittimo di Marsiglia, Tolone e Nizza, nonché i Nuclei di Sète e di Port Vendres. Alla dipendenza solamente tecnica della Sottocommissione Marina: - la delegazione controllo Marina di Algeri (dipendente organicamente e disciplinariamente dalla Generalciat) con le due Sottodelegazioni controllo Marina di Orano e Biserta e - dipendente tecnicamente anche dalla Sottocommissione Affari economici e finanziari - la Sottodelegazione controllo traffico marittimo di Algeri con le undici Sezioni di Nemours, Orano, Mostaganem, Algeri, Bougie, Philippeville, Bona, Biserta, Tunisi, Susa e Sfax.
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Ancora tecnicamente dipendenti dalla Sottocommissione Marina e insieme dalla Sottocommissione Affari economici e finanziari: - le due Sezioni controllo traffico marittimo di Ajaccio e Bastia, a loro volta dipendenti organicamente e disciplinarmente dalla Delegazione mista per il controllo della Corsica. 4) Alla dipendenza organica, disciplinare e tecnica della Sottocommissione per l'Aeronautica: - una Delegazione aeronautica per il controllo della Provenza, con sede a Marsiglia, dipendente dalla quale organicamente e disciplinarmente una Sezione di controllo del traffico aereo a Marignane (Marsiglia), dipendente invece tecnicamente dalla Sottocommissione Affari economici e finanziari; - una Sezione di assistenza al volo con sede a Lione; - un Nucleo di collegamento con la 5ll Commissione della CTA ad Aix-en-Provence. Alla dipendenza tecnica deJJa stessa Sottocommissione: - la Delegazione di controllo aeronautica di Algeri, dipendente organicamente e disciplinarmente dalla Delegazione generale della CIAF, con il Nucleo controllo parco di Elida e l'ufficiale addetto al controllo di Maison Bianche, nonché le due Sottodelegazioni controllo aeronautica di Tunisi e Algeri, dalla quale ultima dipendevano a loro volta la Sezione controllo aeronautica di Orano e la Sezione controllo traffico aereo di Algeri, pure dipendente tecnicamente dalla Sottocommissione Affari economici e finanziari. 5) Alla dipendenza organica, disciplinare e tecnica della Sottocommissione Armamenti: - una Delegazione di controllo industrie belliche per la Francia metropolitana, con sede a Grenoble, con due Sezioni, una a Lione e l'altra ad Avignone, e tre Nuclei presso il controllo industrie belliche tedesco, una a Tolosa, uno a Clermont-Ferrand e l'altro di collegamento a Bourges; - una Delegazione per il controllo dei combustibili liquidi, con sede a Marsiglia. Alla dipendenza invece soltanto tecnica della stessa Sottocommissione: - una Delegazione controllo industrie belliche (CIB) e Controllo combustibili liquidi (CCL) di Algeri - dipendente organicamente e disciplinarmente dalla Delegazione generale della CIAF - con due Sottodelegazioni, una a Tunisi ed una ad Algeri.
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6) Alla dipendenza organica, disciplinare e tecnica della Sottocommissione affari generali: - un Organismo di controllo per l'applicazione dell'art. XXI della Convenzione di Armistizio, con sede a Lione; - diciassette Delegazioni per l'assistenza e il rimpatrio degli italiani in Francia, con sede rispettivamente a Nizza, Cannes, Tolone, Marsiglia, Montpellier, Nimes, Tolosa, Agen, Avignone, Grenoble, Chambéry, Lione, Valence, Modane, Annecy, Digne e Gap. 7) Alla dipendenza organico, disciplinare e tecnica della Sotto-
commissione Affari economici e finanziari: - una delegazione per il ricupero navi e merci a Marsiglia. Alla dipendenza invece soltanto tecnica della detta Sottocommissione, tutti gli Organi di controllo e del traffico di cui già si è fatto cenno e precisamente: - la Delegazione mista italo-tedesca controllo traffico di Marsiglia, con le dipendenti Sezioni di Marsiglia, Tolone, Nizza ed i Nuclei di Sète e Port Vendres (dipendente organicamente e disciplinarmente dalla Delegazione navale di Tolone, ed in parte tecnicamente dalla Sottocommissione Marina); - la Sezione controllo traffico aereo di Marsiglia (dipendente organicamente e disciplinarmente dalla Delegazione aeronautica controllo in Provenza); - la Sottodelegazione controllo traffico marittimo di Algeri (dipendente organicamente e disciplinarmente dalla Delegazione controllo Marina di Algeri) con le undici Sezioni di Nemours, Orano, Mostaganem, Algeri, Bougie, Philippeville, Bona, Biserta, Tunisi, Susa e Sfax; - la Sezione controllo traffico aereo di Algeri (dipendente organicamente e disciplinarmente dalla Sottodelegazione controllo aeronautica di Algeri); - le due Sezioni controllo traffico marittimo di Ajaccio e Bastia (dipendenti organicamente e disciplinarmente dalla Delegazione mista per il controllo della Corsica ed in parte, tecnicamente, dalla Sottocommissione Marina). 8) Non in rapporto di dipendenza, ma in collegamento diretto con Ja Sottocommissione Scambi Commerciali: - un Commissario commerciale per la Francia (il Pigozzi), con sede a Parigi, creato dal Ministero Scambi e Valute per la tutela degli interessi commerciali italiani nella Francia occupata.
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9) Nessun organo dipendente dalla Sottocommissione Affari giuridici, con sede a Torino, e con le funzioni precedentemente indicate. 1O) La Delegazione italiana di collegamento presso la Commissione tedesca di armistizio, con sede a Wiesbaden, continuò ad avere come suo organo parallelo la Delegazione tedesca di collegamento con la Commissione italiana di armistizio, dislocata a Torino. 11) Alla dipendenza organica, di coordinamento e disciplinare della Delegazione Generale della CIAF in Nord Africa, con sede ad Algeri: - la Delegazione controllo Esercito di Algeri - tecnicamente dipendente dalla Sottocommissione Esercito - con le Sottodelegazioni, Sezioni e posti di controllo precedentemente indicati; - la Delegazione controllo Marina di Algeri con le Sottodelegazioni e Sezioni dipendenti tecnicamente dalla Sottocommissione Marina; - la Delegazione controllo Aeronautica di Algeri con le Sottodelegazioni, .Sezioni e nuclei dipendenti tecnicamente dalla Sottocommissione Aeronautica; - la Delegazione controllo industrie belliche e controllo combustibili liquidi di Algeri con le Sottodelegazioni dipendenti dalla Sottocommissione Armamenti; - la Delegazione di collegamento con l'Ispettorato della CTA a Casablanca. 12) Alla dipendenza organica, disciplinare ed in parte tecnica della Delegazione mjsta per il controllo della Corsica: - le due Sezioni di controllo traffico marittimo di Ajaccio e Bastia, pure dipendenti tecnicamente dalla Sottocommissione Affari economici e finanziari. 13) Infine il più periferico organo di controllo della CIAF, quella Delegazione mista per la smilitarizzazione della Costa francese dei Somali, a Gibuti, priva di organi dipendenti cso>.
(80) Dopo questa sistemazione del IO settembre la struttura della CIAF non rimase immobile bensi subi continue variazioni, allargamenti ed estensioni fino al suo massimo sviluppo, che sarà toccato con la risistemazione del 10 aprile 1942.
10. Prime avvisaglie della questione razziale: gli ebrei italiani di Tunisia
Gli sviluppi dell'organizzazione politica e amministrativa sia nella zona non occupata della Francia sia nelle sue colonie da parte del governo di Vichy comportò pure una serie di decisioni sulla questione ebraica. Non è qui il luogo per evocarle in modo omogeneo, ma va tuttavia ricordato un interesse della CIAF nel suo insieme a questo riguardo. E questo interesse riguardava sia la tutela dei cittadini italiani ebrei sia gli sviluppi dell'intera questione nelle zone ritenute di prevalenza italiana e specialmente nelle Alpi Marittime ed in Tunisia. La questione ebraica, provocata dalla legislazione antisemita del governo francese, nacque ufficialmente con l'adozione del primo Statuto sugli ebrei del 3 ottobre 1940, che li escludeva da ogni funzione pubblica e da molte professioni liberali e ne fissava un numerus clausus in quelle attività. L'applicazione di queste disposizioni fu abbastanza puntigliosa da parte delle autorità politiche francesi che dichiararono subito che l'obiettivo dell'intera manovra era l'eliminazione dell'influenza ebraica dai settori piu sensibili della vita politica, sociale ed economica non senza un criterio punitivo per la parte di responsabilità che, da parte dei dirigenti pétainisti, si attribuiva a tale influenza nella disfatta della Francia. Tali orientamenti messi in atto nella Francia di Vichy ebbero anche applicazione puntuale nelle colonie e nell'Oltremare. Ma solo in Algeria e in Tunisia essi rivestirono il carattere di problema rilevante ai fini dell'attenzione del controllo della CIAF. In Tunisia, dove un forte ed omogeneo gruppo italiano era da sempre costituito dagli ebrei di Livorno (o Grana), l'attenzione degli organi armistiziali fu sollecitata dal problema dell'applicazione di questo statuto anche perché si scorgeva nella sua applicazione un ulteriore tentativo delle autorità francesi di avvalersi di questo nuovo mezzo per l'accaparramento di alcune leve dell'economia e per assicurare nuove posizioni a favore del blocco francese che già si
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era rafforzato notevolmente con l'arrivo, dopo gli armistizi, di numerosi francesi che fuggivano dalla Francia metropolitana occupata o «libera». Ufficialmente la posizione delle autorità del protettorato dovette a questo riguardo aspettare il decreto del Bey del 30 novembre 1940, pubblicato il 3 dicembre sulla Gazzetta Ufficiale Tunisina. In esso le leggi razziali francesi venivano estese alla Tunisia e gli ebrei italiani della Reggenza, fino ad allora ammessi a fruire del regime stabilito dalle convenzioni del 1896 per tutti gli italiani, non vennero sottratti alla sue disposizioni. Questo nuovo statuto degli ebrei di Tunisia era volto «a ridurre l'influenza ebraica nella misura che giustifichi il numero degli abitanti di questa razza, e, in modo generale, subordini dappertutto l'interesse dei privati e dei clan qualunque essi siano, all'interesse generale» secondo le parole del mar. Pétain riportate lo stesso 3 dicembre dalla «Dépeche Tunisienne». Mobilitate dalle proteste di circa 6.000 ebrei italiani di Tunisia preoccupati per il loro avvenire, le autorità consolari e armistiziali italiane sollecitarono un intervento del governo italiano in loro favore ed il minìstero degli affari esteri non si tirò indietro. Precisava al riguardo un documento segreto ufficiale: «Una difesa degli interessi dei nostri sudditi di razza ebraica, per quanto potesse apparire delicata da un punto di vista politico generale, si prospettava, pertanto, a parte ogni considerazione razziale, come un problema che, soprattutto nei periodi di armistizio, era di interesse nazionale volto a mantenere lo status quo nella Reggenza e a difendere le nostre posizioni contro la crescente invadenza francese ... » est>. Sulla base di queste considerazioni, le quali, occorre dirlo, erano al margine di una nascente nuova posizione razziale del governo e propendevano con il pretesto della difesa nazionale ad evitare le considerazioni che a questo riguardo qualcuno faceva a Roma, il Ministero degli affari esteri di Roma prendeva posizione. Con una nota del 17 marzo 1941 veniva infatti invitata la Regia Legazione italiana a Bema a voler interessare il Console di Svizzera a Tunisi, tutore diplomatico degli interessi italiani in Tunisia, a trasmettere alla Residenza Generale francese di Tunisi un Appunto destinato alle autorità bellicali con il quale si faceva rilevare che le nuove disposizioni circa gli appartenenti alla razza ebraica non potevano portare pregiudizio al trattamento al quale le persone di cittadinanza italiana avevano diritto in virtu delle convenzioni in vigore. La nota italiana venne formalmente presentata il 15 aprile, ed era del seguente te-
(81) MAE Quaderno n. 23-E segreto: Tunisia, situazione politica dell'anno XfX (29 ottobre 1940-28 ottobre 1941), Roma, 1942, p. 22.
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nore. «Il R. Governo è venuto a conoscenza che con decreto bellicale del 30 novembre 1940, pubblicato nel Journal Officiel Tunisien del 3 dicembre u.s., sono state emanate disposizioni concernenti lo statuto degli ebrei nella reggenza di Tunisi. Questo decreto stabilisce delle interdizioni e restrizioni, talune delle quali non potrebbero essere applicate a persone aventi la cittadinanza italiana senza contravvenire alle convenzioni esistenti. D'altra parte, lo stesso decreto, nel prevedere la possibilità di accordare eccezioni al regime di interdizioni da esso stabilito, determina i motivi che possono dar luogo a tali eccezioni in maniera che i cittadini italiani non potrebbero in fatto beneficiarne, portando cosi' ad una differenza di trattamento rispetto ai francesi e ai tunisini che sarebbe in ogni caso contraria ai principi enunciati negli articoli della Convenzione di stabilimento del 28 settembre 1896. In queste condizioni, il R. Governo deve fare le piu ampie riserve per quanto concerne l'applicazione del detto decreto nei riguardi dì persone di cittadinanza italiana, non potendo le nuove disposizioni portare pregiudizio al trattamento al quale esse hanno diritto in virtu delle convenzioni esistenti». La risposta svizzera che confermava l'avvenuta presentazione della nota venne trasmessa a Roma il 6 maggio, ma essa non recava alcuna indicazione di natura tale da fare capire l'umore politico dei destinatari della protesta italiana. Questo fu chiaro in una speciale risposta politica che il Residente Generale di Francia a Tunisi (amm. Estèva) fece pervenire in data 10 aprile (82) al Console di Svizzera Petitmermet in cui veniva ribadita la piena legalità delle disposizioni prese a proposito degli ebrei anche italiani poiché il decreto bellicale del 30 novembre 1940 non violava in alcun modo le parità degli italiani e dei francesi sancita dalla convenzione del 1896. Infatti, a proposito delle eccezioni del!' applicazione del suddetto decreto, da una parte si sottoponevano tutti gli ebrei ad una stessa normativa (art. 2) e, nel contempo (art. 11) si sancivano eccezioni alla sua applicazione anch'esse viste , secondo le autorità francesi, in una ottica di trattamento generale. Stabilendo che era precisato «de relever, par décret bellica! des interdictions prévues au dit décret les juifs tunisiens ou non tunisiens qui ont rendu des services exceptionnels à l'Etat français ou à la Régence» non si favoriva certo alla stessa maniera chi per nazionalità francese o tunisina era per forza naturale devoto alla (82) Curiosamente il documento reca la data del 10 maggio, ma poiché rispondeva ad una comunicazione del 15 maggio si ha ragione di ritenere quale data esatta il I Oaprile.
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Francia o alla Tunisia e chi, pur essendo ebreo come gli altri, era per la sua cittadinanza italiana alieno da simili devozioni. E ciò anche se la nota di Estèva si affrettava a precisare: «Les juifs de nationalitè italienne peuvent etre relevès de ces interditions pour services rendus à la Régence ... ». Ovviamente il Ministero degli Affari Esteri italiano non accettò le tesi francesi e con una nota ulteriore manifestò la sua opposizione all'interpretazione del Residente Generale. Notiamo tuttavia che due osservazioni possono essere fatte a questo riguardo; da una parte la formale reazione negativa del governo italiano aspettò oltre sei mesi per manifestarsi, lasciando nel frattempo gli ebrei italiani in balia delle decisioni francesi: infatti fu solo il 23 ottobre 1941 che la protesta fu fatta avere per il solito tramite svizzero alle autorità francesi di Tunisi. La seconda osservazione riguarda il fondo del problema dove lo Stato vincitore, l'Italia, non riesce a rompere le resistenze dello Stato vinto, la Francia, neppure in un settore, la Tunisia, dove esisteva una grossa ipoteca italiana sul futuro del paese e dove una forte colonia italiana, ebrea e non ebrea, non godeva certo giorni felici. La formula scelta da Palazzo Chigi per la risposta-protesta appare anch'essa interessante nella accurata scelta delle espressioni. Essa diceva: «Il R . Governo ha preso conoscenza della risposta che la Residenza generale di Francia a Tunisi ha indirizzato, in data I O maggio u.s. al Console di Svizzera circa le riserve fatte dal R. Governo per quanto riguarda l'applicazione, nei riguardi di persone di cittadinanza italiana, di disposizioni del decreto bellicale del 30 novembre 1940 concernente lo statuto degli ebrei nella reggenza di Tunisi. Nella sua risposta, la Residenza Generale osserva che gli ebrei di cittadinanza italiana si trovano posti nei riguardi di dette disposizioni, nelle stesse condizioni dei tunisini e dei francesi e ciò anche per quanto concerne l'art. 11 del detto decreto che prevede la possibilità di esentare dalle disposizioni stabilite dallo stesso decreto. Il R. Governo trova difficoltà ad ammettere che il decreto 30 novembre 1940 e particolarmente l'art. 11 di esso pongano gli italiani in una condizione di uguaglianza coi tunisini e coi francesi. Se è vero che l'art. 11 del detto decreto è redatto in termini generali, esso, però, contempla come solo titolo per ottenere di essere esentato dalle interdizioni stabilite dal decreto stesso l'aver reso "des services exceptionnels à l'Etat francais ou à la Régence". È evidente che la possibilità di avere reso dei servizi eccezionali allo Stato francese o alla reggenza (senza dire del carattere discrezionale dell'apprezzamento di tali servizi) non è
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uguale per i francesi che per gli italiani. In realtà l'art. 11 fa dipendere la possibilità di essere esentato dalle interdizioni stabilite dal decreto da una condizione, che per se stessa è tale da mettere i francesi e i tunisini in una condizione di favore rispetto agli italiani. Per effetto dell'art. 11, sotto l'apparenza di un rispetto formale dell'eguaglianza di trattamento, si arriva di fatto ad una discriminazione che lede l'eguaglianza di trattamento alla quale gli italiani hanno diritto. In queste condizioni il R. Governo non può dichiararsi soddisfatto delle dichiarazioni della Residenza Generale. Mantenendo le riserve già formulate, esso seguirà, ad ogni modo, con attenzione l'applicazione del decreto del 30 novembre 1940, dato che solo dall'applicazione pratica delle sue disposizioni si potrà constatare se le persone di cittadinanza italiana sono trattate in diritto e in fatto nella stessa maniera dei tunisini e dei francesi, specialmente per quanto concerne l'esercizio delle professioni e l'esenzione delle interdizioni stabilite nel detto decreto». Il tono del governo italiano non era certo clamoroso, e lo provava il fatto che alla fine esso si limitava in concreto a dichiarare di avere intenzione «di seguire con attenzione l'applicazione del decreto» ciò che voleva dire che da quella parte nulla si era ottenuto. Anzi, nel frattempo, ad imitazione della legge francese metropolitana del 2 giugno 1941 veniva deciso col decreto del 26 giugno 1941 il censimento di tutti gli ebrei della Reggenza i quali, da una parte dovevano subire la nomina nelle loro imprese di amministratori-controllori ariani, e dall'altra dovevano accettare una drastica diminuzione percentuale delle loro presenze in alcune professioni (avvocati ed altre professioni liberali). Per i medici poi, uno speciale decreto del Residente Generale del 18 ottobre ne limitava il numero al 5% del numero totale. Queste annunciate disposizioni, che rafforzavano le prime comprese nel decreto del dicembre precedente, diedero nuove preoccupazioni presso la comunità dei «Grana»; se ne fece interprete presso il Ministero degli Affari Esteri di Roma il Console Generale italiano a Tunisi Giacomo Silimbani, il quale non esitava a scrivere che «i nuovi Decreti razziali apparsi. .. hanno gettato il piu profondo sgomento fra gli ebrei di Tunisia. Questi, come è noto, detenevano e tuttora detengono, nelle professioni, nel commercio, nell'attività industriale, un assoluto primato. Se le leggi francesi dovessero essere applicate in Tunisia, nella stessa misura che nella Metropoli, si assisterebbe, in questo paese, ad un vero e proprio sconvolgimento nel campo economico e sociale. Negli ambienti israeliti si spera che come per la legge razziale dell'autunno scorso,
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anche per questa piu recente si addivenga, in Tunisia, ad opportuni temperamenti. .. » (83J. Il problema ritornava ad essere grave per la comunità italiana minacciata dalle nuove disposizioni ma non solo per essa: « ... non pochi ebrei in Tunisia volgono i loro sguardi all'Italia, giudicando la nostra legislazione razziale, cosf come è stata applicata agli ebrei della vicina Libia, ispirata a principi piu equi e umani ... ». « ... Viva è l'attesa per l'atteggiamento del nostro Governo quanto all'applicazione, da parte delle autorità della Reggenza, dei Decreti razziali agli ebrei italiani. Questi infatti si ritengono in certo modo protetti dalle convenzioni del 1896 che stabiliscono identità di trattamenti fra i cittadini italiani e i cittadini francesi e tunisini. Gli ebrei italiani contano almeno di poter ottenere, nelle professioni e nelle attività economiche, un numero di posti proporzionale a quello che sarà riservato ai correligionari francesi e tunisini. .. ». Dal canto loro gli organi della CIAF non ebbero molte possibilità di giocare neppure in questo caso. In linea di principio infatti il governo francese si era trincerato in una posizione di chiusura quanto alla tutela degli italiani di Tunisia sostenendo che, con la dichiarazione di guerra italiana, tutti i trattati che ne regolavano le modalità e specialmente le convenzioni del 1896 erano decaduti. Tale posizione (che portò, dopo la liberazione, all'adozione di una specifica norma giuridica, l'ordinanza del 22 giugno 1944 del governo provvisorio francese ad Algeri) non era accettata dall'Italia. La CIAF infatti riteneva che, dopo la vittoria sulla Francia e la firma del1' armistizio di Villa Incisa, non poteva essere previsto agli italiani un trattamento peggiore di quello di prima della guerra. La questione della tutela giuridica degli italiani rientrava evidentemente in quell'ambito. Tuttavia la cautela a questo riguardo da parte degli organi armistiziali italiani veniva ribadita alla luce degli orientamenti politici palesi degli ebrei di Tunisia, accusati di essere «fautori sia per calcolo che per tendenza innata di ogni forma di sovversivismo, spesso banditori dell'idea comunista e sostenitori, a suo tempo, del fronte popolare» e di avere «sempre professato l'amicizia per le potenze democratiche avversando anche con chiassose manifestazioni ogni legittima rivendicazione italiana». Pertanto l'impegno a tutelare gli ebrei italiani si temperava anche perché la questione del trattamento degli italiani di Tunisia nel loro complesso stava diventando drammatica per la serie di espulsioni e di
(83) Telespresso del 20 giugno 1941 del cons. gen. G. Silimbani al Min. Aff. Est., in AUSSME-CIAF, racc. 20.
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processi in cui le magistrature francesi civili e militari ebbero modo di mostrare ancora una volta i sentimenti di avversione da cui erano animate nei riguardi della colonia italiana. E la CIAF, a parte alcuni puntuali interventi, non mostrò molta attenzione a quell'aspetto della vita armistiziale, limitandosi ad esaltare «la paziente disciplina dell'attesa» da parte della colonia italiana, che comprendeva «come le necessità del momento imponevano talvolta di segnare il passo e di non esercitare tutti quei diritti che dovrebbero derivare dal fatto di aver vinto la Francia ... ». Quanto al fondo della questione ebraica le conclusioni ufficiali italiane non furono molto esaltanti: «quando la nostra azione (di tutela) apparirà in questo campo necessariamente limitata, gli ebrei manifesteranno nuovamente la loro mentalità e il loro stato d'animo, fondamentalmente e sinceramente volti alla speranza di una vittoria anglosassone e di un ritorno al regime democratico». Le autorità della CIAF presero peraltro un'altra iniziativa, quella di far intervenire sulla Francia le ben piu ascoltate autorità armistiziali germaniche allo scopo di «salvare» gli ebrei italiani. La via scelta fu quella della diplomazia classica in luogo di quella armistiziale: il 2 settembre 1942 l'ambasciatore d'Italia a Berlino Dino Alfieri presentava al segretario di Stato al ministero degli esteri di Berlino E. von Weiszaecker un esposto nel quale una tesi nuova veniva presentata quanto alle decisioni francesi di colpire gli ebrei italiani. Non si sarebbe trattato di una legge destinata a realizzare con la Lotta contro gli ebrei italiani una politica antisemita, bensf una nuova via inventata dalle autorità francesi di Tunisia per realizzare il loro vecchio sogno, quello di decimare la collettività italiana di Tunisia e colpire cosi la ben nota rivendicazione italiana sul paese. Indebolendo la presenza numerica degli italiani di Tunisia, i francesi avrebbero potuto cosf legalmente realizzare i loro propositi. Pertanto l'ambasciatore italiano chiedeva al governo tedesco di impedire che fosse portato avanti il programma di lotta contro gli ebrei italiani, non certo per salvare gli ebrei ma per tenere fede a vecchi impegni italiani che sarebbero stati rimessi in discussione con simili provvedimenti. La proposta era di soprassedere e di imporre ai francesi di Vichy di annullare ogni decisione di Tunisi. Lo storico che, unico fra gli storici, si è interessato alla questione, Miche! Abitbol, ha precisato, sulla scorta di documenti tedeschi, la reazione tedesca a questa proposta (84).
(84) Si tratta di un breve cenno in Les juifs d'Afrique du Nord sous Vichy, Parigi, Maisonneuve et Larose, 1983, p. 82.
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Da una parte Weiszaecker ebbe l'impressione che l'intera vicenda fosse solo il frutto di una macchinazione francese allo scopo di acuire una crisi tra i due alleati dell'Asse, mentre un tutt'altro atteggiamento ebbe Otto Abetz, ambasciatore tedesco a Parigi. Per costui, che lo ripetè al segretario generale della CIAF, gen. Fernando Gelich, in visita a Parigi tra la fine di marzo e l'inizio di aprile, non era conveniente per la politica araba dell'Italia che i francesi apparissero quali persecutori degli ebrei e gli italiani quali loro protettori. Evidentemente anche la questione andava collocata nel suo ambito locale, arabo, che costituiva sempre un rischio ed una tentazione per le autorità dell'Asse. Poste di fronte a queste due interpretazioni tedesche e premute dall'alleato italiano, le autorità tedesche scelsero una via insolita ma sicura: non fecero nulla, né pro, né contro, lasciando che la quéstione maturasse da sé. E l'occasione sarà di lf a poco quella dell'occupazione italo-tedesca della Tunisia della fine dell'anno.
Il. Le difficoltà del dialogo: la questione Weygand Dopo la nota del 14 luglio 1941 del governo francese, l'intero problema della partecipazione francese ai grandi progetti dell'Asse per l'Europa mediante il suo superamento dello stato armistiziale parve arenarsi di fronte alle difficoltà di vario ordine avanzate al riguardo da Vichy. Dopo le speranze dei Protocolli la delusione pareva grande, e a Mussolini non rimase che prenderne atto scrivendo ad Hitler nella lettera del 24 luglio che ormai «per quanto concerne il settore mediterraneo bisognava contare esclusivamente sulle nostre forze e soprattutto effettuare il loro coordinamento costante». Proprio sul coordinamento insisteva la lettera e ne precisava le modalità nuove con presenze di «organi di collegamento» tedeschi presso gli Stati Maggiori italiani. Su queste basi erano avvenuti gli incontri di Gardone, e l'evoluzione dei rapporti con Vichy da parte dell'Italia come da parte della Germania appariva sempre piu legata ad una serie di vantaggi pratici che valessero, con concessioni della Francia specie in Nord Africa, a sbloccare una situazione militare che l'assedio navale inglese ai rifornimenti italiani verso i campi di battaglia rendeva vieppiu critica e fragile per l'intero avvenire dello sforzo bellico dell'Asse nella regione. Ora, tra queste esigenze palesi ed inevitabili per la prosecuzione della campagna libica ed i propositi baldanzosi dei «vincitori» nei riguardi della Francia stavano gli ostacoli maggiori che già Vacca Maggiolini aveva individuato e segnalato allo Stato Maggiore italiano. L'insieme delle decisioni italiane andava peraltro riportato alla situazione bellica generale, con speciale riguardo alla politica tedesca con Vichy. Proprio parlando di questi problemi con il presidente della CIAF alla P.resenza del capo di Stato Maggiore gen. Cavallero il 5 settembre, il Duce aveva nuovamente evocato il vecchio piano di spostamenti geopolitici nell'Europa occupata ed ancora in guerra, spostamenti che avrebbero interessato sia la Francia, come vittima e beneficiaria, sia l'Italia che avrebbe finalmente dato una
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risposta alle attese dei rivendicazionalisti e sia infine alla Germania che avrebbe ufficialmente coagulato attorno al Grande Reich territori propri e satelliti da tempo occupati. Ma i risultati di questi ultimi colloqui, avvenuti sul fronte russo con Hitler, non erano stati troppo positivi per l'intero piano. Il Duce sentenziava in quella occasione che «i tempi non erano ancora maturi per addivenire ad accordi colla Francia». La causa di una simile situazione andava ricercata nell'alleato: «Il Hibrer ed il Governo tedesco non ripongono troppa fiducia negli uomini di Vichy: alcune loro recenti manifestazioni dimostrano che manca loro una precisa e risoluta buona volontà per una leale politica di collaborazione coli' Asse: cosf, in una recente intervista·concessa ad un giornalista svizzero, l'amm. Darlan ha dichiarato che la Francia, fedele alle sue tradizioni politiche, non si presterà mai a baratti di popoli. Tale affermazione esclude dunque che si possa trattare colla Francia sulla base di concessioni territoriali ·che la compensino delle nostre rivendicazioni» css). A questo punto l'intera questione tornava ad essere militare, con un nemico piu forte del previsto, l'URSS, e con un altro nemico, la Gran Bretagna, che non pareva orientato verso una resa o un accordo con l'Asse pur vincitore nell'intera Europa. La sperata «guerra breve» diventa invece piu lunga con la prospettiva di una ripresa delle operazioni nella primavera russa, cioè nel giugno 1942, e quindi con ovvi motivi di preoccupazione sul piano generale del conflitto e, specialmente in attesa della vittoria tedesca sulla Russia, con il grave problema del conflitto nordafricano, con quello dei rapporti con la Gran Bretagna e con l'ultimo problema, quello della Francia. Per la Gran Bretagna si evocavano nuovamente propositi di attacco diretto; con il Nord Africa si trattava di alimentare un conflitto la cui soluzione avrebbe gettato la Francia in modo definitivo nelle braccia dell'Asse: «La Francia cesserà allora di essere pericolosa e sarà alla nostra mercé». Per intanto la politica che Mussolini auspicava che la CIAF realizzasse nei confronti di Vichy era quella del dialogo e della mano leggera. Fino alla vittoria dell'Asse, ribadiva il Duce «bisogna che la Francia non ci dia alcuna noia, specialmente nell'Africa del Nord. Sarebbe infatti assai grave per noi se i Francesi ci attaccassero dalla Tunisia nel momento in cui fossimo fortemente impegnati cogli Inglesi verso l'Egitto. Occorre dunque morfinizzare la Francia perché stia tranquilla. Spetta a voi destreggiarvi abilmente per ottenere lo scopo. Dimostratevi dunque amichevole e disposto a trattare .. .». (85) Resoconto del colloquio del 5 settembre 1941 con il Duce riportato quale documento n. 30 nel Tomo secondo della presente opera.
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L'esortazione a Vacca Maggiolini non era oscura: «Occorre evitare in modo assoluto attriti ed incidenti colla Francia ... », << ••• fare tutto il possibile per evitare ciò. È sommo interesse nazionale che la Francia non ci dia noia in questi prossimi mesi ... » ed ancora « ... in poche parole: barcamenatevi fino a giugno 1942 ... ». La posizione del Duce in quel momento ci appare estremamente dipendente dalle conversazioni avute poco prima con Hitler, che faceva ruotare l'intera sorte della guerra attorno alla data della ripresa offensiva delle operazioni contro 1'URSS e quindi condizionava un mantenimento dello status quo dovunque pur di giungere nelle migliori condizioni possibili a quella data. Ad uno quasi sbigottito presidente della CIAF tali disposizioni che giungevano dopo le roboanti dichiarazioni a proposito della Francia vinta dovettero suonare assai difficili da condividere, specie alla presenza di una Francia, quella di Vichy, che spesso nutriva propositi non troppo «collaborativi» con l'Asse e specie con l'Italia. Era la questione del Nord Africa che premeva, con una crisi militare in atto a danno dell'Asse che perdeva crescenti percentuali del naviglio di rifornimento per opera del blocco navale britannico e con un regime politico assai coriaceo. La questione tunisina poi, appariva ancora tutta da risolvere, specie alla luce di una evoluzione politica locale che forse poteva aprire qualche spiraglio alla politica dell'Italia (86). Era il caso ideale di una resistenza di fatto che con una certa dose di attendismo non lasciava certo dubbi circa i suoi propositi. Ben lo descrisse al Duce Vacca Maggiolini, insistendo sulle difficoltà nei territori francesi dell'Africa del Nord riconoscendo: « ... Il generale Weygand è veramente un capo che svolge in Africa, a tutto nostro danno, un'opera efficacissima. In pochi mesi egli è infatti riuscito a fare di tre regioni - Tunisia, Algeria, Marocco - finora autonome e con interessi disparati, un unico ente statale, con unità morale, politica, militare ed economica, che è ben saldo nelle sue mani e che lo segue con fiducia. Si tratta di un nostro nemico aperto e pericoloso. Anche della lealtà di Weygand verso il Governo del Maresciallo Pétain si può dubitare; certo vi sono nelle sue azioni molti e chiari accenni alla ricerca di rendersi quanto piu è possibile indipendente dal Governo di Vichy ... ». Anche in questa occasione si possono notare le realistiche resistenze che Vacca Maggiolini tentava di opporre alle tesi del Duce che pareva affidare l'intero futuro ad una bonaria coesistenza in attesa di una rivincita immancabile e per fare ciò non voleva avere crisi a nessun
(86) Se ne vedano gli echi nel Documento n. 31 del Tomo secondo della presente opera.
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costo con la Francia di Pétain. Quanto poco convincente fosse la tesi di Mussolini di fronte alla guerra dei colpi di spillo e alla rinascita dello spirito nazionale francese si può arguire dalle risposte del presidente della CIAF, che per ben due volte e con forza tentò di rimettere i propositi del Duce sui binari della realtà: «Purtroppo, Duce, gli incidenti sono, specialmente in Africa, frequenti e talora anche gravi. E poiché, nella maggior parte dei casi, non sono provocati da noi ma dai francesi - e specialmente dagli agenti di rango inferiore (sottufficiali, gendarmi, ecc.) - essi sono inevitabili ... » ed allorquando Mussolini insisteva di «fare tutto il possibile per evitare ciò» ecco che Vacca Maggiolini riprendeva con forza la sua tesi: «Vi prometto che faremo del nostro meglio, i miei ufficiali ed io, per eseguire i vostri ordini. Ai miei ufficiali prescriverò persino di essere remissivi, di cedere nei limiti del possibile. Se però, eventualmente, dovessero sorgere qualche incidente grave che compromettesse anche la nostra dignità ed il nostro prestigio e che io non riuscissi a risolvere, mi affretterò a venirvene a riferire, Duce.:.». Il colloquio del 5 settembre si rivela importante quanto all'attività della CIAF, specie per quel che riguarda i rapporti con la Delegazione francese a Torino ed in genere con le autorità francesi le quali sempre pio perdono, agli occhi degli uomini della CIAF, la caratteristica principale dell'inizio, cioè di essere i vinti sulla cui sorte ormai l'Italia può decidere a piacere senza ritegno di sorta. Ciò spiega il rallentamento generale della questione delle rivendicazioni e gli equilibrismi che spesso caratterizzano i rapporti tra l'Italia e la Francia nei vari problemi. Oltre tutto, questi rapporti triangolari Roma-Torino-Vichy dovevano necessariamente tenere conto delle decisioni prese dall'alleato germanico, spesso senza nessuna consultazione con gli italiani. Era la vecchfa questione della messa in armonia delle due politiche, quella italiana e quella germanica, con la Francia di Pétain, ma questa questione si era sempre rivelata di difficile soluzione in quanto i pesi e le misure che a Roma venivano evocati non sempre corrispondevano a valutazioni tedesche analoghe. Il dilemma che una eminenza del Ministero degli Affari Esteri presso la CIAF, Cristoforo Fracassi, faceva notare in un suo rapporto al Ministro Ciano poco prima, il 26 agosto, non era frutto della pura fantasia diplomatica: «O verranno fatte al Governo di Pétain ampie concessioni in modo da convincere l'opinione pubblica francese della convenienza della politica di collaborazione, nel qual caso sarà possibile contare sulla Francia, ovvero nel caso contrario occorrerà essere guardinghi nelle concessioni, specie in Nord Africa, per evitare che si ritorcano a nostro danno ... » Era sempre la tesi di Vacca Maggiolini, alla
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quale egli aggiungeva alcune considerazioni ed una serie di interessanti proposte. Le considerazioni: « ... Le contropartite che la Germania si propone di accordare ai francesi sono essenzialmente di carattere militare. Tali concessioni... (provocheranno)... la immediata reazione anglo-degollista. Il popolo francese, tuttora sostanzialmente anglofilo e contrario ali' Asse, si troverà quindi in guerra col suo antico alleato senza aver sentito preventivamente alcun vantaggio sostanziale da questo capovolgimento della politica del proprio paese. Verrebbe quindi a mancare la premessa psicologica indispensabile per indurre la pubblica opinione francese a noi ostile a mutare il proprio atteggiamento ... ». Le proposte erano contenute in 5 punti: 1) rapida liberazione di un rilevante numero di prigionieri di guerra francesi; 2) evacuazione da parte delle truppe di occupazione di una notevole parte del territorio francese; 3) evacuazione della capitale e ritorno del governo a Parigi, misura questa osteggiata dai tedeschi, ma che avrebbe enormi ripercussioni psicologiche in Francia; 4) messa in essere di provvedimenti efficaci che senza portare pregiudizio ai rifornimenti dell'Asse consentano un effettivo miglioramento alla situazione alimentare francese, di già gravissima, e le cui incognite costituiscono oggi un pauroso incubo per tutti i francesi indistintamente e soluzione almeno parziale del problema del riscaldamento, essendo già stato ufficialmente annunciato che durante l'inverno 1941/42 non verrà assegnato neppure un chilo di carbone per tale uso; 5) diminuzione sostanziale delle spese di occupazione pagate aUa Germania. L'evocazione di questo promemoria Fracassi ci sembra importante perché, pur essendo stata ricordata nella riunione col Duce una serie di problemi connessi alla questione francese, il capo del governo fascista ben si guardava dal rispondere sia a questo progetto da fare condividere all'alleato tedesco sia a quello proposto dallo stesso suo interlocutore, il gen. Vacca Maggiolini. L'intera questione appare liquidata in due termini di furbizia e di astuzia che si richiedeva alla CIAF pur di ottenere il consenso francese ma non ci si decideva ad affrontare la questione nei suoi termini reali ed accettabili anche dal governo di Vichy. In questo quadro anche la vera novità di settembre, e cioè l 'incontro tra il Delegato Generale della CIAF per l'Africa del Nord amm. F. Farina ed il governatore generale del Nord Africa Francese gen. Weygand, perderà la sua efficacia quale elemento dinamizzatore della situazione quanto all'incertezza francese a proposito del vicino conflitto
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libico. Infatti sarà facile all'interlocutore francese sconfiggere ogni proposta di cooperazione o di semplice assistenza passiva proprio perché la premessa politica, la quale, pretesto o realtà, era invocata da Vichy, non vi era stata. L'incontro tra l'amm. Farina ed il gen. Weygand si svolse il 22 settembre ad Algeri, e segna nella storia dei rapporti tra la CIAF e le autorità francesi la prima data di un incontro al vertice che, fino ad allora, non si era avuto per motivi per lo piu protocollari, volendo le autorità di Torino che a sollecitare l'incontro fosse il generale «vinto» e che questo avvenisse con la visita del «vinto» ospite del «vincitore». L'evoluzione generale della situazione e soprattutto la tenacia opposta da Weygand a questa visita fecero sf che ogni questione fu superata con la formale richiesta da parte dell'amm. Farina dell'incontro, che poneva la CIAF di fronte a colui che era stato al centro del colloquio con Mussolini del 5 settembre e che certamente poteva essere l'interlocutore piu valido, o l'ostacolo, ad ogni progetto di utilizzazione del Nordafrica, specie della Tunisia, nei piani di guerra dell'Asse. Il problema evocato dall'amm. Farina in questo colloquio era quello dei rifornimenti alla Libia ed ai militari dell'Asse di prodotti agricoli (grano, olio, ecc.), che si voleva vedere facilitata ed affrettata da parte francese (leggasi Weygand) in ossequio ad un accordo del governo francese (di Vichy) alla richiesta italiana per il parziale trasporto di queste merci via terra dalla Tunisia alla Libia utilizzando autocarri tedeschi. La risposta di Weygand fu negativa, anche se questo rifiuto si faceva risalire a necessità di origine politica generale indipendenti da ogni volontà di rispettare o meno le decisioni di Vichy. Diceva 1'Appunto finale dell'incontro destinato a Ciano: «Il generale Weygand, nel confermare quanto aveva fatto presente in precedenza al suo Governo, ba dichiarato che non poteva autorizzare il trasporto del grano via terra, perché non voleva esporre il territorio da lui amministrato a rappresaglie economiche da parte degli Stati Uniti (con i quali erano stati stipulati accordi commerciali per il rifornimento del Nord Africa) e a rappresaglie militari da parte dell'Inghilterra. Egli ha aggiunto che poteva soltanto autorizzare un limitato traffico marittimo nei porti tunisini prossimi alla Tripolitania, quali Susa e Sfax, traffico da rivolgersi con particolari cautele per nasconderlo agli informatori inglesi ... ». Riaffiora cosf nell 'intera questione della politica da usare nei confronti della Francia vinta il problema della mancanza di buona volontà a collaborare allo sforzo bellico dell'Asse da parte delle stesse autorità di Vichy le quali, e Weygand ne era illustre esempio, mettevano in forse
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anche gli accordi penosamente conclusi con le autorità centrali. La spiegazione di quello che fu chiamato anche il proconsole francese in Nordafrica era abbastanza lineare: «Il generale Weygand ha insistito nel porre in rilievo che tutta la responsabilità di questo vasto territorio grava su di lui, per cui si trova nella necessità di dover adattare le direttive generali del Governo di Vichy alla particolare situazione locale ed alle esigenze imposte dagli accordi con gli Stati Uniti. Pur comprendendo la fondatezza delle mie argomentazioni, ha tenuto a dire che iJ rifiuto del transito via terra non deve essere attribuito a sue particolari vedute ma ad assoluta necessità di evitare conseguenze che potrebbero avere grande importanza. Nel dichiarare di non voler muovere obiezione al traffico marittimo fra i porti orientali tunisini e la Libia, egli ritiene di aver già concesso molto ... » cs1i. Le considerazioni dell'amm. Farina a questo proposito sono abbastanza illuminanti poiché vi appaiono ben delineate le motivazioni di fondo della reticenza del Weygand: «Timore di critiche inglesi e legami di ordine commerciale verso gli Stati uniti, sono certamente le cause dirette che gli impediscono di affrontare con larghezza di vedute le nostre considerazioni, ma alla base delle sue decisioni non può non influire la sua personale simpatia e aderenza alla politica dell'Inghilterra». Pur con questi rifiuti «giustificati», il Weygand non mancò tuttavia di avanzare alcune richieste specifiche circa il superamento, sul piano militare di alcune limitazioni armistiziali e cioè: - sostituzione dei due battaglioni già partiti per l 'AOF con altri della Legione straniera attualmente in Francia rimpatriati dal Levante; - costituzione di 3 squadroni carri armati per utilizzare i 62 carri già da tempo sbloccati; - costituzione di due compagnie anticarro con pezzi da 25. Su altri punti le richieste del gen. Weygand non furono certo leggere e vertevano sulla richiesta diminuzione del personale della delegazione italiana nel Marocco che egli vedeva crescere «senza alcuna giustificata necessità», sulla questione del controllo dell'Asse sull'aeronautica francese del Nord Africa che egE pretendeva troppo pesante e sul controllo delle stazioni radio militari navali e terrestri il cui servizio meteorologico e di avvistamento era da tempo al centro delle questioni con le autorità militari dell'Asse.
(87) Appunto per l'Ecc. il Ministro (Ciano), 16 ottobre 1941; Relazione dell'amm. Farina al gen. Vacca Maggiolini sull'intervista col gen. Weygand, 24 settembre 1941; Risposta del gen. Vacca Maggiolini all'amm. Farina, 5 ottobre 1941, in ASSME-CIAF. Racc. 35.
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Le reticenze di Weygand provate dagli incontri con l'amrn. Farina illustrano in misura abbastanza efficace il tipo di resistenza passiva opposta dalle autorità di Vichy, che si dichiaravano pronte alla coUaborazione ma che, il piu delle volte, vi opponevano all'atto della sua realizzazione tali intralci e tali condizioni preliminari da renderla praticamente irrealizzabile. Se poi, come si verificava per la CIAF e per la CTA, l'Asse richiedeva prima di concedere agevolazioni prove di collaborazione effettiva, queste venivano condizionate da Vichy all'ottenimento di vantaggi preliminari, e si creava una situazione senza uscita in cui gli uni aspettavano la mossa degli altri e questi a loro volta la condizionavano alla mossa preliminare dei primi. Anche in occasione degli incontri di Algeri il solito gioco si ripresentava: aUe richieste di agevolazioni militari avanzate da Weygand quali preliminari alla sua adesione al piano dell'Asse per il rifornimento della Libia di derrate alimentari, la CIAF precisava che queste agevolazioni sono da considerarsi «concessioni che saranno subordinate a determinate prestazioni da richiedere alla Francia; esse sono pertanto vincolate allo sviluppo delle future trattative con la Francia». E la constatazione di Vacca Maggiolini che la situazione appariva bloccata anche perché da Vichy si rimandava a Weygand ogni decisione che lo stesso Weygand si rifiutava di prendere per timore di reazioni inglesi o americane, non può non farci rimandare al gioco delle parti in corso da parte dei francesi con le due commissioni di armistizio allo scopo di guadagnare tempo. La vecchia e già ricordata posizione di Duplat circa questo tipo di «gioco» si ripresentava anche al Algeri. Tra Roma, Torino, Vichy ed Algeri le cose si trascinavano senza concludersi: la visita a Weygand è del 22 settembre; la relazione dell'ammiraglio Farina è del 24; la risposta del gen. Vacca Maggiolini è del 5 ottobre; la relazione al Ministro Ciano è del 16 ottobre; Duplat scrive a Vichy il 30 ottobre ed all'inizio di novembre l'urgente questione del trasferimento dalla Tunisia alla Libia delle derrate alimentari oggetto di queste trattative non è ancora neppure avviata a soluzione. Convocato finalmente a Vichy per fare una relazione sul proprio operato su richiesta tedesca, ma anche su richiesta del rivale Darlan, il gen. Weygand si trovò al centro di una vera congiura contro la sua permanenza ad Algeri. Per l'ambasciatore tedesco a Parigi Otto Abetz essa era addirittura vista quale «ostacolo insormontabile allo sviluppo di una politica costruttiva tra la Germania e la Francia» (88>. (88) Nota O. Abetz del 25 settembre 1941 in M. Weygand, Mémoires, vol. m: Rappelé au
service, Parigi, F!ammarion, 1950, pp. 524-525.
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La defenestrazione di Weygand portò certo un po' d'aria nuova nei rapporti tra la Francia e l'Asse ma non risolse i problemi della collaborazione, specie tra Francia e Germania, che si urtavano con ostacoli notevoli di tipo politico che erano il frutto di contrastanti visioni sull'avvenire di questo rapporto e anche sull'andamento generale e sulla conclusione del conflitto. Un primo momento di verifica delle varie posizioni si ebbe allorquando in occasioni delle solenni esequie del ministro dell'Aviazione del governo di Pétain gen. Huntzinger furono riuniti a Vichy i massimi esponenti della CTA, della CIAF e delle due delegazioni francesi presso le commissioni di armistizio, in presenza naturalmente dei membri del governo presieduto dall'amm. Darlan e dal capo dello Stato mar. Pétain. Ricevuti singolarmente o a gruppi, questi elementi essenziali del gioco politico Francia-Asse avviarono un inizio di dialogo. Darlan, ricevendo preliminarmente Abetz, lo metteva al corrente della disponibilità francese a liquidare Weygand ma, come al solito, rilanciava la questione delle concessioni, sulla quale tornò successivamente anche alla presenza dei presidenti delle due commissioni. In cambio dell'esonero di Weygand, che per la forma sarebbe stata accompagnata da parte italiana dal ritiro dell'amm. Farina, ed allo scopo di meglio fare accettare una simile decisione dall'opinione pubblica francese metropolitana e nordafricana cosf suscettibile al riguardo, dovevano manifestarsi dalla parte dell'Asse concrete decisioni. Queste vertevano sulla liberazione di un contingente di prigionieri di guerra trattenuti in Germania con un congruo gruppo di nord africani, l'autorizzazione a procedere per certi rinforzi militari in Africa del Nord ed in AOF ed infine il trasferimento dell'ex-Armata del Levante dalla Francia metropolitana all'Africa del Nord. Proprio per non compromettere la decisione francese di liquidare Weygand la delegazione germanica decise di accettare il primo ed il terzo punto delle richieste francesi, rimandando la discussione sul secondo e su altri aspetti dei rapporti con la Francia alle conversazioni a tre già in programma presso la sede della CTA per la fine del mese. Per quel che riguarda l'Italia gli incontri di Vacca Maggiolini con l'amm. Darlan e successivamente con lo stesso mar. Pétain assunsero un tono particolare, quasi Vichy volesse stabilire con l'Italia un rapporto particolare chiedendo Darlan di incontrare al piu presto Mussolini: «Generale - disse a Vacca Maggiolini - dobbiamo intenderci tra di noi. Il Maresciallo crede nella nuova Europa; io pure ci credo, ma occorrerebbe accordarsi tra noi. Sono sicuro che se io potessi parlare col Duce l'accordo sarebbe facilmente raggiunto. Ma io - vinto - non posso
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chiedere il colloquio. Che Mussolini mi faccia sapere il suo desiderio di parlare con me ed io sarò felice d'incontrarlo» <89>. L'attesa per l'incontro a tre a proposito del coinvolgimento della Francia fu contrassegnato da una serie di progressi nei rapporti con l'Italia specie a livello dei rapporti economici. Le specifiche trattative svoltesi in seno alla delegazione economica a Roma nel novembre portarono ad alcune novità favorevoli alle tesi italiane. Ma prima ancora che tali novità si iscrivessero nella realtà alcuni segni di buona volontà, o di oculata contrapposizione con la delegazione gennanica, si fecero giorno, tra cui sul piano giuridico le discussioni circa l'applicazione ai cittadini italiani residenti in Francia delle leggi francesi sugli affitti e sulla proprietà commerciale nonché l'applicazione a questi stessi italiani delle Convenzioni internazionali italofrancesi in materia di lavoro. In realtà, se le delucidazioni tra la Sottocommissione per gli Affari Giuridici della CIAF presieduta dal prof. Giacinto Bosco e il capo della Section Juridique della Delegazione francese a Torino, prof. Paul Couzinet, che si svolgono dopo l'accordo del 24 giugno 1941 nel periodo ottobre-novembre, appaiono dense di dottrine, sul piano concreto si può notare la ribadita «buona volontà» francese a sistemare de facto questioni che de jure apparivano compromesse dallo stato di guerra tra i due Stati, buona volontà la quale peraltro trova molti limiti nelle sottili disquisizioni giuridiche e che sul piano del trattamento degli italiani in Francia o nei territori controllati dalla Francia (leggasi soprattutto la Tunisia) lasciava non solo a desiderare bensf sollevava molte perplessità presso gli italiani colà residenti <90). Dopo il cosiddetto «accordo del 24 giugno» le osservazioni giuridiche sollevate dalle autorità francesi ad una sistematica applicazione non mancavano certo di argomenti o di pretesti. Dapprima ci si rifaceva, da parte francese, al fatto che tutti i trattati conclusi tra due Stati erano da considerarsi decaduti per lo stato di guerra tra queste due potenze e che la rimessa in vigore in tutto o in parte di questi trattati non poteva avvenire se non in forza di una for-
(89) Relazione del gen. Vacca Maggiolini al Capo di SM geo. U. Cavallero, 17 novembre 1941 di cui si veda il testo completo quale documento n. 32 nel Tomo secondo della presente opera. (90) Vedansi P. CouzrNET, chef de la Section Juridique della DF a Torino. Rappon du 14 ocrobre 1941, Application aux ressonissants italiens résident en France de la législation sur les loyers et sur la propriété commerciale; G. Bosco, Lettera a P. Couzinet, Applicazione ai cittadini italiani residenti in Francia delle leggi francesi sugli affitti e sulla proprietà commerciale, 19 onobre; P. Couzinet. Leure du 24 octobre à G. Bosco; G. Bosco, Leuera al MAE sull'applicazione agli italiani delle Conven1ioni internazionali italo-francesi in materia di lavoro, 26 ottobre 1941, in ASSMECIAF, Racc. 3.
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male Convenzione; e ciò non era il caso per il processo verbale del 24 giugno. Non si poteva d 'altra parte fondare una ripresa sulla base del suddetto processo verbale poiché esso non poteva essere tale da avere il valore di una convenzione internazionale per almeno tre motivi: per l'assenza dei pieni poteri conferiti ai rispettivi delegati, per l'assenza della ratifica ed infine per l'assenza nel corpo stesso di quel documento di una formale volontà delle parti di voler considerare tale il documento originale che si limitava ad evocare le questioni affrontate dai delegati dicendo: «Le procès-verbal que nous signons aujourd'hui résume les principales questions qui ont été évoqués au cours de notre réunion du 24 juin ... ». E tutti questi elementi di indubbio valore e significato giuridico impedivano che si potessero considerare vincolanti anche le disposizioni «evocate» dal documento, come faceva bene osservare il delegato francese Couzinet. Con tutto ciò, ed in armonia con molte precedenti prese di posizione della delegazione francese, si precisava tuttavia da una parte che si trattava «d'une situation de fait et non d'un engagement bilatéral» e dall'altra che la «buona volontà» francese non mancava per surrogare questa assenza di valore giuridico di quel tipo di impegno. Concludeva infatti la relazione della Direzione giuridica francese di Torino: «Il convient d'observer que l'argumentation ci-dessus est d'or-dre strictement juridique et que la délégation française est néarnmoins intervenue auprés du Gouvemement français pour lui demander de bien vouloir lui fournir toutes précisions sur l'application de fait aux ressortissants italiens en France de la législation sur les loyers et sur la proprieté commerciale. Dès que ces renseignements lui seront parvenus, la Délégation française les portera à la connaissance de la CIA. La Délégation française tient enfin à déclarer qu 'elle se refuse à penser que l'arnélioration des rapports franco-italiens puisse étre compromise, pour si peu que ce soit, par des divergences de vue relati ves à l'interprétation d'un texte». E dello stesso tipo era la posizione francese a proposito della applicazione agli italiani delle convenzioni internazionali italo-francesi in materia di lavoro. Anche a questo riguardo il diritto escludeva ogni automatismo e rimaneva la sola «buona volontà» delle autorità di Vichy per tutelare al meglio gli interessi di questi italiani che la situazione armistiziale lasciava certamente in balia alle autorità francesi ed ai loro umori, i quali in genere erano assai poco benevoli.
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12. Gli accordi economici di Roma e gli incontri di Wiesbaden
La soddisfazione ìtalìana per la decisione dì Vichy di allontanare, dopo varie resistenze sue e del suo ambiente, il gen. Weygand da Algeri si manifestò in vari documenti della CIAF di cui il piu significativo quanto alle conseguenze pratiche fu la relazione del 24 novembre mandata dal gen. Vacca Maggiolini al capo di SM gen. Cavallero. In essa, dopo aver dato atto che la pressione italiana era stata forte da piu mesi per la liquidazione di Weygand, si faceva rilevare la connessione tra questo problema ed il generale problema del futuro delle relazioni tra la Francìa e l'Italia. Per questo fine la CIAF «stava lavorando da piu mesi, non lasciando passare occasione senza far giungere al governo francese, tramite la Delegazione francese di Torino, l'espressione del suo malcontento per l'atteggiamento del generale Weygand e facendo chiaramente intendere come l'ostentato atteggiamento di indipendenza di questo generale non giovasse ad accrescere il prestigio del governo di Vichy e la nostra fiducia nelle sue buone intenzioni, e che le attitudini ostili per l'Italia del Weygand non potessero non solo migliorare la situazione armistiziale, ma rappresentassero anzi un pericolo di serie complicazioni». E non si creda neppure che da parte della CTA vi fosse altrettanta sensibilità; secondo il gen. Vacca Maggiolini la «scoperta» della pericolosità di Weygand doveva essere attribuita solo all'Italia ed alla sua Commissione armistiziale. In realtà ciò era forse bello e produttivo per il gen. Cavallero ma non risponde alla verità: i documenti tedeschi provano abbondantemente che la convinzione di tale pericolo fosse ben presente ai tedeschi assai prima che se ne veda la traccia nei documenti italiani. Ben lo dice il Pastorelli allorquando ricorda che «era ormai da molti mesi che il governo germanico giudicava «nettamente ostile all'Asse» l'attività di Weygand, e già alla fine dell'estate lo stesso Weygand, affermando durante un pubblico banchetto che «ogni tedesco morto in Russia era un guadagno per la Francia», aveva fornito a
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Berlino l'occasione per dichiarare che la presenza del Generale in Nordafrica era considerata «un ostacolo insonnontabile allo sviluppo di una politica costruttiva tra la Gennania e la Francia» <9 1>. Pertanto un intero paragrafo connesso a questo «merito» della CIAF va letto con parecchio scetticismo. Non corrisponde infatti al vero affennare: «Al riguardo (Weygand infido) la CIAF dovette superare non poche resistenze per far comprendere anche alla parte tedesca la situazione del Nord Africa e fu soltanto col fornire reiterate prove dall'attitudine del generale Weygand e del pericolo che esso costituiva per l'Asse che la CTA si indusse ad associarsi ali' Italia nel far conoscere ai rappresentanti francesi che la presenza del generale Weygand in Nord Africa non era gradita ... ». Ma a parte questa lieve non-verità, la relazione Vacca Maggiolini pareva illudersi circa il significato «definitivo» della decisione di Vichy, che implicava ormai un sereno avviarsi sulla strada della collaborazione. Ovviamente non poteva non essere se non un pio auspicio presentato a Cavallero come una prova inequivocabile: «Per il governo di Vichy, la decisione di allontanare Weygand significa dunque aver tolto di mezzo un capo autorevolissimo che osteggiava il riavvicinamento della Francia ali' Asse; significa una prova concreta che lo stesso Governo vuole questo riavvicinamento, pur col rischio di esporsi alla probabile reazione americana e forse anche a quella inglese ed alle critiche acerbe dell'opinione pubblica francese ... ». E proprio in questa prospettiva, gli incontri di Roma che si svolgono tra l'amb. Amedeo Giannini a nome dell'Italia e il Direttore del Commercio Estero presso il Ministero delle Finanze di Vichy, Paul Leroy-Beaulieu, a partire dal 6 novembre con all'ordine del giorno la sistemazione della rinuncia italiana all'art. X della Convenzione di armistizio e la questione della sorte delle imprese francesi in Italia paiono confermare questi buoni propositi. La posizione italiana era abbastanza elastica e mirava da una parte ad assicurare all'erario, in cambio della rinuncia al materiale contemplato dall'art. X dell'armistizio, una somma forfettaria che all'inizio venne indicata sui 10 miliardi di lire. Quanto alla sorte delle imprese francesi in Italia, i pareri a Roma apparivano divisi: chi pretendeva realizzare con una nazionalizzazione delle stesse un netto salto in avanti delle strutture industriali italiane; chi invece non voleva se non degli accordi di partecipazione; chi infine era
(91) P. PASTORELLI, op. cit., p. 364. Cosr si espresse von Ribbentrop nel suo colloquio con Ciano del 15 giugno 1941, vedi L'Europa verso la catastrofe, cit., p. 666. Fin dall'inizio della sua missione, Weygand era stato oggetto della diffidenza tedesca: vedi Hitler a Mussolini, le11ere del 5 e 31 dicembre 1940, in Hitler e Mussolini, lettere e documenti; cil., pp. 82 e 84-85. Nota Aberz del 25 smembre /941, in Weygand, Mémoires, cit. voi. m, pp. 524-525.
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favorevole a non toccare nulla delle presenze finanziarie ed industriali della Francia in Italia proprio per favorire una svolta politica che era auspicata da tempo ma che non aveva ancora portato nel campo dell'Asse la presenza attiva della Francia. I negoziati di Roma ebbero due aspetti; uno, trattato a livello della sottocommissione militare, e l'altro a livello della sottocommissione economica. Entrambe però trattavano gli stessi problemi, con maggior interesse per la rinuncia, nel primo negoziato, e maggior interesse per le industrie francesi nel secondo. Dopo una dura discussione tra le parti, guidata da parte italiana dal segretario della CIAF gen. Gelich e da parte francese dal vice dell'amm. Duplat, ten. col. Donati, l'accordo si realizza con l'approvazione dei due Protocolli, legati tra di loro quanto alla loro attuazione. Il primo protocollo è quello relativo alla rinuncia italiana al materiale evocato come disponibile dall'art. X dell'armistizio. In quattro articoli era liquidato nel senso che l'Italia, in cambio di due miliardi e seicentomila franchi, rinunciava ad una serie di materiale bellico sbloccando 1.674 veicoli militari e 1.468 veicoli requisiti; inoltre altro materiale di tipo militare considerato requisibile dall'Italia veniva dichiarato non rivendicato dall'Italia stessa. In cambio l'Italia riceveva 2,6 miliardi di franchi con una suddivisione precisa. Per un valore del 32% della somma, cioè 832 milioni di franchi, fu acquistato oro nella misura di 14.224 chili, al prezzo di 57.671 franchi al chilo. Una seconda percentuale, del 16% (146 milioni di franchi) fu riservata all'acquisto di partecipazioni ad industrie francesi. Una terza infine di l.352 milioni di franchi, pari al 52% del totale, fu riservata alle normali attività finanziarie tra i due paesi. Il secondo protocollo riguardava le imprese francesi in Italia messe sotto sequestro fin dal maggio 1940. Per gestire queste industrie veniva creato un Sindacato, il quale peraltro rappresentava per i francesi una migliore garanzia consentendo lo stesso sindacato la presenza di francesi e la loro gestione in talune industrie. Si trattava in genere di industrie piccole e medie; per le grandi la sorte pareva orientata verso una nazionalizzazione-partecipazione dell'Italia alla loro attività, e ciò per vari motivi di natura strategica generale. Un elenco di 21 imprese francesi messe in liquidazione, un elenco di 16 da mantenere sotto sequestro ed infine un'ultima lista di 29 imprese da rendere praticamente libere: ecco le tre categorie di imprese francesi in Italia che vennero evocate dalle discussioni di Roma. Queste diedero al governo di Vichy talune soddisfazioni, pur dovendo esso cedere a certe rivendicazioni italiane a proposito di imprese importanti per la loro dimensione (Société Tiberghien Frères, Textilis, Textiloses, Forni Stein) o per la loro rile-
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vanza ai fini della Difesa nazionale (Hutchinson, Carburatori Zenith e Solex, Società Léon Beaux-munizioni, Explosifs Cheddite, Continental Brunt per i contatori del gas) (92) . Dopo la firma degli accordi le due parti si felicitarono entrambe per la loro sottoscrizione: da parte italiana erano ritenuti il promettente inizio di un coinvolgimento della Francia nella guerra a fianco dell'Asse e soprattutto dell'Italia, mentre da parte francese ci si rallegrava per la tutela che cosi si era ottenuta per il recupero di taluni materiali preziosi per l'esercito francese e per la salvaguardia di talune industrie francesi in Italia non piu in balia di un'amministrazione opinabile dei beni nemici. Per il presidente della CIAF il giudizio risulta dai documenti che vennero scritti dopo il 22 novembre, piu che positivo specie a proposito dell'indennità che la Francia accettava di pagare all'Italia. Precisava Vacca Maggiolini nel citato rapporto a Cavallero: «In quanto alla gestione relativa all'art. X della Convenzione di armistizio, non si può prendere atto del gesto francese, che viene incontro all'Italia col fornirle una disponibilità finanziaria di cui sentiva forte il bisogno. Disponibilità che consentirà, fra l'altro, di fronteggiare le spese da attuarsi in Francia (spese di armistizio, pagamento treni e carbone, acquisto di materiali, commesse all'industria francese nel quadro di un progetto generale che sarà compilato d'accordo con la CTA, ecc.)». Ciò che peraltro pareva sostanzioso era che a questo corrispettivo della somma francese non vi fosse una grave rinuncia dell'Italia, e la differenza appariva decisamente a favore dell'Italia: «Superfluo poi sottolineare la portata di circa 14 tonnellate di oro comprese nella contropartita finanziaria di cui trattasi; contropartita ottenuta per non chiedere da parte italiana quella seconda consegna di materiali che, in fin dei conti, sono di scarso valore bellico e che ben poco noi avremmo potuto utilizzare, anche ammesso che ad imporre tale seconda consegna si fosse potuto addivenire. Lecito è infatti questo dubbio, perché molti dei materiali di cui trattasi dovranno servire per quei riarmi di nuove unità da concedere alla Francia secondo il protocollo di Gardone; riarmi che saranno oggetto delle imminenti trattative a tre (Germania, Italia e Francia). Resta inteso, comunque, che quei materiali, pur non essendo oggetto di consegna all'Italia, rimarranno sotto controllo a sensi dell'art. Xl». La soddisfazione del presidente della CIAF era chiara nel giudizio sull'intero negoziato di Roma, giudizio che lo portava a pronunciarsi in (92) Per la loro imponanza i due testi sono riponati quale documento n. 33 del Tomo secondo della presente opera. Pochi si sono interessati alla conferenza di Roma; negli Archivi del Quai d'Orsay nel deposito «Vichy,. si trovano i resoconti completi dei dibattiti a cura della delegazione francese.
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modo decisamente illusorio quanto al futuro della collaborazione cosi confermata dalla Francia verso l'Asse che vedeva l'Italia preferita, in un certo qual modo, alla Germania, e le sorti della guerra orientarsi verso nuovi traguardi positivi grazie all'utilizzo delle risorse francesi ed alla partecipazione della Francia. «Tutto sommato è quindi da considerare che l'Italia abbia fatto un "ottimo affare"; e se la Francia vi si è prestata bisogna convenire - a parte l'abilità dei nostri rappresentanti nel condurre le trattative - che essa si proponeva, come venne del resto dichiarato nelle recenti riunioni di Roma, di migliorare anche per questa via i suoi rapporti con l'Italia. Se poi a questi fatti concreti e già realizzati si aggiungono le ostentate dimostrazioni fatte dal Capo dello Stato francese e dai maggiori esponenti del suo governo alla Delegazione italiana che partecipò in Vichy alle esequie del compianto generale Huntzinger, occorre riconoscere che effettivamente si precisano piu chiari intendimenti della Francia nei riguardi dell'Asse in generale, e dell'Italia in particolare. Certo è, del resto, l'interesse della Francia a trattare con noi piuttosto oggi quando ancora un suo appoggio può esserci utile - che non domani a guerra ultimata, colla completa nostra vittoria. La Germania, da quanto posso constatare attraverso i documenti armistiziali ed attraverso le opinioni espressemi dal Presidente della Commissione tedesca di armistizio, sembra sempre piu orientata sulla via di una decisa collaborazione colla Francia; qualche prova concreta potrà probabilmente aversi quanto prima ... ». Le illusioni erano, come si vede, piuttosto tenaci, e malgrado diciotto mesi di relazioni armistiziali segnate in modo inequivocabile daUa cattiva volontà francese sia a riconoscersi sconfitta dall'Italia sia ad abituarsi all'idea di una permanente situazione di inferiorità nei confronti dell'Asse che si accompagnava ad una strategia di vero e proprio sabotaggio dei regimi armistiziali, la CIAF per bocca del suo massimo rappresentante credeva ancora nel «recupero» della Francia di Vichy. In fondo era un panorama piuttosto roseo quello che si presentava al capo di Stato Maggiore, in cui le prestazioni richieste alla Francia per ottenere talune concessioni si davano quasi per acquisite con evidenti ripercussioni positive sull'andamento generale del conflitto. Si trattava di concedere: «nuovi riarmi alla Francia in funzione anti-inglese dapprima nell' AOF ed in secondo tempo nel Nord Africa, previe contro-prestazioni francesi riguardanti cessioni di naviglio mercantile all'Italia ed alla Germania, e successivamente l'utilizzazione delle basi tunisine per i rifornimenti alla Libia e della base di Dakar onde intensificare la battaglia atlantica.
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È da presumere che, in ispecie dopo l'allontanamento di Weygand, la Germania esaminerà molto benevolmente le proposte di riarmi chiesti dalla Francia in Africa, mentre da parte italiana la contropartita finanziaria già ottenuta, e di cui sopra si è parlato, non creerà piu imbarazzo ad autorizzare gli sbloccamenti dei materiali sotto controllo occorrenti per i riarmi stessi. È prevedibile quindi che queste trattative a tre, sgomberato il ceppo da ostacoli pregiudiziali, possano avviarsi a buone soluzioni nel comune interesse dell'Asse e della Francia. Non ci si può tuttavia nascondere che, in ispecie per le questioni del secondo tempo e cioè per le basi tunisine e per la base di Dakar che comportano, senza dubbio, grave rischio ai francesi per le reazioni che possono provenire dall'Inghilterra e dall'America - la Francia solleverà le maggiori difficoltà se essa non vedrà prima rischiarato il suo orizzonte politico ... ». E questa volontà da parte dell'Italia era confermata, ben tenendo conto della generale situazione geopolitica della Francia e della necessità dì dare alla Gran Bretagna «l'ultimo assalto». Ma degli accordi che cosa ne pensavano i francesi? Dalle carte segrete fatte pervenire dalla Delegazione francese alla Direzione dei Servizi dell'Armistizio (OSA) di Vichy possiamo avere un'eco delle posizioni francesi a questo riguardo. Nella speciale nota ultra segreta del 22 novembre a firma del presidente della delegazione francese Leroy Beaulieu e pure sottoscritta dal ten. col. Donati, capo della delegazione militare ai negoziati di Roma, appare chiaro il giudizio positivo: «Si l'on tient compte des résultats acquis, on doit conclure que l'accord réalisé répond ... aux désidérata du gouvernement français». Anche sulla questione dei due miliardi e seicento milioni da pagarsi all'Italia il giudizio è positivo, prima di tutto perché ci si aspettava da parte francese un irrigidimento italiano sui cinque miliardi inizialmente richiesti e poi anche perché in favore dell'accordo vi era l'iniziale posizione francese, che aveva trasmesso alla propria delegazione l'autorizzazione a transigere su tre miliardi da pagare all 'Italia. Infine vi era anche una piccola soddisfazione per un certo inganno che l'Italia subiva in quanto per ottenere il 32% della somma da pagarsi in oro, quelle famose 14 tonnellate, a causa di una sopravalutazione del prezzo dell'oro della Banque de France incaricata della transazione, l'Italia perdeva ben 144 milioni di franchi, riducendo cosi l'onere totale a soli 2 miliardi 456 milioni. A questa perdita doveva essere aggiunte altre «spese» che l'Italia si era accollata: 2,50 per mille ossia 144.200 franchi per tonn. per le spese di trasporto e di manutenzione; 8% ossia 4.614.480 franchi per tonn. per le spese di assicurazione rischi ordinari e rischi di guerra.
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In tutto era altri 55 milioni circa che la Francia evitava di sborsare con grande sua soddisfazione. Se questi furono i giudizi delle parti a proposito degli accordi di Roma, vale la pena di vedere se per le tre categorie del versamento francese annunciato dagli accordi vi furono realmente tali esborsi. Entro il febbraio 1942 l'oro fu regolarmente consegnato all'Italia. Non fu cosf per un'altra categoria: dei 416 milioni di franchi (16%) riservati per gli acquisti di partecipazioni italiane ad aziende francesi poco piu del 20% fu realmente pagato. Tre sole operazioni furono autorizzate da Vichy: per 95,4 milioni l'acquisto di 219.804 azioni della Compagnie La Dalmatienne, 420.000 franchi per l'acquisto di 258 azioni della Dacia Romana e 110.000 franchi per quello di 170 azioni dell' Union italienne de réassurance. Accanto a questi acquisti tre operazioni sono segnalate in questo quadro: la vendita alla FIAT della filiale mìlanese della Tréfileries du Havre (metà delle azioni), la vendita alla Montecatini di 30.250 azioni della filiale della Rhone Poulenc, la Rhodiaceta Italiana, e la cessione all'Italgas di 10.600 azioni (su 16.000) della filiale della Compagnie des Compteurs, gli stabilimenti Siry-Chamon. Anche in queste operazioni, a dispetto di quanto andavano scrivendo autorevoli esponenti della CIAF che forse leggevano troppo alcuni corifei francesi della collaborazione quali per esempio Drieu De La Rochelle, la posizione delle autorità di Vichy restava nel suo complesso ambigua e piena di contraddizione (93). Ben lo ha sottolineato Pierre Guillen allorché scriveva proprio riguardo a quel periodo: «En ce qui concerne les ententes à conclure, les firmes françaises concemées, appuyées par le gouvemement de Vichy, multiplient lenteurs et dérobades, s'addressent à plusieurs groupes italianes à la fois pour susciter entre eux une concurrence et embrouiller les choses. Tout fut de notre coté, mis en oeuvre pour gagner du temps, écrit dans son rapport l'attaché financier à Rome ... » (94). Un altro aspetto dell'inconsistenza delle positive valutazioni della CIAF e soprattutto del suo presidente a proposito dell'atteggiamento della Francia di Vichy nei confronti dell'Italia può essere ricordato, poiché i suoi svìluppi si intrecciavano in quelle settimane di preparazione degli accordi di Roma. Ed è quello relativo alla posizione fran(93) Drieu De La Rochelle scriveva addirittura: «Daos nos relations avec l'Allemagne nous avons jusqu'à ce jour tout essayé: il nous reste plus que la collaboration ... » Ne plus attendre, Parigi, Grasset, I 941, p. 84. (94) P. GUJLLEN, Les entreprises industrie I/es françaises en /rafie pendant la période fasciste, in Studi in memoria di Mario Abrate. p. 558.
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cese nei riguardi del conflitto libico in relazione alla Tunisia ed ai casi di sorvoli o di atterraggi di aerei italiani in quel protettorato francese che pur accoglieva le autorità armistiziali italiane. Agli inizi di novembre la Delegazione francese presenta alla CIAF una nota di protesta a tale riguardo. In tale nota si chiedono sanzioni «molto severe» a carico degli equipaggi e si domanda di conoscere le sanzioni stesse. Nel caso che non si fosse aderito a tale richiesta veniva minacciata l'adozione di «tutte quelle misure che siano atte a salvaguardare la sovranità francese e la sicurezza delle basi aeree>>. Dato il tono della nota il Comando Supremo italiano chiedeva al Ministero degli Esteri se essa fosse compatibile con il prestigio dell'Italia o se, quindi, debba esservi data una risposta ovvero se dovesse essere respinta senza neppure essere presa in considerazione. Ed al ministro Ciano si proponeva: «Si potrebbe comunicare al Comando Supremo che questo Ministero sarebbe del parere di non rispondere alla nota facendo sapere verbalmente all 'amrn. Duplat che la nostra mancata risposta è dovuta al tenore della nota stessa; quanto ai fatti in essa riferiti ci si potrebbe limitare a comunicare, sempre verbalmente, che è stato raccomandato ai nostri piloti di non sorvolare o atterrare in territorio francese se non in casi di assoluta necessità». Anche se la nota francese non presentò seguiti apprezzabili sul piano pratico, va osservato che essa denotava una evidente volontà di non collaborare, e lo strano fu che sia Cavallero sia Ciano rispondendo lo stesso 4 novembre alle perplessità di Vacca Maggiolini non trovarono nulla di meglio se non rifiutare di rispondere per iscritto alla protesta francese, ma accompagnando questo rifiuto con puntuali richiami ai piloti italiani di «non sorvolare o atterrare in territorio francese». Proprio in quel periodo tuttavia si rifanno vive le pressioni di Vichy per giungere a quei colloqui a tre in vista della revisione concordata del regime armistiziale. Nelle istruzioni mandate da Darlan il 18 e il 24 novembre all'amm. Duplat ed al suo collega presso la CTA, il capo dell'esecutivo di Vichy dichiarava di accettare che i Protocolli di Parigi costituissero la base del negoziato «ma a condizione che non si pretenda di far funzionare certe clausole indipendentemente dalle condizioni generali dalle quali dipende la loro esecuzione», condizioni, soggiungeva piti oltre, «che dovranno essere preventivamente realizzate». Avuta poi notizia delle richieste che avrebbe posto la Germania all'inizio delle trattative (la cessione del naviglio neutro bloccato nei porti francesi) e di quelle che la Francia poteva presentare (aumento delle sue forze in Africa occidentale), rilevava che, non essendovi connessione tra le due questioni e risultando lo scambio comunque svantaggioso per la Fran-
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eia, doveva essere ristabilito il giusto equilibrio avanzando nuove richieste complementari. Tra le quali, «quelle che concernono direttamente la difesa dell'Africa occidentale, egli precisò, formano un tutto che non è suscettibile di alcuna riduzione» (95). , Ormai si doveva andare al confronto. Gli incontri si svolsero tutti nella sede della CTA a Wiesbaden e furono ad ogni loro conclusione punteggiati da incontri politici ad alto livello Francia-Asse. Dopo il primo (27 novembre 1941), vi fu l'incontro a Saint Florentin Vergigny del 1° dicembre tra Goering e il maresciallo Pétain; dopo il secondo del 6 dicembre vi fu l'incontro tra Ciano e Darlan a Torino del 10 dicembre; dopo il terzo del 12 dicembre vi fu l'incontro a Berlino tra Goering e Juin del 20 dicembre; il quarto ed ultimo incontro del 21 dicembre interruppe questo lavoro diplomatico, con la presentazione da parte del presidente della delegazione francese amm. Michelier di un memorandum (21 dicembre) nel quale il governo di Vichy dichiarava di non poter proseguire le trattative di Wiesbaden in quanto poteva mancare ad esse la necessaria buona volontà della delegazione tedesca (dell'Italia si taceva) alle necessità politiche e militari generali della Francia da coordinarsi alle concessioni in Tunisia ed altrove da riconoscere alle forze armate dell'Asse. Sul piano italiano la presenza alle riunioni di Wiesbaden di una delegazione della CIAF la quale, almeno in teoria, era chiamata a partecipare pienamente alle trattative a tre potè dare al presidente Vacca Maggiolini un certo tipo di euforia. Basterebbe per leggere un testo che sembra dominato da criteri a dir poco ottimisti, prendere in esame le note che lo stesso scrisse 1'8 dicembre a destinazione di Ciano. Benché fosse piuttosto chiaro fin dal 27 novembre che Vichy tergiversava di fronte alle richieste principali della CTA, egli manifestava un ottimismo che oggi, con la massima attenzione rivolta ai documenti ed alle dichiarazioni di provenienza francese, possiamo difficilmente condividere; e ciò non per il solito senno di poi bensf per l'esame spassionato della situazione venutasi a creare a Wiesbaden. Da una parte la Germania che richiedeva la cessione di 125 mila tonn. di naviglio non francese sotto sequestro nei porti francesi, che sarebbero andate 88 alla Germania e 37 all'Italia; l'invio di merci dal Nordafrica francese verso la Libia per un periodo di tempo indeterminato ed infine la fabbricazione in industrie francesi di munizioni per conto dell'Asse. E dall'altra parte una Francia che insisteva sulla necessità di provvedere in via prioritaria a talune si-
(95) La délégation Française, op. cir., tomo V, pp. 289-291 e 293-194. Ved. nota
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stemazioni politiche del regime armistiziale, che riproponevano senza alcuna variante la situazione di blocco che si era già verificata nei rapporti bilaterali dopo la firma di Parigi dei Protocolli di maggio; e tale posizione di Vichy portava l'appena iniziato dialogo a tre di Wiesbaden in un vicolo cieco che solo autorevo1i alti interventi potevano superare. L'incontro di Saint Florentin del 1° dicembre tra Goering ed il mar. Pétain si ebbe in questo quadro, !3-el quale la Germania chiedeva alla Francia ed al suo capo maggiore prove di collaborazione allo sforzo bellico dell'Asse soprattutto nel Nordafrica e nell' AOF e, di rimando, il mar. Pétain insisteva nel dilemma che aveva paralizzato fino ad allora ogni vera svolta dei rapporti franco-tedeschi. In sostanza Vichy ritornava sulle vecchie richieste alternative: o alla Francia veniva riconosciuto uno statuto di parità abolendo il regime armistiziale rinnegandolo, o alla Francia tale evoluzione non veniva riconosciuta. Nel primo caso si superava il rapporto tra vincitore e vinto e si poteva avviare un dialogo che non fosse l'imposizione dell'uno sull'altro; in questo caso però la Germania doveva prendere decisioni importanti agli occhi dei francesi, quali il rientro in patria di tutti i prigionieri di guerra trattenuti in Germania, la soppressione della linea di demarcazione con ovvio ritorno del governo a Parigi, la riduzione sensibile delle spese di occupazione pagate da Vichy a Berlino ed infine il libero e pieno riarmo dell'esercito francese nel territorio metropolitano e nelle colonie e soprattutto nel Nordafrica. Nel secondo caso, in cui alla Francia non veniva riconosciuta tale evoluzione-negazione dell'armistizio, ogni discorso sulla «collaborazione» appariva vano e quindi l'immobilismo, o meglio un atteggiamento neutrale della Francia nel conflitto in corso, si imponeva al governo francese. A Saint Florentin le posizioni dei due principali interlocutori non mutarono: non vi fu chiarimento né accordo, ma non vi fu neppure rottura. Si mantenne uno status quo denso di incognite per l'Asse, interessato soprattutto allo sblocco della situazione tunisina ed all'uso dei suoi porti al1o scopo di alimentare lo sforzo bellico italo-germanico nel1a Libia che andava soffrendo non poco dell'efficacia del blocco navale britannico nel Mediterraneo. Naturalmente va osservato subito a proposito delle conversazioni di Wiesbaden, che si definivano «a tre», quanto poco spazio venisse lasciato dall'alleato tedesco all'Italia nel dialogo «a due» che Berlino intendeva avviare con Vichy. Frutto di un'effettiva priorità germanica, dovuta al controllo di un ingente numero di prigionieri francesi, all'occupazione di una cosf ingente porzione del territorio francese ed al ricorso massiccio alle risorse
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francesi disponibili grazie anche alle spese di occupazione pagate da Vichy, la preponderanza germanica appariva massiccia. Forse per allentarne un po' la pressione, al capo del governo di Vichy amm. Darlan sedusse l'idea di procedere ad un incontro, proprio in quei giorni, con il ministro degli Esteri italiano Ciano a Torino, sede della CIAF, quasi a ribadire che gli interlocutori fossero due e che anzi, il piu trascurato, l'Italia, era la piu interessata alle questioni tunisine per portare avanti le operazioni belliche nella propria colonia, la Libia. L'incontro di Torino del 1O dicembre fu preparato dal gen. Vacca Maggiolini da un lungo promemoria che riproponeva l'esame dei rapporti tra la Francia e l'Italia alla luce degli incontri di Wiesbaden e dal fatto che essi non erano stati conclusi bensi dovevano riprendere da li a poco (96) . Anche in questo documento si può notare da parte del presidente della CIAF una doppia caratteristica: da una parte la visione ottimistica della situazione delle relazioni italo-francesi con un'aperta convinzione della buona fede degli uomini di Vichy e, dall'altra, una serrata critica verso la posizione tedesca e le continue esitazioni politiche di Berlino. Il tutto condito da una certa sicurezza nel proprio giudizio espresso nelle prime righe del rapporto stesso: «Le presenti note mirano a mettere in luce le attuali relazioni tra Francia e Italia e la possibilità e convenienza di un loro ulteriore sviluppo, quali appaiono dall'osservatorio, sotto molti punti di vista eccellente, che io occupo quale Presidente della Commissione Italiana di armistizio con la Francia .. . ». Ed a questo punto questa soddisfatta visione va ad urtare con un'affermazione abbastanza nuova circa lo stato di queste reazioni nel periodo precedente agli incontri di Wiesbaden: fino ad allora essi erano «caratterizzati da una glaciale freddezza, derivata da una parte dalle nostre mai smentite rivendicazioni e, dall'altra, dal!' ostentazione francese di ignorare che esiste oggi una Italia giovane, forte e risoluta . .. ». Una simile affermazione contrasta non poco con i giudizi precedentemente espressi dallo stesso presidente, ma ciò è dovuto forse alla convenienza di fare apparire ancora piu clamorosa la «notevole distensione» frutto del «mutato atteggiamento se non della Francia, almeno del suo governo» verso l'Italia. E qui l'analisi di Vacca Maggiolini si addentra nelle «sue» spiegazioni, che appaiono molto interessanti anche perché spiegano largamente tutta una serie di illusioni e di errori che erano ancora nutriti nelle alte sfere italiane alle quali si adeguava la visione di Vacca Maggiolini. Egli si pone la domanda: «Quali le ragioni
(96) Se ne veda il testo integrale quale Documento n. 34 nel Tomo secondo della presente opera.
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di tale mutamento nella politica del governo di Vichy (mutamento al quale però l'opinione pubblica francese si mantiene ancora estranea)?». La sua risposta è contenuta in due punti: «1) la Francia non può piu probabilmente continuare nella attuale situazione armistiziale, pena un suo forse irreparabile tracollo (circa un milione e mezzo di prigionieri; forte indennità giornaliera da pagare al Reich; territorio nazionale spezzato in due dalla linea di demarcazione; industrie e commerci fermi, vita sociale paralizzata, ecc.); 2) convinzione degli uomini di Vichy che l'Asse vincerà; che la nuova Europa voluta dal Duce e dal Ftibrer si costituirà e che l'attuale momento, nel quale la Francia può ancora offrire ali' Asse un suo utile concorso nella lotta contro le potenze anglosassoni, sia l'ultimo a lei favorevole; a guerra finita la Francia sarebbe infatti alla mercé dei vincitori». Le condizioni alle quali la Francia sarebbe disposta ad uscire dalla fase armistiziale per impegnarsi in una cobelligeranza de facto che andrebbe ad annullare la sua neutralità raggiunta dopo la resa, sono individuate dal presidente della CIAF nella rinuncia almeno parziale delle rivendicazioni dell'Italia, nella promessa della conservazione dell'impero e nell'inizio di «una cooperazione tra potenze mediterranee che potrebbero in avvenire controbilanciare il prepotere tedesco». Sul piano militare una tale auspicata evoluzione della Francia poteva significare il libero uso del territorio e delle basi tunisine da parte dell'Asse e quindi per l'Italia un notevole allentamento del peso dell'assedio navale britannico attorno alla Libia nonché l'uso di Dakar e di altre basi nell 'AOF. Quanto all'evoluzione giuridica della struttura armistiziale appare interessante la constatazione secondo la quale tale evoluzione non avrebbe presentato per l'Italia gravi aspetti negativi. Precisava infatti il promemoria: «La Convenzione d'armistizio ha, per quanto ci riguarda, già perso di fatto il suo valore in molte clausole e sempre piu ne andrà perdendo, talché si può affermare che, da parte nostra, non sarebbe grave danno il rinunciarvi. Si tratta però di vedere, in linea di diritto ed in linea di pratica, che cosa vi si possa sostituire (per noi, militarmente parlando, una ben organizzata missione militare che controlli gli sviluppi e l'impiego delle forze francesi fino a pace generale conclusa potrebbe forse essere sufficiente)». Quanto alla posizione della Germania in una simile evenienza, Ja sua disponibilità appariva limitata dai vantaggi che essa traeva dalla sua posizione di Stato vincitore in quanto occupava piu della metà del territorio francese usandone le risorse, conservava nelle proprie mani un numero ingentissimo di prigionieri francesi utili anche
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quale manodopera a buon mercato ed infine riscuoteva una forte indennità giornaliera. E la domanda era evidente: «Sarà la Germania disposta a sostituire l'armistizio con la Francia con "un nouvel instrument", come ebbe a chiedere il governo di Vichy?». E qui la risposta di Vacca Maggiolini si faceva piu incerta poiché i propositi germanici non apparivano chiari, da tempo divisi com'erano tra una «politica francese» alla Abetz ed una vecchia politica da vincitore a vinto che si appalesava quotidianamente nella vita della Francia occupata e non. I vantaggi militari erano però il miraggio, poiché la crisi libica non poteva sopportare ali' infinito senza gravi conseguenze negative di non essere alimentata generosamente in armi, uomini e mezzi. Rimaneva il dialogo, non piu a tre bensf a due, tra la Francia e l'Italia a cui già era accennato a proposito della necessità di «controbilanciare il prepotere germanico». Forse 1'intenzione di addivenire ad un accordo a due con impliciti riferimenti alla Tunisia affiorava nell'animo e nei propositi del presidente della CIAF, ma ]e sue basi ci appaiono lontane da quel realismo che sembrava averle ispirate. Ci si riprometteva infatti di porre cosi Ja questione: «a) occupazione immediata della Tunisia (ampliata per ragioni economiche, del territorio di Costantina) e della Corsica da parte del1'Italia che, naturalmente, ne assumerebbe anche senz'altro la difesa; b) promessa alla Francia (conformemente a quanto il Duce mi ha esposto in un'udienza concessami il 15 agosto u.s.) di cederle in contraccambio le provincie Vallone del Belgio, nonché l'ampliamento del suo impero coloniale ai danni dei possedimenti inglesi d'Africa e d'Asia. Per quanto riguarda Nizza, la questione, considerata sotto il solo punto di vista militare, potrebbe per ora restare impregiudicata, restando ad ogni modo ben ferma la necessità di una rettifica dell'antico confine, intesa ad assicurarci, per impellenti ragioni di difesa, il possesso dell 'intero bacino idrografico della Roia e di tutta la dorsale che tale bacino limita ad occidente ... ». Alla luce di questo documento fondamentale ci si può rendere conto che le cosiddette aperture distensive della CIAF, ed a maggior ragione della CTA, non avessero molta sostanza, e che quindi la loro eventuale accettazione «spontanea» da parte della Francia di Vichy non potesse essere neppure sperata. Le «generosità» erano puramente verbali, ed il vero significato di queste conversazioni, a due o a tre, non parevano saper prescindere dal rapporto vincitore-vinto e dai documenti armistiziali. In queste condizioni anche la grande novità che era rappresentata dall'incontro a Torino tra Ciano e Darlan del 10 dicembre non poteva dare frutti apprezzabili: alla richiesta francese di contropartite
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politiche da ottenere subito per presentare all'opinione pubblica francese l'accordo come accettabile Ciano oppose un netto rifiuto, non avendo l'intenzione di andare cosf avanti nella sua azione di concorrenza con la Germania ed essendo quasi esclusivamente in mano germanica le risposte alle richieste francesi. Intanto nelle riunioni a tre di Wiesbaden ci si avviava ad un nulla di fatto, ad una impasse diplomatica e militare, anche perché la posizione francese ribadita in molte dichiarazioni pareva irremovibile. La posizione francese si fondava su quattro condizioni preliminari per ogni accordo con l'Asse e cioè: 1) la completa libertà per l'esercito, la marina e l'aviazione francese in Africa e nel Mediterraneo occidentale; 2) la liberazione dai campi di prigionia degli effettivi necessari ad inquadrare le truppe indigene; 3) la rimilitarizzazione della Tunisia meridionale; 4) la protezione aerea della Luftwaffe al traffico mercantile francese e la fornitura ad esso del necessario combustibile. La posizione francese diventava rigida a mano a mano che si andava avanti nelle discussioni, e nella riunione del 21 dicembre il rappresentante francese amm. Michelier presentava un rapporto che allargava ulteriormente il primo pacchetto di richieste con altre sette richieste politiche e militari, che diedero la conferma dell'impossibilità dell'accordo tanto era ampio l'arco delle rivendicazioni francesi, ritenute «premesse» ad ogni forma di collaborazione francese alla guerra dell'Asse. Il riassunto di esse che ne fu dato basta da solo ad illustrare questa ampiezza: 1) restituzione di 700.000 prigionieri; 2) consegna di 200.000 tonn. mensili di carbone tratto dalle miniere dei territori occupati; 3) restituzione di 1.500 locomotive e 15.000 carri e vetture ferroviarie; 4) definizione, con regolare documento, della riduzione delle spese d'occupazione a 300 milioni di franchi giornalieri e successiva riduzione della somma a 200 milioni; 5) trasformazione della linea di demarcazione in una linea di puro carattere militare; 6) riunione alla Francia delle due province francesi del Nord e del passo di Calais collegate dai tedeschi al territorio occupato belga; 7) riduzione a semplice controllo dell'azione preventiva esercitata dai tedeschi sulle autorità politiche e amministrative dei territori occupati.
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Quanto all'aspetto politico delle trattative a tre, uno speciale Memorandum illustrato il 21 dicembre dallo stesso Michelier dava il tono generale alle discussioni, subordinando per la Francia ogni decisione sulle questioni in esame al preventivo raggiungimento di accordi politici (97) . L'incontro diventava uno scontro, ed in questa situazione, come fu fatto rilevare dal rappresentante italiano col. Giuseppe Mancinelli mentre le trattative erano dette «a tre» le osservazioni del memorandum riguardavano invece solamente questioni relative ai rapporti Germania-Francia e soprattutto questioni economiche e politiche relative prevalentemente alla Francia occupata. Veniva inoltre notato che mentre nel memorandum si parlava dell'incontro di Saint Florentin tra Pétain e Goering, non si faceva parola su quello di Torino tra Ciano e Darlan. Nella sua risposta alle osservazioni italiane, l'amm. Michelier spiegò come nel corso delle predette riunioni di Wiesbaden si fosse determinata una superficie di attrito esclusivamente franco-tedesca in quanto verteva sull'applicazione del protocollo di Parigi (28 giugno 1940). Per questa ragione il memorandum era da considerarsi diretto esclusivamente alla parte tedesca ed era stato comunicato soltanto a titolo di informazione, e per cortesia, alla parte italiana. Ed anzi l'Ammiraglio Michelier ha voluto sottolineare che in questi ultimi tempi i rapporti tra Italia e Francia avevano assunto un aspetto molto soddisfacente. La rottura, o meglio, la sospensione delle trattative di Wiesbaden si verificò proprio su queste questioni di priorità che in realtà nascondevano ben altro: da una parte la reticenza della Francia a lanciarsi in una collaborazione che era una vera e propria cobelligeranza, e dalla parte della Germania il desiderio di non rinunciare ai succosi frutti della situazione armistiziale. In mezzo a queste due posizioni non confessate l'Italia, che riceveva il contraccolpo piu duro nella mancata organizzazione dei rifornimenti attraverso la Francia e la Tunisia verso la Libia. In sintesi, con l'avvenuta sospensione delle trattative a tre restavano da definire due questioni importanti, e cioè la questione della cessione del tonnellaggio mercantile e la questione dei rifornimenti della Libia via Tunisia. Secondo il gen. Vacca Maggiolini entrambe erano questioni spinose. Osservava infatti: «La prima potrebbe essere eventualmente risolta per via ultimativa usando del diritto al risarcimento per le navi francesi che hanno mancato all'obbligo di autoaffondamento intimato da parte delle Commissioni di armistizio e non mai effettivamente re-
(97) Per la sua importanza il Memorandum Micbelier del 21 dicembre è riportato quale Documento n. 36 nel Tomo secondo della presente opera.
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spinto dal Governo francese, che si è limitato a muovere obiezioni su questioni di dettaglio. Ma il momento non appare opportuno per fare questa intimidazione. La seconda invece esula dai rapporti armistiziali. Un mezzo di pressione potrebbe essere esercitato respingendo ogni nuova richiesta francese e ritirando eventualmente alcune delle concessioni fatte. Ma questo sistema offre scarse probabilità di efficacia e può avere dannose ripercussioni sul morale delle forze armate francesi; è perciò da scartarsi». E dall'esame suddetto il presidente della CIAF non traeva alcun auspicio di decisione; rinviare sembrava la parola d'ordine, ma rinviare fino a quando? Secondo il duce bisogna aspettare i1 giugno 1942 per decidere. Ma forse il tempo per aspettare mancava davvero specie per le battaglie nordafricane. Ed ancora una volta Vacca Maggiolini tornava ad illustrare il fondo della questione, che era un fondo di tipo politico e non armistiziale. «Esposta cosf la situazione, ogni ulteriore intervento per la prosecuzione delle trattative ricade nella competenza dei Comandi Supremi e dei Governi. Il punto di vista francese è il solito, e ben noto da tempo. La Francia per stabilire la «collaborazione» in funzione della quale potrebbero essere cedute le basi tunisine desidera: a) risolvere alcune questioni economico-politiche franco-tedesche (riduzione delle spese di occupazione e delle somministrazioni in natura per le truppe di occupazione, restituzione dei dipartimenti del Nord al complesso amministrativo francese, restituzione dei prigionieri, aumento del contingente carburante e carbone, alleggerimento del regime della linea di demarcazione, ecc.); b) uscire possibilmente dal regime armistiziale vero e proprio per entrare in un regime che potrebbe chiamarsi <<preliminare» di pace. Il punto a) riguarda la Germania, ed è quello a cui si riferisce il memorandum di cui si è qui parlato; il punto b) riguarda Germania e Italia e coinvolge alte questioni politiche e militari. Da quanto si può arguire, raccogliendo notizie presso la CTA, è da ritenere che il Fiihrer non sia propenso ad accogliere i desideri francesi. Certo è che se accordi politici non verranno raggiunti tra Francia e Asse, le trattative militari in discussione non avranno, con ogni probabilità, alcun esito».
13. Una svolta nel dialogo con l'Italia: gli accordi di Torino del Natale 1941
Se queste erano le posizioni della Francia di Vichy, appare chiaro che il problema strategico dei rifornimenti alle truppe dell'Asse rimaneva per il governo di Roma come per quello di Berlino un problema di enorme importanza. Le posizioni delle due capitali peraltro paiono differenziarsi, e se molta dell'attenzione tedesca appariva rivolta all'est quella delle massime autorità italiane sottolineava l'importanza vitale della via tunisina al rifornimento per la Libia. Il capo di Stato Maggiore Cavallero, in data 7 dicembre, era stato addirittura drammatico nel suo Diario: « ... dico che se non porteremo due divisioni (in Libia attraverso la Tunisia) perderemo l'Africa settentrionale e se perdiamo l'Africa, perdiamo la guerra... » (98). L'offensiva britannica iniziata in Egitto il 18 novembre incalzava; il suo successo poteva portare ad una situazione estremamente grave e quindi, con lo sviluppo del blocco navale ai rifornimenti diretti ItaliaLibia attuato con notevole successo dalla Royal Navy, il problema della rotta Marsiglia-Tunisi o Biserta diventa urgente. Cavallero lo precisava in quattro punti: «1) la situazione delle nostre truppe in Cirenaica è divenuta critica e il problema della loro alimentazione immediata ha carattere di urgenza nel limite di settimane, forse di giorni; 2) l'avversario è in grado di accrescere quasi indefinitamente i suoi mezzi di offesa contro il nostro traffico a misura che noi aumentiamo i mezzi di protezione; 3) in questa condizione debbo considerare che le truppe, pur avendo superato vittoriosamente l'urto nemico, possono trovarsi in pericolo da un momento ali' altro con la conseguenza che è superfluo indicare; (98) U. CAVALLERO, Comando suprenw. Diario 1940-43 del capo di Stato maggiore generale, Bologna, Cappelli. 1948, sub 7 dicembre 1941.
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4) cosf stando le cose la necessità di aprire al traffico la rotta di Tunisi e di Biserta è divenuta una necessità non solo inderogabile ma di assoluta urgenza. . .». A questo punto tergiversare come fanno gli uomini della CTA con concessionj, priorità, aspetti futuri dei rapporti con la Francia, ecc. appare una vera e propria sfida al buon senso. E l'esclamazione del responsabile militare italiano è piu che giustificata: « . .. Quando potremo dare a queste truppe (italo-germaniche) un po' di forze? Questo è il problema. Viveri ne arrivano, ma reparti no. Occorre assolutamente avere la via di Biserta. Possiamo rinunciare alla Cirenaica ma non alla Tripolitania, perché perdendo questa perderemo la guerra, non solo noi ma anche i tedeschi Aggiungo che ci occorrerebbe sapere che cosa chiedono i francesi per contropartita al transito da Biserta. Quali sacrifici vogliono da noi? ... » (14 dicembre, Diario). Le preoccupazioni che Ciano annotava nel suo Diario fin dal 6 ottobre a proposito delle gravi perdite che subivano i trasporti attraverso il Mediterraneo dei convogli italiani per iniziativa britannica parevano elementi permanenti di gravità. E questo elemento che alcuni storici eminenti hanno sottovalutato (99) può dare il senso all'urgenza di un accordo per l'uso sia del naviglio francese che assicurava la spola tra Marsiglia ed il Nord Africa con i trasporti di minerali quasi senza essere disturbato dalla flotta britannica, sia di un accordo sui porti tunisini e sui beni di vettovagliamento ritrovabili in Tunisia e nella vicina Algeria. Era una vecchia questione che dominava le preoccupazioni dei supremi comandi della Marina italiana fin dall'aprile e che né trattative a due né a tre avevano risolto, mentre i due dati obiettivi relativi ai trasporti attraverso il Mediterraneo incalzavano: da una parte la nota di Cavallero in data 31 maggio: « ... abbiamo bisogno di dodici convogli al mese; la nostra Marina ne fa sei. .. »; e dall'altra l'intensificarsi della azione navale britannica con dati paurosamente crescenti. Per ciò che si riferisce ai rifornimenti i mesi di ottobre, novembre e dicembre appaiono pesantemente negativi con perdite di materiali, compreso i combustibili liquidi dell'ordine del 23, del 70 e del 40% delle tonnellate imbarcate nei porti italiani. Quanto agli uomini trasportati, negli stessi mesi i dati sono altrettanto elevati crooi: rispettivamente del 14,8, del 4,5 e del 38% (vedasi le (99) Per esempio Henri Michel, che non esitò a scrivere che «le tonnage expédié aux troupes de l'Axe, franchissait la mer comme lettre à la poste», p. 428, La deu.xième guerre mondiale, Tomo I, Parigi, 1977. (100) A. COCCHIA, La difesa del traffico con l'Africa sette11trio11ale, voi. Vll, Roma, Ufficio storico della Marina Militare, 1976, p. 147.
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12.000 11 .000
1• Periodo
10.000 9.000 8.000
//" Periodo
Giuono , Novembre 1940 OioombfB 1940 , Maggio 1941
11/' Periodo
Gluono • Novembre 1941
IV-Periodo
Dioombre 1941 • Luglio 1942
V-Periodo
Agosto 1942 • Gennaio 1943
7.000
6.000 5.000 4,000 3.000 2.000 1.000
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Dal Giugoo 1940 a l Dioembre
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Dal Gennaio 1941 al Dicembre
N.8. Le percentuali si riferiscoqo al persona/9 non giunto rispetto a quello partito. Tale persona/9 fu però In grandissima parte sempre recuperato da/19 unnà di scorta.
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Dal Gennaio 1942 al Gennaio 1943
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Il tempo del dialogo
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due tabelle annesse). Alla luce di questi dati si capisce l'insistenza italiana nel proporre alla controparte germanica un allentamento delle rigide condizioni politiche poste alla Francia per ottenerne l'adesione all'uso dei porti tunisini, rotta alternativa e piu breve per i due tipi di rifornimenti. Ben giustamente nota il curatore del volume di memorie di Cavallero: «Insistette a lungo (il gen. Cavallero) e ripetutamente perché si potesse usufruire dei porti tunisini per lo scarico dei rifornimenti diretti in Africa, in modo da abbreviare il percorso marittimo. Ma la Germania, abbacinata da un'assurda speranza d'intesa con la Francia, intimorita dalle possibili conseguenze di un colpo di forza, dominata dalla mentalità continentale di Hitler, rifiutò costantemente di aderire». L'iniziativa italiana, dopo il fallimento di Wiesbaden, derivava da una specie di consenso germanico acché il dialogo con la Francia potesse continuare per proprie vie a livello Italia-Francia, che era stato reso noto fin dal 14 dicembre e che contemplava conversazioni bilaterali da realizzarsi a Torino, sede della CIAF. In teoria potevano passare per conversazioni di mera applicazione bilaterale di un accordo a tre. Venu-to meno questo, le conversazioni assunsero il tono e l'importanza di una nuova trattativa con l'Italia. Dopo il fallimento delle conversazioni con Weygand ad Algeri che aveva rappresentato l'unica iniziativa italiana di tipo autonomo verso le autorità della Francia di Vichy, le trattative di Torino furono precedute dalla visita di Darlan a Torino e segnarono l'estremo tentativo deU 'Italia di servirsi per la sua campagna libica della Tunisia, dei suoi porti e delle sue risorse. Al termine delle trattative iniziatesi il 16 dicembre i delegati italiani ottenevano che lo spazio disponibile sui piroscafi delle linee Marsiglia-porti settentrionali tunisini (Tunisi, La Goletta e Biserta) fosse utilizzato dall'Italia per trasporto di merci, escluse armi, munizioni e carri armati, dirette in Libia. Le condizioni base poste dalla parte francese erano: - assoluta discrezione dei trasporti da ottenere con necessari mascheramenti ed accorgimenti; - esecuzione dei trasporti affidata esclusivamente alla parte francese da Mentone (via Marsiglia-Tunisi) fino al cippo di confine con la Libia, salvo la collaborazione di taluni organi armistiziali già sul posto; - garanzie per gli eventuali affondamenti e avarie; - rimborso in natura dei combustibili, carburanti e lubrificanti, impiegati nei trasporti ferroviari, navali e automobilistici; - pagamento parte in conto compensazione e parte in valuta, di tutte le spese; - sblocco di autocarri francesi sotto controllo, proporzionalmente al numero degli autocarri italiani trasportati.
334
Mussolini e Pétain
La vigilia di Natale, dopo un breve negoziato finale, un accordo formale era raggiunto tra le due delegazioni sui seguenti punti: - cessione all'Italia di 500 tonn. di gasolio dai depositi francesi del Nord Africa; - trasporto da Marsiglia ai porti tunisini su navi francesi di viveri e vestiario nella misura di 500 tonn. giornaliere e quindi, sempre su navi francesi, trasporto di questo materiale fino al porto di Gabes; - trasporto di autocarri italiani, camuffati da autocarri francesi, su navi francesi da Marsiglia alla Tunisia o all'Algeria nel numero mensile di 150 unità (o 200 secondo un'altra fonte) e ciò per permettere il trasporto dei beni già sbarcati a Gabes verso la Libia. L'insieme di queste disposizioni diede luogo ad un secondo accordo del 31 dicembre su questioni di dettaglio che ribadirono la natura segreta degli accordi dando ad essi un nome in codice: «trasporti Delta» per i viveri ed il vestiario e «trasporti Gamma» per gli autocarri. Gli accordi di per sé rappresentarono una insperata vittoria diplomatica italiana del cui conseguimento persino il compilatore francese del dopoguerra degli atti della delegazione francese presso la commissione germanica di armistizio si stupirà notando: «in fondo, il rifornimento, tramite la Tunisia, che rifiutavamo alla Germania fin dal 28 maggio (protocolli di Parigi) venne cosi concesso ali 'Italia» ed a notare salomonican,ente: « Va ricordato peraltro che questo accordo concesso all'Italia era parimenti di vantaggio alla Germania poiché favoriva l'azione dell'Asse in Libia ... » c101>. Ma questa considerazione appare però molto difficile da accettare anche perché allora non si capisce perché proprio con l'Italia, che non aveva firmato con la Francia nessun impegno di tipo «protocolli di Parigi», il governo di Vichy decise di accordarsi dopo avere, per mesi e mesi, manifestato di non tenere in alcun conto reale né l'autorità della CIAF né la «vittoria» dell'Italia del giugno '40. Una simile interpretazione di stupore dominò anche la prima seduta di Wiesbaden dopo gli accordi di Torino, quella del 13 gennaio 1942 nella quale il delegato germanico Schellert dichiarò che la delegazione germanica per l'economia rimaneva sorpresa che la Francia avesse accordato ali 'Italia il rifornimento attraverso la Tunisia mentre questa richiesta era stata rifiutata alla Germania. La tensione franco-tedesca crebbe sempre piu e lo mostrarono tutt'una serie di rifiuti tedeschi ad accordi già ventilati (liberazione di prigionieri di guerra, pagamento di certi indennizzi, rifiuti di acconsentire a certe variazioni nelle strut-
(101) la délégation française aupr~s de la commission allemande d'armistice. Recueil de documents. Parigi, Impr. Nat. 1954-48, tomo 5, p. 376.
IL tempo del dialogo
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ture militari armistiziali, ecc.) e soprattutto la dichiarazione del Fiihrer del 15 gennaio che «non desiderava riprendere i negoziati con la Francia e non gradiva sentir parlare per il momento di alcuna trattativa con le sue autorità di governo» (102). Visti dalla parte francese, gli incontri di Torino tra l'arnm. Darlan e il ministro degli Esteri Ciano che furono certamente all'origine degli accordi di Natale ebbero anche un aspetto da complotto; nelle memorie di Sarraz-Bournet le cerimonie dell'arrivo dell'arnrn. Darlan sono descritte con molti dettagli, ma due elementi mi sembrano importanti da segnalare. Da una parte il fatto che nel chiuso del ricevimento-presentazione della Delegazione francese di Torino la parte svolta dal capo del governo di Vichy appare sempre non poco equivoca; parlando ai dirigenti francesi Darlan ci appare un po' lontano dall'immagine che fu fatta pubblicamente: «il nous fit un exposé sornrnaire de la situation internationale, nous indiqua quelle politique le Gouvernement français essayait de suivre, louvoyant entre les difficultés pour ne donner aucun gage aux puissances de l' Axe et réserver l' a venir, tout en appliquant loyalement les conventions d'arrnistice. A ce moment, il nous apparut que, ni le maréchal Pétain, ni l 'amiral Darlan, ne croyaient à une vietoire définitive de l 'Allemagne et de ses satellites, et que la tactique politique du vainqueur de Verdun consistait, comme en 1917, à gagner du temps pour permettre à l' Amérique d'entrer dans la bagarre .. . » (103), Dei colloqui veri e propri nessuna informazione diretta, anche perché degli stessi non fu fatto alcun processo verbale, ma un secondo elemento ci sembra interessante: l'amm. Duplat fece alcune dichiarazioni riservate sugli stessi: «L'arniral Duplat nous avisa simplement qu'au moment ou il prenait congé de l'amiral Darlan, ce dernier s'était déclaré satisfait de l' entrevue et avait affirrné que les autorités italiennes avaient envisagé la possibilité de discuter les conditions d'un traité de paix pour remplacer la convention d' armistice. Les négociations s 'arretèrent là; les Allemands sans doute s 'étaient mis en travers et avaient arreté leur brillant second sur le chemin de la paix séparée ... ». Evidentemente si trattava di una illazione, ma alquanto significativa per meglio capire le incertezze francesi.
(102) Curiosa la via per fare conoscere alla Francia questa decisione di Hitler: il gen. Vacca Maggiolini fece conoscere all'amm. Duplat che il gen. von Rinteleo, rappresentante dell'Alto comando germanico presso il comando supremo italiano aveva dichiarato per conto del Fiihrer quanto ricordato. (103) M. SARRAZ-BOURNET, op. cit., p. 84-85. Egli, tra l'altro, sbaglia anche la data dell'incontro fissando il 15 dicembre (ma si trattano di memorie scritte assai piu tardi, senza molti documenti consultabili).
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Mussolini e Pétain
Quanto alle autorità italiane esse appaiono divise sul giudizio a proposito di questi accordi, nei quali qualcuno scorge solo un ennesimo trucco francese per gabbare sia i tedeschi sia gli italiani mentre qualcun altro li considera prova di una vera svolta di Vichy. Tra i meno prudenti e realisti appare Mussolini, che sembra ben disposto a credere ad una svolta della Francia dando subito istruzioni al gen. Vacca Maggiolini di esplorare la via di un inizio di conversazioni politiche con Vichy e invitando la CIAF a studiare questa possibilità di intesa di carattere generale. E ciò nonostante la natura eccezionale dell'accordo che giungeva, quasi a doccia scozzese, dopo un'ennesima crisi circa la ventilata collaborazione a proposito dei porti tunisini. Quasi contemporaneamente agli incontri di Torino, l'ammiragliato francese, senza alcuna preventiva cons·ultazione e senza preavviso, emanava una drastica disposizione per «vietare» (sono parole dei rapporti della CIAF) «la contemporanea presenza nel porto di Tunisi di piu di tre navi, norma questa che, applicata immediatamente, aveva dato luogo a rifiuto d'ingresso in porto di un motoveliero perché vi erano già presenti tre navi italiane». Solo le vive rimostranze della CIAF ottennero che nel computo delle navi non fossero tenute in conto quelle inferiori alle 200 tonnellate, limite che si cercò poi di elevare a 500 (t04l. La questione delle oscillazioni della Francia di Vichy nei riguardi del fondo del problema e cioè la collaborazione con l'Italia e con l'Asse rimaneva in primo piano. Allo stesso modo oscillava anche il duce: mentre alla CIAF egli pareva propendere sulla via dell'accordo e della fiducia, presso l'alleato germanico si mostrava di tutt'altro parere. Infatti nella lettera ad Hitler del 29 dicembre non pareva certo privilegiare la via dell'intesa con Vichy: « ... Non vi sono che due vie per raggiungere il nostro scopo che è quello di poter liberamente disporre delle basi francesi in Tunisia: o la via degli accordi o quella della forza ... Se i francesi respingessero qualsiasi accordo anche il piu generoso io vi dichiaro, Fiihrer, che io preferisco portare le mie divisioni in Tunisia piuttosto che vederle sparire in fondo al mare nella rotta di Tripoli ... ». L'incertezza di Mussolini tra il bastone e la carota appare notevole, anche perché in questa lettera pare del tutto dimenticare ciò che era stato firmato 4 giorni prima a Torino e ciò che aveva scritto la vigilia al Vacca Maggiolini circa la trattativa politica con la Francia. L'aver dimenticato o passato sotto silenzio gli accordi di Torino poteva forse avere come obiettivo di non irritare Hitler per la duplicità francese di
(104) Si veda la protesta della CIAF del 17 dicembre riponato quale documento n. 35 nel Tomo secondo della presente opera.
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cui l'Italia si era avvalsa firmando accordi rifiutati alla Germania? Non sarebbe convenuto a Mussolini evocare questi accordi e puntare decisamente sul loro logico allargamento alla Germania e sulla loro espansione che già peraltro si stava verificando con l'Italia? Sono senz'altro interrogativi ai quali è difficile rispondere. Si può peraltro aggiungere che un'ipotesi di allargamento degli accordi di Torino appare ragionevole anche nei fatti: basterà ricordare l'accordo realizzato a Tunisi dal min. Trevisani della CIAF di acquisti di beni e del loro trasporto verso la Libia (105). Ciò che conviene ricordare ad ulteriore confusione della linea politica di Mussolini a proposito dell'intera questione francese è l'incontro avvenuto il 14 gennaio 1942 tra il duce e il gen. Vacca Maggiolini a proposito di talune proposte-richieste che l 'arnm. Duplat a nome di Darlan aveva presentato alla CIAF in vista di una «collaborazione completa» della Francia con l'Italia (o con l'Asse?). Vacca Maggiolini registrò che Mussolini ne trasse un'impressione favorevole, ma considerazioni di ordine generale e forse la stabilizzazione del fronte libico indussero le autorità italiane a non proseguire lungo questa strada. Per intanto una condizione essenziale della vitalità degli accordi di Natale stava venendo meno, e cioè la segretezza: ciò che era stato concluso a Torino venne divulgato dalle radio inglesi e statunitensi in data 3 febbraio, con alcuni errori di dettaglio ma con sostanziali verità (106). La fonte della «fuga» era ovviamente l'anello debole della catena: le autorità francesi del Nord Africa, sui cui reali sentimenti politici non è il caso di insistere. La notizia blocca l'intero sistema Gamma e Delta.
(105) Ne diede notizia la stessa CIAF al MAE in data 28 dicembre con il testo del telegramma di Trevisani da Tunisi: «Ieri 27 dicembre ho concluso gli accordi per il trasferimento via terra a mezzo di autocarri e di ferrovia di 15 mila quintali di farina e di 5 mila quinta.li di pasta. Il trasporto delle tonnellate 400 di olio è assicurato parimenti a mezzo di autocarri italiani che sono stati ammessi ad entrare in territorio tunisino. I trasporti saranno completati entro gennaio. Ho ottenuto anche in compensazione tessuti altre tonnellate 500 di olio, tonnellate 200 di pesce salato, t0nnellate IO di sapone e di altre merci tra cui tonnellate 500 di iperfosfati Renault che occorrono d'urgenza per le esigenze dell'agricoltura deUa Tripolitania,,. ( I 06) Il testo della notizia radio di New York del 3 febbraio era il seguente: «I nazisti si preparano a trasportare del materiale di guerra in Africa settentrionale con lo scopo di rafforzare le armate del generale Rommel. Il governo americano dopo aver avuto delle prove di questo fano, lo porta a conoscenza di ogni buon francese perché possa prenderne atto. li piroscafo francese Saint Etienne deve arrivare a Tunisi ai primi di questo mese e trasporta nelle sue stive cannoni tedeschi e tonnellate di materiale bellico destinato a Rommel. Tutto questo carico sarà poi inoltrato per ferrovia in Tripolitania. I tedeschi credono che gli inglesi possano essere ingannati e che credano che il Saint Etienne compia uno dei sol iti suoi viaggi e che lo lascino passare. Ma i nazisti non vogliono raggiungere il solo scopo di inviare rinforzi in Africa settentrionale, ma voglino anche creare delle difficoltà e degli attriti fra le Nazioni Unite e la Francia».
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Mussolini e Pétain
Formalmente il Gamma verrà soppresso il 10 febbraio; il Delta il 15 marzo dopo il siluramento della nave francese da carico «Sainte Marcelle» impegnata in questi trasporti. La stabilizzazione del fronte libico attenua un poco gli echi negativi della notizia; e da parte tedesca sembra poter prevalere l'interesse per il fronte orientale. Complessivamente però i risultati che l 'accordo di Torino diede furono assai scarsi; dopo tutto questo gran parlare e dopo tutte le speranze che si erano collegate ad esso, negato ai tedeschi e firmato con gli italiani, i dati numerici che i trasporti registrano sono piuttosto modesti. I dati riassuntivi riportati nella seguente tabella sono di per sé eloquenti: I TRASPORTI «GAMMA» E «DELTA» Dati riassuntivi dal 20 gennaio al 15 aprile 1942 Da ta 1942
20/1 21/1 23/ 1 29/1 31/1 1(1. 3(1. 5/2 6/2 7/2 15/2 16(1. 17/2 20/2 22/2 23/3 24(1. 4/3 6/3 12/3 16/3 24/3 1/4
Partenza p er Marsiglia* Delta tonn.
Gamma n. autocarriC1l
Arrivi in Tunisia Delta tonn.
Gamma n. autocarri
Gamma n. autocarri
1.026 40 tipo 1° 30 tipo 1°
90 28 tipo 1° 1.026 13 tipo 1°
}
1.000
30 tipo 2° (2)
15 tipo 1°
}
108
54,500 6tipo 1° 8 tipo 2° 14 tipo 2° 1.400 (3) 135,755
52,150 89,380 61 ,437 643,784
135,755 22,500
8/4 15/4
8 7,537 23,712 225 J ,755<4)
totale
Arrivi in Libia
Delta tonn.
70 tipo 1° 22 tipo 2°
1161,755
70 tipo 1° 22 tipo2°
Il tipo 2° 11 tipo 2° IO tipo 1° 16 tipo2°
1143,000
26 tipo 1°
(S)
(6)
(1) Furono inoltre spediti: casse contenenti anrez.1.i e ricambi per gli au1ocarri, I.a bent.ina prc1umibilmcntc oocorrcntc per il trasferimento degli au1omeui dalla Tunisi3 in Libia (8 tonn.) e i lubrificanti per l'eff'enuarionc dei tra..'J)Orti in Tunisia (kg. 3.232). (2) N. 8.autocarri avariati in un incidente fenoviatiotomarono in Italia per Jcriparuioni. (3) Peso lordo (il peso neno era di ci.rea 1.000 tonn.). Andarono perdute nell'affondamento, avvenuto il 14/3 ad opera di un $0mmcrgibile inglese, del piroscafo che le tra.c;portava.
(4) Secondo altri dati sarebbero •tate tonn. 2.5 16. (5) ln realtà. dovendo essere modificati alcunj dati sono stati tonn. 1.146,070.
(6) 144 autocarri tipo 1° rimanenti dovevano giungere in Ubia dopo il 15/4. non appena ultimato il trasporeo cli altre 400 tonn. di merci. di benzina in fusti recuperati su) litorale della Tunisia e del resictuo quantitatìvo di gasolio ceduto dalla Francia in Tunisia. • Generalmente ques1i dati sono tratti dal pasasggio della merce e degJj autocarri del valico di frontiera italiana da Mentonc o di Bardoneochia verso Marsiglia.. N.8. Secondo le indicazioni romitemi dal Museo Storico della motoriz.:z.az.ione militare, in da:t:t 14 novembre 1986 (magg. gen. Luigi Campagna), le caratteristiche degJj autoc:ani in questione er.i.no ~ seguenti: AAT 626 BLM: trattasi del veicolo 626 unificnto di 2° ti pO (portata 30 quintali oon mOforc a: benzina; il coms.pondente veicolo AAT con motore diesel a,·cv:i la sigla 626 NL), pe:r u.'11 militari (M =militari). A AT 666 NM: tmttasi del veicok) 666 unificato di primo tipo (portala 60 qullltalj) con moc.ore diesel. per usi militari.
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Curiosamente, soltanto pochi giorni prima della decisione francese di sospendere i trasporti l'iter giuridico dell'accordo di Natale veniva solennemente concluso a Roma con la firma di un processo verbale definitivo il 3 febbraio 1942. I documenti della CIAF ne presero atto come riprova della volontà francese di collaborare, ma fu per pochi giorni. Ciò non impedf tuttavia che molto realisticamente i rapporti della CIAF limitarono dopo l'annuncio francese gli effetti negativi di questa sospensione: «La questione dei rifornimenti alla Libia (trasporti «delta» e «gamma») via Marsiglia-Tunisi - precedentemente illustrata - è stata definitivamente sospesa in seguito a richiesta del governo francese, gravemente preoccupato per le energiche proteste mosse al riguardo dagli USA e per atti inglesi di rappresaglia (siluramento dei piroscafi francesi PLM 20 e Sainte Marcelle avvenuti il 1° ed il 14 marzo presso le coste dell'Algeria - bombardamento di Parigi del 4 marzo) che evidentemente - almeno in parte - volevano costituire tangibile e buon appoggio all'azione diplomatica americana. Da parte itaJiana il Comando Supremo non esitò ad accogliere le richieste francesi anche perché l'inoltro di merci per la via MarsigliaTunisi recava ben scarso appoggio ai bisogni complessivi della Libia e per il fatto che si trattava di trasporti finanziariamente onerosi, mentre la migliorata situazione del Mediterraneo (primavera 1942) consentiva ormai un soddisfacente flusso di rifornimenti diretti dall'Italia alla Tripolitania ... Sospesi i trasporti per la Libia via Tunisi, e revocate le concessioni di riarmo alla Francia che di tali trasporti rappresentavano il corrispettivo, la situazione armistiziale - tenuto conto della remissività francese nei riguardi di Washington - è tornata ad essere quella sorta dopo la rottura delle trattative a tre di Wiesbaden (fine dicembre 1941)». Sul piano politico generale la situazione si presenta abbastanza calma con la chiusura netta verso ogni forma di compromesso per il futuro della Tunisia com'era stato ribadito dalla riunione italo-tedesca di Roma del 2 gennaio 1942, al termine della quale non si parlava piu degli accordi di Natale né degli accordi da concludere ma bensf si precisava che «la politica dell'Asse non può essere che di attesa dato che il fattore militare è per ora predominante: una linea politica potrà essere stabilita ed applicata colà con successo solo quando una maggiore estensione ed una maggiore consolidazione della nostra occupazione daranno alle potenze dell'Asse la forza e 1'autorità necessaria per imporla e per portarla a buon fine ... ». La questione specifica della Tunisia, dei suoi porti e del suo futuro rientrava cosi nell'insieme delle preoccupazioni di guerra dell'Italia mentre la situazione generale navale nel Mediterraneo evol-
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veva rapidamente. Infatti a cominciare dal gennaio 1942 ed in conseguenza delJa pressione aerea su Malta l'azione navale britannica contro i convogli si fece meno efficace fino ad annullarsi del tutto nella primavera, e per alcuni mesi questa nuova situazione fece perdere anche agli occhi della CIAF quella «vitale» importanza che i porti tunisini avevano avuto fino ad allora. Oltre alla vicenda dei porti tunisini gli incontri di Torino del 10 dicembre 1941 tra Ciano e Darlan ebbero anche conseguenze che spesso vengono trascurate. Proprio in base a questi accordi si costitui poco dopo, nel gennaio 1942 un collegamento diretto tra il governo italiano e quello francese con la creazione a Parigi di una rappresentanza diplomatica italiana affidata all'amb. Buti. Ma anche questa novità nel panorama della CIAF risultò una iniziativa priva di conseguenze pratiche o politiche. A Parigi non piu sede del governo francese, quindi senza corpo diplomatico ed inoltre sotto l'occupazione militare tedesca, l'attività di un ambasciatore non poteva non essere priva di un qualsiasi valore. A Vichy sarebbe stato il caso di nominare un rappresentante diplomatico italiano, ma ciò non si verificò anche per pressioni tedesche che cosi facendo conservarono sul governo di Vichy una presenza unica e vincente. Ma alla CIAF tale sgambetto germanico ali 'Italia ed al suo eventuale dialogo con la Francia, parallelo o concorrente, non fu capito, e si insistette molto sulla presenza a Parigi dell 'amb. Otto Abetz dimenticando che costui aveva una precisa carica nella struttura militare germanica di occupazione, ciò che non era il caso dell'amb. Buti. Posto alle dipendenze del Ministero degli Affari Esteri, e non della CIAF, tale ambasciatore fu incaricato di occuparsi solo delle questioni di carattere extra-armistiziali, riservandosi Torino di occuparsi delle questioni connesse con l'armistizio stesso. Tale compito fu esplicitato nei compiti essenziali affidati all'ambasciatore: - i rapporti politici tra Francia ed Italia in collegamento con l'Ambasciatore tedesco; - la soprintendenza a tutto il problema degli italiani nei territori francesi (assistenza,, rimpatrio, applicazione ed ampliamento del protocollo 4 febbraio 1941); - gli scambi commerciali; - le pratiche, il cui disbrigo era già in precedenza affidato alla Sottocommissione Affari Economici e Finanziari, da parte del Ministero delle Comunicazioni (ferrovie, poste, telegrafi, ecc.). Come si può vedere i compiti erano al margine dell'attività della CIAF, ma spesso vi facevano capo con le complicazioni burocratiche di priorità, di esclusività e di decisione che si possono immaginare. Anche
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la relazione della CIAF lo dovette persino riconoscere: «In realtà la suddi visione dei compiti tra la CIAF e la R. Rappresentanza a Parigi non fu cosa affatto semplice ed anzi alcune delle materie sopra considerate, anche se di carattere extra-armistiziale, continuarono, pur se non in via esclusiva, a formare oggetto della competenza della Commissione di armistizio, la quale si trovò cosf a collaborare con la R. Rappresentanza laddove la suddivisione precisa delle competenze o non fu possibile o non parve consigliabile nell'interesse generale .. . ». La vicenda dei porti tunisini non si esaurf nel negoziato e nell 'accordo di Natale; essa fu anche all'origine di una serie di prese di posizione dello stesso Duce nei confronti della Francia alla quale fino ad allora, per il tramite del presidente della CIAF, Mussolini non aveva pensato se non in termini di rivendicazioni e di vittoria. Proprio nel pomeriggio del Natale il Duce si intrattenne con Vacca Maggiolini per confermargli le sue mutate disposizioni: notevole per esempio la constatazione della fine della vita vitale dell'armistizio, fino ad allora ritenuto intoccabile pietra angolare dei rapporti tra l'Italia e la Francia: «Il Duce riconosce che questo armistizio, durato ormai piu della stessa guerra cui ha posto fine, non si regge piu in piedi e va sostituito con qualcosa di diverso che permetta aJla Francia di vivere ed al suo Governo di governare» 001>. Pertanto nel pensiero del Duce l'ora delle concessioni da fare alla Francia era giunta: «Quattro sono le concessioni che al riguardo si possono e si devono fare alla Francia. Il Duce le enumera nell'ordine stesso dell'importanza che egli vi attribuisce: 1) diminuzione - sino, per esempio, a 200 o anche 100 milioni di franchi al giorno - della indennità che la Francia paga giornalmente alla Germania per spese di occupazione; questa contropartita va posta per prima, sia per l'importanza che i francesi hanno sempre attribuito al denaro, sia perché è la piu facile da concedere; 2) restituzione di territori occupati nei limiti piu estesi possibili, compatibilmente con le esigenze militari germaniche (coste atlantiche); 3) trasferimento della capitale a Parigi, poiché la Francia si governa da Parigi, Parigi è la Francia, la Francia è Parigi; 4) restituzione dei prigionieri con gradualità - in ragione inversa alla loro efficienza militare (primi gli inabili, ultimi gli ufficiali) ed in ragione diretta alla loro utilità civile (primi i contadini) - e ripartendo le consegne nel tempo.
(107) Gli appunti sul colloquio tra il duce e iJ gen. Vacca Maggiolini sono pubblicati quale Documento n. 38 nel Tomo secondo della presente opera.
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A queste quattro concessioni essenziali, che riguardano quasi esclusivamente la Gennania, occorre aggiungere, da parte delle due Potenze dell'Asse, la concessione di riarmi nell 'AFN o nell'AOF, cosi da porre la Francia in grado di difendersi contro aggressioni inglesi ed americane: occorre, però, in tale concessione andare cauti onde impedire che gli armamenti accordati possano un giorno rivolgersi a nostro danno». Purtuttavia questa calma del Duce in quel colloquio è pura apparenza, ed anche se non mancano molti aspetti scontati o ripetuti sulla guerra, sul valore del soldato italiano, sul fronte libico, ecc. appare netta dal resoconto che ne stila il gen. Vacca Maggiolini la preoccupazione che dalle gerarchie militari è piovuta su Mussolini a proposito dei rifornimenti attraverso la Tunisia: tutto ruota attorno a questo leitmotiv. Solo un breve cenno a ciò che spesso era evocato nei suoi discorsi, i compensi: «Non si deve né si può per ora, trattare di questioni territoriali: esse vanno rinviate alla pace. Si può però, sin d'ora, affennare che le provincie vallone del Belgio potrebbero essere equo compenso alla Francia per altre cessioni di suoi territori metropolitani , mentre sulle spoglie dell'impero coloniale inglese ci sarà largo modo di accontentare tutti ... ». Per il resto del colloquio l'ossessione era la Tunisia, tanto che conclude il discorso con questa lapidaria dichiarazione: «Tunisi oggi merita qualsiasi contropartita» E ciò malgrado notizie che fanno della situazione degli italiani in Tunisia un quadro assai negativo c1os). I successivi colloqui di Vacca Maggiolini con il ministro Ciano del 26 dicembre, con varie personalità del Ministero degli Affari Esteri, con l'amb. Buti ed infine il 27 dicembre con il capo di SM gen. Cavallero ruotarono attorno al problema dei rapporti con la Francia che pur migliorati per una certa buona volontà francese alla collaborazione non segnavano decisamente sostanziali progressi per quanto riguardava l'aspetto piu inquietante e piu interessante delle decisioni francesi, l'uso dei porti tunisini. E ben lo dimostrarono i colloqui che pochi giorni dopo, a Torino, il presidente della CIAF ebbe con il capo della delegazione francese arnm. Duplat, nei quali l'accordo raggiunto per taluni viaggi dalla Francia verso la Tunisia autorizzati dall 'accordo di pochi giorni prima non appare di per sé né importante né politicamente impegnativo. Vacca Maggiolini non esitava infatti a dichiarare in tale occasione: «Non vi nego però che a Roma si pensa che quanto si è fatto finora dalla Francia non può essere considerato che come un promettente inizio, al quale oc-
(108) Vedasi al riguardo il Documento n. 37 del Tomo secondo della presente opera.
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corre far seguire fatti piu concreti, che comprovino la ferma volontà del vostro governo di marciare veramente, come ha piu volte dichiarato, sulla via di una cordiale collaborazione coli' Asse». E su questa una retta interpretazione degli accordi sottoscritti ci fa vedere un Vacca Maggiolini assai piu aggressivo del solito: « Ve lo espongo con franchezza, la concessione che ci avete fatto in questi giorni di utilizzare i porti tunisini per lo sbarco di qualche tonnellata di derrate - concessione di cui non neghiamo il valore, soprattutto morale, e di cui vi siamo gratissimi - costituisce in sé, in concreto, una agevolazione limitata, che non concorre certamente ad ottenere quel capovolgimento della situazione del Mediterraneo cui noi aspiriamo e che voi stessi, secondo quanto mi ha detto l'amm. Darlan, desiderate. Per ottenere tale capovolgimento occorre, da vostra parte, ben di piu: occorre un apporto sostanziale anche se questo, vi ripeto, non è un intervento militare, che voi non potreste darci e noi non chiediamo ... ». A queste precise osservazioni l'amm. Duplat risponde tergiversando secondo l'antica tattica del rinvio. Dapprima riconosce l'urgenza per Vichy di scegliere una propria politica precisando: «Lo ammetto. Ormai evidentemente dobbiamo deciderci a schierarci con gli uni o con gli altri: il tempo dell'attesa è finito», poi richiede informazioni circa il futuro status della Tunisia in caso di coinvolgimento con l'occupazione dell'Italia del paese nel quadro di una partecipazione francese alla guerra a fianco dell'Asse. Risponde allora Vacca Maggiolini: «Sono autorizzato ad assicurarvi che gli attuali diritti e la sovranità della Francia in Tunisia non sarebbero né menomati né compromessi: le truppe dell'Asse soggiornerebbero in Tunisia collo stesso titolo con cui oggi truppe della Germania risiedono in Sicilia. Del resto vi confermo altresi - e voi stesso me lo avete detto giorni or sono - che non è giunto ancora il tempo per affrontare e risolvere le questioni territoriali: per queste occorre aspettare l'esito della guerra ed il conseguente trattato di pace ... » (109). Come si vede l'arrendevolezza di Vacca Maggiolini, istruito dalle disposizioni del Duce, è piena; ma ciò nonostante Duplat continua la sua tattica del rinvio e come al solito rimette ogni decisione a Vichy. Proprio per il tono generale dei colloqui questo incontro del 30 dicembre 1941 riveste un'importanza eccezionale poiché sembra segnare l'affievolirsi di una tesi cara a Vichy e cioè quella della neutralità. Sarà un momento breve poiché poco dopo, anche con gli sviluppi dell'andamento generale della guerra, la Francia di Pétain tornerà ad insi-
(109) Se ne veda il testo nel Documento n. 40 del Tomo secondo della presente opera.
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stere sulla tesi della neutralità tra i belligeranti e chiuderà l'ipotesi della partecipazione della Francia alla guerra a fianco dell'Asse. Significativo il fatto che per il gen. Vacca Maggiolini, che comunicava il 31 dicembre la sostanza del colloquio con l'amm. Duplat al gen. Cavallero, l'avvenire dei rapporti italo-francesi rimaneva oscuro. Malgrado le assicurazioni del capo della Delegazione francese a Torino, il rinvio a Vichy della decisione non era da interpretarsi se non come una nuova difficoltà sulla via delle trattative, «sul cui esito, non mancava di sottolineare il presidente della CIAF, nulla si può prevedere di positivo ... ». L'intera questione dei rapporti con il governo di Vichy sembra ad ogni momento dalle autorità francesi essere rimessa in discussione con Roma e con Berlino. Quanto al gen. Vacca Maggiolini ed alla CIAF, il precipitare della situazione libica con l'abbandono di Tobruk e con laritirata dalla Cirenaica sono altrettanti elementi che danno ai colloqui della fine dell'anno un andamento estremamente teso e preoccupante. Ne sia testimonianza il resoconto di vari colloqui avuti a Roma dal presidente della CIAF con Ciano, con Pietromarchi, con Buti e con il gen. Cavallero c110>. Ed in questo quadro non può essere passato sotto silenzio l'accorato appello della CIAF al presidente della CTA gen. Vogl affinché la Germania facesse di piu per costringere la Francia nelle trattati ve a tre ad accordarsi con l'Italia a proposito delle basi tunisine. Il tono di Vacca Maggiolini è vivace e molto preoccupato: «Dai giorni di Gardone (settembre) ad oggi, scrive al presidente della CTA, la situazione, come voi sapete quanto me, è molto cambiata. Hostis est ad portas, e quindi è necessario di prendere quegli urgentissimi provvedimenti che la nuova situazione consiglia. Evidentemente nulla osta da parte italiana che vengano concessi alla Francia, subito ed in blocco, tutti i rinforzi per l'Africa occidentale e per il Nord Africa che essa desidera. Forse una trattativa aperta coi francesi nella Francia stessa con la presenza vostra e mia e di alte personalità francesi potrebbero portare a quelle rapide decisioni che è nostro sommo interesse raggiungere ... ». La richiesta di Vacca Maggiolini da accorata diventava supplichevole allorquando chiedeva l'intercessione del presidente della CTA per ottenere ciò che la Francia recisamente negava alla CIAF: «Vista sotto questa luce la situazione generale, mi rivolgo personalmente a voi, eccellenza, per rinnovarvi la preghiera di fare in modo che si ottenga al piu presto l'utilizzazione dalla Francia delle basi tunisine.
(110) Sui colloqui di Roma si veda il Documento n. 39 del Tomo secondo della presente opera.
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Le trattative a tre, che si stanno svolgendo a Wiesbaden, procedono molto lentamente per motivi di cui mi rendo conto. Stimo che occorra accelerarle in modo da arrivare nei prossimi giorni a conclusioni veramente redditizie per noi ... ». La risposta del governo di Vichy, in questa fase in cui veniva accentuato i] negoziato con l' Italia, giunse il 13 gennaio aJlorquando l'arnm. Duplat, reduce da Vichy portò a Torino un Memento del governo francese al governo italiano che enunciava le contropartite che Vichy chiedeva preliminarmente di vedere realizzate per avviarsi verso una collaborazione piu ampia e decisa con l' Italia e con l' Asse. Infatti questo aspetto di dialogo privilegiato che Torino e Roma si illusero un istante di mantenere tramite il Duplat con Vichy non era tale in quanto proprio nei giorni precedenti al ritorno di Duplat a Torino vi erano stati importanti abboccamenti tra il mar. Goering ed il comandante in capo delle truppe del Nord Africa gen. Juin proprio a questo riguardo. Inoltre mentre il Memento veniva consegnato alla CIAF, una serie di documenti deJlo stesso tono erano consegnato a Parigi dal delegato francese De Boisanger al rappresentante tedesco, vice di Abetz, Hemmen (su Prigionieri di guerra, Prodotti alimentari, Ostland, Carbone, Petrolio, Materiale ferroviario, Spese di occupazione) ed a Wiesbaden alla CTA (Linea di demarcazione, Ostland, Controllo sull 'attività governativa amministrativa francese, Prigionieri di guerra, Questioni militari eventuali). Il negoziato tornava quindi ad essere infatti a tre e non piu a due con l'ovvia pressione di Vichy sull' Italia affinché Berlino acconsentisse a recedere dalla sua ripetuta intransigenza e l' Italia potesse ottenere ciò che pareva stare al centro delle sue preoccupazioni, cioè l'uso dei porti tunisini c1 11i. Tornavano i francesi, nelle Suggestions allegate al Memento, a proporre una serie di richieste già enunciate a Wiesbaden senza successo ma che riproponevano all 'attenzione dell' Italia, affinché Berlino si ravvedesse dalla sua intransigenza su pressioni dell'alleata Italia cosi interessata in prima persona ad avere le facilitazioni tunisine già da tempo evocate. Si trattava essenzialmente di ottenere: - la restituzione di prigionieri di guerra: 700.000 contadini (oltre ad un numero indeterminato di operai, tecnici e funzionari); - la consegna di 200.000 tonnellate mensili di carbone tratto dalle miniere del territorio occupato; - la restituzione di 1.500 locomotive e di 15.000 carri e vetture ferroviarie; (lii) Si veda il testo del Memenio francese all1talia del 13 gennaio 1942 riportato quale Documento n. 41 del Tomo secondo della presente opera.
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di stabilire con regolare documento la riduzione (ora convenuta soltanto verbalmente) delle spese d'occupazione a 300 milioni di franchi giornalieri; successiva riduzione della somma a 200 milioni; - la trasformazione della «Linea di demarcazione» in una linea di puro carattere militare; - di ricollegare a Parigi le due province francesi del Nord e del Passo di Calais ora dai tedeschi collegate al territorio occupato belga; - di ridurre a semplice controllo l'attuale azione preventiva esercitata dai tedeschi sulle autorità politiche e amministrative dei territori occupati. Tornare con queste richieste nel negoziato con 1'ltalia tramite la CIAF poteva forse sbloccare la situazione? Se ai primi giorni dell'anno il gen. Vacca Maggiolini poteva nutrire qualche illusione sulle «pressioni» che il governo italiano era in grado di esercitare sull'alleato germanico, questa venne meno pochi giorni prima della presentazione formale del Memento: 1'8 gennaio infatti in un colloquio con l'inviato della CTA gen. von Senger egli aveva osato Lanciare caute aperture in vista di una certa «generosità» deU 'Asse verso la Francia di Vichy. Aveva detto il presidente della CIAF al suo interlocutore: «Contropartite politiche vere e proprie, ne convengo, non si possono accordare. Ma si potrebbero fare concessioni nel campo armistiziale e forse i Francesi se ne accontenterebbero. Si tratterebbe insomma di dare un po' di fiato alla Francia, di fare aJ Governo di Pétain delle concessioni tangibili che valessero ad accattivargli L'opinione pubblica e perciò a permettergli di collaborare piu attivamente con noi ... ». Ma La reazione tedesca era stata decisamente negativa circa ogni eventualità di cedimento alle richieste di Vichy: « ... La CTA è, in massima, della vostra opinione. Ma cosf non è in piu alto luogo e non senza ragione. Anche limitandosi, come voi dite, al campo armistiziale, talune richieste francesi non sono infatti facilmente accettabili. Come può, per esempio, la Germania rinunciare ai prigionieri francesi, mentre essa avrebbe invece bisogno di altri milioni di braccia, sia per le operazioni al fronte orientale, sia per l'economia tedesca? ... Vi sono, è vero, oggi disponibili i prigionieri russi ma, a parte il fatto che essi, in gran parte, servono per i lavori di retrovia ed agricoli nella Russia stessa, occorre tener presente che i prigionieri francesi non sono facilmente sostituibili per la loro facile comandabilità. I francesi si possono inviare anche isolati presso famiglie di contadini ove lavorano ed aiutano; i russi invece non sono buoni a nulla se non sono indrappellati o inquadrati: servono perciò soltanto pei grandi lavori pubblici ... ». E Vacca Maggiolini ad insistere almeno per gli altri tre punti «armisti-
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ziali», a suo avviso senza grande valore strategico: capitale a Parigi, riduzione dell'indennità di guerra, restringimento della zona di occupazione. Ma, dopo un apparente consenso, nel colloquio del 9 il gen. von Senger dichiarava di non essere disposto a concedere neppure una di queste richieste francesi; e la spiegazione riguardava per una certa parte anche la questione dei porti tunisini, per la quale si dichiarava che «soprattutto non si vuole a Berlino, esigendo i porti tunisini, coinvolgere la Francia in guerra, mentre essa non sarebbe in grado di difendersi, né l'Asse sarebbe in grado di salvaguardare il vasto e disseminato Impero francese ... >>. E l'osservazione amara del Vacca Maggiolini a tali propositi tedeschi: « . . .Ma l'Italia non ha, entrando in guerra, esposto a gravi pericoli - che si sono infatti realizzati - il suo Impero? Se anche la Francia perdesse il Madagascar od altro, la perdita potrebbe essere, come per noi l'Etiopia, temporanea ... » ( 112). Molte illusioni riguardo ad una certa disposizione germanica a cedere alle richieste di Vichy non erano possibili, eppure nel colloquio successivo con il Duce il presidente della CIAF tenterà questa strada. Il Memento francese venne presentato infatti a Mussolini il 14 gennaio in un colloquio con il gen. Vacca Maggiolini ed egli costatava subito di avere alla lettura del documento «una prima impressione favorevole poiché la Francia ha sostanzialmente ragione nelle sue richieste, che, se ben vagliate, possono essere, in molta parte, accolte e perché la risposta francese offre ampio adito a trattare ancora». Ma subito dopo questa constatazione realistica, ecco che il Duce ripiomba nella sua vecchia ossessione circa i compensi territoriali che egli vedeva quale chiave di volta dell'ingresso francese nel futuro Nuovo Ordine dell' Asse. Il discorso, pur lungo, merita di essere riportato per meglio capire come a Mussolini questo aspetto che già pareva minore agli occhi di Vacca Maggiolini potesse assumere ancora, nel pieno di una guerra difficile, le apparenze di una vera ossessione. Precisava Mussolini al suo interlocutore: «Vero è che nel Memento vi è un'affermazione circa le "amputazioni territoriali" che pare voglia respingere senz'altro ogni rivendicazione italiana. Ma l'espressione stessa usata dai francesi ci consente invece di trattare sull'argomento, poiché quello che noi chiediamo è, per lo appunto, la restituzione di membra che erano state amputate alla Nazione Italiana. Tutti sappiamo infatti come e perché Nizza ci sia stata tolta nel 1860 e noi non chiediamo nulla di piu di quello che allora ci è stato ( 112) Colloquio con il gen. von Senger dell'8 gennaio 1942, con note su quello del 9, in ASSME-CIAF, Racc. 51, p. 5.
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tolto. Alla Savoia, che è oltre la crinale alpina, abbiamo già rinunziato. La Corsica è terra italiana come esplicitamente riconosce lo stesso grande geografo francese Elisée Reclus. E nel 1870 Clemenceau voleva cedere la Corsica all'Italia dietro pagamento simbolico di una lira! Quanto a Tunisi ci si potrà sempre accomodare: di spoglie coloniali inglesi ce ne saranno, a guerra vinta, anche troppe! Anche per la Corsica e per Nizza si potranno offrire compensi: le province vallone del Beglio valgono assai piu per estensione, popolazione e ricchezza, dei territori che noi rivendichiamo . .. ». Il problema centrale pareva risolversi nella spartizione del bottino di una vittoria che si doveva ancora conquistare. Purtuttavia il Duce ritiene necessario trasfonnare il regime annistiziale della Francia in un nuovo regime che valga a fare uscire questo paese dal suo attendismo ed affiancarlo ali' Asse. Proprio per questo obiettivo le concessioni previste dal Memento debbono essere sottoscritte; ed egli promette un intervento presso Hitler: «Essenziale è persuadere iJ Fi.ihrer, ed io spero di riuscirvi, come già altre volte vi sono riuscito ... » (113). Ancora una volta il proposito di Mussolini era destinato a non avere successo presso l'alleato, reticente a perdere sostanziali vantaggi per favorire il proprio alleato. Il 16 gennaio infatti il gen. von Rintelen comunicava al Duce la decisione del Fi.ihrer (a cui «suggestioni>> analoghe a quelle del memento Duplat erano state sottoposte in occasione della visita del generale Juin in Germania) di non addivenire per il momento ad ulteriori accordi con la Francia nel quadro di una generale revisione politica quale era stata ripetutamente richiesta dal governo francese. Il punto di vista negativo tedesco veniva direttamente rappresentato anche dalla CIAF dall'ufficiale germanico di collegamento, generale von Senger <114>. Ne dovette seguire la necessaria comunicazione all'amm. Duplat; infatti il 23 gennaio, il presidente della CIAF comunicava al presidente della Delegazione francese che il suo Memento, con le annesse suggestioni, era stato letto a Roma con la massima attenzione
(113) Si veda il 1es10 del resoconto del colloquio tra il Duce ed il gen. A. Vacca Maggiolini del 14 gennaio 1942, Torino, 25 febbraio 1942 riportalo quale Documemo n. 42 del Tomo secondo della pre~me opera. (114) Alla ClAF ed al Comando Supremo italiano il comando gennanico precisava peraltro che sarebbe stato «molto gradito se nella quota italiana di 200 autocarri (degli accordi di Natale) potessero essere spediti anche autocarri tedeschi ...». quanto alle conseguenze negative dovute alla rottura delle trattative sull'uso della Tunisia, esse potevano essere ridotte, secondo il pun10 di vista germanico, con la costruzione rapida di una ferrovia leggera. «Per !aie costruzione, la Germania poteva senz'altro meuere a disposizione il materiale necessario per 280 km con 70 cm di scartamento ... ».
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e con cordiale benevolenza e che anzi - a prescindere da talune questioni particolari - esso era stato giudicato base utile per le ulteriori discussioni; ma che tali discussioni, sospese il 21 dicembre a Wiesbaden, non avrebbero potuto avere luogo fino a quando il Governo di Vichy non avesse cominciato a dimostrare in modo concreto e tangibile la sua sincera volontà di trattare con l'Asse e di collaborare con esso. Il colloquio Vacca Maggiolini-Duplat del 23 gennaio appare notevolmente differente dai precedenti immediati colloqui: il tono del presidente della CIAF risulta aspro e carico di rancore verso ciò che si rivelava una manovra dilatoria della delegazione francese. Veniva chiaramente affermato la duplicità di Vichy: «Mentre da parte nostra si tendeva a serrare entro limiti ristretti e ben determinati il problema da discutere cosi da renderne piu agevole la soluzione, il Governo francese ha invece approfittato anche di questa nuova occasione per estendere il problema all'intero campo politico ed alla stessa sistemazione del dopo-guerra, benché già altre volte gli fosse stato notificato che l' Asse riteneva oggi prematura, anzi impossibile, simile discussione. Come pure, mentre io avevo potuto arguire da una vostra frase di grande importanza, che a Vichy ci si fosse ormai persuasi che il tempo delle tergiversazioni era trascorso e che occorreva oggi decisamente schierarsi con l'Asse o contro l' Asse, ora si dichiara apertamente che si vuole continuare a mantenere aperte le relazioni con gli Stati Uniti d'America ... ». Insomma si aveva l'impressione netta che la Francia con questo gioco volesse «tutto guadagnare senza nulla rischiare: programma che era evidentemente molto seducente e comodo per la Francia ma che, altrettanto evidentemente non era realizzabile». Ad una simile violenta presa di posizione l'amm. Duplat reagf con dimesse parole che non fecero mutare la posizione italiana che si invertf da quella tradizionalmente seguita a Torino (11s). Mentre infatti si era agevolato il proposito francese di prima dialogare con l'Italia per poi avere con la Germania aperture significative, da allora in poi la CIAF si rifiutava a questo gioco e l'invito si risolveva in un rinvio alla CTA. Ribadiva infatti Vacca Maggiolini: «Credo che sia meglio che qualsiasi passo francese sia fatto apertamente e direttamente, cosi da riaprire la strada alle discussioni tra Francia e Germania; ciò ottenuto, sarà piu facile e naturale l'intervento italiano>> che Vichy auspicava mediatore (116).
(I 15) Si veda il Documento n. 43 del Tomo secondo della presente opera. ( l 16) Si veda la spec iale Memoria riassumiva sulla situazione armistiziale della Francia nel febbraio 1942, Torino, 25 febbra io 1942 di cui esiste una prima stesura del 21 che appare meno limitata ma piu interessante. La Memoria era destinata al Comando Supremo (gen. U. Cavallero).
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È chiaro che un clima di questo genere, dove i tentennamenti e le rivendicazioni francesi si alternavano ad ammiccamenti ed a ripensamenti dell'Asse, non poteva non avere ripercussioni. Infatti le trattative di carattere generale con la Francia, aventi sempre per obiettivo ultimo l'utilizzazione delle basi tunisine da parte della Potenze dell'Asse, non riuscivano ad uscire dal punto morto in cui si trovavano sin dal 21 dicembre 1941. Frattanto invece per tutto il mese di gennaio procedevano attivamente le intese con la Francia per l'attuazione dei trasporti di materiale non bellico italiano da spedire in Libia via Marsiglia-Tunisi: intese condotte prima con carattere di assoluta urgenza e poi, dal 6 gennaio, dopo l'arrivo in Libia di un convoglio destinato alle truppe ivi operanti, con richieste meno assillanti, al fine di rendere possibili maggiori discussioni delle varie modalità e di evitare di dover accettare condizioni finanziarie troppo onerose richieste dalla parte francese. In questo caso, una specie di schiarita si potè registrare da parte della Delegazione francese: il 12 gennaio potevano infatti essere concordate fra gli organi armistiziali italiani e francesi le condizioni preliminari di base per i trasporti ferroviari dei noti materiali dal confine italiano a Marsiglia, le condizioni finanziarie relative ai trasporti ora detti per il tratto confine italiano-Marsiglia e per il trasporto da Marsiglia ai porti tunisini dei diversi carichi e la cessione ed il trasporto di 500 tonn. di gasolio dalla Tunisia in Libia. E nel già ricordato colloquio tra i due presidenti del giorno 13 gennaio successivo, l'amm. Duplat, pur rappresentando alcune difficoltà tecniche relative ad un maggior trasporto di autocarri, accennava come il governo francese non si sarebbe opposto a che, oltre alle derrate, si potessero spedire in un secondo tempo dall'Italia in Libia, via Marsiglia-Tunisi, anche armi leggere e munizioni chiuse in casse o sacchi ben mascherate (camouflés) salvo esaminare in un terzo tempo - e in parallelo allo sviluppo della situazione politica - l'invio di navi italiane (cariche di merci ed autocarri) direttamente dall'Italia in Tunisia. Il 21 gennaio, prima ancora della firma del processo verbale degli accordi definitivi da parte dei delegati dei due Governi (avvenuta il 3 febbraio), il primo trasporto di 40 autocarri varca la frontiera e giunge a Marsiglia. Seguono con rapidità altri trasporti, tanto che il 1O febbraio 70 autocarri da 6 tonn. e 30 autocarri da 3 tonn. con adeguata scorta di ricambi ed aliquote di carburante, erano già partiti dalJ'ltalia e 56 erano già giunti a Tunisi, insieme ad un primo carico di I 000 tonnellate di derrate e di vestiario. Altri carichi di merci erano pure stati spediti dall'Italia a Marsiglia.
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Le cose erano a questo punto quando, l' 11 febbraio, il presidente della Delegazione francese comunicava con nota scritta la decisione del proprio governo di «sospendere definitivamente» l'invio in Libia via Tunisia di autocarri italiani (trasporti «gamma») e di «sospendere temporaneamente» l'invio in Libia, via Tunisia, di derrate e di vestiario (trasporti «delta») 017). La definitiva sospensione dei trasporti «gamma» veniva dal governo francese motivata con una ragione politica, la temporanea sospensione dei trasporti «delta» con una ragione d'ordine tecnico (congestionamento delle merci nei porti tunisini). La ragione politica addotta dal Governo francese per la sospensione dei trasporti «gamma» era la violenta propaganda anglosassone per mezzo della radio e della stampa ed i passi compiuti a Vichy dal governo americano; ed effettivamente, pur dovendosi ritenere essere stato elemento determinante nella decisione del governo di Vichy la démarche nel frattempo compiuta dal!' ambasciatore degli Stati Uniti d'America, Leahy, sta di fatto che sin dagli ultimi giorni di gennaio una vera offensiva propagandistica si scatenava nella stampa e nella radio dei paesi anglosassoni per i pretesi «aiuti dati dalla Francia di Vichy al generale Rommel». Alle immediate proteste della CIAF contro la decisione di Vichy, il governo francese rispondeva, il 13 febbraio, con il solito gioco del rinvio. Da una parte assicurava che sarebbero stati istradati sino alla frontiera libica tutte le merci «delta» e tutti gli autocarri «gamma» che avessero passato la frontiera italo-francese fino alla data del 12 febbraio, e dall'altra precisava che il motivo della decisione francese andava trovato nel mancato mantenimento delle promesse fatte alla Francia dalla Germania che confermava le continue manifestazioni di sospettosa diffidenza con cui la Francia si era vista ripagata delle sue numerose prove di buona volontà verso l'Asse. Ed ancora una volta la questione veniva rimandata all'interessamento del Duce presso il Fiihrer allo scopo di mutare dal profondo la sua politica nei confronti di Vichy. Era il solito dialogo dei sordi, ed anche se il delegato francese arnm. Duplat tentava di addolcire la decisione francese questa rimaneva pesantemente al passivo delle «nuove» relazioni italo-francesi. Alla luce delle decisioni francesi che infrangevano un'intera ipotesi di evoluzione dei rapporti Asse-Vichy, la situazione francese apparve critica anche agli occhi del pur cauto gen. Vacca Maggiolini, il quale ne
( 117) Per La loro importanza. sia la denuncia francese degli accordi «delta» e «gamma». sia la protesta del gen. Vacca Maggiolini sono riponati quali Documento n. 44 e 45 del Tomo secondo della presente opera.
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ipotizzava le ragioni nel solito desiderio della Francia di mantenersi «neutrale» e quindi di uscire dallo status di «Stato vinto» e dal regime armistiziale e nel suo generale proposito di attendismo non proprio favorevole ad un impegno pro-Asse della Francia stessa. Ed in questo quadro il peso dell'opinione pubblica della Francia occupata o «libera» non era ritenuto trascurabile. Quale peso abbia l'opinione pubblica sul governo di Vichy ne fece esplicito cenno anche l'amrniraglio Duplat al generale Vacca Maggiolini nel colloquio del 13 gennaio, accennando alle ragioni per cui il governo francese non poteva dare immediata attuazione al progetto di marciare risolutamente a fianco dell'Asse. Precisava il documento della CIAF: «Come è noto, già da parecchio tempo è dato individuare nello spirito pubblico in Francia tre correnti principali, e cioè: quella dei seguaci della collaborazione fra la Francia e la Germania, con varie sfumature e tendenze particolari impersonate da tutta una serie di vari gruppi politici, che trova la sua maggiore espressione nella stampa germanofila della Francia occupata ma che, attraverso vari canali (gruppo intesista di François-Poncet, partito popolare rappresentato nel governo di Vichy da Paul Marion, e soprattutto gruppi facenti capo a Benoist-Méchin, a Lavai e De Brinon, a Scapini) giunge molto vicino a Vichy; la corrente, al polo opposto, che è unificata dal comune sentimento di ostilità contro la Germania e che è costituita dai diversi gruppi dei degollisti, dei comunisti, di taluni ultranazionalisti e di Libération nationale; e, al centro, la corrente rappresentata dalla grande massa del popolo francese, indubbiamente anglofila, ma "attesista", soprattutto perché l'inerte attesa allontana il deprecato pericolo di una ripartecipazione alla guerra. Una quarta corrente, modesta ma disciplinata, è quella che appoggia direttamente il Governo Pétain-Darlan; corrente che trova i suoi adepti negli ambienti militari, e soprattutto marinareschi, e in strati vari della burocrazia, ma che si palesa battagliera soltanto attraverso i discorsi ufficiali. Violente invece sono le correnti estreme; quella esile ma assai vivace dei collaborazionisti dell'Asse, mossi dalla Parigi tedesca, e che persino minacciarono una "marcia su Vichy"; quella numerosa degli anti-tedeschi che opera con un sottile ma intenso lavoro di propaganda - anche e molto nel Nord Africa - a base di manifesti clandestini, di scritte murarie e di atti terroristici, e sussidiata dall'oro inglese o americano. Oggi ancora non si può parlare di correnti esasperate; ma I'inacerbirsi dei rapporti fra di esse ed eventuali crisi di Governo - quale ad esempio potrebbe verificarsi se venisse a mancare il venerando Mare-
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sciallo - potrebbe rendere necessario anche un intervento armato del1' Asse per sedare gravi tumulti e il manifestarsi della dissidenza, specie nel Nord Africa; ovunque poi siano ammissibili conflini di partito, movimenti popolari, che, anche se improvvisi e disorganizzati, potrebbero palesarsi pericolosi . .. » (t18). A parte ogni analisi di tipo politico, la rottura dell'accordo di Natale aveva conseguenze gravi sul clima generale dei rapporti armistiziali anche se l'evoluzione della situazione militare in quella fase nella Libia, favorevole all'Asse, fece passare in secondo piano le eventuali conseguenze militari pio generali della decisione francese sulla Tunisia e sui porti tunisini. Il citato storico Pastorelli ben chiarisce a questo riguardo il quadro nel quale questi eventi vanno situati, quadro che allarga a realtà del tutto estranee alla CIAF ed al problema armistiziale italo-francese le considerazioni da farsi: con l'annuncio della «sospensione» dei trasporti «aveva cosi termine, per il periodo del governo Darlan, la dibattuta questione relativa alla piu importante prestazione a favore dell'Asse cui la Francia s'era obbligata con la sottoscrizione dei Protocolli di maggio, ed il bilancio si chiudeva in modo sostanzialmente negativo per l'Asse a causa di molti fattori, ma soprattutto per il peso negativo esercitato dalla mancata vittoria della Germania in Russia. Questo fatto, facendo venir meno nell 'amm. Darlan la sicurezza nel successo finale del Reich nel conflitto, determinò un profondo cambiamento nei suoi orientamenti: la funzione contenitrice nei confronti della politica di Vichy verso l'Asse, esercitata nella primavera 1941 dal generale Weygand veniva ora svolta dall 'amm. Darlan, ponendo le premesse alla posizione da lui assunta nel novembre 1942 (119) .
(118) LA situazione armistiziale nel febbraio 1942, a finna deUa presidenza in ASSMECIAF, Racc. 51, p. 14. (I 19) P. PASTORELLI, op. Cii., p. 382.
Parte terza
IL TEMPO DELLA CRISI
1.
L'altalena dei negoziati: impegno e neutralità di Vichy
Dopo la rottura del «canale privilegiato» con l'Italia, la Francia si trovava sul piano generale in una situazione veramente singolare per la sua difficoltà e complessità. Aveva subito una delle piu tremende sconfitte della storia ed il suo esercito ne era stato sommerso; ma tuttavia aveva conservato intatta la flotta, in discrete condizioni la sia pure scarsa aviazione, e soprattutto era rimasto fuori dalla guerra l'Impero con tutte le sue forze coloniali. L'armistizio la poneva da 20 mesi ormai in una specie di paralisi, dalla quale essa si sforzava di uscire. Ma l'occupazione, con le conseguenti difficoltà di transito e i divieti d'accesso alla zona costiera dell'Atlantico, ne scomponevano I'unità economica facendola rimpiombare, ad ogni tentativo fallito di evoluzione, in uno stato di ulteriore paralisi. Al che andava aggiunto che l'impossibilità di far funzionare, a causa dello stato d'armistizio, le industrie belliche della zona non occupata, la mancanza di materie prime e di forza motrice (carbone e nafta), la mancanza di braccia per l'industria civile e per l'agricoltura a causa dell'enorme numero di prigionieri ancora in Germania, la crisi demografica, l'assorbimento di un'infinità di generi da parte degli acquisti tedeschi in Francia occupata ed anche non occupata, non potevano non aumentare il disagio e il malcontento della popolazione. È vero che la popolazione medesima avrebbe dovuto sapersi dar ragione del proprio stato, pensando alle condizioni in cui, sempre a causa della guerra, tanti altri paesi si trovavano, ma la particolare ansietà dei Francesi era determinata anche dall'incertezza della posizione del proprio paese, sconfitto ma non ancora di fronte a tutte le temute conseguenze della sconfitta, quali la cessione di territori alla Germania ed all'Italia, di una Francia non piu in campo con gli Anglosassoni ma neppure aiutata dalle potenze dell'Asse. Né da queste né da quelli la Francia riesce ad avere ciò che le occorre; né può maggiormente attivare gli scambi commerciali, poiché da un lato, a causa dell'occupazione di tanta parte del territorio, ha ben
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poche possibilità di esportare, e dall'altro, le altre nazioni in guerra hanno ben pochi prodotti da fornirle. Né si può dimenticare che, almeno per il motivo apparente della collaborazione con l'Asse, la Francia aveva perduto la Siria, e che la collaborazione con il Giappone l'aveva praticamente privata dell'Indocina, mentre l'Africa equatoriale era in mano dei dissidenti degollisti. Tutto questo spiegava gli ondeggiamenti del governo francese, il quale cercò di negoziare una sua collocazione dalla parte dell'Asse, senza tuttavia cessare di tendere una mano agli Stati Uniti d'America, neanche dopo che questi ultimi erano entrati in guerra contro l'Asse. E del resto che altro poteva dare alla Germania la Francia? Nel campo finanziario essa continuava a pagare, da 20 mesi, dai 300 ai 400 milioni di franchi al giorno; nel campo economico il territorio metropolitano continuava ad essere sfruttato sino all'estremo. La Francia poteva essere ancora utile all'Asse nel campo delle concessioni militari (cessione delle basi tunisine e delle basi di Dakar e del Marocco atlantico), ma con questo essa si sarebbe attratta la reazione dei nemici dell'Asse sino al punto di poter venire trascinata nel conflitto: conflitto del quale non solo non aveva la volontà ma per il quale mancavano i mezzi, ridotti come erano ai termini dall'applicazione dell'armistizio e senza possibilità di alimentarli data la paralisi industriale e la mancanza di carburanti. Se queste erano le considerazioni che si potevano fare a proposito della difficile posizione del governo di Vichy, quale era la politica che secondo la CIAF occorreva tenere nei suoi confronti? Una risposta a questa domanda la possiamo trovare nelle considerazioni solitarie che il presidente della CIAF stessa faceva proprio in quel periodo: «Se è vero che la Francia deve avere il suo posto in una giusta pace nel nuovo ordine europeo di domani, e che quindi non conviene rafforzare quella barriera di odio che già v 'é fra i francesi e i paesi dell'Asse; se è vero che la Francia può, durante la guerra in corso, servire all'Asse dal punto di vista militare, se è vero che la dissidenza dell'impero africano - alimentata dagli Anglosassoni - potrebbe creare quelle gravi complicazioni che sono state pit'.i sopra esposte, non sembra dubbia la convenienza di dare alla Francia dell'ossigeno con concessioni tali da migliorare la sua situazione interna e da fronteggiare con adeguati mezzi di difesa il degollismo ed eventuali minacce anglo-americane. Nel complesso dovrebbe dunque prevalere la parte dell'Asse l'idea collaborativa, sia pure da attuarsi con ogni gradualità; ma questa idea dovrebbe essere intesa ora dalla Germania, come è stata recentemente intesa dall'Italia ... ».
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Ma questo «realismo» di Vacca Maggiolini non impediva una serie di considerazioni che potremo ritenere abbastanza contraddittorie, quasi in linea con una teorica controassicurazione nei confronti di possibili «cedimenti» di Vichy. Precisava il presidente della CIAF: «Sinché non saremo risolutamente su questa via (la piena collaborazione di Vichy con l'Asse), la possibilità di complicazioni va sempre tenuta presente, a fronteggiare le quali giovano provvedimenti militari ispirati: - a non alleggerire sotto un certo limite le forze mobili dislocate alla frontiera alpina; - a non perdere mai di vista l'eventualità che si renda necessaria un'azione sulla Corsica; - a disporre in Tripolitania e nell'Italia meridionale di quelle forze che permettano di intervenire subito, qualora pericolose situazioni si manifestassero nel Nord Africa francese, e particolarmente in Tunisia. E ciò senza contare che, quando scoccherà l'ora delle nostre rivendicazioni territoriali, bisognerà non soltanto occuparle prontamente, ma forse andarle a prendere per una strada che potrebbe non essere pacifica». Sul piano generale, se la denuncia degli accordi di Natale tra l'Italia e la Francia di Vichy portò inevitabilmente ad una crisi dei generali rapporti della CIAF con la Francia a somiglianza di quanto era avvenuto nei confronti della CTA, non si deve credere che cessassero del tutto elementi di un rapporto di negoziati che subf sf l'altalena delle crisi con Vichy, ma non spezzò mai il filo di un certo rapporto. Pertanto in mezzo alle delusioni per il mancato uso della Tunisia e dei suoi porti nello sforzo bellico dell'Asse, e specialmente dell'Italia, non si può mancare di registrare spunti di accordi, o quantomeno di dialogo con il governo italiano. Gli aspetti di questi rapporti sono spesso all'origine di nuove crisi e di nuovi irrigidimenti, quasi fosse ormai venuto il tempo di una vera e propria rottura, ma talvolta alcuni aspetti di accordo si fecero luce anche in quel tormentato e difficile periodo. Vediamone i piu importanti che sono: la questione economica, la questione degli italiani in Nordafrica, la questione cinematografica, i rapporti tra Vichy e gli Stati Uniti d'America ed infine la presenza in Francia di una nuova struttura armistiziale italiana e,' in Italia, di una speciale delegazione economica francese. Sul piano economico delle relazioni italo-francesi alcune conseguenze degli accordi firmati a Roma si realizzarono in quei primi mesi del 1942. La novità piu importante riguardava la struttura di rappresentanza francese in Italia abilitata e riconosciuta a trattare argomenti eco-
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nomici. Veniva creata, a partire dal 19 febbraio, una Delegazione economica che si insediava a Roma nella vecchia sede dell'ambasciata di Francia, a Palazzo Famese, e che era presieduta dal min. plenipotenziario Joseph Sanguinetti che era stato per vent'anni consigliere commerciale presso l'ambasciata francese di Roma. Pur dipendendo giuridicamente dalla Delegazione francese di Torino, e quindi dall'amm. Duplat, la Delegazione economica realizzava un vecchio sogno francese, quello di dialogare direttamente con i politici di Roma e non piu con costoro tramite il filtro «militare» del presidente della CIAF a Torino. Questa sede decentrata di Torino, lontana dai centri decisionali italiani, aveva fino ad allora pregiudicato non poco l'efficacia e la realizzazione di progressi sensibili nelle relazioni bilaterali specie nel settore della ripresa dei modesti traffici d'anteguerra tra l'Italia e la Francia, a proposito della necessità francese di ampliarli, soprattutto nel settore dei beni di consumo, per alleviare la crisi alimentare in corso nell'intera Francia di Vichy. Presidente della Delegazione fu nominato il min. Sanguinetti , che riuni attorno a sé una triade di collaboratori estremamente efficaci e cioè l'Ispettore delle Finanze Robert Montarnal, ed i fratelli Mingallon, André, Agente commerciale e François, Segretario addetto commerciale. La testimonianza della loro efficace collaborazione si iscrive nei testi subito approntati ed anche nel nostro prezioso Sarraz-Boumet, che ne tracciò un quadro interessante: «M. Sanguinetti, consul général promu ministre plénipotentiaire, pendant vingt ans attaché commerciai à Rome, en était spécialement chargé, aidé par les frères Mingallon, qui étaient, avant la guerre, déjà ses collaborateurs. Corse d'origine, parlant l 'italien et le gesticulant comme les sujets de Victor-Emmanuel, abondant en périphrases nuancées, possédant l'art de noyer le poisson avant d'aborder le fond meme d'un débat, au courant de l'économie transalpine, de ses besoins et de ses possibilités, il arrivait à marquer des avantages dans les négociations Ies plus délicates. A coté de lui, M. Montarnal, inspecteur des Finances, ancien attaché financier à Rome, était un redoutable debater dans les questions financières et savait avec à propos pratiquer l'ésquive devant les réclamations toujours outrancières de ses partenaires. Devant l'attaque du tandem SanguinettiMontamal, la commission italienne n'arrivait pas à tenir la parade; les milliards de lires réclamés par elle s' amenuisaient progressi vement au cours de discussions qui se prolongeaient jusqu 'à l' usure et finissaient par se transformer en simples petits millions ... » cr>.
( I) M. SARRAZ· BOURNET, op. cit., p. 67.
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La delegazione francese a Roma cosf strutturata ebbe modo di operare abbastanza efficacemente raggiungendo nel marzo alcuni accordi che da una parte sbloccavano certe questioni, rimaste in sospeso anche dopo il protocollo del 22 novembre 1941, dall'altra impostavano ex novo aspetti di cooperazione italo-francese, come nel campo cinematografico. In questo ultimo settore l'attività delle due delegazioni mirava da una parte a riprendere il flusso degli scambi tra i due paesi di prodotti, cioè dei film, e dall'altra di studiare la possibilità, tramite società miste, di utilizzare finanziamenti ed attrezzature esistenti in Francia che facevano capo agli studi della Victorine di Nizza. Storicamente gli scambi dei film tra i due paesi erano stati retti dagli accordi del 29 gennaio 1937, ma dopo 1'armistizio con la Germania, Berlino aveva imposto alla Francia di denunciare tutti gli accordi sulla cinematografia e sugli scambi di fùm già conclusi dalla Francia con paesi esteri, e quindi anche l'accordo del 1937 era decaduto. Naturalmente le proteste dell'Italia si ebbero quasi subito, ma solo nell'agosto 1941 un certo accordo si realizzava, sotto gli auspici della CIAF, sia per la distribuzione di film italiani in Francia, sia per la coproduzione a Nizza. Nel gennaio 1942 il governo di Vichy inviava a Roma a fianco della delegazione economica due delegati per le trattative cinematografiche, cioè Louis Emile Galey e Raoul Ploquin; questi ebbero negoziati sia con il direttore generale della cinematografia, Eitel Monaco, sia con il presidente di Cinecittà Luigi Freddi, sia infine con una serie di responsabili italiani per le attività di realizzazione e di distribuzione cinematografiche presenti a Roma. L'insieme di queste trattative portò alla redazione di un primo accordo da sottoporre alle autorità francesi ed alla CIAF fondato su tre società miste da creare e cioè: 1) una società anonima italo-francese incaricata dell'acquisto e dello sfruttamento degli studios Nicéa e Victorine situati a Nizza con il 60% di capitali italiani ed il 40% di capitali francesi. II consiglio di amministrazione di sette membri, tre francesi e quattro italiani con un presidente francese. Scopo della società, una volta acquistati gli stabilimenti, sarà quello di gestirli con una disponibilità seqiestrale per realizzarvi propri film e per altri sei mesi a disposizione di società produttrici italiane e francesi a pari condizioni di affitto e di uso; 2) una società di distribuzione cinematografica italo-francese con un capitale in pari quota tra capitalisti francesi ed italiani; ad essa spetterà la distribuzione nel territorio francese e potrà pure distribuire in Italia fino a dieci film all'anno prodotti dagli stabilimenti nizzardi. Altre tre società di distribuzione già esistenti italo-francesi saranno mantenute (Francinex, Scalera e Zénith);
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3) una società di produzione italo-francese con capitale in pari quota ed un consiglio di amministrazione composto da tre francesi e da tre italiani con un presidente francese avente 1'obiettivo della coproduzione di film da considerarsi nei due Stati alla stregua di film nazionali. Se questo costituiva l'insieme degli accordi proposti dalle due parti, il presidente della Delegazione economica italiana Giannini potè dare, il 6 marzo 1942, al suo omologo francese Leroy-Beualieu la conferma dell'assenso delJa CIAF che metteva la somma di 5 milioni di franchi a disposizione della nuova società di gestione degli stabilimenti di Nizza e altri fondi per quelle altre società miste previste dall'accordo (2). Sull'insieme delle relazioni economiche vale la pena di ricordare anche il Processo verbale dello stesso 6 marzo relativo alle disposizioni da prendere in merito alle aziende francesi in Italia poste in liquidazione che era accompagnato da un altro Processo verbale di accordo relativo alle disposizioni da prendersi per la sostituzione del regime del sequestro con quello del «sindacato» per quanto concerne le aziende francesi in Italia. Infine veniva precisato, in uno scambio di lettere tra le due delegazioni, quali erano le società francesi operanti in Italia che venivano mantenute sotto sequestro «perché la loro attività interessava ]e esigenze attuali dell'Italia». Esse erano dieci società la cui sorte rimaneva legata all'attività governativa italiana e quindi in piena attività (3). Sia chiaro che per l'insieme di queste trattative e quindi dei rapporti italo-francesi il clima non mutava granché rispetto a quello che già abbiamo ripetutamente segnalato per quanto riguardava la trattativa politico-diplomatica generale con una prevalenza delle diffidenze francesi e delle delusioni italiane. Un osservatore attento delle relazioni italofrancesi ha potuto a ragione scrivere a tale riguardo e per tale tipo di
(2) Sull'intero problema della cooperazione cinematografica del periodo si veda il testo di J. P. BERTIN MAcHIT, le cinémafrançais: rupture et regénération 1940-1946, Thèse d'Etat sous la direction d'A. Nouschi, Università di Nizza, Lettres et Sciences Humaines, 1987. (3) Si trattava delle seguenti società: - S.A. Italiana Industrie Gomma - Milano; - Amministrazione Fari delle Isole Italiane dell'Egeo; - S.A. Carburatori Zenith - Torino; - S.A. Carburatori Solex - Torino; - S.A. La Castanea - Genova; - S.A. Generale delle Acque per l'Estero - Venezia; - S.A. Fabbrica di Munizioni Léon Beaux - Milano; - S.A. Esplosivo Chedd.ite - Torino ; - S.A. Saldature Elettriche e Immobiliare Fusarc - Milano; - S.A. Forni Stein - Genova. Sugli accordi si veda il Documento n. 46 del Tomo secondo della presente opera.
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trattativa economica: «En ce qui concerne les ententes à conclure, les firrnes françaises concemées, appuyées par le gouvemement de Vichy, multiplient lenteurs et dérobades, s'adresse, à plusieurs groupes italiens à la fois pour susciter entre eux une concurrence et embrouiller les choses ... » <4) . E se questo fu lo spirito delle ditte francesi che si presentavano tramite la Delegazione economica francese di Roma, all'interlocutore italiano tramite la CIAF, lo stesso spirito di rinvio e di incertezza voluta dominava la trattativa che, di rinvio in rinvio, finiva per perdere ogni efficacia ed ogni valore per la CIAF e per lo sforzo bellico nazionale italiano. Lo sblocco delle imprese francesi poste dalle autorità italiane sotto sequestro e sotto controllo subito dopo la dichiarazione di guerra aveva per obiettivo di fare partecipare queste allo sforzo produttivo bellico del! 'Italia, ma in definitiva i tempi passarono senza che nulla, o quasi, in questo senso si facesse in realtà. Tutto fu, come il delegato francese Sanguinetti scrisse in molti suoi rapporti, evocato per ritardare ogni applicazione degli accordi approfittando spesso del desiderio italiano di mutare l'assetto societario delle varie imprese con maggiore partecipazione azionaria italiana; anche queste proposte furono utilizzate dai delegati francesi per rinviare sine die ogni accordo. E pertanto alla svolta fatidica del novembre 1942, che bloccherà ogni trattativa con l'occupazione italiana della Provenza, nulla o quasi era stato concluso. I negoziati tra la Saint-Gobain con la Società Vetraria Italiana come quelli di Penarroya con la Società Monte Amiata, come quelli di Miche/in con la Società Lancia, e di Air Liquide con la società Ossigeno e altri Gas erano al punto morto. Nel frattempo solo tre operazioni erano giunte a termine: la vendita a Fiat-Capelli della metà delle azioni della società Trafilerie e Laminatoi di Metalli, filiale milanese della società Trafileries du Havre, la vendita alla società Montecatini di 30.250 azioni di Rhodiaceta Italiana, filiale di Rhone-Poulenc, ed infine la cessione alla Società ltalgas di 10.600 azioni su 16.000 degli Stabilimenti Siry-Chamon, filiale italiana della Compagnie des Compteurs. Evidentemente era la malavoglia da parte francese che spesso veniva a bloccare la prosecuzione delle trattative, che pur furono numerose ma si urtavano a difficoltà burocratiche che davano al negoziato, pur ufficialmente auspicato, una vischiosità che ne rendeva difficile la conclusione. Anche problemi di sicurezza militare, che la CIAF non poteva fare a meno di evocare, rendevano difficili le trattative e quasi im-
(4) P. GUJLLEN, Les entreprises industrielles françaises en ltalie pendant la période f asciste, in Studi in memoria di Mario Abrare, Torino, Università degli Studi, Istituto di Storia Economica, 1986, pp. 558 e seguenti.
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possibili le conclusioni. Come scrisse un esperto economico, si inserirono nel gioco perverso dei ritardi reciproci anche «le limitazioni praticate nell'uno e nell'altro paese ai movimenti degli esperti incaricati di stipulare contratti tra gli enti dei due paesi» (5). E cosi, alla fine dell'agosto 1942, l'ambasciatore italiano a Parigi, Buti, in osservazione nell'ex capitale francese, poteva scrivere al Ministero degli Affari Esteri di Roma che tutto in questo settore appariva completamente paralizzato anche se, sottolineava il Buti, tale situazione di stallo «era tutt'altro che rispondente al nostro interesse, soprattutto per quanto riguardava l'importazione di fosfati necessari per l'agricoltura e le altre materie prime occorrenti all'industria bellica». E ciò naturalmente si rifaceva tanto quanto ali'esportazione dei prodotti italiani in Francia, che avveniva sotto il regime dei contingenti di reciprocità conclusi di semestre in semestre sulla base anche dei dati del semestre precedente. I problemi relativi alla mancata collaborazione si acuivano sempre piu a mano a mano che il tempo passava. Per esempio, uno di questi problemi riguardò la qu~stione dei visti che da parte delle autorità italiane, come da quelle francesi, venivano sottoposte a complicate e lunghe procedure che cambiarono ripetutamente; in un primo tempo si era seguita una prassi «semplice» che corrispondeva anche al fatto che tutto era accentrato a Torino tra la CIAF e la Delegazione francese. Ciascun esperto veniva munito di un salvacondotto armistiziale rilasciato dopo che la Direzione generale della P.S. e quella del SIM aveva svolto le loro indagini. Il salvacondotto cosi rilasciato consentiva al titolare di compiere un numero illimitato di viaggi purché, di volta in volta, autorizzati dalla CIAF stessa. Successivamente la procedura, già abbastanza macchinosa (ma che apparirà semplice nei confronti della successiva), si complicherà con lo spostamento a Roma della speciale Delegazione economica francese, nonché con la creazione a Parigi dello speciale osservatorio diplomatico italiano: in questa maniera i centri da armonizzare erano molti, e la procedura del salvacondotto permanente fu sostituita con dei visti sui passaporti, visti da ottenere per ogni visita degli uni e degli altri esperti nei paesi relativi. E questi visti concessi «a seguito di accurati accertamenti», che ovviamente si ripetevano ogni volta per ogni esperto e per ogni viaggio, furono la causa non remota di ritardi paurosi nell'andamento prevedibile dei negoziati bilaterali. A tal punto che il Buti, nel settembre 1942, richiedeva al Ministero di ripristinare il sistema precedente poiché i ritardi che la nuova procedura determinava (5) L. DE ROSA, / rapporti economici italo-francesi tra pace e guerra (1939-1943), in Italia-Francia 1939-1945 , Milano, Ispi, 1984, p. 72.
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non erano solo ritardi che rallentavano i negoziati, bensì ritardi che rischiavano di fare saltare ogni trattativa. Ma non solo nel problema dei visti per gli esperti risiedeva il nodo dei mancati progressi nei rapporti economici ed industriali tra l'Italia e la Francia; vi era anche la carenza dei trasporti che affliggeva Vichy e che le autorità della CIAF non potevano mai risolvere a causa delle restrizioni di combustibili che la stessa Italia subiva nel settore generale dei propri trasporti specie verso la sponda nordafricana. Tonnellaggio a disposizione, treni e vagoni da ritrovare e combustibili da utilizzare erano le tre incognite che la CIAF non riusci mai a risolvere. Anche perché ad esse si aggiunsero i problemi connessi con l'aspetto finanziario degli scambi, aggravato dall 'oscillazione continua della moneta francese e quindi dal difficile allineamento ad essa della controparte italiana. Non va peraltro dimenticato che furono proprio nello stesso periodo che la regione di Nizza e quella del Principato di Monaco furono interessati, non tanto ad opera della CIAF bensì'. a quella del ministero delle Finanze italiano per impulso dello stesso ministro Thaon di Revel, ad una operazione finanziaria di grande ampiezza a proposito dell 'acquisto di beni e di società connesse ad attività turistiche ed alberghiere nelle due zone. Si può in breve evocare la missione esplorativa di due esperti del suddetto ministero, prof. Ettore Moiraghi ed ing. Giorgio Varvaro i quali si recarono nella Costa Azzurra e compilarono dopo le loro inchieste una relazione finanziaria di notevole interesse. In essa veniva rilevato che, lungi dall'occuparsi dell'andamento generale del conflitto e dell'esito di esso, gli italiani presenti nella Costa Azzurra si interessavano soprattutto delle speculazioni da compiere sulla Costa Azzurra. Precisavano i relatori: «Sulla Costa Azzurra si è trovato un ambiente dove troppe persone si occupano e parlano di acquisti fatti e da fare da parte dell'Italia, di cifre da investire, di opzioni, i1 tutto a discapito di chiari risultati .. . » (6). L'interesse italiano appariva peraltro subordinato ad una presenza tedesca che faceva gonfiare prezzi e valori anche se tirava un'aria di crisi in tutto il settore alberghiero interessato in prevalenza a queste speculazioni ed a questi acquisti, essendo «i grandi o piccoli alberghi quasi tutti chiusi o in piena crisi»: la maggior parte, in seguito agli avvenimenti, erano economicamente e patrimonialmente disastrati. Pertanto i relatori preconizzavano la costituzione di società italiane o miste con prevalenza italiana che si lanciassero
(6) La relazione Varvaro e Moiraghi (e Ridolfi) s i trova in ASMAE Francia, Rapporti eco-
nomici, 193945, busta 44 ( 1942), fase. 15.
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nell'acquisto totale o parziale di una serie di grandi alberghi lungo la Riviera francese (Ruhl, Martinez a Nizza, ·ed altri a Cannes) e a Parigi. Questi acquisti dovevano essere realizzati «da uno o piu società anonime nelle quali venivano apportati i pacchetti azionari delle singole società» che le autorità economiche italiane avrebbero provveduto a comperare. Oltre alla Riviera francese le attenzioni italiane erano rivolte al Principato di Monaco, dove regnava la Société Anonyme ·des Bains de Mer et du Cerete des Etrangers con sede a Monaco. Ma qui sorgevano dei dubbi e delle difficoltà, dubbi quanto alla volontà dei possessori delle azioni SBM di disfarsene e diffic<?ltà, eventualmente, di reperire le ingenti somme necessarie per l'intera operazione. In definitiva però i relatori propendevano per una specie di moratoria, rimandando gli acquisti a guerra vinta poiché, una volta recuperato il Nizzardo all'Italia, sarebbe stato assai piu facile regolare l'intero problema degli acquisti nel Monegasco. Quanto all'ambiente politico incontrato nel loro sopralluogo, gli esperti italiani avvertivano che «il principe (di Monaco) non aveva taciuto la sua tendenza antiitaliana e la predilezione per interessenze germaniche». E pertanto sembrava che su questo atteggiamento potesse aver agito il fatto che da taluni «era stato troppo palesemente affermato come l'Italia non intendesse attentare all'indipendenza del principato». In sostanza la relazione degli esperti non portò a nessuna decisione concreta e, benché da piu parti si fosse evocata come imminente una «scalata» italiana alla SBM, la presenza dei delegati e le loro trattative ebbero quale unico effetto quello di fare salire di molto il prezzo delle suddette azioni senza che ali 'Italia ne giungesse neppure una. Le trattative proseguirono, senza vere convinzioni da parte dell'Italia, e provocarono una serie di decisioni contraddittorie circa le partecipazioni azionarie in queste attività alberghiere, ma non portarono a nulla sul piano delle decisioni ventilate circa l'acquisto di pacchetti azionari o di prevalenze italiane in società miste, tutte proposte e non realizzate. Si è voluto accennare a queste attività italiane nella Francia di Vichy, anche se appare chiaro che esse avvenivano quasi in margine alle attività ufficiali della CIAF, nell'intento di rendere evidente il senso di disagio che le molte iniziative italiane generavano nella struttura che all'origine dell'era armistiziale era stata indicata quale unico tramite dell'Italia vittoriosa nei confronti della Francia vinta. Invano il gen. Vacca Maggiolini nella sua veste di presidente della CIAF tuonava contro simili «invasioni»: dopo gli organi del partito, molti organi del governo di Roma non sembravano tenere in debito conto questa esclusività della CIAF che vedeva, specie a partire dalla trattazione delle que-
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stioni economiche, la concorrenza di molti organi italiani incoraggiati in ciò dalla stessa Francia di Vichy che poteva cosf, dopo aver giocata la carta del doppio discorso italo-tedesco a proprio vantaggio, giocare pure la carta del discorso molteplice con alterni organi italiani. Per la CIAF nasceva cosi il «problema Sanguinetti», dal nome del responsabile francese della Delegazione economica a Roma. Nel marzo 1942 la rivalità tra gli organi 'italiani e l'interlocutore francese era apertamente denunciata quale fattore di debolezza e quindi di inefficacia dal Vacca Maggiolini. L'obiettivo era «unità di indirizzo, blocco unito di volontà indirizzato per diverse vie ad una stessa meta, coordinamento fra organo ed organo assicurato senza alcuna lacuna, possibilità di uniformare tutte le varie attività ad un'unica direttiva anche in funzione del variare dell'atteggiamento francese». La realtà appariva invece ben lontana da questa visione accentratrice; con l'evoluzione della situazione politica generale all'unico organismo rappresentato dalla CIAF di Torino e dalla corrispondente Delegazione francese presso di essa erano venuti a sostituirsi per la trattazione dei rapporti Italia-Francia tre organi distinti e cioè la CIAF, il Regio Plenipotenziario a Parigi con relativo Commissariato commerciale per la Francia, e la Delegazione economica francese a Roma. Con una simile situazione era inevitabile che il problema dell'armonizzazione apparisse fondamentale ma che, a questo riguardo, la realtà fosse lontana da questa mitica unità di indirizzo e dì intenti. Pur essendo evidentemente difficile procedere a tagli netti tra le attribuzioni di questi vari organi sorti per motivazioni contingenti o per opportunità politiche o strategiche, la ripartizione delle competenze «esclusive» ed il collegamento costante e perfetto tra questi enti e specialmente tra i suoi massimi responsabili pareva altamente auspicabile ma non facilmente realizzabile. E questa armonizzazione, sottolineava il presidente della CIAF, «appariva evidente sol che si pensi ai nessi continui e inscindibili che corrono tra le varie questioni per assicurare l'unicità della direttiva». Sul piano generale «premeva, senza dubbio, assicurare la trattazione separata ma coordinata di questioni politiche, militari, economiche, finanziarie, consolari, ecc., collegate tutte da nessi strettissimi fra di loro. Ma ciò che soprattutto premeva anche nella trattazione da parte di organi diversi di materie completamente separate tra loro, era dì non dare l'impressione ai francesi che agendo in un determinato settore si potessero, in un determinato momento, ottenere dei risultati che in altro settore, per diverso indirizzo pur nello stesso momento, era vano sperare. Venendo a mancare quel perno unico sinora rappresentato dal Presidente della CIAF, il quale aveva appunto il compito di armonizzare le
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questioni in un unico quadro, che cosa si andava a sostituire? ... ». Larisposta era ovviamente contenuta nella volontà politica superiore che tra le molte soluzioni era chiamata a scegliere quale via dovevasi percorrere, quella del rinnovamento della politica verso Vichy inserendo appieno la Francia in un clima europeo dove l'armistizio non poteva certo essere ritenuto ancora vincolante, oppure irrigidire la posizione italiana dello Stato vincitore che dettava leggi al vinto. Ma il primo punto di vista urtava contro la volontà francese di stare al margine del conflitto e il secondo era irrealizzabile poiché alla Francia si chiedeva spesso di andare ben al di là dello Stato armistiziale iniziale. Non si trattava neppure solo di decisioni da armonizzare bensf si trattava di vedere se fosse stato ·il caso di mantenere in piedi l'intera struttura armistiziale di Torino. In un suo promemoria al capo di Stato Maggiore il gen. Vacca Maggiolini esprimeva una serie di dubbi che danno appieno il senso dei problemi che proprio allora, siamo alla metà del 1942, si andavano presentando alle massime autorità politiche e militari italiane nei riguardi dell'atteggiamento da tenersi verso la Francia e nei confronti della stessa CIAF. Precisava il presidente della Commissione: «Il criterio di non procedere ad uno smantellamento della CIAF, di cui si è sentito far parola nei giorni scorsi a Roma, non sembra sufficiente. Lasciando intatta la struttura attuale della CIAF, come taluno vorrebbe, alcuni dei suoi organi verrebbero ad essere conservati solo in teoria, svuotandosi però in realtà di ogni contenuto: a guisa di facciate senza la casa. Se, per esempio, la Delegazione economica francese è trasferita interamente a Roma, gli organi economico-finanziari e commerciali della CIAF a Torino non avranno con chi trattare. Se, ancora, la tutela degli italiani in Francia deve essere affidata al Plenipotenziario, e la materia dei passaporti per la Francia - come pure si è ventilato alla Delegazione economica di Roma, quale ragione d'essere avrà piu l'attuale Sottocommissione Affari Generali a Torino? Né d'altro canto il problema potrebbe dirsi senz'altro risolto con la cessazione di tale organo e delle sue funzioni presso la CIAF. Sempre nel campo della tutela dei connazionali, occorre pensare ai problemi relativi agli italiani nel Nord Africa francese, attualmente trattati in loco dai funzionari civili degli organi armistiziali di controllo, dipendenti, attraverso la Sottocommissione Affari Generali, oltre che dal Ministero Esteri dal Presidente della CIAF. Può sembrare semplice che essi dipendano soltanto dal Ministero Esteri o dall'Ambasciatore a Parigi: ma attualmente i francesi ne ammettono la presenza e ne riconoscono le funzioni soltanto come organi di controllo appartenenti esclusivamente alla CIAF, e
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quindi i1 loro svincolamento da questa deve essere preceduto da nuovi accordi con la parte francese al riguardo. Ma, mentre oggi la CIAF, sulla base della Convenzione d'armistizio, può agire in via impositiva con la parte francese o quanto meno stabilire contropartite in altri settori per far prevalere un determinato punto di vista, è da ritenere che tanto il Plenipotenziario quanto il Ministero degli affari esteri, i quali devono trattare per la normale via diplomatica, manchino di tali possibilità. Comunque, non è il problema della ripartizione dei compiti e del coordinamento tra CIAF e Plenipotenziario politico a Parigi che si pone come particolannente acuto nella serie delle questioni che sorgono dall'istituzione dei nuovi organismi italo-francesi tra la Presidenza della CIAF, e l'Ambasciatore Buti è perfettamente assicurato, attraverso un apposito ufficio e uno scambio continuo, ed è, se mai, soltanto la posizione del Commissariato commerciale di Parigi che merita di essere meglio studiata. Quello che si presenta piu urgente e preoccupante è il problema Sanguinetti a Roma. Sembra cioè che l'attività della Delegazione economica francese debba venir circoscritta in limiti molto precisi e soprattutto sembra necessario non ammetterla ad un contatto diretto e libero col Ministero degli Affari esteri e anzi con tutti gli altri organi romani - come pur si è sentito dire - coi sistemi stessi del tempo di pace, quando invece occorre non dimenticare che tra l'Italia e la Francia vige tuttora lo stato di guerra... » <7>. Era il solito dilemma che non certo il presidente della CIAF poteva risolvere, schiacciato com'era tra i documenti imperativi della «vittoria» e dell'armistizio e l'evoluzione evidente della situazione generale della guerra nella quale pure andava collocata l'azione della CIAF e le scelte da farsi. Era peraltro soprattutto a livello delle concorrenze di competenze che si faceva sentire acuta la crisi con una serie di equivoci e di doppie o di triple «competenze». Una Sottocommissione scambi commerciali, per esempio, che operava da Torino ma che auspicava di trasferirsi a Parigi dove già operava un plenipotenziario politico che dipendeva dal Ministero degli Affari Esteri; una sottocommissione affari economici e finanziaria che da Torino aspirava a trasferirsi a Roma per costituire l'interlocutore puntuale ed unico della speciale Delegazione francese economica costituita quasi a contrapposizione della Delegazione francese di Torino; infine una CIAF che veniva spesso orientata verso Roma e non piu verso Torino in quanto necessariamente alle (7) Promemoria del gen. A. Vacca Maggiolini, s.d. (mano 1942) in USSME-CIAF, Racc. ?, pp. 4-5.
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prese con un potere politico che a Roma risiedeva e che impegnava il suo presidente e tutti i suoi organi direttivi a continui spostamenti nella capitale senza che la presenza a Torino potesse pennanentemente trovare valide giustificazioni dopo la prima, quella della fine del conflitto annato, perché Torino era piu vicina di Roma al teatro delle operazioni militari. Non si trattava ovviamente di questioni di poco conto, ma si trattava del futuro vitale della CIAF che certamente viveva male la lunga vigilia di una pace che non arrivava mai e di una vittoria che sembrava sempre piu aleatoria, con prospettive ben diverse da quelle che avevano condotto alla sua fonnazione. Eppure, pur essendo cosf posta chiaramente la questione, nessuna soluzione si manifestò, e la pura gestione dell'armistizio impossibile si trascinava senza né svolte né novità. Significative al riguardo le parole che il Duce spende sulla questione durante l'incontro con il gen. Vacca Maggiolini del 31 marzo, alla presenza del capo di Stato Maggiore gen. U. Cavallero. L'analisi della Francia e della sua situazione politica interna vede Mussolini denunciare una serie di elementi che già molti documenti della CIAF avevano evocato: «pericolosi progressi del comunismo in combutta col nazionalismo e col degollismo (tutti alimentati dall'oro anglo-sassone); nessuna energia volitiva; incomprensione della propria situazione in Europa; persistenza della vecchia albagia e della fiducia nel materialismo (potenza industriale e finanziaria degli Stati Uniti d'America); governo debole e di scarso prestigio ... » <S>. L'analisi della situazione della Francia di Vichy appare abbastanza realistica, ma ciò che non appaiono tali sono le affennazioni che seguirono tale analisi. Esse da una parte evocarono eventualità di vera e propria occupazione militare italiana della Francia di Vichy (« ... potremo contare su otto divisioni ... ») e dall'altro rievocava il rivendicazionismo fascista verso la Francia stessa auspicando addirittura... un consenso della Francia stessa a simili operazioni. Gli ultimi tre paragrafi sono allucinanti circa la monotonia delle posizioni mussoliniane e circa l'irrealtà delle sue considerazioni. Da una parte si dichiara: «Il Duce è persuaso che se noi ci accordassimo direttamente colla Francia per le nostre rivendicazioni, la Germania non vi si opporrebbe; ne sarebbe anzi Lieta, vedendosi cosi sollevata dall'azione, sempre ingrata, di mediatrice ... ». L'impossibile accordo veniva cosi visto da Mussolini non solo come realizzabile, ma (8) Il processo verbale del colloquio con il Duce Tomo sedondo della presente opera.
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riponato quale Documento n. 47 del
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come tappa da studiare nelle prospettive future del!' azione della CIAF. Dunque la minaccia a Vichy, il bastone, «Se la Francia vuole collaborare con noi, si decida a fare all'Italia proposte concrete, che tengano conto realistico della situazione», e dall'altra parte la carota: «La Francia dovrebbe persuadersi che le nostre richieste sono modeste: del territorio metropolitano vero e proprio non chiediamo che 1.000 kmq circa (9); della Corsica è inutile discutere, perché non c'è trattato di geografia che non ne riconosca l'italianità. Quanto alle colonie sarà facile intendersi quando, al tavolo della pace, si tratterà di ripartire la ricca eredità inglese ... ». Con un simile bagaglio di idee e di propositi, che egli voleva qualificare di «realistici», il Duce non poteva certo dare alla CIAF quell'impulso di novità che pur pareva al suo presidente necessario per rilanciarne la vitalità nell'eventuale dialogo con le autorità francesi di Vichy. La norma generale ripeteva banalmente il concetto rivendicazionistico, e questa monotonia di propositi portava inevitabilmente il discorso diplomatico-militare di Torino ad una vera e propria impasse. Già nel colloquio del 23 marzo con l'arnm. Duplat si era ridotto lo stesso ad un puro elenco di casi da risolvere con un netto allontanamento da ciò che poteva, o doveva, essere l'essenza dei colloqui tra i due massimi rappresentati dell'armistizio, un colloquio di natura squisitamente politica. Ma già la nota del 19 marzo al gen. Cavallero sulla situazione francese aveva evidenziato la netta tendenza francese, dell'intera Francia, a considerare ogni vicenda bellica come distaccata dal risultato sperato, e cioè la vittoria della Gran Bretagna. Anche la notizia dei cruenti bombardamenti inglesi dei sobborghi di Parigi aveva suscitato risentimenti contro l'Inghilterra «soltanto in una trascurabile minoranza della popolazione». L'analisi era impietosa ma concreta: «Nella maggioranza (della popolazione francese) (l'episodio) ha trovato, invece, la stessa giustificazione già addotta per Mers el-Kebir, per Dakar, per la Siria: trattasi di dolorosi fatti di guerra, legittimati, in questo caso, dal fatto che il territorio francese è occupato e, per di piu, usato dal vincitore ai danni delle Potenze democratiche. Lo scoppio di sdegno che avremmo dovuto attenderci contro l'Inghilterra si è perciò invece volto verso la Germania considerata vera responsabile del nuovo lutto francese. Né sono mancati coloro che si sono addirittura allietati pei bombardamenti inglesi, ravvisandovi l'inizio della invocata controffensiva sul continente e la promessa di una non lontana «liberazione». La stessa re,azione del (9) Con tali dimensioni si può ritenere che la rivendicazione riguardasse solo il Nizzardo fino al fiume Varo.
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Governo è stata piuttosto di dolore e di pietà che di virile protesta: al messaggio di Pétain, nel quale pure si parla di «criminale aggressione», non è seguito, almeno sino ad oggi, nessun accertato provvedimento di rappresaglia. Evidentemente il Governo, il quale pur consentiva alla stampa ufficiosa un fiero linguaggio contro l'Inghilterra, sapeva che la maggioranza del Paese - in cui sempre predomina l'anglofilia e, nonostante tutto, la fiducia nella sconfitta dell'Asse - non lo avrebbe seguito in un atteggiamento piu energico, dato e non concesso che questo fosse nei suoi intendimenti». La questione politica emergeva in piena luce, ed anche in questo quadro i colloqui che il segretario generale della CIAF, gen. Gelich, ebbe a Parigi nei giorni 30 e 31 marzo e 1° aprile con molti esponenti della Commissione tedesca di armistizio con la Francia sono interessanti. Lo spunto degli incontri era l'auspicata armonizzazione della «politica francese» dei due organi dell'Asse, la CIAF e la CTA, dopo la rottura delle trattative a tre di Wiesbaden del 21 dicembre 1941 e dopo il fallimento degli accordi stipulati tra Italia e Francia circa i rifornimenti alla Libia via Marsiglia e Tunisi (trasporti «gamma» e «delta»). La sostanza delle conversazioni fu quella di constatare nei piu vari argomenti una evidente crisi della volontà francese alla collaborazione, crisi che ben si esplicitava nelle considerazioni fatte dalla CIAF in molti documenti circa l'aggravamento della situazione interna della Francia con crescenti segni di una ripresa antitedesca ed antiitaliana da seguirsi con la massima attenzione. Con una simile situazione quale fu la posizione concordata? Il gen. Gelich nella sua relazione non nascondeva il proprio scetticismo circa i risultati di tali conversazioni. Tre erano le prospettive evocate a Parigi: 1) un atteggiamento intransigente da vincitore a vinto imponendo, se occorre con la forza, le richieste dell'Asse; 2) un atteggiamento conciliante, per raggiungere quella collaborazione che aveva già formato oggetto del Protocollo di Parigi tra il Reich e il governo di Vichy e del Protocollo di Gardone tra Italia e Germania; 3) un atteggiamento di attesa da adottarsi in forma piu o meno rigida. Era, in fondo, il solito dilemma che la mancata soluzione militare a favore dell'Asse, sia nell'Africa settentrionale, sia sul fronte russo, non aveva risolto. Le analisi delle conversazioni di Parigi di Gelich non uscivano da ben note conclusioni: «La prima soluzione, la cui conseguenza potrebbe essere anche l'occupazione militare di zone di particolare interesse per l'Asse (Tunisia, Dakar, Corsica, Francia metropolitana), richiederebbe da parte dell'Asse una quantità di mezzi marittimi, aerei e terrestri che non sono
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assolutamente disponibili. D'altronde queste azioni di forza determinerebbero le potenze anglo-sassoni ad intervenire a fianco dei francesi, cosf da creare quel secondo fronte in Nord Africa che è interesse dell' Asse di evitare. Questa soluzione è pertanto da scartare. La seconda soluzione è fallita già una volta (trattative a tre di Wiesbaden). Tuttora mancano le premesse per stabilire su basi reali la collaborazione tra la Francia e le potenze dell'Asse. Il Ftihrer ha precisato in modo categorico che si deve opporre un netto rifiuto a trattare con la Francia le note questioni politico-economico-militari (attenuazione della linea di demarcazione, restituzione dei prigionieri, riduzione dell'indennità) sino a quando la Francia (governo e popolazione) non avrà dato sicura prova di buona volontà per collaborare. Conseguentemente l'OKW ha dato alla CTA la direttiva di lasciar cadere tutte le questioni che fornivano oggetto delle trattative a tre di Wiesbaden (rifornimenti alla Libia via Tunisi, questione del tonnellaggio mercantile, riarmi alla Francia, ecc.). D'altra parte è noto che la Francia, nel trattare sul piano pratico di una vera e propria collaborazione, ha sempre chiesto di avere affidamenti precisi sulla sua situazione territoriale di fine guerra. Ed è questo, evidentemente, un problema sul quale oggi è prematuro trattare. Anche questa seconda soluzione dev'essere pertanto abbandonata. Eventuali nuove trattative per avviarsi sulla via della collaborazione dovrebbero in ogni caso avvenire per iniziativa francese e con la dimostrazione di fatti concreti. Non resta dunque che la terza soluzione, cioè un atteggiamento di attesa, tale cioè da nulla concedere di sostanziale alla Francia o da nulla richiederle nel campo di una collaborazione politico-militare. Integra deve restare l'applicazione dell'armistizio ed inalterato l'esercizio del controllo in base alle clausole delle due Convenzioni, o secondo le norme esecutive in atto» (IO). Di assai diverso tenore fu la relazione che il gen. Vacca Maggiolini mandò al Comando Supremo; essa si limitava per quanto riguardava la politica da tenersi nei confronti della Francia ad enunciare le tesi tedesche, non dicendo assolutamente nulla circa le proprie idee né circa quelle attribuibili alla CIAF: «Il col. Bohme ha dichiarato che l'OKW è
(10) Promemoria per il presidente della CIAF, Valutazioni della' situazione generale della Francia e conseguenti deduzioni sull'aueggiamento delle Commissioni di armistizio, Parigi, 2 aprile 1942, in USSME-CIAF, Racc. 11, pp. I 3 e 14.
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in favore di un atteggiamento di attesa; tale cioè da nulla concedere di sostanziale alla Francia e da nulla richiederle nel campo di una collaborazione politico-militare. Se infatti un atteggiamento troppo rigido e intransigente, oltre a richiedere mezzi per il momento indisponibili, potrebbe, facendo precipitare la situazione, favorire il gioco del nemico; d'altro canto, dopo il fallimento dei tentativi di conciliazione, la Germania ed il suo Capo appaiono oggi del tutto alieni dal trattare sulla base di concessioni sino a quando La Francia, il suo Governo e la sua popolazione, non avranno dato sicura prova di buona volontà. Integra deve pertanto restare l'applicazione dell'armistizio ed inalterato L'esercizio del controllo sulla base delle clausole delle due convenzioni, e secondo le norme esecutive in atto. Tuttavia, poiché l'applicazione delle clausole armistiziali è suscettibile di maggiore o minor rigidezza, la CTA ritiene che nel momento attuale l'atteggiamento delle due commissioni di armistizio deve essere ispirato a criteri di fermezza e di severità piuttosto che a quello dell'indulgenza e delle concessioni» <11 >. Che cosa nascondeva tale reticenza è difficile dire; sembra comunque certo che il gen. Vacca Maggiolini non ritenesse opportuno svelare le proprie posizioni e le proprie idee a proposito della futura politica da applicarsi alla Francia da parte della CIAF. Di certo il suo risentimento verso la politica di collaborazione che la Francia faceva sembianza di vedere inevitabile e che i tedeschi parevano decisi a ritenere reale era talmente forte che persino il tranquillo amm. Duplat, ben abituato a subire gli umori vari dei suoi interlocutori italiani, se ne accorse e se ne lagnò nel colloquio dell' 11 aprile, allorquando dichiarò «di non rendersi conto del netto cambiamento che si era verificato di recente nei rapporti armistiziali tra Francia ed Italia» sottolineando che, conservando le relazioni personali tra lui ed il presidente della CIAF un carattere sempre cordiale, le relazioni ufficiali erano mutate in peggio: «in questi ultimi tempi il tono si è fatto assai aspro ... ». Ed a questo punto ben cinque furono i punti che il gen. Vacca Maggiolini evocava per giustificare il mutato tono dei rapporti reciproci: in primo luogo i patteggiamenti cogli Stati Uniti a proposito delle Antille francesi, a quanto si poteva desumere dalle indiscrezioni della stampa americana, inglese e svizzera, avevano oltrepassato di molto quelle semplici concessioni che erano giustificate dall'opportunità di non rompere con gli Stati Uniti, opportunità che pure l'Asse, di mas( 11) L'intero rapportO del gen. Vacca Maggiolini dcli' li aprile allo SM è ripon:ato quale
Documenio n. 48 del Tomo secondo della presente opera.
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sima, non disconosceva. Quale corollario di questo discorso stava la considerazione dell'alternativa nella quale si trovava la Francia, qualora questi patteggiamenti andassero a violare patti già conclusi con l'Asse, di scegliere tra una rottura con Washington o una rottura con l'Asse. In questo quadro era naturale che l'Italia, la quale dalla politica di collaborazione iniziata a Torino non aveva tratto grandi vantaggi, essendo stati i trasporti «delta» e «gamma» quasi subito troncati, prendesse una posizione piu dura e piu guardinga vedendo minacciati i propri vitali interessi bellici. Malgrado le ripetute affermazioni dell'arnm. Duplat circa un radicale mutamento francese nei confronti dell'Italia, i continui incidenti, in Africa del Nord come nella Francia di Vichy, provavano che le autorità francesi non avevano per niente mutato le loro disposizioni contrarie ali 'Italia in vista di una vera «nuova» politica. Infine alcuni atti pubblici erano apparsi nettamente antiitaliani, quali per esempio la cerimonia di inaugurazione dei SOL (Services d'Ordre Légionnaire) che si era svolta a Nizza e che metteva in dubbio la volontà conciliatrice della Francia e delle autorità di Vichy.
2.
La CIAF tra riorganizzazione e polemiche
Proprio in questo periodo, a metà cioè del 1942, si situa un periodo estremamente difficile per la CIAF, non tanto per la mutata situazione internazionale che, come abbiamo già visto, metteva in serio dubbio l'opportunità dell'esistenza stessa di un organismo creato per applicare un armistizio che ormai non poteva piu reggere come tale i rapporti tra Italia e Francia, bensi per una serie di crisi e di polemiche intestine alla stessa vita della CIAF nel quadro italiano. Innanzitutto va segnalata la tendenza di alcuni organi di potere dell'Italia e del suo governo a contestare stabilmente le motivazioni stesse della perennità dell'azione della CIAF cosi come la sua ordinanza di costituzione l'aveva designata. Pareva che affidare stabilmente ad un organo militare dipendente direttamente e solamente dal Duce con la presenza, un po' lontana, dello stesso Comando Supremo non era né opportuno né saggio. In almeno quattro settori la contestazione avanzava motivi di discussione: da una parte l'azione diplomatica, poi l'azione economica ed industriale, quindi l'azione finanziaria ed infine l'azione sociale in favore degli italiani nei territori francesi della Francia e dell'oltremare. La presenza di ingenti problemi diplomatici, che vedeva l'organo naturale a trattarli, il Ministero degli Affari esteri, escluso da ogni iniziativa e responsabilità, non poteva essere certo negata. E neppure la nomina dell'amb. Buti a Parigi quale equivoco delegato della CIAF ed allo stesso tempo del MAE senza che questa sua presenza potesse essere disgiunta sul piano gerarchico dalla presidenza della CIAF e dallo stesso ministero aveva migliorato la situazione: aveva solo portato ad un certo squilibrio senza porre nuove energie alla soluzione degli ingenti problemi diplomatici che certamente erano assai male gestiti dai militari. Per il settore economico ed industriale lo spostamento a Roma di una speciale sottodelegazione francese incaricata di trattarli con i competenti ministeri non era stata senza conseguenze negative, in quanto la competenza al riguardo
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della CIAF e delle sue componenti torinesi non era mai stata rinunciata: quindi doppio riferimento con gravi problemi di priorità e di dipendenza. Per il caso finanziario la competenza della CIAF era stata dapprima ovvia e quindi contestata da vari Dicasteri e dallo stesso Ufficio dei Cambi, i quali ben potevano armonizzare la politica verso la Francia in un quadro generale che sfuggiva alla conoscenza dei militari della CIAF. Infine l'azione a favore degli italiani di Francia e d 'oltremare era affidata alla CIAF ed ai suoi organi, ma l'esperienza e la competenza dei consolati e degli speciali uffici distaccati del ministero degli Affari Esteri non potevano fare pesare la loro assenza anche in questo settore. Concepito con un disegno semplice che equivaleva a gestire la «vittoria» nel periodo armistiziale, che veniva ritenuto di breve durata, la struttura della CIAF era stata, ali' inizio, disegnata in modo molto schematico quale è riportato dall'allegato grafico: tutto dipendeva in modo piramidale e semplice dal Duce, e concretamente dal presidente della
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CIAF al quale spettava mettere in pratica direttive unitarie per imporre alla Francia una serie di condizioni armistiziali che il testo di Villa Incisa aveva ben tracciato. Ora, dopo una serie infinita di novità e, sul piano militare, la continuazione non prevista della guerra, la struttura della CIAF si era allargata in modo abnorme con attorno alla presidenza ben nove sottocommissioni dalla cui attività dipendevano ben diciassette delegazioni con dodici sottodelegazioni o simili, da cui dipendevano ben trentaquattro sezioni da cui dipendevano ancora dieci nuclei o simili. Il grafico che viene riportato 02) ci appare impressionante quanto allo sviluppo delle attività della CIAF, e l'impegno crescente dei suoi organi non poteva certo sfuggire alle critiche anche di coloro che non gestivano i settori che parevano di naturale loro competenza. Pertanto, all'interno, le osservazioni e le critiche alla CIAF furono sempre assai vivaci e se ne trovano tracce un po' dovunque nei documenti della commissione. Il 23 febbraio 1942, quasi per rispondere a questo clima, il presidente della CIAF reagiva in uno speciale promemoria alle critiche insistendo sul fatto che «con questa organizzazione della CIAF veniva assicurata l'unità di indirizzo ed il sicuro coordinamento tra organo ed organo, con possibilità di uniformare le varie attività militari e civili ad un'unica direttiva in funzione del variare dell'atteggiamento francese ed in strettissimo collegamento con la Germania per mezzo della CTA». L'argomentazione era un po' logora, ed il successivo ricorso al decen. tramento veniva spiegato quale misura necessaria ma non contraddittoria dell'assetto unitario ed accentratore della CIAF stessa. Ogni critica era poi rintuzzata sottolineando tre fatti: «1) Sinché non sarà firmata la pace e perduri l'armistizio, tutte le questioni si possono considerare armistiziali anche se (per il solo fatto che non era prevedibile una durata dell'armistizio come quella che è in atto) non derivanti propriamente dalla Convenzione di armistizio; 2) I rapporti con la Francia sono labili ed oscillano, a seconda dei momenti, verso la distensione o verso l'irrigidimento, dominati sempre dalle circostanze militari, non soltanto dell'Italia, ma anche della Germania, cioè dell'Asse; 3) Non vi sono questioni, in regime armistiziale, puramente militari o puramente civili, ma le une e le altre interferiscono continuamente ed intimamente». L'intero problema dell'attività della CIAF rimaneva quindi bloccato attorno al regime esistente tra l'Italia e la Francia, regime che se
(12) Vedasi il grafico n. 7 nell'organizzazione della CIAF al 10 aprile 1942 riportato nel presente volume.
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fosse andato verso forme di crescente non-collaborazione attiva avrebbe persino portato all'eliminazione degli organi decentrati della Commissione stessa con il ritorno ad una applicazione severa di un regime da vincitore a vinto. Ma a questo problema della natura futura della CIAF che veniva dibattuto alle piu varie istanze se ne aggiungeva un altro che faceva carico alla CIAF stessa di essere un organismo estremamente complesso e troppo dotato di personale nei confronti del personale che la parallela CTA possedeva per compiti analoghi. Il numero complessivo e totale del personale della CIAF era infatti di circa 1900 persone, mentre il totale della Commissione tedesca non superava le 1.200. Contro le facili obiezioni legate ad una simile sproporzione uno speciale documento del geo. Vacca Maggiolini reagiva insistendo sulla differenza tra le due commissioni. Affermava infatti il presidente della CIAF in un promemoria del 13 aprile 1942: «Queste cifre sembrano, a prima vista, denunciare un'eccedenza della CIAF rispetto alla CTA, ma un esame comparativo porta invece ad una conclusione nettamente opposta. Infatti: - il territorio sotto controllo italiano è notevolmente piu ampio di quello sotto controllo tedesco, poiché tra Francia metropolitana e Corsica, Tunisia, Algeria, Gibuti, la CIAF controlla circa 900.000 kmq ( circa tre volte la superficie dell 'Italia) di fronte a 700.000 kmq di territori sotto controllo tedesco (Francia metropolitana e Marocco); - lo sviluppo delle coste sulle quali viene esercitato il nostro controllo navale e del traffico marittimo è di circa 4.200 km (tra Francia metropolitana mediterranea, Africa del nord, Costa francese dei Somali) di fronte ai 950 km (costa atlantica del Marocco, poiché le coste francesi atlantiche «occupate» sono sottoposte ad un regime di vigilanza estraneo alla CTA, come piu oltre specificato) controllati dai tedeschi; - la massa dei nostri compiti è molto superiore a quella della CTA, in quanto alla CIAF sono state assegnate le seguenti attribuzioni che per la Germania sono invece trattate da appositi enti autonomi e non esigono trattazione: a) gli affari economici italo-francesi facenti capo ad apposita Delegazione Economica e alla Presidenza della CIAF; b) la protezione, l'assistenza, il collegamento, i rimpatri degli italiani ali 'estero (nelle forti collettività di Nizza, di Marsiglia e della Tunisia), esigenze non esistenti per la Germania; c) il controllo navale e quello del traffico marittimo nell'ampio sviluppo di coste ricordato;
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d) l'Amministrazione dei Territori Occupati con tutte le pratiche - di giorno in giorno crescenti di numero e di importanza - relative alle persone, alle cose, ai beni» ( 13). Ovviamente questa «difesa d'ufficio» non può essere considerata interamente accettabile anche perché, a parte l'argomento piu evidente e cioè la disparità enorme tra le due zone occupate non poteva essere trascurato il fatto che la CTA aveva in molti campi responsabilità maggiori. Inoltre il sospetto che lo sviluppo abnorme della struttura della CIAF che è stato già ricordato fosse dovuto in parte ad inefficienza ed in parte al desiderio di servirsi della ClAF come luogo di rifugio per taluni, rimase integro anche dopo la relazione del presidente. Ma se questi furono alcuni aspetti della polemica che si manifestò contro la CIAF sul piano della sua funzionalità, non mancarono neppure di manifestarsi in vari tempi anche polemiche sugli stessi membri delle Commissioni, cioè sugli ufficiali chiamati a fare parte dei suoi vari organi. Infatti nella storia della CIAF un elemento costante dei rapporti fra membri della CIAF con le altre strutture politiche (Ministero degli Affari Esteri, PNF, Mussolini) e altri organi supremi militari (Stato Maggiore, Alti Comandi) fu una certa diffidenza degli uni e degli altri verso un corpus che certamente era eccezionale nella sua formazione come nei suoi compiti. Infatti era militare di composizione, ma i suoi compiti, passato un primo brevissimo periodo, diventarono diplomatici e genericamente politici: e la posizione del suo presidente, spesso a colloquio con lo stesso Mussolini, al di sopra, e talvolta contro le decisioni dei superiori organi militari o politici e diplomatici, non mancò di essere spesse volte delicata. I due piu tenaci oppositori furono di volta in volta e sotto sembianze poco chiare il Ministero degli Esteri ed il Partito Nazionale Fascista. Il primo non poteva certo ammettere stabilmente che le relazioni tra l'Italia e la Francia (di Vichy) passassero stabilmente per la CIAF, ed i vari negoziati, economici e giuridici, svoltisi a Roma dei quali abbiamo già fatto cenno segnarono per Palazzo Chigi un riaffermato droit de regard nelle vicende diplomatiche della CIAF. Per il PNF il discorso era piu sotterraneo e mirava sia ad accusare la Commissione di poca armonia con gli obiettivi rivendicazionisti del regime, ed in questo si servf anche del movimento di Garibaldi, sino a ritenere i suoi organi poco efficienti o meglio poco attivi nell'affermare la «vittoria» sulla Francia nemica.
(13) Promemoria circa il personale della CIAF, 13 aprile 1942, in USSME-CIAF, Racc. 48. fase. 2.
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Ma se tale situazione si può ritenere soffusa nell'arco de] periodo della sua attività, piu precisa si fece invece la polemica a proposito delle funzioni e del comportamento degli ufficiali della CIAF in patria ed all'estero. Il primo elemento di questa polemica fu costituito da una severa denuncia che iJ sottosegretario di Stato al Ministero della Guerra Guzzoni mandò, il 10 dicembre 1940, quale «riservata personale» al1' allora presidente della CIAF gen. Camillo Grossi, facendo proprie denunce giunte al Ministero da varie vie. In questo breve messaggio veruvano deprecate certe forme di riguardo che alcuni ufficiali della CIAF in Francia usavano nei confronti degli ufficiali francesi «vinti», forme ritenute non in armonia con le loro nuove responsabilità di «vincitori». Diceva la lettera: «Risulta che nostri ufficiali, compresi quelli superiori ed anche generali, della delegazione permanente di controllo per lo scacchiere alpino, dimostrano verso gli ufficiali francesi una certa remissività ed usano, in pubblico, forme di cortesia che contrastano in modo stridente sia con il grado rivestito che con Ja posizione morale del vincitore che dovrebbe essere fortemente sentita da chi rappresenta l'esercito italiano in terra straniera». Al gen. Grossi veniva richiesto di accertare la fondatezza di queste accuse e di comunque prestare «particolare attenzione sulla delicata questione». Frutto del clima politico di un'Italia esaltata dalla sconfitta francese, questo appello di Guzzoni non rimase isolato. Ancor prima che la CIAF prendesse posizioru al riguardo, una lettera anonima del 1° aprile 1941 veniva trasmessa, daJlo stesso sottosegretario Guzzoni, al gen. Grossi il 6 aprile, ed essa non seguf curiosamente la sorte delle numerose lettere anonime finite senza esito o nel cestino. La lettera in questione, firmata da «uno che crede», conteneva una grave denuncia a carico dei membri della CIAF di Torino, accusati di non osservare le normali cautele circa il loro lavoro e quindi di «tradire» la fiducia dell'Italia. Pertanto il sottosegretario era invitato ad agire e a fare agire le autorità superiori della CIAF: «Mandate una severa circolare e provvedete energicamente perché i signori ufficiali, specie i superiori, non chfaccherino su cose militari e non facciano le Cassandre .. . Tra gli ufficiali della commissione d'armistizio a Torino ci sono degli alti ufficiali che danno a gente loquace notizie sulla nostra preparazione militare . .. sulle deficienze di attrezzamento . .. e penso che detti ufficiali potrebbero essere meno "portinaie" e piu laconici, nonché avere piu fede. Necessita quindi agire principalmente su di loro e fare cessare certi patteggiamenti e certi pessimistici giudizi». Sia la prima comunicazione di Guzzoni, sia questa seconda anonima non sconvolsero eccessivamente il suo destinatario: la risposta
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concreta, la famosa circolare, tardò alquanto ad assumere forma omogenea e definitiva, e solo piu di quattro mesi e mezzo dopo il primo richiamo di Guzzoni portò ad una presa di posizione della CIAF trasmessa a tutti i suoi organi quale circolare sul «Comportamento degli ufficiali all'estero». Il 25 aprile 1941 infatti il presidente diramò un foglio d'ordine che pose le basi del «corretto comportamento» all'estero. Il primo punto del richiamo riguardava la dignità dell'ufficiale all'estero e preannunciava un severo codice di disciplina: «Il perfetto comportamento e la distinzione, attributi fondamentali dell'ufficiale, assurgono all'estero a fattori essenziali della sua funzione, la quale, qualunque essa sia, è sempre funzione di «rappresentanza» nella piu completa sua espressione. In particolare per gli ufficiali della Commissione di Armistizio, dignità di vita, decoro, signorilità, serietà di contegno, sono indispensabili requisiti, unitamente a sicura competenza professionale, per cattivarsi la stima, la deferenza, il rispetto nello speciale ambiente - delicato in sé e per il duplice contatto col nemico e con l'alleato - nel quale essi devono vivere e operare, e per imporsi, con la propria indiscussa personalità, nella trattazione delle varie questioni». E proprio per favorire un simile comportamento veniva deciso un nuovo trattamento economico che avrebbe dovuto soddisfare, con gli aumenti previsti, le attese degli ufficiali: «In vista appunto delle esigenze di quest'ambiente è stato stabilito il nuovo trattamento economico per il personale della Commissione all'estero. Esso consente di far fronte largamente a tutte le necessità di un decoroso tenore di vita ed è dovere da parte di tutti non frustrarne lo scopo, che è d'interesse nazionale». Sul piano politico generale le norme della circolare miravano soprattutto ad evitare che l'ufficiale della CIAF fosse oggetto di critiche specialmente all'estero. Ribadiva il gen. Grossi: «Esigo pertanto che siano assolutamente evitati motivi ed occasioni di commenti e giudizi sfavorevoli da parte di stranieri anche in quest'argomento. Occorre aver presente che gli occhi sono rivolti con acuta attenzione - non benevola certo da parte dei francesi - nei nostri riguardi verso ogni atto della nostra vita quotidiana. Perciò ogni atto bisogna controllare: dalla scelta dell'albergo e del -ristorante che devono essere di prim'ordine, a quella degli eventuaU locali di ritrovo. Né sono meno doverose la proprietà e l'accuratezza nel vestire sia la divisa, sia l'abito civile; accuratezza che deve essere scrupolosa anche nei particolari. In sintesi, occorre primeggiare in tutte le manifestazioni esteriori della vita quotidiana».
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E non si creda che questa cautele coinvolgessero i soli ufficiali: «Analogamente, nella dovuta scala, si pretende che il personale di truppa (sottufficiali, caporali e soldati) osservi contegno decoroso, frequentando locali di una certa proprietà, vesta correttamente, tenga condotta esemplare e sia ben educato in ogni manifestazione e, sopra tutto, si immedesimi sempre della piu salda disciplina. Regole queste di comportamento che, ben lungi dall'avere contenuto esteriore, rafforzano il nostro prestigio e agevolano la nostra stessa funzione istituzionale, che è fatta molto di competenza e fermezza, ma non meno di inappuntabilità di vita e di ascendente morale». L'appello era pure corredato da sanzioni possibili , di cui la piu grave doveva essere la fine della missione presso la CIAF dell'inquisito: «I capi delegazione, sottodelegazione e sezione svolgano diuturnamente quest'opera educativa, intervengano con intransigenza ogni qualvolta è opportuno e non esitino a proporre la sostituzione di chi non ha attitudini necessarie o viene meno al contegno da osservare». Con una simile circolare i cui concetti informatori furono ulteriormente chiariti nella circolare del 22 agosto 1941 ( «Contegno ali' estero») ed in quella del 5 febbraio 1942 ( «Astensione da banchetti e bicchierate») e che fu mandata a tutti gli organi centrali (Torino) e periferici (Francia metropolitana e d •oltremare) la questione morale che Guzzoni pareva avere preso cosf a cuore con i suoi interventi presso il gen. Grossi poteva essere considerata chiusa, almeno sul piano delle prese di posizione. Non passarono peraltro molti giorni prima che un'altra questione nascesse in merito ai membri della CIAF, questione in parte morale ed in parte politica. Il sottosegretario di Stato per la guerra, gen. A. Scuero, trasmetteva alla presidenza della CIAF alla metà di maggio 1941 una nuova lettera anonima datata 13 maggio che conteneva una decisa denuncia relativa alla mancata iscrizione al PNF degli ufficiali della CIAF («La CIAF è un organismo politico-militare e quindi i componenti dovrebbero tutti essere iscritti al PNF. Viceversa molti ufficiali in s.p.e. e di complemento non sono iscritti ... »), al nepotismo imperante ed alla inesistente partecipazione alla guerra di molti ufficiali che avrebbero trovato nella CIAF un comodo rifugio. Ancora una volta la via della lettera anonima tradiva l'esistenza di inconfessate rivalità, specialmente dalla parte degli organi del partito che in quella vicenda dei rapporti con la Francia si trovavano del tutto estromessi. La risposta del presidente della CIAF questa volta fu assai sollecita, ed al foglio del sottosegretario del 5 giugno venne trasmessa la risposta il 26 giugno. Nel frattempo il gen. Grossi era morto ma la risposta, già da lui dettata, venne trasmessa al
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ministero nella forma già concertata dal suo predecessore dal nuovo presidente della CIAF, gen. A. Vacca Maggiolini. In sostanza si enucleavano sei punti ai quali rispondere, di cui il primo era quello relativo all'iscrizione al PNF. In esso veniva chiarito che benché tutti, o quasi tutti, i 390 ufficiali della Commissione fossero iscritti, «il titolo di iscrizione al PNF non era stato mai richiesto, né considerato preferenziale per l'assegnazione alla CIAF». Non si sosteneva tale iscrizione necessaria «proprio per coloro che appartenevano alla commissione e che per lo piu avevano specifico compito di controllori, quando essa non era richiesta per ufficiali di altri comandi né per quelli dei reparti istruttori ed educatori dei giovani». Per gli altri aspetti della risposta (problema delle raccomandazioni, preparazione degli ufficiali, partecipazione a guerre, nepotismi o parentele, ufficiali all'estero) la risposta del presidente della CIAF non lasciava dubbi nel respingere ogni accusa, che ripeteva in sostanza una serie di voci di cui già la presidenza della CIAF aveva ribadito l'inconsistenza. Doveva seguire, sulla questione morale, un lungo intervaJlo durante il quale non si ebbero particolari vicende; per piu di un anno non si accusò piu la CIAF di essere al centro di scandali o di abusi. Ma la questione si doveva ripresentare nuovamente.
3.
Verso la crisi: il Convegno di Friedrichshafen
L'insieme dei rapporti con la Francia si trovava sotto molti aspetti condizionato alle varie situazioni francesi specie per quanto riguardava la struttura del governo, che a Vichy subiva gli alti e i bassi della rivalità tra l'arnrn. Darlan, al potere, e Lava! che al potere tornò, quasi con un colpo di mano, il 18 aprile 1942 grazie alla pressione delle autorità germaniche sullo stesso Pétain. Le caratteristiche della situazione politica di Vichy erano abbastanza nuove ma, come le definf Robert Aron, frutto di una «situazione drammatica» nella quale gli uomini di Vichy del governo precedente vennero del tutto eliminati. L'analisi che Vacca Maggiolini fece sul nuovo assetto governativo francese non mancava di sottolineare i rischi che tale soluzione dei poteri a Vichy poteva generare quanto al futuro della collaborazione tra i tre uomini al centro della politica francese Ct4). La soluzione raggiunta attraverso alterne vicende e superando non lievi difficoltà si imperniava sul trinomio Pétain-Laval-Darlan. In esso la «direzione effettiva della politica interna ed esterna della Francia» era espressamente affidata a Lava!. L'ammiraglio Darlan, già vice-presidente del Consiglio, non partecipava pio al governo, pur prendendo parte alle sedute del Consiglio dei Ministri. Egli era stato peraltro designato successore del Capo dello Stato (Delfino) ed assunse la carica, appositamente costituita, di comandante in capo delle forze armate. La figura di Pétain - come Capo dello Stato - assicurava continuità col passato garantendo col suo prestigio la nuova combinazione politica, che non si presentava certo priva di rischi politici evidenti specie per quanto riguardava la posizione dei due nei confronti del Reich. A parte la diversità delle funzioni, Lava! e (14) A. VACC.A MAGOIOLINI, Relazione sul nuovo governo francese al Capo di SM gen. V. Cavallero, 25 aprile 1942, in USSME-CIAF, Racc. 48, fase. 5.
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Darlan si trovavano dunque in una situazione per cosi dire parallela, quali delegati diretti del Capo dello Stato nella sfera di competenze ad ognuno affidate. Non era da escludere che tale parallelismo, tale diarchia, poteva essere causa di rinnovata rivalità e di conseguenti attriti per l'avvenire. Di questo fragile equilibrio Pétain non pareva in grado di assicurare la permanenza. Un regime a due o forse a tre teste si stava creando a Vichy. Di fatto, però, il vero arbitro della situazione era Lavai, come capo del nuovo Governo; il carattere radicale del cambiamento cosf avvenuto non può non apparire in piena luce quando si pensi alle difficoltà, che risultano con tutta certezza essere state frapposte alla soluzione Laval dalla vecchia équipe di Vichy (facente capo allo stesso ammiraglio Darlan), alle precise ed impegnative prese di posizione del Maresciallo Pétain (ad esempio nel messaggio di Capodanno) contro l'opposizione dei circoli parigini capeggiati da Lava], ed infine al carattere veramente totalitario del rinnovamento di personale effettuato. Posto di fronte a queste novità francesi, il presidente della CIAF non mancava di osservare come nella vicenda politica francese in piena evoluzione fossero esclusi riferimenti all'Italia. Nel discorso della collaborazione piu o meno accentuata daJl'uno o dall'altro protagonista di Vichy ci si riferiva infatti unicamente alla Germania e non all'Asse, e tanto meno all'Italia. Pareva persino che tale assenza di riferimento all'Italia fosse accettato dalla Germania, e ciò induceva Vacca Maggiolini ad amare considerazioni. Pareva che il «peso» della CIAF diminuisse costantemente agli occhi di Vichy; in tale circostanza l'azione della CIAF non poteva essere vista quale reazione modesta, quasi un'attesa di chissà quali eventi. L'attendismo diventava la parola d'ordine e le tre risoluzioni poste ad indicare la futura «attività» della Commissione italiana ci appaiono profondamente significative quanto al disagio per la situazione francese. Le «conclusioni» alle quali giungeva l'analisi del presidente della CIAF erano fondate su tre necessità: «- necessità di riservare per il momento il giudizio circa la stabilità del nuovo regime francese, alla quale contrastano la profonda impopolarità del suo capo e della politica da esso perseguita, le difficoltà che egli necessariamente incontrerà nell'assolvimento del compito che si prefigge, la complessiva precarietà della situazione francese, la riluttanza tedesca a impegnarsi a fondo sulla via delle concessioni ecc.; - necessità per noi di esercitare la piu acuta vigilanza sugli sviluppi della nuova politica francese, sia per la mancanza di chiarezza nelle sue prime manifestazioni relative all'Italia, sia per il pericolo che
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essa miri a stabilire l'intesa con la Germania a spese dell'Italia, sia infine perché manca finora anche da parte tedesca una presa di posizione chiarificatrice; - necessità di tenerci ancor sempre pronti a far fronte a qualsiasi evenienza, in vista della possibilità di improvvisi mutamenti della situazione dovuti a cause interne od esterne». E tutto ciò avveniva mentre da parte del maggior responsabile della politica italiana ogni decisione appariva sottoposta ad alterne pressioni '<' ed a continue incertezze. Significative al riguardo le amare considerazioni che il gen. Cavallero, a colloquio con il gen. Vacca Maggiolini il 17 maggio, faceva circa la «tenacia» delle posizioni del Duce. Da una parte egli rinnovava le indicazioni del Duce circa la politica da seguire con la Francia: «Ti rinnovo con maggior fermezza le precedenti direttive del Duce e mie: cerca di ottenere quanto puoi, ma non spingere mai le cose troppo oltre; evita anche le minacce, visto che non si potrebbe poi darvi esecuzione». Dall'altra il presidente della CIAF faceva notare in tale occasione che «tali precise e chiare direttive mal si conciliavano colla campagna antifrancese condotta dalla nostra stampa, coll'intervento di personaggi ufficiali a manifestazioni pro italianità di Nizza e della Corsica, ecc .... ». E replicava alle osservazioni di Cavallero circa la posizione morbida del Duce verso la Francia: «È verissimo, ma sta il fatto che altri poi interviene e il Duce se ne lascia indurre ad approvare atti ben poco conciliabili coll'attuale necessità di tener la Francia tranquilla. .. ». Insomma, il Duce non appariva piu nel discorso dei due come un elemento di affidamento circa le grandi scelte nei confronti della Francia. E il 19 maggio il ministro Ciano poteva deprecare, con Vacca Maggiolini, tale politica «personale del Duce, politica che non si può né controllare, né influenzare» e conclude.va il colloquio con un tono che, notava il presidente della CIAF, era «apertamente ed acidamente pessimista» (15). Un altro aspetto delle preoccupazioni del presidente della CIAF, circa i rapporti con Vichy, riguardava le osservazioni che si potevano fare a proposito della politica che il governo francese mostrava di voler seguire nei confronti degli Stati Uniti. Sin dal dicembre 1941, allo scop-
(15) Vedasi il resoconto del colloquio con il gen. Cavallero del 17 maggio, con il ministro Ciano del 19 maggio e nuovamente con il gen. Cavallero del 19 maggio, in USSME-CIAF, Racc. 52, fase. IO.
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pio del conflitto tra il Giappone e gli Stati Uniti, seguito dalle dichiarazioni di guerra dell'Italia e della Germania, il governo francese avanzava ufficialmente una dichiarazione circa la propria «neutralità» nel conflitto, dichiarazione rinnovata nella forma di risposta scritta alle ripetute pressioni americane, il 24 febbraio 1942. In essa il governo francese faceva espressa riserva circa «gli obblighi derivanti dalJe convenzioni di armistizio» con sensibile irrigidimento delle posizioni francesi nei confronti delle potenze dell 'Asse. Questo preteso comportamento di neutralità si traduceva in effetti in una riduzione al minimo degli obblighi assunti dalla Francia in base alJ'armistizio, escludendo tutto quanto sino allora ed in avvenire avrebbe potuto attestare un piu benevolo atteggiamento verso la parte vincitrice (per es. la ripresa dei trasporti di rifornimenti per la Libia, via Marsiglia-Tunisi; le assicurazioni date al governo americano nei riguardi della flotta). La preoccupazione del gen. Vacca Maggiolini era tanto piu forte in quanto scorgeva in questa politica americana di Vichy un vero e proprio pericolo per la prosecuzione del regime armistiziale. Ribadiva al Comando Supremo: «Vi è dunque ragione di ritenere che i mantenuti, anzi intensificati contatti fra il Governo di Vichy e quello di Washington si risolvano in una vera e propria acquiescenza francese alle pressioni americane, tale da sollevare il dubbio sulla legittimità di tale comportamento nel quadro armistiziale. Il dubbio è ulteriormente avvalorato da recentissimi atti del governo americano, quali il riconoscimento (2 marzo) del movimento di De Gaulle e delle autorità da esso istituite come autorità legittime nei piu importanti possedimenti francesi del Pacifico, tra cui la Nuova Caledonia, le Isole Paumotou, l'Isola Horn, le isole Marquises, e la dichiarazione congiunta che la difesa di tali isole verrà effettuata in collaborazione fra gli SU ed il Comitato Nazionale». Vi era cioè il rischio di vedere il territorio francese d'oltremare utilizzato per operazioni belliche contro l'Asse e il Giappone com'era oramai il caso di alcuni territori dell'Africa equatoriale francese che le autorità di Vichy non controllavano piu, passati com'erano i loro governatori nella dissidenza gollista. Essendo cosf chiari gli orientamenti francesi e dovendone intravvedere i pericoli, sia pure a non immediata scadenza, che potevano presentarsi nella situazione strategica generale, era il caso di considerare se, e come, la questione poteva essere eventualmente affrontata nel quadro giuridico-armistiziale, nella forma almeno di un avvertimento inteso a richiamare il governo francese ad un maggiore senso della esatta si-
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tuazione in cui esso ancora si trovava. Secondo il pensiero di Vacca Maggiolini il testo stesso della convenzione di armistizio ne offriva il mezzo. L'art. XIV infatti della convenzione italo-francese (ed il parallelo art. X della Convenzione tedesco-francese), stipulando l'obbligo per la Francia di astenersi in qualsiasi luogo da qualsiasi forma di ostilità contro la parte vincitrice, sembrava certamente offrire la possibilità per valutare e contestare validamente la liceità del comportamento francese. Ma se tale possibilità esisteva nei testi armistiziali, valeva forse la pena di evocarne il tenore con il governo di Vichy già cosi reticente a coUaborare, sia pure al minimo del possibile, con le autorità di Roma e di Torino? A questa delicata questione la risposta che dava il massimo responsabile della CIAF era interlocutoria e quindi sostanzialmente negativa. Si trattava di sopportare una situazione che già in altre occasioni non era stata favorevole all'Italia ed alle sue tesi di coinvolgimento della Francia di Vichy nei propri piani strategici e militari, pur di evitare la rottura vera e propria che avrebbe favorito il movimento di dissidenza gollista senza migliorare di molto le pr_cfspettive di vantaggio per l'Italia. Con il problema dei rapporti con gli Stati Uniti ed i suoi complessi sviluppi si riproponeva infatti la questione, già evocata e mai risolta, della posizione giuridica della Francia nelle sue ripercussioni internazionali. Fin dall'inizio deU 'applicazione delle disposizioni armistiziali da parte della CIAF la posizione giuridica internazionale della Francia di Vichy in zona non occupata si pose al centro di una complessa questione apparentemente giuridica ma in realtà pienamente politica. Per il governo di Vichy infatti le vicende successive agli armistizi, e soprattutto successive alla primissima applicazione del loro regime, avevano posto la Francia in una condizione di «neutralità» nei confronti dei belligeranti dei due gruppi in lotta. Una equidistanza neutrale che per le autorità italiane e per la CIAF non pareva accettabile, anche se tali questioni «teoriche» erano da considerarsi estranee ai rapporti armistiziali veri e propri che erano strettamente e rigidamente definiti nella Convenzione del 24 giugno 1940. La questione peraltro andava ben oltre questi riferimenti per investire, da una parte, una serie di propositi dell'Asse di trasformare il rapporto armistiziale in un rapporto diverso e nuovo che coinvolgesse la Francia nei piani di guerra come nei piani di pace dell'Asse stesso con ovvio superamento dello status armistiziale, e dall'altra tale evoluzione-superamento non poteva non essere il frutto dell'evoluzione del conflitto sia nelle sue dimensioni sia nei suoi obiettivi.
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A questo riguardo la sensibilità politica e l'esigenza pratica di avere qualche punto di riferimento indussero la presidenza della CIAF ad elaborare una serie di ipotesi che trovarono alla metà del 1942 una espressione compiuta in un lungo documento, con varie «edizioni» tutte riservate e segrete, chiamato appunto «Studio sulla posizione giuridicointernazionale della Francia nel presente periodo di armistizio» (16). La premessa di un simile studio appare dettata dalle contingenze ma I' impostazione storica che ne venne data merita una certa attenzione. Vi si chiariva: «La Commissione italiana di armistizio con la Francia, nell'affrontare e risolvere in via propositiva, per la tutela dei nostri interessi, i singoli problemi che lo sviluppo dei rapporti armistiziali quotidianamente presenta, non ha mancato di richiamare, ogni volta che è apparso necessario, l'attenzione delle superiori autorità sull'importanza delle questioni di principio che si trovano in gioco, poiché, per quanto una rigida presa di posizione possa non sembrare necessaria né opportuna nel perseguimento di quella che, ispirata dalle contingenze del momento, potrebbe chiamarsi la «politica» dell'armistizio, non è però possibile seguire una linea di condotta ferma e coerente ove non siano chiariti i punti fermi e le direttive fondamentali ai quali tale condotta deve ispirarsi. Ciò appare tanto piu necessario in relazione ad alcune questioni attualmente oggetto di contestazione colla parte francese, questioni di principio dianzi accennate. Tra queste assumono una particolare importanza le questioni relative alle acque territoriali e rispettivamente allo spazio aereo francese, in merito alle quali solo in parte soccorrono le norme della convenzione di armistizio, ed appare quindi necessario ricorrere ad un'interpretazione estensiva delle norme stesse ed alle norme piu generali del diritto internazionale di guerra». Tre erano le questioni specifiche evocate dallo studio che la parte francese citava per affermare la propria tesi sulla neutralità, e cioè la questione delle acque territoriali, quella dello spazio aereo ed infine la questione dei propri negoziati con il governo degli Stati Uniti d 'America. Sulle prime due questioni la sensibilità italiana era sempre stata piuttosto epidermica, con il ricorso al minimo dell'uso delle acque territoriali salvo accordi del tipo di Natale 1941 e con l'eccezionalità dell'uso dello spazio aereo francese (per la Tunisia) per gli aerei militari
(16) La prima stesura complessiva reca la data del 26 marzo 1942 ma le successive «edi zioni» ed aggiunte si possono situare auomo al giugno, prima e durante il Convegno di Friedrichshafen, in USSME-CIAF, Racc. 6, fase. 3/A. L'ultima stesura reca la data del 30 giugno e ripona le conclusioni delle conversazioni italo-tedesche; su di esse si parlerà piu avanti.
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italiani in emergenza atterrati in aeroporti francesi. Per lo piu si era sempre trattato di questioni singole e come tali risolvibili con accordi limitati. Per il terzo caso la questione si allargava a ben altri interessi. Ben lo riconosceva il documento della CIAF: «La questione si è ulteriormente allargata in seguito alla pretesa francese di definire il proprio atteggiamento e la propria posizione non solo nei riguardi della parte italiana, ma in generale di fronte ai belligeranti, e di valersi, per tale definizione, del richiamo alle norme generali del diritto internazionale bellico circa la posizione degli Stati estranei al conflitto, cioè neutrali. Anche da parte nostra le norme sulla neutralità sono state invocate per affermare il nostro diritto di esigere dalla Francia un comportamento che, là dove non si trova espressamente definito dalla convenzione di armistizio, corrisponda almeno ai precisi doveri delle potenze neutrali. Ed infine, le norme sulla neutralità hanno dovuto essere prese in considerazione per controbattere la tesi francese, avvalorata da precise minacce dell'avversario, circa le responsabilità çhe un'eventuale tolleranza francese di determinati atti da parte delle potenze vincitrici potrebbero coinvolgere per la Francia, con le rappresaglie che l'avversario potrebbe compiere in tal caso. È sorta cosf la questione, divenuta particolarmente acuta in queste ultime settimanei'elativa alla pretesa neutralità della Francia nella fase attuale del conflitto bellico. Anche di fronte a tale questione sembra giunto il momento di prendere posizione, tanto piu che, all'infuori del quadro armistiziale vero e proprio, il concetto di neutralità appare come uno dei punti di orientamento dell'attuale politica francese, che attira l'attenzione non solo delle parti direttamente interessate ad una sua definizione, ma anche degli osservatori neutrali ... » (17). Le conclusioni alle quali giungevano gli organi presidenziali della CIAF, in data 26 marzo, erano sostanzialmente la conferma della politica del caso per caso ed il ricorso, per meglio attuare le direttive del Duce circa la «morfinizzazione» della Francia di Vichy, ad una linea morbida e flessibile alle varie «crisi» evocate. Si trattava di un ragionamento piuttosto oscuro ma essenzialmente pragmatico, come dimostrano le ultime righe dello studio stesso. «L'apparente divergenza ed inconciliabilità delle soluzioni prospettate ha invero importanza piu che altro teorica. In un certo senso può dirsi che la possibilità stessa di interpretazione diametralmente opposta abbia un notevole valore ed una importante funzione pratica, in quanto permette, ed ha effettivamente per-
(17) Ved. Studio..., cit., p. 3.
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messo, di spostare volta a volta i termini dei singoli dibattiti e di prescegliere, per ogni occasione, quella tesi che piu si dimostri aderente alle contingenze e adatta per la tutela dei nostri interessi. In effetti, quella che è stata chiamata ed è la «politica» dell'armistizio, non può essere altro, come ogni arte politica, che un adattamento alle circostanze, sia militari che politiche nel senso piu ampio. A tali circostanze ha costantemente ispirato difatti la sua azione questa Commissione d'armistizio, ricorrendo, a seconda dei casi, all'interpretazione piu rigida ed intransigente dei nostri diritti ed alla forma impositiva, oppure alla minuta contestazione casistica, ed in talune occasioni persino alla negoziazione mediante contropartite, là dove questa ha potuto apparire come il mezzo migliore per il raggiungimento di determinati fini». Ovviamente, se questa era la conclusione del ponderoso studio, non veniva in esso neppure negata la necessità di studiare il problema generale e di darvi una risposta unitaria ed armonica con gli obiettivi che si poneva la politica dell'Italia. Ma fu a questo punto che subentrò nuovamente l'esigenza di proporre alle supreme istanze armistiziali dell'Asse la soluzione del problema. Infatti, se la CIAF aveva qualche incertezza circa la politica da applicare nei confronti di Vichy, anche la CTA sentiva un'esigenza simile. La posizione tedesca era invero notevolmente diversa da quella italiana e pareva quasi alla CTA che, se la Francia di Vichy si permetteva certe libertà nei confronti di Roma, non era lo stesso nei confronti di Berlino. L'importanza del problema e delle sue soluzioni impose alla CIAF e alla CTA un incontro chiarificatore. Ed infatti all'ordine del giorno del convegno che le due commissioni di armistizio convocarono a Friedrichshafen (lago di Costanza) figurava al primo punto la questione, ma la dicitura esatta era diversa a seconda delle proposte. Come sottolineò il 1° giugno il presidente della CIAF, mentre la proposta italiana suonava unitaria: «Atteggiamento italiano e tedesco verso la Francia» la proposta germanica era: «Esame della situazione francese e dei rispettivi atteggiamenti italiano e tedesco verso quella nazione». Non si trattava di una piccola differenza; tale discrepanza tradiva una posizione non unitaria da parte delle potenze dell'Asse. Ben lo ricordava il gen. Vacca Maggiolini insistendo per una serie di decisioni comuni che, di certo, non potevano essere prese a spese delle posizioni italiane piu note, che non erano di generosità verso una Francia che non perdeva occasione per mostrare, nello spirito e nei fatti, di essere profondamente ostile all'Italia, ed anche alla Germania, anche se nei
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confronti di questa seconda potenza vincitrice la posizione di Vìchy appariva assai meno palese di quanto non lo facesse con l'Italia <1S>. Malgrado questo piccolo contrasto iniziale, la conferenza di Friedrichshafen si svolse dal I Oal 17 giugno senza urti definitivi tra le due delegazioni alle prese con un ordine al giorno dei lavori estremamente pesante con otto grandi questioni a livello delle due presidenze e con un numero elevatissimo di questioni minori, ma neanche trascurabili, affidate alle due delegazioni (19>. Ciò che conviene notare in questi lavori, che si conclusero piu con una costatazione di divergenza che di unità, è che, fin dal primo giorno, apparvero in chiara luce le differenze tra le due Commissioni di armistizio attraverso i due discorsi inaugurali dei due presidenti. Da una parte il presidente della CTA gen. Vogl insisteva nel proporre una politica di «generose concessioni» alla Francia, e dall'altra il presidente della CIAF gen. Vacca Maggiolini sottolineava la pericolosità di una simile politica di fronte alle equivoche posizioni della Francia stessa. Per Vogl, che non minimizzava l'opposizione tradizionale della Francia all'Asse in generale, le condizioni nelle quali si trovava ad operare nei confronti di Vichy erano peraltro assai sicure potendo, sia con l'occupazione, sia con la presenza di oltre un milione e duecentomila prigionieri francesi in Germania, sia con un certo tornaconto economico, fare un certo affidamento sulla volontà francese a collaborare. Questa collaborazione appariva gravata peraltro da talune difficoltà,-~he la politica italiana di rivendicazioni territoriali aumentava ulteriormente. E Vogl aggiungeva che «in particolare le rivendicazioni italiane sulla Tunisia erano risentite in maniera estremamente dolorosa in tutto il Nord Africa e nella stessa Francia». Era cosf palesemente messa in crisi una solidarietà circa le rivendicazioni italiane nei confronti della Francia, rivendicazioni che venivano da parte germanica viste piu con occhi francesi che con simpatia verso l'alleata Italia. Tutto il resto dell'intervento di Vogl pareva dominato da una certa fiducia verso la Francia di Vichy, quasi fosse il caso di riprendere la politica di Otto Abetz e dei Protocolli di Parigi. La sua conclusione era cauta ma dava alle tesi francesi un credito innegabile. Vogl ribadiva infatti a nome della CTA, e quindi della Germania, che occorreva tener presente:
(18) Vedasi la lettera del gen. Vacca Maggiolini al capo di SM del 1° giugno 1942 riportata quale Documento n. 49 nel Tomo secondo della presente opera. (19) Se ne veda l'OdG riportato quale Documento n. 50 nel Tomo secondo della presente opera.
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«a) che non si ha interesse alla caduta di Lavai perché ne deriverebbe una crisi che metterebbe in serio pericolo la situazione francese e quindi lo status quo armistiziale: si deve perciò evitare di oberare il Governo Lavai con pressioni e richieste che potrebbero provocarne la caduta; b) che è interesse dell'Asse che la Francia provveda da sola a difendere il Nord Africa; bisogna fidare in tale volontà di difesa e contribuire a mantenerla, ma, per questo, occorre che la Francia ne attenda vantaggi nel campo militare e politico: bisogna alimentare tali speranze. Perciò, per la necessità di assicurare all'Asse ogni garanzia, è necessario concedere alla Francia il minimo indispensabile di rinforzi militari che le permettono di opporsi ad eventuali attacchi. Non è necessario per questo mutare il rapporto quantitativo delle forze; ma è possibile aumentare e rafforzare la volontà e le possibilità di difesa con concessioni di carattere qualitativo e di organizzazione». L'ideale per Vogl era di mantenere un equilibrio tra due politiche che qualificava di riserbo (Zuruckhaltung) e di sospensione (Schwebesustandes), e cioè, da una parte tenere i francesi «sotto la pressione armistiziale perché non dimentichino la superiorità dell'Asse», e dal1'altra, con una opportuna generosità, «lasciare ai francesi, e rafforzare in essi, la speranza che, con la difesa del loro territorio, essi possano assicurarsi alcune chances per il futuro. La reazione del presidente Vacca Maggiolini alle tesi esposte dal gen. Vogl fu estremamente dura, contestando egli quasi l'intero assetto del ragionamento tedesco e, tanto per cominciare, negando che la parte rivendicativa italiana su zone francesi potesse essere minimizzata dalla Germania essendo la parte piu sostanziosa della decisione italiana di entrare nel conflitto. La pervicace animosità francese contro 1'ltalia, e contro l'Italia specialmente più che contro l'Asse, era, secondo il presidente della CIAF, ali' origine dell'aggravarsi delle relazioni italo-francesi. Per le rivendicazioni l'attacco alle tesi germaniche era diretto e forte: «Voi, eccellenza - affermò il gen. Vacca Maggiolini nel suo lungo intervento a replica - avete rilevato quanto doloroso sia per la Francia il dover rinunciare alla Tunisia: non meno doloroso è stato però, a suo tempo, per l'Italia vedersi privata in un territorio che indubbiamente le competeva e che è stato dissodato ed arricchito dal lavoro faticoso di braccia italiane; non meno doloroso è per noi pensare che terre indubbiamente italiane, come il Nizzardo e la Corsica, sono tuttora in mano francese. Se è a causa di queste legittime rivendicazioni - alle quali bisogna aggiungere Gibuti - che esiste una tensione franco-ita-
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liana, è logico che non spetta a noi, ma esclusivamente alla parte francese, di agire per attenuarla» (20). Era una vera e propria dichiarazione di rottura tra le due Commissioni, visto poi che la CIAF non faceva mistero nel denunciare il flirt che, a Parigi come a Vichy, i tedeschi tentavano, anche con un certo successo, presso le autorità francesi, cadendo spesso nella trappola francese di volere contrapporre la CTA alla CIAF. Era una politica del pendolo di segno identico ma opposto a quella che aveva favorito l'Italia in contrapposizione alla Germania nell'episodio degli accordi di Natale sui trasporti «delta» e «gamma». Proprio per queste considerazioni il gen. Vacca Maggiolini metteva in guardia i troppo creduli tedeschi della CTA contro gli inganni francesi e contro gli equivoci connessi alla stessa politica di Vichy nei confronti del!' Asse. Il pensiero della CIAF espresso dal suo presidente si formulava anche contro colpevoli ignoranze da parte germanica deUe reali condizioni dei rapporti italo-francesi troppo spesso sacrificati sull'altare di una pseudo-adesione di Vichy alla politica dell'Asse, cioè di Berlino. E proprio per contrastare queste interpretazioni germaniche la presidenza della CIAF fece redigere e consegnare ai dirigenti della CTA tre «Appunti» sui quali il gen. Vacca MaggioUni insistette a varie riprese nei suoi interventi. Si trattava di «Italia e Francia» (Appunto n. 1), di «Le rivendicazioni italiane nei riguardi della Francia e loro fondamento» (Appunto n. 2) ed infine di «L'atteggiamento francese verso l'Italia durante l'armistizio» (Appunto n. 3). Sono documenti, tutti datati dell'8 giugno 1942, che esprimevano bene il punto di vista italiano riguardo al futuro dei rapporti con Vichy ma precisavano altresi le condizioni alle quali Torino riteneva indispensabile che si adeguassero sia i tedeschi della CTA a Wiesbaden sia quelli di Parigi (amb. Abetz) per riempire di §oncretezza una collaborazione che, proprio a questo riguardo, si stava profondamente differenziando tra i due membri dell'Asse. La puntualizzazione italiana circa le rivendicazioni e le valutazioni della CIAF a proposito della politica da seguire nel futuro verso la Francia appaiono ad una serena analisi oltremodo «vecchie» ed immobili. Torino, e si vedrà tra poco che Vacca Maggiolini agiva per preciso incarico del Duce, non aveva mutato di una sola virgola le classiche posizioni del Fascismo nei confronti della Francia. Dopo incerte vicende politiche, di amicizia ritrovata (Torino) o di amicizia rinnovata (accordi
(20) Esposto dell'ecc. il geo. Vacca Maggiolini in risposta all'esposto fatto dall'ecc. il geo. Vogl il giorno ll giugno 1942, Friedrichshafen, 12 giugno 1942, pp. 7 e 8, in USSME-CIAF, Racc, 40, fase. 3.
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di Roma), la CIAF era cosi tornata alla prima posizione, quella dura, nei confronti di Vichy, del cui governo era evidente, agli occhi degli osservatori italiani, l'intima duplicità. Sui problemi dei rapporti italo-francesi l'Appunto speciale riproponeva le vecchie analisi di storici degli anni della tensione (1938-1940) come l'Ettore Rota o il Castellani, riprendendo il discorso dal. .. 1848 e proseguendolo, attraverso la breccia di Porta Pia, fino alle sanzioni della Società nelle Naziohi <2 1>. Era veramente un discorso che certamente non faceva onore né alla sensibilità né al senso del momento da parte degli uomini della CIAF, che continuavano a trastullarsi con queste vecchie polemiche che lasciavano solo irritati i tedeschi, dopo i francesi, e non contribuivano certo a costruire quel Nuovo Ordine Europeo al quale pure si faceva spesso cenno senza né precisarne i contorni né escluderne la Francia che si definiva nuova (22>. Quanto alle rivendicazioni ribadite nell 'Appunto n. 2, esse venivano nuovamente presentate nelle loro ripetute argomentazioni e si riferivano alla provincia di Nizza, alla Savoia, alla Corsica, alla Tunisia ed a Gibuti. Sul terzo Appunto si potrebbe dire che esso costituiva una specie di repertorio delle resistenze che i francesi e la Francia di Vichy avevano operato nei confronti della CIAF ed investivano sia la delegazione francese di Torino, sia le autorità di governo di Vichy, sia infine l'intero popolo francese senza alcuna vera discriminazione tra le varie fazioni nella cui sottile analisi spesso si impantanavano i tedeschi. In definitiva la posizione italiana si opponeva a quella tedesca in modo radicale e portava a conclusioni che furono elaborate durante la conferenza, ma al solo uso segreto italiano, e che davano un senso estremamente critico alle relazioni tra le due commissioni di armistizio su problemi non modesti, ma fondamentali. La posizione del gen. Vacca Maggiolini si fondava su tre punti che vanno riportati nella loro integralità onde meglio capire il senso delle differenze con le tesi tedesche. Primo punto: «La presidenza della CIAF non ritiene che si possa, né si debba far alcun valido affidamento sulla lealtà francese. Secondo il punto di vista italiano, l'apparente disposizione della Francia alla collaborazione non è se non il risultato di considerazioni di opportunità dei dirigenti, e della situazione di fatto in cui la Francia si trova, che la costringe a sottostare alla volontà del vincitore. In realtà tutto porta a rite-
(21) I tre Appunti furono presentati alla fine del discorso del gen. Vacca Maggiolini onde illuminare ai tedeschi le basi scoriche del disco.rso del presidence della CIAF. (22) Per il suo interesse l'Appunto n. 1 viene riportato quale Documenco n. 51 nel Tomo secondo della presente opera.
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nere che l'atteggiamento francese permanga immutato nonostante le dichiarazioni collaborazioniste dei suoi attuali dirigenti. Questi, a parte la collaborazione economica in atto colla Germania (da imputare anche, tra l'altro, ali' appartenenza dei predetti dirigenti alle classi economicamente potenti, grande industria, alta finanza, ecc. e alla necessità di dare occupazione e pane alle classi operaie), non hanno sin'ora dato alcuna prova concreta di volersi scostare da quell '«attesismo» che costituisce la caratteristica saliente della politica francese dopo la sconfitta. Da parte italiana non si può non rilevare d'altronde che, se la volontà di coHaborazione esiste, essa sin'ora si è diretta, a parole ed a fatti, soltanto verso la Germania, e che l'Italia è stata esclusa, in maniera oltremodo significativa, da tutte le dichiarazioni del governo francese in proposito. Quanto all'atteggiamento della massa, non vi può essere alcun dubbio che esso rimane decisamente e pervicacemente ostile all'idea del nuovo ordine e della collaborazione europea: Germania e Italia sono unanimemente odiate; per gli anglo-americani unanime simpatia; una limitata categoria di francesi odia l'Inghilterra, ma ben pochi le sono cosi avversi da preferire la vittoria dell'Asse a quella degli anglo-americani». Secondo punto: «La Presidenza della CIAF, in considerazione di quanto sopra, ritiene estremamente inopportuna e pericolosa qualsiasi concessione sostanziale diretta a rafforzare l'efficienza bellica francese, specie nel Nord Africa. In conseguenza del mancato affidamento sia dei dirigenti che della popolazione francese, ritiene che l'eventuale rafforzamento francese potrebbe, a breve scadenza, ritorcersi a nostro danno. In sintesi, l'apparente lealtà della Francia è in proporzione inversa alla sua efficenza bellica; facilmente, trovandosi in una posizione migliore di quella in cui è stata posta dagli armistizi, la Francia muterà tono verso di noi. A ciò si aggiunga la mar,i,canza di affidamento riscontrata, in genere, negli elementi civili e militari del Nord Africa, che sconsiglia concessioni tendenti a rafforzare l'apparecchiatura militare di una zona che è alle spalle di quella libica dove l'Asse si trova impegnato in una lotta durissima». Terzo punto: «La Presidenza della CIAF ritiene che gli episodi, anche recenti, di resistenza francese all'aggressione anglo-sassone (Mers el-Kebir, Dakar, Siria, Madagascar, ecc.) non siano motivo sufficiente per mutare il giudizio sopra espresso. Tali episodi, sul cui valore e sulla cui portata vi è motivo d'altronde di fare le piu ampie riserve, devono riferirsi anche a considerazioni di opportunità contingente: il desiderio francese di evitare nei lirniti del possibile le legittime rappresaglie dell'Asse per una aperta acquiescenza
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alla volontà dei nostri nemici, e di «salvare la faccia» con una resistenza piu che altro simbolica, artatarrìente ampliata dalla propaganda di Vichy». Per la CTA queste tre posizioni erano in netto contrasto con quanto, dall'epoca dei Protocolli di Parigi e dell'invio dell'amb. Abetz a Parigi, Berlino stava tentando di fare con i francesi nella speranza di convincerli ad entrare in una qualche fase successiva a quella annistiziale, fase atta a portare la Francia verso una cobelligeranza di fatto con la Gennania stessa, pronta questa a sacrificare non poco delle-richieste italiane per questa evoluzione. L'intransigenza italiana ribadita nel convegno sottolineava invece, nei riguardi della Francia e dei francesi, un atteggiamento ispirato a prudente attesa ed a marcata diffidenza, volto a mantenere la Francia in uno stato di incertezza e di timore per l'avvicinarsi della «inevitabile resa dei conti». Ovviamente, a livello ufficiale, tutte le differenze furono nascoste ed il comunicato finale dell'incontro esaltava la inevitabile concordanza di vedute riscontrate tra le due commissioni. «Le presidenze delle due commissioni di annistizio, italiana e tedesca, si sono riunite a Friedrichshafen dal 1O al 17 giugno e.a. Le discussioni hanno confermato lo spirito di sincerità e di cordialità cui si ispirano le due commissioni nel perseguimento dei comuni interessi. In complesso è stato deciso di accordare alla Francia alcune concessioni di non rilevante importanza, riguardanti il rafforzamento di zone lontane dai settori attigui alle frontiere terrestri e marittime dell'Italia e interessate invece (come il Marocco e l' AOF) ad una piu efficace difesa contro eventuali attacchi anglo-americani. .. ». Il convegno di Friedrichshafen si concluse cosf con una constatazione del mancato accordo tra le due commissioni, e della durezza delle posizioni italiane si ebbe un'eco positiva allorquando il Duce ricevette il 21 giugno il presidente della CIAF. In quella occasione Mussolini si interessò marcatamente alle dichiarazioni tedesche circa le rivendicazioni italiane nei confronti della Francia ed ebbe, dopo averli ricevuti, parole di elogio per i tre Appunti realizzati dalla CIAF all'intenzione della CTA e delle autorità di Berlino. Il fatto che anche in questa conversazione il presidente abbia confermato al Duce le vecchie posizioni di quest'ultimo e che questi abbia confennato, a sua volta, l'indirizzo politico della CIAF faceva peraltro ripiombare l'intero problema dei rapporti italo-francesi in un vicolo cieco in cui l'unico riferimento era l'armistizio di Villa Incisa ed il rapporto vincitore-vinto che in alcuni periodi precedenti parevano essere
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stati «definitivamente» superati in vista di un nuovo regime nell'ambito dell'Asse (23) . Non mancavano in questo colloquio le solite deprecazioni di Mussol ini circa la pervicace tenacità francese verso la «vita comoda», che il Duce faceva specialmente risalire sia al culto della cucina sia alle abitudini alcooliche dei francesi. Curiosa l'evocazione tra le cause della decadenza della Francia dell'esistenza a Parigi di ben 38 mila bar che il Duce ricorda a Vacca Maggiolini. Su questo dato, dei 38 mila bar, le informazioni confermano la cifra la quale peraltro riguardo il numero complessivo delle licenze concesse nell'intero dipartimento della Senna e non riguardo i soli bar; è la cifra totale di tutti gli esercizi in cui vi era una vendita di alcoolici tra cui alberghi e ristoranti con la mescita di qualsiasi bevanda. Evidentemente però l'aver evocato in un contesto politico-diplomatico un tale fatto del tutto marginale alla discussione in corso, può solo confermare quanto Mussolini fosse allora tenacemente su posizioni antifrancesi (24). E che si trattasse di una svolta di irrigidimento se ne doveva accorgere ben presto l'amm. Duplat, che fu ricevuto il 26 giugno da Vacca Maggiolini e che dovette subire bordate di durezza nel discorso e nei propositi in esso espressi. Dopo aver a lungo precisato gli obiettivi italiani per l'evoluzione dello statuto degli italiani in Francia e di Tunisia con maggior rispetto per le loro attività e libertà, il gen. Vacca Maggiolini si imbattè nella questione dei prigionieri gollisti che sul fronte nordafricano erano stati fatti dalle truppe dell'Asse e che, secondo Duplat, la Germania aveva trattato bene, quali prigionieri militari. A questo punto l 'amm. Duplat intervenne per lagnarsi della stampa italiana che «aveva infierito contro i degollisti di Bir el Hacheirn che si erano battuti bene e avrebbero perciò dovuto essere rispettati . . . ». Ed il presidente della CIAF ad interrompere il colloquio bruscamente affermando: «È da un secolo che siamo ingiuriati dai francesi anche nel nostro orgoglio militare. Ricordo Adua, il duello Conte di Torino-Duca d'Orléans, ecc. Ora è ben naturale che non si sia generosi contro quei francesi che volontariamente, contro gli ordini del loro governo, vengono a combattere contro di noi! Non si può pretendere da noi che, evangelicamente, offriamo l'altra guancia a cht )ci ha schiaffeggiato!. .. ». Non era la rottura ma certamente era uno dei momenti piu
(23) Il testo del colloquio del Duce con il gen. A. Vacca Maggiolini è riportato quale Documento o. 53 nel Tomo secondo della presente opera. (24) Dichiarazione rese all'A. il 25 marzo 1985 da Gérard Autechaud, a luogo segretario generale della Confédérationfrançaise des hòteliers, restaurareurs, cafetiers et limonadiers, a Parigi.
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gravi dei sempre tesi rapporti dei francesi con la CIAF. Ben se ne rese conto l'amm. Duplat nel suo rapporto alla Direzione Armistiziale di Vichy, che si lagnò anche che nel successivo colloquio, del 30 giugno, tale clima non fosse migliorato. Anzi, in quell'occasione si potè apprendere che la solita politica della guerra dei nervi attuata dagli italiani aveva colpito una volta ancora la delegazione francese: nell 'albergo di Torino che ospitava Duplat ed i suoi (l'Albergo Torino) erano stati ospitati esponenti dell'irredentismo c6rso al centro di varie rumorose manifestazioni di italianità della Corsica. Naturalmente la doppia posizione tra la CIAF e la CTA non poteva non suscitare una serie di iniziative volte a superare tale differenza. Proprio per meglio studiare la posizione tedesca e per illustrare a costoro le posizioni italiane il segretario generale della CIAF gen. Gelich si reca a Parigi il 3 luglio e si incontra l'indomani con una serie di personalità tedesche alla presenza dell'amb. Buti, rappresentante permanente della CIAF nella ex-capitale francese. Lo spunto concreto degli incontri è la protezione degli italiani di Francia, verso i quali le autorità francesi non mancavano di fare prova di estrema durezza. Il modello scelto di intervento era la protezione che la CTA era riuscita ad ottenere dalla Francia per i propri cittadini stanziati nei territori francesi. Si trattava di evitare che le disposizioni armistiziali che valevano per arrestati e condannati all'epoca della firma degli armistizi venissero scavalcate con nuovi arresti e nuove condanne per le quali nulla era stato previsto nei due testi d'armistizio. Con varie trattative però, la parte tedesca aveva ottenuto dalle autorità francesi la conclusione di un accordo che si realizzava su tre impegni francesi e cioè: - le autorità francesi erano tenute a comunicare i motivi degli arresti avvenuti per delitti politici, entro 30 giorni della data dell'arresto, dando altresf notizia di tutti i dati relativi all'arrestato, all'accusa, ecc.; - le autorità francesi erano tenute a comunicare i motivi degli arresti avvenuti per delitti comuni entro 7 giorni dall'arresto, dando altresf le ulteriori notizie di cui sopra; - nessuna distinzione poteva essere fatta nell'applicazione di tali prestazioni tra cittadini tedeschi (Reichsdeutsche) e persone di nazionalità o sangue germanico (Volksdeutsche), come per es. gli alsaziani etaluni arruolati nella legione straniera, anche se naturalizzati francesi. Per la parte germanica il trattamento dei cittadini tedeschi veniva cosf sottratto alla normale giurisdizione esclusiva dei francesi. Il caso italiano era assai meno regolato, e la stessa diversità della situazione degli italiani sparsi nei territori francesi non rendeva facile un adeguamento del problema italiano alla soluzione germanica.
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Il principale ostacolo consisteva nel numero degli italianj: mentre i tedeschi erano poche unità, gli italiani erano centinaia di migliaia, e molti in condizioni del tutto diverse le une dalle altre. Si andava dal fascista al profugo antifascista, dal naturalizzato al semplice lavoratore senza attività politica, dal fuoriuscito già ricercato dalla polizia italiana al soldato della Legione Straniera. La questione si complicava ulteriormente per desiderio germanico di non confondere i propri casi con quelli degli italiani, desiderio che, per ragioni politiche, fu, in parte solamente, superato a Parigi dagli incontri di Gelìch. Lo Schema approssimativo di richiesta di protezione degli italiani di Francia che venne concordato dalle due parti si basava su cinque punti e cioè: 1) Per tutti i cittadini italiani arrestati : comunicazione delle generalità dell'arresto, della data, dei motivi in dettaglio e del luogo della detenzione; autorizzazione a rappresentanti italiani di visitare gli arrestati sia prima che dopo il processo; impegno di non trasferire detenuti dal territorio metropolitano francese in località d'oltremare e viceversa; per il trasferimento all'interno del territorio metropolitano francese e fra i territori del Nord Africa francese comurucazione immediata del trasferimento alle autorità italiane; obbligo in ogni caso di non assegnare agli arrestati o agli internati località malsane. 2) Per gli italiani arrestati per attività informativa in favore del!' Asse, liberazione immediata con impegno da parte italiana di esaminare favorevolmente, nei casi di maggiore gravità, l'eventuale richiesta di rimpatrio dell'interessato, che fosse presentata da parte francese. 3) Per gli italiani arrestati o condannati per reati non comuni, diversi da quelli considerati al comma 2), impegno da parte francese di esaminare favorevolmente la domanda di condono della pena, quando la condanna fosse dovuta a fatti commessi a favore dell'Italia o della Germania; da parte italiana si procederebbe al rimpatrio dei liberati se richiesto dall'interessato o dalle autorità francesi. 4) Impegno da parte francese di non eseguire alcuna condanna a morte di cittadini italiani. 5) Favorevole soluzione dei casi di italiani già condannati in Francia ancora in discussione. Ma se queste erano le basi della rivendicazione italiana e tedesca la posizione della Francia, illustrata il 6 luglio dal Segretario di Stato del governo di Vichy al Ministero degli Affari Esteri Benoit Mécchin, era assai reticente quanto a concedere questa specie di e~tra-territorialità giuridica agli italiani come ai tedeschi ma, soprattutto-: alla luce anche del loro numero, agli italiani. Tuttavia lo schema di progetto italo-ger-
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manico fu redatto alla luce dell'esigenza di insistere presso Vichy affinché i cittadini tedeschi e italiani non fossero molestati dalle autorità francesi senza che le autorità delle due commissioni ne fossero informate in via obbligatoria. Finalmente l'll luglio un nuovo schema, sempre in 5 punti, venne approvato dalla CIAF e dalla CTA. E su questo si impegnarono le due presidenze per farlo approvare dal governo di Vichy e chiudere cosi una questione che l'Italia sentiva come lesiva al proprio diritto di vincitore e che faceva passare a buona parte della colonia italiana di Francia giorni di estrema tensione. Non si deve peraltro credere che queste prese di posizione delle due potenze dell'Asse portassero la Francia a rivedere la propria posizione; fin de non recevoir o sottile gioco germanico contro l' Italia, il fatto è che le relazioni con l'Italia si avviarono stabilmente verso una aperta crisi che numerosi segni manifestarono in piena luce. I colloqui con Duplat (del 24 luglio, del 5 agosto e del!' 11 agosto) sono documenti di un certo aggravarsi di una crisi che invano si cerca di nascondere: il tono di Vacca Maggiolini è duro; quello di Duplat severo. I resoconti di Duplat alla Direzione di Vichy ne sono documenti inequivocabili. Il desiderio di «lavorare per uno stabile e duraturo miglioramento delle relazioni italo-francesi» che Duplat esprime nel colloquio dell' 11 agosto appare piu un pio desiderio che una realtà politica per la quale operare. Il fatto poi che nel colloquio del 20 agosto la parte francese decidesse di denunciare i cosiddetti «accordi di Mentone», che erano modesti documenti circa l'entrata e l'uscita dalla zona occupata dall'Italia di militari italiani e circa modalità di viaggio delle popolazioni francesi delle zone occupate, è l'indice sicuro di una crisi che investe l'intero edificio dei rapporti italo-francesi nel quadro armistiziale. Le fasi specifiche di questa crisi sono molte e fanno realmente parte di una politica di guerra a colpi di spillo che la parte francese attua con grande efficacia sia giocando la carta della sua «amicizia» particolare con le autorità germaniche, certamente piu propense delle autorità italiane ad un accordo con i francesi vista l'ampiezza della loro presenza, sia rendendo il dialogo con le autorità della CIAF irto di difficoltà e di problemi con una crescente richiesta di superamenti del testo armistiziale. Ciò può ben spiegare, almeno in parte, il motivo per cui nei suoi testi il gen. Vacca Maggiolini fosse sempre cosf amaro e pessimista allorquando si parlava della Francia di Vichy, e perché in realtà non distinguesse nella sostanza il nemico vinto-Vichy dal nemico da abbattere-De Gaulle. Un passo ufficiale in questo diffuso malessere si può riscontrare nella riunione del capo di Stato Maggiore Generale del
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1° settembre 1942 allorquando all'ordine del giorno dei lavori la questione francese appare dominare l'intera riunione. Si parla di una occupazione della Francia «libera» da parte dell'Italia con l'avanzata verso il Rodano di grandi unità militari italiane con un balzo, per il primo giorno, di ben 150 chilometri dalle posizioni alpine <2SJ. Non se ne fece nulla anche durante le discussioni dello stesso giorno, ma appare interessante che di questo argomento si parlasse quasi a ribadire le posizioni di Vacca Maggiolini e a contrastare le posizioni filofrancesi dei tedeschi che giocavano ancora tenacemente la «carta» della lealtà della Francia di Vichy. Evidentemente una simile discrepanza tra due «alleati» a proposito di una questione fondamentale per lo schieramento militare europeo dell'Asse non poteva essere lasciata a lungo sussistere senza che dall'una o dall'altra parte si tentasse di conciliare le due posizioni cosi divaricate. Proprio questo fu l'obiettivo del convegno di Venezia della CTA e della CIAF, anche se esso fu abilmente nascosto tra le pieghe di un ordine del giorno dei lavori che appare cosi denso quanto non importante salvo su due punti, i punti A e H, e cioè l'esame della situazione politico-militare della Francia dal convegno di Friedrichshafen a quello di Venezia e l'accordo nell'azione delle due commissioni sulle concessioni francesi (26). La riunione di Venezia che si svolse dal 22 al 28 settembre riveste solo questa funzione: premere sugli alleati tedeschi affinché diffidino sempre piu della «politica francese» di Otto Abetz e si rendano conto che a Vichy, piu che a Wiesbaden o a Torino, prevale un attendismo che vuol solo significare speranza di una vittoria dei nemici dell'Asse. Questa fu la linea che Vacca Maggiolini segui negli incontri veneziani non perdendo l'occasione, lui ed i suoi collaboratori, di deprecare che troppo spesso la Francia di Vichy giocasse con successo la carta germanica contro ! 'Italia e che la Germania non si rendesse pienamente conto del vero significato di questa politica attendista ed equivoca. Secondo Vacca Maggiolini nulla era cambiato nell'animo popolare della Francia in quanto ad animosità contro l'Asse, contro la Germania e soprattutto contro I'Italia: «La popolazione francese - ad eccezione di ristretti circoli animati di buona volontà e da senso realistico ed europeo - si mantiene (25) Vedasi il volume Verbali delle riunioni tenute dal Capo di SM Generale, voi. m (1 ° gennaio-31 dicembre 1942), Roma Stato Maggiore dell'Esercito, Ufficio Storico, 1985, p. 793. (26) L'ordine del giorno dei lavori del Convegno di Venezia è riportato quale Documento
n. 54 nel Tomo secondo della presente opera.
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risolutamente avversa alla causa dell'Asse. Neppure ci sembra che il contegno lodevole della popolazione di Dieppe in occasione del colpo di mano inglese del 19 agosto valga a modificare sostanzialmente tale giudizio, poiché rimane il fatto che lo sbarco causò in tutta la Francia una gioiosa eccitazione al suo primo annunzio ed una profondissima delusione per il suo risultato. Direi anzi che l'avversione alla politica di collaborazione si è ancora aggravata in questi ultimi tempi: ne sono un indice non trascurabile l'acrimonia delle proteste per la soppressione degli ultimi organi amministrativi della Camera e del Senato, il passaggio alla dissidenza di uomini politici che in un primo tempo avevano servito il governo di Pétain, e specialmente l'emozione causata dalle misure contro gli ebrei, per le quali Laval viene tacciato di supina obbedienza alla Germania, e contro le quali ha preso risolutamente posizione lo stesso clero cattolico, sin'ora assai ligio al regime. Vi è però un punto in cui l'azione del governo e i sentimenti della popolazione sembrano incontrarsi e procedere pienamente d'accordo: l'atteggiamento verso l'Italfa ... Ben mi rendo ragione degli importanti fattori che spiegano tale atteggiamento francese; ma rimane pur tuttavia grave il fatto che l 'Italia continui - ostentatamente come ho detto - ad essere ignorata a Vichy. Vi è anzi di piu: il signor Lavai fa evidentemente, con molta abilità, questa politica sottile: cercare di rendere meno inviso all 'opinione pubblica francese il programma della collaborazione con la Germania, mercé la speranza - anzi l'affidamento - che ciò valga a dirimere la minaccia delle rivendicazioni italiane. Particolare significato assume, a tale riguardo, la costituzione, con impronta governativa, della «Legione tricolore», alla quale ho dianzi accennato. Essa, nel pensiero di Lavai, dovrebbe costituire manifestazione e prova dell'appoggio, anche militare, dato dalla Francia alla guerra, e creare perciò alla Francia addirittura il diritto di sedere, al tavolo della pace, in qualità di belligerante, anzi di alleato, a fianco delle Potenze dell'Asse. Né mancano le aperte manifestazioni della persistente animosità dello stesso governo francese verso l'Italia: basti accennare alla recente inopportuna - e storicamente assurda - esaltazione del gallo Vercingetorige contro il romano Giulio Cesare! ... ». L'analisi del presidente della CIAF non poteva essere piu chiara ed impietosa nei confronti di quanto, poco dopo il discorso di Vacca Maggiolini, andrà ad affermare il presidente della CTA. Il gen. Vogl infatti, nella sua risposta, precisava ribadendoli i ben noti punti fermi della politica tedesca nei riguardi della Francia di Vichy. Egli riaffermò la fidu-
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eia germanica nel governo di Lava1, non raccolse gli accenni italiani al doppio gioco che sembrava cosf evidente a Torino e a Roma e ritenne anzi di poter constatare un miglioramento nell'atteggiamento della popolazione francese in favore sia del governo di Vichy sia della collaborazione con la Germania. Nei riguardi dei rapporti italo-francesi, sui quali aveva particolarmente insistito Vacca Maggiolini, rilevando l'aggravarsi dell'animosità francese verso l'Italia, il gen. Vogl si limitò ad esprimere «la sua piena comprensione per le preoccupazioni manifestate» da Vacca Maggiolini e nulla piu. Ma ribadiva che «solo il tempo proverà se Lava1 è l'uomo capace di seguire anche in questo campo la via di una politica ragionevole e concreta». Anche l'ipotesi ventilata del presidente della CIAF di una occupazione della costa provenzale e meridionale della Francia da parte delle truppe dell'Asse, occupazione evocata nella riunione del Comando Supremo italiano del 1° settembre, parve ai tedeschi immatura e da escludersi anche perché, da parte germanica, l'ipotesi di un «secondo fronte» in tali regioni pareva fuori dalla realtà. «Insomma - notava amaramente Vacca Maggiolini nel suo rapporto del 2 ottobre al Comando Supremo sulla riunione di Venezia - l'atteggiamento della CTA nei confronti della situazione francese non è sostanzialmente mutato da quanto era emerso a Friedrichshafen: esso è dettato ... dagli stretti legami che si sono venuti creando nel campo economico tra il Reich e la Francia ma anche dalla tendenza germanica di tener conto delle esigenze italiane soltanto in funzione piu generale» cioè, diciamo noi, a non tenerne conto affatto. Anche se le esigenze generali di cooperazione tra gli alti comandi ali' interno dell'Asse consigliavano Vacca Maggiolini ad esaltare «l'atmosfera del piu vivo cameratismo» tra le due delegazioni a Venezia, la realtà era ben diversa tra le due commissioni e quasi insanabile il divario tra le due «politiche francesi» attuate rispettivamente a Wiesbaden ed a Torino. Clamorosa conferma di questo divario e, cosa assai piu grave, della tendenza tedesca a fare malgrado tutto una politica francese a due e non a tre, sta il punto H del Convegno, che è un lungo atto di accusa della CIAF contro le manovre di dialogo solitario della CTA con Vichy e con i francesi. Le «questioni» evocate dal testo della CIAF erano molte, e tutte accusavano la commissione germanica di non aver informato né prima né dopo gli accordi con la Francia la Commissione italiana, e ciò era tanto più grave in quanto in genere erano concessioni in deroga all'armistizio. La CTA non si era neppure adoperata per sollecitare al riguardo della CIAF una qualsiasi forma di intervento. Anche se questa questione figura tra quelle minori trattate quasi a livello di «migliore»
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cooperazione tra le due commissioni, essa era il perno dell'intero convegno e sotto questo aspetto a Venezia vi fu ancora una volta la constatazione del vicolo cieco nel quale il mancato dialogo tra la CIAF e CTA aveva portato l'intera questione della politica dell'Asse nei confronti della Francia. Del fallimento della politica d'intesa e della riunione di Venezia abbiamo anche un accorato documento: il colloquio che il Duce ha il 3 ottobre con il gen. Vacca Maggiolini. Anche qui però la lettura della realtà va fatta con estrema attenzione, quasi dispiacesse, all'uno come all'altro, l'ammettere che a Venezia non si era concluso nulla e che le cose tra italiani e tedeschi a proposito della Francia non andassero proprio bene. Innanzitutto abbiamo l'inizio del discorso del Duce, con questioni che Mussolini pone al presidente della CIAF che ci paiono inutili, oziose ed anche banali del tipo: «Tutto è andato bene? Trattamento degli alberghi, funzionamento dei servizi? ... eravate dunque sempre insieme anche a tavola? ... » <27). Tale banalità precedono la sostanza del duro giudizio di Vacca Maggiolini circa «il netto distacco tra noi ed i Tedeschi nel valutare la situazione politica francese, la solidità del governo di Lavai, la sua lealtà verso l'Asse». Al Duce non venne nascosto quindi il problema e neppure che, di conseguenza, la concordia risultava difficile. Ed a questo punto la soluzione suggerita da Vacca Maggiolini ed approvata dal Duce, che prevedeva il mantenimento dello status quo, ci sembra la peggiore delle decisioni, anche se essa fu annegata dall'annuncio del prossimo viaggio nel Nord Africa dei due presidenti delle commissioni di armistizio quasi a suggello esterno di una identità che le questioni concrete negavano ogni giorno di piu. Il viaggio dei due presidenti della CIAF e della CTA, viaggio che a Venezia venne ideato quasi per dare alle due tesi, della lealtà francese e della omogeneità dell'Asse, una conferma di realtà, si svolse dal 24 ottobre all'8 novembre 1942. La sua effettuazione, a parte i soliti riti di unanimità e di fratellanza italo-germanica, ebbe l'infausta sorte di concludersi all'indomani dello sbarco alleato nei pressi di Algeri, con la conseguenza immediata del passaggio nel campo anglo-americano dell'intero Marocco e di gran parte dell'Algeria. La visita di Vogl e di Vacca Maggiolini si svolse con una serie di sopralluoghi dal Marocco all'Algeria ed alla Tunisia, con lo sfondo di un possibile coinvolgimento del Nord Africa francese, dopo le crescenti difficoltà dell'Asse in Libia, nel conflitto. A questo riguardo uno
(27) Il verbale del colloquio tra il Duce e il gen. Vacca Maggiolini del 3 ottobre è riportato quale Documento n. 55 nel Torno secondo della presente opera.
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speciale studio della CIAF del maggio 1942 non aveva però dubbi circa la tenuta di queste regioni: «È da ritenere quasi sicuro che nella eventualità di radicali cambiamenti nella situazione ... l'Africa francese del Nord, chiunque ne fosse a capo, non esiterebbe a far causa comune colle potenze nemiche dell'Asse ... » c2&>. Durante questo viaggio le occasioni di attrito con le autorità francesi non mancarono anche se esse furono tutte coperte dal protocollo e dal carattere «privato» che alla visita si era voluto dare. La tenace volontà francese di non dare a queste sgradite presenze molta eco fu tale che se ne può trovare anche la dimostrazione nello spazio che i giornali nordafricani riservarono alle visite della delegazione dell'Asse. Per esempio la visita che i due presidenti fecero a Rabat all'arnm. Darlan presente nel Marocco per una rassegna militare, il 25 ottobre, non trovò sul principale giornale marocchino «Le petit Marocain» che un trafiletto di 7 righe, mentre sulla stessa prima pagina del giornale campeggiavano i risultati della visita di Darlan e su tre colonne nella stessa pagina titoli sulla «potente offensiva britannica» in Libia e sui bombardamenti anglo-americani «di giorno e di notte» delle principali città italiane. Quindi anche da questo viaggio nulla di fatto per una armonizzazione impossibile ed il ritorno, come aveva suggerito molte volte il Duce alla CIAP, alla politica del caso per caso senza grande respiro e senza grande avvenire. Ed in questo quadro si possono situare due accordi su modeste questioni, i quali peraltro diedero un po' di respiro alla CIAF ed al suo mancato dialogo con Duplat. Si tratta dell'accordo del 9 ottobre per la riattivazione e per l'esercizio della Centrale idroelettrica di Pontano che sotto l'egida della CIAF risolveva un caso che la Delegazione economica francese di Roma aveva piu volte evocato, raggiungendo il 7 febbraio 1942 a Roma un primo accordo circa la ripresa della produzione di energia idroelettrica nella centrale di Pontano e della sua ripartizione tra Italia e Francia. Con il secondo accordo concluso a Torino il 20 ottobre si riprendevano in esame alcune questioni connesse ai rapporti bilaterali nella regione alpina ancora in sospeso dal giugno 1940. In realtà i cosiddetti «accordi di Mentone» non sono molto nuovi: sono solo il rinnovo di periodici accordi che le autorità italiane, dal 1940, concludevano ogni anno a proposito del traffico frontaliero, con un interesse particolare verso quelle regioni occupate nelle parti alte
(28) Si tralta del cosiddetto «Studio W» ossia Considerazioni politico-militari sul/'aueggiamento presumibile dell'AFN di fronte all'attuale conflitto, in USSME-CIAF, Racc. 73 del maggio 1942.
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dalle forze armate di occupazione italiane, spesso in crisi di trasporto durante il periodo invernale per i rifornimenti che dovevano passare dalla zona non occupata per poter essere effettuati. Da questa necessità pratica che si accompagnava a quelle altrettanto pratiche delle poche popolazioni alpine francesi di andare negli alpeggi tradizionali, occupati dalle truppe italiane, nacquero questi accordi che conglobarono tra le loro disposizioni anche le norme suJla piu vasta zona di Mentone occupata con problemi di rimpatrio o di viaggio dei francesi dall'una all'altra zona. Rinnovati una prima volta il 14 ottobre 1941 e confermati il 18 maggio dell'anno successivo, essi furono interamente rielaborati il 20 ottobre 1942 con una omogeneizzazione di molte norme contraddittorie o incerte e la conclusione di un vero accordo in otto punti destinato a regolare in via definitiva l'intera materia della vita frontaliera (29) . Non si deve credere tuttavia che la conclusione di questi due accordi, quello di Fontano e quello di Mentone, siano stati vere e proprie tappe di un riavvicinamento italo-francese: le conversazioni che a Torino hanno luogo dopo la firma di questi modesti accordi sono sempre bloccate su una reciproca rigidità di posizioni. Fatti nuovi sono evocati da parte italiana quali prove di una duplicità palese delle autorità francesi, e questi riguardano sia il crescente numero di depositi clandestini di armi e di munizioni che gli organi della CIAF scoprono nella regione sottoposta al loro controllo, sia l'attività sempre piu evidente di gruppi di oppositori, gollisti e comunisti che le autorità francesi non paiono combattere con la dovuta e dichiarata volontà. Gli episodi sono molti, e il loro moltiplicarsi è il segno di una crescente insofferenza al regime armistiziale che taluni sviluppi della guerra nei suoi maggiori scacchieri dimostrano inadeguato a qualsiasi situazione.
(29) Si veda il testo degli accordi nel Documento n. 57 riportato nel Tomo secondo della presente opera.
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L'occupazione italiana della Provenza. Verso una liquidazione della CIAF?
Proprio gli sviluppi generali del conflitto diedero, con lo sbarco anglo americano nel Nord Africa, una nuova svolta alle attività della CIAF in generale ed ai rapporti tra l'Italia e la Francia in particolare. Con l'annuncio delle prime operazioni di occupazione della Provenza l'intero presupposto dei rapporti italo-francesi veniva ad essere messo in discussione: la liquidazione dell'esercito dell'armistizio subito deciso dalle autorità germaniche e italiane confermo la volontà dell'Asse di non voler rispettare la vecchia politica di attesa che aveva fino ad allora fatto da sfondo alle attività armistiziali sia della CTA sia della CIAF. Anche l'ipotesi lontana di una Francia neutrale ed equidistante cadeva di fronte ai segni evidenti di una netta coalizione anti-Asse che sembrava pervadere il popolo francese tutto. Ben se ne rendeva conto il gen. A. Vacca Maggiolini, che nel suo rapporto al Comando supremo del 13 novembre non esitava ad affermare: «L'avanzata delle forze italiane e tedesche nella zona non occupata non ha provocato, sinora, alcun incidente e sembra essere stata accettata tranquillamente dalla medesima popolazione. Sarebbe, però, contrario alla realtà e potrebbe essere pericoloso fidarsi delle apparenze esteriori ed interpretare questa passiva tranquillità come un consenso e come una disposizione degli animi a collaborare con l'Asse nella difesa del suolo francese contro le eventuali aggressioni anglosassoni. Anche sul territorio metropolitano esse, qualora avvenissero con forze sufficienti per lasciare confidare nella probabilità del successo, susciterebbero soddisfazioni e troverebbero solidarietà come gli sbarchi nell'Africa settentrionale. La Francia è infatti piu gollista che mai, e nelle ultime settimane la propaganda dissidente è andata crescendo sempre piu in intensità ed audacia>>.
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Mussoli11i e Pétain
L'analisi del presidente della CIAF appare in questo documento particolarmente realistica ed in netto contrasto con quanto da parte germanica si andava sostenendo, cioè che la mancanza di opposizioni da parte francese alle occupazioni dell'intero territorio era dovuta al fatto che onnai la Francia aveva scelto la cooperazione con l'Asse. Precisava invece il rapporto di Vacca Maggiolini che «la mancanza di reazioni esterne all'entrata di truppe tedesche ed italiane nella zona libera non poteva essere intesa come un mutamento dei sentimenti e delle disposizioni della grande maggioranza dei Francesi. Essa è dovuta soltanto, oltre che alla rapidità con la quale la decisione dell'Asse è stata attuata e che ha preso i dissidenti alquanto alla sprovvista, al timore delle repressioni e delle rappresaglie cui le popolazioni si sarebbero esposte ed alla persuasione che è di gran lunga piu conveniente e prudente attendere di poter coniare sull'aiuto della presenza dei «liberatori», precisamente come è avvenuto in Nord Africa. D'altronde, con tale passività, la popolazione metropolitana ha obbedito ad una parola d'ordine di non muoversi e di non esporsi inutilmente ad una effusione di sangue impartita dalla radio inglese e gollista. Questa ha prescritto di attendere il momento che sarebbe indicato per la sollevazione ed ha rinnovato la promessa della prossima e sicura liberazione. La passività di oggi è, quindi, soltanto una adesione disciplinata alle direttive dei capi e dei fomentatori della dissidenza. La mancanza di moti incomposti e impulsivi può anzi essere piu significativa e preoccupante come prova di obbedienza a direttive esterne, di controllo e di organizzazione». La decisione delle massime autorità dell'Asse di decidere l'occupazione militare della «zona libera», soggetta fino ad allora alla sola autorità del governo di Vichy ed interessata solamente all'attività di controllo armistiziale svolta dalla CIAF e dalla CTA, sconvolse non poco gli assetti politici della Francia. Anche se l'ingresso delle truppe dell'Asse veniva annunciato con una speciale comunicazione di Hitler a nome anche dell'Italia in data 11 novembre destinata al mar. Pétain, non mancarono reazioni concrete di preoccupazioni e di amarezza anche perché alla penetrazione militare dell'Asse si accompagnò subito la «liquidazione» del cosiddetto esercito di transizione che il governo di Vichy aveva, d'intesa con le autorità armistiziali, creato nella zona libera del paese. Da parte francese la migliore relazione su questo delicato periodo è quella del geo. Parisot ai servizi di Vichy in data 13 novembre, nella quale molti episodi vengono evocati in modo interessante e specialmente la reazione francese alla lettera del presidente della CIAF
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all 'amm. Duplat circa gli intenti perseguiti dall'Italia con la decisione di occupare la Provenza e la Corsica (30). Le autorità militari italiane avevano ricevuto riguardo alla politica da seguire nell'occupazione della Francia precisi ordini del Duce: «Il carattere della nostra occupazione del territorio metropolitano e insulare francese impone di seguire le seguenti direttive: A) Correttezza nei riguardi delle autorità militari e civili francesi e contatti limitati alle pure necessità del servizio; B) Atteggiamento cordiale ma riservato nei confronti della popolazione civile; C) Tenuta delle truppe e disciplina irreprensibile. Gli ufficiali dei reparti dovranno essere sempre e dovunque di esempio; D) Anche nei confronti delle colonie italiane, riserbo. Sono sicuro che queste direttive saranno rigorosamente osservate». Al momento dell'arrivo delle truppe italiane vi fu un minimo di preavviso alle popolazioni interessate: l' 11 novembre verso mezzogiorno un aereo italiano sorvola Nizza e lascia cadere alcuni volantini recanti un proclama del gen. Vercellino, comandante della 4!! armata, stampato sia in italiano che in francese: «Cittadini della zona di Nizza, fedeli alla parola data, non siamo mai venuti meno agli accordi reciproci dell'armistizio. Con lo scopo di impedire che il suolo francese possa divenire nuovo teatro di guerra a causa dello sbarco delle forze militari anglo-americane, occupiamo temporaneamente la zona smilitarizzata. Nessuno di voi deve immaginare da parte nostra intenzioni ostili. Ciascuno di voi deve cooperare al benessere e alla tranquillità di tutti con disciplina e civismo. L'Italia, che è giusta con chi è giusto, è parimenti implacabile con i ribelli, ovunque essi si mostrino, ovunque essi si nascondano» (31). Questo appello tendeva a rassicurare e a mantenere tranquilla la popolazione di Nizza proprio il giorno del!' anniversario dell'armistizio del 1918, mettendo l'accento sul carattere temporaneo dell'occupazione e sulle intenzioni disinteressate dell'Italia. Questo non evitò che alcuni membri, i piu esagitati della colonia italiana, distribuissero nelle varie buche da lettere volantini che invitavano la popolazione ad accogliere «i loro compatrioti venuti a liberarli dai francesi. . .». Purtuttavia gli sviluppi negativi delle attività militari delle truppe dell'Asse, sia in Russia, sia nel Nord Africa, davano ancora piu mordente e speranza alla popolazione francese, la quale interpretò rapida(30) Se ne veda il testo quale Documento n. 58 nel Tomo secondo della presente opera. (3 1) «L'Eclaireur de Nice», 12 novembre 1942.
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mente la decisione germanica ed italiana come l'ultimo atto di una attesa liberazione. Il fatto poi che contemporaneamente all'occupazione l'Italia insistesse nuovamente nella vecchia richiesta di uso o di acquisto o di requisizioni di navi francesi e neutrali ferme nei porti francesi non potè non sembrare agli occhi della maggioranza dei francesi come l'ultima richiesta di una coalizione fortemente colpita nella sua iniziale baldanza dalla guerra marina che gli anglo-americani esaltavano nelle loro campagne radiofoniche, premessa ad un'inevitabile sbarco e al tanto atteso «secondo fronte». Naturalmente la Delegazione francese a Torino, ricevuta la comunicazione della decisione del Comando supremo di occupare l'intera regione sud-orientale della Francia, non mancò di protestare, anche se Vichy prese nota con soddisfazione della decisione dell'Asse «di mantenere l'occupazione della costa francese solo fino a quando perdurassero le minacce di sbarchi anglo-americani» (32). Ciò voleva evidentemente dire che nel caso italiano non si sarebbe trattato di una vera occupazione-annessione, bensi" di una misura militare, limitata e temporanea, che in nulla poteva ledere la piena sovranità della Francia su questi territori. Malgrado questo aspetto che Duplat non mancò di esaltare, egli accusò l'Italia di avere, in quella circostanza, commesso ben tre errori nella propria politica francese, e cioè di aver disarmato spesso in condizioni discutibili l'esercito dell'armistizio che pure era stato costituito con il suo costante assenso; il secondo errore «assai piu grave ed inesplicabile era quello di aver permesso aJla stampa italiana di dare all'occupazione il carattere di una conquista in relazione alle ben note rivendicazioni ... ». Il terzo errore infine si collegava all'occupazione della Savoia che, secondo Duplat, non poteva certo essere giustificata dal timore di uno sbarco anglo-americano e che invece rafforzava le apprensioni francesi circa la realizzazione pratica di un programma di rivendicazioni territoriali dell'Italia fascista nei confronti della Francia, programma ripetutamente illustrato e ribadito dalle autorità italiane. La denuncia degli «errori» italiani fatta dall'amm. Duplat nei suoi colloqui del 14 novembre con il gen. Vacca Maggiolini è evidentemente un ulteriore elemento di tensione in una crisi già grave. Nella relazione a Vichy che Duplat fece lo stesso giorno sul suo colloquio di Torino egli aggiunse peraltro una serie di osservazioni circa la crisi crescente dei
(32) La lettera di Vacca Maggiolini alla Delegazione francese di Torino del 12 novembre evocava superiori interessi strategici che non menomavano in nulla la sovranità francese né i rapponi annistiziali tra i due Stati.
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rapporti tra la CIAF e la .CTA e alcune considerazioni circa l'importanza determinante della Tunisia nelle fasi successive del conflitto, importanza che il governo cli Vichy avrebbe dovuto sfruttare adeguatamente presso i comandi dell'Asse sia per superare lo stato armistiziale sia per dare concretezza alla sempre ventilata collaborazione. La risposta a tali disposizioni non si fece attendere, ed il 17 novembre il gen. Vacca Maggiolini ha un importante colloquio con l'amm. Duplat e gli conferma la piena disponibilità italiana alla realizzazione di maggiori forme di collaborazione. E tanto per cominciare propone di attivare senza indugi una nuova corrente di traffico marittimo tra la Francia metropolitana e la Tunisia. Dichiara infatti il presidente della CIAF al suo interlocutore: «Mi sarebbe pertanto oltremodo gradito veder prendere con immediatezza disposizioni atte a far affluire in Francia i prodotti della Tunisia che maggiormente necessitano alla metropoli (corrente ascendente), e far affluire in Tunisia materiale di rifornimento e bellico necessario al potenziamento delle forze dell'Asse che operano in Tunisia stessa ed in Libia (corrente discendente) sia pur escludendo da questo traffico - se non ritenuto accettabile - il trasporto di contingenti di truppa». Rilancio del vecchio progetto (fallito) dei trasporti «gamma» e «beta» o nuova proposta? Evidentemente dopo il tradimento di Darlan, delegato personale del mar. Pétain datosi alla dissidenza ed alla collaborazione con gli anglo-americani dopo il loro sbarco in Nordafrica, la cautela pareva di rigore. Ed infatti il gen. Vacca Maggiolini mandava lo stesso giorno 17 novembre al Comando Supremo due telescritti. Il primo, in chiaro, confermava la volontà di Duplat rientrato da Vichy di «collaborare lealmente et integralmente con Asse» insistendo di non «troppo richiedergli poiché concessioni eccessive incontrerebbero ostilità opinione pubblica et se imposte finirebbero per convertirsi in danno Asse et collaborazione» (tel. 48388). 11 telescritto successivo, in cifra, chiariva meglio il pensiero del presidente della CIAF: «Dopo colloquio ho scritto ammiraglio Duplat dichiarando prendere atto volontà collaborazione Governo francese et per conseguenza insistendo averne prova concreta mediante sollecita favorevole decisione per cessione tonnellaggio per Tunisia. Ammiraglio Duplat habet subito ribattuto che sua dichiarazione voleva essere semplicemente espressione sue impressioni personali derivanti dai contatti avuti a Vichy. Questa rettifica palesa evidente intendimento francese non volere sanzionare ufficialmente desiderio collaborazione con Italia et perciò denota persistenza politica poco sincera almeno nei nostri riguardi» (te!. 48415). Era la solita politica che tornava ad affermarsi da parte della delegazione francese: gio-
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care sulle parole ed intanto fare una politica cli puro attendismo nella speranza che le cose potessero mettersi al meglio per il governo di Vichy, cioè ottenere molto senza nulla cedere. Proprio dopo questo telescritto Vacca Maggiolini rivolse il 18 novembre un altro telescritto (48432) al Comando Supremo, nel quale veniva proposta una vera svolta nei rapporti di occupazione e ciò scavalcando evidentemente le autorità militari italiane di occupazione e lo stesso suo comandante gen. Vercellino. Il testo è molto interessante, anche alla luce di quanto stava per succedere a Tolone: «In relazione malfidi propositi governo francese cui accennavo ieri con telescritto 48415 et che forse trovano conferma in contegno ostile autorità Tolone permettomi rappresentare opportunità tutto predisporre per poter eventualmente impadronirci navi guerra et commercio francesi et procedere disarmo truppe». Lucidamente il gen. Vacca Maggiolini temeva qualche svolta negativa nell'atteggiamento de facto delle autorità francesi già fortemente irritate per l'occupazione italiana della Provenza. E ciò anche se in modo contraddittorio pochi giorni prima il segretario generale della CIAF gen. Gelich aveva affermato: «Per la Marina concentrata a Tolone la lealtà è da considerare (sia pure, da parte nostra, con qualche accorta diffidenza) sincera. Il controllo, attento e discreto, deve però continuare: essere anzi molto vigile per quanto riguarda lo spirito e le reali intenzioni dei quadri e degli equipaggi ... ». La sorte della marina militare francese concentrata a Tolone pareva collegata ad una placida fase di attendismo che molti osservatori italiani confermavano. In realtà il 27 novembre l'intera flotta militare francese presente a Tolone si autoaffond6, producendo sul piano politico e militare l'effetto di una bomba. In seguito ai fatti di Tolone le relazioni italo-francesi entrarono in una fase ancora piu critica: i risultati di questo autoaffondamento erano infatti disastrosi circa le speranze italiane di coinvolgere in una qualche maniera queste forze navali nel conflitto o quanto meno, come aveva suggerito Vacca Maggiolini, di servirsene impadronendosene con la forza.
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Dopo il 27 novembre, giorno in cui avviene a Tolone l'autoffondamento della flotta, le condizioni delle navi da guerra francesi in detto porto sono le seguenti: -
Corazzata:
Strasbourg
-
incrociatori:
Foch - Galissonniére Jean De Vìenne
-
Corazzate:
Provence - Dunkerque
affondate, poggianti sul fondo del bacino di carenaggio allagato
-
Portaerei:
Cornmandant Teste
affondata, poggiata sul fondo
-
Incrociatori:
Marseillaise - Algerie Colbert - Dupleix
totalmente distrutti da incendi
-
CC.TI.:
-
Torpediniere: Sommergibili: Dragamine:
Panthere - Lyon - Tigre Trombe n.2 n.6
}
}
affondate, poggianti sul fondo
in buone condizioni
Il resto delle navi militari francesi presenti nel porto di Tolone al momento del1'autoaffondamento si dovette considerare perduto ad ogni effetto, salvo forse quello del recupero del materi~le ferroso. Per una visione complessiva e nominativa della situazione alla data del 15 dicembre converrà riportarsi alla tabella, che illustra assai bene caratteristiche e situazioni dell'intero patrimonio della Marina Militare francese che è riportata quale Tavola 1O del presente volume e per quanto riguarda la situazione del porto di Tolone quale Tavola 11. Tanto per esaurire questo argomento delle conseguenze sugli organi di controllo della CIAF provocate da questi eventi converrà fissarne zona per zona la sorte: In Algeria, per effetto dell'occupazione anglosassone, venne completamente a cessare ogni attività degli organi di controllo, il cui personale o è stato fatto prigioniero oppure, per sfuggire a tale sorte, ha do-
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vuto abbandonare le rispettive sedi ripiegando in Tunisia o raggiungendo l'Italia attraverso il Marocco spagnolo e la Spagna. In Tunisia, a seguito degli sbarchi italo-tedeschi, il personale della CIAF è stato posto a disposizione del Comando militare marittimo italiano in Tunisia, e fin dai primi momenti dell'occupazione ha esplicato intensa attività diretta a facilitare gli sbarchi e l'assestamento dei servizi e dei Comandi, nonché a fornire informazioni sull 'organizzazione difensiva esistente e sui materiali e depositi disponibili. Nella Francia metropolitana, l'azione svolta dagli organi di controllo fu inizialmente diretta a impedire ogni violazione del divieto del traffico marittimo. A partire dall'arrivo delle truppe italiane e tedesche venivano inoltre istituite nuove forme di sorveglianza del traffico, intese prevalentemente a garantire la difesa e la sorveglianza costiera. Presi gli opportuni accordi con i Comandi delle rispettive truppe di occupazione, le attribuzioni rispettive sono state definite nel modo seguente: - il Comando militare marittimo in Francia, con sede a Hyères, ha assunto automaticamente attribuzioni uguali a quelle inerenti a simili comandi in Italia. In particolare erano di pertinenza di detto Comando le determinazioni circa: a) gli arrivi e le partenze di navi anche mercantili; b) la difesa e la sicurezza del traffico in mare. - A Seztraciaf Nizza, erano devolute, oltre alle residue attività armistiziali (controllo del traffico marittimo autorizzato), anche funzioni di Comando Marina e funzioni proprie delle Capitanerie di porto. Notevole l'istituzione, nella giurisdizione della Sezione, di «posti di controllo» a Monaco e a Cannes per la sorveglianza sui panfili - tanto francesi che non francesi - affidati ad Ufficiali coadiuvati da personale della R. Guardia di Finanza. Tali «posti di controllo» operavano in collaborazione con i rispettivi comandi delle truppe di occupazione. - Seztraciaf Tolone - dopo l'occupazione della zona della Piazzaforte (27 novembre), data la presenza a Hyères del Comando militare marittimo italiano in Francia e la scarsa importanza del porto mercantile di Tolone, l'attività della Sezione non è stata molto notevole. A Saint Tropez venne istituito un «posto di controllo» per la sorveglianza dei panfili. - Marsiglia - con l'istituzione in questa sede di un Comando Tedesco del Porto di un Ufficio Tedesco dei trasporti per Mare, retti rispettivamente da un Capitano di vascello e da un Contrammiraglio della Marina germanica, l'azione di Detraciaf Marsiglia è venuta ad affiancarsi a quella di tali organi.
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Da parte germanica (Comando del Porto) si è provveduto alla organizzazione della difesa costiera e della difesa antiaerea, con particolare riguardo all'ambito portuale. Nella giurisdizione di Marsiglia non vennero istituiti speciali «posti di controllo» per la sorveglianza dei panfili; venne però disposta, in accordo con le autorità germaniche, una sorveglianza speciale intesa ad impedire sbarchi e imbarchi clandestini di persone, merci e valute. Detraciaf Marsiglia continuava il controllo armistiziale vero e proprio, nella misura e nelle forme consentite dalla situazione, a mezzo della sorveglianza in porto, delle visite a bordo, e della regolazione della navigazione. - Sète e Port Vendres - i due Nuclei di Collegamento esistenti in tale località continuarono a funzionare, sebbene in misura molto ridotta per la fortissima contrazione verificatasi nel movimento dei piroscafi, che, in particolare per Port Vendres, diminui fino quasi ad essere nullo. Un altro aspetto dell'attività svolta dagli organi della CIAF proprio in questo periodo sul piano marittimo fu costituito dalla crescente acquisione di navi nemiche e francesi ferme nei porti francesi del Mediterraneo. In seguito ad un accordo franco-germanico detto accordo Kauffmann-Laval concluso nello stesso mese di novembre, con il quale si era stabilito che la Francia avrebbe messo a disposizione dell'Asse, oltre al naviglio nemico esistente nei suoi porti, anche quello francese, e dopo le successive intese italo-germaniche, cominciarono ad affluire nei porti del Regno le navi designate e a mano a mano ne avveniva la ripartizione, a cura di un apposito Comitato, fra l'Italia e la Germania. Non tutte le navi però erano in condizioni di prendere subito il mare e perciò si dovette provvedere nei cantieri francesi alle riparazioni necessarie. A volte si riteneva opportuno far eseguire ivi anche lavori eccedenti quelli di urgenza, per non gravare sui cantieri italiani già troppo oberati. L'armamento delle navi dirette in Italia è avvenuto in un primo tempo utilizzando gli equipaggi francesi, che venivano poi rimpatriati via terra da] porto nazionale di destinazione. Si dovette però in seguito rinunziare a tale sistema perché esso aveva dato luogo al verificarsi di gravi inconvenienti. Si procedeva allora utilizzando equipaggi italiani o germanici, anche se l'afflusso in Francia di questo personale ha poi determinato il sorgere di altri problemi quale essenzialmente quello della assistenza e del vettovagliamento.
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Mussolini e Pétain
La CIAF con vari provvedimenti, adottati alcuni nella sfera di sua competenza (messa a disposizione di mezzi e di carburanti), altri promossi intervenendo presso Enti ed Autorità competenti (intesa con le Autorità militari di occupazione), ha agevolato il disimpegno del servi- , zio, diretto dalla Delegazione Ricupero Navi e Merci di Marsiglia. Analogamente si è dovuto provvedere per le riparazioni navali nei cantieri francesi. Qui le difficoltà incontrate sono state di vario ordine. Occorreva ottenere che da parte tedesca fosse dato ordine ai cantieri di eseguire i lavori, ma questi erano subordinati anzitutto alla disponibilità dei materiali necessari e della mano d'opera, ridotta per effetto della reléve. Pertanto si è dovuto provvedere all'invio dall'Italia di materiale ed attrezzi, utilizzando sul posto quello che era possibile ottenere mediante accordi sul piano locale con i competenti servizi tedeschi. Anche in questo settore la Delegazione ricupero Navi e Merci di Marsiglia ha dovuto mantenere i contatti con le Società armatrici italiane, cui sono state date in gestione le navi acquistate e curare l'aggiornamento della situazione finanziaria delle singole unità. Il totale delle navi già cedute e di quelle in via di approntamento risulta dallo specchio seguente, che ne fa il punto alla data del febbraio 1943; 1) Navi ex francesi assegnate all'Italia:
Si tratta di 78 navi per 283.899 TSL rappresentanti un valore alla consegna di L. 669.842.109 ed un valore di L. 705.028.149. Fra queste navi è compreso il «Tam», unità petroliera della marina da guerra francese, catturata in Tunisia, non contemplata negli accordi Kauffmann-Laval. 2) Navi ex inglesi assegnate ali' Italia: Sono due navi che rappresentano una stazza lorda di 9.596 tonn., per un valore di consegna di lire 11.414.373 ed un valore attuale di lire 12.923.373. Neppure queste erano contemplate nell'accordo Kauffmann-Laval. 3) Navi ex greche assegnate ali' Italia: Si tratta di 10 navi per una stazza lorda di 30.824 tonn., con un valore attuale di L. 43.620.507.
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4) Navi ex francesi assegnate alla Germania: Si tratta di 58 navi per una stazza lorda di 194.941 tonn., con un valore alla consegna di L. 570.631.566 ed un valore attuale di L. 585.315.073. 5) Navi ex danesi e norvegesi assegnate alla Germania: Si tratta di 23 navi per una stazza lorda di 80.287 tonn., con un valore alla consegna di L. 241.236.902 ed un valore attuale di L. 247.742.202. 6) Navi che secondo l'accordo Kauffmann-Laval dovrebbero venir assegnate ali' Asse, che non sono state ripartite e che si trovano in Francia: Sono 22 navi per una stazza lorda di 161.042 tonn. Si tratta nella maggioranza dei casi di grandi unità da passeggeri senza impiego in Italia e che pertanto non venivano rivendicate dall'Italia, che le lasciò nei porti francesi.
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Mussolini e Pétain LE NAVI CEDUTE DALL'ITALIA ALLA FRANCIA
N.
or-
Nome originale
'lomt Italiano
Età
ALGER.IE ARIZONA ASIE ASTREE AUVERGNE AZROU BONIFACIO BOUGARONI BOUROES BRESTOIS CALEOONIEN CAPITAINE LUIGI CARIMARE c.M.A.BLANC COETIEGON CONIE' CONGO DAUPHINE DUEBEL NADOR EOEA ELDUEZAIR ELKANTARA ELMANSQUR ESPIOlTE:TTE FOlrr DE FRAISCE FORT DE S0l1VILLE FRANCAISD GENERAL GASSOUIN OONNEVILLE G.G.CAMBON G.G.CAN'ZY G.O.GREVY OUYANE HEBE ILEROUSSE !PANE.MA KABfLE KAKQUIUNA LACYDON LAMARSA LA VOLONTAJRE HERNIA UNOIS M.T. LE BORNIE MAROC MAURICE DEIMAS MAYENNE MECAN!EIEN MOUTE MIN MONTESQUIEU MONT SAINT CLAIRE OSSURA OUEDSEBOUII OUERGHA PASCAL PAOLI PLlTVIOSE l'ON'l'ENT CANET PRESIDENT DALBAZ RABELAIS REMOIS SAHEL SAINT AMBROSIE SAINT BRIEUC SAMPIERO CORSO SEBAA SIDI \1ABROUK SIDIOKBA SOCOMBEL SPHJNI TAMARA
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14 14 30
8
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3.386 S.457 8.561 2.147 2. ll4 2.998 3.566 3.500 2.910 3.90! 7.960 3.176 4.459 3.070 595
7.202 5.002 9.500 3.168 3.747 5.190 S.079 5.818 1.109 4.270 S.229 584
5.911 2.285 3.509 4.384 4.565 1.794 1.684 1,471 4.282 1.881 3.723 707 1.439 224 1.068 7.473 1.592 2.456 1.161 2.943 1.570 7.997 3.325 1.227 423 2.446 1.956 3.378 9.561 1.176 4.866 4,999
3.713 2.550 3.07S 461 3.823 1.525 3.883 2.824 1.646 11.475 3.747
Va~
Valore
attuale oon.sepa 3.647.228 9.698.223 13.274.702 3.274.63S 3.182.039 9.619.368 4.324.m 4.189.264 4.2.55.988 3.874.557 30.833.410 4.769.470 4.997.823 4.574.798 1.215.000 S.808.198 5.336.210 23.505.939 15.290.111 14.828030 34.742.233 26.930.840 33.050.795 2.104.916 17.886.468 5,859.370 2.658.753 11.613.641 2.523.306 10.621.410 14,670.958 12.348.868 10.070.121 2.768.909 2.048.90S 6.728.861 2.670.483 11.673.694 1.390.000 2.426.546 515.000 l.390.12S 6.487. IS9 2.644.862 2.943.8S7 3.692.244 4.80S.845 2.270.831 10.014.489 4.574.07 1 1.894.768 820.00 4.390.296 3.076.795 1&513.870 26.691270 1.523.628 22.681.200 5.792.129 8.981.282 11.702.296 4,129.236 909.625 24.518.320 2.154.804 4.426.872 7.480.711 5.846614 16.254.2S6 13.854.288
4.147.228 IO.S44.223 14.130.802 3.584.635 3.502.039 9.999.368 4.944.m 4.701.764 4,744.088 4.)n.557 31,733.410 5.259.470 5.6:16.823 5.044.798 1,300.000 6.75S.198 6.101.210 24.253.739 IS.740.lll IS.328.030 35.321.233 27.448.740 33.632.594 2.264.916 18.486.468 6.699.370 2.733.153 11,963.291 2.823.306 10.972.310 IS.109.358 12.805.368 10.370.321 J.003.909 2.271.405 7,243.561 2.960.483 12.173.694 1.500.000 2.661.546 SS0.000 I.S20.72S 7,417.159 2.901.862 3.293.857 4. 142.244 5.255.845 2.517.431 11.177.189 S.074.071 2.088.768 850.00 4.722.896 3.403.79S 18851.670 27.406.270 1.679.628 23.167.800 6.492.129 9,521.282 12.072.296 4.~99736 979,625 24 900.620 2.388.804 4.815.172 7.824.711 5.961.614 17.391.756 14.404.288
423
li tempo della crisi
71 72
73 74 75 76 77 78
TAMISE TANR
CALTANISE1TA
THESES
PINEROLO
TI..a10EM TOURQUENOIS VENDEMIAIRE VILLERS YALOU
PARTINlCO FERRARA ASSISI PARMA ROVERETO
27 5 2J 32 15 21 30
P.fo da cari00 a carbone Petrolien a c. liquida P.fo da carico a c:arbone P.fo da carico a c:arbone P.fo da carico a ca,t>one Pettoliera a c. liquida P.fo da carico a carl)one P.fo da carico a clllbone TOTAU
265 3.000 2.088 4425
2.993 9.228 2.548 8.563 283.899
518.652 561.652 16.840.000 17.C)9().000 3.281.479 3.611.479 4.376.675 4.976.675 4.700.000 4.210.000 18.158.837 18.798.837 3.990.781 4.400.781 8.195.900 9.240.200 669.841.109 705.028.149
NAVI EX INGLESI CEDUTE ALL'ITALlA 1 2
ARDEOLA HERMES
ADERNO ALCAMO
32 28
P.fo misto a carbone P.fo da carico a catbcne TOTALI
2.609 6.987
9.596
3.678.610 7.735.763 ll.414.J7J
4.078.610 8.844.763 12.92J.J7J
NAVI EX GRECHE ASSEGNATE ALL'ITALIA 1 2
3 4
5 6 7
8 9
10
ALIKI ADELFO! CHANDRIS ElJSE MAID OF SAMOS MAIRI DEFTEROU MELETIOS V, MOUNT ETI IONE MOUNT PRJONAS POLEMIS TASIS
BOLOGNA CATANIA
27 24 25 43 41 32
FIRENZE PAVIA GENOVA ASTI VENEZIA ANCONA TRIESTE BARI
29 34 35 30
P.fo da carico • carbone P.fo da canco a carbone P.fo da carico a catbooc P.fo da canco a catbonc P.fo da canco a cai1>one P.fo da carico a caro. o. frig. P.fo da carico a carbone P.fo da carico a carbone P.fo da carico a carbone P.fo da carico a cai1>one TOTAU
5.170 6. 179 1.986 I.ISO 1.383 600 4.207 3.986 1.457 4,706 lO.&l4
6.380.352 8.447.296 3.406.682 2.045.700 2.0U.713 1.091.581 5.922.893 5.439.250 2.351.437 6.493.603 43.620.507
NAVI EX FRANCESI CEDUTE ALL'ASSE ANCORA IN FRANCIA N.
Nomt
5.L.
Tipo
Osser<aziooi
ordine N<n'f in disarmo Mllo stagno d, Brrrv
I 2 3 4 5 6 7
CHENONCEAUX DJENNE EXPLORATEUR GRANDlOIER JEAN LABORDE MARIETT'E BASCHA MASSILIA PROVIDENCE
Nave passeggeri Nave passeggeri Nave pa.,seggeri Na\lC passeggeri Nave passqgeri
N»e pa.,seggeri Nave passeggeri
13,683 8.790 10.268 11.414 12.239 15.363 11.996
Na,·i usate dollt Font Armaie ttdtscht JHr vari .tcopl
8 9
IO Il
12 13 14
ANDREE LEBON GOUVERNEURGENl:RAL TIRMAN ISLE DE BEAUTE IMERETHIEOO MARECHAL LYAUTEY VILLE D'ALGERlE BELLE ISLE
Na\lc passeggeri Nave pa.,seggeri Nave passeggeri Na,e passeggeri Nave passeggeri Nave passeggeri Nave da carico
13.686 3.500 2.600 3.713 8,256 9.764 9.591
Pcttolìera Nave da carico
4.8S4 3.075
Nau cM si ll'U.,OM> ,n npart;1;WM
15 16
CAPITAIN DAMIANI SAJNTE CIRILLE
Navi pronr, IN" ruf non ~·,nM OMora d,c,sa la nporti:ion, fra Italia, G,rmoma 17 18 19 20
SAUMUR SAINT NAZAIRE 1IBERJAD€ SENNEVILLE
Nave da c:ariCO Na.e da carico Nave da carico Nave d11 carico
2.955 2.910 2,696
4,578
Nm·, rima11, ,,. T,uusia 21 22
GOUVER.'1/EUR GEl';ERAL LEPINE SAINT BERNADETl'E
Nave passeggeri Na"c di ca.noo TOTALE
3.509
1.596 161.042
Nave albàgo a Tolone Viene allesliu quale Di•p. LufwafTe (na,e osp.)
A disposiz.ione Nave albergo a M11n,iglia idem A Tolone
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Sul piano politico generale questi sviluppi concreti delle relazioni armistiziali diedero il pessimo risultato agli occhi delle autorità e dell'opinione pubblica francese di indurli a ritenere che si trattasse di vere e proprie rapine organizzate sotto l'apparenza del consenso o dell'acquisto. E che questo fosse in realtà lo spirito con il quale queste requisizioni o questi «acquisti» o questi «sequestri» si facevano, almeno da parte italiana ne avremo una conferma clamorosa nella parte finale del colloquio del Duce con il gen. Vacca Maggiolini del 12 febbraio 1943 di cui parleremo, ma che vale la pena di ricordare anche per questo nostro periodo. La chiusa del lungo discorso del Duce è chiara: «Allora ricordate la mia direttiva: ricuperate quanto piu potete e mandate tutto in Italia». E fin dal novembre precedente si può dire che questo fosse lo spirito informatore dell'intera «politica armistiziale» mandata avanti da Vacca Maggiolini e dai suoi tramite la CIAF. Naturalmente questo stato di cose, avvertito magari confusamente, ma avvertito dalla maggioranza della popolazione occupata, non poteva non avere ripercussioni concrete, che si manifestavano in una crescente opposizione alJa politica di collaborazione con l'Asse, con le sue truppe e con i suoi agenti, opposizione che portava all'organizzazione di una resistenza, anche armata, presto alle soglie della lotta dei vari maquis. Dal punto di vista dei documenti della CIAF, tale situazione va emergendo dalla metà dell'anno 1942, con un crescendo notevole di incidenti piccoli e grandi e con la scoperta, sempre piu importante, di depositi clandestini di armi e munizioni che provenivano sia da depositi ignoti alJe autorità italiane, sia dai depositi a suo tempo costituiti dal1'Esercito transitorio di armistizio. L'allarme degli uomini della CIAF è costante: il clima di insofferenza stava crescendo paurosamente. Il presidente della Commissione lo segnalava a varie riprese: «Numerosi e svariati indizi, segnalati anche da delegati all'assistenza e al rimpatrio e da altri organi di questa Commissione dislocati in zone non occupate dalla IV Armata, mostrano che, sotto l'apparente indifferenza con la quale vennero accolti gli ultimi avvenimenti, esistono uno stato d'animo, una attività e, forse, una organizzazione che richiedono la piu attenta vigilanza». Non esistevano ormai piu dubbi circa l'atteggiamento dell'opinione pubblica francese, che sembrava risollevarsi dall'apatia nella quale gli eventi del giugno '40 l'avevano gettata e indicava come giunta l'ora dell'azione: «Continuano ad esplodere in varie città petardi, sia pure con conseguenze limitate: la propaganda dissidente è sempre attivissima per intensità e per violenza. L'atteggiamento dell'opinione pubblica è sempre piu ostile all'Asse e allo stesso Governo che ormai è dalla maggioranza conside-
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rato come inesistente... Nel complesso, insomma, la situazione in Francia lascia adito a pensare che si preordini la possibilità anche di atti concreti per quando la situazione li consentisse ... » (33). Sono osservazioni dell '8 dicembre 1942, ma sono solo le prime di una lunga serie di allarmate considerazioni che il gen. Vacca Maggiolini mandava a dire al Capo di Stato Maggiore Generale affinché della gravità si rendessero conto anche le supreme autorità militari e politiche italiane e con questi argomenti operassero affinché anche da parte gennanica ci si rendesse conto che le pessimistiche previsioni fatte dalla CIAF nei vari incontri con la CTA erano state puntualmente confermate dall 'andamento generale della situazione francese. Dopo questa prima fase segue rapidissima una seconda fase, in cui la CIAF si rendeva conto, e lo rendeva noto alle supreme autorità militari, che depositi clandestini e propaganda anti-Asse non erano il frutto di attività di sparuti gruppi clandestini, bensf coinvolgevano direttamente ex-appartenenti all'Esercito di transizione ed autorità di Vichy. Le considerazioni di Vacca Maggiolini del 21 dicembre erano quasi catastrofiche poiché compromettevano, nella ricerca delle responsabilità, l'intero apparato governativo di Vichy. Precisava il rapporto al Capo di SM Generale: «Le recenti scoperte, nei dintorni di Gap, di numerosi depositi clandestini di armi, munizioni e materiali bellici vari hanno messo in luce gravi responsabilità del Governo francese, poiché tali depositi sono stati indubbiamente costituiti ed, ancor piu certamente, mantenuti, pur dopo la firma della Convenzione stessa, colla connivenza del Governo e molto probabilmente per ordine suo od almeno delle Autorità militari, delle cui azioni il Governo deve, comunque, rispondere; Tali responsabilità emergono dalle seguenti accertate circostanze: - i depositi comprendono unicamente materiali in dotazione all'esercì to francese; - furono costituiti - come è provato anche da un documento ora sequestrato- per ordine del Comando del XIV Corpo d'armata; - vi furono assegnati, come regolari consegnatari, ufficiali del1'esercito e, in qualche caso (capitano Dignac) quegli stessi ufficiali che avevano in carico i materiali posti sotto controllo italiano; - il prefetto regionale di Lione ha, in questi giorni, dichiarato di aver potuto avere, indubbiamente dall'Autorità militare, l'elenco completo dei depositi clandestini esistenti nei dipartimenti alle sue dipendenze e che sono, evidentemente, in piu di quelli scoperti presso Gap; (33) Relazione del gcn. A.Vacca Maggiolini al Capo di SM generale, 8 dicembre 1942, in USSME-CIAF, Racc. 11 2, doc. 49587.
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- il Governo francese e, per esso, la Polizia e l'Autorità giudiziaria, si opposero sempre a che i cittadini italiani residenti in Francia ed al corrente della esistenza di tali depositi ne potessero riferire agli enti italiani di controllo: tale opposizione si manifestò sia ostacolando con ogni mezzo i contatti tra i nostri connazionali e gli enti anzidetti, sia arrestando, processando e condannando a gravi pene, ivi compresa quella di morte, gli Italiani che fossero riusciti a mettersi in relazione con gli organi nostri armistiziali; - le Autorità francesi cercarono, in ogni modo, nei giorni scorsi, di impedire che venissero da noi interrogati i consegnatari dei depositi, i proprietari dei fabbricati sede dei depositi stessi, ecc., giungendo fino ad arrestarli, pur di sottrarli agli interrogatori italiani; - tali persone arrestate vennero poi, invece, subito messe in libertà non appena si suppose superato il pericolo, benché dovessero essere processate come colpevoli di violazione alla legge 15 ottobre 1941 la quale sancisce la pena di morte ai detentori di armi, munizioni, ecc.... » <34>. La reazione del presidente della CIAF a proposito di questa situazione è politica ed amministrativa; da una parte si deve, secondo Vacca Maggiolini ritenere che era ormai il caso di ritornare al puro e duro regime armistiziale senza tentennamenti verso ipotetiche collaborazioni di Vichy con l'Asse; dall'altra si trattava di fare pesare finanziariamente sulla parte francese penali adeguate al comportamento delle autorità francesi per punirla dell'applicazione mancata di una parte non trascurabile del testo armistiziale; una somma di molti miliardi di lire da corrispondersi per 62% in franchi francesi liberamente spendibili e per 38% in oro; il riconoscimento francese di ulteriori versamenti nel caso in cui si verificassero altri depositi clandestini di armi ed infine il pagamento di una somma di 50 milioni di lire da corrispondersi in franchi francesi liberamente spendibili per indennizzo di tutti gli italiani di Francia ingiustamente condannati, processati o vessati per la loro attività a favore dell'Asse. Non si creda peraltro che l'intera attività della CIAF in questo inizio di occupazione italiana possa riassumersi in queste proteste ed in questo difficile dialogo con le autorità francesi. Una questione di gran lunga maggiore come importanza venne posta rapidamente sul terreno dal fatto che, con la decisione dell' 11 novembre di occupare la Proven-
(34) Relazione del presidente della CIAF al Capo di SM Generale, 21 dicembre 1942, in USSME-CIAF, racc. 120, doc. 50 I 90.
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za, il comando della IV Armata si trovò a dover operare con un organismo, la CIAF, che proprio su questo territorio vantava una struttura ed una attività che entrava spesso in diretta concorrenza con le disposizioni prese dal gen. Mario Vercellino nella sua veste di comandante delle forze armate italiane di occupazione. Dire concorrenza significa dire attrito e conflitto; ed entrambi non mancarono di manifestarsi in molte occasioni che oculatamente le autorità francesi sfruttavano a loro vantaggio. Significativa al riguardo l'osservazione-domanda fatta dall'amm. Duplat nel colloquio dell'8 dicembre con il gen. Vacca Maggiolini: «Desidero sapere se vi siano notizie circa lo scioglimento della CIAF od una sua radicale trasformazione. Ciò mi importa molto perché, colla nuova situazione, gran parte del mio personale è inoperoso e tanto varrebbe allora farlo rientrare in Francia. Si avrebbe anche il vantaggio, riducendo il personale, di poter abbandonare l'Albergo Torino ove, data la sua vicinanza alla stazione, non è piu possibile restare con questi continui bombardamenti. D'altra parte mi risulta che già la DF a Wiesbaden ha avuto notizia ufficiale dalla CTA di un suo probabile prossimo scioglimento. Non faremo altrettanto anche a Torino?». Non era certamente una domanda ingenua, e ben se ne avvide il presidente della CIAF che vi rispose in tono aspro con dure parole che ricordavano lo status particolarmente infelice della Francia di cui non ci si poteva piu fidare ora piu che mai: «Nessuna decisione definitiva è ancora stata presa al riguardo a Roma, almeno per quanto io sappia. Fino a pochi giorni fa si pensava che lo stato giuridico armistiziale fosse l'unico che rispondesse alla situazione attuale tra Francia ed Italia (non vi è guerra; non vi è pace; il Governo francese è in funzione; si parla ancora di collaborazione) pur riconoscendo che la Convenzione d'armistizio mal si regge ormai in piedi, visto che la Francia ha, da parte sua, perso, senza quasi opporre resistenza, quasi tutto il suo Impero ed ha visto passare al nemico molte delle sue forze armate dell'Africa e visto che, per necessaria reazione, l'Asse ha dovuto, da parte sua, procedere alla occupazione militare di importanti regioni della Francia. Bisogna poi tener conto che, finché non sia ultimato il disarmo e lo scioglimento dell'esercito francese, i nostri organi di controllo in Francia hanno all'incirca lo stesso ingente lavoro che hanno avuto nel 1940 all'epoca della smobilitazione e riduzione delle forze armate francesi. Quanto alle Sottocommissioni civili e all'Amministrazione dei territori occupati esse non hanno - per ora - in nulla modificato o diminuito il loro lavoro ... ».
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Era palese il desiderio del gen. Vacca Maggiolini di affermare, di fronte alle speranze francesi di vedere «liquidata» la CIAF, il fatto che essa continuava invece una vita ben viva e vitale, come se nulla fosse avvenuto a livello delle decisioni italiane. In realtà tutto non era cosf liscio come sembrava sperare il presidente della CIAF e gli attriti, i malintesi e le rivalità tra le autorità della IV Armata e gli uomini della CIAF erano una realtà che spettava al Comando Supremo di affrontare sciogliendo i nodi di una cooperazione difficile se non impossibile. Il problema dell'esistenza, o meglio della sopravvivenza della CIAF, non poteva ovviamente andare disgiunto sul piano piu generale da quello relativo alla CTA. E proprio per affermare una identità di vedute, e quindi di decisioni tra gli alleati dell'Asse, si riunirono a Koenigsberg, il 9 dicembre, gli organi supremi delle due Commissioni armistiziali e dei due Comandi Supremi, con la partecipazione dei Ministeri degli Esteri d'Italia e di Germania. Le decisioni prese in tale incontro furono sostanzialmente di fare proseguire le attività delle due Commissioni di armistizio per taluni settori che avevano ancora attinenza alla realtà armistiziale esistente tra l'Asse e la Francia di Vichy, e di ridurre quindi drasticamente ogni altra attività. Per Vacca Maggiolini era una mezza vittoria, ma il fatto che le tesi sue fossero state adottate dal Comando Supremo italiano (a dispetto della tesi opposta di Vercellino) e dal Ministero degli Esteri e quindi, su richiesta di questi organi, dagli organi del Reich tedesco può solo suonare quale conferma della sua vittoria personale. Spiegava al gen. Vercellino le proprie tesi il gen. Vacca Maggiolini: «Le ragioni che giustificano il punto di vista italiano sono, a quanto mi risulta, le seguenti: 1) benché l'armistizio abbia sofferto gravi lesioni - soprattutto per colpa della Francia che non ha saputo difendere il suo Impero ed ha finito per cedere, con grave danno nostro, i suoi territori e parte delle sue stesse Forze Armate agli Anglosassoni - non è stato denunciato; 2) per conseguenza, la situazione giuridica fra le Potenze dell'Asse e la Francia - la quale ancor oggi, come nel giugno 1940, non è piu in guerra, ma non è ancora in pace - continua ad essere quella armistiziale, né può, per ora, essere mutata; 3) per quanto specialmente concerne l'Italia, la Convenzione di armistizio italo-francese è l'unico documento e la Commissione d'armistizio è l'unico ente che sanciscano in modo ufficiale ed incontestabile le condizioni di superiorità dell'Italia vincitrice sulla Francia vinta;
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4) vi sono territori francesi - quelli tra Marsiglia, foce del Rodano, Avignone - non presidiati da truppe italiane ove invece la CIAF mantiene il suo diritto di controllo» (35). Il Capo di SM Generale Cavallero, in un colloquio con il gen. Vacca Maggiolini del 24 dicembre, si era arreso alle logiche considerazioni del presidente della CIAF e le aveva fatte sue, ben dichiarando che era d'uopo ricordare che «l'azione residua della CIAF dovesse rimanere decisamente subordinata ai compiti ed alle necessità delle truppe operanti, coi:npiti e necessità che dovevano in ogni caso avere la assoluta prevalenza». Pareva chiaro ma non lo era certo, tanto che il capo di SM Generale rimandava ogni accordo concreto alle parti, rinunciando quindi al proprio ruolo di supremo decisore e rilanciando il problema ai due contendenti, il presidente della CIAF ed il comandante della IV Armata. Il passaggio dalla fase di rivalità a quella di collaborazione si avverò difficile ed occupò buona parte delle attività della presidenza della CIAF che si sforzò, dopo aver dichiarato di tutto voler porre sotto l'autorità militare occupante, la IV Armata, di salvaguardare in realtà tutt'una serie di compiti specifici ed autonomi della CIAF, sotto il pretesto della maggior competenza o della natura maggiormente «armistiziale» delle questioni trattate. Le considerazioni vincenti furono essenzialmente due. Innanzitutto non essendo stato denunciato l'armistizio con la Francia, anzi essendo stato confermato dal Comando Supremo il funzionamento della CIAF, analogamente a quanto avvenuto della CTA, si doveva intendere che detto funzionamento aveva per fondamento originale la convenzione, sul piano della quale erano possibili le conversazioni affidate alle sole Autorità competenti: la CIAF e la Delegazione francese; anche se le esigenze delle decisioni potevano condurre-: in conseguenza degli avvenimenti realizzatisi, a speciali interpretazioni e nuove applicazioni della convenzione stessa. Alla luce di questa nuova situazione era auspicata la permanente osservanza del normale procedimento in tutte le questioni che si affacciavano con la parte francesi. E Vacca Maggiolini arguiva: «Punti di vista semplicistici potrebbero consigliare di trincerarsi dietro l'autorità armata della occupazione, per imporre alla Francia ciò che vogliamo. Ma in questo caso meglio varrebbe denunziare l'armistizio e agire secondo una direttiva esclusivamente militare; ciò che però è stato escluso per le note ragioni. Ne de\ riva invece, per necessità di coerenza, l'osservanza di uno «stile» giu-
(35) Promemoria riservato alla persone dell'Ecc. il gen. Vercellino, comandante della IV Armata, 31 dicembre 1942, in USSME-CIAF, Racc. 119, doc. 51.
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ridico, che è seguito scrupolosamente dai tedeschi; mancando al quale si commetterebbero errori nocivi al nostro prestigio ed alla nostra fama e che creerebbero interminabili ed imbarazzanti discussioni. .. ». L'insistenza di Vacca Maggiolini nel voler salvare la CIAF fu tale che, incontrando il gen. Vercellino il 2 e il 5 gennaio l 943 con risultati negativi circa un accordo tra i due «perché troppo distanti erano i due punti di vista per poter essere conciliati», egli si rivolse tosto al Capo di SM Generale Ugo Cavallero proponendogli di ratificare una «sua» soluzione di questa questione. Evocando il caso della CTA risoltosi con la confermata attività della stessa in armonia con le autorità militari di occupazione, Vacca Maggiolini propose il 6 gennaio l'intervento mediatore del Capo di SM Generale sulla base dei seguenti tre punti:
I «- Porre, come desidera l'Eccellenza Vercellino, tutti gli organi
della CIAF dislocati in Francia alle dipendenze della IV Armata a partire da una data prossima (per es. il 20 gennaio); - devolvere conseguentemente al comando della IV Armata tutti i compiti armistiziali finora devoluti agli organi militari e civili della CIAF (nessuno escluso, e compresi perciò gli organi della sottocommissione Armamenti) dislocati dalla Francia metropolitana; - sciogliere le sottocommissioni militari e passare alla IV Armata la sottocommissione Armamenti; - ridurre la CIAF alle sole sottocommissioni civili - Affari Generali (e cioè Affari Esteri), Affari Economici e Finanziari, Scambi Commerciali, Affari Giuridici - ed all'Amministrazione dei Territori occupati; - affidare la Presidenza della CIAF - dato il suo carattere esclusivamente civile - ad un funzionario dello Stato.
Il - Porre gli organi della CIAF dislocati nel territorio di spettanza della IV Armata alle complete dipendenze del comando della IV Armata, fatta però eccezione per le mansioni tecnico-armistiziali per le quali gli organi stessi continuerebbero a dipendere da questa presidenza; - lasciare perciò a tali organi le funzioni di controllo inerenti all'applicazione della clausole armistiziali e perciò anche - fino ad
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esaurimento delle dotazioni - la gestione dei depositi di armi provenienti dalle Forze Armate (le armi di proprietà privata dovrebbero restare indefinitamente sotto controllo armistiziale); - chiarire bene che in tutte le questioni armistiziali che possano dar luogo a reazione francese (p. es. la presa di possesso delle industrie), la parte direttiva spetta sempre agli organi competenti della CIAF, che dovranno però preventivamente prender accordi colla IV Armata onde assicurarne il necessario intervento in caso di bisogno; averne le forze necessarie per la custodia di stabilimenti, ecc.); - spettare alla presidenza della CIAF ridurre il proprio personale in Francia ed alla sede secondo le esigenze del servizio cui la presidenza stessa è preposta.
m - La CIAF conserva i suoi compiti attuali, la propria autonomia ed i propri organi in Francia. Tuttavia, per venire incontro alla tesi dell'Eccellenza Vercellino relativamente ai compiti che attengono alla sicurezza delle truppe e per assicurare in tutti i campi la piu stretta collaborazione tra la CIAF e le Armate operanti, il Comando Supremo delega i suoi poteri di alto controllo sulla CIAF personalmente ai comandanti delle Armate, nei limiti delle rispettive giurisdizioni territoriali, con la intesa che per le questioni di maggiore importanza e che riguardano due o piu territori, i comandanti predetti ed il presidente della CIAF riferiscono al Comando Supremo. Presso ogni armata interessata dovrebbe perciò costituirsi un organo della CIAF alla diretta personale dipendenza del comandante dell'Armata» (36). Naturalmente, mentre tutto questo lavorio diplomatico-politico-militare si stava svolgendo, i delegati francesi e specialmente l'amm. Duplat si interrogavano invano circa il futuro della CIAF e quindi della presenza a Torino della delegazione francese. I doc\imenti che costui ed il suo vice, il gen. Parisot, mandavano a Vichy sono dei piu incerti circa l'esito della «lotta» in corso tra Vacca Maggiolini e Vercellino. I rapporti ufficiali sono peraltro sempre tenuti con Vacca Maggiolini, e quindi i particolari della crisi vengono coperti dal segreto dietro il quale si trincera il presidente della CIAF. Il 9 dicembre l'amm. Duplat (36) Auribuzioni della CIAF, Promemoria al gen. U. Cavallero, 6 gennaio 1943, in USSMECIAF, Racc. 119, doc. 50783.
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mandava a Vichy un resoconto dei colloqui della vigilia con Vacca Maggiolini, e da esso traspare la volontà del presidente della CIAF di confermare al proprio interlocutore che «nulla è cambiato» e che l'Italia «vittoriosa» è sempre unitariamente decisa a reggere il proprio ruolo; dunque «la Francia e l'Italia non sono piu in guerra; non sono ancora in pace... quindi la natura dei nostri rapporti armistiziali non ha subito alcun cambiamento ... ». Le stesse proteste della Delegazione francese del 14 novembre, del 25 novembre ed anche .successive circa la decisione di occupare il territorio francese non hanno alcun esito; fin de non recevoir o necessità supreme del conflitto: la posizione di risposta di Vacca Maggiolini evoca le due situazioni senza mai mettere i francesi di Torino al corrente né dei gravi problemi che lo assillavano circa la sorte della CIAF né di quanto avveniva circa le analoghe discussioni con i tedeschi della CTA. Un punto notevole nel proprio gioco il gen. Vacca Maggiolini lo ottenne allorquando in un colloquio col Duce il 12 febbraio 1943 illustrò l'importanza nuova dell'attività della CIAF, al Duce che all'inizio del colloquio dichiarava incautamente che il lavoro armistiziale doveva «essere enormemente diminuito». Ed alla dichiarazione contraria del presidente della CIAF si lascia convincere che la CIAF vada mantenuta sia per evitare «spiacevoli sorprese» da parte dei francesi, che gli uomini della CIAF conoscono meglio dei militari della IV Armata, sia per reperire i depositi clandestini di armi che solo la lunga conoscenza dell'ambiente consente alla CIAF di ottenere notevoli successi, sia infine per «rastrellare» nella Francia occupata tutte quelle materie strategiche che i francesi imboscano ma che la CIAF trova, sequestra e manda in Italia <37>. Sono argomenti che il Duce gradiva enormemente e che quindi finiranno per portare forza alle tesi favorevoli alla conservazione della CIAF ed ali' esaltazione del suo insostituibile ruolo nella politica dell'Italia. Dopo il colloquio con il Duce, il contrasto che dal novembre si trascinava si risolve a favore del mantenimento di buona parte delle attribuzioni e delle responsabilità della CIAF, specie della Presidenza. Alcune commissioni, le militari, vengono sciolte, ma vengono creati dei nuclei di collegamento con le autorità della IV Armata; per il resto nulla muta e ciò anche per un insperato aiuto alla tesi di Vacca Maggiolini da parte dei tedeschi che decidevano, proprio allora, di mantenere in vita la CTA con la Francia. I documenti che a questo riguardo il presidente della CIAF fa piovere in quei giorni sulle massime (37) Si veda il verbale del colloquio riportato quale Documento n. 59 nel Tomo secondo della presente opera.
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autorità politiche e militari dell'Italia sono la palese dimostrazione dell'intensità della crisi in corso con i militari e con il gen. Vercellino che, con due circolari, inseriva d'autorità sotto il proprio comando tutti gli elementi «non indivisionati» esistenti nei territori di sua giurisdizione. Decisioni solitarie dei militari e colpi di mano nell'amministrazione e nelle maggiori decisioni parvero un istante porre in difficoltà le funzioni della CIAF. A questo punto lo iato è evidente, ma il gen. Vacca Maggiolini riusciva ad indicare al capo di Stato Maggiore Generale Ambrosio una via di soluzione atta sia alla salvaguardia dell 'armonia minima tra i due organi italiani presenti in Francia, sia a ribadire il perfetto parallelismo tra decisioni italiane e decisioni tedesche. L'azione di pressione della CIAF, quasi le grandi manovre per salvare la Commissione, troverà il ~uo esito definitivo con la decisione del gen. Ambrosio del 1O marzo 1943 sui rapporti armistiziali ed extra armistiziali, decisione che preciserà in modo puntuale le competenze residue della CIAF e le competenze riconosciute al Comando della IV Armata (38), e che era stata suggerita dal Vacca Maggiolini al gen. Vittorio Ambrosio il 5 marzo. Anche se la soluzione adottata dal Comando Supremo non era tale e quale quella proposta dal presidente della CIAF, appare innegabile il successo della tesi della conservazione contro quella dell'abolizione sostenuta dal gen. Mario Vercellino. Ben rendendosi conto di quanto difficile potesse essere stata la posizione del comandante della IV Armata dopo la decisione del Comando Supremo, il gen. Vacca Maggiolini scrisse al gen. Vercellino, il 25 marzo 1943, una lettera nella quale offriva «ancora una volta la collaborazione piu assoluta e piu cordiale da parte sua e dei suoi dipendenti» chiedendo nel contempo «una comprensione altrettanto cordiale delle necessità della CIAF». Inoltre con l'ordine del giorno del 30 marzo si dava ufficialmente l'annuncio della cessazione delle attività delle Sottocommissioni militari, che passavano agli ordini della IV Armata e con ciò anche questa crisi si avviò a conclusione (39>. E con caparbia arroganza e tenacia il gen. Vacca Maggiolini poteva dichiarare all'amm. Duplat, ancora una volta ansioso di conoscere appieno la crisi «italiana» della CIAF, che a Roma «le decisioni sono state
(38) Se ne veda il testo riponato quale Documemo n. 60 nel Tomo secondo della preseme opera. (39) Se ne veda il 1es10 riportato quale Documemo n. 61 nel Tomo secondo della presente opera.
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prese» e che «nulla è cambiato alle attribuzioni della CIAF, che continua ad essere l'unico organo autorizzato a trattare con voi e col Governo vostro delle questioni armistiziali. Ed, al riguardo, dovete tener ben presente che debbono considerarsi extra armistiziali soltanto le questioni che sono sorte e potranno sorgere pel fatto materiale della presenza delle truppe italiane al di là della linea verde ed in Corsica. Nulla, in sostanza, è perciò mutato nelle competenze mie e vostre ... » (40).
{40) Processo verbale del colloquio con l'arnm. Duplat, 23 marzo 1943, in USSME-ClAF,
Racc. 48, doc. 3.
5.
La questione ebraica e l'occupazione italiana
È già stato ricordato come, precedentemente all'occupazione italiana della Provenza, le autorità italiane di Tunisia ebbero modo di manifestare una posizione particolare nella questione del trattamento degli ebrei italiani a dispetto delle leggi di discriminazione razziale adottate dal governo di Vichy che lo stesso governo francese voleva applicare in Tunisia anche nei çonfronti degli italiani. Un altro aspetto della questione del trattamento degli ebrei e della politica italiana a questo riguardo si ebbe allorquando le autorità italiane decisero l'occupazione militare della parte orientale della Francia di Vichy, prevalentemente la Provenza e la Savoia. Ancora prima che questa occupazione avvenisse abbiamo però modo di registrare a partire da Parigi una crisi italo-tedesca a proposito del trattamento degli ebrei, fin dall'agosto 1942. Essa nacque da una protesta che il Console generale d'Italia a Parigi fece pervenire con lettera del 4 agosto, che precisava al comando della polizia tedesca di sicurezza interessata alla questione degli ebrei che «le misure antisemite non erano applicabili agli ebrei italiani senza il previo consenso dei Regi Consolati d'Italia» e che riponeva questa deroga nel quadro di un accordo di collaborazione italo-germanico. In realtà l'interlocutore germanico Obersturmfuehrer Roethke, che era stato l'interlocutore di un incontro italo-tedesco del 31 luglio precedente, negò che tale accordo fosse mai avvenuto nei termini evocati del console Gustavo Orlandini, affermando bensf che esso riguardava solo l'obbligo di portare la stella gialla che veniva~ decadere nel caso di ebrei italiani (41). Colui che meglio df'ogni altro ha studiato il
(41 ) L. POLIAKOV, La condition des Juifs en France sous /'occupation iralienne, Parigi, Centre de Documentation Juive Contemporaine, 1946, p. 49. Nel 1955 ne è stata pubblicata un'altra edizione, un po' ridotta, a cura di L. POLIAKOV e di J. SABtLLE, Jews under the ltalian Occupation.
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problema, e cioè Léon Poliakov nel riportare i documenti relativi a questo nuovo scontro non esitò a farlo risalire ad una posizione diffusa di opposizione delle autorità italiane contro la stessa politica razziale che non era per niente sentita malgrado gli sforzi della propaganda e le polemiche della «Difesa della razza» e di altri centri del fascismo. «Nella sua lucidità mediterranea, il popolo italiano è stato nell'immensa maggioranza dei casi totalmente refrattario a questa idea deleteria ... ». Ed a notare che nel caso anche delle autorità politiche, amministrative e civili queste posizioni fossero anche la premessa ad un antifascismo militante. «Dans toutes !es administrations, mais plus particuliérement au Ministère de l'Intérieur - en ce qui concemait la condition des Juifs en Italie meme - et au Ministère des Affaires Etrangères - pour ce qui avait trait aux problèmes surgissant à ce propos en dehors de l'Italie une résistance se manifestait contre la politique raciale et ses conséquences. Il va de soi que cette attitude ne pouvait généralement pas prendre des formes ouvertes: obligés de tenir compte des lois qui avaient été promulguées en conséquence de la politique raciale, les fonctionnaires réfractaires à cette politique se référaient à des engagements internationaux, invoquaient des arguments tirés des intérets permanents de la politique italienne, ou des considérations de prestige italien et, d'une manière générale, faisaient usage de prétextes et de biais, plutot que de heurter de front la politique officielle du régime» (42), La questione degli ebrei nella regione occupata dagli italiani, e cioè in otto dipartimenti (Alpi Marittime, Varo, Alte Alpi, Basse Alpi , Isère, Drome, Savoia ed Alta Savoia), era particolarmente importante nelle Alpi Marittime, dove risiedeva una discreta colonia ebrea (dai 15 ai 20 mila ebrei) e dove dall'inizio del conflitto questa colonia si era oltremodo gonfiata fino ai quaranta-cinquantamila individui per l'arrivo di numerosi rifugiati ebrei che provenivano dall'Europa occupata dai tedeschi e dalla stessa zona della Francia occupata. Dopo l' 11 novembre questa situazione divenne critica, sia perché le autorità tedesche d'accordo con quelle di Vichy insistevano per «liquidare» la presenza degli ebrei in quelle regioni, sia perché le autorità italiane di occupazione non si mostravano disposte a subire le azioni di cattura sistematica che gli organi di polizia francesi operavano su ordine dei tedeschi. Se non altro queste operazioni, che avvenivano al di fuori di ogni controllo o consenso italiano e che si concludevano con l'uscita-deportazione degli
(42) L. POLIAKOV, op. cit., p. 18.
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ebrei verso le zone controllate dai tedeschi, non rispondevano a ciò che sembrava essere il diritto dell'occupante. Già vi erano state delle proteste a proposito delle attività «clandestine» di agenti tedeschi nel settore italiano a proposito dell'incetta a caro prezzo di viveri, di beni vari e di automezzi che i tedeschi realizzavano al di là ed anche contro ogni dichiarata politica di rispetto dell'alleato italiano. La questione delle deportazioni che seguivano gli arresti fatti nella zona italiana era un'altra faccia dello stesso problema. Questa volta però la principale autorità responsabile di queste azioni era la polizia di Vichy e le autorità dei prefetti, che si prestarono ben volentieri ad eseguire gli ordini di Vichy dettati dai tedeschi a proposito della questione razziale. In un primo momento parve necessario al Comando della IV Armata di comunicare al Comando Supremo germanico che nella propria zona era stato dato l'ordine di arrestare tutti i cittadini degli Stati in guerra con le potenze dell'Asse e di annunciare che gli ebrei e le loro famiglie sarebbero stati arrestati ed internati. Questa decisione non parve peraltro rilevante alle autorità francesi ed il 20 dicembre il prefetto delle Alpi ~arittime, Ribière, decise di inviare in residenza forzata nei dipartimenti della Drome e dell 'Ardèche tutti gli ebrei residenti nel dipartimento. Contro la decisione del prefetto vi fu una serie di reazioni, di cui la piu importante fu l'iniziativa di un banchiere italiano ebreo, Angelo Donati, che trasmise al Console generale d'Italia a Nizza, Calisse, gli estremi del documento prefettizio. Trasmessa la notizia al Ministero degli Affari Esteri di Roma, il 22 dicembre, la risposta del suddetto Ministero riguardo alla decisione del prefetto fu sollecita: il 29 dicembre un telespresso di Palazzo Chigi dava alla posizione italiana piena chiarezza, sia contro la decisione del prefetto, sia contro le intromissioni delle autorità germaniche: «A seguito del telespresso n. 34/R 12579 del 22 dicembre 1942, s'informa che secondo quanto è stato riferito dalla R. Delegazione per il Rimpatrio a Nizza, ebrei stranieri residenti nel Dipartimento delle Alpi Marittime sono stati assegnati a domicilio coatto in dipartimenti di occupazione germanica e che degli ebrei italiani sono stati invitati a lasciare il dipartimento delle Drome occupato in parte da truppe germaniche. A tale riguardo riteniamo necessario chiarire che non è possibile ammettere che, nelle zone occupate dalle truppe italiane, le Autorità francesi costringano gli ebrei stranieri, italiani compresi, a trasferirsi in località occupate dalle truppe germaniche. Le misure cautelari nei confronti degli ebrei stranieri ed italiani debbono)essere adottate esclusivamente dai nostri organi, ai quali sono già stati comunicati i criteri da seguire, come risulta dal telespresso sopracitato con cui vengono fatte
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presenti le direttive che ispirano tale trattamento nel Regno, salvo alcune misure cautelari particolarmente dipendenti dalle esigenze militari. Essendo stato chiesto se si possa agevolare il trasferimento nella zona di nostra occupazione di ebrei stranieri che lo chiedessero, si precisa che non è nostro interesse favorire un afflusso di elementi indesiderabili nei territori occupati dalle truppe italiane. Diverso è il caso di ebrei italiani che risiedano in zone occupate dai tedeschi e che desiderino entrare nelle zone occupate dalle nostre truppe. Non possiamo evidentemente rifiutarci di accogliere questi ultimi, salvo a sottoporli alle stesse misure cautelari adottate per gli ebrei italiani già residenti in territori di nostra occupazione». Il tenore del documento è inequivocabile: le autorità italiane sono contrarie ad ogni decisione del prefetto e ad ogni ingerenza tedesca, anche a questo riguardo, nelle zone occupate dalle truppe italiane. E la risposta della Delegazione di Nizza del 3 gennaio 1943 non lasciava dubbi al riguardo, anche se vi era stata da parte delle autorità francesi non poca resistenza ad accettare una simile decisione. Questa volontà italiana di sottrarre la questione ad ogni altra autorità fece sf che malgrado le proteste di Vichy, e malgrado le pesanti osservazioni delle autorità tedesche che si occupavano della questione ebraica, la vita dei molti ebrei nelle zone di occupazione italiana fu particolarmente tranquilla all'ombra di organizzazioni di assistenza organizzate dagli ebrei stessi e per il tramite del Donati, che svolgeva un po' il ruolo presso gli alti comandi militari italiani di tutore dell'intera collettività. In molti casi il desiderio italiano di non cedere sulla questione degli ebrei fu tale che questa «violazione» della politica dell'Asse rimbalzasse anche ai piu alti livelli, e che il livore delle autorità germaniche per la «colpevole» acquiescenza italiana fosse tale che, anche dopo, la decisione italiana di creare a Nizza uno speciale nucleo sulla politica razziale affidato all 'ispettore generale Guido Lo Spinoso non fu né gradita, né vista come la fine di una tutela italiana degli ebrei delle Alpi Marittime. Tale situazione non mut6 dopo il 25 luglio: anzi le riserve verso l'aspetto ideologico della lotta per la «difesa della razza» si rafforzarono. Si pu6 quindi dire che dopo la caduta del fascismo la situazione diventava da una parte piu chiara e dall'altra piu grave. Era piu chiara perché finalmente l'intera impalcatura ideologica di cui la campagna razziale era parte integrante cadeva in rovina, e questa nuova situazione dava anche una copertura legale a ciò che era stata la posizione istintiva e spesso clandestina delle autorità italiane a proposito delle deportazioni degli ebrei. La questione diventava piu grave allorquando verso la metà
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di agosto si manifestò chiaramente il proposito del Comando Supremo italiano di porre fine alle occupazioni della Francia onde fare rimpatriare il massimo numero dei militari colà stanziati; ciò poteva solo voler dire che alla partenza degli italiani avrebbero ripreso forza le autorità razziste di Vichy e sarebbero giunte in occupazione le truppe germaniche, con evidenti conseguenze negative circa la questione ebraica. Proprio per parare a questo rischio fu deciso, il 28 agosto, di non opporre piu resistenze al trasferimento in Italia degli ebrei ed anzi, con la circolare del 7 settembre si consigliava loro a trasferirsi garantendo loro, anche nei casi dubbi della nazionalità italiana, cavillo legale di questo rimpatrio, una benevola visione di ogni loro problema. Purtroppo però queste disposizioni, che avrebbero potuto salvare molti ebrei ancora stanziati sulla Costa Azzurra, non ebbero modo di dare pienamente i frutti sperati: 1'8 settembre con l'armistizio e con lo sbandamento della IV Armata e la liquidazione di ogni autorità legale italiana gli ebrei della zona occupata dall'Italia si trovarono all'improvviso soli ed abbandonati di fronte ai loro aguzzini, francesi e tedeschi. Soltanto pochi rifugiatisi in tempo nelle regioni italiane limitrofe alla Provenza, cioè in Liguria ed in Piemonte, poterono trovare ospitalità e rifugio e salvarsi dalla sicura deportazione e sterminio <4 2 bis).
(42 bis) Un lavoro specifico di ricerca su queste vicende è quello di A. noi/e straniera. Gli ebrei di S. Martin Vésubit, Cuneo, L'Arciere, 1981.
CAVAGLJON,
Nella
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La fine della «vittoria»
Non si creda che i problemi che affliggevano la vita della CIAF fossero solo dell'ordine di quelli evocati finora: nel periodo che va dal novembre 1942 all'inizio del settembre 1943 si può ben affermare che di problemi, anche gravi, la vita della CIAF fosse piena. Non vogliamo certo in questa sede esaminarli tutti, ma neppure possiamo pensare che quelli che finora sono stati evocati possano bastare a dare un panorama anche ridotto del periodo. Vi erano quelli vecchi che andavano aggravandosi, e quelli nuovi che l'occupazione provocava e soprattutto che la generale evoluzione del conflitto generava. Tra quelli vecchi che rimangono tuttavia all'ordine del giorno della CIAF e dei suoi organi il piu anacronistico era senz'altro quello del rivendicazionismo territoriale fascista. Non si creda che con gli sviluppi del conflitto fossero emerse considerazioni piu realistiche presso taluni ambienti che la proponevano come urgente ed inevitabile. Basterà ricordare che allorquando la Tunisia stava per cadere nelle mani degli alleati anglo-franco-americani vi era ancora chi a Roma come a Torino studiava piani e rivendicazioni sulla Tunisia. Piu o meno cosf si doveva verificare anche per le rivendicazioni di Nizza e della Corsica. Sulla prima un lungo promemoria del 6 dicembre 1942 della presidenza della CIAF indicava al Comando Supremo quali potevano essere i «confini» del Nizzardo, il cui andamento piu vantaggioso per l'Italia doveva essere «urgentemente» definito. Ed il generale Ezio Garibaldi ribadiva sul periodico «Il Nizzardo» la necessità di dare via libera ai suoi Gruppi di Azione Nizzarda, i quali avrebbero conquistato alla nazione italiana una regione che la lunga amministrazione francese aveva non poco imbastardita. Anche riguardo alla Savoia ed alla Corsica non mancavano, anche alla vigilia della crisi italiana, documenti che la CIAF riceve, redige e commenta.
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I problemi nuovi che crescevano a mano a mano che la crisi militare generale dell'Asse in generale e del! 'Italia in particolare si manifesta sono quelli legati ali' ordine pubblico delle zone occupate che, agli inizi non presenta questi come problemi di rilievo e poi, sempre in modo crescente e rapido, essi si avviavano ad essere problemi insolubili con il campanello d'allanne della scoperta di depositi clandestini di armi, di munizioni e di materiale bellico e di reti di organizzazioni clandestine armate volte a preparare la rivolta contro l'occupante con l'organizzazione di maquis alimentata in uomini dagli smobilitati dell'esercito di transizione, dai transfughi del servizio del lavoro e dagli oppositori vecchi e nuovi, giovani e anziani al regime di Vichy ed alla collaborazione con i tedeschi. La pervicace politica dell'ottimismo, o dello struzzo, fece sf che solo tardivamente gli organi della CIAF si accorsero delle reali dimensioni del fenomeno revanscistico antitaliano in corso di attuazione nelle zone occupate. Basterebbe, per convincersi di questa tenace volontà di non vedere la realtà degli oppositori, citare un lungo rapporto dell 'Ambasciata d'Italia a Parigi alla presidenza della CIAF, nel quale si facevano affermazioni assai nette che di certo erano in aperto contrasto con la realtà della Francia: «Non esistono per ora nella Francia occupata, all'infuori dei partiti collaborazionisti, vere grandi organizzazioni politiche, autorizzate o clandestine, di carattere nazionale. Vi sono tuttavia piccoli gruppi (unione degli ex-militari di una stessa unità, circoli patriottici, sportivi, ecc.), che radunano ogni tanto il loro esiguo numero di aderenti in sedute, in pranzi e conferenze patriottiche, riunioni che hanno sempre un carattere privato, dove si parla di rivincita e dell'atteggiamento da assumere nel caso dell 'arrivo degli anglo-americani. Attività che può difficilmente essere controllata dalla polizia, ma dalla quale non risulta tuttavia nessun pericolo immediato per le truppe di occupazione. I nazionalisti francesi, provenienti per la gran maggioranza dalle classi medie, sono soprattutto degli attesisti, perché tale atteggiamento permette ad essi di aspettare lo sviluppo degli eventi rischiando il meno possibile personalmente» (43). Era il solito vecchio mito della Francia imbelle e del tutto incapace di fare sacrifici per ideali politici. Anche per quanto riguardava l'attività dei comunisti, essa pareva ridursi a pura mormorazione sterile: «Per quanto riguarda eventuali piani di insurrezione generale o di una orga-
(43) Relazione di Malfatti alla presidenza della ClAF, Parigi, 20 febbraio 1943, in USSMEClAF. Racc. 44, fase. 3/0.
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nizzata resistenza passiva, le autorità tedesche sono inclini a pensare che, anche da parte comunista, almeno per ora, non è stato disposto niente in questo senso, richiedendo la realizzazione pratica di questi piani tali sacrifici alla massa della popolazione, che attualmente i francesi non sono disposti a sopportare. Per il momento, lo scopo principale dell'attività comunista è di turbare l'ordine pubblico mediante attentati e atti di sabotaggio, costringendo in tal maniera l'autorità occupante ad adottare severe misure di rappresaglia che hanno per conseguenza di aumentare l'antagonismo tra francesi e tedeschi. Inoltre i comunisti cercano anche con ogni mezzo di rendere impossibile qualsiasi collaborazione fra le popolazioni civili e le forze occupanti, mediante la soppressione degli esponenti dei partiti filo-tedeschi , attentati e continue minacce contro i loro aderenti». Rapidamente però la realtà quotidiana di attentati, di sabotaggi e di attività varie di opposizione si impose anche alla CIAF ed alla attenzione della IV Annata. Organizzazioni filoinglesi o degolliste vennero individuate a Nizza e nella Provenza e ad esse si fecero risalire le responsabilità delle iniziative di depositi clandestini di armi e di materiale bellico che nelle varie regioni occupate dalle truppe italiane sono scoperti. Un elenco di questi depositi relativo a tutto il 28 marzo 1943 risulta eloquente testimonianza di una attività cospirativa in continuo fervore C44>. Una svolta di sensibilità da parte della CIAF come da parte della CTA si ebbe allorquando, nell' incontro di Monaco delle due presidenze di Commissioni, si vollero affrontare i problemi che le nuove situazioni francesi ponevano in primo piano. Nel convegno di Monaco che si svolse dal 29 aprile al 3 maggio 1943 l'ordine del giorno dei lavori non era molto lungo, solo sette punti, con una ossessiva presenza della «questione Francia» attorno alla quale tutto pareva ruotare. Finita l'era della tranquillità si apriva l'era delle incertezze con attentati, resistenze sotterranee e formazione di veri centri di resistenza armata. Precisava la relazione della CIAF: «Le notizie che giungono dalla Francia rivelano che la situazione interna di tale paese diventa ogni giorno piu tesa; all' apatia che regnò fino agli avvenimenti dell ' ottobre-dicembre, è succeduto adesso uno stato di nervosismo, per molti aspetti preoccupante. Anche se la situazione non è cosf pericolosa come la dipinge la stampa svizzera, non dobbiamo nasconderci che la Francia, per la sua avversione congenita contro la Germania, per il suo ostentato agnosticismo
(44) L'elenco per la sua importanza figura quale Documento n. 62 nel Tomo secondo della presente opera.
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verso l'Italia e per la sua fiducia negli anglosassoni, rimane una potenziale minaccia per le Potenze dell'Asse: infatti, mentre piu espliciti e concordi giungono alla metropoli da Londra, da Washington e da Algeri, gli appelli alla resistenza e la promessa di una prossima liberazione, è inevitabile il persistere e l'accentuarsi di un profondo turbamento degli spiriti e di una sempre piu viva speranza che si producano avvenimenti capaci di capovolgere l'attuale situazione. Questo stato d'animo toglie alla popolazione francese qualsiasi volontà di effettiva, reale, sincera collaborazione con l'Asse e, al tempo stesso, consiglia al Governo di Laval atteggiamenti esteriori di convenienza, che subiscono l'influsso dello sviluppo delle operazioni belliche e delle vicende internazionali» (45). Il pericolo proveniva dall'intesa tra comunisti e gollisti, uniti nel loro intento primo, l'insurrezione, ed alimentati dalle simpatie attive dell'intero popolo di Francia che guardava con evidente soddisfazione le vittorie degli anglo-americani e l'azione della Francia Libera di De Gaulle. I risultati non potevano non essere catastrofici per qualsiasi «politica francese» delle potenze dell'Asse, le quali oltretutto stavano perdendo battaglia dopo battaglia. E precisava Vacca Maggiolini nella sua disincantata relazione: «L'azione combinata e ben diretta della dissidenza e del comunismo è, inoltre, abilmente circonfusa da un'aureola patriottica, cosicché la grande maggioranza dei Francesi si sente attratta verso di essa; infatti, a parte le simpatie per il gollismo, la minaccia comunista pare non intimorisca neppure le classi che piu dovrebbero temere tal minaccia poiché esse e l'intera massa della popolazione francese, ciecamente fiduciosa nella vittoria anglosassone, pensano che l'Inghilterra e gli Stati Uniti non solo restituiranno alla Francia libertà ed Impero, ma la salveranno anche dalla bolscevizzazione. L'alleanza stessa con Mosca dei due grandi Stati plutocratici, dell'alta banca, dell'ebraismo, persuade i francesi che il bolscevismo non debba destare preoccupazioni per l'avvenire». In questo contesto di indiscutibile gravità che cosa rimaneva da fare alla CIAF come alla CTA? Azione di repressione poliziesca, controllo sugli smobilitati, controllo sulle formazioni paramilitari, controllo sui dissidenti del servizio del lavoro, ritiro delle armi, controllo sugli esplosivi, repressione politica tramite la tecnica delle infiltrazioni e del compenso agli informatori, ecc.
(45) Relazione della presidenza delta CIAF, 29 aprile 1943, in USSME-CIAF, Racc. 44, fase. I C.
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Come si vede il convegno di Monaco fu ben diverso dai precedenti incontri delle due presidenze, ed il fatto che fu l'ultimo si può ben spiegare sia alla luce dell'evoluzione generale della situazione francese sia in base all'evoluzione sempre piu militare che la presenza degli italiani e dei tedeschi implicava quanto ai territori occupati con attività ben lontane dagli obiettivi che ponevano in essere nel giugno 1940 gli atti costitutivi delle due Commissioni armistiziali. Il ricorso, a partire dal 15 gennaio, evocato dal Comando della IV Armata ali 'esercizio «nei territori finora soggetti al controllo armistiziale italiano di tutti i diritti di potenza occupante» non migliorò certo i rapporti con Vichy che già da molti mesi erano in crisi permanente. E neppure l'evocazione che l'Italia si vedeva costretta a prendere questa decisione «in dipendenza della nuova situazione e per poter meglio contribuire alla difesa dell'Europa» poteva soddisfare sia le autorità di governo della Francia «libera» sia 1'opinione pubblica che scorgeva solo nella decisione italiana una nuova aggressione alla sovranità di un governo ogni giorno piu screditato ai suoi occhi. Rimaneva la politica del giorno per giorno, con la CIAF residua e i comandi militari alle prese sia con i tedeschi sempre piu presenti nella zona «italiana», sia con le autorità di Vichy sempre meno disposte a dialogare con gli italiani, sia con la Delegazione francese di Torino che tempestava di proteste gli organi della CIAF, sia infine con gli oppositori clandestini che si organizzavano per una resistenza che stava rapidamente passando dalla fase passiva alla fase armata ed aggressiva. In questo contesto l'ultima espressione del pensiero del Duce pareva ancora la piu valida: razziare tutto ciò che la Francia poteva offrire e portarlo in Italia. E cosf in questo periodo si svolse un'intensa attività di acquisti e di commesse che, unite ai sequestri piu o meno legali, diedero alla presenza italiana di questo ultimo periodo un carattere di vera e propria rapina ai fini di rifomfre, in un modo o in un altro, l'industria bellica italiana in evidente stato di crisi. L'analisi dei testi conferma il giudizio che, molti anni or sono, Henri Miche! esprimeva riguardo al periodo dell'occupazione italiana: «Cependant les Italiens procèdent à un pillage généralisé. La thèse italienne exprimée par l' intendant général Operti, est que l' Italie occupe la France pour la défendre et qu 'elle a donc droit aux ressources françaises. . . Les Italiens ont désormais pris exemple sur les Allemands ... » (46). Di questa nuova «filosofia dell'occupazione» fu buon interprete la conferenza italo-tedesca di Parigi che dal 18 al 21 maggio 1943 riunf
(46) H. MICHEL, art. dt., p. 505.
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una serie di esperti delle due Commissioni allo scopo di meglio organizzare ciò che veniva chiamato il contributo della Francia allo sforzo bellico. All'ordine del giorno dei lavori tre punti di cui solo il primo venne ampiamente trattato; si trattava della «Utilizzazione delle industrie francesi» e riguardava il conferimento di commesse alle industrie francesi da parte italiana, ciò che era un po' una novità che sposava la lunga esperienza in questo campo dalle autorità tedesche. Le requisizioni si confondevano con gli acquisti e riguardavano prodotti strategici quali la fluorite, prodotti tannici, fenolo, benzolo, fosfati e persino sale marino. Sul piano dei metalli erano presi di mira l'alluminio e gli acciai speciali: di tutti questi prodotti, la parte italiana chiedeva di partecipare alla sistematica razzia che i tedeschi, fin dal 1940, operavano a favore del loro sforzo bellico. Quanto ai risultati delle conversazioni di Parigi si può dire che esse furono dominate dalla tenace volontà di Berlino di non cedere alle pretese italiane se non percentuali modeste decise di volta in volta sul copioso bottino germanico. A questo riguardo la parte del comunicato finale «segreto» sugli accordi appare significativa: «Fabbricazione belliche italiane in Francia. Subordinatamente alla necessità, sostenuta da parte germanica, di non interferire nel programma tedesco di lavorazioni belliche, è stata riconosciuta la necessità italiana di conferire delle commesse alle industrie francesi. Per raggiungere tale scopo: - le commesse tedesche in corso nel tenitorio ad oriente del Rodano, ci saranno comunicate; - quelle a carattere non continuativo, al loro termine, potranno essere sostituite da commesse italiane; - la maggiore capacità degli stabilimenti in detta zona non ancora impegnata resta a disposizione dell'Italia; - è prevista la necessità, previ accordi con la parte germanica di conferire delle commesse anche nel territorio francese sotto controllo tedesco; - un collegamento della CIAF - Armamenti a Parigi è stato richiesto dalla parte tedesca, al fine di dare pratica esecuzione a quanto convenuto. Materie prime. Circa la richiesta italiana di poter disporre almeno di una quota-parte delle materie prime prodotte nel territorio francese ad oriente del Rodano, sotto controllo italiano ed in massima parte occupato da truppe italiane: - la parte tedesca ha sostenuto che tali materie prime fanno parte del piano generale di ripartizione europea e che i bisogni italiani vengono tenuti presenti nel quadro dei periodici accordi italo-tedeschi tra l'ecc. Giannini e il ministro Clodius;
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trattative potrebbero avere luogo direttamente fra l'Italia ed il Governo francese per l'esportazione verso l'Italia di una parte della quota lasciata a disposizione della Francia; - da parte italiana è stato tenuto fermo il punto di vista che, trattandosi di materie prime prodotte in territorio occupato dall'Italia, l' attribuzione diretta di una quota-parte dì esse dovrebbe incidere sulle disponibilità gene{ali e non totalmente sul contingente assegnato dalla Germania all'Italia nel piano di ripartizione europeo; - eventuali quantitativi ottenibili con trattative dirette col governo francese potrebbero esser conteggiate nella quota che l'Italia intende ricavare dal territorio francese da noi occupato; - sono state esposte le richieste italiane quantitative per alluminio, acciai speciali, facendo riserva di precisare i quantitativi per i prodotti tannici, fluorite, fenolo e benzolo ... » (4 7). Infine per quanto concerneva l'andamento generale delle commesse italiane alle industrie francesi, si può dire che esse non erano certo all'altezza delle speranze suscitate da quanto in questo campo i tedeschi erano riusciti ad imporre. La stessa tabella che riportiamo qui di seguito per dare al discorso uno spessore concreto, ci può ben dire che le commesse erano s{ interessanti, ma non tali da compensare le carenze strutturali della preparazione bellica del! 'Italia.
(47) Relazione del gen. Vacca Maggiolini al Comando Supremo, 24 maggio 1943, in USSME-CIAF, Racc. 45, fase. 3.
t
00
COMMESSE ITALIANE CONCORDATE CON LE INDUSTRIE FRANCESI ALLA DATA DEL 15 MAGGIO 1943 Ditte italiane
Industr ie francesi
Fornitura
Valore approssimativo franchi
Soc. RJV Torino
Soc.SRO
85.000 cuscinetti a sfere
1.600.000
Soc. FIAT Torino
Soc. Fonderie dei Sud-Est • Tolone
Trasfom1azione di t. 1.200 di ghisa
3.000.000
Soc. FIAT Torino
S. Eiectrochimic et Electrometallurgie et des Acieries Elcctriques Ugine
1.000 t di acciaio speciale
Ministero Aeronautica Roma
Soc. Glycol - Sorgues
Chetoni in ragione di I Otonn/mese
S.A. Aeronautica d'Italia Torino
SNCASE di Marignane
n. 40 gruppi vari per aeroplani
S.A. Magrini Milano
Soc. Electre•Porcelaine S. Vallier sur Rh6ne
Forniture di isolatori normali e speciali
S.A. Magrini Milano
Merlin et Cretin Grenobie
Utilizzazione sala prove per collaudo interruttori
S.A. Uva Genova
Carrieres de terres et sables refractaires de l'lsère - Grenoble
2.000 t. di sabbie refrattarie
Provviste d a parte dell'Italia di
Note
acciai laminati al cromo grezzi ton. 51,7
durata: 7 mesi inizio: settembre I943 durarn: 3 mesi inizio: 3 maggio I943 durata: 5 mesi inizio: 5 giugno 1943
~ ~
t.o
~
~: 9.470.000 12.000.000
400.000
acido solforico in ragione di I 6 tonn/mese
durata: 20 mesi inizio immediato durata: 5 mesi a partire da da gg 90 dalla consegna delle attrezzature a partire dal 1° agosto 1943
(al mese) a panire dal I O luglio I943
~
'l:i
~'
e. ;:,
COMMESSE ITALIANE CONCORDATE CON LE INDUSTRIE FRANCESI ALLA DATA DEL 15 MAGGIO 1943 Provviste da parte dell'Italia di
Note
Ditte italiane
Industrie frances i
Fornitura
Ministero della Guerra Dir. Gcn. Motori1.zazione
J. Yoyant . La Vcrpillière
Fornitura di valvole per camere d'aria
immediata
S.A. Ansaldo Comiglia,10
Chanticrs de la Mediterranée - Marsiglia
Costruzioni carri annati
immediata
S.A. Microtccnica Torino
Bianchetti - Marsiglia
J.000 traguardi di ri levamento
600.000
inizio: luglio 1943
S.A. Microtecnica Torino
Aeroptic - Aubagne
diverse decine di migliaia di lenti normali ed affumicate
800.000
inizio: luglio 1943
Valore approssimativo franchi
:::: ~
S.A. Microtecnica Torino
Granoul< Marsiglia Martigni Marsiglia
I0.000 interruttori
800.000
inizio: luglio 1943
a pacco
S.A. Microtecnica
SOM - Tolone
800 piastre oculari per telemetri
400.000
inizio: luglio 1943
~
S.A. Microtecnica
Atelier Construction Mecaniques J. Ruchon Vienna
50 macchine affilatrici AFP
3.500.000
inizio: luglio 1943
~:
S.A. La Filotecnica Salmoiraghi - Milano
Saprolip. S.A. Bourg Valence
Parti sciolte per meccanismi di precisione
Bombrini Parodi e Delfino Roma
Cartoucherie Nationale Valence
Proietti da 13,2 Pallonolc da 6,5 e 8
Bombrini Parodi e Delfino Roma
Compagnie Universelle de I' Acetilène et dc Electrometallurgie Les Claveaux • Uriages
Carburo di calcio
Bombrini Parodi e Delfino Roma
S. gen. des meules artificielles • Vizille
Mole a smeriglio
\
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!
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Mussolini e Pétain
Il curioso fu che mentre si generalizzava la crisi politica e militare italiana nei confronti dei propositi di una occupazione, premessa di una svolta positiva per l'Asse, si fossero manifestate rinnovate intenzioni annessionistiche specialmente verso la Corsica e Nizza. Gli uomini dei GAN ed in parte anche i corrispondenti del gen. Ezio Garibaldi continuavano tramite il giornale «Il Nizzardo» a tenere accesa la fiamma della rivendicazione territoriale a dispetto delle disposizioni contrarie della CIAF e delle autorità militari della IV Armata. Nel febbraio 1943 si stampava l'opera del presidente della sezione nizzarda della Società Dante Alighieri, Nino Lamboglia, Nizza nella storia, che confermava le tesi rivendicazioniste. E nel giugno, il 19, riprendevano le attività ufficiali della Società Nazionale Dante Alighieri, ben nota struttura «culturale» al servizio del fascismo più oltranzista, con una conferenza all'Università di Nizza del professor Giulio Quirino Giglioli sul tema «Il trofeo della Turbia nella latinità». Che questi elementi di cronaca non facciano apparire ciò che non era: l'intera situazione italiana era in crisi anche nelle zone di occupazione della Francia, dove soldati ed ufficiali erano sottoposti ad una doppia azione politica: da una parte una evidente azione di propaganda antifascista svolta da coloro che rappresentavano pur sempre i fuoriusciti italiani stanziati nella regione, ed inoltre, dall'altra parte, da una crescente erosione di credibilità e di consenso del regime fascista, erosione favorita anche dai risultati militari disastrosi che proprio in quel periodo si verificano nello stesso territorio nazionale soggetto all'invasione alleata. Proprio in questo periodo si verificò una ennesima crisi relativamente ai funzionari della CIAF. All'improvviso, il 16 luglio 1943, il sottosegretario alla guerra Sorice doveva, questa volta in proprio con una lettera-denuncia, rilanciare la questione nei soliti termini e con la massima gravità delle accuse che si ritenevano provate e causa di «scandalo». Secondo la lettera di Sorice, mandata direttamente al Capo di Stato Maggiore Generale Vittorio Ambrosio, «gli ufficiali della CIAF - che, secondo quanto viene riferito, sarebbero tutti ultra raccomandati e sostenuti da alte personalità - non si comporterebbero con quella serietà e correttezza che il momento richiedeva, specie in quella città dove la popolazione soffriva per il continuo tormento e le dolorose conseguenze delle ripetute offese aeree nemiche. Le autorità militari, quelle civili e la stessa popolazione non nascondevano il loro disgusto e la loro riprovazione nel vedere tutti questi ufficiali, in borghese, quasi sempre inattivi, trascorrere la giornata nei principali alberghi di Torino, conducendo una vita lussuosa a base di lauti pranzi e con le allegre ragazze del posto, non poche delle quali di molto dubbia moralità.
li tempo della crisi
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Questo spettacolo sarebbe stato pure mortificante - con deleterie ripercussioni sul loro morale - per gli altri ufficiali del Presidio, che sottoposti ad ininterrotti servizi faticosi, riuscivano appena e solo attraverso serie difficoltà, a contenere il bilancio domestico nei modesti emolumenti da essi percepiti». Trasmessa iJ 21 luglio dal Comando Supremo alla presidenza della CIAF «con preghiera di informazioni in merito», la denuncia di Sorice, giunta al destinatario solo il 24 luglio, ricevette una fuJminea risposta. Il 26 luglio infatti, benché il clima politico generale fosse stato non poco sconvolto dalla caduta di Mussolini e dalle sue conseguenze, il presidente della CIAF rispondeva seccamente alla comunicazione del comando supremo. In otto punti il gen. Vacca Maggiolini respingeva le accuse pur con alcune caute ammissioni di crisi interne aJla CIAF. Nel primo punto relativo al fatto che gli ufficiali sarebbero stati «raccomandati e sostenuti da alte personalità» si dichiara che al momento della sua nomina, nell'estate 1941, aveva trovato nei vari organi «alcune decine di figli di papà» i quali sarebbero stati alJontanati tutti molto rapidamente. Nel secondo punto, circa «il disgusto e la riprovazione» che autorità civili e militari e la stessa popolazione di Torino avrebbe nutrito verso la CIAF, si trattava di elementi assolutamente ignoti e non provati. Quanto agli ufficiali «sempre inattivi» o «in borghese», questi erano elementi infondati di accusa, come dimostrava l'ingente mole di studi da essi elaborati, mentre la seconda accusa poteva essere il frutto di una confusione tra gli ufficiali e il numeroso personale borghese che la Commissione utilizzava stabilmente. Quanto all'ozio e alle compagnie allegre negli alberghi torinesi erano tutti elementi inventati o frutto del fatto che gli alberghi erano aperti a chiunque e quindi non controllabili quanto alla loro clientela, che non era necessariamente appartenente alla CIAF. Sulla vita lussuosa e sui lauti pranzi tale questione era stata risolta con una circolare specifica del 5 febbraio 1942 che proibiva tassativamente tali manifestazioni sotto qualsiasi pretesto. Concludendo, Vacca Maggiolini ribadiva che le accuse si riferivano a tempi lontani, o al personale civile, o erano insussistenti, e in ogni caso mancavano tutte di qualsiasi prova e come tali non potevano costituire la premessa neppure vaga di uno «scandalo» da reprimere. Per il presidente Vacca Maggiolini l'insieme di questa ultima polemica, giunta in un momento politico e militare particolarmente difficile per la CIAF e per l'Italia, non fu ritenuta peraltro liquidata con la risposta fatta pervenire al comando supremo. Egli meditò, affidandolo ad una lettera, il proposito di presentare le proprie dimissioni in segno di prote-
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Mussolini e Pétain
sta. Tuttavia egli rinunciò a tale decisione «sia perché il tono stesso, enfatico ed evidentemente iperbolico, delle accuse palesava la loro infondatezza e faceva dubitare della limpidezza delle loro fonti», sia perché gli avvenimenti di quei giorni lo persuasero che, «in un momento cosf grave per la patria nostra, queste suscettibilità, per quanto legittime, dovessero scomparire ... ». Pochi giorni dopo, tali propositi vennero inoltre fugati dalle «assicurazioni amichevoli» date dal Capo di SM generale Ambrosio in occasione di un colloquio avuto a Roma il 16 agosto 1943. L'ultima fase della vita della CIAF fu quindi vissuta in clima di crisi di fiducia non tanto, giova precisarlo, verso la persona o l'attività del suo presidente, quanto piuttosto perché la CIAF non poteva certo non risentire del profondo mutamento della situazione politica generale che ne aveva non poco trasformata o resa inutile la stessa esistenza. L'illusione di un'Italia vittoriosa era rapidamente tramontata e ben piu tragiche realtà stavano affacciandosi all'orizzonte anche militare dell'Italia. Ciò che si verifica il 25 luglio con la caduta del fascismo non può ovviamente essere ritenuto un elemento esterno al nostro discorso: era l'intera impalcatura politica e militare italiana che scricchiolava sotto i colpi degli alleati. Inevitabili i contraccolpi a livello della CIAF, contraccolpi che non potevano certo essere liquidati con il laconico Ordine del Giorno n. 14 del 28 luglio del suo presidente: «Proibisco a tutti i miei dipendenti ogni discussione di carattere politico. In questo momento piu che mai, nostro unico dovere è: obbedire, tacendo, al nostro RE, ai nostri superiori». In realtà le reazioni alla caduta del fascismo furono enormi, e vere premesse alla liquidazione dell'intero apparato armistiziale di cui certamente non si sentiva piu alcun bisogno. Puntualmente peraltro il gen. Vacca Maggiolini proseguiva la sua attività, notando che «in generale il mutamento di governo aveva suscitato l' impressione che ormai l'Italia non potesse tardare a ritirarsi dalla guerra». E presso molti francesi «si giudicava con simpatia la crisi governativa italiana soprattutto come manifestazione di una sicura vittoria delle idealità democratiche ... » (48). La delegazione francese si trovava presa in questo frangente senza ben sapere cosa decidere e cosa fare; spesso le osservazioni che giungono a Vichy sono legate al clima che l'Italia vive piu che al lavoro armistiziale. Sanguinetti evoca una «folla trepidante e gaia» alla notizia
(48) Relazione del gen. Vacca Maggiolini al Comanda Supremo, 29 luglio 1943, in USSME-CTAF, Racc. 45, fase. 4.
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della caduta di Mussolini, una folla dalla quale provenivano molte grida ostili ai tedeschi nonché contro lo stesso Mussolini ed i suoi gerarchi (49). La sorte delle truppe di occupazione in Francia diventava ognor piu critica, a tal punto che lo Stato Maggiore considerò alla metà di agosto come urgente l'abbandono delle zone di occupazione con il rimpatrio della IV Armata. Gli ordini erano pronti, ma tutto venne sottoposto ad un lentissimo piano di attuazione. Intanto le truppe erano costantemente oggetto di attività di aperta ostilità anche armata da parte di partigiani francesi, che sfruttavano il disorientamento delle autorità italiane per moltiplicare le loro attività aggressive. E proprio contro costoro il comandante della IV Armata gen. M. Vercenino decideva, il 16 agosto, di pubblicare un Bando contenente disposizioni relative alla sicurezza militare e all'ordine pubblico che comminava pene severissime (fucilazioni, rappresaglie, deportazioni, ecc.) contro coloro che si fossero opposti con le armi, con l'organizzazione clandestina e con ogni altra forma alla presenza ed all'attività delle forze armate nei territori occupati della Francia (50). Si trattava evidentemente di una vera svolta nel tipo di politica che le autorità militari italiane e la stessa CIAF avevano fino ad allora attuato, ma le circostanze erano certamente cambiate dal novembre '42 all'agosto '43. In pratica però nessuno degli articoli del Bando fece in tempo ad essere applicato, poiché proprio allora il Comando Supremo ordinava il ripiegamento della IV Armata con un progressivo rimpatrio di tutti i reparti. Ed ecco che a questo punto ricompare il presidente della CIAF, che riteneva che con la fine dell'occupazione militare dovessero riprendere le attività della CIAF e pertanto tempestava il Comando Supremo dal quale aveva avuto quale data limite dell'occupazione italiana il 6 settembre con una serie di domande: « 1) Continueranno ad esistere, dopo il 6 settembre, i diritti armistiziali finora riconosciuti ali 'Italia nel territorio sulla sinistra del Rodano? 2) In caso affennativo, i controlli armistiziali oggi affidati a tale territorio ad organi della CIAF (controllo industrie belliche; controllo doganale lungo le zone costiere mediterranee e lungo il confine franco svizzero) continueranno a funzionare? 3) Gli altri compiti, già appartenenti alla CIAF ma passati poi alla IV Armata (controlli sui centri di mobilitazione dell'Esercito transitorio, sulla Gendarmeria, sulle formazioni paramilitari, sul personale delle (49) J. B. 0UR0SELLE, art. cii., p. 95. (50) Il Bando è riportato quale Documento n. 63 nel Tomo secondo della presente opera.
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forze armate disciolte; custodia e sgombero degli ingenti depositi di materiale già appartenente alle forze armate francesi; ricerca e cattura di depositi clandestini) dovranno tornare alla CIAF? Dovrà perciò la IV Armata lasciare sul posto, ricostituendoli nella loro originaria efficienza, gli organi già appartenenti alla CIAF? 4) Quali relazioni dovranno avere gli organi della CIAF che rimanessero sul posto colle truppe di occupazione tedesca? 5) Non sarà necessario lasciare in Francia il personale di truppa indispensabile per la custodia dei depositi e per le operazioni di carico del materiale da inviare in Italia? 6) Non sarà necessario costituire appositi presidi italiani in tutte le località dei Territori occupati che non saranno piu coperte, verso occidente, da nostre truppe?» (51l. Per ingenuità o per errata valutazione politica generale le azioni del gen. Vacca Maggiolini di questi ultimi giorni di vita della CIAF ci sembrano cosf anacronistiche da essere patetiche. Con questa osservazione è chiaro che non ci può stupire che, alla notizia dell'avvenuta finna dell'armistizio, egli richieda nuovamente al Comando Supremo, con telescritto del 9 settembre istruzioni circa le disposizioni da dare agli organi della CIAF in Francia ed in patria. E questo testo conferma lo stupore e quindi il disorientamento dello stesso: «In relazione nuova situazione sorta per conclusione armistizio con anglo-americani urgemi conoscere quali direttive debbo dare agli organi CIAF dislocati in Francia ed in particolare a quelli che, come gli organi residenti Marsiglia, sono lontani da ogni truppa italiana cui in ogni caso appoggiarsi; alla Delegazione CIAF in Wiesbaden. Per quanto riguarda Delegazione Tedesca in Torino habeo provveduto garantirla contro ogni eventuale intemperanza popolare. Meno urgente, ma pure di grande importanza, mi est altresf conoscere quale nuovo aspetto assumerà situazione nei riguardi armistizio italo-francese giugno 1940, sia verso parte francese, sia verso parte tedesca» (52) . È abbastanza evidente che, né al precedente, né a questo ultimo telescritto il Comando Supremo rispose; e cos( la CIAF concluse nel caos generale la propria attività. Parte dei documenti furono dallo stesso presidente trasportati da Torino alla propria residenza di Mombercelli d'Asti, mentre tutto il personale civile e militare si disperdeva nella (51) Telescritto di Vacca Maggiolini al Coma11do Supremo, 23 agosto 1943, in USSMECIAF, Racc. l, fase. 23. (52) Telescritto di Vacca Maggiolini al Comando Supremo, 9 settembre 1943, ore 0,45 in USSME-CIAF, Racc. I, fase. 23. Il documento reca il numero 59.448 ciò che indica il totale dei documenti della presidenza della CIAF.
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grande tragedia dell'intero esercito italiano, senza ordini e senza coordinamento. A Torino rimasero i membri della Delegazione francese, senza l'amm. Duplat che si trovava in congedo a Vichy; il suo sostituto, l'amm. Chomel si dispose ad aspettare gli eventi nella stessa sede della CIAF. L'occupazione tedesca di Torino con l'arrivo dei comandi germanici liquiderà anche questo problema: e il 16 settembre, con treno militare tedesco, tutti i francesi della Delegazione giungeranno a Vichy.
La conclusione dell'avventura della CIAF non segnò certo la fine definitiva dei rapporti tra l'Italia e la Francia ma ne bloccò per parecchio tempo gli sviluppi naturali, che andavano evidentemente al di là dell'accordo di Villa Incisa o della decisione del 10 giugno 1940. L'espiazione del «colpo di pugnale alla schiena» si ebbe giuridicamente il 23 maggio 1944 con la dichiarazione del governo Badoglio della decadenza dell'armistizio e con la condanna del 22 giugno 1944, da parte del governo Bonomi, delle rivendicazioni territoriali fasciste. La ripresa fattiva e cordiale dei rapporti italo-francesi dovette aspettare ancora molti anni. E questa ripresa si dovette anche al fatto che nella applicazione degli accordi armistiziali «ci fu sempre da parte italiana un diffuso senso "umano", che non deve essere dimenticato, tanto piu che esso fu particolarmente vivo nei rapporti dei francesi ed assunse tono di calore e di comprensione, fin dal momento dei negoziati per l'armistizio. Lo ritroveremo, con altro spirito e con altre forme, anche nei rapporti con altri Paesi che avemmo occasione di occupare (basta pensare alla Grecia), ma nei rapporti dei francesi fu particolarmente vivace, e parve, in qualche momento, che esprimesse quella fraternità latina, tante volte conclamata ed auspicata verbalmente, senza risultati pratici» (53). Ciò che rappresenta uno degli anacronismi storici piu inverosimili e, nondimeno, piu amaramente vissuti.
(53) A. GlA"i"IINI, art. cit., p. 24.
APPENDICE
I PROTAGONISTI DELLA CIAF E DELLA DELEGAZIONE FRANCESE A TORINO
Nell'intento di meglio chiarire origini, carriera, e corpi di appartenenza dei protagonisti della CIAF e della Delegazione francese a Torino si è ritenuto opportuno dare una scheda biografica dei tre presidenti che si sono succeduti a capo della Commissione italiana e dei loro due massimi interlocutori francesi a partire dai vari «stati di servizio» che di ognuno i vari uffici storici conservano.
PIETRO PINTOR Generale di Corpo d'Armata designato Presidente della CIAF dal 27 giugno 1940 al 7 dicembre 1940 Nato a Cagliari il 20 maggio 1880, iniziò la carriera mHitare il 27 ottobre 1898 quale volontario allievo nell'Accademia militare, conseguendo la nomina a S. tenente d'artiglieria nel 1900 e quella a tenente tre anni dopo. DaJI 'ottobre al settembre 1912 frequentò i corsi della Scuola di guerra. Capitano nel settembre I 91 1, fu nel novembre 1912 presso il Comando del Corpo di SM in esperimento per il servizio di SM prima e poi in servizio di SM fino al maggio 1914. Allo scoppio della guerra 1915-18 venne addetto all'ufficio operazioni della III Armata e nel dicembre 1915, già trasferito nel corpo di SM fu chiamato a prestar servizio nella sezione operazioni del Comando Supremo. Maggiore nell'aprile 1916 e tenente colonnello nel febbraio 1917 venne, nell'ottobre dello stesso anno, incaricato delle funzioni del grado superiore per merito di guerra e destinato a far parte della sezione italiana del consiglio superiore dj guerra di Versailles. Colonnello nel gennaio 19 18, rientrò in Italia nel maggio 1918 e prestò servizio presso l'Ufficio Segreteria del Comando Supremo fino al 22 ottobre, giorno in cui ebbe il comando del!' 11 ° reggimento artiglieria da campagna. L'opera sua nel campo dei più elevati studi presso il Comando Supremo e di combattente valoroso fu premiata con la croce di cavaliere nell'Ordine Militare di Savoia, con la croce di ufficiale nell'Ordine stesso e con una medaglia d'argento al valor militare. A guerra ultimata, richiamato nel Corpo di SM, fu capo dell'Ufficio addestramento dello SMM ( 1919- 1925), comandante dell' artiglieria della Tripolitania dal dicembre 1925 al maggio 1928.
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Mussolìni e Pétain
Promosso generale di brigata per meriti eccezionali nell'agosto 1928, venne nominato comandante della Scuola di guerra, carica che conservò col grado di generale di divisione (ottobre 1932) fino al settembre 1933. Assunse quindi il comando della divisione di fanteria «Cosseria», che lasciò nel dicembre 1935 perché incaricato delle funzioni di comandante del Corpo d'Armata di Udine, del quale assunse il comando effettivo all'atto della promozione (aprile 1936). Dal maggio 1937 al settembre 1938 comandò il XX Corpo d'Armata in Libia. Nel settembre 1938, gli venne conferita la carica di comandante designato d'armata. · Alla testa della I Armata prese parte alla battaglia al fronte alpino occidentale. Dal 27 giugno 1940 al 7 dicembre 1940 fu capo della Comm issione Italiana d'armistizio con la Francia (CIAF), organo del Comando Supremo. Cadde per incidente d'aeroplano nel cielo di Acqui il 7 dicembre 1940. CAMPAGNE, FERITE, RICOMPENSE
Campagne: 1915-1916-1917-1918 (guerra italo-austriaca). Cavaliere dell'Ordine Militare di Savoia: «Ufficiale in servizio di SM diede, durante l'offensiva austriaca, prezioso, inesauribile tributo d 'intelligenza, attività e perizia. Animato sempre da elevatissimo sentimento del dovere, sorretto sempre, anche nelle ore più avverse, da incrollabile fede nella vittoria, fu fedele ed illuminato interprete del pensiero del comando prestando sempre, infaticabilmente, opera delle più degne e meritorie - Vicenza, 15 maggio - 15 luglio 1916». Medaglia d'argento al VM: «Assunto il comando di un reggimento d'artiglieria da campagna nella imminenza di una battaglia, dirigeva il fuoco delle sue batterie con perizia ed ardimento da un osservatorio esposto e battuto sull'argine del Piave. Avanzando oltre il Piave con i reparti di fanteria fin sulle prime linee allo scopo di raccogliere la maggior somma di elementi sulla situazione, veniva a trovarsi in zona vivamente battuta da fucileria e mitragliatrici nemiche e, sebbene i pochi organi del suo comando fossero ridotti per la perdita di un ufficiale caduto ferito a lui dappresso, dava con calma e serenità esemplari tutte le disposizioni che la situazione richiedeva - Piave 28(29 ottobre 1918». Ufficiale dell'Ordine Militare di Savoia: «Colonnello di artiglieria militare, di inesauribile attività, di provato coraggio, rese eminenti servizi
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-
nel campo dei più elevati studi presso il Comando Supremo e portò valido contributo alla vittoria finale delle nostre armi, dimostrando, nel fervore della battaglia, di accoppiare al senno derivantegli dalle salde conoscenze dottrinali, doti ammirevoli di comandante e di soldato. Zona di guerra, maggio-novembre 1918». Comandante dell'Ordine Militare di Savoia: «Generale designato d'armata di illuminata capacità militare e di altissima fede. Dedicò tutte le sue energie di carattere, di intelletto, di cultura per forgiare della sua Armata un blocco granitico di decisione e di eroismo. Con avveduti e tempestivi ordini portava le sue truppe a brillante ed eroica vittoria con un nemico agguerrito e deciso - Battaglia delle Alpi, 1940».
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Mussolini e Pétain
CAMILLO GROSSI Generale di Corpo d'Annata designato Presidente della CIAF dall'8 dicembre 1940 al 16 gi~gno 1941 Nato a Grosseto il 30 settembre 1876. Sottotenente degli alpini nel 1896, dopo aver frequentato la scuola di guerra passò nel corpo di Stato Maggiore. Capitano nel m alpini per promozione e scelta del 1909. Con tale grado, nel maggio 1915, all'inizio della grande guerra, fu inviato ad impiantare e reggere l'ufficio staccato di SM d'Intendenza in Cervignano. Fra le difficoltà inerenti alla costituzione ed al primo funzionamento dei servizi, egli mantenne e svolse opera così intelligente, solerte e provvida nel far affluire mezzi e recuperare materiali in zone fortemente battute dall'artiglieria nemica da meritarsi un encomio solenne del comando dell'armata, prima e successivamente la promozione per merito di guerra a tenente colonnello. Con tale grado egli assunse la carica di capo di SM dell'intendenza. Calmo e sereno anche nelle ore più angosciose e solenni, la sua opera doveva riuscire singolarmente proficua durante il ripiegamento dell'armata nell'infausto autunno 1917, quando enormi furono le difficoltà da superare per mantenere salda ad ogni costo la coordinazione dei servizi d'intendenza e la loro prontezza ed efficacia di funzionamento fra le inevitabili incertezze di una situazione di guerra estremamente precaria. Promosso colonnello nell 'arrna di fanteria nel luglio 1917, venne, nel marzo 1918, messo a capo dell'ufficio stampa e propaganda presso il Comando Supremo. Questo ufficio ebbe larga parte nell'importante e difficile opera di ricostruzione dei valori morali dell'Esercito riuscendo a trarre risultati notevoli a beneficio di una più esatta valorizzazione dell'opera del nostro Esercito: la croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia concessa al colonnello Grossi di motu proprio di SM il Re fu degno riconoscimento dei suoi meriti. Nel marzo 1919, smobilitata I ' Intendenza generale, il colonnello Grossi fu prescelto quale capo dell'ufficio servizi allora creato presso il Comando supremo. Con mezzi limitatissimi assolse il difficile compito di coordinare i servizi delle annate, continuare la smobilitazione dei servizi stessi e dare opera alla rinascita delle terre liberate e redente. Capo ufficio operazioni dello stato maggiore del R. Esercito nel 1925 dopo aver tenuto due anni il comando del I reggimento alpini gli venne affidato l'incarico di costituire l'ufficio di coordinamento annesso al Gabinetto del Ministero della guerra col compito di coordinare l'opera delle direzioni generali militari del ministero e tenere il collegamento
Appendice
465
con lo stato maggiore del R. Esercito. Il colonnello Grossi formò il nuovo organo, ne fece un prezioso strumento di studio, di amministrazione e di comando. Grazie specialmente alla sua opera personale esso corrispose alle eccezionali esigenze di lavoro create dalla riorganizzazione dei servizi dipendenti dall'amministrazione centrale. In questo periodo di attività la sua competenza e il suo accorto discernimento ebbero gran parte nello studio e nella compilazione dei progetti di legge militare. La sua sensibilità spiccatissima nell'interpretare situazioni militari e politiche e nel valutare parole e fatti ne fece alla fine del 1925, nella carica di capo di Gabinetto, il più immediato collaboratore del Ministro. Nominato comandante della divisione militare territoriale di Cuneo e successivamente nel 1935, comandante il corpo d'armata di Torino, il generale Grossi consacrò la sua dottrina ad approfondire lo studio di tutte le questioni interessanti la difesa del territorio da quel profondo conoscitore che egli è della frontiera, delle sue risorse e delle sue possibilità. Il 1° ottobre 1937 gli venne conferita la carica di designato d'armata (IV Verona) dalla quale cessò il 1° dicembre 1939 perché nominato comandante_del gruppo armate dell'Est. Nominato presidente della CIAF 1'8 dicembre 1941, dura in carica fino al 16 giugno 1942, giorno della sua morte.
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ARTURO VACCA MAGGIOLINI Generale di Corpo d'Armata designato Presidente della CIAF dal 16 giugno 1941 al 9 settembre 1943 Nato il 22 novembre 1872 a Pinerolo. Allievo nel collegio militare di Milano il 1° ottobre 1885. Sottotenente nello SM del Genio destinato in qualità di allievo alla Scuola d 'applicazione d'Artiglieria e Genio (4 settembre 1893). Tenente nel Reggimento artiglieria da montagna (1 settembre 1895). Tale destinato alle R. Truppe partenti per l'Africa (19 dicembre 1895). Tale partito per l'Italia per rimpatrio ed imbarcato a Massaua ( 12 giugno 1986). Tale in servizio di SM e destinato al comando della divisione militare di Alessandria (4 maggio 1905). Capitano nel 17° Reggimento Artiglieria da campagna (19 settembre 1907). Tale trasferito al comando del corpo di SM (26 ottobre 1911). Conferitagli la qualifica di primo capitano (29 marzo 1915). Maggiore nell'arma di artiglieria comandato al comando del corpo di SM (8 aprile 1915). Tale in territorio dichiarato in stato di guerra (25 maggio 1915). Tenente colonnello dal 13 dicembre 1915. Colonnello nell'arma di artiglieria (25 febbraio 1917). Tale trasferito nel corpo di SM (28 giugno 1917). Trasferito quale capo di SM presso il governo della Libia (30 luglio 1918). Rientrato in Italia per rimpatrio (10 ottobre 1919). Nominato insegnante titolare nella scuola di guerra (1° giugno 1922). Nominato comandante del 1° Reggimento artiglieria pesante (15 febbraio 1924). Generale di brigata e nominato comandante della brigata Cuneo (14 giugno 1925). Cessa dal comando della VI brigata ed è nominato addetto al comando del corpo di SM (10 febbraio 1927). Generale di divisione dal 1° gennaio 1929. Cessa dalla carica di addetto al comando di SM ed è nominato dal 16 giugno 1929 comandante la divisione militare territoriale di Trieste. Cessa dal comando precedente ed è nominato comandante in seconda del corpo di SM (15 ottobre 1932).
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Generale di corpo d'armata del 26 marzo 1933. Nominato comandante il corpo d'armata territoriale di Bologna (28 settembre 1933). Destinato al ministero della Guerra per incarichi speciali (25 marzo 1937). Collocato fuori quadro per limiti di comando dal 1° luglio 1937. Conferito il rango dì generale di corpo d'armata designato per il comando d'armata (I O luglio 1937). Collocato in ausiliaria per età dal 22 novembre 1938. Richiamato in servizio dal 16 giugno 1941. Nominato dal 16 giugno 1941 Presidente della CIAF. Ricollocato in congedo il 9 settembre 1943. Morto a Roma il 30 luglio 1959. TITOLI, CAMPAGNE E DECORAZIONI
Senatore del Regno con RD 25 marzo 1939. Riportò una lesione alla mano destra (9 maggio 1894). Campagna d'Africa 1895-96. Decorato dalla medaglia di bronzo al valor militare perché nella battaglia di Adua diresse con sangue freddo ed efficacia il fuoco della propria sezione durante il combattimento (11 marzo 1898). Autorizzato a fregiarsi della croce d'oro per anzianità di servizio (7 marzo 1914). Cavaliere nell'Ordine della corona d'Italia (5 giugno 1915). Cavaliere nell'Ordine di SS. Maurizio e Lazzaro (9 gennaio 1917). Campagna dì guerra 1915-18. Concessa la croce al merito di guerra (8 luglio 1918). Decorato dalla croce di cavaliere dell'Ordine militare di Savoia: «Capo di Stato Maggiore dì corpo d'armata, in circostanze eccezionalmente difficili e sotto costante pressione del nemico, collaborò con acuta intelligenza, prontezza e avvedutezza alla vasta e complessa organizzazione difensiva del settore attraverso difficoltà che sembrano insormontabili, portando sempre e dovunque una nota animatrice ed energica. Con fede ed infaticabile ardore, con illuminata perizia e con alto sentimento del dovere attese al multifonne lavoro di pensiero e di azione dimostrando nelle più critiche circostanze calma esemplare e sereno coraggio - Carso - Tagliamento - Piave, 7 ottobre-25 novembre 1917», RD 24 luglio 1919. Decorato alla medaglia d'argento al valor militare: «Sotto il fuoco nemico, fu esempio di alto spirito militare e di profondo sentimento del dovere; compiendo arrischiate ricognizioni lungo l'Isonzo, per la scelta
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dei passaggi del fiume, recandosi più volte sulla fronte della battaglia per incitare le colonne attaccanti ad avanzare, dirigere combattimenti ed assumere informazioni sullo svolgimento dell'azione. Travolto dallo scoppio di un proiettile continuava nel suo mandato. Alto Isonzo Monte Breg - 10-29 agosto 1917», RD 2 ottobre 1924. Autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa col motto «Libia» dal governo della Tripolitania, 27 settembre 1919. Ufficiale nell'Ordine della corona d'Italia per speciali benemerenze acquistate in dipendenza della guerra 1915-18, RD 27 settembre 1919. Decorato dalla medaglia commemorativa nazionale della guerra 191518 ed autorizzato ad apporre sul nastro della medaglia le fascette corrispondenti agli anni di campagna 1915-1916-1917 e 1918. Decorato dalla medaglia interalleata della Vittoria (16 dicembre 1920). Decorato della medaglia a ricordo l'Unità d'Italia (1 ottobre 1922). Commendatore nell'Ordine della Corona d'Italia in considerazione di lunghi e buoni servizi (31 dicembre 1925). Autorizzato ad aggiungere la Corona Reale alla croce d'oro per anzianità (2 gennaio 1926). Ufficiale nell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro in considerazione di lunghi e buoni servizi (1 giugno 1930). Grand'Ufficiale nell'Ordine della Corona d'Italia (20 aprile 1933). Ufficiale nell'Ordine coloniale della Stella d'Italia (27 marzo 1933). Commendatore nell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (31 maggio 1934). Decorato dalla medaglia Mauriziana per merito militare di dieci lustri (24 gennaio 1935). Cavaliere di Gran Croce nell'Ordine della Corona d'Italia (14 novembre 1935). Commendatore nell'Ordine coloniale della Stella d'Italia ( 16 luglio 1936). Grand'Ufficiale nell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (14 gennaio 1937). Cavaliere di Gran Croce nell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro (20 marzo 1939). Grand 'Ufficiale nell'Ordine coloniale della Stella d'Italia (8 maggio 1939). Non ammesso a senso dell'art. 11 del DL 4 marzo 1948 a fruire dei benefici di guerra per aver prestato giuramento alla sedicente repubblica sociale italiana (13 dicembre 1950).
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EMILE ANDRÉ HENRI DUPLAT Vice-Amiral d'escadre Président de la Délegation française auprès de la Commission ltalienne d' Armistice du 11 aoùt 1940 au 9 septembre I 943. Né le 6 septembre 1880 au Havre (Loire-lnférieure). Fils d'un Courtier. Entré au servicele ler octobre 1898. Aspirant de 2ème classe le ler aoOt 1900 et de lère classe le 5 octobre 1901. Enseigne de Vaisseau le 5 octobre 1903. A sa sortie de l'Ecole d'Application («Duguay-Trouin») en 1902 fait campagne en Extreme-Orient d 'abord sur le croiseur «ChasseloupLaubat» puis sur le croiseur «Friant» et enfin sur le croiseur «Pascal» (1902-03). Embarqué en 1904 sur le cuirassé «Massena» de l'Escadre du Nord. Embarqué ensuite sur le croiseur-cuirassé «Dupleix» dans la Division Navale del' Atlantique (1904-05). Suit en 1907 les cours de l'Ecole des Officiers Torpilleurs en sort avec un TOS du Ministre. Embarqué à sa sortie de l 'Ecole sur le cuirassé «Liberté» en qualité d'adjoint à l'Officier Torpilleur. Embarqué en 1910 comme second sur le sous-marin «Archimede». Promu Lieutenant de Vaisseau le Ier avri I I 911. Nommé au commendement du sous-marin «Aigrette» (en 1911-12-13). Prend le commandement d'un torpilleur d'exercice de Brest en 1914 puis d'une Division de Torpilleurs (1915). Chevalier de la Légion d'Honneur le 26 juin 1915. Sert à la Division Navale des Bases de l' Armée en Orient (croiseur auxiliaire «Gascogne») (1916) età la Base de Moudros et de Salonique. Passe ensuite à l'Etat-Major de la Division d'Orient (1916) en qualité d 'Aide de camp. Appelé en service à Paris en 1918 et Affecté à la Direction Générale de la Guerre sous-marine. Nommé au commandement de l'aviso «Suippe» (1918). Promu Capitaine de Corvette le l Ojuillet 1919. Suit les Cours de l'Ecole Supérieure de Marine (1920). Affecté en 1921 à l 'Etat-Major de l'Escadre de la Méditerranée (1921-23). Promu Capitaine de Frégate le l Ojanvier 1922.
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Officier de la Légion d'Honneur du 27 Décembre 1924. En 1924 est nommé au commandement de la lère Escadrille de sousmarins (1924-25). Secrétaire du Conseil Supérieur de la Marine et Membre de la Commission du Règlement d' Armement (1926-27). Auditeur au Centre des Hautes Etudes NavaJes (1928). Promu Capitaine de Vaisseau le ler avril 1927. Nommé en 1928 au commandement du croiseur «Lamotte Picquet» (1928-30). A son débarquement du «Lamotte-Picquet» prend les fonctions de Chef du ler Bureau de l'Etat-Major Général (1930-32). Nommé Contre-Amiral le 4 décembre 1932. Commandeur de la Légion d'Honneur du 30 décembre 1933. Prend le commandement du Secteur Maritime de Toulon (1933-34). Nommé en Septembre 1934 au commandement de la 4ème Division Légère et du Groupe des Contre-Torpilleurs de la 2ème Escadre (19341936). Appelé aux fonctions de Directeur du Personnel Militaire de la Flotte en mai 1936, fonctions qu' il occupe jusqu 'en mai 1939. Promu Vice-Amiral le 15 mai 1937 avec rang de Vice-Amiral d'Escadre le 30 juin 1939. Nommé en mai 1939 au Cornmandement de la 3ème Escadre et de la l ère Escadre de Croiseurs. Prend rang d' Amiral le 29 juillet 1940 et nommé Président de la Délégation Française auprès de la Comrnission Italienne d'Armistice à Turin le 11 aout 1940. Promu Grand Officier de la Légion d 'Honneur le 1° juillet 1941. Piacé dans la 2° Section du cadre des Officiers Généraux, par application de la mesure sur la limite d'age le 1° septembre 1942 et maintenu en activité pour continuer ses fonctions à Turin. L' Amiral Duplat est Officier du Mérite maritime et titulaire de nombreuses décorations Françaises et étrangères. Mort à Paris le 30 juillet 1945. Publication: Affaires de Grèce (] 0 sem. 1917), Paris, Centre des Hautes Etudes Navales, 1928, 48 p.
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HENRI PARISOT GénéraJ de Corps d 'Armée. Vice Président de la Délégation française auprès de la Commission Italienne d'Armistice du 27 juin 1940 au 9 septembre 1943. Né le 2 aout 1881 à Troyes. Élève à l'Ecole spéciale militaire du 26 octobre 1899. Sous lieutenant au 4° régiment d'infanterie (1 octobre 1901). Stagiaire à l'Etat Major (18 octobre 1908). Capitaine au 27° régiment d'Infanterie (27 mars 1913). Chef de bataillon à l'Etat Major de ]a 5° Armée (6 juillet 1917). Lieutenant col. à l 'Etat Major du Mar. Foch (25 décembre 1925). Colone! au 129° régiment d'Infanterie (24 juin 1930). Attaché militaire auprès de l' Ambassade de France à Rome (17 juin 1933). Général de brigade auprès de l'Etat Major de l' Armée (11 octobre I 934). Attaché militaire auprès de l' Ambassade de France à Rome (6 décembre 1939). Général de corps d 'Armée à la Délégation française à la CIAF de Turin (25 juin 1940). Atteint par la limite d'age le 2 aout 1941 mais maintenu en activité jusqu'à nouvel ordre au titre de la CIAF de Turin (28 juille 1941). Au cadre de réserve sans emploi à partir du 1° janvier 1943. Décédé le 17 mars 1963 à Nice (A.M.). ClTATION E DÉCORATIONS
Ordre n. 148 de la 4° Armée du 21 décembre 1914: «A, depuis le début de la campagne, rempli de nombreuses et difficiles missions. Durant la bataille de la Marne, a su grace à son activité, à son sang froid età son tact renseigner à tout instant et exactement le comandant de l'armée sur une partie du front particulièrement menacée; a exécuté depuis les premières lignes une série de précieuses reconnaissances dans lesquelles il a fait preuve d'une vive intelligence et d'un grand courage». Chevalier de la Légion d'honneur (3 mai 1916). Croix de guerre, officier de la Légion d'Honneur (28 décembre 1928). Commandeur de la Légion d'Honneur le 25 juin 1941. Grand Officier de la Légion d'Honneur le 26 mars 1955.
TOMO SECONDO DOCUMENTI
INDICE GENERALE
Prefazione I DOCUMENTI ANNO 1940
1. Primo progetto di armistizio tra Italia e Francia (21 giugno) 2. Il testo presentato alla Delegazione francese (23 giugno) 3. La relazione della Delegazione francese sul testo del progetto di armistizio presentato a Villa Incisa (24 giugno) 4. Memoria italiana sulla smilitarizzazione (24 giugno) 5. Testo definitivo della Convenzione di armistizio tra Italia e Francia (24 giugno) 6. Organizzazione e compiti della CIAF (25 giugno) 7. Ordinanza di creazione della CIAF (27 giugno) 8. Gli accordi italo-tedeschi di Wiesbaden (29 giugno) 9. Bando del Duce sui territori occupati (30 luglio) 10. Le direttive strategiche del Duce dopo la resa francese (31 luglio) 11. I timori italiani circa l'esecuzione dell'armistizio (7 agosto) 12. Processo verbale dell'incontro tra l'amm. Duplat ed il gen. Pintor (29 agosto) 13. Memorandum francese sulla sospensione del disarmo (4 settembre) 14. Lettera del ministro Huntzinger al mar. Badoglio (16 settembre)
15. I problemi del Levante francese alla CIAF (3 dicembre) 16. Ordinanza del Duce con la quale viene nominato il gen. Camillo Grossi presidente della CIAF (8 dicembre) 17. Nota dell'amm. Duplat al presidente della CIAF sulla Siria (11 dicembre)
ANNO 1941 18. Processo verbale sul rimpatrio degli italiani dalla Francia (4 febbraio) 19. La figura di mons. Paul Rémond, vescovo di Nizza secondo la ClAF (26 marzo) 20. L'armistizio e la situazione in Tunisia (21 maggio) 21. Il movimento arabo in Medio Oriente e la sua utilizzazione (4 giugno) 22. Ordinanza del Duce con la quale viene nominato il gen. Arturo Vacca Maggiolini presidente della CIAF (16 giugno) 23. Lettera Dentz-De Giorgis sul ritiro della Delegazione italiana 24. Processo verbale del colloquio tra il Duce ed il gen. Vacca Maggiolini (12 luglio) 25. Processo verbale del colloquio tra il Duce ed il gen. Vacca Maggiolini (15 agosto) 26. Nota verbale del gen. Vacca Maggiolini aJl'amm. Duplat (23 agosto) 27. Nota verbale dell'amm. Duplat al gen. Vacca Maggiolini (30 agosto) 28. Nota verbale del gen. Vacca Maggiolini all'amm. Duplat (2 settembre) 29. Verbale delle riunioni di Gardone tra la CIAF e la CTA (9-13 settembre) 30. Processo verbale del colloquio tra il Duce ed il gen. Vacca Maggiolini (5 settembre) 31. Evoluzione della situazione politica tunisina (24 ottobre) 32. Relazione del gen. Vacca Maggiolini al gen. Cavallero sui colloqui della CIAF a Vichy (17 novembre)
33. I protocolli degli accordi economici di Roma (22 novembre) 34. Promemoria del gen. Vacca Maggiolini al ministro degli Affari Esteri Ciano sui rapporti italo-francesi (8 dicembre) 35. Protesta del gen. Vacca Maggiolini per disposizioni francesi circa i porti tunisini (17 dicembre) 36. Memorandum dell'amm. Michelier alla conferenza di Wiesbaden (21 dicembre) 37. La situazione politica in Tunisia (22 dicembre) 38. Processo verbale del colloquio del Duce con il gen. Vacca Maggiolini (25 dicembre) 39. I colloqui del gen. Vacca Maggiolini a Roma (26-28 dicembre) 40. Appunti relativi al colloquio Vacca Maggiolini-Duplat (30 dicembre)
ANNO 1942 41. Memento francese all'Italia (13 gennaio) 42. Processo verbale del colloquio del Duce con il geo. Vacca Maggiolini (14 gennaio) 43. Colloquio del gen. Vacca Maggiolini con l'amm. Duplat (23 gennaio) 44. Denuncia francese degli accordi «delta» e «gamma» (11 febbraio) 45. Protesta della CIAF contro la denuncia francese (12 febbraio) 46. Gli accordi economici di Roma (6 marzo) 47. Processo verbale del colloquio del Duce con il gen. Vacca Maggiolini (31 marzo) 48. Rapporto del gen. Vacca Maggiolini al Comando Supremo (11 aprile) 49. Lettera del gen. Vacca Maggiolini al Capo di Stato Maggiore Generale circa il convegno di Friedrichshafen (1 giugno) 50. L'ordine del giorno dei lavori del convegno di Friedrichshafen (10-17 giugno)
51. I rapporti italo-francesi illustrati a Friedrichshafen (8 giugno) 52. Processo verbale del colloquio del Duce con il gen. Vacca Maggiolini (21 giugno) 53. Processo verbale del colloquio del Duce con il gen. Vacca Maggiolini ( 17 settembre) 54. L'ordjne del giorno del convegno di Venezia (22-28 settembre) 55. Processo verbale del colloquio del Duce con il gen. Vacca Maggiolini (3 ottobre) 56. Regolamento per la riattivazione ed esercizio della Centrale idroelettrica di Fontano (9 ottobre) 57. Gli «accordi di Mentone» (20 ottobre) 58. La relazione Parisot sull'occupazione della Provenza (13 novembre)
ANNO 1943 59. Processo verbale del colloquio del Duce con il gen. Vacca Maggiolini (12 febbraio) 60. I rapporti tra la CIAF e la IV Armata (10 marzo) 61. L'abolizione delle sottocommissioni militari del la CIAF (30 marzo) 62. Depositi clandestini di armi e di materiale bellico scoperti dalla CIAF (28 marzo) 63. Bando sull'ordine pubblico nella Francia occupata (16 agosto) Indice dei nomi del Primo e del Secondo Tomo