NUOVO MODELLO DI DIFESA FINE DI UN ESERCITO?

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"La guerra non è sempre il risultato di una libera decisione politica, e lo è tanto meno quando vi. è grande squilibrio di forze". (Karl von Clausewitz, Della Guerra, Libro quinto, lii).

Ricerca iconografica: Fanny Bufalini

Fonte delle illustrazioni: Stato Maggiore Esercito - V Reparto - Ufficio Documentazione e Attività Promozionali


Piero Baroni

Nuovo modello di difesa FINE DI UN ESERCITO? ·


© Copyright EDI.POL - Ciarrapico Editore, 1991 Via Alessandro Specchi, 10 - 00186 Roma Stampa: Printed in Italy EURO GRAFICA Via delle Vigne, 57/b 00148 Roma - Tel. 06/65.53.606 ISBN 88-7518-045-8


Premessa

"Ti scrive un amico di Romania. Sto guardando con un po' di paura alla situazione di Mosca: che accadrà se i generali russi cambieranno la loro posizione? Siamo stati, siamo e saremo sempre vidni ai russi e, senza scherzare, ho un po' di paura che, in una mattina, quando mi sveglierò vedrò di nuovo, come negli anni '50, i carri armati russi sulle nostre strade! Ho conosciuto molti russi e non posso credere che loro abbiano rinunciato, così facilmente, ai loro atteggiamenti dominatori che, a cominciare da Pietro il Grande hanno cambiato tante volte la mappa d'Europa, e non solo! Speriamo che nel futuro non sarà più così. .. ". La lettera reca la data del 22 Maggio 1991. Il 19 Agosto 1991 le preoccupazioni si sono concretizzate, a Mosca. Sciolto il Patto di Varsavia, avviato, con difficoltà e residui di difttdenza, il processo di democratizzazione e del pluralismo politico nell'est europeo e nell'Unione Sovietica, messe in cantiere e in parte varate le procedure internazionali della collaborazione economica, è accaduto che in Italia - e in forma più accentuata rispetto agli altri Paesi occidentali si è immediatamente ritenuto indispensabile e indilazionabile ridurre le spese militari già estremamente esigue rispetto alla media NATO. Nell'indifferenza della pubblica opinione, se non per la parte convinta di poter eludere un obbligo, altrimenti, un tempo, definito dovere. Autorevoli diplomatici occidentali hanno dovuto ammettere, con evidente imbarazzo, di essere stati colti di sorpresa dagli avvenimenti scoppiati al Cremlino e se questo è comprensibile, nel contempo rafforza i dubbi sulla attendibilità di certi orientamenti che si vogliono tramutare in· norme e in politica. Quale affidamento attribuire a legislatori disponibili a decretare la liquidazione di ·un esercito sulla base di garanzie inesistenti e in presenza di una situazione internazionale incontrollabile? Quale credibilità assegnare a un sistema di informazioni e a una diplomazia che nell'arco di dodici mesi si sino fatti cogliere impreparati a fronte di avvenimenti come l'invasione del Kuwait e il colpo di stato a Mosca? Come valutare una linea operativa politica articolata sulla man-

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canza di un retroterra informativo adeguato e costantemente aggiornato e, ciò nonostante, drasticamente decisa ad attuare provvedimenti in stridente contrasto con le più elementari misure cautelative? Come giudicare una dottrina politica per troppo tempo aggrappata alle alchimie e ai sottili distinguo nei riguardi dei paesi baltici? E poiché non è pensabile una superficialità di tal genere, quale il movente aJl'origine di una condotta così improvvida? L'epilogo del colpo di stato a Mosca non autorizzata né legittima alcun trionfalismo. La vicenda rimane oscura nella sua gestazione, nell'effettiva dinamica e nei risvolti, ma chiarissima nel significato e non tange l'essenza della questione, anzi la rafforza, indicando senza equivoci l'esistenza di rischi, il permanere di voragini e di campi minati. Finito il colpo di stato rimangono i sospetti e i dubbi. Più pericolosi delle opposizioni conclamate. Non sarà facile riprendere il cammino interrotto come se nulla fosse accaduto. Gli interrogativi si infittiscono, riguardano non solo la situazione al vertice e i rapporti futuri tra Gorbaciov ed Eltzin, ma anche la delicata questione delle varie repubbliche decise a conquistare l'indipendenza dopo averla proclamata e, ancora, l'orientamento degli occidentali. È necessario posizionarsi nell'ottica del versante occidentale per rimarcare l'esigenza di una maggiore freddezza di apprezzamenti. Un paese evoluto e avanzato dovrebbe avere una serie di punti fermi sui quali sviluppare il suo divenire e il non sempre facile affinamento intellettuale. La provvisorietà e l'improvvisazione impediscono una costruzione razionale, ne compromettono la stabilità, comprimono e vanificano la produttività e creano sprechi. Dove tutto è sempre in discussione si ha, inoltre, la perdita di tempo, un costo economico secco e non recuperabile e non ammortizzabile, soggetto alla rivalutazione più che proporzionale, con una pressione negativa continuamente indicizzata e ovviamente di segno opposto al reddito prodotto dai cosiddetti partners. Reddito commisurabile non solo in beni e servizi, ma anche in processi tecnologici, ricerca pura e applicata, programmi e produzione di intelligenze finalizzate. Un rapporto costantemente sottovalutato è quello delle redditività che non si riduce solo alla relazione costo - efficacia, ma investe anche il corretto e funzionale impiego delle risorse umane in tutte le fasi del procedimento costruttivo. Nonostante vi siano delle iniziative sparse, pregevoli

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nelle intenzioni, ma purtroppo scarsamente efficaci per la natura stessa che le informa, siamo ancora ben lontani dallo sfruttamento adeguato e possibile del potenziale e questo perché i criteri adottati rifuggono dalla qualità e dall'appuramento progressivo, rimanendo ancorati alla logica del gruppo, dell'ideologia, dell'interesse, alla tattica suggerita dalla conservazione del territorio controllato, condizione irrinunciabile e ragione stessa della sopravvivenza, mancando ogni altra finalità. Una visione angusta, ripiegata su se stessa, gelosa delle sue prerogative, appagata dagli effetti determinanti del suo stesso esistere e motivata, nella sua esistenza, dalla possibilità di condizionare in quanto inserita in una cerchia dove il reciproco condizionamento genera l'equilibrio instabile, provvisorio, fragile e quindi intellettualmente non creativo, spento e solo protettivo. Un protezionismo assolutamente privo di immaginazione, di fantasia e di genialità; codino, bigotto, ottuso; iroso verso tutto ciò che rifiuti il suo "primato", verso i cosiddetti spiriti liberi. Ne scaturisce una catena sempre più pesante, un inviluppo goffo, farraginoso, la classica spirale, incapace di sviluppare potenza in quanto divoratrice della sua stessa energia, essenziale per non crollare, ma tendenzialmente risucchiata dal suo interno, vuoto. Un accavallarsi disordinato e caotico, in cui le risorse vengono utilizzate esclusivamente per alimentare il meccanismo, dove non è consentita, anzi aspramente combattuta, ogni manovra tendente a trasformare l'energia in movimento. Le idee sono più pericolose dell'aids. Chi sa pensare e si azzarda a farlo viene emarginato. Una condizione riscontrabile in troppi ambienti anche se - alJa verifica - si nega l'evidenza. È la controprova. I risultati si notano, malheureusement, nei riscontri con l'estero, dove certo non sono assenti difetti e storture, ma dove, conti alla mano, il reddito umano è più consistente e il patrimonio intellettuale, scientifico e tecnologico è di ben altro valore intrinseco e finanziario. Anche in paesi con una popolazione notevolmente inferiore per numero e conseguentemente - per base selettiva. Il metro di valutazione che ispira la strategia nazionale non sembra essere quello della capacità agonistica in campo internazionale bensì quello del controllo interno, forse anche perché il cosiddetto sistema con le sue oscillazioni assorbe tale e tanta ricchezza da procreare appendici protese a distaccarsi dal nucleo, sempre meno compatto, al fine di gestire autonomamente le capacità, i mezzi, gli obiettivi. Una

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frammentazione esiziale che depaupera, ulteriormente il patrimonio, segmenta il potenziale riducendone le capacità, annullandone in massima parte il potere realizzativo e negoziale, in pratica il prestigio o il peso specifico alla borsa politica internazionale, quotazione derivata dai parametri economico-scientifico-tecnologici. Il sistema difensivo di uno stato è l'espressione complessiva del suo livello umano, dove umano sta per insieme dei requisiti intellettuali, sociali e psicologici e dove sistema difensivo racchiude il concetto di sicurezza globale, nulla escluso, neppure l'equità contributiva e la relativa individuazione degli evasori con ciò che ne consegue. E non solo degli evasori fiscali. Il cosiddetto senso dello Stato scaturisce anche da questo concetto, oltre che da una sana e corretta amministrazione pubblica. La premessa è ritenuta necessaria, si potrebbe dire propedeutica, all'argomento affrontato nelle pagine che seguono. Si è evitato ogni facile, ma inutile, riferimento agli aspetti anche lontanamente collegabili con le componenti emotive perché la fase storica richiede praticità e concretezza e perché l'argomento ESERCITO pur essendo ricchissimo di episodi non può essere ridotto a una rassegna di valore, di valori, di errori o di vittorie e di sconfitte. L'Esercito e le altre Forze Armate sono e devono essere una componente attiva, e non avulsa, della storia futura per il semplice fatto che senza un sistema difensivo e di presenza concreta ove necessiti, non si fa parte della storia moderna e tanto meno lo si farà nel prossimo futuro. Da almeno duecento anni lo dimostrano gli inglesi, i francesi, seguiti da tedeschi, russi, americani e giapponesi. Una lezione che - sia pure con ritardi variamente spiegabili - hanno appreso anche altri, qualcuno anche da noi. In caso contrario la storia la si subisce. E a caro prezzo. Ciò non significa aggressività, imperialismo o altro del genere. Significa non trasformarsi in appendici amorfe di un'area geo-politica che ci ha consentito, persino contro la volontà di tanti di noi, di raggiungere risultati, discreti, soddisfacenti e, in alcuni settori, persino brillanti. Un esercito moderno, dimensionato adeguatamente e non ridotto a una guardia meramente rappresentativa, è uno dei cardini essenziali. E questo lo si afferma chiaramente a fronte di chi, con argomentazioni sovente subdole e pretestuose, agisce sostanzialmente come fanno i tarli.

P. B.

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INTRODUZIONE

Che cosa accadrà in Europa nei prossimi anni? Come si orienteranno i Paesi ex satelliti dell'Unione Sovietica e le repubbliche che hanno proclamato l'indipendenza dall'Urss? Il fabbisogno economico-finanziario, tecnologico ed energetico favorirà intese nell'ambito di una nuova unione e con l'occidente, ma quale sarà la scelta strategica? Sarà, possibile uno sganciamento dall'area sovietica (o, più correttamente, russa) oppure rimarrà un'ipoteca, sotto forma di accordo, sull'esempio della Finlandia e dell'Austria? Tornerà in auge il progetto a suo tempo ventilato, ma come pretesto, di un'area neutrale al centro dell'Europa? E come si comporterà la Germania, sostanzialmente critica nei confronti della NATO, ma soprattutto insofferente dei condizionamenti gravanti da troppo tempo sulle sue ambizioni e sul suo potenziale economicoindustriale? Il riconoscimento dell'indipendenza delle repubbliche baltiche da parte degli Stati Uniti e il contemporaneo sostegno agli sforzi di Gorbaciov per fondare un nuovo tipo di unione basato sul diritto delle repubbliche di scegliere il loro avvenire, sottolinea le sottigliezze politiche e diplomatiche in essere e la fragilit~ degli sviluppi in via di delineazione nell'Europa orientale. Una fase estremamente fluida in cui è difficile intravedere quali potranno essere gli aggiustamenti di qualche entità ai quali in certa misura ancorare gli apprezzamenti e modellare le scelte. Alla crisi dell'Unione Sovietica si aggiunga quella jugoslava, non meno pericolosa. Sullo sfondo il progetto della conferenza di pace per il Medio Oriente, con i riflessi nel Vicino Oriente dove ancora ristagnano gli strascichi della guerra e permangono i contenziosi tra Irak e Iran, tra Irak e Arabia saudita, tra la Siria e Israele, con la questione palestinese in attesa di una soluzione. L'occidente è alle soglie di nuove decisioni riguardanti il sostegno economico ai Paesi dell'Europa orientale e all'Unione Sovietica, un programma che richiederà anni per sfociare in risultati visibili. Il

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caleidoscopio di entità economiche e di interlocutori si va facendo sempre più variopinto e al tempo stesso difficilmente suddivisibile in settori complessivi ben definiti. Contemporaneamente i vari paesi occidentali si trovano in concorrenza, e ciò infittisce ulteriormente il tappeto delle opzioni. Un capitolo ancora tutto da scrivere è quello dei futuri assetti strategici, per i quali non bastano i riferimenti agli attuali confini o a quelli sino alla metà del 1991 considerati definitivamente consolidati. Le dichiarazioni di indipendenza, gli scontri armati, i fuochi divampanti tra le varie etnie, le rivendicazioni, le ansie di affrancamento da condizioni di sudditanza delle minoranze e, su tutto, la necessità di individuare termini attendibili in un discorso a troppe voci, suggeriscono prudenza e richiedono tempo. Vi è poi un rischio gravissimo: quello dell'esodo da est verso ovest, che si aggiungerà a quello da sud verso nord già in atto da parecchio e che nei prossimi dieci, quindici anni diventerà ancora più consistente. Mentre nei Paesi in cui la democrazia e le nuove strutture statuali, intese nel senso più ampio del termine, si vanno lentamente e faticosamente costituendo; mentre le graduatorie dei problemi economici vanno imponendo la loro priorità assegnando i primi posti alle questioni alimentari, alla ristrutturazione delle industrie, alla fondazione delle premesse indispensabili all'avvio delJ'attività imprenditoriale basata sulla libera iniziativa, alla creazione di una nuova mentalità (un'impresa titanica considerata e la realtà da cui si prendono le mosse), le problematiche della sicurezza sembrano sfocate in un panorama dominato · dalla nebbia e dalle foschie. Ogni nuovo paese Ubero avrà il suo esercito, mentre i servizi di sicurezza continuano a funzionare e rappresentano un rebus le loro capacità di usare il patrimonio di informazioni acquisite negli ultimi quarantacinque anni quale merce di scambio e di pressione. Informazioni e contatti, legami e collegamenti non si cancellano dall'oggi al domani, e la valutazione vale anche per le regole della difesa, vincolate a situazioni geografiche, alla profondità delle zone solo presumibilmente considerabili a cuscinetto. La pianificazione· difensiva e controffensiva non si concretizza sul tamburo; richiede un lungo e approfondito lavoro preliminare. Se per l'occidente sono fondamentali

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le linee di rifornimento, quindi le rotte marittime, dal punto di vista terrestre assumono primario rilievo la coordinazione delle forze alleate e la ragnatela dei depositi, dei trasporti, delle comunicazioni, del movimento delle grandi unità, in una parola: la logistica. Seguono poi il comando e controllo e gli apprezzamenti non solo sulle possibili linee di penetrazione, ma sull'atteggiamento delle citate zone cuscinetto. Alla fine dell'estate 1991, in attesa delle decisioni sulla futura strategia della NATO e della sua stessa fisionomia, l'incertezza era l'unica garanzia reperibile, unitamente a una dose eccessiva di ottimismo sulle possibilità attribuibili alla diplomazia nel difficile compito concernente il raffreddamento della crisi jugoslava. Scongiurare il dilagare di una guerra rappresenta un buon risultato a condizione che si possa tagliare alla radice la causa originaria del conflitto. Il movente non deve essere immobilizzato e imbavagliato, altrimenti la soluzione viene solo rinviata. Altro argomento al centro dell'attenzione in quel periodo, il pendolo tra Gorbaciov e il suo rivale-salvatore Eltzin. Il problema non è tanto chi comanderà in Russia e nella eventuale futura Unione Sovietica, e neppure quale potrà essere la futura politica della più grande potenza europea, quanto piuttosto il tempo che essa impiegherà a riprendere il suo tradizionale cammino. Alcune domande si propongono per tentare di intuire: la Russia può essere considerata una Nazione? Le repubbliche che hanno proclamata l'indipendenza sapranno essere indipendenti o dovranno per ragioni geografiche, economiche, psicologiche, ricercare un modus vivendi con la Russia? Le repubbliche che ancora non hanno dichiarato l'indipendenza, ma ambiscono farlo, usciranno dall'indecisione e, nel caso Io facessero, cosa accadrà nelJe aree strategiche ed economiche ai confini con la Turchia, con l'Iran, con la Cina? La Finlandia riaprirà la questione dei territori annessi dalla Russia dopo il conflitto del 1939? L'elencazione delle ipotesi potrebbe continuare, ma a un certo punto subentrerebbe un ostacolo individuabile nell'interesse ad evitare uno sconvolgimento della carta geografica e nella proliferazione di nuovi Stati, ciascuno legittimato nella sua esistenza da documenti in linea di principio universalmente riconosciuti, ma politicamente in massima parte inaccettabili. E non c'è bisogno di guardare all'est per localizzare situazioni del genere.

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In un quadro internazionale, ed in particolare europeo, di taJ genere, Ja sicurezza e la difesa non sono da considerarsi secondarie, affermando il superamento dei blocchi, la fine della contrapposizione tra due schieramenti e due modi di intendere la vita, la società, gli uomini. Il più grande esercito esistente oggi non è stato smobilitato e non si sa quale potrà essere il suo vero ruolo quando si tratterà di arrivare alla stretta finale per il controllo del potere in quella che formalmente rimane ancora l'Unione Sovietica, perché nessuno, salvo errore, ne ha denunciato l'inesistenza o ne ha decretato la morte giuridica. Tanto è vero che c'è chi ne é uscito e chi intende o si appresta a farlo. Dal punto di osservazione europeo ed europeo mediterraneo i] panorama appare nebuloso, se chi osserva sappia distinguere tra intenzioni e realtà oggettive. La cintura protettiva dell'Unione Sovietica a occidente non esiste più. Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria politicamente si sono affrancate dalla dominazione, ma economicamente non possono ignorare Ja situazione geografica, il contatto fisico con gli ex dominatori anche se questi dichiarino di essere cambiati, di non voler più utilizzare gli omicidi, le alleanze, la forza per imporre la loro pace, i1 loro ordine. Proprio nel settembre 1991 in piena bagarre moscovita, il ministro delle finanze polacco era nella capitale russa per colJoqui inerenti proposte economiche, probabilmente relative al contenzioso sorto per la fine della dominazione sovietica, ma in effetti legate a un rapporto che di fatto continua anche se, formalmente, tra due stati sovrani. Dal punto di vista strategico, i tre paesi citati rappresentano una fascia incerta. E poiché uno degli elementi deJla strategia globale è la politica, si dovrà valutare con molta attenzione quale sarà o potrebbe essere l'orientamento politico dei tre paesi citati per comprendere quale potrebbe rivelarsi il loro effettivo orientamento. Per un periodo piuttosto lungo è da escludere, salvo ovviamente condizioni straordinarie, un'aJJeanza ufficiale a occidente suscettibile di creare irritazione a Mosca, mentre sin da ora non si può escludere un accordo di altra natura. Con molta probabilità certe garanzie sono state date. Ciò nonostante e proprio per l'incertezza predominante al Cremlino, l'Europa occidentale e per essa la NATO non può considerare chiuso il discorso difesa, sicurezza, prevenzione, protezione. Se il livello di prontezza non dovrà più essere al limite registrato durante la guerra fredda, ciò non significa smobilitazione e liquidazione

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dell'apparato difensivo. La riduzione della minaccia diretta non deve tramutarsi nella convinzione dell'inutilità della difesa, bensì in un sistema più flessibile, efficiente, ma sempre proporzionato a ciò che deve essere comunque difeso. Bisogna ribaltare il concetto sin qui applicato. I Pershing e i Cruise vennero dislocati in Europa, non senza contrasti e polemiche a seguito del dispiegamento degli SS-20. L'Europa occidentale deve avere un sistema difensivo non per opporsi al potenziale militare sovietico, ma per la propria sicurezza oggettiva, prescindendo da quale sia o possa essere il futuro atteggiamento dei russi o di altri. Tenendo conto che in termjni strategici si deve fare il processo alle intenzioni. Quella che durante la guerra fredda venne solitamente definita Ja corsa agli armamenti in realtà era un duello a distanza sostanzialmente politico. Una forma particolare di guerra, definita da Clausewitz la continuazione della politica con altri mezzi. E un mezzo senza scopo, prosegue Clausewitz, non può mai concepirsi. Il principio si applica anche alla difesa: una difesa non proporzionata all'obiettivo da difendere non ha scopo. Diremo meglio, non ha senso. La difesa, si obietterà, ha ragion d'essere se esiste una minaccia anche soltanto ipotetica. Una difesa adeguata a una minaccia ipotetica ha la sua logica nel raggiungere l'obiettivo strategico che è al tempo stesso causa ed effetto della sua esistenza: mantenere la minaccia a livello ipotetico. Il risultato si ottiene disponendo di una difesa direttamente proporzionale alla minaccia, sia quantitativamente, sia qualitativamente. Non si può affermare: a minaccia ipotetica si opponga una difesa ipotetica, in quanto una minaccia ipotetica presume l'esistenza di uno strumento idoneo a passare da una fase statica a una dinamica, mentre una difesa ipotetica è un concetto puramente astratto. Gli strateghi predispongono una ipotesi di difesa sulla base di una ipcr tesi di minaccia. I sistemi informativi moderni lasciano poco spazio all'immaginazione come la mobilità strategica delle unità lascia poco tempo alla reazione. I sovietici hanno dislocato al di là degli Urali una aliquota molto forte del loro apparato militare convenzionale e missilistico. Ciò non significa che tale aliquota debba essere considerata una minaccia potenziale. Deve essere considerata una minaccia ipotetica, in quanto si tratta di uno strumento operativamente organizzato e comunque materialmente esistente. Ignorarlo equivarrebbe a escludere una possibilità.

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Una difesa efficace deve possedere il requisito della credibilità intendendo per credibilità la capacità di preteggere la realtà che le esprime dalla possibilità di una offesa; non dalla probabilità. Ma senza escludere che la possibilità si tramuti in probabilità. Escluderlo, dimensionando la difesa senza tenerne conto, segna il confine tra avvedutezza e rischio. Una ipotesi di difesa razionale consiste nel modo in cui impiegare uno strumento militare - uomini e mezzi - disponibili preventivamente e non stabilire quali uomini e quali mezzi reclutare e reperire quando la minaccia si concretizza o aumenta di probabilità.

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DISARMO UNILATERALE

Essere professionisti non significa fare solo un determinato mestiere a tempo pieno o avere una qualifica legalmente riconosciuta. È una condizione mentale, ed essa dipende da come si affronta il problema, dal modo in cui lo si risolve. La condizione è strettamente legata all'approccio psicologico, quindi discende da una educazione e da una formazione, da una motivazione di fondo, essa stessa nucleo morale, etico e deontologico dell'essere cittadini e non spettatori, dell'essere protagonisti della propria vita, quindi anche della propria sicurezza. Si è lavorato a fondo per demolire il concetto di Nazione e ci si trova di fronte a quanto accade nell'Europa orientale dove le risorte omogeneità etniche e culturali, in nessuna area esclusa, costituiscono la molla, il propellente dell'indipendenza sociale, politica, intellettuale. Quale sia stato, sia o possa essere l'esito delle rivoluzioni, il dato rimane inciso a fuoco nelle coscienze di quanti non abbiano svenduto o barattato la propria dignità e abbiano avuto il coraggio di voler vedere oltre i ristretti anfratti delle convenzioni e della neo-restaurazione. La mistificazione è divampata come la peste, come il colera. Dietro l'usbergo della pace ad ogni costo, sventolando lo straccip del pacifismo, definito la condizione ottimale dove collocare una società avanzata, combinando artatarnente la parola guerra con i termini difesa, esercito, armi, leva, si è costruito uno scenario ipocrita, falso, micidiale. L'epicentro del problema non è il tipo di esercito da realizzare, la sua dimensione, la sua tipologia, umana, tecnica, addestrativa e, quindi, operativa, quanto la consapevolezza profonda della sua irrinunciabilità non per esigenza indotta o salvaguardia imposta da situazioni esterne (che nessuno, in buona fede, può negare), ma per assioma.

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Sarebbe possibile una partita di calcio senza un qualsiasi tipo di pallone? Si può giocare senza le porte, senza le reti, senza guardalinee, persino senza arbitro, ma non senza un pallone, anche il più umile, di gomma o di stracci, come quelli della mia generazione hanno fatto, applicando la regola .del "tre corner un rigore". Il dibattito sul nuovo modello di difesa viene affrontato soprattutto nel settore politico, prescindendo dalla condizione essenziale. Le Forze Armate - e in particolare l'Esercito, per ragioni di numero, quindi di impatto sui giovani e sulle famiglie - sono un problema, un vero e proprio fastidio se non, addirittura, un fattore disgustoso. I politici sono fortemente sensibili agli umori della base elettorale e una parte non secondaria di essi, agli orientamenti degli ambienti tradizionalmente ostili alle Forze Armate e impegnati nella critica - anche gratuitamente feroce - verso tutto ciò che sia in unifonne e stellette. E questo con motivazioni non solo e non sempre ideali. Quali siano i limiti, i difetti dell'Esercito, prima di esprimere dei giudizi ultimativi bisogna prendere atto della realtà nella quale l'Esercito agisce. Il Capo di Stato Maggiore, Generale Goffredo Canino, ha scritto: "L'Esercito è per eccellenza basato sugli uomini. Un esercito democratico è basato, poi, su uomjni particolari, i cittadini". E ancora: "Anni di condizionamenti successivi lo hanno progressivamente mutato tanto da renderlo al limite della credibilità funzionale". "Si parla sempre di unità, di numeri, di soldi. Non si parla mai di uomini!" (1) Gli anni ai quali fa riferimento il Generale Canino suggeriscono alcune riflessioni indispensabili allo sforzo finalizzato all'approfondimento di una questione come quella della difesa in un paese - scrive sempre il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito - "in cui mai c'è stato e mai ci sarà unanime consenso verso le Forze Armate". La discrasia tra società ed Esercito (non il contrario) dipende essenzialmente dall'impatto tra due concezioni etiche e soprattutto, nelle generazioni più giovani, da un più ampio distacco dalle tradizioni e dal modo differente di affrontare la vita e le responsabilità e da quello di intendere la disciplina, la condizione, la compartecipazione, il dovere. L'Esercito non rappresenta - come invece si afferma - uno strumento di

(I) Generale Goffredo Canino - "Uomini - Le risorse umane nel nuovo modello di difesa" Rivista Militare - Quaderno 1991.

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guerra, una macchina aggressiva e disumana, la negazione dell'individuo, della sua personalità, della sua dignità. Vi sono, e nessuno lo nega, delle carenze, delle sacche dove l'autoritarismo e perfino l'idiozia di alcuni elementi non sono ancora stati completamente neutralizzati, ma tutto ciò a livello marginale (ma non per questo giustificabile). Una situazione del tutto simile a quella riscontrabile nelle strutture civili e in queste ultime, sovente, più subdola e strisciante, infida e perniciosa, ma certamente non oggetto di campagne propagandistiche e di denunce. Nella globalità, l'Esercito, come le altre Forze Armate, è imperniato sul concetto della disciplina, del senso del dovere, della preparazione. Vi potranno essere elementi indotti o inclini all'assuefazione, alla routine, persino all'indolenza, ma ci si chiede se i condizionamenti sottolineati dal Generale Canino non abbiano una notevole responsabilità nella disaffezione che in buona misura potrebbe derivare dalla sfiducia, dalle frustrazioni, dal disagio prodotti dalla situazione, non certo agevole, nella quale i militari di carriera, o una certa aliquota di essi, hanno vissuto e vivono la loro esperienza. Esiste un diaframma tra la struttura decisionale dello Stato e i cittadini. Vi sono esigenze non discutibili nell'ambito ristretto delle istituzioni portanti dell'organizzazione statuale, ma criticabili nel campo politico in quanto mezzo strumentale della dialettica, vettore persuasivo spinto verso la pubblica opinione, argomento polarizzante e produttivo di consenso emotivo. La responsabilità di governo sovente cozza con la concezione ideologica e con la conseguente azione politica. Si crea un dualismo pesante, che può interferire nel quadro generale della sicurezza e degli impegni internazionali liberamente assunti. E, nel contempo, creare disorientamento e false convinzioni nei cittadini. Si discute sul modello di difesa, "sono già esecutivi dei provvedimenti che riducono di un quarto l'Esercito attuale e ne sono in "fieri" degli altri che, se approvati, lo vedrebbero ridotto ad una simbolica presenza". "Si continua a prospettare soluzioni ordinative non adeguate alle esigenze operative e ulteriori tagli di risorse finanziarie e umane" (2). Tutto ciò induce la pubblica opinione a dilatare il rilassamento, alimenta la convinzione - totalmente errata - del superamento definitivo (2) Generale Goffredo Canino op. cit.

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della crisi, del confronto, del rischio. L'Esercito deve essere ridotto; sono urgenti contrazioni, scioglimenti, soppressioni, trasferimenti, conglobamenti, riordinamenti. Questa la conclusione proclamata, diffusa e considerata definitiva dai destinatari ultimi, i cittadini. Eppure nei circoli responsabili, dove si conoscono esattamente i retroscena internazionali e dove l'ambiguo, ermetico linguaggio diplomatico può essere decifrato, è noto che la realtà è molto meno limpida e rosea di quanto non appaia, che si tenta di trovare una soluzione temporanea a problemi vecchi, mentre quelli nuovi si stanno accumulando, creando ulteriori contenziosi, ancora oscuri, alcuni in gestazione, ma non per questo sconosciuti o sottovalutabili. E questo nell'Europa orientale, nei Balcani, nel Nord Africa, nell'area del Golfo, nel Kurdistan. La pubblica opinione è tendenzialmente influenzabile e superficiale. Sulla scorta di informazioni frammentarie è indotta a trarre delle conclusioni sovente affrettate e comunque condizionate dall'ottica dei propri interessi. La logica informativa, episodica e cadenzata dagli avvenimenti più disparati, impedisce i collegamenti e la correlazione dei fatti nella successione corretta, quasi sempre distanziata nel tempo. Ne derivano conclusioni estemporanee, valutazioni sbrigative, epidermiche, considerazioni generiche. L'orizzonte è ristretto e non si scorge il rischio latente. Ciò spetta ai responsabili. Ma la complessità stessa dell'ordinamento politico, la molteplicità degli apprezzamenti, l'intrico degli interessi spesso e volentieri estranei al tema difesa-sicurezza, ma coinvolgenti in quando elettoralmente significativi, la mancanza di un timoniere affidabile nel comparto specifico, e le titubanze, le esitazioni, tutto ciò si tramuta in irresolutezza favorendo l'affermarsi delle decisioni capestro a danno delle Forze Armate e, particolarmente dell'Esercito, sotto il punto di vista della considerazione della gente. "In relazione al ruolo che si vuole svolgere nel consesso europeo, atlantico o addirittura mondiale occorre indicare con chiarezza quale apporto, contributo, sostegno, si intende fornire anche con le Forze Armate". "Non c'è la possibilità di sottrarsi ad impegni di sicurezza militare sempre più pressanti anche se operativamente sempre meno legati alla guerra tradizionale" (3). Concetti dimostrati dai fatti. (3) Generale Goffredo Canino - op. cit.

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La mancata percezione di essi ha determinato una eclissi nei rapporti internazionali dell'Italia. La citazione avrà un'adeguata trattazione più avanti in quanto costituisce il nucleo di queste note. Le parole del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito confermano l'esistenza del dualismo prima indicato e - a giudizio di chi scrive - l'inadeguatezza delle scelte adottate e in via di adozione sulla base di apprezzamenti non in sintonia con le prospettive ampiamente delineate dai recenti e recentissimi avvenimenti internazionali. L'Esercito, come le altre Forze Armate, deve fare i conti con i bilanci, con le modifiche strutturali, con le linee programmatiche approvate dal Parlamento. La politica della difesa deve cambiare perché è cambiato lo scenario internazionale. Su questo - entro certi limiti - non vi sono dubbi. Ma ciò non può equivalere a smantellare, demolire, liquidare. Lo dimostrano il "dopo guerra nel Golfo", la Jugoslavia, la questione albanese, lo conferma la necessità di essere in Europa a pieno titolo anche nel comparto difensivo, del fuori area, del sistema a tecnologia avanzata, nel quadro della produttività concettuale inerente la sicurezza e - infine - nell'ambito operativo. Quanto precede è indubbio nelle sfere responsabili, ma suscita discussioni, polemiche, contrasti nei circoU politici e intellettuali (e anche per ragioni non propriamente nobili) dove probabilmente la politica internazionale viene considerata, ma solo strumentalmente, del tutto ininfluente e dove permangono aree anti-occidentali e arbusti rinsecchiti a segnare i confini di concezioni legate a un neutralismo suicida. Il dibattito sul nuovo modello di difesa si è svolto e si sta svolgendo tra la sostanziale indifferenza dei mezzi d'informazione e quindi della pubblica opinione. Per quanto si riferisce al settore terrestre il concetto basilare dovrebbe scaturire da una domanda: quale dimensione, struttura, armamento e organizzazione tecnico-logistica deve avere un esercito per garantire la difesa del territorio nazionale, assolvere gli impegni NATO e quelli fuori area nell'ambito multinazionale? · Da questo interrogativo ne discendono altri: quale formula si deve applicare nel reclutamento? La leva obbligatoria e il volontariato, oppure i professionisti e la leva, o che altro? Quante devono essere le grandi unità e con quali dotazioni? Quale la formula che consenta la costituzione di grandi unità con mmtari adeguatamente preparati, equipaggiati e comunque di consistenza tale da assicurare una difesa idonea? Quali

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sono le risorse disponibili? Si è disposti a erogarle? Gli ultimi due interrogativi avrebbero dovuto essere i primi, ma si è inteso usare il criterio esposto al fine di evidenziare un punto considerato fondamentale. Da un lato vi è l'esigenza di garantire la difesa e ciò comporta un'organizzazione adeguata. Dall'altro vi è la mannaia delle risorse, manovrata (si fa per dire) con una efficacia pari soltanto agli sperperi in ben noti e chiacchierati comparti non militari. Ciò pone l'interrogativo primario: come si intende procedere? Stabilire i compiti e proporzionare le Forze Armate, oppure (come si è proceduto sino ad ora) fissare le risorse e dimensionare su di esse le tre Forze Armate? Si continuerà ad affidare la sicurezza del paese alla buona volontà della NATO (soprattutto degli americani) (ma i soldati americani non hanno le mamme?) e - forse domani - anche all'Europa? E quanto ci costerà in termini politici ed economici? . Se tale sarà la soluzione, quale sarà l'incidenza sul nostro potere decisionale nell'Alleanza, nell'Europa politica e quanto peserà nella ripartizione dei programmi industriali, spaziali, elettronici, nella ricerca congiunta? A quale livello scenderà il nostro peso specifico nei riguardi dei nostri dirimpettai? Avremo ancora una sedia al tavolo delle sette nazioni più industrializzate, i sette grandi, oppure saremo scalzati ad esempio dalla Spagna? Quello che sta accadendo nella politica internazionale è uno scontro tra le attese di molte popolazioni (meglio, di nazioni) e una volontà conservatrice, la neo-restaurazione alla quale si è fatto cenno. Di fatto si sono presentate sul proscenio deUa storia le problematiche e le questioni malamente risolte alla caduta di tre imperi, quello zarista, quello austro-ungarico e quello ottomano e al ritiro graduale, ma non per questo meno traumatico, della potenza imperiale britannica, sostituita in massima parte dall'influenza diretta o indiretta delle due superpotenze. L'obiettivo strategico che ne è scaturito è stato delineato pubblicamente e sintetizzato in due parole: "fuori area". Prevede degli interventi a doccia scozzese per raffreddare le tensioni, garantire gli equilibri, evitare conflitti locali, possibilmente prevenendo le formazioni di focolai oppure limitandone l'estensione, l'intensità, il contagio. Una combinazione tra diplomazia e politica, in cui l'aspetto e l'intervento militari costituiscono un fattore essenziale, l'unico veramente capace di impedire, contenere, bloccare le crisi locali, potenzialmente capaci di innesca-

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re guerre di ben più ampie dimensioni, con ripercussioni ad ampio raggio e a catena, risvegliando, rivitalizzando altre rivendicazioni. La tattica già individuata consiste nel mantener~ lo status quo affidando al negoziato la ricerca delle soluzioni (questione irakena, Medio Oriente, Turchia-Grecia) anche se vi sono situazioni anomale (paesi baltici, Ucraina, Armenia) e polveriere in fiamme (Slovenia, Croazia, Kossovo). Sembra essere maturata una convinzione o comunque pare si sia convalidata una dottrina e ad essa, in Occidente, ci si sia uniformati almeno entro certi limiti: impedire ogni e qualsivoglia conflitto, imponendo - anche con la forza - qualora essa rappresenti l'ultima possibilità, il rispetto della carta geografica anche se tracciata con riga e matita, con la punta delle baionette o con i cingoli dei carri armati. Alcuni paesi - e con diverse metodologie - si sono conservati degli spazi di manovra autonomi, direttamente legati, motivati e garantiti da una forza politica derivante da peso economico-industriale-scientifico, posizione strategica, capacità decisionale, volontà espressa dal tessuto sociale, insito nel carattere e non negoziabile oltre il confine della dignità. Tra di essi, purtroppo, non figura l'Italia. Nel nostro paese, tuttavia, si assiste, negli ambienti politici, ad una specie di corsa verso un "nuovo" non ben definito, senza il supporto dottrinario e psicologico, senza riferimenti attendibiJi quanto a logica soggettiva e tutela della quota di autonomia indispensabile. L'inadeguata credibilità, alimentata dalle innumerevoli contraddizioni nella politica della difesa, produce, come ha prodotto, incertezze, indecisioni, inquietudini non solo all'interno, ma anche - ed è questo l'aspetto più negativo - nelle sedi internazionali nelle quali l'Italia è rappresentata e in cui viene valutata sulla scorta della sua affidabilità operativa, sommatoria di tutto un insieme organizzativo, espressione tangibile e non dubbia della sua volontà e statura nazionale e del ruolo che essa intende ricoprire nel concerto internazionale. "La proliferazione delle proposte di potenziamento delle forze di pronto intervento, mobili, disponibili, facilmente "spendibili"' scaturisce dall'esigenza di affrontare qualcosa che si pensa debba accadere soltanto in casa d'altri" (4). Chi decide della sicurezza nazionale sembra considerare implicito un presunto tacito accordo occidentale sulla mutua assistenza difensiva, (4) Generale Goffredo Canino · op. cit.

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oppure ritiene automatico l'intervento della NATO, ancorando a tale "filosofia" la riduzione drastica dell'Esercito e la sua trasformazione in uno strumento sostanzialmente simbolico. Se accordi del genere indicato sussistessero potrebbero anche avere una qualche validità solo se non coperti dal segreto e suffragati da garanzie assolute e anche in questo caso non offrirebbero assicurazioni globali sufficienti a giustificare la rinuncia ad una difesa autonoma entro margini tali da costituire, per un periodo adeguato, una protezione effjcace del territorio nazionale al fine di consentire l'afflusso delle forze alleate e il loro rischieramento. Il Golfo non ha insegnato qualcosa? "La difesa preventiva, la creazione di un sistema di deterrenza dissuasione che eviti le distruzioni che ogni conflitto comporta è preferibile alla "liberazione", alla "ricostruzione", scrive il Generale Canino (5). Ma, a quanto pare, i centri decisionali, soprattutto all'interno del Parlamento, si mostrano convinti e tendono a voler apparire convincenti su alcuni punti: non c'è più il nemico l'Unione Sovietica non costituisce più una minaccia il rischio di guerra à praticamente inesistente le tensioni locali o regionali si appianeranno con iniziative politiche sarebbe un inutile spreco delle già limitate risorse il voler mantenere Forze Armate al livello quantitativo e qualitativo precedente basta una forza di pronto intervento, ridotta, ma ben equipaggiata il clima internazionale si è rasserenato e per i prossimi lustri si penserà soltanto a collaborare ... La gente vuole questo, non desidera altro. In pratica si sta ipotecando il futuro senza un minimo di garanzie, in modo velleitario. Si sta disarmando unilateralmente. È legittimo? Per rispondere a questa e alle altre domande ci si propone di affrontare l'argomento Esercito partendo da una premessa considerata pregiudiziale: "Quanto deve essere grande un esercito? Quanto basta ad assolvere i compiti assegnati e a garantire credibilità al ruolo politico che la nazione intende avere nel consesso internazionale" (6). · Compiti e ruolo. Un'equazione che non ammette incognite.

(5) Generale Goffredo Canino - op. cit. (6) Ibidem

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II

UN "MODELLO INSUFFICIENTE"

L'ammiraglio americano E.C. Kalbfus ha scritto in "Sound Military Decision": "La preoccupazione di un comandante non deve limitarsi a ciò che il nemico probabilmente farà, in quanto le probabilità possono mutare e perciò non abbracciano l'intero campo delle possibilità. Un comandante non deve preoccuparsi esclusivamente di ciò che il nemico può avere intenzione di fare, nemmeno quando sa quello che intende fare in un determinato momento, perché anche le intenzioni possono mutare. Un comandante deve preoccuparsi di tutto quanto può fare il nemico che possa materialmente influenzare il corso della sua stessa azione". La bozza del nuovo modello di difesa, elaborata dallo Stato Maggiore Difesa sulla base delle direttive del Ministro, o come viene definito il "modello sufficiente" particolarmente dedicato alla struttura dello strumento militare, prevede un esercito suddiviso in tre categorie di forze: - forze "in vita" di pronto impiego, operative sin dal tempo di pace; - forze "in vita" di secondo tempo, una riserva addestrata, per interventi a sostegno della precedente, in un arco di tempo compreso fra i trenta e i novanta giorni; - forze di riserva e mobilitazione, approntabili oltre i novanta giorni, in effetti non prima di centottanta giorni. In sintesi: 5 Brigate più un numero imprecisato di Battaglioni, Gruppi di artiglieria e Unità specializzate per quanto riguarda le forze di pronto impiego; 10 Brigate per le forze di secondo tempo; 4 Brigate di mobilitazione.

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Complessivamente 177 .500 uomini: 17 .000 uffici al i, 27 .000 sottufficiali, 133.500 militari di leva, di cui 40.000 volontari a ferma prolungata. C'è un ma da sottolineare: iJ "modello sufficiente" prevede che le dieci Brigate di secondo tempo siano al 50 per cento degli effettivi e le quattro di mobilitazione siano a livello di quadri, in pratica esistenti solo sulla carta. Dalle 19 Brigate di pronto impiego considerate il minimo vitale, si precipita a 5 Brigate, più, come si vedrà, un simulacro di forze sulle quali non si potrà fare affidamento anche tenendo conto soltanto dei tempi di approntamento, sorvolando, per ora, l'addestramento, la coesione, lo spirito di corpo, l'identificazione, la motivazione, la funzionalità, la partecipazione, elementi sotto taluni aspetti persino più importanti dell'equipaggiamento e dei sistemi d'arma. In termini concreti di prontezza operativa una riduzione non del 25 per cento, ma del 75 per cento. Ci si trova di fronte al progetto della liquidazione dell'Esercito. I concetti espressi dall'ammiraglio Kalbfus mantengono integralmente la loro validità, anzi la vedono rafforzata in un periodo in cui l'imprevedibilità e l'incertezza costituiscono elementi predominanti. Smantellare l'Esercito sostenendo che una sua nuova e ridotta configurazione consentirà dotazioni tecnologicamente più avanzate ed efficaci, quindi moderne, significa bluffare. Persino il meno dotato degli allievi di una qualsiasi accademia militare del terzo e quarto mondo apprende, nei primi rudimenti dell'arte militare, che una forza armata per essere efficace deve essere proporzionata alla minaccia, ma in primo luogo deve essere immediatamente concentrabile e impiegabile e sostenuta da adeguate riserve. L'esercito config~rato nella bozza citata ha tutto l'aspetto dell'aliquota italiana - c inque brigate - prevista nel disegno di un sistema difensivo europeo - di là da venire - che prevede (ma è una previsione) nell'Europa mediterranea la formazione di una forza composta da brigate italiane, greche e turche (forse anche spagnole) sotto comando italiano, mentre nel centro Europa vi saranno grandi unità formate da inglesi, tedeschi, francesi, olandesi, belgi, lussemburghesi. Le cinque brigate italiane dovrebbero avere le seguenti caratteristiche: una corazzata, una motorizzata - meccanizzata aviotrasportabile, una brigata leggera aviolanciabile, una blindata, una alpina.

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L'esercito previsto dal "modello sufficiente" non sarebbe idoneo a difendere il territorio nazionale contro un attacco diretto e a questo proposito non è attendibile L'obiezione - prevedibile - secondo cui non esiste minaccia, quindi non serve un esercito. Una logica del genere non considera due aspetti: - i tempi della trasformazione (legislativi, amministrativi, tecnici e propriamente attuativi) previsti in dieci - quindi anni; - l'evoluzione della situazione internazionale, dell'imprevedibilità sopra indicata (basti qui ricordare che nei dodici mesi da agosto 1990 ad agosto 1991 si sono avuti un'invasione, una guerra, una guerra civile, un colpo di stato poi fallito, ma con tutte le conseguenze, l'appendice della questione albanese). Acquista allora una certa credibilità l'ipotesi dell'interoperabilità europea nello scenario NATO. Se così non fosse - ma il dubbio permane - assisteremmo, qualora lo smantellamento avvenisse, non solo a un ingiustificabile disarmo unilaterale, ma alla rinuncia alla sicurezza, questione ben più seria e grave della difesa, che può attuarsi tramite alternative tecnologiche molto ampie e non soltanto con forze armate esclusivamente convenzionali. La difesa si potrebbe anche appaltare. Inoltre, i tempi medio-lunghi della riorganizzazione e del previsto ammodernamento si tradurrebbero automaticamente in vuoti difensivi. Esistono realmente le garanzie europee e della NATO, oppure il nuovo modello di difesa è tutto e soltanto italiano? E se la seconda ipotesi è quella valida, come verrà risolto il rapporto compiti-ruolo? "La magica frase «più qualità e meno quantità», se non è corredata dai corollari «risorse adeguate» e «compiti dimensionati», è forse l'inganno più sottile e pericoloso per chi la ritiene la formula vincente per ottenere l'efficacia desiderata. Meno quantità e stessi compiti, oppure meno quantità e meno risorse non porteranno mai ad un incremento della qualità" (1). Forse c'è un'altra relazione da considerare: meno esercito più consenso. Consenso politico si intende, nell'ottica della riduzione della leva e della ferma sotto la spinta del mutato scenario internazionale e dello sciogl imento del Patto di Varsavia. Cinque brigate di pronto impiego e l'imprecisato numero di battaglioni (Lagunari, Cavalleria, Fanteria d'ar(I) Generale Goffredo Canino, op. cit.

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resto, Gruppi dell'Ale, l'aviazione leggera) di Gruppi d'Artiglieria campale e contraerea, di specializzati (Genio, Trasmissioni, Guerra elettronica e psicologica, NBC), vengono considerati più che sufficienti per costituire l'esercito del tempo di pace. È questa la prima novità, il giro di boa nella concezione difensiva terrestre italiana. Nell'ipotesi di una crisi sarebbero indispensabili un minimo teorico di trenta e un massimo probabile di novanta giorni per poter impiegare il rimanente, tutta la forza residua, dell'esercito. Cosa potrebbe accadere nell'arco di tempo compreso tra un attacco e il possibile impiego delle dieci brigate di "secondo tempo"? Sarebbe ancora possibile impiegarle? Tutto potrebbe svolgersi in ordine, tranquillamente, disciplinatamente, come durante un'esercitazione a tavolino? C'è una bella differenza tra i war games e la realtà. Quale capacità difensiva, d'arresto, frenante avrebbero le cinque brigate di pronto impiego e l'imprecisato numero di battaglioni e gruppi, imprecisato e imprecisabile perché dipendente dalle risorse finanziarie e soprattutto dalla disponibilità di uomini, dal momento che l'aliquota di pronto impiego dovrebbe essere formata da volontari da reperire, selezionare, reclutare, addestrare e da trasformare in soldati professionali? Da quanto precede scaturiscono cinque argomenti ai quali è prioritario fornire delle risposte: compiti o esigenze, struttura prevista, uomini, mezzi, risorse. Un esercito non si improvvisa, un esercito deve essere sempre pronto a intervenire. Ciò comporta uno sforzo organizzativo, intellettuale, ordinativo che non ha eguali proprio perché la prontezza non è a scadenza, è a tempo indeterminato e se non si concretizzano misure ad hoc si corre il rischio del logoramento nervoso, dello sfilacciamento gerarchico, della demotivazione. I danni non sono suscettibili di inventario, corrodono in modo invisibile e l'unica contromisura efficace è rappresentata, in primo luogo, dalla certezza di costituire una componente attiva, e come tale riconosciuta, apprezzata, della Nazione al pari di tutte le altre. In questo risiede il requisito primo dell'efficienza. L'orientamento dottrinario - se così si può definire il concetto ispiratore della bozza del nuovo modello di difesa - poggia su tre obiettivi che sostituiscono le cinque missioni interforze precedentemente ( 1985) affidate alle Forze Armate.

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- Presenza e sorveglianza in tempo di pace. - Difesa degli interessi esterni e contributo alla sicurezza internazionale. - Difesa integrata degli spazi nazionali in caso di aggressione diretta. I tre dogmi indicano l'impostazione concettuale maturata in chi vuole la riduzione drastica dell'Esercito e la graduatoria non solo dei compiti, ma anche - il che è indicativo - dei rischi e, quindi, delle contromisure. La formulazione delinea gli scenari ipotizzati. La presenza e la sorveglianza possono essere assicurate da forze ridotte, meramente simboliche. Addirittura dalle sole forze di polizia e di soccorso (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Capitanerie di porto etichettate come guardia costiera, guardia forestale, Vigili del fuoco, Vigili urbani, Protezione civile, Croce rossa, vigilantes et simili). La difesa degli interessi esterni e il contributo alla sicurezza internazionale rappresentano una questione eminentemente politica. Non è necessario soffermarsi" su questo argomento; è sufficiente rimandare a quanto è accaduto per il Golfo 1, il Golfo 2, la guerra nella Penisola arabica, la missione umanitaria in soccorso ai curdi. Basterà sottolineare che i contingenti terrestri o anfibi eventualmente impiegabili dovranno essere in ogni caso numericamente limitati, pertanto prelevabili dalle cinque brigate di pronto impiego e dai supporti tecnici e logistici. Il trasporto, il sostegno logistico e tecnico sono un problema a parte. Poco importa se, conti alla mano, il Golfo l, il Golfo 2, la guerra, il Kurdistan hanno dimostrato che per sostenere quegli impegni al livello minimo si è dovuto far ricorso a tutte le scarse risorse e scorte disponibili e questo per support.are cinque navi, dieci aerei e 1200 uomini dell'Esercito. Come si sarebbe potuta fronteggiare efficacemente una seconda crisi concomitante? A quando da parte del Ministro un documento schietto come quello elaborato dal Pentagono e commentato pubblicamente - nelle sue linee portanti - dal numero uno del Dipartimento della Difesa statunitense, il Segretario di Stato Dick Cheney? A quando un atto di coraggio nel denunciare alla pubblica opinione, soprattutto a quella che paga le tasse, le reali condizioni delle Forze Armate costrette entro limiti di bilancio assurdi per la loro esiguità e in contrasto perenne tra di esse per la suddivisione delle risorse finanziarie fissate dal parlamento, su indicazioni non del Governo nel suo insieme, ma essenzialmente del Ministro del Tesoro?

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Conviene riflettere su quanto ha dichiarato il ministro della difesa americana, Cheney. Qui di seguito si riportano le sue valutazioni e considerazioni relativamente alla guerra del Golfo. Si è ritenuto più corretto riprodurre i dispacci di agenzia così come sono stati diffusi.

Le Pentagone tire /es leçons de la Guerre du Golfe

Washington, 17 Juil. (AFP) - Une politique "definie de manière explicite" et des objectifs militaires "clairs et accessibles" ont permis aux forces alliées de vaincre l'Irak mais certains problemes doivent etre resolus, selon un rapport sur le conflit publié mardi par le Pentagone. Le rapport souligne l'existence de deficiences dans les domaines de la logistique, de la production industrielle et des communications et revele que )es forces americaines manquaient de personnels multilingues. Sur le plan logistique et de la production industrielle, le rapport confirme que la guerre du Golfe a mis en evidence la dependance americaine a l'égard de l'exterieur pour des elements cles de la defense. Il souligne en outre que "bien que le deploiement ait eté couronné de succes, le departement de la defense doit examiner les problèmes qu'aurait posé l'apparition d'une seconde crise", simultanement avec celle du Golfe. "La situation aurait pu devenir precaire si la coalition n'avait pas disposé d'une periode prolongée pou.r deployer ses forces", estime en outre le Pentagone dans cette étude, dont une version complète sera fournie au congres en janvier lors de la presentation du budget 1993. Le departement de la defense rappelle également que des navires marchands civiJs, "dont la plupart battaient pavillon etranger", ont dO etre loués par Washington, et souligne qu'ils ont transporte plus du tiers (37 PC) des équipements americains. Il revèle en outre que "la fourni ture de certains types de munitions ne suivait pas la demande en raison de l'impossibiJite pour la base industrielle de repondre avec la rapidité suffisante". "Certaines de ces demandes ont eté satisfaites en obtenant des munitions en Allemagne", ajoute le Pentagone.

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Washington - Pour la première fois, le departement de la defense reconnait d'autre part que "certains medicaments a courte durée d'utilisation - incluant des vaccins contre les armes chimiques et bacteriologiques - n'étaient disponibles qu'en quantités extrèmement limitees". Il admet également que les combinaisons anti-nbc (nucleaire, bacteriologique, chimique) dont étaient equipés les soldats americains étaient peu adaptées aux conditions climatiques de la région. Le rapport souligne par ailleurs que l'utilisation pour la première fois de materiels sophistiqués tels que les missiles de croisière et les avions furtifs a changé radicalement les conditions de la guerre. Les auteurs de l'étude reconnaissent cependant que des progrès restent à faire dans le domaine du reperage des missiles à lanceurs mobiles de type Scud, dont la localisation et la destruction "s'est averée extrèment difficile et a detourné d'importantes ressources". Ils admettent également que les missiles Patriot, dont les logiciels ont d(ì ètre adaptés a leur ròle anti-missile, "n'ont pas toujours pù eviter des dégats, mème lorsqu'ils interceptaient un Scud". A plusières reprises en effet la charge explosive des missiles irakiens est restee intacte et a explosé au sol après l'interception du missile porteur par un Patriot. Les communications, bien que grandement ameliorées à l'issue de l'experience panaméenne, continuent également à presenter des problémes de compatibilité, indique le rapport du Pentagone, que souligne également la necessité pour les forces américaines de se doter sur une grande echelle d'equipements gps (global positioning system) adaptes aux norrnes militaires. Les appareils gps, largement utilisés dans le civil, notamment par les navigateurs, permettent à leurs utilisateurs de connaitre leur position à quelques metres près. Pendant la guerre du Golfe, la démande pour ces appareils a du satisfaite "par l'acquisition rapide de materie! civil". Washington - Le rapport, qui met en evidence le ròle considerable joué par les forces speciales, revèle cependant que "dans l'esembJe, les connaissances des langues etrangères et le nombre de personnels entraines (dans ce domaine) était insuffisant". La recupération des pilotes alliés abattus, l'une des taches incombant également aux forces speciales, a par ailleurs detourné certaines unités d'aviation de ces forces de leur missions habituelles de penétra-

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tion et de déstruction en territoire ennemi. Les interrogatoires des equipages alliés recuperés ont aussi permis de constater que ceux-ci "se sentaient inconfortables au sujet des capacites de recherche et de récuperation" disponibles. Dans l'ensemble toutefois, comme l'a souligne le secretaire a la defense Dick Cheney dans la preface de ce rapport, "des leçons doivent ètre tirées et des problemes resolus, mais une victoire exceptionnelle a eté remportée". (ANSA) - New York, 17 luglio - La vittoria sull'Iraq, sebbene sia stata conquistata con armi ad alta tecnologia in breve tempo non è stata né facile né scontata. Lo ha detto il segretario alla difesa americano Dick Cheney in un rapporto segreto al congresso fornito in versione edulcorata alla stampa. "La coalizione - ha affermato Cheney - ha dominato in ogni area... e gli americani hanno giocato un ruolo primario". Ma, ha continuato, "la vittoria non è stata né facile né scontata, sebbene col senno del poi possa essere sembrato proprio così". "Nella guerra - ha detto - ho visto anche duri combattimenti, lunghe ore sotto il caldo torrido del deserto o sotto tempeste di vento o momenti intensi sotto il fuoco nemico". Nella sua analisi, il segretario alla difesa ha detto che la guerra del Golfo ha fornito nuovi insegnamenti su come si combatte una guerra moderna. Gli 'Stealth' - gli aerei invisibili ai radar - e le bombe a guida laser hanno segnato una nuova era in battaglia. Egli ha però affermato che in futuro saranno necessari più mezzi di trasporto - navi ed aerei per portare il più presto possibile le forze da combattimento nei punti caldi di dove è necessaria la loro presenza. Gli eventi ad esempio sarebbero andati in maniera diversa - ha continuato - se l'Arabia Saudita non avesse accettato la presenza di truppe straniere sul proprio suolo. (ANSA) - New York, 17 lug. - Le cose sarebbero andate ancora peggio se Saddam Hussein avesse ordinato alle proprie truppe di attaccare l'Arabia Saudita subito dopo aver conquistato il Kuwait il 2 agosto dello scorso anno. "Non sappiamo - ha inoltre aggiunto - come le cose sarebbero andate se gli attacchi aerei fossero stati concertati in maniera meno brillante,

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se le relazioni nella coalizione fossero state apatiche o se Israele si fosse deciso a compiere rappresaglie per i missili Scud lanciati dall'Iraq". Il segretario ha perciò rivolto un plauso al generale Norman Schwarzkopf per la strategia svolta durante le ostilità. "È stata l'alba di una nuova era tecnologica - ha precisato - le armi ad alta precisione si sono dimostrate enormemente efficaci. Missili Cruise, missili di difesa antibalistica, sistemi avanzati di ricognizione e aerei Stealth sono stati usati con successo per la prima volta in guerra". "Le nostre forze - ha affermato - hanno combattuto di notte in una quantità e con un'efficacia che non hanno precedenti nella storia". (ANSA). Nell'elenco degli argomenti le risorse sono state indicate per ultime in quanto lo strumento militare italiano è il risultato di una frazione: disponibilità finanziarie rigidamente fissate, fratto le aliquote assegnate alle Forze Armate (oggetto del contendere, ma sempre su una somma complessiva predeterminata politicamente), uguale a dimensione possibile. Ed è all'interno delle risorse assegnate con tale meccanismo perverso che si realizzano i tre strumenti operativi sotto il vincolo delle spese fisse non contraibili, anzi il contrario, delle retribuzioni, degli ammortamenti, delle manutenzioni, con ciò ponendo nel limbo l'ammodernamento e l'addestramento. Ne consegue che la difesa degli "spazi nazionali" in caso di aggressione diretta viene arricchita del qualificativo "integrata", ma non è chiaro se ciò sottintenda la cooperazione delle tre Forze Armate o altro. Il sostegno diretto europeo (UEO) o della NATO? Al nuovo esercito (al quale si è fatto cenno schematico, ma eloquente nel significato) sono assegnati - nelle previsioni - molteplici compiti: presenza avanzata, equivalente alla copertura della frontiera nord-orientale e presidio del territorio nazionale, ovviamente isole comprese, partecipazione all'attività NATO (forze permanenti e su chiamata, reazione immediata a tentativi di intrusione e contro azioni di sorpresa utilizzando la Forza di Intervento Rapido nazionale - FIR, sempre costituita con unità prelevate dalle brigate di pronto impiego), concorso alle popolazioni civili in caso di calamità. Un rapporto quantità - compiti fantastico. Avremo, nelle intenzioni degli ispiratori, un mini-esercito di superman.

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Un cenno a parte meritano le 10 brigate di secondo tempo, indicativamente suddivise - nella bozza - come segue: una corazzata, sette meccanizzate, due alpine più unità di supporto tattico e logistico. Tenuto conto che la truppa di taJi brigate sarà fonnata da militari di leva, che il periodo di addestramento effettivo sarà di quattro mesi, che i tempi di mobilitazione e approntamento saranno quelli già indicati, vi sono pochi dubbi sulla inaffidabi lità operativa delle forze di secondo tempo e sulla tempestività dell'impiego. Le quattro brigate di mobilitazione (una corazzata, due meccanizzate e una alpina) approntabili in sei mesi, saranno, o sarebbero, una pura e semplice riserva di magazzino. Le attuali capacità operative, la fulmi neità degli interventi, la mobilità delle forze, quelle vere di pronto intervento, la combinazione aerei - elicotteri - truppe eliportate, riducono talmente i tempi e gli sviluppi dei conflitti da trasformare le forze di secondo tempo e di mobilitazione in una finzione. Più si analizzano le notizie disponibili sulla bozza del nuovo modello di difesa, segnatamente quelle concernenti il cosiddetto "modello sufficiente", e più si ha la sensazione di trovarsi in un labirinto dove si mescolano ombre e illusioni in un sottile gioco in cui la concretezza si stempera nell'ipotetico. L'impressione è quella di una riorganizzazione dell'Esercito improntata al mantenimento in essere di una catena di montaggio solo a livello potenziale, con la chiusura del maggior numero dei reparti e la presenza in servizio dei soli tecnici, onde assicurare la manutenzione degli impianti che fatalmente invecchiano e vengono superati dalle nuove tecnologie. Delineati i compiti, tratteggiata la struttura, il nuovo esercito avrà bisogno di uomini. Ci si riferisce ai 30-40 mila volontari a lunga fenna (3-5 anni?). Ci si addentra nella tematica più complessa e intricata. Uno degli argomenti più controversi è quello del servizio militare obbligatorio. Su di esso si sono spesi centinaia di servizi giornalistici, convegni, dibattiti, analisi, ricerche, sondaggi, inchieste e studi. Obietti vo fondamentale: affermare la sostanziale inutilità del servizio stesso, chiederne la riduzione - persino a sei mes i - criticarne le modalità. I giovani, si è detto, perdono un anno, non imparano alcunché, si annoiano, non partecipano, le famiglie fanno di tutto per evitare che i figli debbano prestare il servizio militare, i rischi di suicidi sono alti, etc.

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Vicende di tutti i giorni, ben conosciute e studiate, analizzate e testimoniate, se si passa il termine. Non è questa la sede per un'indagine in merito, ma il problema è insito nel tema di queste pagine, ammesso che si possa porre una domanda: chi deve concretamente, materialmente, fisicamente assumersi il dovere di garantire la sicurezza del paese? Se qui si volesse fare della sociologia e prima ancora della fùosofia, si potrebbe innestare il discorso dell'opportunità della difesa armata, dell'esistenza stessa delle forze armate, ma l'utopia non ha dato grandi risultati da quando la Storia offre riferimenti attendibili e documenti verificabili. Si dubita che in precedenza possa averlo fatto. Poiché la realtà e quella che è, si può legittimamente sostenere che sarebbe auspicabile un mondo senza armi e senza eserciti, ma non è corretto agire subdolamente e fraudolentemente contro chi non sia dello stesso parere e soprattutto contro chi abbia deciso di compiere il proprio dovere di cittadino scegliendo la carriera militare. Non si può, inoltre, dimenticare, distorcere, manipolare un principio naturale, quello del diritto alla sicurezza e alla difesa di una Nazione, altrimenti usando certi metri di valutazione che si vorrebbero definire morali non sarebbe moralmente accettabile né condivisibile il concetto della legittima difesa personale e lo stupro - ad esempio - diverrebbe un semplice abuso, forse addirittura un concorso di colpa. Traslando il ragionamento nel settore imprenditoriale, sembrerebbe impensabile che gli azionisti o i soci di qualsivoglia azienda pretendessero la ripartizione degli utili quando nel conto economico risultasse una perdita, magari camuffando i dati, falsificando il risultato di esercizio con il beneplacito dei sindaci. I reati sarebbero molteplici, il fallimento quasi sicuro. Quale che possa essere l'apprezzamento della pubblica opinione nei confronti delle Forze Armate, non si può certo mettere in discussione il principio della difesa in assoluto, difesa interna ed esterna, altrimenti si trasformerebbe automaticamente uno Stato di diritto - con tutti i suoi limiti e i suoi difetti - in una giungla o in una terra dominata dalla più antica delle leggi naturali,quella della sopravvivenza, quindi del più forte. Si tornerebbe alla barbarie, che purtroppo alberga ancora in molte aree del pianeta. Non si vuole, qui, elaborare una motivazione morale dell'intangibilità delle forze armate in quanto tali. Si vuole affermare che esse sono

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(e non possono non essere) l'espressione, la · manifestazione della volontà consapevole del popolo, elemento essenziale dello Stato che da esso deriva e che senza di esso non esisterebbe. Un popolo che si dà una sovranità e che intende preservarla e difenderla. La partecipazione assume significato e corpo soltanto se si è consapevoli del proprio ruolo oggettivo e soggettivo. Oggettivo in quanto suddito della Legge posta a tutela della Nazione e della sua essenza; soggettivo perché nel momento in cui si adempie ad un dovere si esplica un diritto, nella fattispecie quello della difesa del proprio paese e di ciò che esso rappresenta. Il senso dello Stato e quello della Nazione sono andati via, via perdendo consistenza sino ad apparire ormai simulacri fatiscenti. Si parla sempre più spesso della frattura tra partiti politici, istituzioni e cittadini. Si dibatte sulla necessità di riforme. C'è chi ha scritto che sarebbe assurdo sperare in riforme effettive ed efficaci affidandone la realizzazione e la gestione alla classe politica attuale. La riforma delle Forze Armate non è certo una delle minori e indubbiamente lo spirito con cui la si sta affrontando, sia pure nella fase del dibattito, libero, autonomo, risente degli antichi preconcetti e delle riserve tradizionali, e indica inoltre che non sono in gioco interessi particolarmente rilevanti e nessuna difesa di aree di influenza. Tuttavia risaltano, negativamente, le posizioni disgregatrici, quelle speculative, sono invisibili quelle istituzionali se non per quanto attiene agli obblighi normativi, affrontati con taglio notarile, mentre latitano le posizioni concettuali di quanti sarebbero in dovere, proprio per il ruolo ricoperto a livello istituzionale, governativo e parlamentare, di affrontare il problema non tanto dal punto di vista tecnico, quanto e preminentemente da quello etico - morale e costituzionale. Si parla tanto di Costituzione obsoleta, si sollecitano riforme della Carta fondamentale della repubblica. Eppure l'articolo 53 "la difesa della patria è sacro dovere dei cittadini", da decenni è disatteso, raggirato, ignorato, vilipeso, vituperato. E nessuno protesta. Forse una riforma costituzionale (forse neppure l'unica) è stata fatta e funziona egregiamente. C'è una gara nel fare lo sgambetto all'articolo 53 della Costituzione, al punto da chiedersi perché mai non si sancisca, con tutti i crismi regolamentari, la sua abrogazione. Sarebbe una specie di referendum e al contrario.

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Parlare del nuovo modello di difesa e di 30-40 mila soldati professionisti (le 5 brigate di cui sopra) senza chiedersi dove mai si troveranno i giovani con i requisiti adatti, disposti ad arruolarsi e a quali condizioni e se alle scadenze necessarie l'arruolamento coprirà le successive esigenze, prescindendo da quanto si è sottolineato in merito all'apprezzamento della gente nei riguardi del servizio militare, equivale a voler risolvere un problema ignorandone i termini, nella fattispecie proponendo a una certa aliquota di giovani una semplice e temporanea soluzione di vita dal punto di vista esclusivamente finanziario, trascurando o sottovalutando le componenti proprie del rapporto Stato-cittadini, riducendo il tutto a un contratto a tempo determinato (in concorrenza . con altre offerte consolidate e sicuramente più vantaggiose per i giovani, con l'aggravante dell'inarrestabile diminuzione del gettito della leva, quindi dell'offerta globale) perché tale diventerebbe nel momento in cui il giovane si trovasse nella possibilità di scegliere tra le diverse opzioni. In merito al problema della componente di professionisti nell'Esercito, il Capo di Stato Maggiore, Generale Goffredo Canino, ha scritto: "L'adozione del Volontariato non è più un'opzione auspicabile. È una necessità funzionale. Anzi per i riflessi istituzionali, normativi, organizzativi che comporta diventa la chiave di volta del nuovo "'sistema Esercito" (2). La considerazione, che si tramuta in un vero e proprio orientamento, scaturisce da tre fattori: 1) il mutamento della minaccia, gli insegnamenti tratti dalla crisi e poi dal conflitto nel Golfo, le sempre più scarse, risorse finanziarie; 2) i nuovi ordinamenti che si profilano per la leva, il servizio nazionale civile e il reclutamento femminile; 3) la questione dei militari professionisti. Tuttavia vi sono numerose perplessità - in parte già espresse - sul processo innovativo, particolarmente sul modo in cui esso si prospetta. Un sistema misto - come quello delineato dalla bozza sul nuovo modello di difesa - prelude alla riduzione della leva obbligatoria. Sia in termini quantitativi, sia di durata; ciò comporterà degli oneri e delle penalizzazioni non marginali su quelle che il Capo di Stato Maggiore individua nell'efficienza, operatività ed efficacia dell'Esercito così come organizzato sino ad ora. (2) Generale Goffredo Canino - Esercito e Volontari - Supplemento alla rivista Militare 1/91

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In termini espliciti si deve fare un confronto tra esigenze (compiti) e possibilità. Prima di tutto si devono definire le esigenze, cosa si vuole dall'Esercito; in secondo luogo il tecnico deve stabilire in quale modo si devono assolvere i compiti. Posto x per le esigenze e y per le disponibilità, vi saranno z esigenze non assolvibili. I politici devono sapere i rischi ai quali si espone il paese. O cercano di ridimensionare il rischio spendendo più soldi o lo accettano, formulando un documento chiaro, da far conoscere ai cittadini. Per quanto riguarda il come si spenderanno i soldi si può discutere, ma ci vuole un piano di lavoro certo e la garanzia della disponibiUtà dei fondi adeguati ai programmi pluriennali, in modo da non dover ogni anno rivedere la pianificazione che investe la questione industriale, pianificazione che sino ad oggi, salvo casi rarissimi, è stata sistematicamente disattesa. Si tenga presente poi che solo un terzo degli effettivi di una brigata sono soldati operativi. Circa 1600-1700 per ciascuna brigata. I rimanenti, circa 3000, sono impiegati nella logistica e nel supporto, elementi essenziali. I "Topi del deserto" britannici sono organizzati nel rapporto di 1 a 7 tra operativi e logisti. Inoltre, degli effettivi operativi, un terzo è in addestramento. Il che, in termini artimetici, si traduce in una cifra significativa: circa 8500 uomini operativi per le cinque brigate di pronto impiego dell'esercito previsto dal nuovo modello di difesa. Ancora: per disporre dei quadri, addestrarli, prepararli, bisogna avere i reparti. Questo vale soprattutto per le brigate di secondo tempo. Quale tipo di preparazione e addestramento sarà possibile con effettivi al 50 per cento? Si è dimenticato che la logistica dovrà essere costantemente funzionale anche per le brigate di secondo e terzo tempo? Si è pensato di affidare alle donne la logistica di supporto: trasmettitori, conduttori, computer, informatica e radar? Pur essendo favorevole a una consistente componente di professionisti rispondenti ai requisiti precedentemente indicati quanto a motivazione, consapevolezza e partecipazione (componente indubbiamente utile se non addirittura indispensabile tenuto conto del tipo di operazioni fuori area prevedibili e della mentalità necessaria anche per una prontezza effettiva, emotivamente non troppo condizionata e psicologicamente non strumentalizzabile) non si può non concordare con il pensiero del Generale Canino quando afferma: "Considero ineluttabile il mantenimento della leva perché credo nella difesa di popolo nel coinvolgimento di tutti i cittadini nella salvaguardia delle nostre istituzioni e dell'integrità del nostro territorio. Credo ferma-

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mente che questo coinvolgimento deve essere personale e diretto, impegnando non solo la componente materiale ma, soprattutto, quella spirituale del cittadino. Soltanto attraverso la leva si può mantenere e rafforzare l'ideale unitario nazionale che tutti i giorni vediamo minacciato da leghe, fazioni e divisioni campanilistiche. Il sistema della leva è un atto di fede: nella democrazia, nella libertà, nel diritto dei cittadini di difendere se stessi". (3) Certo - prosegue il Capo di Stato Maggiore - "l'attuale sistema non dà più garanzie di equità sociale. È per questo deve essere cambiato" (4). È opportuno inserire a questo punto una riflessione già espressa in altri scritti (5). La riduzione delle Forze Armate - uno strumento difensivo che era già inadeguato nei periodi più critici della guerra fredda - è un errore in quanto rende quasi completamente inefficace l'Esercito per una difesa credibile del territorio nazionale; provocherà vuoto addestrativo, strutturale, logistico, tecnico e umano; imporrà sacrifici enormi e quasi sicuramente insuperabili in un futuro non determinabile, ma nep·pure eludibile, quando sarà necessario affrontare delle crisi. "L'apparato militare sovietico non è scomparso "(6). In proposito la valutazione del Generale Canino è ineccepibile: "In termini operativi le grosse riduzioni annunciate dai sovietici nei colloqui internazionali, quando attuate, sortiranno tre effetti collaterali non trascurabili. In particolare consentiranno di radiare dal servizio mezzi e materiali superati elevando di fatto l'efficienza globale; riscuotere il consenso popolare interno necessario alle riforme socio-economiche; acquisire un tempo di respiro nelle relazioni internazionali togliendo all'occidente motivi immediati che giustifichino un qualsiasi potenziamento miJitare. Respiro che può essere utilizzato per impostare anche una nuova strategia politico-economica. Evidentemente non ci troviamo di fronte ad un deliberato tentativo di far abbassare la guardia all'Occidente per sferrare una qualsiasi offensiva, ma neppure in clima di smobilitazione generale" (7). La difesa, in Italia, è sempre stata considerata, anche nei circoli responsabili, una necessità fastidiosa. Sono del parere, lo ribadisco, che un referendum sull'abolizione dell'Esercito supererebbe facilmente la (3) Generale Goffredo Canino • op. cit. (4) Ibidem. (5) Dello stesso autore vedi NATO: il futuro. Ciarrapico Editore Roma 1991 (6) Generale Goffredo Canino, op. cit.. (7) Ibidem.

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soglia del 50 per cento più uno sia degli aventi diritto al voto sia dei "si". Se ancora non si è giunti a tanto è solo e soltanto per vincoli costituzionali, per gli obblighi italiani nei confronti degli Stati Uniti e per lo status derivante dall'aver perduto la guerra. Mfoori spese per le Forse Armate, minori seccature, maggiori possibilità di ampliare lo spazio politico. Unica remora e piuttosto pesante, l'aspetto industriale con il corollario della riconversione, della cassa integrazione, non certo della preoccupazione legata aJ crollo del settore della tecnologia avanzata. Questo l'obiettivo, non dichiarato, che si evince dalla linea politica che si va concretizzando sempre più rapidamente. La presunta stabilità europea, la lontananza delle altre aree di crisi hanno alimentato e alimentano facili entusiasmi. Si sottovaluta quanto segue: - la componente nucleare sovietica (come quella americana) non è stata sostanzialmente intaccata dalla firma del trattato START, - in Europa si è creata una zona cuscinetto (così la definisce il Generale Canino) politicamente instabile, ricca di conflittualità latenti, militarmente inconsistente. Quindi un'area politicamente ancora debole, economicamente fragilissima, suscettibile di repentini mutamenti e capovolgimenti. L'Europa occidentale non è politicamente attrezzata in modo unitario per fronteggiare l'enorme massa di questioni connesse con una evoluzione così disordinata, rischiosa, anche se di estremo interesse e ricchissima di opportunità. Ne scaturisce una conferma al tempo stesso positiva e penalizzante: "Il problema della politica di sicurezza dell'Europa e dell'Italia non può trovare soluzione adeguata al di fuori della NATO, unico organismo in grado di assorbire in maniera non traumatica l'unificazione tedesca e di garantire all'Europa, all'emergenza, sia l'ombrello nucleare, tuttora indispensabile, sia i necessari rinforzi". E ancora: "L'Europa non si presenta, per i prossimi 10-20 anni come un'area stabile e se la minaccia non è né dichiarata né imminente è tuttavia incombente" (8). Sarebbe quanto mai pericoloso esporsi a rischi eccessivi senza le opportune precauzioni e privi delle indispensabili garanzie. L'Esercito è uno degli strumenti più flessibili ed efficaci della politica estera. Ma un Esercito degno di tal nome. (8) Generale Goffredo Canino - op. cit. - (n.d.a.) La bozza del nuovo modello di difesa è stata pubblicata neUe sue parti essenziali nel n. 79 di "Panorama Difesa".

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III

L'ORGOGLIO DELL'AIRONE

C'è un capitolo poco conosciuto nella storia recente dell'Esercito; l'Operazione Airone. La missione del contingente italiano nell'Irak settentrionale, più propriamente nel Kurdistan, nel quadro dell'intento multinazionale a protezione dei curdi sottoposti agli attacchi delle truppe irakene. Passata quasi sotto silenzio, virtualmente ignorata dai mezzi d'informazione, la presenza del contingente nel Kurdistan riveste invece un'importanza notevolissima sia per quanto i soldati italiani hanno fatto e quindi dimostrato, sia per i riflessi di tale attività. Una rappresentanza di parlamentari della commissione difesa della Camera ha compiuto una brevissima visita nella zona. Il Ministro, invece, ha ritenuto superfluo un viaggio a quella latitudine, come pure nelle basi di Incirlik e Diyarbakir, in Turchia, dove il contingente italiano aveva il comando, la base logistica e dove erano dislocati aerei dell'Aeronautica Militare (46ll Brigata) ed elicotteri dell'Ale. Chi scrive ha avuto la ventura di poter testimoniare sia pure non adeguatamente, l'operazione Airone con sei servizi trasmessi nelle varie edizioni del Giornale Radio Uno (GR. 1) della RAI, tra il 19 e il 22 maggio e , pochi giorni più tardi, con uno "speciale" di una decina di minuti. La radio se ha il requisito dell'immediatezza e della sinteticità, ha il limite della mancanza di una traccia, se non nella memoria degli ascoltatori. È doveroso lasciare una testimonianza meno aleatoria. Qui di seguito si riportano i testi dei sei servizi trasmessi grazie alla collaborazione dei 15 Trasmettitori dell'l 12 Battaglione Trasmissioni "Leonessa" dislocati nell'area di Zakho (lrak). Rigorosi limiti di tempo e di spazio radiofonici hanno imposto un linguaggio essenziale, nel quale non si è potuto indulgere nel colore,

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negli aspetti psicologici, morali, umanitari e tanto meno nella descrizione degli scenari . Una colonna di autocarri dell'esercito italiano, lunga dieci chilometri, ha raggiunto la zona di Zakho nell'lrak settentrionale, dove sono installati i campi profughi curdi. L'area di territorio irakeno controllata dalle forze multinazionali è larga 140 chilometri e profonda 40, in gran parte montuosa. In questa zona vi sono ancora, attualmente, 180 mila profughi di cui 50 mila concentrati in tre campi nella zona di Zakho, dove i militari italiani hanno già assistito 6000 profughi, istaJlando 600 tende, un ospedale da campo, il più importante, un nucleo sanitario e un pronto soccorso. In dieci giorni saranno allestite altre 2000 tende per ventimila profughi. Dei 440 mila curdi in fuga verso il confine con la Turchia, 230 mila sono rientrati nelle loro abitazioni situate nella zona controllata dagli alleati, ma comunque sono decisi a non cedere le armi. Numerosi gli sbandati tra le montagne. Al contingente italiano, circa 1200 uomini, è stato assegnato il controllo dell'area occidentale della fascia occupata, al confine con Turchia, Siria e lrak, un fronte di 30 chilometri, profondo altrettanto. Una aliquota del 9Q Battaglione paracadutisti "Col Moschin" è inserito nel dispositivo americano di protezione a sud dell'area occupata e un'altra è dislocata a est, con la brigata francese. Fronteggiano gli irakeni che hanno schierato tre brigate. Si registrano sporadiche, brevi sparatorie, ma senza danni. Sempre grave le condizioni dei profughi. Ogni giorno muoiono dalle venti alle trenta persone, in particolare vecchi e bambini. La linea allo studio. Più di mille soldati italiani impegnati nell'area di Zakho per la missione umanitaria a favore dei curdi, nel quadro dell'intervento alleato sotto comando tattico americano. L'operazione Airone al comando del generale Mario Buscemi, vede qui paracadutisti, alpini, carabinieri, genieri, elicotteristi, medici, personale della Croce Rossa. L'Aeronautica assicura i collegamenti dalla base NATO di Incirlik. Gli elicotteri che collegano la pista di Sirsenk, nell1rak settentrionale, dove atterrano i G. 222, all'area di Zakho, dove sono allestiti i campi profughi, volano in un corridoio protetto ai fianchi da elicotteri armati americani, i Falchi neri. La sicurezza nell'area occupata, 140 chilometri di fronte con una profondità variabile tra i 40 e i 50 chilometri, è assicurata da pattuglie miste, nelle quali operano i nostri paracadutisti-incursori. I

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velivoli di due portaerei americane garantiscono la copertura aerea giorno e notte. L'intera area è sotto il controllo dei radar volanti AWACS. Uno sforzo che complessivamente vede impiegati non meno di 50.000 uomini delle forze multinazionali. La linea allo studio. Il G .222 è atterrato su una pista di settecento metri in una zona montuosa nei pressi della residenza estiva di Saddam Hussein, non ancora ultimata, nella zona di Sirsenk. Sono visibili le tracce degli attacchi aerei alleati. In elicottero si raggiunge Zakho, sorvolando alcuni accampamenti curdi. A Zakho sono in attività tre campi sui dieci programmati dalla missione umanitaria alleata, con 45 mila profughi. Tra oggi e domani ne arriveranno altri novemila. I militari italiani, professionisti e di leva, stanno ultimando l'allestimento dell'ospedale e della farmacia, con 23 medici specialisti e in totale 170 addetti. Dall'8 maggio ad oggi sono state visitate 8000 persone con 8 interventi chirurgici d'emergenza e centinaia di vaccinazioni. Per rispettare l'identità delle famiglie, i campi sono suddivisi per tribù e all'interno i curdi formano i zo-san, sotto la responsabilità dei capi-famiglia. I persh-merha, inavvicinabili, nonostante la presenza armata alleata, rimangono sulle montagne e nei villaggi, proteggendosi da soli. La linea allo studio.

La bandiera delle Nazioni Unite è stata issata stamane a Dahok, la città curda più meridionale nell'area interessata all'intervento umanitario alleato. Ma la città è praticamente deserta. La popolazione curda, almeno 300 mila persone, si è rifugiata a nord, in parte nei campi, in gran parte ancora nascosta nelle zone montane. I curdi rientreranno nelle loro case solo se a Dahok vi sarà la presenza militare alleata. La paura di rappresaglie è ancora molto forte. Gli americani sembrano intenzionati a ottenere il controllo della città, importante nodo stradale, quindi strategico. Ma la questione politicamente è delicata. Saddarn Hussein potrebbe opporsi. Se Dahok passasse sotto controllo alleato, i profughi rientrerebbero in città, ma di fatto si realizzerebbe l'autonomia dei curdi. nell'intero Irak settentrionale. La linea allo studio. L'operazione multinazionale di soccorso alle popolazioni curde è in pieno svolgimento nel nord dell'Irak. Nell'area è stata rilevata la presenza di mine, in particolare nella zona di confine con la Turchia, nei settori affidati ai francesi, agli inglesi e agli italiani. I campi minati impiantati dagli irakeni, non riguardano le rotabili. È stata esaminata

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l'eventualità di un'operazione di sminamento; gli italiani - ha detto il generale Mario Buscemi - interverranno unitamente agli alleati con nuclei di specialisti e apparati già disponibili sul posto. Gli elicotteri del gruppo italiano Antares hanno compiuto missioni per trasferire dalle zone montane al campo profughi di Zakho, 400 curdi. Le missioni di questo tipo continueranno nei prossimi giorni. La linea allo studio. Un militare americano è morto per l'esplosione di una mina, un altro ordigno ha ferito, non gravemente, un profugo curdo, curato nell'ospedale da campo italiano. Migliaia di mine disseminate dalle truppe di Saddam Hussein nel nord dell1rak, sul confine con la Turchia, potrebbero costituire un'insidia mortale per i contadini curdi al tempo della mietitura. Ancora nessuna decisione circa la bonifica del territorio. A Zakho, i medici militari italiani e il personale sanitario sono in piena a~vità. Nelle ultime ore hanno assistito una partoriente, hanno effettuato tre interventi chirurgici, mentre continuano le visite di controllo e le vaccinazioni. Sul piano multinazionale si registrano restrizioni doganali turche. Non più procedure agevolate NATO, ma quelle normali. Questa non è un'operazione NATO, affermano i turchi. I curdi sono nostri nemici. E aggiungono: approfittando della missione umanitaria sono state fornite armi ai curdi. Nel porto di Mersin, un militare inglese ha puntato la pistola alla testa di un funzionario doganale turco che pretendeva l'apertura di un container; molte navi americane da giorni attendono di poter scaricare, ma non dispongono della nuova documentazione prevista. Gli italiani sono stati i primi ad adeguarsi alle nuove procedure. Nella zona dell'Irak settentrionale sotto diretto controllo italiano, il settore occidentale, sono stati intensificati i pattugliamenti e disposti presidi di sicurezza dotati di ~ssili controcarri. Apprezzamento del generale americano Shallycashvili, comandate delle forze della coalizione, per il contingente italiano agli ordini del Generale Mario Buscemi. Una compagnia di paracadutisti americani sarà posta alle dipendenze del 52 Battaglione "el Alamein" della Brigata Folgore, per operazioni di ricognizione e sicurezza. La linea allo studio. Incirlik, Dyarbakir, Sirsenk, Zakho, il fiume Tigri, nomi più o mbno noti, balzati alla ribalta della cronaca internazionale nell'estate 1991, località dove si è dipanata una pagina di una vicenda cominciata

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ottant'anni fa, il cui ultimo capitolo e ben lungi dal poter essere scritto. Al di là dei fatti sintetizzati nei servizi radiofonici, si è potuta percepire l'atmosfera operativa di una missione umanitaria in cui si è vista pulsare l'imponenza dell'organizzazione americana, l'efficienza più che buona della collaborazione tra paesi occidentali, la validità del lavoro svolto dagli italiani. Un complesso multinazionale di ventunomila uomini e, per l'Esercito italiano, l'impegno operativo e lo sforzo logistico più rilevante dalla fine della seconda guerra mondiale. Per la sola forza dislocata a Zakho, la più consistente, sono state allestite 133 tende, ogni giorno si sono consumati 5000 litri di acqua potabile e 40000 per uso generale: per ogni eventualità erano disponibiU potabilizzatori con una capacità dì 30000 litri di acqua al giorno; ogni 24 ore sono state necessarie tre tonnellate di viveri; la lavanderia ha lavato tre tonneUate di indumenti aUa settimana. Da un lato l'aspetto logistico, sempre sottovalutato, ma in realtà fondamentale, dall'altro quello operativo. Dall'attività dei velivoU G. 222 della 46~ Brigata aerea, impegnati nei lanci di viveri, medicinali, generi di prima necessità ai profughi curdi nelle zone montane, dove avevano trovato scampo, nei trasporti di materiali, nei trasferimenti di uomini e mezzi, equipaggiamenti, a quella degli elicotteri, i mezzi ad ala rotante del I Raggruppamento Aviazione Leggera dell'Esercito "Antares", che con la loro perizia hanno suscitato l'apprezzamento degli americani sempre piuttosto restii ad ammettere che vi possa essere qualcuno al loro livello di capacità professionale. E ancora il personale del I Battaglione Carabinieri "Tuscania", del 5Q Battaglione Paracadutistì "El Alamein", del 9Q Battaglione Assaltatorì Paracadutisti ''Col Moschìn", del Battaglione logistico "Folgore", della Brigata Alpìna "Taurinense" (impegnato nell'ospedale da campo), i trasmettitori dell'l l Q Battaglione Leonessa, e le otto Crocerossine. 125 ufficiali, 33 1 sottufficiali, 733 uomini di truppa, 9 civilì al comando del Generale Marìo Buscemi. Comandante delle forze operative il Generale Franco Monticone (comandante della Brigata paracadutisti "Folgore"). Mentre nella VaHe di Zakho i campi profughi si estendono a perdita d'occhio nel verde brillante dei prati e sullo sfondo di montagne che verso nord si tingono dì azzurro, nella zona più a sud, nell'area che si

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estende sino al fiume Tigri e al lago artificiale intitolato a Saddam, i paracadutisti del Battaglione " Col Moschin" presidiano e pattugliano i punti nevralgici. Villaggi deserti , abbandonati, un silenzio completo sfiorato appena dal vento e dai rumori ovattati delle A.R. e non molti chilometri a sud, in una pianura spezzata qua e là da alcune alture, le pattuglie irakene, avanguardie in perlustrazione di tre brigate dislocate al di là del fume su un fronte di J30 chilometri, il confine tacito tra la zona occupata dalle truppe multinazionali e il territorio sotto diretto controllo dell'esercito di Baghdad. Intanto nei campi profughi altri soldati italiani fanno giocare i bambini curdi e controllano la situazione, nell'ospedale da campo si susseguono le visite, le medicazioni gli interventi chirurgici. "Provide comfort", l'operazione umanitaria a favore dei curdi ha fatto registrare anche un episodio curioso; due soldati irakeni si sono arresi agli italiani . Il contributo italiano all'operazione si condensa nelle seguenti cifre: 5% del personale, 4% dei velivoli, 25% delle tende, 20% delle cure mediche. Una media stimata dell'8% complessivo, pari al contributo standard NATO. Gli Stati Uniti hanno toccato il 50%. Non vi sono solo le cifre nel bilancio della missione. Gli italiani hanno raccolto stima gratitudine, rispetto, simpatia da parte dei curdi. I rapporti con i turchi, non certamente entusiasti del sostegno occidentale ai curdi, avversari secolari, si sono rivelati buoni. Gli alleati, inizialmente attestati su posizioni fonnali e protocollari, a livello di comandi, e su linee di scetticismo appena contenuto nei settori operativi, si sono dovuti rapidamente ricredere. In sole sei ore dal momento dell'arrivo nella base aerea turca di Diyarbakir, gli uomini del Raggruppamento "Antares" hanno messo in efficienza e pronti ad alzarsi in volo gli otto elicotteri in dotazione, quattro CH-47 e quattro AB205. Ed era la prima volta che lo squadrone di CH-47 varcava i confini nazionali per azioni all'estero. 109 tonnellate di materiali di soccorso aviolancate, oltre duemila tende allestite, circa 20000 visite mediche, 200 ricoveri, 115 interventi chirurgici, più di mille missioni aeree e 80 degli elicotteri, 250 ore di volo e una lunga attività di pattugliamento nella zona abbandonata dai curdi, una specie di terra di nessuno percorsa incessantemente e presidiata da centri di fuoco nei punti opportuni, le alture degradanti verso il fiume. All'orizzonte si vede un'alta colonna di fumo. "Brucia da qualche giorno" ci dice un sottufficiale del "Col Moschin". Un pozzo di petrolio? In quella direzione c'è Mosul.

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È un errore non documentare con le immagini l'operazione. Due elicotteri CH-47 volano lungamente in una zona impervia entro gole e canaloni per recuperare feriti e ammalati. Per consentire a tre giornalisti italiani di seguire le operazioni di soccorso, il generale americano Campbell (U.S. Army) li ospita sul suo velivolo diretto nella zona. Un elicottero americano impegnato nel recupero dei profughi è precipitato perché sovraccarico. I curdi si erano aggrappati ai pattini. Le acque dei torrenti sono inquinate dai gruppi di curdi più in quota. Più a valle altri hanno bevuto l'acqua... Alcune donne curde lavano i panni con le carote liofilizzate credendo siano sapone in scaglie. Qualcuno ha scambiato il combustibile dei fornelli per cibo. Ai soldati americani giungono pacchi dono dagli Stati Uniti con lettere di apprezzamento scritte da scolari. "Hanno una nazione alle spalle, noi no", commenta un militare italiano. "Anche noi abbiamo la nostra sindrome da Vietnam - aggiunge un altro - è la sindrome da seconda guerra mondiale". Mentre si torna alla base dopo una giornata di lavoro, compresa la partecipazione al pattugliamento, sul G.222 preparano il caffè usando una macchinetta elettrica. Caffè vero, tostato all'italiana, e acqua minerale. È il momento di un primo bilancio: 20 ore di volo tra velivoli ed elicotteri, più i movimenti in A.R .. Si è vista l'immagine storica della figura del soldato. Il tricolore issato nel campo di Zakho, in pieno Kurdistan, i carabinieri paracadutisti impregnati nei posti di blocco sulla superstrada per Baghdad, gli automobilisti disciplinatamente disposti a consentire i controlli. Sembra inverosimile. Gli appunti scivolano via rapidamente, seguendo le immagini che la mente propone, senza un ordine preciso. E come sono stati scritti in quelle ore di volo vengono riportati, con la presunzione di rispettarne la genuinità. Per gente tradizionalmente nomade e dedita essenzialmente alla pastorizia e ora costretta a vivere separata in cinque stati diversi (Turchia, Unione Sovietica, Siria, Irak e Iran), per gente che vive ancora in case in gran parte con i tetti di paglia o canne intrecciate, che vive accampata sotto tende suddivise per famiglie di una stessa tribù, si è mobilitata un'operazione colossale che vede impegnate due grandi basi aeree turche. Incirlik e Diyarbakir, una base aerea di transito in Irak, Sirsenk, decine di elicotteri e di aerei da trasporto, compresi i giganteschi Galaxy, velivoli da combattim'ènto ed elicotteri armati per la protezione e la copertura, velivoli radar, una squadra navale dislocata nelle

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acque di Cipro. Uno sforzo logistico imponente. Solo i due squadroni di elicotteri italiani hanno dovuto trasportare materiale logistico indispensabile alla loro attività, per un valore di 176 miliardi. L'attività si svolge in una zona il cui nome è vietato pronunciare da queste parti: Kurdistan. Un commento colto al volto: che differenza c'è tra questione curda e questione palestinese? Gli ebrei. Dalla valle si alzano alture aspre, con corone di roccia. I colori sono caldi, la luce vivida, ma c'è tanta polvere. Le zone montane sono abitate da vipere. Nelle valli si dice sia possibile ancora incontrare il cobra egiziano. I curdi sono semplici; ti osservano incuriositi, quasi stupiti. I loro volti, la solennità di certi volti rivelano origini antiche, incroci di razze, provenienze bibliche, dall'Asia interna, circassi, drusi, mongoli , forse anche cosacchi. Sono un popolo libero, legato profondamente alla propria terra e simile ad essa, aggrappato alle sue tradizioni, geloso della propria identità, ma nel contempo vivace, polemico, con un eloquio sciolto, in certi mementi dirompente. Le notizie raccolte prima di imbarcare sull'elicottero che ci porterà a Sirsenk (dove fortunatamente troviamo un G.222 invece del C. 130 americano sul quale abbiamo volato in compagnia dei paracadutisti americani tra cui una donna soldato, con tanto di arma individuale) riguardano obiettivi delle missioni, uomini e mezzi, significato sociale, morale e politico dell'iniziativa, la prima nella storia che vede nazioni unite a sostegno di una popolazione sino ad ora negletta. C'è chi dice che gli americani hanno usato i curdi per creare problemi a Saddam, mentre gli iraniani hanno fatto altrettanto con gli sciiti. Ora americani e iraniani sono intervenuti direttamente visto che la sollevazione contro Saddam è fallita nel sangue. Potranno gli alleati rimanere indefinitamente nel Kurdistan? Sicuramente no. Allora? Qui si dice che quando i curdi saranno rientrati nelle loro case, quando la situazione apparentemente si sarà normalizzata, la polizia segreta irakena riprenderà la sua normale attività, prelevando i curdi dalle loro abitazioni in piccoli gruppi, preferibilmente di notte, e facendoli sparire. E nessuno protesterà. Vi saranno solo delle rappresaglie. Quello che accedeva sino a poche settimane fa. Non esiste un'anagrafe curda, non esiste un censimento, non si sa esattamente quanti siano, si procede per stime. L'intervento multinazionale, in particolare la presenza itaUana, è considerato un miracolo. Ha

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consentito tra l'altro di censire i profughi, di assicurare loro assistenza morale oltre che materiale e soprattutto protezione, sostegno, solidarietà. I curdi sono riconoscenti, ma non si nascondono i dubbi sul dopo. Forse c'è una componente di fatalismo, un contrasto stridente. Si notano le tendopoli, i colori sgargianti degli abiti femminili, l'abbigliamento degli uomini, i copricapo imponenti che richiamano alla mente i romanzi di avventure letti da ragazzi, le esplosioni di gioia e di entusiasmo dei bambini, il legame spontaneo con i nostri ragazzi in unifonne che partecipano e guidano i giochi; e di contro la naturale riservatezza, probabilmente un substrato di diffidenza, degli anziani. La cornice è formata dall'imponenza dell'apparato multinazionale. I curdi e la loro terra rievocano memorie antiche ed essi stessi, oggi, in questo scenario irreale, ma concreto, rappresentano la continuità delle loro leggende, dei miti e della loro storia. E sembra incredibile che vi sia chi li vuole tenere prigionieri, torturarli, ucciderli. In un villaggio abbandonato, vi sono solo cinque persone. Chiediamo perché siano rimaste. Siamo arabi, rispondono e rimangono entro il recinto che chiude il villaggio come in un fortino. Il villaggio è un agglomerato di casupole rettangolari, grige, con i tetti in lamiera e canne intrecciate con paglia, case fatte di mattoni; poco distante le costruzioni per raccogliere i prodotti agricoli, magazzini realizzati con mattoni cotti al sole, come facevano gli egiziani quattromiJa anni fa. Il tutto, visto da un'altura, in uno scenario eccezionale: una vallata che non si riesce ad abbracciare con lo sguardo. Da ovest a est una distesa di verde e marrone di varie tonalità a seconda della presenza di acqua, fiancheggiata a nord da una catena di montagne che si eleva come una cattedrale gotica. Sorvolando la zona in elicottero si vedono le piazzole dell'artiglieria irakena, le zone dove era interrati i carri annati, le autoblindo, i semoventi per sfuggire alla ricognizione aerea e, lungo la strada per Baghdad, distante oltre cinquecento chilometri, le casematte a destra e a sinistra della doppia carreggiata. Un dispositivo a pettine fitto per opporsi a una ipotetica, ma temuta, invasione turca, e aUo stesso tempo un sistema di controllo del territorio curdo. Due A-10 e veli voli da caccia F-16 sorvolano la vallata e si spingono a est. Piccoli segni in un cielo terso e profondo. Sembra quasi impossibile che in una terra così bella e colma di affascinanti storie si debba testimoniare di una missione umanitaria che deve avere una cor-

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nice tattica così tecnologicamente spinta. La barriera della lingua impedisce un dialogo diretto, ma nei volti dei bambini, nella loro curiosità, nei sorrisi luminosi si legge la felicità. Una bjmba abbraccia un paracadutista. Si sentono sicuri, non hanno più paura, esprimono la loro vitalità e la loro energia. Questi soldati non ci uccidono, quegli elicotteri non sparano salve di razzi e raffiche di mitragliatrici. Gli anziani sono compassati e solenni con i copricapo che arricchiscono la figura quasi a rappresentare un segno di nobiltà. Si torna verso la zona dei campi: campo 1, campo 3, campo 9 , i primi dei molti programmati, campi di raccolta e di transito perché l'obiettivo è di far rientrare i c urdi nelle loro case e soprattutto di far scendere a valle le decine di migliaia ancora sulle montagne a nord di Zakho. Intanto nella base di Incirlik si accumulano tonnellate e tonnellate di aiuti. Molte famiglie non scenderanno a valle, commenta un curdo che parla discretamente francese. Poco distante passa il Generale Buscemi, comandante il contingente italiano. Un gruppo di anziani saluta con dignità mentre più lontano le grida dei bambini corrono libere nella vallata di Zakho, per ora non più teatro di massacri.

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IV

CHE COSA C'É DA DIFENDERE?

Sono compatibili con uno studio sull'Esercito italiano alcune pagine particolarmente dedicate ai giovani? A coloro i quali dovrebbero assumersi la responsabilità diretta di formare gli effettivi delle Grandi Unità, i futuri quadri ed esprimere, nel tempo, i massimi responsabili della difesa nazionale? È opportuno uscire dagli schematismi e dalla teoria, composti da compiti, numeri, calibri, mobilità criteri e concetti? È utile affrontare argomenti che esulano dal freddo rapporto burocratico e dalla "cartolina"? Potrà sembrare una inutile e pedante ripetizione di concetti già espressi, ma si intende correre il rischio. La premessa è la Storia, più esattamente l'Esercito nella Storia. Un tempo, con una certa attendibilità, si parlava di corpi separati dello Stato e ciò contribuiva ad accentuare la diffidenza dell'individuo verso l'autorità. In una certa fascia di persone ancora oggi quando si deve esprimere il malcontento si indirizzano critiche e invettive all'indirizzo del governo, in esso indivìduando e concentrando le responsabilità del malfunzionamento, dei ritardi, delle ingiustizie, delle prevaricazioni. Vi sono momenti in cui l'individuo si sente solo, impotente, indifeso di fronte all'anonimato del potere, dell'autorità, costretto a subire, a piegarsi forzatamente ed è allora che intimamente si può scatenare la ribellione o spezzarsi la fiducia. Vi è il memento in cui il distacco dall'ambiente abituale fa risaltare il valore delJa famiglia anche se sino a quel momento la famiglia e l'ambiente costituivano un contorno senza apparente incidenza, una sorta di realtà scontata. Uno di questi momenti, forse il più traumatizzate per certi giovani, è quello della partenza per il servizio militare. Si evidenziano allora l'i-

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nadeguatezza della preparazione sociale dei giovani, la responsabilità delle famiglie e della scuola; qualcuno direbbe della società, ma è una scappatoia. Da troppi anni manca una formazione sociale coerente con il dettato costituzionale e con la linea strategica che, tutto sommato, ha tracciato la rotta della collocazione internazionale del nostro paese. Manca una sensibilizzazione specifica nei riguardi della realtà in cui il giovane si va formando. Non un indottrinamento, sia ben chiaro, ma uno studio corretto del quadro complessivo in cui si colloca la fase storica, con tutti gli addentellati, con l'opportuna distinzione tra il principio dello Stato e quello delle ideologie e con l'impossibilità di commistioni. I giovani, infatti conoscono meglio, anche se di riflesso, la politica di quanto non conoscano lo Stato, confondendo spesso i due aspetti; non sono - in genere - sufficientemente consci della profonda differenza dei rapporti esistenti tra il corpo sociale, la Nazione, lo Stato e i partiti e presumono che i partiti politici rappresentino l'interlocutore unico ad essi essendo demandati ogni decisione, ogni potere. Ne deriva una palese confusione e la mancanza della corretta valutazione del ruolo individuale nei riguardi dello Stato che sfocia poi nel rifiuto implicito della partecipazione in quanto manca l'identificazione dell'individuo nella Nazione prima e nello Stato poi. Se, al contrario (e anche se le valutazioni di cui sopra di fatto corrispondono ad una realtà perversa) ci si rendesse conto del dovere di ciascuno di contribuire, in quanto parte di un corpo sociale che si esplica in Nazione che esprime uno Stato, sarebbe molto più facile comprendere e, quindi, accettare il dovere di vestire l'uniforme e quello di pretendere una difesa degna di tale nome. Non più quindi, il servizio militare come una costrizione, ma una consapevole espressione di maturità sociale, civica, intellettuale, culturale. Non si tratta, ovviamente, di rispolverare l'immagine del viatico dato daJJe madri spartane ai figli in armi, o con gli scudi e sugli scudi. Si tratta molto più semplicemente di rendersi conto di alcuni fatti: - Nazione significa "complesso degli individui legati da una stessa lingua, storia, civiltà, interessi, aspirazioni, specialmente in quanto hanno coscienza di questo patrimonio comune: la dignità, l'unità, l'indipendenza di una nazione" (da "li nuovo Zingarelli").

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- Stato significa "persona giuridica territoriale sovrana costituita dalla organizzazione politica di un gruppo sociale stanziato stabilmente su di un territorio" (da "Il nuovo Zingarelli"). - Lo Stato è costituito da una collettività di persone e come tale è considerato una "corporazione". La collettività è giuridicamente costituita dai cittadini. La cittadinanza attribuisce uno status determinante la posizione giuridica di una persona, status fondamentale perché determina la disciplina giuridica dei rapporti sia pubblici (o politici) che privati (o civili) personali e patrimoniali, sostanziali e processuali, del soggetto titolare dei diritti. La cittadinanza determina così l'appartenenza allo Stato (da "Diritto Costituzionale" Ferruccio Pergolesi). Più che l'approfondimento dei concetti, possono essere utili degli esempi: i lituani, i lettoni, gli estoni non hanno perduto la fede e la fiducia nella loro identità nazionale neppure nei periodi più oscuri e terribili del terrore comunista. Analogamente può dirsi dell'Ucrania e prima ancora della Polonia, dell'Ungheria, della Cecoslovacchia, nazioni soffocate da una forma di stato imposta con la forza e con i carri armati mantenuta per decenni. Proprio dall'identità nazionale, intesa nel suo significato più alto e senza deformazioni e speculazioni, si possono trarre le motivazioni per le quali l'Esercito ne costituisce uno dei fattori primari. Esso, in linea di principio, è certamente l'espressione della volontà comune, il momento in cui si concretizza e si esprime l'uguaglianza giuridica più piena e quella appartenenza allo Stato sottolineata dai testi; il momento in cui si realizza la manifestazione tangibile di una precisa e inequivocabile presa di coscienza sociale e politica del cittadino. È importante sottolineare che l'esercito va inteso e considerato molto diversamente rispetto a quanto accadeva sino a circa mezzo secolo fa, quando la guerra era considerata, in genere, con minore gravità rispetto al periodo successivo al 1945 non solo per le conseguenze della · sconfitta e dei disastri provocati, ma anche per altre ragioni: il potere nucleare e le sue dimensioni apocalittiche, una nuova concezione dei rapporti internazionali dominati dall'espansionismo politico e militare sovietico. L'Esercito, la Marina, l'Aeronautica vanno quindi collocati nella giusta ottica, senza cadere nelle trappole tese dalle contraddizioni e dalle suggestioni create, nel nostro paese, dalla presenza di organizzazioni protese alla disgregazione della Nazione e allo sfaldamento dello Stato, da sostituire con altra concezione e struttura.

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La giusta ottica è quella - già indicata - di uno strumento di sicurezza e dissuasione credibile, di una componente insostituibile dell'organizzazione statuale e della sua capacità di essere e di affennarsi. L'Esercito nella Storia, si è detto. E le varie vicende storiche, nei fatti, come si verificarono, possono essere ricostruite sulla base di testimonianze e di documenti, di verifiche incrociate, possono essere criticate o condivise, ma rimangono. Le loro conseguenze hanno condizionato e condizionano le fasi successive, le scelte, gli orientamenti. Il tutto, anche se si tenta di cancellarlo e di nasconderlo, rimane, pesa, e solo riesaminandolo con distacco, senza preconcetti esso può fornire la decrittazione esatta e la spiegazione oggettiva. Si vedrà, utilizzando un tale criterio, il significato autentico, in una immagine non deformata e senza il diaframma dei filtri interposti allo scopo di orientare i giudizi o per influenzare le reazioni. E questo prima ancora delle valutazioni in ordine all'opportunità o meno di avere questo o quell'esercito o di non averne. Inutile proclamare il rifiuto della guerra e delle armi e con questo chiudere il discorso. Così come diverrebbe estremamente complicato e rischioso imporre un esercito, come qualsiasi altra forza armata, senza la consapevole e convinta partecipazione della comunità nazionale e della certezza della sua volontà di volerlo sostenere se fosse necessario impiegarlo nella difesa del paese e dei suoi interessi. Si propongono allora alcuni interrogativi e si evidenziano delle considerazioni espresse dalla gente e da essi derivano altre osservazioni su questo aspetto del problema, che storicamente si configura, nei termini riscontrabili nella nostra realtà, nella mancanza di rispetto per quanto i cittadini di generazioni precedenti hanno fato inchinandosi al dovere, ma dimostrando anche una statura morale degna del massimo riconoscimento. Che cosa c'è da difendere? Chi crede ancora ai cosiddetti sacri confini della patria? Che cosa c'è da celebrare, da ricordare? Meno male che l'hanno smes~a con le buffonate delle parate militari. Ma se nemmeno quelli che stanno al governo ci credono. Ormai da tanto tempo qui si bada solo agli interessi. Lei pensa che se adesso passasse una bandiera militare ci si alzasse in piedi? Forse solo quel vecchio là che ha fatto l'Africa si toglierebbe il cappello. Anche il prete mi ha detto se ci riesci a non farglielo fare il militare a tuo figlio è un anno guadagnato. Vedremo ...

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Un breve estratto di risposte raccolte nelle varie peregrinazioni giornalistiche e concernenti il "polso" della gente al cospetto del servizio mi litare. Non potendo tradurre i toni se non con l'aggettivazione, si preferisce astenersene per non influenzare il lettore. Il nuovo modello di difesa, la dimensione e la struttura dell'esercito delineato nella bozza, non riguardano soltanto un problema tecnico, non investono esclusivamente aspetti politici di .alta strategia e non coinvolgono solo analisi, giudizi tattici, operativi, geo-politici, industriali, finanziari, etc. Riguardano anche elementi più sottili e non facilmente tratteggiabili, pur tuttavia presenti e incidenti. Tra le varie risposte avute alla domanda "lei cosa pensa del servizio militare?", ce ne sono state alcune, la netta minoranza, positive. Confrontando una di queste con una di quelle negative o, se si preferisce, scettiche, si ha le seguente relazione: una qualunque delle risposte negative citate o tutte, come primo termine e, come secondo, la risposta positiva: l'Esercito? è la nostra storia. Per un confronto più immediato si potrebbe contrapporre a questa risposta la prima di quelle 'negative: che cosa c'è da difendere? Prima di proseguire è necessario sgomberare il campo da ogni possibile dubbio. Non si intende affatto esaltare il militare e tanto meno ricorrere ad espedienti per lasciar trasparire profili dell'eroismo inteso come elemento educativo e come esempio di vita. Si tratta molto più semplicemente di prendere atto della Storia e della realtà, che della prima è diretta conseguenza. In che cosa si identificano gli italiani? È possibile parlare di italiani o non sarebbe più rispondere alla realtà indicare gli abitanti della penisola a seconda dell'appartenenza regionale, o politica, o di centri di interessi e di aggregazioni? Esiste ancora una identità nazionale in Italia? In quale misura tutto ciò incide nelle scelte politiche concernenti la difesa e sulle componenti psicologiche e intellettuali delle Forze Armate, segnatamente dei quadri permanenti, cioè dei militari di professione o di mestiere che dir si voglia? Quanto incide sulla scelta, sulla permanenza in servizio, la convinzione di essere un difensore dello Stato, della Nazione, della sua civiltà, in una parola della Patria e quanto la componente "soluzione economica", le prospettive di carriera, in poche parole, la sistemazione di vita?

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E prima ancora di tutto questo, quale serie di fattori ha determinato il progressivo depauperamento morale della nostra società? E il conseguente decadimento dei valori, soppiantati dal materialismo e dalla forsennata corsa a quello che è stato definito consumismo e che invece parrebbe più opportuno classificare come surrogazione di finalità e di obiettivi, se non addirittura di ideali? Vi è stata una sostituzione graduale di valutazioni. Uno degli obiettivi primari sono state le Forze Annate, soprattutto l'Esercito nelle sue tradizioni, nel significato più radicato e popolare dei suoi coinvolgimenti , nell'essenza stessa dei parallelismi tra partecipazione e continuità ideale, nella trasposizione dei messaggi, nella staffetta tra generazioni. L'invisibile filo conduttore che costituiva la tradizione è stato spezzato. La storia ha subito forzature e cancellazioni. Non si è verificato un indispensabile processo, altrove invece attuato da moltissimi anni: l'interpretazione storica motivata e collegata., la spiegazione delle correlazioni nel tempo e nello spazio finalizzata alla comprensione globale delle motivazioni, dei procedimenti di causa ed effetto, anche a grande distanza di tempo, in forza della traslazione dei moventi e della tutela dei principi sui quali si basa la continuità spogliata delle sovrastrutture contingenti degli episodi e delle fasi anche drammatiche che hanno imposto mutamenti e determinato successioni di sistemi, ma senza intaccare l'entità portante, l'anima della Nazione, l'essenza della sua gente. Anima ed essenza che non vengono violentate pur nell'evoluzione e nelle innovazioni dettate dal progredire, dal trasformarsi esteriore del tipo di vita, dalla espressione culturale e dalle nuove relazioni. Si discute il metodo, lo si sostituisce, ma non si ripudia, non si taglia il legame con il passato. L'Esercito ha subito le onde d'urto combinate dei diversi fenomeni. Mentre altri settori hanno potuto modulare il divenire ricercando la sintonia più rispondente, l'Esercito per la sua stessa conformazione, la superiorità numerica, l'inferiore componente professionale rispetto alle altre due forze armate, la maggiore dipendenza dalla leva obbligatoria e dal ciclo degli arruolamenti, ha sofferto la minore flessibilità, e in parte impermeabilità, per ragioni oggettive, rivelandosi la cartina di tornasole delle trasformazioni intervenute nella società a causa dei processi indicati. E di altro ancora: le conseguenze della lunga e tormentata guerra fredda, con l'Italia in prima linea e caratterizzata da una lotta ideologica esperrima e sanguinosa.

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Si sono così, tra l'altro, perdute le memorie di una parte non marginale di avvenimenti che pure hanno cadenzato la storia non soltanto italiana. Eventi che sottoposti a critiche feroci e tambureggianti, sono stati accantonati anche dai vertici dello Stato. In pratica era l'Esercito ad essere emarginato, a subire, a rimanere isolato persino dall'interno per l'atteggiamento passivo di larghi strati dei soldati di leva. Si è messo in discussione tutto, persino il Risorgimento, evitando tuttavia una analisi fredda e razionale dei fatti, localizzandoli nel tempo, nella mentalità del periodo, pretendendo, invece, di considerarli con la mentalità di oggi, sovente anche con parzialità e preconcetti. È poi quasi completamente mancata, o è stata affrontata in modo non esauriente o comunque non è stata adeguatamente diffusa, una ricerca storico-documentale sugli altri soggetti protagonisti degli avvenimenti: gli inglesi, i francesi, gli austriaci, per citare i più direttamente coinvolti. Non si sono portati alla luce i documenti relativi al ruolo svolto dai governi di Londra, Parigi, Vienna nell'ambito delle vicende italiane, dalla metà del secolo scorso. Vi sono scarsi e frammentari riferimenti. E così mancano dei ragguagli precisi per comprendere, rendersi conto, chiarire. Si decide un nuovo modello di difesa e nessuno si sorprende, ma ad esempio - non si pensa di delineare un nuovo modello di politica estera e a nessuno viene in mente. tanto meno, sono altri esempi, ci si impegna nell'elaborare un piano sistematico e integrato di trasporto marittimo di cabotaggio. L'alta velocità ferroviaria è solo agli albori progettuali; in termini di velocità oraria sarà la metà di quella giapponese e francese e la si considera un successo e la si sbandiera sui mezzi d'informazione, immediatamente disponibili a dare spazio, titoli, commenti favorevoli , dimenticando tutto il resto: ritardi, promesse fatte da certi ministri dieci anni fa. Manca un sistema coordinato, funzionale per la catalogazione, la gestione, la tutela effettiva del patrimonio artistico, il più grande del mondo e nessuno se ne lamenta. Il mercato nero delle opere d'arte registra punte di eccezionale intensità e tutt'al più si registrano notiziole di poche righe. I sotterranei dei musei sono ricolmi di reperti non catalogati da decenni e nessuno se ne preoccupa.

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Però ci si preoccupa, e in maniera ossessiva da parte di taluni, delle spese militari e si benedice la decisione di smantellare l'Esercito, simbolo di violenza, prevaricazione, minaccia, pericolo di guerra. Non si è ancora verificata alcuna manifestazione di protesta, nessun sit-in contro l'ignavia dei responsabili della tutela del patrimonio artistico, culturale, che se utilizzato razionalmente potrebbe trasformarsi in un cespite di elevatissime capacità, molto più di certe manifestazioni che ben poca attinenza hanno con la cultura. Vi sono due esempi, in Francia, che suggeriscono delle riflessioni.Il primo è a Parigi, Les Invalides, il secondo in Normandia, il Memoria! di Caen. Aperto nel 1989, il museo di Caen raccoglie le testimonianze e la documentazione della seconda guerra mondiale e si proietta con le sue iniziative oltre questi confini di ricerca e di studio. La sua denominazione, un museo per la pace, ne indica l'ispirazione, ma senza ipocrisie. Con il suo ventaglio di presenze e di orientamenti, è affrontata con criteri oggettivi anche la sconfitta del 1940. Ogni anno, mediamente, il Memoria! è visitato da trecentomila persone. Les lnvalides racchiudono la storia di Francia, se si vuole, il suo orgoglio. In tutto il territorio francese esistono testimonianze indicate e conservate con rispetto. Sono parte essenziale della terra su cui sorgono e sui cui si sono svolti avvenimenti anche lontani nel tempo, ma che permeano del loro fascino e delle loro ombre, dei ricordi e dei segni esteriori l'atmosfera stessa. Verdun, la Somme, Pegasus Bridge, Utah Beach, Omaha Beach, Caen, Avranches, Falaise, per citare solo alcune località, rappresentano dei pilastri della memoria storica, ma non per questo sono dei fardelli o degli orpelli e la gente dei luoghi non ne sente il peso pur non rinnegandone il ruolo e non sottovalutandone la capacità polarizzante. Costituiscono itinerari preziosi, punti di contatto tra passato e presente e così in Belgio (ad esempio Bastogne e Ypres), in Olanda (Arnhem, Nimega, Orlon), in Lussemburgo. La storia assume allora la configurazione più corretta, non un esercizio dialettico o un'arena riservata agli specialisti e a una ristretta cerchia di cultori, ma un metodo. Alle nostre latitudini non solo si sono cancellate le testimonianze o si sono isolate, ma si è anche provveduto ad escluderle dai riferimenti. L'Esercito, in particolare, ha via, via perduto La sua connotazione nell'ambito del giudizio popolare; ridiventa indispensabile solo quando una calamità naturale ne richiede l'interven-

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to, urgente, tempestivo. In quel caso la cosiddetta prontezza, l'efficienza, la funzionalità sono oggetto di attenzione. Si misurano i tempi di reazione, l'efficacia del lavoro, la qualità dei mezzi la capacità dei mrntari. E se qualche difetto o carenza emerge ci si scandalizza e le critiche si scatenano. In presenza di una calamità l'intervento dell'Esercito viene considerato ovvio. Chi interverrà quando vi saranno solo 5 brigate formate da professionisti? Si pensa forse che soldati professionisti, addestrati per combattere, siano disposti a fare altro? Un diverso atteggiamento della pubblica opinione (e della stampa) si ha invece quando si debbano affrontare -problemi inerenti le aree addestrative, il trattamento economico dei militari, l'ammodernamento dei sistemi d'arma, degli apparati, dei mezzi. In casi del genere l'Esercito diventa ingombrante. Una prosa scontata e superflua? Apprezzamenti non ancorati alla nuova realtà espressa dal paese? Se vi sono ambienti anche autorevolissimi dotati del potere di decidere la riduzione dell'Esercito, come delle altre Forze Armate, a un semplice guscio vuoto, non è possibile impedirlo; se la pubblica opinione fosse ampiamente favorevole a un tale provvedimento - il che, quanto meno, è tutto da dimostrare - si rispetterebbe tale opinione, ma tutto ciò non esime dal denunciare la gravità della decisione, così come si sottolinea l'errore nell'aver voluto o soltanto favorito o consentito il dissolvimento di certi collegamenti ideali che hanno impoverito il tessuto connettivo nazionale, sfilacciandolo, se non addirittura lacerandolo. Dalla verifica della mentalità della gente nelle varie regioni e ai diversi livelli, dai risultati emersi da una ricerca ad hoc durata parecchi mesi, sovente in concomitanza con avvenimenti interni e internazionali di notevole rilievo, risulta che la stragrande maggioranza degli italiani considera lo Stato (spesso il governo) come un antagonista, nella migliore delle circostanze una entità non meglio definita a cui compete di fare determinate cose in quanto di spettanza: costruire ospedali, strade e scuole, migliorare questo e quell'altro, far pagare le tasse a chi non le paga, curare e assistere meglio la gente che ne ha bisogno, pagare pensioni più consistenti, neutralizzare la criminalità e così via. Lo Stato (o il governo) deve fare e non fa o lo fa in ritardo e in questo si concretizzano le spaccature e la sfiducia. In ciò si innesta anche il rifiuto endemico del servizio militare, subito come una imposizione, affrontato come una seccatura, da togliersi al

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più presto dai piedi, anche se poi, a conti fatti, l'esperienza molto spesso diventa interessante se non proprio gradevole, accettabile anche se non considerata positiva, tutto sommato non così traumatizzante come si era sentito dire e come in fondo si era finito per credere. La gente sa che cos'è l'Esercito italiano? Ne conosce, sia pure sommariamente, la storia? O sa soltanto che ci sono stati la grande guerra e il secondo conflitto mondiale e forse, ma così di sfuggita, la guerra d'Africa? La gente sa qualcosa della funzione sociale dell'Esercito, delle sue scuole, del patrimonio, globalmente inteso, che esso rappresenta per lo Stato e per la Nazione? La gente si rende conto che non si può rinunciare alla forza armata per proteggere tutelare il livello di vita che si è raggiunto e per garantire un ulteriore sviluppo? E che la difesa non è solo un costo, una spesa improduttiva, ma è anche scienza, produzione, preparazione tecnica di uomini, utili poi nella società civile? Ed è proprio nella distinzione tra militari e civili che risiede uno degli ostacoli più infidi e difficili, che si ripropone con le sue componenti perniciose lo spettro dei corpi separati. Un ostacolo che deve essere rimosso se si intende trasformare la mentalità e aprire prospettive concrete al rapporto tra cittadini e la sicurezza degli stessi, cioè di noi tutti, e configurare esattamente le due facce della stessa medaglia: la sicurezza può essere garantita solo dagli stessi cittadini che diventano soldati e come tali si considerano. Qualunque sia la formula applicata, la difesa di un qualsivoglia paese implica la partecipazione convinta e responsabile dei suoi cittadini. Non quindi una imposizione, una supina sottomissione a un obbligo la cui inosservanza implichi una sanzione, anche se ciò la legge deve pur sancire per l'equità, che oggi non sussiste. Qualora un paese rinunci - per qualsivoglia motivo - a predisporre gli strumenti idonei a garantire la propria sicurezza e non li sappia far funzionare adeguatamente o li vincoli a restrizioni tali da comprometterne la capacità organizzativa, strutturale e funzionale, ebbene il paese non può attribuire ad altri le proprie responsabilità, ma deve affermare esplicitamente di assumersele con tutti i rischi che la decisione comporta. L'Esercito delineato dalla bozza del nuovo modello di difesa implica tutti gli aspetti sin qui evidenziati e ne è la risultante. Tutto finisce nei quattrini. È la solita storia. Un commento che diventa un ritornello. Eppure sulla questione delle risorse destinate alla

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difesa (1'1,7 per cento del prodotto interno lordo, lo ricordiamo) c'è qualcosa dj interessante da citare. "Tutto compreso e calcolato, l'Italia spende per la propria difesa qualcosa come 20.000 miliardi l'anno. Li spenderà bene, li spenderà male, ma comunque li spende. 20.000 miJiardi possono essere considerati come una somma mostruosamente eccessiva o come paurosamente insufficiente, a seconda dei punti di vista; ma nemmeno più accaniti avversari di ogni e qualsiasi modello di difesa potrebbero sostenere che queste spese gravino in modo intollerabile sul paese e sulla sua economia. Di per sè 20000 miliardi sono una montagna di soldi. Ma prima di gridare allo spreco, e prima di affrettarsi a suggerire impieghi "alternativi" per tutto quel denaro, è necessario capire e valutare davvero cosa essi significhino per il paese: e per fare questo, niente di meglio che tirare in ballo qualche altra cifra. Ad esempio, le stime più prudenti valutano l'evasione fiscale complessiva in circa 60000 miliardi l'anno. Qualche "economista" ha anche ipotizzato che gli evasori impiegano questi soldi in maniera più produttiva dj quanto fa lo Stato; ma questo non c'entra. Quello che interessa in questo caso è che l'evasione fiscale è il triplo delle spese per la difesa. Ne consegue che se si riuscisse a far rientrare appena un terzo dell'evasione fiscale l'Italia avrebbe la sua difesa completamente gratis. Sorprendente? E non è finita qui. Sempre basandosi sulle stime più prudenti, l'assenteismo dei dipendenti statali costa allo Stato stesso circa un milione e cinquecentomila giornate "lavorative" (si fa per dire) aU'anno, che tradotto in cifra fanno sui 75000 miliardi. Leviamo 15000 miliardi per l'assenteismo "normale" (quello, cioè che affligge anche l'industria privata) e abbiamo un 60000 miliardi di passivo netto annuale - ancora una volta il triplo degli investimenti per la difesa - dovuto unicamente alla particolarissima concezione che troppa gente ha del significato di un "posto di lavoro" statale e della benevola tolleranza dello Stato in proposito". Così ha scritto Giovanni Lazzari, direttore di RID, Rivista Italiana di Difesa. Gli argomenti affrontati nello stralcio dell'editoriale sopra riportato non è dato leggerli sui quotidiani considerati i leaders dell'i.nformazione scritta e neppure ascoltati alla radio e tanto meno trasmessi in servizi televisivi con il supporto delle immagini. Una inchiesta oggettiva, documentata, completa, approfondita sulla questione militare non è mai stata fatta nel nostro paese dai mezzi di informazione. Gli italiani non sanno, ad esempio, come sia articolato

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l'Esercito, quali le Brigate, i Reggimenti, i Battaglioni. Non che siano tenuti a saperlo, ovviamente, ma ci si stupisce di fronte a certe critiche e prese di posizione preconcette da parte di chi, lancia in resta, afferma che le spese militari sono esagerate, enormi. Alla domanda, lei sa quanti miliardi si spendono più o meno ogni anno? reagiscono con evidente imbarazzo, nicchiano, assumono la tipica espressione di chi è colto impreparato e cerca scappatoie. Alcuni rispondono: troi>pi; altri denunciano la loro ignoranza abbozzando frasi smozzicate, rifugiandosi sull'inutilità delle spese militari, sugli sprechi, sulle vendite di armi all'estero, vendite che alimentano le guerre provocando "milioni di vittime" L'obiezione avanzata da persone più addentro al terna, con una certa infarinatura de i dati sommari, è stata la seguente: la gente non è tenuta ad essere informata su problemi così tecnici e specifici; chi deve decidere su questi argomenti sono i politici, il Parlamento, il governo, le commissioni preposte. L'opinione di chi scrive è nettamente contraria a un atteggiamento del genere. È superfic iale, anti-democratico, offensivo nei confronti dei cittadini, pericoloso perché esclude la possibilità, oserei dire il diritto dei cittadini di formarsi una propria opinione autonoma sulla base dei dati oggettivi e incontrovertibili che costituiscono le spese per la difesa. Quando si afferma che contrariamente a moltissimi altri paesi (anche a quelli tradizionalmente neutrali , Svizzera, Svezia, Austria, Finlandia) l'Italia è tra le più povere di cultura della sicurezza e della difesa, si ammette in primo luogo che gli italiani non conoscono adeguatamente gli aspetti essenziali non della strategia e della tattica, dell'addestramento e dell'impiego delle armi, bensì dei concetti - oggettivi ripeto - della sicurezza e soprattutto non sono sufficientemente sensibilizzati. Così come non sono adeguatamente informati sull'incidenza effettiva delle spese della difesa sul quadro più ampio delle spese dello Stato. I dati riportati nella citazione di cui sopra costituiscono un riferimento interessante anche se ovviamente sintetico. Si intende ridurre l'Esercito anche perché, si afferma, bisogna spendere di meno, bisogna ridurre il deficit pubblico, perché le risorse non consentono di sostenere più oltre un onere così elevato per la difesa, ora che la minaccia si è dissolta. Si spendono meno di 20000 miliardi. Gli italiani sono circa 58 milioni. Ciò significa che la spesa procapite è di 345.000 lire all'anno. Meno di 1000 lire al giorno. Meno di quanto si spende per l'assicurazione di una automobile.

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V

IDENTIKIT DI UN ESERCITO

La cosiddetta riforma intende riorganizzare l'Esercito nei termm1 prima indicati. Come è articolato attualmente l'Esercito italiano? Quali i compiti? I compiti dell'Esercito derivano dalla funzione difensiva che la Costituzione affida alle Forze Armate, poste al servizio della Nazione. In tempo di pace l'Esercito, oltre a concorrere alla salvaguardia delle libere istituzioni e al bene della collettività nazionale nei casi di pubbliche calamità, come stabilito dalla legge relativa alle Norme di principio sulla disciplina militare, deve presidiare le frontiere e assicurarne la vigilanza, mantenere le forze ad un elevato livello di capacità operativa, per conferire loro prontezza di intervento in ogni evenienza, concorrere con immediatezza e continuità con una aliquota delle proprie forze controaerei alla difesa aerea del territorio. In tempo di guerra l'Esercito deve impiegare le forze in operazioni difensive e controffensive per arrestare l'aggressione e le eventuali penetrazioni nel territorio nazionale. Inoltre l'Esercito deve provvedere alla prer tezione delle installazioni militari, alla sicurezza dei punti sensibili e delle linee di comunicazione e fornire, su richiesta delle autorità civili, concorso di forze per la prevenzione di atti di sabotaggio diretti contro opere ed attività di interesse nazionale e per il sostegno delle forze dell'ordine. L'Esercito deve essere impiegato soltanto al servizio della Nazione e in conformità dei canonj costituzionali. Non può essere impiegato al servizio di parti politiche o di ideologie, ma soltanto a presidio dell'ordine costituzionale e quindi della democrazia, che rappresenta il bene supremo della comunità nazionale, nel quale affondano le radici e dal quale traggono alimento la libertà, l'uguaglianza, le prospettive di benessere e di progresso di ciascuno e di tutti.

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Il nostro Esercito è costituito da quattro grandi blocchi. - Organizzazione centrale: Stato Maggiore Esercito, articolato in Reparti, Ispettorati (Scuole, Fanteria e Cavalleria, Artiglieria e Difesa NBC, Genio, Trasmissioni, Aviazione Leggera dell'Esercito), Comandi dei Corpi e Servizi Logistici (Sanità, Commissariato, Veterinario, Amministrazione, Trasporti e Materiali, Materiali dell'Aviazione Leggera dell'Esercito), Comando del Corpo Tecnico dell'Esercito - Organizzazione Territoriale: Comandi di Regione Militare Comandi Militari di Zona Distretti Militari Depositi, Ospedali, Magazzini ed enti vari a carattere logistico. - Organizzazione addestrativa: Organizzazione scolastica centralizzata (Scuole Militari per Ufficiali, Sottufficiali e Specializzati), Particolari Reparti, Battaglioni di Fanteria (e Specialità) che, mantenendo il loro carattere di Unità operative, si occupano della fase iniziale dell'iter addestrativo per la maggior parte dei militari di leva. - Forze Operative: Quasi tutte le Unità dell'Esercito sono inquadrate in Corpi d'Armata che hanno composizione variabile in relazione ai compiti operativi da assolvere. Alle loro dipendenze operano Brigate e Unità di supporto (trasmissioni, genio, artiglieria, aviazione dell'Esercito, unità logistiche). In sintesi si hanno: 3° Corpo d'Armata (Milano) 4° Corpo d'Armata (Bolzano)

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5° Corpo d'Armata (Vittorio Veneto) Artiglieria Controaerei dell'Esercito (Padova), 26 Brigate: 10 meccanizzate, 4 corazzate, 5 motorizzate, 5 alpine, 1 paracadutisti, 1 missili. (E questo sino al 1990. Dal 1991 le Brigate sono state ridotte a 19). Se mai queste note riscuoteranno l'attenzione di qualche giovane, potrebbe essere interessante dare una scorsa, di sfuggita naturalmente o per una qualche curiosità, ad altre informazioni, meno burocratiche. Ci si riferisce alle Armi, alle Specialità ai Corpi. Qualcosa di apparentemente didascalico, ma in effetti l'araldica dell'Esercito, le insegne che hanno lasciato delle tracce in tanta parte della storia passata e più recente e che nonostante tutto continuano a rappresentare la sicurezza. Carabinieri Prima fra le Armi dell'Esercito rappresenta l'autorità dello Stato nella difesa delle istituzioni e a garanzia dei diritti del cittadino. Ha anche compiti di Polizia Militare. Fanteria È l'arma base dell'Esercito articolata nelle componenti: meccanizzata, motorizzata e d'arresto. Sue specialità: granatieri, bersaglieri, alpini, carristi, lagunari, paracadutisti.

Granatieri La specialità di antichissime tradizioni, oltre ai normali compiti operativi, svolge servizi di alta rappresentanza. Bersaglieri Costituiscono una delle espressioni più genuine dello spirito italiano. Le unità sono tutte meccanizzate. Alpini Attraverso il reclutamento regionale assicurano una efficace difesa del settore alpino. Le unità hanno però armi e mezzi per operare anche in altri ambienti.

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Carristi Sono il fulcro della manovra corazzata del nostro Esercito. Le unità sono dotate di carri M60 e Leopard. Paracadutisti Danno vita a reparti sceltissimi che soddisfano le esigenze di tempestività e flessibilità di impiego. Lagunari Moderna specialità meccanizzata e anfibia della .Fanteria, erede delle tradizioni marinare dei "Fanti da mar" della Repubblica di Venezia. Cavalleria È l'arma corazzata che conserva infatti lo spirito ed il culto delle tradizioni dei cavalieri di tutti i tempi. Artiglieria È l'arma alla quale è affidato il sostegno di fuoco della battaglia. Oggi si presenta operativamente e tecnicamente all'avanguardia. Genio Tutte le caratteristiche della guerra moderna aumentano i compiti del Genio. Combattenti e lavoratori ad un tempo, i genieri seguono un duplice addestramento, tattico e tecnico. Trasmissioni Garantiscono le comunicazioni per il controllo delle operazioni. L'efficienza delle trasmissioni condiziona la riuscita anche dei più brillanti disegni operativi.

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Aviazione dell'Esercito È affidata a piloti-osservatori e specializzati che si avvalgono di aerei leggeri ed elicotteri per l'osservazione, il controllo ed il trasporto. Con i più moderni elicotteri d'attacco è protagonista del combattimento controcarri. Corpi Logistici Assolvono i compiti di approvvigionare e gestire armi, materiali e fondi, rifornire le unità, recuperare il personale ferito ed il materiale inefficiente. Corpo Tecnico Definisce le caratteristiche tecniche degli armamenti e dei mezzi di combattimento. Pilota tutti gli studi e le ricerche sui materiali e dirige il settore geografico militare. Cappellani Militari Assicurano l'assistenza religiosa e spirituale del personale. Le Brigate Le 25 Brigate, dell'Arma Base comprendono vari Battaglioni di fanteria e specialità, supporti tattici (artiglieria, genio e trasmissione) e supporti logistici. Agiscono alle dirette dipendenze dei Corpi d'Armata e delle Regioni Militari e possono essere - meccanizzate (su 3 battaglioni motorizzati e 1 corazzato); - corazzate (su 2 battaglioni carri e 1 meccanizzato); - motorizzate (su 2 battaglioni motorizzati e 1 corazzato); - alpine (su 3 o 4 battaglioni alpini); - paracadutisti (su 2 battaglioni paracadutisti, 1 battaglione carabinieri paracadutisti e 1 battaglione d'Assalto). Oltre a queste vi sono:

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- il Comando Artiglieria Controaerei; - una Brigata di Artiglieria Missili; - il Comando Truppe Anfibie che riunisce tutti i reparti lagunari. Le nostre Brigate sono eredi delle tradizioni di omonime Divisioni o di gloriosi Reggimenti disciolti.

Granatieri di Sardegna Tra origine dalla Specialità più antica delle nostre Forze Armate ( 1659). Si costituisce nel 1831 con il nome di Guardie che muta in Granatieri nel 1850 e in Granatieri di Sardegna nel 1852. Partecipa a tutte le campagne risorgimentali ed alla 1il Guerra Mondiale. Nel settembre 1943 combatte tenacemente alle porte di Roma. Dal l 0 novembre 1976 assume la denominazione di Brigata meccanizzata Granatieri di Sardegna. Il Comando ha sede a Roma. Aosta Si costituisce nel 1831. Partecipa a tutte le campagne risorgimentali ed alla I g Guerra Mondiale. Durante la 2' Guerra Mondiale è dislocata in Sicilia. Dall'autunno 1975 assume la denominazione di Brigata motorizzata Aosta. Il Comando ha sede a Messina. Pinerolo Si costituisce nel I 831. Partecipa a tutte le campagne risorgimentali ed alla 1@Guerra Mondiale. Il 12 febbraio 1979 si trasforma da motorizzata a meccanizzata con la denominazione di Brigata meccanizzata Pinerolo. Il Comando ha sede a Bari. Acqui Si costituisce nel 1831. Partecipa a tutte le campagne risorgimentali ed alla 11 Guerra Mondiale. Durante il secondo conflitto mondiale, viene schierata prima sul fronte occidentale, poi in Albania, infine rimane nelle isole Jonie. Alcune sue unità prendono parte alla resistenza italiana all'estero. Viene ricostituita come Brigata motorizzata nel 1975. Ha il comando a l'Aquila.

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Pozzuolo del Friuli Riallaccia le sue origini alla II Brigata di Cavalleria costituita il 7 marzo 1835. Il 1° aprile 1957 si costituisce in Gradisca d'Isonzo il Comando Brigata di Cavalleria che il 1° gennaio 1959 assume l'appellativo di Pozzuolo del Friuli, dalla località ove la II Brigata ha combattuto il 29 - 30 ottobre 1917. Nel 1975 viene inquadrata come Brigata corazzata nella Divisione meccanizzata Mantova e nell'ottobre 1986 diviene autonoma conservando la fisionomia di Brigata di Cavalleria. Il Comando ha sede a Palmanova. Cremona Si costituisce nell'agosto 1859. Partecipa alla terza guerra d'indipen- · denza ed alla 1!! Guerra Mondiale. Durante la 2!! Guerra Mondiale è inviata prima sul fronte occidentale, poi in Sardegna ed in Corsica. Nel settembre 1944 assume la denominazione di Gruppo di Combattimento Cremona e da gennaio 1945 partecipa alla guerra di liberazione. Il 30 ottobre 1975 diventa Brigata motorizzata Cremona. Il Comando ha sede a Torino. Brescia Ha ereditato nome e tradizioni dalla Brigata di Fanteria "Brescia" costituita il 1° novembre 1859. Nel quadro del nuovo ordinamento dell'Esercito, il 1° settembre 1975 sì costituisce il Comando della Brigata meccanizzata Brescia, inquadrata nella Divisione meccanizzata Mantova. Nell'ottobre 1986, soppresso il livello divisionale, diviene autonoma. Il Comando è a Brescia. Friuli Si costituisce nel 1884. Partecipa alla l! Guerra Mondiale. Nel settembre 1944 assume la denominazione di Gruppo di Combattimento Friuli e dal febbraio 1945 partecipa alla guerra di liberazione. Nell'autunno 1975 assume la denominazione di Brigata motorizzata Friuli. Ha il Comando a Firenze. Mantova Costituita nel 1041 Divisione di viene Gruppo di soppressione del

1915 quale Brigata Mantova. Nel 1942 si forma la Fanteria Autotrasportabile Mantova che nel 1944 diCombattimento Mantova. Nell'ottobre 1986, con la livello divìsìone la Brigata meccanizzata Isonzo

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(costituita nel 1975) assume nome e tradizioni della divisione Mantova mantenendo la propria fisionomia. Il Comando è a Udine. Taurinense Nel marzo 1926 con i reparti del 1° Raggruppamento alpino si costituisce la 1~ Brigata alpina. Nel settembre 1935 si trasforma in 1! Divisione alpina Taurinense. Partecipa al secondo conflitto mondiale prima sul fronte occidentale e poi in Montenegro. Sciola nel dicembre 1943, viene ricostituita nel 1952 con la denominazione di Brigata alpina Taurinense. Il Comando ha sede a Torino. Tridentina Nel marzo 1926, con i reparti del 2° Raggruppamento alpino, si costituisce la 21 Brigata alpina. Nel settembre 1935 si trasforma in 2!! Divisione alpina Tridentina. Partecipa al secondo conflitto mondiale prima sul fronte occidentale, poi su quello greco-albanese e successivamente sul fronte russo. Sciolta nel settembre 1943, nel maggio 1951 viene ricostituita quale Brigata alpina Tridentina. Il Comando è a Bressanone. Julia Nel marzo 1926 con i reparti del 3° Raggruppamento alpino, si costituisce la 3il Brigata alpina. Nel settembre 1935 si trasforma in 3a Divisione alpina Julia. La Divisione partecipa alle operazioni di annessione dell'Alb~nia nel 1939, alla campagna greco-albanese del 19401941 ed alle operazioni sul fronte russo nel 1942-1943. Sciolta nel settembre 1943, nell'ottobre del 1949, viene ricostituita quale Brigata Alpina Julia. Il Comando è a Udine. Legnano Discende dalla Divisione "Legnano" costituita nel 1934. Nel 1934 le sue unità costituiscono il I Raggruppamènto Motorizzato e l'anno successivo il Gruppo di Combattimento Legnano. Il 30 ottobre 1975 la Divisione Legnano si trasforma in Brigata meccanizzata, inquadrata nella Divisione corazzata Centauro. Nell'ottobre del 1986, soppresso il livello divisionale, diviene autonoma. Il Comando è a Bergamo.

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Centauro Trae origine dalla I Brigata motomeccanizzata costituita nel 1936, divenuta l'anno successivo I Brigata corazzata e trasformata nel 1939 in 131 li Divisione corazzata Centauro (Reggimenti 5° Bersaglieri, 31 ° Fanteria Carrista, 131 ° Artiglieria Corazzata). Nel 1940-41 combatte in Grecia e Jugoslavia inquadrando anche il 1° Rgt. Bers. Nel 1942 è dislocata in Africa settentrionale. Nell'ottobre 1986, soppresso il livello divisionale, la Brigata corazzata Curtatone (costituita nel 1975) eredita nome e tradizioni della Divisione di cui faceva parte e assume la denominazione di 31 !I Brigata corazzata Centauro. Il Comando è a Novara. Ariete Trae origine dalla II Brigata Corazzata la cui costituzione inizia a Milano il 15 luglio 1937, la sua prima unità è il 3° Reggimento Bersaglieri, al quale si affiancano nel novembre 1938 1'8° Reggimento bersaglieri ed il 322 Reggimento Fanteria Carrista. Il 1° febbraio 1939 la Brigata si trasfo11T1a in 132~ Divisione Corazzata Ariete. La Divisione, dislocata in Africa Settentrionale, il 1° settembre 1941 costituisce ed inquadra anche il 132° Reggimento Fanteria Carrista. Nel 1942 si sacrifica fino alla distruzione in A.S .. Nell'ottobre 1986, con la soppressione del livello divisionale, la Brigata corazzata "Manin" (costituita nel 1975) assume nome e tradizioni dell'Ariete assumendo la denominazione di 132!1 Brigata Corazzata Ariete. Il Comando è a Pordenone. Trieste Nel 1939 si costituisce la 101 ! Divisione Motorizzata Trieste che si scioglie nel maggio 1943 per eventi belli.ci. Il 1° giugno 1959 è nuovamente in vita, subisce poi alcuni mutamenti organici. A partire dal 20 ottobre 1960 si trasforma definitivamente in Brigata. Nel 1975 viene inquadrata nella Divisione meccanizzata Folgore, ma nell'ottobre 1986 soppresso il livello divisionale, diviene nuovamente autonoma. È mecc~nizzata ed ha il Comando a Bologna. Folgore Il 1° settembre 1941 viene costituita la Divisione paracadutisti. Nel luglio 1942 la Grande Unità prende il nome di 1851! Divisione di Fanteria Folgore e viene inviata in Africa settentrionale. Nel novembre

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1942 la Grande Unità si sacrifica nel corso della battaglia di El Alamein. Il 1° gennaio 1963 si costituisce la Brigata Paracadutisti che, nel 1967, assume la denominazione di Brigata paracadutisti Folgore. Il Comando ha sede a Livorno. Cadore Si costituisce nel 1953 inquadrando il 7° Rgt. alpini e i1 6° Rgt. art. mon. che avevano combattuto nella 21 guerra mondiale con le Divisioni Pusteria e Alpi Graje. Il Comando è a Belluno. Orobica Nel gennaio 1953 si costituisce, con elementi già esistenti, la Brigata alpina Orobica nella quale sono inseriti il 5° Reggimento alpini ed il 5° Reggimento artiglieria da montagna, reggimenti che avevano partecipato alla seconda guerra mondiale inquadrati in altre grandi unità (Divisione alpine Tridentina e Pusteria). Il Comando ha sede a Merano. Aquileia Viene costituita il 1° ottobre del 1959 a Vicenza con la denominazione di 3! Brigata missili. Nell'ottobre 1975, opportunamente trasformata, assume la nuova denominazione. È dotata del sistema missilistico Lance. Il Comando è a Portogruaro. Vittorio Veneto Si costituisce il 1° ottobre 1975 nel quadro della ristrutturazione dell'Esercito come Brigata Corazzata inquadrata organicamente nella Divisione meccanizzata Folgore. Nell'ottobre 1986, soppresso il livello divisionale, diviene meccanizzata e autonoma, conservando la fisionomia di Brigata di Cavalleria. Il Comando ha sede a Poggioreale del Carso (TS). Mameli Si costituisce il 1° ottobre 1975 nel quadro della ristrutturazione dell'Esercito, ed è inquadrata nella Divisione Ariete. Nell'ottobre 1986, soppresso il livello divisionale, diviene autonoma conservando la denominazione di 321! Brigata Corazzata Mameli. li Comando ha sede a Tauriano (PN).

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Gorizia Inquadrata nella Divisione Meccanizzata Folgore, è stata costituita il 20 ottobre 1975. Nell'ottobre 1986, soppresso il livello divisionale, diviene autonoma. È meccanizzata e il Comando è a Gorizia. Goito Si costituisce il 21 ottobre 1975, inquadrata nella Divisione Corazzata Centauro, sulla base del disciolto 3° Rgt.b. e con l'immissione di altri reparti provenienti dalle Divisioni di fanteria Cremona e Legnano e dalla Divisione corazzata Centauro. Nell'ottobre 1986, soppresso il livello divisionale, diviene autonoma conservando la denominazione di 3!! Brigata meccanizzata Goito e la fisionomia di Brigata Bersaglieri. Il Comando è a Milano. Garibaldi Si costituisce il 1° novembre 1975, per trasformazione del Comando 8° Reggimento bersaglieri e con elementi del disciolto Comando Fanteria Ariete, nel quadro della ristrutturazione deII'Esercito ed è inquadrata nella Divisione Corazzata Ariete. Nell'ottobre 1986, soppresso il livello divisionale, diviene auton.oma conservando la denominazione di 8!! Brigata meccanizzata Gar'ibaldi e la fisionomia di Brigata Bersaglieri. Il Comando è a Pordenone. Sassari Costituita il 1° marzo 1915, costruisce il proprio mito nel corso della Grande Guerra. Trasformata, alla vigilia del secondo conflitto mondiale, in 12!! Divisione di Fanteria Sassari, viene sciolta il 10 settembre 1943, dopo aver partecipato alla difesa di Roma. L'8 aprile 1989 viene ricostituita quale Brigata motorizzata Sassari. Il Comando è a Cagliari. Missioni Speciali All'Esercito sono affidate anche missioni speciali che hanno bisogno di una vera e propria integrazione delle forze terrestri con quelle aeree e navali e con quelle di Paesi alleati (NATO). Queste missioni sono: 71


- la difesa controaerei di tutto il territorio nazionale. - il rapido intervento nelle pubbliche calamità e nelle emergenze difensive di sicurezza. Difesa controaerei Integra tutti i sistemi di difesa terrestri (missili, cannoni e mitragliere del Comando Artiglieria controaerei) con quelli dell'Aeronautica, della Marina e delle altre forze NATO. La rete di avvistamento è unica e controlla tutto il traffico aereo in avvicinamento all'Italia. La difesa controaerei è l'ombrello difensivo del Paese, ed è sempre aperto. Forza il pronto Intervento (FO.P.1.) Sotto un comando unificato comprende tutte le unità scelte per il primissimo intervento a favore delle popolazioni colpite da disastri naturali o ecologici. Integra e coordina gli sforzi dell'Esercito con quelli delle altre forze militari e civili. Forza di Intervento Rapido (F.I.R.) Sotto un comando interforze, ha una componente terrestre, una navale - anfibia ed una aerea per i trasporti. Ha compiti di rapido intervento preventivo o di reazione contro azioni ostili su tutto il territorio nazionale. Può fornire aliquote per un contingente di pace dell'ONU, può costituire una forza di sicurezza a garanzia di armistizi e con il consenso della Nazione ospitante, per lo sgombero di comunità italiane all'estero minacciate. AMF - Forza Mobile del Comando Alleato in Europa Ha il compito di evitare le minacce di conflitto dimostrando che i paesi alleati sono uniti e si vogliono difendere da qualsiasi aggressione. Può intervenire a favore di ogni paese della NATO minacciato. L'Italia ha assegnato a questa Forza unità alpine sceltissime, riunite nel Contingente Cuneense, e mezzi aerei di trasporto. Si è fatto cenno precedentemente all'Esercito nella Storia con qualche riferimento anche ad alcuni paesi europei dove la memoria storica è tenuta in maggiore considerazione, senza per questo cadere nella retorica e nella deformazione dei significati. Il contributo umano alle Forze Armate deve

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essere distinto dalle motivazioni politiche e dalle condizioni che nel complesso hanno portato alle guerre. Quello che si intende sottolineare è l'identificazione tra Armi, Specialità, Corpi e i cittadini che in essi hanno prestato servizio e hanno combattuto e da ciò trarre il senso della simbiosi. C'è un legame indissolubile con l'esperienza vissuta durante il periodo del servizio militare, anche se cadenzata da episodi sgradevoli. Ancora oggi capita di incontrare persone che con un certo orgoglio dicono, io l'ho fatto il servizio militare. Una certa oleografia popolare rimarcava la "classe di ferro", essere abili arruolati costituiva, sino a un certo periodo, un segno di distinzione, c'era persino una marcata rivalità tra le varie Armi e i vari Corpi. Sarebbe utile rivalutare il soldato italiano, distinguendo la sua condotta dalle condizioni strategiche e tattiche e soprattutto da quelle politiche, tutti aspetti che nulla hanno a che vedere con la componente umana della Truppa. Così come sarebbe utile smantellare, questo sl, il castello di luoghi comuni entro il quale si è cristallizzato lo scarso senso di disciplina, le limitate capacità, addirittura la codardia del soldato italiano. C'è tutta una letteratura in proposito, mentre si trovano pochissime pubblicazioni oggettive e soprattutto rispettose della verità storica e documentata. Solitamente si fanno dei confronti tra la solidità e le motivazioni dei vari eserciti con riferimento alla seconda guerra mondiale. Non si vuole aprire un altro discorso che richiederebbe molto spazio. Si intende soltanto fornire qualche notizia per suggerire una riflessione. "Dei circa 19000 disertori accertati nell'esercito americano, sino al 1948 ne erano stati ritrovati solo 9000, mentre, alla stessa data, erano ancora a piede libero circa 20000 tra gli inglesi che avevano abbandonato l'onere della guerra" (Paul Fussel - "Tempo di guerra" Mondadori). Durante l'estate del 1944 "nella Svezia e nella Svizzera atterrarono ben 200 apparecchi da combattimento dell'8!1 Forze aerea (americana, n.d.a.). Se questi atterraggi di fortuna fossero giustificati o effettivamente necessari, dovevano stabilirlo commissioni alleate in tali paesi. Nella maggior parte dei casi si dovette constatare che gli equipaggi avevano preferito l'internamento ad ulteriori voli di guerra" (Werner Girbig - 1000 giorni sulla Germania - Baldini & Castoldi Milano, 1966). La pubblicistica americana e inglese (quest'ultima in modo particolare) ha letteralmente inondato il mercato di pubblicazioni sul secondo

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conflitto mondiale, evidenziando ed esaltando le grandi unità, le divisioni, i reggimenti impegnati nei vari scacchieri anche, e forse soprattutto, affrontando battaglie in cui gli alleati riportarono sconfitte brucianti. Il fatto che la guerra sia terminata con la loro vittoria non giustifica tale impostazione. Per motivi abbastanza intuibili, ma non per questo condivisibili, a distanza di tanti anni e dopo dibattiti tra storici e memorialisti, ricerche, studi persino approfonditi, dalle nostre parti si ricorda quasi nulla delle pur rispettabili pagine di coraggio e valore scritte dal soldato italiano. Eppure la documentazione non manca, i fatti neppure. Per una strana combinazione di fattori, non si vuole scorporare il soldato da tutto il resto, e neppure a livello di storici si riesce ad esaminare una battaglia, ad esempio quella della Marmarica, nell'autunno I 941 , o di el Agheila nella primavera del I 942, oppure ancora la difesa di Cheren nel 194 1, con il dovuto rigore e la necessaria obiettività, raccontando degli uomini, delle condizioni in cui combatterono. Persino· la battaglia di Vittorio Veneto nell'autunno 1918 sfugge ad una narrazione sul taglio anglo-sassone, in cui le critiche non mancano, ma ciò non implica l'umiliazione di quanti hanno affrontato il fuoco avversario con quello che in termine semplici si chiama "fegato". Anzi si verifica proprio l'esatto contrario. Si pensi alla battaglia di Arnhem, nel 1944, quando l'intera la Divisione aviotrasportata britannica venne annientata. Dapprima i corrispondenti di guerra, testimoni in diretta della battaglia, e in seguito gli storici, pur ammettendo la sconfitta, riconobbero l'alto valore dei Paracadutisti britannici e Arnhem ancora oggi conserva le testimonianze di quegli eventi. Non è facile, bisogna riconoscerlo, applicare un criterio del genere ad un esercito uscito sconfitto da una guerra. Tuttavia a questo proposito sembra quanto mai opportuno ricordare quanto si legge in un cartello ad El Alamein: "Mancò la fortuna , non il valore". Tra i provvedimenti imposti dalla riduzione delle grandi unità dell'Esercito vi è stato quello dello scioglimenti della Brigata Trieste, erede della Divisione Trieste. Un nome autenticamente mitico, legato agli eventi bellici di Tobruk, Ain el Gazala, El Alamein, Enfidaville, dove, ha ricordato il Generale Canino, il 65° e il 66° Fanteria, il 9° Bersaglieri , il 3 1° Carri, il 21 ° Artiglieria, 1'8° Bersaglieri corazzato si imposero al riconoscimento del nemico. Quella che è stata definita l'epopea della Divisione motorizzata Trieste si concluse in Tunisia, sulle

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alture di Takrouna. Solo sei degli ottocento uomini, fanti, paracadutisti e granatieri che avevano tenuto testa all'intera 2~ Divisione neozelandese discesero quelle balze. Il nemico riconobbe che la collina era stata difesa metro per metro e che vi avevano combattuto i migliori soldati italiani incontrati dall'8~ Armata. L'opinione prevalente si basa, oggi, su un metro di valutazione completamente diverso: riconoscere e rispettare il valore del soldato italiano equivale ad esaltare la guerra, una guerra sbaglfata, perduta in partenza, totalmente inutile e disastrosa, addirittura folle. Il problema non è questo e insistere in giudizi de] genere è controproducente: significa continuare a demolire spiritualmente e psicologicamente l'essenza stessa dell'Esercito e compromettere ulteriormente la sua stessa sopravvivenza morale. Neppure si deve enfatizzare la memoria storica. È indispensabile invece tenere nel debito conto quanto è stato fatto, ammettendo che il soldato italiano è sempre l'espressione della società, è la Nazione stessa. Sarà allora possibile riannodare i significati corretti da attribuire alla difesa e alla partecipazione ad essa. Senza falso orgoglio, e senza vanità superflue, ma con il riguardo dovuto anche alla memoria di chi seppure costretto a piegarsi a un ordine e a un obbligo ha saputo dispiegare il proprio onore come una bandiera.

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VI

INDAGINE SULL'ESERCITO DEL 2000

La dottrina militare non ha grandi tradizioni in Italia. Più esattamente si dovrebbe sottolineare la mancanza di una tradizione nella politica estera. Ripensando a quanto si è studiato (o non studiato) a scuola, si rammentano la Francia, l'Inghilterra e subito dopo l'Austria-Ungheria, la Russia zarista, la Prussia e l'Impero germanico e infine - anche se in uno scacchiere lontano sotto tutti i punti di vista - i passi da gigante compiuti dal Giappone tra la seconda metà del secolo scorso e i primi anni del '900, sino a quando si rivelò una grande potenza nella guerra contro la Russia, segnatamente con le battaglie di Port Arthur e Tsushima. Forse un certo significato nell'approfondire la ricerca sulla dottrina diplomatico - militare italiana si potrebbe individuare nel fatto che la prima traduzione nella nostra lingua dell'opera integrale di Clausewitz, Della guerra, si è avuta solo nel 1942 e ad opera dell'Ufficio Storico deJlo Stato Maggiore e, inoltre, che un trattato certamente notevole come "Il deterrente di ieri" (di Jonathan Steinberg) sia quasi sconosciuto. Recentemente, proprio in merito alla riforma dell'Esercito, un noto esponente politico, investito di responsabilità nel settore essendo membro della commissione difesa della Camera dei deputati, ha redarguito iJ Capo di Stato Maggiore della Forza Armata. I generali - questo il succo del rimprovero - non devono rilasciare dichiarazioni pubbliche. Tutt'al più possono parlare confidenzialmente con il ministro competente. La rampogna, secca e schioccante come una bacchettata sulle mani, la dice lunga. Si ricorda l'aspra e non ancora esaurita, storiograficamente, polemica sugli avvenimenti immediatamente precedenti l'entrata in guerra nel

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giugno 1940: la tesi dell'impreparazione, la questione delle divisioni binarie scaturite dalla "riforma Pariani", le diatribe sui carri armati, sulle artiglierie semoventi e sui criteri operativi, il presunto rebus del radar e, su tutto, l'opposizione dell'alto comando - allora denominato stato maggiore generale - all'entrata nel conflitto prima del 1942. C'era la dittatura, c'era la censura, c'era il famigerato minculpop (ministero della cultura popolare) dispensatore delle "veline". Ma si potevano anche leggere artfooli tecnici, se non addirittura su argomenti tatticostrategici sulle riviste specializzate di forza armata. Una ricerca non ancora affrontata con sistematicità dagli Uffici storici. Erano quasi sempre firmati con pseudonimi, comunque esprimevano orientamenti, apprezzamenti di per se stessi rilevanti se non altro perché scaturiti dai massimi responsabili militari del momento o da essi ispirati. Non ci furono prese di posizione clamorose, nessuna rottura, nessuno strappo, ma questo è un altro discorso, come pure lo è quello relativo alla conduzione strategica e tattica delle prime cruciali settimane di guerra. Il Generale Mario Montanari, ha scritto nella sua opera "Le operazioni in Africa Settentrionale", (Vol. III - El Alamein), che il maresciallo Kesselring, al suo arrivo in Italia tra la fine del 1941 e gli inizi del 1942 ebbe a osservare che la guerra non veniva "presa troppo sul serio da molti italiani, i quali non sentivano abbastanza la loro responsabilità verso i soldati combattenti sul fronte. "Io ero convinto affermava l'alto ufficiale tedesco - che si trattasse di un'utilizzazione insufficiente del potenziale bellico". Per quanto riguarda il settore dei carri armati, l'autore dell'opera citata scrive: "L'Italia possedeva sei grandi fabbriche di automobili e due di mezzi corazzati (l'Ansaldo e la Temi), molte altre minori con laminatoi capaci di laminare corazze nonché parecchi cantieri navali dotati di macchinari e mano d'opera in grado di attendere a tale tipo Gi mezzi". Poco più avanti l'Autore, citando dei documenti dell'epoca, precisa: "Non si esagera affatto quanto si afferma che si potrebbe raggiungere facilmente mille carri armati al mese, dal momento che una sola fabbrica di automobili ha saputo raggiungere la produzione di duecento macchine al giorno". E dopo aver sfatato la leggenda della ·carenza di materie prime, Montanari rileva: "L'importanza dell'argomento e degli interrogativi suscitati da questi pochi cenni è tale da giustificare uno studio analitico spinto a fondo ( ... ) Certo si è che Kesselring, sia pure a occhio, aveva visto giusto. E

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maggiore è l'amarezza nel pensare a quello che non è stato fatto, almeno durante l'anno di non belligeranza. Per tardi che fosse, la successiva campagna di Graziani avrebbe potuto sortire un andamento forse risolutivo". L'Autore citato parla poi di una politica estera a casaccio, di una organizzazione del paese per la guerra gravemente carente, di una limitata concezione strategica, dei difetti di carattere di molti fra i massimi esponenti della vita politica, pubblica e militare. All'epoca non si ebbero dichiarazioni pubbliche articolate, motivate, approfondite. Addirittura si ebbe uno dei massimi responsabili della produzione miHtare che disse a Mussolini che la "deficienza di materie prime non consente neanche di sfruttare in pieno gli impianti di primo programma", per poi ammettere, in seguito, che la frase tendeva apresentare un quadro pessimistico, tale da frenare le velleità mussoliniane. In realtà, ammise poi il personaggio, sempre nei primissimi anni del conflitto, "L'Italia è in grado di soddisfare pienamente Le sue esigenze belliche. Occorre soltanto metodo e coordinazione nelle singole intraprese industriali". Si renda merito all'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito di avere aperto uno squarcio con dichiarazioni così importanti in un'opera ufficiale. C'è da augurarsi che l'invito ad approfondire lo studio sulla questione industriale di quel periodo venga raccolto. Vi sono delle connessioni tra la mentalità dell'epoca e quella attuale? Nel 1939-40 il clima dittatoriale, si dice, non avrebbe tollerato degli sgarbi. Situazione completamente diversa oggi, in uno stato di diritto, democratico, pluripartitico, con un parlamento liberamente eletto che agisce in modo specifico tramite indagini conoscitive, con una stampa poliedrica che affronta duramente ogni argomento o è in condizione di farlo, purché lo voglia. E con La Legge che sancisce il diritto dei cittadini (anche militari) ad esprimere liberamente le proprie opinioni e - se militari con alte responsabilità - con il solo vincolo del segreto per quanto attiene alla sicurezza dello Stato. Se sono stati necessari più di quarant'anni per far venire alla luce in una pubblicazione ufficiale i retroscena della produzione militare del periodo bellico, si auspica che le contraddizioni della riforma dell'Esercito anni '90 vengano denunciati non esclusivamente - come abbiamo già doverosamente sottolineato - dal Capo di Stato Maggiore

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della Forza Armata. Se a livello di massime autorità e responsabilità egli rimanesse isolato nella sua denuncia degli errori che si intendono commettere, l'amarezza alla quale fa riferimento il generale Montanari nel suo libro registrerebbe un'edizione aggiornata e il giudizio politico ricalcherebbe le sue parole. Per ammodernare le Forze Armate e concretizzare lo strumento qualitativo, saranno necessari investimenti per 56000 miliardi in dieci anni. È una stima, ma ciò nonostante maschera una realtà indubitabile: il livello estremamente basso dei sistemi d'arma e dell'apparato tecnologico delle Forze Armate italiane. Ci si rifiuta di cadere nelle trappole delle percentuali, degli incrementi e via dicendo. Saranno utili ai pianificatori, non al critico. Il nuovo modello di difesa, di fatto, ha già dei riferimenti precisi. I 56000 miliardi, sia pure vincolati al beneficio d'inventario e all'indice 1991, rappresentano un tetto massimo ed entro tale dimensione si dovrà contenere il programma globale. Ristrutturazione dei bilanci ordinari e uno stanziamento straordinario pluriennale tramite un'apposita legge (per circa 30000 miliardi) dovrebbero consentire il reperimento dei fondi. Le spese per la difesa dovrebbero passare dall'l,7 al 2 per cento del prodotto interno lordo. Razionalizzazioni, economie, ma soprattutto - si afferma - le riduzioni e i tagli di unità e personale, permetteranno recuperi finanziari sensibili e una maggiore remunerazione della spesa. Quanto precede è la conferma dell'improrogabilità del processo di ammodernamento dei mezzi e dei materiali, la vera causa di tutto il procedimento. Se i bilanci ordinari e provvedimenti speciali ad hoc avessero consentito la graduale e tempestiva realizzazione di programmi di ammodernamento e adeguamento dei sistemi d'arma e degli apparati tecnologici e logistici, favorendo una miglior sistemazione ordinativa e strutturale del sistema difensivo, che necessità vi sarebbe di una legge speciale? La riduzione del personale dell'Esercito (circa 57000 uomini, per ora), come delle altre Forze Armate, viene motivata con il necessario ridimensionamento stante la caduta della minaccia. Un ottimo alibi all'apparenza, ma che non regge alla verifica. Infatti la contrazione, in se stessa, non costituisce risparmio relativamente alle retribuzioni del personale di leva (e sotto il profilo equipaggiamento individuale e sotto quello delle razioni viveri) in quanto i professionisti (30-40000, teorica-

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,-

Un reparto di Lagunari in esercitazione anfibia.


Aviosbarco da elicotteri dell'Esercito. Il


Alpini paracadutisti impegnati in un lancio in alta montagna.

III


Elicottero controcarro "Mangusta" in appoggio a un reparto corazzato.

Reparto di Bersaglieri in azione con mitragliatrice pesante "Browning" da 12.7. IV


Una batteria di missili per la difesa contraerei a bassa quota. V


Specialista delle Trasmissioni in un posto di collegamento da campo. VI


Carro "Leopard I" al guado di un corso d'acqua.

Sezione fucile mi tragliatore di una squadra fuciLieri, con "MG 42/59".

vn


L'Esercito in soccorso delle popolazioni durante il terremoto del Friuli.

Alpini liberano una baita ricoperta da una tormenta di neve.

VIII


.,

X

Veicolo cingolato portapersonale "M I 13" del contingente italiano in Libano.


Una colonna di carri da combattimemo " Leopard I". X


Repart.o meccanizzato paracadutisti della Brigata " Folgore".

Fante con fucile mitragliatore "MG 42/59".

XI


Reparto in esercitazione su terreno innevato.

xn


X

Elicottero da trasporto "CH 47 Chinook" della ALE impegnato in una operazione di soccorso.


Operazione " Airone''. nel Kurdistan irakeno. Posto di guardia del contingente italiano.

Operazione "Airone" Bambini Kurdi intorno a un automezzo della Sanità de.I contingente italiano. XIV


~

A lpi ni sc iato ri in marcia in alta montag na.


Squadra fucilieri in esercitazione.

Genio Pontieri. La costruzione di un ponte Bailey. XVI


mente) incideranno molto di più rispetto alla minor spesa recuperata dal ridotto numero dei militari di leva. Le minori spese si avranno in ragione delle 5 Brigate di pronto impiego e delle I O Brigate al 50 per cento degli effettivi, contro un Esercito di 26 o 19 Brigate quasi a pieno organico e ciò non tanto per gli "stipendi" quanto per i mezzi e i materiali che saranno necessari. Quanto costerebbe ammodernare i mezzi e i materiali di un esercito di 19 Brigate a pieno organico, o anche di 15 o di 10? Che cosa si sta verificando, in realtà? Da tempo, da molto tempo si sa che i sistemi d'arma e l'apparato tecnologico e logistico dell'Esercito sono obsoleti, che numerosi settori sono addirittura scoperti (difesa contraerea a bassa e bassissima quota, ad esempio), che i carri armati sono superati, che gli elicotteri controcarri sono propulsi da motori non sufficientemente potenti, che la Fanteria non ba la mobilità adeguata ed è equipaggiata con fucili non più al livello degli altri eserciti europei occidentali. È urgente provvedere anche perché non è possibile affrontare i1 confronto europeo in queste condizioni. L'ambizione del pilastro europeo della NATO, primo passo verso la difesa europea coordinata se non ancora integrata, cambia radicalmente i termini del rapporto. Con la NATO al timone, erano gli americani ad assumersi il massimo onere. Ora le condizioni stanno mutando rapidamente e non è possibile bluffare. Pertanto ci si devono assumere precise e dirette responsabilità, che si traducono in grandi unità agguerrite, che reggano il confronto con inglesi, francesi, tedeschi. Poiché le risorse che si vogliono assegnare sono sostanzialmente fisse e nei termini indicati, i politici stabiliscono che si devono rimescolare le carte e togliere gli scartini. Stessi soldi? Indispensabile urgentemente disporre di una forza di pronto intervento a livello dei più moderni e attrezzati eserciti dell'Europa occid~ntale? Si taglia l'Esercito esistente e si concentrano le risorse su poco più di una Divisione che in effetti è pari alla forza di 5 Brigate di 4 - 5000 uomini ciascuna. Il resto, le dieci brigate di secondo tempo e le 4 di mobilitazione, lo si ripete, sono una finzione. L'equipaggiamento previsto dal piano di riduzione e ammodernamento qualitativo rafforza la tesi. Qui è necessario entrare sia pure brevemente nel mondo delle sigle.

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Il futuro Esercito, così prevede la bozza, avrà una dotazione di 700 carri armati da battaglia. Probabile vi sarà disco verde per il nuovo carro Ariete e l'ammodernamento di una aliquota di Leopard 1, in attesa di sostituirli con un carro di nuova generazione (e cjò prolungherà i tempi dell'ammodernamento effettivo). 400 autoblindo Centauro, 2300 cingolati e blindati per trasporto truppe, 900 autoblindo leggere, una sessantina di elicotteri Mangusta e 300 mezzi aerei e ad ala rotante per trasporto, ricognizione e collegamenti. 650 pezzi di artiglieria e lanciarazzi tra cui otto sistemi missilistici Lance, sistemi semoventi da 155 e 203 millimetri. Si avranno anche circa 900 mortai pesanti e almeno 1400 lanciatori per sistemi controcarri a media - lunga gittata. La contraerea, antico tallone d'Achille, verrà praticamente ricostruita con l'acquisizione di 240 semoventi quadrinati da 25 millimetri, di 12 batterie Skyguard-Aspide, 300 lanciatori portatili Stinger-Mistral, 20 batterie SAMP-T (un programma congiunto franco-italiano finalizzato alla sostituzione dell'Hawk). Rimarranno 110 cannoni da 40/70 in ricordo del passato, ma i mezzi saranno ad esaurimento. Verrà risolto, così si afferma, anche il problema delle armi controcarro di autodifesa e di quelle leggere: il piano prevede l'acquisto di 13500 lanciatori e 250000 fucili d'assalto. Per quanto riguarda i sistemi C31 il nuovo esercito disporrà di un CATRIN completo più un SOTRIN. Per la protezione NBC si acquisiranno 215 mila dotazioni individuaU e di reparto, mentre la questione delle comunicazioni (non essendo previsto il satellite) verrà potenziato con 25000 stazioni e 1000 ponti radio. Infine si acquisteranno 26000 sistemi per la guida - osservazione - puntamento notturno. Quanto precede fa parte di una previsione. Quanto tempo sarà effettivamente necessario per l'acquisizione di tutti i mezzi e i materiali? E quapto per la costituzione delle 5 Brigate di pronto impiego dotate di mezzi ed equipaggiamenti moderni e formate da professionisti addestrati? È azzardato ipotizzare il 2005? Nel frattempo che tipo di esercito avremo? Più che opportuno è, quindi, indispensabile da parte dei massimi responsabili militari il contributo specifico dottrinario e tecnico, così come è indispensabile che si conosca pubblicamente lo stato dell'Esercito. In caso contrario si tratterebbe di una omissione gravissima. Non sono in gioco questioni di prerogative, ma la sicurezza di un

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intero paese; non si disquisisce sulle opportunità e sulle priorità, come invece sembra ritenere quel politico della commissione difesa; si analizzano programmi che richiedono tempi di attuazione medio-lunghi e che proiettano le loro conseguenze in un arco di anni ben oltre quello di un paio di mandati parlamentari. Che poi Governo e Parlamento approvino qualsivoglia riforma, financo lo scioglimento del sistema e dell'apparato difensivo tramutandolo in una apparecchiatura elettronica di allarme con suoni modulati e luci multicolori a seconda della minaccia, è faccenda riguardante le speciali competenze e responsabilità degli organi costituzionali in quanto tali. Ma ciò non esclude il diritto - dovere dei cittadini di poter esprimere una autonoma opinione e valutazione nel merito. Quando si denuncia la tendenza politica ad imbrigliare ogni e qualsivoglia espressione di pensiero non uniforme all'ortodossia e al di fuori dei confini da essa fissati, non sembra esservi molta distanza dalla realtà. Della dottrina militare, si è detto. L'argomento consentirebbe un'ampia disanima, coinvolgente il quadro internazionale, il ruolo dell'Italia, soprattutto quale si voglia sia - il che non è chiaro - e gli aspetti tecnico-organizzativi, ordinativi, operativi, scientifici, industriali, etc., concernenti la difesa. Un tema che richiede un lavoro specifico. Qui - come più volte sottolineato - una volta fatto cenno al complesso dei problemi di scenario, si vuole porre in evidenza l'errore insito nella riforma, così come delineata e le sue implicazioni per l'Esercito. E quale mezzo migliore del pensiero espresso dal Capo di Stato Maggiore della Forza Armata, il Generale Canino? Il potere legislativo deciderà quello che verrà, ma ciò non potrà in alcun modo inficiare la validità dell'apprezzamento di un tecnico, giuridicamente e professionalmente responsabile dell'attuazione della difesa terrestre e, in quanto incaricato di tale compito dallo Stato, competente in materia e in dovere di indicare con fermezza le esigenze per l'assolvimento del compito in assoluto. Se poi - è fondamentale ribadire il principio - il potere legislativo deciderà altrimenti, è indispensabile che ciò sia proclamato ufficialmente senza ambiguità e senza riserve. Iµ questo - e non in altro - risiede il principio democratico della responsabilità. Modificare la struttura e l'organizzazione di un esercito è sempre possibile a patto di non modificare la natura, le finalità e l'essenza trainante.

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Un esercito deve avere la certezza di essere valido e temibile più che proporzionalmente rispetto alla sua dimensione, al di là dei rapporti di forza proponibili. È il concetto della credibilità. Un esercito deve sapere di doversi preparare a combattere e a tale scopo deve organizzarsi e addestrarsi; in caso contrario perderebbe ogni capacità dissuasiva, conseguenza diretta della mancanza di credibilità al suo interno, prima ancora che negli apprezzamenti esterni. Un esercito deve essere dimensionato in funzione delle finalità e queste non possono essere parcellizzate oppure subordinate a criteri sperequativi applicati a una graduatoria teorica delle sicurezze. La sicurezza è indivisibile e un esercito sottodimensionato rispetto al compito effettivo globale da svolgere subisce ineluttabilmente l'influenza negativa dei suoi stessi limiti e pertanto esprime qualitativamente tale consapevolezza concretizzandosi in un serbatoio vuoto, in un motore privo di potenza e della necessaria ripresa. Un esponente di un partito di governo ebbe a dichiarare in un intervista televisiva che governo e parlamento erano ben consci dell'incapacità dell'Esercito di bloccare un attacco da est. Una dichiarazione gravissima, che non ebbe alcuna ripercussione per i motivi esposti in precedenza e che conferma le perplessità espresse circa le responsabilità; che sottolinea la superficialità con cui si sono affrontati e si affrontano i problemi della difesa. Sussiste un peccato d'origine nel rapporto tra ambiente politico e forze armate in particolare tra ambiente politico ed Esercito. E per quanto si dica e si faccia, l'ipoteca psicologica non viene cancellata. Sussiste un secondo peccato: riguarda la sconfitta militare. Ha determinato una diffidenza permeata di sfiducia. Nei periodi più critici della guerra fredda circolava la voce secondo cui le truppe italiane schierate sulla soglia di Gorizia avevano munizioni per poche ore o pochi giorni. Al di là delle considerazioni e delle riflessioni, sono gli elementi oggettivi che fanno festo. Qui di seguito si evidenzia il pensiero dottrinario del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Generale Goffredo Canino, sia per il rilievo, sia per l'incidenza, non senza rimarcare, quale premessa, che la riforma dell'Esercito richiederà come minimo dieci anni e in considerazione di ciò lo strumento terrestre deve essere pensato nella prospettiva degli anni 2000 e per il livello qualitativo, culturale, tecnico, addestrativo, quindi professionale degli uomini, e per quello dei mezzi e dei materiali.

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La continua rincorsa tra obsolescenza e ammodernamento, tipica delle Forze Annate italiane, deve trovare finalmente la sua paternità. Sarebbe veramente grottesco se un Generale Montanari dell'anno 2041 fosse costretto a scrivere, in un documento ufficiale, qualcosa di simile alla vicenda dei carri armati e del potenziale industriale italiano del 1940. Qui di seguito si riporta integralmente il testo dell'intervento del Generale Canino al Centro Alti Studi per la Difesa (Roma 22 Giugno 1990). l. Introduzione

È per me motivo di particolare soddisfazione essere stato invitato, oggi, a delineare i problemi e ad indicare le prospettive della Forza Armata alle soglie del 2000, da un osservatorio così qualificato e che mi consente di rivolgermi, per la prima volta come Capo di Stato Maggiore, ad un uditorio di livello e prestigio tanto elevati. Ringrazio tutte le Autorità e le Personalità qui convenute, tra le quali scorgo, con certa emozione, anche alcuni che sono stati per me maestri di vita, oltre che di professione. Un grato saluto ai rappresentanti del mondo industriale - che da sempre partecipano attivamente al nostro costante impegno di rinnovamento tecnologico - e, altresì, ai rappresentanti degli organi di informazione, sulla cui sensibilità professionale ed obiettività sono sicuro si possa contare sempre, per la diffusione dei terni più attuali, attinenti alla sicurezza della Nazione e, di conseguenza, alla realtà delle Forze Armate. 2. Generalità Tra gli oratori che qui si sono avvicendati, non è certamente mancato chi, con grande competenza e proprietà, ha tracciato il quadro attuale dei rapporti internazionali, illuminandoci sulle delicate e difficili problematiche connesse con il disarmo e, perciò, con la difesa, nell'era della sicurezza e della negoziazione Est-Ovest; né è mancato chi, autorevolmente, ha cercato di configurare i compiti ed i ruoli delle Forze Annate alle soglie del 2000. In sostanza, sui tempi più noti e sui problemi più attuali, molti - e più efficacemente di quanto forse potrei fare io - hanno già indicato i molteplici intrecci, i correlati condizionamenti, le numerose soluzioni ipotizzabili.

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Non mi sembra perciò opportuno che abusi della Vostra attenzione per tentare un'ulteriore analisi, magari anche stimolante, degli scenari strategici ai quali c i si potrà riferire per ridisegnare il modello di difesa italiano e, nel suo contesto, suggerire - ciò che mi sta ovviamente a cuore - il peso che dovrebbe essere attribuito alla componente terrestre. Soprattutto, vorrei sottrarmi aJ rischio di addentrarmi in ragionamenti di contenuto speculativo, forse neanche tanto produttivi in un momento storico come questo, le cui connotazioni più evidenti sono la grande incertezza ed il moltiplicarsi degli eventi significativi, se è vero, come è vero, che sono in atto mutamenti molto rapidi degli scenari internazionali, accompagnati, certo, dall'attenuarsi della minaccia che noi abbiamo conosciuto per 45 anni, ma anche dall'emergere, ancora confuso, di numerosi foco)aj di tensione. Se così stanno le cose, consentitemi perciò di evitare perniciose fughe in avanti dando per scontate future esigenze geostrategiche, che indurrebbero, inevitabilmente, ad individuare zone strategicamente prioritarie o anche di accresciuta importanza, quando non sono stati ancora riesaminati, dagli organi istituzionali responsabili (Governo, nella sua collegialità, e Parlamento, nella pluralità dei suoi orientamenti politici): gli scenari a cui sarà necessario fare riferimento; il ruolo che l'Italia dovrà assumere, nel quadro dell'Alleanza Atlantica e del "Pilastro europeo" tuttora in gestazione; i mezzi politici, diplomatici, economici, finanziari, e, anche, militari, con i quali il nostro Paese vorr~ giocare il suo ruolo; in altre parole: finché non sarà stato ridisegnato il nuovo modello di Difesa. È evidente che, per quanto risale alla mia responsabilità, e quando sarà giunto il momento, concorrerò a definire lo strumento militare ottimale del futuro e, in particolare; i connotati della componente terrestre. Ma è ancora presto. Ora sappiamo, e anche vagamente, che, in relazione alle risorse che iJ Paese sembra orientato a rendere disponibili per le Forze Armate, noi saremo costretti a ridurre le dimensioni deJlo strumento militare. Questa operazione sarebbe, però, irrazionale se non fosse impostata ed eseguita alla ricerca della qualità. È proprio la ricerca della qualità, cioè di un Esercito ottimale per gli anni 2000, che mi spinge ad una verifica e ad un apprezzamento molto realistico della situazione attuale. Valutazione questa, che prescinde, ovviamente, dalle dimensioni che l'Esercito dovrà assumere, per prestare

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invece attenzione alla qualità dei suoi tre settori fondamentali - PERSONALE, MEZZI e REGOLA - la cui validità ed efficienza pregiudicano, e pregiudicheranno sempre, qualsiasi sforzo di razionalizzazione. In ogni organizzazione, infatti, il personale ed i mezzi a disposizione sono strumentali al raggiungimento dei fini. Nelle Forze Armate, in particolare, un rilievo peculiare, se non addirittura preminente, assume talvolta la REGOLA. Essa può essere ritenuta, infatti, il "collante", l'elemento catalizzatore per le energie del personale e per le capacità dei mezzi, in vista del FINE. 3. Il personale È abbastanza diffuso il convincimento che il personale possa essere esaminato come componente omogenea: forse, perché si ritiene che il suo rendimento incida sull'efficienza dell'organizzazione militare in modo unitario. In realtà non è così. I problemi che pone il "governo" del personale hanno matrice e connotazioni diverse, a seconda che lo si esamini limitando l'indagine all'aliquota sulla quale incombono le responsabilità di Comando, oppure lo si analizzi centrando l'attenzione sull'aliquota, più consistente, alla quale si richiede l'esecuzione dei compiti. È noto da sempre, che l'efficienza e l'affidabilità di un Esercito poggiano integralmente sulla indiscussa capacità dei Quadri. A nulla varrebbe - ed a nulla è mai valso - disporre, infatti, di mezzi anche all'avanguardia, se non si potesse contare su Quadri culturalmente all'altezza, professionalmente capaci, moralmente saldi, che ne garantiscono un impiego efficace. A differenza dei mezzi, per i quali i tempi di acquisizione potrebbero anche essere compressi a pochi anni, in presenza di adeguate risorse, la qualità dei Quadri può essere ricercata, programmata e raggiunta in un arco di tempo molto più lungo, non meno di 10-15 anni, a partire dal momento in cui si recluta. La chiave di volta per un Esercito ottimale all'indomani del 2000 è, dunque, l'adozione di un sistema di reclutamento dei Quadri rispondente, non dal 2000 ma già da oggi. II buon reclutamento, però, è tutt'altro che il risultato del semplice auspicio dei Vertici militari, in quanto il "reclutare bene" è un'operazione molto complessa, che può essere resa possibile dal coesistere, almeno, di tre fattori: un'attrazione, esercitata dalla professione militare sui

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giovani, addirittura maggiore di quella operata da altre istituzioni dello Stato; il crearsi, quindi, di una base di potenziale reclutamento molto ampia; dall'accorrere, infine, in questa base, dei giovani culturalmente migliori ed in misura assolutamente preponderante, non solo rispetto alle altre istituzioni dello Stato, ma anche rispetto al variegato mondo del lavoro privato. È evidente che una molla di attrazione tanto potente non può esistere, e continuerà a non sussistere, finché non verranno create le opportune condizioni concrete. A questo punto vorrei sgomberare la mente degli ascoltatori da un probabile dubbio e, forse, da una sensazione. Il dubbio spero sia fugato se affermo che sto parlando del reclutamento dei Quadri di un Esercito ottimale per gli anni successivi al 2000 e delle condizioni che dovrebbero realizzarsi, a premessa, per rendere possibile una siffatta operazione. Se non venisse migliorato il reclutamento, infatti, non potremmo dare per scontata una sicura qualità dei Quadri, che, a tutt'oggi, è infatti lungi dall'esistere, fatte salve, ovviamente, le debite eccezioni. La sensazione poi che vorrei chiarire è che non mi sto affatto proponendo agli ascoltatori con intenti velleitari, se non addirittura utopici. Sono, invece, assolutamente conscio che mi accingo a lanciare proposte innovative e, forse, radicali. . Lasciate, perciò che vi anticipi il mio convincimento che, se le successive proposte non trovassero spazi di attuazione, sarebbe allora davvero velleitario qualsiasi sforzo volto alla ricerca della qualità. Qual è, infatti, l'attuale situazione dei Quadri dell'Esercito? Dapprima, un flash sugli aspetti più caratteristici ed attuali della categoria degli Ufficiali. Di circa 22.000 Ufficiali oggi disponibili nella Forza Armata: - il 36% (circa 8.000) è costrutito da subalterni di complemento, che acquisiscono una flebile preparazione ai loro difficili compiti attraverso un corso di circa 5 mesi e che sono, purtroppo, preposti al governo, al controllo diretto ed all'addestramento specifico delJa terza componente di massa: il personale di leva. Personale quest'ultimo che è arduo da gestire anche per Ufficiali sperimentati, non solo perché talvolta culturalmente migliore degli stessi Comandanti di plotone, ma, soprattutto, perché portatore delle ansie, delle inquietudi-

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nì, spesso del cinismo, quando non delle idiosincrasie, degli strati sociali di provenienza; - il 64% degli Ufficiali (circa 14.000) è in servizio permanente. Ma di questi poco più del 55% (circa 8.300) proviene dall'Accademia ed ha una preparazione professionale adeguata, mentre il restante 50% proviene da fonti alternative: subalterni di complemento e giovani diplomati. Se poi si pone mente al fatto che il 34% (circa 2.200) degli Ufficiali provenienti dalle fonti alternative appartiene al ruolo ad esaurimento ed è stato consolidato in carriera in forza di successive leggi, mi sembra immediatamente comprensibile che voler parlare di un "Corpo Ufficiali" caratterizzato da "capacità, preparazione e motivazione" e pronto anche, magari, ad affacciarsi all'Europa per esperienze in unità multinazionali: questo intendimento e una siffatta valutazione di fattibilità sarebbero davvero velleitari ed utopici. Ma l'analisi non sarebbe completa se non formulassi alcune notazioni ulteriori. Facendo, ad esempio, riferimento ai quasi 4.000 partecipanti all'ultimo concorso per l'Accademia, osservo che: oltre il 50% aspirava ai Carabinieri; circa il 14% ai Corpi Logistici. Per le varie Armi non ne restava neanche il 36%. Di tutti gli ammessi al corso, poi, meno del 15% appartiene alla fascia dei diplomati con punteggi alti (da 55 a 60/60mi) e solo 1'1,5% ha terminato gli studi con una votazione di 60/60mi. La gran parte degli ammessi (66%) ha presentato diplomi con punteggi che non superano i 46/60mi (35%: da 36 a 40/60mi; 31 %: da 41 a 47/60mi). La maggioranza degli aspiranti migliori (65%) ha concorso per i Carabinieri e, in seconda istanza, per i Corpi Logistici. In conclusione, per le Varie Armi, che sono poi l'essenza e la ragione d'essere dell'Esercito, non è rimasto che scegliere i vincitori da una base molto ristretta quantitativamente (1 posto per 6 concorrenti), specie in rapporto a quella che si è offerta ai Carabinieri (1 a 40); senza pensare poi a quanto normalmente succede per i reclutamenti nella Guardia di Finanza (1 a 50) e, ancor di più, nella Polizia di Stato (1 a 150-200). Sotto il profilo qualitativo, infine, la base di reclutamento per le varie Armi è stata, e continua ad essere, assolutamente inadeguata: i punteggi dei diplomi degli ammessi al 171 ° Corso sono per il 70% compresi tra i 36 e 47/60mi; per il 25% tra i 48 ed i 55/60mi; solo il 5% tra i 56 e 60/60mi.

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E adesso, analisi analoga si impone per i Sottufficiali. L'Esercito avrebbe bisogno di 42.000 Sottufficiali per far fronte alle esigenze attuali minime di inquadramento del personale di mantenimento dei mezzi: esigenze destinate a crescere, sia che si passi ad un Esercito volontario sia che si confermi l'Esercito di leva, perché la ricerca deJla qualità non ammette che si possa continuare ad affidare il comando delle squadre, dei carri, delle artiglierie più sofisticate etc., a graduati di truppa. La disponibilità attuale è invece di c irca 33.000 Sottufficiali. Di questi solo 1'84% (circa 27.700) è in servizio permanente, in quanto il restante I 6% (circa 5 .500) è costituito: per i 4/5 da Sergenti in addestramento presso le Scuole e presso i reparti; per 1/5 da volontari a ferma prolungata raffermati, in genere, per il 3° anno. Considerato che la provenienza dai regolari corsi scolastici è preponderante, può essere allora indicativo esaminare quanto avvenuto, ad esempio, nel 1989. Alla Scuola AS di Viterbo, si sono presentati, per ogni corso, un numero di aspiranti (circa 3.000) tale da formare una base di. reclutamento di circa dieci concorrenti per ogni posto a concorso (circa 300). Di questi concorrenti, provenienti per il 90% dalle regioni centro-meridionali (70% meridione e isole) solo poco più di 1/3 (34%) era in possesso di un titolo di scuola media superiore, ottenuto, però (nel 100% dei casi), con punteggi inferiori ai 42/60rni: e non rutti sono stati ammessi (solo 29%)! Basta volgere l'attenzione alle Forze di Polizia per avere un riscontro molto significativo in merito alla quantità ed alla qualità degli aspiranti dell'Esercito. La base di reclutamento è, infatti, normalmente all'incirca pari: - per i Carabi nieri: l posto per 40-50 concorrenti (1'85% è in possesso di diploma); - per la Guardia di Finanza: 1 posto per 70-80 concorrenti (il 90% è in possesso di diploma); - per la Polizia di Stato: 1 posto per 250-300 concorrenti (il 70% è in possesso di diploma); - per la Guardia Forestale: 1 posto per 300-400 concorrenti (1'85% è in possesso di diploma). E mi dispiace di non avere dati statistici relativi ai punteggi dei diplomati che si presentano per i concorsi relativi agli Agenti delle Forze di Polizia.

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In ogni caso, il precedente raffronto è già molto eloquente. Ne risulta evidente, infatti, che la base di reclutamento dell'Esercito è molto modesta quantitativamente e, assolutamente, non paragonabile, sotto il profilo qualitativo. E non vorrei che, per giunta, ai concorsi dell'Esercito accorresse solo la massa degli scartati dai concorsi per le Forze dell'Ordine! Forse a qualcuno la precedente analisi potrà anche essere apparsa eccessivamente pessimistica, perché avrà certamente conosciuto numerosi Ufficiali e Sottufficiali preparati, impegnati professionalmente e affidabili moralmente. Ma io non mi sto riferendo a casi singoli, e tanto meno a quei dipendenti, ed anche io ne conosco molti, che hanno dedicato tutta la loro vita all'Istituzione, senza risparmio di energie e, spesso, sacrificando al servizio gli interessi personali e familiari. lo mi sono, invece, ripromesso di sviluppare un'analisi spassionata della situazione attuale. Ebbene, da quest'analisi scaturiscono alcune riflessioni che vorrei riepilogare: - prima: negli ultimi due decenni, pur di soddisfare almeno in parte il fabbisogno di Quadri, non è stato possibile garantire la qualità: perché la base di reclutamento è stata asfittica, in quanto i giovani migliori hanno preferito, in massa, soluzioni di vita e di lavoro diverse da quelle offerte dalla professione militare; - seconda riflessione: il quadro, tutto sommato poco incoraggiante, di quello che oggi offrono i concorsi per le immissioni in carriera suffraga la convinzione che si dovrebbe assolutamente evitare il rischio di insistere a presentare la professione militare come alternativa occupazione a soluzioni civili più appetite, ma più difficili da acquisìre soprattutto a causa di condizioni di reclutamento più selettive e rigorose, grazie anche all'abbondanza di aspiranti; - terza riflessione: se solo il miraggio dell'occupazione induce molti giovani a tentare la carriera delle armi, non c'è poi da stupirsi dell'incoercibile spinta, da parte di molti Ufficiali e Sottufficiali a ricercare incarichi a prevalente contenuto amministrativo ricorrendo a tutti i mezzi per delegare ad altri i compiti ben più gravosi ed importanti dell'addestramento e della cura dei dipendenti. Sta di fatto che per gli Ufficiali continua a venir meno l'amore per la responsabilità e per l'attività di comando, mentre per i Sottufficiali si è da tempo persa la funzione, tuttora esistente in altri

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Eserciti occidentali: quella di braccio operativo dei Comandanti e di cinghia di trasmissione degli ordini; in altre parole, di "spina dorsale" delle unità. Ma cosa attrae così irresistibilmente i giovani verso gli impieghi in altre istituzioni dello Stato, quali, ad esempio, le Forze di Polizia? Ciò che io da tempo amo definire "paniere". E questo paniere, per le Forze di Polizia, contiene: un trattamento economico nettamente migliore; condizioni di vita più favorevoli (meno stress e minor fatica di quelli connessi con l'addestramento dei giovani di leva all'impiego di sistemi d'anna complessi , sofisticati ed anche pericolosi); qualità della vita più allettante (orario di lavoro più leggero, maggiore autonomia); regole di comportamento meno stringenti (rapporto funzionale più "lasco", rappresentanza sindacale e così via); utilità della funzione, largamente riconosciuta e da nessuno discussa. In contropartita, cosa possiamo offrire noi ai giovani? Un trattamento economico poco appagante; una "regola" molto più coercitiva e che non è possibile allentare oltre gli attuali limiti , già eccessivi al punto che postulano un ripensamento; condizioni di vita più dure sul piano individuale (addestramento, disponibilità totale, etc.) e più coinvolgenti per le famiglie (cambi di sedi, ricerca della casa, etc.); scarsa considerazione da parte dell'opinione pubblica. Per ben reclutare è, quindi, necessario creare le condizioni perché la massa dei giovani migliori sia attratta dalla vita militare, sottraendoli a tutte le altre istituzioni, ivi comprese le Forze di Polizia. E ciò, pur continuando ad offrire in futuro una "regola" più dura, certamente anche di quella oggi vigente,e condizioni di vita ancor più coinvolgenti di quelle odierne, se si vuol puntare ad un Esercito di qualità. D'altra parte, solo la disponibilità dei giovani migliori garantirebbe, dopo 10-15 anni, Forze Armate non solo efficienti, ma anche affidabili e che, per queste stesse caratteristiche, acquisterebbero il prestigio sociale che attualmente sembra appannato. E l'acquisirebbero, perché, a fronte del progressivo ed incontenibile affievolmente della "regola" che presiede al funzionamento delle altre istituzioni , le Forze Armate, per la bontà elitaria dei loro Quadri, per l'affidabil ità derivante anche dalla loro volontaria accettazione di norme particolarmente restrittive e che costituiscono lo "specifico" della condizione militare, si porrebbero, a

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buon diritto, come effettivo "baluardo ultimo" dello Stato: collocazione e funzione che i precetti costituzionali riconoscono, ma che l'inefficienza vanifica. La battaglia dell'efficienza, quindi, la si vince o la si perde sul reclutamento. E per reclutare bene non può bastare un mero atto di volontà dei vertici militari, quando è invece indispensabile l'offerta concreta di una contropartita economica, tale da rendere meno appetibili e soddisfacenti, per i giovani migliori, i "panieri" molto allettanti che altre istituzioni offrono, oggi, con apparente facilità. Poste queste premesse, e sorvolando su altri provvedimenti che pure potrebbero essere adottati per dare certezze ai giovani (sicure previsioni di carriera, possibilità di programmare la propria vita, etc.), allora si comprende perché sostengo anche l'esigenza di modificare profondamente l'attuale sistema di reclutamento. Per gli Ufficiali, sarebbe, infatti, auspicabile eliminare tutte le fonti alternative di ingresso in carriera. Per consentire una preparazione professionale valida ed omogenea, ivi inclusa la formazione culturale e tecnica necessaria per l'impiego in forze multinazionali europee, e per rafforzare anche le doti morali propedeutiche al corretto esercizio del Comando, dovremmo tornare ad una via maestra, quella cioè che i nostri Comandanti hanno voluto per noi : l'Accademia. Per i Sottufficiali, dovremmo ripensare sia le modalità di immissione in servizio sia quelle relative alla loro formazione. Sono, infatti, del parere che non si tratti tanto di modificare - come chiesto da più parti - taluni insoddisfacenti meccanismi , abbastanza automatici di progressione in carriera, introdotti dalla legge 212/83, quanto piuttosto di tornare ad un tipo di selezione operata integralmente "dal basso", cioè dal personale di truppa e dai volontari. In sostanza, bisognerebbe vagliare - per ciascun aspirante - l'attitudine alla vita militare, la passione, la propensione ad assumere le responsabilità del Comando, l'ascendente tra i coetanei, la capacità di condividere le condizioni di vita e di impiego. Solo dopo aver superato le prove pratiche dell'esercizio del Comando e della vita di reparto, gli aspiranti prescelti dovrebbero accedere alla Scuola Allievi Sottufficiali - vera e propria Accademia - per uscirne definitivamente idonei alla carriera del Sottufficiale, una volta superato un severo corso formativo.

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Un siffatto iter, oltre a trasformare i Sottufficiali in Comandanti in grado di istruire, guidare ed impiegare i soldati nell'ambito delle minori unità d'impiego, consentirebbe di ricostituire nei reparti la saldatura tra la fonte dell'autorità e delle direttive legittimamente promanate - i Comandanti - e coloro che sono chiamati a realizzarle - i soldati -. In tale ottica, anche il Sottufficiale assumerebbe una sicura connotazione europea. Passiamo ora ad esaminare la componente di gran lunga predominante del personale dell'Esercito: i militari di truppa. Sui problemi, veri e presunti, che li riguardano, la discussione è aperta e molto accesa. Numerose sono state le proposte di soluzione sinora formulate, anche perché immediato è l'interesse sociale che solleva e forte l'attrazione che il tema esercita sull'opinione pubblica. Numerosi esperti, di varia estrazione politica e culturale, come anche molti militari, sembrano ormai concordare sulla valutazione che la coscrizione obbligatoria abbia fatto il suo tempo. Se, quindi, ora affermassi che il sistema della leva appare ancora valido, non potrei affatto meravigliarmi se venissi da qualcuno connotato come Capo di SME "retrò". Vorrei allora affrontare, in prima istanza, il tema dell'Esercito professionale o di mestiere. Credo che una riflessione preventiva, che rafforza tra l'altro moltissimo le mie precedenti considerazioni, si imponga subito: quella relativa all'assoluta esigenza di disporre di Quadri in servizio permanente di elevato livello ed in quantità nettamente superiore all'attuale. Sarebbe, infatti, un assurdo pensare di poter continuare ad inquadrare, addestrare ed impiegare professionisti con subalterni di complemento e graduati provenienti dalla truppa. Modificare il vincolo obbligatorio della truppa in un rapporto di impiego volontario non può, quindi, che essere successivo alla soluzione del problema del reclutamento di Quadri professionalmente indiscutibili, assolutamente affidabili sul piano etico ed in numero corrispondente al reale fabbisogno organico. L'attuale corpo normativo consente già all'Esercito, come noto, la disponibilità organica di circa 42000 volontari a ferma prolungata. Eppure, sinora, non si è riusciti ad averne più di 7000-7500. Non solo, ma la qualità degli attuali volontari è, mediamente, inferiore a quella del personale di leva. Anche per i volontari si pone, quindi, sia pure in

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termini diversi, il problema della contropartita al "paniere" che offrono le Forze Armate, di gran lunga meno attraente di quello che garantiscono le Forze di Polizia. A fronte, infatti, di un addestramento duro e di una disciplina vincolante, dell'uso di armi più sofisticate e pericolose di quella individuale in distribuzione nelle Forze dell'Ordine, dell'impiego di mezzi pesanti come il carro armato, il cingolato, l'artiglieria, noi offriamo un trattamento economico addirittura inferiore a queJlo che le Forze di Polizia assicurano agli ausiliari, che altro non svolgono se non un servizio di leva in condizioni di previlegio. Di più: noi non offriamo alcuna garanzia di inserimento nel mondo del lavoro, al termine della ferma, mentre le Forze di Polizia possono sempre aprire le porte del reclutamento al servizio permanente. Per avere, quindi, la disponibilità di volontari sarebbero allora quanto meno indispensabili due provvedimenti immediati: un trattamento economico almeno pari a quello degli ausiliari, anche se non vedo perché debba essere diverso da quello del carabiniere e del finanziere al "primo ingresso", e la garanzia del posto di lavoro, in parte nella stessa organizzazione militare e per il resto nell'apparato statale e parastatale e anche nelle aziende a partecipazione statale. Quale riprova della potente molla esercitata dalla speranza, se non dalla certezza, del posto di lavoro su questo tipo di reclutamento, basta pensare all'esempio del Genio ferrovieri. Per questa specialità, l'Esercito non ha mai avuto e continua a non avere problemi. La possibilità, infatti, di essere reclutati nell'Amministrazione delle Ferrovie al termine della ferma, fa accorrere un gran numero di aspiranti che danno normalmente buona prova durante il servizio, grazie anche alla severa selezione c_he è agevole attuare. Tralasciando, però, ogni altra considerazione, ivi compresa quella dei tempi necessari per il passaggio da un Esercito di leva a quello di mestiere (basti pensare che agli inglesi sono stati necessari ben 15 anni), non si può sorvolare sull'impatto finanziario e proprio in un momento in cui da più parti si invoca, o si pretende, la continua riduzione dei bilanci della Difesa per concorrere massicciamente al risanamento del disavanzo dello Stato. Anche volendo mantenere in vita un Esercito di soli 80000 volontari, come da molti si sente sostenere, sarebbero necessari, per soli stipendi (uguali, ovviamente, a quelli degli ausiliari), non meno di 2250 mld.

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a fronte di circa 140 che sarebbero sufficienti per la paga di un analogo contingente di leva. Ma credo che nessuno, al momento, sia in grado di valutarne veramente il costo, perché nessuno è in grado di definire gli oneri aggiuntivi: da quelli assistenziali, previdenziali e assicurativi a quelli addestrativi, perché dovrebbe pur esserci un'intensificazione dell'addestramento, e infrastrutturali, per una sistemazione adeguata del personale; e, infine, a quelli connessi con la vita del personale (alloggi, trasferimenti, missioni, etc.). Se il Paese non è disposto ad affrontare costi di questo genere, è allora inutile attardarsi ad immaginare l"'esercito di mestiere". E non ho voluto per ragioni di brevità, soffermarmi su altre considerazioni, come quelle della qualità e della rappresentatività sociale dei volontari. Perché se la qualità potrebbe anche essere, forse, assicurata, mediante l'adozione dei correttivi indicati, specie quello relativo alla certezza del posto di lavoro, sul problema della rappresentatività non credo che ci sarebbero scorciatoie. La massa del gettito dei volontari proverrebbe dalle regioni meridionali, dove sono sempre stati molto alti sia il tasso di disoccupazione sia la propensione all'impiego nelle organizzazioni statali. Nell'Esercito di volontari verrebbe, quindi, presumibilmente, a cessare la presenza dei giovani provenienti dalle regioni settentrionali, e questo in un'epoca di leghe non è certamente auspicabile. Se il servizio di leva resterà, volenti o nolenti, confermato, si tratterà allora di gestirlo adeguatamente. Non fosse altro che per annullare, o quanto meno contenere, le molteplici cause che incidono sulla consistenza potenziale del decrescente gettito delle classi di leva: da quelle che determinano le dispense, i rinvjj, le riforme, le esenzioni; a quelle che provocano il dirottamento dei coscritti verso impieghi in altre istituzioni. Se facciamo l'analisi dell'impiego del gettito di un qualsiasi anno, ad esempio la classe 1970, possiamo osservare che di circa 462000 nati v1v1: - il 27% (128000) è perso per diverse cause: riforma (7%); espatrio, condanna, renitenza (14%); arruolamento prima della chiamata nelle Forze Armate e nelle Forze di Polizia (3%); dispensa (3%); - circa il 10% (38000) è precettato "a monte" dalla Marina; - circa il 6% (26000) è incorporato dall'Esercito per conto dell'A.M.;

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- il 57% (269094) resta teoricamente a disposizione per l'incorporazione nell'Esercito. Vediamo ora, cosa succede degli incorporabili nell'Esercito: - il 9% (23800) viene impiegato in servizio ausiliario nelle Forze di Polizia; - il 20% (53600) viene rinviato o differito per motivi di studio o di vario tipo; - il 6% (13700) ha obiettato per motivi di coscienza; - il 65% (177000) è, realmente, ciò che resta a disposizione. Poiché l'esigenza quantitativa della Forza Armata è di circa 200000, è evidente che per coprire il fabbisogno è stato necessario "ripescare" quelli che hanno già goduto del beneficio del rinvio per motivi di studio e quelli dichiarati di nuovo idonei, a seguito di un periodo di insufficiente idoneità al servizio militare. E già con questi primi dati, credo di aver dimostrato che auspicare una più rispondente selezione è anacronistico. Ma vorrei approfondire ancora l'analisi sotto il profilo qualitativo, facendo riferimento al 1989. Di tutti gli incorporati, solo il 60% apparteneva alla fascia dei giovani in possesso di requisiti fisici e intellettuali di elevato livello. Ebbene, per svolgere compiti gravosi e pericolosi e per l'impiego di armi e mezzi pesanti, che non trovano riscontro nelle altre Forze Armate e tanto meno nelle Forze di Polizia, all'Esercito (di questi giovani) ne sono rimasti meno del 49%. Infatti, l'aliquota maggiore (51 %) è stata utilizzata per garantire una disponibilità che: per la M.M., è stata superiore a] 90% dei marinai in servizio; per l'A.M., è stata superiore al 66% degli avieri; per i CC, è stata pari al 66% degli ausiliari disponibili; per la Polizia di Stato, è stata superiore all'84% degli ausiliari disponibili; per i Vigili del Fuoco, è stata superiore al 63% degli ausiliari; per gli Agenti di Custodia, è stata superiore al 78% degli ausiliari. E non mi attardo sulle restanti fasce dei profili psico-fisici, anche per non abusare della vostra pazienza. Basti accennare che, mentre l'Esercito è stato costretto a scendere alla 6" fascia, da quella ottimale dei profili, per coprire il fabbisogno, le restanti Forze Armate e le Forze di Polizia hanno soddisfatto le loro esigenze, di massima, con le prime due fasce. Solo talvolta, e per un nwnero ridottissimo di casi di impiego poco pregiati (piantoni, servizi vari, camerieri, etc.), sono state, infatti, costrette a scendere alla 3" fascia.

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Persino la massa degli obiettori di coscienza faceva parte delle prime tre fasce dei profili; anzi, quasi il 50% presentava profili ottimali, non solo sotto l'aspetto culturale, ma anche per quello psico-fisico. Dall'analisi quantitativa e qualitativa del gettito scaturiscono allora immediate alcune considerazioni generali: - prima: se il sistema della coscrizione obbligatoria resta confermato, e non si vede come possa essere variato senza una modifica del dettato costituzionale, e fino a quando il ruolo delle Forze Armate sarà quello di costituire il braccio armato dello Stato, la partecipazione dei cittadini non potrà che restare effettivamente corale; - seconda considerazione: perché tale partecipazione permanga davvero corale, è, perciò, irrinunciabiJe, da una parte, che vengano riviste, restrittivamente, le agevolazioni sinora concesse ai giovani di leva, affinché le ragioni dei singoli, sempre privilegiate da una legislazione molto attenta agli interessi individuali, non vengano fatte prevalere, comunque, sull'esigenza di salvaguardare l'alimentazione delle Forze Armate; dall'altra parte, diviene anche indilazionabile eliminare l'utilizzazione degli ausiliari in Amministrazioni esterne alle Forze Armate, perché tale impiego risponde a scopi profondamente diversi da quelli sanciti per l'Istituzione militare ed avviene, tra l'altro, a condizioni nettamente più favorevoli; - terza considerazione: in presenza di un fenomeno di forte e progressivo calo del gettito di leva, non dovrebbe sembrare affatto in controtendenza il richiamo all'opportunità che gli altri Corpi dello Stato rinuncino, non solo agli ausiliari, ma anche al reclutamento del loro personale prima dell'effettuazione del servizio di leva: anzi, dovrebbero reclutare solo quelli che hanno assolto il servizio militare. Così operando, infatti, oltre a non sottrarre alle Forze Annate il personale migliore, verrebbe anche a cadere la percezione del "militare" quale servizio svalutato e di paria, perché sempre più delegato alla fascia di giovani che, normalmente, si confrontano con problemi di varia natura (anche psicofisici), si sentono socialmente meno pregiati e che, forse, anche per quest'ultimo motivo, si considerano meno protetti; - quarta considerazione: il il fenomeno dell'obiezione di coscienza e la richiesta di servizio civile, che stanno esplodendo nelle regioni settentrionali, vanno vieppiù assumendo la connotazione di allettante scorciatoia per aggirare un obbligo verso la collettività. E tale andamento è destinato a rafforzarsi man mano che l'impegno di talune orga-

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· nizzazioni che li patrocinano coinvolgerà in misura più massiccia anche i giovani meridionali. A parte la facile ironia che, se venisse introdotto l'esercito di volontari, probabilmente tenderebbe a ridursi, sino - forse - a scomparire, anche l'obiezione, è certo che la richiesta di servizio civile svanirebbe. Non riesco a credere, infatti , che i _giovani italiani chiederebbero volontariamente di dedicare un periodo della loro vita al servizio civile, sia pure nelle aree di "vocazione", se non ci fosse una legge ad imporre loro l'obbligo, come oggi avviene per il servizio militare. In sostanza, la richiesta di servizio civile sembra alimentata dall'obbligo militare da "rifiutare": se cade quest'ultimo, sembra evidente che dovrebbe cadere anche il primo. Per inciso, e con il valore di una battuta, scomparirebbé anche l'Associazione Nazionale Alpini. Da quest'ultima considerazione viene sottolineata un'esigenza: la normativa sul servizio civile non può restare a lungo nell'attuale indefinita situazione e le regole che dovranno essere definite non potranno non essere commisurate e bilanciate con oneri equivalenti a quelli connessi con iJ servizio militare. Dall'analisi dell'utilizzazione del gettito, mi sia consentito trarre un'ultima indicazione. Mi meraviglio che ci sia qualcuno in Italia che si meravigli ancora del ripetersi degli incidenti, quando ho appena finito di mostrare come solo il personale qualitativamente peggiore venga destinato all'Esercito per compiti ben più gravosi e pericolosi di quelli svolti dall'ausiliario nelle Questure e nelle stazioni dei Carabinieri, o durante il servizio agli stadi, oppure nelle autorimesse dei Vigili del Fuoco. È innegabile, infatti, che gli incidenti in servizio sono connessi con l'uso delle armi, con l'impiego di mezzi pesanti, ruotati e cingolati, e con l'addestramento in condizioni di forte impegno psico-fisico. Semmai, sono io che continuo a meravigliarmi di come i Comandanti riescano a mantenere la percentuale degli incidenti più bassa di quelle che lamentano altri eserciti occidentali, e certamente più bassa di quella a cui vanno incontro i giovani il sabato sera o nei tafferugli allo stadio. In definitiva, la rigorosa disciplina delle agevolazioni e del servizio civile, nonché l'eliminazione del servizio ausiliario ed il rinvio del reclutamento del personale da parte dei Corpi al periodo successivo

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all'assolvimento dell'obbligo di leva, non solo varrebbero quali misure efficaci di salvaguardia del gettito di leva, ma sarebbero la risposta coerente e legislativamente trasparente alla preferenza che, mi auspico, continui ad essere assicurata alla coscrizione obbligatoria. Ne risulterebbero valorizzate non solo le finalità, ma, riservando alle Forze Armate tutta la gioventù fisicamente idonea, diverrebbe anche possibile porre in atto efficaci misure di prevenzione. In particolare, contro le principali cause di incidenti, dovute, troppo spesso, alle carenze psicofisiche dei giovani che si è costretti ad arruolare, in relazione all'esiguità del gettito che non consente più alcuna selezione; inoltre, contro talune insoddisfazioni dei militari di leva, molto spesso acuite dalla convinzione di essere discriminati "in peggio" rispetto a quelli che al servizio riescono a sottrarsi. 4. Materiali Con la mia affermazione, forse, stupirò molti degli ascoltatori, ma ritengo che il problema dei materiali sia, in fondo, il più semplice da impostare e risolvere. In primo luogo, perché l'esigenza di ammodernare la Forza Armata non nasce oggi, a seguito del mutare degli scenari internazionali: essa scaturisce invece dal perdurare di carenze qualitative, ben note da anni. Queste deficienze strutturali ed operative sarebbero agevolmente eliminabili se si riuscisse ad acquisire idonei mezzi, peraltro, in gran parte già in servizio presso molti Eserciti, alleati ed amici. In secondo luogo, perché l'unica, vera condizione pregiudiziale per l'ammodernamento è la possibilità di disporre di una concreta e credibile programmazione, abbastanza semplice da mettere a punto solo che si potesse fare affidamento su una ipotesi sufficientemente stabile di assegnazione di risorse finanziarie adeguate. Da anni, invece, l'unica cosa certa nel settore finanziario, è che le assegnazioni sono in costante diminuzione e che i tagli vengono definiti anno per anno. Anzi, nel corso di ogni anno non si può contare neanche sulla stabilità dell'esercizio finanziario, tenuto conto che i tagli al bilancio vengono effettuati dal Tesoro, in sede di definizione annuale; dal Parlamento, in sede di approvazione; e di nuovo, dal Tesoro in fase di assestamento.

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Se poi si fa mente locale al fatto che il bilancio annuale della Difesa (Carabinieri esclusi) è all'incirca corrispondente al deficit annuale delle Ferrovie dello Stato, è immediatamente evidente che l'entità delle risorse destinate alla funzione "sicurezza" è tutt'altro che imponente e nient'affatto corrispondente al ruolo politico che l'Italia vuole assolvere in campo internazionale. Da un tale sistema incerto e tormentato di modeste assegnazioni può derivare, quindi, solo un impiego disorganico, se non addirittura dispersivo, delle sempre più magre risorse disponibili. Di più: la costante e non programmata riduzione dei bilanci della Difesa si è ripercossa essenzialmente sull'ammodernamento e sul rinnovamento, nel cui ambito sono state soddisfatte neanche la metà delle esigenze minime. Dicevo che le carenze sono note da anni. Esse, infatti, oltre ad essere state indicate in numerose sedi, sono inequivocabilmente descritte nel "Libro Bianco 1985" e ribadite in '"Prospettive della Difesa", pubblicato dal Ministro Zanone nel 1989. In concreto, i più gravi problemi connessi con i seguenti settori principali: - l'insufficienza condizionante dei sistemi di comando e controllo; - l'indisponibilità di una difesa controaerei diretta delle unità d'impiego; - la totale inaffidabilità dell'attuale difesa controcarri alle corte distanze; - la mancanza di un'arma individuale capace di competere, non dico con quella degli eserciti meglio equipaggiati, ma anche con quella di Paesi che non hanno il nostro potenziale industriale; - l'indisponibilità di armi di saturazione: obiettivo di acquisizione considerato prioritario da molti eserciti europei; - la difficoltà di disporre di una linea di carri omogenea ed operativamente all'altezza di quella dei nostri alleati; - la crescente difficoltà di ammodernare la componente elicotteristica. Ancora: le crescenti difficoltà finanziarie ed i (troppo spesso) ripetuti tagli hanno inciso pesantemente nei seguenti principa4 programmi approvvigionativi, che sono stati fortemente dilazionati e/o ridotti: - rinvio dell'approvvigionamento del VCC-80 ad epoca indefinita; - riduzione dell'80% del numero dei veicoli blindati (PUMA), per i quali l'inizio del programma è stato slittato dal 1991 al 1993;

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- riduzione di 1/3 del numero dei carri "Ariete", il cui programma è stato rinviato daJ 1989 aJ 1993; - riduzione del rinnovamento del parco dei veicoli ruotati del 50%; - contrazione del 70% del programma dei lanciarazzi FIROS e ripresa degli approvvigionamenti in data non definibile; - slittamento al 1993 della decisione di acquisire - sia pure in misura ridotta - il sistema missilistico controaerei di autodifesa MISTRAL; - riduzione di 1/5 del programma del sistema missilistico a bassa quota SKYGUARD - ASPIDE; - contrazione di 1/5 del numero dei semoventi controaerei da 25 mm.SIDAM; - riduzione del 50% dei programmi di acquisizione di munizionamento. Ma quello che qui preme sottolineare non sono neanche queste macroscopiche deficienze. Voglio, invece, porre l'accento sui prevedibili rischi, impliciti in alcuni orientamenti politico-militari. Come noto, le trattative in corso per la riduzione degli armamenti tendono ad una drastica contrazione delle dotazioni di alcuni sistemi d'arma convenzionali. Ne deriverà, ovviamente, che gli eserciti meglio e più modernamente equipaggiati elimineranno il "meno efficiente", risultando qualitativamente più affidabili. Quelli, invece, che già oggi lo sòno di meno, potranno solo ridurre la consistenza del "poco efficiente": comparativamente, perciò, non potranno che peggiorare. Per questi ultimi, quindi, e noi siamo tra questi, ammodernare è un imperativo, una necessità fi siologica. Non si tratta, infatti, di armare, ma di rendere credibile quello che rimane. È in questa ottica che deve, perciò, essere visto il completamento dei programmi in corso, anche se ridimensionati in sintonia con le previste riduzioni delle forze. Inoltre, la ridistribuzione territoriale delle unità, che consentirà tra l'altro una sempre maggiore regionalizzazione del servizio di leva, ha come corollario la mobilità totale delle unità, perché possano affluire dovunque si crei l'esigenza di impiegarle sul territorio nazionale. Mobilità significherà, quindi, oltre all'esigenza di incrementare il parco dei mezzi, anche quella di ammodernarlo, migliorando, in particolare, la protezione di una consistente aliquota mediante blindatura. li discorso sui materiali e sui mezzi non sarebbe, però, completo se non volgessimo anche un rapido sguardo alle potenzialità dell'area del

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supporto logistico e dell'area tecnico-industriale, dove persistono carenze organizzative pregiudiziali, perché causa di penalizzante dispersione di risorse. Tra queste, cito: - la sproporzione tra l'elevata quantità di risorse umane - specie civili - che vi sono impegnate e la ridotta funzionalità. La persistente scarsa operatività costringe, infatti, a rivolgersi a ditte civili per la riparazione del "molto" che i numerosi organi esistenti non riescono a mantenere in efficienza; - l'insuperabile immanenza di vincoli procedurali e di carattere contabile e burocratico-amministrativo, assolutamente soffocanti, che allungano, rendendoli molto più costosi, i cicli delle riparazioni. Come ovvio, entrambe le distonie incidono pesantemente ed immediatamente sulla funzionalità dei reparti. Sarebbe, perciò, necessario sottoporre le due aree ad una profonda revisione strutturale e funzionale, in termini riduttivi, superando anche la logica che costringe a considerarle come produttrici di posti di lavoro stabili, ignorandone, troppo spesso, l'insoddisfacente produttività ed il basso rendimento. Queste aere, infatti, già oggi pletoriche, risulteranno ancor più eccedenti a seguito delle riduzioni dello strumento operativo, specie se continueranno a conservare il loro carattere di scarsa economicità e di ridotta competitività funzionale con le aziende private. E ciò anche perché concorrono alla loro situazione deficitaria i poco flessibili sistemi di reclutamento del personale civile, che rendono impossibile sia attingere sia impiegare il personale dove effettivamente serve. In definitiva, nel settore dei materiali e dei mezzi vedo, in prospettiva, due strade da percorrere. Innanzitutto, quella di ancorare le disponibilità finanziarie al prodotto interno lordo, talché si possa programmare, in modo corretto ed attendibile, gli approvvigionamenti, evitando così di assumere impegni aleatori per l'incertezza sulle risorse. In secondo luogo, quella di sottoporre ad un profondo processo di revisione e di riorganizzazione, in termini di contrazione, tutta l'area del supporto logistico, da quella industriale a quella operativa, con lo scopo di renderla funzionale ai compiti, proporzionata alle dimensioni delJo strumento e, soprattutto, produttiva; evitando, perciò, di mantenerla surdimensionata, essenzialmente, per fini di carattere sociale.

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Discorso del tutto particolare meriterebbe il problema delle infrastrutture. Dal momento, però, che è dibattuto da anni, posso, a ragione, ritenerlo abbastanza noto, almeno nelle sue linee essenziali. Mi limiterò pertanto ad alcuni cenni, peraltro emblematici. Infatti, mi sembra sufficiente precisare che, per l'Esercito: - il patrimonio infrastrutturale è per circa 1'85% vetusto e poco funzionale agli scopi operativi , in quanto fonnato da immobili costruiti con destinazione diversa da quella dell'accasermamento (ex ospedali, ex carceri ecc.) o realizzati per tipi di reparti che non trovano più riscontro nella realtà attuale (mancanza di spazi per il ricovero dei mezzi, di aule, di officine, di annerie per i sistemi d'arma); - il complesso delle infrastrutture è distribuito sul territorio nazionale in modo non uniforme (67% Nord Italia, 17% Centro, 16% Sud e isole) e ciò contrasta con l'intendimento di una più regolare distribuzione dei reparti sul territorio, per favorire - tra l'altro - la regionalizzazione; - il 20% degli immobili potrebbe essere alienato o pennutato senza penalizzare la funzionalità dei Comandi e dei reparti; - il 70% degli immobili deve essere ammodernato con elevato grado di priorità, per adeguarlo, sotto il profilo funzionale, aJle esigenze di un esercito moderno. In tale quadro, tenuto conto dell'intendimento di procedere ad una riduzione sempre più drastica delle ridottissime risorse finanziarie disponibili (poco più di un centinaio di miliardi, neanche sufficienti alla sola manutenzione dell'esistente), un allineamento di parte delle infrastrutture alle nuove esigenze di natura sociale, operativa e di distribuzione territoriale dei Comandi e dei Reparti può essere attuato solo mediante un provvedimento di autofinanziamento. Un'aliquota delle infrastrutture non idonee potrebbe essere, infatti, alineata o permutata con altra idonea alle esigenze funzionali della F.A.. Il ricavo delle vendite potrebbe essere destinato alla ristrutturazione di quelli immobili ancora idonei che, per dislocazione, ben si prestano ad una riutilizzazione; ovvero, potrebbe essere utilizzato per la costruzione, mediante appalto, di nuove infrastrutture, da realizzare nei luoghi che ne fossero sprovvisti o alla periferia di quei tessuti urbani che attualmente ospitano nel loro seno caserme sedi di reparti operativi. In conclusione, nel quadro generalizzato di carenze di mezzi e di ri-

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sorse finanziarie, l'unica possibilità reale di autofinanziamento l'Esercito la trova, concretamente, proprio nel settore delle infrastrutture. Per scendere, però, dal piano delle possibilità potenziali a quello dei provvedimenti operativi, è necessaria una specifica legge, da troppo tempo in gestazione in Parlamento (noto d.d.l. "Botta"). 5. La regola In premessa, l'ho definita il collante delle migliori capacità del Personale e delle potenzialità dei Mezzi, che catalizza e orienta le prestazioni globalì dello strumento verso il raggiungimento dei fini dell'Istituzione. È giunto il momento per approfondire questo specifico tema della mia esposizione. Per "regola" intendo ìl complesso di limitazione e di vincoli di orìgine costituzionale, di prescrizioni e dettati legislativi, di precetti, normativi e regolamentarì e di soggezionì procedurali, a cui il militare deve sottostare subordinando ogni scelta ed atto della sua vita. Si tratta in sostanza di quel vasto e complesso ventaglio di obblìghi e di doveri che fanno del cittadino alle armi un servitore dello Stato molto particolare. La sua condizione, infatti, è quella di soggetto di diritti e libertà personali giuridicamente limitati, condizionati e controllati, essenzialmente perché lo Stato gli affida in gestione gli strumenti atti a garantire l'ìntegrità nazionale ed a tutelare la sovranità contro ogni forma di sopraffazìone e di prevaricazione esterna, concorrendo anche alla salvaguardìa da sconvolgimenti interni. È evidente che non si tratta di un cittadino di serie inferiore; anzi, la nobilità della sua scelta di vita consiste proprio nel fatto di aver accettato liberamente obblighi suppletivi di soggezione alle leggi, al fine di assicurare la propria fedeltà e la completa disponibilità al bene della collettività. Paradossalmente tutto questo complesso sistema di norme potrebbe anche non esistere qualora l'organizzazione potesse disporre di Comandanti dotati, ad ogni livello, del crisma del leader carismatico. Poiché è inverosimile che questo succeda in qualsiasi Esercito e, soprattutto, in quelli che hanno, come il nostro, problemi di BUON RECLUTAMENTO, la "regola" diviene essenziale anche per il corretto e normale funzionamento.

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D'altronde, in un quadro così articolato e così trasparente di relazioni, tale regola non solo salvaguarda la sfera di libertà e di autonomia di ognuno, ma concreta anche i limiti delle competenze del singolo mediante l'esatta definizione dei vincoli a cui ciascuno è assoggettato. Ma ciò che qui interessa è altro: è, cioè, la chiara definizione di quelle che si possono definire le "regole del gioco". Un contesto così specifico e regolamentato di relazioni può funzionare con efficacia solo se alla responsabilità attribuita a ciascun ruolo corrisponde il diritto di decidere, che altro poi non è se non quello di scegUere tra diverse possibilità. Alla facoltà di operare scelte è quindi connesso, e non può essere diversamente, un grado, peraltro ben limitato, di discrezionalità. Se viene a mancare la seconda - la discrezionalità - non appare possibile che continui ad incombere la prima - la responsabilità -: sarebbe come se si volesse obbligare l'imprenditore a rispondere della gestione di un'azienda e della relativa affidabilità, senza riconoscergli il diritto di rischiare capitali in investimenti ritenuti essenziali per lo sviluppo economico dell'impresa cui è preposto. In buona sostanza, come ogni altra organizzazione dello Stato, anche le Forze Armate devono sottostare al sindacato dei cittadini. Non appare, tuttavia, comprensibile che si debba perseguire ad ogni costo la pubblicità, sempre più spinta e rassicurante, degli atti di gestione, sottraendo, di fatto ai responsabili della corretta applicazione della "regola" il potere di farla rispettare e, quindi, di tutelarla da tentativi di infrangerla. In altre parole, non sembra accettabile continuare a ricercare la riduzione del potere di controllo e di intervento dei Comandanti, attribuendo a molteplici soggetti la potestà di sindacare il loro operato, quando non - addirittura - di frenarlo o bloccarlo. In definitiva, la salvaguardia, anche sul piano formale, dell'ordine gerarchico, se è importante in qualsiàsi organismo che debba operare efficacemente con strutture complesse, lo è in misura determinante per l'istituzione militare che trova, in quest'ordine, la sua quintessenza vitale e funzionale. D'altra parte, perché il diritto di ciascuno sia tutelato è anche necessario che venga pretesa, da ognuno, l'esecuzione integrale delle incombenze derivanti dai relativi doveri. In caso contrario, chi è formalmente responsabile viene anche chiamato ad assumersi. surrettiziamente l'onere dei doveri che altri non hanno assolto. Si tratterebbe di una contraddizione sostanziale e pregiudizievole per il funzionamento

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di qualsiasi organizzazione; ma diverrebbe addirittura essenziale per quello dell'organizzazione militare, che deve essere sempre pronta ad operare, anche senza preavviso e senza alcuna interruzione. Il problema di oggi è forse tutto qui. In sostanza, per il corretto funzionamento delle istituzioni militari è necessaria un "regola": chiara,. perché chiara deve essere l'attribuzione sia della responsabilità sia della potestà d'intervento; - semplice, perché sia da tutti compresa senza alcun bisogno di interpretazione soggettiva o "ermeneutica"; - esente da qualsivoglia rischio di sovrapposizione di ruoli e di compiti, perché la confusione crea disfunzioni e fuga dalla responsabilità; - finalizzata, perché deve obbligare il personale militare, legittimo detentore dei sistemi d'arma più sofisticati e pericolosi dello Stato, ad impiegarli solo in vista del fine legittimo, sancito per le Forze Armate. Perché la regola operi allora correttamente, sono indispensabili, contestualmente, il suo assoluto rispetto da parte di ciascuno e l'autorità per alcuni di imporre agli altri l'obbligo di non violarla. In quest'ordine di idee, non appare accettabile che la regola si vada fortemente affievolendo, come dimostrano, ad esempio, le astensioni collettive daUa mensa, oppure l'affannosa ricerca di orari di servizio sempre meno onerosi, ovvero la richiesta di turni compensativi di riposo più frequenti e di durata crescente. E la regola non può affievolirsi perché essa concreta lo strumento che lo Stato utilizza nei confronti dei militari " detentori delle armi", per assicurarsi legalmente la loro fedeltà e la loro affidabilità. Essa, perciò, dovrebbe essere "ferma" e coercitiva proprio per la pericolosità dei mezzi affidati in custodia alle persone per cui vige. Lo spirito democratico, che pur deve permeare le istituzioni militari, non può essere inteso, quindi, come causa di azzeramento dell'autorità e come spinta per i singoli a scegliere comportamenti ed atteggiamenti non conformi; semmai, deve essere, invece, vissuto come rispetto, preteso da tutti, delle norme su cui si basa il funzionamento delle istituzioni. In tale ottica, non può, quindi, essere ammesso, né tollerato, il sistematico e impune rifiuto delle procedure e dei vincoli disciplinari. In definitiva, per un Esercito del futuro, che sia davvero efficiente, Io spirito autentico della regola deve essere recuperato.

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A mio avviso, infatti , si è abbondantemente superato il punto di equilibrio tra principio di libertà e principio di autorità, a nocumento esclusivo del secondo. Valgono, a riprova, alcune esempi emblematici. l 2 ) Polemizzare con un superiore gerarchico a mezzo stampa, è indice di libera espressione cli giudizio o atto di indisciplina, se non di insubordinazione, specie se ne risulta lesa l'immagine e l'autorità del superiore? 22) La mancata esecuzione di un ordine di cambio di incarico o di incarico o di sede e la relativa contestazione con ogni mezzo (malattia, raccomandazione, pressioni di ogni tipo) vanno considerate come libera tutela dei propri interessi o come sottrazione ai propri doveri? 3°) Perseguire con ogni mezzo il contatto diretto con il vertice per risolvere problemi personali, scavalcando senza riguardi i Comandanti sovraordinati, è un atto di democrazia interna oppure la negazione dell'ordine e dei vincoli gerarchki? Molti esempi ancora si potrebbero addurre; ma, ai fini della mia esposizione, credo che quelli citati siano sufficienti per affermare che si è forse varcato il limite del tollerabile. Ritengo, perciò, indilazionabile un freno per ripristinare al più presto la regola; altrimenti, ogni intento di restituire efficienza alla Forza Armata è davvero utopico. In quest'ordine di idee rientra anche la valutazione dell'operato della Rappresentanza Militare, sinora intesa come strumento di supporto, e non di contrapposizione, all'operato dei comandanti. È bene che l'organismo continui ad agire nel rigoroso rispetto delle leggi vigenti, in quanto qualsiasi tentativo di debordare dai limiti chiaramente sanciti determinerebbe confusione di competenze, si presterebbe ad interpretazioni fuorvianti, sarebbe un'ulteriore causa di indeboli mento dei vincoli disciplinari e della compattezza, quindi, della compagine militare. È opportuno tuttavia sottolineare che il recupero della regola spetta innanzitutto ai Quadri, specie a quelli con maggiore responsabilità. Infatti, gli strumenti idonei esistono. Basta servirsene, anche se oggi è più difficile farlo, operando a tutti i livelli con la precisa volontà cli far rispettare le norme e senza timore di prendere provvedimenti impopolari. In un'ottica di corretto funzionamento dell'organizzazione, il militare è dunque un cittadino che deve accettare e sostenere oneri molto gra-

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vosi; oneri che si traducono in limiti consistenti e permanenti di libertà personale, differenti da quelli che caratterizzano la condizione civile (orario di servizio, rappresentanza sindacale, diritto di sciopero e di appartenenza a partiti politici, e così via). È giusto che ciò avvenga: i1 militare deve essere il primo a possedere la consapevolezza che la condizione militare è un fardello molto più pesante da portare, rispetto a quello della condizione civile. Tuttavia, in una società nella quale i diritti individuali sono tutelati e garantiti sino al punto da prevalere, talvolta, su quelli della collettività, questa limitazione, assunta in vista dell'efficienza e della costante affidabilità democratica dello strumento militare, deve pur essere adeguarnente riconosciuta e compensata dallo Stato che la impone con le sue leggi. Perché l'Istituzione militare sia all'altezza dei suoi fini, i membri devono essere totalmente disponibili, e senza limiti temporali, allo scopo di mantenerla in costante efficienza. L'essenza della condizione del militare, quindi, si traduce, concretamente, in questa differenza rispetto a quella dei dipendenti civili: il militare deve subordinare i suoi interessi personali all'Istituzione ed allo Stato; il dipendente civile li subordina solo a tempo prefissato e, se può, li concilia giustamente tramite la contrattazione sindacale. Il militare deve farsi carico volentieri della disciplina e delle restanti limitazioni di libertà, ma questa totale affidabilità e la completa soggezione allo Stato non possono non essere tenute nel giusto conto, considerato anche che diventano più "pesanti" proprio nelle società come la nostra che coltivano, con grande attenzione e rispetto, le libertà individuali. Unico modo per compensare il sacrificio è, a mio avviso, quello di remunerare la condizione specifica del militare con una indennità nel cui ammontare lo Stato dovrebbe rendere veramente tangibile il segno della sua considerazione. E potrebbe anche trattarsi di una concessione non sottoposta alla periodica contrattazione collettiva, perché i militari dovrebbero pur essere tutelati dallo Stato in modo permanente e con strumenti autonomi. E ciò perché i militari costituiscono una categoria di cittadini a cui è imposta, per precetto costituzionale, la rinuncia a qualsiasi forma di associazione protesa alla difesa di interessi particolari, in quanto un sif-

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fatto comportamento sarebbe in netta antitesi con l'obbligo di essere pronti in ogni momento della difesa degli interessi generali. Né la considerazione dello Stato per la condizione militare dovrebbe essere subordinata alle priorità contingenti (lotta alla criminalità; pace/guerra; impiego reale oppure no dei militari; e così via). La condizione militare e la regola, nel concreto, si configurano come gli strumenti che lo Stato usa per l"'emergenza", quale baluardo ultimo della sua sovranità ed Autorità. Non dovrebbe perciò far differenza, quando si valuta il trattamento da riservare ai militari, che il loro impiego sia o no effettivo, anche se come cittadini i militari sono i primi ad augurarsi che esso non sia mai necessario, dal momento che il verificarsi segnerebbe il fallimento di tutti gli altri mezzi statali. In definitiva, l'indennità militare, nell'ottica in precedenza illustrata, sarebbe il "prezzo della Libertà" e non della "prestazione". Quest'ultima, infatti, deve essere retribuita con altre forme, (stipendi, indennità operativa, indennità di specializzazione, ecc. ) in relazione ai rischi ed alle responsabilità che caratterizzano l'impiego. Quanto può valere, allora, l'indennità militare? Se ne potrebbe discutere, ma certamente non può ridursi alle 50 o alle 100 mila lire che qualcuno, e purtroppo non solo qualcuno sembra ritenere congrue. A mio parere, una remunerazione volta a .compensare limitazioni di libertà senza pari e che rendono il militare un dipendente dello Stato del tutto particolare e professionalmente con pochi uguali, specie se verrà reclutato come ho indicato in precedenza, questa remunerazione - dicevo - non può non valere molto, ma molto di più (forse milioni) sempre ammesso che esista un controvalore economico che compensi efficacemente la rinuncia, sia pure volontaria, a molti diritti e libertà individuali. 6. CONCLUSIONI Non rimane, ora, che avviarsi a concludere. Può essere rimasto, forse, deluso chi si aspettava di sentire dal Capo di Stato Maggiore dell'esercito valutazioni in merito ai rapidi mutamenti internazionali ed alle risorse disponibili per mantenere la Forza Armata efficiente ed adeguata alla situazione in evoluzione. Forse insoddisfatti potrebbero essere anche coloro che auspicavano 110


chiarimenti sulle prevedibili dimensioni della componente terrestre nell'ambito dello strumento militare. Al riguardo, credo però di aver chiarito che non è possibile parlare di dimensioni dello strumento, e tanto meno della consistenza dell'esercito, se prima non sarà stato definito il ruolo da attribuire alle Forze Armate, a sostegno della politica internazionale che l'Italia vorrà svolgere nei contesti atlantico ed europeo: in altre parole, il modello di difesa. In attesa che ciò avvenga, ho voluto, invece, puntualizzare alcuni problemi che attengono immediatamente all'efficienza dell'organizzazione e che dovranno essere risolti al più presto se si vuole disporre di un esercito efficiente all'indomani del 2000. Per il PERSONALE ho voluto, pertanto, focalizzare l'attenzione sull'aspetto che ne condiziona la rispondenza e la validità, individuando la soluzione in un BUON RECLUTAMENTO. In merito, ho precisato che, per garantire un reclutamento efficace di personale in servizio permanente, è necessario poter scegliere "al meglio". Per farlo non si possono concedere sconti sulla qualità, la cui disponibilità e, però, subordinata alla concreta offerta, quale contropartita, di una veramente consistente indennità militare, unico strumento idoneo a garantire che, alla vita militare, affluiscano in massa i giovani migliori, sui quali scegliere. In particolare, per gli Ufficiali ho indicato l'opportunità di eliminare tutte le fonti di reclutamento alternative per procedere esclusivamente tramite l'Accademia Militare, sia per garantire una selezione accurata ed efficace sia per assicurare soprattutto una preparazione omogenea, approfondita ed anche mirata all'impiego del personale in strutture europee sia, infine, per rafforzare in modo unitario le doti morali indispensabili per la vita militare, nel corso dell'intero ciclo form ativo. Per i Sottufficiali, ho sottol ineato l'esigenza di tornare a dare contenuto e vigore alla loro funzione di saldatura tra i Comandanti e la truppa, preparandoli accuratamente alle attività organizzative ed esecutive per mezzo dell'Accademia dei Sottufficiali. Ciò, però, solo dopo averne sperimentato l'attitudine mi litare e l'ascendente nei confronti della truppa. Si tratta, quindi, di trarli, mediante una selezione preventiva, esclusivamente e direttamente daJla truppa e dagli specializzati, sia per avere elementi probanti di giudizio sulla loro accettazione volontaria dello stato, della regola e dei successivi compiti di Comandanti e di istruttori sia per consentire la verifi ca dal "vivo" delle loro doti militari.

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Per i volontari ho precisato che in Italia non è stata ancora portata a termine un'indagine esauriente degli effettivi costi, anche se l'impatto finanziario del loro impiego ha una valenza tutt'altro che marginaJe. In ogni caso, non ho riserve concettuali o di altro genere nei confronti di un eventuale passaggio all'esercito di volontari, sempre che si decida in tal senso. È però incontrovertibile che, a premessa della decisione, bisognerà anche creare contropartite allettanti: un trattamento economico almeno uguale a quello degli ausiliari e l'alta probabilità del posto di lavoro, dopo la ferma. Sarà, quindi, giocoforza disporre di Ufficiali e Sottufficiali, in servizio permanente, in quantità maggiore dell'attuale e in misura uguale ai reali fabbisogni organici. Se invece si continuerà a ritenere impraticabili tutti i provvedimenti accennati, per insufficienza di risorse finanziarie, non resterà allora che mantenere operante la leva obbligatoria, pur rendendo tuttavia disponibile la percentuale di volontari che il corpo normativo già ora consente e adottando per il reclutamento di questi ultimi i correttivi citati. Per il personale in servizio di ]eva, ho accennato ai motivi che, a mio parere, non consentono di indulgere oltre all'attuale sistema delle esenzioni. Si dovrà, quindi, tornare ad una salvaguardia rigorosa della quantità e della qualità del gettito destinato all'Esercito, eliminando tutti i servizi ausiliari o equipollenti, rinviando il reclutamento nei Corpi dello Stato al periodo successivo alla ferma e riducendo i margini di beneficio a favore delle istanze individuali. In questo quadro, sarà anche altrettanto indispensabile un ripensamento del servizio civile, che dovrebbe cessare di costituire una " via di fuga", dovrebbe divenire uno strumento istituzionale volto a precise finalità collettive e dovrebbe smettere di essere contrapposto, se non addirittura preferito, al servizio militare. E ciò non solo per la rilevanza costituzionale di quest'ultimo, ma anche - e soprattutto - per evitare che si continui a perpetrare il tentativo scoraggiante di farlo apparire agli occhi dei giovani un disvalore, una perdita di tempo, o, peggio, un passatempo per i più violenti. Per i MATERIALI, che pure realizzano in termini di tecnologia e di disponibilità la chiave di volta dell'efficacia dello strumento, il problema è apparso, paradossalmente, più facile da risolvere. L'incognita è, infatti, legata alle risorse finanziarie disponibili. Se ci saranno queste ultime, ritengo abbastanza agevole - pur con tutti i condizionamenti, specie quelli di natura amministrativa - procurarsi rapidamente i primi.

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È pur sempre indispensabile, comunque, un ancoraggio al PIL, al fine di conoscere per tempo l'entità delle risorse sulle quali fare affidamento, perché la ricerca e lo sviluppo necessitano di una sicura e stabile programmazione di respiro decennale. È altresì indispensabile un netto recupero di efficienza delle aree amministrative, di supporto e industriale, sia per evitare la dispersione di risorse sia per restituirle alla funzione primaria del sostegno, respingendo la logica che le considera quali bacino di riserva di posti di lavoro per finalità essenzialmente socio-economiche. Circa la sicura disponibilità di risorse finanziarie, vorrei aggiungere che la stessa industria nazionale degli armamenti - che noi auspichiamo come nostra principale fornitrice, ma che a partire dal '93 dovrà pur misurarsi, e senza tutela, con una concorrenza agguerrita - necessita di sicuri riferimenti approvvigionativi per acquisire affidabilità e capacità di produrre mezzi competitivi per qualità e prezzi. Facendo un rapido riferimento alle INFRASTRUITURE, ho sintetizzato i limiti insuperabili che si frappongono sia all'ammodernamento del patrimonio sia al raggiungimento dell'obiettivo della integrale regionalizzazione, considerato che per la costruzione di una sola caserma veramente idonea alle esigenze funzionali e di vita di un battaglione sono indispensabili cinque anni per la realizzazione e non meno di 50 miliardi, a costi attuali. Ne deriva immediata al considerazione che, senza uno specifico provvedimento di legge, in questo settore è, al massimo, possibile sforzarsi di mantenere in vita l'esistente, accettandone però il progressivo degrado. Purtuttavia, si tratta dell'unico settore in cui la Forza Armata potrebbe autofinanziarsi, vendendo quanto eccede per investire i ricavi in nuove costruzioni, specie al Sud, e nel miglioramento del patrimonio residuo. Per quanto concerne la REGOLA, infine, il discorso è apparso davvero molto delicato, anche se l'essenza del problema sembra agevole da sintetizzare. In sostanza, ritengo che non si possa scindere, o anche esageratamente indebolire, il binomio responsabilità/discrezionalità, né che si possa continuare a infrangere il cÒmplesso e tradizionale rapporto dei doveri e dei diritti, senza che ne risulti profondamente compromessa l'efficienza dell'organizzazione militare. Modificare, infatti, la regola in questi due cardini significherebbe porre in discussione la stessa ragione d'essere dell'Istituzione militare.

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Nelle organizzazioni civili, nelle quali l'impegno si può sempre ricreare con la gratificazione economica, è anche comprensibile che si tenti di alleviare gli obblighi per privilegiare i diritti dei singoli. Se nell'organizzazione militare si mutuasse la stessa logica si potrebbe giungere, paradossalmente, a "civilizzare" i militari: il che sarebbe - ovviamente - un assurdo. È proprio per questo motivo che ho invocato, eritengo irrinunciabile per ridare efficienza alJe Forze Armate, sia la definizione rigorosa delle "regole del gioco" (regola semplice, chiara, non prolissa; rispetto dell'ordine gerarchico; giusto equilibrio tra principio della libertà e principio dell'autorità; binomio inscindibile responsabilità/potere di decisione; rispetto delle norme vigenti da parte della R.M.) sia l'esigenza di evitare, a tutti i costi, di compensare la insufficiente remunerazione dei militari con riduzione, apparentemente equivalenti, dei vincoli normativi. Questa facile operazione, infatti, finirebbe con il diventare dirompente e preclusiva per il funzionamento e per l'efficienza delle strutture. D'altra parte, ho anche affermato la necessità - da parte dello Stato di tenere in grande considerazione le "rinunce di libertà" che i militari . accettano con la loro scelta di vita e che restano ineguagliate e improponibili per qualsiasi altro settore del pubblico impiego. Dal punto di vista della remunerazione non si può, pertanto, confrontare i militari con altri dipendenti. Per le limitazioni di libertà, che sussistono, quindi, a prescindere dall'impiego effettivo e che sono accettate come indispensabili per assolvere i precipui compiti, può servire da compensazione solo una veramente consistente indennità militare, forse dell'ordine di milioni. E proprio questa consistente indennità sarebbe la contropartita a cui il militare si assoggetta per essere affidabile e che, facendo la differenza, consentirebbe di creare le precondizioni per quello che ho definito il BUON RECLUTAMENTO. Sono convinto, infatti, che il BUON RECLUTAMENTO costituisca l'unico, vero, insostituibile strumento, idoneo a ridare efficienza alle Forze Armate nel 2000 ed a restituire, in definitiva, allo Stato un baluardo all'altezza dei suoi fini istituzionali.

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CONCLUSIONE

"Le più violente passionj possono accendersi anche fra i popoli più civili. Si vede quindi come sia lungi dal vero il figurarsi la guerra fra Stati civili come un semplice e razionale atto di governo e il considerarla come avulsa da ogni passione, sì che, in definitiva, non abbia bisogno dell'azione fisica delle masse combattenti, e possa far calcolo soltanto sui loro rapporti astratti, sì da ridurre la guerra ad una specie di operazione algebrica", (Karl von Clausewitz, Della Guerra, Libro Primo, I). L'avvertimento del generale prussiano si attaglia alla situazione attuale. Essa induce a considerare con somma cautela la persistente conflittualità strisciante e a non attribuire alle improvvise esplosioni la caratteristica del temporale estivo, breve, intenso, fulmineo, ma altrettanto velleitario. L'interdipendenza crescente delle aree strategiche, la componente economica sempre più interconnessa, le rivendicazioni spinte a un livello mai raggiunto negli ultimi quarant'anni palesano una stabilità diffusa, impedendo ogni previsione e non escludendo sommatorie potenzialmente dirompenti innescate dalle problematiche regionali sull'orlo del collasso. Più che una conclusione questa deve essere intesa come una serie di interrogativi, l'unico sbocco possibile al termine di un esame sulla prevedibile configurazione dell'Esercito nei prossimi anni, dopo un periodo di transizione alquanto problematico; al tempo stesso può essere considerata una valutazione su quello che non dovrebbe essere l'Esercito. Quale contributo potremo fornire in caso di esigenze di un paese alleato? Quali forze rimarrebbero a presidiare i punti sensibili interni? E se vi fosse la necessità di inviare dei contingenti in più settori fuori area? Le domande si legano direttamente a un'altro interrogativo. Quale sarà l'organizzazione militare della NATO in Europa nei prossimi anni e quale il contributo italiano?

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Sono previste unità di intervento rapido, almeno quattro divisioni, due britanniche e due multinazionali senza reparti americani. Gli Stati Uniti potrebbero costituire una quinta divisione, forte di quindicimila uomini. Le unità di intervento rapido saranno dislocate nell'Europa centrale, nel 1994, periodo in cui - salvo accordi diversi o mutamenti imprevedibili della situazione internazionale, i sovietici ritireranno i 370000 uomini ancora presenti nel territorio dell'ex Germania orientale. Ciascuna unità di pronto intervento avrà una consistenza di 50-70000 uomini e comprenderà forze di Marina, Aviazione ed Esercito. TI comando sarà britannico, un comando responsabile della difesa di tutto il territorio dell'Alleanza. Sono previste anche forze di difesa principale, in caso di conflitto, e unità di rinforzo. Entro il 1995 i contingenti americani, inglesi, tedeschi, belgi, olandesi dislocati nell'Europa centrale dovrebbero essere ridotti dagli attuali 830000 uomini a 650000. Degli attuali 350000 americani ne rimarranno 175000. L'Italia contribuirà alla difesa del territorio NATO con 25000 uomini su 5 Brigate. Faranno parte della forza di reazione rapida della NATO, di prossima costituzione. Nelle intenzioni, il progetto sarebbe il primo passo verso la difesa europea. Le unità di intervento rapido potranno intervenire con o senza l'appoggio americano. La Franc ia non intende aderire, ma è disposta a cooperare, mantenendo le sue forze sotto proprio comando e conservando la forza di dissuasione e quella di azione rapida. La NATO, da parte sua, disporrà del cosiddetto ombrelJo strategico e di sette corpi d'armata nel suo territorio, sei multinazionali e uno tedesco. Quanto precede conferma l'insostituibilità della NATO, l'inesistenza della difesa europea, l'autonomia francese, la presenza di 370000 sovie- · tici nell 'ex DDR, le debolezze del fianco sud (Spagna, Italia, Grecia, Turchia), la necessità assoluta della presenza della Sesta Flotta statunitense nel Mediterraneo, in quanto l'epicentro della sicurezza - come emerge dai disegni elaborati - privilegia come sempre il centro Europa. Anche l'orientamento europeo, dunque, sconsiglia l'indebolimento delle capacità difensive italiane. L'atteggiamento francese potrebbe suggerire qualche soluzione meno approssimativa.

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Tra le varie questioni in gioco c'è quella dell'immagine italiana. Presunzione e provincialismo inducono molti a tenere in minimo conto l'opinione internazionale. I parametri sono ben diversi da quelli usualmente considerati in certi apprezzamenti. La presenza italiana nel Kurdistan, come quella nel Golfo, nel Sinai, nel Libano, ha contribuito in maniera sensibile ad elevare la considerazione dei paesi dell'area e ha indotto molti critici a frenare certi giudizi non proprio lusinghieri.

È questione di politica estera, ma in particolare di politica interna alla CEE. È quello il foro in cui si giocano le partite decisive con ripercussioni anche sulle nuove realtà emergenti nell'Europa orientale e nei Balcani. Il riferimento al fuori area storico, cui è dedicata una apposita_ appendice, diventa quasi obbligato. Sarebbe opportuno imprimere un ritmo diverso alla politica estera. L'Italia sembra essere la più europea delle diplomazie in una società che osserva l'Europa unita con un misto di attesa, diffidenza e un'ombra di sospetto. Anche i militari dovranno cambiare qualcosa nella loro mentalità e nella metodologia. Disciplina, ordine, correttezza non significano pressioni psicologiche, cavillosità, esasperazioni, piccole rivalse, abusi d'autorità. Situazioni e fatti episodici nelle varie caserme, ma indubbiamente nocivi all'immagine, con una capacità di circolazione enorme, quindi a fasi successive, con un impatto incontrollabile sugli individui, sulle famiglie. Le componenti analizzate si combinano, moltiplicano gli effetti e le ripercussioni. A fianco di un problema politico e strategico, tecnico e logistico, tutti tratti di un ·medesimo profilo, si colloca la ricostruzione dell'immagine delle Forze Armate, del loro ruolo. Una questione delicata, che investe tematiche molto più ampie di quanto possa apparire a un primo esame sommario. Non è pensabile arroccarsi nella convinzione secondo cui essendo una necessità - sia pure entro dimensioni contenute la si dovrà subire, pertanto "accontentiamoci di quello che possiamo fare". La questione coinvolge questioni ben oltre la dimensione (argomento importantissimo), i mezzi (servirà una pianificazione chiara e sicura nei finanziamenti), l'ordinamento (anche qui è indispensabile avere chiarezza). Riguarda la qualità degli uomini e la loro preparazione. Ed è la qualità che determina il livelli, l'affidabilità, influendo grandemente

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sull'efficienza. Il ragionamento non può essere limitato alla dimensione e alla formula dell'arruolamento. Un esercito con proiezioni europee e fuori area deve rispondere a requisiti ben precisi e non si può prestare ad accomodamenti d'occasione. L'Esercito - come e forse più delle altre Forze Armate - assume la configurazione di un mezzo rilevante della politica estera, tale essendo anche l'insieme dei rapporti intercomunitari e atlantici. Ed è proprio la nuova "filosofia" NATO e UEO ad attribuire alle Forze Armate questa caratteristica. Diventa pertanto indispensabile una percezione esatta in questo senso da parte del parlamento. Allo stato dello sviluppo europeo, e dei rapporti con le nuove realtà riemergenti dal crollo dell'impero sovietico, delle situazioni scaturenti dalle responsabilità e dagli impegni oltre i tradizionali e ormai superati confini della NATO, risultano mutati anche i parametri sui quali commisurare le iniziative della politica estera. Essa impone un rapido aggiornamento e, nell'insieme della politica nazionale, un adeguamento della mentalità e delle decisioni per evitare un isolamento e una vacatio operativa. Quest'ultima causerebbe una emarginazione e aprirebbe prospettive a quanti aspirano a partecipazione più consistente e remunerativa, non certamente sgradita a molti dei soci fondatori. Le Forze Armate, nella fattispecie l'Esercito, assumono un'importanza rilevante all'interno dei rapporti occidentali in maniera direttamente proporzionale al lievitare della necessità politica di fronteggiare la competizione interna alla CEE. Una motivazione in più per scongiurare uno smantellamento, dei tagli indiscriminati, provvedimenti irrazionali come quelli che si vanno profilando minacciosamente. Il Generale Canino ha dichiarato: "L'equazione propugnata dai non addetti ai lavori, "Esercito più piccolo uguale ad Esercito più efficiente", non ha alcun fondamento se alla riduz.ione delle forze si accompagna una continua, quasi irreversibile, riduzione del bilancio. In queste condizioni, che troppi "pseudo-esperti" sembrano vol~r realizzare, il risultato sarebbe solo uno strumento . piccolo. ed inefficiente. Quindi perfettamente inutile. Vi è un limite- ad ogni · ridimensionamento e, attualmente, la Forza Annata è già stata ridotta ai livelli minimi della credibilità quantitativa, mentre un deciso salto in chiave di efficienza, sia di materiali tecnologicamente più evoluti sia di professionalità del

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personale, quel salto che tutti, almeno sembra, chiedono, è possibile soltanto in presenza di un deciso aumento delle risorse destinate alla difesa. Invece sono in discussione provvedimenti che, se finalizzati, ridurrebbero la nostra Forza Armata ad una evanescenza della quale sarebbe davvero lecito chjedersi l'utilità. Tutto questo mentre si parla di integrazione dei sistemi di sicurezza in Europa, di Corpi d'Armata multinazional i, di una partecipazione più attiva delle nazioni del vecchio continente alla politica di difesa comunitaria. Allora bisogna chiarirsi le idee su quali sono gli obiettivi, sul livello di partecipazione che la Nazione intende perseguire nel disegno degli equilibri e delle relazioni internazionali, perché, a mio avviso, non è realisticamente pensabile che un paese possa partecipare alla realizzazione della "cornice di sicurezza europea", o qualsiasi altro nome essa avrà, in misura percentualmente inferiore al prodotto interno e al potenziale industriale detenuto. Sarebbe come cercare di delegare ad altri gli oneri, per perseguire unicamente i vantaggi. E questa è una politica che ha già evidenziato tutti i suoi limiti. In definitiva, se davvero la Nazione vuole partecipare da protagonista al processo di integrazione, non si può pensare di ridurre Forze terrestri ad una mera presenza simbolica. Pochi uomini, male armati e sempre più lontani dalla realtà sociale della Nazione. Occorre invece tendere ad uno strumento in grado di non sfigurare con i paritetici partners, idoneo a mantenere un livello accettabile di dissuasione e a garantire gli interessi dello Stato in una realtà che vede mutare radicalmente lo stesso concetto di difesa, adesso non più limitato alla protezione dei confini, ma esteso a un sistema globale di sicurezza degli interessi vitali della Nazione". Non stupisce che sia soprattutto il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito ad affrontare argomenti legati non solo al tema difensivo, ma anche ai riflessi sopra indicati e riguardanti l'immagine del paese nel quadro internazionale e segnatamente dell'Europa comunitaria? Quali considerazioni suggerisce nell'opinione pubblica il sostanziale silenzio dei responsabili politici, dei rappresentanti del popolo sovrano alla Camera e al Senato? E come valutare la mancanza di un dibattito qualificato sui mezzi d'informazione? Per raggiungere una condizione accettabile i bilanci ordinari delle Forze Armate dovranno rispondere a requisiti finanziari tali da soddisfare tre specifiche esigenze: le spese vincolate, le spese di funziona-

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mento e quelle di potenziamento. Un concetto al quanto discutibile si basa sulla convinzione che solo le ultime debbano considerarsi produttive in quanto alimentano la ricerca, rilanciano il ciclo produttivo industriale tendendo al raggiungimento della qualità tanto enfatizzata. La qualità, invece, è il prodotto di tutti i fattori. Le spese di esercizio sono finaljzzate all'addestramento, alle esercitazioni, alla logistica, quest'ultima mai sufficientemente sottolineata e da molti considerata un lusso. Per demolire una convinzione così assurda sarebbe sufficiente leggere con un minimo di attenzione un opuscoletto dal titolo "Distruzione di un esercito" edito dagli inglesi nel 1941 e dedicato alla prima offensiva britannica in Africa Settentrionale, (dicembre 1940-febbraio 1941). Trentaseimila inglesi, australiani e indiani sconfissero un esercito di duecentomila italiani catturandone centoventimila. Evidentemente la storia non insegna alcunché: nel 1990, in sede parlamentare, si è scritto un nuovo capitolo della superficialità diminuendo le risorse da destinare alJe spese di esercizio e aumentando quelle di ammodernamento. Queste alchimie da piccolo chimico saranno ancora possibili nell'ambito della difesa coordinata europea? L'Esercito del 2000 potrà disporre - ad esempio - di un sistema di comando, controllo, informazioni e comunicazioni degno di tale nome, o per poterne disporre dovrà ridurre ulteriormente le già limitatissime scorte e l'addestramento al fuoco delle Brigate di pronto intervento? Un buon criterio nell'affrontare una riorganizzazione consiste nell'approfondire l'esame del bilancio a quel momento, un bilancio corredato di tutti gli inventari che al fine consentano l'elaborazione di una situazione economica e di uno stato patrimoniale attendibili. Contrariamente a quanto avviene normalmente in un giallo (e ciò sia detto senza intenti meno che rispettosi a riguardo dell'importanza dell'argomento), la vicenda del nuovo modello di difesa non è dettata esclusivamente dal mutamento degli scenari internazionali recenti; quest'ultimo aspetto si è aggiunto a quanto già era in atto da parecchi anni. Poiché i documenti sono una parte importante della Storia, si ritiene opportuno pubblicarne uno per la parte inerente l'audizione del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Generale Canjno, davanti alla Commissione Difesa della Camera dei Deputati ( l ).

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AUDIZIONE DEL CAPO DI SM DELL'ESERCITO PRESSO LA IV COMMISSIONE DELLA DIFESA DELLA CAMERA DEI DEPUTATI - 19 giugno 1990 -

1. L'Esercito oggi a. Il quadro ordinativo della Forza Armata ha subito nel corso degli ultimi anni frequenti revisioni in chiave riduttiva. Il momento più significativo di tale processo è stata la ristrutturazione del 1975, che - per fronteggiare un'ormai insostenibile carenza di risorse finanziarie e la contemporanea decurtazione di 30.000 soldati della forza bilanciata - si è tradotta nella rinuncia a un terzo delle forze operative, corrispondenti a circa dodici delle attuali Brigate. Altro elemento di novità concomitante, che ha contribuito a conferire al riordinamento del '75 un carattere ancora più radicale, è stato il passaggio della ferma di leva da quindici a dodici mesi e la conseguente necessità di adottare un iter addestrativo più ridotto. b. Poco più di dieci anni dopo, nel 1986, un ulteriore forte calo delJe risorse finanziarie ha indotto il Ministro della Difesa del tempo a disporre una contrazione di forza bilanciata di 17 .000 militari di leva (16.200 dei quali dell'Esercito) da attuare entro il 1989. Il provvedimento è stato reiterato nel 1989 a seguito di una nuova decisione del Parlamento di ridurre altri 20.000 militari di leva di cui 16.000 dell'Esercito. In sintesi, la Forza Annata ha subito negli ultimi quindici anni una riduzione della forza alle armi di circa 65.000 uomini pari al 25% dell'intero strumento "anni '75". L'obiettivo prioritario di questi ultimi ulteriori due provvedimenti è stato quelJo di salvaguardare per quanto possibile le forze operative, incidendo soprattutto sulla organizzazione logistico-territoriale spesso costituita da organismi ridondanti e poco produttivi, solo marginalmente toccata dalla ristrutturazione del '75. Sotto l'aspetto strutturale il processo di riordinamento avviato nel '75 è tuttora in atto, ha già comportato la soppressione di settantasei tra Comandi, Enti e reparti entro il 1989 e programmato la soppressione di

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altri ottantuno Enti tra il 1990 e il 1991 (tra essi meritano particolare menzione: quattro Comandi di Divisione, sedici Comandi o enti retti da Colonnelli, sette Distretti Militari, dodici Consigli di Leva, tre Depositi Munizioni, tre Ospedali Militari e dodici unità operative di livello battaglione/gruppo che si aggiungono alle dodici Brigate del 1975). A conclusione di questa operazione le forze operative che rappresentano il nucleo fondamentale e la stessa ragione d'essere dell'Esercito risultano così articolate: - 25 Brigate pluriarma in vita (5 alpine, 4 corazzate, 8 meccanizzate ed una motorizzata inquadrate nei tre Corpi d'Armata e 4 motorizzate, 2 meccanizzate ed 1 paracadutisti alle dipendenze delle Regioni Militari); - tre Brigate di Mobilitazione; - supporti tattici e logistici, tra cui la Brigata Missili. c. Ritengo opportuno sottolineare che questo lungo processo di ristrutturazione e razionalizzazione, ha potuto conseguire solo in misura trascurabile l'obiettivo di avere meno forze e più qualità, soprattutto per i seguenti motivi fondamentali: - carenza di risorse finanziarie; mancata approvazione del d.d.1. sull'incremento di 7 .000 Sottufficiali; - deludente reclutamento di volontari a ferma prolungata; - generalizzate e forti pressioni socio-politiche che hanno spesso ostacolato o quanto meno dilazionato il drastico programma di riduzione delle aree di supporto e dell'organizzazione logistico-amministrativa, più vincolata al territorio ed alla popolazione. Questa lunga e continua revisione ordinativa ha dato ai Quadri una sensazione di indefinita provvisorietà, danneggiando la stabilità degli assetti (ordinativi, operativi, addestrativi e logistici) ed in ultima analisi l'efficienza complessiva dello strumento stesso. 2. Punti deboli dell'attuale struttura In sostanza, un'analisi realistica della situazione consente di individuare i seguenti punti deboli nell'attuale struttura dell'Esercito: - Il morale dei Quadri che viene continuamente insidiato dal disinteresse diffuso per i propri problemi sia generali sia particolari che attengono ai bisogni essenziali. I pochi provvedimenti legislativi che vengo-

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no approvati, peraltro, arrivano quasi sempre a rimorchio di quelli già adottati per il personale civile; - il problema della leva caratterizzato da spinte rivolte costantemente a ridurre drasticamente la forza da incorporare; - il problema dei volontari che attiene sia al loro deludente reclutamento sia alla loro modesta qualità; - l'obiezione di coscienza in rapido aumento a seguito della nota sentenza della Corte Costituzionale; - la progressiva perdita del potere di acquisto e la costante diminuzione delle risorse finanziarie che hanno avuto ed avranno, soprattutto in futuro, una diretta incidenza sull'ammodernamento, sul rinnovamento e sul potenziamento sia delle infrastrutture (in rapido decadimento) sia su programmi che, necessariamente, saranno sempre più dilazionati nel tempo o cancellati, con conseguenti negativi riflessi sulla "attualità" dei sistemi d'arma che verranno introdotti in servizio. Mi preme, a tal riguardo, sottolineare che la direttiva del Ministero del Tesoro, che impone una disponibilità di risorse per il 1991 uguale a quella dell'assestato 1990, avrà gravi incidenze negative sulla efficienza e sulla capacità operativa dell'Esercito. Infatti, il bilancio della Difesa è costituito, per oltre tre quarti, da spese relative al personale e al funzionamento che, per loro natura, sono ad un tempo, incomprimibili ed inevitabilmente soggette agli effetti di crescita dovuti all'inflazione. Da ciò consegue una scontata, pesante erosione dell'unica vera area discrezionale che è quella dei programmi di Ammodernamento e Rinnovamento. Questa nuova critica situazione imporrà, come già accennato, la slittamento di programmi già operanti e l'annullamento di altri prioritari, già approvati dalle Commissioni Parlamentari, con gravissimi riflessi anche di carattere industriale. Appare opportuno, in proposito, precisare che il processo di Riordinamento allo studio non potrà produrre immediate economie di risorse, almeno per i prossimi tre anni, a causa dei necessari finanziamenti per il riadattamento delle caserme, per le spese di trasferimento del personale, per il condizionamento dei materiali da accantonare, ecc. In sostanza, il 1991 vedrà le disponibilità finanziarie per l'Ammodernamento ed il Rinnovamento ridursi del 20% circa rispetto a quelle del 1990.

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3. Vincoli e condizionamenti sulla impostazione della futura sbUttura Ciò premesso e prima di illustrare i criteri posti a base della nuova risbUtturazione dell'Esercito degli anni '90 desidero porre l'accento sui vincoli ed i condizionamenti che sarà necessario tenere ben presenti per non vanificare ancora una volta l'occasione che ci viene offerta per ridare credibilità alla F.A. nella sfida che ci attende in campo internazionale e nazionale: - la situazione internazionale in rapida evoluzione evidenzia, infatti, la crescente attenuazione della minaccia ed il conseguente ragionevole aumento dei tempi di preavviso di un eventuale attacco; fa ritenere inoltre molto attendibile una riduzione degli isbUmenti militari in tempi brevi a conclusione dei negoziati CEE in atto a Vienna; - la situazione nazionale, sia politica sia sociale, postula o quanto meno auspica: la riduzione della forza di leva alle anni, una maggiore distribuzione delle unità su tutto il territorio nazionale, il conseguente aumento della regionalizzazione del servizio di leva stesso e l'istituzione del servizio sostitutivo civile; - la concentrazione militare tra i Paesi della NATO si è tradotta nell'approvazione da parte del Comitato Militare di un documento che stabilisce i criteri cui dovranno rispondere i nuovi strumenti militari dei singoli Paesi. Tali criteri prevedono; • l'applicazione dei principi della risposta flessibile e della difesa avanzata che rimangono pienamente validi; • un'efficienza operativa bilanciata e credibile i cui cardini dovranno essere la mobilità, il Comando e Controllo e la flessibilità tattica e logistica; • una politica dei materiali tesa a conseguire in futuro un adeguato standard tecnologico; • equilibri tra "testa" (Organizzazione Centrale) e "corpo" e, nell'ambito del corpo tra le sue componenti addestrativa, logistica, territoriale ed operativa; • modifica dell'attuale rapporto tra forze attive e quelle della riserva (aumentando il numero di queste ultime), prevedendo provvedimenti migliorativi nei sistemi di mobilitazione nazionale. 4. Criteri posti a base del Riordinamento Tenuto conto di tutto ciò, lo Stato Maggiore dell'Esercito ha studiato un'ipotesi di riduzione della F.A. del 25%, interessando i settori della

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LRM, della linea di Comando, della Organizzazione scolastico-addestrativa, dell'Organizzazione Logistica e, infine delle forze Operative. Tale ipotesi, che verrà sottoposta all'approvazione dell'autorità politica, è basata sui seguenti criteri: - intervento prioritario in senso riduttivo sull'area logistico-territoriale mediante lo snellimento delle strutture e l'eliminazione degli organi ridondanti ed improduttivi; - ricerca di una migliore proporzione tra forze operative e forze in riserva, incrementando il numero di queste ultime e migliorando globalmente l'attuale sistema di mobilitazione in termini di procedure, infrastrutture, mezzi, materiali e tempi di approntamento; - mantenimento in vita di un numero di Grandi Unità elementari (Brigate), commisurato alle esigenze di una ragionevole sufficienza difensiva e ad un livello di prontezza/efficienza operativa differenziata in funzione dei compiti e delle aree in cui sono destinate ad operare; - incremento del tasso di regionalizzazione della leva, riducendo la presenza militare al Nord e avendo una progressiva ridislocazione della unità su tutto il territorio nazionale; - decongestionamento delle infrastrutture sovraffollate e di quelle con particolari situazioni ambientai i; - mantenimento degli immobili di più recente costruzione e con migliori capacità ricettive; - riduzione equilibrata tra tutte le Armi e Specialità, salvaguardando, per quanto possibile, quelle tradizionalmente più legate al Paese; - accentramento, nel settore della LRM, delle funzioni tecniche e, per contro, decentramento di quelle spiccatamente sociali allo scopo di eliminare le ridondanze esistenti e ottimizzare la funzionalità delle strutture; - realizzazione dell'unkità di Comando per area di investimento delle forze, ponendo le stesse sotto la giurisdizione dei Comandi che già assolvono compiutamente le funzioni operative e logistico-amministrative (Cdi RM). 5. Prevedibili dimensioni del nuovo strumento terrestre a. Nel rispetto dei suddetti vincoli e criteri, l'attuazione pratica del riordinamento dell'Esercito richiederà circa tre anni. Se, pertanto, l'ap-

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provazione del Governo e del Parlamento avverrà entro il 1990, l'Esercito nel 1994 potrebbe avere la seguente configurazione: - strumento operativo su 22 Brigate, di cui 19 in vita anziché 26 (una paracadutisti, sette meccanizzate, tre corazzate, quattro alpine e quattro motorizzate) e tre di mobilitazione; tali Brigate avranno una fisionomia diversificata in funzione dei compiti e dell'area in cui sono destinate ad operare; - area territoriale: ripartita su sette Regioni Militari che avranno alle dipendenze le unità operative e logistiche che insistono nel territorio di giurisdizione; - area scolastico-addestrativa: contratta da trenta a circa venti Scuole salvaguardando, soprattutto sotto il profilo qualitativo, gli Istituti di formazione dei Quadri in servizio permanente e ridimensionando le altre Scuole; - area logistico-amministrativa: organizzazione più snella e funzionale, basata sul massimo ricorso all'informatizzazione e strettamente · commisurata alle esigenze di supporto del personale, dei mezzi e dei materiali. In particolare, l'organizzazione sanitaria militare sul territorio nazionale privilegerà le attività medico legali rivolte ai giovani di leva, in stretta correlazione con gli organi della leva, mentre per le attività di ricovero e cura comprenderà uno o due Ospedali Militari per Regione Militare, alcuni dei quali saranno dotati di elevate capacità specialistiche. Per il supporto logistico dei mezzi e dei materiali, l'alimentazione di tutti gli Enti e Reparti stanziati nei bacini regionali, come pure l'attività di riparazione, saranno assicurate a "giro d'orizzonte" da organi specifici, riuniti in una o due sedi e ammodernati nel settore infrastrutturale e delle apparecchiature; - area della LRM: incentrata su 55 Distretti Militari, 22 Consigli di leva e 22 Uffici di Leva. Il nuovo modello organizzativo; già approvato dal Ministro della Difesa, prevederà la soppressione di 7 Distretti Militari, 10 Consigli di Leva e 33 Uffici di Leva, esuberanti rispetto all'attuale configurazione strutturale del settore. b. Tale riordinamento: - si inquadra armonicamente nel contesto delle riduzioni prevedibili per l'Italia a seguito dei negoziati CEE, ma, occorre dirlo chiaramente, è stato determinato soprattutto dalla carenza sempre più cronica di adeguate disponibilità finanziarie;

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- recepisce nella misura massima possibile le esigenze della sicurezza nazionale (anche se ai limiti della sufficienza difensiva) e le istanze politiche e sociali, con particolare riferimento alla distribuzione delle unità su tutto il territorio nazionale (ottenuta prevalentemente "alleggerendo" la presenza militare al Nord) ed al conseguente aumento del tasso di regionalizzazione del servizio di leva; - è flessibile in quanto consente, con semplici misure tecniche, di adeguare lo strumento alle decisioni assunte nell'ambito dei negoziati di Vienna e delle future misure di sicurezza reciproche in ambito europeo; - comporta, comunque, come già detto, costi di trasformazione che non consentiranno inizialmente e per almeno tre anni di riutilizzare i risparmi a favore dell'ammodernamento dello strumento residuo. 6. Conclusione In conclusione,siamo tutti convinti di dover ridimensionare, con ragionevole prudenza e con accorta pianificazione, l'Esercito attuale allo scopo di realizzare nel corso degli anni '90 un nuovo Esercito, più ridotto in termini quantitativi ma più efficiente. Ma occorre sempre tenere ben presente che l'efficienza deriva da Quadri molto preparati e ben motivati, da soldati (volontari o no) consapevoli e convinti di svolgere un servizio utile al Paese ed alla Società di cui sono l'espressione più genuina, da Comandi "sburocratizzati" ed in grado di esercitare in qualsiasi situazione una attività di comando e controllo tempestiva e calibrata alle esigenze, da unità operative prontamente impiegabili in compiti ed opzioni diversificate, da organi logistici, snelli, funzionali e strettamente commisurati ai compiti da assolvere. Il timore che nascondiamo è che le risorse messe a disposizione della Difesa anche con un Esercito sensibiJmente ridimensionato non consentano di migliorarne il livello attuale. È questo un rischio ed una condizione che bisogna valutare attentamente per evitare che i sacrifici che ci accingiamo a sostenere non vadano completamente dispersi. Si afferma da più parti che il concetto al quale bisogna uniformarsi sia quello della difesa coordinata e integrata NATO e che tale criterio dovrà essere applicato anche nella dimensione europea, la quale, tuttavia, non si discosta da quella NATO se non per certe prerogative, alcune competenze

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e per il rateo di responsabilità. Se ha funzionato sino ad oggi perché non dovrebbe funzionare nel futuro? In linea di principio il ragionamento non fa una grinza, ma è in termini concreti che non si rivela corretto. La prima obiezione riguarda il livello dei sistemi d'arma, l'organizzazione logistica, quella tecnologica, la limitatezza dell'integrazione interforze. La seconda riguarda l'addestramento, fatte salve alcune eccezioni ben note. La terza si riferisce aUe motivazioni del paese e alla loro pesante influenza. La quarta riguarda la mentalità in generale, l'orientamento ad accettare una linea di politica estera che implichi come naturale e non discutibile ogni volta, la partecipazione ad operazioni fuori area e, conseguentemente un atteggiamento simile a quello francese e inglese per citare due paesi europei considerati paritetici, ma che in effetti non lo sono per quanto detto precedentemente circa la loro abitudine a fare politica estera in un certo modo e anche per quanto attiene al prestigio internazionale. · L'ammodernamento delle Forze Annate e, per stare nel tema, dell'Esercito in particolare, è questione urgente, ma prioritariamente sarà necessario riconsiderare la finalità di tale operazione e convincersi che l'Esercito, come le Forze armate nel loro complesso di organizzazione difensiva, sono un mezzo e non un fine. Vi è anche chi si dice convinto che per svolgere un determinato ruolo politico non servano le forze armate. Da quanto si è verificato negli ultimi anni si direbbe il contrario a meno che non si vogJia scegliere la via di una neutralità sul tipo svedese, ammesso che ciò sia possibiJe e accettato dagli attuali alleati e non. Ciò implicherebbe non solo la revisione profondissima di una serie di trattati internazionali e di accordi economici, ma anche una radicale virata in termini psicologici, la cui port<!ta difficilmente si potrebbe prevedere. Tuttavia una scelta del genere sarebbe più funzionale a certa mentalità e più limpida rispetto ai vincoli che da troppi anni si impongono allo strumento militare nella sua esigenza di adeguamento sotto i punti di vista elencati. Un altro problema da risolvere è quello del livello di priorità attribuito ·all'Esercito non nei rapporti con le altre Forze Armate, questione deprimente, ma nel quadro della politica nazionale. Tenuto conto che anche una scelta di neutralità imporrebbe la disponibilità di una difesa (del tipo svizzero?) si precisa di aver voluto soltanto sfiorare la questione per non escludere dal ventaglio delle ipo-

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tesi anche quella più vicina a certi orientamenti politici. Una scelta a mezza strada comporterebbe dei rischi notevoli non tanto in termini di sicurezza, quanto di reazioni politiche nella CEE e nell'alleanza Atlantica. È vero che anche gli altri riducono le forze, ma da un livello qualitativo globale considerevolmente più elevato e non certo con le motivazioni nostrane. È altrettanto vero che l'integrazione difensiva è sostanzialmente accolta favorevolmente e, nel caso francese, si è disposti a cooperare, ma quale incidenza potrebbe avere nelle valutazioni politiche e tecniche il nostro Esercito considerate le riserve già rimarcate per quanto attiene al debito pubblico, allo scarso livello dei servizi e, diciamolo pure, alla diffidenza di non pochi partners europei nelle capacità dello Stato italiano di portarsi al livello medio europeo in tanti settori, non escluso quello militare? Tutto ciò escludendo la necessità di avere comunque una difesa e senza dimenticare la posizione geostrategica e le implicazioni mediterranee. Il nuovo modello di difesa inciderà profondamente su tanti aspetti e coinvolgerà molteplici riflessi. Risulta difficilmente comprensibile l'apprezzamento secondo cui contrazioni cosl marcate dovrebbero permetterci di vedere aumentare il peso specifico italfano in campo internazionale. L'errore consiste nell'osservare e nel trarre conclusioni orientando le valutazioni all'interno. Un esercito non si improvvisa, una Brigata non nasce dall'oggi al domani, ha bisogno di costruire nel tempo la sua identità, il suo spirito di corpo, la sua motivazione ideale, il suo slancio e le convinzione di fare parte di una realtà che travalichi i confini dell'Esercito per assumere la configurazione di uno strumento integrato nella Nazione. Quello che si intende fare, al di là di ognj altra considerazione, è fare terra bruciata di una realtà che ha le sue radici nella storia per sostituirla con una orgaruzzazione che consenta di far fronte, con l'onere finanziario minimo possibile, agli impegni internazionali che non si possono disattendere essendo troppo alto il costo da accollarsi. L'Esercito, come le altre Forze Armate, non può essere barattato. Il nuovo modello di difesa rischia di diventare l'epitaffio dell'Esercito, della sicurezza, della credibilità. Nel preventivo questa eventualità è stata sufficientemente considerata? Si è tenuto conto del contraccolpo complessivo della nuova concezione della difesa quale traspare dalle iniziative in elaborazione da

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parte della NATO e della CEE e della impreparazione della pubblica opinione oppure si conta sulla consuetudine, cioè l'accettazione di ogni decisione imposta dall'alto con la riserva di trovare scappatoie? Durante la guerra fredda ci si affidava alla potenza americana e, in un clima di tensione più o meno avvertita, la contrapposizione con il Patto di Varsavia, in effetti con l'Unione Sovietica, era caratterizzata da una corrente di collaborazione, sia pure in presenza delle divergenze tradizionali all'interno dello schieramento occidentale. Ciò nondimeno in Italia si è andata accentuando proprio in quegli anni la combinazione di tre fattori negativi: obiezione di coscienza, riduzione progressiva delle risorse da destinare alla difesa, orientamento neutralista. Ora, con l'impero sovietico in frantumi e la stessa Unione Sovietica in disgregazione, il concetto di difesa europea quale capacità polarizzante potrà avere nelle varie Nazioni? Si mette in discussione l'Esercito e ciò che esso rappresenta e si chiede ai giovani di indossare l'uniforme per difendere una entità astratta, senza fisionomia, senza identità, l'Europa. Manca qualcosa, manca il movente ideale o pratico che esso sia, manca o si vuole annullare la simbiosi tra l'individuo e le sue radici, un compromesso che sconcerta perché al di là del progetto si vede il vuoto delle motivazioni non percepite (paradossalmente si potrebbe giungere a proporre l'arruolamento degli extracomunitari, una specie tutta particolare di mercenari, per cui l'incentivo economico probabilmente si attesterebbe su cifre meno elevate). Indubbiamente sono i primi passi verso un obiettivo razionale, tuttavia il procedimento ha sottovalutato alcuni passaggi chiave. Oltre le contraddizioni indicate in precedenza, è quanto mai carente la piattaforma sui cui edificare la nuova mentalità che sembra volersi costruire. È più realistica la posizione francese, ha più senso la concezione NATO, ha maggiore funzionalità la difesa nazionale integrata in uno schema di alleanza. E tale in effetti sarà, mancando la fusione culturale e sociale, mancando una lingua comune, essendo ancora lontana una standardizzazione tra i vari eserciti, non essendo stata affrontata una campagna informativa e propositiva europea per illustrare l'argomento, per presentarlo al pubblico, per motivare le ragioni, la necessità, la logica dell'iniziativa. In pratica si è ignorato il consenso. Quali interessi in comune abbiano un giovane siciliano e uno norvegese bisogna

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farlo comprendere ai giovani stessi e non incapsulare il problema in argomentazioni teoriche e nel linguaggio degli addetti ai lavori. Una persuasione in tal senso richiede tempo, pazienza e un lavoro in profondità. Soprattutto un processo di integrazione che richiede anni. Ecco perché si afferma che quale possa essere la formula della difesa europea, essa per moltissimo tempo rimarrà ancorata ai criteri che sono stati posti alla base della NATO. Dunque che si vuole scoprire di nuovo? Una maggiore integrazione dei comandi, un sostanziale affrancamento dall'ipoteca e dalla potestà americana? E perché affidare il comando supremo europeo ai britannici? In questo progetto non vi è forse una surrogazione? Tutto ciò contribuisce a sconsigliare la rinuncia ad un proprio esercito opportunamente dimensionato, come pure ad optare per una sostanziale delega della propria sicurezza. Una soluzione più equilibrata potrebbe prevedere il mantenimento di una forza terrestre più consistente di quelJa prevista dalla bozza del nuovo modello di difesa (ci si riferisce a quella di pronto intervento) anche per avere un maggior peso nelle nuove configurazioni europee e in queste ultime pretendere un ruolo di maggior responsabilità. (O è proprio questo che non si vuole?). In caso contrario si potrebbe adombrare l'ipotesi di una rinuncia parziale alla propria sovranità, e questo sembra essere il nocciolo nascosto del problema. Vi sono alcuni sintomi precisi: iJ Trattato di Vienna (non a caso si è parlato di neo-restaurazione) prevede per l'Italia una linea di 1348 carri armati contro il livello attuale di 1912 (prescindendo da ogni considerazione sulle qualità tecnologiche e sulle capacità operative dei mezzi attualmente schierati). Ebbene, il nuovo modello di difesa, come già indicato, prevede 700 carri armati. Ciò significa un taglio del 50 per cento della forza corazzata rispetto a quanto fissato dal trattato e dalle intese interne NATO. Considerato che non tutti i carri armati sono disponibili contemporaneamente a causa di manutenzioni, revisioni, riparazioni, etc., si deduce che si potranno avere non più di 4-500 carri armati di pronto impiego per i quattro scacchieri in cui operativamente si suddivide l'Italia a causa della sua conformazione geografica e per le questioni dei movimenti legati alla viabilità, stradale e ferroviaria e ai tra-

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sporti marittimi e aerei: padano, peninsulare, insulare tirrenico, insulare del Canale di Sicilia-Africa. L'Italia si porrà, quindi, di propria volontà, se il progetto di contrazione verrà attuato, in uno stato di sudditanza nei confronti dei partners europei. I limiti assegnati dal Trattato di Vienna prevedono: 1328 carri armati alla Francia, 4166 alla Germania, 1735 alla Grecia, 2795 alla Turchia, 895 alla Gran Bretagna. E non vi sono notizie di riduzioni autonome nella misura di quelle prospettate in Italia. Di proposito si erano trascurati i paesi alleati tradizionalmente considerati minori per superficie e popolazione, ma ci si i:ende conto di aver commesso un gravissimo errore. L'Olanda avrà una linea carri formata da 743 mezzi. Si aggiunga che l'ammodernamento dell'esercito italiano è tutto da realizzare e che ancora deve essere elaborato il disegno di legge relativo al finanziamento straordinario, quantizzato in sede di ipotesi preventiva, in 30-40000 mmardi in dieci anni, al valore 1991. Con il tasso di inflazione attuale (oltre il 6 per cento) e considerando stanziamenti fissi di. 4000 miliardi all'anno dal momento del via al programma, si avrà un aumento in termini monetari del 6 per cento composto suscettibile di ulteriori incrementi per fronteggiare la lievitazione dei costi industriali. Tra i paesi europei cosiddetti paritetici, l'Italia è quello con l'esercito meno attrezzato e meno efficiente. Il contrappeso politico è rappresentato da una maggiore dipendenza difensiva nell'ambito NATO e pertanto anche in quello strettamente europeo. Con quali conseguenze è facile intuire. La politica della lesina ha dato i suoi frutti. Risulta sempre più necessario e urgente un esercito credibile e ciò come è stato ampiamente sottolineato - comporta risorse proporzionali. Altrimenti l'Italia diverrà un paese a sovranità limitata. Con tutti i requisiti dei nobili decaduti. Senza quello essenziale: la dignità.

(1) Atti parlamentari - X Legislatura - Camera dei Deputati - Indagini conoscitive e documentazioni legislative. Seduta del 19 Giugno 1990.

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DOCUMENTAZIONE

Per una emergenza nazionale servono centomila uomini operativi. Un esercito di leva per consentire una tale forza deve avere trecentomila uomini alle armi e non sono disponibili. Serve allora il ricorso alla mobilitazione e al riaddestramento. Per avere centomila volontari operativi servono prima di tutto i volontari e poi una ferma lunghissima. Più è corta là ferma più aumenta il fabbisogno di volontari da reclutare e ciò comporta dei vincoli sociali. Supponendo una ferma di tre anni per i volontari, è necessario un anno di addestramento, dovendo trasformadi in combattenti polivalenti. Gli altri due anni permetteranno di avere a disposizione dei professionisti costantemente sottoposti ad esercitazioni. In tempo di pace una Brigata (circa 3500 uomini il livello più basso di organico) gravita su caserme e sul territorio e deve proteggere i depositi di munizioni. nel caso di una Brigata di professionisti, o sarà necessario un supporto per i servizi e la logistica (militari· di leva) oppure se dovranno essere impiegati professionisti anche per tali compiti, si vedrà ridotta considerevolmente la forza di pronto impiego. In una caserma a liveHo di Battaglione giornalmente 120 uomini sono impiegati nei servizi; una Brigata occupa dieci caserme e quindi 1200 uomini saranno indisponibili. In un esercito di leva, con scaglioni ogni tre mesi, gli addestramenti sono organizzati per cicli. Ne consegue che è disponibile, già addestrato, non più di un terzo degli effettivi di una Brigata e non può esistere una Brigata che possa esprimere un Battaglione organico operativo. Ciò dipende dall'alimentazione della leva, che si verifica nove volte all'anno. Contemporaneamente alle armi non c'è mai più di un terzo di militari addestrati. Quello dell'alimentazione è un problema che riguarda anche i soldati professionisti. In caso di guerra, una volta esauriti, non c'è ricambio perché in caso di conflitto non ci sono volontari, il passato lo insegna. Scatterebbe la coscrizione obbligatoria, ma poiché una cosa e la difesa del territorio nazionale e un'altra è la difesa degli interessi

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fuori area, entra in gioco il consenso nazionale per la causa. Tutto ciò comporta una conseguenza immediata: in presenza di un processo di rinnovamento sia pure ancora in elaborazione non è prudente sciogliere altre grandi unità oltre le sei già disciolte (Trieste, Vittorio Veneto, Orobica, Mameli, Aquileia, Goito e Brescia - mentre la Brigata Aquileia è stata trasformata in Reggimento), prima di costituire la forza di pronto impiego formata da professionisti. Con cinque Brigate di pronto impiego e dieci di secondo tempo si vuole attuare un esercito di mobilitazione, che non ha precedenti brillanti nel nostro paese. Le prime esperienze risalgono alle guerre di indipendenza e non furono positive. Il voler affiancare ai professionisti un esercito su chiamata, come previsto dalla bozza del nuovo modello di difesa, rappresenta un rischio. La mobilitazione dovrebbe garantire, in situazione di emergenza, la formazione di grandi unità di pronto impiego. Non si vede come sia possibile ridurre drasticamente l'Esercito e nello stesso tempo assicurare la prontezza operativa che non scaturisce da un'addestramento di poche settimane tenuto conto dei dati prima indicati relativamente alle Brigate. Altro aspetto da considerare, la trasformazione in grandi unità, di pronto impiego operativo, dì strutture non predisposte in tal senso, ma legate al richiamo degli effettivi, alla rimessa in moto di tutto l'apparato condizionato dalla logistica, frenato dallo scarso addestramento. Il sistema di comando e controllo e l'apparato logistico dovranno pertanto essere funzionati sin dal tempo di pace, ammesso che le decisioni politiche siano in grado di assicurare una mobilitazione in tempi tali da consentire alle grandi unità di mobilitazione di entrare in azione. Ciò che appare alquanto improbabile. Tra le riserve si evidenziano la mancanza di affiatamento, di amalgama, di abitudine all'operatività sotto la pressione degli avvenimenti. Le esperienze del passato indicano, inoltre, il permanere di una certa mentalità non propriamente funzionale agli effetti dell'efficienza e dell'efficacia. Ci si riferisce ad una testimonianza diretta di quanto accadde nel 1848: appare utile non fosse altro che per cogliere delle sfumature, una continuità nel modo di pensare e anche di agire, il riproporsi - in dimensioni naturalmente ben più complesse - di problematiche concernenti l'efficacia della sicurezza già allora avvertite. In un proclama in data 23 marzo 1848 firmato dal Comitato di guerra di Milano, appare la dicitura Esercito Italiano. In tale documento si parla di mobilità, precisione, di

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armamento imperfetto, della necessità di trovare cavalli per creare reparti di "artiglieria volante". Ma, forse, la parte di maggior interesse della testimonianza (1) riguarda il morale e i retroscena di quel periodo bellico contro l'Austria, che all'epoca aveva uno degli eserciti più agguerriti e organizzati d'Europa. Scrive il memorialista: "Erano già trascorse sei settimane da che si combatteva, e la Lombardia al campo non era rappresentata che da poco più di 4.000 uomini, un numero vergognosamente ristretto, mentre immenso era stato l'ardore ed il bisogno, e mentre quasi tutta la gioventù d'Italia abbandonando famiglia, licei ed università in massa si recava sul suolo lombardo-veneto a versare il proprio sangue, e propugnare la santa causa. Molti patrioti che avevano senno non si ristavano dal presentare al pubblico mediante ben ragionati articoli una tale ruinosa mancanza ed allora il Ministero della guerra rivolgevasi a tutti i Comitati di guerra invitandoli a provvedere all'armamento generale dello Stato nel modo il più sollecito, ma le misure successive non corrisposero allo scopo. L'entusiasmo però in parte era cessato ed i lombardi paralizzati dalle fiacche governative disposizioni non rispondevano a seconda del bisogno. Solo più tardi, quando il crescente ingrossar dell'esercito imperiale che invadeva il Veneto, costringeva alla capitolazione di Udine e Treviso, bombardava e occupava Vicenza, acquistava Padova, e crescendo il pericolo per la imposta inazione dell'esercito romano, pel richiamo dei napoletani, per la vergognosa diserzione di Pio IX, e la fortuna della causa dell'indipendenza declinava, il governo lombardo imponeva la coscrizione. Né la formazione dell'esercito offriva più rassicuranti speranze; il grado di ufficiale era ambito da una numerosa tonna di importuni, la quale ogni giorno e con indiscreta insistenza si presentava al Ministero di guerra sollecitandone la nomina. Il ministro invece di allontanare tutto quello sciame di postulanti con una sola disposizione, la quale indicasse a tutti, che il grado d'ufficiale si doveva guadagnare davanti al nemico coi meriti, col coraggio e con la condotta integerrima, con inconsiderata prodigalità ne distribuiva i brevetti. Chi più sapeva annoiare, od aveva più potenti raccomandazioni era meglio retribuito, senza che per nulla venissero ponderati i suoi meriti antecedenti, e senza stabilire che il vero merito non offende mai il limite della discrezione e della servilità. In questo (I) Caloandro Baroni · I Lombardi nelle guerre italiane· 1848 · 49.

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modo i volontari, i quali dalle cinque giornate erano al campo a prodigare il loro sangue, e progredivano nella vita ed istruzione del soldato in mezzo alle abnegazioni e alle privazioni, si trovarono affatto dimenticati. Molti di loro anzi, che coprivano il grado d'ufficiale, per la riduzione dei corpi a forma regolare, invece di essere ricompensati dei servigi prestati, immeritevolmente furono degradati, e posposti a tanti altri i quali non avevano fatto che schiamazzare nei caffè e sulle piazze. Altri volontari che avevano abbandonati i loro corpi stanchi, annoiati della vita del soldato, a Milano vennero nominati ufficiali; molti altri esclusi dai corpi per la poco soddisfacente loro condotta, più tardi vestirono la stessa assisa. Io potrei citare molte circostanze nelle quali, sergenti, caporali che furono lasciati ai depositi per malattia, e per la poca confidenza che godevano, e che più tardi furono elevati al grado di tenenti o capitani, e potrei citarne molti che avanzavano in grado i primieri loro comandanti. I diritti del merito e dell'anzianità furono e devono sempre essere conservati in ogni armata, sia regolare sia irregolare; questi diritti furono rispettati, sanzionati, imposti da tutti i migliori organizzatori di eserciti che la storia ci abbia tramandato. Guai a coloro che si allontanarono dagli stessi. Quando i gradi vengono carpiti, e distribuiti non al merito ed a principi da legge e dal tempo rispettati, è impossibile che in tale corpo vi regni l'armonia, lo spirito di corpo, la disciplina, il reciproco rispetto, ed ove ciò manchi invece di essere un'armata non sarà che un'accozzaglia di uomini, i quali possono essere dalle passioni e dai partiti trascinati tanto ad azioni generose, quanto ai più deplorabili avvenimenti. Mentre però la Lombardia sonnecchiava sull'abisso che attendeva d'inghiottirla, l'Austria, benché commossa e vacillante in tutti i suoi Stati, agitata da tante fazioni, non si ristava dal fare ogni sacrificio per la riconquista e la conservazione dei suoi possedimenti d'Italia. Il ministero imperiale accondiscendendo a tutti i desideri degli studenti viennesi, adescando con promesse e concessioni l'Ungheria, non aveva che una sola cura, quella di poter rinforzare d'uomini e di denaro l'armata d'Italia. Seminava abili diplomatici presso le varie corti di Germania, affinché l'Alemagna tutta entrasse in questo pensiero,e la sua politica fu vinta nel Consiglio dei cinquanta a Francoforte, il quale denegava all'Italia ed ai suoi 26 milioni d'abitanti il diritto di costituirsi in una nazione indipendente ( ...) E tutto questo flagello minacciava il Lombardo-Veneto mentre le sue città inermi e sconsiderate disputavano della fonna di libertà che non avevano ancora ottenuta".

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Sono trascorsi centocinquant'anni, ma i problemi della difesa sembrano risentire dei medesimi influssi negativi. Il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Generale Canino, nella sua intensa attività concettuale in ordine al nuovo modello di difesa, propone spunti di riflessione e discussione che, senza alcuna forzatura, hanno alcune connessioni con le argomentazioni della testimonianza citata. Queste le valutazioni del generale Canino sullo svilupparsi del dibattito sul nuovo modello di difesa. "Finalmente il problema della difesa italiana non viene relegato all'alternativa "leva sì leva no", ma viene trattato in prospettive giustamente più ampie. Tuttavia, ho intravisto una tendenza a minimizzare alcuni aspetti del problema o a citare la posizione assunta dall'Esercito in termini non del tutto precisi. Il mio intervento è dunque volto a sottolineare alcuni parametri che ritengo importanti e a chiarire ulteriormente il pensiero dello Stato Maggiore dell'Esercito. LA POSIZIONE DELL'ESERCITO Innanzitutto una precisazione sulla "paternità" delle posizioni. Il pensiero in vari modi espresso da me è la risultante delle idee, delle analisi, dell'esperienza mia personale e di tutto il mio Stato Maggiore. È quindi il pensiero della maggioranza dei Quadri portanti dell'Esercito, ma non necessariamente di tutti i Quadri. Grazie a Dio non c'è nella mia Forza Armata l'uniformità coatta del pensiero e non sarò certo io ad alimentarla. Se però io non posso esprimere un pensiero "ufficiale", nessun altro può essere autorizzato a ritenersi depositario della dottrina o a comportarsi come se lo fosse. Diffidate perciò delle imitazioni. ALTERNATIVA VOLONTARI O LEVA

È un falso problema e dunque una falsa alternativa. Non ho alcuna preclusione per un sistema o per l'altro, né per quello misto che peraltro proprio io ho proposto. Ho invece una fortissima preclusione mentale a passare ad un volontariato totale o a rinunciarvi a priori senza avere verificato reali possibilità e fattibilità. La premessa di questa verifica stà nelJa creazione delle condizioni normative prima, sociali poi, e infine retributive per reclutare dei volontari seri. Queste condizionj sono un impegno politico preciso e fino a quando non saranno definite mi opporrò a qualsiasi svendita alJ'incanto dell'Esercito e, di conseguenza, di tutte le Forze Armate.

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SISTEMA MISTO Nel mio ormai citatissimo studio "Esercito e Volontari", pur non avendo la pretesa di esaurire l'argomento o sancire dogmi, ho indicato una possibile soluzione qualitativa: il mantenimento della leva come forza dedicata alla difesa nazionale, e la costituzione di una componente volontaria/professionale per interventi operativi rapidi sul territorio nazionale o in ambito internazionale. Fa senz'altro piacere che questa soluzione sia poi stata condivisa da altri studiosi e rappresentanti politici. Non vi nascondo che averla vista ripresa dal Presidente del Consiglio nelle sue indicazioni programmatiche per il nuovo Governo è stato motivo di ulteriore intima soddisfazione. Ma vorrei qui richiamare la filosofia che sta dietro la proposta. Vale a dire la "ratio" per la quale da strenuo assertore dell'esercito interamente di leva, come ebbi a dire al CASO nel giugno 1990, mi ~ono convinto a vedere con favore tale formula. Soprattutto è la "ratio" della saggezza. La proposta è saggia non perché timjda o timorosa del nuovo. Non è un arroccamento su posizioni 1915-18. È saggia perché aperta. Non tende a creare un sistema chiuso, non tende a favorire un "non ritorno" bensì ad instaurare un sistema totalmente innovativo ma anche totalmente aderente alla realtà attuale ed a quella prevedibile nel prossimo futuro. Una realtà fatta di incertezza, insicurezza, instabilità. Una realtà che richiede un sistema difensivo flessibile. E la flessibilità è anche citata dall'indagine della Commissione Difesa come esigenza di adeguarsi a "repentine variazioni quantitative". Il sistema è aperto perché consente di: - gestire la transizione senza traumi e con gradualità; - verificare la fattibilità delle soluzioni per tappe successive; - costituire banco di prova della Nazione, sottoposta a oneri maggiori e diversi dal passato, della classe politica, che dovrà determinare le condizioni di base, e della struttura militare stessa, che dovrà dimostrarsi idonea all'integrazione internazionale. È una soluzione anche coraggiosa perché presuppone da parte dei responsabili militari e politici l'adozione di misure impopolari, non facilmente strumentabili né in una campagna elettorale né in una spasmodica ricerca del consenso.

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IL VOLONTARIATO Quando si parla di volontariato non si esplicita chiaramente cosa si pretende da un volontario. La guerra nel Golfo ha drammaticamente messo in evidenza che anche "obtorto collo" le nazionj possono essere chiamate a fornire reparti in armi per azioni multinazionali. Non aderire o aderire in maniera non adeguata è penalizzante. L'aliquota di volontari che si vede ora necessaria serve quasi esclusivamente a questo: a disporre di una componente "spendibile". Questa aliquota deve essere volontaria sia per motivi tecnici, perché deve essere certamente addestrata e affidabile, sia per motivi etici. O meglio, per sopperire ad una carenza etica. Il popolo italiano, così come quello di alcune altre nazioni, non è sufficientemente maturo per ritenere di difendere gli interessi della propria Patria oltre i confini territoriali. Dai nostri volontari si pretende quindi di essere un'avanguardia sociale per assolvere compiti che allo stato attuale non si ritiene possano essere affidati ad un soldato di leva. Se la "spendibilità" e la motivazione etica mi possono trovare d'accordo non ritengo invece condivisibile che al volontario si chieda di fare da alibi al tentativo di soppressione della leva come sistema sociale prima che come obbligo militare. Spero soltanto che questo, quando dovranno essere discusse le leggi e le condizioni da offrire ai volontari, sia tenuto presente.

POLIZIA INTERNAZIONALE Vi dirò che il termine non mi piace, ma lo trovo etimologicamente e sematicamente perfettamente rispondente all'attività che individua. La differenza tra attività di questo genere e la guerra sta esattamente nelle proporzioni e nelle motivazioni degli antagonisti. Se un'azione è del tipo "guardie e ladri" si può chiamare di polizia internazionale altrimenti è guerra. Tra guardie e ladri c'è un duplice rapporto: di diritto, in quanto i primi sono nella legalità e i secondi no, e di fatto, in quanto esiste un squilibrio macroscopico tra la potenza della Guardia e quella del ladro. Anche in campo internazionale se non si verifica l'esistenza del duplice rapporto si ha solo guerra. Cosa intendo sottolineare con questa differenza?

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Che per azioni di polizia internazionale saranno sempre necessari agglomerati di potenza internazionale di proporzioni enormi. Quindi o si instaura un ordine internazionale di cooperazione tale da coagulare la volontà della maggioranza delle nazioni e queste nazioni sono disposte a dedicare notevoli risorse agli istrumenti militari, oppure saranno più frequenti e possibili vere e proprie guerre. Ancora un elemento di riflessione: nella polizia internazionale si può ipotizzare la ripartizione dei compiti; nella guerra no. Se l'Italia riesce ad integrarsi in un ordine sovranazionale legittimo, legale e giusto potrà partecipare con una quota che qualitivamente potrà essere anche dedicata; ma se quest'ordine fallisce, o ritarda a mobilitarsi in emergenza, allora non c'è altro mezzo per un paese che vuole affermarsi di dotarsi di F.A. quantitativamente credibili e qualitivamente equilibrate. LA LEVA La leva si basa sull'obbligatorietà di un serv.1z1.0 allo Stato. L'obbligo è accettabile se equo. Se l'obbligo costituzionale rimane e se nessuna Costituente ne rivede l'opportunità occorre perseguire la giustizia sociale dell'equa ripartizione. Per me equità significa soltanto che a fianco del sistema obbligatorio militare deve esistere un sistema altrettanto obbligatorio e seriamente organizzato di servizio civile. Lo SME ha completato uno studio approfondendo questo argomento. È un contributo di pensiero e d'indagine che sarà messo a disposizione degli Organi istituzionali interessati. Desidero anticipare però un criterio. Finora l'iniquità è stata gratuita per lo Stato, hanno pagato solo i cittadini. Con il servizio sostitutivo nazionale civile si dovrebbe tendere almeno a far pagare il giusto prezzo dell'equità o a premiare i soggetti all'iniquità.

DURATA DELLA FERMA Si sentono le voci più disparate sulla durata della ferma. Da 18 a 3 mesi tutti i numeri sono buoni Riaffermo che non è vero. Esiste un limite ben preciso della durata della ferma: è quello stesso che separa un soldato da un operatore. Si può fare un operatore militare anche in tre mesi, ma per fare un soldato ce ne vogliono per lo meno 12.

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Per soldato intendo un uomo tecnkamente in grado di impiegare le proprie armi, di pensare alla propria sopravvivenza, di pensare alla sopravvivenza della propria unità, di capire cosa succede introno a lui, di eseguire gli ordini con intelligenza, di agire d'iniziativa se necessario, dj saper rinunciare al piccolo interesse individuale per quello della comunità piccola o grande nella quale si trova. per fare un uomo del genere sfido chiunque a metterci meno di un anno, anche nelle migliori condizioni infrastrutturali e addestrative. E non mi si dica che con i richiami periodici si può garantire tutto questo. Con i richiami si possono solo verificare le procedure e le tecniche operative. Il soldato o si è fatto prima o no si.fa più. Dove il sistema dei richiami sembra funzionare, e dico "sembra", è perché diverse sono le condizioni sociali. Il volontario della guardia Nazionale, o il richiamato della Milizia, è già soldato in una società di militari travestiti da borghesi.

I QUADRI Due riflessioni sui Quadri. Una struttura potrà ampliarsi e contrarsi a piacimento. 1A Riflessione: quindi più si vuole la struttura flessibile e maggiore deve essere la consistenza qualitativa e quantitativa dei Quadri. 2" Riflessione: quindi per addestrare i Quadri ci vogliono le unità, non le scatole vuote. Per dare prestigio professionale ai Quadri ci vogliono delle unità che abbiano compiti e prospettive di alto valore operativo. MOBILITAZIONE E MILIZIA Su questi argomenti si cita frequentemente il modello svizzero. Ho già avuto modo di dire che quello della Confederazione Elvetica è un modello "assolto per insufficienza di prove". Non è mai stato sottoposto alla verifica operativa delJa realtà. Ma anche in questa ottica della formula dubitativa sono fermamente convinto che il popolo svizzero in emergenza saprebbe farlo funzionare a dovere. La mia perplessità viene dall'applicabilità di un tale modello all'Italia. E per manifestare l'entità di questi dubbi indicherò soltanto alcuni punti sensibili che gli stessi dirigenti svizzeri avvertono nel loro sistema.

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12 Il numero: oggi sono vincolati alle armi 750.000 uomini vale a dire 5 volte l'Esercito Italiano. L'equità è garantita ad un prezzo sociale e amministrativo enorme. 2 2 Tempi di mobilitazione lunghissimi. Mai fatta una mobilitazione generale dal 45 ad oggi. 32 Distanze. Ogni unità mobilita uomini nel raggio di 100 km. 42 Oneri amministrativi. Ogni comune ha un ufficio dedicato esclusivamente alla mobilitazione. Se si hanno frequenti cambi d'indirizzo il sistema va in crisi. 52 Non si parla neanche di interventi fuori dai confini. Anche gli svizzeri cominciano a pensare a una FIR. 62 Per ottenere un buon risultato sono necessario i frequenti richiami. 72 È necessaria un'organizzazione permanente di civili per mantenere le infrastrutture, i parchi e le strutture logistiche. 82 Il rapporto con le ditte o con gli enti d'impiego è fondamentale per essere sicuri di avere gli uomini necessari ad ogni richiamo e no inflazionare, con le più varie motivazioni, gli esoneri, peraltro già frequenti. 92 La gerarchia militare è il riflesso di quella civile. Un direttore di Banca è anche Cte di battaglione e i suoi Capi Ufficio sono suoi subalterni. 102 La difesa della Svizzera prevede la minaccia da nord, la cessione di quasi tutto il territorio, l'arroccamento sul ridotto alpino interamente fortificato e le operazioni di resistenza nel territorio occupato. Lascio a ciascuno le valutazioni sulla traslaz ione di un sistema così concepito al territorio e al popolo italiano". La configurazione dell'Esercito, come quella delle altre Forze Armate, deve essere commisurata agli impegni assunti nell'alleanza e all'entità della minaccia. In merito alla minaccia, il Generale Canino osserva: "Non mi sento di concordare sull'impostazione che è stata data alla valutazione della minaccia, la cui approfondita e precisa elaborazione costituisce la premessa indispensabile di qualsiasi scelta; essa, quindi, non può ammettere il semplic ismo e, mi sia consentito, per alcuni versi, la superficialità insita nel sillogismo: è svanita la minaccia da Nord-est; è nata la minaccia da Sud.

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È un problema ben più complesso sul quale, nell'ambito della Forza Armata, è stata avviata un'attenta analisi presso la Scuola di Guerra (massimo organo di espressione del pensiero militare dell'Esercito). In tale sede è emerso che possono essere individuati due tipi di minaccia: una permanente, che viene sempre e comunque a Nord-Est, certo affievolita, perché dilatata nel tempo e nello spazio, ma anche aggravata, e non intendo esagerarla, dalla turbolenza nei Balcani; l'altra, a mio parere non ancora analizzata nel dettaglio, proveniente da Sud. Nell'ambito della NATO stessa, la componente della minaccia incidente sulla soglia di Gorizia sta per essere rivalutata. Si tratta ovviamente di ìpotesì di minore intensità rispetto al passato, ma questo non giustifica la fretta nelle valutazioni. Al contrario, proprio perché non c'è una minaccia immanente, proprio perché viviamo ìn periodo di assenza, almeno apparente, del nemico, non c'è alcuna necessità né dì formulare valutazioni che possano rivelarsi inadeguate né, tantomeno, dì far discendere da queste delle ipotesi di riorganizzazione. Non è infatti possibile impostare un modello di difesa nuovo ed aderente alle esigenze, se non alla luce di tutte le variabili. Per quanto riguarda la cosiddetta minaccia da Sud, ritengo che faccia parte integrante del sillogismo al quale ho già accennato: sparita la minaccia alla frontiera Nord-Orientale c'è una minaccia del Mediterraneo. Sinceramente, penso sia più attendibile un'altra valutazione. Di fatto esiste un grosso fattore di rischio che ha come baricentro il Mediterraneo. Non è una vera minaccia, ma piuttosto un rischio "criminal-sociologico" caratterizzato da grande turbolenza. Nel suo ambito si possono manifestare delle situazioni di crisi tali da imporre di difendere la Patria al di fuori dei confini geografici, anche con interventi armati aereo-navali a salvaguardia dell'interesse generale, come nel caso del Golfo Persico. È però evidente che se dovesse verificarsi una violazione al diritto internazionale in Sudan o nello Zambia, l'eventuale missione ONU non potrebbe certo essere affidata a forze esclusivamente aereo-navali. In definitiva, per fronteggiare la minaccia da sud - la quale, benché non elevata ed imminente, può assumere molteplici e diversificate tipologie - occorre senza dubbio prevedere la possibilità di impiegare, a seconda dei casi, la Marina, come in questo momento, o l'Esercito, ovvero ambedue, e comunque l'Aviazione per il supporto diretto di tra-

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sporto e di appoggio aereo. Quindi, anche nei confronti della minaccia da sud è necessario un equilibrio delle tre Forze Annate. Le nuove valutazioni sulla minaccia incideranno, ovviamente, sulla formulazione del modello di difesa, sul quale si innesta poi concretamente il problema del bilancio e della ripartizione delle risorse tra le F.A. Il discorso della ripartizione è un venticello che parte da lontano e parte sempre da quella idea dominante della valutazione della minaccia verso la quale molti stanno diventando acquiescenti. Prima di tutto, però, è necessario che siano verificate le reali esigenze e soltanto dopo si può pervenire a delle soluzioni, che ciascuno deve essere pronto ad accettare e sposare purché scaturiscano da un esame serio e completo. Tutti auspichiamo uno strumento militare più agibile, più moderno, dotato di mezzi efficaci; ma tutti sappiamo che questo strumento non è concretamente attuabile né con la riduzione delle attuali risorse né con il loro spostamento da un settore all'altro. D'altra parte, dopo 40 anni di sforzi per ottenere degli strumenti efficienti, o parzialmente efficienti, ci troviamo oggi con dei gusci sostanzialmente non troppo pieni, se non vuoti, e quindi estremamente carenti. Se ora si riducono le unità e pariteticamente sì riducono le risorse, né la Marina, né l'Aeronautica, né tantomeno l'Esercito potranno raggiungere quelJ'obiettivo - che, apparentemente, tutti perseguiamo, politici e militari - di uno strumento più ridotto ma efficiente. Ebbene, proprio la filosofia delle riduzioni e degli spostamenti delle risorse è stata introdotta e applicata integralmente nel bilancio '91. Le conseguenze sono ovvie e l'Aeronautica, trovatasi in difficoltà con il programma EFA (che, a mio avviso, va portato avanti come ho avuto modo di dichiarare in seno al Comitato dei Capi di Stato Maggiore) ha ottenuto i 530 miliardi necessari alla quota di Ricerca e Sviluppo con i fondi sottratti a molti capitoli dell'esercizio. Si tratta di un grosso sacrificio che consente, però, soltanto una momentanea operazione di sopravvivenza per restare nel programma. L'aver recuperato con questi sistemi 530 miliardi, che possono essere considerati una somma irriJevante rispetto ai costi generali, è un segnale molto grave per l'Esercito, anche perché si tende a collegare automaticamente il recupero delle risorse con la riduzione del personale alle armi. Correremo il rischio cioè di avere un Esercito fatto di Stati

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Maggiori e di addetti militari. Ne deriverebbe un Esercito impegnato in riunioni, conferenze, senza problemi di addestramento e preoccupazioni di soldati alle dipendenze. Ma non è questo il modello di Forza Armata che andiamo perseguendo; così come non ritengo fattibile ridurre il periodo di leva a 4 mesi ed avere un Esercito soltanto di milizia, magari affiancato da una componente volontaria. Vi sono molte perplessità su questo tema, che scaturiscono da considerazioni sociali e politico-militari. Ma io desidero mettere ora in evidenza soltanto un aspetto prettamente tecnico: quello relativo all'addestramento ed alla qualificazione dei Quadri. Con un sistema simile ed una ferma ridotta a pochi mesi, esclusivamente addestrativa, alle Brigate si affiderebbero i compiti di reclutare i soldati, comunque essi siano, di inquadrarli, insegnare loro il saluto militare ed esercitarli a sparare due colpi con il fucile o con la pistola e quindi rimandarli a casa. Una scelta che non risolve, anzi evita, il problema di chi possa impiegare e mantenere mezzi sempre più complessi e sempre più sofisticati. E poi i Quadri, che dovrebbero essere i Comandanti in operazione del domani, che tipo di qualificazione possono ottenere addestrando per tutta la vita a livello elementare? E inoltre, quale grado di addestramento viene garantito al cittadino che in emergenza dovrebbe essere impiegata in operazioni? Tutto questo fa sorgere e legittima il sospetto che, al momento, si pensi di risolvere tutti i problemi nazionali e internazionali riducendo la leva e sciogliendo Unità dell'Esercito. A questo punto è lecito il dubbio che il bilancio 1991, più che rispecchiare esigenze di funzionalità ed efficienza, segua altri criteri, che nulla hanno a che vedere con il modello di difesa. In tal quadro, non mi sembra che possano essere messe assolutamente in discussione le sacrosante esigenze deU'Aeronautica di ammodernarsi (anch'io ho votato a favore dell'ECR), ma mi si deve concedere il diritto di oppormi in qualità di Capo di Stato Maggiore dell'Esercito se, per salvaguardare un programma dell'Aeronautica in fase ancora di RS, si deve, "ipso fatto", sciogliere altre 4 Brigate oltre alle sei Brigate già sciolte. Non basta pensare all'immediato, perché se in futuro si dovesse ricostituire qualche Unità, come sarebbe possibile reperire Quadri e

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strutture? Il problema non si può risolvere, se si punta al conseguimento della qualità, senza delle leggi speciali. Magari con le riduzioni quantitative un certo recupero si realizza, ma per raggiungere la qualità, a cui bisogna tendere oltre il 2000, non sono certamente sufficienti i 24.000 miliardi che vengono ora stanziati per la difesa e che, realizzate tutte le economie possibili, lasciano disponibili poco più di 10.000 miliardi per tutte le Forze Armate e per l'area tecnico-amministrativa. In sostanza, sono convinto che tutte e tre le Forze Armate versino in una situazione precaria e che i problemi, specialmente in tema di ammodernamento, non siano risolvibili con la riduzione delle risorse e con gli spostamenti da un settore all'altro del bilancio. Ritengo invece indispensabili tre cose. La prima è che sul modello di difesa si impegnino non soltanto gli addetti ai lavori, cioè noi stessi e i parlamentari delle Commissioni Difesa, ma tutte le forze politiche. I massimi esponenti si debbono fare carico di questo problema, che è un altro dei mega problemi della nostra nazione in questo momento, come quello della droga e della criminalità organizzata. È un problema che per quarant'anni è rimasto "ingessato" nell'ambito NATO e che, per dirla con una battuta feroce di un noto giornalista, la nostra politica della difesa aveva risolto con la massima: "tengo un alleato". Oggi, forse, come qualcuno dice, non abbiamo più un alleato, ma non è più nemmeno chiaro il nemico e quindi dobbiamo veramente effettuare un esame globale e completo. Il problema non è p~ù statico, è diventato dinamico e, se non si solleciterà l'attenzione politica e sociale, vi saranno soluzioni improprie che rischiano di consegnare ai posteri un inutile orpello anziché una struttura militare. Come ho già detto, secondo me, sul problema del nuovo modello di difesa è necessario il coinvolgimento di tutte le forze politiche. Il Parlamento nel suo complesso se ne deve fare carico anche con il rischio di allungare i tempi della soluzione. La seconda cosa è, appunto, evitare la fretta. Se non c'è nemico, abbiamo tutto il tempo per un esame serio. Non si tratta di tattica dilatoria o di emulare il disinteresse di anni, ma è opportuno disporre di tutto il tempo necessario per affrontare il problema con profondità e serietà, coinvolgendo politici, tecnici, militari nelle sedi istituzionali e al di fuori di esse.

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La terza cosa, l'ultimo concetto fondamentale, è che a nulla servirebbero gli sforzi di tutti quelli che, comunque, concorreranno a definire un modello valido, o ragionevolmente valido alla luce di tanti condizionamenti, se poi non si forniscono le risorse finanziarie necessarie per portarlo a termine. In particolare, per ammodernare si dovrebbe ricorrere a leggi speciali che prevedano quote opportunamente differenziate di risorse, tenuto conto dei diversi oneri in relazione al costo dei vari programmi. E questo, avendo in mente anche la tematica dell'industria che a tali leggi sarebbe altrettanto interessata per impostare una programmazione seria degli investimenti e della produzione. Se invece, si pensa di insistere con i tagli, sia di risorse sia di forze, non ci sarà speranza alcuna di risolvere i problemi di qualità dell'Esercito, della Marina e dell'Aeronautica. Se la strada è quella delle retribuzioni, lo strumento che lasceremo ai posteri sarà non solo più ridotto di quello attuale ma, qualitativamente, di gran lunga peggiore". Non è possibile sottovalutare il peso e il ruolo della NATO. L'opzione europea non tiene conto sufficientemente della posizione francese e di quella tedesca. Senza Francia e Germania quale difesa integrata sarebbe possibile realizzare? E quale standarizzazione di mezzi, considerata la rigida posizione francese, e in parte anche tedesca, circa l'acquisizione dei mezzi e dei sistemi, addirittura nel caso francese ancorata ad una concezione che sconfina nel protezionismo più ortodosso della "dottrina" nazionale? Inoltre quale funzionalità potrebbe avere una difesa integrata in mancanza di una politica estera unica? Come coordinare una difesa dipendente da un concerto di voci politiche spesso e volentieri non in sintonia tra di esse? Si va configurando una schermaglia, se non proprio un conflitto, tra quanti, in Europa, sono favorevolj al mantenimento della NATO quale punto di riferimento indiscutibile della sicurezza e quanti, invece, propendono più o meno apertamente, per la soluzione europea, con una forma, se non proprio una sostanza, meno vincolata al polo nord-americano. In proposito questo il pensiero del Generale Canino: "Tutti abbiamo creduto nell'Europa ed io continuo a considerarmi suo fervente

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sostenitore. Tuttavia, nonostante alcuni progressi, vediamo che essa stenta a decollare, specialmente nel campo economico, in q uello monetario e ancora di più nel campo della difesa. Come negli anni di gioventù ho partecipato con passione all'ipotesi della comunità Europea di Difesa, oggi ritengo che la sicurezza europea non sia ottenibile senza una politica di difesa comunitaria inquadrata nell'AJleanza Atlantica che, per oltre 40 anni, ha rappresentato la reale organizzazione a difesa dei valori della cultura occidentale. Pretendere di abbandonare l'Alleanza per costruire un polo tutto europeo significa, a mio avviso, "gettare alle ortiche" una esperienza positiva che può invece costituire fondamento per qualsiasi organizzazione d'integrazione futura. A questa mia convinta espressione di fede nell'Europa unita e nella difesa comune sento il dovere di aggiungere tre annotazioni. La prima è sostanzialmente un invito alla prudenza. All 'idea della difesa comune vedo da qualche tempo affiancarsi tesi diverse, tentativi di "decoupling"; vedo talvolta prevalere tesi viziate da visioni ristrette e parziali. Anche nelle sedi tecnico-militari europee, non c'è una grande v·ocazione all'integrazione. La stessa NATO sta attraversando un momento di riassestamento molto delicato ed i tentativi di farne un polo prettamente politico forse sono dettati da una implicita rinuncia al tradizionale ruolo militare. La difesa europea non è dunque una esigenza saldamente radicata: va per molti versi ripensata ed il lavoro che ci attende è enorme. La seconda annotazione è di natura interna. La difesa europea rischia di diventare comodo alibi per evitare di assumere responsabilità e impegni di difesa in proprio. Con la scusa di una presumibile integrazione i problemi impellenti e gravi della difesa nazionale possono essere sottovalutati o rinviati a " tempi migliori". in questo modo, anziché fungere da catalizzatore di energie e da incentivo, la difesa europea costituirebbe elemento disgregante e ritardatore della difesa nazionale. E qui si inserisce la terza annotazione: difesa comune non può significare minori impegni. Partecipare ad una alleanza da paese sovrano, a parità di diritti, vuol dire accollarsi responsabilità e contributi in uomini e risorse proporzionali al ruolo politico che si intende assumere ed alla potenza economica espressa.

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I1 tentativo di ricorrere di nuovo all'ombrello protettivo di qualche altra nazione non può funzionare. La filosofia che Giorgio Bocca ha efficacemente sintetizzato nella frase "tengo un alleato", e che ha caratterizzato la nostra politica militare degli ultimi 40 anni, non può essere più valida. Se questa posizione è stata tollerata, per reciproca scelta e convenienza, quando la sicurezza comune dipendeva quasi esclusivamente dalla deterrenza nucleare mantenuta saldamente n mano USA, in regime esclusivamente convenzionale e con interlocutori europei non potrà più essere sostenuta. Difesa europea, integrazione militare, compartecipazione multinazionale, riconoscimento di fori sovranazionali: tutto ciò significherà la disponibilità a dividere con altri paesi chiarezza politica e pesanti oneri, in risorse umane e materiali. Se non vogliamo rischiare un disarmo di fatto dietro l'alibi della difesa comune, la logica del contributo italiano all'Europa in costruzione deve basarsi sulla obiettiva potenzialità del nostro paese e sulla dignità con la quale intendiamo occupare il posto che ci compete nel consesso internazionale". La sicurezza ha molti aspetti e alcuni non vengono considerati sufficientemente. Le diverse connotazioni dei conflitti e le ramificazioni della minaccia comportano impegni di controllo e protezione ad ampio raggio, come durante il conflitto del Golfo. La percezione esatta dell'impegno richiesto e dell'entità delle forze necessarie risulta quanto mai utile per un apprezzamento globale dei compiti attribuiti all'Esercito e, quindi, dell'esigenza di una forza armata commisurata agli stessi. Non può essere accettata la tesi secondo cui le emergenze non sono di tutti giorni e pertanto non si può tenere in vita un esercito come se le crisi fossero costantemente dietro l'angolo. Il documento che segue è il resoconto dell'audizione del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito davanti alla Commissione difesa della Camera dei deputati e concernente l'attività svolta dall'Esercito per la protezione dei unti sensibili sul territorio nazionale, durante la guerra nel Golfo. "Durante tale crisi e fino al termine del conflitto la forza armata ha fornito a più riprese mezzi e materiali per soddisfare le esigenze

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prospettate dal Ministero degli affari esteri e dai paesi alleati. Gli aspetti più significativi di tale intervento hanno riguardato: la cessione di oltre 900 maschere anti-NBC e di 400 indumenti protettivi per la sicurezza del personale (e relativi familiari) delle ambasciate nell'area del Golfo; la consegna agli Stati Unti di 60 trattori per il trasporto di veicoli cingolati; la consegna alla Turchia di un limitato numero di sistemi contraerei Stinger. La forza armata, in particolare nel quadro dei compiti sanciti dalla legge n. 382 del 1978, recante norme di principio sulla disciplina militare ed attinenti ai concorsi per la salvaguardia delle libere istituzioni, partecipa dal 15 gennaio 1991 , unitamente alle forze dell'ordine, all'attività di protezione di obiettivi civili di primaria importanza su tutto il territorio nazionale, in relazione a detta situazione di crisi. L'impegno dell'esercito per la protezione di obiettivi civili, che si aggiunge a quello connesso con la difesa delle strutture militari, è stato assolto con massima reattività e in ristretti limiti di tempo (circa 24 ore per la fase organizzativa e 3 ore per occupare, dal momento dell'ordine esecutivo, gli obiettivi assegnati dal Ministero dell'interno). Per questa esigenza, nel periodo dal 15 gennaio ai primi giorni di febbraio 1991 , sono stati impiegati 2.600 ufficiali, 2.900 sottufficiali e 40.500 militari di leva, di cui 700 volontari in ferma prolungata, per un totale di 46 mila uomini di cui 36 mila per la protezione di obiettivi civili di primaria importanza, inclusi il personale di supporto e le riserve operative settoriali, 10 mila per l'incremento della difesa delle infrastrutture NATO e deil'aeronautica militare, utilizzando circa 3 mila mezzi ruotati e cingolati. Complessivamente, nel periodo in esame, la forza armata, oltre a circa 750 strutture militari, ha presidiato altrettanti obiettivi civili, la cui tipologia si configura prevalentemente in aeroporti, centrali idroelettriche, depositi di carbolubrificanti, centri di telecomunicazioni , di rilevante interesse nazionale. Tale impegno, riferito ai militari di leva, ha costituito il limite massimo fronteggiabile, tenuto conto che l'esigenza di 40.500 uomini di truppa di fatto si è raddoppiata 1n considerazione dei necessari avvicendamenti. Si è trattato, quindi, di circa 80.000 uomini, che rappresentano il 96 per cento dei militari di leva disponibili per l'impiego operativo, su un totale di 180 mila unità (inclusi le reclute ed il personale per i servizi di caserma).

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Tutto ciò nel quadro generale di una situazione che prevedeva, nell'immediato, il congelamento di uno scaglione e, nel breve termine, l'attuazione dei provvedimenti di riordinamento riduttivo della forza di leva incorporata (meno 25 mila unità). La realizzazione della particolare struttura di sorveglianza, tenuto conto delle peculiari esigenze prospettate dalle prefetture e della distribuzione delle unità sul territorio, ha comportato movimenti perequativi delle forze, pari a circa 4.200 uomini che dal settore nord-orientale dell'Italia hanno dovuto essere trasferiti in Lombardia (300 unità), nella regione tosco-emiliana (1.700 unità), nel Meridione ed in Sicilia (2.200 unità). In sostanza, le unità del quinto corpo d'armata hanno rinforzato i presidi di Parma, Reggio Emilia e Bologna in Emilia Romagna; di Pisa, Lucca, Siena, Grosseto, Massa e Livorno in Toscana; di Mantova in Lombardia; di Palermo, Trapani, Catania, Siracusa e Ragusa in Sicilia. Le unità del quarto corpo d'armata alpino sono state impiegate in rinforzo ai presidi di Lecce e di Brindisi in Puglia, nonché di Salerno e di Benevento in Campania. I movimenti hanno avuto luogo per via ordinaria nelle località più vicine, con l'utilizzazione di 20 autocolonne e per ferrovia verso le zone d'impiego più lontane, con l'ausilio di 9 convogli. In considerazione della particolare sensibilità di taluni obiettivi presidiati da personale della forza armata, un'aliquota di militari preposti al servizio, pari a circa il 10 per cento della forza, è stata dotata, in aggiunta al normale equipaggiamento, di giubbotti antiproiettile. A partire dalla prima decade del febbraio 1991, allo scopo di continuare a garantire nel tempo la vigilanza in atto, nonostante il calo di forza connesso con tale congelamento e le problematiche correlate con il riordinamento della forza armata, di concerto con il Ministero dell'interno, si è proceduto ad una razionalizzazione del dispositivo che ha consentito di ridurre di 7 mila unità circa il numero dei militari impegnati (29 mila a fronte degli oltre 36 mila iniziali). Allo stato attuale, in relazione agli interventi della forza armata per la ricezione dei profughi albanesi, sulla base di specifici accordi con detto dicastero, sono state disimpegnate dal servizio ulteriori 3.500 unità. ne consegue che il concorso dell'esercito alla protezione degli obiettivi civili di primaria importanza è oggi ancora dell'ordine dei

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25.500 militari, circa 3.500 dei quali impegnati per I supporto logistico e 15 mila per il servizio di vigilanza effettivo. In merito alle modalità di attuazione del servizio, devo dire che la protezione di installazioni civili configura un compito per le forze annate, sia pure a titolo di concorso, molto delicato, in quanto pone il personale di leva - addestrato essenzialmente all'assolvimento di funzioni di sorveglianza nell'ambito delle strutture militari e senza lo status giuridico proprio delle forze dell'ordine - a diretto contatto con la popolazione civile, nell'espletamento di un incarico del tutto particolare. In tale contesto, sulla base delle procedure in vigore, il concorso della forza annata viene chiesto dal ministro dell'interno e disposto da quello della difesa. In sostanza, all'autorità di pubblica sicurezza cui è affidata la responsabilità dell'ordine pubblico compete l'emanazione di direttive generali, che vengono integrate con elementi di dettaglio lungo la catena discendente, in relazione alle particolari situazioni locali. Sulla base delle citate direttive, il comandante della regione militare stabilisce le modalità più idonee per l'assolvimento del compito. Al riguardo, è da rilevare che le unità militari, alle esclusive e dirette dipendenze dei propri comandanti di reparto, sono state impiegate, salvo casi eccezionali, in modo autonomo e non misto con reparti delle forze dell'ordine, tenuto conto delle loro peculiarità addestrative e di impiego. In tale quadro, ha assunto particolare importanza definire, d'intesa con le autorità civili, la priorità e la tipologia degli obiettivi, devolvendo alla forza armata quelli cbe meglio si attagliano ai criteri operativi ed addestrativi dello strumento militare (vale a dire punti di capitale impo rtanza, quali edific i pubblici, centri di comunicazione, nodi stradali e ferroviari, eccetera) e assegnando invece alle forze dell'ordine la difesa dei punti sensibil i più a contatto con la realtà sociale del paese (quali, per esempio, le ambasciate). Occorre sottolineare che il compito viene assolto secondo i criteri e i vincoli d'impiego in vigore nell'ambito della forza armata. In particolare, la vigilanza è svolta in condizioni di massima sicurezza, prevedendo pres.idi organizzati in analogia con quanto avviene nelle infrastrutture militari (ripari di circostanza con sacchetti a terra, installazione di apposita segnaletica, eccetera). Eventuali operazioni di pattugliamento sono effettuate, ove possibile, con veicoli protetti.

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Qualora no sia possibile delimitare l'area da sorvegliare, il personale militare svolge solo attività infonnativa, con esclusione degli atti aventi carattere di polizia giudiziaria o di repressione. Gli avvicendamenti del personale avvengono dopo un periodo di 15 giorni per quello che si trova neJJe zone più vicine alle rispettive sedi stanziali, e di circa 20-25 giorni per quello dislocato nelle sedi più lontane. All'atto dell'avvicendamento dei reparti è prevista la concessione di permessi e di licenze brevi, non fruite durante il servizio di vigilanza, fermo restando che nel corso di tale servizio vengono comunque concesse licenze brevi per casi di particolare urgenza e necessità, la cui durata varia in funzione sia dei motivi sia della distanza della zona d'impiego. Circa i rapporti con le forze di polizia, aspetto che ritengo di particolare importanza, debbo rilevare che gli aspetti normativi che regolano il concorso in questione (di cui alla circolare n. 400, avente ad oggetto l'impiego delle forze armate nei servizi di ordine pubblico) hanno costituito oggetto di particolare approfondimento tra Ministeri dell'interno e della difesa, a livello centrale e periferico, al fine di ottimizzare l'impiego quantitativo e qualitativo delle risorse disponibili ed assicurare la piena integrazione ed il necessario coordinamento degli sforzi dei due dicasteri. In tale contesto è subito iniziata, ed è costantemente in atto, un'intensa azione congiunta per conseguire una sempre più accentuata efficienza. La complessità dell'operazione, l'urgenza di attuare in tempi molto ristretti il dispositivo e la diversità delle procedure d'impiego del personale dei due dicasteri interessati hanno richiesto, come ho detto, una particolare azione di coordinamento con il Ministero dell'interno, le prefetture e le forze dell'ordine, sviluppata attraverso reiterati contatti ai vari livelli, specie nella fase di avvio dell'attività. Ciò anche nella considerazione che il tipo di concorso più volte fornito dalla forza armata al Ministero dell'interno in occasione delle varie consultazioni elettorali (personale impiegato «a spizzico» presso i vari seggi) ha indotto ad una non sempre corretta valutazione delle connotazioni del servizio di vigilanza sugli obiettivi civili, totalmente differenti da quelle attuate nelle succitate precedenti circostanze. Ne sono scaturiti un costante affinamento ed una continua razionalizzazione del dispositivo, per una sempre più precisa definizio-

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ne della tipologia e della priorità degli obiettivi ai fini dell'impiego appropriato delle unità militari secondo i criteri addestrativi ed operativi tipici della forza armata. per altro, queste inevitabili, limitate esigenze di chiarezza non hanno inciso sulJ'efficacia del servizio fin dall'inizio dell'attività, come dimostrato dal fatto che, con un preavviso di circa tre ore, tutti gli obiettivi sul territorio nazionale sono stati presidiati nei tempi previsti. Detta efficacia, inoltre, risulta evidente ove si consideri che, finora, sono stati sventati 17 tentativi di intrusione su tutto il territorio nazionale. Per quanto riguarda i riflessi dell'impegno nel campo addestrativo, il dispositivo realizzato risale alla responsabilità dei comandanti di regione militare, che hanno attuato un'organizzazione di comando capillare avvalendosi della catena territoriale. La delicatezza del compito, il rilevante numero di obiettivi da presidiare, spesso in condizioni di isolamento, e l'urgenza posta nell'attuazione del concorso in esame hanno comportato la necessità di fare ricorso in modo consistente al personale di più alto livello addestrativo, bloccando (si tratta di un dato importante) ogni altra specifica attività istituzionale dell'esercito (tra cui le esercitazioni al fuoco e le scuole di tiro), nonché di intensificare previo adeguamento dei programmi le attività istituzionali dell'esercito (tra cui le esercitazioni al fuoco e le scuole di tiro), nonché di intensificare previo adeguamento dei programmi le attività addestrative degli scaglioni più giovani, garantendo comunque l'effettuazione delle lezioni di tiro previste per l'impiego delle armi individuali (circa 200 colpi ciascuno). In particolare, tenuto conto che circa 1'80 per cento degli obiettivi presenta caratteristiche analoghe a quelle delle strutture militari e quindi non comporta alcun problema per la vigilanza secondo i criteri e le procedure d'impiego propri della forza armata, è stato necessario, per il restante 20 per cento, adottare taluni adeguamenti (addestramento specifico presso gli obiettivi da vigilare, intese con le forze dell'ordine a livello periferico e così via), per garantire comunque uno standard addestrativo sufficiente. Inoltre, si può osservare che l'uso prolungato delle armi, la disponibilità di munizionamento da guerra e le precise disposizione per il loro impiego hanno accentuato la connotazione del ruolo di soldato.

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L'addestramento ricevuto si è dimostrato adeguato ai compiti comunque assegnati, mentre il contatto con la cittadinanza ha sviluppato nei giovani di leva il rispetto, oltre che per il proprio ruolo, anche per ciò che in questo momento ciascuno di essi rappresenta. Il servizio di vigilanza è preso molto sul serio e l'aggravio conseguente è ben sostenuto. In ogni caso, è da sottolineare un ulteriore prolungarsi nel tempo dell'impegno nello specifico settore comporterebbe preoccupanti riflessi in campo addestrativo. Infatti, man mano che si congederanno gli scag~ioni più ·anziani, resterà presso i reparti solo il personale che ha ultimato i due mesi di addestramento iniziale da impiegare per le esigenze in esame, con notevole decadimento delle capacità operative complessive delle unità stesse. Per quanto riguarda i costi dell'operazione, al personale militare impiegato nella sorveglianza degli obiettivi civili di primaria importanza vengono attribuite, in funzione delle connotazioni particolari del servizio espletato in sede e fuori sede, le indennità di ordine pubblico, di missione e di straordinario. In particolare, si può dire che mediamente per il servizio svolto nella sede stanziale viene corrisposta un'indennità complessiva giornaliera di circa 40 mila lire per gli ufficiali, 33 mila lire per i sottufficiali e 4 mila lire per la truppa. Per il servizio svolto fuori dalla sede stanziale viene attribuita un'indennità complessiva giornaliera di circa 55 mila lire per gli ufficiali, 40 mila lire per i sottufficiali e 1O mila lire per la truppa. Inoltre, è stata autorizzata la stipula di apposite convenzioni per soddisfare le esigenze di vettovagliamento presso altre amministrazioni dello Stato o privati e di accasermamento, anche con sistemazione alberghiera di tipo collettivo multiplo nei casi di indisponibilità locale di idonei alloggiamenti. In tal contesto, si osserva che sono state estese a tutti i militari impegnati nel concorso in esame le «norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata», di cui alla legge 20 ottobre 1990, n. 302. Dette norme prevedono una elargizione fino a 150 milioni di lire, in proporzione alla percentuale di invalidità permanente subita per effetto di ferite o lesioni riportate in conseguenza di atti di terrorismo nel territorio dello Stato. · L'impiego dell'esercito comporta un onere finanziario dell'ordine di 60 miliardi di lire al mese, di cui circa 24 miliardi per l'erogazione delle

155


indennità previste a favore del personale (indennità di missione, di ordine pubblico e di straordinario) e 36 miliardi per i costi logistici (consumo di carbolubrificanti, schieramento del dispositivo, funzionamento di mezzi e apparati, vettovagliamento e alloggio, accantonamento presso strutture civili). Si tratta di oneri eccedenti la disponibilità del bilancio ordinario e che, quindi, devono trovare adeguata copertura in un decreto-legge ad hoc, già predisposto su iniziativa del Ministero dell'interno ed all'esame del Ministero del tesoro per alcuni aspetti tecnici. In particolare, tenuto conto che tale decreto riconosce alcune indennità non previste dalla normativa in vigore, è assolutamente necessario che esso venga ratificato, pena l'illegittimità degli atti amministrativi finora attuati.

In conclusione, il soddisfacimento delle esigenze, attuato con tempestività e reattiv ità, dimostra ancora una volta lo stretto legame esistente tra la forza annata e la realtà sociale del paese. L'intervento a favore della collettività nazionale, infatti, è un'attività che l'esercito ha svolto da sempre, in quanto esso costituisce la principale struttura che, per organizzazione interna, presenza su tutto il territorio, capacità di reazione e disponibilità di mezzi, sia in grado di fornire un apporto significativo per fronteggiare con immediatezza e senza particolari predisposizioni qualunque situazione di emergenza. In particolare, nel caso di esigenze di grande rilevanza, come quelle in esame, la tempestività dell'intervento è stata resa possibile dalla capillare distribuzione delle forze su tutto il territorio nazionale e dalla relativa organizzazione di comando e controllo. Nel quadro generale delineato, non si può sottacere la positiva ricaduta del concorso sui comandanti e sui gregari della forza armata, tenuto conto che la situazione in atto ha esaltato il loro senso di responsabilità e del dovere, lo spirito di iniziativa, l'abitudine al rischio reale e la capacità di operare autonomamente anche in condizioni di isolamento, nonché la libertà di azione, pur nei limiti prefissati per l'assolvimento del compito assegnato, in condizioni operative molto diverse da quelle · consuete in guarnigione o di addestramento. L'impeg no che sta sostenendo l'esercito, tuttavia, ove dovesse prolungarsi nel tempo, comporterebbe, come si già sottolineato, crescenti difficoltà, anche per effetto del riordinamento in atto".

e

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La ristrutturazione dell'Esercito, così come si è avuto modo di evidenziare, coinvolge aspetti che non riguardano solo la questione finanziaria, ma soprattutto quella polìtica e proprio quest'ultima è la più rilevante. Sorprende che nel più ampio dibattito negli ambienti istituzionali non si tenga nella dovuta considerazione tale aspetto. Il peso politico dell'Esercito è almeno pari alla superficialità con la quale si è, di fatto, decisa la sua riduzione ai minimi termini. Un peso politico con proiezioni esterne, il cui costo è molto più elevato del presunto risparmio ottenibile con l'attuazione del cosiddetto "modello sufficiente"; L'analisi effettuata in questo studio, la documentazione, gli apprezzamenti, convergono su di un punto: ridurre l'Esercito nei termini previsti è un errore in quanto si pregiudicano la sicurezza e sì compromette l'immagine del paese. Poiché si considerano inefficaci le deduzioni legate a procedimenti logici, ma esclusivamente razionali, è necessario completare questo lavoro con un documento che illustra la situazione tecnicamente. Un vero e proprio teorema dell'Esercito con la relativa dimostrazione, corredata, poi, da apprezzamenti di Ufficiali con alti incarichi Ogni ulteriore commento non arricchirebbe le presenti pagine di qualche considerazione significativa. Nella storia dei popoli capaci di esprimere una Nazione, si presenta anche repentinamente l'obbligo di compiere delle scelte. Il dilemma non consiste nella scelta, ma nella motivazione. La sicurezza non può essere messa in cassa integrazione.

Analisi dei criteri di riforma A. Qualità e quantità È un'equazione risolvibile soltanto con la presenza di una costante: le risorse. Le risorse umane, per incrementare la qualità, devono essere maggiormente selezionate, motivate e disponibili. Significa che la base di alimentazione deve essere ampia e il consenso del reclutamento generalizzato. Le risorse finanziarie devono essere adeguate in modo che lo strumento sia efficiente (che funzioni) e sia efficace (che funzioni tanto da assolvere il compito).

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La qualità può supplire alla carenza di quantità soltanto con l'incremento di costi. Ma c'è un limite di opportunità al taglio quantitativo a favore del miglioramento qualitativo: è il rapporto costo/efficacia (C/E). Se l'Italia avesse tecnologia avanzata a basso costo l'incremento qualitativo sarebbe possibile e produttivo. Se non l'ha, e deve spender risorse preziose per averla, il ricorso alla quantità, proprio in relazione al rapporto C/E, diventa forzato. In 40 anni 11talia ha avuto uno strumento basato sulla quantità: è vero, ma non è una colpa. È stata una necessità dovuta alla mancanza di risorse. Un espediente da poveri ovvero da gente non disposta a investire in sicurezza. Ora per dimostrare che si vuole veramente la qualità prima di pensare al taglio quantitativo occorre tirare fuori o le tecnologie o le risorse per ottenerle. B. Ammodernamento Non è possibile senza risorse. Non solo, ma è chiaro che non c'è proporzione tra quanto si può risparmiare in uomini e quanto si deve spendere per ammodernare. C. Presenza omogenea dell'Esercito sul territorio È una esigenza che riguarda più una sensazione sociale che precisi compito operativi. Anche senza parlare di minaccia dall'est è chiaro (e la Jugoslavia lo dimostra) che la frontiera orientale è quella più sensibile. Sguarnire la frontiera è un rischio prima politico e poi militare. Ma è anche un onere sociale: la ridistribuzione delle Unità operative sul territorio nazionale comporta l'abbandono di zone e strutture efficienti e consolidate per costituire a "prezzi attuali" nuovi insediamenti. Questa manovra costa sia in disagi al personale, sia in compattezza delle unità, sia in denaro. Con la già avvenuta riduzione dell'esercito a 19 Brigate (sono state soppresse 6 Brigate equivalenti a 1/4 di tutte le forze operative) e con il trasferimento della Brigata "Garibaldi" dal Friuli a Caserta si è raggiunta una ridistribuzione equìlibrata. Tale equìlìbrio è funzionale alla presenza e al controllo del territorìo come possibìlità d'intervento immediato ovunque e per qualsiasi motivo, dal concorso alle elezioni agli aiuti per il terremoto. Non è però funzionale alla difesa armata perché in qualunque settore del territorio si dovesse rendere necessaria, occorrerà sempre muove-

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re unità da una parte all'altra. Tenendo conto della particolare conformazione del territorio italiano (stretto e lungo, con l'Appennino separatore e ritardatore dei movimenti) si hanno oggi: - 1 Brigata in Sicilia e 1 in Sardegna; - 2 Brigate in Calabria, Basilicata e Puglia; - 2 Brigate per Abruzzi, Lazio, Umbria e Marche; - 2 Brigate per Toscana ed Emilia Romagna; - 2 Brigate per Liguria, Piemonte e Val d'Aosta; - 2 Brigate pre Lombardia; - 4 Brigate per tutto l'arco alpino dal Piemonte al Trentino Alto Adige; - 3 Brigate per Veneto e Friuli-Venezia-Giulia. Per quantificare tale presenza si consideri mediamente che una Brigata ha 4.000 uomini (dal Generale al soldato) di cui 2.000 di supporto. Dei restanti 1.200 uomini, 1/3 non ha ancora completato l'addestramento di base. Sono impiegabili 1.200 uomini per Brigata con un totale di 22.800 soldati per tutta l'Italia: 1 militare ogni 15 kilometri quadrati. Durante la guerra del Golfo per sorvegliare gli obiettivi sensibili è stato possibile impiegare 49.000 uomini attingendo dai supporti, dalle Scuole e dagli enti territoriali. Era un servizio di guardia e si poteva fare. Quando è scoppiata però l'emergenza jugoslava e c'era bisogno non di uomini, ma di unità, erano disponibili 5 compagnie per tutto il confine.

La componente volontaria Con questa componente si tende a costituire una forza sempre pronta di 30.000 uomini, suddivisi in 5 Brigate dotate di adeguati supporti tattici e logistici. Rispetto all'attuale situazione si intende ottenere: - disponibilità di personale addestrato e polivalente; - disponibilità accentrata in intere unità; - modularità della struttura delle pedine in modo da consentire l' assemblaggi più opportuno per i vari interventi;

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- alta mobilità; - spendibilità: ovvero possibilità di impiego all'interno e all'esterno senza le riserve che presenta al momento la leva.

Le esigenze di alimentazione Per avere una componente volontaria ci vogliono i volontari. A vere 30.000 volontari sempre pronti significa arruolarne 40.000. Supponendo una ferma triennale estendibile a 5-7 anni e dando la possibilità di rimanere nell'Esercito come professionisti a mille soldati all'anno è necessaria una alimentazione annuale di 10.00 volontari. Con questa alimentazione, pertanto dal 1992, si ottiene la forza pronta stabilita nel 1998 (vedi tabella 1). Considerate anche le esigenze di arruolamento di Ufficiali e Sottufficiali di tutte le Forze Armate e dei Carabinieri, della Polizia, Guardia di Finanza, Polizia Penitenziaria, Vigili del Fuoco, ecc.; considerati ragionevoli tassi di selezione (1 :10 per Ufficiali, 1:6 per Sottufficiali e 1:4 per truppa); considerata la disponibilità qualitativa dei contingenti di leva dal 1992 al 2000 e non considerati i drenaggi degli ausiliari e fabbisogni di truppa effettiva dei Carabinieri, Polizia, Finanza ·e Agenti di Custodia, è necessario che nel 1992 il 38% del contingente faccia domanda per un qualsiasi arruolamento o volontario. Nel 1998, per mantenere lo stesso livello, deve fare domanda il 56%. Come è intuitivo sono dati esorbitanti che nelle attuali condizioni legislative e sociali non solo sono utopici, ma addirittura vaneggiamenti (vedi tabella 2 e 3). Chiunque volesse impostare una politica di reclutamento con questi parametri sarebbe destinato al fallimento ed allo spreco delle risorse.

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Carri in esercitazione.


..... .....

Genio Pontieri.


S

Lanciamissili controcarri TOW.


<

Addestramento di Bersaglieri elitrasportati con elicottero "CH 47".


<


Un binomio entrato nella leggenda. VI


Esercitazione a fuoco

Addestramento di reparti corazzati. VII


La Folgore

vur


X

JJ Fante


Lagunari.

X


~

Addestramento tallic;o.


Trasmissioni


Genio con carro gettaponte Xlii


XIV


~

Missile tattico Lance.


La combinazione Bersaglieri e mezzi cingolati.

XVT


Tabella n° 1 Flusso di Alimentazione Volontari (in migJiaia)

1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 Arruolati

10

10

10

10

10

10

10

10

10

Prosciolti

-

-

-

6

6

9

9

9

9

Trattenuti

-

-

-

4

4

I

1

1

1

Presenti

10

20

30

34

38

39

40

40

40

Operativi Pronti

-

10

20

24

28

29

30

30

30

1

2

"Jstruttori e specializzati'' e professionisti di Truppa

Tabella n°2 Esigenze annue di "Aspiranti" Volontari CARRfERA

ESERCITO POS.

Ufficiali (Selez. 1: 10)

440

Sottufficiali (Selez. I:6)

750

Truppa (Selez. 1:4)

10000

DOM.

MARINA POS.

DOM.

AERONAUTICA

POS.

280

180

1000

1900 10.900 950 5700 27.300

7200

9900 1000 4000

40000

190

1200

1650 4500

ASPIR.

POS. DOM.

2800

1800

4400

DOM.

FORZEP.S.

4000

-

-

48.000 86.200

Ufficiali Compi. (l:6)

500

5000 (**)

30000

40.760

460

800 3000

4800

2960

(*)

Legenda Pos = POSI.i auualmente ocupati Dom = Domande necessarie per garantire la copenura dei pooti al tasso di selezione ipotizzato • : Il nwnero degli aspiranti ufficiaLi di complemento è da detrarre dalla disponibilità del contingente nell'assunto che il giovane aspirante non è orientato al servizio penna.neni.e ma solo all'assolvimento dell'obbligo come ufficiale o, se non arruolato, come soldato di leva •• : Si suppone già una riduzione di 2.000 ufficiali, gli ruruol:unenti atruali sono infatti di 7.000 ufficiali di complemento

161


Tabella n° 3 Esigenze percentuali di aspiranti volontari su1 contingente

ANNO

Disponibilità qualitativa (detràtti Fii aspiranti u. cpl.) de Contingente

Esigenza Aspiranti

8Jr;:bwr

Percentuale

1992

226.240

86.200

38%

1993

226.240

38%

1994

209.240

41%

1995

192.240

45%

1996

179.240

48%

1997

170.240

51 %

1998

153.240

56%

1999

145.240

59%

2000

141.240

61%

Le "Tagliole" Per attirare una massa come quella indicata al1'arruolamento volontario militare di qualsiasi tipo sono perciò necessari incentivi motivazionali e materiali di carattere eccezionale. Per quelli motivazionali spetterà allo Stato fare la prima mossa: affidando alle Forze Armate compiti importanti e riconoscendo tali compiti mediante l'assegnazione delle risorse necessarie ad assolverli. Appartenere ad una struttura importante, e con i mezzi adeguati per essere efficiente, è la motivazione di partenza essenziale. Per gli incentivi materiali il problema è semplice: la compensazione o è normativa (prevedendo particolari benefici per i volontari) o è economica (alti stipendi). Più soldi si impiegano nell'esercizio (stipendi e

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vita quotidiana) meno rimangono per l'ammodernamento. Comunque i soldi non sono tutto. Nonostante che un attuale VFP (volontario a ferma prolungata) percepisca da 900.000 a 1.200.000 mensili, l'arruolamento è insufficiente. È importante, per i giovani, la prospettiva del futuro. Ecco che la via per un favorevole reclutamento passa obbligatoriamente per la creazione di condizioni preferenziali, non aleatorie di inserimento nel mondo del lavoro dei volontari prosciolti. Il quadro attuale delle leggi deve essere perciò modificato prevedendo che, con una serie di vincoli (o "tagliole"), i volontari; - dopo tre anni di ferma accedano d diritto alla truppa effettiva dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Polizia Penitenziaria, Guardie Forestali, Vigili del Fuoco e Corpo della Croce Rossa; · - abbiamo posti riservati nei concorsi delle Amministrazioni Centrali e Periferiche dello Stato; - possano proseguire·come effettivi di truppa nei Sottufficiali delle Forze Armate; - vedano riconosciuti per l'impiego civile studi, corsi_ e qualificazioni conseguite durante il servizio. Una dismissione annua di 10.000 volontari è sufficiente a soddisfare tutte le esigenze delle Forze di Polizia e queste disporrebbero di uomini specializzati, adusi alla disciplina e più maturi. Attualmente le sole Forze di P.S. e assimilate hanno un fabbisogno annuo di 8.480 uomini di truppa effettiva. Senza queste condizioni di base occorrerebbe aumentare a dismisura gli incentivi economici. A dismisura perché se dovesse "saltare" la prospettiva dell'occupazione, fare il volontario significherebbe soltanto perder come minimo 3 anni nella ricerca di sistemazione futura.

Gli effetti collaterali Il problema della componente volontaria non si riduce però ai soli aspetti degli incentivi materiali. Per passare dall'attuale struttura interamente di ' leva ad una mista occorre anche che per legge siano evitati effetti collaterali che di fatto vanificherebbero anche le migliori predisposizioni. In particolare:

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A. Durata della ferma Oggi si hanno 22.000 soldati pronti suddivisi in 19 Grandi Unità solo perché la ferma dura 12 mesi. Siccome il sistema del volontariato non andrà a regime prima del 1998 (sempre ammesso che funzioni) è chiaro che fino a quel momento la forza pronta dovrà essere fornita dalla leva. Ciò significa che ridurre la durata della ferma riduce il tempo di disponibilità della forza pronta e il ridurre il contingente riduce il numero delle forze pronte. Siccome l'attuale disponibilità è (a essere ottimisti) la minima possibile, ogni riduzione nei sensi citati è traumatica. B. Equità della leva La leva è quindi il solo sistema a garantire l'operatività dell'Esercito fino alla formazione de!Ja componente professionale. È giusto che questo merito venga ad essa riconosciuto. Oltre a ciò è anche il sistema previsto dalla nostra Cosituzione. Potrà essere anche modificato, ma l'obbligo costituzionale del servizio militare rimane invariato almeno fino a modifiche radicali da parte di una nuova Costituente. Perché la leva riacquisti credibilità è necessario però che sia equa. Vale a dire che non offra scappatoie o trattamenti preferenziali. Occorre pertanto prevedere l'assolvimento dell'obbligo, tra Servizio Militare e Servizio Civile, per tutti gli abili eliminando i "servizi ausiliari". Anche l'obiezione di coscienza deve essere restituita al rango di servizio sostitutivo reso allo Stato. In questo senso è necessario costituire un Servizio Nazionale Civile serio e impegnativo. C. Dove sono i soldati

Nel corso del 1991 - lo SM dell'Esercito, per fronteggiare i tagli disposti dal Parlamento sia al contingente di leva (-25.000 uomini) sia alle spese destinate all'esercizio (-15 %), ha disposto - previa autorizzazione del Ministro della Difesa - la soppressione di: - 6 Comandi di Brigata e di un certo numero di unità/enti, per un totale equivalente a 65 unità a livello battagl ione/gruppo; - 6 enti scolastici e 6 battaglioni addestramento reclute; - 16 Comandi Militari di Zona, 60 Comandi Militari Provinciali e 21 enti logistici.

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Con l'attuazione dei citati provvedimenti, i militari di truppa in servizio di leva si sono ridotti, in 5 anni, da 204.000 a 167.000 unità (-37.000 unità= 20%), così distribuiti: - area operativa: 130.000 unità (Comandi di Corpi d'Armata; 19 Brigate; Supporti ai vari livelli; Artiglieria c/a; ALE; ecc.); - area centrale ed interforze: 7.000 unità; - area territoriale (settore Leva, Reclutamento e Selezione compreso): 15.000 unità; - area scolastico-addestrativ i: 15.000 unità. D. Esigenze di sicurezza terrestre L'esigenza di sicurezza in termini di forze operative è stata valutata di recente nella "Conferenza Operativa del 1990" ed ammonta, per quanto attiene alle sole forze operative, a 130.000 unità così ripartite: - 19 Brigate (di cui 5 "pronte" al 100% e 14 con una efficienza operativa del1'80%) per un totale di circa 80.000 militari di truppa; - Comando e controllo, supporto tattico e logistico: 40.000 uomini; - Artiglieria contraerei ed ALE: 10.000 uomini In sostanza, la situazione numerica delle forze operative della Forza Armata quando il riordinamento in corso sarà completato vedrà: 130.000 militari di truppa, a cui vanno aggiunti, per esigenze dell'area centrale, interforze, territoriale e scolastica-addestrativa altre 30.000 unità, per un totale di forza bilanciata che non può essere inferiore a 160.000 uomini. La forza di volontari prevista farà parte di questo numero. E. Perché i soldati Al contrario di Aeronautica e Marina, in cui l'elemento di combattimento è il mezzo meccanico, la forza operativa dell'Esercito è il soldato. In particolare il soldato di truppa, di fanteria. La differenza fra le Forze Armate e quindi nel vettore di potenza. In Aeronautica il vettore è l'aereo e l'uomo è l'operatore addetto. In Marina il vettore è la nave e tutto l'equipaggio è l'operatore addetto. Nell'Esercito, in Fanteria, il vettore è l'uomo. Colui che porta la potenza fino ai minimi livelli, colui che deve impiegare tutte le armi da quelle artificiali a quelle natural i.

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Se un aereo è in avaria o è abbattuto il suo equipaggio è autorizzato a consegnarsi prigioniero. La funzione dei piloti è esaurita. Ogni azione o reazione diversa o in più è semplice ricorso all'istinto di sopravvivenza o alla voglia di combattere, ma non piÙ' da pilota: da uomo, da fante. Se una nave viene colpita e rischia di affondare non ha più importanza che abbia ancora 50 missili o 5.000 uomini. Tutti si trasfonnano da "addetti al vettore" in naufraghi. La loro funzione è finita con il comune accordo di tutti, tanto che le navi nemiche vengono subito in soccorso e, magari a rischio della propria sopravvivenza, raccolgono gli avversari con tanto di onore delle armi. Anche i marinai che al di fuori della nave intraprendono eroiche azioni non sono più tali: sono fanti. L'Esercito è perciò a misura di fante: di quest'uomo al quale non è mai possibile vedere terminata la propria funzione se non con la vittoria o la morte. La potenza che si pretende venga espressa è quella delle armi che possiede, dal fucile che porta alle mani nude. Anche l'Esercito ha vettori di potenza diversi dall'uomo. Ci sono missili, carri armati, artiglierie. Ciascuno di questi mezzi ha operatori addetti, ma la struttura, l'intera organizzazione, l'intera concezione della battaglia terrestre, tutto gravita intorno a quell'uomo, a quel fante. Tutto serve a permettere che il fante si muova, combatta, sia nelle migliori condizioni per conseguire l'obiettivo. In tale quadro anche tutte le altre Forze Armate sono a suo semplice supporto. Se non si comprende questo non si capisce come mai l'Esercito pretenda così pervicacemente di avere uomini, e di avere i migliori. Cioè quelli in grado di imparare prima e meglio e di garantire il successo con minori rischi per sé e per gli altri. Quando si comprende che l'uomo è il fulcro dell'Esercito si capiscono anche una serie di esigenze e di mentalità. Ad esempio: - avere 10.000 o 50.000 soldati "operativi" non influenza il livello qualitativo e quantitativo dei supporti. Al di sopra di un certo limite (molto basso), l'organizzazione addestrativa, la struttura di comando e controllo, il supporto tattico e il sostegno logistico sono indipendenti dalla qualità degli operativi. Un esempio è costituito dai battaglioni "Quadro" tedeschi. Queste unità,

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senza nessun compito operativo, e nessun soldato (vere e proprie "scatole-vuote") hanno la bellezza di oltre 60 Sottufficiali per il normale funzionamento. Un battaglione meccanizzato italiano a pieno organico e con oltre 600 soldati dovrebbe avere 100 Sottufficiali. In realtà deve andare avanti con il 50%. Pretendere il comprimere le unità di supporto oltre certi limiti è, oltre che inopportuno, tecnicamente impossibile a meno di rendere la struttura non funzionante; - il rapporto tra supporti e forze operative è tanto più elevato quanto più pregiato è il combattente. La cosa è intuitiva. Prima di spendere merce di valore si tenta tutto il possibile. Le 98.000 missioni aeree della Guerra del Golfo, il dispiegamento delle flotte e dell'immenso apparato di sostegno sono stati solo in funzione di evitare al massimo perdite aUe forze di terra. La titubanza a lanciarle nel combattimento è stata solo il segno del loro valore intrinseco. Un valore che a quello iniziale, già enorme, del materiale umano vede aggiunti il valore dell'addestramento e quello dell'insostituibilità. In eserciti di massa, facilmente alimentabili, il rapporto tra sostegno e combattimento parte da 1 e arriva a 2 o 3. Per forze altamente di qualità supera il 6 o 7 e arriva al 10. Sempre nella Guerra del Golfo la Brigata inglese dei "Topi del deserto" ha raggiungo un rapporto di 7 (1 combattente e 7 di supporto).

F. La Mobilitazione Un esercito composto da 30.000 uomini pronti che non addestri anche tutti i cittadini alla difesa non è un esercito nazionale. Al massimo è una forza di spedizione. Se deve essere mantenuto l'impegno di addestrare i cittadini bisogna predisporre, in maniera eque, due esigenze: chiamare (LEVA) e richiamare (MOBILITAZIONE). La prima per addestrare e la seconda per addestrare o impegnare. Le esigenze di MOBILITAZIONE devono essere chiare fin dal momento della definizione del modello di difesa. In effetti il modello vero e proprio è soltanto quello mobilitato. È su questo strumento che bisogna fare i calcoli. È su questo che bisogna verificare se la struttura difensiva nazionale sarà in grado di reagire nella più sfavorevole delle condizioni di emergenza ipotizzabili.

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Perché lo strumento da mobilitare ha bisogno di via permanente: di MEZZI efficiente, cli SCORTE accantonate, dì STRUTIURE da attivare, di ORGANIZZAZIONE predisposta. Tutte le ipotesi, quindi, che non parlano delle esigenze vere, quelle delle emergenze, sono pericolose. D'altra parte, chi parla di affidare la clifesa soltanto alla MOBILITAZIONE, senza forze cli primo intervento, o non conosce i problemi o è in malafede. La mobilitazione da sola non dà sicurezza. Anche ammettendo di avere tempo per attuarla bisognerebbe fare affidamento sulla possibilità e sull'opportunità dì ordinarla. Non sempre quello che è tecnicamente necessario è politicamente opportuno o fattibile. All'apertura delle ostilità nella Guerra del Golfo, mentre le forze della coaUzione avevano effettuato 2.000 missioni aeree sull'Iraq il Parlamento ìtalìano dìscuteva ancora se partecipare con gli alleati e a che cosa. Fu deciso per la "Polizìa internazionale" evitando accuratamente di parlare di guerra o di "mobìlitare" qualcosa. Durante la recente crisi jugoslava mentre l'Austria mobilìtava, e quindi dava un preciso segnale cli volontà politica, mentre colonne corazzate serbe dirigevano su Croazìa e Slovenia con l'ordine dì "contrastare un attacco italiano", alle nostre forze a malapena venivano date ìstruzioni sul comportamento da tenere in caso di sconfinamento di profughi. G. I Quadri Un esèrcito nuovo, ridotto e più efficiente, ha bisogno di un Corpo di QUADRI Ufficilai e Sottufficiali qualitativamente e quantitativamente elevato. Ridurre le unità significa aumentare le aree di competenza, diradare le pedine, aumentare le predisposizioni per ìl comando e il controllo, incrementare la mobilità e la velocità operativa, estendere la responsabilità dei sìngoli. Tutto ciò significa elevare il rapporto tra Quadri e Truppa. Dire, perciò, che siccome si riducono le unità si possono ridurre i reclutamenti dei QUADRI è errato. Se si vuole incrementare l'efficienza bisogna raggiungere almeno il rapporto tedesco tra Servizio Permanente e totale: il 47%. Oltre a ciò

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occorre addestrare i Quadri in modo che costituiscano la forza portante di tutto l'Esercito, dal punto di vista morale e di queUo operativo.

H. LI'\ vanzamento Se il rapporto Quadri/totale per uno strumento efficiente deve aumentare è evidente che per Ufficiale e Sottufficiale dovrà essere prevista una progressione ordinaria nelle funzioni e nelle responsabilità in relazione aJl'esperienza e alla capacità. Il grado dunque deve corrispondere a esigenze funzionali e strutturali e non di sopravvivenza economica o di surrogato di motivazione. Fino a quando la carriera amministrativa non sarà staccata dal grado, fino a quando il "compenso" istituzionale per un lavoro comunque ben fatto non troverà altre espressioni, non ci si potrà stupire che ci siano troppi Colonnelli o troppi Generali. Soprattutto quando lo stipendio e la pensione di un Colonnello o Generale sono uguali a quelle di un impiegato o di un Vigile Urbano, l'affermazione che c'è un Generale per ogni kilometro di frontiera non è neppure una battuta di spirito. Al massimo si può dire che c'è un sottoretribuito in più per ogni kilometro di frontiera. E questo non è certo colpa dell'Esercito. Il contenimento dei gradi passa per la rivalutazione dello STATUS e per l'assicurazione di un livello retribuito equo.

IO. Le donne L'altissima percentuale di aspiranti volontari necessari ad un minimo di selezione, porta a considerare, non come opportunità, ma come esigenza, l'apertura alle donne delle carriere militari. Considerando, poi , che già la P.S. ha questo tipo di reclutamento, se si vuole che l'alimentazione degli effettivi delle Forze dell'ordine passi attraverso il volontariato nelle Forze Armate, anche alle donne dovrà essere consentito l'arruolamento. Si può escludere in prima ipotesi l'impiego delle donne in incarichi di combattimento, ma nei supporti tattici e logistici vi sarà ampia gamma di opportunità non differente da quella aperta agli uomini. Per quanto riguarda l'accesso ai Quadri potrà essere attuato soltanto se vi sarà adeguata rappresentatività al livello di truppa. Infatti non è

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possibile che una qualsiasi categoria sociale sia privilegiata al punto da avere mansioni solo "direttive" senza quelle "esecutive".

Deduzioni e conclusioni A. Un esercito misto LEVA-VOLONTARI efficiente, distribuito uniformemente sul territorio nazionale, ridotto nelle dimensioni, può prevedere: - 5 Brigate affidate a volontari/professionisti di cui 2 pesanti (mec/cor) e 3 leggere (blindo, aeromobile, mot.) per interventi rapidi all'estero e all'interno e per la partecipazione a forze multinazionali; - 14 Brigate di Leva per l'addestramento, la mobilitazione e la difesa del territorio. B. -

Per tali forze/unità sono necessari: 40.000 volontari (di cui 30.000 costantemente pronti); 90.000 soldati di leva per unità operative (Brigate e Supporti); 15.000 soldati di leva per enti addestrativi; 15.000 soldati di leva per enti territoriali;

C. Per reclute 40.000 volontari sono necessari in 6 anni, dal I 992 al 1998, 10.000 volontari l'anno. D. Considerando tutte le esigenze di servizio permanente occorre che da subito gli aspiranti al reclutamento militare siano il 38% della disponibilità annua.

E. -

Per conseguire tale quota è necessario: eliminare reclutamenti alternativi; rendere equi il servizio militare ed il servizio civile; dare incentivi sostanziali al reclutamento.

F. Per contenere i costi di esercizio e le paghe ai volontari è necessario dare come incentivo la certezza del passaggio nelle Forze di P.S., e assimilate, e l'assunzione privilegiata nelle amministrazioni pubbliche. 170


G. Fino a quando non sarà costituita la componente operativa professionale, la leva dovrà continuare a garantire l'operatività sia come consistenza di scaglioni sia come durata delle ferma.

H. Per un miglioramento effettivo dell'Esercito a breve/medio termine sono necessarie maggiori risorse finanziarie immediate e leggi speciali per l'ammodernamento. I. Per un miglioramento a lungo termine, oltre ai provvedimenti normativi citati sono sufficienti i livelli di bilancio attuali con ottimizzazione nell'area tecnico industriale della difesa.

L. Le donne dovranno accedere all'Esercìto. M. L'alimentazione e la formazione dei Quadri devono essere potenziate per produrre rapporti adeguati alle nuove esigenze. N. Il modello di difesa deve partire dalle esigenze globali di una prevedibile emergenza e si deve tradurre in una "Legge Quadro" sul personale - ordinamento - avanzamento - materiali - mobilitazione.

Il Generale Luigi Federici, Sottocapo di Stato Maggiore dell'Esercito è favorevole all'articolazione delle Forze operative in due nuclei, uno per gli interventi "fuori area" e uno per la difesa del territorio nazionale. Per quanto attiene alla durata del servizio di leva, il Generale Federici afferma che "la ferma di 12 mesi è troppo corta per formare unità immediatamente impiegabili. Troppo spesso ascoltiamo valutazioni su questo tema assolutamente irrealistiche. Con 12 mesi e con materiale umano di alto livello, quale soltanto la leva è in grado di fornire, si riesce a malapena ad assicurare un minimo di operatività di 2-3 mesi. Formare un reparto non significa soltanto avere soldati tecnicamente addestrati. Il problema individuale viene largamente risolto in 46 mesi a seconda degli incarichi. Ciò che si pone è il problema di amalgama, di attivazione dei sistemi di comando e controllo, di integrazioni, cooperazioni interarma e interforze. Se, nel prevedibile quadro strategico futuro, dovrà poi essere prevista una integrazione multinazionale il termine di 12 mesi sarà senz'altro insufficiente.

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Se dodici mesi sono insufficienti per l'operatività di unità di leva, di certo non potranno essere neppure ipotizzati per unità di volontari: di quelle unità destinate all'intervento rapido anche nel quadro di mis~ioni multinazionali". Per quanto riguarda le riduzioni effettuate o programmate dall'Esercito in questi ultimi anni, vi è chi le ha giudicate come rispondenti ad esigenze ed abitudini di pace, burocratiche, assistenzialistiche e funzionali al mantenimento di una pletora di comandi, anziché tese a tener conto dell'emergenza. Il Generale Federici ricorda che i provvedimenti ordinativi sono stati l'inevitabile conseguenza di decisioni parlamentari in materia di bilancio. Altra critica avanzata nei confronti dell'Organizzazione dell'Esercito riguarda il diritto dei cittadini di avere, sia pure di fronte a scarse risorse finanziarie, almeno un paio di Brigate o una decina di Battaglioni immediatamente disponibili e impiegabili. Il Generale Federici osserva che "il 16 gennaio 1991 ci è stato chiesto di schierare circa 50 mila uomini in poche ore per soddisfare un'improvvisa esigenza difensiva del Paese. Ciò è stato fatto senza alcun imbarazzo. Inoltre vorrei precisare che anche qualora ci fosse stato richiesto di intervenire nel Golfo con un "pario di Brigate", l'Esercito non avrebbe frapposto difficoltà: certo, ci si sarebbe andati con i materiali disponibili (ma questo è un problema di fondi che permane qualunque possa essere il modello di difesa) e con il personale di leva (essendo tuttora inesistente un'alternativa di volontariato). Ma di sicuro non avremmo messo le nostre forze nelle condizioni di correr rischi inaccettabili. Non mi sembra, quindi, che sia legittimo insinuare che i provvedimenti riduttivi attuati dall'Esercito siano stati condizionati dalla volontà di privilegiare le esigenze e abitudini del tempo di pace rispetto a quelle dell'emergenza. Mi sembra vero, invece il contrario. È quasi un anno (dal 1990 n.d.a.) che lo Stato Maggiore dell'Esercito combatte contro una deformazione concettuale di base che è diventata una vera e propria abitudine generalizzata: quella di adottare come unità di misura di provvedimenti riduttivi, di ristrutturazione, di ' ripensamento" e di " rifondazione" solo e soltanto le unità operative dell'Esercito". Altro argomento molto discusso riguarda la mobilitazione. La valutazione del Generale Federici è la seguente:

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"Le soluzioni tecniche sono diverse e tutte realizzabili a seconda dei sistemi che si intendono adottare. Ma tutte poggiano su di un requisito: la credibilità. E una mobilitazione è credibile quando è sorretta, innanzi tutto, dalla volontà di attuarla, dalla determinazione di ordinarla nei tempi e nei modi previsti, dalla costanza della sua preparazione, dalla serietà di tutti gli interessi - dai governanti ai cittadini - di assumersi un onere personale continuativo e duraturo. Naturalmente queste caratteristiche sono tanto più importanti quanto maggiore rilevanza ha la mobilitazione sull'efficacia dello strumento difensivo. Ed è per questo che il sistema di Milizia, basato esclusivamente sulla mobilitazione, non è un semplice modello difensivo, ma un vero e proprio Sistema Sociale. L'ordine di Mobilitazione in se è già una manifestazione di volontà politica: la volontà di difendersi o comunque di chiamare il popolo ad intervenire con le armi. È già in sé un atto di guerra. Quale forza politica o istituzionale italiana sarebbe in grado oggi o domani di decidere una mobilitazione nei tempi ragionevolmente necessari? Non so quale fondamento abbiano le ipotesi che l'Italia possa permettersi tempi di preavviso variabili da 6 mesi a 2 anni. Ma anche con preavvisi più lunghi , il problema non si risolverebbe perché nel quadro politico-sociale attuale e del prevedibile futuro a medio-lungo termine, la decisione di mobilitare le Forze armate non verrà presa nei tempi necessari. Non è puro scetticismo o sfiducia, ma è razionale constatazione che i principi su cui si basa la politica italiana nelle sue componenti interna, estera, di difesa e sociale non può permettersi di utilizzare uno strumento difensivo o di deterrenza, quale appunto è la mobilitazione, senza aver vagliato fino all'ultimo le possibilità di mediazione. Senza considerare i rischi sul piano delle percezioni interne e internazionali e così di seguito. Non c'è bisogno di andare con la mente all'Europa hitleriana per verificare che se non ci sono le basi di volontà politica la mobilitazione non è credibile e, quindi, da strumento di potenza si trasforma in vulnerabilità. Basta ricordare che mentre aerei alleati avevano già effettuato 4.000 missioni sull'Iraq il nostro Parlamento discuteva se coinvolgere o no le nostre forze e se tale coinvolgimento era da considerare embargo, polizia internazionale o guerra. Basta ricordare che la sola routine annuale delle cartoline di aggiornamento dei preavvisi di mobilitazione

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ha, nello stesso periodo, scatenato il terrore delle mamme, il furore delle opposizioni al Governo e l'isterismo di molti dei nostri rappresentanti istituzionali. Basta ricordare che nell'emergenza del terremoto a Carlentini e degli albanesi a Brindini l'esercito è stato chiamato ad intervenire rispettivamente con 2 o 5 giorni di ritardo. E non si trattava certo di andare a combattere. Ogni nazione deve costituirsi le difese adeguate alle proprie esigenze operative, al ruolo che vuole assumere in campo internazionale e al contesto sociale-politico-economico in cui si muove. Ogni realtà ha il suo modello. La realtà italiana di oggi è molto lontana dai presupposti che un modello di milizia impone". Sempre sulla mobilitazione, il Generale Bruno Zoldan, capo del primo reparto dello Stato Maggiore Esercito, esprime il seguente apprezzamento: "La mobilitazione, così come è vista nello studio - che prende giustamente a modello la Svizzera, l'Austria ed i paesi nordici - è una attività che richiede un substrato culturale e una visione della società che non si improvvisa. I semplici "preavvisi di destinazione", diramati ogni anno nel mese di gennaio, hanno determinato quest'anno una sollevazione di SCl;ldi che hanno richiesto un intervento chiarificatore dello stesso Ministro della Difesa. Ci sono state interrogazioni parlamentari, lamenti isterici, accuse, diramazione di falsi documenti di richiamo, che testimoniano come molte componenti importanti della società italiana si oppongono alla sola ipotesi della mobilitazione, specie se generale, in quanto vista come atto di guerra, a cui tra l'atro gli stessi accordi di Stoccolma sono di ostacolo. Una mobilitazione ha senso se si pone come obiettivo la costituzione di unità idonee alla guerra. Se si dispone cioè di riserve veramente istruite, dei mezzi e degli armamenti necessari, di Quadri sempre pronti. La costituzione di milizie di paese appare, in detta ottica, soprattutto un fatto di folclore. L'Esercito ha trascurato la mobilitazione perché non dispone di mezzi e Quadri sufficienti neppure per le unità in vita e non per motivi burocratici, assistenziali e funzionali al mantenimento di una pletora di comandi, come nella ricerca viene gratuitamente affermato. 174


L'Esercito di milizia che viene proposto è una struttura bella da vedere e da frequentare in tempo di pace (fanfare, divise, costumi, distintivi, e forse stivali e baionette), ma sicuramente non idonea per il tempo di guerra. Una siffatta riforma delle Forze armate non può che portare a risultati non dissimili da quelli ottenuti con la riforma della sanità, della scuola, della giustizia o penitenziaria. Alla distribuzione di quel poco di buono che ancora esiste ed alla costruzione di cose che non servono alla difesa. Quanto precede, fermo restando che l'attuale Esercito deve essere opportunamente rivisto, ma in una ottica che privilegi l'efficienza e non, come detto, il folclore. Soggiungo che la mobilitazione non è funzione del sistema di difesa adottato bensì del contesto socio-politico -economico che ne condiziona la scelta. Se l'obiettivo è quello di avere una Forza armata credibile, parte in vita e parte di mobilitazione, occorre che tali componenti si integrino perfettamente per assolvere i compiti loro attribuiti. Pertanto i riservisti devono essere caratterizzati da un significativo grado addestrativo acquisito durante il servizio di leva - con una ferma adeguata - al fine di poter contare, all'emergenza, su unità che esprimano un elevato grado di operatività. Va comunque confutata l'equipazione: mobilitazione=risparmio. Infatti una mobilitazione, per essere credibile, comporta necessariamente costi commisurati agli obiettivi che si intendono acquisire. In particolare, necessità di: - materiali e mezzi uguali a quelli delle unità in vita ed accantonati al 100% delle dotazioni previste; - centri di mobilitazione idonei per l'organizzazione delle predisposizioni di mobilitazione in tempo di pace, per l'approntamento delle unità in tempo di guerra e per la conservazione mediante sistemi appropriati del materiale accantonato; - richiami annuali consistenti per entità e durata. Si sottolinea, peraltro, che anche qualora le predette esigenze fossero completamente soddisfatte, la mobilitazione non può essere considerata credibile se non sostenuta da un'aggiornata legislazione per l'emergenza e, come già detto, da un'adeguata "cultura di mobilitazione" a

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livello nazionale. Tali presupposti, non riscontrabili in Italia, sono invece patrimoni comune di altre nazioni (vedasi Israele, Germania, Olanda), che, pur adottando sistemi di mobilitazione diversi e peculiari, in relazione alle situazioni locali, proprio per il patrimonio posseduto sono in grado di affrontare efficacemente eventuali emergenze". Il Generale Rolando Mosca Moschini, Capo del terzo reparto dello Stato Maggiore Esercito, affronta la questione della leva e del volontarìato: " Il problema leva/volontariato, sul quale si discute da tempo, è giustamente tornato alla ribalta a seguito dei recenti, imprevedibili eventi internazionali, della crescente opposizione alla coscrizione obbligatoria e della necessità di razionalizzare le sempre più limitate risorse disponibil i. I mutati aspetti della sicurezza hanno prodotto un diffuso convalidamento della convinzione che occorra prevedere una componente volontaria consistente o, addirittura, il passaggio a Forze armate di professione. Indubbiamente, sussiste la pressante esigenza di disporre di una componente volontaria. La impongono, come è stato da più parti evidenziato, i compiti di concorso alla stabiJità internazionale e di difesa degli interessi nazionali (ovunque), la tendenza - anche e soprattutto in ambito NATO - a costituire unità multinazionale polivalenti e, conseguentemente, per l'Italia, il dovere e la convenienza di partecipare ad esse in maniera per lo meno dignitosa. Ho perciò la netta sensazione, da quanto fino ad ora si è scritto e detto sull'argomento, che ci sia un diffuso vizio di fondo nell'affrontare il problema perché nel nostro Paese, l'alternativa leva/volontariato - allo stato attuale delle cose - non esiste. L'esercito, infatti, a fronte dei circa 43.000 volontari consentiti dalla legge , recluta soltanto 8-9.000 giovani e, per di più, di qualità psicofisiche ed intellettuali mediamente scadenti. Dobbiamo quindi creare questa alternativa adottando una serie di provvedimenti consistenti e rigidamente programmati nel tempo che consentano un serio reclutamento di volontari. Non basta, comunque, un provvedimento di legge. Occorrono azioni determinate e coerenti che investono diversi settori dello Stato e che richiedono tempo. È illusorio ipotizzare un reclutamento serio nell'arco di qualche anno.

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Valutazioni ottimistiche di questo determinato aspetto, porterebbero, inevitabilmente, a limitare l'Esercito ad un'organizzazione di milizia che sarebbe forse addirittura meglio sopprimere, perché sarebbe inefficiente. Un approccio realistico e costruttivo al problema dovrebbe prevedere, solo dopo un decente e consolidato reclutamento (risultato concreto di provvedimenti mirati) la possibilità di apportare progressivi aggiustamenti ai parametri della leva (entità della incorporazione, durata, ecc.). Nel frattempo, operiamo sull'esistente, evitando traumatiche e dannosissime distruzioni e ricostruzioni, individuando le attuali esigenze minime di unità, apportando correttivi possibili per incrementare l'efficienza - e ne esistono molti e praticabili, purchè ci sia la volontà comune di attuarli - e tenendo ben presente che dimensioni e qualità dello strumento militare dipendono da numerosi fattori, alcuni dei quali vengono spesso dimenticati: - la possibile minaccia riferita a medio e lungo termine (uno strumento militare si può disfare in pochi mesi ma poi occorrono anni per ricostruirlo ed è un po' azzardato affermare che non vi saranno guerre); - i compiti istituzionali, ivi compresi quelli non strettamente riferiti alla difesa del Paese da aggressori esterni (gH impegni dell'Esercito in quest'ultimo periodo per la difesa dei punti sensibili del territorio nazionale e per il soccorso e la gestione degli albanesi costituiscono validi · esempi); - il sostegno che si vuol dare alla nostra politica estera e quindi il peso, anche sotto l'aspetto militare, che si vuol conferire all'Italia rispetto agli altri Paesi Europei (la gamma è ampia e va dall'equilibrio con il Regno Unito o la Francia a quello con il Portogallo o meglio il Lussemburgo); - la valutazione realistica del cosiddetto "preavviso" ricordando, in particolare: • i tempi necessari per le decisioni politiche in periodo di crescente tensione; • il pericolo che decisioni tempestive aggravino la situazione e compromettano gli sforzi per evitare un eventuale conflitto; • le difficoltà della mobilitazione - che, tra l'altro, è un atto dello stato di guerra - in un Paese come il nostro che ha mentalità, autodisciplina ed approccio ai problemi comuni ben diversi di altri Paesi del Centro o del Nord Europa; • le risorse disponibili.

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Ferme restando le considerazioni sopra espresse, riferite essenzialmente ad un approccio troppo teorico al problema, e tralasciando i numerosi dettagli della seconda parte dello studio che meriterebbero un accurato esame di fattibilità, sento il dovere di aggiungere qualche commento sulla struttura dello strumento militare terrestre suggerita. Concordo pienamente sulla opportunità di prevedere le due componente (volontaria e di leva). Non posso però evitare di esprimere le mie forti perplessità sulla fattibilità della prima (volontaria) e sulla efficienza, funzionalità quindi utilità della seconda (di leva). , Una forza di 70-80.000 volontari, mantenuta a livelli nord-europei (personale, mezzi, infrastrutture, addestramento, ammodernamento, oneri accessori di carattere sanitario, scolastico, sociale e provvedimenti per "assicurare un futuro") assorbirebbe risorse cospicue, forse in eccesso rispetto alle nostre possibilità. Sicuramente non sarebbe possibile devolvere altri fondi all'altra componente che, seppure ipotizzata "ridotta ad minimi termini", comporterebbe costi significativi nei settori addestrativo, infrastrutturale e di mantenimento dei materiali e mezzi per la mobilitazione (possibilmente efficienti e ragionevolmente al passo con i tempi). Questo aspetto suggerisce, in ogni caso, un realistico approfondimento. Una componente di leva, con un servizio limitato a qualche mese, produrrebbe una massa di giovani non addestrati ad essere impiegati in operazioni e provocherebbe un gravissimo decadimento professionale e morale dei Quadri ad essa preposti. Nello stesso studio si afferma che la durata attuale della ferma - 12 mesi - è troppo corta per formare unità immediatamente impiegabili. Come si può ipotizzare un impiego in combattimento, anche se in un secondo tempo, di personale che ha servito per quattro mesi e che ha fatto problematici richiami successivi? Questi ultimi, oltretutto, non consentirebbero l'amalgama deJle unità, la progressione armonica del livello di addestramento, ottenibile soltanto con la continuità delle attività nel tempo, e, confessiamolo pure, provocherebbero azioni e pressioni di varia natura volte a evitarli. La "milizia" dovrebbe ovviamente comprendere anche artiglieri, carristi, fanti .delle unità controcarri, ecc. Come si ipotizza l'addestramento di queste specialità? Con quali risorse?

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Non. credo che la soluzione possa essere la trasformazione di unità leggere in unità pesanti durante il periodo di "preavviso". La capacità di impiegare mezzi diversi e di adottare procedimenti d'azione mai sperimentati non si acquisisce in pochi mesi. L'Esercito è stato impiegato nella protezione di obiettivi sensibili con circa 50.000 uomini. Esigenze di questo tipo da chi dovrebbero essere soddisfatte? Da una milizia che sta apprendendo i primi rudimenti addestrativi e che dovrebbe anche interromperli per poter essere impiegata? Sospendendo i congedamenti del personale di leva? Impiegando i preziosi volontari che dovrebbero interrompere il loro addestramento ed essere sottratti da eventuali contingenti multinazionali? Forse, procedendo per gradi e dando priorità alla "realtà volontariato" ed ai relativi costi, si potrebbe giungere ad una conclusione che preveda una componente volontaria strettamente sufficiente alle esigenze di pronto impiego "in area" e "fuori area" e ad una componente di leva che, per dimensioni e livello addestrativo, consenta all'Esercito di assolvere dignitosamente i compiti istituzionali che gli sono affidati. L'alternativa è ridurre drasticamente i compiti della Forza armata o sopprimerla. Ma queste sono competenze e responsabilità che esulano dalla sfera militare". Sul tema volontariato e coscrizione, il Generale Giuseppe Ardito, dello Stato Maggiore Esercito, ha espresso il segue~te giudizio: "Non poche perplessità si rilevano sulla reale efficienza operativa di un Esercito costituito dalla coesistenza di due componenti così profondamente differenziate per struttura, addestramento, equipaggiamento, inquadramento e compiti, di cui non esiste esempio in alcun Paese, tanto meno in quelli comparabili al nostro. Desiderio richiamare l'attenzione su due aspetti che suscitano molti interrogativi: sufficiente disponibilità immediata, quantitativa e qualitativa, di volontari a lunga ferma per incarichi di combattimento e possibilità di attuazione del nuovo modello in tempi ridottissimi. .. È da dimostrare che nel contesto italiano, privo di una vera tradizione militare ed a fronte di incentivi temporanei e non concorrenziali con il mondo civile, si abbia un gettito iniziale consistente di volontari per la formazione non simbolica delle unità ed un'alimentazione costante nel tempo per mantenerle a liveJli di forza adeguati alle molteplici esigenze da soddisfare.

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Stati Uniti e Regno Unito, che hanno eserciti esclusivamente di volontari, ma anche Francia e Germania, che adottano il sistema misto e non hanno intenzione di modificarlo, incontrano crescenti difficoltà nel reclutamento del personale a lunga ferma e sono costretti in misura sempre maggiore ad attingere a classi emarginate o a sacche d'immigrazione. Per quanto concerne i tempi di realizzazione della nuova organizzazione ritengo sia necessario essere realisti. Non credo che i 3-4 anni ipotizzati siano assolutamente sufficienti per l'attuazione della transizione, ma sopratutto per avere strutture consolidate ed a regime di funzionamento. Elemento quest'ultimo determinate e condizionante per qualsiasi provvedimento sulla leva. È noto che l'Eserc.ito britannico ha impiegato circa un decennio per la trasformazione e che quello statunitense, a circa 15 anni dall'abolizione della leva, non ha ancora risolto in modo soddisfacente tutti i problemi connessi con l'arruolamento e l'efficienza delle unità. È, infine, da rilevare che la Francia e la Germania, nazioni con le quali l'Italia deve confrontarsi e cooperare, pur disponendo di una notevole percentuale di volontari di truppa, non hanno alcuna previsione di riduzione della ferma a valori minimi (4-6 mesi) e non hanno allo studio alcuna fonna di servizio militare diverso da quello in atto (per es. Milizia). Ben vengano quindi i provvedimenti per l'incremento del personale a lunga ferma, indispensabile per conferire adeguata efficienza alle unità e renderle operative anche per compiti faternazionali, ma attenzione a non creare con essi alibi per misure demagogiche e politicamente attraenti , che potrebbero avere per effetto il contrario di quello dichiarato: il dissolvimento irreparabile delle Forze armate"; Il problema dei costi è invece affrontato dal Generale Alberto Zignani, Capo Ufficio Generale Pianificazione e Programmazione finanziaria dello Stato Maggiore Esercito. Nella sua analisi il Generale Zignani ha sostanzialmente escluso le spese inerenti l'area non operativa, composta da area centrale, area interforze, area internazionale, area territoriale, area addestrativa, area scolastica, la leva, il reclutamento, la mobilitazione, un'area che assorbe circa 50.000 militari di truppa e che ha un costo elevato. Impossibile, o quanto meno non attendibile, individuare quali riduzioni saranno applicabili a questo settore complesso e non certo marginale.

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Il Generale Zignani ha incentrato l'analisi sulle forze operative, precisando che per spese di funzionamento: «intendiamo le spese di personale -ufficiali, sottufficiali e truppa - per stipendi, paghe, viveri, vestiario, igiene, spese cioè di mantenimento puro, e le spese che noi chiamiamo di esercizio, cioè le spese riferite ad addestramento, manutenzioni, riparazioni di armi, mezzi immobili, spese di funzionamento, di comandi ente e così via. In sintesi la spesa per l'attuale esercito, incentrato su 19 Brigate di leva, ad un costo di funzionamento 1991, ammonta a 5.140 miliardi, escluse le brigate che stiamo sciogliendo e che non ho inserito nel conteggio. Uno strumento, incentrato su 6/8 brigate, ha un costo di funzionamento valutabile attorno ai 6.100 miliardi anno (prezzi 1991), cioè circa 1.000 miliardi in più. Una brigata italiana oggi costa mediamente trenta miliardi l'anno. Presa la stessa brigata italiana così come oggi, portata al cento per cento dell'operatività con ufficiali, sottufficiali, personale e mezzi e previsto che compia integralmente tutte le esercitazioni che ognj anno lo Stato Maggiore dell'Esercito prevede, ma che poi non possono essere attuate per mancanza di fondi, di mezzi ed altro, il costo salirebbe a 70 miJiardi l'anno, più del doppio di quello che si spende attualmente per una brigata. Presi questi dati e confrontati con quello che spendono gl i inglesi per le loro brigate dislocate in Germania possiamo verificare che hanno un costo di esercizio, che fatto il cambio fra sterline e lira (dati fomiti dal nostro addetto militare in Inghilterra) ammonta a 75-80 miliardi l'anno. Questo vuol dire che la nostra brigata, se avesse tutto quello che dovrebbe avere e facesse tutto quello che dovrebbe fare, sarebbe esattamente uguale ad una brigata inglese. Se guardia mo ai tedeschi che hanno leva e volontariato, parlano di riportare a 18 mesi la leva, se guardiamo all'Europa, escludendo l'Inghilterra, nessuno parla di soluzioni diverse da quelle già adottate perché se si elimina o si riduce la leva e si incrementa il volontariato crescono vertiginosamente i costi e si é costretti a ridurre le unità; in tutto il mondo la leva costa di meno e questo rende chiare queste soluzioni. Laddove si opti per forze di una certa consistenza con il solo volontariato, va prevista a monte una sperimentazione precedente che determini la disponibilità di un volontariato.

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Oggi questa clisponibilità non c'è, oggi il volontariato non c'è, parliamo di una alternativa fra due cose che non esistono. Prima lo creiamo, creiamo questa clisponibilità, e qui il problema è puramente politico. Se si risolvono questi problemi, si verifica la disponibilità di volontari, allora possiamo discutere di volontariato, ci riuniamo e decidiamo che cosa vogliamo fare. Disponiamo di una leva, disponiamo di un volontariato, facciamo i conti, verifichiamo che cosa vogliamo fare e decidiamo. Ma dire che prima riduciamo la leva a cinque mesi e istituiamo il volontariato e poi stucliamo il modello a me sembra non una soluzione moderna, avanzata o una soluzione di buona volontà, ma la volontà cli distruggere quanto meno l'esercito. Tutto si può fare ma allora ci vuole chiarezza, la chiarezza di dire che vogliamo eliminare l'esercito. Si dica pure, ma con chiarezza, senza ambiguità". Il Colonnello Fabio Mini, Capo Ufficio DAP dello Stato Maggiore Esercito, affronta il tema dell'incidenza del sistema leva-volontariato sulle forze di polizia, la funzione-formazione dei Quadri e la responsabilità della realizzazione del progetto di ristrutturazione dell'Esercito. Da più parti viene messo in risalto che le forze di polizia, nelle diverse componenti sono troppe. Il Colonnello Mini precisa: "Mi permetto di aggiungere troppe e male impiegate. Non tanto dal punto di vista dei compiti d'istituto, nei quali non ho competenza ad esprimere un giudizio, quanto nelle attività di supporto e di impiego «a massa». Questi impegni caratterizzano l'impiego degli ausiliari che vengono tratti da un serbatoio già di per sé non ricco con una scrematura forzata e, in termini di equità sociale, sostanzialmente sleale. Agli ausiliari vengono assegnati compiti di vera e propria «manovalanza». Piantoni, guardie estenuanti, servizi d'ordine di massa, supporto logistico minuto, sostituzione, pura presenza. Raramente sono assegnati compiti di responsabilità che giustifichino uno status speciale, un trattamento economico ancora più speciale ed un drenaggio dalla leva dei «migliori»; In una ipotesi di revisione del modello di reclutamento modificare questa situazione è un imperativo prima sociale e poi funzionale. Sociale perché non ha senso perpetuare una disparità di trattamento di fronte ad un servizio obbligatorio; funzionale perché il mantenimen-

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to di una organizzazione eccessivamente ampia e articolata soltanto per gestire emergenze aperiodiche, saltuarie, imprevedibili o, anche se prevedibili e periodiche, non richiedenti una qualificazione specifica, nuoce all'efficacia di uno strumento che per definizione deve essere invece snello e flessibile. La Legge sui Principi ha sancito quale compito delle Forze Annate il concorso alla salvaguardia delle istituzione democratiche. È una potenzialità che dal 1978 ha trovato applicazione massiccia soltanto nel 1991 con il concorso alla difesa di istallazioni sensibili. Nulla vieta che questa integrazione di compiti tra Esercito e Forze dell'Ordine negli impegni di massa trovi puntale applicazione in maniera permanente. È una integrazione che, fra l'altro, oltre a consentire di snellire le Forze di Polizia restituirebbe ad esse le funzioni più pregiate con un incremento di professionalità tale da giustificare ogni vantaggio normativo e retributivo. Inoltre, il servizio di leva acquisterebbe in termini reali e non solo di principio la dimensione di integrazione nel territorio nazionale e nel suo tessuto amministrativo e sociale. Per quando riguarda la formazione e la funzione dei Quadri nel modello di milizia ritengo che siano argomenti da approfondire ulteriormente. Rimangono molte perplessità sulla formazione e su quella che viene quasi caparbiamente definita «la capitalizzazione sull'elemento umano». CapitaJizzazione significa accumulare, incrementare il valore iniziale di un investimento . Tendere all'acculturamento di un Ufficiale attraverso corsi, periodi sabbatici, studi civili e militari, università ecc. è certamente encomiabile, rimane tuttavia l'interrogativo: perché? Qual è il ritorno di questo investimento? Se è soltanto la capitalizzazione fine a se stessa potrà essere vantaggioso per la società nel complesso, ma non certo per l'istituzione. La capitalizzazione è forse qualcosa di cui sentiamo il bisogno, ma che purtroppo non possiamo permetterci. Un capitale fermo, inattivo, inutilizzato che si autoalimenta equivale alla cassetta dell'avaro nascosta sotto il mattone. Non c'è società avanzata che tenda a capitalizzare senza prevedre un ritorno. Anzi è vero il contrario: più è avanzata e più la società pretende da un piccolo investimento un grande profitto. In termini di formazione dei Quadri il profitto, o l'interesse, sta in quello che giornalmente devono fare e francamente in un sistema di

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milizia il ritorno, ipotetico e lontano, della mobilitazione generale non può giustificare una capitalizzazione eccessiva. IJ sistema forse vuole mascherare un disagio di fondo: un Ufficiale della Milizia quando è impegnato nell'addestramento di truppe leggere, a baso profilo tecnologico, scarsa preparazione tecnico-professionale di base, chiamate 15 giorni all'anno per un campo d'arma attendato che viene interrotto - ovviamente - per il santo week-end, non trova molta giustificazione né di formazione né di status. Di qui l'esigenza di capitalizzare in cultura, naturalmente non militare perché non necessaria. Sarà perché finora gli Ufficiali dell'Esercito si sono sentiti più limoni strizzati che tacchini all'ingrasso, sarà perché le prestazioni ad essi richieste sono state sempre superiori all'investimento iniziale, sarà perché in definitiva l'attrattiva della carriera dell'Ufficiale è tradizionalmente sempre stata il comando di uomini, il rapporto col personale, l'emulazione, l'agonismo, l'attivismo. Sarà per tutto questo, ma la prospettiva di una carriera a mezzo termine, il servizio part-time e la compensazione esclusivamente accademica non convincono. E ora una considerazione sulla responsabilità della realizzazione dì un progetto di ristrutturazione. Vi è chi, da ottimo conoscitore dei meccanismi di comunicazione, tende ad innescare un processo di manipolazione - che in semiotica è semplicemente inteso come operazione del «far fare» - attraverso il potere che esercita il bisogno di uniformità presente nei vari gruppi sociali. Elencando alcune camtteristiche positive del gruppo sociale militare e mettendole in relazione alla realizzazione del progetto proposto si suggerisce e si stimola «a fare», pena il non riconoscimento dell'appartenenza al gruppo. Il progetto viene definito molto ambizioso e si dichiara che ha bisogno di una «stabilità dell'alta direzione politica». La sua attuazione deve essere affidata a «responsabili decisi e tecnicamente capaci». Insomma se si attua così com'è si è decisi e capaci altrimenti si è indecisi e incapaci. È in pratica lo stesso meccanismo che caratterizza la vendita di blue-jeans laddove la «griffe» funge identificatore del "gruppo". Qui la griffe è la "Milizia" e chi non si indentifica in essa perde sia il diritto di appartenenza sia la possibilità di vantare di possedere le caratteristiche del gruppo.

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La chiamata in causa del senso di responsabilità, della capacità tecnica e deUa decisione deve valere anche come stimolo a resistere alle tentazioni , alle lusinghe, alle minacce ed alle penalizzazionj derivanti dal mancato rispetto dell'uniformità del gruppo. Senso di responsabilità, capacità tecnica e decisione che si pretendono da chi ha l'effettivo onere di comandare, gestire e amministrare un'organizzazione dello Stato. Con buona pace di gruppi, di griffe, di jeans".

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APPENDICE NQ 1

Per chi intenda approfondire e affinché la documentazione non venga inghiottita dagli archivi e sommersa dalla polvere, si propone in questa appendice il testo integrale dell'intervento tenuto dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Generale Goffredo Canino, durante la cerimonia di inaugurazione dell'anno accademico alla Scuola di applicazione di Torino, il 14 Novembre 1990. Ma prima siano consentite alcune considerazioni, volutamente escluse dalle pagine precedenti per quanto risulterà chiaro a coloro che vorranno leggere. Numerose ricerche effettuate all'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito per lavori relativi alla Grande Guerra e al Secondo conflitto mondiale, al Memorial di Caen, Normandia, sulle vicende legate al D-day, a Orlon, Arnhem, Nimega in Olanda, in Lussemburgo, nelle Ardenne, a Sedan, e altrove hanno rafforzato una convinzione: non vi è nulla di più drammatico per un ricercatore del riscontrare in un documento una verità non riconosciuta al momento della stesura del documento stesso e in seguito confermata, invece, dai fatti. Il riferimento al libro del Generale Montanari e alla questione dei carri armati e della produzione industriale ne è un esempio. La questione era nota da tempo e affrontata anche da autorevoli studiosi ( e persino da chi scrive), ma con scarsissima incidenza sul giudizio storico per il fatto che in Italia, stante la carenza di produzione di lavori storici da parte delle università, l'indifferenza e l'atteggiamento molto chiuso di certi editori, la mancanza di una autentica scuola storica, è quasi impossibile ottenere la necessaria attenzione e il dovuto riscontro a fronte di lavori scrupolosi, corretti e documentati. È necessario che le risultanze, soprattutto se contrastano con il giudizio precedentemente espresso da fonti ufficiali, siano rettificate dalle stesse fonti. In considerazione di ciò, l'autore non si fa soverchie illusioni sulla possibilità che le pagine precedenti abbiano una qualche possibilità di suscitare attenzione e interesse e quindi circolazione tra i lettori, anche perché è nota, nel nostro paese, non solo la pigrizia nel leggere, ma

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anche perché l'argomento Esercito, Forze Annate, sicurezza, difesa non ha buona stampa. Purtuttavia, l'esperienza acquisita nelle varie ricerche inducono a insistere se non altro,e non vuol essere un'autocensura e una autolimitazione delle capacità della provvidenza, per lasciare una traccia dell'impegno profuso da chi ha ritenuto giusto, doveroso, indispensabile non subire passivamente di fronte a un disegno finalizzato allo srnantelJamento progressivo dell'Esercito e non per un ideale irrorato di sentimento patriottico, ma per una valutazione fredda e distaccata della realtà nella quale il paese è immerso e senza della quale non sarebbe nella graduatoria delle sette potenze più industrializzate dell'occidente. Contrariamente a quanto si è potuto fare con argomenti non vissuti, se non marginalmente, per questioni anagrafiche, qui si intende mettere in evidenza i documenti prima che gli effetti delle decisioni arrechino i danni. Anche nella speranza, ma senza illusioni, che qualcosa sia possibile scongiurare. In caso contrario sarà disponibile una testimonianza, un'occasione per contribuire a comprendere, un supporto dialettico proteso alla sensibilizzazione relativamente a una questione di capitale importanza e costantemente relegata ai margini della vita pubblica. L'Italia è celebre per le occasioni perdute, per una sorta di autolesionismo endemico. Il documento che segue è soprattutto indirizzato ai giovani, a quanti tra i giovani siano intenzion<J,ti a conquistare la propria dignità di uomini e di cittadini sulla base del proprio giudizio personale e ad assumersene apertamente la responsabilità. Onorevole Sottosegretario, Autorità civili e religiose, Gentili Signore, carissimi colleghi, Ufficiali del Quadro Permanente e Accademici del Corpo insegnante, Ufficiali allievi dei Corsi di applicazione, a tutti il mio caloroso saluto. Normalmente l'inaugurazione di un nuovo anno accademico di un Istituto di formazione del livello e del prestigio di questa Scuola è l'occasione per augurare buon lavoro a docenti e discenti. Talvolta è l'occasione per fornire nuove direttive didattiche o per ascoltare dotte prolusioni che possono anche fare storia nel mondo accademico. In questa Università Militare, oggi, nell'attuale contest~ socialepolitico ed economico nazionale ed internazionale, ritengo riduttivi entrambi gli indirizzi.

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Non è mio intendimento impostare un discorso programmatico. Tuttavia, colgo con piacere questa opportunità per esprimere qualche spunto di meditazione per Voi e con Voi, che siete a tutti gli effetti le più giovani leve degli Ufficiali della Forza Annata, sul futuro dell'Esercito. Non stiamo vivendo tempi normali. Sono addirittura eccezionali nella dimensione internazionale. Sono comunque di emergenza nella dimensione nazionale. E a questo punto ritengo opportuna una prima esortazione: anche se ci siamo abituati a convivere con il concetto di emergenza, dobbiamo però rifiutarne la logica. Soprattutto dobbiamo rifiutare la tendenza a privilegiare una sintesi, che spesso si rivela fallace perché non sostenuta da una seria ricerca preliminare. Dobbiamo rifiutare la logica delle soluzioni transitorie, dei provvedimenti "tampone", di tutto ciò che non è teso alla risoluzione dei problemi, ma che si limita a contenerne temporaneamente gli effetti più perversi. Per quanto concerne la Difesa, la logica dell'emergenza ha già provocato un danno gravissimo: quello di aver procrastinato oltre ogni ragionevole limite l'esame serio, professionale, globale, del problema difensivo nazionale nelle giuste sedi istituzionali. Per oltre 40 anni il problema della Difesa in Italia è stato importante ma statico, in quanto si risolveva prevalentemente nel quadro della NATO. Dall'anno scorso è diventato estremamente dinamico. Di tale problema, a mio avviso, si devono ora far carico non solo gli addetti ai lavori, ma anche e - soprattutto - i leaders politici, affinché, con la loro convinta partecipazione, si avvii un esame approfondito e ragionevole. Parlare di difesa, è peraltro divenuto argomento da salotto, se non addirittura da circolo ricreativo. Ma fino a quando la discussione si sviluppasse e rimanesse nell'ambito del club non vi sarebbe nulla di eccezionale. Il fatto in sé assume invece connotazioni pericolose quando le varie opinioni formate al di fuori dell'ambito istituzionale, attraverso i cosiddetti "canali informali", raggiungono le sedi decisionali e le influenzano. Non a caso ho fatto l'esempio del club. Ogni opinione oggi trova un gruppo consenziente. Un gruppo che deve salvaguardare i propri interessi. Ma credetemi: raramente gli interessi dei gruppi di pressione coincidono con quelli delle istituzioni.

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In questa atmosfera caratterizzata quindi da fluidità e da incertezza desidero essere con voi, Ufficiali allievi, estremamente chiaro. È la vostra età a suggerirmi questo atteggiamento ed è la prospettiva del vostro futuro ad impormelo. Oggi, infatti, si decide e va deciso del vostro futuro. Concordo pienamente con il Sig. Ministro quando afferma (e qui cito testualmente) "le dirigenze militari devono pensare in termini culturali e politici, non solo in termini strettamente specialistici". È un magnifico concetto che onora chi lo esprime, perché fortemente innovativo e segno di apertura inusitata nei confronti della Dirigenza Militare. Allora anch'io mi sento autorizzato a lanciare un messaggio: in questo nuovo clima chi ha la responsabilità di decidere deve finalmente dire che cosa si aspetta dalla F.A. e quindi dall'Esercito. Deve stabilirne in modo inequivocabile i compiti. Sarà cura di noi militari definire lo strumento tecnicamente idoneo ad assolverli e chiedere le risorse onestamente ritenute indispensabili. Soltanto in questo modo si potrà disegnare l'Esercito del 2000 nei suoi aspetti ordinativi dai quali poi far discendere quelli strutturali, logistici e, non ultimi, quelli del personale, nelle chiavi di volta del reclutamento, dello stato e dell'avanzamento. La nostra attesa, comunque, non sarà attendismo. La Scuola di Guerra, l'Istituto che - per definizione - è fucina del pensiero dell'Esercito, di quel pensiero che qualcuno ci ha accusato di non avere, ha già sviluppato un'attenta analisi dei principali fattori. Unitamente allo Stato Maggiore, quest'analisi è stata discussa e ampiamente verificata. Verrà tra breve pubblicata e per non pochi costituirà una sorpresa, perché conduce in maniera quasi cartesiana a valutazioni molto diverse da quelle che si danno ora per scontate. A questa fase analitica, la Scuola di Guerra farà seguire quella propositiva, che costituirà base di riferimento per la discussione cui l'Esercito sarà chiamato nelle sedi istituzionali; vale a dire presso lo Stato Maggiore della Difesa e nei confronti del Signor Ministro. Purtroppo, in passato, ogni volta che ci si è allontanati da questo indirizzo metodologico, si sono create situazioni devastanti. Mi riferisco, ad esempio, alla ristrutturazione del 1975 che, nonostante gli enormi sacrifici materiali e morali compiuti in nome di una elevazione qualitativa

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sostanziale, non ha raggiungo i traguardi prefissati. Dieci anni dopo, infatti, il Capo di Stato Maggiore della Difesa era costretto a ammettere che le risorse assegnate si erano via via polverizzate e settori fon~amentali dello strumento militare erano ancora a livelli inaccettabili. Ricordo ancora la "Legge sui Principi" del 1978 che, per andare incontro ad alcune istanze sociali e politiche, ha fornito il destro ad interpretazioni forzate e distorte che hanno rischiato di compromettere la compattezza delle Forze Armate ed il loro principio basilare: la disciplina. Per ultimo, ma solo in ordine di tempo, ricordo il recente provvedimento sulla regolamentazione dell'orario di servizio e dello straordinario. Anche in questo caso la fretta di accogliere istanze parziali può provocare danni irreversibili. Cosa significa l'orario di servizio per un Comandante? Significa, forse, ulteriore acquiescenza al principio della " responsabilità limitata" che - di fatto - è stata introdotta con la legge sui principi? Chi ha uomini alle dipendenze, come può sottrarsi alla responsabilità del proprio operato dopo le 16.30? E quanto vale in "contanti" questa responsabilità, che poi è l'altra faccia dell'autorità che lo Stato attribuisce ad ogni grado della catena gerarchica? Si tratta, in altre parole, della stessa responsabilità che impone ai Comandanti di restituire integri e migliori gli uomini che la Nazione affida loro, per 365 giorni e 365 notti, in ogni ambiente e per qualsiasi attività: da quella addestrativa a quella ricreativa. Attribuire miglioramenti economici con un compenso per un lavoro "straordinario" di poche ore, nel nostro caso, è quasi un insulto. Può andar bene per chi ha una visione burocratica della professione di Ufficiale, non certo per chi come noi e, mi auguro, come voi, ha scelto questa strada credendo fermamente in un ideale di vita connotato da abnegazione, decoro,onestà, disciplina. Perché, vedete, se dobbiamo ricevere un compenso straordinario allora è straordinario non tanto ciò che facciamo, ma il motivo per cui lo facciamo e con chi lo facciamo. Scindere l'attività di un Comandante in ordinaria e straordinaria è una contraddizione in termini, perché il Comando è unico, totale, incessante e, con esso, globali sono tutte le attribuzioni conseguenti.

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Sono necessari miglioramenti economici? Certo: ma che questi non vadano a scapito della peculiarità e della straordinarietà della nostra · professione; e, soprattutto, che non vadano ad incidere sull'etica militare. Se poi nelle alterne vicende umane, in qualche periodo, la nostra categoria risulterà sottoretribuita, vorrà dire che ci sentiremo "poveri". Ma saremo "l'aristocrazia della povertà", perché come la nostra professione non trova corrispettivo adeguato nel solo "soldo", così l'attività che svolgiamo non è solo "lavoro". Anzi: è soprattutto stile, esempio, dedizione, educazione, formazione, addestramento, cultura. Voi giovani Ufficiali, che vi apprestate ad esercitare la professione di Comandanti, non lasciatevi allettare da fuorvianti promesse di maggiori retribuzioni e di più rapide carriere o da richiami velleitari che mirano a modificare l'essenza strutturale del nostro Esercito. Ogni concessione fatta, o strappata, in questi settori negli ultimi 30 anni ha richiesto un prezzo altissimo in prestigio, credibilità, c.onsenso nazionale: un prezzo che abbiamo pagato solo in parte sulla nostra pelle e che, per lo più, ci portiamo dietro come debito che anche voi e le generazioni future dovrete pagare. Ho citato solo tre esempi macroscopici di eventi negativi a cui siamo andati incontro nel passato, remoto e recente, ogni volta che siamo stati costretti ad affrontare i problemi in maniera affrettata e settoriale. Oggi abbiamo il compito di riordinare l'Esercito e penso che la situazione attuale richieda estremo rigore nell'affrontarlo ed una sorta di rito di purificazione intellettuale preliminare. La purificazione, come la veglia del cavaliere medievale prima dell'investitura, riguarda la rivalutazione della " Regola". 11 rigore riguarda l'esame approfondito della struttura da rifondare. Per "regola" intendo il complesso di limitazioni e di vincoli di origine costituzionale, legislativa, normativa e regolamentare, a cui il militare deve sottostare subordinando ogni scelta ed atto della sua vita. È quindi " regola" nel vero senso monastico ed è evidente che chi vi si assoggetta non diventa un cittadino di serie inferiore; anzi, la nobiltà della sua scelta di vita consiste proprio nel fatto di aver accettato liberamente obblighi suppletivi di soggezioni alle leggi, alfine di assicurare la propria fedeltà e la completa disponibilità al bene della Nazione. Ebbene, questo modo di essere, a mio avviso, proprio per i motivi che ho appena esemplificato, si è fortemente incrinato. È quindi indi-

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spensabile recuperare il vero spirito della regola ancor prima di pensare di affrontare i problemi della struttura in termini di personale e risorse. Chiunque avanzi proposte limitandosi agli aspetti tecnici, senza tener conto che la regola è uno dei pilastri fondamentali su cui si regge l'organizzazione delle Forze Armate, non può che giungere a soluzioni parziali e quindi non rispondenti. Chi pensa al modello di Difesa come ad un modello matematico non tiene conto dello spirito della regola e così inficia alla base anche la soluzione tecnica più ardita. Oggi, dunque, il problema è quello di ripensare la Difesa nella sua globalità, tenendo conto degli insegnamenti del passato e avendo come obiettivo una struttura nuova, ma stabile, ponderatamente equilibrata e, soprattutto, credibile. In questo processo c'è spazio per tutti, anche per i liberi pensatori: dai fautori di un esercito di popolo a quelli che propongono l'esercito professionale. Basta che tutto derivi, lo ripeterò fino alla noia, da un esame serio e organico. Noi, come dicevo, non staremo ad attendere, come manna dal cielo, una soluzione preconfezionata. Ma non nascondo che l'impresa si presenta difficile e la disinvoltura con la quale molti si lanciano in proposte mi lascia veramente perplesso. Prendiamo ad esempio i due presupposti fondamentali del processo di riordinamento: la situazione internazionale e la disponibilità di risorse. In maniera quasi lapalissiana, da più parti si cerca di stabilire questi assiomi. 12 • L'Est europeo si è sfasciato e la minaccia terrestre non esiste più, mentre esiste una minaccia nel Mediterraneo. Ergo: occorre ridurre la componente terrestre e potenziare quella navale e quella aerea. 22 • Assioma: per migliorare il livello qualitativo delle Forze Armate, basta ridurre la chiamata alle armi dei militari di leva. Chiamare meno soldati significa risparmiare soldi da investire nei materiali. In merito al primo paradigma, faccio soltanto osservare che, come hanno posto in evidenza le analisi della Scuola di Guerra e dei nostri servizi informativi, la minaccia dell'est europeo non è affatto scomparsa. Si è soltanto evoluta nella qualità e si è modificata nei parametri "spazio" e "tempo".

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Non pensiamo soltanto alla situazione odierna. Non lasciamoci influenzare dal facile ottimismo che deriva dalla constatazione che un sistema politico-sociale, considerato per decenni ostile e granitico, si è invece improvvisamente rivelato fragile ed impreparato. Pensiamo al futuro ed a quale equilibrio si potrà instaurare in Europa e nel mondo al posto di quello dei blocchi in contrapposizione. Come riuscirà l'URSS a superare le spinte nazionalistiche? Saranno le etnie a prevalere o il senso dell'unione? E l'unità dello Stato sarà mantenuta con l'ideologia (ormai crollata), con l'economia (mai decollata) e con la potenza militare (in costante incremento)? La minaccia dell'est non è imminente, ma di certo e immanente. D'altra parte, mentre si sottovaluta una situazione di estrema variabilità, si tende ad ipervalutare la situazione nell'area mediterranea. Ebbene, è il momento di affermarlo con chiarezza: oggi e nel futuro a medio tennine, nessun paese del Mediterraneo è in grado di minacciare seriamente, dal punto di vista militare, il territorio italiano. Neanche le intemperanze di qualche leader africano o le rivendicazioni di carattere più o meno " ittico" possono essere interpretate come minacce alla sicurezza nazionale. Mai come ora il " mare nostrum", per quanto riguarda la sicurezza dei nostri 8.000 km di coste, è apparso più tranquillo. Per il prossimo futuro, è prevedibile che le nostre attuali forze aeronavali siano in grado di controllare agevolmente lo specchio d'acqua di competenza. Questo, ovviamente, a meno di compiti nuovi da assegnare alle Forze Armate, non per difendere confini (come a tutt'oggi la Costituzione impone) ma per salvaguardare interessi nazionali qualunque e dovunque. In questo caso, oltre alla revisione della Legge fondamentale dello Stato, sarebbero necessarie Forze Armate di tutt'altra qualità e dimensione e, soprattutto, ci vorrebbero risorse ben maggiori di quelle che il paese oggi assegna. E qui veniamo al secondo assioma relativo al reperimento delle risorse finanziarie per elevare la qualità delle Forze Armate riducendo il contingente di leva. Non so se vi sia un disegno preordinato di disinformazione o se si tratti soltanto di problemi di computo ragionieristico, ma quando sento dire, anche da fonti autorevoli, che tagliando 25.000 uomini si hanno i

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fondi necessari per comprare nuove navi, nuovi aeroplani, elicotteri d'attacco, autoblindo, sistemi contraerei e così via, rimango davvero perplesso. Perplessità che aumenta quando sento poi dire che con gli stessi soldi si possono anche reclutare volontari. Facciamo un po' di conti. Un soldato di leva per un anno costa 6 milioni: 25.000 uomini all'anno costano quindi 150 miliardi. Con questa cifra non è certo possibile pensare di soddisfare le esigenze di ammodernamento. Basti pensare che, con 150 miliardi, si potranno comprare al massimo 2 aerei EFA o 5 elicotteri d'attacco, oppure costruire 20 metri lineari di incrociatore. Il concetto, purtroppo, è semplice e drammatico allo stesso tempo. Con i bilanci attuali nessuna delle 3 Forze Armate è in grado di ammodernare alcunché. Dalle riduzioni di forza si possono ottenere limitati risparmi che potrebbero servire per non far decadere troppo in fretta ciò che resta, ma non certamente per migliorarlo. Per un concreto e sostanziale programma di ammodernamento o per un diverso reclutamento del personale occorrono risorse "ad hoc", allocate con provvedimenti speciali nel Bilancio di ciascuna Forza Armata. Chi pensa in altro modo o è in buona fede, ma non dimostra dimestichezza con i conti elementari; oppure è in malafede: e allora i conti sa farli benissimo, ma non nell'interesse della collettività nazionale. L'Esercito, e non solo l'Esercito, ma anche le altre Forze Armate e l'area tecnico-amministrativa devono rivedere le proprie strutture in un quadro armonicamente riduttivo e di integrazione, soprattutto nei settori del Comando e controllo e della logistica. Ovviamente, l'obiettivo irrinunciabile non può che essere la qualità, a parole sostenuta da tutti, che poi si traduce nel fattore di sicurezza più importante: la credibilità. In definitiva, ritengo che si stia affrontando tutto il problema, compreso l'aspetto finanziario, con troppa fretta. Ed è una fretta ingiustificata. Proprio perché nell'attuale quadro di situazione politico-strategico non è più individuabile una incombente minaccia alla sicurezza .del Paese, c'è tutto il tempo per esaminare il problema con accuratezza nelle sedi istituzionali più opportune. Si può benissimo avviare un confronto dialettico fra tutti coloro che abbiano proposte ragionevoli da

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avanzare, tenendo conto dei condizionamenti sociali, strutturali e finanziari e dell'evoluzione del pensiero NATO e di quello europeo. In questo senso, appaiono abbastanza lacunose anche le varie proposte per un esercito futuro. C'è chi propone lo stesso esercito di ora con una ferma di 1O mesi: così aumenterebbero i costi e diminuirebbe l'efficienza. Oppure, c'è chi propone la riduzione ad 8 mesi e l'incremento dei volontari, senza però offrire un incentivo idoneo a promuovere un reclutamento che in 4 anni ci ha fornito solo 9.000 volontari a ferma prolungata. Altri propongono la riduzione della leva a 6 o 4 mesi, insieme ad un s istema di mobilitazione periodica e ad un nucleo di unità costituite interamente di volontari. Ma sono state valutate le implicazioni? Le varie proposte che - di fatto - si ispirano a modelli di milizia d'altri tempi o d'altri paesi non considerano attentamente alcuni fattori: - 12 . La milizia non è un sistema militare, è un sistema sociale. Per adottarlo ci vuole una società a forte connotazione nazionaHstica, in cui ogni individuo già partecipi attivamente all'interesse comune. - 22 • L'esercito di milizia non è mai immediatamente pronto e per portarlo ad un grado accettabile di operatività occorre, da parte dei cittadini, un sacrificio costante e continuato che va al di là dei 12 mesi di leva. - 32 • I Quadri cui affidare l'addestramento iniziale sono destinati ad un decadimento qualitativo irreversibile. Macinati da una routine fatta di vestizioni, istruzioni elementari, esercitazioni di squadra, i nostri Ufficiali e Sottufficiali regredirebbero a standard professionali e culturali inaccettabili. - 4 2 • Un esercito di milizia è legato intimamente al territorio e alla difesa civile. Non ha alcuna capacità di partecipazione e tanto meno di integrazione in una alleanza, né in una cooperazione o un'azione di tipo multinazionale. Mentre si discute, finalmente, di un'Esercito Europeo parlare di una milizia nazionale è perlomeno anacronistico. -52 • Infine l'esercito di milizia gode di una fama non comprovata. Mentre si discute sui vantaggi e sugli svantaggi tecnico-operativi di eserciti di leva e di eserciti di mestiere, di leva corta o lunga, di professionisti o mercenari, non si indaga più di tanto sulla operatività della milizia. Il fatto è che non esiste alcun esempio probatorio reale sull'efficacia di tale sistema. Nessuno ha mai pensato ad invadere la Svizzera e così la milizia nazionale è per così dire "assolta per insufficienza di

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prove". Da questo a indicare il sistema di milizia come modello mutuabile o esportabile ad altre situazioni diverse per struttura sociale, ambiente naturale, mentalità, politica e interessi, ci vuole parecchio. E veniamo agli uomini. Ai protagonisti di questo nuovo Esercito tutto da costruire. Numerosi esperti, di varia estrazione politica e culturale, come anche molti militari, sembrano ormai concordare sulla valutazione che la coscrizione obbligatoria abbia fatto il suo tempo Io non la condivido. Credo infatti che non si possa rinunciare né al coinvolgimento diretto e personale di tutti i cittadini nella difesa armata né alla funzione unificatrice e formativa dell'Esercito. La Nazione deve pretendere che tutti i suoi componenti validi partecipino alla salvaguardia dell'integrità dello Stato ed i cittadini devono esigere di essere addestrati, preparati, inquadrati e guidati con competenza. Si potrà discutere sulla ferma breve o lunga; sull'integrazione con un sìstema di volontariato e anche sul coordinamento con un servizio sostitutivo civile, ma tutti i cittadini devono essere in grado di rispondere alla mobilitazione per qualsiasi tipo di emergenza. Da più parti, da gruppi politici e da "maitre à penser", vengono avanzate proposte per accentuare il volontariato nell'ambito della Forza Armata, prevedendo o una componente volontaria che coesista .con una di leva a larga intelaiatura oppure la soppressione della leva "toutcourt". Vorrei soffermarmi su questo argomento, perché considero l'aspetto del volontariato la chiave di volta di ogni possibile soluzione futura. In strettissima sintesi, dall'esame della collocazione geostrategica dell'Italia e da quello della situazione internazionale emergono due esigenze: - la prima consiste nella difesa del territorio nazionale contro qualsiasi minaccia e questa non può che essere affrontata da tutti i cittadini. Ne discende la necessità di non sopprimere il meccanismo della leva, per garantire, in caso d'emergenza, la mobilitazione; - la seconda esigenza - e il caso del Golfo Persico ne è un esempio attuale - riguarda la necessità di fronteggiare particolari crisi internazionali in cui alla Nazione può essere richiesto anche l'intervento armato per difendere in un quadro ONU o Europeo - la pace o il diritto internazionale, le basi stesse del nostro sistema di vita.

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Per assolvere questa seconda funzione è indiscusso che meglio si presta una componente, diciamo di pronte intervento, ad alto profilo professionale. Non è esc1uso inoltre che questa componente volontaria, oltre un'auspicata opzione, non finisca per essere una necessità. Il gettito di leva, infatti, approssimativamente nel 1996, risulterà insufficiente ad alimentare le unità, anche nella futura configurazione ridotta. Di qui l'esigenza di una componente volontaria e, a1 limite, l'opportunità del rec1utamento femminile. Quindi, sia chiaro subito un concetto - e lo ripeto perché temo di essere stato frainteso in altre occasioni - sono FAVOREVOLE alla costituzione di una componente volontaria dell'entità di 4-5 Brigate, pari a circa 30 mila uomini. , Preso atto di questo, ritengo che tutti - e noi per primi, che saremo chiamati a gestire sia la componente volontaria sia que11a di leva - tutti, dicevo, dobbiamo seriamente riflettere sui presupposti da creare per ben reclutare non solo i volontari, ma anche gli Ufficiale ed i Sottufficiali destinati ad inquadrarli. In quest'ottica, bisogna innanzitutto definire la tipologia del volontario. Ovviamente questo professionista della sicurezza deve avere connotati specifici ben diversi da quelli degli attuali VFP. Innanzitutto, è un combattente. È polifunzionale. Sa maneggiare tutte le armi e impiegare tutti i materiali della propria specialità. Ha una motivazione ideale più ampia e, se vogliamo, più matura: sa che può morire per la difesa della Patria, come tutti, ma anche per la sicurezza e la pace laddove lo Stato deciderà di intervenire nel quadro di missioni condotte da Organismi sovranazionali. È sottoposto ad un cic1o addestrativo e operativo continuo e intenso. Ha in dotazione i mezzi e gli armamenti più sofisticati. Deve sottostare a continui controlli psico-fisici e professionali. E, soprattutto, è vincolato a una Regola più dura. Perché questi connotati non rimangano pie aspirazione e perché la Nazione possa disporre domani di un tale "sistema operativo" occorre agire fin da ora, soprattutto per creare le condizioni legislative e psicologiche che ne consentano l'acquisizione, vale a dire il reclutamento, e la formazione.

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Il problema non è di facile soluzione. È necessario rimuovere una serie di ostacoli che concretamente, allo stato attuale, si oppongono alla realizzazione del progetto. A voi, che siete già professionisti, a voi che vi troverete a comandare tali uomini, indico soltanto alcuni dei più importanti nodi da sciogliere. Occorrerà, innanzitutto: - adeguare il dettato costituzionale ai nuovi impieghi previsti; - stabilire concreti incentivi al reclutamento dei volontari attraverso retribuzioni adeguate e garanzie di inserimento nel mondo del lavoro dopo il proscioglimento, affinché la parte migliore dei giovani non trovi penalizzante il periodo di servizio attivo; - occorrerà modificare metodiche addestrative e tecniche di impiego; - infine, bisognerà disporre di consistenti risorse finanziarie per garantire l'aggiornamento costante dei materiali e l'addestramento più intenso. Ripeto, sono favorevole ai volontari, ma bisogna risolvere i problemi che ho indicato ed anche dare risposta ad alcuni interrogativi che vi enuncio: - Come si integrerà la componente volontaria con quella di leva? - Si avranno 2 Eserciti a "velocità" differep.ziata? - Si costituiranno caste guerriere e paria? - Come si qualificheranno o dequalificheranno i Quadri destinati all'una componente o all'altra? - Se un soldato professionista sarà un "sistema" ad alto profilo umano e tecnologico, come _dovranno essere reclutati e formati i suoi comandanti? - Se un volontario dovrà essere pagato non meno di due milioni al mese, quanto dovranno essere pagati i suoi Ufficiali e Sottufficiali? - Quali altri accorgimenti dovranno essere presi per evitare che l'Esercito si traduca in un coacervo di diseredati ai quali viene appaltata la difesa degli interessi di una Nazione che, a diritto, è considerata la quinta potenza industriale del mondo? Questi sono soltanto alcuni dei principali interrogativi a cui si dovrà dare risposta prima di affrontare il problema della componente professionale dell'Esercito. Chi non lo facesse dimostrerebbe di non curarsi della difesa

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nazionale. Al massimo auspicherebbe un esercito risibile per brevi e non impegnative avventure. Infine desidero evidenziare alcuru aspetti significativi in merito alle risorse finanziarie. Da qualche tempo l'Esercito si vede coinvolto in una spirale riduttiva che deriva dall'equazione risorse= uomiru = unità. Con questa filosofia, chi gestisce le risorse (anche dal solo punto di vista tecnico) potrebbe sciogliere autonomamente l'Esercito. Tale equazione innesca una reazione perversa, dagli effetti dirompenti, il cui sviluppo è: unità soppresse - comandi in meno - infrastrutture abbandonate, mezzi abbandonati, reclutamento meno consistente, profili di carriera ridotti, numero avanzamenti limitati, struttura operativa sproporzionatamente piccola rispetto a quella tecruco-ammirustrativa (personale civile), struttura non espandibile all'emergenza. In sintesi, chiunque abbia interesse a sovvertire un quadro politico, tecnico-militare e sociale preesistente, senza sottostare ai vincoli costituzionali o alle procedure parlamentari previste, può farlo sostenendo o facendosi promotore di una riduzione delle risorse. Questo è inaccettabile e la struttura dell'Esercito non può prestarsi a tale gioco. L'Esercito può essere vincolato soltanto a questa equazione: esigenze - struttura - risorse. Chi vuole quindi modificare la struttura deve agire sulle esigenze: in pratica, sui compiti da assolvere. E questo può essere fatto soltanto dal Parlamento. Desidero ora concludere richiamando per sommi capi quanto ho voluto proporvi. Stiamo costruendo l'esercito del futuro in maniera scrupolosa e attenta. Operiamo con sererutà e determinazione nelle sedi istituzionali più opportune, sia tramite approfonditi contributi di pensiero finalizzati a taluni problemi sia tramite meditate proposte globali. Occorre, da parte di tutti, una partecipazione appassionata e fattiva, non scevra da stretta vigilanza, espressa in ogni sede in ogni circostanza, per controbattere idee che non abbiano subito il concreto vaglio del contraddittorio. Non c'è fretta; nel senso che non ci sono da prendere decisioni all'insegna del "prima presto e poi bene"; ma non possiamo neppure ill\lderci che qualcun altro faccia il nostro lavoro.

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Il processo che abbiamo avviato è aderente all'unico approccio intellettuale e metodologico corretto che si conosce. Esso passa attraverso tre fasi fondamentali: - prima: definizione o ridefinizione dei compiti dello strumento militare, nel suo complesso, e delle singole Forze Armate, in particolare; - seconda: conseguente individuazione delle strutture necessarie per ciascuna Forza Armata, ivi comprese le esigenze di personale e mezzi; - terza: responsabile predisposizione delle risorse finanziarie per ottenere Forze Armate moderne e credibili, evitando che, ancora una volta, ci si trovi davanti alla drastica riduzione delle forze ed al mero mantenimento di ciò che rimane e, per di più, a livello qualitativo scadente. Richiamo ancora alla vostra riflessione il problema della "regola"; per un Esercito del futuro, che sia davvero efficiente, lo spirito autentico della Regola deve essere recuperato. A nulla servirebbero le strutture, se la qualità degli uomini destinati a gestirle (gli Ufficiali, i Sottufficiali ed i Soldati) non fossero di altissima qualità e motivazione ideale. E per non essere accusati di avere scarse capacità propositive, voglio portare alla vostra attenzione quella che, al momento, io ed il mio Stato Maggiore riteniamo la soluzione più rispondente. Il nostro obiettivo è quello di costruire un Esercito composto da: - una componente volontaria e professionale, di 4-5 Brigate, articolate per specialità (ad esempio: B.cor., mec., mot., par. ed alp.) per un totale, come ho già detto, di circa 30 mila uomini; - un certo numero, da definire successivamente, di Brigate di leva, ottimamente inquadrate e bene armate, nelle quali immettere i giovani per il servizio militare obbligatorio. Se tale periodo fosse di 12 mesi, queste Brigate, oltre al connotato addestrativo ai fino della mobilitazione avrebbero una concreta validità operativa. Con ferme al di sotto di tale limite, diminuirebbe l'operatività. Tutto l'apparato - nelle sue due componenti, volontaria e di leva dovrebbe essere sostenuto da una rinnovata, snella ed efficiente organizzazione ogistica, magari con connotati interforze, in grado di soste-

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nere lo strumento sia in operazioni sul territorio nazionale sia, e questa è la novità, in operazioni a lungo raggio in ambito europeo e mondiale. Oltre all'Esercito così composto, auspichiamo un Servizio Civile Nazionale nel quale fare confluire - per equità e giustizia _sociale - la parte del contingente di leva non impiegata nel servizio militare. Riteniamo inoltre indispensabile che gli arruolamenti - a qualsiasi titolo - nei Corpi Armati dello Stato siano riservati ai soli giovani che abbiano compiuto senza demerito il servizio militare, o quali volontari o quali coscritti. Vediamo infine una riarticolazione ancor più allegerita e funzionale della linea di comando puntando, per quanto riguarda soprattutto i vertici, alla totale integrazione interforze, facendo risalire al Capo di SM della Difesa le concrete attribuzioni decisionali. Questi i punti essenziali della nostra idea, sulla quale, è chiaro, si svilupperanno i necessari dibattiti in tutte le sedi. Vi esorto a valutare nella giusta ottica il panorama che oggi vi si prospetta. Esso può apparirvi confuso, e forse lo è; ma ricordate che solo dai fermenti, dalle situazioni in movimento - e per ciò stesso difficilmente chiare e schematizzabili - possono nascere i grandi cambiamenti. Guardate quindi con fiducia al futuro. Vi accingete ad entrare in un Esercito che già troverete profondamente diverso da quello che avete imparato a conoscere sino ad oggi. Il dinamismo e la fluidità delle situazioni ordinative e strutturali vi stimoleranno, anche se potranno procurarvi amarezze e delusioni. Non vi impressionate e reagite con forza. Siate certi che coloro che banno le maggiori responsabilità (me incluso) sono estremamente vigili perché sia realizzata una struttura militare certamente ridotta ma sempre credibile. Siate disposti al sacrificio. Rifiutate la strisciante civilizzazione e tutti insieme difendiamo la nostra atipicità, sostenendo di buon grado anche una regola più dura. Il vostro contributo, giovani Ufficiali, è essenziale. Lo scopo del vostro studio e della vostra applicazione deve essere inteso in una dimensione che vede l'Italia inserita in uq'Europa nuova per situazioni politico-sociali e per equilibri di sicurezza. E qui, in questa Scuola, che così bene contribuisce a creare il ponte ideale tra passato e futuro, la funzione svolta da tutti voi Ufficiali e

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Sottufficiali del Quadro permanente e insegnanti del Corpo Accademico, assume oggi un significato eccezionale: la formazione di un ordine corale di pensiero, d'azione, di cultura e di professionalità, che possa sostenere l'Esercito che stiamo tentando di costruire nell'interesse supremo della difesa della nostra Patria.

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APPENDICE NQ2

Il concetto del fuori area, attualmente considerato uno dei punti fondamentali della concezione strategica del presidente Bush, quindi assimilabile ad una evoluzione della dottrina Truman, e di quella di Reagan, nella duplice finalità del mantenimento degli equilibri e della salvaguardia degli interessi americani e più in generale dell'area economica occidentale, ha dei precedenti storici antichi, legati ad alcuni fattori scarsamente considerati. Il conflitto nel Golfo Persico è scoppiato apparentemente per ripristinare l'ordine legale internazionale turbato dall'invasione irakena del Kuwait, in realtà per impedire che le maggiori riserve petrolifere del globo cadessero sotto il controllo di un solo governo. Si è trattato dell'uso della forza per impedire la creazione di una zona d'influenza in contrapposizione agli interessi industriali, commerciali e conseguentemente politici dell'occidente. In senso strettamente storico e sulla base di valutazioni rigorosamente realistiche, è quanto, accadde tra Roma e Cartagine, e secoli più tardi tra l'Inghilterra e quasi tutti i paesi europei , vedi Spagna, Francia, Olanda, Danimarca e inultimo la Germania. E questo per il controllo delle risorse, dei commerci e conseguentemente dei punti strategici del globo. Varie vicende hanno portato anche l'Italia ad impiegare contingenti in operazioni di presenza, controllo, interposizione in un fuori area dettato da condizioni particolari e questo, almeno dal I 896. Le Forze Armate svolsero tali incarichi nel quadro di una politica estera che andava mutando i suoi obiettivi e la sua stessa capacità a seconda degli sviluppi , sovente anche drammatici, della più ampia politica internazionale, nell'arco di un secolo e che sinteticamente possiamo racchiudere tra la creazione del la flotta da battaglia tedesca, programma caldeggiato e poi attuato da Tirpitz tra il 1890 e il 19 14, e il conflitto nel Golfo Persico. Gli interventi internazionali di forze italiane nel senso sopra indicato sono stati i seguenti:

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Creta (1896-1906); Cina (1900-1901); Cina (1903); Macedonia (1904-1911); Palestina (1917-1921); Russia (1916-1920); Costantinopoli (1919-1923); Rodi (1919-1 921); San Marino (19211934); Saar (1935); Cina (1938); Corea (1950-1953); Libano (19821985); sono poi seguiti gli interventi in Namibia, nel Mar Rosso, nel Golfo. CANDIA (Creta)- 1896-1906 Nel 1896 il fermento anti-turco che da tempo covava, sfociò in aperta rivolta. Nel gennaio 1897 Candia insorse. Il governo italiano inviava nelle acque dell'isola la 1~ Divisione navale al comando dell'ammiraglio Canevaro. L'intervento delle potenze europee fu reso necessario anche per l'atteggiamento della Grecia che rischiava di complicare ulteriormente la già grave situazione determinatasi. A seguito di uno sbarco sull'isola di forze greche, che cacciarono la guarnigione turca, le potenze europee, d'accordo con il governo ottomano, decisero di formare un corpo di spedizione internazionale che, occupando i punti chiave dell'isola ne mantenesse il controllo. All'operazione insieme agli italiani, parteciparono russi, francesi, inglesi, tedeschi e austriaci. A seguito delle operazioni che portarono alla guerra greco-turca, gli italiani inviarono a Candia, a rinforzo dei marinai, alcuni reparti dell'Esercito: 12 Battaglione del 362 fanteria, 122 Battaglione dell'82 Reggimento bersaglieri, 8ll Batteria da montagna, 22 Battaglione del 492 Fanteria, 2Q Battaglione del 932 Fanteria, tutti al comando del Colonnello Crispo. Nell'agosto 1898, contrasti tra le potenze europee circa la nomina del governatore, portarono alcune di esse, tra le quali l'Italia, al ritiro delle proprie forze. · CINA (Tien-Tsin) 1900-1901. A seguito della rivolta xenofoba dei Boxer i rappresentanti dei governi europei presso la corte imperiale cinese fec.ero sbarcare dalle navi in rada contingenti di marinai a protezione delle rispettive legazioni e di residenti. Gli italiani sbarcarono in numero di quaranta dalla nave Elba (3 1-5-1900). Contemporaneamente, su richiesta, l'ammiraglio inglese Seymour, raccolti circa duemila uomini fra i quali quaranta italiani della nave Calabria, iniziò una marcia di avvicinamento in direzione di Pechino.

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Il 21 giugno 1900 il governo imperiale dichiarò guerra alle Nazioni ingiungendo ai loro ambasciatori di abbandonare Tien-Tsin ove vivevano circa 1500 europei, difesi da 1400 soldati, in prevalenza russi. Di tale forza facevano parte anche alcuni marinai italiani comandati dal Sottotenente di Vascello Carlotta, che fu ucciso durante un'azione. Il 13 luglio le truppe europee, integrate dai reduci della colonna Seymour, attaccarono le postazioni nemiche lungo il canale di Lu-Tai impadronendosi della città murata. Gli assediati di Pechino continuavano frattanto a richiedere affannosamente soccorsi e i comandanti alleati decisero di formare due colonne per muovere loro incontro; la prima composta da americani, inglesi e giapponesi forte di 12700 uomini, doveva marciare alla destra del Pei-ho, la seconda formata da russi, francesi, tedeschi e trentacinque italiani (al comando del Tenente di Vascello Sirianni), per un totale di 5000 uomini, doveva marciare alla sinistra del fiume. Le legazioni internazionali, strette sempre più d'assedio, erano difese da quei pochi soldati, tra i quali i marinai dell'Elba, e da alcuni volontari civili. Tra il 21 e il 22 giugno le legazioni di Austria, Belgio e Italia, furono distrutte. Finalmente il 14 agosto la colonna che avanzava sulla destra del Pei-ho giunse in vista dei resti della città assediata. Essa vi era giunta dopo aver sostenuti aspri scontri nelle località di Pei-Tsang, YangTsung e Tung-ciao. Mentre le truppe alleate entravano nella città la corte imperiale fuggiva verso Siu-gan-fu. I liberatori raggiunsero il Pe-Tang o cattedrale di Pechino, ove trovarono i 3500 convertiti con i loro difensori, fra i quali undici italiani. Il 28 agosto gli eserciti alleati con le delegazioni diplomatiche assediate, entrarono nella città proibita. Fra i quaranta italiani che avevano resistito all'assedio, vi furono · tredici morti e sedici feriti, tra i quali il Tenente Paolini e il Sottotenente Olivieri. Vinta la prima battaglia, ma non ristabiliti la pace e l'ordine, le potenze alleate decisero di fare un'azione in profondità. A tali operazioni concorsero Inghilterra, Francia, Russia, Germania, Giappone Austria, ed Italia. Quest'ultima contribuì con due Battaglioni, agli ordini del Colonnello Goriani, che partirono da Napoli iJ 19 luglio e giunsero a Ta-Ku il 29 agosto. Prese il comando di queste forze il Feldmaresciallo tedesco Conte W aldersee.

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La prima azione fu contro il villaggio di Tu-hin (30 chilometri a sud-ovest di Tien-Tsin). L'8 settembre la colonna Garioni mosse per Tu-Lin. nel{ottobre, 470 italiani facenti parte di un contingente più grosso, occuparonq Shan-Kai-Kuan, Pei-ta-ho e Sciu-Kuan-Tao, lungo la costa per la Manciuria. Il 12 ottobre, due colonne delle quali facevano parte anche italiani, partirono da Pechino e da Tien-Tsin alla volta di Pao-Ting-fu, che i Boxer avevano precipitosamente abbandonata. Il 29 ottobre le colonne fecero rientro a Pechino. Nella marcia verso la capitale, il contingente italo-tedesco al comando di Garioni, fu incaricato di effettuare una puntata verso Cu-nan-Seian per neutralizzare grosse formazioni ribelli colà raccolte. Occupata il 2 novembre la città, il reparto riprese la marcia il 4 alla volta di Pechino. Verso la metà di novembre, una nuova colonna di 600 tedeschi, 120 austriaci e 600 italiani, al comando del Tenente Colonnello Salsa, lasciò Pechino alla volta di Kalang, ove giunse il successivo 19. Sulla via del ritorno, al Colonnello Salsa giunse notizia di un massacro avvenuto nella cittadina di Yung-Ming. Vi si diresse, sgominò il nemico il 28 e proseguì per giungere il 4 dicembre nella città celeste. Dal gennaio al settembre 1901 l'azione dei ribelli si andò via, via affievolendo sino alla pace del 7 settembre I 901. MACEDONIA-1904-1911 Su richiesta del governo ottomano, nel gennaio 1904, fu inviato nella penisola balcanica il Tenente Generale Emilio De Giorgis per organizzare la gendarmeria macedone ed assumerne il comando, coadiuvato dal capitano dei reali Carabinieri Balduino Caprini. La missione ebbe termine alla fine del 1911. RUSSIA - 1916-1920 La proposta che nel marzo 1918 il Tenente Colonnello Filippi di Baldissero, trovatosi in Siberia, aveva fatta ai nostri ministri degli esteri e della guerra, e cioé di impiegare i tremila uomini del "Battaglione Manera" come forza disponibile per operazioni militari, fu favorevolmente accolta. Scopo d'impiego sarebbe stato quello di tutelare gli interessi italiani in Estremo Oriente, minacciati dall'azione militare tedesca e dall'evolversi della rivoluzione bolscevica in Russia.

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Nell'aprile 1918 il Manera, comandante di quel Battaglione formato di ex prigionieri irredenti da lui rintracciati e liberati dai campi di prigionia russi, fu nominato addetto militare aggiunto a Tokio. Nel giugno la forza di questo "corpo di spedizione" venne integrata con dieci ufficiali e 850 uomini di truppa, nuovi arruolati. Inviato in Siberia, il Battaglione andò a far parte con la 152i Sezione Reali Carabinieri, del corpo internazionale colà inviato per combattere contro i tedeschi e contro i russi rivoluzionari, a tutela delle posizioni internazionali in Estremo oriente. Il 6 settembre 1918 il comandante designato del. corpo di spedizione italiano, Colonnello Fassini-Cancossi, ricevette "in consegna" il Battaglione Manera. PALESTINA - 1917-1921 Dopo le prime azioni del marzo 1917, il governo inglese (Allenby) invitò Francia e Italia ad inviare propri contingenti per combattere a fianco dei britannici contro le forze turche, comandate dal tedesco Kress von Hessenstein. L'Italia inviò un Battaglione Bersaglieri ed un reparto di Reali Carabinieri agli ordini del tenente Colonnello D'Agostino, poi sostituito dal Tenente Colonnello Pesenti. Questo contingente ebbe quale denominazione ufficiale "Corpo di spedizione militare italiano in Palestina". Esso andò via via aumentando di forza fino a raggiungere, nell'autunno 1918, una consistenza di tremila-::uomini, di cui cento ufficiali. Tale forza era composta da un Battaglione di Fanteria, una Compagnia di Bersaglieri, un Battaglione di Fanteria formato da prigionieri liberati dagli alleati, una compagnia più una squadra di Reali Carabinieri, un Battaglione Cacciatori di Palestina, Servizi (sanità, autieri, veterinari). Il Corpo rimase in Palestina ventinove mesi; rimpatriò nell'agosto 1919 e fu sciolto a Napoli nel novembre. L'attività svolta dal Corpo di Spedizione fu la seguente: iJ 30 ottobre 1918 l'esercito inglese attaccò la linea nemica che si stendeva lungo l'Uadi Gaza sino a Bir-es::.S eba. Il contingente italiano, agli ordini del Comandante il XXI Corpo d'Armata, fu dislocato n prima linea in uno dei punti meno forti dello schieramento. Esso venne impiegato a difesa delle linee di comunicazione, fino alla conclusione delle operazioni avvenuta con la rotta e lo sfacelo delle tre armate turche e con l'occupazione di Aleppo, ove il 26 ottobre le bandiere inglese, francese e italiana sventolarono.

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I Cacciatori di Palestina - Corpo speciale costituito nel dicembre 1917 a Porto Said, a livello di Compagnia agli ordini del Capitano Mercuri. Essa era composta da volontari italiani residenti in Egitto. Raggiunse la forza di un Battaglione quando il governo italiano ordinò che tutti i cittadini italiani delle classi dal 1896 al 1900, abili alle armi, venissero incorporati nel Corpo di Spedizione. I reparti del Reali Carabinieri che fino al novembre 1918 avevano avuti compiti di polizia militare e di sorveglianza delle vie di comunicazione, rimasero ancora in Palestina con compiti di sicurezza e di guardia d'onore all'Ambasciata d'Italia a Gerusalemme ed al Santo Sepolcro. Essi furono denominati " Distaccamento italiano Carabinieri di Gerusalemme". L'attività si concluse iJ 10 marzo 1921. Reparti del Corpo di Spedizione italiano per la Siria e la Palestina rimasero in quel territorio sino al 12 novembre 1918, e raggiunsero poi Rodi per svolgervi compiti di polizia militare sino allo scioglimento avvenuto il 12 marzo 1919. COSTANTINOPOLI- 1919-1923 Al termine della prima guerra mondiale e a seguito del trattato di Sèvres con la Turchia, le potenze vincitrici inviarono a Costantinopoli contingenti delle proprie gendarmerie (polizie interalleate), con funzioni di controllo ed affiancamento alla polizia ottomana, in ristrutturazione. Per l'Italia venne inviato nel febbraio 1919 il Colonnello dei Reali Carabinieri Balduino Caprini che ebbe la carica di presidente del Comitato di polizia interalleata. Con l'ufficiale era un distaccamento di Carabinieri composto da un Capitano, tre Tenenti e centocinquanta tra Sottufficiali e Truppa. RODI- 1919-1921 In applicazione dell'accordo di Parigi del 1920, con il quale le Isole Egee e quelle di Rodi e Castelrosso, quest'ultima occupata nel marzo 1921, erano state promesse alla Grecia, con un governatore italiano per le due maggiori, si ebbe la creazione di un Corpo autonomo di polizia, denominato"Corpo dei Carabinieri di Rodi e Castelrosso", costituito da elementi indigeni, prevalentemente di religione ortodossa, inquadrati da Sottufficiali italiani, comandati da un Tenente. Il Corpo ebbe vita per

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poco più di un anno dato il ristagno nell'esecuzione degli accordi di Parigi e nelle isole tornò a funzionare con piena ed ampia giurisdizione, la Compagnia Carabinieri dell'Egeo. SAN MARINO- 1921 Nel 1921 su richiesta del governo di San Marino, il cui territorio era diventato comodo rifugio di malfattori e ricercati ed in attesa che alla loro caccia provvedesse la costituenda gendarmeria locale, venne inviato a prestare servizio in quel territorio un reparto dell'Arma composto da venti militari al comando di un ufficiale subalterno, Sull'uniforme regolamentare vennero applicate, sotto gli alamari e sulle manopole, i colori biancoazzurro di San Marino. Il distaccamento, i cui componenti venivano s~ stituiti ogni sei mesi, cessò di funzionare il 2 febbraio 1936, dopo circa quindici anni di servizio. La Repubblica del Titano, in riconoscimento dei meriti del Reparto, concesse sessantaquattro medaglie di benemerenza ai singoli militari ed una medaglia d'oro di benemerenza alla bandiera. SAAR-1935 Tra il dicembre 1934 e il marzo 1935, in occasione del plebiscito per il ritorno della Saar alla Germania, venne costituito per la prima volta un corpo di polizia internazionale di cui fec.ero parte 1300 italiani, insieme a svedesi, inglesì e olandesi. · Contrariamente a quanto avvenuto per l'Alsazia e la Lorena restituite alla Francia nel 1919, per la Saar, importante bacino minerario, si era stabilito che essa sarebbe stata regolata da un plebiscito da indirsi alla distanza di quindici anni, durante i quali avrebbe agito un governo provvisorio. Le truppe italiane, composte da Granatieri, Carabinieri, carristi e Servizi, partirono il l Odicembre 1934 per Saarbrlicken. La data stabilita per il plebiscito era il 13 gennaio 1935. Al contingente italiano, comandato dal Generale di Brigata Visconti-Prasca, erano stati assegnati 320 seggi. La giornata del voto trascorse tranquilla e così pure la successiva, ma in seguito, passato il primo entusiasmo spontaneo per l'annessione alla Germania, cominciarono a verificarsi atti di intolleranza specie da parte dei tedeschi. Il contingente internazionale dovette intervenire per sedare le agitazioni che il sue-

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cessivo 17 gennaio si placarono. Il 26 febbraio, il contingente venne ritirato per lasciar posto alla legittima autorità germanica. ESTREMO ORIENTE - 1937-1938 Il 23 agosto 1937 nel corso del conflitto cino-giapponese, il 12 Battaglione del 102 Reggimento Granatieri di Savoia partecipò al servizio di polizia nella zona internazionale di Shanghai. Il Battaglione rientrò in Italia il 28 dicembre 1938 e venne disciolto. COREA - 1950-1954 Il 25 giugno 1950 le forze armate nord-coreane invadevano la Corea del Sud. Le Nazioni Unite inviavano, dopo la ratifica dei loro organi, un contingente internazionale onde dare aiuto agli aggrediti. 11 16 agosto 1951 , con dispaccio numero 349 lIUL, il Ministero della Difesa mobilitò il personale per un ospedale da campo di .150 letti da inviare in Corea. Imbarcatosi il successivo 16 ottobre 1951, "l'Ospedale da Campo 68", lasciava Napoli alla volta della Corea ove giungeva il 16 novembre, sbarcando a Pusan. Il 12 dicembre iniziava la propria attività nella zona di Jang-Dung-Po, attività che si protrasse sino al 23 dicembre 1954, data in cui fu rimpatriato. A.F.I.S. - 1949-1959 Dal 2 febbraio al 2 aprile 1950 un Corpo di truppe volontarie italiane composto da quattro battaglioni di Fanteria, un Battaglione Carabinieri, un battaglione di Cavalleria blindata, una Batteria di Artiglieria e due Compagnie del Genio venne trasferito in Somalia in esecuzione dell'articolo 76 della Carta delle Nazioni Unite, per costituire ed addestrare reparti dell'Esercito e della Polizia somali anche in vista dell'indipendenza di quel paese. L'incarico, sotto la denominazione AFIS (Amministrazione Fiduciaria Italiana in Somalia) fu decennale. Da una consistenza iniziale di circa seimila uomini, si passò a 1700 uomini, il 30 giugno del 1951. Il 12 luglio 1960 l'ultimo tricolore venne ammainato lasciando il posto alla bandiera della neo-nata Repubblica di Somalia.

A molti anni di distanza si è poi avuta la missione nel Libano e, nel 1991, l'Operazione Airone nell'lrak settentrionale, il Kurdistan.

(Ricerca del Capitano Giuseppe Ravetto dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito)

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RINGRAZIAMENTI Accade raramente che un autore debba esprimere la sua riconoscenza non a un personaggio di rango, ma a un gruppo di persone che neppure conosce. O meglio ne conosce una minima parte, quella con cui ha avuto i contatti più diretti e "istituzionali", ma che per un tratto di doverosa cortesia verso gli altri, non cito ed essi, non vi sono dubbi, comprenderanno e approveranno. Mi riferisco ai Soldati del contingente italiano in lrak, che ho avuto l'onore di poter vedere all'opera. Se questo libro è stato scritto il merito è tutto loro e a loro spetta il mio ringraziamento. A bordo di una A.R. mentre ci muovevamo per raggiungere una pattuglia di paracadutisti in perlustrazione, un Ufficiale mi chiese a bruciapelo: "Cosa scriverà?" e in quella domanda formalmente garbata notai una sfumatura di diffidenza e di ironia. La mia risposta fu spontanea: "Non lo so". L'autore ringrazia la Direzione del Giornale Radio Uno della RAI_ Radiotelevisione Italiana per avere autorizzato la pubblicazione dei servizi trasmessi dall'Irak. La mia gratitudine all'Editore sempre disponibile e a quanti, e sono molti, hanno avuto la gentilezza e la pazienza di concedermi parte del loro tempo. Roma, settembre 1991

P.B.

L'autore - Giornalista professionista, lavora al Giornale Radio Uno (GR.1) della RAI, Radiotelevisione Italiana. Collaboratore dell'Ufficio Storico dell'Esercito e della Rivista Militare. Precedenti pubblicazioni: Aviazione 1919-1939, La guerra psicologica, Obiettivo Mediterraneo, Generali nella polvere, La carrozza d'oro, NATO: il futuro.

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Nota dell'autore

Mentre questo libro veniva scritto gli avvenimenti nell'Unione Sovietica e in Jugoslavia si accavallavano in un susseguirsi rapido disordinato. Il 6 settembre 1991, fonti ufficiali sovietiche affermavano che l'arsenale nucleare sarebbe rimasto comunque indivisibile a prescindere del futuro assetto istituzionale del paese, e questo mentre Gorbaciov ed Eltsin, seduti su due poltroncine in un lussuoso salone del Cremlino, rispondevano via satellite alle domande dei giornalisti americani in una conferenza stampa senza precedenti nella storia dei rapporti tra americani e russi. La presenza contemporanea dei due uomini politici (sovietici o russi?) costituiva di per sé un interrogativo legato ai precedenti eventi e alla loro possibile ulteriore evoluzione. Anche se gli organi legislativi sovietici hanno approvato un nuovo ordinamento istituzionale, riconoscendo la priorità della libertà, della dignità e dell'onore dell'uomo, la contemporanea partecipazione di Gorbaciov e di Eltsin alla conferenza stampa televisiva sottolineava la persistenza delle incertezze sul futuro assetto politico al vertice e quindi sull'intera questione sovietica. Mentre Gorbaciov affermava l'urgenza di passare all'economia di mercato, rimarcando la già operante collaborazione con gli occidentali per accelerare il processo, Eltsin dichiarava che l'unione Sovietica non si proponeva, come ai tempi di Krusciov, di raggiungere e superare gli Stati Uniti, ammettendo (ma avrebbe potuto fare altro?) che l'Unione Sovietica era molto indietro rispetto agli americani. La linea operativa seguita dai due massimi esponenti sovietici lasciava intravedere l'esigenza di due precise priorità: scongiurava la disintegrazione dell'Unione, recuperando nell'ambito di una nuova unione confederale le repubbliche decise a intraprendere la strada dell'indipendenza o comunque a usare tale mezzo per trasformare radicalmente i rapporti giuridici e soprattutto economici con Mosca, e, soprattutto, dare al mondo l'immagine di una Unione Sovietica affrancata dal giogo del partito comunista, dal suo apparato, burocratico e poliziesco,

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e quindi meritevole di una maggiore fi.duc,ia e pertanto di aiuti economici rapidi e tali da frenare la caduta verticale in atto da alcuni anni. Tra Gorbaciov ed Eltsin appariva evidente la presenza di un confronto giunto ormai alla sua fase risolutiva. La prudenza suggeriva ulteriore cautela per non provocare degli altri guai interni e per non allarmare maggiormente gli americani, in particolare gli ambienti politici, finanziari e industriali meno propensi a firmare assegni in bianco. Il fattore sicurezza rimane del tutto estraneo. Nella sostanza si potrà assistere a una fase interlocutoria, fino a quando i nuovi assetti, più formali che sostanziali, permetteranno di chiarire in un senso o nell'altro la questione di fondo, cioè a dire, il rapporto tra Gorbaciov e Eltsin, il ruolo delle forze armate, quello delle repubbliche e la localizzazione dell'opposizione, dei servizi di sicurezza, dell'apparato al quale verrà affidata l'esecuzione delle riforme economiche e sociali. Tra le risorse necessarie, il tempo e molto. Tuttavia non è possibile dimenticare che non è prudente attribuire ad altri la propria logica e i propri procedimenti razionali.

P.B.

216


Bibliografia e Fonti Generale Goffredo Canino - Esercito e Volontari - Supplemento al n. 191 della Rivista Militare. Generale Goffredo Canino - Uomini, le risorse umane nel nuovo modello di difesa - Rivista Militare. Stato Maggiore Esercito - Il servizio civile nazionale - Società Poligrafica Editrice, 1991. Fenuccio Botti - La mobilitazione in Italia - Suppl. al n. 4-91 della Rivista Militare. Karl von Clausewitz - Della Guerra - Arnoldo Mondadori Editore. Jonathan Steinberg - Il deterrente di ieri - Sansoni Editore. Friedrich Oskar Ruge - Politica e strategia - Sansoni Editore. Mario Montanari - Le operazioni in Africa Settentrionale - Vol. III, El Almein - Stato Maggiore Esercito, Ufficio Storico. Piero Baroni -NATO: il futuro - Ciarrapico Editore. Atti Parlamentari - X Legislatura - Camera dei Deputati Commissione IV (Difesa) - Indagine conoscitiva sull'evoluzione dei problemi della sicurezza internazionale e sulla ridefinizione del nuovo modello nazionale di difesa. Archivio dell'Ufficio Storico dell'Esercito (per la parte del fuori area storico). Caloandro Baroni (Maggiore dei Bersaglieri Lombardi) - I Lombardi nelle guerre italiane, 1848-49 - Tipografia Giuseppe Cassone, Torino 1856 Periodici: Rivista Militare RID Rivista Italiana Difesa /PD - Informazioni Parlamentari Difesa Panorama Difesa Agenzie di Stampa: AFP Agence France Presse ANSA

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INDICE

Premessa

pag.

5 9

Introduzione I Disarmo unilaterale

15

II Un "modello insufficiente"

23

m L'orgoglio dell'Airone

39

IV Che cosa c'è da difendere?

"

49

V Identikit di un esercito

61

VI Indagine sull'Esercito del 2000

77

· Conclusione

"

115

Documentazione

133

Appendice N2 1 Intervento del generale Goffredo Canino all'inaugurazione dell'Anno accademico della Scuola di Applicazione, Torino novembre 1990

187

Appendice N2 2 Il "fuori area storico"

205

Ringraziamenti

213

Nota dell'autore

215

Bibliografia e Fonti

217



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